Enchanted - A whole new world.

di dreamlikeview
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1: Strangers on a crazy adventure. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2: Can I help you, sire? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3: Kiss me like you want to be loved. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4: Lying for love. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5: The hidden truth. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6: Is this a goodbye? ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7: Wish you were here. ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8: Come back home. ***
Capitolo 9: *** Epilogo: King of my heart. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1: Strangers on a crazy adventure. ***


 
 
Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!

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La foresta era immensa, sembrava infinita, mille insidie si nascondevano in essa: dietro le fronde degli alberi, i nemici giurati di Camelot, i druidi, erano appostati per un agguato, ogni cavaliere lì presente quel giorno lo sapeva; Arthur Pendragon, il re di Camelot, guidava una spedizione di uomini – i cavalieri più valorosi del regno – per sconfiggere definitivamente il magico nemico. I druidi erano sempre stati un popolo pacifico, prima che Uther Pendragon, il padre di Arthur, dichiarasse loro la guerra, vedendo quel popolo come una minaccia per il suo regno, a causa della loro magia. Da quel momento, non erano mancati agguati e attacchi al regno, e anche quando Uther era morto, e suo figlio aveva preso il suo posto sul trono, le divergenze non si erano appianate, tuttavia il giovane re, differentemente dal genitore, aveva deciso di essere aperto al dialogo con i nemici, e quando il nuovo capo dei druidi, un certo Mordred, aveva chiesto udienza a re Arthur, quest’ultimo era stato disposto ad accoglierlo e a cercare di risolvere ogni controversia tra i loro popoli in modo pacifico, ma il druido, forte del suo rancore e del suo odio, invece di ricercare la pace, aveva attaccato e cercato di uccidere il nuovo re, alimentando ancora di più l’odio tra i due popoli. Come prova della sua buona fede nei confronti della magia - era fermamente convinto che non tutti i praticanti di essa fossero crudeli, come sosteneva suo padre - quando sua sorella Morgana ne aveva avuto bisogno, aveva contattato uno stregone e si era fatto aiutare da lui. Arthur era davvero convinto che, essendo i due capi in guerra ormai defunti, lui e Mordred avrebbero potuto trattare una pace adeguata, e aveva tentato davvero, anche dopo essere stato attaccato, ma appianare divergenze ed odio perpetuati per così tanti anni, era impossibile e alla fine nessuna pace era stata stipulata. La magia a Camelot era ancora bandita e chiunque la praticasse, sebbene non venisse giustiziato, come accadeva al tempo di Uther, veniva imprigionato.

Fonti attendibili dicevano che i druidi stavano preparando un agguato alle soglie della foresta, e Arthur aveva deciso di anticipare i nemici, sperando di sconfiggerli definitivamente; aveva scelto personalmente i cavalieri da portare con sé in battaglia, aveva organizzato la spedizione ed era partito con loro, all’alba di un nuovo giorno, per mettere fine all’antica guerra. Fece segno a sir Lancelot, uno dei suoi più fidati cavalieri, di seguirlo, e agli altri di restare indietro a controllare la zona, avanzarono piano, tra le fronde, aguzzando l’udito per captare qualsiasi, anche il più piccolo, spostamento d’aria e cercando di anticipare il nemico, del quale non c’era alcuna traccia. Qualcosa non quadrava, pensava il re, erano ben oltre le soglie della foresta, avrebbero dovuto trovare i druidi già da un pezzo, eppure di loro non c’era traccia.
Qualcosa non andava, il suo sesto senso da guerriero gli diceva che stavano andando dritti in una trappola, ma come era possibile? Le sue fonti erano attendibili e le persone che gli avevano dato tali notizie erano fidate, possibile che i druidi avessero anticipato le loro mosse, ancora una volta? Che a Camelot ci fosse una spia? Un traditore tra i suoi?
Poi i due cavalieri udirono un fruscio sospetto, sguainarono le spade e si prepararono all’agguato, tuttavia, quando si voltarono, davanti a loro trovarono solo Mordred, che li guardava con astio.
«Posate le spade, guerrieri» disse il druido «Oggi finirà la nostra guerra» dichiarò solenne.
«Dovrai passare sul mio cadavere» sibilò il re, mettendosi in posizione di combattimento davanti a lui «Non ti lascerò il mio regno, Mordred!»
«Come tuo padre, Arthur Pendragon, non hai capito nulla. Noi druidi siamo sempre stati un popolo pacifico, tuo padre ci attaccò per primo, temendoci senza alcun motivo» raccontò il giovane capo druido, guardando il re di Camelot «Ho deciso di porre fine a questa guerra, mai più un Pendragon regnerà su queste terre» dichiarò, tendendo le sue mani davanti a sé, verso il re. Sir Lancelot subito cercò di pararsi davanti al suo re, ma una forza invisibile lo sbalzò via, facendolo cadere, privo di sensi, per terra «Oggi, io, Mordred, capo dei druidi, pongo fine alla tirannia dei Pendragon» dichiarò «La mia gente soffre da troppo tempo a causa vostra e ho intenzione di porre fine a quest’assurda guerra» disse «Ti manderò in un luogo, Pendragon, dove il tuo titolo non varrà nulla, dove capirai cosa significa patire la sofferenza e tutto ciò che tu e tuo padre avete fatto patire al mio popolo» proferì «Io oggi ti maledico, Arthur Pendragon, mai più uno col tuo nome siederà sul trono di Camelot e senza di te, Albion potrà sorgere dalle ceneri dell’Antica Religione!» il re tentò di attaccare per primo, ma improvvisamente si sentì bloccato, come legato da corde invisibili, mentre il druido iniziava a pronunciare delle parole nella lingua della magia, parole antiche e sconosciute, che nessuno conosceva veramente, a parte gli stregoni.
Man mano che lo stregone pronunciava quelle parole, Arthur avvertiva la foresta tutto intorno a sé iniziare a svanire, la sua testa girava in un modo incredibile, si sentì tirare e sbatacchiare ovunque e perse i sensi dopo un po’, udendo alla fine le parole finali del druido, che gli auguravano di non tornare mai più a Camelot.

*°*°*°
 
Arthur riaprì gli occhi, dopo essere rimasto incosciente per un tempo sembratogli indefinito; le corde magiche attorno a lui erano svanite, era in un antro oscuro, una grotta forse, c’era un odore nauseabondo che non conosceva, sentiva dei suoni poco rassicuranti intorno a lui e avvertiva strane sensazioni. Era prigioniero, era evidente, ma per un fortuito caso, i druidi l’avevano lasciato libero di muoversi in quella grotta. Atteggiamento strano e sospetto, comunque, Arthur, restando vigile, cercò un modo per uscire da quella grotta, doveva esserci un’uscita, no? Si toccò il corpo, alla ricerca di eventuali ferite, ma non ve ne erano, e, nel farlo, si rese conto che la sua cotta di maglia fosse ancora al suo posto insieme all’armatura. Bene
Avanzò di un passo e mise il piede su qualcosa di metallico. Si abbassò subito per prendere l’oggetto e si rese conto che si trattasse della sua spada. I druidi lo avevano imprigionato in una grotta, lasciandolo libero di muoversi e in possesso della sua spada? Cosa speravano? Che si togliesse la vita da solo con essa? Atteggiamento davvero sospetto, il loro; Arthur comunque realizzò di avere un’arma con cui difendersi in caso di attacco, e saggiamente decise di riporla nel fodero. Scandagliò con lo sguardo la grotta, era assurdamente lunga, e non si vedevano luci, a parte quella flebile che filtrava dal soffitto. Si sedette sul pavimento della “cella”, notando che fosse leggermente umido, forse era vicino a qualche fiume sotterraneo, e si mise a riflettere su cosa fare, se la luce filtrava dall’alto, voleva dire che, da qualche parte, doveva esserci una botola. Volevano farlo morire senz’aria, forse? Lui era il re di Camelot e di certo non sarebbe morto senza combattere; si alzò di nuovo in piedi e si guardò intorno, osservò bene il soffitto, se quella cella si trovava sotto ad una botola, allora doveva solo trovarla e sollevarla. Guardò meglio attorno a sé, e alzando la testa, la notò, era tonda e non di legno – strana per essere una botola – e fece il tentativo di sollevarla, aspettandosi comunque di trovarla chiusa in qualche modo, ma stranamente quella si alzò con facilità. Senza pensarci due volte, il re si arrampicò e quando mise la testa fuori da quella grotta, si ritrovò in un luogo assurdo, non fece in tempo a notare delle strane costruzioni enormi, che un mostro metallico passò sopra la sua testa velocemente, e Arthur rientrò appena in tempo nella strana cella, evitandolo per un pelo, era una fortuna che non fosse morto, era forse questo il piano dei druidi? Farlo combattere contro mostri e sperare che restasse ucciso? Giammai, lui era il re di Camelot, non si faceva intimorire da un mostro qualsiasi, così, facendosi coraggio, uscì definitivamente dalla prigione inutile in cui era stato rinchiuso, attento a quei mostri, che si muovevano molto velocemente attorno a lui, emettendo flatulenze strane. Una volta fuori si guardò intorno, doveva assolutamente trovare il sovrano di quel luogo e chiedergli ospitalità e un cavallo con il quale tornare a casa. Il re, allora, superò i mostri metallici, senza avere bisogno della spada, erano tutti fermi al suo passaggio – ecco bravi, inchinatevi davanti al vostro re, stupidi mostri metallici e puzzolenti – mentre un simpatico omino luminoso di verde, appariva e spariva da quel palo luminoso davanti a lui.
Che simpatico oggetto – pensò, raggiungendolo, lo osservò da vicino, ma non vide nessuno che lo illuminasse, che fosse stregoneria, quella? Quando questo divenne rosso, i mostri ripresero a sfrecciare e Arthur rimase sorpreso dalla cosa. I villici intorno a lui lo guardavano in maniera strana ed erano vestiti in maniera buffa, dov’erano le armature? E le cotte di maglia? Forse non erano cavalieri, ma uomini del popolo, e tuttavia erano ugualmente vestiti in modo ridicolo, secondo lui. Rivolse loro un saluto cortese, come gli era stato insegnato, ma nessuno sembrava aver notato il suo gesto; indispettito per la mancanza di rispetto, iniziò a camminare cercando un castello, o un qualcosa che gli dicesse dove fosse, ma niente sembrava fargli capire nulla, niente gli era familiare; davanti a lui c’erano degli strani oggetti rettangolari, che mostravano alcune specie di ritratti o dipinti, non sapeva bene cosa fossero, quel luogo era alquanto bizzarro e strano, sicuramente era opera di Mordred; doveva essere per forza così.
Iniziò a vagare per le strade di quello strano villaggio, mentre teneva stretta Excalibur al suo fianco, sperando di incontrare qualche villico di buon cuore che potesse aiutarlo. Dopo parecchio peregrinare, decise di chiedere a qualcuno dove si trovasse, e quale ameno luogo fosse quello: di sicuro si trattava di un villaggio, su questo non c’era alcun dubbio, un villaggio molto grande ed esteso, ma comunque un villaggio che faceva parte di un regno, ovviamente. Doveva solo trovare il re o il capo di quel regno e farsi aiutare a tornare a Camelot. Non era poi così difficile, no? Era solo questione di pazienza, e così sarebbe riuscito a tornare nel suo regno per salvarlo dai druidi.
Giunse in uno spiazzo gigante, dove c’erano molte persone, c’erano diverse donne, vestite con abiti eleganti e sperò che tra di esse si celasse una dama che potesse aiutarlo a trovare il re o la regina o il lord, insomma un nobile qualsiasi. Si sistemò l’armatura alla meglio e si lisciò per bene i capelli, e poi avanzò verso quel gruppo di donzelle. Erano abiti davvero succinti, le buone maniere non le conoscevano, da quelle parti? Che razza di posto era quello?
«Scusate, mie signore» disse il re con il suo tono più cordiale «Potreste indicarmi la residenza del vostro sovrano?» chiese con altrettanta gentilezza, con le dame bisognava usare la massima cortesia, così come gli aveva insegnato suo padre.
«Ehi amico, quanto sei ubriaco? Chi credi di essere, il re d’Inghilterra?» domandò retoricamente e frivolamente una delle donne, le altre dame sghignazzarono, udendo la risposta che gli aveva dato la dama, Arthur si indignò, ma cercò di non darlo a vedere. Come si permetteva di ridere di lui?
«No, sono Arthur Pendragon, il re di Camelot» rispose con sincerità, mantenendo un tono pacato, a quel punto, la donna con cui stava parlando, scoppiò a ridere in maniera sguaiata, Arthur accusò il colpo, ma non disse niente, aveva bisogno di informazioni. «È così che si chiama questo regno? Inghilterra?» chiese perplesso il re, guardando la dama che stava rispondendo alle sue domande. Si chiese se fosse usanza di questa Inghilterra, parlare così ai reali e ridere di loro o se fosse prerogativa di quelle donne maleducate, quell’atteggiamento irrispettoso; in entrambi i casi, non gli piaceva per niente.
«Sei reduce da una di quelle assurde feste medievali, vero?» chiese lei ridendo ancora, Arthur si stava innervosendo, come poteva quell’oca giuliva continuare a ridere di lui? Lui era un re, non il suo giullare di corte.
«Vi invito ad assumere un atteggiamento più consono per un reale, mia signora, la mia pazienza sta arrivando al limite» la avvisò, non consentiva a nessuno di parlargli in quel modo, e quella giovane non aveva nulla di regale o nobile, era solo una popolana che si spacciava come dama, forse una serva o qualcosa del genere, ma a Camelot aveva conosciuto nobildonne e serve ben più educate di loro. Sbuffò irritato, stavano giocando con la sua pazienza e non ne era per niente contento.
«Oh mi scusi, sua maestà» fece lei inchinandosi davanti a lui, senza riuscire a trattenere le risate «Dovresti andare a casa a smaltire la sbronza, amico, davvero» disse, indicando con un dito un mostro metallico altissimo e rosso, che si fermava lì davanti a loro. Prima che Arthur potesse ribattere, le dame erano state inghiottite dal mostro rosso. Mise la mano sull’elsa della spada per estrarla, combattere il mostro e trarle in salvo – anche se erano state maleducate con lui, non significava che lui si tirasse indietro davanti ad una sfida con un mostro – ma fu sballottolato a destra e a sinistra da una mandria di persone che si riversarono fuori dal mostro, mentre altre vi entravano. Il mostro mangiava le persone e poi le sputava? Che razza di mostro era? Mordred, in quale luogo mi hai imprigionato, si può sapere? – imprecò mentalmente.
Qualcuno lo etichettò come pazzo e gli intimò di togliersi di mezzo e lasciar passare le persone; con il suo buon senso, il re riprese l’esplorazione del luogo. Londra, aveva sentito dire dalle persone che uscivano dal mostro. Non aveva mai sentito parlare di questo villaggio, non era nei territori di Camelot, era ovvio. Dove altro poteva trovarsi questo villaggio? Dove si trovava? Ormai aveva capito che Mordred lo aveva mandato con la magia in un altro luogo, lontano da casa, ma quale? Doveva tornare a Camelot prima che fosse tardi, prima che i druidi distruggessero il regno, rendendolo un futile ammasso di sterco, perché era questo che suo padre gli aveva insegnato, i druidi, gli stregoni, portavano solo distruzione e scompiglio dove passavano.
Continuò a peregrinare, il cielo si tingeva sempre più di colori scuri e non si vedeva alcuna stella da quel posto. Le cose che, maggiormente lo incuriosivano, erano le luci, dov’erano nascosti i fuochi? Come era possibile che i fuochi di quelle luci non si vedessero? Era stregoneria? Chi era lo stregone responsabile di tutto quello? Era un popolo da liberare da uno stregone folle?
«E sta attento a dove vai, idiota!» lo apostrofò con poca delicatezza ed educazione uno dei villici che passavano di lì, il quale gli era andato a finire addosso; Arthur si innervosì, ed era sul punto di sguainare la spada e duellare con il villico, tuttavia non sapeva quanto fosse vantaggioso per lui provocare uno di quei villici, non sapeva ancora di cosa fossero capaci, quindi era meglio restare nell’anonimato, finché non avesse capito cosa fare.
«Chiedo perdono» rispose, superando, senza troppi complimenti, il bifolco, continuando il suo girovagare. Forse avrebbe trovato una taverna o una locanda, dove chiedere ospitalità e informazioni, solo che non aveva idea di che aspetto avessero le taverne e le locande in quel posto.
Vagò ancora, arrivando in una parte del villaggio meno illuminata e popolata. Doveva trovare un giaciglio dove passare la notte, gli sarebbe bastato poco, in fondo, lui era abituato alle missioni fuori dal castello, e con i suoi cavalieri aveva trascorso infinite nottate, immersi nei boschi e nelle lande desolate, ci era abituato. Doveva solo trovare della legna da ardere, della paglia e accendere un fuoco, da qualche parte in quel luogo ci doveva essere un bosco o qualcosa del genere.


«Ehi, ti sei perso?» chiese una voce gentile alle sue spalle, improvvisamente. Arthur sobbalzò, si voltò immediatamente, sguainando la spada, ignorando il tono gentile con cui si era rivolto a lui quel giovane; non ne poteva più di bifolchi che si rivolgevano a lui con poca educazione, ma dove era finito? Brandì la spada contro il nuovo arrivato a denti stretti, minacciandolo con lo sguardo, questo ragazzo alzò le mani in segno di resa e lo guardò «Ehi, manteniamo la calma. Voglio solo aiutare» disse lentamente «Lavoro all’ospedale, lì» continuò, indicando un edificio bizzarro con una lettera H luminosa «Ti ho visto vagare qui intorno e credevo avessi bisogno di una mano» proferì, erano le parole più gentili che qualcuno gli rivolgeva, in quel giorno sventurato; il giovane gli porse una mano «Come ti chiami?» chiese gentilmente.
«Sono Arthur Pendragon, re di Camelot» rispose il re, afferrando con la mano guantata quella del giovane davanti a sé, che alzò un sopracciglio con fare divertito. Arthur si chiese come mai avesse quell’espressione.
«Sì, e io sono il principe William» rise scuotendo la testa. Il volto di Arthur si illuminò, finalmente un nobile! Lo sapeva che, prima o poi, ne avrebbe trovato qualcuno da qualche parte; in tutti i suoi viaggi, in ogni regno che aveva visitato aveva sempre incontrato dei nobili, e gli era sembrato strano non trovarne in quel luogo. Certo, quel giovane era un po’ bizzarro per essere un nobile, eccessivamente magro e non indossava alcuna armatura, ma il suo titolo era ciò che contava in quel momento.
«Oh, mio signore!» esclamò con enfasi, facendo un inchino, che fece alzare un sopracciglio al nuovo arrivato «Potrei chiedere la vostra ospitalità per questa notte?» chiese «Poi potremmo allearci e combattere contro i druidi!»
«Sì, okay, combattere i druidi» commentò il principe «Io credo che tu abbia bisogno di una bella dormita e di smaltire la sbornia» gli disse con serietà guardandolo, sì, in effetti Arthur era stanco morto, il tanto peregrinare per quella landa sconosciuta, lo aveva sfinito «Io sono Merlin» aggiunse, sorridendo. Ma non aveva detto di chiamarsi William? Forse aveva due nomi? Era uso di questo luogo avere due nomi? E perché non si era presentato immediatamente con entrambi?
«Non ho idea di cosa abbiate detto, mio signore, ma accetterò qualunque cosa vogliate offrirmi» rispose il re, guardando quel principe, che non sembrava essere tale. Beh, era in un altro posto, non era a Camelot, magari lì i reali si comportavano tutti così e forse quella dama di qualche veglia prima era davvero una dama un po’ maleducata, ne aveva incontrate tante, soprattutto quando suo padre cercava una sposa per lui, inorridì pensando a Lady Vivian e a Lady Helena e ai loro atteggiamenti poco raffinati. Il ragazzo davanti a lui era bizzarro, aveva delle enormi orecchie, i capelli scuri, gli occhi di un azzurro indefinibile, la pelle chiara e indossava degli abiti buffi, non usuali per lui, ma non importava, davvero.
«Posso chiamarti un taxi che ti riporti a casa, riesci a ricordare il tuo indirizzo?» Indi-cosa? E cosa era questa cosa che aveva definito taxi? Mai sentita una cosa del genere dalle sue parti.
«Cosa?»
«Il posto dove vivi» rispose il giovane, con tono comprensivo.
«Oh! Sì, vivo a Camelot!»
«Camelot, sì, certo» rispose l’altro, con tono fastidiosamente ironico «Senti, vengo da un turno asfissiante di dodici ore al pronto soccorso, ho visto di tutto e sono stanco morto, sto cercando di aiutarti perché ti vedo confuso, ma dovresti smetterla di prenderti gioco di me».
«Io sono il re di Camelot! Esigo che voi mi portiate rispetto, signore!» esclamò indignato «Come io sono rispettoso verso di voi!» esclamò ancora, innervosito.
«Okay, okay» alzò le mani «Facciamo così, non abito lontano da qui. Perché non vieni a casa mia, e domani, a mente lucida troveremo un modo per rimandarti a casa tua, sire?» a calci magari, aggiunse mentalmente il giovane, ma non c’era bisogno che il biondo sapesse la sua aggiunta.
Arthur ponderò la sua risposta, era il primo che gli offriva ospitalità, doveva cogliere l’occasione e farsi ospitare, così avrebbe potuto far ritorno a Camelot.
«Certo, mio signore, la vostra ospitalità sarebbe davvero l’ideale per me» rispose abbassando il tono e riponendo la spada nel fodero «Il regno di Camelot ricorderà il vostro gesto e ve ne sarà grato in eterno» aggiunse alla fine guardandolo con riconoscenza. Il moro sorrise, scuotendo la testa e lo guardò come se fosse pazzo, ma Arthur sapeva di non essere pazzo.
«D’accordo, d’accordo, apprezzo la gratitudine di Camelot, ma è meglio che tu sappia che io non ho alcun titolo e che non vivo in un castello» disse guardandolo «Mi chiamo Merlin, se non lo avessi capito».
«Non avete detto di essere il principe William?» chiese, guardandolo confuso.
«Era una battuta» disse con ovvietà nella voce, un’ovvietà che Arthur non colse «Una battuta, ero sarcastico… ma penso che tu non l’abbia colto».
«Non è bene mentire al re, sapete? A Camelot vi avrei fatto stare almeno per tre giorni nelle segrete per questo» disse serio, e Merlin si trattenne dallo scoppiargli a ridere in faccia. Da quale festa medievale era saltato fuori questo tipo? E quanto poteva esserne rimasto esaltato se continuava a stare al gioco? Forse aveva assunto delle droghe, e lui avrebbe sul serio dovuto farlo ricoverare, urgentemente magari.
«Mi dispiace, chiedo perdono» affermò divertito «Da questa parte, non dobbiamo camminare molto». Arthur annuì e si disse che non era bene far arrabbiare il suo salvatore di quel giorno, aveva ancora bisogno di riposo e ospitalità, altrimenti non avrebbe potuto far ritorno a Camelot e distruggere per sempre i druidi «E comunque, ti prego, dammi del tu, abbiamo la stessa età!» esclamò.
«D’accordo» concesse il biondo, facendo sorridere il suo soccorritore; poi, in religioso silenzio, lo seguì per la strada fiocamente illuminata, verso la sua dimora, giunsero davanti ad un edificio e Merlin aprì l’enorme portone con delle chiavi. Bene, così quello era il suo castello, li facevano proprio strani, i castelli, da quelle parti.
«Questo è il tuo castello?» chiese mentre entravano; Merlin trattenne una risata divertita alle sue parole.
«Castello? Oh no, questo è un condominio» rispose allegramente, conducendolo verso una strana scatola grigia. Premette un bottone e attesero, quella scatola davanti a loro sembrava una grande gabbia, ma Arthur non sapeva cosa fosse davvero.
«Condominio» mormorò pensieroso «Mai sentita questa parola» Merlin rise di nuovo e Arthur non badò a quell’ennesima mancanza di rispetto, quando la gabbia si aprì da sola, come per magia «Stai indietro, ti difenderò io!» esclamò, portando la mano sull’elsa della spada. Era il minimo che potesse fare per lui, dopo che lo aveva salvato da quel luogo strano.
«No, non c’è nessun mostro, Arthur» disse con dolcezza appoggiando una mano sul braccio, istintivamente il re si rilassò a quel tocco gentile «Questo è un ascensore, ci porterà a casa mia, abito al quarto piano, non voglio fare le scale a piedi» disse «Ricordi? Sono stanco» il biondo quindi annuì e, senza indugio, si lasciò condurre all’interno della gabbia metallica, Merlin premette un altro bottone, le porte si chiusero e la gabbia si mosse. Il re di Camelot si bloccò, stringendo tra le dita l’elsa della spada con una mano e con l’altra afferrò l’avambraccio del suo soccorritore, senza nemmeno accorgersene. Dov’erano? Cos’era quel posto? Cos’erano questi mostri che si muovevano da soli e inghiottivano le persone? Cercò di non farsi prendere dal panico, perché lui era un re, ma prima di tutto era un cavaliere di Camelot e i cavalieri di Camelot non si facevano terrorizzare dai mostri, neanche da quelli che non conoscevano. Maledizione, lui aveva sconfitto armate di guerrieri e di druidi, non poteva lasciarsi spaventare da quelle diavolerie che sembravano saltate fuori dagli inferi. Appena la gabbia si fermò, Arthur tirò un sospiro di sollievo, e fu il primo ad uscire, trovandosi davanti numerose porte.
«Queste sono le tue stanze?» chiese, indicando il corridoio pieno di porte.
Merlin scosse la testa «No, sono gli appartamenti degli altri condomini. Vieni, ti faccio strada verso il mio» Arthur, allora, in silenzio lo seguì, guardandosi le spalle. Non gli piaceva quel condominio, ma Merlin era stato gentile con lui, fin dal primo istante e non sembrava intenzionato a fargli del male, quindi poteva fidarsi. Con altre chiavi, il moro aprì una porta e lo fece entrare in una di quelle innumerevoli porte, come le aveva chiamate?
«Questo è il mio appartamento» disse, e con un altro bottone accese le luci della casa, dalla porta si accedeva ad un piccolo ingresso, dal quale si apriva un corridoio che portava alle altre stanze.
«Questa è stregoneria!» esclamò indicando il moro «Sei uno stregone! Lavori con Mordred?»
«Non so di cosa tu stia parlando» rispose l’altro con tono calmo «La magia non esiste, Arthur, questa si chiama corrente elettrica, siamo nel ventunesimo secolo» disse a quel punto. Il biondo inclinò la testa confuso. Cos’era il ventunesimo secolo? E cos’era la corrente elettrica? Un altro tipo di stregoneria? Non aveva mai sentito cose del genere a Camelot.
Merlin entrò in quella dimora, chiamata appartamento, posò per terra una borsa marrone e gli fece cenno di entrare in casa. Titubante, il re entrò e il moro chiuse la porta dietro di loro e lo guardò per capire cosa gli passasse per la mente. Si stava chiedendo se fosse o meno il caso di chiamare il 911 e farlo ricoverare. Sembrava messo male, eppure i suoi occhi, il suo sguardo spaesato, gli suggerivano che avesse bisogno di una mano da lui e non da altri. Perché doveva essere così buono di cuore con gli sconosciuti?
«Non capisco cosa significa» ammise Arthur, dopo diversi minuti di silenzio e di scrutamento del misterioso appartamento. Era davvero spaesato, tutte queste nuove informazioni lo stavano confondendo più della magia stessa – e lui era uno che davvero ne capiva poco, di magia.
«D’accordo, diciamo che sei molto stanco, hai fame?» chiese Merlin, l’altro annuì «Va bene, io preparo qualcosa per la cena. Tu vorresti toglierti… quella roba? Sembra pesare parecchio, posso darti qualcosa con cui cambiarti, se vuoi» disse indicando la sua cotta di maglia e il resto «Vieni, ti mostro il bagno e ti do qualcosa con cui cambiarti» disse, quando non ottenne una risposta. Arthur non voleva essere maleducato e non rispondere, era solo, sinceramente, scioccato da tutte quelle novità. Non sapeva dove si trovasse, e a quanto pareva nemmeno quando, era nella casa di uno sconosciuto che lo aveva soccorso e lontano da tutto ciò che conosceva. Non si sarebbe fatto prendere dal panico solo perché era un cavaliere e i cavalieri non potevano permettersi di farsi prendere dal panico in nessuna situazione. Quindi si lasciò trascinare da Merlin in una stanza dell’appartamento dove c’erano un letto e un armadio, e da quest’ultimo prese dei pantaloni e una strana tunica.
«Ecco, questi sono del mio ex, dovrebbero starti, sono di un paio di taglie più grandi dei miei» disse sorridendo, porgendogli degli indumenti che lui mai in vita sua aveva visto.
«Il tuo ex? Un… maschio?» chiese curioso, prendendo comunque gli indumenti.
«Sì, hai qualche problema con gli omosessuali?» chiese stranito il moro. Per omosessuale si intendevano uomini che stavano con altri uomini, lo sapeva, ma in quel tempo era concesso liberamente parlare di determinati argomenti? Beh, sapeva delle tresche dei cavalieri con i servitori, certo, e non ne faceva un affare di stato, ma a Camelot non andavano esattamente a sbandierarlo ai quattro venti, e anche lui aveva avuto una relazione con un uomo, quindi era a suo agio con la cosa, ma non si aspettava che Merlin ne parlasse con così tanta facilità. Forse le cose in quell’epoca erano diverse?
«No, no… insomma, so che i miei cavalieri hanno delle tresche con i loro servitori, anche se beh, non lo dicono a chiunque, ma io sono il re quindi so ogni cosa» disse, Merlin si accigliò alle sue parole, credeva davvero a tutta la storia di Re Arthur di Camelot, due erano i fatti: o aveva partecipato a qualche assurda festa medievale ed aveva bevuto troppo, o era un pazzo invasato fuggito da qualche clinica, e forse era il caso che lui chiamasse quel suo collega di psichiatria…
«O-Okay» balbettò Merlin, impacciato «Vado a preparare la cena, il bagno è alla fine del corridoio sulla destra».
Alle sue parole Arthur annuì, senza ovviamente ringraziare, non era suo costume ringraziare, in fondo, era il re, era ovvio che gli altri si comportassero in quel modo nei suoi confronti.
Merlin si affrettò a lasciare la stanza e ad andare nella cucina, che era un unico ambiente con il salone, non aveva molto: solo delle librerie (sia con libri sia con dvd), un divano e due poltrone (regali di sua madre) e un televisore con lettore dvd che aveva comprato con il suo primo stipendio, un tavolino davanti alla tv, e una penisola a dividere i due ambienti, con due sedie che lui usava come tavolo; giunto lì, iniziò a preparare gli ingredienti per preparare la cena e a stendere una tovaglia sulla penisola della cucina, ma non fece in tempo a prendere una padella e una ciotola per preparare una perfetta omelette, che un urlo terrificante proveniente dal bagno, ferì le sue orecchie. E adesso che succede? – si domandò, temendo che Arthur si fosse ferito con una spazzola (ne sarebbe stato capace, ne era certo) percorse velocemente il corridoio fino al bagno, aprì la porta di scatto e si ritrovò davanti Arthur mezzo nudo, e… oh santo cielo, da quale sogno era venuto fuori? Era un vero essere umano? Come poteva essere così attraente? Arrossì di botto, senza nemmeno accorgersene: «Santi numi, Arthur! Che diavolo succede? Perché urli?» domandò voltandosi dando le spalle al biondo. Non guardare – si disse – non guardare.
«Come faccio a lavarmi senza una tinozza, Merlin? E senza acqua calda?» chiese con un tono che indispettì il moro. Chi credeva di essere, davvero il re? «E poi mi sono dovuto spogliare da solo, ti rendi conto? Perché non mi hai aiutato?»
«Perché, non so come funziona dalle tue parti, qui non si spogliano gli sconosciuti» borbottò – a meno che tu non voglia portarteli a letto, ecco – aggiunse mentalmente, entrando con grandi falcate nel bagno, cercando di non guardare i muscoli tonici del petto del pazzo che stava ospitando e aprì l’anta del box doccia.
«Ecco qui» disse semplicemente, poi aprì il getto della doccia e regolò la temperatura su calda «La vostra doccia è pronta, maestà» esclamò con tono di scherno. Arthur lo guardò perplesso, spostò lo sguardo da lui alla scatola magica diverse volte, prima di capire cosa fosse. Ah. Lo sapevo che era alleato di Mordred! pensò, credeva davvero che non lo avrebbe scoperto?
«Questa è stregoneria. Confessa! Lavori con Mordred!» esclamò, cercò la spada con lo sguardo, ma si rese conto che fosse troppo lontana e probabilmente il nemico lo avrebbe ucciso prima.
«Non so chi sia Mordred, santo cielo, l’ultima volta che ho studiato il ciclo arturiano ero un ragazzino delle scuole superiori!» esclamò alzando gli occhi al cielo «Questa si chiama doccia. Ed è acqua corrente. Forza, entra».
«Ma se non è stregoneria, come può la pioggia arrivare in questa scatola?» domandò mettendo un piede nel box «Ed è anche calda» disse, poi sembrò rifletterci sopra e «Mi piace questa stregoneria» affermò, ma prima che Merlin potesse ribattere, dicendogli di nuovo, che quella non era stregoneria, il biondo era già entrato nella doccia e stava mormorando qualcosa su quanto gli piacesse la pioggia calda, e che la pioggia avrebbe dovuto essere sempre così. Merlin rise leggermente scuotendo la testa, gli mise un asciugamano pulito sul mobiletto accanto al box doccia e tornò in cucina per preparare la cena. Doveva togliersi dalla mente il petto nudo di Arthur, davvero, non andava bene che quel tizio che aveva soccorso, sembrasse uscito direttamente da uno dei suoi sogni erotici: gli occhi azzurri e profondi, quei capelli biondi così simili a spighe di grano, che sembravano soffici al tatto, e il fisico che sembrava temprato da anni di allenamento o di palestra, santo cielo, doveva smetterla di pensare a quello che aveva visto. E no, non aveva intravisto anche le sue gambe toniche e le sue braccia muscolose, no. Doveva smettere di pensare a lui, e a quello che aveva visto in quel bagno, doveva solo essere bravo a superare quella notte e a non pensare a lui, poteva farcela, no? Aveva appena finito di montare le uova, quando la voce di Arthur raggiunse le sue orecchie. Ecco, anche la sua voce aveva un che di erotico. Oh smettila, Merlin, smettila. Pensa a cose orribili. Come gli scarafaggi o al fatto che dovresti deciderti a sgrassare la cappa della cucina, o alle braccia muscolose di Arthur… maledizione.
«Quella scatola magica con la pioggia calda è meravigliosa, Merlin» disse entrando nella cucina.
«Si chiama acqua corrente e…» iniziò a dire voltandosi, ma la voce gli morì in gola, e deglutì quando si ritrovò davanti, nemmeno troppo lontano da lui, Arthur con solo un asciugamano attorno ai fianchi, i capelli umidi, alcune gocce che scivolavano lente e attraenti lungo quel collo che ispirava morsi e succhiotti – oh no, ti prego, ti prego, no. Non farmi essere attratto da lui, ho già sofferto abbastanza per stronzi affascinanti come lui – pregò mentalmente, mentre la voce proprio non voleva saperne di uscire; tossì un paio di volte per eliminare l’imbarazzo «Cosa ti serve?»
«Quegli indumenti non vanno bene, ho bisogno dei miei calzoni e delle mie tuniche di lino» disse il biondo con quel tono da principino viziato.
«Sì certo, aspetta che cerco nella mia tenuta estiva, forse ho delle tuniche di lino» rispose sarcasticamente il moro, portandosi le mani ai fianchi, guardando l’altro allibito. Poi si voltò verso la cucina e versò l’omelette nella padella calda, per cuocerla.
«Cosa aspetti?» domandò Arthur dopo un po’. Era ancora lì? Davvero?
«Cosa ci fai ancora lì, mezzo nudo? Vai a vestirti» Arthur stava per ribattere «Ero sarcastico, nel Medioevo non avete il sarcasmo?» domandò ironico l’altro «Forza, che se resti così ti viene un malanno e asciugati i capelli! Il phon è nel bagno vicino allo specchio, devi solo accenderlo, è già collegato alla corrente» disse tutto insieme stordendo per un attimo il re di Camelot, che lo guardò allibito e scioccato. Chi parlava in quel modo ad un re? Solo uno stolto che di etichetta non sapeva nulla, tuttavia il suo aiuto gli serviva, come minimo per trovare un modo per tornare a casa, così senza dire altro, borbottando solo lamentele, tornò nel bagno e indossò quegli indumenti bizzarri. Per lui erano scomodi e quella specie di tunica pizzicava leggermente, ma erano caldi, a Camelot non c’erano cose così calde, a meno che non fossero pellicce di animali, come orsi o lupi. Poi guardò l’oggetto strano che Merlin aveva detto chiamarsi phon. Cos’era quell’arma? Serviva per difendersi? Lo prese tra le mani, era nero, l’impugnatura aveva degli strani bottoni, uno rosso e uno blu, e l’altro lato era allungato come il manico, ma aveva dei fori. Premette il tasto rosso e non successe nulla, poi quello blu. E fu in quel momento che il mostro prese vita e iniziò a sputare fuoco, anzi vento caldo e Arthur urlò lanciandolo per aria, l’oggetto si infranse al suolo e smise di fare rumore – ah! Il mostro è abbattuto, un’altra vittoria per il re! – dopo un po’ sentì i passi di Merlin giungere fino a lui. Come minimo avrebbe dovuto ringraziarlo per averlo liberato da quel mostro spaventoso.
«Quel mostro ha cercato di aggredirmi per conquistare la casa!» esclamò «Ma l’ho sconfitto, adesso sei al sicuro» disse passando accanto a lui con aria di superiorità «Non c’è bisogno che mi ringrazi» aggiunse alla fine, poi prese un asciugamano bianco e si asciugò i capelli con quello, superando il moro e raggiungendo la cucina da dove proveniva un delizioso odore di cibo.
Merlin osservò il suo phon per terra, lo prese tra le mani e controllò se funzionasse, e niente, era morto. Arthur lo aveva rotto gettandolo per terra in quel modo; si guardò intorno, il bagno era davvero un disastro, i pezzi dell’armatura di quel tipo erano ovunque e gli asciugamani che gli aveva prestato altrettanto, uscì dal bagno e notò che sul pavimento, c’era l’ultimo che aveva utilizzato e gettato sul pavimento senza grazia; Merlin si infuriò e, irritato, percorse velocemente il suo piccolo appartamento raggiungendo il biondo in cucina.
«Senti! Non so chi tu sia, o da dove tu venga, ma non puoi venire qui e distruggere casa mia!» esclamò arrabbiato «E adesso, sei pregato di mettere in ordine la tua armatura, perché io non ho intenzione di toccare quella roba!»
«Merlin, io sono il re» disse, regalmente accomodato su una delle sue sedie di legno «Non metto le mie cose al loro posto, lo fanno i miei servitori» disse con una serietà che fece infuriare il dolce e pacato Merlin.
«Adesso tu vai nel bagno, re dei miei stivali, e raccogli ogni pezzo di quella ferraglia e li riponi qui» disse, porgendogli uno strano sacco di un materiale a lui sconosciuto «E poi te la riporti da dove sei venuto!»
«Ci tornerei volentieri se potessi» disse il re, afferrando il sacco dalle sue mani «E sappi che quando tornerò a Camelot, sarai bandito dal mio regno! Se ci metterai piede, ti farò giustiziare come stregone!» esclamò dirigendosi di nuovo verso il bagno, solo per orgoglio personale – e perché sapeva che non sarebbe sopravvissuto in quel tempo da solo, con tutte le diavolerie magiche di quel tempo.
«Oh, per tutti i santi numi, io non sono uno stregone! Siamo nel ventunesimo secolo, è progresso, stupido asino pazzo e ubriaco!» esclamò ad alta voce alla schiena del biondo, che non gli prestava più ascolto.
La discussione stava prendendo una strana piega, Arthur non sembrava ubriaco – sì, al pronto soccorso ne aveva visti tanti – e nemmeno pazzo. Sembrava serio nelle cose che diceva, ma non poteva essere vero. A parte il fatto che re Arthur di Camelot era solo una leggenda… ma poi come avrebbe potuto trovarsi nel ventunesimo secolo? Era assurdo. Prese un respiro profondo e si rese conto di non essere stato esattamente accogliente con un tizio che forse aveva sul serio bisogno d’aiuto, e tornò sui suoi passi, spense la fiamma sotto l’omelette – non voleva rischiare di bruciare anche la cena – e raggiunse il bagno; vide Arthur lottare letteralmente con il sacco nero di plastica che gli aveva dato. Un piccolo sorriso comparve sulle sue labbra, sembrava davvero spaesato, era questo che l’aveva spinto ad avvicinarsi a lui quella sera.
«Dai a me, ti do una mano» disse abbassandosi accanto a lui, togliendogli la busta dalle mani «Mi dispiace, sono stato scortese, è che mi sembra assurda la tua storia».
«Non dirlo a me. Sono bloccato in un posto strano, che gli dèi mi aiutino, in un tempo diverso, con cose che sembrano stregoneria» disse affranto, alzando i pezzi della sua armatura «Sono abituato ai servitori a Camelot».
«Sì, d’accordo…» mormorò, mettendo tutti i pezzi dentro il sacco, rivolgendo un sorriso al biondo «Per diana, come pesano. Come fai a portarli addosso?» chiese allibito.
«Duro allentamento di anni e anni» disse, raccogliendo Excalibur da terra «Questa la terrò vicino al mio giaciglio» disse «Hai della paglia? Qualcosa su cui dormire?»
«Perché dovresti dormire sulla paglia? Ho una stanza per gli ospiti con un letto comodo e un cuscino, anche due se vuoi» scherzò Merlin, Arthur sorrise per la prima volta da quando era lì, era strano questo Merlin, gli ricordava un po’ uno stregone che aveva conosciuto a Camelot, solo che il suo nome era Dragoon ed era anziano, però gli occhi erano molto simili «Vieni dai, porta la tua spada, se ti fa sentire al sicuro, ma non tentare di uccidermi» scherzò cercando di smorzare la tensione.
«Non potrei mai. Sei l’unico che sta cercando di aiutarmi» ammise con un sospiro prolungato.
Merlin gli rivolse un sorriso dolce: «Vieni, la cena è quasi pronta» disse, poi lo condusse in cucina di nuovo, Arthur strinse la sua spada tra le mani, mentre raggiungeva la cucina con Merlin e quest’ultimo gli servì un piatto con una strana pietanza dentro. Il biondo appoggiò Excalibur al muro accanto a sé e poi squadrò il piatto, dopo essersi seduto, lo rigirò tra le sue mani un paio di volte, prima di alzare lo sguardo su Merlin.
«Quale pietanza è questa?» chiese.
«Si chiama omelette» disse «Sono uova, formaggio, latte, prosciutto…» spiegò lentamente la ricetta al biondo che annuì «Sono certo che ti piacerà, prova» lo invitò il moro «Giuro che non è avvelenata».
«Non l’ho mai messo in dubbio» disse affondando la forchetta in quella prelibatezza, gustandone subito dopo un pezzo. Oh dèi, era buonissima. Aveva assaggiato molte prelibatezze a Camelot, ma questa cosa che Merlin aveva preparato, era divina. Fantastica. Perfetta. Merlin sarebbe stato il perfetto cuoco di corte, sì. Se mai fosse tornato a Camelot, lo avrebbe portato con sé, ne era certo. Non lo avrebbe lasciato da solo in quel luogo infestato da mostri metallici e gabbie che si muovevano. Dopotutto, il moro era stato gentile ad ospitarlo ed era compito suo, da re grato e in debito, soccorrerlo.
«Deliziosa, è davvero deliziosa, Merlin» si congratulò con lui sorridendo, continuando a mangiare «Considera la minaccia di bandirti dal regno ritirata, saresti un cuoco di corte fantastico» affermò con serietà.
«Ti ringrazio» rispose il ragazzo, guardandolo divertito. Dopo un po’, anche Merlin iniziò a mangiare la sua parte di omelette in silenzio. Si interrogava sul giovane che aveva di fronte e non riusciva a capire dove iniziasse la sua serietà e dove finisse il gioco che aveva messo su. Non poteva essere reale.
«Cosa ti è successo?» chiese il moro.
«Ero con i cavalieri nella foresta, mi avevano detto che i druidi ci stavano aspettando lì» disse lui con serietà «Poi è arrivato Mordred, il capo dei druidi» raccontò «E mi ha maledetto con un incantesimo, poi mi sono risvegliato in una grotta» continuò il suo racconto «C’era una botola, l’ho aperta e mi ha portato qui».
«Una grotta?»
«Esattamente! C’era un cattivo odore, davvero nauseabondo, e poi quando ho trovato la botola, mi sono ritrovato davanti a un mostro di metallo che emetteva flatulenze disgustose».
«Eri in un tombino. E ti sei ritrovato in strada, nel bel mezzo del traffico londinese» disse Merlin annuendo, cercando di capire cosa stesse accadendo, non sapeva ancora se credere a quell’assurda storia, o continuare a credere che fosse irrimediabilmente fatto e l’effetto delle droghe non fosse ancora passato.
«Londinese? Ha a che fare con Londra, vero?» chiese «Questo è il nome di questo regno? Londra? Ho sentito alcuni villici nel mio peregrinare, parlare di questa Londra».
Merlin rise, una risata cristallina e non denigratoria «Amico, ti trovi nella città di Londra, che si trova in Inghilterra» spiegò guardandolo «Nel Regno Unito».
«Capisco…» mormorò il biondo, annuendo tra sé e sé «Unito da chi?»
Il moro rise ancora e scosse la testa divertito, borbottando qualcosa sul fargli leggere qualche libro di storia, perché non aveva mai incontrato un asino come lui. Nel frattempo, iniziò a sparecchiare e a riporre i piatti sporchi nella lavastoviglie.
«Non puoi chiamarmi asino» si lamentò Arthur «Non puoi rivolgerti a me in questo modo».
«Scusa» si scusò senza riuscire a smettere di ridere «Preferisci che ti chiami asino regale, mio signore?»
«Insolente!» esclamò, lanciandogli contro un cucchiaio come se fosse un’arma, mancandolo per un pelo e continuando a guardarlo indignato, come si permetteva di parlargli in quel modo? «Se fossimo a Camelot ti avrei fatto già rinchiudere nelle segrete!» esclamò irritato, incrociando le braccia al petto «O alla gogna. Ti vedrei bene a prendere frutta marcia in faccia».
Merlin continuò a ridere, mentre riponeva i piatti sporchi in uno strano oggetto con lo sportello abbassato. Che buffo, Merlin aveva tanti oggetti buffi in quella casa.
«Quello cos’è?» chiese curioso, guardando quell’oggetto come se fosse stato un nuovo demone.
«Oh, la lavastoviglie è l’invenzione migliore del mondo» disse Merlin «Metti tutti i piatti sporchi qui, e lei li lava al posto tuo» disse, ridacchiando. Mise dentro ogni cosa, posate, piatti, pentole, poi chiuse e premette un tasto, poi l’oggetto bizzarro fece un gran rumore e si sentì uno scroscio d’acqua.
«Quindi lei lava le stoviglie al posto tuo» disse, l’altro annuì «In poche parole è la tua servitrice».
«Certo, come la lavatrice che lava gli abiti e l’asciugatrice che li asciuga» rise Merlin.
«Hai servitori efficienti, Merlin, sembri quasi un nobile, nonostante tu non abbia un titolo» disse con convinzione «Sono sorpreso!» esclamò felice «Anche se i tuoi servitori non sono persone» commentò, e davvero il moro non sapeva se ridere o piangere davanti alle sue parole, sembrava davvero credere a tutta la faccenda.
«Ho un buon posto di lavoro e ho risparmiato abbastanza» disse in risposta, con una scrollata di spalle. Arthur lo guardò sorpreso e confuso allo stesso tempo «Te lo spiegherò domani, adesso penso sia il caso di andare a letto». Il re annuì, rendendosi conto di essere davvero molto stanco, il tanto peregrinare per il nuovo mondo, lo aveva davvero sfinito, per non parlare di tutte le novità moderne – come diceva Merlin – che aveva scoperto. Assurdo, semplicemente assurdo.
«Sono d’accordo, dopo una bella dormita, sapremo come fare per sistemare la faccenda». Merlin annuì e lo condusse nella stanza degli ospiti, dove prima aveva riposto l’armatura di Arthur. Lo fece entrare e gli spiegò che quello era il letto dove avrebbe dormito e che poteva considerare quella stanza come la sua, finché ne avesse avuto bisogno.
«Merlin?»
«Sì?»
«Sei stato gentile con me oggi, non lo dimenticherò» disse, a mo’ di ringraziamento. Ringraziare non rientrava nelle sue abitudini, ma quello poteva dirlo, perché gli era grato, era stato l’unico che aveva chiesto se avesse bisogno d’aiuto ed era stato disposto a farlo, pur non conoscendolo, e quanto pareva, ad ignorare il fatto che fosse un re.
Il moro sorrise e «Nessun problema, è stato un piacere» gli disse e «Buonanotte» aggiunse, prima di chiudersi la porta alle spalle e andare in camera sua, per gettarsi sul letto e godersi il suo meritato riposo.




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Hola fandom di Merlin!
Sebbene io non sia nuova su EFP, è la prima volta che appaio in questo fandom con una Merthur. Io non pensavo alle due patate medievali da secoli, davvero, anche se sono sempre stati nel mio cuoricino da shipper, essendo tra le primissime coppie slash che abbia mai shippato (quando avevo solo 15 anni, andavo al liceo e scrivevo in modo osceno, che non sto qui a raccontare), ma poi è successo, ho avuto una ricaduta. Dopo essere ricaduta nel tunnel, causa Colin (con The Happy Prince) e Bradley (con i Medici) che mi colpiscono negli affetti, essendo io una studentessa di lettere e filosofia, amante di letteratura, storia e tutto il resto; non ho resistito, ho avuto un attacco di nostalgia e ho riguardato alcuni episodi di Merlin (me tapina) e niente da "guardo solo qualche episodio" a "oh mio dio ho scritto una Merthur" il passo è brevissimo. Quindi eccomi qui, con una (delle quattro/cinque) Merthur che ho scritto nell'ultimo periodo. Questa rispetto alle altre è già finita, solo 6 capitoli + un piccolo epilogo. 
In questa storia Arthur è il re di Camelot, ma Mordred (non è un cavaliere, ed è il capo di druidi) invece di ucciderlo lo manda nel mondo moderno (personalmente mi sono divertita da morire a scrivere Arthur alle prese con "i mostri" moderni) ovviamente fate finta che ci sia un enorme Tardis sulle loro teste (che non potevo mica far parlare ad Arthur l'inglese antico, sarebbe stato un casino ahah) e ovviamente Merlin ha già un debole per lui (e dai, chi non lo avrebbe, pft). 
E nulla, spero che questo capitolo sia piaciuto a chiunque lo abbia letto!
Mi sono presa una pausa dallo studio per postare questo primo capitolo, ne avevo bisogno, stavo un attimo impazzendo e mi sono detta, “perché non pubblicare la Merthur ed evitare che prenda altra polvere sul pc?” La storia è finita quindi gli aggiornamenti saranno abbastanza costanti, settimanali presumo (università permettendo, ho tre esami questo mese, povera me). Un'ultima cosa, di solito i capitoli tendono a sfuggirmi di mano; la storia era nata come one shot, lo giuro, ma poi all'improvviso è lievitata in modo esponenziale (da che era "dai facciamo che Arthur arriva nel mondo moderno e fa qualche figura di merda e Merlin lo salva, è diventata una roba lunga e piena di roba mitologica, ma i primi due capitoli dovrebbero essere "divertenti", poi inizia la parte seria lol). Quindi la lunghezza di ogni capitolo potrebbe variare, ma non dimuinire. Sorry. 
So, people, alla prossima! Spero di avervi detto tutto.

PS sebbene abbia riletto infinite volte il capitolo, qualche errore di battitura potrebbe essermi sfuggito. Chiedo perdono nel caso ce ne fossero!
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2: Can I help you, sire? ***


Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!

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Il sole stava appena iniziando a sorgere, quando un rumore assordante si estese per la dimora indemoniata, chiamata appartamento. Arthur fu subito in piedi, temendo un attacco da qualche mostro o da qualche nemico e impugnò la spada, correndo fuori dalla stanza da notte che Merlin gli aveva concesso, indossando solamente i calzoni della tuta che sempre Merlin gli aveva prestato il giorno prima. Non aveva riposato bene, i rumori erano eccessivi e quelle luci che entravano dalle finestre insopportabili, come facevano le persone di quel tempo, a dormire con quel baccano? La notte a Camelot era piacevole – sempre che non ci fossero criminali in fuga o agguati notturni e quindi che le maledette campane iniziassero a suonare all’impazzata per dare l’allarme – non si udiva alcun rumore molesto e non c’era nessuna luce che filtrava dalle finestre, ferendogli gli occhi, perché il suo fidato servitore gli tirava per bene le tende, sapendo quanto i suoi occhi fossero sensibili durante il sonno. La sua prima notte in quel mondo nuovo e bizzarro era stata popolata da inquietudine e pessime sensazioni, si era rigirato più volte in quel letto così diverso dal suo, nel poco tempo che era riuscito a dormire, aveva avuto degli incubi sul suo popolo conquistato e distrutto dai druidi senza che lui potesse proteggerlo e poi, quando finalmente aveva trovato un po’ di pace, era arrivato quel rumore infernale a disturbare il suo riposo tormentato. Quell’epoca era un vero e proprio incubo e lui desiderava solo tornare nel suo castello.
Fuori dalla stanza, si guardò attorno con fare guardingo, udì il rumore infermale provenire dalla stanza di Merlin, il suo soccorritore del giorno precedente, e si precipitò verso di essa, la raggiunse in fretta, temendo che l’altro fosse in pericolo. Si aspettava di trovarlo in preda al panico, che cercava di scacciare via la belva o l’invasore, e invece lo trovò placidamente sdraiato sotto le coperte, con la mano appoggiata su uno strumento strano, che smise di produrre quel rumore infernale non appena fu toccato.
«Cosa diavolo era quel rumore infernale?» domandò Arthur, la spada ancora in pugno, in tensione.
«Arthur!» esclamò il moro, sbucando da una massa enorme di coperte, con un sobbalzo «Perché sei già sveglio?» domandò, poi notò che il re non indossasse alcuna maglietta e spalancò gli occhi, allibito «E, in nome della mia sanità mentale, perché sei mezzo nudo? In inverno, per giunta!» esclamò, certo, non che si lamentasse di avere certe visioni di prima mattina, ma… insomma, quel re da strapazzo si stava impegnando per farlo impazzire.
«Ho sentito quel rumore, temevo fossi in pericolo!» rispose con ovvietà, rilassando il braccio con cui teneva Excalibur, rendendosi conto che di pericoloso non c’era nulla, e forse quella era un’altra diavoleria di quell’assurdo mondo in cui era finito. Merlin si mise seduto sul letto, inclinando la testa «E comunque io dormo sempre così».
«Certo, ovviamente» borbottò il moro, rivolgendogli uno sguardo perplesso «Aspetta, hai detto che temevi fossi in pericolo?» chiese poi con un sorriso dolce sulle labbra, gli occhi ancora arrossati dal sonno; Arthur annuì «Era solo la mia sveglia, Arthur» gli disse, per rassicurarlo. Certo, se stava dicendo la verità – e lui ancora non sapeva cosa credere di tutta quell’assurdità – doveva essere stato davvero strano svegliarsi in un luogo a lui sconosciuto.
«Una sveglia, interessante. Cos’è? Una specie di gallo che annuncia l’inizio del mattino?» chiese il re, appoggiando la schiena allo stipite della porta, e guardando il ragazzo davanti a sé con aria curiosa. Se desiderava trovare un modo per tornare a casa, doveva innanzitutto iniziare a conoscere meglio quel bizzarro e alquanto strano mondo.
«Sì… diciamo di sì. Come va stamattina?» chiese Merlin, cercando di guardare qualsiasi cosa presente in quella stanza, tranne il suo petto muscoloso.
«Come ieri, perfettamente» rispose con semplicità «Devo tornare a Camelot e sconfiggere i druidi e tu» puntò il suo dito indice verso di lui «Mi aiuterai nella mia missione» affermò con sicurezza «Ma prima, portami la colazione nella mia stanza» ordinò, lasciando la stanza di Merlin, portandosi dietro la spada, per ritornare in quella che gli era stata assegnata. Mentre la raggiungeva, sbadigliò sonoramente. Era stanco, molto di più rispetto a com'era stato durante le sue numerose missioni, ma doveva iniziare una nuova giornata e trovare il modo di tornare a casa per sconfiggere definitivamente Mordred. Quel vigliacco che, invece di affrontarlo a viso aperto, gli aveva scagliato contro quella maledizione e lo aveva mandato lì, in quel mondo così strano.
«Alza il tuo regale culo dal letto e vieni a fare colazione in cucina» urlò Merlin, dopo essersi alzato, passando davanti alla stanza degli ospiti «Non sono il tuo servitore e non ho intenzione di esserlo in questa vita, maestà!» aggiunse divertito.
«Insolente!» esclamò Arthur uscendo dalla stanza «Non tollero questo atteggiamento da parte tua!»
«D’accordo, allora torna pure in strada e fatti prendere per pazzo da chiunque» lo sfidò guardandolo negli occhi «Sono certo che appena ti sentiranno parlare, ti faranno rinchiudere in una clinica di riabilitazione».
«E cosa diavolo sarebbe?» chiese indispettito «Un’altra delle tue stranezze magiche di questo tempo assurdo?» domandò allibito, non capiva molto il parlare di questo giovane, alcune cose che diceva gli sembravano davvero impossibili da capire e comprendere. Voleva tornare a Camelot, il più in fretta possibile, ma capiva di aver bisogno di Merlin per farlo, lui poteva indirizzarlo sulla strada giusta; possibile che in quel tempo ci fossero tante cose, ma non ci fossero stregoni? Ecco, in quel momento, gli avrebbe fatto davvero comodo avere uno stregone al suo fianco.
«Lascia perdere» mormorò il moro scuotendo la testa «Ti va di fare colazione?» gli chiese con gentilezza.
«La colazione, certo! Esiste anche da queste parti? E cosa mangiate di solito?»
«Niente di complicato, vostra altezza, andranno bene dei biscotti confezionati e un tè inglese?» domandò ironicamente.
«Non ho idea di cosa siano le cose che hai detto» rispose il biondo, facendo sorridere di nuovo il moro. Era tenero, in un certo senso, e Merlin non riusciva a resistere davanti a quello sguardo dolce e profondo. Santo cielo, doveva smetterla.
«Andiamo in cucina» gli disse facendogli strada, l’altro non ebbe nulla da ribattere e si limitò a seguirlo fino alla cucina, dove si sedette su una di quelle scomode sedie di legno e attese che Merlin prendesse la colazione. Adesso quale diavoleria avrebbe tirato fuori? Poi lo vide aprire l’anta della credenza e prendere qualcosa che non riuscì a vedere bene, poi appoggiò sul tavolo, direttamente davanti al suo naso, un sacchetto con degli strani disegni sopra «Ecco, questa è quella che noi chiamiamo confezione di biscotti».
«Desolato, non so cosa sia» proferì l’altro con aria spaesata osservando quell’oggetto. Almeno non sembrava stregato come tutte le altre diavolerie della casa. Merlin ridacchiò, infilò la mano nella confezione e ne tirò fuori alcuni dischetti decorati con puntini neri.
«Questi sono i cookies americani, sono deliziosi» disse il moro con aria seria «Assaggia, non te ne pentirai» aggiunse divertito, iniziando a mangiare per primo uno di quei biscotti, forse per dimostrargli che non fosse avvelenato o qualcosa del genere. Titubante, Arthur ne prese uno e lo portò alla bocca, diede un morso, e non poté che concordare con lui, quel biscotto era davvero buonissimo, era dolce, croccante e quei pezzetti scuri che ignorava cosa fossero, erano semplicemente la cosa più buona che avesse mai mangiato. A Camelot non c’erano cose del genere, tutti i dolci che preparavano non avevano niente a che fare con questo qui. Merlin gli spiegò che quelli erano biscotti al cioccolato, tipici dell’America (si astenne dal chiedere cosa fosse, perché aveva già troppe informazioni da elaborare) e Arthur li adorò, anche se non aveva idea di cosa fosse il cioccolato o l’America o tutto il resto. Dopo averne mangiato uno, ne prese subito altri due, sotto lo sguardo divertito di Merlin, che sorrise, notando che al biondo piacessero i biscotti e mise su il bollitore per preparare il tè; si perse qualche istante ad osservarlo mentre scopriva per la prima volta un biscotto al cioccolato; Arthur era davvero spaesato, realmente non conosceva la maggior parte degli oggetti che vedeva e non capiva la maggior parte delle frasi che lui gli rivolgeva. E in quel momento, Merlin cominciò a credere che la sua storia fosse vera. Cioè, se quello era davvero il re di Camelot, ciò voleva dire che quello che se ne stava in casa sua, a mangiare biscotti insieme a lui, era una leggenda. Ma come era possibile? Sembrava essere finito in un episodio di Doctor Who. Come era possibile che il vero re di Camelot fosse nella sua cucina a mangiare biscotti e a chiedere altri deliziosi cerchi con i pezzetti scuri. Doveva esserci una spiegazione a tutta quella storia, e pensò che prima o poi ne sarebbe venuto a capo.
«Penso che andrò ad usare di nuovo quella tua tazza magica, Merlin» disse come se fosse stato un importante proclama, alzandosi, Merlin rise, comprendendo che si riferisse al WC. Proprio la sera precedente, Arthur l’aveva definito in quel modo, quando gli era stato mostrato come tirare lo sciacquone, dopo essersi liberati dei propri bisogni fisiologici.
«D’accordo, io preparo il tè» sospirò Merlin. Era il suo giorno libero e si ritrovava a passarlo con un pazzo che sembrava uscito da un libro medievale e la cosa peggiore era che lui iniziava a credere alla sua storia assurda. La magia! La magia lo aveva portato nell’epoca moderna, assurdo. Ma se è così assurdo, allora perché gli credo? – si chiese, senza riuscire a trovare una risposta alla sua domanda.
Dopo un po’, lo sentì uscire dal bagno complimentandosi con se stesso e con lui. Adesso cosa aveva scoperto?
«Questa tunica è davvero fantastica, Merlin, ma toglimi una curiosità, perché sembra un abito da donna? E perché non me l’hai mostrata prima?» chiese entrando in cucina indossando l’accappatoio del padrone di casa. Il ragazzo in questione si schiaffò una mano sulla fronte e lo guardò, cercando di non scoppiargli a ridere in faccia.
«Quello è il mio accappatoio, Arthur, serve per asciugarsi dopo la doccia». Maledizione, perché ora girava di nuovo mezzo nudo in casa sua? Non bastava il fatto che si fosse presentato in camera sua a torso nudo? E perché sembrava interessato ad indossare accappatoi che gli lasciavano le gambe scoperte? Quale errore aveva fatto nelle sue vite precedenti per avere una punizione del genere? Beh, parlare di punizione è esagerato, guarda che gambe… oh, no, no. Un po’ di contegno, Merlin! – si rimproverò mentalmente l’infermiere, sospirando.
«Fantastico, ne voglio uno anche io» disse soddisfatto, lisciandoselo addosso come se fosse stato un vestito «Anzi, questo ora è di mia proprietà, tu ne procurerai un altro per te, ne sono sicuro» disse sedendosi di nuovo in cucina, accavallando le gambe (Oh dèi, vi prego, anche questo no! – pensò sconsolato) aveva intenzione di indossarlo tutto il giorno? Non aveva nemmeno un po’ di pudore?
«È così soffice. Mi piace» commentò dopo un po’, mentre mangiava un altro biscotto.
«Non puoi indossare l’accappatoio tutto il giorno, avrai freddo» disse il moro guardandolo contrariato «Siamo in inverno».
«Hai già detto prima che siamo in inverno» rispose Arthur con ovvietà «Eppure io non ho freddo in questa tua dimora, e non possiedi un camino» osservò con giusta ragione il re, guardandosi intorno alla ricerca di un camino.
«I camini sono sopravvalutati, io uso i riscaldamenti» disse, indicando dei grossi quadrati bianchi attaccati al muro.
«Curioso» disse il re, avvicinandosi ad uno di questi, appoggiando ingenuamente una mano sopra «Ah! Ma brucia!» esclamò ritirando immediatamente la mano, dannazione.
«Idiota, te l’ho detto che riscaldano l’ambiente» sbuffò «Testa di fagiolo» borbottò scuotendo la testa, poi si allontanò un secondo e tornò con una scatola di metallo e gli fece segno di avvicinarsi a lui. Arthur si avvicinò e Merlin gli afferrò la mano ferita con una strana delicatezza.
«Ecco, adesso ti passa subito» disse, spruzzando una cosa fredda e umida sulla sua mano, il re lo guardò perplesso ma tacque sull’argomento, forse era un medicamento di quel tempo e non voleva proprio sapere cosa fosse, forse era una specie di unguento o qualcosa di simile; il dolore iniziò a svanire «Comunque ripeto, non puoi girare in accappatoio per la casa» ribadì, mentre sistemava di nuovo i suoi strambi medicamenti nella sua scatola di metallo.
«Oh, d’accordo» disse un po’ dispiaciuto di doversi separare da quel morbido copri-corpo «Va bene, ma posso tenerlo ancora un po’?» chiese mostrandogli due occhi languidi e un’espressione così tenera che a Merlin vennero le ginocchia molli per quello. Oh santi numi, perché doveva essere anche così adorabile, oltre che enormemente affascinante?
«Okay, va bene» rispose il moro, Arthur sorrise allegramente e tornò a sedersi, mentre Merlin si avvicinava di nuovo ai fornelli, lo vide smanettare un po’ e prendere due tazze; quando tornò al tavolo gli porse una tazza con una strana bevanda fumante e si sedette di fronte a lui con una tazza simile con la stessa bevanda dentro. Gli spiegò che si trattava del tè (sì, una specie di infuso alle erbe), una bevanda tipica dell’Inghilterra, che tutti gli inglesi erano soliti prendere la mattina per colazione e il pomeriggio alle cinque. Per volere di sua maestà – aveva commentato ironicamente Merlin. Arthur si emozionò quando sentì dire dall'altro maestà, voleva dire che in quella landa c’era anche un re o una regina, e prima o poi si sarebbe fatto accompagnare al castello per avere udienza con il sovrano del luogo.
Una buona notizia, in quei giorni infausti per lui, era arrivata finalmente.
Mentre era perso nei suoi pensieri pittoreschi, Merlin sfrecciò nel bagno ed uscì, dopo pochi minuti, vestito con degli abiti tipici di quel posto, e perfettamente pettinato e in ordine. Arthur si soffermò giusto qualche istante a guardarlo, ma distolse lo sguardo in fretta. Non aveva per niente sentito uno strano fremito dentro di sé, non gli accadeva da anni e non sarebbe accaduto in quel frangente, non poteva accadere in quel frangente.
«Allora io andrò a fare la spesa, perché ho il frigo mezzo vuoto, tu resta qui e non distruggere niente».
«Cosa significa fare la spesa?» chiese l’altro, inclinando la testa.
«Uhm, ho il frigo vuoto, e ho bisogno di riempirlo, quindi vado a comprare alcune cose» rispose divertito. Sapeva che reggergli il gioco era un potenziale errore, e che dovesse finirla subito, non era nemmeno professionale da parte sua, ma Arthur era così divertente. E poi non sapeva perché, ma stava iniziando a credere a quella storia.
«Quindi vai a fare provviste?» chiese, a quella domanda Merlin annuì «Oh. Bene una battuta di caccia è ciò che ci vuole per me» disse entusiasta, schizzando in piedi «Vado a prepararmi anche io!» esclamò, sparendo nel corridoio e poi nella sua stanza.
Oh no, pensò Merlin, una brutta sensazione si fece largo in lui e lo seguì nella stanza degli ospiti, dove lo trovò nudo, che cercava di indossare l’armatura.
«Fermo, fermo! Che hai intenzione di fare?» chiese allibito.
«Vengo con te a caccia, mi sto preparando, il re non si tira mai indietro davanti ad una battuta di caccia!» esclamò con ovvia indignazione «E da solo. Perché tu non vuoi aiutarmi» aggiunse indispettito.
«Non si caccia! Qui la caccia è vietata da anni!» affermò ad alta voce scuotendo la testa «E non puoi andare in giro con l’armatura, ti prenderanno per pazzo!» esclamò ancora, ignorando volutamente l’aggiunta di Arthur, ci mancava solo che si mettesse ad aiutarlo a vestirsi e a svestirsi, scosse la testa a quel pensiero e si recò nella stanza accanto, tornando dopo un po’ con altri abiti.
«Ecco una felpa pulita e un paio di jeans. Questi sono gli abiti che si indossano in questo tempo» sospirò scuotendo la testa «Muoviti, ti aspetto. Non posso lasciarti qui da solo» Arthur lo guardò inclinando la testa «E comunque, insomma, come te lo spiego, è come andare al mercato, okay? Hai presente?»
«Oh, certo, il mercato. Beh, solo le donne e i servi vanno al mercato a Camelot, noi uomini andiamo a caccia» disse con ovvietà il re, Merlin alzò gli occhi al cielo e sbuffò leggermente «Comunque è deciso, ti aiuterò a fare provviste per l’inverno» disse con serietà il re, iniziando ad indossare quegli strani indumenti. Avrebbe preferito i calzoni che gli erano stati prestati il giorno prima, erano decisamente più comodi di questi cosi strappati. Fu pronto dopo un po’, e quando si guardò nello specchio, si disse che poi non era così male. A lui donava tutto, dopotutto era il re, era nel suo sangue essere eccellente in qualunque contesto e con qualunque vestiario; si dispiacque quando dovette lasciare Excalibur lì, non si sentiva sicuro ad uscire fuori senza la sua spada.
«Mi accompagnerai a fare la spesa, vorrai dire» ribatté divertito Merlin, guidandolo fuori dall’appartamento.
«Va bene, se in questo tempo, fare provviste si dice in questo modo, lo accetterò».
Merlin trattenne una risata, e lo afferrò per un braccio, trascinandolo sul pianerottolo, salutò alcuni vicini che stavano prendendo l’ascensore e vide Arthur impallidire davanti ad esso. Il grande condottiero che non tremava davanti a nulla, aveva paura di un misero ascensore? Sul serio?
«Vuoi prendere le scale?» chiese con gentilezza.
«Sì, sarebbe meglio» disse, puntando il dito contro la gabbia «Non mi fido di quel coso».
«Okay, ma quando torniamo con la spesa, prendiamo l’ascensore, affare fatto?» domandò Merlin guardandolo di sottecchi. Un compromesso, Arthur era esperto di compromessi, quando si trattava di stipulare la pace dopo una battaglia.
«E sia. Scenderemo le scale e saliremo con la gabbia».
 
Arrivare al supermercato fu un’impresa. Arthur prima non voleva entrare in auto, perché era solo un mostro di metallo rombante, poi aveva fatto mille domande su ogni negozio che vedevano, e altre cose che avevano stancato Merlin psicologicamente. Non sapeva come affrontare il supermercato con lui, davvero, sarebbe stata una sfida ardua, e esattamente come si aspettava, fu così. Appena presero il carrello, il re di Camelot guardò l’oggetto in esame con stupore «Questo è una specie di carriola, ma molto più pratica e maneggevole» aveva detto, quando lo aveva visto in funzione. E poi erano entrati nel supermercato «Queste porte sono intelligenti, Merlin, si aprono al passaggio del re. Sono suddite devote».
«No, Arthur, è semplicemente la fotocellula che si attiva al passaggio di qualcuno, le aziona e loro si aprono. Funziona con tutti» spiegò. Arthur mise su la sua migliore espressione indignata, borbottando quanto secondo lui fosse ignobile che un sovrano non avesse un ingresso speciale o delle porte personali che si aprissero al suo passaggio.
E così iniziò il vero incubo di Merlin: fare la spesa con Arthur. All’ingresso del supermercato c’era il banco ortofrutta, e Arthur si soffermò ad osservare ogni singola verdura e ogni singolo frutto, sostenendo che non fosse possibile trovare cose del genere a Camelot e «Contadino, complimenti per i tuoi ortaggi!» commentò, guadagnandosi un’occhiataccia dal fruttivendolo, mentre Merlin era intento ad ordinare delle mele e delle arance, poi il moro aveva dovuto trascinarlo via dal frigorifero con le insalate «Merlin è fantastico, guarda, quelle erbe sono già nelle loro scatole! Dove sono i servitori che le mettono lì dentro? A Camelot potrebbero essere utili!»
«Oh santo cielo» si ritrovò a mormorare Merlin, mentre lo trascinava con sé. Al centro del supermercato, c’erano le offerte del giorno, e Arthur iniziò a mettere qualsiasi cosa nel carrello, anche le cose inutili.
«Voglio solo aiutarti a fare provviste, Merlin, e anche se non so cosa siano la metà delle cose, voglio che tu ti nutra come si deve, sei tutto pelle, ossa e orecchie grandi!»
«Perché a me?» si lamentava il moro, tra un reparto e l’altro, mentre cercava di togliere le cose inutili che Arthur metteva nel carrello e di ricordare cosa mancasse a casa sua, il biondo lo aveva distratto talmente tanto che aveva dimenticato di scrivere la lista, maledizione. Il reparto dei formaggi e degli yogurt fu una passeggiata, Arthur non ne fu particolarmente attratto, ma fu nel reparto carni e suini che il moro quasi scoppiò a ridere in faccia al re. Merlin aveva fatto l’errore di dire ad Arthur di controllare se nei banchi c’erano delle offerte, ma non toccare nulla e non parlare con nessuno, si era raccomandato, mentre lui aspettava il suo turno al banco del pane e dopo un po’, vide il biondo tornare al suo fianco con una confezione tra le mani e l’espressione indignata sul volto.
«Cosa ti è successo?»
«Quel villico è un barbaro sassone, oltre che essere menzognere e maleducato» disse il re offeso, indicando il macellaio.
«Cosa hai fatto?»
«Io niente! Ho solo chiesto in quale battuta di caccia era stata procurata questa selvaggina» disse indicando la vaschetta confezionata che teneva tra le mani con fare vittorioso «E non solo mi ha riso in faccia, ha anche detto che sono un idiota e che dovrei leggere l’etichetta che dice allevato in una fattoria».
«Arthur, te l’ho già spiegato, in questo tempo non esiste la caccia» gli spiegò con calma, mentre riponeva nel carrello il pane e augurava buona giornata alla commessa che gliel’aveva passato. Ripassarono nel reparto carni e suini e Merlin prese anche delle altre confezioni; dopo venne il reparto dei surgelati, che lasciò Arthur con gli occhi spalancati.
«Ma quindi il pesce viene pescato e poi messo nel ghiaccio e poi nelle scatole?»
«Beh, più o meno» rispose il moro, l’altro annuì fingendo di capire, anche se non capiva molto «Deve essere tutto strano per te, vero?» Arthur annuì nuovamente «Forse avresti preferito restare a casa, ambientarti meglio?»
«No, mi sto divertendo, se escludiamo il sassone odioso laggiù» disse spedendo un’occhiataccia verso il macellaio che gli aveva risposto male «In quest’epoca non si deve cacciare per avere le cose. Basta venire qui e puff, ti danno tutto quello che ti occorre» disse sorpreso il re, guardandosi intorno «Mi sta iniziando a piacere il futuro».
Merlin ridacchiò, mentre passavano anche nel reparto bevande e prendeva una cassa d’acqua «Ne sono contento» disse sorridendogli. Arthur notò che il moro facesse una fatica immane a sollevare quell’oggetto pesante e si fece avanti.
«Dai a me, ti aiuto» disse spostandolo e togliendo la cassa dalle mani di Merlin senza alcuno sforzo «Quindi in questo futuro non si va al pozzo per prendere l’acqua, interessante, Merlin» disse, dopo aver sistemato la cassa d’acqua nel carrello; il moro spalancò gli occhi, ma da dove veniva fuori quel tizio? Pure Mr Muscolo dell’anno il fato doveva mandargli a casa? Non solo era bello come un dio greco e sembrava uscito dai suoi sogni erotici più proibiti, ma doveva anche essere cavalleresco e aiutarlo nelle difficoltà?
«Grazie…» mormorò imbarazzato, sentendo le gote andare leggermente in fiamme davanti al suo gesto. Nessuno dei suoi ex era mai stato tanto gentile e cortese con lui.
«Oh mio dio, che carini!» esclamò una ragazza passando loro accanto «Sono una coppia così dolce! Il biondo ha appena aiutato il moro ad alzare la cassa, aaaah, è così forte e cavalleresco! Sono adorabili!» esclamò, senza pudore, senza badare al fatto che loro potessero ascoltare tutto. Per fortuna, Arthur non capiva la metà delle cose che stavano dicendo le ragazze, ma sarebbe stato divertente vederlo rispondere a suo modo a quelle insinuazioni.
«Siete molto gentili, mie signore» disse in risposta «Ma noi due non siamo una coppia, Merlin è solo il mio soccorritore».
Il moro si ritrovò a ridere di gusto alle sue parole e senza aggiungere nulla, proseguì con la sua spesa, prendendo le ultime cose: un bagnoschiuma nuovo, uno spazzolino per Arthur (di certo non gli avrebbe fatto usare il suo), lo shampoo che era quasi finito e altre piccole cose che finirono nel loro carrello, il tutto mentre cercava di fermare Arthur dal mettere nel carrello le cose inutili come gli assorbenti da donna e i pannolini per neonati. Era sfiancante e non lo avrebbe portato mai più con sé, ne era certo. Anzi lo avrebbe rimandato a casa sua molto presto, oh sì.
Si misero in fila alla cassa per pagare, Arthur continuò a fare commenti su questa o l’altra cosa, mentre Merlin cercava di rispondergli a tono basso, per non farsi sentire dalle altre persone, ma il biondo continuava a parlare e commentare a voce alta, mettendolo in imbarazzo. Arrivarono con fatica alla cassa, e il re rimase sorpreso per gli oggetti che si muovono da soli sul tappeto mobile e per la cassa che faceva un bip davvero simpatico e anche un po’ fastidioso.
La giovane cassiera fece un sorriso ad Arthur, il quale ricambiò e fece una riverenza alla donna, complimentandosi con lei per il suo lavoro e augurandole buona giornata, dopo averle baciato la mano – Merlin gli aveva detto di essere gentile, e questo era il solo modo che conosceva per esserlo – e la vide arrossire davanti al suo gesto. Nel frattempo, Merlin aveva messo ogni cosa nelle buste, aveva pagato con una carta strana (dov’era l’oro?) e aveva ringraziato anche lui la donna.
«Tornate presto a trovarci, signori».
«Ma certo, my lady!» le sorrise Arthur, aiutando Merlin con i pesanti sacchi pieni delle cose che avevano acquistato «Buona giornata» le disse, mentre lui e il moro uscivano dal super-coso e andavano a mettere le cose nella macchina.
«Merlin, dov’è il tuo oro?» chiese immediatamente.
«Arthur, adesso esistono le carte di credito» disse riferendosi alla carta che aveva usato prima «E oggi, comunque, ci sono le sterline, non si paga più con l'oro» spiegò, mentre raggiungevano l’auto. Arthur annuì pensieroso, era davvero strano il futuro, non c’era più l’oro, i pesci venivano messi nel ghiaccio e nelle scatole, la selvaggina cresceva nelle fattorie e c’erano le scatole con gli ortaggi tagliati, oltre a tutti i mostri del progresso che aveva incontrato fino a quel momento.
«Sono sorpreso, Merlin, non credevo di divertirmi così, ma andare a caccia è molto più stimolante» commentò, dopo aver messo ogni sacchetto nell’auto ed essere saliti entrambi a bordo, rivolgendo uno sguardo al moro accanto a sé, che scosse la testa divertito. Nonostante tutto, si era divertito anche lui, e anche se non avrebbe mai più portato Arthur con sé a fare la spesa, sapeva che non avrebbe mai dimenticato quella mattinata folle.
E fu mentre guidava verso casa, che qualcosa di strano accadde: gli sembrò di vedere un uomo che guardava nella sua direzione, gli occhi puntati esattamente su di lui e su Arthur, ma non ne capì il motivo. Ebbe una strana sensazione e un brivido di paura percorse la sua schiena da cima a fondo. Cercò di ignorare la terribile sensazione mentre guidava verso casa, e solo quando parcheggiò l’auto e rientrò in casa si sentì al sicuro. Ignorò lo sguardo perplesso di Arthur, e nemmeno pensò di dargli una spiegazione, sperò solo che quell’episodio non si ripetesse mai più. Quell’uomo, quello sguardo, quella sensazione gli avevano dato i brividi, ed essa non sparì per tutto il resto del giorno. Cosa diavolo era appena successo?
 
§§§§
 
La mattina del terzo giorno di convivenza forzata con Arthur, Merlin si svegliò con una strana sensazione, l’inquietudine del giorno prima non l’aveva abbandonato e aveva fatto degli incubi a cui non riusciva a dare spiegazione, i quali gli avevano lasciato addosso una strana sensazione di malessere, ma non poteva stare lì a rimuginare, doveva andare in ospedale, aveva il turno di mattina quel giorno.
Era profondamente combattuto, da un lato non voleva lasciare il biondo da solo a casa sua, ma dall’altro era l’unica cosa da fare, perché doveva andare al lavoro e non poteva portarlo con sé, non riusciva neanche ad immaginare le reazioni dell’altro davanti al progresso della medicina, senza contare che lo avrebbe messo in imbarazzo con chiunque con il suo atteggiamento “non proprio facile da sopportare” e poi non poteva rischiare che si presentasse come il re di Camelot, come lo avrebbe spiegato ai suoi colleghi?
Si alzò, fece una doccia rapida e si vestì per andare al lavoro, controllò che il biondo dormisse ancora e sorrise leggermente vedendolo dormire stravaccato sul letto, a pancia in giù, che abbracciava il cuscino – e cercò di non badare al fatto che fosse mezzo nudo, davvero, doveva risolvere quel problema – poi passò in cucina e preparò la colazione per sé e per Arthur, lasciandogli un biglietto in cui gli diceva che sarebbe tornato per ora di pranzo e di non preoccuparsi di nulla, avrebbe preparato tutto lui al suo ritorno – non voleva che gli distruggesse la cucina. Santo cielo, proprio non si fidava a lasciarlo lì da solo, avrebbe potuto ferirsi con qualsiasi cosa, e lui non avrebbe potuto far nulla per aiutarlo. Ma doveva andare in ospedale assolutamente, come avrebbe giustificato un giorno di ferie così all’improvviso? Senza preavviso? O avrebbe dovuto prendere un giorno di malattia? Forse sarebbe stato meglio così.
Okay, poteva sperare che dormisse fino a tardi, giusto? Non sarebbe successo nulla, se Arthur avesse dormito fino a tardi. Illudendosi che quella fosse la scelta più saggia, uscì di casa e si recò in ospedale.
 
Quando Arthur si destò dal suo sonno, stavolta meno tormentato – Merlin aveva avuto il buon cuore di chiudere ogni spiraglio che facesse entrare la luce e il rumore nella sua stanza – si alzò dal letto e come prima cosa indossò i calzoni che gli aveva dato Merlin, quelli comodi che sembravano le sue braghe medievali. Le felpe – così Merlin aveva definito quelle strane tuniche con il cappuccio – non gli piacevano molto, ma doveva adattarsi, anche se quella che gli aveva prestato, era un po’ piccola per lui, forse avrebbe dovuto chiedere a Merlin di procurargliene qualcuna un po’ più grande… decise che non l’avrebbe indossata quella mattina, così con solo i pantaloni uscì dalla sua stanza, sperando che Merlin lo vedesse. Aveva notato che, quando girava per la casa in quel modo, il moro arrossiva e tentava di distogliere lo sguardo da lui, conosceva quello sguardo, il suo era interesse allo stato puro, e ne era lusingato, a Camelot era guardato così da molte dame, e anche dalle serve e dai servi. Sapeva di essere un uomo piacente, e ne andava particolarmente fiero, i suoi amanti non si erano mai lamentati, dopotutto.
«Merlin?» lo chiamò, ma non sentì la risposta dell’altro, controllò nella stanza del moro, ma non c’era, il suo letto era perfettamente riordinato e di lui non c’era traccia. Che qualche mostruosità moderna gli avesse fatto del male? Scosse la testa, Merlin sembrava piuttosto a suo agio in quel tempo, e niente sembrava spaventarlo. Per precauzione, ritornò nella sua stanza e prese la sua spada, e si diresse nella cucina. Attaccato allo strano oggetto chiamato frigorifero c’era un pezzo di carta, sembrava una pergamena strappata. Lo afferrò velocemente e lo osservò, c’erano scritte delle parole sopra con una scrittura un po’ disordinata, ma perfettamente leggibile, la pergamena strappata diceva: “Arthur, sono andato al lavoro, non potevo assentarmi. Ti ho preparato la colazione e ti ho lasciato alcune cose che potrebbero esserti utili. Tornerò per ora di pranzo. Non toccare la cucina, ti prego, anzi non toccare nulla di tecnologico. Non ti ho ancora spiegato come funzionano molte cose. Ci sono libri e altro se vuoi, mi dispiace non averti insegnato ad usare il televisore, ma lo farò presto.
Buona giornata,
Merlin”.
Cosa diavolo significava tecnologico, adesso? Arthur sbuffò, cercando di decifrare il messaggio, sarebbe stato più facile tradurre gli incantesimi dei druidi! L’unica cosa che capì fu che il suo soccorritore era uscito senza di lui, era andato a svolgere il suo lavoro, e sebbene fosse ammirevole che lo facesse, Arthur adesso si sentiva spaesato; era solo in un mondo sconosciuto, di cui non conosceva nulla, e iniziava a sentire una leggera frustrazione per essere stato abbandonato, in quel modo dal solo alleato che aveva. Sbuffò e si sedette sulla sedia di legno, per niente adeguata ai suoi glutei regali e consumò la colazione che il moro gli aveva preparato – quei biscotti erano davvero deliziosi. Poi decise che quella fosse una buona giornata per un po’ di allenamento. Come poteva allenarsi un po’ in quel mondo strano? Di certo non c’erano i cavalieri, no, ovviamente, e di certo non poteva tornare in strada e parlare con quei villici ignoranti che di etichetta non capivano nulla. Ci rifletté un po’ su, guardò la sua spada e sospirò. Percorse un paio di volte l’appartamento di Merlin, cercando un buon modo per allenarsi, non sarebbe stato onesto da parte sua distruggere il suo mobilio, ma quando entrò nella stanza del moro, il suo sguardo si illuminò vedendo un fantoccio di legno scuro su un lato della camera, non lo aveva notato il giorno prima. Sopra c’erano alcuni abiti del moro, ma non si sarebbe offeso se avesse usato il suo fantoccio, giusto? Anzi, gli avrebbe fatto piacere che lui avesse fatto un po’ di movimento e non fosse stato lì, seduto sul divano a non fare nulla. Tolse gli indumenti di Merlin dal fantoccio e li gettò per terra con poca grazia, e fece roteare la spada nella sua mano, e poi iniziò ad allenarsi, colpendo il fantoccio. Sfogò la sua frustrazione e la rabbia che sentiva dentro di sé, da quando il druido malefico lo aveva mandato in quel posto così strano e fuori dal suo abitudinario, così lontano dalla sua casa, sfogò tutto ciò che aveva represso in quei primi due giorni, durante i quali era stato così sconvolto da non rendersi conto di quanta rabbia avesse accumulato, e la sfogò tutta contro quel fantoccio di Merlin, e solo quando si sentì soddisfatto, tornò nella sala con le poltrone, appoggiò la spada contro il muro e si sedette ad aspettare. Aspettare lo innervosiva, non era abituato ad aspettare. Dopo un po’, si rese conto di aver bisogno di lavarsi, dopo un allenamento, era bene darsi una sistemata, così entrò nel bagno e si gettò nella scatola magica con la pioggia calda e si fece una lunga e rigenerante lavata, fino a che non sentì l’acqua magicamente diventare fredda. Soddisfatto, uscì da lì e si avvolse nel meraviglioso copri-corpo morbido che gli piaceva tanto e decise che sarebbe rimasto con quello addosso, e che avrebbe aspettato Merlin nella stanza con il fantoccio. Cosa si aspettava, che si mettesse a leggere, davvero? I libri non gli erano mai piaciuti nemmeno quando era a Camelot, le uniche cose che leggeva erano i rapporti del giorno o altre cose riguardanti il regno. Doveva solo aspettare ancora un po’, poi il ragazzo sarebbe tornato e avrebbero cercato insieme un modo per riportarlo a Camelot, immediatamente. Non avrebbe sopportato un altro giorno in quella landa piena di cose assurde.
 
Per tutta la mattinata lavorativa, Merlin si sentì in colpa e a disagio, aveva lasciato Arthur da solo a casa sua, e non sapeva cosa aspettarsi al suo ritorno a casa. Davvero, era stato in ansia e quasi non si era concentrato, quasi, perché dopo un richiamo del capo, aveva subito ripreso a lavorare come suo solito. Tuttavia, non aveva smesso di pensare ad Arthur, e ci aveva pensato Freya, la sua collega, a fargli notare che avesse tutt’altro per la testa.
«Dimmi la verità, Merlin, stai pensando ad un ragazzo» indagò lei.
«No» rispose schiettamente lui, cercando di ignorare la domanda dell’amica. Sarebbe stato troppo strano parlarle di Arthur senza risultare pazzo. Se ne avesse parlato, sicuramente avrebbero pensato che fosse pazzo, più pazzo del biondo visto che credeva alla sua storia assurda e aveva intenzione di aiutarlo.
«Non ci credo» disse lei con il suo tono curioso «Hai quello sguardo, Merlin, quello che hai quando incontri qualcuno che ti colpisce!» esclamò «A me puoi dirlo, non andrò a sbandierarlo ai quattro venti!»
«No, lo dirai solo a tutto il reparto» scherzò lui «Non c’è nessuno, davvero. Solo un amico che sto aiutando».
«Ed è bello quest’amico?»
Lui alzò gli occhi al cielo divertito «Sì, okay, sì. È molto, molto bello» certe gambe… e le braccia… - lei lo guardò con uno sguardo indagatore a cui non seppe mentire «Okay, sembra un adone greco, ma non mi piace!» rispose, cercando di non mettere troppa enfasi nella voce «Adesso devo andare, mi chiamano» disse indicando il suo cercapersone «A dopo!»
«Non mi sfuggi così, Emrys! Ti farò parlare!» esclamò lei con enfasi; Merlin ritornò al suo lavoro con il cuore più leggero, quella semplice conversazione fece scemare un po’ la sua ansia. Quando vide che finalmente si erano fatte le due – magistralmente aveva evitato le domande inopportune di Freya per tutto il giorno – salutò i suoi colleghi e schizzò via dall’ospedale, dirigendosi subito a casa, avrebbe pensato a cosa cucinare una volta tornato lì ed essersi assicurato che Arthur non avesse fatto qualche pazzia, danno o che non si fosse ferito mentre lui non c’era, ne sarebbe stato capace. Mentre tornava a casa, ebbe di nuovo la sensazione spiacevole del giorno prima, ma era troppo preoccupato per badare a quella, per notare che, da un angolo della strada, un uomo non gli toglieva gli occhi di dosso.
Quando arrivò al suo appartamento, non sentendo una foglia muoversi, chiamò a gran voce il nome di Arthur, che gli rispose con il tono seccato dalla sua stanza, cosa ci faceva Arthur nella sua stanza? Perché non era in quella degli ospiti dove lo aveva ospitato?
«Cosa ci fai in camera mia, Arthur?» chiese ad alta voce, mentre percorreva il corridoio, con una strana sensazione dentro di sé. Arthur aveva combinato qualche guaio, ne era certo.
«Non mi piace aspettare, Merlin, odio aspettare, sono rimasto qui per ore, a non fare nulla, perché tu non c’eri» si lamentò a gambe incrociate sul letto, indossando solo l’accappatoio, cosa che mise un po’ a disagio il moro, che lo guardò allibito.
«Cosa avevamo detto dell’accappatoio in casa?»
«Davvero? È questo che ti turba? Io sono rimasto da solo, senza nulla da fare» disse scandendo bene le parole.
«Dovevo lavorare, Arthur, e poi ti ho detto che potevi prendere alcuni dei miei libri, sei così asino che non sai leggere?» chiese guardandolo con un sopracciglio alzato.
«Non ne avevo voglia» rispose «Mi sono allenato un po’ con la spada» continuò con tono soddisfatto e fiero «Il tuo fantoccio è perfetto per l’allenamento».
«Il mio…» solo in quel momento, Merlin si guardò intorno e inorridì, sul pavimento giacevano due felpe e il giubbotto e il suo appendiabiti era scheggiato e rigato in più punti, probabilmente dove Arthur l’aveva colpito con la spada e per terra c’erano alcuni residui di legno. Oh santo cielo.
«Arthur!» esclamò arrabbiato «Non puoi distruggere le mie cose solo perché sei annoiato!» continuò «Perché mi hai distrutto l’appendiabiti?» chiese scioccato, era basito dal poco rispetto di quell’asino verso le sue cose, ma come si permetteva? «Guarda qui che hai combinato» mormorò guardando le schegge di legno per terra e i graffi dell’appendiabiti; ricordava quando era andato a comprarlo e sua madre gli aveva suggerito quel modello perché stava bene con l’arredamento complessivo della casa, e insieme avevano deciso che il posto giusto per quello fosse la stanza di Merlin, perché altrove non c’era abbastanza spazio. Sospirò vedendo in che stato fosse adesso.
«Credevo fosse un fantoccio!» esclamò l’altro, ma Merlin non lo ascoltò.
Cosa ne poteva sapere lui? Di certo non aveva dovuto farsi in quattro per ottenere ogni cosa, non aveva dovuto sudare per avere quello che aveva, e non aveva dovuto sentire sua madre dirgli addio. Scosse la testa, quello stronzo arrogante non poteva ridurlo così, si ricompose in tutta la sua dignità e gli diede le spalle e se ne andò in cucina, per non mostrarsi debole, davanti a lui. Non era l’appendiabiti in sé, era il ricordo che c’era dietro di esso e per il gesto infantile dell’altro. Solo perché era annoiato, ciò non voleva dire che fosse autorizzato a distruggergli la casa o le cose in essa presenti.
Si mise a cucinare per non pensare e per far scemare la rabbia.
«Merlin?» la testa bionda di Arthur fece capolino nella cucina, mentre stava calando la pasta «Hai smesso di urlare? Sei ancora arrabbiato?» domandò «Credevo fosse un fantoccio, non sapevo fosse una cosa di valore!» esclamò a sua discolpa.
Merlin non rispose, si limitò a continuare la preparazione del pranzo, e alla fine mise due piatti di pasta sul tavolo, poi si sedette e lo ignorò ancora.
«Andiamo… non puoi ignorarmi per sempre» disse ancora con il tono lamentoso «Merlin! Non sapevo cosa fare!»
«E hai pensato di distruggere camera mia? Giusto, perché tu sei il re, quindi puoi fare queste cose?» domandò retoricamente guardandolo «Io ti ho ospitato, ho creduto alla tua assurda storia, e tu resti da solo qualche ora e decidi di usare la tua spada per distruggere la mia camera, vedo che voi regali sapete ricambiare bene i favori» disse a denti stretti, scuotendo la testa.
«Ti ripagherò» disse guardandolo «Sono costernato per aver danneggiato il tuo fantoccio, il mio atteggiamento non è stato dei migliori e me ne scuso» disse con un sospiro, non era abituato a compiere gesti del genere «Se fossimo a Camelot ti darei il permesso per mettermi alla gogna e lanciarmi il primo pomodoro marcio» affermò. Merlin provò a tenergli il broncio, davvero, ma quella sua affermazione, lo fece ridacchiare sommessamente.
«Non ti credo» disse, poi si strinse nelle spalle «Non è per quello, comunque, è che ci ero legato affettivamente» sospirò scuotendo la testa «Mia madre ha scelto la metà delle cose che sono in questa casa e…» disse, Arthur lo guardò sorpreso e accigliato «L’ho persa due mesi fa» concluse abbassando di nuovo la testa.
Arthur deglutì e si sentì un verme per quello che aveva fatto, avrebbe fatto di tutto per ottenere il perdono del moro, il suo era stato un atto improprio e meschino. Non poteva immaginare che quel fantoccio, che apparentemente era un pezzo di mobilio importante, fosse così caro a quel ragazzo, che avesse un ricordo così caro per lui. Merlin aveva ragione, il moro si era prodigato per lui, istruendolo pazientemente su quasi tutte le stranezze che lo circondavano e lui si era comportato da perfetto ingrato distruggendogli un dono che gli aveva fatto sua madre. Re o non re, aveva sbagliato.
«Sono davvero dispiaciuto, Merlin, non mi comporterò più in questo modo».
«Lo apprezzo, grazie» disse, battendo le palpebre per ricacciare indietro le lacrime, parlare di sua madre gli faceva sempre un certo effetto e non riusciva mai a mascherare bene il dolore, che Arthur notò subito, ma non glielo fece notare. Pranzarono in assoluto silenzio, e Arthur si offrì di sparecchiare, e mettere le stoviglie in quella scatola che li lavava al posto di Merlin, il quale guardò la scena stupefatto e senza parole.
«Arthur, non è necessario» gli disse, alzandosi a sua volta, raggiungendolo.
«Lasciami fare, Merlin» disse guardandolo «Un cavaliere sa ammettere di aver fatto un errore, e io ne ho commesso uno imperdonabile. Sono stato ingrato e terribile con te, quando tu cercavi solo di aiutarmi, ho dimenticato l’onore di un cavaliere e spero in questo modo di riscattarmi ai tuoi occhi».
«Oh» deglutì guardandolo, wow, era la prima cosa educata che gli diceva ed era sorpreso del suo atteggiamento. Decise di lasciarlo fare e annuì senza dire altro «Io vado a dare una sistemata al disastro là» disse semplicemente, alzandosi. Arthur annuì mortificato mentre sistemava la cucina. Merlin andò nella sua stanza e raccolse le felpe e i giubbotti dal pavimento e li ripose nel suo armadio; osservò l’appendiabiti e rifletté un attimo, visto che già era distrutto, avrebbe permesso al re di usarlo per sfogare la rabbia quando era arrabbiato, come quella mattina.
Arthur lo raggiunse mentre lui stava passando l’aspirapolvere, eliminando i residui di legno sul pavimento: «Cosa diavolo è quell’oggetto?!» domandò indicando la scopa elettrica come se fosse un oggetto indemoniato.
Merlin spense l’elettrodomestico e lo guardò «Questo è un aspirapolvere, e serve per spazzare il pavimento».
«Santo cielo, impazzirò in mezzo a tutta questa stregoneria» borbottò il re, scioccato «La tua servitrice ha fatto un rumore strano, Merlin, forse dovresti andare a controllare».
«Cosa hai fatto?»
«Niente! Quello che fai tu! Ho messo tutte le stoviglie dentro, e ho premuto tutti i tasti colorati! E poi ha fatto un rumore, io non c’entro nulla!» subito, Merlin lo superò in fretta e raggiunse la cucina ancora più rapidamente, corse vicino alla lavastoviglie e la osservò, sembrava impazzita, faceva un baccano terribile, e notò che tutte le spie fossero illuminate, il biondo doveva aver premuto letteralmente su qualunque tasto a sua disposizione. Dannazione, subito provò ad annullare il lavaggio, ma questa non si spense, e si ritrovò costretto a togliere la spina per evitare danni.
«Mi dispiace. Giuro che non toccherò più nulla» promise; Merlin non poté che concordare con lui.
«Okay, dai, non è successo niente» disse «Più tardi proverò a farla ripartire, forse hai azionato tutti i programmi insieme contemporaneamente ed è impazzita momentaneamente» scherzò, mettendogli una mano sulla spalla «Adesso io ho bisogno di riposare un po’, vieni con me sul divano» suggerì, così avrebbe potuto tenerlo d’occhio. Arthur non osò obiettare e insieme i due giovani andarono nel salotto di Merlin e si accomodarono sul divano, il moro afferrò il telecomando per accendere la tv, Pendragon o non Pendragon, non avrebbe perso il suo appuntamento settimanale con Doctor Who, non l’avrebbe perso per nessuna ragione al mondo. Quando accese il televisore, e il biondo emise un verso strano.
«Merlin!» esclamò Arthur, appena la prima immagine comparve sullo schermo «Quell’uomo è imprigionato nella scatola magica?» chiese avvicinandosi, la spada in pugno «Dobbiamo salvarlo?»
«Non azzardarti a distruggermi il televisore, Arthur Pendragon, o giuro che ti infilzo con la tua spada» lo minacciò, lanciandogli uno sguardo truce. Il biondo alzò le mani in segno di resa e lo guardò allibito.
«Che cosa è allora?»
«Questo è un televisore, ci trasmettono i programmi» spiegò guardandolo «Sono solo immagini, le persone non sono davvero imprigionate lì» disse sorridendo, il re si lasciò cadere accanto a lui sul divano e lo guardò.
«E tu dici che questa non è stregoneria» borbottò.
«No, non lo è, si chiama tecnologia».
«Buffo» disse, poi guardò il televisore «Noi vediamo loro…» disse il re pensieroso «E loro guardano noi?» chiese.
«No, no!» rispose divertito il moro «Non funziona così, ascolta, sta iniziando il mio programma preferito, ne parliamo dopo?»
«D’accordo» mormorò pensieroso, senza capire «E cosa guardiamo noi?»
«Doctor Who» rispose, Arthur si accigliò un momento. «È una serie tv, che parla di un alieno con due cuori che viaggia nello spazio e nel tempo» spiegò rapido, prima di zittirlo di nuovo. Arthur guardò la serie interessato, e non proferì parola fino a che Merlin non spense l’oggetto – che poi tanto malefico non era – e si accoccolò meglio nel divano, per scaricare la tensione della giornata.
«Merlin?»
«Sì?»
«Non puoi presentarmi questo Dottore?» chiese guardandolo; a quella domanda il moro scoppiò a ridere «Lui con la sua scatola magica blu potrebbe portarmi a Camelot! Dobbiamo trovare questo famigerato Dottore!»
«No, Arthur, è un personaggio di fantasia. Non esiste realmente» gli disse Merlin, costernato.
«Oh» fu la sua unica espressione, con una punta di delusione; il moro gli batté una mano sulla spalla con fare confortevole; forse Arthur aveva sperato di poter tornare indietro nel tempo, fino al suo tempo per poter ritornare a casa con il Tardis, la cosa sarebbe stata davvero comica, se il biondo non avesse avuto quello sguardo avvilito e disperato sul volto.
Non lo biasimava, anche lui avrebbe preferito ritornare a casa sua, se si fosse ritrovato in un contesto a lui sconosciuto, sospirò, pensando a come sarebbe stato per lui risvegliarsi in un contesto completamente diverso dal suo. Ed ecco che tornava la sua maledetta empatia, non poteva farne a meno, si immedesimava sempre negli altri, anche quando non avrebbe dovuto. Tuttavia, Arthur aveva bisogno di qualcuno che cercasse di aiutarlo in quel momento, qualcuno dalla sua parte, un alleato, come avrebbe detto lui. E anche se la sua storia sembrava assurda, lui gli credeva, perché lui era convinto che il soprannaturale esistesse, e che da qualche parte nel mondo la magia fosse ancora viva e pulsante. E al diavolo, nessuno sarebbe stato in grado di fingere così tanto, di credere così tanto ad una recita, nemmeno il più capace degli attori.
«Ti aiuterò io» disse con sicurezza, cercando lo sguardo del biondo «Troveremo un modo per farti tornare a casa».
«Lo faresti davvero? Anche se non mi sono comportato bene con te?»
«Lo farò, perché hai bisogno di aiuto» gli disse con serietà «Se sei davvero il re di Camelot e sei arrivato qui con la magia, allora da qualche parte, qualcuno, che sia in grado di praticare la magia per riportarti a casa, deve esistere» disse ancora «E io ti aiuterò a trovarlo» concluse. Arthur si ritrovò a bocca aperta, Merlin aveva parlato come un vero cavaliere, nessuno avrebbe dimostrato la sua forza d’animo e il suo coraggio in una situazione del genere. Forse in un’altra vita era stato un cavaliere o un nobile, magari aveva incontrato una sua vita precedente a Camelot, ma non ne era sicuro.
«Te ne sarò eternamente grato».
In quel momento, mentre in quel nuvoloso pomeriggio invernale un minaccioso temporale stava per scoppiare, mentre si scambiavano uno sguardo complice, i due uomini strinsero un’amicizia destinata a diventare qualcosa di più, il re finito in un tempo estraneo al suo e l’infermiere imbranato che avrebbe fatto di tutto per riportarlo a casa sua erano destinati a grandi cose, era scritto nel loro destino. La loro avventura, era appena iniziata, ma nessuno dei due conosceva quali sorprese il futuro avesse in serbo per loro.




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Hola people!
Eccoci con il secondo capitolo! Conto di pubblicare anche il terzo a breve (credo massimo entro domenica, tempo permettendo) per poi ritirarmi nel mio antro oscuro in ritiro ascetico/mistico per ripetere per gli esami. Anyway, speriamo che la Merthur mi porti fortuna ahah
Okay, Arthur fa un po' di disastri, ma povero, è arrabbiato e spaesato e sa sfogare la rabbia solo con la spada! (tranquilli, tra poco Merlin userà altri metodi per distrarlo ohoh) c'è già un po' di mistero, eh? Chi sarà l'uomo che fissa Merlin? Uhuh. E perché Merlin fa sogni strani? No, nessuno spoiler.
Il prossimo capitolo è Merthur allo stato puro :3
Merlin è già cotto di Arthur (eh... pure io lo sono, ma dettagli) e nada, spero che questo capitolo vi sia piaciuto!
Il supermercato dove vanno Arthur e Merlin è liberamente ispirato a quello dove vado io abitualmente (god bless la decò e i suoi commessi che non mi fanno mai fare figure di merda che io quando vado a fare la spesa son peggio di Arthur LOL)
Colgo l'occasione per ringraziare lilyy che mi ha seguita anche in questo fandom, dopo aver letto tutte le mie Destiel e elfin emrys che mi ha accolta nel nuovo fandom. Inoltre ringrazio chiunque abbia speso un click per leggere questa storiella e le gentili persone che l'hanno aggiunta alle seguite/preferite :3 
Thank you!
A presto, people!

PS. Chiedo venia per eventuali errori, ho riletto e riletto e ri-riletto, ma qualcuno sfugge sempre ew 

NDA inutili: Ho cambiato leggermente l'intro della storia, rileggendola non mi piaceva come suonava, così è un po' meglio, ma prevedo in futuro altre piccole modifiche, fino a che non ne sarò soddisfatta al 100% 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3: Kiss me like you want to be loved. ***


Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!


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«Arthur Pendragon deve far ritorno a Camelot» diceva una voce antica, profonda e sconosciuta «Il mondo come lo conosciamo potrebbe non esistere più, se lui non farà ritorno nel suo regno e proseguirà il suo destino».
Merlin era sulle rive di un lago, quando udì quella voce, qualcuno gli parlava da dietro una densa e impenetrabile nebbia, intorno a lui c’era una foresta, mai in vita sua aveva visto quel luogo, e tremò leggermente. La voce disse altre parole, ma un rumore più forte le coprì e il giovane non riuscì ad udire la fine di quella profezia.
«Chi sei?» domandò Merlin, cercando di vedere chi ci fosse oltre la nebbia.
 «Aiuta il re a tornare a casa, giovane umano» continuò la voce, ignorando la domanda «Il re deve tornare per mettere ordine nel suo mondo, o il mondo come lo conosciamo cesserà di esistere» disse ancora la voce. Poi la nebbia si estese, sembrava che volesse inghiottirlo, il ragazzo indietreggiò, ma si trovò con le spalle contro un albero, chiuse gli occhi, li strinse forte, spaventato da essa, e attese che sopraggiungesse il suo destino infausto.
 
Merlin si risvegliò di soprassalto, e vide che era ancora notte. Di nuovo quel sogno, di nuovo quella sensazione di inquietudine addosso, cosa diavolo voleva dire esso? Era legato alla nuova situazione con Arthur? Perché c’era tutto quel mistero? Erano giorni che quei sogni tormentavano le sue nottate, ed erano giorni che si sentiva strano, come se fosse seguito da qualcuno. Qualcuno che lo osservava, nascosto nell’ombra; tutto era iniziato quando aveva soccorso Arthur e lo aveva ospitato a casa sua, era certo che le cose fossero collegate, ma non sapeva ancora in che modo. Forse era il caso di parlarne con il biondo, anzi era sicuro di doverlo fare, ma come poteva spiegare una cosa che nemmeno lui capiva? Come poteva spiegare qualcosa che per lui era inconcepibile? La magia esisteva davvero, allora? Perché quella voce continuava a dirgli che Arthur dovesse tornare a casa? Lui lo sapeva, certo, ma non aveva i mezzi per rimandarlo lì. Perché continuava a chiamarlo nei sogni? Perché quell’uomo continuava a seguirlo?
Erano troppe domande e lui era davvero troppo stanco, controllò la sveglia digitale sul comodino, segnava le quattro del mattino, ovviamente. Si alzò dal letto stancamente e si diresse in cucina per prepararsi un tè caldo e cercare di rilassarsi con quello, passò accanto alla stanza di Arthur e sorrise pensando al fatto che con lui in casa, in quei giorni, si era sentito meno solo. Era vero, fin da quando il biondo era arrivato a casa sua, aveva a modo suo riempito le giornate di Merlin, lo aveva fatto sentire meno solo e gli aveva dato un hobby che non credeva di desiderare: fare ricerche sulle leggende arturiane. Da ragazzino aveva letto un sacco di storie e di libri a riguardo, aveva anche guardato molti film dedicati all’argomento, ma mai avrebbe immaginato di poter scoprire la vera storia del grande re del passato. Quella storia sarebbe stata una buona idea per un libro; ma chi avrebbe mai creduto alla storia che il re di Camelot fosse giunto nel mondo moderno? Beh, sarebbe stata la buona base per un libro fantasy, pensò. Ridacchiò tra sé e sé mentre riempiva il bollitore ed accendeva la fiamma del fornello per prepararsi il tè. Era divertente averlo intorno davvero, la sua ingenuità, la sua sorpresa davanti a qualunque cosa (anche una semplice tazza di caffè era in grado di sorprenderlo) erano ciò che lo rendevano tanto particolare ai suoi occhi. Pian piano si era abituato al suo atteggiamento, al suo essere un po’ viziato e aveva scoperto che non gli dispiaceva così tanto viziarlo a sua volta. Quando il tè fu pronto, andò a sedersi sul divano, si rannicchiò contro lo schienale di esso con le gambe piegate al petto e con la tazza di tè tra le mani e vi soffiò dentro, lasciando che il vapore gli scaldasse il viso; non riusciva a togliersi di dosso l’inquietudine di quel sogno, non riusciva a capire cosa significasse e ignorava cosa sarebbe accaduto in futuro. Doveva trovare una spiegazione a tutto quello, perché sapeva che altrimenti sarebbe impazzito.
«Merlin, sei tu?» la voce del re lo fece sobbalzare per un secondo.
«Arthur, che ci fai già sveglio? Sono le quattro del mattino» disse, guardando verso il biondo, che se ne stava all’ingresso della cucina-salone con la spada tra le dita, in attesa di qualche mostro da sconfiggere.
«Ho sentito dei rumori e non è un orario solito questo. Temevo fossimo sotto attacco» disse. Alle sue parole, il moro sorrise con dolcezza, ovviamente, a lui non sfuggiva nessun movimento, nessun rumore, aveva sempre i sensi all’erta, perché, come gli aveva spiegato, un cavaliere doveva sempre essere pronto a qualsiasi battaglia, persino durante la notte.
«Scusa, non volevo svegliarti» disse mortificato «Ho fatto un incubo e non riuscivo più a dormire».
Arthur annuì, appoggiò la spada contro un mobile e si avvicinò piano al divano, sedendosi accanto al moro: «Non sono esperto del tuo mondo» disse piano il re «Ma ho familiarità con gli incubi» continuò con un piccolo sorriso ad increspargli le labbra «Se vuoi parlarne sono qui» offrì il suo aiuto nell’unico modo che conosceva e questo gesto scaldò il cuore di Merlin, che sentì un leggero fremito dentro di sé. Tirò un profondo sospiro e si accoccolò meglio sul divano, stringendo la tazza tra le dita, avvicinandosi impercettibilmente a lui.
«Non so come spiegartelo» ammise con sincerità e un sospiro pesante «Non lo capisco nemmeno io».
«Prova semplicemente a dirmi cosa succede in questo tuo incubo» suggerì il biondo, guardandolo con dolcezza.
Merlin annuì, conscio di doverlo fare «È che… è sempre lo stesso incubo da giorni» iniziò, tentennando «Tutto è iniziato quando sei arrivato tu» disse piano con un sospiro «Sono sulle rive di un lago che non conosco, c’è una nebbia fittissima e una voce dice che devi far ritorno a Camelot» spiegò «Che se non tornerai, il mondo come lo conosco non sarà più così e qualcosa del genere» continuò, e più diceva ad alta voce quelle parole, più credeva che quella spiegazione fosse assurda «Lo so, lo so, è assurdo, non riesco a capire cosa diavolo significhi» concluse affranto.
«Potrebbe essere un indizio, per trovare lo stregone che mi riporterà a Camelot!» esclamò entusiasta il re «Potrebbero non essere incubi, ma premonizioni o visioni» presunse con l’aria di chi sapeva più di quel che diceva «A Camelot ci sono parecchi stregoni che ne hanno, sicuro di non essere uno stregone?» chiese a quel punto, guardandolo negli occhi.
«Ne sono sicuro, Arthur» borbottò scuotendo la testa «Non sono uno stregone, ma se queste visioni sono la chiave per farti tornare a Camelot, allora indagheremo a riguardo».
«Sono d’accordo» disse il re, con dolcezza appoggiò una mano sul suo braccio, e quel gesto, apparentemente semplice, fece tremare Merlin come una foglia, che gli sorrise.
«Guardiamo un film? Non credo di riuscire più a dormire ora» propose il moro.
«D’accordo, ti farò compagnia» affermò il biondo rivolgendogli un sorriso. Merlin prese il telecomando e, ridacchiando sommessamente alle espressioni di Arthur, iniziò a fare zapping, fino a che non trovò un film su un canale; a quel punto, abbandonò la tazza di tè, ormai vuota, sul tavolino davanti al televisore e poi tornò ad accucciarsi sul divano. Rispose brevemente ad alcuni commenti di Arthur sulla tele-vista (sì, il re di Camelot aveva ribattezzato così il televisore) e poi si rilassò completamente, soprattutto quando, dopo diversi minuti di visione, Arthur allungò un braccio sullo schienale del divano, e quasi come se fosse stato un invito involontario, Merlin si ritrovò molto vicino a lui, con la testa appoggiata sul suo petto muscoloso. Sorrise tra sé e sé, senza farlo notare all’altro, e si rilassò ancora di più, stendendosi sul divano, appoggiandosi quasi completamente al corpo del biondo, che non lo respinse. Merlin si ritrovò a fissarlo dal basso: il mento dritto, la mascella squadrata, il naso appena un po’ sporgente, gli zigomi leggermente pronunciati, il blu degli occhi che rifletteva i colori del televisore e le sue labbra piene. Era bellissimo, mai in tutta la sua vita aveva incontrato un ragazzo così bello, così affascinante, forte e allo stesso tempo adorabile. E adesso cosa gli stava succedendo? Ci mancava solo la cotta per il re medievale nella sua vita… Quanto poteva essere sfigato?
«Qualcosa non va, Merlin?»
«No, va tutto bene…» biascicò sbadigliando, poi distolse lo sguardo da lui e si girò verso il programma che stavano guardando, imbarazzato, con le gote rosse e una strana sensazione nel petto. Quello che non vide fu il ghigno soddisfatto di Arthur, ma sentì chiaramente la sua mano tra i capelli e forse fu quel gesto totalmente inaspettato a farlo rilassare e farlo crollare in un profondo sonno quasi sereno.
 
Quando la tele-vista si spense da sola, Arthur sobbalzò per un istante, non si aspettava che potesse farlo, di solito era Merlin a spegnerla con quell’oggetto nero pieno di pulsanti colorati, ma non voleva svegliare Merlin per un suo dubbio (forse era solo un effetto della tecno-magia, ecco), perché il moro finalmente era più tranquillo e si era addormentato, leggermente più rilassato di prima. Non aveva capito come si fossero trovati in quella situazione, lui seduto sul divano e Merlin con la testa sulla sua pancia, completamente sdraiato sul divano, ma doveva ammettere che non gli dispiaceva. Era piacevole averlo così con sé, e non sapeva perché la situazione tra loro fosse divenuta così intima, ma lo aveva visto davvero sconvolto dopo quell’incubo e tutto ciò che aveva desiderato era far sparire quell’espressione preoccupata dal suo bel volto; non era vero ciò che gli aveva detto, lui era pessimo a consolare le persone, ma non era colpa sua, aveva dovuto costruirsi intorno una barriera per bloccare le sue emozioni, perché era un cavaliere ed era il re di Camelot, aveva sempre dovuto mettere da parte i propri sentimenti per il bene del regno, perché le emozioni sono per i deboli, Arthur, ricordatelo sempre, era solito dirgli suo padre come raccomandazione; Arthur era cresciuto con l’idea che un cavaliere non potesse provare alcun genere di sentimento se non l'amore per il proprio popolo (e credere il contrario quando era ancora un principe, l’aveva lasciato con il cuore spezzato). Quindi non era molto esperto di emozioni e aiuto in quel senso – era molto più bravo con la spada – ma quando erano bambini e lui aveva degli incubi, sua sorella Morgana era solita accarezzargli i capelli in quel modo per calmarlo, con lui aveva sempre funzionato ed era felice di vedere che quel trucchetto avesse funzionato anche con Merlin. L’incubo, di cui il moro gli aveva parlato, sembrava davvero una sorta di premonizione, ma nessuno dei due aveva i mezzi necessari per poterla capire, certo se il moro fosse stato uno stregone, tutto sarebbe stato più facile.
Quel mondo gli sembrava così strano, comparato al suo, eppure con Merlin al suo fianco non sembrava troppo male. Quando quella notte aveva sentito dei passi per la casa, il suo primo pensiero era stato che Merlin potesse essere in pericolo, che qualcuno avesse potuto fargli del male, e aveva temuto di non arrivare in tempo alla spada per proteggerlo. Non appena si era reso conto del pericolo, aveva pensato unicamente alla sicurezza del moro, nient’altro. E non era qualcosa dettato solo dal bisogno che aveva di lui per sopravvivere in quel mondo, no, sembrava tutt’altro, sembrava qualcosa che lui non era ancora pronto ad ammettere di provare. Era solo che ogni tanto si fermava a fissare il moro, ed era incantevole: i suoi occhi azzurri pieni di vita erano in grado di scuoterlo nel profondo, la sua pelle nivea era un invito ai baci, i suoi zigomi marcati erano attraenti, e le sue labbra baciabili; i suoi modi un po’ irriverenti erano in grado di mettergli il buon umore e sorrideva sempre, anche quando si vedeva che in realtà stava male; inoltre si stava prodigando in ogni modo per aiutarlo a trovare un modo per tornare a Camelot, ed era qui che nascevano i suoi interrogativi sulla questione.
E se non fosse riuscito a tornare a casa? Se non fosse riuscito a salvare Camelot dai druidi? Se non fosse stato in grado di compiere il suo destino? Se fosse rimasto bloccato in quel mondo? Cosa ne sarebbe stato di lui, in quel caso? I suoi dubbi erano troppi e troppe le sue domande, il suo senso del dovere e il suo onore gli suggerivano di cercare una soluzione al problema, il suo cuore invece stava prendendo un’altra decisione, una decisione che lui non avrebbe mai contemplato come corretta. Doveva solo cercare di sedare queste assurde sensazioni che provava vicino al moro, in fondo, era solo il suo soccorritore, giusto? Non riuscì a darsi una risposta, semplicemente restò con la mano affondata tra i suoi capelli scuri e reclinò la testa all’indietro, appoggiandola sullo schienale del divano, e chiuse gli occhi.
Una cosa sola era certa per lui, qualsiasi fosse stata la situazione in cui si sarebbe trovato in futuro, avrebbe scelto sempre il bene del suo regno, a discapito di se stesso, come un buon re avrebbe fatto, come lui aveva sempre fatto. E con quei pensieri nella mente – adesso occupata anche un po’ dal pensiero di Merlin – si addormentò di nuovo, anche lui.
 
§§§
 
Erano passate tre settimane da quando Arthur si era stabilito in pianta stabile a casa di Merlin, quest’ultimo cercava di aiutarlo a trovare un modo per tornare a casa, ma il fatto era che, pur essendo nel ventunesimo secolo, un modo per viaggiare nel tempo non esisteva, quella era pura fantascienza, e Merlin non aveva idea di come aiutare Arthur.
Il re, durante quelle tre settimane, aveva scoperto tante cose interessanti sul fantomatico ventunesimo secolo: i cavalli esistevano, ma servivano solo per fare le gare, le segrete adesso si chiamavano prigioni ed erano enormi edifici pieni di gabbie e si trovavano quasi sempre nelle periferie delle città, le missive erano chiamate email e non viaggiavano più con i piccioni viaggiatori; c’erano le scuole dove tutti potevano imparare e la sua storia, la storia di Camelot e tutto il resto erano solo una leggenda. Lui era una leggenda. Lo aveva appreso leggendo uno dei libri di Merlin, mentre cercava qualche informazione che potesse aiutarli a venire a capo di quella situazione, ma ovviamente su quei libri inutili non c’era niente che potesse essere utile alla loro missione, visto che era tutto sbagliato. Tempo sprecato, soprattutto se doveva leggere certe sciocchezze su di sé, sui suoi cavalieri e tutto il resto, alcune cose che aveva letto, l’avevano fatto rabbrividire.
«Questo libro dice solo un mucchio di sciocchezze, Merlin» disse Arthur, chiudendo con forza l’ennesimo libro sulle leggende arturiane «Io non sono mai stato sposato, Ginevra è felicemente sposata con sir Lancelot, ho benedetto io stesso la loro unione, e non è una moglie adultera» spiegò sentendosi indignato «L’unica cosa vera è che è uno dei miei cavalieri migliori, ma ho tanti cavalieri valorosi al mio servizio! Perché dovrebbe essere solo uno quello prode e coraggioso? Lo sai che solo gli uomini più coraggiosi possono essere ammessi nell’armata di Camelot?» continuò «E soprattutto Mordred non è mio figlio, lui è un vigliacco che usa la magia per fare del male al prossimo, ti pare che io possa avere un figlio del genere?» Merlin lo ascoltava, non sapeva se scoppiare a ridere o continuare ad ascoltarlo «E, infine, ma non meno importante, io non toccherei Morgana con un solo dito, santo cielo, è mia sorella!» esclamò inorridito «Inoltre non siamo nemici! La sua prole è destinata a succedermi sul trono, se dovessi morire senza eredi» spiegò allibito «Ma chi ha scritto queste cose disgustose?» chiese al moro che cercava di trattenere invano, le risate «Chi ha scritto cose così indegne?» domandò, continuando la sua invettiva «Per carità, ti suggerirei di trovare un bravo monaco e chiedergli di scrivere la vera storia di Arthur Pendragon di Camelot. Dettata dal sottoscritto, ovviamente».
«Certo, così mi prenderanno per pazzo» ribatté scuotendo la testa «E poi oggi chiunque può scrivere libri» aggiunse Merlin, ridendo; Arthur lo guardò indignato per la sua reazione, non era bene ridere di un re, ancora non lo aveva capito?
«Allora scrivilo tu e rimedia a questa situazione incresciosa!» esclamò.
«Lo farei, se fossi uno scrittore, ma sono un infermiere» ribatté, poi sembrò rifletterci su e aggiunse: «Ho già in mente il prologo: Questa è la vera storia del grande re degli asini, Arthur Pendragon, il più grande asino di stirpe nobile che io, Merlin Emrys, abbia mai incontrato».
«Merlin!»
«Cosa?» chiese con aria innocente «Dovresti vedere il cartone animato della Disney, comunque» aggiunse sempre più divertito «Lì ti chiami Semola, sei un orfano e il tuo patrigno ti tratta da servo» spiegò divertito «Ma alla fine sei l’unico in grado di estrarre Excalibur dalla roccia» concluse ridendo.
«Sono indignato! Non dovresti ridere di me!» esclamò lanciandogli contro il libro, il moro lo evitò giusto in tempo, lanciandogli un’occhiataccia per aver maltrattato uno dei suoi libri «Saresti un pessimo servitore a Camelot» affermò con sicurezza «Comunque basta con queste fandonie e troviamo un modo per riportarmi a casa».
«Lo stiamo cercando e lo troveremo più in fretta, se tu non perdessi tempo a commentare tutto quello che non ti piace» disse alzandosi per andare a recuperare il libro e riporlo al suo posto.
Arthur sbuffò, alzando gli occhi al cielo «Se i tuoi libri non dicessero sciocchezze, io non sarei costretto a correggere tutto ciò che leggo» obiettò «Non troveremo nulla su questi inutili volumi» borbottò rassegnato, prendendosi il volto tra le mani, quasi disperato. Cosa sarebbe successo al suo regno, se non fosse tornato in tempo a Camelot?
«Ehi, te lo prometto, ti farò tornare a casa» promise Merlin, notando lo stato d’animo dell’altro, addolcendo il tono di voce, il re annuì e fece per aggiungere qualcosa, ma il moro lo precedette «Ascolta, mi dispiace che non riusciamo a trovare un modo per farti tornare a casa» mormorò dispiaciuto, tornando accanto a lui «Vorrei poter fare di più, ma non so molto di magia e cose del genere» disse sedendosi accanto a lui, affranto «E non ho idea di come interpretare i sogni» borbottò, non era la prima volta che ne parlavano, e non era la prima volta che facevano un buco nell’acqua, inoltre restava la questione stalker ancora non risolta. Ogni volta che tornava dal lavoro, si sentiva osservato, ma non riusciva mai a vedere chi fosse l’uomo che lo osservava. Ed era una delle cose più inquietanti che avesse mai provato in vita sua.
«In questo tempo avete una macchina per tutto, eppure non ne avete una che possa aiutarci» si lamentò il re, scuotendo la testa. Davvero, Arthur aveva scoperto che ce n’era una per ogni cosa: una per muoversi (sì, le auto non erano mostri metallici), una che lavava i piatti, una che faceva il bucato, una che asciugava gli indumenti, una che preparava il caffè (il nettare degli dèi, secondo il re) e persino degli aggeggi che permettevano di comunicare a distanza! Merlin gliene aveva comprato uno (lo aveva chiamato telefono cellulare) in modo che potesse chiamarlo per qualunque emergenza (Merlin aveva deciso di spiegargli l’uso del cellulare per aiutarlo a distrarsi nelle ore in cui era da solo, dopo che Arthur, durante la sua assenza a causa del lavoro, per passare il tempo e distrarsi, aveva dato la caccia prima al gatto della signora al terzo piano e poi al coniglio del vicino, mettendo in imbarazzo il padrone di casa, che si era scusato con i vicini per l’inconveniente e aveva giurato che il suo coinquilino non avrebbe mai più fatto una cosa del genere).
«Purtroppo non l’hanno ancora inventata» rispose dispiaciuto «Ma ehi, finché non troveremo il modo di farti tornare, puoi continuare a stare qui. È strano, ma non mi dispiace la tua compagnia» disse sorridendo.
«Nemmeno a me dispiace la tua» disse con sincerità «Saresti un pessimo servitore, ma un amico fedele, Merlin».
«Ti ringrazio» gli rispose con un dolce sorriso «Okay, cerchiamo di ragionare» disse ad un certo punto «Non hai avuto nessuna sensazione strana da quando sei qui?» chiese.
«A parte trovarmi in un luogo oscuro, pieno di stregoneria che tu chiami progresso? Strano in quel senso?» il suo tono era con giusta ragione sarcastico, ma non era a questo che Merlin si riferiva.
«No, come se fossi, uhm, osservato?» ipotizzò il moro «Hai fatto sogni strani?» chiese, Arthur scosse la testa «Da quando sei arrivato, ho sempre questa strana sensazione di essere seguito, come se qualcuno ci osservasse» spiegò.
«Un nemico? Un alleato?»
«Non lo so, Arthur…» mormorò pensieroso «Ma potrebbe essere una pista, un punto da cui partire».
«Giusto. E poi ci sono i tuoi sogni, Merlin, non dimenticare i tuoi sogni» affermò Arthur e Merlin convenne con lui, non dovevano trascurare quel dettaglio «È deciso allora, dobbiamo trovare l’uomo misterioso!»
«Sì, penso che sia una buona idea» affermò Merlin, afferrando il suo portatile, per iniziare a fare delle ricerche, mentre Arthur prendeva un altro libro, sperando che stavolta non iniziasse di nuovo ad inveire contro gli scrittori.
 
Era da un po’ che cercavano qualche notizia strana, sui quotidiani o nella scatola nera con i pulsanti; ormai era sera e continuavano le ricerche mentre davanti a loro giacevano i due cartoni della pizza d’asporto che avevano ordinato per cena. Merlin aveva detto che nei telefilm – il re ignorava ancora cosa fossero suddetti – quando avevano bisogno di qualcosa, bastava scrivere tutto sul web (altra cosa al sovrano sconosciuta) e magicamente le cose apparivano, si era trattenuto dal fare domande circa la stregoneria, perché aveva capito che la tecno-magia era simile ad essa.
«Perché a Sam Winchester viene così facile fare questa roba?» aveva borbottato ad un certo punto, e Arthur avrebbe davvero voluto chiedergli chi fosse questo Sam, ma Merlin aveva sbuffato e aveva continuato «Ovviamente, non siamo in Supernatural qui, nella vita vera non succedono le cose assurde» aveva continuato «A meno che uno non entri in contatto con un re leggendario, ecco». E il re aveva continuato ad ascoltare le sue lamentele, senza capire metà delle cose che diceva, restando in silenzio e ridacchiando sommessamente, perché il moro era davvero adorabile e in quel momento lo era ancora di più, nonostante tutto. Sbuffò, chiudendo lo schermo dell’aggeggio strano che stava usando e lo guardò dispiaciuto «Mi dispiace, Arthur, forse nei prossimi giorni saremo più fortunati».
«Non preoccuparti, Merlin, stai facendo il possibile e io lo apprezzo» gli disse con un leggero sorriso sulle labbra «Andrò a preparare un po’ di nettare degli dèi per tutti e due!» esclamò alzandosi «Perché non ci spostiamo sul divano e guardiamo un po’ la tele-vista?» propose, a quella proposta il moro annuì entusiasta, era stanco e aveva bisogno di rilassarsi un po’. Arthur raggiunse la cucina, mentre Merlin raggiungeva il divano, senza perdere di vista il re che preparava il caffè. Dopo il tè, gli aveva fatto conoscere il caffè, e il relativo uso della caffettiera elettrica, e stranamente il cavaliere riusciva ad usarla senza causare troppi danni; il biondo lo raggiunse, dopo poco, con due tazze colme di caffè fumante e si sedette accanto a lui, porgendogli la sua con aria soddisfatta.
Restarono in silenzio a fissarsi qualche istante, mentre bevevano la bevanda calda e Merlin non riusciva a smettere di pensare alle parole del biondo riguardanti la sua vita amorosa. Arthur aveva detto di non essere sposato, eppure nelle leggende il grande re Arthur era affiancato dalla regina Ginevra, che si innamorava del prode sir Lancelot e finiva per tradire il re; questa era storia risaputa, quella scritta in tutti i libri e decantata in tutti i poemi cavallereschi, riprodotta in tutti i film sull’argomento, invece Arthur gli aveva detto una cosa davvero diversa e quella sua frase aveva alimentato la sua curiosità. Così si morse le labbra alla ricerca del coraggio per porgere quella domanda, forse un po’ troppo invadente, ma ormai non poteva più trattenersi.
«Senti… hai detto di non essere sposato, giusto?» domandò, allora, curioso, il biondo annuì confermando le sue parole «E non hai mai pensato ad una regina al tuo fianco?»
«No, non ho mai incontrato la persona giusta» affermò, Merlin notò il suo sguardo perso e una patina di dolore lo adombrò per qualche istante e il moro non ne capì il motivo «Certo, ho avuto diversi amanti, sia donne che uomini, ma… l’amore è un’altra faccenda» concluse con serietà.
«Non sei mai stato innamorato, allora?» chiese a quel punto, sperando di tirargli fuori qualche cosa, voleva conoscere di più di quell’uomo che all’apparenza sembrava solo pensare all’onore cavalleresco e alla sicurezza del suo regno.
«C’era una persona importante nella mia vita, una volta, ma il nostro era un amore impossibile» iniziò «E poi…» cercò di continuare, ma la sua voce si spezzò al ricordo.
«Poi?»
«Poi è morta. E il mio cuore non è più riuscito a battere per nessuno» confessò a quel punto, e Merlin sentì una fitta dentro di sé, povero Arthur, non sapeva quanto avesse sofferto, ma poteva immaginare il dolore provato, sapeva cosa significasse perdere qualcuno (aveva perso entrambi i suoi genitori, suo padre quando era solo un adolescente e sua madre pochi mesi prima) ed era profondamente ed empaticamente vicino all’amico in quel momento.
«Capisco…» Merlin si morse le labbra e Arthur si ritrovò a fissarle «Era una dama?» chiese per pura curiosità.
«Posso confessarti un segreto?» Merlin annuì «Era un fanciullo e non era nobile» confessò, il moro restò sbalordito, il grande re delle leggende aveva avuto una relazione con un ragazzo? Davvero? «Viveva in un villaggio non lontano da Camelot, era così delicato, raffinato, nonostante fosse povero» raccontò, un sorriso malinconico comparve sulle sue labbra «Lo conobbi quando ero ancora un principe, durante una battuta di caccia, lui cercava delle bacche e io stavo per colpire un cervo; mi fermò, facendo scappare il cervo e… poi successe» continuò a raccontare «Mi innamorai di lui con facilità, con lui ero semplicemente Arthur e non il futuro re di Camelot, con lui non dovevo pensare alle incombenze del regno, all’allenamento e tutto il resto» sospirò scuotendo la testa, faceva male riportare alla mente quei ricordi; Merlin lo ascoltava in silenzio, rapito dalle sue parole e dal suo sguardo malinconico «Aveva un cuore enorme e io lo amavo con tutto il mio cuore» disse piano, l’altro pendeva dalle sue labbra, sorridendo commosso, non credeva che una cosa del genere potesse essere possibile, Arthur gli stava raccontando quella storia con una strana luce negli occhi, quasi malinconica, ma allo stesso tempo c'era dolcezza nella sua voce «Era una relazione clandestina, puoi immaginare cosa avrebbero detto? L’erede al trono che frequenta un popolano, per giunta maschio, mio padre ne avrebbe fatto una questione di stato» trattenne una risata triste «Era il nostro piccolo segreto, ogni notte uscivo di nascosto dal castello, una guardia notturna era mia complice, non faceva troppe domande e accettava parecchio oro e lo raggiungevo. Passavamo le nostre nottate insieme davanti ad un fuoco, raccontandoci le rispettive giornate e tutto era magico con lui» raccontò, un lieve sorriso increspò le sue labbra al ricordo «Gli promisi che quando sarei diventato re, avrei cambiato le cose, lo avrei fatto venire a Camelot e noi saremmo stati felici insieme, anche se di nascosto» continuò guardandolo, il suo sguardo mutò e si oscurò di dolore «Poi il suo villaggio fu attaccato. Ero ancora un principe allora, con i miei cavalieri partii per salvare il villaggio, ma arrivai troppo tardi» sospirò «Fu un massacro, trovai il suo corpo in una casa data alle fiamme e…» trattenne un singhiozzo, nessuno sapeva quella storia, se a Camelot qualcuno avesse saputo che il principe e poi re, aveva avuto una relazione con un fanciullo, e per giunta povero, avrebbe causato uno scandalo «E lo strinsi a me, ma era tardi, era morto. Il mio cuore smise di battere quel giorno con il suo» una lacrima traditrice attraversò il suo volto, e lui non fece nulla per rimandarla indietro. Era la prima volta che lasciava le sue emozioni uscire, mai prima di quel momento si era lasciato andare in quel modo, e si chiese cosa avesse di così speciale Merlin per averlo spinto ad aprirsi in quel modo.
«Oh Arthur… mi dispiace così tanto» mormorò appoggiandogli una mano sulla spalla «Scusa, non intendevo portarti alla mente spiacevoli ricordi» disse comprensivo. E senza sapere cosa fare, gettò le braccia attorno al suo collo e lo abbracciò. Il biondo rimase immobile come uno stoccafisso, non diede segni di voler ricambiare, e Merlin si staccò da lui, rosso in volto e imbarazzato «Okay… ehm, scusa» balbettò «Mi sono lasciato trasportare dalle emozioni» pessima, pessima mossa, Merlin – si rimproverò – maledetta empatia! – imprecò mentalmente contro se stesso.
Non tornarono più sull’argomento “abbraccio” e tra loro scese un silenzio a dir poco imbarazzante. Merlin si sentiva emotivamente coinvolto, era una storia così straziante e bella, era ovvio che Arthur non avesse trovato nessuno, dopo aver vissuto un amore così profondo e proibito, soprattutto dopo aver perso in modo così barbarico la persona amata.
«So io cosa ci vuole in questi momenti» disse il moro, ad un tratto, spezzando il silenzio; si alzò e aprì uno dei mobili della cucina «Mia madre diceva sempre che una buona tazza di tè fa miracoli» disse scuotendo la testa «Mio padre, invece, era un uomo d’azione, lui preferiva il whisky, come i veri uomini» disse; Arthur osservò Merlin versare un liquido ambrato in due bicchierini e lo vide tornare da lui con quelli e gliene porse uno «Prendi, questo scaccerà per un po’ il dolore e anche tutte le preoccupazioni che hai al momento».
«Ti ringrazio» disse accettandolo. Merlin fu il primo a bere, bevendo il liquore tutto d’un fiato, Arthur lo vide storcere il naso e si chiese che sapore avesse e lo imitò, bevendolo d’un fiato anche lui. Subito, esso bruciò la sua gola e ne sentì il sapore tra le labbra. Non era male, molto più buono del sidro, questo era certo. Fece schioccare le labbra, in segno d’apprezzamento e porse il bicchiere in avanti, invitando Merlin a riempirlo di nuovo.
«Adesso tocca a te, uomo moderno» disse guardandolo con aria di sfida «Raccontami la tua vita amorosa».
«Oh! Ci vorranno altri bicchierini allora» disse, ritornando alla penisola della cucina dove aveva abbandonato la bottiglia e tornò da lui, appoggiandola sul tavolino davanti al divano. Riempì di nuovo i bicchierini di entrambi pensando che quella non fosse l’idea migliore della sua vita «Ho avuto tre relazioni serie nella mia vita» rise scuotendo la testa «Sono finite tutte male» affermò bevendo d’un fiato il suo bicchierino, per scacciare il sapore della delusione dell’abbandono, che l’aveva travolto non appena l’argomento vita amorosa era stato tirato in ballo. Lui e l’amore erano come linee parallele destinate a non incontrarsi mai, non a caso ogni sua relazione era finita in modi sempre peggiori.
«Male?» Arthur bevve il suo secondo bicchierino e lo guardò dispiaciuto «Cioè sono morti?»
«Oh no, magari lo fossero» scherzò Merlin, versando un altro bicchierino ad entrambi e bevendolo velocemente «Uno mi ha tradito, un altro mi ha scaricato per una donna – mai avere relazioni con i bisessuali – e un altro mi ha mollato perché non mi amava abbastanza» disse ironicamente. Già, non era riuscito a tenersi nemmeno un ragazzo, li aveva fatti scappare tutti, soprattutto quando aveva parlato di impegnarsi seriamente, magari con un matrimonio.
Arthur si ritrovò a scuotere la testa, dopo aver bevuto a sua volta: «Erano degli stolti se hanno lasciato te. Sei così gentile e buono» disse con una sincerità tale che lasciò il moro spiazzato «Davvero, e secondo me saresti un buon compagno».
«Non dire così» mormorò, versando altro whisky nei loro bicchieri «Non dirlo, ti prego…» mormorò, la sua voce era un po’ disperata e Arthur si chiese come mai avesse quel tono, come mai sembrasse così a pezzi in quel momento, raccontare la sua vita amorosa faceva così male? Ma lui pensava sul serio ciò che gli aveva detto; Merlin l’aveva aiutato in un momento in cui nessun altro lo avrebbe fatto, era un ragazzo speciale, sì, lo sapeva e lui non gli era indifferente. Bevvero ancora, e quando, a forza di confessioni, la bottiglia tra di loro restò vuota – Merlin aveva accennato ad un suo amante particolarmente focoso e virile e Arthur aveva raccontato di quel servo con cui si era intrattenuto una notte – si ritrovarono l’uno di fronte all’altro, i fiati che sapevano d’alcool e i pantaloni troppo stretti. E qualcosa diceva ad entrambi che quella notte sarebbe finita in modo epico.
«C’è qualcosa in te, Merlin…» sussurrò Arthur ad un soffio dalla sua bocca, appoggiandogli una mano sulla guancia «Qualcosa che mi spinge verso di te e… non riesco a capirla…» i loro nasi si sfiorarono in quell’istante e Merlin avvertì una serie di brividi scivolare prepotenti lungo la sua schiena, erano troppo vicini e troppo ubriachi, o almeno lui lo era, suo padre gliel’aveva sempre detto che era un pessimo bevitore… e adesso?
Era ubriaco e in compagnia di un re, per il quale aveva una potenziale cotta, egli era ad un soffio da lui, e tra loro c’era una tensione sessuale palpabile, che quasi poteva essere tagliata con un coltello. Il suo cuore batteva troppo forte, Arthur era troppo vicino a lui e probabilmente sentiva tutti i palpiti del suo cuore e ne rideva internamente. Sapeva che avrebbe ceduto, non era così forte, soprattutto da ubriaco. Era combattuto da un lato desiderava solo che il biondo si ritirasse, che smettesse di continuare a respirare contro la sua bocca, in quel modo che gli stava facendo girare la testa, dall’altro voleva solo che eliminasse quella maledetta distanza e lo baciasse con passione. Esattamente, perché aveva preso quella bottiglia di whisky? Era evidente che entrambi non reggessero bene l’alcool, o meglio lui sicuramente, su Arthur aveva qualche dubbio, sembrava molto più lucido di lui in quel momento.
«Arthur…» soffiò Merlin, trattenendo un gemito, fu in quel momento, con quel sussurro che le difese di entrambi cedettero e la tensione sessuale, che si era creata tra di loro, si disintegrò, infrangendosi contro le labbra dell’altro, quando Arthur eliminò la distanza tra di loro, baciandolo, inizialmente con incertezza, poi, quando le mani del moro si persero tra i suoi capelli biondi e Merlin ricambiò il bacio, sciogliendosi tra le forti braccia del re, il bacio divenne più intenso, più profondo, più passionale. Era dettato dall’alcool o da altro? Non lo sapevano, sapevano solo che in quel momento, era ciò di cui avevano bisogno entrambi. Si baciarono a lungo sul divano, Arthur spinse Merlin facendolo sdraiare, sovrastandolo con il suo corpo e continuò a baciarlo a lungo, fino a che non si separarono per necessità d’ossigeno e si guardarono negli occhi, un po’ di incertezza, un po’ di paura per quello che avevano fatto. Cos’era successo? Cos’erano quelle sensazioni che sentivano dentro di loro? Fu Arthur, forse più lucido, a rendersi conto delle loro azioni. Senza dire molto, biascicando uno scusami non so cosa mi sia preso, si alzò dal divano e scappò letteralmente nella sua stanza, barricandosi dentro, lasciandosi dietro un Merlin spaesato e confuso. Poi si lasciò cadere sul letto, lo stomaco ancora in subbuglio, il cuore che batteva forsennato e mille pensieri nella mente. Cosa era appena successo?
Merlin invece, rimasto sul divano, sdraiato e scomposto, sorrideva ironicamente, ad un passo dalle lacrime, perché stava succedendo di nuovo, prima veniva sedotto e imbambolato e poi scaricato come un rifiuto. Sebbene fossero passate solo tre settimane, si sentiva fortemente legato ad Arthur, a quello che rappresentava per lui – come avrebbe detto uno dei suoi ex, uno dei suoi randagi che lui trovava, accudiva e che poi lo mollava – soprattutto dopo quello che gli aveva fatto provare con un solo bacio.
Mai nessuno lo aveva stregato in quel modo, in così poco tempo e con un solo bacio. Ed era anche andato via in tempo record, forse disgustato da ciò che aveva appena fatto, forse in collera con lui per averglielo permesso. E forse lui non reggeva troppo bene il whisky, e se suo padre fosse stato con lui, gli avrebbe detto che non era da veri uomini comportarsi così, ma si ritrovò dopo qualche minuto dalla fuga di Arthur, in lacrime sul divano, sopra al quale si addormentò in uno stato pietoso e disperato, rannicchiato su se stesso, cercando, pateticamente, di tenere insieme i cocci che Arthur si era lasciato dietro. La verità era una sola, e ammetterlo faceva male: si era innamorato di Arthur. Cosa aveva creduto che il biondo potesse in qualche modo innamorarsi di lui e poi restare lì con lui per sempre? Era solo un illuso.
 
Arthur era chiuso nella sua camera, la mente affollata da mille pensieri contrastanti, mille pensieri a cui non riusciva a trovare un senso, un filo conduttore. Come erano passati dal raccontarsi esperienze passate al baciarsi in quel modo, così profondo e passionale? Come gli era saltato in mente di baciarlo?
Non che Merlin non gli piacesse, anzi, era l’esatto contrario, ma lui sapeva che tutto quello fosse un errore; lasciarsi coinvolgere dalla situazione era un errore, perché avrebbe portato entrambi alla sofferenza. Eppure non era riuscito a resistere, lui, il re di Camelot tutto d’un pezzo, un cavaliere d’onore, non era riuscito a resistere alle labbra del giovane che lo aveva soccorso e che, in qualche modo a lui sconosciuto, aveva fatto battere di nuovo il suo cuore spezzato anni addietro. Ed era stato così facile lasciarsi andare ai sentimenti crescenti per lui, era stato facile lasciarsi avvolgere da essi, ma quando si era accorto di ciò che stava facendo, si era chiesto quanto ne avrebbe sofferto dopo, quanto ne avrebbero sofferto entrambi, quando avrebbe dovuto compiere il suo dovere da re e sarebbe dovuto tornare a Camelot. Come avrebbe fatto a lasciarsi alle spalle Merlin e tutto ciò che stava iniziando a significare per lui? Come poteva fare a se stesso e all’altro una cosa del genere? Quel liquido ambrato che gli aveva fatto bere Merlin aveva davvero uno strano effetto su di lui, per un attimo gli aveva annebbiato la mente, aveva annullato tutte le sue inibizioni, gli aveva fatto apparire chiari i suoi desideri più nascosti e l’aveva spinto verso il moro, lo aveva spinto a baciarlo, soprattutto quando si era ritrovato ad una distanza così ravvicinata, che ormai qualsiasi ritirata era impensabile. Aveva sentito il fiato caldo di Merlin sulle sue labbra, si era specchiato in quegli occhi azzurri come il cielo e semplicemente tutte le sue barriere erano cadute, una dietro l’altra come per magia. Ed era stato in quel momento, in quel preciso istante che si era lasciato andare, che lo aveva baciato e lo aveva sentito ricambiare, sì, Merlin aveva ricambiato con passione il suo bacio, e lo aveva sentito sciogliersi tra le sue braccia, aveva sentito ogni suo tremito, e poi la sua passione, così si era lasciato coinvolgere fino a che, come se fosse stato colpito da un forte schiaffo, si era risvegliato, era tornato in sé e aveva capito di non poterlo fare. E adesso era nella sua stanza, chiuso dentro come il peggiore dei codardi, a riflettere. Doveva affrontare la situazione da uomo, fronteggiare Merlin e dirgli tutta la verità, sì, il codice gli suggeriva di affrontare a viso aperto la situazione, ma quando raccolse il coraggio ed uscì dalla sua stanza, ritornando nel salotto di Merlin, la visione che ebbe davanti agli occhi gli spezzò il cuore. Il moro era rannicchiato sul divano e Arthur poteva vedere il suo corpo scosso dai brividi e dai singhiozzi, ed era tutta colpa sua. Si disse che quel giovane tanto nobile d’animo meritasse qualcosa di più, qualcosa di meglio di un bacio da ubriachi e una sua fuga, meritava una spiegazione e forse qualcosa di più. Non sapeva ancora cosa avrebbe fatto, lasciò semplicemente che la notte passasse e portasse qualche buon consiglio.
 
§§§
 
Passarono alcuni giorni da quel bacio pregno d’alcool, i due giovani cercarono di non darvi peso, accusando l’alcool e la disperazione, per aver commesso un atto tanto disgraziato, che aveva lasciato una piccola ferita nei loro cuori, soprattutto in quello di Merlin, che non riusciva a guardare Arthur negli occhi per più di dieci secondi. Fin dal giorno dopo, aveva finto di non ricordare il bacio, di non ricordare il sapore delle labbra del biondo, di non ricordare lo sguardo smarrito del re e la sua fuga successiva, aveva finto di non ricordare e rendersi conto che per Arthur andasse bene così, faceva male, quasi quanto avevano fatto male le sue precedenti rotture. Come poteva Arthur ridurlo in quel modo, senza che avessero una relazione? Con un solo bacio? Certo, si era comportato normalmente con lui, ma evitava accuratamente il suo sguardo, per evitare che il biondo vi leggesse dentro tutto il suo tumulto.
Almeno c’era il lavoro che lo distraeva dal pensiero costante del re, soprattutto adesso Arthur era molto più tranquillo, quando restava a casa da solo e si dilettava, tra le altre cose, a rendere impossibile la vita lavorativa dell’infermiere, perché da quando aveva quel dannato telefono, gli scriveva ogni scemenza che gli passava nella mente. A volte erano testi di canzoni che gli piacevano particolarmente (maledetto lui e quando gli aveva fatto scoprire Youtube) e altre volte erano cose insensate, come incredibili scoperte che faceva, come un programma tv, o l’esistenza dei treni (sul serio, aveva parlato per ore del fatto che gli sarebbe piaciuto prendere il treno, e Merlin gli aveva promesso che un giorno lo avrebbe portato da qualche parte solo per farlo stare zitto, o meglio, farlo smettere di scrivere) o degli aerei (Le macchine che volano, Merlin! Come fanno a volare? A Camelot solo gli uccelli volano, Merlin!) e altre cose che, però, lo facevano sorridere, la sua ingenuità riguardo il moderno gli metteva allegria, e forse era anche per questo che Arthur gli piaceva così tanto, forse era per questo che se ne era innamorato perdutamente.
Una prima vibrazione lo fece sussultare, stava accompagnando un paziente a fare una tac, quando Arthur aveva deciso di disturbarlo, ignorò il telefono e portò a termine il suo lavoro come sempre, rassicurando il paziente e dicendogli che avrebbero finito presto, preparandolo all’esame medico. Poi un altro messaggio aveva fatto vibrare il suo telefono e lui aveva sbuffato, sotto lo sguardo divertito di Freya, che lo prendeva in giro perché, secondo lei, aveva un ragazzo misterioso di cui non voleva parlare con nessuno. Quello che la collega e amica non sapeva era che Arthur non era il suo ragazzo e che doveva assolutamente farlo tornare a casa sua, prima che per il suo cuore, già troppe volte spezzato, fosse tardi. Perché il biondo era come un uragano, era arrivato nella sua vita e l’aveva travolta e l’aveva fatto sentire meno solo e miserabile, e lo faceva stare bene quando usciva soddisfatto dal bagno per essersi lavato nella scatola con la pioggia calda, o quando girava con l’accappatoio, (pardon, copri-corpo soffice) facendo perdere la sanità mentale a Merlin, con quelle gambe muscolose al vento, o quando girava a torso nudo e metteva in mostra quegli addominali scolpiti e quelle braccia muscolose – e santo cielo, quante volte si era incantato a guardarlo allenarsi con la spada? Sì, alla fine l’appendiabiti era diventato il fantoccio per gli allenamenti, Arthur l’aveva già rotto, dopotutto – ma più del suo aspetto fisico, a Merlin piaceva particolarmente quando Arthur mostrava il suo lato tenero, quello che nascondeva perfettamente e tirava fuori nei momenti meno probabili, aiutandolo a sparecchiare, o facendogli trovare la tavola apparecchiata, quando lo vedeva particolarmente stanco e anche quando quella volta si era offerto di cucinare lui per entrambi per ringraziarlo del suo aiuto (certo, aveva carbonizzato tutto, ma era stato il pensiero a contare: quella sera si erano ritrovati sul divano, l’uno vicino all’altro, a consumare del cibo d’asporto che Arthur aveva apprezzato particolarmente). Si ritrovò a sorridere, pensando a lui e si disse che era fin troppo scortese da parte sua non rispondere ai suoi messaggi, in fondo, entrambi non avevano più parlato dell’accaduto e fino a quel momento, non aveva fatto intendere all'altro che per lui avesse significato qualcosa quel bacio.
Merlin, ho fatto una scoperta oggi, mentre guardavo la tele-vista” – recitava il primo messaggio – “Merlin, perché non vuoi sapere cosa ho scoperto?” – recitava il secondo – “Il tuo silenzio mi offende, cosa ho fatto, stavolta?” – ecco il terzo – “Merlin, mi rispondi?” – e infine il quarto. Merlin sorrise davanti a quei messaggi e a quelle domande, come poteva evitarsi di farlo? Arthur era adorabilmente viziato anche in quello.
Sto lavorando, Arthur. Non posso risponderti sempre. Cosa hai scoperto?” – digitò in fretta, sforzandosi di non sorridere come un idiota. Quel maledetto re gli dava alla testa.
“Ho visto una gara di persone che cucinano. Sarebbero ottimi cuochi di corte” – digitò il re – “Si può sapere perché nel tuo tempo fanno le gare per capire chi sarebbe un miglior cuoco di corte?”
“Stai guardando Masterchef? Davvero, Arthur?”
“Non lo so. Forse? Non ricordo bene il nome del programma” – scrisse in fretta, continuando a digitare – “Comunque, ora che ho la tua attenzione, quando torni a casa? Ho bisogno di parlarti di una cosa”
Appena finisco il turno”
Ok. Porta un po’ di quel delizioso cibo già preparato che hai preso l’altra volta. E voglio anche il ghiaccio soffice e dolce. A dopo, Merlin” – digitò il biondo – “Lavora bene” – aggiunse – “Ah, Merlin, tu sai cos’è il foie gras? In quel programma lo cucinavano tutti.”
“Non ne ho la più pallida idea. A dopo, ti porterò tutto ciò che vuoi; non fare danni. Grazie.”
Merlin si sentì strano, davanti a tutta quella tenerezza, era così strano per lui intrattenere conversazioni così con qualcuno, nessuno dei suoi precedenti ragazzi si era comportato così. Arthur a modo suo gli augurava anche una buona giornata lavorativa, era fantastico, e lui era consapevole di provare qualcosa per lui.
 
Le cose strane iniziarono quel pomeriggio, un uomo era stato ricoverato perché considerato in overdose, era in rianimazione e Merlin era incaricato di cambiargli le sacche di soluzione fisiologica; per fortuna il suo turno era quasi finito, quella giornata era stata estenuante per lui.
Entrò nella sala rianimazione e prima di tutto controllò i parametri vitali dell’uomo, lo osservò, aveva un'aria vagamente familiare, ma non ricordava dove lo avesse visto; poi iniziò l’operazione di sostituzione, quando l’uomo gli afferrò un braccio a metà del lavoro, facendogli cadere la sacca per terra – che per sua fortuna non si ruppe – e lo guardò con gli occhi vitrei, riversi all’indietro, una cosa che fece accapponare la pelle del giovane infermiere. Il macchinario a cui era attaccato parve impazzire, ma Merlin era bloccato, era paralizzato da quella mano e non poteva fare nulla. Una strana paura si fece largo in lui e quasi urlò a causa di essa.
«Arthur Pendragon deve far ritorno a Camelot» disse l’uomo con una voce profonda e sibilata «Il mondo come lo conosciamo potrebbe non esistere più, se lui non farà ritorno nel suo regno e proseguirà il suo destino» continuò l’uomo; Merlin tremò senza rendersene conto, il suo incubo era diventato reale e la voce di quell’uomo era sempre più simile a quella del suo incubo «Il re del passato e del futuro sulle sponde del lago di Avalon troverà le sue risposte e tutto l’inferno in cui è caduto il suo mondo cesserà, solo lui può porre fine alla lunga guerra tra umanità e magia, solo lui può riportare l’ordine e l’equilibrio nel mondo, sia passato che futuro» concluse con parole nuove, che Merlin faticò a capire. Poi si accasciò di nuovo, addormentato, lasciando il braccio dell’infermiere che si sentì libero di muoversi di nuovo. Tremando, Merlin controllò i suoi parametri vitali per precauzione, ma essi erano ritornati nella norma, poi sistemò la sacca nuova e fuggì da quella stanza, con il cuore che martellava con forza nel petto.
Cosa era appena accaduto in quella stanza? Cos’era? Una profezia? Cosa? Cosa volevano dire quelle parole? Cosa doveva fare lui? E perché adesso sentiva un’enorme tristezza dentro di sé, al pensiero che adesso c’era un modo per far tornare Arthur a casa?
Aveva sempre saputo che prima o poi il re se ne sarebbe andato, era questa la loro missione e adesso c’era un modo per rispedirlo a Camelot, ma non voleva che se ne andasse. Ormai si era abituato alla sua presenza e non sarebbe stato facile separarsi da lui, ma dirgli di quella svolta sarebbe stata la prima cosa che avrebbe fatto una volta tornato a casa, dopotutto Arthur aveva detto di volergli parlare, e probabilmente anche lui aveva scoperto qualcosa del genere. Alla fine era stato un bene che entrambi avessero dimenticato quel bacio, la separazione avrebbe fatto meno male.
Devo parlarti anch’io di una cosa quando torno a casa” – scrisse velocemente all’amico, si era dovuto fermare un secondo per calmarsi, se qualcuno dei suoi colleghi l’avesse visto in quello stato, si sarebbe preoccupato.
Spero che sia la stessa cosa, a dopo”.


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Hola people! 
Come promesso, prima di sparire in ritiro ascetico sono tornata con il nuovo capitolo! Teoricamente è ancora domenica, ma tecnicamente è passata la mezzanotte quindi è lunedì, sad. Non riesco mai ad aggiornare di giorno. 
Ed ecco che i due ragazzotti si avvicinano un po', un bel bacio e quasi cose divertenti, ma Arthur è un asino, e che vogliamo farci? Intanto Merlin ha gli incubi e adesso incontra strani personaggi. Cosa vorrà dirgli Arthur? Avrà trovato un modo per tornare a Camelot? O altro? Ai posteri l'ardua sentenza!
Confesso che questo capitolo andava oltre tutto ciò, ma... mi è sfuggito di mano. Era troppo lungo e l'ho dovuto tagliare un po', per renderlo un po' meno pesante da leggere (mi era venuto più veramente troppo lungo, contate che così è ottomila, ehm) ma non preoccupatevi, nulla è stato cancellato! Ma forse la storia avrà un capitolo in più, adesso mi regolo con quello che c'è dopo e vedrò ahah. Ogni tanto ci butto in mezzo Arthur divertente alle prese con il moderno perché beh, dai, è adorabile! Spero che il capitolo vi sia piaciuto! Vi posso solo dire che la Merthur vera inizierà presto e con meno complessi mentali! Anche se io sono amante dei complessi mentali, soprattutto con personaggi come Arthur che "da bravo cavaliere deve rinunciare a cose che lo fanno stare bene, per amore del suo popolo" io ci sguazzo in queste cose! (infatti più avanti c'è una piccola piccola parte triste, ma shhh, c'è l'happy ending!)
Comunque, sia, ringrazio le meravigliose persone che stanno recensendo la storia, coloro che l'hanno aggiunta alle seguite e chi spende un click per leggerla, thank you so much! 
Now, come vi ho annunciato nello scorso capitolo, mi assenterò alcuni giorni, e tornerò dopo gli esami! Ma non vi libererete di me facilmente, pft!
A presto, people!
Stay tuned!

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Capitolo 4
*** Capitolo 4: Lying for love. ***


Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!

Nota: C'è una piccola scena di sesso, niente di troppo esplicito, ma avviso! E non odiate Merlin, per favore!


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Arrivare alla fine di quel turno, per Merlin, fu davvero sfiancante; non riusciva a dimenticare la terribile sensazione che aveva provato, la tensione che lo assaliva ogni volta che pensava al fatto che Arthur potesse essere in pericolo (ancora non aveva capito se la profezia fosse un fattore positivo, o negativo), inoltre non sapeva come dirglielo.
Fin da quando tutta quella storia era iniziata, aveva capito due cose: 1) che la magia esisteva davvero, 2) che il viaggio nel tempo era possibile. Gli rimanevano ancora ignote tre cose: a) chi fosse lo stalker (anche se iniziava ad avere sospetti); b) perché quella sorta di profezia fosse indirizzata a lui; c) lo stalker, l’uomo del sogno e l’uomo in rianimazione potevano essere la stessa persona? La risposta che poteva darsi era , con la magia sarebbe stato possibile. Allora perché non si manifestava in modo deciso senza terrorizzarlo ogni volta? Doveva scoprire di più, prima di parlarne con il re.
Quando quel giorno arrivò alla fine del suo turno, l’infermiere era più stanco e provato che mai, tuttavia prima di andare via dall’ospedale, cercò quell’uomo con l’intenzione di scoprire almeno il suo nome, ma quando entrò nella sala, di lui non c’era alcuna traccia. Merlin rabbrividì (allora ho ragione, oh santo cielo, e se Arthur fosse in pericolo, adesso?) e immediatamente corse al computer dell’accettazione, guadagnandosi delle occhiatacce dall’infermiera responsabile di quella sera, per controllare chi fosse, da dove venisse, e quant’altro, ma non c’era nessuna traccia di lui; controllò anche se fosse stato spostato in terapia intensiva, ma niente; sembrava sparito nel nulla, anzi sembrava non essere mai arrivato in ospedale. Possibile che…? Merlin spalancò gli occhi, indietreggiando e passandosi una mano tra i capelli, confuso. Suscitò anche la curiosità di un paio di colleghi che lo guardarono confusi, ma eluse le loro domande correndo a cambiarsi per tornare a casa. Com’era possibile che non ci fossero notizie di quell’uomo? Dov’era finito? Come poteva essere sparito nel nulla? Era davvero lo stalker, allora? Era davvero lui quello che lo perseguitava? Che gli faceva fare quei sogni strani? Era uno stregone, allora, per questo quando gli aveva detto quelle cose, i macchinari erano impazziti? Per questo non risultava essere da nessun’altra parte? Merlin non lo sapeva, non sapeva cosa pensare e adesso era davvero spaventato; doveva assolutamente parlare con Arthur di tutta quella storia, di quell’uomo e della profezia.
Uscì dall’ospedale che aveva i brividi di paura per quanto accaduto, non sapeva spiegarselo, non sapeva cosa pensare, non sapeva nemmeno cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi, sapeva solo di dover parlare con Arthur e dirgli tutto, prima che qualcosa di brutto potesse accadere. Camminò per la strada con aria circospetta, guardandosi intorno guardingo, ma dello stalker misterioso non c’era traccia; questo gli fece ancora più paura, perché voleva dire che i suoi sospetti erano corretti. Santo cielo, e se avesse fatto del male ad Arthur? Beh, il biondo sapeva difendersi, certo, sbandierava quella spada a destra e a manca, ma se fosse stato davvero uno stregone, come avrebbe fatto a difendersi con la sola spada?
Istintivamente, mentre camminava verso casa, scrisse un messaggio ad Arthur per accertarsi della sua salute: “Ehi, sto tornando adesso, tutto bene a casa?
Certo, la nostra fortezza è ben protetta” – scrisse Arthur, e Merlin sorrise alla sua risposta – “Non dimenticare il ghiaccio soffice, mi raccomando”.
No, tranquillo, avrai il tuo milk-shake” – tutto quel trambusto gli aveva fatto dimenticare di dover andare a comprare la cena – “Compro la cena e torno”. Arthur gli rispose con una faccina sorridente, e l’infermiere scoppiò a ridere, accantonando per un momento tutta la tensione accumulata. Un re del Medioevo che rispondeva con le faccine era la cosa più buffa e divertente che gli fosse mai capitata, e l’avrebbe apprezzata anche di più, se non fossero accadute tutte quelle cose strane, quel giorno.
Le parole della profezia si ripetevano nella sua mente come un mantra, ed erano le stesse che aveva sentito nei suoi sogni, erano le stesse che gli venivano dette in quel sogno inquietante in cui era su un lago e adesso c’era quell’aggiunta riguardante il lago di Avalon, che fosse quella la chiave per riportare Arthur a Camelot?
Come promesso al biondo, prima di tornare a casa, si recò al fast-food e prese alcuni cheeseburger per entrambi, un milk-shake per Arthur e un muffin per sé; poi riprese la strada di casa. Era a pezzi quando riuscì a raggiungere il suo appartamento ed era pronto anche a parlare con Arthur di quello che aveva scoperto, se ciò che aveva scoperto non era una trappola, significava che erano arrivati ad una svolta importante, finalmente c'era un indizio importante, e Arthur sarebbe stato felice di tornare a casa sua. Avrebbe realizzato il suo destino, o qualcosa del genere, così gli diceva sempre quando parlavano del suo ritorno a Camelot. Tuttavia, non era pronto a quello che sarebbe accaduto in quella casa da quel momento in poi.
«Merlin» lo accolse il biondo quando entrò, aveva un sorriso enorme sulle sue labbra «Sei arrivato».
«Sì, Arthur» disse stancamente, posando la sua tracolla per terra. Il biondo fu subito accanto a lui, gli tolse la busta con il cibo d’asporto dalle mani, ne constatò prima il contenuto con un’espressione soddisfatta, e poi mise un braccio attorno ai fianchi del moro, che, stancamente, si lasciò andare contro di lui, lasciandosi sorreggere. Era particolarmente affettuoso quella sera, constatò Merlin, lasciandosi sorreggere da lui, e la cosa gli faceva stringere il cuore nel petto: non avrebbe mai più avuto tutto quello, non avrebbe più avuto Arthur ad accoglierlo con quel sorriso, con quelle sue premure.
Quindi si lasciò condurre nella sua cucina-salotto, il biondo lo aiutò a togliersi il giubbotto e lo fece accomodare, Merlin notò che avesse già apparecchiato, lo guardò accigliato per una spiegazione e l’altro alzò le spalle con aria di ovvietà.
«Quando hai il turno che finisce all’ora di cena, sei sempre più stanco, perché non torni per pranzo» disse guardandolo con una punta di dolcezza e un mezzo sorriso sulle labbra, dio, avrebbe baciato fino a svenire quel sorriso «Volevo cucinare io, ma… sai che io e le cose moderne non andiamo molto d’accordo» disse.
«Lo so… è tutto molto carino, mi piace quando prendi l’iniziativa» disse mordendosi le labbra con fare nervoso, i suoi sensi erano all’erta, qualcosa stava per succedere, e inoltre doveva dire ad Arthur di quell’uomo, che gli aveva rivelato quella profezia che gli aveva messo i brividi, ma c’era qualcosa nell’aria che era diverso dal solito, quasi dolce.
«Arthur, che stai cercando fare?» chiese Merlin, mentre osservava il biondo svuotare la busta con la cena, e sedersi esattamente di fronte a lui, lo sguardo dolce e amorevole, e qualcosa dentro Merlin si spostò, si mosse e precipitò, tutto insieme, tutto lasciandolo senza fiato.
«Beh, se fossimo stati a Camelot e io avessi voluto corteggiarti, ti avrei mostrato le mie abilità con la spada e ti avrei invitato a venire con me fuori dalle mura del mio castello, per una colazione da soli» a Merlin mancò il fiato in gola e non riuscì a rispondere, così Arthur andò avanti «Non sapevo quale fosse l’usanza di questo tempo, ma ho letto alcune cose sul coso là, la scatola magica che rivela le verità».
«Il PC?» domandò il moro, mentre il biondo annuiva serio, senza riuscire a smettere di guardarlo «Aspetta, che significa che vuoi corteggiarmi?» chiese sbalordito.
«Pensavo che il corteggiamento esistesse anche in questo tempo» disse ridendo, Merlin notò le sue gote leggermente rosse e si zittì, era così carino; sapeva di doverlo fermare, di dovergli dire tutto, ma non ci riuscì «Non sapevo esattamente come fare, a Camelot avrei chiesto al mio servitore di organizzare tutto» borbottò sempre più imbarazzato «Ma ci sono riuscito da solo, e sono contento che alcune cose siano rimaste invariate. Sono uscito oggi» disse con serietà «E ti ho preso una cosa» continuò, poi si rese conto di non avere la "cosa" «Dannazione l’ho dimenticato di là. Aspetta» con velocità, sparì nel corridoio e tornò dopo pochi minuti con un mazzo di fiori di lillà, margherite e non ti scordar di me tra le mani, che mise subito davanti al naso dell’infermiere che arrossì al gesto, restò in piedi accanto a Merlin e riprese a parlare «Ho chiesto al venditore di fiori qualcosa per omaggiarti e per corteggiarti» spiegò piano, sorridendo «Gli ho spiegato la situazione e lui ha composto questo particolare mazzo di fiori» disse ancora, mentre il cuore di Merlin faceva le capriole «Questi qui, i lillà sono particolari, significano palpiti d’amore, un amore che non si riesce ad esprimere a parole, e io non sono bravo con le parole» disse grattandosi la nuca con imbarazzo «Lui ha detto che erano adatti alla situazione, e… mi sono fidato. E poi mi ricordavano te, non per il colore, ma per la loro delicatezza. Tu sei così dolce e delicato…» si morse le labbra, poi si costrinse a continuare «Le margherite invece sono per la tua semplicità e la tua bellezza, perché anche se pensi di passare inosservato, giuro che non lo fai, tu colpisci le persone e non te ne accorgi nemmeno…» mormorò piano, e poi sorrise di nuovo «E i non ti scordar di me sono i miei preferiti, perché sono blu come i tuoi occhi e… perché sono una promessa d’amore, quello che sto iniziando a provare per te, Merlin» disse, il moro prese un respiro per dire qualcosa, ma Arthur aggiunse «Perché, non so in che modo, tu mi hai fatto battere di nuovo il cuore, come credevo non sarebbe accaduto mai più nella mia vita».
«A-Arthur…» balbettò Merlin, sentendo delle calde lacrime iniziare a scivolare sul suo viso, oh no, no, Arthur era perfetto in quel momento, una dichiarazione così poteva solo immaginarla nei suoi sogni e nemmeno sarebbe riuscito ad equiparare la bellezza e il modo tenero in cui Arthur gli aveva detto quelle cose. Quelle erano lacrime miste tra gioia e disperazione, perché maledizione, doveva dirgli della profezia, lo sapeva, non avrebbe dovuto farlo arrivare a quel punto.
«Ti prego, dimmi qualcosa, perché adesso non so più cosa dire e mi sento in imbarazzo, un re non dovrebbe mai sentirsi in imbarazzo e…» il biondo stava straparlando e gli succedeva solo in presenza di Merlin, che si alzò e lo fronteggiò, guardandolo negli occhi, prima di zittirlo con un lungo bacio, interrompendo così il suo flusso di parole, sorridendo contro la sua bocca e piangendo contro il suo viso per la bellezza delle parole che gli aveva detto, per dirgli che lo amava anche lui, che quello era tutto ciò che aveva sempre sognato, ma non potevano averlo.
«Provo lo stesso, Arthur» riuscì a dire contro le sue labbra, sorridendo e riprendendo a baciarlo, mentre il re, adesso, rilassandosi, avvolgeva le sue forti braccia attorno ai fianchi magri del moro e lo tirava a sé, stringendolo forte e baciandolo nel miglior modo possibile, con tutta la passione e il sentimento forte che provava. Gli accarezzò dolcemente il viso, eliminando le lacrime da esso. «Ma io… io pensavo che tu…» mormorò Merlin, senza fiato.
«Non mi sono mai pentito di averti baciato, quella sera» sussurrò Arthur contro le sue labbra, una mano tra i suoi capelli, l’altra a circondargli il volto con dolcezza, mentre con il pollice gli accarezzava le labbra già gonfie.
«Nemmeno io, ma credevo… lo avessi fatto solo perché eri ubriaco, ma che non volessi avere nulla a che fare con me».
«Solo un pazzo non vorrebbe avere nulla a che fare con te, Merlin» soffiò Arthur sulla sua bocca, riprendendo a baciarlo; quelle labbra erano un vero peccato mortale – pensò il moro – mentre desiderava solo che quell’attimo si fermasse e durasse per sempre, perché per la prima volta si sentiva felice, davvero felice.
«E sentiamo» mormorò il moro staccandosi dalla sua bocca, per riprendere fiato, gli occhi lucidi «Perché mi avresti chiesto di portare la cena dal fast-food? Per un corteggiamento non è l’ideale».
«Beh, se fossimo stati a Camelot, ti avrei fatto preparare la migliore cena di tutto il regno» disse con ovvietà, fissandogli le labbra, desideroso di baciarlo ancora «Ma io, come ti ho detto, non so cucinare e la tua infernale cucina moderna è un mistero per me».
«Apprezzo il pensiero» mormorò Merlin divertito. Quindi Arthur aveva pensato di cenare da soli – chi se ne fregava che era semplice cibo da fast-food – si era dichiarato in quel modo romantico e… lui avrebbe dovuto dirgli della profezia, perfetto, no? Come rovinare un momento perfetto, avrebbe potuto scrivere un manuale universitario sulle sue sfighe d’amore – pensò ironicamente; la situazione era surreale.
«Non stai pensando al cibo ora, vero?» domandò il re, avvicinandosi pericolosamente a lui, sfiorando le sue labbra con un leggero bacio. Merlin, per tutta risposta, annuì perché, nonostante tutto, aveva fame. Scoppiarono a ridere in sincrono, l’uno contro la fronte dell’altro, e Arthur si disse, che, soffrire in futuro, ne sarebbe falsa la pena, se in quel momento, poteva avere Merlin felice e rilassato tra le sue braccia.
«Ti ho anche portato la tua neve soffice!» esclamò Merlin, ridacchiando, perché, davvero, sentiva una strana euforia dentro di sé, un’euforia che superava persino la consapevolezza di dovergli dire quella cosa. Cercò di non pensarci, non mentre si sedevano l’uno di fronte all’altro continuando a scrutarsi con desiderio e con voglia di far tutt’altro. Non poteva pensare a cose negative, non con Arthur che lo guardava in quel modo, fissandogli le labbra e il volto; si costrinse a non guardare Arthur mentre mangiava, perché altrimenti gli sarebbe saltato addosso subito – e all’altro non sarebbe nemmeno dispiaciuto, supponeva.
«Era di questo che volevi parlarmi?» chiese Arthur, lo sguardo speranzoso, mentre gettavano via i contenitori vuoti della cena appena consumata.
«Cosa?»
«Prima, mi hai detto che dovevi dirmi qualcosa. Riguardava questo o era altro?»
«Oh» devo dirglielo, non posso fare una cazzata adesso, potrei perderlo, se non glielo dico… pensò mordendosi le labbra ma rovinerei il momento… glielo dirò domani «Qualcosa del genere, sì» mentì deglutendo. Sì, gliel’avrebbe detto il giorno dopo, e si sarebbe goduto una serata, una sola serata con Arthur, e poi gli avrebbe raccontato tutto; una sola serata non era chiedere troppo, giusto?
«Bene» mormorò il biondo, prima di avventarsi di nuovo sulle sue labbra, coinvolgendolo in un altro bacio appassionato.
E Merlin avrebbe sul serio voluto comportarsi diversamente, avrebbe davvero voluto essere una persona migliore, avrebbe voluto evitarsi una situazione del genere, ma… Arthur era troppo travolgente e lo desiderava troppo per potersi fermare adesso; si ritrovò a respirare contro il suo volto, ansimante con le mani affondate tra i suoi capelli biondi e fu proprio lui a prendere l’iniziativa e trascinare il re con sé nella sua stanza, non voleva aspettare, non voleva perdere tempo – dopotutto non ne avevano molto – voleva Arthur.
«Ti ricordi cosa mi hai detto quando sei arrivato qui, a casa mia?» mormorò ad un soffio dalle sue labbra, mentre tirava giù la zip della sua felpa «A parte accusarmi di essere uno stregone» rise, mentre faceva scivolare l’indumento lungo le sue possenti spalle; santo cielo, Merlin sarebbe impazzito, ne era certo.
«Che avresti dovuto aiutarmi a spogliarmi, tu ti sei rifiutato dicendo che nel tuo tempo non era usanza spogliare gli altri uomini» ribatté Arthur, togliendogli il maglione, e la maglia di cotone in un solo gesto, lasciandolo a petto nudo davanti a sé.
«Beh, c’era un sottinteso» sussurrò Merlin, dopo avergli baciato il collo «Si spoglia un altro uomo, solo quando hai voglia di portartelo a letto» mormorò direttamente sulle sue labbra ridendo, prima di lasciare anche lui a petto nudo, togliendogli la canottiera. Poi lo baciò con rinnovata passione, mentre Arthur cambiava le loro posizioni e spingeva il più minuto sul letto per poi sovrastarlo con il suo possente corpo, senza pesargli addosso e attaccava con particolare enfasi il suo collo niveo.
«Non è bene mentire ad un re, Merlin» soffiò contro la sua pelle accaldata, facendolo rabbrividire «Avresti dovuto dirmelo…» sussurrò continuando a lambire la sua pelle con morsi e baci e continuando a spogliarlo degli abiti «Avrei fatto tutto questo prima». Poi fu il turno di Merlin di esplorare quel corpo che aveva desiderato fin dal primo momento, con le labbra e con le mani percorse quei muscoli tonici, incontrò anche alcune cicatrici che baciò una ad una, facendo tremare il re e saggiò ogni lembo di quel corpo che lo aveva sempre stuzzicato.
«Arthur… sei magnifico» gli sussurrò, mentre gli baciava il collo e gli lasciava un leggero succhiotto, proprio lì, tra la scapola e l’incavo del collo, assaggiando quella pelle, bevendone ogni singolo spasmo e gemito. Lo baciò ancora e Arthur lo baciò con ardore, senza riserve alcune, facendogli girare la testa come mai nessuno prima di lui aveva fatto. «Ti voglio…» gemette il moro nel bacio, facendo tremare, di nuovo, il re. Se Merlin avesse continuato così, Arthur era certo che sarebbe impazzito. Non sapeva cosa gli fosse accaduto, ma il moro gli aveva sconvolto la vita, con lui aveva sentito di poter amare ancora una volta e non voleva tornare indietro. Annuì alle sue parole, baciandolo leggermente, poi lo fece scivolare sotto di sé e lo accarezzò piano. Lasciò vagare le mani su di lui, sulla sua pelle calda, sentendosi in piena estasi. Arthur lo preparò con calma e delicatezza, senza forzarlo troppo, attento ad ogni sua esigenza – santo cielo, era anche un amante perfetto, non aveva mai avuto dubbi a riguardo – e poi quando fu pronto, il biondo intrecciò le loro mani e lo baciò delicatamente sulle labbra.
«Sei bellissimo» sussurrò, prima di spingersi in lui, con attenzione e calma, per non fargli male; anche se sentiva il sangue ribollire nelle sue vene, voleva essere attento e amorevole con lui, fargli godere quella loro prima volta nel modo giusto, non voleva vedere smorfie di dolore su quel bel volto «Merlin…» gemette.
«Vai… vai…» lo incitò il moro, stringendo la sua mano, invogliandolo ad andare più veloce «Fai l’amore con me, Arthur…» sussurrò, a quelle parole il biondo gemette e annuì, spingendosi in lui con un’unica spinta, che fece gemere un po’ più forte il moro. Poi il suo ardore, la sua passione fecero il resto, e con essi portò entrambi all’apice del piacere, strinse Merlin contro il suo corpo, mentre gemevano l’uno il nome dell’altro, travolti dalle forti emozioni che provavano in quel momento. Restò diversi minuti con il naso affondato tra i capelli del compagno e sorrise. Era la prima volta che si sentiva così ebbro di sentimenti, che si sentiva vivo e amato.
«Arthur…» sussurrò il moro, guardandolo con l’espressione beata, anche se sfinita «Sono tuo».
«Mio» sussurrò Arthur baciandolo piano, accarezzandogli i capelli «Come io sono tuo».
 
§§§
 
Quello fu uno dei risvegli migliori di Arthur nel nuovo mondo. Era da giorni che si sentiva strano, come non si era mai sentito, da quando c’era stato quel bacio con Merlin le cose tra di loro erano cambiate. Il moro quasi non lo guardava in faccia, sembrava ferito dal suo atteggiamento – come biasimarlo – e lui si era scoperto a guardarlo in ogni momento, quando l’altro non guardava nella sua direzione. C’erano degli atteggiamenti del ragazzo che più di altri lo avevano conquistato: il modo che aveva di storcere il naso quando c’era qualcosa che non gli piaceva, il modo buffo che aveva di gonfiare le guance quando sbuffava – Arthur lo trovava assolutamente adorabile – il suo mordersi le labbra insistente quando era nervoso, e i suoi occhi ridotti a fessure quando era stanco, e tante altre piccole cose che lo avevano spinto sempre di più tra le sue braccia. Una volta, al suo risveglio, lo aveva trovato in cucina, con il suo tele-mobile  acceso, una melodia in riproduzione, tutto intento a canticchiare e a ballare, mentre preparava la colazione, tanto concentrato da non accorgersi della sua presenza. E lui nemmeno aveva fatto qualcosa per farsi notare, Merlin era così assorto e così bello in tutto il suo essere che Arthur era rimasto ammaliato da lui. Non era riuscito a staccare gli occhi dal suo corpo sinuoso, dai suoi fianchi magri che ondeggiavano, e non seppe dire quanto tempo fosse rimasto appoggiato allo stipite della porta, ad osservarlo. Poi, quando si era reso conto che il moro stava per voltarsi e vederlo, allora aveva fatto qualche passo indietro, ed era entrato in cucina sbadigliando e stiracchiandosi come se si fosse appena alzato, ma non aveva alzato lo sguardo su di lui, forse imbarazzato dal subbuglio di emozioni che stava provando, emozioni nuove, che si fondevano con altre che aveva provato in passato e adesso riaffioravano. Solo una volta, in tutta la sua vita aveva provato una cosa del genere. E sapeva di non poterselo permettere, perché questo lo avrebbe fatto soffrire come nient’altro, quando il giorno di tornare a casa sarebbe giunto, perché lui sapeva che prima o poi sarebbe ritornato a Camelot per compiere il suo destino e salvare il suo popolo. E inevitabilmente il suo cuore si sarebbe spezzato.
Quindi aveva tentato di sommergere quei sentimenti nel fondo del suo cuore, ma era stato impossibile fermare quei sentimenti, soprattutto dopo quel bacio, quel bacio che aveva stravolto tutto, perché l’alcool aveva eliminato le sue inibizioni, ed era stato come tornare a respirare dopo un prolungato momento di apnea, e, nonostante fosse scappato come il peggiore dei codardi, aveva capito di essere innamorato di Merlin, perché il suo cuore gli suggeriva solo quel sentimento, anche se era difficile per lui ammetterlo, era sempre stato difficile per lui ammettere ciò che provava. E si era incaponito, aveva tentato di scacciarlo, ma nei giorni seguenti al bacio, aveva visto un dolore cieco negli occhi del moro, tanto che si era chiesto se la sua fosse la scelta giusta. Poteva continuare a negare a se stesso quelle emozioni? Poteva continuare a dirsi che non era nulla, che per Merlin non provasse nulla? E poi nella mente aveva ancora l’immagine di Merlin addormentato sul divano, addolorato e in lacrime. Non voleva mai più vederlo in quelle condizioni. Poteva ancora continuare a negare i suoi sentimenti? No, era questa la conclusione a cui era arrivato, dopo quei giorni di sordo dolore che aveva provato anche lui, perché in qualche modo il suo rapporto con Merlin, dopo quel bacio era cambiato. E non poteva farci nulla, lo amava. Così aveva organizzato la sorpresa per lui, non era stato facile uscire e comprare dei fiori, lui usciva raramente da solo, senza Merlin. Era ancora inesperto di quel mondo così lontano dal suo, e difficilmente si sarebbe adattato completamente: una volta aveva sfidato a duello un vigile del traffico perché gli aveva impedito di attraversare e un’altra volta era stato quasi picchiato da un bruto barbaro senza cervello, perché gli aveva fatto notare che gli era passato davanti, mentre erano in fila. Merlin aveva deciso saggiamente che non sarebbe uscito da solo, mai più e Arthur lo aveva ascoltato, gli veniva facile ascoltare i suoi consigli, e non capiva nemmeno perché, se fossero stati a Camelot non sarebbe mai accaduto. Nessuno osava parlargli nel modo in cui Merlin si rivolgeva a lui: non esitava a chiamarlo asino o testa di fagiolo, quando lo riteneva necessario; probabilmente a Camelot avrebbe fatto punire un simile atteggiamento con la gogna – o forse con Merlin non sarebbe successo, non lo sapeva.
In quel momento, Merlin dormiva placidamente accoccolato stretto al suo corpo, con la guancia sul suo petto e i suoi capelli scuri gli solleticavano il naso, facendolo sorridere. Lui non era da meno, il suo braccio destro circondava le spalle dell’altro e con quello lo stringeva a sé, con più forza da quando si era svegliato. E non avrebbe mai voluto interrompere quel momento magico e perfetto. La notte che avevano condiviso era stata una delle più belle della sua intera vita, si era sentito coinvolto e travolto dal sentimento come mai gli era capitato e stentava a credere che lui potesse aprire in quel modo il suo cuore. Merlin gli aveva donato il proprio, lo aveva capito quando il moro lo aveva baciato, dicendogli di provare le stesse cose che lui gli aveva confessato, e lui non voleva spezzarglielo, lui non voleva ferirlo, non voleva che quella bolla perfetta in cui erano caduti si rompesse, eppure sapeva che sarebbe successo presto.
«Mmh…» un leggero lamento arrivò alle sue orecchie, e immediatamente i pensieri negativi scomparvero dalla sua mente, per prestare tutta la sua attenzione al bel ragazzo che aveva tra le braccia, che si stava svegliando «Ehi…» sussurrò, appunto, Merlin proiettando quelle schegge di cielo nei suoi occhi «Buongiorno…» biascicò.
«Buongiorno anche a te…» sussurrò Arthur, abbassandosi sulle sue labbra, accogliendolo in un nuovo giorno con un dolce bacio languido, che presto divenne più passionale. Ah, non sapeva come definire quel momento se non come "perfetto" perché il suo cuore era colmo d'amore.
«Sei qui…» sussurrò a quel punto Merlin guardandolo.
«Dove dovrei essere?» chiese divertito «Non vorrei essere in nessun altro luogo adesso».
Il moro sorrise, perso nel suo sguardo, e si sporse verso di lui, dandogli un altro bacio leggero sulle labbra. Arthur sarebbe impazzito per quei baci dolci e delicati, ne era certo. Era impazzito per Merlin.
«Riesci sempre a dire le cose giuste…»
«Ovvio, sono il re» ribatté con sarcasmo, guadagnandosi un pugno giocoso sul braccio «Ehi! Ti farò mettere alla gogna per questo» mormorò divertito «O forse te la farò pagare a modo mio» disse, un lampo di furbizia negli occhi, e, senza che l’altro potesse reagire, portò il proprio corpo, ancora gloriosamente nudo, sopra quello dell’altro e iniziò a fargli il solletico nei punti strategici e lo sentì iniziare a contorcersi sotto di lui, ridendo e dimenandosi.
«Art-Arthur» biascicò tra le risate «T-Ti prego!» esclamò scoppiando a ridere più forte, coinvolgendo anche il re nella sua risata, che imperterrito continuò fino a fargli supplicare la resa. Quando si fermò, pose le sue mani sui fianchi dell’altro e si ritrovò a guardarlo: Merlin era rilassato, gli occhi socchiusi, alcune lacrime tra le ciglia a causa delle risate, il petto che si alzava e abbassava per le risate appena cessate, i capelli spettinati e sparati in ogni direzione… era magnifico. Forse per quello, o per un’altra serie di motivi, si abbassò su di lui per baciarlo piano e dolcemente, cercando di trasmettergli tutte le emozioni che l’altro era in grado di fargli provare.
Immediatamente sentì le mani dell’altro tra i suoi capelli e le sue labbra muoversi in sincrono alle proprie, entrambi si lasciarono travolgere dal bacio, mentre i loro cuori battevano all’unisono e loro due s’innamoravano giusto un po’ di più.
Merlin sorrise contro le sue labbra e: «Che ne dici? Colazione a letto?»
«Non devi lavorare?» chiese Arthur accarezzandogli i fianchi, incapace di tenere le mani lontano da lui.
«Turno di notte, esco prima di cena» disse, leggermente mortificato. Arthur lo guardò sporgendo il labbro, non gli piaceva quando Merlin aveva il turno di notte, passava la nottata in bianco, preoccupato per lui, e si addormentava solo quando l’altro rientrava all’alba. Era strano e stupido, ma… lui era fatto così.
«Quindi abbiamo tutta la giornata per noi» mormorò il biondo, baciandogli delicatamente il collo «Direi di saltare la colazione e occuparci di attività più piacevoli» soffiò contro la sua pelle accaldata «Hai obiezioni?»
«Nessuna, vostra altezza» biascicò, e Arthur si sentì in dovere di trascinarlo in un altro, intenso, bacio bollente.
 
 
Merlin si stava rivestendo, aveva appena indossato i pantaloni e stava cercando la maglietta, in quel caos di vestiti sparsi per tutta la stanza, quando Arthur lo abbracciò da dietro, attirandolo verso di sé con forza, facendo combaciare il suo petto con la schiena del moro, lasciandogli un bacio sotto all’orecchio: «Devi proprio uscire?» sussurrò contro la sua pelle, facendolo rabbrividire. Santo cielo, quell’uomo aveva il potere di rendere le sue gambe molli come gelatina, non poteva lasciare che lui lo coinvolgesse, doveva andare a lavorare, e anche se non voleva lasciare quella stanza, sapeva di doverlo fare per puro senso del dovere. Anche se le braccia forti di Arthur che lo stringevano e le sue mani che sapientemente lo accarezzavano, gli facevano perdere qualunque altra facoltà razionale. E poi le sue labbra che gli lambivano collo, erano pura estasi. Come poteva resistere a tutto ciò?
«Vorrei restare, ma devo lavorare» mormorò, cercando di sfuggire alla sua presa forte, senza molti risultati, un po’ perché Arthur era davvero forte – cielo, c’era una differenza abissale tra l’immaginare di essere tra quelle braccia, e sentirsi stretto tra esse, era una sensazione che lo faceva rabbrividire – un po’ perché non voleva davvero allontanarsi da lui.
«Non posso convincerti in alcun modo?» sussurrò al suo orecchio «Non puoi prenderti una giornata di vacanza?» soffiò, lasciandogli un bacio leggero sul collo, Merlin rabbrividì, era un mare di brividi e non riusciva a pensare lucidamente.
«A-Arthur…» balbettò a disagio; come poteva essere così sfacciato, nonostante il suo essere tanto cavalleresco?
«Merlin…» un altro bacio si posò sulla sua spalla ancora nuda e poi un altro sul collo e uno sulla mascella, e uno sotto l’orecchio «Non farti pregare…» continuò la sua tortura, muovendo leggermente il proprio corpo contro quello dell’amante che rabbrividì una volta di troppo e si lasciò andare completamente, si voltò verso di lui e gli gettò le braccia al collo, coinvolgendolo in un bacio appassionato. «Resti, allora?» domandò Arthur staccandosi da lui, appoggiando la fronte contro la sua, un sorriso furbo ad increspargli le labbra.
«Sì…» mormorò «Devo solo fare una telefonata» biascicò leggermente confuso; aveva la mente un po’ annebbiata, ma non era di certo colpa sua. Arthur gongolò soddisfatto, rubandogli l’anima e il respiro con un altro bacio appassionato, mentre Merlin si lasciava coinvolgere, forse un po’ troppo, dalla passione del suo amante. Quella potenzialmente era la peggiore idea che potesse prendere quella sera, ma non si pentì nemmeno un po’ quando, allontanatosi da lui, con finta voce malaticcia, chiedeva a Freya se potesse sostituirlo nel turno di notte, perché aveva alcune linee di febbre, e con un ti ringrazio, ti renderò il favore – forse un po’ troppo eccitato – chiudeva la telefonata, voltandosi verso Arthur con lo sguardo pieno di desiderio.
«Dov’eravamo rimasti?» domandò, avvicinandosi a lui – si era mantenuto a distanza per timore che il biondo iniziasse di nuovo la sua piacevole tortura e rendesse il suo parlare al telefono impossibile.
«A questo» mormorò il re, baciandolo con passione, di nuovo, facendolo sdraiare sul letto e sovrastandolo con il suo corpo, ancora una volta. E Merlin pensò che se un paradiso fosse mai esistito, doveva essere per forza quello, perché solo in un luogo del genere, cose così accadevano a quelli come lui, solo in paradiso gli uomini affascinanti come Arthur provavano cose per i sempliciotti come lui. Merlin gli allacciò le braccia attorno al collo e le gambe attorno ai suoi fianchi, per attirarlo contro di sé, ricambiando il bacio con la medesima passione.
«Sì, credo di ricordarlo» mormorò sorridendo, lasciandosi travolgere da lui, senza pensare a nulla più, senza interrogarsi su tutta la situazione per quella sera, decise che non avrebbe più pensato a nulla che non fosse quella cosa meravigliosa che stava accadendo tra lui ed Arthur, non avrebbe più pensato alla situazione che si era creata.
Avrebbe pensato alla profezia, all’uomo, agli incubi, allo stalker, al ritorno di Arthur a Camelot, a tutto quello il giorno dopo o nei giorni seguenti.
 
§§
 
Ogni giorno, Merlin si diceva che quello sarebbe stato il giorno in cui avrebbe parlato con Arthur, ogni giorno si diceva che sarebbe stato il giorno in cui gli avrebbe detto dell’incontro con l’uomo misterioso, ma quel giorno non arrivava mai, perché c’era sempre qualcos’altro che accadeva, c’era sempre un nuovo modo del biondo di farlo sentire amato, nonostante lui non lo dicesse ad alta voce, Arthur riusciva in ogni modo a far sentire Merlin importante e amato, non sapeva come facesse. E, quando si comportava così, non riusciva proprio a dirgli nulla, gli mancava il coraggio. Sì, sapeva di essere un codardo, ma era più forte di lui; semplicemente adorava la quotidianità in cui lui ed Arthur erano scivolati, senza nemmeno rendersene conto. Era tutto così speciale, così meraviglioso per lui.
Così domani divenne dopodomani, e dopodomani divenne tre giorni, quattro, cinque…
Una settimana dopo l’incontro con l’uomo, non gli aveva ancora detto nulla, ed era consapevole che più tempo fosse passato, più le probabilità che Arthur lo odiasse, sarebbero aumentate; così aveva deciso, gliel’avrebbe detto, anche se stava vivendo un sogno con Arthur, non poteva continuare a nascondergli la verità, non poteva continuare ad ignorare il fatto di aver udito una profezia che lo riguardava, non poteva nascondere più una cosa del genere, Arthur doveva saperlo e poi doveva decidere cosa fare con quella notizia; ma Merlin già conosceva la risposta a tutto: di sicuro, se l’avesse saputo sarebbe ritornato a Camelot e lo avrebbe lasciato solo; se Arthur invece non avesse saputo la cosa, e poi l’avesse scoperta in un secondo momento, sarebbe ugualmente tornato a Camelot, ma odiando Merlin; in entrambi i casi lo avrebbe perso, lo sapeva. Allora decise che quel giorno sarebbe stato quello giusto, doveva essere quello, perché se avesse passato solo un altro momento tenero con Arthur, non sarebbe riuscito a dirglielo.
Con la morte nel cuore, e la consapevolezza che quello sarebbe stato il giorno in cui gli avrebbe detto tutto, tornò a casa dopo il turno di notte, era mattina presto – gli aveva portato la brioche alla crema che gli era piaciuta tanto la prima volta che gliel’aveva fatta assaggiare – e lo raggiunse nella camera da letto. Da quando avevano fatto l’amore per la prima volta, lui e Arthur invece di dormire separati, dormivano nella stessa stanza – quella di Merlin – e quando entrò, lo trovò nella sua metà di letto che abbracciava il suo cuscino. Sorrise dolcemente, avvicinandosi a lui e gli sfiorò la tempia con un bacio, il biondo non scattò dal letto perché ormai sapeva che era lui, si era abituato.
«Arthur, sono tornato» sussurrò «Devo dirti una cosa quando ti svegli». L’altro si mosse leggermente e alzò il volto verso di lui, regalandogli un sorriso assonnato. Merlin sorrise e gli stampò un delicato bacio sulle labbra, senza troppi complimenti, il biondo, ripresosi leggermente, lo afferrò per i fianchi e lo trascinò su di sé, coinvolgendolo in un bacio più appassionato, al quale Merlin rispose senza alcuna esitazione, stringendosi contro di lui, sebbene fosse stanco e provato dalla pesante nottata di lavoro, Arthur riusciva a farlo svegliare con un semplice bacio.
«Dovresti riposare» mormorò Arthur, sorridendo contro le sue labbra, accarezzandogli dolcemente una guancia «Forza, togliti questi indumenti sporchi e vieni nel letto» suggerì «Anzi, lascia stare, ti aiuto io» disse con sicurezza, sorridendo furbamente. Santo cielo, Merlin avrebbe baciato quel sorriso per tutta la vita, se solo avesse potuto.
«Arthur…»
«Shhh, lascia che mi prenda cura di te» mormorò dandogli un bacio sulla guancia «Come hai fatto tu fin da quando sono arrivato qui» continuò accarezzandogli il collo «Poi parleremo di qualunque cosa tu voglia». Merlin si lasciò andare ai suoi gesti e sorrise, dicendosi che ne avrebbero parlato dopo, mentre Arthur lo faceva stendere sul letto sotto di sé e iniziava pian piano a spogliarlo, lasciandogli dei delicati baci sul mento e sul collo.
«Mmh, sei così premuroso…» sussurrò Merlin accarezzandogli le spalle possenti, cercando il suo sguardo, santo cielo, come avrebbe fatto a rinunciare a tutto quello? In soli sette giorni di relazione, Arthur aveva ribaltato tutte le sue idee di una relazione. Non c’erano paragoni con nessun altro, nessuno dei suoi ex era stato tanto premuroso e affettuoso, quanto passionale e affascinante, lui incarnava tutte le caratteristiche migliori che un compagno potesse possedere, e Merlin non sapeva se fosse così perché lui era di un altro tempo o perché era stato una sorta di colpo di fulmine, o altro, sapeva solo che in meno di un mese, Arthur l’aveva fatto innamorare e in poco meno di una settimana, l’aveva fatto sentire amato come nessun altro aveva fatto prima di lui. Sospirò, quando ripensò alla profezia di cui avrebbe dovuto parlargli, perché avrebbe dovuto rinunciare a tutto quello, rinunciare a lui. E sì, doveva farlo, perché doveva mantenere la promessa che gli aveva fatto, doveva mantenere fede alla parola data, eppure sapeva che il suo cuore si sarebbe spezzato definitivamente quella volta. Arthur gli stava togliendo i pantaloni, mentre lo accarezzava con una dolcezza disarmante, quando si bloccò.
«Qualcosa non va?» chiese alzando lo sguardo su di lui «Ti sei irrigidito tutt’un tratto, che è successo?»
Ecco, ci mancava solo quello, che iniziasse a rendersi conto dei suoi cambiamenti d’umore, davvero, perché non era abbastanza perfetto, vero?
«Non è niente, Arthur…»
«Sei stanco, vero?» chiese con l’espressione dolce, Merlin annuì, senza sapere cos’altro fare «Okay» mormorò il biondo, con un gesto rapido fece cadere i pantaloni del moro per terra e poi ritornò alla sua altezza, dandogli un leggero bacio sulle labbra, sorridendo dolcemente. Poi si sistemò contro la spalliera del letto e lo trascinò sul suo petto, stringendolo forte tra le sue braccia muscolose e tirò le coperte su entrambi, iniziando ad accarezzarlo piano.
«Cosa ho fatto nella mia vita, per meritare te?» mormorò Merlin, chiudendo gli occhi e lasciandosi andare alle sue coccole premurose e ai baci teneri che gli lasciava tra i capelli. Arthur non rispose, non sapendo cosa dire, continuando ad accarezzarlo e a massaggiare i suoi muscoli tesi, fino a che non lo sentì leggermente più rilassato contro di sé.
«Riposa, ora» suggerì. Merlin annuì e si rigirò tra le sue braccia, gli diede un bacio a stampo e lo guardò negli occhi.
«Grazie» sussurrò dolcemente, poi si appoggiò su di lui e chiuse gli occhi, cercando di reprimere le lacrime e di lasciarsi solo per cinque minuti alle spalle la consapevolezza di quello che doveva fare, di quello che doveva dire e stretto tra le sue braccia, accoccolato vicino a lui, sentendo le sue carezze e i suoi delicati baci, si addormentò distrutto fisicamente ed emotivamente provato.
 
Quando si fu assicurato che l’altro dormisse, Arthur delicatamente lo scostò da sé, sistemandolo meglio sul letto e gli sistemò le coperte addosso, poi si alzò senza muoversi troppo in fretta, per evitare di svegliarlo e gloriosamente nudo, andò nella cucina, voleva prendere un bicchiere d’acqua e magari prepararsi una tazza di nettare degli dèi e poi tornare a letto. Non aveva riposato bene, come ogni volta che Merlin stava fuori tutta la notte per il lavoro, aveva sempre il timore che gli succedesse qualcosa. A volte restava sveglio, altre restava in uno stato di dormiveglia, fino a che Merlin non tornava a casa e solo quando lo sentiva rientrare, si rilassava completamente. Quando giunse in cucina, vide il sacchetto della pasticceria, lo riconobbe dall’effige, così azionò la macchina per il nettare degli dèi e si sedette su una delle sedie di legno. Merlin era strano da qualche giorno, lo poteva percepire nella sua tensione e il fatto che gli avesse portato un dono a lui molto gradito, gli faceva pensare che temesse qualcosa di qualunque genere, forse legato a loro. Sì, Arthur lo sapeva cosa affliggeva il giovane, era la stessa cosa che affliggeva lui: un giorno avrebbero trovato il modo di riportarlo a Camelot, e si sarebbero separati perché tornare dal suo popolo era il suo destino, era la sua missione e doveva salvarlo dalla minaccia dei druidi; tuttavia non era riuscito a resistere, nonostante il suo temperamento, la sua tempra da cavaliere, non aveva resistito ai sentimenti crescenti che provava per il moro. Ed egoisticamente, aveva pensato che se mai avessero trovato un modo di ritorno a casa, avrebbe chiesto a Merlin di seguirlo, anche se gli appariva strano che l’uomo moderno, potesse accettare di seguire lui in un’epoca antica che i moderni chiamavano Medioevo (che cosa significasse non l’aveva capito, ma cercava di non farsi troppe domande) Come avrebbe potuto Merlin, abbandonare tutto quello per seguire lui? In quel mondo troppe erano le cose nuove e una luna di tempo non bastava a capirle tutte, ma una luna di tempo bastava a capire che i sentimenti che provava per Merlin fossero sinceri e veri, e non voleva avere il rimpianto di non aver fatto niente. Si scoprì a sorridere mentre si versava una tazza di caffè e poi mangiava la brioche che l’altro gli aveva comprato; era deliziosa, davvero, a parte la tecno-magia che non capiva e che per lui era come stregoneria, il cibo di quel nuovo mondo era favoloso, e lui, si sapeva, era un amante del buon cibo. Non voleva turbare Merlin chiedendogli cosa lo affliggesse, ma sapeva come rendere una giornata indimenticabile. Era o non era l’uomo più desiderato di tutta Camelot? E non solo per la sua indiscutibile bellezza o per il suo titolo, anche se in quel tempo non sapeva bene quale fosse il costume giusto per corteggiare una persona, voleva rendere indimenticabili tutte le giornate che Merlin avrebbe passato con lui, almeno fino al suo ritorno a Camelot. Non era sua intenzione illuderlo o spezzargli il cuore, tuttavia non riusciva a fermarsi. Voleva solo vedere un sorriso su quel volto gentile che non l’aveva mai scacciato, voleva solo condividere quei sentimenti sinceri con lui, con l’unica persona che gli aveva fatto battere il cuore di nuovo dopo tanto tempo. Gli piaceva mandargli quelle piccole missive con il tele-mobile e vedere le sue risposte immediate, gli piaceva quando rientrava e si lasciava abbracciare, gli piaceva anche quando lo rimproverava perché ne aveva combinata una delle sue – a sua discolpa, era la tecno-magia a fargli rischiare la vita, lui si difendeva solo. Dopo aver fatto colazione, si alzò e andò nel bagno, gettandosi sotto la pioggia calda della scatola magica e poi andò ad interrogare la scatola della verità, lì avrebbe sicuramente trovato qualcosa di bello da fare insieme a Merlin, nello stesso modo in cui aveva trovato il consiglio sul comprare qualcosa di carino e gli aveva preso dei fiori. Merlin li aveva adorati, tanto che li aveva messi in un bel vaso che faceva la sua bella figura sul tavolino davanti alla tele-vista. Accese lo strano strumento di Merlin, che prese vita all’istante. “Cosa fare per far capire all’uomo moderno che sono innamorato di lui” scrisse nella strana striscia bianca, di quella pagina con le lettere colorate e guardò bene, l’ultima volta non l’aveva notato: da un lato c’era scritto “cerca con Google” e dall’altro “Mi sento fortunato”. «Certo che mi sento fortunato, io sono il re» borbottò pigiando con lo strano strumento, chiamato topo, che non era molto simile ad un ratto, l’indicazione. Gli si aprirono molti risultati e cercò quello che gli ispirava più idee simpatiche.
In uno lesse di fare cose divertenti ma non capì in che senso, in un altro trovò cose davvero strane sulle quali nemmeno si interrogò, e poi trovò quello giusto. La macchina della verità gli suggeriva di portarlo al cinema – Arthur dovette cercare prima cosa fosse – di offrirgli del cibo e di farlo sentire importante. Mentre era assorto nella sua ricerca di informazioni, sentì l’altro lamentarsi nel sonno e abbassò lo schermo dell’aggeggio; raggiunse subito Merlin, lo vide contrarsi nel sonno, e lo sentì chiamare il suo nome con il tono disperato, probabilmente stava avendo un altro dei suoi incubi. Gli si avvicinò e lo abbracciò forte, dandogli un leggero bacio tra i capelli, cercando di tranquillizzarlo.
«Ehi, sono qui» sussurrò contro la sua pelle «Stai avendo un incubo, è tutto okay» lo rassicurò.
«A-Arthur…» deglutì l’altro, ancora ad occhi chiusi, gli gettò le braccia al collo e singhiozzò forte contro il suo collo.
«Sono qui… shhh» mormorò, stringendolo forte e accarezzandogli la schiena con dolcezza «Va tutto bene».
«Sei qui…» il re annuì, cercando di consolarlo, dicendogli – non senza mentire – che non sarebbe andato da nessuna parte «Profumi di caffè» sussurrò quando fu un po’ più calmo, stringendosi più forte a lui, affondando il viso nell’incavo del suo collo, respirando forte il suo profumo. Arthur tremò leggermente per l’emozione, ma non lo diede a vedere.
«L’ho appena preso, ti preparo un po’ di infuso alle erbe? Di solito ti fa stare meglio» propose, senza smettere di accarezzarlo con dolcezza; l’altro scosse la testa.
«No, non lasciarmi solo» lo supplicò «Resta con me» aggiunse. E Arthur interpretò quella preghiera come un non andare via da me, resta qui con me, non andare a Camelot. E gli si strinse il cuore ascoltandolo, perché aveva intuito bene cosa affliggesse l’altro e il perché fosse così strano in quei giorni. Lo strinse solo più forte contro di sé, lasciandogli un bacio tra i capelli e lo cullò fino a che non fu del tutto calmo.
«Non vado da nessuna parte» per ora «Sta’ tranquillo».
Merlin se lo fece bastare, perché, ad un tratto, alzò il volto verso quello del re e gli premette un delicato bacio sulle labbra, mentre quest’ultimo gli passava con gentilezza le dita sul volto ed eliminava quelle brutte lacrime che lo avevano rigato per quegli infiniti minuti. Come avrebbe fatto a dirgli addio, un giorno?
 
Merlin se ne stava sul divano, sdraiato tra le braccia di Arthur, che leggeva un libro, mentre lui ascoltava un po’ di musica dal cellulare; era rilassante trovarsi così, era stata una giornata strana, fin da quando si era svegliato in preda al panico per un incubo – in cui vedeva Arthur morire per mano di un uomo sconosciuto – il re era stato premuroso con lui, gli aveva anche proposto di andare al cinema, proposta che Merlin aveva declinato, perché fargli accettare l’esistenza del televisore era stato difficile, figurarsi il cinema, ma che l’aveva lasciato piacevolmente sorpreso. Arthur si stava impegnando davvero per corteggiarlo e non poteva che sentirsi lusingato da questo, era strano, davvero, ma non poteva negare il fatto che gli piacesse da morire. Avevano cucinato insieme – Arthur che cercava di non distruggere la cucina di Merlin e quest’ultimo che urlava al re di non toccare nulla – avevano guardato un film, e il re aveva trovato giusto dire la sua su ogni cosa, mentre l’altro gli lanciava contro i popcorn che aveva preparato per l’occasione, dicendogli di stare zitto, ridendo con la sua risata che era balsamo per le orecchie del biondo – e Arthur aveva trovato giusto vendicarsi, facendogli il solletico. Poi avevano ordinato del cibo cinese e l’avevano consumato sul divano, mentre guardavano un episodio di Sherlock, una serie che Merlin amava, e poi alla fine dell’episodio, si erano ritrovati in quella posizione, con Arthur che leggeva Le cronache di Narnia e Merlin che ascoltava musica stretto a lui. Era domestico, era intimo, era ciò che non aveva mai avuto e che avrebbe voluto avere per sempre. Era ingiusto che avesse trovato la compagnia perfetta per lui, e che non potesse averlo con sé per sempre.
«Mi piace quando ascolti la musica» mormorò Arthur, sfiorandogli la tempia con le labbra, mentre sfogliava una pagina del libro «Sei sempre tutto assorto e adoro quando canticchi» disse «A volte balli anche» aggiunse, ricordando quella volta in cui i suoi occhi erano stati rapiti da lui e dalle sue movenze.
Merlin arrossì, e giocò con il cavo della cuffia imbarazzato «Ti va di ascoltare questa con me?» chiese, il biondo annuì e lui lo aiutò ad indossare la cuffia sinistra, mettendo play ad una canzone che in quel momento gli sembrava indicata alla situazione: “So close”, una delle canzoni di uno dei suoi film preferiti, che sembrava rispecchiare pienamente la loro situazione. Arthur sorrise e iniziò a muovere la testa a tempo di musica, esprimendo il suo parere positivo su di essa, e ad un certo punto i suoi occhi incrociarono quelli di Merlin e sorrise in modo furbo. Attento a non far cadere la cuffietta dal suo orecchio, dopo aver posato il libro sul tavolino, il re si alzò e porse la mano al ragazzo.
«Balliamo?» sussurrò. Oh no. Cosa? Gli stava chiedendo di ballare, lì? In quel salotto? Davvero? «Prima che la melodia finisca, Merlin» suggerì il re, divertito. Merlin gli afferrò la mano in fretta, imbarazzato a morte.
«Sì, sì…» mormorò il moro, assuefatto dagli atteggiamenti del biondo. Arthur sorrise emozionato, mentre appoggiava le mani sui fianchi magri di Merlin, e quest’ultimo gli avvolgeva le braccia attorno al collo; il re lo strinse a sé, iniziando a muoversi con lui a tempo di musica e poi semplicemente in modo un po’ impacciato, emozionato, entrambi con i cuori che battevano troppo forte, si ritrovarono a ballare nel salotto di Merlin, travolti da mille emozioni diverse. Sembrò che il mondo attorno a loro fosse svanito nel nulla, come se esistessero solo loro e la canzone che stavano ascoltando, e un po’ si rivedevano entrambi in quelle parole. Così vicini alla felicità, ma troppo lontani per averla per sempre, così vicini l’uno all’altro in quel momento eppure così lontani, poiché entrambi di epoche diverse, così vicini eppure così lontani, perché prima o poi si sarebbero separati, lo sapevano entrambi, prima o poi sarebbe successo, ma non volevano pensarci in quel momento. Preferivano allontanare il momento dalle loro menti, soprattutto Merlin che sapeva, perché un attimo come quello, così perfetto nella sua unicità, nella sua semplicità, non sarebbe tornato.
Quando la canzone finì, i due giovani amanti si ritrovarono ad un soffio di distanza, sorridendosi a vicenda, inebetiti e innamorati più che mai. Si baciarono con una nuova consapevolezza dentro di loro e semplicemente si lasciarono travolgere dai sentimenti, senza pensare ad altro.
Merlin, mentre baciava Arthur e lasciava che l’altro lo amasse in quel suo modo, tanto passionale quanto amorevole, si disse, che ci sarebbe stato tempo per dirgli ciò che aveva scoperto e lasciò semplicemente che le cose accadessero, al resto avrebbe pensato in un secondo momento. Tuttavia il tempo era contro di loro, e se ne sarebbero accorti presto, per loro sfortuna.




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Hola people!
Dopo più di una settimana sono tornata in vita! Archiviata la sessione invernale (un esame è stato annullato dal professore, grazie per avermi fatto studiare tutto il weekend ed averlo comunicato solo oggi) eccomi di nuovo qui con un nuovissimo capitolo! E stavolta in un orario decente, faccio progressi! Questo è il capitolo Merthur centrico che aspettavate (spero) con ansia ahah 
Merlin è un po' stronzo a non dire tutto ad Arthur, ma c'è da dire che Arthur non lo fa parlare eh! (sì, si arrabbierà e si sentirà tradito quando lo scoprirà) e non gli dice niente perché lo ama. Entrambi si amano. E se lo dimostrano in tutto il capitolo, che io ho amato da morire scrivere (perché amo scrivere scene fluff e piene d'amore). E nulla, nei prossimi capitoli si scoprirà A. Chi è l'uomo misterioso, B perché Arthur deve tornare a Camelot e siccome ci sono viaggi nel tempo C) ci saranno piccoli anacronismi dovuti alla presenza di Arthur nel nuovo mondo, eh sia mai che io dimentichi le regole dei viaggi temporali! 
Postilla: ho aggiunto un titolo ad ogni capitolo, sotto suggerimento di lilyy (grazie, darling) e ringrazio con tutto il mio cuore lei e elfin emrys che mi recensiscono tutti i capitoli; thank you so much <3 
Questa è la canzone che ballano i Merthur, tratta da "Come di Incanto" (Enchanted, in inglese) piccolo omaggio al film che mi ha ispirato questa storia e che le dà in parte il titolo :3
Grazie a tutti i lettori silenziosi che spendono un click e leggono, e a chi ha aggiunto la storia tra le seguite e le preferite :3
Stay tuned, tornerò presto con il quinto capitolo e avrete la reazione di Arthur! 
Love ya.

PS alla storia si è aggiunto un capitolo. Incrociamo le dita che non se ne aggiungano altri ahahah

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Capitolo 5
*** Capitolo 5: The hidden truth. ***


Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!

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Era passato un mese dal giorno in cui ogni cosa era cambiata, ma Merlin non sembrava accorgersi che intorno a lui il mondo stava iniziando a cambiare, perché era immerso in una bolla di personale felicità e gioia, a tal punto da non rendersi conto di ciò che accadeva intorno a lui; iniziò ad accorgersene una mattina, lui si stava preparando per andare al lavoro, mentre Arthur era impegnato a cercare qualcosa sui libri – Merlin ancora non aveva capito cosa sperasse di trovare su quei libri che parlavano solo di una leggenda – e il biondo arrivò trafelato da lui con l’espressione stravolta, come se avesse visto un fantasma.
«Merlin» lo chiamò Arthur, entrando in camera da letto con un libro tra le mani «Questo libro ha qualcosa che non va».
«Perché?» chiese alzando lo sguardo verso di lui, senza capire.
«Guarda, l’ultima volta che l’ho letto diceva che io sarei morto a Camlann per mano di Mordred» disse stupito, sedendosi accanto a lui sul letto «Adesso invece pare che io sia morto prima di quella battaglia in condizioni misteriose» disse con fare stranito «Che cosa significa, secondo te?»
«Cosa?» sbottò Merlin spalancando gli occhi «In che senso?» chiese accigliato, strappandogli il libro dalle mani «Non è possibile» mormorò, leggendo il libro che il re, poco prima, stringeva tra le mani e spalancò gli occhi sorpreso e stupito; sembrava assurdo, eppure era vero, la verità era sotto i suoi occhi, ma non voleva accettarla: quello che la profezia gli aveva rivelato si stava realizzando. Non aveva ancora capito cosa significasse che il suo tempo sarebbe cambiato, e adesso una parte delle leggende che avevano alimentato il folklore del suo paese, anzi del mondo intero, per anni, secoli stavano cambiando. Allora era vero che un singolo evento cambiato nel passato, influiva sul presente come dicevano nei film di fantascienza. Maledizione e adesso cosa doveva fare?
«Non ti sembra strano?» gli chiese Arthur «Sembra che io sia sparito quando Mordred che mi ha mandato qui» affermò pensieroso il re «Visto? Aveva ragione mio padre, la magia non fa mai niente di buono» disse «Questo significa che succederà qualcosa anche in questo tempo?» chiese il re.
«Già…» mormorò Merlin, pensieroso «Temo proprio di sì, è come se la storia stesse cambiando sotto i nostri occhi» aggiunse; improvvisamente aveva un enorme groppo alla gola, e sapeva esattamente da cosa dipendesse.
«Forse quando tornerò a Camelot, potrò mettere in ordine questo pasticcio» disse il biondo con serietà «Come dicevano nel programma che guardiamo insieme?» domandò pensieroso «Con me qui, si è creato un para… qualcosa del tempo».
«Paradosso temporale» confermò Merlin, con un sospiro «Probabile».
«Non hai ancora trovato un modo per riportarmi a Camelot, vero? I tuoi incubi ultimamente sono più frequenti…»
«G-Già…» disse in un sussurro, abbassando lo sguardo. Cielo, era arrivato il terribile momento di dire tutta la verità e lui non era pronto, non lo era affatto.  
Dannazione, non era riuscito a fingere, aveva sentito il suo cuore spezzarsi, perché, come tutti gli altri, per un motivo o un altro, anche Arthur lo avrebbe lasciato solo, certo, la sua motivazione era ben più nobile rispetto a quella di tutti gli altri (tornare nel suo regno e salvarlo dalla distruzione e salvare anche il futuro, a quanto pareva) ma non cambiava il succo, lo avrebbe lasciato da solo, e avrebbe fatto male. Aveva cercato, in quel momento, di non farsi prendere dallo sconforto e dal senso di abbandono precoce, ma con scarsi risultati, Arthur se ne era accorto.
Merlin era felice, prima che Arthur tirasse fuori di nuovo l’argomento Camelot, iniziando a parlare dei paradossi temporali, chiedendogli se poi avesse scoperto qualcosa sul suo possibile ritorno a casa e lui si sentiva in colpa per non averne parlato prima, per essere stato in parte l’artefice di tutto quello.
«Non voglio lasciarti, Merlin, ma sono un re, e in quanto tale devo tornare dai miei cavalieri e aiutarli a sconfiggere i nostri nemici, cerca di capire». Il giovane aveva annuito e si era alzato in fretta dal letto, afferrando i suoi vestiti al volo e correndo nel bagno per rivestirsi. Codardo, non era riuscito a guardarlo in faccia e dirgli la verità.
«Devo andare al lavoro» disse in fretta, quando fu pronto per uscire «Ci vediamo all’ora di cena».
«Merlin, ho detto qualcosa…?»
«No» rispose «Sono in ritardo, ci vediamo dopo» disse interrompendolo, gli diede un rapido bacio sulla guancia e corse via, afferrò la sua tracolla prima di correre fuori dall’appartamento, per evitare che Arthur facesse altre domande. Sapeva cosa sarebbe successo quel giorno, non poteva più rimandare ormai.
 
Il re era rimasto parecchio sorpreso quando aveva visto la reazione di Merlin; insomma, anche lui aveva il cuore dilaniato ogni volta che pensava al suo ritorno nel suo regno, ma era consapevole che quello fosse il suo dovere; sapeva che Merlin ci stava male, e che sarebbe stato male in futuro, e lui non voleva abbandonarlo, anche se quello era il suo dovere. Ultimamente il moro non voleva parlare degli incubi, ogni volta che lui chiedeva, l'altro rispondeva che erano sempre gli stessi e niente cambiava, ma lui lo aveva visto nel suo sguardo che qualcosa fosse diverso in essi, perché il moro si risvegliava sempre terrorizzato, singhiozzante e sudato, lo cercava quasi disperato e poi si gettava su di lui e piangeva ancora più forte e prima non capitava mai. Non sapeva davvero cosa pensare, cosa fare, come comportarsi. Poi quella mattina aveva avuto come un sentore, una strana sensazione che l’aveva spinto a prendere quel libro, in cui aveva visto una parte della sua storia svanire nel nulla. Com’era possibile? Era stregoneria quella? Uno stregone era entrato in casa loro? E come aveva fatto lui a non accorgersene? O forse era davvero il tempo che cambiava, perché lui era in un tempo che non gli apparteneva?
Stava accadendo qualcosa, qualcosa di molto strano e lui era intenzionato a scoprire di cosa si trattasse. E poi la reazione di Merlin di quella mattina l’aveva lasciato perplesso; c’era qualcosa di cui il moro non voleva parlargli, ma ignorava di cosa si trattasse. Sospirò guardando fisso il punto in cui era sparito, sperando, per un momento, che tornasse da lui, per scusarsi o per dargli una spiegazione per quello strano atteggiamento, ma non era tornato.
Dato che lui non era una ragazzina, che restava lì ad interrogarsi su questioni come quelle, si alzò e si dedicò ai suoi allenamenti con la spada e poi decise di andare a fondo di quella storia; così prese tutti i libri riguardanti la sua storia e quella di Camelot, che Merlin aveva comprato, e iniziò a leggerli, uno alla volta, cercando in ognuno di essi un indizio che potesse riportarlo a casa o che lo aiutasse a venire a capo di tutta quella storia. L’unica cosa che capì fu che il suo corpo era stato dato per disperso nelle acque di Avalon o qualcosa del genere, dopo una battaglia contro i druidi che in realtà non era mai avvenuta; il re finì per addormentarsi dopo aver letto parte del primo e parte del secondo libro, quei libri erano terribilmente noiosi, più noiosi dei resoconti quotidiani che gli portava sir Leon alla fine di qualunque giornata. Se doveva essere sincero con se stesso gli mancava Camelot, gli mancavano i suoi cavalieri e sua sorella, le liti con lei e le lunghe chiacchierate che facevano davanti ad un camino acceso, gli mancavano gli allenamenti e le battute di caccia, gli mancava combattere per il suo popolo, gli mancava il suo popolo, e le missioni, le cavalcate nei boschi, le giostre e i tornei; ogni cosa del suo periodo, così lontano da quello che stava vivendo, gli mancava; sentiva anche l’incombenza della protezione del suo popolo, dell’imminente battaglia contro i druidi, a cui sarebbe seguita quella con i sassoni, e tante altre che avrebbero portato il suo reame allo splendore. Quello che poi un giorno Merlin avrebbe scoperto e letto sui suoi libri – anche se non corrispondeva esattamente alla verità – e che sarebbe diventato una leggenda. Assurdo, ancora non riusciva a credere che quel mondo nuovo considerasse la sua storia una leggenda, era semplicemente assurdo. Su un libro era stato anche definito Il re del passato e del futuro, il re in eterno e cose del genere. E adesso quella storia stava cambiando perché un druido aveva fatto un maleficio ai suoi danni e aveva scombussolato ogni cosa. E più il tempo passava, più si rendeva conto di dover tornare a Camelot, e di dover dire addio a Merlin. Ecco, un altro regalo del druido, l’aveva fatto andare in un tempo diverso dal suo e lì aveva incontrato l’amore, il suo cuore aveva iniziato a battere di nuovo per qualcuno e adesso… lo avrebbe perso per sempre, una volta tornato a Camelot, non ci sarebbe stato più alcun modo per lui, per poter rivedere il moro. Prima o poi, lui e Merlin avrebbero dovuto affrontare il discorso, ma codardamente non sapeva quando e come affrontarlo. Come avrebbe mai potuto spezzargli il cuore? Mentre era assopito con la testa appoggiata sul tavolo, sognò se stesso, come re, e Merlin, come suo servo, a Camelot, che vivevano un amore burrascoso e nascosto, tra le mura del castello di Camelot tra litigi, improbabili salvataggi e avventure, stregoni e creature magiche. Si ritrovò a sorridere deliziosamente quando si risvegliò e pensò a quanto sarebbe stato bello poterlo portare con sé nel suo regno.
 
 
Merlin aveva notato alcune cose strane quel giorno, mentre camminava per la città, alcune cose non gli sembravano le stesse, ma non riusciva ancora a capire bene quali fossero cambiate, aveva anche udito dei passanti parlare di un drago bianco che aveva sorvolato la città, sparendo tra le nuvole. Ma una cosa del genere non era possibile, giusto? O forse sì? Che fossero gli effetti della presenza anacronistica di Arthur nel suo mondo? Ma era davvero possibile? Non erano cose che accadevano nei libri, film e serie tv di fantascienza? E poi, mentre ascoltava quelle storie assurde e notava altre cose ai suoi occhi strane, aveva ricordato le parole dell’uomo in overdose che era arrivato all’ospedale proprio il giorno in cui Arthur si era dichiarato. Quale scherzo del destino era stato quello? Ricevere una notizia del genere, il giorno in cui l’uomo, del quale era innamorato, si dichiarava; la sfortuna. L’uomo misterioso aveva detto che se Arthur non fosse tornato nel suo regno a ripristinare l’ordine e a salvarlo dalla minaccia nemica, allora anche il suo mondo sarebbe cambiato. E, dopo le parole del re di quella mattina e ciò che stava udendo in strada, si era reso conto di aver taciuto quella cosa troppo a lungo, e che, non appena Arthur l’avesse scoperto, sarebbe andato su tutte le furie e probabilmente l’avrebbe lasciato senza nemmeno permettergli di spiegarsi. E avrebbe avuto ragione. Non poteva più tacere, non con tutte le cose assurde che stavano accadendo, doveva fare qualcosa per risolvere la situazione.
Così si fece coraggio; prima di tornare a casa, passò al fast-food (Arthur era diventato dipendente dai milk-shake e lui si divertiva a prenderlo in giro, dicendogli che prima o poi i suoi muscoli sarebbero stati sostituiti da altre rotondità e avrebbe dovuto allargargli tutte le cinture, Arthur si indignava sempre, perché “io non sono grasso” diceva ogni volta) comprò tutte le cose che Arthur adorava, e poi tornò a casa, deciso a parlargli. Il suo rientro fu meraviglioso come al solito, un Arthur particolarmente dolce lo accolse, gli tolse la busta del fast-food dalle mani e lo attirò contro il proprio corpo. L’infermiere tremò appena e si godette quell’ultimo momento con lui.
«Merlin» lo salutò il biondo, abbracciandolo immediatamente «Stamattina sei uscito così in fretta, e non hai risposto a nessuna delle mie missive!» esclamò «Mi hai fatto preoccupare, di solito mi avvisi quando passi a prendere il cibo in quel posto» gli disse, prima di baciarlo come sempre, facendolo volare sopra le nuvole, ma Merlin stavolta non si sarebbe lasciato distrarre, gli avrebbe parlato di quello che era successo, e ne avrebbe pagato le amare conseguenze. Conoscendo Arthur, non gli avrebbe perdonato l’aver taciuto una cosa così importante per lui (la sua missione, fin da quando era arrivato, era sempre stata tornare a Camelot dai suoi uomini e dal suo popolo) e sapeva che lo avrebbe aiutato a tornare a casa, nonostante la sofferenza che la loro separazione avrebbe provocato. Lo avrebbe aiutato, anche se avessero litigato quella sera, lo avrebbe aiutato in ogni caso.
«Arthur, dobbiamo parlare» disse deciso.
«Sì, lo immagino» disse il biondo con un sospiro «Sei parecchio teso negli ultimi giorni, Merlin» gli disse il re, scrutandolo con i suoi occhi di ghiaccio «Sei stanco? È stata una giornata molto stressante per te?» chiese «O è stato ciò che ci siamo detti stamattina?»
«Arthur…» mormorò afflitto. Santo cielo, quanto si sentiva stronzo ad avergli nascosto quella cosa? Arthur era davvero premuroso e dolce nei suoi confronti, e lui era stato un codardo a non parlargli di ciò che era successo, ma lo aveva sul serio fatto senza cattiveria, era solo disperatamente innamorato di lui.
«Ascolta, ceniamo e poi… ne parliamo, ti va?» chiese il re, con fare premuroso.
«Sì, ne parleremo durante la cena» disse il moro, sperando di avere il coraggio sufficiente a dire tutto, senza il timore che l’altro lo respingesse; sapeva che sarebbe successo, in ogni caso.
«Bene» disse il re, sorridendo e trascinandolo nella cucina. Iniziarono a cenare in completo silenzio, Arthur scrutava Merlin per capire cosa gli passasse per la mente e Merlin scrutava il re cercando di trovare le parole giuste per dirgli tutto.
«Allora… cosa è successo?» domandò il biondo «Ha a che fare con me?»
«Sì, ma… non quello che pensi tu» disse sospirando, era ora di sputare il rospo; allungò delicatamente una mano verso la sua e gliela sfiorò con gentilezza, poi lo guardò negli occhi «Promettimi che non ti arrabbierai troppo con me» disse, sperando in modo patetico di riuscire a contenere i danni.
«Di che stai parlando? Non potrei mai arrabbiarmi con te» ribatté Arthur scioccato «A meno che tu non abbia incontrato un altro uomo e voglia lasciarmi per lui. In quel caso, mi arrabbierei, certo, poi getterei il guanto di sfida a questo bruto e lo ucciderei con la spada».
«Non scherzare, Arthur, sto cercando di fare un discorso serio…»
«Sono serio. Non ti permetterò di scappare con un altro uomo senza combattere» affermò.
«Non c’è nessun altro uomo» sospirò, scuotendo la testa «Non potrebbe mai esserci. Ci sei solo tu, ma…» deglutì, «Ti prego, promettilo».
«D’accordo, se ti fa stare meglio, lo prometto» disse. Arthur adesso lo guardava preoccupato, come se si aspettasse una qualche verità terribile su di lui.
«È successa una cosa strana all’ospedale» iniziò, cercando le parole giuste da dire.
«Qualcuno ti ha fatto del male? Devo difendere il tuo onore?» chiese il re, interrompendolo di nuovo.
Ma perché non taceva un secondo e lo faceva parlare? Perché doveva rendere difficile ogni suo tentativo? Dannazione.
«No, niente di tutto ciò, ti prego, lasciami parlare e ascolta, è già difficile così» sospirò, Arthur comprese la sua difficoltà e la serietà nelle sue parole, quindi si zittì «Al pronto soccorso è arrivato un uomo in overdose di eroina» deglutì «Mi stavo occupando di lui, quando all’improvviso si è svegliato, come se fosse posseduto e ha detto qualcosa… qualcosa su di te» raccontò «Le sue parole erano come una profezia, come quella dei sogni, hai presente?» chiese, il biondo annuì «La cosa più assurda è che… ricordi quando ti dissi che mi sentivo seguito? Osservato quando ero con te?» domandò, l’altro annuì di nuovo senza capire bene «Ho il forte sospetto che siano la stessa persona, potremmo aver trovato il tuo stregone».
«Okay» Arthur annuì, iniziando a capire, forse i sogni strani di Merlin erano segni premonitori, forse era tutto il cerchio che si chiudeva con il suo ritorno a Camelot «E che ha detto?»
«Che devi tornare dal tuo popolo, a ristabilire l’equilibrio e l’ordine nel tuo regno per salvare passato e futuro e che… sul lago di Avalon troverai le risposte» spiegò, ricordando le parole esatte. Era come se, dopo averle sentite, le avesse impresse dentro di sé.
«Il lago di Avalon» mormorò pensieroso il re «Esiste ancora il lago di Avalon?» chiese. Merlin scosse la testa.
«Il lago no, ma se non sbaglio c’è una città qui in Inghilterra che dovrebbe corrispondere a quello… non ricordo bene, farò delle ricerche» disse brevemente, deglutendo. Tremava, perché Arthur ancora non si era arrabbiato, e sembrava solo intenzionato a scoprire dove dirigersi per compiere il suo destino. Forse era stato un bene che non l’avesse detto subito, in questo modo era riuscito a vivere uno dei mesi più belli della sua intera vita, e lo avrebbe ricordato per sempre.
«Sì, d’accordo» disse con serietà «Sapere queste cose ci è d’aiuto, anche per tutte le cose strane che stanno succedendo nel tuo mondo, giusto?» domandò il re, l’altro non poté che annuire alle sue parole. Sembrava averla presa bene tutto sommato. «Ottimo, allora dobbiamo solo fare queste ricerche. Prendi l’aggeggio che rivela le verità!»
Il moro annuì di nuovo e si sbrigò ad andare a prendere il suo portatile per fare delle ricerche sul leggendario lago di Avalon, che, secondo le leggende, era la tomba del famoso eroe delle leggende arturiane, lo stesso eroe che era lì davanti a lui in carne ed ossa. Era una situazione assurda che faceva girare la testa, e lui, che aveva avuto la chiave per risolverla tra le mani per almeno un mese, era stato un idiota a tacere e a non rivelare nulla. Maledizione.
Quando tornò da Arthur, il re lo guardava con uno sguardo indagatore, ma non diceva nulla, Merlin lo imitò e restò in silenzio, si limitò a sedersi e poi accese il PC cercando di non guardare verso di lui, lo sapeva, lo sapeva. Stava cercando di capire il suo sporco segreto, stava cercando la verità.
«Merlin?» lo chiamò, con il tono serio, quello che non ammetteva alcuna replica.
«Sì?»
«Da quanto tempo sai della profezia?» il moro alzò gli occhi verso di lui, come l’aveva capito? Il re sembrò leggergli nella mente quella domanda, perché subito aggiunse «Hai detto che non dovevo arrabbiarmi, come potevo arrabbiarmi se avevi scoperto una cosa del genere? Quindi te lo richiedo, da quanto tempo lo sai?» chiese con voce ferma «E non mentirmi».
«Io… ecco, è successo un mese fa» Arthur spalancò gli occhi, Merlin tremò davanti alla sua espressione «La sera che ti sei dichiarato, io… volevo dirtelo, davvero, ma… non volevo rovinare il momento e non ho mai… trovato il momento giusto, ecco» non voglio lasciarti andare via, fu l’aggiunta che non espresse ad alta voce «E non credevo che sarebbe successo… questo!» esclamò gesticolando, come ad intendere tutte le cose strane che accadevano, dal libro che cambiava, alle cose assurde che aveva udito in strada.
«Un mese… equivale ad una luna, giusto?» chiese, Merlin annuì «Una luna intera» era troppo serio, aveva lo sguardo duro e la mascella contratta, essi quasi gli fecero paura. Senza rendersene conto, l’infermiere iniziò a tremare più forte e sobbalzò, quando un pugno del re si abbatté contro la superficie del tavolo, facendo tremare ogni cosa «Una luna! Dannazione, sai quanto sia importante per me tornare a casa! Sai quanto mi importi del mio popolo! E non mi hai detto niente, niente!» esclamò.
«T-Ti prego, Arthur, hai promesso…» mormorò tremante, gli occhi già velati di lacrime e il cuore che batteva forsennatamente nel suo petto «Calmati…» lo pregò.
«Calmarmi? Calmarmi? Hai nascosto una cosa così importante per me, ci lavoriamo da quando sono arrivato in questo assurdo tempo! Abbiamo sempre cercato una via per il mio ritorno a Camelot e tu ce l’avevi tra le mani e non mi hai detto nulla, mi hai ingannato!» esclamò arrabbiato «Senza contare che hai messo in pericolo anche il tuo mondo, ma ti rendi conto di quello che hai fatto?» gli urlò contro, fuori di sé. Merlin deglutì e cercò di trattenere le lacrime, sapeva che lui avesse ragione, sapeva di meritarsi quel trattamento, ma faceva male.
«No, non ti ho ingannato… non dire così…» mormorò con la voce tremante, e gli occhi già lucidi.
«Lo hai fatto invece, mi hai ingannato, mi hai nascosto la verità e hai giocato con i miei sentimenti» disse, scuotendo la testa, deluso e amareggiato «Perché non mi hai detto nulla? Perché hai continuato a nascondermelo?»
«Non volevo perderti» sussurrò con la voce che tremava «Non volevo che andassi via» confessò a bassa voce, mentre una lacrima traditrice si liberava sul suo volto «Non volevo che mi lasciassi solo, perché ti amo» disse ancora «Mi dispiace non avertelo detto, davvero, ma… era tutto così bello con te, che… sono stato egoista, lo so, ma mi dispiace davvero e…» lasciò il pc e si avvicinò a lui, guardandolo «Ti prego, perdonami… non essere arrabbiato con me, se questi sono i nostri ultimi giorni insieme, Arthur…» sussurrò portandogli una mano sulla guancia con delicatezza «Ti prego, io ti amo, lo sai…» Arthur lo guardò duramente e scosse la testa, scacciò la sua mano e voltò il viso altrove.
«No, io non posso amare un traditore» disse, la voce dura, ma anche rotta «Non avresti dovuto mentirmi, Merlin» disse, prima di sparire nella sua stanza, chiudendosi la porta alle spalle con forza, senza nessun’altra parola, lasciandosi dietro un Merlin distrutto, con il cuore a pezzi e in lacrime, la cui unica certezza, in quel momento, era di aver perso per sempre Arthur, ed essere stato lui la causa del suo allontanamento.
 
Arthur sbatté la porta della sua camera alle sue spalle e trattenne un urlo di frustrazione. Dannazione, si sentiva tradito e deluso, avrebbe desiderato con tutto il cuore odiare quel giovane che con tanta tranquillità gli aveva mentito in quel modo per una luna intera, ma non riusciva, pur restando arrabbiato con lui. Per tutta la durata della loro relazione, Merlin aveva saputo quel dettaglio così importante; se lui avesse saputo prima di quella svolta, non avrebbe mai iniziato nessun rapporto; avrebbe semplicemente fatto i bagagli e se ne sarebbe tornato a Camelot senza voltarsi indietro, anche se l’avrebbe fatto con il rimpianto di non aver tentato un qualunque approccio con Merlin – ma il suo regno veniva prima di tutto, anche di se stesso e dei suoi sentimenti. Probabilmente l’idea di partire, se le cose fossero andate in quel modo, non avrebbe fatto tanto male. Quando Merlin gli aveva detto della profezia, il suo cuore si era scisso: da un lato il re di Camelot, colui che doveva tornare nel regno per portare la pace, dall’altro l’uomo innamorato, lui stesso, che dopo tanto tempo aveva iniziato a provare di nuovo l’amore a causa di un meraviglioso giovane infermiere del ventunesimo secolo che con la sua gentilezza e la sua semplicità gli aveva fatto battere il cuore come mai nessuno ci era riuscito. Maledizione, sentiva il cuore esplodere a causa delle contrastanti emozioni. E poi c’era stato il momento in cui aveva sospettato, il momento in cui aveva visto nello sguardo di Merlin qualcosa che non andava, qualcosa che lo aveva bloccato e l’aveva spinto a chiedere. E la verità era venuta fuori, dura e cruda, senza mezzi termini. E non poteva credere a quanto era appena accaduto: Merlin, il suo Merlin, il suo onesto Merlin gli aveva mentito, gli aveva nascosto una verità così importante, gli aveva nascosto di sapere una cosa così importante sul suo futuro, gli aveva nascosto di aver udito una profezia da un uomo che, apparentemente, li stava seguendo, fin da quando lui era arrivato in quella bizzarra città moderna, Londra. E poi chi era quell’uomo? Perché aveva parlato con il moro e non con lui? Potevano fidarsi di lui? Perché doveva andare al lago di Avalon? Sì, sapeva che il lago fosse dimora di alcune creature magiche, ed era stato lì solo quando era stato realmente necessario al suo regno, ma non capiva come potesse trovare le risposte lì, né come Merlin potesse aiutarlo. Era davvero furioso con lui, anche se una piccola parte di lui (quella nascosta più in profondità del suo cuore) gli era grata per averlo fatto, perché aveva potuto sperimentare per la prima volta dopo tanti anni l’amore, quello vero che faceva tremare il cuore e l’anima; gli aveva fatto capire che anche per lui era possibile amare ancora. Santo cielo, il modo in cui si era rivolto al ragazzo… Non volevo perderti, non volevo andassi via, non volevo mi lasciassi solo, ti amo, erano queste le motivazioni per le quali Merlin gli aveva mentito e sì, non poteva biasimarlo, perché nemmeno lui voleva dire addio al moro, ma era suo compito tornare a Camelot, dai suoi cavalieri e salvare il suo regno, Merlin lo aveva sempre saputo, allora perché mentirgli? Perché rischiare una litigata?
Per le stesse motivazioni che ti ha dato – si disse mentalmente, il giovane non gli aveva detto niente, perché troppo innamorato di lui, non glielo aveva detto perché non voleva perderlo (per quanto il suo cuore si sentisse lusingato da ciò, la sua mente non poteva accettarlo). Lo aveva visto piangere, dopo le sue parole dure e si era sentito in colpa per averlo ridotto in quel modo, ma come poteva dire di non essere arrabbiato? Come poteva sostenere ancora una conversazione civile con lui, quando era così deluso e amareggiato? Era stato per evitare di ferirlo ancora, se si era rifugiato nella sua stanza.
Forse avrebbe fatto bene ad aspettare che il nervosismo passasse e poi tornare a parlargli, sapeva con certezza che non sarebbe riuscito a restare arrabbiato con lui a lungo, ma aveva bisogno di rimettere insieme le idee e capire cosa fare in seguito, perché in un modo o nell’altro sarebbe tornato a Camelot e sia lui che Merlin avrebbero sofferto la separazione. Doveva trovare un modo per evitare il dolore ad entrambi, sarebbe stato il suo ultimo regalo per Merlin.
Il momento che temeva era arrivato e soffriva al solo pensiero di andare via da lì. Soffriva al solo pensiero di lasciare Merlin, perché era stato l’unico che gli aveva prestato soccorso in quel mondo incivile, era stato l’unico che l’aveva accolto in casa sua senza troppe domande, era stato l’unico a cui aveva permesso di rivolgersi a lui in modo ineducato, era stato l’unico al quale aveva permesso di sfondare il muro che aveva eretto tra sé e i sentimenti, fin da quando aveva perso l’amore della sua vita. Merlin era stato il primo che, dopo tanto tempo, aveva permesso al suo cuore di tornare vivo, e adesso sarebbe stato costretto a dirgli addio. Questo avrebbe aperto un’altra dolorosa ferita, che a fatica sarebbe riuscito a chiudere stavolta. Doveva lasciarlo, per tornare nel suo regno e seguire il suo dannatissimo onore, non poteva tirarsi indietro, non poteva lasciare il suo mondo in un mare di disordini e scompiglio, non poteva abbandonare il suo popolo, la sua gente e non poteva lasciare i suoi cavalieri senza una guida; era il suo destino tornare, era scritto nelle stelle che quel giorno sarebbe arrivato. Doveva tornare perché il suo popolo aveva bisogno di lui, eppure, non voleva lasciare Merlin da solo, non riusciva ad immaginare come sarebbe stato triste non averlo più intorno, non sentire più la sua risata o la sua voce; ma doveva rinunciare al moro per il bene del suo popolo. Pian piano la rabbia iniziò a scemare, forse era stato troppo crudele con lui, era certo che non avesse agito così con cattiveria, ma solo per amore; Merlin era fisicamente incapace di essere crudele, lo sapeva benissimo, perché il cuore di Merlin era puro e privo di crudeltà.
Sentì dei passi nel corridoio e si avvicinò alla porta, appoggiò l’orecchio su di essa e sentì quella della camera del moro chiudersi con un tonfo e poi udì chiaramente dei singhiozzi, quelli di Merlin, gli si strinse il cuore a sentirlo così, e non osò immaginare come quel ragazzo, tanto sensibile e pieno di buoni sentimenti, sarebbe stato quando gli avrebbe detto addio. Restava un’unica cosa da fare, per salvare il cuore di entrambi: doveva tenersi lontano da lui, fingere di essere arrabbiato, respingerlo e ferirlo, in modo da farsi odiare da lui e far sì che la loro separazione facesse meno male, in modo che Merlin potesse dimenticarsi di lui, era una soluzione estrema, quasi un’azione alla Uther Pendragon, ma non poteva fare altrimenti: doveva allontanare Merlin da sé per poter riprendere in mano la sua vita e tornare a Camelot. Tenerlo a distanza, avrebbe tenuto sedati anche i suoi sentimenti e tutto sarebbe andato bene, sì; era certo che con il senno di poi avrebbe capito da solo il senso della sua azione e si sarebbe reso conto che era stato meglio così. Cos’altro poteva fare, altrimenti? Perdonarlo, continuare il loro idillio meraviglioso e poi spezzare brutalmente il cuore di entrambi tornando a Camelot? Poteva farlo? Sarebbe sopravvissuto? Lui sì, ma il suo cuore si sarebbe inevitabilmente spezzato (come, d'altra parte, era appena successo).
Forse così, si disse, avrebbe fatto meno male, e poi sarebbero riusciti a stare bene entrambi, un giorno.
 
§§§
 
«Arthur…» mormorò Merlin, quando lo vide entrare in cucina, la mattina dopo il litigio, il biondo entrò senza guardarlo, fermamente deciso della sua scelta. «Ascolta, io…»
«Considera qualsiasi rapporto tra me e te chiuso» proferì il re con il tono fermo e duro, senza guardarlo negli occhi, guardarlo negli occhi sarebbe stato un errore «Non sopporto i bugiardi e i menzogneri» disse ancora; poté chiaramente sentire il cuore di Merlin spezzarsi e crollare sul pavimento con un tonfo, non poteva fare altrimenti: perdonami – pensò il re – lo faccio per tutti e due. Quanto gli stava costando parlargli in quel modo? Arthur sentì un pugno nello stomaco, vedendo lo sguardo perso di Merlin. Sapeva che sarebbe successo, non avrebbe mai dovuto lasciarsi andare ai sentimenti, non avrebbe mai dovuto illudersi e illuderlo, perché sapeva che il giorno della separazione sarebbe arrivato, aveva voluto far finta di non vederlo, fino a che aveva potuto, ma il suo destino era tornare a Camelot, lo aveva sempre saputo.
«Ti prego, Arthur, ascoltami…» cercò di dirgli, avvicinandosi a lui. Arthur fece un passo indietro, scuotendo la testa, per un secondo il suo sguardo incrociò quello di Merlin e fu sul punto di mandare a monte il suo geniale piano – ti prego, non guardarmi così… – non poteva permettersi nulla del genere, non più, non poteva cedere all’affetto e ai sentimenti, non di nuovo. Non quando il destino del suo regno era nelle sue mani.
«No» ascoltarlo avrebbe fatto male, avrebbe fatto del male ad entrambi e non avrebbe potuto fare la cosa giusta.
«Ma io ti amo…» lo disse con una vocina così sottile che il cuore del re si strinse in una morsa dolorosa, santo cielo, i suoi occhi pungevano, come se delle lacrime volessero uscire da essi, ma non avrebbe ceduto, sarebbe rimasto sulla sua posizione fino a che non avrebbe trovato un modo di interpretare la profezia.
«Io no» mentì, con la volontà di ferirlo; vide i suoi occhi sgranarsi e sentì il suo cuore rimpicciolirsi davanti ad essi e si riempì in fretta un bicchiere d’acqua, bevve davvero velocemente e tornò nella sua stanza, chiudendosi in fretta la porta alle spalle, lasciandosi andare in un sospiro frustrato; e a causa di quel sentimento una lacrima rigò la sua guancia, l’asciugò in fretta, fingendo che non fosse accaduto. Dannazione, era da tempo che non si sentiva così distrutto, sembrava che i vecchi sentimenti che aveva provato quella prima volta, quella primissima e unica volta a Camelot, fossero tornati a galla in fretta, e Arthur sapeva di dover mettere una fine a tutto quello, e forse così, dicendogli di non amarlo, avrebbe reso meno dolorosa quella separazione. Allora perché sentiva il cuore sanguinare, adesso? Perché sentiva le lacrime al solo pensiero di averlo ferito? Al solo pensiero di averlo visto così devastato?
Doveva convincersi che quella era la soluzione migliore, quella più ovvia. E doveva cercare qualcuno che lo aiutasse a raggiungere il lago di Avalon, perché era sicuro che, dopo il suo crudele trattamento, Merlin non avrebbe più voluto avere a che fare con lui (ed era proprio questo il suo scopo, per tenerlo al sicuro).
 
Merlin non si aspettava di vederlo uscire dalla stanza, non si aspettava di vederlo in cucina, credeva si sarebbe rinchiuso nella stanza e ne sarebbe uscito solo dopo aver sbollito la rabbia; invece lo aveva raggiunto e lui si era illuso che volesse parlare con lui, ascoltare le sue ragioni, invece gli aveva detto quelle cose, spezzandogli il cuore.
Appena lo vide sparire dietro la porta della sua stanza, il moro si portò una mano alla bocca, trattenendo un conato di vomito. No, Arthur era solo arrabbiato, non poteva aver detto davvero di non amarlo, per la seconda volta. Quel "Non posso amare un traditore" e quel "No" risuonavano minacciosi nella sua mente e si sentiva uno straccio, una pezza. Ma doveva risollevarsi come aveva sempre fatto, in fondo, da quante storie finite male era uscito? Eppure con Arthur non era la stessa cosa, sapeva che in lui ci fosse qualcosa in più, rispetto agli altri. Avrebbe solo voluto non essere tanto stupido e avergli detto prima dell’uomo, avrebbe voluto essere più forte, ma era stato codardo e adesso doveva pagare in quel modo le sue azioni, certo, lo sapeva. Ma non faceva meno male convincersi di ciò. Represse un singhiozzo contro la mano e poi cercò di darsi un contegno – per fortuna quel giorno non doveva lavorare, altrimenti sarebbe stato davvero un dramma con Freya e i suoi colleghi. Ironia della sorte, quando aveva preso quel giorno di festa dal lavoro, aveva organizzato un vero appuntamento con Arthur. Aveva programmato tutto per quel giorno, di restare tutto il giorno in sua compagnia, magari spiegandogli qualcosa sulle cose moderne che ancora non conosceva o guardando insieme la televisione, e di uscire con lui la sera, di portarlo in un piccolo ristorante italiano non troppo lontano da casa sua, e fargli provare del cibo vero e non il fast-food o la sua abbastanza discutibile cucina (anche se Arthur l’apprezzava particolarmente); lo avrebbe portato in un quartiere tranquillo per una passeggiata romantica (magari Notting Hill e avrebbero potuto fare come Hugh Grant e Julia Roberts nel film, entrare in un giardino privato e appostarsi su una panchina e baciarsi fino a consumarsi le labbra) e poi sarebbero tornati a casa e la serata si sarebbe conclusa nel miglior modo possibile. Ecco, avrebbe fatto così, ma non l’aveva fatto perché aveva deciso di rivelare ad Arthur la profezia, e il biondo non aveva preso per niente bene il fatto che lui gli avesse nascosto la verità. Aveva sperato in un furibondo litigio (che c’era stato) in un suo patetico strisciare in cerca di perdono (e l’aveva fatto) e di essere perdonato quanto meno la mattina dopo e invece no, naturalmente, perché Arthur non l’aveva presa bene e lo aveva respinto con più energia, a niente erano valsi i suoi tentativi di farsi perdonare.
Represse un altro singhiozzo – avrebbe pianto solo quando sarebbe arrivato nella sua stanza – e preparò la colazione per Arthur, lui non aveva per niente fame, il suo stomaco si era chiuso dopo le parole del re nei suoi confronti; gli preparò i pancake, sperando che con il cibo Arthur potesse perdonarlo. Mentre cucinava sentiva le lacrime premere per uscire dai suoi occhi e i singhiozzi intrappolati nel fondo della gola. Sistemò ogni cosa su un vassoio e asciugandosi il volto con la manica del pigiama – si, qualche lacrima era scappata al suo controllo – raggiunse la porta della stanza di Arthur tenendo il vassoio tra le mani tremanti.
«Arthur… ti ho portato la colazione» mormorò con voce spezzata; quando non ottenne risposta, mise il vassoio per terra e poi si rifugiò nella sua stanza e si mise a letto, lasciando che le lacrime scorressero libere sul suo volto, mentre strisciava nella metà del letto che fino ad un giorno prima Arthur aveva occupato e stringeva forte a sé il suo cuscino, affondandoci il viso dentro, inspirando il suo profumo e sopprimendo contro di esso i suoi singhiozzi. Non stava prendendo bene la rottura, quella volta.
Non poté vedere Arthur aprire la porta e raccogliere quel vassoio anche lui con le lacrime agli occhi, distrutto per quanto accaduto. Nemmeno il re quella mattina mangiò. Il dolore, in quella casa, quella mattina, era palpabile.
 
§§§
 
Quattro giorni dopo, Arthur ancora non gli parlava e lui era con la mente altrove, cercava di non pensare al dolore che gli sconquassava il petto, e aveva deciso, per farsi perdonare, di fare delle ricerche sul mitologico lago di Avalon e sperava solo che questo suo gesto bastasse a far calmare il biondo nei suoi confronti, non si meritava un atteggiamento simile, dopo tutto quello che aveva fatto per lui, ma in fondo lui aveva sbagliato. Ma Arthur non aveva mai sbagliato? Era così perfetto da non aver mai fatto errori? Io sono il re, Merlin – gli avrebbe risposto a quelle domande.
Erano giorni che quando usciva dalla sua stanza, ed usciva solo per mangiare o andare in bagno, non gli rivolgeva la parola – molto maturo da parte sua – e che non gli scriveva i suoi numerosi messaggi per passare il tempo. Quella sorta di rottura con Arthur aveva lasciato un vuoto enorme dentro di lui, ma cercava di compensare con il lavoro e con le ricerche per lui, sperando che bastassero a farsi perdonare. Molti in ospedale erano preoccupati per lui, prima di tutti la sua amica Freya, che insisteva per capire chi lo facesse soffrire così, poiché non le aveva detto niente di nessun nuovo probabile ragazzo, ma Merlin non aveva parlato, non aveva rivelato nulla, si era tenuto tutto per sé e avrebbe risolto la cosa a modo suo. Fu quel giorno che decise, per la sua salute mentale, di prendere qualche giorno di ferie arretrate e concentrarsi sul far pace con Arthur, trovando un modo per portarlo sul lago di Avalon e scoprire come rimandarlo a Camelot. Era tutto ciò che poteva fare per poter rimediare ai suoi errori: aiutarlo a compiere il suo destino.
Fu così che scoprì che il lago di Avalon, a quel tempo, corrispondeva alla città di Glastonbury, nel Somerset. Così, senza dire niente ad Arthur, che ormai si comportava come una persona matura non parlandogli, raccolse tutto il materiale che riuscì a trovare su Glastonbury, Avalon, il mito intorno ad esso e il resto, e lo fece stampare in una cartoleria; organizzò il viaggio da Londra a quella cittadina, prenotando anche due stanze di un piccolo B&B economico che aveva trovato, poi scrisse anche un biglietto per Arthur. Lasciò tutto il materiale che aveva trovato, fuori alla porta della sua stanza, una sera, sperando che almeno aprisse.
Arthur aprì la porta, dopo aver sentito un colpo sopra. E si ritrovò davanti un plico con un biglietto, Merlin doveva aver fatto qualcosa, perché sembravano tante pagine da leggere quelle. Afferrò il primo foglio, il biglietto e lo lesse.
Arthur, mi dispiace per ciò che è successo.
Per quello che vale, l’ho fatto davvero senza cattiveria, è solo che mi sono innamorato di te, e lasciarti andare sarebbe stato, anzi è doloroso e tu non puoi neanche immaginare quanto. Sono dispiaciuto per non avertelo detto prima. Comunque, se mai accettassi le mie scuse e decidessi di concedermi il tuo perdono – ti offrirò il mio aiuto anche se tu non dovessi perdonarmi, sia chiaro – ho fatto delle ricerche. Il lago di Avalon non esiste più, ma c’è una città che sorge proprio dove si dice che un tempo ci fosse il lago, se abbiamo fortuna ci sarà qualche fiume o laghetto che potrà aiutarti a compiere il tuo destino.
Ho prenotato tutto, possiamo partire tra due giorni, se vuoi, altrimenti annullo tutto. Almeno, potrei portarti a fare quel viaggio in treno che mi hai tanto chiesto di fare.
Con amore,
Merlin”.
Sfogliò con cura le pagine che aveva trovato per lui, e si diede dello stupido; come aveva potuto pensare che Merlin si rifiutasse di aiutarlo, a causa del loro litigio? E lui che aveva anche solo pensato di trovare un’altra persona che potesse aiutarlo… Sospirò, pensando di essere stato troppo duro con Merlin, il moro non meritava il modo in cui lo aveva trattato; in realtà avrebbe voluto fiondarsi da lui ogni volta che lo aveva sentito singhiozzare, ma non lo aveva fatto per puro orgoglio e per seguire quella sua assurda idea di allontanarlo per soffrire di meno. La peggiore idea di sempre. Respirò profondamente diverse volte, prima di scacciare l’orgoglio ed uscire dalla sua stanza; separarsi avrebbe fatto male ugualmente, perché continuare a negarsi l’uno la presenza dell’altro? Perché farsi del male prima del tempo? Era da sciocchi, e lui era un asino, come diceva sempre il moro. Gli sarebbe mancato il suo modo di apostrofarlo, e il suo cuore si strinse a quel pensiero. Raggiunse in fretta la stanza di Merlin, e deglutì prima di picchiettare sulla porta. Esattamente, perché Merlin avrebbe dovuto perdonarlo?
«Merlin? Posso entrare?» chiese. Erano le prime parole che gli diceva, fin da quando gli aveva detto di non amarlo e che tra loro era finita. Deglutì ancora, non meritava il perdono di Merlin per come si era comportato, ma la rabbia, la disperazione, la delusione e anche l’amore portavano a fare cose sciocche.
«S-Sì, certo» mormorò da dentro alla stanza. Arthur entrò e lo trovò a gambe incrociate sul letto, con un libro tra le mani. Era così bello, anche quando leggeva, e indossava quelle enormi felpe in cui navigava e sembrava ancora più minuto «Mi parli di nuovo adesso?» chiese, senza alzare lo sguardo dal suo libro.
«Sono stato ingiusto con te» disse subito il re «Non sono bravo in queste cose, ma… Merlin, io devo tornare a Camelot. Non posso ignorare i miei doveri da re, solo perché sono innamorato» spiegò avanzando verso il letto.
«Ah, adesso sei innamorato» disse ironicamente Merlin «Cosa ne facciamo del non posso amare un traditore?» domandò con tono tagliente «E quel Io no, in risposta al mio ti amo?» chiese, senza guardarlo. Arthur sapeva che i suoi occhi fossero velati di lacrime, lo aveva sentito piangere ogni sera, fin da quando avevano litigato.
«Ero arrabbiato, non pensavo davvero nessuna delle due cose» rispose prontamente, il moro stava per aggiungere qualcosa, ma Arthur lo precedette «Credi che mi faccia piacere lasciarti? Credi che io voglia lasciarti?» domandò «Ho solo pensato che, se avessi continuato ad essere arrabbiato con te, avrebbe fatto meno male lasciarti qui».
«E?»
«Non è così. Non fa meno male, anzi, fa più male. Perché non sono davvero arrabbiato con te, sì, lo ero quattro giorni fa, ma già la notte stessa del litigio, quando ti ho sentito piangere, volevo venire da te e dirti che ti avevo perdonato» confessò, ora era più vicino al letto, ma il moro ancora non lo guardava «Merlin, sto cercando di dirti che non hai niente di cui farti perdonare e che mi dispiace aver reagito male» disse «Anzi, ti chiedo perdono per essere stato così… asino».
Fu in quel momento che il moro alzò lo sguardo e Arthur vide la sua disperazione, il suo dolore e la sua fragilità tutte insieme e semplicemente l’orgoglio rimanente scivolò via dal suo corpo come una coperta in eccesso e si abbassò su di lui per baciarlo, per fargli capire che, nonostante tutto, lo amava. Passò con dolcezza le mani sulle sue gote e appoggiò la fronte contro la sua. «Mi dispiace» disse il re, in un sussurro.
«Arthur…» sussurrò Merlin, il solo sentire il suo nome pronunciato da lui, fece battere il cuore del re.
«Non volevo farti soffrire» disse subito il biondo, ancora in cerca di perdono «Stupidamente cercavo un modo per alleviare il dolore di entrambi» confessò «Tu mi hai fatto capire che anche io posso amare di nuovo» sussurrò sulle sue labbra, accarezzandogli una guancia «Mi hai amato più tu, in questa unica luna di relazione, che chiunque altro abbia fatto nella mia vita» sussurrò ancora, sentendo il respiro dell’altro accelerare «Perdonami per essere stato un asino testa di fagiolo ed averti lasciato da solo durante questi giorni».
«Okay…» mormorò Merlin, allacciandogli le braccia attorno al collo «Solo se tu perdoni me per averti mentito». Dopotutto, la reazione di Arthur era stata un pelino esagerata, ma comprensibile, quello che aveva sbagliato di più era stato lui, eppure c’era qualcosa che lo faceva restare all’erta, solo che non riusciva a pensarci, Arthur lo aveva perdonato ed era tornato da lui e lui era pateticamente sollevato che gli parlasse ancora, che fosse ancora così vicino a lui…
«Ovviamente» rispose il biondo sfiorando di nuovo le sue labbra.
«Mi consideri ancora un traditore?»
«Non l’ho mai pensato, ero solo arrabbiato» mormorò, e quando vide un accenno di sorriso sulle labbra di Merlin, lo baciò più profondamente, crollando insieme a lui sul letto, stringendoselo contro e respirando contro la sua pelle di nuovo, uscendo di nuovo dalla sua apnea personale. Arthur lo baciò fino a perdere fiato e continuò anche quando ebbe la sensazione di soffocare in quel bacio, gli accarezzò le gote, eliminando le lacrime che avevano ripreso a scivolare sul suo viso, gli accarezzò i capelli e lasciò che l’altro affondasse le mani nei suoi capelli, travolgendolo in un bacio più sentito, più desiderato, man mano sempre meno casto.
«Mi sei mancato» soffiò Merlin sulle sue labbra gonfie. Arthur si aprì in un dolce sorriso, mentre gli tracciava con i polpastrelli i contorni del viso e delle labbra.
«Anche tu, da impazzire» confessò il re «Credevo di… evitare ad entrambi la sofferenza, invece mi sono sbagliato».
«Anche i re allora possono sbagliare?»
«Certo. Solo che non lo ammettono quasi mai» rispose sorridendo, prima di coinvolgerlo in un altro bacio dolce, cancellando in quel modo quattro giorni di dolore, di paure e di incertezze. In qualche modo, entrambi sarebbero sopravvissuti a tutto quello, ma non separati.
 
Arthur gli stava accarezzando un fianco, e Merlin aveva il viso nascosto contro il suo petto, sentiva che tra di loro c’era ancora qualcosa da mettere in chiaro, ma era contento che l’altro fosse tornato da lui e non lo avesse lasciato solo durante quegli ultimi giorni insieme. Merlin si strinse un po’ di più contro il suo corpo, cercando un maggiore contatto e ad Arthur parve quasi naturale concederglielo, stringendolo maggiormente contro di sé, mentre continuava ad accarezzarlo. Non aveva il coraggio di dire quello che entrambi stavano pensando. Merlin semplicemente godette del calore del corpo del biondo, gli depositò un bacio all’altezza del cuore, sentendolo battere con forza contro la cassa toracica e sentendosi leggermente lusingato, sapendo di essere lui la causa di quel battito accelerato. Era stata una sorpresa per lui, vedere il biondo tornare da lui e chiedergli perdono per il suo atteggiamento, non credeva che potesse accadere una cosa del genere, aveva imparato a conoscerlo e l’orgoglio radicato era una delle sue caratteristiche più evidenti, la lettera doveva aver avuto un impatto davvero notevole su di lui, o forse davvero aveva deciso di non sprecare gli ultimi giorni, che potevano condividere – anche se la parte cattiva del suo cervello, gli stava suggerendo che era tornato da lui solo perché ne aveva bisogno – e adesso quel silenzio, in cui entrambi si stavano crogiolando, aveva congelato tutto, aveva reso la separazione futura, solo un lontano futuro e aveva cancellato il litigio e tutto quello che era successo quattro giorni prima, riportandoli ai loro momenti spensierati che avevano condiviso. Merlin sapeva che non era normale, dopo soli due mesi di conoscenza e uno di relazione, essere così legato l’uno all’altro, ma non poteva farci niente, era così che si sentiva, incredibilmente legato e innamorato, era come se avesse trovato la sua anima gemella, colui che lo completava nelle mancanze e lo faceva sentire felice. “Se solo potesse durare in eterno…” – pensò con un sospiro. Aveva sempre saputo che il momento di dirgli addio sarebbe arrivato, era solo che non si aspettava di sentirsi così travolto da lui, dai sentimenti che erano nati per lui e tutto il resto.
Emise un singhiozzo strozzato, pensando al momento in cui si sarebbero separati e cercò di non farlo notare all’altro, che dal canto suo, strinse più forte il braccio attorno a lui, accarezzandolo ancora delicatamente; restarono ancora in silenzio, confortandosi a vicenda per l’imminente futuro.
«Hai organizzato tutto» mormorò ad un certo punto il biondo, non riuscendo più a mantenere il silenzio, lui annuì, incapace di dire nulla, non voleva spezzare l’attimo magnifico e anche disperato. Non voleva che sentisse il dolore nella sua voce e non voleva che si sentisse in colpa per questo «Mi aiuteresti davvero fino in fondo? Anche se significasse separarsi?» chiese allora, con una punta di curiosità. Merlin restò un momento indeciso se rispondergli o no, poi lentamente alzò il volto verso il suo, guardandolo negli occhi.
«Ho imparato che se si ama una persona, allora bisogna lasciarla andare» grandioso, Merlin, adesso citi anche la Bella e la Bestia, quanto sei patetico? «Arthur, ti ho promesso che ti avrei aiutato a tornare a casa. Non rimangio la parola data, anche se ho cercato di allontanare questo momento… sapevo che sarebbe arrivato» deglutì «Quindi sì, anche se significa separarsi, ti aiuterò fino in fondo». Il re sospirò, dandogli un bacio tra i capelli scuri, senza riuscire a trovare le parole giuste da dire, e neanche lui aveva molto da dire a riguardo; la separazione avrebbe fatto soffrire entrambi, ne erano consapevoli, ma Arthur era un re, una volta tornato a Camelot lo avrebbe dimenticato presto, e avrebbe vissuto la sua vita da monarca e probabilmente avrebbe incontrato la sua regina, mentre lui sarebbe rimasto lì, nel futuro e avrebbe raccolto, come sempre, i cocci del suo cuore e avrebbe provato ad andare avanti. Ci era abituato, ormai, tanto valeva godersi fino alla fine quegli ultimi giorni.
«Sei l'uomo più leale e d’onore di qualunque cavaliere io conosca» sussurrò tra i suoi capelli, e Merlin semplicemente sorrise, sollevandosi leggermente dalla sua posizione e stampandogli un delicato bacio sulle labbra. Un semplice sfioramento, un ringraziamento per non averlo lasciato già, per aver perdonato la sua verità nascosta, e per essere ancora lì con lui. Arthur chiuse gli occhi al contatto e portò una mano dietro la sua nuca, facendogli inclinare il collo per poterlo baciare meglio, e approfondì il bacio, sentendolo sorridere contro la propria bocca.
«Arthur?» lo chiamò. Il dubbio premeva, la parte cattiva del suo cervello non voleva saperne di lasciarlo in pace, troppe volte era accaduto prima di lui e non voleva che il seme del dubbio influenzasse quegli ultimi giorni d’amore con lui.
«Dimmi».
«T-Tu non sei tornato da me, solo perché hai bisogno di me per… Glastonbury e tutta la faccenda del ritorno a Camelot, vero?» chiese, e quando vide lo sguardo rammaricato di Arthur, si rese conto che era stata una pessima domanda, ma da parte sua era più che ragionevole. Preferiva separarsi da lui e sapere che il biondo lo amasse sul serio, piuttosto che sapere che l’altro lo aveva solo usato «Ti prego, dimmi la verità, ti aiuterò comunque, ma…»
«Merlin, come puoi anche solo pensare una cosa del genere?» chiese lui in risposta «Mi chiedi se ho bisogno di te, certo che ne ho, da solo, senza di te, non sopravvivrei cinque minuti in questa bolgia moderna» disse, Merlin sentì già un pezzo del suo cuore inclinarsi «Ma non sono tornato da te per questo. Sono qui da te perché tengo davvero a te e separarci, sapendo di non essere in pace l’uno con l’altro, mi spezzava il cuore» disse con serietà e sincerità, una sincerità che veniva fuori dal suo sguardo, dal mezzo sorriso amabile che aveva quando gli parlava «Okay?» Merlin annuì, incapace di fare altro, Arthur riusciva sempre a lasciarlo senza parole «Per favore, non dubitare più dei miei sentimenti…» lo pregò, guardandolo negli occhi.
«Te lo prometto» sussurrò, appoggiando la fronte contro la sua «Mi dispiace, è che sono… sempre così insicuro e dopo quello che è successo tra me e te, io…»
«Lo comprendo» disse il re, accarezzandogli con delicatezza la guancia «Ma con me non devi mai sentirti così, okay?» Merlin annuì e Arthur suggellò quella promessa detta a mezza voce, con un altro lungo bacio, che si protrasse in coccole, carezze e altri lunghi baci, mentre entrambi si lasciavano cullare dai loro tocchi e scivolavano placidamente nel sonno, l’uno stretto tra le braccia dell’altro, aggrappati ad un amore che presto sarebbe finito.



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Hola bella gente!
Finalmente ce l'ho fatta! Eccoci qui con il quinto capitolo. Il mondo sta collassando (vabeh è un'esagerazione LOL) e Arthur deve tornare a Camelot. Merlin gli confessa tutto e... ovviamente il re non la prende bene (confesso che in una prima stesura Arthur la prendeva anche peggio, ma alla fine non mi convinceva e quindi eccolo qui!) ma poi non riesce a tenere il broncio a Merlin troppo a lungo e torna da lui quasi strisciando. Merlin lo perdona in fretta, perché soffre tanto ma qualche dubbio ce l'ha ancora. Solo che non riesce a stare lontano da lui (eh... mi chiedo come mai LOL)
Anyway, si ringrazia il web (che rivela le verità secondo il nostro re) per tutte le info sul lago di Avalon e la tomba del re uhuh. Ho fatto qualche ricerca prima di scrivere questo e il prossimo capitolo (in realtà, ho fatto fare a Merlin una cosa che io amerei fare, andare in giro per luoghi mitologici, cosa che accadrà nel prossimo capitolo çç) eheh. 
E questo è tutto per oggi, gente! Questa storia si sta allungando in un modo assurdo, aveva sei capitoli + epilogo, ora sono otto più epigolo. E niente. 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Ringrazio di cuore le mie affezionate lettrici: lilyy e elfin emrys, e chiunque stia leggendo la storia! Ogni persona che la aggiunge ai preferiti e alle seguite, e tutti quelli che spendono un click per darle un'occhiatina. 
I miei bimbi preziosi, il prossimo capitolo è un misto tra fluff e angst peggio di questo! Ops. Non dovevo dirlo. 
E niente, people belle, ci si becca alla prossima! 
Stay tuned!

Ps consiglio spassionato, potrei aver scritto una one shot che è venuta fuori un po' lunga, (e quando mai...) per dire in numeri sono (circa) 17.000 parole e (circa) 20 pagine (e non l'ho ancora riletta LOL) ci state a leggerla tutta insieme? O la metto in due parti? Let me know! Vi giuro che non c'è niente di tragico, è tutto fluff e romanticismo <3

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Capitolo 6
*** Capitolo 6: Is this a goodbye? ***


Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!


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«Non ci credo!» esclamò incredulo Arthur «Tu hai preso dei giorni liberi dal lavoro per accompagnarmi ad Avalon» continuò, mentre aiutava Merlin a mettere i bagagli nell’auto, due giorni dopo il loro chiarimento. Erano in procinto di partire per Avalon affinché il re potesse compiere il suo destino «Semplicemente, è sorprendente».
«Cosa? Anche io posso prendere delle vacanze, non solo tu» disse, chiudendo il cofano e rivolgendo un sorriso al re; l’armatura di Arthur pesava davvero tantissimo ed era stata un’impresa titanica riuscire a trovare una borsa in cui entrasse, spada compresa. Avevano dovuto scartare la proposta del re che si era offerto di indossarla per tutto il viaggio; di certo, li avrebbero presi per pazzi, se lui fosse andato in giro con quella addosso. Guardò quelle due semplici valigie e sospirò, dopo quella breve vacanza, lui e Arthur si sarebbero salutati per sempre, il biondo sarebbe tornato nel suo tempo, nel suo regno, e lui sarebbe rimasto lì, bloccato nel ventunesimo secolo e la sua vita sarebbe stata vuota senza di lui. Pensava continuamente al momento in cui lo avrebbe lasciato andare e sentiva già il suo cuore stringersi in una morsa dolorosa.
«Lo leggo sul tuo viso che sei triste» disse guardandolo, mentre entravano in macchina «Andrò da solo, davvero, troverò il modo di sopravvivere, in questo strano mondo moderno e troverò il lago, non devi venire se ti fa male».
Merlin scosse la testa con decisione «Ho intenzione di venire a Glastonbury con te e di aiutarti a tornare a casa, come ti ho promesso quando ci siamo incontrati. Manterrò la parola data» disse sicuro il moro «E poi non voglio perdermi il tuo primo e unico viaggio in treno» mezzo sorriso contornò le sue labbra, ma svanì subito «Poi tornerò qui, senza di te e mi getterò a capofitto nel lavoro, cercando di non pensare a te e al tuo dannato viso perfetto».
«Sei incredibile» mormorò Arthur e gli baciò delicatamente una guancia, poi osservò il suo profilo, perdendosi ad ammirare i suoi lineamenti perfetti, soffermando lo sguardo sui suoi zigomi sporgenti e sul luccichio dei suoi occhi blu sotto la luce del sole, quel ragazzo non si rendeva conto dell’effetto che aveva su di lui, non si rendeva conto di quanto il re fosse davvero perso nei sentimenti che provava per lui. Era certo che se avesse avuto il modo, lo avrebbe portato con sé, ma come avrebbe fatto Merlin, così abituato alla tecno-magia e al progresso, così abituato alle sue diavolerie moderne a sopravvivere a Camelot? Non sarebbe stato possibile, non sarebbe stato giusto invitarlo ad andare con lui, sapendo che avrebbe accettato ad occhi chiusi – perché Merlin lo avrebbe fatto – e che non sarebbe sopravvissuto mezza giornata lì.
«Il viaggio ti piacerà, ne sono sicuro» stava continuando a dire il moro, mentre lui era perso nelle sue elucubrazioni su di lui «Prenderemo prima un treno, e poi un bus, impiegheremo circa tre ore per arrivare, ma sono certo che ti piacerà».
«Mi piacerà sicuramente, Merlin». Il moro annuì e, un po’ preso dallo sconforto, fece partire l’auto. Non aveva detto ad Arthur che aveva optato per la soluzione più lunga, in modo da fargli ammirare la bellezza dei paesaggi inglesi e soprattutto in modo da restare insieme a lui quanto più tempo possibile. Sì, prolungare il tempo insieme sarebbe stata anche un’agonia, ma avrebbe cercato di non pensare a ciò che sarebbe accaduto dopo, per non rovinarsi il tempo con lui, perché per passare anche solo un minuto in più con Arthur, avrebbe fatto qualsiasi cosa. Strinse la mano sulla tasca del giubbotto, sentendo ancora la presenza della scatolina che aveva portato da casa. L’aveva presa all’ultimo momento, era un regalo per Arthur, prima della loro separazione definitiva.
Arrivare alla stazione fu la parte fu facile di quel viaggio, mentre erano in auto, Arthur si limitò solamente a chiedere qualche dettaglio sul viaggio, ma la parte tragica arrivò dopo aver parcheggiato ed essere entrati in stazione.
Il biondo era rimasto contemporaneamente terrorizzato ed estasiato dalla grandezza della stazione, dai tabelloni – Merlin, ti sfido; quella non può che essere stregoneria, i numeri si cambiando da soli, o appaiono! – e dai cartelloni pubblicitari – come può un ritratto essere così grande, Merlin? Non può, non esistono tele così grandi – e aveva continuato a fare le sue assurde teorie sulla stregoneria moderna, e lo aveva fatto ridere così tanto da avergli fatto dimenticare per un po’ il motivo per cui erano alla stazione e per cui stavano partendo così improvvisamente. Sul treno, poi, aveva continuato imperterrito: «È fantastico, si muove da solo! Non capisco come puoi dire che non sia stregoneria, dove sono i cavalli che trainano questo mezzo?» «Nel motore, Arthur» «Vuoi dire che usate dei poveri cavalli per fare i motori? Siete dei barbari in questo tempo, lo sai?» - e non era stato facile spiegargli l’avvento del motore e che con cavallo, in relazione ad un motore, si intendeva la potenza di quest’ultimo, e che non si trattava di un cavallo vero; Arthur forse non aveva compreso bene quella spiegazione, ma se l’era fatta bastare, anche se era rimasto piuttosto scettico. E poi semplicemente, come un bambino al luna park, Merlin lo aveva osservato guardare fuori dal finestrino, mentre osservava il paesaggio scivolare velocemente davanti ai suoi occhi che, pieni di stupore e di meraviglia, non riuscivano a staccarsi da quella visuale; Merlin poteva capirlo, anche lui in treno restava affascinato dal modo in cui il paesaggio cambiava sotto i suoi occhi, poteva solo immaginare come fosse per Arthur, non abituato per niente a cose del genere. Poco dopo, sentì lo sguardo del re posarsi su di sé, sul suo profilo, sulla sua pelle. Merlin non riusciva a spiegare come si sentisse ogni volta che Arthur posava i suoi occhi su di lui con quell’espressione beata, era un mix di sensazioni che lo faceva sentire desiderato, voluto, apprezzato, amato. Nessuno in tutta la sua vita, lo aveva fatto sentire così.
«Grazie per tutto questo, Merlin» disse, vicino al suo orecchio, lasciandogli un bacio sotto il lobo «Non lo dimenticherò mai» soffiò. Il moro sorrise leggermente e poi si sporse un po’ di più verso di lui, baciandolo leggermente a stampo, sulle labbra e poi appoggiò la testa sulla sua spalla, godendosi il resto del viaggio e le esclamazioni stupite di Arthur. Non seppe perché, forse per il dondolio del treno, per il profumo inebriante di Arthur o per qualche altro fattore, improvvisamente scivolò placidamente in un sonno ristoratore.
 
«Merlin» sussurrò il re, chiamandolo «La voce metallica, con un tono molto scortese, ha appena annunciato che siamo quasi arrivati a Bristol» disse al suo orecchio, cercando di svegliarlo.
Arthur non credeva di aver capito esattamente cosa fosse un treno, ma il viaggio a bordo di esso era stata un’esperienza davvero interessante, soprattutto con quel ragazzo accanto a sé, disposto a spiegargli ogni cosa riguardante quell’assurdità moderna. Cavalli nei motori, assurdo. Il viaggio in sé non era durato molto, ma Merlin, ad un certo punto, era scivolato in un sonno così piacevole in quegli ultimi venti minuti che gli dispiacque svegliarlo, avrebbe voluto che continuasse a dormire così rilassato, piuttosto che vederlo sveglio e con l’espressione sofferente. Lo sentì annuire contro la sua spalla e affondare il naso contro il suo collo, e sentì un leggero solletico. Preferì non dirgli degli sguardi che alcuni passeggeri avevano lanciato verso di loro, guardando il moro dormire in quel modo così confortevole con lui, non voleva dargli un dispiacere più grande di quello che stavano per vivere entrambi.
«D’accordo…» mormorò il moro, aprendo gli occhi «Ehi…»
«Ehi, hai dormito bene?» domandò con il tono dolce, dandogli un bacio sulla punta del naso «La mia regale spalla è stata un buon supporto?» chiese ironicamente, facendolo ridere di gusto.
«Sei un idiota, lo sai, vero?» chiese il moro retoricamente, scuotendo la testa «Grazie per non avermi scacciato».
«Non avrei mai potuto, eri così tenero e adorabile». Merlin ridacchiò arrossendo e preferì non rispondergli, godendosi quegli ultimi minuti di viaggio accoccolato accanto a lui, senza togliere la testa dalla sua spalla. Poi, quando anche altri passeggeri iniziarono a prepararsi per uscire dal treno, dovettero alzarsi e prendere i loro bagagli. E ovviamente, Arthur fu così cavalleresco e cortese da prendere sia la sua valigia, quella con l’armatura, che quella di Merlin, dopo avergli rivolto un dolce sorriso.
«Vorrei un ragazzo come quello, guarda là che galantuomo, ormai quelli così sono tutti gay, che peccato» commentò una ragazza alle loro spalle, a quel punto, Arthur si voltò verso di lei con il sopracciglio alzato. Senza dire nulla, si avvicinò a lei e aiutò sia la commentatrice che l’amica a prendere le valigie, e poi, alla fine, rivolse loro quel suo sorriso irriverente che faceva girare la testa a tutti. Merlin sentì giusto un pizzico di gelosia, mentre reggeva i loro bagagli, ma non lo diede a vedere.
«Avrò anche una relazione con un uomo, ma sono ancora un uomo d’onore e prima di tutto un cavaliere» proferì solenne, poi fece un mezzo inchino, mentre le porte del treno si aprivano e «Buona giornata, mie signore» disse, prima di sparire tra la folla, con il suo uomo, lasciandosi alle spalle due ragazze sospiranti. Mentre avanzavano verso la fermata degli autobus, Merlin lo guardava con un misto di adorazione e gelosia; adorava il suo lato cavalleresco, ma allo stesso tempo si era sentito geloso quando il biondo aveva rivolto le sue attenzioni a quelle due ragazze, era stupido, lo sapeva, ma non poteva negare di desiderare le attenzioni di Arthur solo per sé.
Arrivarono allo stazionamento degli autobus lì vicino e trovarono quasi subito quello che avrebbero dovuto prendere, depositarono i bagagli nello scomparto assegnato a loro e poi si sedettero ai loro posti.
«Non puoi farne a meno, vero?» chiese il moro con una punta di gelosia nella voce, mentre le due ragazze che Arthur aveva aiutato passavano accanto al bus e, notando il biondo, lo salutavano con dei sorrisi ammirati.
«Cosa?»
«Questo tuo continuo essere così… cavaliere».
«Merlin, io sono un cavaliere» disse con ovvietà «Te lo ricordi, vero?» domandò sorridendo, ma poi si rese conto del motivo di fondo di quella domanda e «Sei geloso» affermò con voce sicura.
«No, io…»
«Non era una domanda. Sei geloso» ridacchiò, avvicinando il volto al suo, dandogli un bacio sulla guancia «Ma puoi stare tranquillo, i miei sentimenti sono devoti solo a te» gli promise, con un tenero sorriso sulle labbra. Merlin girò il viso verso il suo e gli diede un bacio a stampo. Arthur sorrise e gli mise un braccio attorno alle spalle, avvicinandolo a sé, e invitandolo ad appoggiare la testa sulla sua spalla, esattamente come nel treno.
Il resto del viaggio verso Glastonbury fu abbastanza piacevole, soprattutto perché, per tutto il tempo, Arthur tenne stretto Merlin contro il proprio fianco, quasi come se non volesse farlo andare via.
 
§§§
 
«Ecco, qui è dove dovrebbe essere la tua tomba, o almeno il punto dove hanno  deciso di commemorare la tua scomparsa» disse il moro, mentre insieme ad Arthur scrutava una mappa; erano entrambi seduti sul letto della stanza del B&B (alla fine Merlin sotto richiesta del re aveva cambiato la loro prenotazione, e ne aveva presa una sola doppia al posto di due singole) e stavano preparando un piano per Avalon «Dovremmo cercare di orientarci, io non sono mai stato da queste parti…» mormorò, Arthur restò in silenzio e pensieroso «Prima che la storia cambiasse, secondo le leggende, i tuoi resti furono ritrovati sulla collina e poi spostati nell’abbazia di Glastonbury» spiegò guardandolo «Secondo queste leggende, un tempo il lago di Avalon circondava un’isola, per alcuni isola dei beati, e molto probabilmente corrisponde alla vallata della collina» indicando il punto sulla mappa «Alcuni sostengono che ci sia ancora un po’ di magia da quelle parti» continuò «Se vogliamo delle risposte, è qui che dobbiamo recarci» disse serio, poi sembrò rifletterci e aggiunse «Non so dove di preciso, ma secondo una leggenda metropolitana c’è una sorgente da queste parti, si dice che sia il residuato dell’acqua del lago e che essa contenga magia allo stato puro; di più non ho trovato» spiegò «Mi dispiace» si scusò.
«Sei così intelligente, Merlin» mormorò Arthur con ammirazione «Come mai conosci tante leggende?»
Il moro scrollò le spalle «Mi piace leggere, da ragazzino ero affascinato dalle leggende arturiane» ammise arrossendo «Inoltre in questi giorni ho letto molto per capire qualcosa su tutta questa faccenda» spiegò sorridendo, con gli occhi abbassati per l’imbarazzo. Il biondo sorrise alle sue parole e mise una sua mano su quella del moro, poi si sporse verso di lui e lo baciò teneramente, al contatto il moro si sciolse e ricambiò il bacio con la stessa dolcezza e tenerezza.
«Sono stato davvero fortunato ad averti incontrato».
«Credimi, Arthur, sono stato più fortunato io» disse, guardandolo negli occhi «Domani andremo, okay? Domani manterrò fede alla mia promessa e ti farò tornare a casa» e davvero, se non avesse avuto la voce così incrinata, così piena di dolore, Arthur sarebbe stato felice di una notizia del genere; ma come poteva gioire del dolore dell’uomo che amava?
Il biondo annuì e lo baciò ancora delicatamente, appoggiandogli una mano sulla guancia, lo sentiva tremare contro di sé, tremare forse per il dolore che sapeva avrebbe vissuto dal giorno dopo. Non disse niente, cercò di stringerlo quanto più poté, cercando di tranquillizzarlo, lasciandogli leggeri baci tra i capelli e cercando di consolarlo come poteva, tuttavia il moro sfuggì al suo tocco e riprese a cercare tra quelle carte qualche indizio in più per affrontare il ritorno del re a casa sua e Arthur si ritrovò a riflettere su diversi fattori, come ad esempio chiedere a Merlin di andare insieme a lui e trascorrere il resto della sua vita a Camelot. Davvero, più ci pensava, più era tentato di chiederlo, ma… si tratteneva sempre.
«Non c’è fretta» disse ad un certo punto, Merlin alzò gli occhi verso i suoi, con aria interrogativa.
«Voglio dire, non dobbiamo farlo domani per forza. Possiamo sempre… posticipare» disse annuendo, per convincere prima se stesso e poi il moro che quella fosse una buona idea «Domani passiamo la giornata insieme, facciamo un giro, andiamo in un posto carino… e ci facciamo un ritratto piccolo in quelle macchine che hai indicato lungo la strada. Voglio dire, non è successo niente di irreparabile fino ad oggi, cosa succede se ci prendiamo un altro giorno?» chiese con un sorriso «Che ne pensi?»
«L-Lo faresti? Per me?»
«Per te» confermò «E anche un po’ per me, perché anche io sento una stretta al cuore, pensando di doverti lasciare». Merlin lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, lasciò cadere tutte le mappe e gli appunti che aveva tra le mani e gli gettò le braccia al collo, abbracciandolo forte e stringendolo a sé con tutta la forza che aveva. Subito il braccio di Arthur gli circondò i fianchi ossuti e le loro labbra quasi in sincrono si cercarono, trovandosi, perdendosi in un lungo e bagnato bacio, che sapeva un po’ d’amore, un po’ di malinconia e un po’ di lacrime, quelle che silenziosamente entrambi stavano versando, immaginando che presto o tardi, volenti o nolenti, tutto quello sarebbe finito, ed ognuno sarebbe tornato alla propria vita precedente. Arthur, quella notte, fu vicinissimo a chiedere a Merlin di abbandonare tutto e di seguirlo a Camelot, ma non lo fece.
 
Il giorno seguente entrambi cercarono di godersi a pieno l’ultimo giorno insieme, si svegliarono di buon’ora, stretti l’uno all’altro, in un abbraccio tenero e dolce, Merlin si era alzato per primo, si era vestito e poi aveva aspettato che Arthur si preparasse, poi insieme erano andati a fare colazione e per tutto il tempo si erano solo guardati, senza dirsi nulla a parole, solo con gli sguardi avevano comunicato, dicendosi quanto entrambi avessero bisogno di quella ultima giornata insieme e quanto facesse male ad entrambi quella situazione. Poi erano usciti, facendosi consigliare dal gentile gestore del B&B cosa fare da quelle parti. Avevano così passato una giornata davvero divertente, quasi dimenticando le incombenze del giorno seguente. Solo quando avevano visto la torre della Glastonbury Tor, i loro sguardi si erano velati di malinconia, ma nessuno dei due aveva proferito nulla. Si erano limitati a stringersi la mano e a continuare la loro escursione, per trascorrere quanto più tempo possibile insieme. Si scattarono delle foto istantanee nelle macchinette per le fototessere, si fecero scattare alcune foto dai passanti con il cellulare di Merlin e, quando il biondo non lo guardava, Merlin gli scattava di nascosto delle foto, giusto per conservare dei ricordi legati a lui. Arthur sembrava un bambino, era entusiasta di tutto, adorava girare per negozi e cercare souvenir, aveva persino insistito per comprare delle calamite – così metterai queste simpatiche formine sul tuo frigorifero, Merlin, e penserai che le ho scelte io per te – perché era il re ed era risaputo che i re avessero buon gusto, aveva detto come sua giustificazione, facendo ridere il moro.
«Qui siamo venuti davvero bene, Merlin» stava dicendo mentre osservava una delle foto che si erano scattati con la fotocamera interna del cellulare del moro, erano entrati in una tavola calda (una taverna, Merlin, le taverne qui sono davvero più… pulite rispetto a quelle di Camelot) per l’ora di pranzo e avevano preso entrambi dei panini «Non capisco ancora cosa voglia dire selfie, ma va bene così».
«Credo sia un gioco di parole» disse l’altro ridacchiando alle sue parole «Per indicare gli autoscatti, ma non lo so, so solo che un giorno qualcuno l’ha usata e questa parola ha fatto il giro del mondo, ormai è usata per definire gli autoscatti».
«Capisco…» mormorò annuendo e dando un morso al suo panino «Ehi, questo sono io!» esclamò vedendo una sua foto «Però, non credo di venir bene in questi vostri piccoli ritratti» disse «Il mio naso sembra enorme!»
«Ma stai zitto, sei bellissimo» ribatté Merlin, tenendo lo sguardo basso sul suo cibo «Non conosco nessuno che sia fotogenico quanto te. Dai. Non c’è bisogno che te lo dica io» borbottò con le guance rosse. Poi lo sentì, chiaro come il giorno, il suono della fotocamera che scattava una foto «Arthur!» esclamò, coprendosi il volto con le mani «Non farlo».
«Perché no? Sei bellissimo, Merlin» soffiò il re, alzandosi e sporgendosi verso di lui per avvicinarsi al suo viso, e spostargli le mani da davanti ad esso, poi lo guardò negli occhi «Dico sul serio» affermò sorridendo, con uno di quei sorrisi sinceri che erano in grado di far sciogliere il cuore del moro «Non dovresti svalutarti tanto» disse ancora guardandolo, poi assunse un’espressione seria e sembrò riflettere su qualcosa; Merlin tacque osservando il suo volto «Voglio che tu mi faccia una promessa».
«Cosa…?» domandò.
«Quando io sarò… sai, partito» borbottò gesticolando con la mano «Promettimi che sarai felice, tu meriti di essere felice». Merlin lo guardò sconvolto e si morse le labbra, quella richiesta da parte di Arthur l’aveva lasciato sgomento, non credeva nemmeno lui che gli avesse chiesto una cosa del genere, gli sembrava una situazione surreale, e non se la sentì di negargli quella certezza. Forse avrebbe incontrato qualcuno nel suo futuro che l’avrebbe reso felice, forse sarebbe accaduto in mesi o anni, ma sapeva che non sarebbe stato facile dimenticare lui.
«Te lo prometto» mormorò, guardandolo negli occhi «Solo se lo farai anche tu».
«D’accordo» accettò il biondo «Te lo prometto».
Merlin si sciolse in un dolce sorriso e lo baciò leggermente sulle labbra «Anche se non ti dimenticherò mai» sussurrò.
«Neanche io dimenticherò te, lo prometto» sussurrò Arthur, a pochi centimetri dalle labbra di Merlin, poi premette un altro rapido bacio sulle sue labbra prima di sedersi di nuovo al suo posto. Il moro asciugò in fretta una lacrima e scosse la testa, cercando di non pensare che quelli sarebbero stati gli ultimi momenti insieme a lui. Doveva cercare di essere forte e di pensare che era giusto che Arthur ritornasse nel suo regno, perché in quanto re non si lavava le mani della sorte del suo popolo, in sua assenza. E sì, dentro di sé sentiva di provare un moto d’orgoglio per lui; ma era un mero egoista quando si rendeva conto che avrebbe preferito che Arthur restasse con lui. Quei momenti con lui gli sarebbero mancati, Arthur era stato fin troppo dolce e accondiscendente, concedendogli quella giornata insieme per salutarsi. Perché lui lo sapeva, quello non era altro che un saluto molto lungo e, ad un certo punto, sarebbe diventato anche straziante.
«Siamo ancora a metà della giornata» disse il re, cercando di strappargli un sorriso «Abbiamo altro tempo, cosa vorresti fare?» chiese.
«Uhm, ho io un’idea» disse Merlin, Arthur lo guardò incoraggiandolo a continuare «Tutto quello che vorrei, è tornare al B&B e stare insieme, semplicemente… insieme, io e te» mormorò, annuendo per confermare le sue parole «Restare da soli, sai… E poi uscire per la cena. Ho visto sulla strada alcuni locali carini. Va bene, per te?»
«Tutto quello che desideri» promise Arthur, sorridendogli «Possiamo farlo».
«Grazie…» soffiò lui. Finirono in fretta il loro pranzo, Merlin pagò per entrambi e poco dopo tornarono al bed and breakfast, dove fecero esattamente ciò che il moro aveva chiesto, Arthur aveva deciso che avrebbe realizzato ogni suo desiderio, per non farlo soffrire troppo durante la loro separazione. Avrebbe fatto male come un fendente in pieno petto, ne era certo, ma era una cosa necessaria, non poteva restare lì, sapendo di avere il modo di tornare, si sarebbe sentito per tutto il resto della sua vita un codardo.
Trascorsero le ore pomeridiane sul letto, a baciarsi, coccolarsi e abbracciarsi, perdendosi l’uno tra le braccia dell’altro, inebriandosi dei rispettivi profumi e beandosi della reciproca presenza. Arthur aveva le braccia attorno ai fianchi del moro, e strofinava il naso contro la sua nuca, in un gesto affettuoso, quando l’altro si divincolò dalle sue braccia e si alzò di getto dal letto; poi si voltò verso di lui e gli rivolse un sorriso tenero. Arthur pensò che avrebbe baciato fino a svenire quel sorriso, e poi avrebbe ricominciato. Merlin doveva avere qualche potere nascosto, anche se non era uno stregone, perché era riuscito a rapire il suo cuore in poco tempo e in modo totalizzante, con pochi gesti, sorrisi, gentilezza e risate.
«Che succede? Dove vai?» chiese, sentendo già la mancanza del calore del suo corpo.
«Aspetta» disse semplicemente, si avvicinò allo scranno dove avevano appoggiato i loro giubbotti e scavò nel suo alla ricerca di qualcosa; se ci pensava bene, durante la giornata, Arthur aveva visto spesso Merlin toccare la tasca del giubbotto per assicurarsi che qualcosa fosse ancora al suo posto. Dopo un qualche istante, estrasse da lì una scatolina di velluto blu, Arthur non l’aveva mai vista, nemmeno quando erano a casa sua e l’aveva aiutato a riordinare. Merlin si avvicinò lentamente al letto e appoggiò le ginocchia sul materasso, salendoci e tenendo tra le mani la scatolina.
«Arthur» iniziò, mordicchiandosi le labbra, come quando era nervoso «So che tu sei un re, e che avrai di sicuro cose più preziose di questo, ma…» disse piano, poi aprì con lentezza la scatolina, che conteneva una specie di anello legato ad un sottile cordoncino «Mio padre non era un uomo molto ricco, anzi… era un artigiano, ma teneva in modo incredibile a mia madre, e mia madre lo amava allo stesso modo» mormorò, arrossendo leggermente «Lei era incinta, quando mio padre le chiese di sposarlo, mio nonno era un uomo tradizionale, una donna non poteva avere figli senza matrimonio» si ritrovò a ridere, mentre una lacrima scivolava ribelle sul suo viso «E lui glielo chiese con questo anello di legno, intagliato da lui stesso» un sorriso malinconico nacque sulle sue labbra al ricordo di quella storia e di quante volte sua madre gliel’avesse raccontata «Mamma lo ha sempre portato al collo, perché diceva che il legno le irritava il dito, ma non se ne è mai separata fino alla fine» ricordò ancora ad alta voce «Quando lei è morta, lo ha regalato a me, come ricordo del loro amore, con l’augurio che io potessi trovarne uno simile al loro…» spiegò con la voce tremante «Ti prego, accetta questo e… pensa a me, se mai vorrai indossarlo» deglutì, inghiottendo anche un singhiozzo, sentendosi improvvisamente patetico; Arthur rimase in silenzio davanti alle sue parole, quella era la storia più dolce e affettuosa che avesse mai sentito, e improvvisamente, mentre Merlin gli metteva tra le mani quel semplice anello, si sentì in possesso di un enorme tesoro, cos’erano tutti i tesori di Camelot, paragonati ad un oggetto che conteneva così tanto amore?
«Non posso accettarlo, Merlin» disse, accarezzandogli una guancia «È un ricordo dei tuoi genitori…»
«Voglio che lo abbia tu…» singhiozzò «Voglio che tu abbia qualcosa di mio, quando sarai lì, non voglio che ti dimentichi di me, non… non ho nient’altro… ti prego, Arthur, ti prego, accettalo per quello che è, una promessa».
«Una promessa?»
Merlin annuì «Non amerò mai nessuno come ho amato te, in questi mesi. Mi hai cambiato la vita, mi hai fatto sentire amato, desiderato, importante e nessuno dei miei ex mi aveva mai fatto sentire così, tu sei… l’unico che potrò amare così tanto».
Arthur deglutì, sentiva così tante emozioni, così forti in quel momento che non riusciva a classificarle, erano tante, e si accavallavano, e il suo cuore batteva forte. Annuì deciso e accettò quel dono, strappando un sorriso a Merlin.
«Lo indosserò sempre come portafortuna durante le future battaglie» disse solenne, mentre faceva passare il cordoncino attorno al suo collo; poi si avvicinò al viso del suo amato e lo baciò leggermente sulle labbra «Non piangere, ti prego» portò una mano sul suo volto, accarezzandolo e cercando di eliminare le lacrime da esso. Ogni volta che vedeva o sentiva Merlin piangere, sentiva un nodo allo stomaco e una spiacevole sensazione di disagio. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare quelle lacrime. «Grazie, Merlin».
«Prego…» mormorò, poi osservò con gli occhi colmi d’amore il dono che gli aveva fatto pendere dal suo collo. Era una promessa d’amore eterno per lui, perché anche se avesse incontrato altri, non avrebbe mai amato nessuno come aveva amato lui, d’altra parte, l’anima gemella era unica, giusto?
«Anche io voglio darti qualcosa» disse il re, a quel punto, alzandosi e raggiungendo la borsa con i suoi averi, quelli che aveva dovuto mettere via, per passare inosservato in quel tempo futuro dove indossare armature era da folli o da partecipanti a feste medievali. Trovò il sacchetto con le monete che aveva sempre con sé, e che aveva messo da parte, perché a quanto pareva l’oro non era più una moneta scambiabile, perché adesso c’erano solo le sterline. Estrasse da quel sacchetto un sigillo reale, quello di sua madre, lui non era un tipo superstizioso, ma aveva avuto con sé quel monile fin da quando aveva vinto la sua prima battaglia, e non se ne era separato mai più. Era il suo pegno d’amore, così come per Merlin era l’anello. Si avvicinò al moro, che lo guardava con gli occhi spalancati e si sedette accanto a lui.
«Questo era di mia madre» disse mettendoglielo tra le mani «Questo è il suo sigillo, e mi ha sempre portato fortuna durante le mie battaglie» disse con un sorriso nostalgico «Voglio che lo prenda tu».
«Arthur, questo è… meraviglioso» disse fissando l’oggetto con puro stupore «Ma io non… non posso…»
«Prendilo» disse guardandolo negli occhi «Come una promessa».
«Promessa…?» di cosa? – era il sottinteso che Merlin non espresse, a cui Arthur non rispose chiaramente.
«Sì» confermò, prima di baciarlo, facendo cadere ogni altra domanda, ogni altro argomento, ogni altro dubbio, si baciarono al lungo, assaporandosi, gemendo l’uno nella bocca dell’altro, desiderandosi e poi, infine, appartenendosi. Ogni volta con Arthur era un’esperienza che lo faceva sentire amato e desiderato in ogni singolo istante, pensava Merlin, guardando il suo re, muoversi con sapienza sopra di lui, che spingeva, affondava, donava piacere riservandogli un trattamento perfetto; ogni volta con Merlin era travolgente e magnifica, pensava il re, mentre vedeva l’altro contorcersi dal piacere sotto di lui, osservando il suo corpo magro aggrapparsi al suo in cerca di più contatto. Quando alla fine si lasciarono travolgere dal piacere, entrambi caddero sul letto, l’uno tra le braccia dell’altro affannati e desiderosi solo di ricominciare. Volevano godere a pieno di quelle ultime ore, trascorrendole in quella camera tutta la notte, essendo entrambi consapevoli che fosse l’ultima, ma dimenticandolo solo per quel frangente.
 
Il giorno dopo, portandosi dietro la pesante valigia con l’armatura di Arthur e un semplice zaino con alcune provviste, arrivarono all’abbazia di Glastonbury a bordo di un taxi. Il tassista, che li aveva portati fin lì, spiegò loro che quello era un luogo di culto e di mistero, intorno al quale si aggirava un vecchio pazzo, che blaterava di re passati e futuri, ma che egli comparisse solo in rare occasioni. Sentendo quella storia, i due giovani si guardarono, forse quell’uomo poteva essere la chiave per risolvere ogni cosa, la chiave per trovare la via del ritorno a Camelot di Arthur. Ringraziarono gentilmente il tassista e iniziarono ad esplorare la zona, le rovine dell’antica abbazia erano imponenti, e i turisti non erano molti, ma i due giovani si confondevano abbastanza bene tra di loro. Merlin si guardava intorno alla ricerca di qualche indizio, ma non ne trovava, non sapeva neppure dove cercare, così come Arthur. Il biondo fece scivolare teneramente una mano verso la sua e gliela strinse dolcemente.
«Sei triste?» chiese, scrutando il suo profilo.
«Non chiedermelo» disse piano il moro, tenendo lo sguardo lontano dal suo «Sai perfettamente come mi sento».
«Perdonami» sussurrò allora Arthur, stringendogli la mano con dolcezza «Vorrei davvero evitarti questo dolore».
«Non è colpa tua, Arthur» disse «Probabilmente era così che doveva andare» continuò rivolgendogli un triste sorriso «Conoscerci, innamorarci e poi… dirci addio».
«Non lo farei se potessi» disse lui, lasciandogli la mano bruscamente, Merlin non comprese la sua reazione «Lo sai che devo tornare per il mio popolo, non posso essere egoista, d’accordo?» il tono era serio, il moro lo guardò scioccato, cercando di capire cosa avesse detto, aveva anche ferito Arthur, o qualcosa del genere? Dannazione, perché non imparava una buona volta a non dire tutto quello che pensava istantaneamente? Maledetta la sua boccaccia.
«Lo so, lo so… nessuno te lo sta chiedendo» rispose il moro cercando, adesso, il suo sguardo «Non provare di nuovo a fare lo stronzo per far soffrire di meno entrambi perché non funziona, ci hai già provato» disse Merlin, notando il suo atteggiamento così simile a quello dei giorni in cui era stato arrabbiato con lui.
«D’accordo» tagliò il discorso «Mettiamoci alla ricerca della fonte» disse, avanzando in una direzione a caso, dicendosi che prima o poi avrebbero trovato la fonte.
«Sei impossibile, non ti sopporto quando fai così!» esclamò Merlin, seguendolo «Arthur, sto parlando con te!»
«Smettila di parlare!» sbottò il re «Smettila di dire cose sull’amore e sulla nostra assurda situazione, non lo sopporto!»
Il moro sostenne bene il colpo e tacque istantaneamente, ed insieme al re, senza aggiungere altro, riprese la ricerca della fantomatica fonte, che li avrebbe dovuti aiutare a riportare Arthur a casa sua. Cosa era preso tutt’un tratto al re? Perché aveva iniziato a comportarsi in modo insensato? Merlin sospirò, osservando Arthur cercare qualcosa senza prestare attenzione.
La mattinata, tuttavia, si rivelò infruttuosa, non v’era un singolo indizio, eppure la profezia era stata chiara sul lago di Avalon troverà le risposte, che diavolo significava, allora? Erano nella vallata della collina, che una volta era stata l’isola circondata dal lago, voleva dire che avrebbero dovuto trovare le maledette risposte da quelle parti, eppure non c’era niente che suggerisse loro un possibile indizio. Merlin si disse che nello stato d’animo in cui erano, non avrebbero risolto nulla, dato che, a causa della breve discussione, inscenata più da Arthur che da lui, ogni volta che si parlavano, era solo per darsi indicazioni, in modo freddo e distaccato; sembravano quasi due estranei adesso, e Merlin ancora non capiva cosa avesse detto di tanto grave per farlo reagire in quel modo, ma decise ugualmente di seppellire l’ascia di guerra.
Estrasse un panino dallo zaino e si avvicinò ad Arthur, seduto su una delle scale che portavano alla cima della collina.
«Mi dispiace per prima, anche se non ho capito esattamente cosa ti abbia ferito» disse il moro, sedendosi accanto a lui e porgendogli il panino come pegno di pace «Non essere arrabbiato con me, queste sono le ultime ore che trascorriamo insieme, non vorrei che tornassi a casa, dal tuo popolo e fossi arrabbiato ancora con me» affermò con la voce leggermente tremante «Pace?»
«Non sono arrabbiato con te, sono… frustrato» rispose l’altro, accettando il panino, e rivolgendo al moro un sorriso storto «Mi fa male pensare che dopo questa giornata, non potrò più rivederti» proferì, mettendo per un momento da parte l’orgoglio, per quello ci sarebbe stato tempo nel suo futuro (nel passato) «Perché se avessi scelta, io resterei qui con te» Arthur avvicinò il volto al suo, appoggiando la fronte contro quella di Merlin e accarezzandogli con la mano libera uno zigomo sporgente.
«Non credi che io… insomma, possa venire con te?» chiese Merlin, cercando il suo sguardo.
«Ci ho pensato…» mormorò il re, mordendosi le labbra per non chiedere «Ma… tu sei così moderno e…»
«Certo, certo, paradossi temporali» disse Merlin ricacciando indietro le lacrime «Okay».
«Ehi» lo chiamò piano Arthur, prendendogli il volto tra le mani «Mi mancherai» sussurrò dandogli un bacio a stampo.
«Anche tu, da morire…» rispose a bassa voce il moro. Arthur sorrise appena e premette le sue labbra contro quelle del moro in un delicato bacio a stampo, leggero come le ali di una farfalla e restò in quella posizione per qualche istante, prima che l’altro ricambiasse il bacio, mettendogli le braccia dietro al collo, schiacciandosi contro il suo torace ampio. Fu quando riaprirono entrambi gli occhi, che qualcosa, o meglio qualcuno catturò la loro attenzione. Da lontano, dietro ad un basamento di pietra, c’era un uomo canuto, con la barba lunga e una lunga tunica rossa.
Bizzarro pensò Merlin; Uno stregone, pensò Arthur.
«Hai visto anche tu quello che ho visto io?» chiese il biondo, sbattendo le palpebre, quell’uomo sembrava invitarli a seguirlo «Non sto sognando, c’è davvero un vecchio che ci fa segno di seguirlo».
«C’è…» confermò il moro «Potrebbe essere l’uomo di cui parlava il tassista, ma… potrebbe anche essere pericoloso». Da lontano a Merlin pareva familiare, ma non voleva rischiare di sbagliarsi.
«Ho la mia spada, in caso di pericolo, ti proteggerò io».
«Già e chi proteggerà te?»                   
«È solo un vecchio, Merlin, cosa vuoi che faccia?» domandò Arthur, afferrandogli la mano «Forza, andiamo».
«Okay, okay andiamo, ma se le cose si mettono male, io chiamo la polizia!»
«Okay, chiama chi vuoi, adesso sbrigati, sta andando via!» esclamò il re, stringendo la mano di Merlin e tirandoselo dietro fino al basamento, l’uomo era ancora lì. Egli, in silenzio, fece loro segno di seguirlo e i due lo seguirono senza fare troppe domande. Scarpinarono un po’, quella doveva essere una parte della zona che non era visitata da nessuno, non c’era nulla, a parte una roccia da cui sgorgava un filo d’acqua che riempiva una piccola pozza. Quando si fermarono, Merlin riuscì a vedere bene l’uomo, se lo guardava bene, senza barba e senza quella tunica rossa, poteva benissimo vedere il tizio dell’ospedale.
«Siete voi! Siete voi lo stalker, quello che ci seguiva, e anche l’uomo dell’ospedale, vero?» chiese tutto d’un fiato.
L’uomo annuì: «Sì, giovane umano, ho dovuto tenere il re sotto controllo, fino al momento opportuno e mandare segnali all’unico in grado di aiutarlo a compiere il suo destino» spiegò, mentre i due, sorpresi, lo guardavano «Il re del passato e del futuro deve tornare nel suo tempo, per andare incontro al suo destino e riportare mondo antico e mondo nuovo all’ordine» profetizzò l’uomo, non appena i due giovani gli furono vicino «Vi stavo aspettando, Arthur Pendragon, re una volta e re in futuro» disse l’uomo chinando il capo in segno di rispetto.
«Come sapete chi sono?» chiese il re, stupito «Chi siete voi?» domandò fronteggiando l’uomo, spingendo Merlin dietro la sua schiena per fargli da scudo con il suo corpo; avrebbe estratto Excalibur dalla sua valigia, se fosse servito.
«Le domande a tempo debito, mio signore» disse il vecchio con voce affabile «Potete fidarvi di me, non ho intenzione di fare del male né a voi, né al vostro amico. Adesso seguitemi, ogni cosa sarà rivelata a tempo debito» continuò, sotto lo sguardo perplesso del re, con un rapido gesto, fece sollevare da terra due pietre, e invitò i due amanti a sedersi su di esse «Avete fatto molta strada, riposate e poi vi dirò ogni cosa, abbiamo tempo fino al sorgere della luna» disse il vecchio, guardando i due uomini che lo guardavano ancora stupefatti.
«Non capisco» borbottò Merlin «Questa è… è…»
«Magia, ragazzo» confermò l’uomo, l’infermiere era stupito, mai in vita sua aveva visto una cosa del genere, ed era affascinato, la tecnologia non era nulla in confronto a quella «Ahimè, la vostra tecnologia l’ha fatta quasi del tutto sparire, ma essa vive ancora, anche se in minore quantità».
«Siete uno stregone, allora?» chiese il moro.
«Io sono Kilgharrah, custode della Sorgente, che unisce i due mondi; alcuni mi chiamano stregone, altri grande drago e altri ancora vecchio pazzo» disse con fare profetizzante; poteva rispondere in modo normale o doveva andare avanti ad enigmi? «Sono ciò che ero un tempo, ciò che sono e che sarò sempre» affermò, alla fine.
«Okay…» accettò, leggermente scettico, il biondo, riprendendo la parola «Conoscete la sorgente allora, ci condurrete lì?»
«Arthur, penso che ci siamo già» disse Merlin, indicando la pozza non molto distante da loro «Sorprendente, davvero…»
«Il vostro amico ha ragione, grande re, siete giunti alla vostra destinazione» affermò l’uomo «Per uno strano caso del destino, Arthur, siete giunto nel nuovo mondo, ed è ora di tornare a casa» proferì il vecchio, guardando entrambi «Il vostro regno è in grande pericolo, con la vostra assenza tutto andrà in malora, i vostri cavalieri si faranno la guerra per succedervi, quando vostra sorella verrà uccisa dai druidi per interrompere la dinastia discendente dal drago» continuò Kilgharrah, facendo tremare Arthur, non immaginava nemmeno cosa potesse succedere in sua assenza e si sentì in colpa per essere stato lontano così a lungo «Non sentitevi colpevole, prima di questo momento non avreste potuto far nulla» spiegò «Il portale si apre solo in particolari condizioni, quelle che si verificheranno stanotte».
Il re annuì, poi si voltò a guardare Merlin che annuì, facendogli capire che capiva, che lui sapeva che era quello il suo destino e che fosse giusto così. Senza Arthur, la storia così come tutti la conoscevano sarebbe cambiata, e santo cielo, non voleva nemmeno immaginare cosa potesse accadere al futuro «Dovete tornare, anche per salvare il futuro» affermò l’uomo «Se non tornerete, la storia come l’umanità la conosce cesserà di esistere, questo tempo cesserà di esistere; la vostra storia è una parte importante nel tessuto della storia» spiegò «Se non tornerete, tutto quello che avete visto nel nuovo mondo scomparirà». Arthur annuì deciso, avrebbe fatto di tutto per il suo regno e per il futuro del suo Merlin, avrebbe salvato tutti quanti, scegliendo di far ritorno a casa e poter sistemare ogni cosa, prima che fosse troppo tardi. Avrebbe sacrificato se stesso, come ogni grande re avrebbe fatto.
«E sia» accettò il suo destino.
«Aprirò il portale quando scenderà la notte, quando la luna, in pieno plenilunio, spenderà su di noi con Amore e Guerra favorevoli, i raggi lunari con la potenza dei due pianeti saranno propiziatori per voi, grande re» terminò l’uomo, poi rivolse un tenero sorriso ai due amanti «Avrete il tempo per salutarvi».
«Ti ringrazio» disse il re. L’uomo fece un altro inchino e poi sparì, così com’era comparso, promettendo che sarebbe tornato lì in tempo per il rituale. Così i due giovani restarono da soli, in quella radura un po’ lontana dal punto in cui erano arrivati, e senza dire nulla, iniziarono a scrutarsi a vicenda, nessuno dei due sapeva da dove iniziare, nessuno dei due sapeva cosa dire o fare in quel momento, non volevano rompere il silenzio e non volevano continuare a preservarlo.
«Merlin…» iniziò Arthur, per primo.
«Non dire niente» ribatté il moro «Non dire niente, va bene così. Capisco tutto, davvero» disse, avvicinandosi e appoggiandogli una mano sulla guancia «Ti amo».
«Lo so» rispose Arthur, baciandolo a stampo.
«Hai appena citato Star Wars, Arthur Pendragon?» rise Merlin, scuotendo la testa. Era assurdo, santo cielo, come poteva fare le battute in quel momento?
«Almeno ti ho fatto ridere» disse sorridendo, accarezzandogli a sua volta una guancia «Merlin, davvero…»
«Arthur, va tutto bene» affermò di nuovo «Lascia solo che… che… mi permetteresti di aiutarti con l’armatura? Non sono bravo, ma… posso imparare, per te, ora».
«D’accordo» disse l’altro annuendo «Te ne sarei grato».
«Bene, allora, mettiamoci al lavoro» disse alzandosi e aprendo la valigia che aveva preparato lui stesso con tutti i pezzi dell’armatura del biondo. Era stata un’impresa riuscire a trovare una borsa abbastanza capiente per quella roba, ma ci era riuscito, in fondo, lui era il mago delle valigie. Prima prese tutti i pezzi che la componevano, disponendoli sul prato, poi aiutò il re a togliersi gli abiti moderni e infine lo aiutò ad indossarla pezzo dopo pezzo, mentre l’altro lo guidava in tutti i movimenti e le azioni che doveva compiere. Il biondo pensò che sarebbe stato davvero un ottimo servitore a Camelot, ma… come poteva chiedergli una cosa del genere? Ehi, lasceresti la tua vita perfetta qui, per seguirmi e fare il servitore al mio castello? – no, suonava da asino/testa di fagiolo, come avrebbe detto Merlin. Si ritrovò a sorridere, mentre correggeva Merlin che gli sistemava la corazza.
«Non sei male, per essere la prima volta te la sei cavata bene» disse il re sorpreso e ammirato, mentre Merlin gli passava con aria quasi solenne la spada «Grazie» disse prendendola e mettendola nel fodero.
«Grazie a te, Arthur».
Di nuovo nelle sue vesti originali, con la sua spada al suo fianco, Arthur si sentì di nuovo se stesso, di nuovo il re di Camelot e fu più pronto che mai a tornare a casa. Si avvicinò a Merlin, e incurante di indossare l’armatura, lo avvolse tra le sue braccia, stringendoselo contro. Merlin si tuffò in quell’abbraccio perdendosi tra quelle braccia forti che sempre l’avevano fatto sentire protetto in quei mesi. Si separò da lui un momento e lo guardò da capo a piedi, dannazione, era così bello e affascinante con la sua armatura scintillante addosso, la spada al suo fianco, l’espressione fiera, seria ed orgogliosa di un cavaliere d’altri tempi. Era più bello che mai, e provò ad immaginarselo con una corona sulla testa, mentre guidava un popolo verso la giustizia, l’armonia e la pace, mettendo i fondamenti a quella che sarebbe stata la sua Inghilterra moderna. Tuttavia, era anche consapevole che gli sarebbe mancato come l’aria.
 
Quando, qualche ora dopo, la luna fu alta nel cielo, entrambi seppero che il momento era giunto, poiché lo stregone fece il suo ritorno, annunciando che le condizioni erano giuste, e in quel momento il re poteva tornare a casa. Lo stregone, allora, si mise davanti alla fonte, e invitò Arthur ad avvicinarsi ad essa; poi pose le mani dinanzi a lui e pronunciò delle parole magiche in una lingua antica e sconosciuta, la terra tremò per un momento, e un fascio di luce potente colpì la sorgente, esso abbagliò tutti i presenti, tranne lo stregone che lo fissò, per qualche istante, e poi da esso, con un’altra esplosione di luce, si aprì un portale, una sottile linea d’energia dorata che sprigionava un’enorme potenza.
Arthur guardò davanti a sé, e lo stregone gli fece cenno di oltrepassarlo, attraverso quello sarebbe tornato a Camelot; prese un profondo respiro e fece un passo in avanti, ma si fermò, voltandosi verso Merlin, che osservava la scena con stupore, ma il suo sguardo distrutto, tradiva la sua finta sicurezza.
«Merlin» disse il re, guardando con amore e dolore il suo amante «Grazie di tutto».
«Arthur…» lo chiamò il moro, ma non disse nient’altro, semplicemente lo raggiunse e gli gettò le braccia al collo, in un disperato tentativo di non separarsi da lui «Portami con te» lo supplicò, un singhiozzo intrappolato nella gola «Ti prego, portami con te».
Il re si morse le labbra, per non rispondere di getto e trascinarlo con sé, solo gli dèi sapevano quanto avesse desiderio di portarlo con sé, ma le sue riflessioni avevano portato sempre alla stessa conclusione, non poteva condannarlo ad una vita in cui non sarebbe stato felice, certo, per i primi tempi tutto gli sarebbe sembrato fantastico, perché sarebbero stati insieme, tuttavia non poteva non guardare la realtà, sapeva che avrebbe esposto Merlin ad un grande pericolo, ed era per questo che non gliel’aveva chiesto: perché sapeva che il moro sarebbe stato disposto ad abbandonare tutto e a seguirlo anche nella più sanguinosa battaglia e Arthur non voleva vedere un’altra persona, da lui amata, morire tra le sue braccia.
«Non fare così, per favore» gli disse in un sussurro, avvolgendo le sue spalle con le sue braccia, affondando il naso nel suo collo «Non posso portarti con me, Merlin, no, non posso» disse cercando di farlo ragionare, gli faceva male il cuore a vederlo in quello stato, sarebbe stato facile per lui dirgli di sì, ma non poteva, in cuor suo sapeva di non potere.
«Non voglio stare senza di te» singhiozzò, aggrappandosi a lui «Ti prego, portami con te, non sarò mai più felice senza di te» disse ancora disperato; Arthur deglutì, stringendoselo addosso per l’ultima volta. Sentiva le sue lacrime sulla pelle e non poteva far nulla per fermarle, non ne aveva alcun potere.
«Hai promesso che lo saresti stato, a Camelot ti avrei fatto punire per aver mentito al tuo re» mormorò, cercando di farlo sorridere. Fece un passo indietro, sciogliendo l’abbraccio e lo guardò; il suo cuore si strinse a quella visione, non voleva lasciarsi dietro la sua immagine singhiozzante e supplicante, non avrebbe retto a tutto quello, lo sapeva. Anche se fingeva di essere orgoglioso e di essere immune ai sentimenti, quel giovane aveva ribaltato ogni sua convinzione, facendo tornare a battere il suo cuore.
«Arthur…» un altro singhiozzo di Merlin, un altro pezzo del cuore del re che si spezzava. Scosse la testa, e portò i palmi sulle sue guance, cercando di eliminare le lacrime dal suo viso, non sapeva dire quanto gli facesse male vederlo in quello stato, se avesse potuto, avrebbe cancellato ogni sentore di dolore da quel bel viso che l’aveva fatto innamorare.
«Lasciami andare, Merlin» lo pregò, anche la sua voce rotta in un singhiozzo «Andrà tutto bene, te lo prometto».
«No…»
«Devi lasciarmi andare, amore mio» sussurrò, gli tenne il viso con entrambi i palmi e lo guardò negli occhi, anche se erano arrossati e velati di lacrime, i suoi occhi erano meravigliosi «Per favore, ti prometto che andrà tutto bene» ripeté.
«Arthur…» Merlin non riusciva a parlare a causa dei singhiozzi, riusciva solo a chiamare disperatamente il suo nome; il biondo deglutì e poi lo baciò con disperazione, accarezzandogli le guance e assaporando per l’ultima volta quelle labbra, che in quel momento erano anche salate a causa delle lacrime, lo baciò profondamente, mentre il moro singhiozzava nel bacio e si aggrappava di nuovo a lui, alle sue spalle, in un ultimo, disperato tentativo di tenerlo con sé.
«Perdonami» sussurrò sulle sue labbra, prima di staccarsi da lui «Ricordati che ti amo, e ti amerò per sempre» promise, un ultimo bacio rubato e poi tornò davanti al portale, lo stregone annunciò che il tempo fosse giunto, e che lui dovesse tornare necessariamente a Camelot. Annuì all’uomo e guardò un’ultima volta Merlin «Addio, amore mio» poi fece un paio di passi ed attraversò il portale; dopo un’altra esplosione di luce, il portale si chiuse alle sue spalle.
«Ti amo e ti amerò per sempre anche io, testa di fagiolo» singhiozzò Merlin, sperando che Arthur potesse sentirlo «Ti prego, torna da me» lo supplicò, cadendo sulle ginocchia nell’esatto momento in cui il biondo sparì in quel fascio di luce. Arthur non gli aveva mai detto di amarlo, lo aveva sempre dimostrato, ma mai detto espressamente, se non nel momento in cui lo stava per lasciare solo. Merlin strinse l’erba del prato tra le dita e singhiozzò ancora.
Kilgharrah fu di nuovo vicino a lui, e gli mise una mano sulla spalla, per confortarlo.
«Non temere, giovane umano, quando il suo destino sarà compiuto, il re potrà essere felice».
«Che vuol dire questo?» chiese alzando lo sguardo «Morirà, come potrà essere felice?»
«Solo il tempo ce lo dirà» disse il grande drago «Non sottovalutare il potere dell’amore» concluse; e poi davanti agli occhi di un incredulo Merlin, svanì nel nulla, con quell’ultima enigmatica frase. E se… e se avesse significato che Arthur sarebbe tornato da lui? Un giorno, magari? Merlin si alzò da terra, asciugandosi il viso con una nuova speranza nel cuore. Forse, un giorno avrebbe rivisto Arthur.
 

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Hola people! 
Buon venerdì :3 
Eccoci qui con un nuovo capitolo, chi è felice? Merlin di sicuro no. Ma gli ho lasciato una boccata di speranza. Uhuh. Arthur è un po' uterino all'inizio, ma non sa affrontare bene il dolore. Poi si fa perdonare, perché lui è il re e fa tutto bene.
Ecco svelata l'identità dello stregone/stalker/finto uomo in overdose: Kilgharrah! Il grande drago uhuh. Quindi Arthur e Merlin si sono detti addio, e Arthur gli ha detto che lo ama, cuoricino <3 Citazioni random di Star Wars che ci stanno sempre bene (nella mia testa, nei due mesi che Arthur ha passato con Merlin gli ha fatto vedere tutti i suoi film preferiti, tra cui anche Star Wars, nella mia mente Merlin è un piccol nerd adorabile :3)
Ho dovuto eliminare un pezzo (che ritroverete nel prossimo capitolo) che altrimenti perdevo la magia delle 8.000 parole circa a capitolo, eeeh. La vita quando mi metto a correggere è la fine, i capitoli lievitano come l'impasto delle pizze e i dolci nel forno.
Tutte le info sulla torre/Glastonbury ecc. le ho trovate sui vari siti dedicati all'argomento, e ovviamente ho preso qualche licenza poetica per creare l'atmosferma, e per inserire la cosa qui. E niente, nel prossimo capitolo c'è in tutto il suo splendore King Arthur a Camelot <3 e un Merlin un po' depresso. BUT avrà ottimi amici a tirargli su il morale. 
Now, io vi saluto e vi ringrazio tutti per l'enorme supporto, tutte le persone che aggiungono la storia alle preferite e alle seguite, tutti quelli che la visualizzano e le due meravigliose persone che recensiscono sempre senza stancarsi mai :3 
Ci si becca spero presto con il settimo capitolo :3 Stay tuned!
A presto, people! 


PS La shot è in fase di correzione, stay tuned anche per quella! 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7: Wish you were here. ***



Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!


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Dopo aver attraversato il portale, Arthur avvertì tutti i suoi sensi venir meno, e per un momento pensò di aver sbagliato ad ascoltare quel vecchio pazzo, pensò di essere stato ingannato; perse i sensi per un tempo indefinito, ogni cosa era confusa, non c’erano rumori significativi, e non avvertiva niente. Restò incosciente, fino a che non si ridestò, ritrovandosi in una radura in riva ad un lago. Gli ci volle qualche istante per rendersi conto di dove si trovasse. Il lago di Avalon! – pensò dopo un po’, riprendendo velocemente ogni facoltà mentale e fisica, si mise seduto sull’erba e si guardò intorno, cercando di focalizzare il luogo in cui si trovava e riconobbe subito quei boschi; era di nuovo nei territori di Camelot. Si voltò verso la sua sinistra, lì dove aveva lasciato Merlin, per poter esultare con lui della missione appena compiuta, ma lui non c’era. In fretta tornò alla realtà, essa lo colpì come un dardo acuminato dritto nel petto: aveva lasciato Merlin indietro, a Glastonbury, l’Avalon del futuro, e sentì il suo cuore stringersi in una morsa dolorosa a causa di quella consapevolezza. Per un attimo, nel suo stato di non-coscienza, aveva immaginato di aver ceduto e di averlo trascinato con sé nel suo mondo, soprattutto dopo le suppliche del ragazzo; in quel momento, se avesse avuto meno forza di volontà, lo avrebbe afferrato e trascinato con sé, ma non lo aveva fatto, perché, se avesse portato Merlin con sé, sapeva a cosa sarebbe andato incontro: sarebbe stato preoccupato per lui ogni istante, avrebbe temuto per la sua vita e i suoi nemici avrebbero potuto usarlo come sua debolezza, avrebbero potuto rapirlo, torturarlo, forse anche ucciderlo e non poteva permettere che ciò accadesse. Un cavaliere, un re, non poteva avere alcuna debolezza. Merlin lo aveva supplicato e il suo cuore per un attimo, un singolo istante, aveva quasi accolto la sua supplica, ma poi subito era tornato in sé, ed aveva preso la scelta giusta, anche se più dolorosa. Un re giusto non prendeva decisioni affrettate ed egoistiche e lui era consapevole che avere Merlin con sé, lì a Camelot, sarebbe stato un atto d’egoismo, perché l’avrebbe esposto a pericoli, che l’altro non avrebbe mai saputo affrontare, lo avrebbe condannato ad una vita non adatta a lui solo per rendere felice se stesso e non era giusto; aveva dovuto lasciarlo indietro per il suo bene, anche se, adesso che gli era lontano, il suo cuore sanguinava al pensiero di non averlo con sé, tuttavia saperlo al sicuro era una piccola consolazione. Vederlo in lacrime davanti a quel portale, sentire le sue suppliche e non poterlo accontentare era stato un colpo al cuore, avrebbe fatto qualunque cosa per non sentire più quell'opprimente sensazione di dolore che stringeva il suo cuore (anche restare nel futuro, se solo avesse potuto), ma aveva agito per il bene del suo regno e non aveva nulla da recriminarsi per questo. Sapeva di aver fatto la cosa giusta, la sua personale sofferenza non era importante, il popolo veniva prima di lui stesso. Forte di quella decisione, si alzò in piedi e guardò il lago, da lontano poteva vedere la torre dell’isola dei beati e un leggero sorriso increspò le sue labbra, da qualche parte, nel futuro, molti anni avanti rispetto al suo tempo, il suo amato era lì, forse triste per quanto accaduto, ma era certo che un giorno sarebbe stato felice, poiché avrebbe incontrato qualcuno che avrebbe saputo renderlo felice, qualcuno meritevole del suo amore, che avrebbe cancellato il ricordo di quella sofferenza. Qualcuno che non sarò io, pensò il re con amarezza e una punta di gelosia. Doveva conservare il dolce ricordo del suo amore nel cuore, ma non pensare costantemente ad esso, altrimenti avrebbe fatto troppo male.
Istintivamente, portò una mano a stringere il pendente con l’anello che Merlin gli aveva regalato e sorrise dolcemente pensando che, in qualche modo, lo avrebbe avuto sempre con sé, anche se non fisicamente, così come Merlin avrebbe sempre avuto lui al suo fianco. Non si pentiva di avergli lasciato quel sigillo, era importante che il moro sapesse quanto era stato importante per il re. Aveva significato tanto per lui, durante quei giorni oscuri in cui non aveva saputo dove si trovasse o cosa fare; e poi semplicemente si era innamorato, neanche lui sapeva come fosse accaduto. Merlin era piombato nella sua vita nel momento di maggior bisogno per lui, con un sorriso e una parola gentile – e qualche piccolo insulto che lo aveva fatto ridere – si era fatto largo nel suo cuore, conquistandolo in breve tempo e facendogli dimenticare i dolori del passato, restituendogli il sorriso e permettendogli di provare nuovamente un sentimento tanto travolgente. Adesso, però, doveva andare avanti con la sua vita, senza più pensare a lui costantemente.
Mise la mano sull’elsa della spada, adesso era giunto il momento di compiere il suo destino, di tornare dal suo popolo e comportarsi come un vero re, i suoi sentimenti, i suoi desideri non erano che un mero capriccio, non contavano davanti ad un popolo in pericolo e una corte in subbuglio. Adesso è il momento di tornare, si disse con serietà, avanzando nella radura con fare sicuro. Doveva tornare immediatamente al castello e mettere ordine, lì dove la sua assenza aveva fatto danni, non sarebbe stato facile, lo sapeva, ma avrebbe tentato di tutto per salvare la sua famiglia, i suoi cavalieri, il suo regno, e il futuro di Merlin, perché il vecchio stregone aveva detto che anche quel futuro sarebbe stato in pericolo, se lui non avesse rimesso a posto le cose.
Stava vagando per la foresta, quando dei rumori lo allertarono, subito sguainò la spada e si preparò a combattere, nessun nemico lo avrebbe tenuto lontano dalla sua missione, dal suo obiettivo.
«Chi va là?» fu la sua domanda al vuoto della foresta, restò in allerta e tentò di captare qualunque suono. Trovò riparo dietro ad un tronco d’albero, per poter osservare bene e ponderare un attacco senza rischiare la vita. Poi udì il trotto dei cavalli, e per quanto la situazione fosse potenzialmente pericolosa per lui, quel suono era familiare e si rese davvero conto di essere tornato nel suo tempo. Restò in posizione di combattimento, fino a che non udì più alcun rumore, e vide delle ombre avanzare verso di lui. Strinse la presa sulla spada e si preparò a lottare contro i nemici che si avvicinavano.
«Sire?» chiese una voce a lui conosciuta, sembrava la voce di sir Leon «Siete davvero voi?»
«Chi altri dovrei essere?» chiese il re, uscendo dal nascondiglio e fronteggiando il cavaliere, sollevato nel vedere di nuovo uno dei suoi uomini.
«Vi abbiamo cercato ovunque! Dov’eravate? Credevamo foste morto!» esclamò il cavaliere, avvicinandosi al re, cercando di capire le sue condizioni fisiche.
«No, sono vivo e vegeto» disse riponendo la spada nel fodero «Cosa fate da queste parti?» chiese il re.
«Abbiamo avuto notizie di alcuni avvistamenti strani e vostra sorella ci ha mandato a controllare» spiegò il cavaliere, ancora incredulo di aver ritrovato il re che tutti credevano perduto per sempre «Sarà sollevata di sapere che vi abbiamo ritrovato» proferì.
Il re annuì e: «Ritorniamo a Camelot» ordinò perentorio. Prima di partire alla volta del castello, guardò un’ultima volta alle sue spalle, nella direzione del lago, ormai lontano, e per un’ultima volta pensò all’amore che, di nuovo, si era lasciato dietro. Poco più avanti si unì agli altri uomini e sorrise sinceramente ritrovandoli tutti; salì in sella al cavallo che uno dei cavalieri gli aveva ceduto e lo spronò a partire.
Era arrivato il momento di compiere il suo destino.
 
*°*°*°
 
Appena Arthur era sparito oltre il portale, Merlin aveva raccolto tutte le cose a lui appartenute ed era ritornato al bed and breakfast con aria afflitta e totalmente sottotono, sentiva già la mancanza del biondo. Aveva ignorato gli sguardi compassionevoli del gestore del B&B che lo aveva visto uscire quella mattina con Arthur e tornare da solo, ed aveva raggiunto la stanza, lì si era gettato sul letto che avevano condiviso fino a quella mattina e aveva stretto il cuscino che aveva usato Arthur, giusto per sentirlo più vicino a sé. Non poteva credere che alla fine non avesse voluto portarlo a Camelot, lui avrebbe davvero rinunciato a tutto per seguirlo nel passato, restare nel futuro senza di lui non aveva senso; il modo in cui Arthur gli aveva detto addio, dicendogli che lo amava, gli aveva fatto male; era la prima volta che lo diceva direttamente, senza giri di parole e nonostante ciò, Arthur non aveva potuto (voluto) portarlo a Camelot. Non dormì molto quella notte, ripensando all’addio e al fatto di essere stato lasciato indietro; poi alle prime luci dell’alba, senza neanche aver consumato la colazione, saldò il conto con il gestore della struttura e si mise in viaggio verso Londra. Il viaggio di ritorno gli apparve così scialbo e insignificante rispetto a quello dell’andata, così vuoto e senza senso senza Arthur. Gli mancavano le sue battute, gli mancava la sua spontaneità, gli mancava il suo additare tutto come stregoneria, gli mancavano i termini che inventava per definire le cose che non conosceva. Sospirò e appoggiò la testa al finestrino del treno, guardando il paesaggio scorrere davanti ai suoi occhi e, chiudendoli, immaginò Arthur al suo fianco stringerlo e farlo appoggiare sulla sua spalla: non sono andato via diceva nella sua fantasia, sono qui con te, e al moro una lacrima ribelle scappò, perché sfortunatamente non era così. Aveva dovuto seguire il suo destino e aveva fatto ritorno a Camelot, come ci si aspettava da lui; lo capiva, era giusto così, ma perché lo aveva lasciato indietro? Perché non lo aveva portato con sé?
Quando scese dal treno, si ritrovò nella fredda Londra e sospirò, certo, sapeva che la sua vita sarebbe andata avanti – così come quella di Arthur – allora perché non riusciva a farsi una ragione di quanto accaduto? Forse per le parole del vecchio? Cosa aveva voluto dire, quando aveva detto che un giorno sarebbe stato felice? Più pensava a tutto quello, più non capiva nulla: la magia esisteva, esistevano i portali magici che si aprivano con il plenilunio, e un re leggendario aveva viaggiato nel tempo, ed era piombato nella sua vita. Sembrava la trama di un film fantascientifico, uno di quelli fatti male, però, con una terribile sotto-trama amorosa destinata a finire male. Sospirò, e si disse, mentre metteva in moto la sua auto, che prima o poi avrebbe dimenticato ogni cosa, avrebbe incontrato qualcuno che gli avrebbe fatto dimenticare la perfezione di Arthur, anche se avrebbe conservato nel suo cuore i ricordi dei giorni che avevano passato insieme.
Quando rientrò nel suo appartamento, si sentiva uno straccio; gettò in un angolo le borse che aveva con sé e decise di andare a distendersi un po’ sul suo letto, con l’intento di riposare un po’, dopo una notte insonne e un viaggio durato più di tre ore ne sentiva il bisogno fisico. Non appena entrò nella sua camera, però, notò i vestiti di Arthur gettati un po’ ovunque, poté quasi sentirlo mentre gli diceva dal bagno che la scatola magica con la pioggia calda era la sua cosa magica preferita, poteva sentirlo complimentarsi con lui per la scelta del nuovo accappatoio, o come lo chiamava lui copri-corpo morbido, poteva udire la sua risata isterica nello scoprire una nuova diavoleria moderna, la "tecno-magia", la sua voce calda che gli diceva cose dolci, poteva sentire su di sé le sue mani che lo toccavano, i suoi occhi che lo guardavano, la sua bocca che lo baciava… una valanga di ricordi lo investì senza lasciargli tregua; le sue braccia sui suoi fianchi, i suoi baci passionali, le dolci coccole che gli riservava ogni volta, loro due avvolti in un plaid sul letto o sul divano… una lacrima sfuggì al suo controllo e ad essa presto ne seguirono altre. Tirò fuori dalla tasca il sigillo che Arthur gli aveva donato e sospirò pesantemente stringendolo in una mano. Almeno avrebbe avuto sempre qualcosa appartenuta a lui con sé, in qualche modo gli sarebbe stato accanto; sapeva di dover andare avanti, di avergli promesso che sarebbe stato felice, solo che al momento gli appariva qualcosa di veramente impossibile. Raccolse una delle felpe di Arthur – Merlin, queste cose non sono confortevoli, hanno tutti questi buchi e io non so cosa farci! – e la portò al naso, respirando il profumo del biondo. Quanto era patetico? Si domandò, mentre si stendeva sul letto, stringendo a sé la felpa come se stesse stringendo Arthur. Si addormentò dopo un po’, steso in posizione fetale sul letto, con la felpa stretta tra le mani e gli occhi ancora pieni di lacrime. Quanto tempo sarebbe passato, prima che avesse iniziato a far meno male?
Quando il giorno seguente, si presentò al lavoro, però, a parte un paio di brutte occhiaie, non diede alcun segno di ciò che stava provando, sfoggiò uno dei suoi sorrisi migliori, e senza dire nulla a nessuno si mise all’opera. Evitò qualsiasi domanda sulla sua breve vacanza e per sua fortuna, la sua collega e amica Freya quel giorno non era presente al lavoro, Merlin non avrebbe saputo come evitare le sue domande e le sue preoccupazioni, tra tutti era quella che lo conosceva di più e avrebbe fatto molte più domande. Si dedicò tutto il giorno al lavoro e quando gli venne chiesto se potesse restare per coprire il turno di un collega che era stato male, non esitò ad accettare. Si rese conto che più era occupato, più evitava di pensare ad Arthur; così riusciva a tenere sedato il suo dolore, riusciva a non pensare a ciò che aveva perso e a ciò che aveva avuto. Si disse che forse così, col tempo, sarebbe riuscito a farsi una ragione di tutto e avrebbe superato il dolore che sembrava attanagliargli le viscere ogni volta che pensava ad Arthur.
 
*°*°*°
 
Fin da quando era tornato a Camelot, Arthur non si era fermato un attimo. Aveva stretto alleanze, aveva rafforzato il regno, aveva guidato i suoi cavalieri in numerose missioni, tutte compiute con successo, aveva benedetto l’unione di sua sorella e uno dei suoi cavalieri del quale lei era innamorata da tempo immemore (e l’aveva fatto solo quando era stato certo che i sentimenti del cavaliere verso di lei fossero sinceri) e aveva proclamato, senza alcun dubbio in merito, che i suoi successori sarebbero stati i figli di Morgana, lo aveva messo per iscritto e aveva incoronato sua sorella regina reggente, in caso a lui fosse accaduto qualcosa in guerra. Sì, perché nonostante tutti i suoi sforzi, i suoi tentativi di stipulare trattati di pace, la guerra contro i sassoni era alle porte, e l’unico alleato che non aveva ancora erano i druidi, con i quali non ci sarebbe mai stata la possibilità di una pace. Lo sapeva, forse loro sarebbero stati la causa della sua sconfitta – ricordava di aver letto le sue tristi sorti in uno dei libri di Merlin durante i suoi giorni nel futuro – e la fine del suo regno, ma non voleva arrendersi, finché avesse avuto respiro, non si sarebbe arreso, se aveva imparato qualcosa da quei libri, era che non tutto ciò che in essi accadeva fosse reale; se ci fosse stata anche solo una minima possibilità di alleanza, lui l’avrebbe colta; Camelot aveva ancora bisogno di lui, e avrebbe fatto ogni cosa per tenere al sicuro il suo regno e proteggere, in quel modo, anche il futuro di Merlin. Il regno prosperava, il popolo era sereno e ogni congiura contro la corona sembrava sventata, eppure il re non era felice. C’erano momenti in cui Merlin gli mancava più dell’aria che respirava, e non poteva farci nulla; semplicemente il dolore lo assaliva quando si trovava da solo e cercava di riposare, e anche se erano passate quattro lune, Arthur non l’aveva dimenticato; molto spesso pensava a come sarebbe stato averlo a Camelot con sé, ma non riusciva a pentirsi della sua scelta di lasciarlo nel futuro, poteva solo sperare che avesse mantenuto la promessa e avesse cercato di essere felice con altre persone – anche se il pensiero di un’altra persona che lo toccava, gli faceva ribollire il sangue nelle vene – e lo avesse dimenticato per non soffrire; se Arthur lo avesse portato a Camelot, Merlin, oltre a tutti i pericoli, avrebbe dovuto anche assistere alla sua morte; come poteva condannarlo ad una cosa del genere?
Era fuori a caccia, quando sentì una voce nella sua testa chiamarlo, era quasi familiare, come se l’avesse sentita già una volta, ma la ignorò, supponendo che si trattasse solo di stanchezza (era già accaduto che l’avesse sentita, ma non aveva mai fatto caso ad essa, udire voci poteva essere sintomo di pazzia) e continuò a cacciare per tenersi occupato, per non fermarsi a pensare. Ritornò al castello prima del tramonto insieme ai suoi cavalieri con un cervo enorme e alcuni conigli che fecero la gioia del castello. Fin da quando era tornato, aveva tenuto la mente occupata, perché fermarsi a pensare e ammettere i propri pensieri, i propri sentimenti, il proprio dolore avrebbe fatto troppo male. A lui non piaceva crogiolarsi nel dolore, non piaceva mettersi a riflettere su cose che mai più avrebbe potuto avere e non piaceva essere succube di sentimenti che non poteva gestire. Perché, quando si ritrovava da solo, dopo una sfiancante giornata, sebbene desiderasse solo dormire, la sua mente veniva assalita dal ricordo del suo dolce Merlin, e il suo cuore si stringeva ogni volta che pensava al suo bel viso, ai suoi occhi profondi, ai teneri baci che gli dava. Il re non riusciva a togliersi dalla mente il pensiero di lui, per quanto potesse sforzarsi di non pensare tenendosi occupato, quando restava da solo, nella sua stanza così grande e vuota, veniva sopraffatto dal ricordo dei momenti passati con lui, e solo in quei momenti si permetteva quella piccola debolezza. Non si separava mai dall’anello che gli aveva regalato Merlin, lo indossava sempre, sia in momenti informali, sia in momenti formali, sia durante le missioni e le battaglie.
«Mio signore» lo chiamò un valletto entrando nelle sue stanze improvvisamente «La regina Morgana vorrebbe vedervi».
Il re annuì: «Dille che arrivo tra poco» rispose al giovane «Ti ringrazio». Egli sorrise guardando il suo re e sparì, chiudendo di nuovo le porte delle stanze reali. Arthur si chiese subito cosa fosse accaduto, come mai la sorella lo avesse fatto chiamare, e dopo poco si alzò dal suo letto, indossando la sua casacca informale ed uscì dalle sue stanze, raggiungendo quelle della sorella e del suo consorte.
«Mi hai fatto chiamare, Morgana?» chiese entrando, guardando la giovane donna, guardare fuori dalla finestra, quella sera splendeva una meravigliosa luna piena – la luna nuova, pensò il biondo con un sospiro – ed erano tutti affascinati da essa. Al re, tuttavia, portava alla mente uno dei momenti più dolorosi della sua vita.
«Sì, Arthur» disse lei, accompagnando le sue parole con un gesto della testa «Oggi, quattro lune fa, sei tornato dopo essere sparito per ben due lune» iniziò la donna guardando il fratello «Vieni, siedi vicino a me, parliamo un po’» disse ancora, indicando un posto vuoto accanto a lei, rivolgendogli un sorriso dolce. Il re, con un profondo sospiro, fece come gli diceva la sorella, contraddirla non sarebbe stata una buona idea.
«Cosa succede, Morgana? Hai avuto qualche problema?» chiese lui, sedendosi accanto alla sorella, scrutandola per capire se avesse qualcosa che non andava.
«Come stai, Arthur?»
«In che senso? Sto bene, sono un po’ stanco, oggi è stata…» cercò di rispondere il re, senza capire la domanda della sorella. Era stata una giornata piena di impegni, ma anche di soddisfazioni. Come sempre, nell’ultimo periodo il regno prosperava sotto la loro guida saggia.
«È una domanda, Arthur» rispose lei scrutandolo «Vorrei capire cosa passa per la mente del mio fratellino in questo periodo» disse lei, il biondo la guardò perplesso «Quando sei tornato, eri diverso, un uomo diverso da quello che era sparito e mi sono sempre chiesta cosa ti avesse cambiato tanto. Non eri stato tenuto prigioniero da nessuno, i tuoi cavalieri giurano che sei sparito ad un tratto» continuò lei, lui la guardò stupefatto «Molti hanno ipotizzato che i druidi ti avessero ucciso, ma non è stato così, poiché poi sei apparso di nuovo» il re annuì alle sue parole, senza capire cosa volesse insinuare «Ma io sono sicura che, dovunque tu sia stato mandato, ti sia successo qualcosa, mi sbaglio?» chiese.
Lui non poté mentire e scosse la testa, la sorella non si sbagliava e quasi si maledisse per essere un tale libro aperto per lei: «Qualcosa è successa, sì» confermò lui con un sospiro «Ma non è importante».
«Lo è invece, lo vedo nei tuoi occhi che è importante».
«Morgana, non… non è il caso di parlare di queste cose, davvero, io sto bene» disse il re cercando di apparire sincero «Non ho niente che non vada, il regno prospera, i trattati sono fatti e…»
«Tu non sei felice» lo interruppe lei «Non sei felice, Arthur, non c’è più luce nei tuoi occhi. Cosa ti sei lasciato dietro?»
Arthur sospirò, non poteva più nascondere ciò che lo tormentava, ed era inutile continuare a farlo, soprattutto con Morgana.
«L’amore» ammise, dopo alcuni istanti di silenzio. Mentire a lei non avrebbe funzionato, lo avrebbe portato comunque ad ammettere la verità, che lui volesse o meno, la conosceva fin troppo bene, ed era sempre stato consapevole che, prima o poi, avrebbero avuto quella conversazione, anzi, era strano che lei avesse aspettato così tanto tempo prima di parlargli.
«Lo sapevo» disse la regina «La persona di cui ti sei innamorato è la stessa che ti ha regalato quell’anello che porti sempre al collo, vero?» chiese con un sorriso dolce; il re non poté far altro che annuire, prendendo l’anello tra le dita e osservandolo con un sorriso malinconico, senza dire nulla. «Deve essere una persona davvero speciale, se stai sorridendo in quel modo».
«Lo è» ammise Arthur, senza lasciare la presa sul dono di Merlin.
«Ascolta, Arthur, il nostro regno ha bisogno di un re felice» disse Morgana, dopo un po’, osservandolo ancora «Ti ho lasciato stare, ti ho lasciato elaborare la cosa, ma tu non lo fai. Tu non affronti il problema, a volte sembri dannatamente nostro padre» disse quasi esasperata.
«Non posso essere felice, Morgana, questa persona è troppo lontana da me, dal nostro mondo» dal nostro tempo – aggiunse mentalmente.
«Ascoltami, hai fatto tutto quello che potevi per il nostro regno, hai stretto alleanze, hai provveduto alla successione, e non potresti fare altro, se non sconfiggere i sassoni, promettimi che quando tutto sarà finito, cercherai di essere felice» disse lei, guardandolo «Sei mio fratello, anche se la tua felicità è con qualcuno che non è del tuo rango sociale, meriti di essere felice. E non devo essere io a dirti che sei il re, e fai tu le leggi».
«Va bene» disse lui, alzandosi e abbracciando la sorella, dandole un delicato bacio sulla fronte. Non aveva senso dirle ogni cosa, lui era consapevole che non avrebbe mai potuto riavere Merlin, che non avrebbe più potuto sentirlo ridere delle sue strane affermazioni su quegli oggetti strani, non avrebbe più potuto pizzicargli le orecchie per sentirlo fintamente offeso, e poi baciarlo "per farsi perdonare", non avrebbe più potuto farlo suo, non avrebbe più potuto vedere il suo viso e perdersi nei suoi occhi, perché ormai era anni lontano da lui, e perché di lì a poche lune lui sarebbe morto in battaglia.
«Promettimi che sarai felice, un giorno».
«Te lo prometto» mentì, solo per non farla preoccupare eccessivamente, non nelle sue delicate condizioni. Era da poco tempo, infatti, che il medico di corte aveva diagnosticato la dolce attesa della sorella e quella era stata una gioia per tutta la corte. Si congedò da sua sorella dopo averle augurato la buonanotte ed averla rassicurata ancora una volta.
Quando ritornò nelle sue stanze, Arthur avvertì di nuovo una voce chiamarlo nella sua mente, e quella volta non la ignorò. Poteva essere qualcosa di importante, poteva essere un segno di qualcosa, poteva essere tutto e lui aveva bisogno di sapere se era impazzito o meno. Senza avvisare nessuno, afferrò il suo mantello blu ed uscì dal castello e, salito in groppa al suo cavallo, lasciandosi guidare unicamente da quella voce, si mise in viaggio. Qualcosa doveva pur significare, giusto? Lui non era pazzo. E inoltre, quando era stato nel futuro, aveva imparato che certe sensazioni non dovevano essere ignorate.
Cavalcò per intere leghe, seguendo quella voce che lo chiamava, e diveniva sempre più insistente, man mano che cavalcava, e quando fermò il cavallo, era nei pressi del lago di Avalon, non vi tornava dal nefasto giorno in cui era tornato dal mondo futuro.
Tuttavia, quando scese dal cavallo e si avvicinò alla riva, si ritrovò davanti a Mordred e sopra la sua testa c'era un enorme drago che volava; il re sobbalzò e si rese conto di essere finito in una trappola; quella volta era stato così sconsiderato e sprovveduto da caderci con tutti gli stivali, non era da lui essere così impulsivo e avventato. Mise subito la mano alla spada e la sguainò in fretta, per difendersi dall’attacco mortale. Se il suo destino era morire lì, sulle acque di Avalon, non sarebbe morto senza lottare, avrebbe venduto cara la pelle e avrebbe fatto di tutto per sopravvivere.
«Posa l’arma, Arthur Pendragon» disse Mordred, le mani abbassate, nessun segno di cattive intenzioni da parte sua «Non siamo qui per farti del male» affermò, ma Arthur non si fidava, non poteva fidarsi di lui, dopo quello che gli aveva fatto l’ultima volta.
«Pensi davvero che io mi fidi di te?» domandò scettico il re, guardando il capo dei druidi.
«Fa’ come ti dice» disse il drago «Non hai niente da temere» e dette queste parole, il drago atterrò alle spalle del druido, guardò dritto verso il re. Arthur non aveva mai visto quel drago in vita sua, ma aveva come la sensazione di conoscerlo, sentiva che fosse familiare, ma non era possibile, giusto?
«Grande re, ci incontriamo di nuovo» disse il drago, e fu in quel momento che Arthur riconobbe la voce, quella che l'aveva condotto fin lì e che già aveva sentito prima di quel momento. Spalancò gli occhi incredulo davanti a quella realizzazione; era incredibile, era assurdo, non poteva essere vero, tutto quello doveva essere un sogno.
«Kilgharrah?»
 
*°*°*°*
 
Quattro mesi, quattro lunghi mesi erano passati dal giorno in cui aveva detto addio ad Arthur. Merlin non poteva farci niente, era triste e gli mancava terribilmente il biondo, quando era a casa, si stringeva negli abiti che l’altro aveva lasciato lì, stringeva il cuscino su cui l’altro aveva dormito per il tempo che erano stati insieme, e guardava film strappalacrime, mangiando gelato avvolto in un plaid e nella felpa di Arthur fino all’alba, come nei peggiori film americani; a volte, senza riuscire ad evitarselo, si ritrovava anche a piangere, pensando alle domande che avrebbe potuto fargli il biondo; altre rileggeva i messaggi che si erano scambiati in quei mesi e altre ancora ascoltava la voce di Arthur dalla segreteria telefonica del cellulare (Merlin? Cosa significa registra un messaggio? La voce desidera che io lasci un- e si interrompeva sempre, perché i dieci secondi di tempo erano scaduti prima che potesse finire la frase). Qualche volta invece stringeva il sigillo che il biondo gli aveva lasciato come promessa, lo stringeva al petto e sussurrava il suo nome, sperando di vederlo comparire magicamente accanto a lui. Non era molto, ma era qualcosa che lo aiutava a stare meglio; tuttavia se nel privato era così, sul lavoro era l’esatto opposto, attivo, scattante, faceva doppi turni quando non gli sarebbero spettati, restava in ospedale più del previsto e si gettava a capofitto in qualsiasi incarico, anche quelli che tutti gli altri cercavano di evitare. Lavorando in quel modo, teneva la mente occupata e credeva di non far preoccupare i suoi amici, i quali, se solo avessero sospettato qualcosa, gli avrebbero reso la vita impossibile con le loro domande e le loro preoccupazioni. Lavorava sodo, per ore intere, poi tornava a casa e ogni volta che apriva la porta, s’illudeva che Arthur fosse tornato da lui, o che non fosse mai andato via, immaginava Arthur che lo accoglieva con i suoi sorrisi dolci, Arthur che lo abbracciava e lo confortava, Arthur che apparecchiava per loro e caricava la lavastoviglie alla fine dei pasti quando lui era troppo stanco, Arthur che gli regalava dei fiori per dichiararsi e lo baciava in quel modo passionale che gli faceva girare la testa. Inutile nasconderlo, Arthur gli mancava, anche il solo sentire la sua voce per la casa gli mancava.
Quella sera, quando tornò dal lavoro, scongelò una pizza nel microonde – forte, guarda Merlin, gira da solo! È incredibile, questo strano oggetto ha un potere unico nel suo genere – e la mangiò velocemente, senza neanche sentirne il sapore. Quella sera avrebbe guardato di nuovo un film triste e avrebbe pianto per una buona ragione, pensando comunque ad Arthur. Quella volta, più delle altre, aveva bisogno di tempo per superare la rottura; ed era assurdo perché lui e Arthur non erano stati insieme così tanto, perché stava così male? Con nessuno dei suoi ex era stato così male per così tanto tempo, ma lo sapeva: Arthur era diverso da tutti loro.
Vorrei poter mantenere la promessa, Arthur, ma nessuno è come te, nessuno sarà mai come te, nessuno sarà mai la mia anima gemella, quella si incontra una sola volta nella vita. Si ritirò nella sua stanza a notte fonda e strisciò verso il letto, il suo sguardo si soffermò sulle foto che aveva sul comodino, aveva incorniciato alcune delle loro foto, quelle di Glastonbury, e le aveva messe sul comodino, così che non dimenticasse mai quegli attimi. Era felice con lui, era felice di averlo intorno, era felice che lui fosse entrato nella sua vita e l’avesse sconvolta in quel modo magnifico. Sì, Arthur gli aveva reso la vita piena, in un modo in cui nessuno prima di lui aveva fatto, e adesso aveva lasciato un vuoto incolmabile dentro di lui.
Quattro mesi erano passati e la sua assenza faceva male quasi quanto il primo giorno. Quanto tempo sarebbe passato, prima che la separazione avesse fatto meno male? – si domandava ogni giorno.
Quando arrivò al lavoro quella mattina, sembrava uno zombie, sembrava uscito direttamente da The Walking Dead, e tutti se ne accorsero, ma lui finse di non far caso ai loro sguardi pietosi e si gettò a capofitto nel lavoro come ogni volta.
Fu all’ora di pranzo, che iniziò l’assalto. Era seduto alla mensa, con un tramezzino tra le mani, ma non aveva molta fame e Freya si sedette davanti a lui con aria interrogativa.
«Tu hai qualcosa che non va» disse, non era una domanda quella «E adesso parlerai con me. Sei obbligato».
«Non ho niente, Freya, sto bene» rispose in modo secco, senza guardarla.
«Merlin, dimmi che cosa ti succede» insistette lei, cercando il suo sguardo «Si vede che stai male». Merlin sospirò, ovviamente se ne era già accorta, nulla passava inosservato ai suoi occhi.
«Non succede niente, davvero» borbottò «Ho solo dormito male, tutto qui».
«Perché un certo biondino ti ha spezzato il cuore?» domandò, Merlin la guardò spalancando gli occhi, non aveva mai parlato di Arthur, se non vaghi accenni, come poteva saperlo? «Hai una sua foto come immagine di sfondo e una vostra come sblocco del telefono e le guardi spesso con aria distrutta e affranta» spiegò lei, quasi leggendogli nella mente «Sul serio, Merlin, perché non mi hai detto che stavi vedendo una persona?» chiese «E soprattutto perché non sapevo dell’esistenza di un tale figo?»
«Non è successo niente, Arthur non c’entra niente».
«Arthur. Ha un nome quel bel ragazzo, allora» disse lei ironicamente «Sul serio, Merlin, di nuovo? Mi sembra di rivivere la tua ultima rottura, William, hai presente? Ecco, stessi sintomi» spiegò ancora «Doppi turni come se non avessi una vita, prendi qualsiasi incarico, anche quello più disgustoso, dormi poco – non mentire, riconosco le tue occhiaie – e sei uno straccio. Puoi ingannare chiunque, ma non me, se ho aspettato fino ad oggi per parlarti, è stato solo per lasciarti i tuoi spazi» disse lei sicura «Quindi, ne vuoi parlare?» chiese alla fine. Merlin era sorpreso, l’amica lo conosceva davvero bene, aveva capito ogni cosa, eppure lui credeva di aver finto bene quella volta. Credeva di essere riuscito a mascherare il suo dolore, e invece si era sbagliato ancora. Ovviamente.
«Ascolta, Freya, non ne voglio parlare, okay?»
«Ti ha tradito o ti ha lasciato?»
«Nessuna delle due, non aveva scelta».
«Vuoi dire che è morto?» chiese lei, scioccata, portandosi le mani alla bocca, dispiaciuta.
«No! Ascolta, non voglio parlare di Arthur, non voglio tornare sull’argomento e non mi farai parlare di lui» disse, ad occhi bassi, guardando il suo telefono. Sospirò, era davvero patetico, e lui non poteva farci nulla: amava qualcuno che non avrebbe mai potuto avere, nonostante anche l’altro lo amasse, e la cosa faceva dannatamente male.
«Non puoi stare così ogni volta che una storia finisce» disse «Io sono tua amica, e ti voglio bene, non voglio che tu soffra così tanto per degli stronzi che non ti meritano» disse con voce dolce, appoggiandogli una mano sulla spalla «Sono qui quando vorrai parlarne, okay?»
Lui annuì, incapace di fare altro e sospirò, ringraziando l’amica. Non aggiunse altro, non disse nulla, semplicemente lasciò che lei lo abbracciasse e poi tornò al suo piccolo pasto, sotto gli occhi preoccupati dell’amica. Non poteva raccontarle cosa fosse successo, lo avrebbe considerato pazzo e non aveva affatto voglia di essere considerato tale. Prima o poi sarebbe passata, si disse, prima o poi avrebbe smesso di far male. O almeno così sperava.
 
*°*°*°
 
«Qualcuno può spiegarmi cosa sta succedendo?» sbottò il re «Tu non puoi essere il vecchio stregone che mi ha fatto tornare qui! È semplicemente assurdo!» sbraitò contro il drago «E tu, Mordred, dovrei trafiggerti per il colpo basso che mi hai inflitto» sibilò a denti stretti, puntando la spada contro il druido che lo osservava tra il divertito e il derisorio. Cosa aveva da divertirsi? E soprattutto, come aveva fatto lui, il re di Camelot, a finire in una trappola simile?
«Che ti avevo detto, Kilgharrah? Un piccolo re viziato» disse.
«Colui che hai incontrato, non era che una delle mie future incarnazioni» iniziò l’imponente drago.
«Come fai a saperlo?» chiese il re interrompendolo, mentre il druido alzava gli occhi al cielo.
«La magia è fonte di conoscenza, grande re, ascolta ciò che il druido ha da dirti e non giungere a conclusioni affrettate» proferì in risposta alla domanda «Il tuo destino sta seguendo il giusto percorso, presto la battaglia contro i sassoni avrà lungo a Camlann, lì dove le scritture dicono che troverai la morte, tuttavia, dati gli ultimi avvenimenti ti è data una scelta».
«Una scelta?»
«Non possiamo cambiare il destino, Arthur» disse il druido, intervenendo «Ma, anche per colpa mia, quel destino ha subito una variazione e adesso hai una scelta» continuò «Poni fine all’assurda guerra contro di noi, non siamo tuoi nemici. Rendi davvero la magia libera nel tuo regno, e io ti donerò ciò che il tuo cuore brama di più» disse il druido, il cuore di Arthur sobbalzò. Il druido sapeva cosa desiderava? Come avrebbe fatto a darglielo, se il suo destino era morire contro i sassoni? Come poteva fidarsi di lui, dopo ciò che era successo?
«Cosa?»
«Il tuo amore» disse «Ti renderò il tuo amore».
«Non mi fido di te» disse scuotendo la testa, la spada ancora saldamente nella mano «Cosa mi dice che tu non stia mentendo?» domandò.
«Sono stanco di questa assurda guerra, era una guerra di tuo padre e dei miei predecessori, lui ha distrutto il mio popolo, e il mio popolo è stanco di soffrire; tu, a differenza di Uther, non hai mai fatto niente contro di noi, se non rispondere ai nostri attacchi» disse ammettendo la sua colpa «Tu hai sempre cercato una mediazione con noi, me ne rendo conto solo ora» continuò il druido e il re lo osservò scioccato «Lascia che ti mostri» disse, indicando il lago «Guarda nel lago».
Spada ancora alla mano, pronto ad agire, Arthur, spinto dalla curiosità, si avvicinò alla riva del lago, restando comunque all’erta; Mordred pronunciò delle parole magiche e nel lago apparve l’immagine di Merlin, il suo Merlin. Non era cambiato, anche se aveva una leggera barba scura a contornargli il volto. Era lì, il suo volto era triste e i suoi occhi pieni di lacrime nella stanza che un tempo avevano condiviso. Oh dèi, Merlin… provò a toccare l’acqua, come per accarezzargli il volto, ma non appena la sfiorò, l’immagine di lui svanì in tante piccole onde. Restò lì, inginocchiato per un po’ di tempo a fissare l’acqua, riflettendo sul da farsi, un aiuto in più contro la minaccia dei sassoni poteva essere utile, rivedere Merlin sarebbe stato realizzare la sua felicità, come aveva promesso a sua sorella; ma non poteva fidarsi, non poteva venire meno agli ideali di suo padre. I druidi erano i nemici giurati di Camelot e…
Tu non sei tuo padre, Arthur – le parole di sua sorella risuonarono nella sua mente; Morgana glielo ripeteva spesso, quando si trattava di prendere decisioni importanti.
«Morirò in battaglia, vero?» chiese al drago «A Camlann, lì si compirà il mio destino?» domandò ancora. Aveva bisogno di risposte, aveva bisogno di sapere che, nel caso in cui avesse accettato, il suo popolo non avrebbe sofferto per le sue scelte, per le sue decisioni. Doveva esserne sicuro, non poteva gettarsi nel vuoto e rischiare che il suo popolo soffrisse per le sue scelte egoistiche.
«Sì, mio re, il tuo destino si conclude a Camlann, è scritto nelle stelle» proferì il drago «Se tu accettassi o meno l’offerta del druido, il tuo destino non cambierà, il tuo tempo qui è finito» disse con sincerità e Arthur gli credette, come poteva non credere ad un essere così antico? «Ma se accettassi il compromesso, avresti una seconda possibilità» disse, a quel punto il re lo guardò perplesso «Se tu accettassi i servigi del giovane druido, compiresti il tuo destino, ma continueresti la tua vita, in un altro tempo, con altre persone, fino alla fine dei tuoi giorni».
«Come posso essere sicuro che questo non sia un trucco?» chiese «Come posso sapere che non stiate mentendo?» chiese «Come posso sapere che non ci saranno conseguenze sul futuro?»
«Devi fidarti, Arthur Pendragon» rispose il druido, guardandolo e muovendo un passo verso di lui «Non lasciare che il risentimento ti guidi, non fare gli errori di tuo padre» continuò guardandolo «Non hai niente da temere, la magia non ti è mai stata nemica».
«Ah no? Non è stata la magia ad avermi allontanato dal mio popolo e a fare in modo che un intero futuro a noi lontano fosse in pericolo?» chiese il re, guardando il druido con astio.
«Il druido non sapeva cosa stesse facendo, ma è anche per le sue azioni che adesso ti è data una scelta» intervenne il drago «Se accetterai, potrai viaggiare di nuovo nel tempo, per un’ultima volta e tornare da chi ti è caro» disse ancora «In caso contrario, morirai ugualmente in battaglia perché così è scritto».
Arthur tacque, senza sapere cosa dire; poteva fidarsi di lui? E il drago come faceva a conoscere ogni cosa, anche le future? I draghi erano davvero creature onniscienti, come si diceva?
«Posso giurare la fedeltà mia e del mio popolo, a te, alla tua corona, e a quella dei tuoi successori» proferì il druido con sicurezza, guardandolo; in quel momento Arthur nel suo sguardo lesse solo sincerità e non ebbe più alcun dubbio, anche i libri di Merlin dicevano che inevitabilmente sarebbe morto in battaglia, di tutte le cose sbagliate che aveva letto nel futuro, la sua morte, durante quella battaglia, sembrava l’unica cosa vera.
«La scelta è tua, giovane re» disse il drago «Aspetteremo una tua risposta, fino alla tua ultima grande battaglia, non sarà mai troppo tardi per porre fine ad un’assurda guerra».
Il re annuì, restando ancora perplesso, e li guardò, se avessero avuto cattive intenzioni, avrebbero potuto ucciderlo subito, il drago avrebbe potuto staccargli la testa con le sue enormi fauci o bruciarlo vivo, il druido avrebbe potuto distruggerlo con la sua magia, come già aveva tentato di fare in passato, ma non l’aveva fatto, sia il drago che il druido gli avevano parlato e gli avevano offerto una scelta. Una possibilità di non morire in battaglia, ma di essere morto per chiunque nel suo tempo, una seconda vita nel futuro insieme a Merlin, a Merlin che soffriva quanto lui per la loro rottura, a Merlin che lo amava, nonostante tutto. Se mettere fine alla guerra contro i druidi voleva dire stipulare una pace con loro, per poter sconfiggere i sassoni, allora lo avrebbe fatto. Dopotutto, già in passato aveva provato a riappacificare il suo popolo e quello dei druidi, ostili non per loro volontà.
«Se io accettassi» disse il re, guardando il druido «Il mio regno resterebbe al sicuro?»
«Sì. Fino a quando il suo tempo non arriverà» rispose con sicurezza Mordred «Sarò il primo a proteggerlo con tutte le mie energie».
Arthur restò in silenzio, pensieroso. I druidi erano gli unici alleati che non aveva ancora nella battaglia contro i sassoni, e il suo regno aveva bisogno di un alleato tanto potente, ma come poteva fidarsi del druido? Forse doveva solo smettere di pensare come Uther e iniziare a pensare come se stesso; lui non aveva mai desiderato la battaglia contro quel popolo, aveva sempre ricercato un dialogo, perché negarlo proprio ora? Avrebbe dovuto prendersi del tempo per riflettere, ma a cosa avrebbe portato? La scelta sembrava già presa, il suo cuore l’aveva già presa.
«E sia» disse il re «Lavorerò alle nuove leggi e al trattato di pace con i druidi a partire da domani».
«Saggia decisione, Arthur Pendragon» disse il druido «Ti ringrazio».
Il sole stava appena nascendo quando il re di Camelot si mise di nuovo in viaggio verso il suo castello, sorridendo sinceramente dopo tanto tempo; per la prima volta, il pensiero di perire in battaglia, per la prima volta, non gli era mai sembrato tanto dolce.
 
*°*°*°
 
«Merlin, dovresti davvero smetterla di autocompatirti, tra te e Arthur è finita da quasi cinque mesi ormai» lo rimproverò Freya, mentre lui beveva l’ennesimo shottino di vodka. L’amica aveva insistito affinché lui uscisse con lei e altri amici e lui aveva deciso di affogare il suo dolore nell’alcool, tanto il giorno seguente avrebbe avuto il giorno libero e sarebbe potuto restare seppellito nel letto, sotto una montagna di coperte, con la felpa di Arthur addosso e restare lì fino a che la sbornia non fosse passata. Tra l’altro, non sapeva come, Freya era riuscita a farlo parlare, certo non le aveva detto che l’uomo con cui aveva avuto una storia era re Arthur di Camelot, ma le aveva raccontato per somme linee ciò che era accaduto tra di loro, e il modo in cui era finita, con Arthur che era dovuto andare via e non aveva potuto portarlo con sé. Freya, con l’aiuto di un loro amico in comune, nell’ultimo mese, gli era stata accanto in ogni modo possibile, e lui si stava riprendendo, pian piano, anche se ancora soffriva quando ripensava a lui. L’amica aveva insistito affinché vedesse altre persone, ma ogni volta che incontrava uno di questi pretendenti, li trovava noiosi, senza spina dorsale, inutili, fannulloni, e paragonati ad Arthur non erano nemmeno un granché fisicamente. Non potevano competere con lui, suvvia.
«Sto bene, Freya, ho solo voglia di bere e di non pensare per un po’» disse lui «Non era per questo che mi hai invitato?»
«No, volevo presentarti un amico» disse lei, indicando un ragazzo seduto ad un tavolino, non molto distante da loro.
«Ne ho abbastanza dei tuoi amici» rispose lui, con un grugnito «Nessuno sarà mai come Arthur, nessuno avrà mai il suo fascino e nessuno sarà un cavaliere come lui, quindi ti prego, se mi vuoi bene, fammi bere e non presentarmi altri, deciderò io quando vorrò vedere altre persone» disse lui quasi tutto d’un fiato e concluse la scenata buttando giù un altro bicchierino di vodka, fece segno al ragazzo del bar di riempirglielo ancora «Chiodo scaccia chiodo non funzionerà, stavolta, credimi».
«Non riesco a vederti così!» esclamò lei «Che aveva questo Arthur di così speciale?»
«Tutto» rispose Merlin con sincerità «Freya, lui mi ha riempito la vita, in un modo in cui nessun altro aveva fatto prima, mi completava, ti prego, posso avere i miei tempi per superare la rottura?» chiese «Non è come gli altri stavolta» lui è la mia anima gemella «Ho bisogno di più tempo, per favore. Lui non voleva lasciarmi» disse, l’alcool lo faceva essere più sincero del dovuto «E ha dovuto, la nostra storia poteva continuare, se non fosse stato obbligato da un destino più grande di noi» disse, gli occhi erano lucidi per le lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi e per l’alcool che iniziava ad annebbiargli i sensi «Ho bisogno di tempo, non riesco a vedere nessuno senza fare paragoni con lui». Lei fu colpita dalle sue parole, mai prima di quel momento, Merlin le era apparso così fragile e distrutto, la batosta di Arthur doveva essere stata abbastanza forte e decisiva per lui, più del tradimento del suo precedente fidanzato. Decise quindi di non insistere ulteriormente per non ferirlo ancora.
«D’accordo, lascia che ti riaccompagni a casa» disse la ragazza, togliendogli il bicchierino dalle mani «Andiamo, hai bevuto abbastanza, puzzi di alcool e tra poco vomiterai» disse lei, pagando il barista e afferrando l’amico per i fianchi, aiutandolo ad alzarsi dalla scomoda sedia e conducendolo verso l’uscita del bar.
«Doveva tornare a casa sua» singhiozzò Merlin, una volta fuori dal bar «Gli ho chiesto di portarmi con lui, ha detto no, che non poteva» continuò, biascicando, mentre Freya chiamava un taxi e lui ciondolava al suo fianco «Ma prima di andare via, mi ha detto che mi amerà per sempre» continuò singhiozzando «Avrei preferito che non lo avesse detto, avrei potuto farmene una ragione» aggiunse «Non saperlo avrebbe fatto meno male. Non mi aveva mai detto di amarmi, almeno fino a quel momento, anche se l’aveva dimostrato» disse piangendo «Vorrei che tornasse da me».
«Giuro che se mi trovo questo Arthur tra le mani, prima lo meno e poi lo eviro» minacciò lei «Come ha potuto ridurti in questo modo?» chiese lei retoricamente, Merlin piangeva contro la sua spalla e sentendo le parole dell’amica, strozzò una risata tra i singhiozzi. Stava crollando a pezzi, ma Freya era lì a sorreggerlo.
«Lui e il suo dannato senso del dovere» biascicò il moro tra un singhiozzo e l’altro. Con non poca fatica, Freya lo caricò su un taxi e lo accompagnò a casa, non fu facile portarlo fino al suo appartamento al quarto piano, ma lo aiutò comunque. Lo fece distendere sul letto, gli tolse le scarpe e gli tirò le coperte sul corpo.
«Freya, perdonami se sono stato odioso in questo periodo» mormorò lui, gli occhi chiusi, la testa pesante.
«Tranquillo, chiamami domani, okay?» lui biascicò qualcosa in risposta, che la ragazza non comprese «Ti lascio un biglietto» mormorò. Prese un bicchiere d’acqua e un’aspirina dalla cucina e le pose sul comodino di Merlin, poi gli scrisse un biglietto, pregandolo di chiamarla quando si sarebbe svegliato, solo per farle sapere che stava bene. Poi, dopo aver lanciato un ultimo sguardo all’amico che se ne stava sotto alle coperte, guardò la foto sul comodino e trasse un profondo sospiro, avrebbe davvero voluto uccidere quel tizio biondo per aver spezzato in quel modo il cuore del suo migliore amico. Merlin non meritava di soffrire così, lo aveva già visto soffrire per storie finite male, si era sempre rialzato, ma stavolta sembrava più difficile delle altre.
«Arthur…» biascicò Merlin in uno stato di dormiveglia «Arthur, ti amo, torna da me, ti prego…»
Freya sentì quelle parole sussurrate dal moro e le si strinse il cuore; decise comunque di andare via dalla casa, lasciandolo alla sua privacy, sperava solo che Merlin si riprendesse in fretta, perché detestava vederlo in quelle condizioni, di nuovo, a causa dell’ennesimo stronzo che si lasciava dietro i cocci del suo cuore spezzato.
Merlin quella notte, nei fumi dell’alcool, sognò di incontrare Arthur, di essere a Camelot con lui, di fingere di essere il suo servitore «Per giustificare la tua presenza nelle mie stanze, Merlin» gli diceva nel sogno il re, alle sue proteste sul non voler essere un servitore, e di scherzare con lui, chiamandolo “asino” o “testa di fagiolo”, anche davanti alla corte «Non puoi parlarmi così davanti al mio popolo, cosa penseranno di me?» gli chiedeva Arthur divertito, fingendosi irritato «Che sei un re divertente che permette al suo servitore di prenderlo scherzosamente in giro» gli rispondeva lui, ridendo e baciandolo dolcemente; e di fare l’amore con lui nelle sue stanze, nascosti da enormi tende rosse con Arthur che gli sussurrava parole dolci all’orecchio, che lo stringeva e gli diceva che finalmente lo aveva ritrovato e che mai più lo avrebbe lasciato andare. Era un sogno così bello, perché non poteva essere reale?
Arthur, vorrei che tu fossi qui…



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Hola people belle!
Chiedo venia per il ritardo assurdo di questa settimana, ma le congiunzioni astrali (la connessione in primis che mi odia) sono sempre contro di me, insieme a impegni lavorativi (che non mi aspettavo aumentassero questa settimana) e accademici (che sono sempre lì a rompere le scatole). But eccomi qui!
Questo capitolo è su due livelli temporali, Arthur a Camelot nel passato che soffre senza mostrarlo troppo in giro (sia mai che poi dicano che il re è un essere umano eh) e Merlin a Londra nel futuro che si deprime quando è solo e lavora come un matto per non pensare ad Arthur. Ovviamente entrambi hanno chi non crede minimamente alle loro menzogne e che fa loro il terzo grado sulla situazione. Tecnicamente le foto di Arthur sarebbero dovute sparire, per ovvi motivi di viaggi temporali, ma siccome avevo lasciato aperta la finestra del suo ritorno, non me la sono sentita di far perdere a Merlin le immagini di Arthur (tutti gli scrittori di sci-fi mi stanno lanciando pomodori al momento LOL).
Eeeeeh Arthur "morirà" ma non morirà davvero, tornerà da Merlin, ma stavolta senza causare nessun paradosso! (escamotage preso in prestito da Legend of Tomorrow e rivisitato da me per motivi di trama, leggasi “mi serve Arthur nel futuro per far felice Merlin, perché Merlin non merita di soffrire” ahah) Credo di aver detto tutto. Il drago e lo stregone del futuro sono la stessa persona, lo stregone conosce tutto, perché i ricordi del drago sono anche i suoi ricordi! Per questo aveva detto a Merlin di stare tranquillo, in qualche modo sapeva come sarebbe andata, anyway tutto ciò sarà spiegato nel prossimo capitolo! Eheh, spero che vi sia piaciuto questo modo di riunire i due amanti :3 Altrimenti, mi dispiace avervi deluso. 
Nel prossimo capitolo il fluff e l'amore torneranno ad essere onnipresenti, lo giuro. Mancano solo due capitoli alla fine della storia e sono tristissima per questo, mi mancano già queste due patate. (ma ci sono robette in lavorazione che, università e lavoro permettendo, spero di finire presto).
Thank you so much a tutti coloro che leggono la storia e le meravigliose lilyy e elfin emrys che recensiscono sempre, e mi riempiono il cuore di gioia con le loro recensioni (e mi fanno sempre notare i miei orrori di battitura, dei quali mi scuso sempre, perché mi sfuggono proprio pur rileggendo il capitolo çç)
Credo di aver finito, LOL se avete domande non esitate a chiedere! 
Vi saluto e vi do appuntamento al prossimo capitolo, sicuramente la prossima settimana! 
Stay tuned, people!

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Capitolo 8
*** Capitolo 8: Come back home. ***


Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!

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Le nuove leggi furono proclamate in un giorno di primavera, sei lune dopo il ritorno del grande re a Camelot, nello stesso giorno in cui il re invitò il capo dei druidi al castello per firmare un trattato di pace. Inizialmente, alcuni membri della corte e molti popolani erano stati scettici a riguardo, ma quando il capo dei druidi giunse affermando di “venire in pace” e i due capi si strinsero la mano davanti al popolo, ognuno fu certo delle loro buone intenzioni. Finalmente re Arthur stava prendendo le distanze dalle politiche violente ed insensate di re Uther. Tutti quel giorno scoprirono che il loro re era davvero il grande re di cui si parlava in tutte le profezie, quello giusto, onesto, coraggioso e nobile. Seguì una settimana di festeggiamenti, di banchetti e di tornei in onore della nuova alleanza, essa aveva portato speranza nel regno, tutti credevano che presto ci sarebbe stato un lungo periodo di pace.
Arthur, invece, sapeva che di lì a poco tempo la grande guerra contro i sassoni sarebbe iniziata e si preparò a dire addio a tutti i suoi cavalieri, a sua sorella e a tutto il suo regno, tuttavia si era riservato un ultimo tentativo di stipulare una pace con i sassoni, recandosi personalmente con un gruppo di cavalieri al cospetto del loro re per trattare, ma egli non accettò di incontrarlo. Due lune dopo, nel regno giunse la notizia che i sassoni si erano mossi verso Camelot, dichiarando guerra al popolo nemico. Quando la notizia giunse al castello, il re non fu sorpreso di apprendere ciò, tutto si stava avverando così come gli era stato detto dal drago e dal druido, tuttavia sapeva a cosa sarebbe andato incontro, ma non temeva quel momento; infatti, subito dopo aver appreso la notizia, riunì i suoi cavalieri per prepararsi all’imminente guerra; mandò immediatamente una guarnigione di uomini a fermare l’avanzata nemica, mentre loro discutevano del miglior modo per combattere i nemici, coinvolse anche Mordred e alcuni dei suoi guerrieri nelle riunioni, in modo che anche loro, in quanto loro alleati, potessero conoscere tutte le loro mosse durante la battaglia o suggerire altre tattiche di combattimento. Ogni tanto scambiava occhiate d’intesa con Mordred, che intuiva i suoi pensieri e gli diceva di stare tranquillo, che tutto sarebbe andato bene. Un giorno, mentre erano tutti nella sala del consiglio, riuniti a parlare di tattiche di guerra e militari, giunse la notizia che la regina Morgana aveva dato alla luce un maschio, e Arthur abbandonò ogni cosa e corse da lei.
«Morgana!» esclamò entrando nelle stanze della sorella, mentre una nutrice teneva tra le braccia un bambino appena nato, che strillava e piangeva; Arthur, commosso, si avvicinò alla sorella e le prese la mano «Ho appena saputo! Come stai?»
«Benissimo» mormorò lei con voce stanca, mentre il biondo le stringeva la mano; quando la nutrice, dopo aver ripulito il bambino, lo mise tra le braccia del re, Arthur quasi pianse stringendo quel piccolo neonato: il futuro della sua Camelot giaceva tra le sue braccia ed era un bellissimo bambino. Una nuova speranza per il regno era nata, adesso toccava a lui realizzare il progetto di pace e riportare l'ordine nel suo regno, anche se per lui significava morire per il suo popolo; anche sapendo di dover morire, Arthur sapeva che il suo regno sarebbe stato in buone mani e ben protetto; dopo tanta collaborazione, durante quelle lune, si era reso conto che i druidi erano dei validissimi alleati, non solo per la loro magia, ma anche per le loro infinite conoscenze. Suo padre non era stato molto lungimirante, facendo loro la guerra, invece di chiedere i loro saggi consigli, doveva ammetterlo.
E tra un’organizzazione e l’altra, il giorno della battaglia decisiva arrivò. Molti erano caduti, nelle lune appena trascorse, il re aveva cercato di fronteggiare i nemici, e anche se Camelot aveva conquistato molte vittorie, il nemico continuava ad avanzare; la battaglia decisiva, della quale aveva già sentito parlare, quella che avrebbe portato Camelot alla vittoria e alla sua morte, era quasi giunta. Arthur era pronto a partire, a sacrificarsi per salvare il suo popolo, a morire da eroe, per portare la pace nel regno. Sua sorella lo raggiunse nel cortile poco prima che lui si mettesse in viaggio, lo abbracciò e lo supplicò di stare attento, chiedendogli inutilmente di non partire, anche se era consapevole che l’altro non avrebbe mai abbandonato i suoi uomini. Arthur cercò di tranquillizzarla con scarsi risultati, affidò il regno a lei e al suo consorte, infine salutò il nipote, suo erede, prendendolo dalle braccia di una nutrice, stringendolo tra le sue un’ultima volta, e dandogli un leggero bacio sulla testolina, sussurrandogli qualche piccola raccomandazione. Anche se il bambino non poteva capire le sue parole, regalò allo zio un enorme sorrise che scaldò il cuore del re. Prima di partire, rassicurò ancora una volta Morgana, promettendole che tutto sarebbe andato bene. Lei non poteva sapere che non sarebbe tornato, ma che per lui le cose sarebbero state di gran lunga migliori di quanto lei potesse immaginare; andava via sereno, nonostante tutto; Morgana non poteva sapere che stava mantenendo proprio la promessa fatta a lei, tempo prima: essere felice.
E, dopo averle lasciato anche l’anello, simbolo del potere di regnante, solo come precauzione, aveva detto lui, aveva raggiunto i suoi uomini in testa all’esercito ed erano partiti alla volta di Camlann, lì dove i sassoni si stavano dirigendo, lì dove tutto si sarebbe concluso e contemporaneamente avrebbe avuto inizio, almeno per lui. Non poteva fare a meno di pensare a quello, a cosa sarebbe accaduto dopo quella battaglia, a come avrebbero spiegato la sua morte, senza un corpo da piangere, tuttavia, si fidava di Mordred e del drago, i quali gli avevano spiegato dettagliatamente cosa avrebbe dovuto fare. Sperava solo di non fallire.
«Avete paura, mio signore?» chiese il suo fedele Lancelot, al suo fianco. Il cavaliere più valoroso e nobile di tutti, diceva il libro del futuro di Merlin. Un sorriso increspò le labbra del re: avrebbe rivisto il suo amore, dopo quella battaglia, come poteva avere paura? Certo, temeva di fallire la sua missione, di non rispettare i tempi e di morire ugualmente, ma la paura della morte non era mai stata tra i suoi timori, un cavaliere non la temeva mai.
«No, Lancelot, sto andando incontro al nostro destino, per Camelot».
«Per Camelot» rispose il cavaliere. Mordred, con il suo cavallo, li affiancò, e scambiò uno sguardo d’intesa con il re; la luna nuova era vicina e la battaglia avrebbe avuto inizio presto, lo sentiva, i nemici erano vicini, non aveva alcun rimpianto, poiché aveva più volte tentato di stipulare la pace con il nemico e nonostante ciò la guerra era giunta. E, dentro di sé poteva ammetterlo, era stanco di guerre e violenza, ne aveva combattute innumerevoli per suo padre, quando era un principe e altre le aveva affrontate fin da quando era stato incoronato re, ogni volta che i suoi nemici lo avevano sfidato pubblicamente. Era arrivato il momento di porre fine al sangue e alla violenza, e donare un po’ di pace ad un popolo che ne aveva vista fin troppa (e un po’, in fondo al suo cuore, desiderava la pace anche per se stesso, per essere felice come lo era stato, in quel tempo lontano trascorso nel futuro, non se ne vergognava, anche se sembrava proprio uno dei suoi pensieri più egoistici).
Quando giunsero nelle vicinanze delle montagne attraverso le quali si giungeva alla strettoia di Camlann, allestirono l’accampamento, molti uomini erano turbati, i sassoni erano vicini e si diceva che il loro esercito fosse il triplo di quello di Camelot «Ma noi abbiamo i druidi» mormoravano alcuni cavalieri «Uno di loro vale come dieci uomini, per la magia!» dicevano altri. Per quanto avesse cercato una pace con quel popolo, non era riuscito nell’impresa, poiché quell’avvenimento, secondo molti, era inevitabile; ma era fiducioso (poiché gli era stato detto e l’aveva letto nei libri) che dopo quella battaglia, il suo regno avrebbe vissuto un lungo periodo d’oro e di pace. Arthur dalla sua tenda osservò i suoi uomini e sorrise malinconico, gli sarebbero mancati, lo sapeva, gli sarebbe mancato il brivido della battaglia e tutto il resto, ma non poteva cambiare il destino, non poteva restare a Camelot, il suo tempo lì era finito, questo dicevano le scritture.
«Sire» lo chiamò uno dei cavalieri «Venite con noi, brindiamo affinché domani per Camelot sia un nuovo successo!»
Il re sorrise a tutti loro e si avvicinò; quello era il modo giusto di salutarli, si disse, era il modo giusto di dire addio ai suoi uomini. Dopo aver trascorso del tempo con loro, prima di ritirarsi di nuovo nella sua tenda, lanciò un ultimo sguardo verso i cavalieri ancora riuniti attorno al fuoco e sorrise, si augurò che il suo esercito non perdesse troppi uomini durante la battaglia, anche se sapeva che una guerra non risparmiava nessuno.
All’alba del giorno seguente, i due eserciti si fronteggiarono, il re di Camelot propose un duello tra sovrani, ma neanche quell’ultima mediazione servì a qualcosa: la battaglia, quindi, ebbe inizio, nessuno risparmiò colpi, molti guerrieri di Camelot perirono, ed anche molti sassoni, alcuni feriti dalle spade dei cavalieri, altri sbalzati lontano dalla magia dei druidi. Arthur si fece largo tra i guerrieri sassoni, brandendo con orgoglio la sua spada, fino a che non giunse davanti al re dei sassoni, che aveva appena trafitto a morte uno dei suoi uomini. Si gettò nel duello senza nemmeno riflettere, esso durò per attimi infiniti, il re dei sassoni sembrava in netto svantaggio rispetto al re di Camelot, che si batteva con forza e grinta, cercando di sconfiggere il nemico, ma come Mordred gli aveva rivelato, quell’uomo avrebbe posto fine alla sua vita nello stesso momento in cui lui l’avrebbe trafitto, e la sua storia si sarebbe conclusa con la sua morte e con la vittoria di Camelot, perché i druidi avrebbero aiutato i cavalieri di Camelot a vincere.
Era strano sapere come sarebbe finita la sua vita e non poter fare niente per evitarlo. Diversamente da quanto annunciato, il sassone, barando, lo fece cadere per terra, lo sovrastò e gli puntò la spada al petto, vittorioso. Stava per trafiggerlo, quando le sorti del duello cambiarono con l’intervento benefico di Mordred, che distrasse il sassone, chiamando il nome di Arthur, il quale, approfittando della distrazione dell’avversario, riuscì a recuperare la sua spada e a ferire a morte il suo nemico. Poi Mordred afferrò Arthur per un braccio e lo portò via dal campo di battaglia, fino alla sommità di un dirupo dove Kilgharrah era in loro attesa: «Tutto è andato secondo i piani?» chiese il drago.
«Sì» rispose il druido «Il re dei sassoni è caduto, Arthur risulterà disperso fino a che non porterò la notizia della sua morte, Camelot vince questa guerra e l’ordine del mondo antico è stato ripristinato».
«Molto bene» rispose il drago «Ti aspettiamo, giovane druido, sbrigati, abbiamo tempo fino alla luna nuova per far sì che la magia abbia il suo effetto, altrimenti il re si perderà nel tempo e nello spazio».
«Sì, sì, lo so» disse Mordred, svanendo nel nulla. Il re restò colpito dalla cosa, ancora non capiva questa capacità di coloro che possedevano la magia; era tutto troppo incomprensibile per la sua mente umana, non abituata ad avere a che fare con la magia e creature magiche.
«Dovresti salire sulla mia groppa, giovane re» disse «Ti porterò io ad Avalon, il druido ci raggiungerà lì» concluse il drago. Arthur impallidì, ma non osò lamentarsi, e con un po’ di fatica riuscì a salire sulla groppa del drago, che spiccò il volo in modo impressionante. Volare era una cosa fantastica, davvero, lo avrebbe raccontato a Merlin, quando sarebbe arrivato da lui, ormai aveva accettato a braccia aperte il suo futuro accanto al moro e non poteva che gioirne.
In poco tempo, il drago arrivò sulle sponde del lago, e quando il sole tramontò anche Mordred li raggiunse.
«La battaglia si è conclusa, mio signore» disse il druido ad Arthur, con il capo chino «I superstiti dell’esercito di Camelot tornano vittoriosi nel regno, tu sei ancora tra i dispersi» comunicò. Solo per un momento, Arthur chinò il capo, immaginando la sofferenza della sorella quando avrebbe appreso prima la notizia della sua dispersione e poi della sua morte. «Siamo quasi pronti, la luna sorgerà tra non molto» continuò Mordred «Per quello che vale, Arthur, è stato un onore lottare al tuo fianco» disse, facendogli un inchino «Mi dispiace che non abbiamo trovato un’intesa prima».
«Dispiace anche a me, sei stato un alleato prezioso per me e lo sarai per il mio regno» disse appoggiandogli una mano sulla spalla «Non abbiamo mai avuto le colpe dei nostri padri, l’abbiamo solo capito tardi».
«Non posso che concordare» rispose il druido.
Arthur iniziò a disfarsi dell’armatura, abbandonandola sulla riva del lago, il druido l’avrebbe riportata a Camelot insieme al suo mantello e così avrebbero potuto celebrare il suo funerale. Sospirò e poi guardò la sua spada adagiata sul terreno.
«Mordred?»
«Sì?»
«Non posso portare la mia spada nel nuovo mondo, cosa dovrei fare?» chiese con aria perplessa. Il druido guardò il drago, e fece una domanda silenziosa. Neanche lui sapeva esattamente cosa fare.
«La tua spada è forgiata nel fuoco di un drago, è una spada molto rara e nelle mani sbagliate, potrebbe essere un pericolo. Suggerisco di metterla dove nessuno possa brandirla mai più, a parte te» proferì il drago. Arthur ci pensò un secondo, cosa aveva detto Merlin…? Su uno di quei libri assurdi aveva letto una storia sulla sua spada, della quale si diceva fosse stata estratta dalla roccia solo dall’unico vero re di Albion. Una spada conficcata nella roccia. La spada nella roccia!
«E se la incastrassimo in una roccia?» domandò «Dalla roccia nessuno potrà mai estrarla».
«Geniale, nessuno riuscirebbe mai a brandirla» disse il druido «Si può fare, grande drago?».
«Sì, dovrai stare molto attento, giovane druido, la tua magia dovrà essere specifica, solo il grande re potrà brandirla ed estrarla, nessun altro». Il druido annuì e si preparò a lanciare l’incantesimo.
Il re si avvicinò ad una pietra abbastanza grande e dura, Mordred lo affiancò e pronunciò un incantesimo, mentre Arthur faceva scivolare la lama nella pietra, penetrandola come se fosse fatta di pane, e alla fine dell’incantesimo, quando la spada arrivò fino all’elsa, la lasciò.
«Solo il vero re di Albion, Arthur Pendragon, re una volta e re in futuro, potrà brandire questa spada» pronunciò il druido «Nessun altro indegno potrà mai brandirla, giacché essa, in origine, per il sommo re fu forgiata» disse solennemente, poi pronunciò le stesse parole nella lingua dell’Antica Religione, e infine toccò la pietra, quelle parole vi si incisero sopra, sparendo poi in essa. Arthur annuì, sapeva quella storia, l’aveva letta nel futuro ed era certo che nessuno, forse neanche lui, sarebbe mai riuscito ad estrarla da lì e a brandirla. Osservò per qualche istante l’elsa della spada completamente affondata nella dura pietra e la sfiorò per l’ultima volta.
«Giovane re, è tempo, la luna nuova è ormai giunta» disse il drago. Arthur tornò sulle sponde di Avalon, con Mordred al suo fianco, la luna alta nel cielo, la sua luce si irradiava su tutta la superficie del lago; il re avanzò e toccò le acque del lago, sentendosi rabbrividire, mentre Mordred pronunciava l’antico incantesimo.
«Grazie, a tutti e due» disse il re.
«È stato un onore» affermò il druido.
«Ci rivedremo presto, mio signore» disse il drago. Quella notte, il druido avrebbe portato l’annuncio della morte del re, e con il passare del tempo, la gente avrebbe iniziato a raccontare una storia del tutto diversa da quella appena avvenuta, una storia in cui il druido tradiva il re e, dopo che questi ebbe ucciso il re dei sassoni, a tradimento lo pugnalava a morte.
Poi la terra tremò, la luce si estese e un portale si aprì nelle acque del lago, senza guardarsi indietro, Arthur lo raggiunse e lo superò, senza curarsi di essere completamente bagnato, e di nuovo quella sensazione terribile di stordimento lo colse, ma stavolta cercò di essere più forte, non voleva svenire davanti a Merlin; strinse gli occhi mentre tutto intorno a lui cambiava ancora e, finalmente, giunse alla sorgente. La testa gli girava vorticosamente, ma cercò di restare in piedi, mentre intorno a lui si facevano chiari i contorni di quel luogo che aveva lasciato un po’ troppo tempo prima. Quando riaprì gli occhi lo vide: l’antico/moderno luogo dove aveva lasciato Merlin, Avalon del futuro. E lì, a pochi passi dal portale, che si era appena richiuso, c’era lui, il suo amore, bello come sempre, seduto su una pietra, in attesa. E non riuscì ad evitarsi di sorridere nel rivederlo. Non sapeva esprimere bene quanto gli fosse mancato durante quell’anno separati.
«Merlin?» lo chiamò, incredulo di essere di nuovo lì.
 

«Arthur?» Merlin smise di rivolgere lo sguardo al prato e sbiancò, restando con gli occhi spalancati e boccheggiante «Arthur!» esclamò, alzandosi in piedi e correndogli incontro, saltandogli al collo, ridendo e piangendo contemporaneamente, incurante degli abiti bagnati del re. Qualche giorno prima, risvegliatosi dall’ennesima sbronza (aveva smesso di ubriacarsi pensando ad Arthur, ma usciva molto più spesso con i suoi amici e molto spesso non pensava alle conseguenze delle sue azioni), aveva avuto una strana sensazione, quasi simile a quelle che aveva avuto, quando Arthur era stato lì, come se qualcuno cercasse di mettersi in contatto con lui, si era chiesto se fosse stato lo stregone; senza pensarci due volte, era partito per Glastonbury, si era recato dove c’era la sorgente antica, ed era arrivato pieno di speranza; sperava di rivedere lo stregone, Kilgharrah, e di sentirgli pronunciare di nuovo quell’incantesimo che aveva aperto il portale (quella volta l’avrebbe attraversato senza esitazione e avrebbe raggiunto Arthur), ma di lui non c’era traccia. Dire che era rimasto deluso sarebbe stato un eufemismo. Poi però si era detto che la prima volta non era arrivato subito, e che forse avesse bisogno di tempo, prima di apparire; così si era seduto su un masso ed aveva iniziato ad aspettare. Era appena sorta la luna, quando la terra aveva tremato, ma non aveva badato a quel dettaglio, troppo assorto nei suoi pensieri e nel compatimento di se stesso per accorgersi che ogni cosa intorno a lui era cambiata (davvero, come poteva essere così stupido da pensare che dopo un maledetto anno lo stregone si sarebbe rifatto vivo per fargli incontrare di nuovo Arthur?). Poi una luce lo aveva abbagliato per un istante, e non aveva osato alzare lo sguardo, per non ritrovarsi deluso, convinto che tutto quello fosse avvenuto solo nella sua mente, come un sogno ad occhi aperti e infine «Merlin?» aveva sentito quella voce, che chiamava il suo nome, non lontana come in un sogno, ma reale, calda, con una nota di dolcezza e quella sua deliziosa e caratteristica abitudine di calcare alcune sillabe del suo nome. E poi aveva alzato lo sguardo, lo aveva visto, ed era rimasto diversi istanti a bocca aperta, poi semplicemente era corso verso di lui, gettandosi al suo collo, stringendolo contro di sé, stringendosi al suo corpo. Era incredulo, felice, euforico. Arthur era tornato da lui.
«Arthur! Santo cielo, sei davvero tu…» mormorò come se non credesse nemmeno lui ai suoi occhi e alle sue orecchie «Come hai…? Come sei…?» tentò di chiedere, deliziato dalla visione che aveva di fronte a sé. Com’era accaduto? Era davvero lui? Certo che era lui, aveva il suo profumo, il suo aspetto… è troppo bello per essere vero.
«Te lo spiegherò dopo» disse il re, accarezzandogli il volto, sorridendo per la prima volta dopo tanto tempo e cercando il suo sguardo «La barba non ti dona molto, comunque» mormorò sorridendo «Propongo una legge che preveda la tua rasatura settimanale» affermò, commosso anche lui, cercando di essere divertente come suo solito.
«Idiota» mormorò Merlin, mentre lente lacrime scivolavano giù dai suoi occhi «Non è uno dei miei sogni, vero? Uno di quelli dove ti vedo, ma tu non sei davvero con me, vero?» chiese tutto insieme, sorridendo tra le lacrime.
«È tutto vero, amore mio» sussurrò piegandosi sulle sue labbra «Ci hanno concesso una seconda chance, il mio destino è compiuto, per tutti sono morto a Camlann, ma in realtà sono qui con te» disse «E adesso voglio solo baciarti…»
«Che aspetti a farlo, asino?» domandò retoricamente e non vi fu bisogno d’altre parole, il re si abbassò sul suo amato e lo baciò con dolcezza e rinnovato amore, con la promessa, non espressa, di non lasciarlo mai più da solo. Merlin avvolse le sue braccia attorno al collo del biondo e lo strinse a sé, ricambiando il bacio con tutta la passione che possedeva, con tutto l’amore che provava per lui, con tutta la gioia che aveva di rivederlo, e tanti altri sentimenti che non riuscì ad esprimere.
«Promettimi che non andrai mai più via» sussurrò Merlin.
«Te lo prometto, mi aspetta una lunga, noiosa, felice vita al tuo fianco» sussurrò il re, stringendolo forte in un abbraccio che sapeva di casa, amore e felicità «Non andrò mai più da nessuna parte».
«Guarda che ti credo» disse Merlin, senza riuscire a trattenere i singhiozzi «Re dei miei stivali, guarda in che stato mi riduci» disse ancora, affondando il viso nel suo collo.
«Credimi, re del mio cuore» sussurrò tra i suoi capelli, il cuore di Merlin, a quelle parole, ma soprattutto a quel dolce appellativo, fece una capriola, e iniziò a battere all’impazzata. Restarono lì abbracciati per quelle che parvero ore, ma invece furono pochi minuti, poi Arthur riprese la parola: «Mai più lacrime sul tuo bel viso, mai più, ti renderò felice» promise sussurrando ogni cosa al suo orecchio, mentre gli lasciava dei delicati baci sotto al lobo destro. Merlin strinse le braccia più forte intorno al suo collo, giusto per assicurarsi che fosse davvero lì, realmente lì con lui, presente e vero, non un fantasma dei suoi ricordi. Era reale, lo sapeva, ne era consapevole, nei suoi sogni mai Arthur era stato così vero, voleva solo essere sicuro che non sarebbe andato da nessun’altra parte.
«Mi sei mancato terribilmente» sussurrò Merlin, la voce tremante ancora per l’emozione.
«Anche tu, ogni singolo giorno di questo lunghissimo anno separati, non c’era giorno in cui non pensassi a te» disse piano il re, mormorando ogni parola come se fosse un segreto inconfessabile «Mi dispiace così tanto averti fatto soffrire».
«Sei qui adesso, non importa altro» disse l’altro alzando lo sguardo verso di lui, perdendosi in quegli occhi celesti che gli erano mancati come l’aria «Sei sempre bellissimo» mormorò, accarezzandogli una guancia, sorridendo. I singhiozzi che pian piano si calmavano, il cuore che riprendeva il suo battito normale, l’amore puro che fluiva tra di loro.
«Ah! L’amore che vince sempre su ogni cosa!» Il vecchio Kilgharrah apparve alle loro spalle, facendoli sobbalzare, i due amanti immediatamente si voltarono verso di lui, scioccati e stupefatti, era stato lì tutto il tempo a guardarli?
«Grazie, grande drago» disse il re, sorridendo «Se non fosse stato per te, non sarei di nuovo qui».
«Amore e Guerra hanno fatto il loro corso, è giunto il lieto fine» disse l’incarnazione del drago «Adesso, vivete una vita felice insieme, ragazzi, e guardate il futuro senza dimenticare il passato» proferì.
«Ho bisogno di sapere!» esclamò il re «Come mai ho avuto l’occasione di tornare?» chiese.
«Avevi lasciato un canale aperto con questo mondo, grande re» disse lo stregone sorridendo «Quando hai donato il tuo cuore a questo giovane umano, una parte di te è rimasta ancorata a questo mondo, anche fisicamente, a causa del dono che tu gli hai dato» spiegò guardando entrambi «Come tu hai portato una parte di lui nel mondo antico» aggiunse indicando l’anello che Arthur portava ancora al collo «Grazie all’amore profondo che provate, avete potuto ritrovarvi, e adesso potrete essere felici insieme, come meritate» affermò infine lo stregone svanendo nel nulla, così com'era arrivato. Arthur scosse la testa, mormorando tra sé e sé che l’avrebbe rivisto prima o poi e gli avrebbe posto le altre domande che tormentavano la sua mente; poi sorrise, avvolgendo un braccio attorno ai fianchi di Merlin, stringendoselo contro. Tutto è bene, quel che finisce bene, pensò. Era di nuovo con Merlin, loro due erano insieme ed entrambi avevano smesso di soffrire, questo era ciò che contava in quel momento, nient’altro.
«Allora, Merlin» esordì il re «C’è ancora la mia stanza nel tuo magico appartamento?» Merlin lo guardò di traverso e un sorriso spuntò sulle sue labbra, Arthur aveva già aperto troppo il suo cuore, dichiarando i suoi sentimenti, adesso poteva tornare ad essere il solito asino viziato. Ma, in fondo, si disse, era anche per quello che lo amava così tanto.
«C’è sempre, sì» rispose sorridendo, senza smettere di guardarlo «Anche se, insomma, potremmo dividere la mia. Insieme».
«Sarebbe perfetto» disse sorridendo «Propongo di andarci subito, e di chiuderci dentro per almeno una settimana».
Merlin rise, affondando il naso nel collo del suo re, che non avrebbe mai smesso di essere un asino, inspirando il suo dolce profumo «Sono d’accordo, ma per stanotte dovremmo accontentarci del bed and breakfast, sai, siamo a tre ore da casa mia…»
«Giusto» convenne il re, stringendo un po’ la presa su di lui, giusto per accertarsi che fosse tutto reale; ancora non riusciva a credere di essere riuscito a ritrovare Merlin «Posso accontentarmi purché sia con te». Il moro sorrise commosso, non aveva idea di come Arthur riuscisse essere così maledettamente perfetto, eppure… riusciva sempre a dire la cosa giusta.
«Riesci sempre a farmi battere il cuore…» mormorò vicino alla sua bocca, pronto a rubargli un altro bacio.
«Tu mi rendi felice» disse di nuovo il re, sorridendo «Per questo sei la mia anima gemella» sussurrò con dolcezza, facendo arrossire, sorridere, e sussultare tutto insieme Merlin, che lo baciò afferrandolo per la tunica bagnata – perché era bagnata? Come aveva fatto a non accorgersene prima? Ah, non importava, gliel’avrebbe chiesto dopo – e baciandolo come se non ci fosse stato un domani, mentre il biondo faceva passare le braccia attorno ai suoi fianchi, e lo stringeva con forza a sé, sollevandolo da terra con quelle dannate braccia troppo muscolose, Merlin si sentì di nuovo felice, completo e sereno.
«Ti amo» sussurrò il moro contro la sua bocca, quando si separarono un secondo per riprendere fiato.
«Ti amo anch’io» rispose il biondo, strofinando le proprie labbra su quelle dell’amato, sorridendo. Nessuno dei due seppe, precisamente, per quanto tempo fossero rimasti lì, davanti alla sorgente a baciarsi, e a riprendersi il tempo perso in quell'anno lungo. Nessuno dei due seppe quante ore passarono, ma non importava, perché erano di nuovo insieme.
 
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«Devi spiegarmi un sacco di cose, Arthur…»
«Lo so» mormorò il re. Erano seduti sul letto di una stanza dello stesso bed and breakfast in cui avevano soggiornato la prima volta che erano stati lì; il gestore era rimasto scioccato quando Merlin gli aveva chiesto se per caso avesse una camera doppia a disposizione, perché a quanto pareva il suo fidanzato aveva voluto fargli una sorpresa raggiungendolo lì, per loro fortuna non era un periodo di particolare affluenza, quindi era stato facile per l’uomo cambiare la sua camera, sostituendola con una doppia, Merlin avrebbe pagato un piccolo supplemento, ma poco gli importava. Era con Arthur, non si sentiva così felice da tanto, riaverlo al suo fianco era stata una benedizione, doveva ringraziare quel vecchio pazzo? Cosa era successo, di preciso? Sapeva che lui e Arthur dovessero parlare attentamente di ciò che era accaduto e che Arthur dovesse spiegargli ogni cosa, ma in quel momento, voleva solo restare insieme a lui per tutta la notte, stringerlo e farsi stringere, voleva solo sentirlo e basta. Aveva sofferto troppo in quel lunghissimo anno senza di lui, ma aveva ugualmente tante domande per lui. Come la mettevano con i paradossi temporali? Con i problemi che sarebbero accaduti in seguito? Si sarebbero dovuti separare di nuovo?
Arthur si sporse verso di lui e gli diede un bacio a stampo: «Ti racconterò ogni cosa» disse «In effetti, dobbiamo ringraziare Mordred se siamo di nuovo insieme» proferì il re, guardando il suo amato.
«Mordred? Non era il tuo nemico giurato?» chiese Merlin «Quello che dovevi sconfiggere? Il capo dei druidi?»
Arthur annuì: «Ma quando ha fatto quel maleficio che mi ha mandato qui, ha cambiato un po’ il mio destino» spiegò il re sorridendo «Camelot è al sicuro adesso, mia sorella regnerà fino a che suo figlio sarà abbastanza grande da governare» raccontò «Ho fatto tutto quello che era in mio potere per evitare la guerra contro i sassoni, ma come tu sai dai tuoi libri era impossibile da evitare ed essa avrebbe dovuto portare alla mia morte» continuò, mentre Merlin si stringeva a lui, rabbrividendo, sì lo sapeva, ed era anche uno dei motivi per cui era stato tanto male «Ma, come ti dicevo, a causa della magia di Mordred quel destino è leggermente cambiato, così il drago mi è apparso e mi ha offerto un accordo».
«Il drago?» chiese Merlin scioccato.
«Il Grande Drago Kilgharrah» rispose il re «Esistevano davvero maghi, draghi e creature magiche ai miei tempi, Merlin» spiegò con pazienza «Fin da quando sono tornato a Camelot, ho fatto di tutto per salvare il mio regno, per farlo prosperare ed essere sereno, e l’ho fatto anche per evitare che qualcosa di brutto accadesse al tuo futuro».
«Ancora non capisco la storia del drago».
«Lascia che ti racconti» disse sorridendo il re «Quattro lune dopo il mio ritorno, avevo fatto tutto il possibile per evitare una guerra inutile, ho rinforzato il regno con alleanze, ho provveduto alla successione e tutto il resto, ma ancora c’era qualcosa da fare» raccontò, Merlin pendeva dalle sue labbra «Una notte, la voce del drago venne a far visita alla mia mente, l’avevo già sentita altre volte, ma non avevo voluto ascoltarla» disse ancora «La seguii, volevo capire se fossi impazzito o meno, e giunsi sulle rive del lago di Avalon; lì c’erano Mordred e il drago ad attendermi» continuò il suo racconto, mentre Merlin gli teneva una mano e gli accarezzava con le dita le nocche ferite, probabilmente si era ferito durante una battaglia, ma non lo chiese «Temetti che si trattasse di un agguato, sai, per uccidermi».
«E invece?»
«Invece mi sbagliavo» rispose prontamente, ammettendo il suo errore «Lo stregone che abbiamo conosciuto noi, Kilgharrah è il realtà una reincarnazione del drago, sono la stessa persona» disse il re, mentre Merlin trovava un posto comodo tra le sue braccia «Lui e Mordred mi dissero che se avessi concesso la pace ai druidi e liberalizzato la magia nel mio regno, allora mi avrebbero aiutato a viaggiare di nuovo nel tempo per tornare da te» disse «Potevo scegliere di fare così o scegliere di continuare per la mia strada e perire in battaglia».
«Quindi hai scelto di allearti con i druidi?» chiese con gli occhi lucidi «E di tornare?»
«Sì, non potevo restare a Camelot, il mio destino era di morire comunque, il mio tempo in quell'epoca era finito» spiegò il re «E poi Mordred mi ha mostrato la tua immagine nel lago, e io…» deglutì «Mi mancavi così tanto, Merlin, non c’era giorno che non pensassi a te».
«Questa storia è assurda…» mormorò Merlin, colpito dalle parole del re, avrebbe voluto baciarlo, ma aveva ancora così tante domande per lui «Ma come è possibile che il drago e lo stregone siano la stessa persona?»
«Suppongo che sia a causa dell’immortalità del drago. Forse il suo corpo animalesco è morto ed è rinato come uomo, ma non ne sono certo; non sono un esperto di magia».
Merlin annuì, confuso. C’erano ancora così tante cose da spiegare, così tante domande, come era possibile che fosse tornato? E i paradossi temporali? E gli anacronismi e…?
«Penso che sia assurdo comunque» disse di nuovo «Come è assurdo che io sia innamorato di un re leggendario…»
«Non è assurdo, è solo destino». Il cuore del moro sussultò a quelle parole, come poteva essere sempre così dannatamente romantico? Come aveva fatto a stare senza di lui tutto quel tempo?
«Lo pensi davvero?»
«Sarei qui, altrimenti?» chiese sorridendo «E poi l’ha detto anche il vecchio stregone, io e te siamo legati» disse in un sussurro avvicinando i loro volti «Siamo legati da un profondo amore e mai in vita mia ho provato un sentimento tanto travolgente».
«Smettila di dire cose del genere, che poi io ci credo davvero» mormorò.
«Puoi credermi, non smetterò di dirti quanto ti amo».
Merlin sorrise chiudendo gli occhi, beandosi di quelle parole, gliel’avrebbe ricordate quando avrebbero avuto i loro primi litigi e cose del genere. Ora che Arthur era lì, anche litigare andava bene, sempre se dopo facevano pace e restavano uniti. Non temeva più nulla, ora che era tornato; se il loro amore aveva superato le barriere del tempo, qualcosa voleva dire, no?
«Allora non smettere…» mormorò guardandolo negli occhi, quanto gli erano mancati quegli occhi azzurri? Quanto gli era mancato quel viso? Quel sorriso? Quanto gli era mancato – tutto – Arthur?
«C’è un’ultima cosa che devo dirti, Merlin» disse il re, dandogli un bacio leggero sulle labbra «Mi dispiace averti fatto soffrire, quando sono andato via, non potevo portarti con me».
«Non importa, sei qui adesso».
«Ho bisogno che tu sappia che quella notte, ho quasi ceduto alle tue suppliche, ti ho quasi trascinato con me a Camelot» disse piano «Mi sono trattenuto solo perché non volevo farti assistere alla mia morte».
Merlin annuì comprensivo: «Perché non inizi a farti perdonare, dandomi un bacio e facendo l’amore con me?» chiese in un sussurro, dandogli un bacio languido sul collo.
Arthur sorrise e decise che quel modo di farsi perdonare gli piaceva molto di più, rispetto all’usare le parole. Le parole non erano mai state il suo forte, quindi lasciò che a chiedere perdono fossero le sue azioni, fosse il suo intero corpo, donando a Merlin i baci che gli aveva negato per quel lungo tempo distanti, lasciando che le sue mani vagassero su quel corpo tanto amato, percorrendo con le labbra ogni centimetro della sua pelle, rendendo quella riappacificazione piacevole per entrambi, e poi quando finalmente lo fece di nuovo suo, si sentì di nuovo completo, come mai si era sentito in quel tempo che erano stati lontani. Lo strinse a sé per tutto il tempo, beandosi dei suoi gemiti e dei suoi mugolii, beandosi dei suoi baci e delle sue mani addosso, e quando entrambi furono travolti dal piacere, finalmente sentì di essere tornato a casa, rendendosi conto che casa era un po’ qualsiasi luogo in cui c’era Merlin.
«Sai come chiamiamo in questo tempo, ciò che abbiamo appena fatto?» chiese il moro, dandogli un bacio sul petto muscoloso; Arthur scosse la testa «Sesso riparatore». Il re rise, donando al suo amato un altro bacio, stavolta fu delicato, dolce e pieno di tutti quei sentimenti che lui a voce era restio a pronunciare – anche se l’aveva appena fatto.
«Spiegami bene questa cosa moderna, mi interessa» disse il re, affondando una mano nei capelli del moro, accarezzandolo piano e sentendolo ridere.
«Ne sarei molto lieto, vostra altezza» sussurrò Merlin, mettendosi a cavalcioni sul bacino di Arthur, sdraiandosi su di lui, facendo incontrare le loro labbra per un altro dolce bacio «Quando una coppia si separa, a causa di un litigio, o per altri problemi, si ricorre al sesso per placare gli animi» spiegò più o meno correttamente – parlare mentre le mani di Arthur percorrevano la sua schiena era impossibile – facendo scivolare le mani sul corpo del biondo, sospirando di soddisfazione contro la sua bocca.
«Interessante, potrebbe diventare una delle mie attività preferite» rispose il re, improvvisamente strinse forte Merlin e ribaltò le posizioni, intrappolandolo sotto di sé «Noi ne abbiamo tanto bisogno» soffiò, baciandogli il collo, lasciandogli un leggero morso in quel punto, beandosi del suo piccolo gemito «Non credi?»
«Decisamente» rispose il moro, chiudendo gli occhi e reclinando la testa all’indietro, lasciando campo libero al biondo. Arthur sorrise maliziosamente, e riprese quella danza magica tra di loro, fino a che non crollarono sfiniti entrambi sul letto. Quando Merlin si accoccolò addosso a lui, dopo avergli dato un bacio sul mento, e sentì i suoi capelli scuri solleticargli il naso, Arthur si rilassò del tutto e, stringendo quel corpo tanto amato, dopo aver mormorato un ennesimo ti amo, scivolò in un dolce sonno, cullato dal respiro cadenzato del suo amato.
Una lunga vita al suo fianco, ecco tutto ciò che desiderava.
 
§§§
 
«Così tu saresti il famoso Arthur?» domandò Freya, l’amica di Merlin.
Arthur aveva raggiunto il suo compagno al bar vicino all’ospedale, perché Merlin voleva presentargli la sua migliore amica, e lei lo aveva accolto così: con freddezza e distacco. Perché sembrava già odiarlo? Era passata una settimana dal ritorno di Arthur, e Merlin sembrava impaziente di introdurlo ad ogni aspetto della sua vita. Arthur avrebbe accettato qualunque sua richiesta, solo perché si era scoperto incapace di dirgli “no”, forse a causa del senso di colpa ancora bruciante in lui, per averlo abbandonato e fatto soffrire in quel modo terribile.
«Sì, mia signora» disse lui, galantemente, facendole un inchino e prendendole la mano per porre un delicato bacio su di essa «Arthur Pendragon, lieto di conoscerti».
Lei con riluttanza ritirò la mano e lo guardò malissimo, se uno sguardo avesse potuto uccidere, Arthur sarebbe morto in quel preciso istante; una donna arrabbiata era più terrificante di un intero esercito di sassoni.
«Che fai? Tenti di sedurmi per non farmi essere arrabbiata con te?» chiese sconcertata guardandolo «Con me non funzionano queste stronzate, pezzo di merda!» esclamò, lei arrabbiata; una gentildonna, davvero, pensò il re guardandola esterrefatto «Hai idea di quanto tu abbia fatto soffrire Merlin?» chiese «Come ha potuto perdonarti dopo che lo hai abbandonato in quel modo orribile?»
«So di non essermi comportato bene, ma avevo le mie motivazioni» disse lui con serietà «Ma non era mia intenzione ferire Merlin e lui lo sa» continuò lui «Penso solo che quello che succede tra me e Merlin sia affare nostro, e che anche le nostre discussioni lo siano» aggiunse poi pacatamente «Non lo avrei mai fatto soffrire se avessi avuto un’altra scelta; tuttavia adesso sono tornato e non ho intenzione di andare da nessuna parte» promise, guardando prima il suo amato e poi l’amica che ancora lo guardava con astio negli occhi «Sono sincero, puoi credermi».
«Vedremo» concesse lei, la sua espressione si addolcì dopo quelle parole «Chi ha voglia di tè?» chiese, come se niente fosse accaduto.
Arthur si sedette accanto a Merlin rilasciando un sospiro di sollievo, poi gli diede un bacio sulla guancia e gli sussurrò un tenero: «Ciao» all’orecchio, avvolgendogli un braccio attorno ai fianchi magri e stringendolo contro di sé.
«Ciao a te, asino».
«Ehi, guardate, c’è Gwaine!» esclamò la ragazza, alzando la mano e agitandola in aria, chiamando il nuovo arrivato. Un ragazzo – che poteva essere loro coetaneo – si avvicinò sorridendo in modo fastidioso secondo il re di Camelot; il suo sorriso sfacciato, i suoi capelli scuri e lunghi, la barba scura da uomo vissuto e quell’atteggiamento da adescatore irritarono Arthur che gli riservò un’occhiata dispregiativa. Quel tizio non gli piaceva, era irritante e fastidioso. Nemmeno la sua voce gli piaceva, e soprattutto la cosa più irritante era il suo sguardo su Merlin, che aveva da guardarlo in quel modo?
«Freya, ciao!» esclamò lui sorridendo «Merlin! È bello vederti di nuovo in forma». Con somma sorpresa di Arthur, Merlin si alzò dal suo posto, staccandosi dall’abbraccio con cui Arthur lo aveva avvolto e si avvicinò al giovane, lo abbracciò forte, quello non se lo fece ripetere due volte e strinse le sue luride braccia attorno alle spalle del moro, accarezzandogli la schiena, prima di battergli una mano sulla spalla con fare amichevole. Arthur immediatamente fu sull’attenti. Chi era quel tipo? Perché si prendeva tutta quella confidenza con lui? Perché Merlin si faceva toccare? Strinse un pugno sotto al tavolo, mentre uno spiacevole sentimento di gelosia – mai lo avrebbe ammesso ad alta voce – iniziava a scorrere nelle sue vene. Quando lo aveva incontrato Merlin? Perché non gli aveva parlato di questo tizio? Aveva cercato di dimenticarlo con lui? Per favore, non c’è competizione, pensò il re guardando ancora quel tipo che ancora stringeva Merlin.
«Salve» disse a denti stretti, indirizzando al bifolco uno sguardo tagliente «Non credo che ci conosciamo» continuò alzandosi e affiancando Merlin per far capire al belloccio che doveva stare lontano da lui «Sono Arthur, il…» fece una pausa come si dice in questo tempo? «Consorte di Merlin».
«Consorte? Vi siete sposati?» domandò quello guardandolo con aria scettica «Ma da dove vieni? Dal Medioevo?»
Precisamente – pensò il re, irritato, non gli piaceva come quel tale stava guardando il suo Merlin, era una cosa che non accettava e non reputava rispettosa nei suoi confronti.
«Arthur intende dire che è il mio fidanzato» intervenne Merlin in sua difesa, togliendolo dall’impiccio «Scusalo, è un po’ all’antica, i suoi genitori, uhm» cercò di spiegare, guardando il biondo, ma Arthur non aveva idea di cosa dire «Diciamo che hanno idee un po’ medievali e a volte si esprime in modo un po’ antiquato» disse in fretta, il biondo lo ringraziò con lo sguardo, presto avrebbe imparato tutto il gergo strano di quel tempo e simili situazioni imbarazzanti non sarebbero più accadute. O almeno così sperava.
«Ah-Ah. Quindi tu sei Arthur» disse il ragazzo pensieroso «Sei quel pezzo di merda che ha fatto soffrire Merlin per un anno, eh?» domandò irritato quello, guardandolo in cagnesco, Arthur non capiva perché lo chiamassero in quel modo, era costume di quel tempo, riferirsi ad una persona con quei termini? Non avrebbe mai capito il ventunesimo secolo. «Con quale coraggio osi tornare?» gli chiese l’amico di Merlin, minacciando di tirargli un pugno (sul serio? Pensi che basti questo a sconfiggermi?), lo stesso tipo che ancora toccava Merlin e osava parlare a lui in quel modo. Arthur stava sul serio perdendo la pazienza, avrebbe sfidato a duello il pretendente se fosse servito ad allontanarlo da lui.
«Con quale coraggio osi toccarlo!» esclamò il re, facendo andare istintivamente la mano al fianco, dove di solito portava la spada, senza ovviamente trovarla «E poi non sono affari tuoi» ringhiò, fronteggiando il nemico «Sono problemi nostri, ne abbiamo parlato e abbiamo risolto le nostre divergenze».
«Ho il diritto di difenderlo da uno stronzo come te» disse in un sibilo quello «Tu non lo hai visto stare male, piangere e disperarsi per te» sputò con astio «Non lo hai sentito supplicarti di tornare mentre dormiva, non dire a me quello che posso o non posso fare con Merlin, stronzo!»
Arthur fu colpito dalle sue parole, certo, lui e Merlin avevano ancora molte cose di cui parlare, ma il solo fatto che quel tale fosse stato accanto al moro quando lui non c’era stato, che lo avesse sentito parlare mentre dormiva, lo faceva sentire geloso oltre ogni limite. Certo, era stato lui a chiedere a Merlin di dimenticarlo e di cercare un’altra persona, ma non riusciva a credere che l’avesse fatto davvero; insomma Merlin non aveva accennato ad altre relazioni… anzi era stato felice di rivederlo e aveva detto di amarlo, cosa c’era che gli sfuggiva in quel momento?
«Quindi cosa vuoi fare? Combattere per sapere se merito o no di stare con lui?» chiese «Mi stai sfidando a duello?»
Se quel tipo voleva essere umiliato pubblicamente dal miglior spadaccino di Camelot, allora lo avrebbe affrontato, avrebbe affrontato interi eserciti a mani nude, pur di stare con Merlin, pur di dimostrargli di essere degno di lui. Voleva essere degno di Merlin, aveva letteralmente viaggiato per secoli per ritrovarlo e non avrebbe permesso al primo tizio di bell’aspetto che passava di portarglielo via.
«Di che diavolo stai parlando?» domandò l’altro spalancando gli occhi «Sei completamente impazzito?»
«Se vuoi una sfida, la avrai. Io non rinuncio a Merlin così facilmente» disse stringendo un pugno «Lotterò per lui, non ho viaggiato per secoli per ritrovarlo, per poi perderlo a causa di un villico bifolco come te».
«Ma come diavolo parli?» domandò «Merlin, si può sapere dove hai trovato un tipo così strano?» chiese rivolto al moro, che cercava di non ridere; Arthur guardò il fidanzato con aria interrogativa, non c’era niente di divertente in tutta quella storia, dal suo punto di vista; poi lo vide muoversi con il sorriso sulle labbra.
«Arthur» lo chiamò Merlin con voce tranquilla, frapponendosi tra di loro «Gwaine» disse rivolto all’altro «Smettetela».
«Questo gentiluomo mi sta sfidando, Merlin, non è onorevole tirarsi indietro».
«Nessuno ti sta sfidando a duello, Arthur, smettila» affermò il moro «Gwaine è solo molto… protettivo» disse con un sospiro; poi si voltò verso il castano e fece un sospiro «E tu smettila di comportarti come il paladino della giustizia che non sei» mormorò scuotendo la testa «Comportatevi da persone mature» ordinò con voce seria «Stringetevi la mano come i due uomini che siete e piantatela di fare i bambini» aggiunse alla fine, sedendosi di nuovo e trascinando Arthur accanto a sé, per calmarlo; ma il re restò rigido per tutto il tempo, nemmeno il braccio di Merlin dietro la schiena, che si muoveva piano tracciando dei cerchi, riusciva a rilassarlo. Gwaine prese posto accanto a Freya e continuò a tenere d’occhio la coppietta davanti a lui con occhio critico. Un cameriere si avvicinò a loro e ognuno fece un’ordinazione: Arthur prese un caffè, Merlin e Freya un tè, Gwaine una brioche; per tutto il tempo, anche dopo l’arrivo delle loro ordinazioni, Gwaine e Arthur continuarono a guardarsi con astio. Merlin era teso, non voleva che Arthur detestasse i suoi amici, e soprattutto non voleva che loro lo odiassero, dopotutto non era stata colpa sua, se lui aveva passato quel periodo orribile, non era colpa sua se lui non sapeva affrontare bene le rotture.
«Come hai potuto perdonarlo, mi chiedo» mormorò, ad un certo punto, l’amico di Merlin «Dopo tutto quello che ti ha fatto, io non l’avrei perdonato».
«Arthur non mi ha fatto niente, è dovuto tornare a casa sua» disse Merlin con un sospiro «E davvero non ne voglio parlare. La cosa importante è che lui è tornato, noi siamo felici, siamo insieme. È questo che conta adesso» affermò con sicurezza guardando Arthur al suo fianco, sorridendo in modo ebete, appoggiando la testa sulla sua spalla, sospirando felice. Cielo, se era felice, fin da quando lo aveva rivisto nello stesso punto in cui gli aveva detto addio, si era sentito come rinato, felice come mai in vita sua. Arthur lo amava ed era tornato da lui, era tutto ciò che contava per lui. Il tempo che avevano passato separati non contava più, non dopo quello che il biondo aveva fatto.
«Sei davvero felice?» chiese Gwaine.
«Sì».
«Non mi piace lo stesso» sentenziò alla fine, Merlin alzò gli occhi al cielo con uno sbuffo, poi Gwaine gli sorrise di nuovo «Scherzo, se sei felice tu, sono felice anche io, è bello vederti raggiante» a quelle parole il moro sorrise, e Arthur si irritò ancora di più «Ma tu, biondino, azzardati di nuovo a farlo soffrire in quel modo e me la pagherai».
Arthur grugnì in risposta, ma un sorriso tese le sue labbra quando udì la risata cristallina di Merlin e si disse che sì, avrebbe sopportato il suo fastidioso amico per vederlo sempre così felice.
«Non ho intenzione di fargli del male» affermò, allungando una mano verso di lui «Non era mia intenzione ferirlo, quando sono andato via» disse ammettendo la sua colpa «Ma se mai dovessi ferirlo di nuovo, ti permetterò di colpirmi».
«Affare fatto» disse Gwaine in risposta, afferrandogli la mano e stringendogliela. Arthur rivolse uno sguardo a Merlin e quello raggiante che il moro gli restituì, placò per un po’ la sua gelosia. Tuttavia ancora non si spiegava chi fosse esattamente quel tizio e cosa rappresentasse per Merlin e quelle domande continuarono a tormentarlo per il resto della mattinata, fino a quando quell’incontro con gli amici del suo fidanzato, non finì e lui e Merlin furono liberi di andare via.
 
Finita la colazione con i suoi amici, Merlin stava ritornando a casa con Arthur, gli stringeva la mano e quasi era incredulo che fosse tornato. Non riusciva a credere che Arthur fosse di nuovo lì con lui, che potesse stringerlo di nuovo, potesse di nuovo baciarlo ed averlo al suo fianco stavolta per sempre. Era stata una sorpresa per lui vederlo essere geloso al bar, poco prima, avrebbe dovuto spiegargli un sacco di cose, e come prima cosa che Gwaine era solo un suo amico e non un pretendente, cosa che sicuramente aveva pensato visto il suo atteggiamento poco amichevole verso il suo amico.
«Quel tipo si prendeva molte… libertà con te» disse acidamente il biondo, mentre passeggiavano; Merlin si voltò verso di lui. Non aveva mai visto Arthur geloso, non credeva potesse essere incline a certe emozioni, lui che era ligio e si vantava di essere un uomo tutto d’un pezzo; era piacevole vedere il suo lato umano, finalmente.
«Gwaine, intendi?» chiese guardandolo; l’altro annuì «Non essere sciocco, è solo un amico».
«Che ti guarda con desiderio» mormorò il biondo «Ma lo capisco, sono stato io a dirti di essere felice con un altro, lo capirei se tu… insomma, avessi deciso di intraprendere altre relazioni».
«Mi sembra che io sia con te ora, o sbaglio?» chiese il moro retoricamente, Arthur non rispose, allora Merlin si fermò e lo fece sedere su una panchina, si sedette accanto a lui e poi riprese a parlare: «Gwaine è uno dei miei più cari amici, Arthur» gli disse, cercando il suo sguardo «Lo conosco fin dalle scuole superiori, e credimi, non c’è mai stato niente tra di noi».
Arthur lo guardò perplesso «Ma l’intimità che c’era tra di voi, e ti ha sentito parlare quando dormivi, io pensavo…» balbettò a disagio il re, non capiva come potesse non aver pensato ad una profonda amicizia tra di loro. Come aveva potuto non fidarsi di Merlin e delle parole che gli aveva detto?
Il volto di Merlin si tese in un dolce sorriso, e lui riprese a parlare: «Ascolta, Arthur, è stata Freya a coinvolgere Gwaine, quando tu sei tornato a Camelot, io… non l’ho presa bene» Arthur lo guardò, cercando di ribattere «Stavo male, e mi stavo massacrando di lavoro per non pensare a te e al fatto che mi avessi lasciato qui» sospirò «Una sera, sono uscito con Freya, erano passati cinque mesi da quando te ne eri andato, ho bevuto fino a star male e il giorno dopo Freya ha mandato Gwaine da me; tutto qui» spiegò il ragazzo «E mi ha aiutato, davvero, ma non nel modo in cui credi tu. Non mi ha mai toccato, se è quello che stai pensando, mi ha dato una mano a non distruggermi completamente, per mesi è stato al mio fianco, cercando solo di aiutarmi, credimi, non c’è mai stato niente tra di noi».
Arthur lo guardò negli occhi e gli appoggiò una mano sulla guancia «Mi dispiace che tu sia stato tanto male» gli disse sospirando «Quindi pensi che dovrei ringraziare quel tale per esserti stato vicino quando ne avevi bisogno?»
«Magari, se non lo sfidassi a duello, solo perché mi ha abbracciato, sarebbe un inizio» gli disse sorridendo «Non c’è bisogno che tu sia geloso, non potrei mai amare nessun altro».
«Io non sono geloso» borbottò il re, girando appena il volto alla sua sinistra, per non guardare negli occhi Merlin, non poteva ammettere così facilmente la sua debolezza, no, ne andava del suo orgoglio da cavaliere.
«No, no, certo» mormorò il moro, prendendogli il volto tra le mani, facendolo girare di nuovo verso di sé «Non sei geloso, sei…»
«Irritato da coloro che ti stanno troppo vicino» disse con serietà Arthur, lasciandosi tradire da un sorriso sulle labbra; come poteva non sorridere ritrovandosi a pochi centimetri dal volto lo sguardo brillante e pieno di gioia di Merlin? Come poteva non sorridere, vedendo quel sorriso così bello, nato a causa sua?
«Comunque, giusto perché tu lo sappia, Gwaine è felicemente fidanzato da tre anni ed è innamorato perso» disse Merlin e Arthur sentì di poter tirare un profondo sospiro; quel tale era impegnato sentimentalmente, non avrebbe più rappresentato una minaccia per lui e per Merlin.
«Ne sono contento» disse con serietà «Non dovrò sfidarlo a duello per decidere chi è degno del tuo amore».
«Idiota» mormorò Merlin, dandogli un leggero bacio a stampo sulle labbra, colmando quell’irrisoria distanza che li separava, facendo capire al re a chi appartenesse davvero il suo cuore. Sentiva che sarebbe esploso di felicità da un momento all’altro. Arthur fece passare le sue braccia dietro la schiena di Merlin e lo attirò a sé, stringendolo in un forte abbraccio possessivo – nel quale il moro si sciolse completamente – e approfondendo il bacio.
«Neanche io ho avuto altre relazioni a Camelot» si sentì in dovere di dire il re, quando si separarono dal loro bacio «Per tutto tempo lì, mi sono solo occupato del mio regno».
«Lo immaginavo» ridacchiò il moro, appoggiando la fronte sulla sua «Sei troppo nobile per venire meno ad una promessa».
Arthur sorrise compiaciuto, sentendo riconosciuto ancora una volta il suo valore di cavaliere; aveva giurato a Merlin che non avrebbe mai amato nessun altro, e così era stato. Nessuno avrebbe potuto sostituire il bizzarro uomo moderno nel suo cuore. Senza nient’altro da ribattere, si limitò a dargli un altro leggero bacio sulle labbra e a stringerlo di nuovo in un dolce abbraccio.
«Arthur?»
«Mmh?»
«Mi piacerebbe avere un vero appuntamento con te».
«Sei consapevole che dovrai spiegarmi prima che cos’è un appuntamento, vero?» chiese sconcertato, senza capire di cosa parlasse il moro, ma intuendo si trattasse di qualcosa di estremamente positivo.
Merlin rise, una risata cristallina che scaldò il cuore del re: «Sì, e non vedo l’ora di farlo» rispose sorridendo «Anzi, non vedo l’ora di mostrarti un sacco di cose, anche come si usano i social network, sono certo che li adorerai!»
«Non ho capito una sola parola di ciò che hai detto».
Il moro scattò in piedi e afferrò Arthur per entrambe le mani, invitandolo ad alzarsi dalla panchina, ridendo.
«Ci aspetta una lunga chiacchierata!» esclamò Merlin. Il re sospirò felice, accontentandolo e alzandosi in piedi. Sorrise, mentre il moro lo teneva per mano, camminando verso casa loro, blaterando cose assurde su strane facce a forma di libro e altre cose strane; la cosa più bella che colse di tutto quel discorso assurdo fu che presto loro sarebbero usciti insieme, per andare a cena fuori e passare una serata romantica, sembrava il preludio di qualcosa di molto bello, che si sarebbe concluso, sicuramente con loro due molto felici e molto innamorati, possibilmente stretti insieme nel letto di Merlin. Si disse che prima o poi avrebbe capito qualcosa di quel ventunesimo secolo e che prima o poi avrebbe imparato a viverci, con Merlin al suo fianco tutto era più semplice dopotutto, l’amore aveva il potere di rendere tutto più bello e Merlin era la rappresentazione del vero amore per lui, non a caso era la sua anima gemella.
 
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Hola! 
Finalmente ecco il nuovo capitolo! Io ve l'avevo detto che sarebbe stato pieno di fluff <3 ed è anche il più lungo lol alla fine non sono riuscita a mantenermi nelle 8mila parole a capitolo, questo le sfora giusto giusto di +mille LOL
Arthur è tornato ed è super geloso del suo piccolo Merlin. Dopo tutto quello che ho fatto passare a Merlin (in origine dovevano restare separati pochi mesi, ma poi mi dispiaceva che Arthur non vedesse nascere suo nipote e unico erede, così ho allungato i tempi LOL) si meritava di vedere il suo Arthur dimostrare apertamente la sua gelosia, cosa che non ammetterà mai. (e poi ho sempre pensato che fosse realmente geloso di Gwaine nella serie, eeeeh. Il fascino ce l'ha! Ma Merlin preferisce asini biondi dagli occhi azzurri), E poi sono super-innamorati, Arthur dice tante cose tenere perché finalmente può farsi vedere per il patetico innamorato che è e lo stesso Merlin :3
Ho cercato di rispettare il più possibile sia i personaggi della serie e tutto ciò che so sulle leggende arturiane, spero di non aver sparato troppe castronerie, prendetele come licenze poetiche (che tanto pure gli autori di Merlin se ne sono prese fin troppe, pft ma vabeh, dettagli LOL) altrimenti vi permetto di lanciarmi pomodori marci come se fossi alla gogna (Arthur sarebbe contento di queste pratiche, ne sono certa)
E nulla, io spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, e vi do appuntamento la settimana prossima con l'epilogo della storia! 
Mi mancheranno tanto questi due piccini çç
Come al solito, ringrazio lilyy e elfin emrys che non mancano mai e riempiono il mio cuore da scrittrice con le loro belle parole :3
Grazie anche tutti coloro che spendono un click per leggerla :3
Stay tuned, people!
A prestissimo!

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Capitolo 9
*** Epilogo: King of my heart. ***


Desclaimer: I personaggi qui descritti non mi appartengono (niente, davvero, ho anche chiesto a mia madre di cercare il mio Arthur personale, ma nemmeno lei è riuscita a trovarlo, sad) niente di tutto ciò è finalizzato ad offenderli (forse giusto un po' a tormentarli, ma poi alla fine sono buona con loro) e non ci guadagno nulla, perdo solo la faccia in queste cose.

Avviso: L'OOC è nell'avviso della storia, anche se io ho cercato di mantenermi in linea con i personaggi (ma ahimé non ci riesco quasi mai e lo metto per sicurezza) inoltre l'ambientazione non è quella del telefilm, anche se c'è Camelot e tutto il resto. 
Enjoy!


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Qualche mese dopo il ritorno di Arthur, i due amanti si erano resi conto che il re non avesse una vera identità in quel mondo e che prima o poi la cosa sarebbe parsa strana a tutti (e soprattutto avrebbero corso giusto qualche "piccolo" problema con la legge) così avevano contattato di nuovo Kilgharrah, affinché potesse aiutarli con la magia; lo stregone era stato ben disposto ad aiutarli e con un paio di incantesimi aveva donato al re di Camelot una vera identità moderna: sulla carta, Arthur Pendragon era il giovane rampollo di una famiglia di nobili origini, adesso in declino, originario di un piccolo paesino del Galles, i cui genitori a causa delle loro radici nobiliari lo avevano cresciuto ed istruito come un nobile, insegnandogli l’arte della spada e l’equitazione. Merlin e Arthur avevano raccontato questa storia a tutte le persone che facevano parte della vita del moro, per cercare di mettere insieme lo strano modo di esprimersi del biondo e il suo continuo parlare di duelli e lunghe cavalcate, unita alla parte avvincente in cui il biondo prima fuggiva di casa ritrovandosi a Londra e incontrava Merlin, innamorandosi di lui e poi ritornava a casa per chiarire con i parenti, senza ovviamente riuscirci, infine ritornava dal moro in cerca del suo perdono; avevano evitato di parlare solo del rapporto con i suoi parenti, ma tutti avevano supposto che avesse rotto ogni rapporto con loro.
Nonostante tutto, Arthur si era ambientato bene in quella nuova realtà, ed era uscito spesso con il gruppo di amici del compagno, loro sembravano aver seppellito l’ascia di guerra nei suoi confronti, infatti Freya aveva smesso di odiarlo per aver fatto soffrire Merlin, e con Gwaine alla fine aveva trovato un’intesa, soprattutto quando si erano sfidati a braccio di ferro durante un’uscita in comitiva; Gwaine era stato un po’ troppo appiccicato a Merlin e Arthur, un po’ alticcio, si era sentito in dovere di chiedere una sfida e ovviamente aveva stracciato l’avversario; alla fine i due si erano ritrovati a bere diverse birre insieme, mentre Gwaine raccontava ad Arthur degli aneddoti buffi su Merlin ai tempi della scuola.
Inoltre, Arthur aveva sfruttato a suo vantaggio il suo essere, a tutti gli effetti, un cavaliere. Era riuscito a trovare lavoro come istruttore in una scuola di scherma nel quartiere, dove viveva con il suo compagno. Era stato Merlin a notare l’annuncio su un giornale e a costringere Arthur a presentarsi lì (anche se il re non era per niente d’accordo sul dover lavorare, ma era stato entusiasta di apprendere che avrebbe allenato dei giovani insegnando loro i segreti dell’arte della spada) tuttavia era stato difficile farlo assumere senza un vero e proprio curriculum, anche se
 prima di sostenere il colloquio, aveva imparato ogni segreto della scherma moderna, grazie alle ricerche di Merlin e sorprendentemente, aveva scoperto che, in quel tempo, l'arte della spada non prevedeva nessun duello all’ultimo sangue. Alla fine, (forse grazie ad un po’ di magia, ma non ne erano certi), gli avevano concesso la possibilità di mostrare ciò che sapeva fare e tutti si erano convinti quando lo avevano visto con una spada tra le mani.
Merlin difficilmente avrebbe dimenticato il primo giorno di lavoro del suo fidanzato; dopo la prima ora, Arthur lo aveva chiamato in preda al panico, perché uno dei ragazzini a cui doveva insegnare la nobile arte della spada lo aveva apostrofato con termini sconcertanti e uno dei suoi colleghi lo aveva chiamato “fratello” – non è nemmeno uno dei miei cavalieri, Merlin, perché dovrebbe chiamarmi così? Non sono suo fratello! – aveva detto indignato, e Merlin lo aveva tranquillizzato, dicendogli di stare calmo e che gli avrebbe spiegato ogni cosa con calma. Poi pian piano le cose erano andate meglio, e il re si era adattato sia al lavoro che ai colleghi, anche se non apprezzava molto alcune delle loro tecniche di insegnamento, erano troppo indulgenti, a suo parere. Quei ragazzi non avrebbero mai vinto una battaglia.
Il moro era andato ad assistere un paio di volte alle lezioni che Arthur dava e non importava quale arma impugnasse, era sorprendente, un vero talento – il più abile spadaccino di Camelot, Merlin! – ed era anche bravo ad insegnare, dopotutto, come gli ricordava il re, i suoi uomini avevano vinto delle guerre, non piccole competizioni; Merlin era davvero fiero di lui, anche se lo diceva raramente ad alta voce per non alimentare di più il suo sconfinato ego.
Anche l’appartamento aveva subito delle modifiche, da quando Arthur era tornato nella vita di Merlin: la vecchia stanza degli ospiti, occupata inizialmente dal re, era diventata la sua palestra e l’appendiabiti già distrutto il suo personale fantoccio per l’allenamento con la spada, e la stanza di Merlin era diventata la loro camera da letto – avevano anche comprato un letto nuovo con il primo stipendio di Arthur, “più grande e degno di un re, Merlin, abituati, sono abituato al meglio, io”– e ormai era un anno che convivevano. A Merlin sembrava di vivere in un sogno, in una dimensione parallela dove lui poteva essere felice e poteva vivere la vita che desiderava, con la persona che amava. Arthur finalmente si sentiva completo, felice come mai lo era stato in vita sua.
 
§§§
 
Merlin sentì Arthur muoversi al suo fianco, segno che si fosse svegliato; grugnendo con la sua poca eleganza mattutina, il biondo si stiracchiò, tirando via tutte le coperte dal corpo del fidanzato, il quale si lamentò, cercando calore vicino al suo corpo.
«Ehi» mormorò il biondo, dandogli un bacio sulla fronte «Devo uscire adesso, lo sai» disse a bassa voce «Ma oggi è la tua domenica di riposo, puoi dormire ancora, pigrone» gli disse dolcemente, dandogli un altro bacio tra i capelli scuri.
«No… dai, perché non possiamo stare insieme oggi?» chiese il moro con la voce assonnata «Oggi è un giorno speciale» biascicò ancora in uno stato a metà tra l’essere sveglio e l’addormentato, cercando ancora il corpo di Arthur, non voleva separarsi da lui «Resta con me…»
«Lo so, amore mio» rispose il re, dandogli un leggero bacio sulle labbra «Vado a fare una corsetta e poi torno, okay?» continuò «Lo sai, se non corro la mattina, poi non posso mangiare i tuoi deliziosi manicaretti» mormorò. Merlin annuì senza ascoltare realmente le sue parole.
«Altrimenti diventi grasso» borbottò continuando imperterrito a cercare il corpo di Arthur, con il preciso intento di non farlo andare via «A me piace la pancetta, è morbida quando mi appoggio a te». Il biondo ridacchiò, lo scostò piano da sé, borbottando qualcosa come “io non sono grasso” “pancetta, pft” e “ci vediamo dopo”, poi si alzò dal letto e gli sistemò le coperte addosso; Merlin sorrise e, abbracciando il cuscino del biondo, si rilassò completamente. Lo sapeva ormai, era una piacevole routine tutta loro: Arthur usciva sempre la mattina presto per fare una breve corsa, poi tornava, facevano colazione insieme e poi le loro giornate potevano iniziare nel modo migliore. Qualche volta, raramente però, Arthur tornava dalla corsa con le brioches calde della pasticceria all’angolo che entrambi adoravano e, in quelle rare occasioni, le loro giornate iniziavano anche meglio; la routine variava appena quando il moro aveva il turno di notte e rientrava all’alba. A Merlin sembrava di vivere in una bolla di felicità, fin da quando l’altro era tornato per restare, gli sembrava irreale avere tanta complicità e chimica con qualcuno. Certo, qualche volta avevano delle discussioni, litigavano – quello era normale in tutte le coppie – ma niente che un chiarimento, un mazzo di fiori (sì, Arthur amava regalargli i fiori quando litigavano, anche se Merlin gli ricordava spesso che lui non era una dama da corteggiare), o un gesto gentile non potessero risolvere. Sapeva che, in qualunque caso, avrebbero fatto pace, perché il loro era quello che le persone romantiche chiamavano vero amore e Merlin sapeva di aver aspettato Arthur per tutta la vita, di aver sofferto prima di incontrarlo, perché stava aspettando di essere felice con lui, perché loro erano destinati a stare insieme. Si rigirò nel letto, strisciando verso l’altra metà del letto ancora calda, impregnata del profumo di Arthur, e si crogiolò nel calore lasciato da lui sulle coperte; strinse il cuscino del biondo a sé e continuò a dormire per almeno un altro paio d’ore. Il giorno prima, al lavoro, aveva fatto i salti mortali per avere la giornata libera e trascorrerla con Arthur, perché quello era un giorno speciale per loro, era il loro primo anniversario insieme. Era passato un anno esatto da quando il biondo era tornato da Camelot. Avevano deciso di festeggiare il loro anniversario quel giorno specifico, perché era stato quello a cambiare ogni cosa nelle loro vite, perché prima di quel momento non c’era stata una vera relazione tra di loro, perché entrambi sapevano che non sarebbe durata. Non avevano programmato nulla, poiché Merlin fino al giorno prima aveva temuto di dover lavorare, quello era stato un periodo piuttosto caotico al pronto soccorso, ma alla fine era riuscito ad ottenere la domenica di riposo e non vedeva l’ora di festeggiare con Arthur, forse sarebbero usciti per cenare fuori, magari avrebbero fatto qualcosa di romantico, o sarebbero rimasti a casa a guardare un film, non gli importava veramente, avrebbe apprezzato tutto, purché fossero stati insieme. Ed era quello il problema, si rese conto Merlin quando si alzò dal letto, dopo aver indossato la felpa di Arthur – sì, il biondo aveva preso l’abitudine di lasciargli un suo indumento vicino, quando Merlin si svegliava dopo di lui, perché il moro, testuali parole, amava svegliarsi e indossare qualcosa con il suo profumo sopra – Arthur non era in casa, aveva detto che sarebbe andato a correre, ma erano le dieci e mezza e non era ancora tornato. Stava bene? Aveva avuto qualche incidente? Gli era successo qualcosa? Dove diavolo era finito il suo fidanzato?
Prese un respiro profondo, e reputò giusto non allarmarsi inutilmente, sicuramente stava bene e aveva dimenticato di avvisarlo di avere qualche impegno, nell’ultimo periodo era un po’ distratto. Quando entrò in cucina, i suoi occhi si riempirono di meraviglia, sul tavolo c’era la colazione pronta e una rosa rossa spiccava accanto alle brioches. Merlin sorrise avvicinandosi al tavolo e prese la rosa tra le dita, la annusò e sorrise; Arthur sapeva essere davvero romantico quando voleva. Poi prese una delle brioches e l’addentò, mentre faceva colazione, notò sul frigorifero qualcosa che colse la sua attenzione, un post-it arancione. Si avvicinò con aria circospetta e lo prese delicatamente tra le dita, e ne lesse il contenuto “Mi dispiace non essere lì per la colazione. Sono dovuto andare urgentemente alla scuola di scherma per un’emergenza. Ci vediamo più tardi, ti amo. Ps Buon anniversario. Arthur” – Merlin guardò il foglietto e un tenero sorriso incurvò le sue labbra; Arthur si era ricordato del loro anniversario, ma aveva avuto un impegno e nonostante ciò, aveva avuto il dolce pensiero di portargli le sue brioches preferite e gli aveva addirittura preso una rosa. Sospirò, e si disse che lo avrebbe aspettato e lo avrebbe ringraziato a dovere; strinse il bigliettino e si sedette su uno sgabello, mentre lo rileggeva e continuava a mangiare la brioche. Ti amo, Ps buon anniversario – ma poi lo lesse meglio e immediatamente lo accartocciò tra le dita, nervoso. Era domenica, santo cielo, aveva lavorato come un mulo per avere la domenica libera per passare la giornata con lui ed era certo che la scuola in cui lavorava Arthur la domenica fosse chiusa. Gli aveva mentito. Perché? Quella testa di fagiolo, asino, stupido, idiota – immediatamente, prese il cellulare e compose rabbiosamente il suo numero. Dove diavolo era andato? Perché aveva avuto bisogno di mentire? Perché non era lì con lui? Cosa gli stava nascondendo?
Il telefono del biondo squillò a vuoto per un paio di volte, poi la segreteria telefonica partì e Merlin quasi gettò rabbiosamente il telefono per terra. Okay, doveva calmarsi, sicuramente c’era una spiegazione, Arthur non lo avrebbe lasciato solo il giorno del loro anniversario in quel modo. Doveva darsi una calmata, in fondo, gli aveva preso una rosa e la colazione, giusto? Doveva pur significare qualcosa – anche se gli sembravano palesemente dei regali fatti apposta per farsi perdonare di qualcosa, di solito gli regalava dei fiori quando litigavano. Cosa doveva farsi perdonare?
“Ehi, Freya, ti va di vederci per un caffè? Altrimenti penso che ucciderò il mio fidanzato. Perché è una testa di fagiolo idiota; non so dov’è e mi fa preoccupare” – sì, scrivere all'amica, parlarne con lei, avrebbe sicuramente fatto bene alla sua rabbia, lo avrebbe aiutato a placare il nervosismo che provava in quel momento. E forse avrebbe placato tutti quei brutti pensieri che stavano iniziando a frullare nel suo cervello – non doveva pensarci, no, no. Arthur era leale e fedele.
 
 
 
«È Merlin» disse Freya, guardando Arthur «Dice che vuole ucciderti» continuò lei divertita «Che cosa gli hai fatto?»
«Niente!» rispose il biondo sulla difensiva «Ho solo detto che andavo al lavoro per un’emergenza, credo che non mi abbia creduto» disse con aria sconsolata, stringendosi nelle spalle «Ha provato a chiamare anche me poco fa, e non ho risposto».
«Questa faccenda sta diventando più grande di te, lo sai?» chiese lei, lui annuì sospirando «Andrà tutto bene» aggiunse, cercando di confortarlo.
«Sarò da lui prima di pranzo, sarei già tornato, se questo villico stolto avesse fatto decentemente il suo lavoro» sbuffò il re senza alzare troppo la voce, battendo nervosamente le dita sul bancone.
«Il tuo linguaggio mi fa sempre ridere» disse lei divertita, portandosi una mano davanti alla bocca «Quasi sono impazzita, quando mi hai raccontato di avere nobili origini» disse. Arthur sorrise alle sue parole, Freya era stata particolarmente colpita dalla storia che lui e Merlin avevano raccontato per spiegare le sue stranezze, gli aveva fatto così tante domande che quasi le aveva detto di essere davvero re Arthur di Camelot. «Sta’ tranquillo, vedrai che tra poco avrà finito».
Il biondo grugnì infastidito e guardò ancora davanti a sé, in attesa dell’uomo. Era da mesi che progettava la sorpresa per Merlin per il loro anniversario; se fosse stato a Camelot avrebbe incaricato qualcuno di fare tutto al posto suo, ma in quel mondo non era possibile, anche se aveva provato a corrompere Freya per farle fare tutto il lavoro, ma lei era stata irremovibile, sebbene disposta a dargli una mano. Ed era tutto pronto, doveva solo passare in gioielleria a prendere l’anello per Merlin, solo che il gioielliere aveva dimenticato l’incisione che Arthur aveva espressamente richiesto due settimane prima, quando finalmente aveva trovato l'anello perfetto. Ovviamente. In quel tempo, erano tutti sfaticati e non degni di fiducia, se fosse stato un abitante del suo regno lo avrebbe imprigionato e poi messo alla gogna, un giorno per ogni giorno di ritardo, altroché. Aveva progettato tutto: invece di andare a correre, mentre Merlin dormiva, sarebbe andato a ritirare l’anello, sarebbe tornato a casa in tempo per la colazione insieme – per la quale aveva già organizzato tutto – e poi avrebbe sorpreso Merlin mettendosi in ginocchio davanti a lui, ma i suoi piani erano andati in fumo, quando, dopo essersi alzato, ed aver chiamato la gioielleria per avvisare che sarebbe andato a ritirare la sua ordinazione per l’orario stabilito, quel villico incompetente gli aveva detto che c’era stato un problema con il suo ordine e che non era ancora pronto. Così aveva dovuto inventare su due piedi una scusa, per giustificare la sua assenza al rituale della colazione mattutina, che lui stesso aveva preparato, comprando le brioches preferite di Merlin e una rosa per lui, per augurargli "Buon Anniversario" in modo decente. Non aveva neanche mangiato ed era particolarmente nervoso, aveva chiamato Freya, annunciando il cataclisma universale e lei, con la pazienza di un santo, uguale a quella con cui lo aveva accompagnato per un mese in giro per le gioiellerie di mezza Londra, lo aveva rassicurato dicendogli che tutto sarebbe andato bene e di non preoccuparsi. Lo aveva accompagnato alla gioielleria e dopo aver fatto valere le loro motivazioni, l’uomo aveva promesso di completare il lavoro nel minor tempo possibile. Freya avrebbe fatto concorrenza al più temerario e temuto cavaliere della sua Camelot, ne era certo. Ricordava ancora la prima volta che l’aveva incontrata, l'aveva schiaffeggiato e insultato per aver fatto del male a Merlin e non ci teneva a farla diventare una sua nemica.
«Ho detto a Merlin che passo da lui» disse lei guardando Arthur «Riesci a cavartela?»
«Certo» borbottò, sono un cavaliere, io «Grazie di tutto, Freya» disse lui sorridendole, poi lei fece una cosa inaspettata, lo abbracciò con forza, sorridendo e battendogli una mano sulla spalla con decisione, come avrebbe fatto uno dei suoi cavalieri. Se non ci fosse stata lei, probabilmente sarebbe impazzito prima, ne era certo. Merlin aveva ragione quando sosteneva che lei fosse una buona amica.
«Figurati. E fammi un favore, per ringraziarmi» disse Freya, Arthur la guardò per incitarla a richiedere qualunque cosa «Rendi felice Merlin, lui più di tutti merita di essere felice, lo sai, vero?»
«Lo so, e ho intenzione di renderlo molto felice» confermò lui, un sorriso stupido ed ebete sul volto «Lo prometto».
«Bene, e io sarò la vostra damigella d’onore» aggiunse poi, gli stampò un bacio sulla guancia e si avviò all’uscita «Cercherò di calmarlo e di farlo ragionare. Ovviamente tu, proposta a parte, trova un modo geniale per farti perdonare».
«Tranquilla, è tutto sotto controllo» disse lui deciso, sorridendo. Lei gli fece un gesto di saluto ed andò via, mentre il biondo rimase nella gioielleria ad attendere che il gioiello per il suo amato fosse pronto. Sperava solo che non fosse troppo arrabbiato con lui e di non averlo ferito troppo con la piccola bugia che aveva detto, anzi, scritto.
Sbuffò, ancora una volta, osservando nervosamente davanti a sé, l’uomo aveva garantito, per scongiurarsi una pubblicità negativa, che il lavoro sarebbe stato pronto prima della chiusura, che in genere avveniva prima dell’ora di pranzo. Certo, tutto quel casino sarebbe stato evitato, se Arthur non avesse voluto fare il megalomane come suo solito e non avesse scelto di donare a Merlin un anello con un’incisione all'interno. A sua discolpa, non credeva che il venditore potesse ritardare tanto: gli avevano garantito che sarebbe stato pronto per quella domenica.
Era da poco rintoccato mezzogiorno, quando il villico tornò da lui, con l’anello tra le mani e un sorriso dispiaciuto sul volto: «Ecco a lei, signore» disse l’uomo, mostrandogli l’oggetto «Mi scuso ancora per l’inconveniente, le piace?» domandò porgendoglielo. Arthur lo prese tra le dita delicatamente e lo guardò, poi lesse l’incisione perfettamente fatta al suo interno e sorrise.
«Sì, è perfetto, molte grazie» rispose entusiasta il re, era veramente bellissimo, esattamente il regalo che aveva intenzione di donare a Merlin. Il gioielliere lo ringraziò per il complimento e poi mise l’anello in una scatolina di velluto blu – scelta dal biondo perché il blu richiamava il colore degli occhi di Merlin – e glielo consegnò. Arthur pagò con la meravigliosa carta di credito a lui intestata (davvero, era una cosa sorprendente, non era pesante come l’oro da portare con sé) e prese la scatolina mettendosela in tasca.
«Grazie, buona giornata, signore» disse cortesemente il re.
«Anche a lei, e buona fortuna con la sua dolce metà!» augurò il commerciante, strappando un tenero sorriso al biondo, il quale con un gesto rapido della mano lo ringraziò per l’augurio e poi uscì dalla gioielleria, dirigendosi verso casa, pronto ad essere investito dall’ira di Merlin per il suo ritardo mastodontico e a convincerlo che la sua era stata una piccola bugia a fin di bene. Davvero, era stata la prima cosa che gli era venuta in mente, e non avrebbe mai voluto ferirlo, in fondo stava per chiedergli di sposarlo, non voleva mica lasciarlo!
 
 

Freya era andata via da poco, Merlin sospirò guardando l’orario, era mezzogiorno e di Arthur ancora nessuna traccia. Lei l’aveva rassicurato, dicendogli che sicuramente c’era un buon motivo per la sua misteriosa sparizione, ma lui faticava a credere alle sue parole. Era tutto assurdo, davvero, Arthur non era il tipo che diceva le bugie, era un cavaliere, no? I cavalieri dovevano essere mossi dall’onore ed era certo che la menzogna non rientrasse nelle virtù onorevoli. Nella sua mente, l’idea peggiore si era figurata, aveva provato a non pensarci, a fingere che ci fosse un’altra motivazione, ma non era stupido, ci era già passato. Probabilmente nella palestra in cui lavorava, aveva incontrato qualcun altro, sicuramente più interessante di lui e lo aveva tradito, ma, codardamente, non aveva avuto il coraggio di dirglielo. Come aveva fatto a non cogliere i segnali prima? Era da un po’ che Arthur rientrava tardi la sera, che scambiava messaggi costantemente con qualcuno, che scappava appena gli squillava il telefono dicendogli velocemente che era una chiamata urgente, che era distratto; ma Merlin non aveva colto quei segni prima di quel giorno, non aveva mai fatto a caso a quelle cose, perché in cuor suo aveva pensato che Arthur fosse diverso da tutti gli altri con cui era stato, o almeno così gli era sembrato all’inizio, ma adesso, dopo quella lampante bugia, scritta su quel pezzo di carta che ancora giaceva sul pavimento della sua cucina, era tutto chiaro. Arthur lo avrebbe lasciato presto per scappare con quest’altra persona, non importava se lui fosse rimasto indietro col cuore spezzato di nuovo, era abituato a tutto ciò, no? Era abituato ad essere lasciato, abbandonato, ferito. Stancamente, si sedette sul divano e sospirò. O forse si stava sbagliando e doveva solo avere fiducia in lui? Non sapeva più cosa pensare, e si sentiva vinto da una sensazione spiacevole e dolorosa, gli occhi pizzicavano e…
Scosse la testa energicamente, cercando di scacciare le lacrime, eppure con Arthur aveva creduto di poter pensare ad un futuro insieme, un futuro che comprendesse una famiglia, un matrimonio… era tutto disintegrato, tutto svanito, perché il biondo aveva trovato un altro. Solo… perché non gliel’aveva detto? Perché aveva fatto tutto alle sue spalle? Era davvero così stupido da non essersi accorto di niente? Era davvero così idiota da essere preso in giro da tutti?
Strinse i pugni, cercando di non piangere, cercando di non farsi prendere dal dolore, ma era inutile, si sentiva un perfetto idiota, per la seconda volta nella sua vita era stato tradito. Si morse le labbra, con l’intento di non piangere, una volta giunto a quella conclusione, ma non riuscì a trattenersi. Si era illuso una volta di troppo, e stavolta ne sarebbe uscito più distrutto delle altre volte.
La porta di casa si aprì con velocità e con la stessa fretta si richiuse: «Giuro che ho una buona spiegazione!» la voce di Arthur ferì le sue orecchie e un sonoro singhiozzo scappò al suo controllo, si portò una mano sulle labbra per non farsi sentire «Merlin?» lo chiamò il biondo percorrendo il corridoio fino alla cucina-salone; non appena entrò e lo vide, Arthur impallidì. Cosa gli era successo? Perché stava piangendo?
«Merlin!» esclamò a quel punto, correndo verso di lui, sedendosi sul divano accanto a lui, cercando il suo sguardo «Perché piangi? Cosa succede? Se è per il biglietto, mi dispiace, davvero è che…» Non riuscì a finire la frase che la mano del moro raggiunse la sua guancia, schiaffeggiandolo forte «Sei impazzito?»
«Io?» gracchiò Merlin con la voce rotta dal pianto «Certo, ovvio. Ora mi accuserai e dirai che sono io il problema».
«Non capisco di cosa parli, stai piangendo… voglio solo… lascia che io…» mormorò con la voce che si spezzava, allungando una mano verso di lui, per fermare le sue lacrime, ma l’altro evitò il suo tocco, sottraendosi «Merlin, ti prego…» vederlo in quello stato spezzava il suo cuore, non riusciva a capire perché stesse piangendo.
«Sei solo uno stronzo…» disse il moro in un singhiozzo «Io mi fidavo di te, io ti ho dato tutto e tu…» deglutì «Perché mi hai tradito?» chiese, Arthur si accigliò. Cosa diavolo aveva pensato? E solo per un bigliettino con un'insignificante menzogna?
«Non ti ho tradito» disse con serietà «Non potrei mai farlo, perché dovrei? Ho te, sei tutto ciò di cui ho bisogno».
«Ma…»
Ad un tratto nella mente di Arthur tutto fu chiaro. Merlin aveva frainteso tutto, forse spinto dalle sue esperienze passate negative (ricordava che l’altro gli aveva raccontato delle sue relazioni e che uno dei maschi – chiamarlo uomo sarebbe stato solo un complimento – lo aveva tradito) e il suo atteggiamento un po’ sospetto dell’ultimo periodo lo aveva fatto tornare al passato. Oh no, pensò guardando Merlin che era distrutto e singhiozzante davanti a lui.
«Fammi parlare un secondo» disse il biondo con un tono che non ammetteva obiezioni «Ti ho mentito, sì, ho scritto una bugia su quel biglietto, sì» continuò, ammettendo la sua colpa «Non sarò il fidanzato perfetto, lo ammetto, ma sono un cavaliere, sai che l’adulterio è pagato con l’esilio nel mio regno» disse con sguardo sofferente, un po’ faceva male essere paragonato alle sue relazioni passate, ma non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce «Merlin, credimi, non ti lascerei mai per nessun altro».
«Ma tornavi sempre tardi, e scappavi appena ti squillava il telefono, io…» mormorò il moro, trattenendo i singhiozzi «Dopo aver letto il biglietto, ho collegato tutto, doveva essere per forza questo, altrimenti cosa…» la voce di Merlin si spezzò nel momento in cui il suo sguardo incrociò quello velato di dispiacere di Arthur.
Oh maledizione, era giunto a una conclusione affrettata, totalmente ingiusta e aveva ferito Arthur? Non era andata davvero così, vero? Non aveva schiaffeggiato Arthur, dubitato di lui il giorno del loro anniversario, vero? Maledizione, cosa aveva fatto…? Aveva rovinato tutto?  
«Arthur…»
Il biondo si fece più vicino a lui, gli mise le mani sulle guance, asciugandogli le lacrime e premendo dolcemente le labbra sulle sue: «So che hai sofferto perché alcuni idioti ti hanno spezzato il cuore, ma io non sono come loro» disse con sincerità, guardandolo negli occhi «Fidati di me, okay?»
«Perdonami» singhiozzò, desiderava solo abbracciarlo e stringersi a lui, ma non osava avvicinarsi, non dopo la stupidaggine che aveva fatto, come aveva potuto dubitare di lui? «Io… io… ho tratto conclusioni affrettate e-e stavo per rovinare tutto».
«Sei un po’ melodrammatico, sì» disse il biondo accarezzandogli la guancia «Ti amo anche per questo».
«Ma perché sei uscito così presto? Perché hai mentito? Dov’eri?» chiese tutto d’un fiato, mentre Arthur alzava gli occhi al cielo, era ovvio che sarebbe andata così, in che altro modo poteva andare? Ma era perfetto, pensò mentre si inginocchiava davanti a lui, in quell’esatto momento, senza che l’altro se ne rendesse conto. Non avrebbe permesso ad un piccolo malinteso di rovinare il resto di quella giornata.
«In un posto con Freya» rispose Arthur divertito, guadagnandosi un’occhiata confusa dal compagno «Era lei la persona con cui parlavo al telefono e con cui scambiavo messaggi, solo lei poteva aiutarmi a fare una cosa» aggiunse, poi lo guardò negli occhi 
«Tuttavia, se tu la smettessi di fare tante domande, vedresti che sono in ginocchio» disse ancora. Merlin meritava di sapere che lui era lì, era suo, e lo sarebbe stato per sempre, che aveva intenzione di giurargli amore eterno davanti a chiunque; in quel tempo era possibile per un uomo dichiarare amore ad un altro uomo, per sua fortuna. Che senso aveva aspettare, in fondo?
«Arthur, ma… oddio, perché sei in ginocchio? Perché sei lì, cosa stai…?» tentò di chiedere, mentre il biondo tirava fuori dalla tasca del cappotto, che non aveva ancora tolto, la scatolina di velluto blu. Il moro continuò a blaterare frasi senza senso, ancora senza capire cosa stesse accadendo attorno a lui, no… era impossibile, davvero stava accadendo, a lui? «Arthur, cosa succede? Che stai…?»
«Se tacessi un secondo, capiresti che sto cercando di chiederti di sposarmi» rispose divertito, Arthur non era esperto di proposte di matrimonio, ma credeva che quella fosse una delle più strane ed anche più vere che fossero mai esistite. In fondo, lui e Merlin non erano esattamente una coppia normale, giusto?
Alle sue parole Merlin si zittì all’istante, incredulo; Arthur sorrise soddisfatto, far tacere Merlin era sempre un’impresa titanica.
«Oh finalmente!» esclamò il biondo, poi aprì la scatolina rivelando l’anello d’argento, all’apparenza semplice «Merlin, amore mio, vuoi farmi l’onore di sposarmi?» chiese con la voce che un po’ tremava d’emozione.
Merlin, incredulo e sorpreso, si portò le mani alla bocca, deglutendo e singhiozzando appena. Oh santo cielo. Arthur gli aveva appena chiesto di sposarlo? Lo aveva fatto sul serio? Non era un sogno molto pittoresco?
«Sì!» esclamò Merlin, ancora sotto shock, non riusciva a credere a quello che era successo «Sì, sì!» esclamò ancora, man mano che passavano i secondi, si rendeva conto di cosa stesse accadendo davvero; Arthur sorrise felice, si alzò alla sua altezza per stringerlo a sé con forza, e per baciarlo appassionatamente, il moro ricambiò il bacio aggrappandosi a lui, ridendo e piangendo contemporaneamente, in un mix di emozioni che lo sconquassavano dentro e lo facevano sentire la persona più felice del mondo. Il biondo si staccò da lui solo per un secondo e lo guardò negli occhi, leggendo in essi lo stesso mix di emozioni travolgenti che sentiva dentro di sé. C’era ancora un’ultima sorpresa per Merlin, però. Si sedette accanto al moro, prese l’anello dalla confezione, ma, prima di farglielo indossare, gli disse: «Leggi cosa c’è scritto dentro».
Merlin lo prese tra le dita tremanti, lo osservò: era davvero meraviglioso; poi guardò al suo interno e una lacrima di commozione gli sfuggì «Re del mio cuore» citò leggendo la dedica che Arthur aveva fatto mettere lì proprio per lui e stupidamente sorrise, baciando di nuovo Arthur, gettandogli le braccia al collo, incredulo, perché tutto era così bello e perfetto da sembrare irreale.
«Oggi ero andato a ritirarlo, ma quel villico stupido non aveva ancora finito il lavoro, così…» fu il moro stavolta ad interrompere il biondo, baciandolo con passione, sorridendo ancora contro la sua bocca incapace di fare altro.
«Re dei miei stivali» sussurrò con la fronte appoggiata alla sua, mentre Arthur faceva scivolare l’anello al suo dito, e sorrideva teneramente «Ti amo».
«Buon anniversario, amore mio» sussurrò Arthur al suo orecchio, mentre Merlin si appoggiava a lui e sorrideva felice. Santo cielo, se quello era un sogno, non voleva svegliarsi mai più.
 
§§§
 
Mai come in quel momento, Merlin si era sentito tanto emozionato, il cuore gli batteva forte, gli occhi erano lucidi di commozione e Arthur era davanti a lui, bello come il sole, nel suo smoking nero che fasciava perfettamente il suo corpo muscoloso, e sorrise istintivamente notando la cravatta rossa che lo sposo aveva insistito per indossare (Merlin, devo avere qualcosa di rosso durante il matrimonio, a Camelot avrei avuto i miei abiti da cerimonia e indovina di che colore sono? Bravo, il colore predominante è il rosso!) e spiccava incredibilmente sulla camicia bianca dello smoking nero. Non era riuscito proprio a distoglierlo da quella decisione e, anzi, il biondo lo aveva anche convinto a fare lo stesso, infatti lui indossava un papillon dello stesso rosso della cravatta di Arthur; sapeva perfettamente quanto fosse caparbio il suo re, se aveva deciso una cosa, l’avrebbe ottenuta ad ogni costo. E lo stesso re era di fronte a lui e gli sorrideva in modo dolce e lo guardava con infinito amore, ed era certo che la stessa espressione fosse impressa sul suo viso. Se qualcuno, qualche mese prima, gli avesse detto che si sarebbe innamorato e che sarebbe stato così felice, non gli avrebbe creduto. No, perché prima dell’arrivo di Arthur Pendragon nella sua vita, era stato mollato diverse volte e ogni volta si era sentito veramente male; Arthur invece era stato in grado di farlo sentire amato, in ogni istante che avevano passato insieme, anche quando erano stati separati, a modo suo lo aveva amato. E adesso Arthur era lì davanti a lui, e si stavano sposando. Incredibile, ma vero.
Il biondo gli prese delicatamente la mano sinistra con la sua, senza sganciare lo sguardo dal suo: «Merlin» disse, la sua voce suonò emozionata e il moro sentì il proprio cuore battere all’impazzata «Nella mia… patria» iniziò sforzandosi di non dire a Camelot «Esiste un rituale molto particolare per unire due persone in matrimonio» disse, lanciando un’occhiata d’intesa all’officiante che prese un lungo nastro bianco, per sua fortuna in alcune località di quel nuovo mondo esisteva davvero una tradizione simile a quella antica – che si fosse tramandata di generazione in generazione fin dai tempi di Camelot? Gli piaceva pensarlo – per lui non sarebbe stata una reale unione senza aver almeno legato le loro mani insieme, quindi si era accordato con l’officiante, il quale aveva proposto di procedere con il tradizionale scambio di promesse, dopo aver legato le loro mani con il nastro e subito dopo si sarebbero scambiati gli anelli «Quindi se sei d'accordo, ci scambieremo le promesse mentre le nostre mani sono legate con questo nastro» disse con la voce emozionata – Freya accanto a loro in qualità di testimone di Merlin e damigella d’onore già piangeva, mentre Gwaine, testimone di Arthur, aveva l’incarico di tenere gli anelli «In questo modo saremo uniti in eterno da un vincolo indissolubile» proferì con serietà.
«Certo che sono d'accordo» mormorò emozionato Merlin e gli sorrise, mentre Arthur gli prendeva anche la mano destra, stringendogli entrambe le mani tra le sue. L’officiante legò le loro mani e Arthur per un momento immaginò di essere davanti alla sua corte, a celebrare la sua unione con il futuro consorte, e per un momento si chiese come sarebbe stata una corona sulla testa di Merlin, scosse la testa e lo guardò lì davanti a sé, era bellissimo. Non era certo che quell’officiante conoscesse la formula ufficiale di Camelot, e non gli importava, ma non si sarebbe sentito veramente legato a Merlin, se non avesse visto con i suoi occhi, le loro mani legate tra di loro. Sorrise dolcemente, guardando il quasi marito negli occhi, erano emozionati entrambi e ogni presente poteva percepirlo.
«Adesso scambiatevi le promesse» disse l’uomo, sorridendo mentre guardava i due uomini in procinto di unirsi per la vita. Le loro mani erano legate da quel nastro, i loro occhi incatenati e Arthur avrebbe solo voluto baciare il suo sposo. Sentiva di poter esplodere di felicità, se solo sua sorella avesse potuto vederlo… era certo che sarebbe stata fiera di lui.
«Arthur…» mormorò Merlin al colmo dell’emozione «Avevo preparato un discorso, ma tu… tu mi hai spiazzato, sei incredibile» disse ed era vero, era senza parole, ogni cosa che Arthur faceva per lui, sembrava farglielo amare ancor di più. Era tutto perfetto, se voleva farlo morire di crepacuore, ci sarebbe riuscito prima della fine della giornata «Io…»
«Lo so, ti lascio sempre senza parole» ribatté il biondo, con quel suo tono saccente che Merlin aveva imparato ad amare.
«Tu… mi hai cambiato la vita, prima di te ero solo un uomo solo, alla ricerca della sua metà perfetta, poi sei arrivato tu e mi hai completato» disse emozionato, mentre vedeva gli occhi del re velarsi di lacrime che non avrebbe mai versato, perché era troppo orgoglioso, come un vero cavaliere «Ti prometto che ti renderò felice» riuscì a dire, con la voce che si spezzava per l’emozione «Ti amo così tanto…»
«Sembra che io, prima di giungere a te, abbia fatto un viaggio, un lungo viaggio durato secoli» disse Arthur, a Merlin venne da ridere a quella frase «E sembra che alla fine di questo lungo viaggio io abbia trovato te, il mio destino».
Era sua intenzione farlo piangere, vero? – pensava il moro mentre le lacrime iniziavano a scivolare lente come gocce di rugiada sul suo viso e si mischiavano a quella dolce risata che gli veniva dal profondo del cuore dalla felicità.
«No, perché piangi?» chiese il biondo guardandolo «Non piangere…»
«Colpa tua» biascicò Merlin «Mi rendi felice» aggiunse, lasciandosi sfuggire un singhiozzo, mentre il re si mordeva le labbra per trattenere le proprie lacrime e non piangere davanti a tutti come una ragazzina. Freya non aveva smesso un solo secondo di commuoversi e adesso era in una valle di lacrime; l’officiante slegò le mani degli sposi e affidò a lei il nastro, mentre Gwaine consegnava ai due sposi gli anelli.
«Vuoi tu, Merlin Emrys prendere il qui presente Arthur Pendragon come tuo legittimo sposo?»
«Lo voglio» disse il moro guardando negli occhi suo marito, mettendogli l’anello all’anulare, sorridendo gioioso.
«E vuoi tu Arthur Pendragon prendere il qui presente Merlin Emrys come tuo legittimo sposo?»
«Come potrei dire di no?» domandò retoricamente il re, sorridendo «Certo che lo voglio» rispose sorridente, imitando i gesti del moro, osservando come donasse quell’anello sulla mano di Merlin. Era suo.
«Per i poteri conferitimi dallo Stato, vi dichiaro uniti in matrimonio» dichiarò l’officiante «Potete baciarvi». Arthur non se lo fece ripetere due volte e avvolse la vita del consorte del re con un braccio attirandolo contro il proprio corpo, e unì le loro labbra in un dolce bacio delicato, che subito fu ricambiato dall’altro, il quale gli mise le braccia attorno al collo e lo strinse forte a sé, sorridendo contro la sua bocca.
«Re del mio cuore» sussurrò il biondo, guardando il marito negli occhi.
«Re dei miei stivali» bofonchiò il moro con infinito amore nel tono di voce, attirandolo a sé per un altro dolce bacio, mentre i loro testimoni lanciavano su di loro petali di rose e riso in segno di buon augurio.

 
 
Il ricevimento del loro matrimonio era durato ore, i novelli sposi fin da quando era iniziato avevano desiderato tornare a casa e festeggiare a modo loro, ma i loro amici avevano organizzato per loro una piccola festa e non avevano potuto dire di no. C’era stato un po’ di delirio, Gwaine ubriaco si era cimentato nel karaoke, e il suo fidanzato lo aveva inseguito per evitare che fosse inappropriato come suo solito, c’erano stati balli, cibo e alcool; si erano divertiti, davvero, ma non era nei loro piani festeggiare in quel modo. C’erano stati dei brindisi infiniti, qualcuno aveva preteso che si facessero dei discorsi, Freya aveva pianto e li aveva abbracciati entrambi, congratulandosi con loro, alcuni cugini di Merlin si erano complimentati con lui per essere riuscito a sposarsi, finalmente, per fortuna nessuno aveva fatto domande sulla famiglia di Arthur, sarebbe stato imbarazzante. C’era stato anche un dolcissimo lento su una canzone romantica ballato dai due sposi, mentre alcuni invitati scattavano foto e registravano video. C’erano state foto, divertimento e tanto altro; avevano ringraziato i loro amici con un discorso, per tutto ciò che avevano fatto per loro; Merlin era stato sballottato un po’ qui e un po’ lì, Arthur strapazzato da alcuni colleghi, c’era stato anche un piccolo duello – su richiesta di Arthur, che se avesse bevuto altro champagne avrebbe dato inizio ad un torneo in stile medievale – e tanto altro che entrambi faticavano a ricordare, erano assuefatti da tutte le emozioni della giornata. Non era stato spiacevole, ma tornare a casa era stato più appagante. Soprattutto quando, prima di uscire dall’auto, si erano baciati con passione, senza riuscire ad aspettare di essere giunti a casa. Era stato Merlin a fermare Arthur, mormorando di non voler avere una prima notte di nozze in auto, davanti al condominio dove tutti avrebbero potuto vederli; il biondo era scoppiato a ridere e lo aveva letteralmente trascinato fuori dall’auto e poi dentro al palazzo, e nell’ascensore – un po’ lo aveva spinto contro la parete dell'ascensore, iniziando a baciargli il collo e Merlin non aveva obiettato, mentre aspettavano di arrivare al quarto piano – e infine davanti all’appartamento. Poi l’ossigeno tornò al cervello del re ed egli decise di fare le cose per bene, così, sorprendendo il marito, Arthur prese Merlin tra le sue braccia e, dopo aver aperto la porta, un po’ traballanti, varcò la soglia di casa tenendolo in braccio, mentre il moro avvolgeva le braccia attorno al suo collo. Erano entrambi un po’ brilli, terribilmente eccitati e sfatti, infatti la cravatta di Arthur penzolava mezza slacciata attorno al collo del re e la camicia aveva alcuni bottoni fuori dalle asole, mentre il papillon di Merlin era completamente sciolto e anch’esso pendeva dal suo collo, e si potevano già vedere su di esso i segni dei baci di Arthur. Il biondo lo baciò con dolcezza, abbandonando per un momento la passione che li aveva travolti nel tragitto dall’auto all’ascensore, fino al loro piano, mentre chiudeva la porta con un calcio ben assestato. Finalmente erano soli. Quella serata era finita sul serio, avrebbe desiderato tornare molto prima a casa e festeggiare a modo suo con il suo – finalmente – sposo la prima notte di nozze.
«Se fossimo stati a Camelot, ti avrei portato in braccio per tutto il castello, fino alle nostre stanze, dove avremmo passato la nostra prima notte di nozze» mormorò mentre lo portava nella loro stanza e lo adagiava con delicatezza sul letto «Invece dovremo accontentarci del nostro modernissimo letto» rise contro la sua bocca, lambendo le sue labbra con dolci e infuocati baci, la passione che pian piano ritornava tra di loro, bruciante e intossicante.
«Se fossimo stati a Camelot, non avresti potuto sposarmi» gli fece notare con giusta ragione il moro.
«Beh, io sono il re, avrei potuto cambiare le leggi, sai? Sposarti lo stesso. Lì, io sono la legge».
«Asino» borbottò il moro «Sai quanti disastri temporali avresti creato?» domandò fingendosi sconvolto Merlin.
«Mmh probabile, ma avrei reso il futuro ancora migliore di quel che è» osservò il re «Comunque, siamo nel tuo mondo, e qui è possibile. Quindi… ho intenzione di consumare la prima notte di nozze con il consorte reale, hai qualcosa in contrario, mio re?» sussurrò accarezzandogli una guancia con dolcezza. Merlin afferrò la sua cravatta e lo attirò contro di sé, senza smettere nemmeno un attimo di sorridere. Si sentiva immerso in una bolla di felicità e sperava che non scoppiasse mai.
«No, vostra altezza» sussurrò baciandolo con passione, ogni altro discorso morì sulle loro labbra, mentre si baciavano e si apprestavano a passare la prima notte di nozze e, possibilmente, tutto il resto della loro vita insieme. Entrambi furono consapevoli che quella notte rappresentasse solo l’inizio di una lunga e felice vita insieme: si erano trovati e innamorati, si erano persi ed avevano sofferto, per poi ritrovarsi più innamorati di prima, ed erano pronti a vivere una felice vita insieme. Un nuovo cammino si era aperto per loro, e adesso si apprestavano a scoprire insieme un mondo completamente nuovo e intossicante per entrambi, a tratti anche incerto: il loro futuro insieme, un'avventura che non vedevano l'ora di vivere, insieme.



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Hola people!
Purtroppo siamo giunti alla fine di questa piccola avventura, ecco a voi l'epilogo della storia; la mia prima avventura nel fandom di Merlin, con la mia prima Merthur pubblicata. Sono sorpresa dell'esito positivo riscontrato. Quando ho iniziato a postare questa storia ero un po' ansiosa, ma io lo sono sempre, ma sono felice che sia stata apprezzata. Alla fine ci siamo arrivati, i due piccioncini hanno trovato il loro happy ending, Essendo l'epilogo è leggermente più breve degli altri capitoli (anche perché ho eliminato dei pezzi che erano ew bruttissimi) e niente, adesso Merlin e Arthur vivranno una lunga vita insieme e saranno tanto felici, ma a me mancheranno tantissimo. Quando ho scritto questa storia doveva essere prima una one shot, poi è diventata una cosetta di sei capitoli e poi si è gonfiata  e la concludo con 9 capitoli, 72mila e passa parole, 79 pagine, e un'altra infinità di caratteri e tutto il resto. Ma anche se questa Merthur è finita, altre ne arriveranno! Qualche capitolo fa avevo parlato di una one shot su cui adesso potrò concentrare tutte le mie forze ahah, e ho altri piccoli progettucci in mente che spero di riuscire a portare a termine presto e tanto altro! 

Spero che l'epilogo vi sia piaciuto e che la storia in generale vi sia piaciuta, e spero di esservi piaciuta io come autrice, e che vi abbia fatto almeno un po' sorridere con questa storia :3
Comunque vorrei ringraziare lilyy, la quale oltre a supportarmi qui con le sue recensioni, subisce tutti i miei scleri sulle mie storie (soprattutto da quando ho cominciato con le Merthur) e ha un'infinita pazienza con la sottoscritta, e la meravigliosa elfin emrys che io amo come autriice e mi ha fatto tantissimo piacere che abbia deciso di leggere e recensire la mia storia, grazie infinite anche a te <3
E infine, ma non per importanza, a tutte le persone che hanno speso un click (tanti click in realtà :3) per leggere la storia e spero abbiate apprezzato (se volete battere un colpo, ne sarei felice!) E tutti coloro che l'hanno inserita tra le seguite e le preferite, grazie davvero :3 Sono stati quasi tre mesi bellissimi in vostra compagnia e mi mancherete, ma tornerò presto, promesso! 
Stay tuned come sempre, e alla prossima people! 


 

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