Perchè devo sorvegliarlo proprio io? 2

di tonksnape
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fine dei giochi ***
Capitolo 2: *** Prepararsi... ***
Capitolo 3: *** Alla ricerca di un lavoro. ***
Capitolo 4: *** A cena. ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***



Capitolo 1
*** Fine dei giochi ***


Perché devo sorvegliarlo proprio io?

Fine dei giochi

 

1.

Tonks prese la bottiglia d’acqua dal tavolo e la fece sparire nella enorme borsa che aveva a tracolla.

Era sul punto di uscire da Grimmauld Place da quasi mezz’ora e continuava a dimenticare qualcosa.

Si era fermata per due volte nella sua camera da letto per cercare una maglia di cotone da portare con sé e poi i fazzoletti da naso che aveva lasciato vicino al letto.

In corridoio si era ricordata della finestra che aveva lasciata aperta in bagno ed era tornata sui suoi passi per chiuderla. Poi si era ricordata che poteva usare la bacchetta e nel prenderla aveva sbattuto il gomito contro il muro.

In cucina, dopo la colazione, aveva urtato contro la sedia e si era rovesciata la borsa con tutto quello che aveva all’interno.

Si era chinata a raccogliere tutte le sue cianfrusaglie borbottando una litania di parolacce contro se stessa.

Nelle ultime settimane le era difficile mantenere la concentrazione. I suoi pensieri sembravano nascere dal nulla e avere come unico scopo il tormento del suo cuore.

Si fermò a lato del tavolo della cucina, sospirando. Era così complicata la sua vita…

Ripensò, concentrandosi, a tutti i passi che doveva compiere in quella giornata.

  • Passare da Moody e consegnargli il materiale che Remus aveva terminato di scrivere la sera prima riguardante le informazioni dategli da uno dei suoi infiltrati alla Gringott;
  • Evitare, assolutamente, di bere qualcosa con Moody per non incorrere in effetti collaterali;
  • Assumere le sembianze di una donna delle pulizie, secondo le informazioni date da Percy Weasley;
  • Entrare al Ministero, andare all’ufficio di Arthur e prelevare tutte le carte elencate nel foglietto che aveva nascosto nella borsa;
  • Uscire indenne dal Ministero;
  • Ritornare alla Tana e consegnare tutto ad Arthur;
  • Evitare nel modo più assoluto di pensare a Severus Piton.

Chiuse gli occhi, insultandosi silenziosamente per la propria assurda testardaggine nel voler pensare che Severus Piton fosse ancora vivo, che potesse ritornare da lei una volta che Voldemort fosse sconfitto.

Il messaggio che Severus aveva lasciato a Remus era chiaro, preciso, definitivo, come colui che lo aveva scritto.

Lo stesso Remus era stato molto chiaro con lei. Severus Piton aveva lasciato precise disposizioni affinché il suo biglietto di addio le venisse consegnato dopo che si fossero interrotti i contatti tra lui e Remus. Remus aveva atteso qualche giorno in più per essere sicuro di non infliggerle inutile dolore.

Eppure lei continuava a sperare che non fosse morto. Che fosse solo una strategia di Severus per evitare di finire al cospetto dell’Oscuro Signore e rispondere dell’accusa di tradimento. Il suo corpo non era mai stato trovato.

Scuotendo la testa, Tonks diede un pugno alla tavola davanti a lei. In meno di dieci secondi aveva già trasgredito la regola più importante di tutto il suo elenco.

Non doveva pensare a Severus Piton. Mai. Aveva un cuore da proteggere il più a lungo possibile.

La guerra stava finendo. Tutti lo sentivano. C’era un odore nell’aria fatto di idee, parole, sospetti, percezioni. Un odore che portava con sé stanchezza e desiderio di portare a termine quello che era iniziato ad Hogwarts con la morte di Silente. Voldemort doveva morire.

Risoluta e decisa, Tonks si incamminò fuori della cucina, evitando di un soffio un basso tavolino con sopra dei libri e, lungo il corridoio, un attaccapanni.

Uscendo accostò silenziosa la porta e si incamminò per le strade di una Londra grigia e fumosa, stringendosi addosso la maglia per proteggersi dalle folate di vento.

Sei sempre così bella…

Bella e triste…

 

Lungo la strada si concentrò sul piano deciso con Remus.

Non era impossibile penetrare al Ministero, anche se c’erano spie dei Mangiamorte in ogni ufficio. Tu-Sai-Chi non riteneva il Ministero un punto strategico, da controllare, ma solo un ottimo ricettore di informazioni. Aveva dunque deciso di metter alcuni dei suoi uomini all’interno per controllare e impaurire i funzionari e per raccogliere notizie relative alle decisioni future del Ministero stesso.

In questo modo il Ministero risultava formalmente libero di agire: nessuno all’interno si dichiarava apertamente seguace del Signore Oscuro, ma per paura molti parlavano direttamente con i suoi scagnozzi con l’idea di garantirsi protezione e sostegno.

Le azioni del Ministero, nell’ultimo anno, avevano provocato un senso di sfiducia e di insofferenza tali che erano ben pochi a credere che fosse ancora un organo di governo. Il Ministro era reso debole da una squadra di ministri incapaci.

L’Ordine della Fenice, sostenendo in quei mesi apertamente il Ministero, era diventato, in via non ufficiale, il suo braccio operativo.

In realtà non c’erano contatti tra il Ministro e Remus Lupin, che guidava l’organizzazione dalla morte di Silente, ma il Ministero sosteneva, pubblicamente, ogni azione dell’Ordine stesso, assumendosene indirettamente il merito.

Con sfacciata incoerenza dimostrava ferma condanna quando una azione dell’Ordine non raggiungeva i risultati sperati o, peggio, provocava involontariamente danni a maghi e babbani innocenti.

Questo continuo alternarsi di voltafaccia aveva reso il Ministero fragile e poco credibile agli occhi della gente.

La fonte di informazione più cercata dai maghi negli ultimi mesi non era la Gazzetta del Profeta, oramai schierata apertamente con il Ministero, ma un foglietto divulgativo che Fred e George Weasley si erano presi il compito di pubblicare ogni tre-quattro giorni con l’aiuto di Lee Jordan. Riuscivano ad avere informazioni anche da Hogwarts grazie a ad un gruppetto di studenti guidati da Dean Thomas.

Tonks prese dalla borsa l’ultima edizione.

Era stampato su un normale foglio. Da un lato c’erano i commenti politici di Remus, Moody, Arthur e Minerva che si alternavano nella stesura di feroci attacchi al Signore Oscuro e al Ministero. Erano firmati con pseudonimi, ma chi conosceva gli autori riusciva a distinguerne lo stile. L’uso di parolacce poteva essere solo di Moody, il tono sarcastico di Remus, le metafore di Minerva, la neutralità di Arthur.

Sulla stessa facciata c’erano le informazioni relative agli scontri e alle vittorie o sconfitte dell’Ordine.

Venivano segnalati tutti gli scontri tra maghi seguaci di Silente e Harry Potter e i Mangiamorte, con particolare attenzione nel ricordare coloro che perdevano la vita.

Sull’altra facciata c’erano notizie più leggere, compreso un messaggio che Harry Potter faceva avere regolarmente e che manteneva viva l’attenzione su quanto stava facendo insieme a Ron Weasley, Hermione Granger e Ginny Weasley.

Erano partiti mesi prima per una missione voluta da Silente e sostenuta da Remus Lupin.

Tonks era tentata di leggerlo nuovamente, ma doveva fare attenzione. Doveva assicurasi di non essere seguita e mancavano comunque pochi passi per arrivare al punto prescelto per Smaterializzarsi.

Lo Spioscopio che aveva in tasca non segnalava la presenza di intrusi vicino a lei.

Si disse che sapeva a memoria tutto il contenuto di quell’edizione e accartocciò la carta tra le mani. Al primo cestino la buttò dentro.

Dopo pochi passi si dissolse nel nulla.

Nuove informazioni.

Devo contattare Remus a questo punto

e capire  quello che è meglio fare per l’Ordine.

Quanto mi manchi…

 

“Moody, lo sai che non posso!” sbottò infastidita Tonks, scuotendo la testa e la massa di capelli blu indomiti che la caratterizzavano quel giorno.

“Quanta rigidità,” brontolò Malocchio, scolandosi il bicchierino di gin che aveva in mano. L’altra mano arrivò decisa allo scaffale alla sua sinistra e ci depositò sopra l’intera bottiglia quasi piena.

La stanza era il regno del disordine. Un disordine che persino lei trovava rivoltante. Tutta la casa di Moody era disordine.

“Cosa devi fare oggi, fanciulla?” le chiese l’uomo lasciandosi crollare su una sedia. Indossava una logora tuta da Auror, rattoppata con stemmi di vario tipo.

Era sempre lo stesso Moody, stazzonato, poco curato e brontolone, ma Tonks non perdeva di vista il suo occhio scaltro e guardingo che scannerizzava ogni angolo della sua casa e ogni sua espressione.

“Entrare al Ministero e rubare degli appunti per Arthur,” gli rispose, imbronciata.

Moody scoppiò a ridere.

“Beh?” gli chiese lei, inalberandosi.

“Direi che hai trovato la vera anima di un Auror…” continuò a sghignazzare Malocchio. Si diede una manata sul ginocchio, piegandosi in avanti, quasi contro il tavolo. “Proprio il lavoro per te! Travestirsi e rubare!” E riprese a ridere.

I capelli di Tonks raggiunsero un pericoloso color arancio carico.

“Tengo a precisare,” sibilò irata, “che non ho scelto io di rubarlo, caro il mio professore! E se quel bagaglio di segatura che hai in testa, ti togliesse almeno l’umidità che logora le rotelline che ci sono in mezzo, ti ricorderesti che io,” aggiunse infilandosi quasi l’indice nello sterno, “sono il miglior braccio operativo dell’Ordine!” terminò urlandogli contro.

Malocchio si asciugò le lacrime che gli bagnavano gli occhi e  si controllò.

“Lo so, ragazza, lo so. Ti ho addestrata io, dopotutto,” le ricordò. “Cosa conti di fare?”

“Oh, beh,” balbettò lei, passandosi le mani sopra i jeans, “pensavo di diventare una ignorabile signora delle pulizie. Molto grigia, insignificante… capelli stopposi, vestiti ordinari… Armarmi di secchio e straccio e andare a sistemare l’ufficio di Arthur lamentandomi dell’artrite.”

“Cerca di non diventare troppo visibile, non esagerare.” Lo disse con l’indice della mano alzato che puntava dritto al naso di Tonks.

Lei rispose con una smorfia.

“Cosa dico a Remus di questo?” gli chiese indicando il plico di pergamena che gli aveva consegnato. Non ne conosceva il contenuto, ma immaginava che fossero informazioni avute con l’inganno che Moody doveva mettere a confronto con tante altre, già ricevute, per analizzare somiglianze e differenze, cercando di dare forma al piano elaborato da Voldemort con maggiore chiarezza possibile.

Moody lanciò un’occhiata ai fogli. Rimase in silenzio, pensieroso per alcuni secondi.

“Credo che gli manderò io un messaggio. Meglio essere diretti nelle comunicazioni. Si rischiano meno intercettazioni.”

Non guardò Tonks, ma la ragazza sapeva che quelle parole non erano segno di sfiducia verso di lei.

I Mangiamorte avevano raccolto molte informazioni dell’Ordine nei mesi precedenti intercettando le missive inviate via gufo, nonostante le protezioni magiche. All’inizio era un controllo ben congegnato, che non lasciava traccia sulle pergamene e aveva richiesto alcune settimane per essere svelato, da parte di Moody.

Da allora il sistema di comunicazione all’interno dell’Ordine era stato blindato con incantesimi e sistemi di crittografia tali da rendere le intercettazioni quasi nulle. I Patronus venivano utilizzati per comunicazioni di urgenza. I Mangiamorte erano diventati prima più temerari e ora decisamente sconsiderati tanto che lasciavano esplicita traccia del loro passaggio: le lettere arrivavano aperte o parzialmente rovinate. In questo modo però l’Ordine sapeva quali notizie erano arrivate al nemico e poteva modificarle.

La mancanza di notizie era uno dei motivi per cui i Mangiamorte sferravano meno attacchi e non sempre ben centrati sull’obbiettivo desiderato.

C’era stato, nell’ultima settimana, un attacco contro una casa in periferia a Londra che risultava essere una delle sedi dell’Ordine dalle quali partivano le missive. In realtà era la casa di una vecchia zia di Severus Piton, morta da anni. La distruzione dell’edificio era stata parziale, ma era comunque disabitato.

“Dannazione!” si insultò Tonks sottovoce. Aveva di nuovo pensato a Severus. “Dannazione!”

“Non è così facile non pensarci. Datti del tempo.”

Tonks alzò lo sguardo verso Moody. La stava guardando a sua volta con un’espressione che poteva essere di paterna dolcezza.

“Scusa?” gli chiese perplessa.

“Non fartene una colpa di pensare ancora spesso a Severus.” Tonks spalancò gli occhi per la sorpresa.

A parte Remus, Molly, Arthur e Minerva nessuno era a conoscenza di quello che era successo tra lei e Severus durante i pochi giorni che avevano trascorso insieme mentre lui era prigioniero dell’Ordine.

Moody fece una smorfia che era indice di un sorriso.

“Riconosco i segni Tonks. E l’unico uomo al quale sei stata vicina ultimamente e che non c’è più è proprio lui.”

Tonks si sentì bruciare per l’imbarazzo.

“Non dovresti obbligarti a non pensare a lui… è quello che stai facendo immagino, giusto?” le chiese guardandola. “Non pensarci non lo rende lontano, aumenta solo il tuo strazio.”

Tonks abbassò lo sguardo. Si sentiva molto esposta in quel momento, come se i suoi sentimenti e le emozioni fossero drappi colorati che sventolavano sotto gli occhi del professore. Decisamente imbarazzante. Irritante.

“Volevo che sapessi cosa ne penso. Preparati per andare al Ministero adesso.”

Tonks borbottò un saluto e gli fece un cenno con la mano, lieta di poter scappare da quello sguardo così penetrante.

Uscì da casa di Moody e si incamminò verso il Ministero. Un po’ di sole le avrebbe fatto bene.

 

Finalmente sei uscita…

Hai fretta?

No. Sei arrabbiata…

Chissà perché.

 

La notte stava calando e alla Tana le luci erano accese sia al piano terra sia in qualche camera da letto. Mentre Ron e Hermione raccoglievano alcune cose da portare con loro, al pianterreno Molly stava terminando di cucinare per la sua famiglia, almeno quella che ancora poteva vivere in quella casa e per alcuni amici.

Oltre a lei e al marito sarebbero rientrati Charlie e i gemelli. Percy sarebbe rimasto a Londra e Bill era con la moglie, nella loro casa. Ron e Hermione avrebbero raggiunto Ginny e Harry in pochi minuti.

Arthur era con Remus e sarebbero arrivati insieme. Era attesa anche Tonks.

Il bussare perentorio alla porta fece sobbalzare Molly, intenta a controllare le verdure.

“Aspetta ad aprire, mamma. Ce ne andiamo noi.”

Ron le si avvicinò parlando per darle un bacio su una guancia. Non li aveva sentiti scendere le scale.

“Meglio che non ci veda nessuno oltre a te,” aggiunse sorridendole.

“Arrivederci signora Weasley,” le sorrise Hermione dandole un bacio.

“Salutate Ginny e Harry per me,” rispose lei con un accenno di lacrime agli occhi.

Il figlio le sorrise, prendendo Hermione per mano e portandosi nel caminetto. In pochi secondi erano spariti.

Molly si asciugò le mani sul canovaccio che aveva appeso alla vita, mentre bussavano una seconda volta.

“Chi è?” chiese ad alta voce.

“Charlie. E quella rompiscatole di Tonks!” si sentì dire con voce profonda da dietro la porta. Molly riconobbe la voce del figlio, quel suo trascinare le parole impercettibilmente.

Guardò lo stesso attraverso lo spioncino. Vide il volto segnato del figlio e i suoi lunghi capelli biondo rossicci. Dietro c’era il volto imbronciato di Tonks.

“Buonasera ragazzi!” li accolse aprendo la porta con un sorriso e un abbraccio per ciascuno dei due.

“Tuo figlio manca di gentilezza,” le disse Tonks con un sorriso. “Dovrebbe stare meno tempo con i draghi.”

“Bla, bla, bla,” ghignò Charlie togliendosi il mantello e lanciandolo verso una poltrona.

“Ho fame!” annunciò Tonks a tutti e due, battendo le mani.

Molly le allungò immediatamente un biscotto.

“Sei un tesoro,” la ringraziò addentandolo.

“Come mai hai aspettato ad aprirci mamma?” chiese Charlie.

“C’erano Ron e Hermione ed era più sicuro che andassero via,” spiegò.

Entrambi i giovani si girarono a guardarla.

“Come stanno?” chiese Charlie, con una strana apprensione.

“Tutti e quattro bene, per fortuna.” Molly riprese a governare la cucina. “Apparecchiate,” chiese loro.

“Oh, lo fa Charlie, per scusarsi della battuta di prima,” disse Tonks andando vicino a lei.

Mentre l’amico organizzava i tavoli, tovaglie, piatti, bicchieri e posate Tonks si acciambellò sopra un ripiano della cucina, libero da pentole e vassoi, con un pezzo di biscotto in mano.

“Molly…”

La signora Wealsey si girò a guardarla.

“Si vede quello che provo per Severus, secondo te?” chiese Tonks sottovoce. Ci aveva pensato per tutto il giorno, anche mentre, armata di scopa e straccio per i pavimenti, entrava nell’ufficio di Arthur, con i capelli grigi che le scendevano sugli occhi.

Molly le fece un sorriso triste.

“Sì, tesoro mio. Da come non ne parli, da come diventi tesa.” Rimase in silenzio a guardarla.

“Oggi ero da Moody e lui mi ha detto che non dovrei ostinarmi a non volerlo ricordare,” le spiegò con le lacrime agli occhi. “Ma non ne ho mai parlato con lui di quello che è successo. E nessuno di voi lo farebbe.”

Si guardò intorno. Charlie stava facendo svolazzare i tovaglioli e i bicchieri.

“Charlie, non giocare con le stoviglie!” gli disse Molly, con tono molto materno.

“Va bene, mamma!” rispose Charlie con tono infantile, senza per altro fermarsi.

“Moody ti consoce meglio di chiunque, Ninphadora. Sa riconoscere quello che provi da come ti muovi… chiaramente ha immaginato qualcosa.” Molly le accarezzò un braccio, sorridendole.

Tonks ricambiò con un sorriso tremante.

Se non ci fosse stato Charlie si sarebbe gettata tra le braccia dell’amica e avrebbe pianto. Ma doveva trattenersi e aspettare di tornare a casa dalla madre, dopo la cena. Allora si sarebbe sfogata tra le sue braccia.

 

Era più di un mese che si costringeva a non pensare a lui eppure non ci riusciva mai. Era un filo sottile che l’avvolgeva come un bozzolo. Si sentiva stritolare dalla forza del suo stesso sentimento.

Si era innamorata di Severus Piton prima ancora di capire che le piaceva. Si era innamorata di lui quando lo aveva visto sconfitto, indebolito, fragile e brutto. Si era innamorata della sua tenacia, della sua determinazione, della sua coerenza. Del suo corpo angoloso e così poco sensuale.

L’aria fresca che le pizzicava il volto, le stava anche asciugando le lacrime.

“Ninphadora?” Il braccio della madre le circondò le spalle e Tonks vi si appoggiò in silenzio, singhiozzando.

“Passerà, mamma?” chiese tremando.

“Oh, tesoro…” La abbracciò. “Faremo il possibile perché non sia così doloroso…” le rispose con sincerità.

No, no, no…

Piccola, no…

 

 

Due giorni dopo erano nuovamente tutti a Grimmauld Place. Remus aveva convocato un incontro che tutti sapevano essere risolutivo per le sorti dello scontro.

I membri dell’Ordine della Fenice si erano seduti in cerchio, attorno al tavolo della cucina. La maggior parte era riuscita a trovare una sedia girando per la casa, mentre altri si erano assicurati un posto a sedere usando mobili e tavoli.

Alla riunione era presente anche Harry, per la prima volta da mesi.

Tonks lo aveva salutato poco prima, felice di poterlo riabbracciare. Il giovane mago era dimagrito e stanco. Si vedevano i segni della fatica di quel periodo, non solo nelle occhiaie o nei vestiti troppo ampi, ma anche nella tensione con la quale si muoveva nella stanza, nella tristezza con la quale leggeva l’elenco dei morti negli ultimi scontri.

Sorrideva a tutti coloro che lo saltavano, sinceramente lieto di rivederli. Aveva abbracciato Molly e Arthur con vigore. Poi si era chiuso nella triste lettura di quell’elenco, sordo ad altri commenti.

Erano arrivati con lui anche Ron, Hermione  e Ginny. Come Harry avevano tutti l’aspetto di chi dormiva male da mesi e portava sulle spalle tensione e dolore. Tonks guardava Ron e Hermione seduti l’una in braccio all’altro, silenziosi e così vicini. Le mani erano appoggiate leggere sul corpo dell’altro, quasi casualmente, ma c’era una familiarità, un’intimità in quei semplici gesti che rese Tonks ancora più triste.

Ginny era vicina a Harry, forse non lo sfiorava neppure, ma lui ogni tanto si girava a guardarla ed erano gli unici momenti nei quali gli occhi del ragazzo accennavano ad un sorriso. Lei era assorta nella lettura dello stesso giornale, guardandolo da sopra le sue spalle e sembrava non accorgersi di quegli sguardi.

Quando Remus prese la parola, lo fece battendo le mani per attirare l’attenzione di tutti. Anche Harry lasciò il foglio e lo guardò.

“Bene, direi che siamo tutti e possiamo cominciare. Siamo arrivati alla fine, amici!” Remus era visibilmente euforico. Gli occhi luccicavano e le mani non stavano ferme. “Harry?” disse lasciandogli la parola.

“Grazie. Silente come sapete mi aveva lasciato un compito da svolgere, come vi avevo detto mesi fa. Qualcosa che ha coinvolto Ron, Hermione e Ginny. Lo abbiamo portato a termine due giorni fa.” Ci fu un piccolo applauso spontaneo dalla sala. Harry alzò la mano per fermarlo. “Non significa che abbiamo raggiunto una vittoria, ma solo che il terreno è pronto per provare a prendercela. Abbiamo cercato di togliere di mezzo tutto quello che permetteva a Voldemort di avere più potere di qualsiasi altro mago. Tranne Silente. Che ci aveva chiesto di arrivare fino a qui. Abbiamo trovato e eliminato ogni elemento, tranne uno. Quello dovrò affrontarlo io, in uno scontro diretto.” Una sensazione di gelo scese nella stanza. Harry rimase in silenzio, scambiando delle occhiate con gli altri amici. Ron si alzò in piedi, lasciando la sedia a Hermione. Tutti si girarono a guardarlo, sorpresi che potesse prendere lui il posto di Harry e non Hermione.

“Abbiamo ancora qualche vantaggio di cui Voi Sapete Chi non è a conoscenza e lo utilizzeremo all’ultimo momento, se sarà necessario,” disse Ron guardando tutti i presenti. “Harry ha bisogno di noi contro i Mangiamorte e contro Voldemort, per sostenerlo.”

Tonks si meravigliò per quel cambio di prospettiva. Ron si era messo all’interno dell’Ordine della Fenice, non più a fianco di Harry.

“Harry deve agire da solo?” chiese prima di potersi controllare. Tutti si girarono a guardarla.

“Sì,” rispose Harry. “Contro di lui sarò solo. Devo essere solo. Avrò un alleato in ognuno di voi mentre mi lascerete libero di agire contro Voldemort senza dovermi preoccupare di altri.”

Harry si guardò intorno, incrociando lo sguardo di tutti.

“Abbiamo tutti intenzione di esserci, Potter!” rispose sicuro Malocchio. Qualcuno, compreso Remus, sorrise. “Dove intendi incontrarlo? Dove si trova l’ultima cosa che cerca? Perché devi essere solo tu?”

“L’ultima cosa che cerca sono io, Malocchio,” disse Harry. Tonks sentì il cuore saltarle un battito e accadde anche alla maggior parte degli altri. Persino Remus si mostrò sorpreso e preoccupato.

“Harry…” esclamò Molly allungando un braccio verso di lui, come a volerlo fermare.

Harry le sorrise con mestizia. “Non posso sottrarmi, signora Weasley. Non posso scegliere,” le rispose. Tonks percepì il lieve tremore della voce.

“Ne sei certo?” chiese Remus.

Harry annuì. “Fidatevi,” gli rispose con un’espressione rassegnata in volto. “Non ci sono alternative.”

Rimase un silenzio sospeso nella stanza. Tutti avrebbero voluto esprimere le loro obiezioni, ma c’era una consapevolezza, seppur fragile, che fosse proprio quello lo scenario dello scontro finale.

“Di cosa hai bisogno?” chiese Bill, con tono tranquillo. Se quello era, quello sarebbe stato.

“Di organizzare un attacco frontale, di sapere quanti saremo e scegliere quello che per noi è il luogo migliore per scontrarsi. Di fare un piano tutti insieme.”

“Siamo troppi per fare una cosa del genere,” osservò correttamente Arthur. “Se ci mettiamo tutti a parlare di tutto rischiamo di non finire mai la discussione. Direi che potremmo definire il luogo tutti insieme, per vedere dove ci sentiamo più sicuri e poi Remus deciderà a chi affidare i diversi compiti.”

Arthur si girò verso Remus quasi a chiedere conferma. Remus fece un piccolo cenno di assenso.

“Opinioni sul luogo?” chiese a tutti.

“Non esteso e ben controllabile. Chiuso o molto limitato. Nessuna città grande o luogo affollato. Dove ci siano pochi o nessun Babbano da mettere in salvo.” Tonks aveva parlato velocemente, dando voce alla sua competenza di Auror. Era appollaiata su un tavolo, con una gamba piegata sulla quale appoggiava il mento. Cercava di non guardare Ron e Hermione per non sentire ancora di più la mancanza di un uomo vicino a lei. Pensare ad altro era una salvezza.

“L’ho cresciuta bene,” commentò Malocchio con soddisfazione. Tutti ridacchiarono.

Tonks si sentì arrossire.

“Hogsmaede?” propose Hetta Miles, un’Auror di poco più grande di lei.

“Simile, secondo me,” le rispose. Avevano lavorato poche volte insieme, sempre molto bene.

“Forse troppo vicina a Hogwarts…” continuò Hetta pensieroso, guardando direttamente Tonks. “Si rischia che volutamente la spostino verso la scuola.”

“Troppo simbolica,” aggiunse Tonks.

“Un paesino perso nella campagna inglese, isolato. Che abbia un significato simbolico, altrimenti non avrebbe senso.” Hetta scuoteva leggermente la testa come faceva sempre quando stava ragionando ad alta voce. Tonks la ascoltava con attenzione. Nessuna delle due parve accorgersi degli altri, che silenziosi le ascoltavano ragionare sulle diverse opportunità.

“Ho cresciuto bene anche te,” sentenziò ancora Moody.

Dopo un attimo di silenzio Charlie si intromise dicendo, “Cerchiamo di eliminare i luoghi più simbolici trovando le giuste motivazioni. Hogwarts?” chiese guardandosi attorno.

Piano piano ciascuno espresse la propria opinione sottolineando vantaggi e svantaggi delle diverse proposte.

Hermione si prese il compito, con Ginny, di segnare tutto quello che veniva detto.

La discussione proseguì per oltre due ore durante le quali vennero eliminate Hogwarts e i suoi dintorni, Hogsemade, la Tana, Privet Drive, Diagon Alley e alcuni piccoli paesini dove avevano vissuto i principali appartenenti all’Ordine. Fu Hetta a proporre la soluzione finale.

“Godric’s Hallow,” disse semplicemente nel silenzio generale. “Inizio e fine. Paese piccolo, pochi abitanti, pochissimi babbani da mettere in salvo. Isolato da altri luoghi importanti. Più che simbolico.”

“E attraente per Voldemort con l’idea della rivincita,” concluse Remus guardandola e poi osservando gli altri.

In poco più di mezz’ora venne definito il luogo e il momento. Una settimana più tardi, al sorgere dell’estate.

“Come possiamo costringere Voldemort ad andare dove vogliamo noi?” chiese Tonks.

“Verrà a cercare me…” affermò Harry con voce tranquilla. “È importante fargli sapere dove sono e lui verrà.”

Tonks sentì il cuore stringersi come in una morsa. Erano parole pesanti da ascoltare. E le ricordavano ancora di più la forza di Severus nell’essere fedele alla sua missione, al suo impegno per Silente. Severus era morto per questo. Sospirò. Non le era possibile stare senza il suo ricordo, almeno non ancora. Sentendo parlare Remus si riscosse.

Remus stava affidando una serie di compiti sia logistici e strategici all’interno del gruppo sia di sopralluogo e informazione a tutti i simpatizzanti.

Contavano di ritrovarsi in poco meno di un centinaio di persone  a fronte di una sessantina di Mangiamorte conosciuti e operanti.

Ma c’era Voldemort e Harry era molto giovane.

 

All’interno della sede dell’Ordine i cinque giorni successivi furono di fermento se non di attività frenetica.

Le informazioni su Godric’s Hallow arrivarono meno di quarantotto ore dopo la riunione con una analisi dettagliata del territorio e un piano di evacuazione per maghi e babbani. Percy e Bill avevano lavorato con altre cinque persone con molta precisione e arguzia.

La strutturazione dei compiti in battaglia passò per le mani di Kingsley che riuscì anche a guidare i gemelli, facendo emergere la loro fantasia.

Tonks si fece prendere dall’analisi dell’avversario. Insieme a Hetta e altri giovani Auror, fuorusciti dai gruppi ufficiali del Ministero, raccolsero le informazioni più recenti sulla situazione dei Mangiamorte.

Per farlo Tonks passò parecchio tempo al Ministero, nella sua veste di signora delle pulizie.

Continuava a sentirsi osservata, ma non era riuscita ad individuare nessuno che la seguisse, pur usando tutte le tecniche che conosceva per dissimulare incantesimi di travestimento.

Solo il giorno prima aveva tenuto d’occhio per un po’ un vecchio dai capelli bianchi che girava per il Ministero con dei fogli in mano alla ricerca di qualcuno che ascoltasse i suoi problemi. Aveva un modo di fare così scorbutico che nessuno veniva mosso a compassione nei suoi confronti e creava non poca irritazione. Anche in lei che non era coinvolta. Poi se n’era andato sbuffando e brontolando, anche se aveva ottenuto quello che desiderava.

Tonks era impegnata in quel momento ad ascoltare un dialogo tra due simpatizzanti dei Mangiamorte, nascosta dietro una finestra da pulire e non lo vide uscire.

Vorrei solo poterti guardare…

Parlare forse…

 

Il giorno prestabilito Harry ritornò con Ron e Hermione a Godric’s Hallow e attese che Voldemort comprendesse le sue intenzioni, grazie anche alle poche frasi lasciate cadere casualmente da Kingsley durante una discussione concitata con un Auror al Ministero per un problema di turni di lavoro incompatibili con i suoi impegni nell’Ordine.

Due giorni dopo ci furono i primi avvistamenti dei Mangiamorte nella zona.

 

Tonks sedeva con Hetta in cima ad una collinetta dalla quale si vedeva la casa semidistrutta della famiglia Potter. Potevano vedere metà del paese. Al lato opposto, nelle stesse condizioni, c’erano Charlie e un altro Auror.

Era quasi mattina e sedevano lì da poco meno di otto ore.

Erano state in silenzio per buona parte della notte. Nessuna delle due parlava molto e si capivano comunque al volo.

“Tonks,” si sentì chiamare. Si riscosse da un leggero torpore che la stava pervadendo, girandosi verso la collega.

“Si?”

“Credi che ne usciremo vive?” le chiese Hetta. Senza tono di paura.

“Credo che Harry possa farcela. E ho intenzione di uscirne viva,” le rispose sicura. Ci aveva pensato a lungo in quei pochi giorni, come aveva fatto in tutti quei mesi. Si fidava del piccolo mago. Era determinato, a volte azzardato, fedele all’impegno. Un po’ testa calda come lei, ma del resto era giovane.

“C’è qualcosa o qualcuno che ti costringe a sopravvivere?” le chiese Hetta, sempre guardando davanti a sé.

Tonks rimase in silenzio. Non aveva confidenza con lei, ma mentirle o sminuirsi ai suoi occhi le sembrava una mancanza di rispetto.

“No.”

Hetta si girò a guardarla.

“Sei cambiata dopo il periodo con Piton,” osservò semplicemente. “Non ti avevo mai visto così coinvolta prima. Accade veramente, allora?”

Tonks si inalberò. Tutti sembravano capire quello che era successo, tutti la vedevano cambiata. Ma nessuno ne parlava con lei. Naturalmente li avrebbe mandati tutti a quel paese in malo modo se lo avessero fatto, ma l’idea che fossero consapevoli del suo dolore e non ne parlassero con lei la irritava.

“Essermi innamorata di un nemico è affare mio!” sbottò. Strinse le braccia attorno alle ginocchia e guardò ostinatamente davanti a sé.

“Cosa?” le chiese Hetta. Meravigliata dal suo silenzio aggiunse, “Perché lo hai definito un nemico? E cosa c’entra Piton?”

Tonks si girò verso di lei interdetta.

“Cosa mi hai chiesto?”

“Se davvero si può perdere la testa per un uomo, completamente.” Hetta la guardò in attesa di una risposta.

“Oh!” Tonks scosse la testa, come a scusarsi. “Sì,” ammise con un sospiro. “Non te ne rendi conto fino a quando non ci sei dentro. Almeno io.”

“Anche se è tanto più grande di te?”

“Non è quello il problema…” osservò Tonks. Non capiva dove stava portando il discorso Hetta. Non la stava neppure più guardando. Era rivolta verso il paese ai suoi piedi.

Tonks inclinò la testa e sorrise.

“Almeno non era quello il mio problema,” disse quasi a se stessa. “Di chi sei innamorata, Hetta?” le chiese a voce alta.

La collega si girò di scatto verso di lei, con l’aria di chi è stata colta in flagrante.

Sorrise imbarazzata.

“Scusami. Parlo di me e tu stai malissimo, immagino. Non voleva aprire ferite recenti.”

“Andiamo Hetta!” Le sorrise. “Mi faccio male da sola ogni momento, pensandoci. Parlare con te è piacevole, invece.”

“Bah… in realtà è una stupidaggine, solo che in questo momento mi sembra fondamentale avere una persona dalla quale tornare. Ma questa persona non lo sa che voglio tornare per lei…” si strinse le spalle sconsolata. “E io non so bene che cosa provo, a dire il vero…” aggiunse con sincerità.

“Nome e cognome, signorina Miles!” la canzonò Tonks, puntandole contro la bacchetta.

Hetta le diede un colpetto per abbassarla ridendo.

“Non prendermi in giro o peggio non fare cupido!” le chiese.

“Promesso!” disse Tonks alzando la mano destra.

“Lupin.”

“Lupin Remus?” chiese Tonks meravigliata.

“Ne conosci altri?” le chiese con tono canzonatorio.

Tonks si grattò un orecchio. “Sai che gli sono molto amica e che lo ritengo un uomo meraviglioso, ma Remus è… un lupo mannaro, lo sai vero?” le chiese con aria preoccupata.

“Oh… per quello…” sbottò Hetta facendo un gesto con la mano come per scacciare una mosca.

“Oh, allora…” commentò Tonks ridacchiando. “Un lupo mannaro tu e un traditore doppiogiochista io… due vecchietti ingrigiti e debolucci…”

Hetta scoppiò a ridere.

Piccola ingrata!

Vecchietti…

 

Meno di mezz’ora dopo ci fu l’attacco.


 

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Capitolo 2
*** Prepararsi... ***



 

2.

Tonks e Hetta si Smaterializzarono non appena videro comparire gruppi di Mangiamorte nella zona a sud del paese.

Poco prima di scomparire Hetta scoprì un Mangiamorte che le osservava da dietro un albero, un po’ stranito, come se si fosse appena materializzato e lo schiantò a terra, bloccandolo con delle corde. Tonks gli prese la bacchetta e la spezzò. Hetta gli chiuse la bocca e lo fece crollare contro un albero.

Quando comparvero nella strada principale si trovarono già nel mezzo della battaglia. Si divisero immediatamente secondo gli accordi presi con Malocchio che aveva diretto la parte strategica con Kingsley.

Tonks era attesa vicino a casa Potter, dentro la quale Harry, Ron e Hermione stavano già combattendo contro i primi Mangiamorte.

In pochi minuti arrivarono tutti i rinforzi attesi e la battaglia si spostò all’esterno della piccola villetta, lasciando i tre giovani nelle retrovie per non rischiare la loro vita.

Tonks si trovò a combattere contro Dolohov, schernita per il fatto di essere donna. Fu un duello lungo, ma riuscì a Schiantarlo a terra con un colpo improvviso quando venne distratto da un urlo di Lucius Malfoy, ferito da Malocchio.

Tonks lo tenne a terra con la bacchetta alla gola mentre Remus lo finiva riempiendolo di vesciche urticanti.

La momentanea vittoria su Malfoy senior non fu sufficiente per Moody: venne attaccato mentre tentava di allontanarsi e si ritrovò Schiantato a terra. Furono i gemelli ad andare in suo soccorso portandolo in una piccola viuzza laterale, prima in quel momento di pericoli.

“Andate, piccoli mostri!!” urlò contro i gemelli mentre questi lo lasciavano scivolare  a terra con poca grazia. “Via di qui! Non servite a me, disgraziati!”

“Lieti di averti salvato la vita, Moody!” gli urlò in risposta George mentre con il fratello ritornava verso il cimitero per riunirsi al gruppo di Lee Jordan e altri studenti di Hogwarts impegnati a difendere quella zona.

Tonks si era spostata di nuovo vicino a casa Potter.

Davanti all’ingresso della casa, nel piccolo giardino che la circondava Hetta era alle prese con un Lucius Malfoy nuovamente furente.

Gli sprazzi di luce degli incantesimi mostravano la velocità e la ferocia dello scontro. Hetta era bersagliata di anatemi e si difendeva cercando ancora di evitare la morte dell’avversario.

“Uccidilo!” sentì gridare Tonks alla sua destra, mentre ancora era incerta se intervenire o lasciare campo all’amica.

Si girò verso la voce e vide arrivare Remus che correva. Stava urlando contro Hetta, non contro di lei. Facendolo però l’aveva distratta e Lucius ne approfittò per colpirla.

“Protego!” urlò Tonks riuscendo a sviare il colpo quando ormai aveva sfiorato Hetta che crollò a terra semicosciente.

“Bastarda traditrice!” la insultò Lucius. “Avad…”

“Crucio!” gridò lei colpendolo in pieno petto. Lucius si piegò in due per il dolore. Tonks tenne la bacchetta contro di lui per lasciare tempo a Remus di recuperare Hetta e spostarla dal giardino.

Poi Schiantò Lucius facendolo volare oltre lo steccato direttamente in un campo di ortiche.

Lo lasciò ad urlare per il dolore mentre caracollava via già colpito in più punti dalle piante.

“Lo prendo io!” gli gridò Charlie spuntando da poco distante.

Mentre la battaglia riprendeva tra i due Tonks corse verso Hetta.

Nel farlo passò di fronte alla porta d’ingresso di casa Potter e le parve di vedere il volto scavato e teso di Piton.

Si bloccò un attimo, incredula, guardando direttamente verso la porta, ma vide solo il legno scuro.

Maledicendosi per la propria stupida speranza oltrepassò il giardino e vide Remus chino sopra Hetta, appoggiata ad un masso.

Remus era inginocchiato al fianco dell’amica e con la bacchetta stava terminando di controllare che non avesse ferite troppo profonde.

“Hetta!” gridò.

Remus parlò prima ancora di guardarla.

“Cerca di convincerla a fare il suo lavoro!” Era decisamente inferocito, pensò Tonks. “Non possiamo farcela se lei ha paura di uccidere!”

“Non ho paura, stupido!” urlò Hetta mettendosi a sedere.

Remus scattò in piedi guardandola quasi sconvolto dall’insulto. Le aveva appena salvato la vita e quella ragazzina gli si rivoltava contro?

“Non ho paura!” continuò lei con altrettanta determinazione. “Penso che sia ancora meglio averlo vivo con delle informazioni che morto senza poterci ottenere nulla!”

Mentre parlava si era messa in piedi, anche se barcollava. Remus d’istinto allungò una mano e le prese il braccio per sostenerla.

Hetta lo fissò. Remus colse disagio, forse fastidio e un luccicare strano degli occhi.

“Non permetterti più di giudicare il mio lavoro. Non sei neppure il mio capo!” gli disse con astio, liberandosi il braccio con uno scatto e andandosene verso Tonks.

“Come sono?” le chiese. Remus rimase alle sue spalle, senza mai perderla di vista.

“Cerca Charlie, se la sta vedendo ancora con Lucius… per il resto…” Tonks guardò verso Remus.

“Siamo in netta supremazia,” le aggiornò lui, mentre anche Hetta si girava a guardarlo e arrossiva. Lui rimase perplesso per quella reazione. “Ancora non si vede Voldemort, ma stanno arrivando i suoi luogotenenti più vicini, quindi…”

Remus di bloccò. La terra stava tremando. Continuava a tremare.

“Giganti!” urlò Tonks. “Sono giganti!”

Tutti e tre si guardarono intorno e li videro. Stavano marciando da sud ed erano una decina. Enormi, brandendo mazze di legno grandi come tronchi d’albero

Remus rimase fermo un attimo, cercando di pensare ad una soluzione. Gli ultimi informatori davano per sicura la neutralità dei giganti impegnati in quel periodo in una faida interna tra gruppi per la definizione della loro sovranità. Era stato preparato un piano di emergenza che però adesso doveva essere coordinato.

“Remus, ci penso io!”

Alla sua destra stava arrivando, zoppicando, Moody. “Mandami Charlie e Hagrid!” gli urlò.

“Prendo il posto di Charlie!” gridò in risposta Hetta, guardando Remus e correndo poi verso l’altro lato del giardino.

“Ricompongo la difesa qui davanti!” disse Tonks. E corse verso il centro del giardinetto, guardandosi attorno. Oltre ad Hetta erano con lei Bill, Fleur, Dean Thomas e Kingsley.

Li vide tutti impegnati contro due Mangiamorte. Quando riuscirono a finire uno dei Carrow, si sentì la risata acuta di Bellatrix arrivare dal fondo della strada. Kinglsey e Fluer erano alle prese con l’altro Carrow.

“Siamo agli sgoccioli se arriva lei!” gridò Tonks agli altri. “Preparati Harry!” gridò verso la casa.

Sentì dei passi alle spalle e girandosi vide arrivare Ron e Hermione.

“Adesso stiamo qui,” le dissero semplicemente.

“Harry?” chiese Tonks.

“Sa cosa fare,” disse Ron, cercando con lo sguardo Bellatrix. “Sei con noi?” le chiese.

“Certamente. Dean!” chiamò.

“Dimmi!”

“Moody si sta organizzando contro un gruppo di giganti e Hetta è andata contro Malfoy, alla tua sinistra! Aiutalo e ritornate qui!”

Dean non rispose nulla e corse nella direzione indicata da Tonks.

“Paciock!” stava gridando sua zia. “Non puoi fami nulla, come quei due disgraziati…”

Sentirono l’urlo di Neville. Ron e Hermione scattarono verso la strada decisi a dare una mano.

Tonks tenne la posizione, affiancata da Kingsley.

Bill e Fleur erano andati da Moody, facendo un cenno a Tonks.

I due Auror si guardarono attorno, ansanti. Non c’era segnale di nessun movimento. Intorno c’erano grida, scoppi, scintille colorate, ma lì vicino tutto era innaturalmente fermo.

Poi sentirono il grido di Bellatrix e all’improvviso tutti alzarono gli occhi al cielo per guardare Voldemort che planava davanti al cancello di casa Potter.

Era emaciato, scheletrico, con due pupille rosse fiammeggianti. Non aveva volto, né espressione. Si mise in piedi davanti al cancello, la bacchetta che danzava tra le mani, senza dire una parola.

Tutto si fermò, tranne la battaglia contro i giganti.

Senza che nessuno dicesse nulla dietro a Voldemort si misero, a scudo, tutti i Mangiamorte rimasti. Erano otto persone. Lucius, Bellatrix, uno dei Carrow. Tonks vide anche il volto giovane di un ragazzino dell’età di Harry. Non c’era Narcissa, né il figlio.

Vicino a lei e a Kinglsey era arrivato Remus, i due Weasley maggiori, Hetta e Dean.

Dalla sua destra arrivarono Ron e Hermione che si spostarono davanti al portone d’ingresso, quasi a fargli da scudo.

Lentamente, a lato del giardino, arrivarono anche altri componenti dell’Ordine, tutti i più giovani ed i feriti. Dall’altro lato qualche sparuto Mangiamorte.

Tonks sentiva i brividi lungo la schiena, brividi freddi. Cercava di controllare il respiro, quasi fosse proprio quello a regolare le sue emozioni. Sentiva salire dentro la rabbia soprattutto nei confronti di sua zia, che rideva con un’espressione da pazza alle spalle del suo Signore.

“A quanto pare Lucius, i piccoli Weasley sono meglio del tuo figliolo,” sibilò Voldemort, squadrando Bill, Charlie e Ron. “Anche se mi pare che ne manchi qualcuno. Siamo riusciti a decimare la famiglia, Bellatrix?” chiese con tono suadente.

“Ancora no, mio Signore. Sono sparsi per il campo di battaglia, ma purtroppo vivi…” sghignazzò la donna.

“Beh, ci penseremo dopo. Voglio Potter, tutti voi potete sparire. Volontariamente o meno,” disse Voldemort osservandoli in attesa che si spostassero.

“Sono qui,” sentirono dire da Harry.

Solo allora, lentamente, si spostarono di lato per lasciargli posto.

Tonks si portò vicina a Charlie, la bacchetta pronta ad agire, tesa.

Nessuno sapeva quello che Harry avrebbe fatto.

“Il piccolo Potter. Ci rivediamo, dunque…”

“Già.”

Tonks non poteva che ammirare l’apparente freddezza e determinazione di Harry. Se ne stava in piedi dritto davanti a Voldemort, guardandolo negli occhi. Al suo fianco erano rimasti solo Ron e Hermione.

“Manca la tua piccola Weasley, Potter. Come mai?” chiese con scherno.

“Non ti riguarda,” rispose Harry. Ma c’era un leggero tremore nella sua voce e Voldemort riuscì a sentirlo perché si mise a ridere.

“Ancora l’amore, Potter. Che sciocchezze senza significato,” minimizzò con uno scatto della bacchetta. “Sei qui per morire Potter, lo sa anche lei vero?”

“Se muoio io te ne vai anche tu, Voldemort,” gli rispose Harry con un piccolo sorriso.

Voldemort rise.

“Non è una minaccia, ma la verità,” ribadì Harry con una sicurezza tale che Voldemort bloccò il dondolare della sua bacchetta e lo fissò apertamente.

“Sorpresa…” sussurrò Harry. “Hai commesso un errore. E quell’errore sono io. Se io muoio tu muori con me…”

“Che stai dicendo Potter?” Il tono di voce era irato e stupito.

Tonks per la prima volta vide un’immagine di Voldemort senza la solita fredda perfidia. Era incerto. Non sapeva se credere al ragazzo.

Tonks sentì crescere la speranza, proprio a causa di quello stupore che incrinava la sicurezza di Voldemort. Si guardò intorno e vide che altri percepivano le sue stesse emozioni. Bill aveva gli occhi sgranati. La mano di Fleur, che lo aveva raggiunto, stringeva quella del marito con tanta forza da essere esangue.

Senza muovere la testa Tonks riuscì a intravedere Arthur e Molly, Hetta e Moody. Tutti impietriti dallo stupore, dalla paura e forse da una minima speranza.

“La tua anima, Voldemort. Divisa in sette parti, giusto?” gli chiese.

Tonks sentì rimbombare quelle parole nella testa. Horcrux… oh, Merlino… Horcrux. Voldemort aveva usatola Magia Oscura per sopravvivere.

Di scatto cercò Remus per una conferma. Lo vide scambiare uno sguardo d’ansia con Arthur e con Moody. Neppure lui sapeva quello che Harry aveva fatto. Poi lo vide riportare l’attenzione su Harry e Voldemort.

Harry aveva fatto quello in quei mesi? Aveva cercato l’anima di Voldemort?

“Tu che ne sai?” sibilò Voldemort.

“Molto, molto. Diario…” iniziò ad elencare mentre lo sguardo di Voldemort si allargava di stupore e terrore.

Harry sorrise.

“Coppa di Tassorosso… Tiara di Corvonero… L’anello di tuo nonno, dei Gant…” continuò ad elencare di fronte ad un Voldemort che stava vivendo il suo incubo peggiore.

Tonks vide lo smarrimento negli occhi dei Mangiamorte alle spalle del loro Oscuro Signore. La completa ignoranza. Nessuno di loro capiva quello che stava accadendo. Neppure sua zia sembrava seguire quel dialogo.

Poi Harry rimase in silenzio e Voldemort sorrise, inclinando la testa di lato.

“Ah, già,” aggiunse allora Harry. “Il medaglione nel lago…”

Voldemort urlò il suo furore. Un grido che scosse tutti quelli che lo sentirono. Un urlo di rabbia incontrollabile.

Harry era apparentemente impassibile, pensò Tonks quando riportò lo sguardo su di lui. Anche Hermione e Ron erano a conoscenza di quanto stava dicendo. Erano impassibili, determinati.

Il rumore secco di un oggetto di metallo che cadeva a terra fece sobbalzare tutti. Ron aveva ancora la mano alzata e ai suoi piedi c’era una coppa annerita e bruciacchiata. Subito dopo Hermione lasciò cadere a terra un anello e una tiara in diamanti. Anche questi oggetti erano anneriti e rovinati.

Harry aprì la mano e mostrò a Voldemort un medaglione aperto a metà e bruciato. Lo lasciò cadere a terra.

“Il diario sappiamo dov’è Riddle,” aggiunse Harry. “Per ultimo il tuo serpente, Naningi, quello che hai lasciato in custodia a Piton, perché lo proteggesse con la sua stessa vita,” disse Harry.

Nel sentire quel nome Tonks rabbrividì visibilmente. Sentì un braccio avvolgerle le spalle e quasi sobbalzò, prima di accorgersi che era Hetta, al suo fianco.

“Quello non lo avrai, Potter,” affermò con sicurezza Voldemort.

“Troppo tardi.” La voce giungeva da un punto alle spalle di Harry. Secca.

Tonks si girò di scatto, la bocca aperta, il cuore in gola, i brividi sul corpo.

Era lì.

Sulla porta.

In piedi, al centro dell’uscio.

Braccia incrociate.

Con un enorme serpente morto ai suoi piedi.

Emaciato, bianco in volto. Un volto scavato e spigoloso.

Con un maglione arancione e dei pantaloni grigi.

I capelli raccolti.

Tonks si aggrappò alle mani di Hetta e fissò Severus Piton che contrastava lo sguardo di Voldemort dopo averlo definitivamente tradito.

La rabbia dell’Oscuro Signore esplose immediata.

“Avadra Kedavra!”

La fiammata verde uscì dalla sua bacchetta diretta verso Piton.

Le bacchette di Harry, di Ron e Remus si alzarono quasi contemporaneamente.

“Protego!” Tre voci distinte eressero uno scudo davanti a Piton tale che l’anatema di Voldemort non solo si spezzò contro la barriera, ma la sua stessa forza lo fece rimbalzare all’indietro colpendo un inconsapevole Amicus Carrow che cadde morto ai piedi di Lucius.

Prima che volassero altri incantesimi, Harry gridò.

“Ne manca uno, Voldemort. Ancora un Horcrux!”

Fu sufficiente.

Voldemort alzò un braccio e tutte le bacchette dei Mangiamorte si femarono.

Remus e Kingsley fecero dei cenni affinché anche dalla loro parte le bacchette fossero abbassate.

Mentre tutto questo accadeva, Tonks cercò con il proprio sguardo quello di Piton, ma lui sembrava evitare di distogliere il suo da Voldemort.

Tonks sentì il cuore chiuso da artigli dolorosi. Era vivo. Si accorse di aver trattenuto il respiro.

Gli occhi bruciavano di vento, polvere e dolore, umidi di lacrime. Lui continuava a non guardarla. Aveva lo sguardo fisso davanti a sé, rivolto a Voldemort.

“Soffrirai Severus,” sibilò Voldemort. “Soffrirai per questo…”

“Lo so,” gli rispose l’uomo senza spostarsi dalla casa e senza abbassare gli occhi da quelli rossi e brillanti dell’Oscuro Signore.

Tonks aveva brividi su tutto il corpo.

“Harry Potter…” disse lentamente Voldemort rivolgendo lo sguardo verso il ragazzo. “Una profezia che ci unisce…”

“E un tuo errore…” aggiunse Harry.

“Io non commetto errori,” affermò con astio Voldemort, lentamente.

“Io sono un tuo errore.”

Voldemort rimase in silenzio, fissando il ragazzo. Poi un lampo di comprensione gli attraversò il volto e la bacchetta riprese a girare tra le sue mani.

“Tu… sei parte di me…” Sorrise leggermente, ironico.

“Una parte di me è una parte di te,” scandì Harry con decisione. “Io sono figlio dei miei genitori.”

“Rivendichi questo e sminuisci il nostro legame?” ironizzo Voldemort puntando la bacchetta contro di lui.

“Esatto.”

“Errore,” lo corresse Voldemort. “Io so più cose di quante ne sappia tu sulla divisione dell’anima umana, Potter. So di poter sopravvivere senza di te.”

La tensione intorno a loro era sempre più forte.

Oramai molti dei presenti erano riusciti a ricostruire quello che Harry e i suoi amici avevano fatto.

Tonks stessa sentiva l’orgoglio per la loro impresa, la soddisfazione di averli aiutati in questo. Ma Piton non la guardava ancora.

“Dove si trova Ginny?” sentì sussurrare da Hetta al suo orecchio.

Tonks si guardò intorno. Ginny non si vedeva e non si era vista per tutta la battaglia, a dire il vero.

Scosse impercettibilmente la testa verso Hetta, con un sguardo di perplessità.

“Uccidimi,” affermò Harry nel silenzio generale.

Si sentì un gemito, ma non era possibile capire da chi proveniva.

Voldemort alzò subito la bacchetta, ma si fermò prima di puntarla contro Harry.

“Troppo sicuro di te, ragazzo…” osservò. “Non hai paura di morire?”

“No,” rispose Harry, con la bacchetta ancora allungata contro un fianco.

Quella sicurezza, pensò Tonks, era allarmante.

Voldemort sembrò non prenderla in considerazione e sferrò l’attacco.

“Avadra Kedavra!”

L’anatema colpì Harry, facendolo inginocchiare a terra, tra gli sguardi atterriti di tutti.

Ron e Hermione comparvero al suo fianco sbarrando la strada agli altri, mentre inspiegabilmente parte del lampo proveniente dall’anatema si disperdeva attorno ad Harry, come polvere al vento.

Harry rimase in ginocchio a fissare Voldemort, sbattendo gli occhi e annaspando.

Non cadde a terra.

Tonks lo fissava con il cuore in tumulto, la bacchetta sguainata contro il gruppo di Voldemort e dei Mangiamorte, ma lo sguardo fisso su Harry.

Mentre il respiro accelerava lo vide allungare le mani verso Ron e, con l’aiuto dell’amico, rialzarsi lentamente sulle sue gambe.

Incredula lo fissò come tutti attorno a lei.

E, più di tutti, Voldemort.

“No!” urlò puntando nuovamente la bacchetta contro di lui.

Tonks lo guardò incredula. Barcollava, stringendosi una mano al petto, gli occhi che brillavano, lo sguardo di un uomo all’improvviso consapevole di quello che gli sarebbe accaduto.

Da dietro il corpo di Harry arrivò un lampo verde mentre la voce fredda di Severus Piton urlava.

“Avada Kedavra!”

Voldemort venne colpito in pieno petto, mentre Ron e Hermione gettavano a terra Harry, proteggendolo e l’anatema uscito dalla bacchetta di Voldemort passava sopra i loro corpi infrangendosi contro casa Potter, per l’ennesima volta.

Tonks vide il lampo verde colpire Voldemort, lo vide crollare a terra e sentì l’urlo di dolore di Bellatrix.

Il più veloce di tutti fu ancora una volta Kingsley. Schiantò Bellatrix.

Tonks si riprese solo in quel momento e entrò in battaglia fermando Lucius Malfoy.

In pochi minuti tutto era finito. I Mangiamorte erano a terra, morti o immobilizzati e i vincitori, attoniti, guardavano il corpo di Voldemort e Harry Potter che si alzava in piedi sostenuto da Ron e Hermione.

Harry sorrise ai due amici, dolorante e vivo.

Il solo rumore furono i passi affrettati di qualcuno che usciva da casa Potter correndo.

Harry allungò un braccio e accolse contro di sé Ginny Weasley, abbracciandola.

Fu quel gesto a far esplodere di gioia gli altri.

Tra le urla, Moody e Charlie Weasley riuscirono a riorganizzare l’Ordine della Fenice affinché venissero controllati i prigionieri e sistemati i cadaveri.

Tonks rimase sul posto, cercando con lo sguardo ancora una volta Severus Piton. Lo vide parlare con Harry, mettendogli una mano sulla spalla.

E solo allora lui la guardò.

Con un’intensità tale che la rabbia di Tonks, la rabbia di aver pianto di dolore per un uomo che l’aveva ingannata, venne annullata dalla forza di quello sguardo, dalla determinazione che mostrava, nonostante tutte le sue bugie.

Rimasero a fissarsi ignorando quello che avveniva intorno a loro. Il primo a muoversi fu Severus che tentò di avvicinarsi a lei. Ma barcollò.

Tonks scattò verso di lui, correndo indifferente a tutto, fino ad arrivargli davanti, gli occhi pieni di lacrime.

Lo abbracciò per sostenerlo. “Perché?” gli chiese con voce tremante. “Perché?”

Severus le restituì l’abbraccio e le baciò i capelli, sporchi di polvere, ma profumati di sole.

“Per non essere tradito dal tuo amore,” le rispose bruscamente, con la solita fredda sincerità. “E dal mio per te.”

Tonks allora lo guardò, con le lacrime che non riusciva a controllare, il respiro che incespicava, le mani che non riuscivano a stare ferme.

“Ti odio!” singhiozzò.

Severus chiuse gli occhi. “Lo so, lo so ragazzina.”

Tonks lo tempestò di pugni, piangendo contro il suo maglione, lo stesso che gli aveva regalato. Piton rimase fermo, con la faccia contro i suoi capelli, gli occhi chiusi, respirando il suo profumo.

Intorno a loro, lentamente, scese il silenzio.

Le persone se ne andavano via, alla ricerca dei propri familiari, degli amici e si erano formati alcuni gruppi sparsi.

Tonks non vide la madre che la guardava sorridendo, né sentì lo sguardo di Hetta o di Remus su di sé.

Quando si staccò da Severus fu perché lo sentiva tremante contro il suo corpo.

“Entriamo in casa,” gli sussurrò all’orecchio.

Lui non rispose, ma si fece accompagnare all’interno.

La casa era diroccata e rovinata dalle intemperie degli anni, ma la cucina era un locale abitabile per quello che serviva loro.

Tonks lo fece sedere vicino ad un tavolo e si inginocchiò davanti a lui. Gli mise le mani sul volto e lo guardò.

Aveva le occhiaie profonde, la pelle del viso rovinata, le labbra screpolate. Delicatamente lo accarezzò con la punta delle dita.

“Da quanto non mangi?”

“Non lo so… non molto comunque…” le rispose a mezza voce.

“Te la senti di Smaterializzarti con me a casa mia?”

“No,” le rispose secco, deglutendo. “Non a casa tua!”

“Severus…”

“No.” Il tono era determinato e sfinito.

“Aspettami qui…” gli disse accarezzandogli una mano.

Severus fu sul punto di chiederle dove secondo lei sarebbe potuto andare in quelle condizioni, ma era già sparita oltre la porta d’ingresso.

Ritornò quasi subito, con Remus.

“Ciao, Severus.”

Alzò lo sguardo e fece un cenno di saluto.

“Grazie,” aggiunse Remus.

“Per cosa?”

“Per quello che hai scelto di fare.”

Severus accennò ad un sorriso di scherno.

“Che ne dici di andare a Grimmauld Place? Saremo solo io e te,” aggiunse Remus.

Piton guardò Tonks con un piccolo sorriso.

“Ti ha convinto lei a dirlo oppure è vero?” gli chiese, ironico.

Remus rise apertamente. “È vero,” rispose. “Anche se credo che sarebbe disposta a picchiarmi pesantemente per farmelo dire. Harry andrà alla Tana per ora. Ci siamo solo io e te nella sede. E credo Tonks a questo punto.”

“Cerca comunque di convincerla ad andare a casa ogni tanto. Io non penso che avrò molta forza per farlo, una volta arrivato lì.”

“D’accordo,” promise Remus.

“Grazie per avermi considerata!” sbottò Tonks, alle spalle di Remus con le braccia incrociate e lo sguardo furente.

“Buona, ragazzina!” la sgridò Piton. “Sai anche tu che non sarò un malato facile da trattare.”

“Oh, bah!” sbottò lei. “Ti ho sopportato pure per tutti quei giorni e non stavi certo bene! E mi posso vendicare del fatto che sei vivo…”

Severus alzò gli occhi al cielo.

“Tu lo sapevi?” chiese Tonks all’improvviso. Severus la guardò. Aveva un dito puntato contro lo sterno di Remus e la bacchetta contro il suo fianco.

“L’ho saputo solo dieci giorni fa” le disse lui con tranquillità.

“Non mi hai detto nulla!”

“Non me lo ha permesso,” spiegò Remus alzando le spalle.

“Tonks…”

Tutti e tre girarono lo sguardo verso la porta.

Hetta era ferma sulla soglia. Sporca, spettinata e dannatamente bella, pensò Remus.

“Non togliermi il piacere,” le disse.

Tonks tolse dita e bacchetta. “Ah, già!”

Remus guardò Hetta con insofferenza. Lei non ricambiò lo sguardo. Severus accennò un sorriso.

“Dove andrai, Hetta?” le chiese Tonks.

“Devo ritornare a casa e vedere quello che è rimasto.”

Tonks annuì.

“Rimasto di cosa?” le chiese Remus.

“Della casa dei miei genitori. Mia sorella ed io abbiamo abitato lì dopo la loro morte, ma adesso che è stata uccisa anche lei, devo decidere cosa fare.”

“Quando è stata uccisa?” le chiese Remus, aggrottando le sopracciglia.

“Nello scontro all’Albert Hall a Londra, tre mesi fa.”

“Jennifer Miles… mi dispiace Hetta,” sussurrò Severus.

“Grazie professore.” Hetta lo guardò per la prima volta.

“La conoscevi?” chiese Remus a Severus.

“Jennifer e Hetta sono entrambe Serpeverde. Le conosco bene.”

Hetta gli sorrise tristemente. La voce aveva un tono dolce, quando parlò.

“Dovrebbe preoccuparsi per lei adesso, professore.”

Tonks gli si avvicinò e lo aiutò ad alzarsi.

“Se ti serve qualsiasi cosa, anche una compagnia per il te, chiamami,” disse a Hetta.

L’amica le sorrise.

“Potrai contare anche sulla compagnia di due vecchietti ingrigiti e debolucci,” sorrise Severus guardandole con un ghigno di schermo.

Entrambe arrossirono. Hetta di vergogna, Tonks di rabbia.

“Quando starai meglio me la pagherai, credimi!” gli promise.

Remus guardò il trio che aveva davanti, senza capire.

“Confidenze tra donne, Remus. Tonks non sapeva che stavo ascoltando…” gli spiegò brevemente Severus.

“Muoviti!” esclamò sbrigativa Tonks, prima che il suo uomo si lasciasse sfuggire qualche altra confidenza poco gradita.

Fece un grazioso giro su se stessa e si Smaterializzò con lui nell’ingresso di Grimmauld Place.

 

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Capitolo 3
*** Alla ricerca di un lavoro. ***


3.

 

Tonks lo accompagnò in una delle camere del piano superiore. Non parlarono mai mentre lei puliva la stanza e preparava il letto. Lo fece con pochi gesti sicuri, arieggiando e spolverando, togliendo le ragnatele createsi nel tempo, liberando gli scaffali da libri e carte ingiallite che fece cadere dentro una scatola di latta. La posizionò sulla libreria.

Il letto, di ferro battuto, lineare e semplice, lo preparò con lenzuola fresche di bucato e con una coperta leggera scozzese.

Solo allora si girò verso di lui per parlargli.

Severus era rimasto a sedere in una poltrona, guardandola mentre si muoveva nella stanza, ubriacandosi della sua figura, dei suoi movimenti, dei suoi lineamenti. Le era mancata tanto da sentire dolore quando pensava a lei. Poterla guardare sapendo che non doveva più lasciarla gli era necessario come respirare.

Il suo unico contributo, mentre lei lavorava, erano stati alcuni incantesimi di protezione sulla casa, oltre a quelli già previsti dall’Ordine.

“Devi lavarti,” sentenziò Tonks. “Decisamente.” Lo guardava dall’alto, con la testa inclinata come se lo stesse studiando.

“Noi ci incontriamo sempre quando sono lurido e puzzolente,” commentò Severus con un sorrisino.

Per la prima volta Tonks sorrise. “Ti aiuto a farlo?” gli chiese.

“Non penso di riuscirci da solo. Ti fa schifo l’idea?” le chiese.

Tonks scosse la testa. “Non mi potrebbe mai fare schifo poterti di nuovo toccare.”

Severus si alzò facendosi forza sulle braccia, cercano di ignorare il piacere che gli davano quelle poche parole, e andò verso il bagno, che Tonks aveva sistemato insieme alla stanza.

Lei aveva già aperto il rubinetto della vasca e stava scendendo acqua calda.

“Preparati in vasca. Io vado a prendere alcune cose a casa.”

Severus annuì, del tutto indifferente a quello che lei intendeva fare. Il piacere di un bagno in acqua calda in quel momento era quasi maggiore dell’averla al suo fianco.

Mentre l’aspettava la vasca si riempì e lui si spogliò buttando a terra tutti gli indumenti che indossava e infilandosi con un sospiro di gioia, dentro l’acqua.

Lasciò che continuasse a scorrere lentamente, facendola defluire quando diventava troppa.

Sentì lo schiocco di Tonks che tornava pochi minuti dopo.

La porta del bagno si aprì e lei entrò con le braccia piene di bottigliette.

“Cosa hai portato?” le chiese con una punta di preoccupazione. Era abbandonato contro la sponda della vasca.

“Varie cose…” rispose appoggiando tutto con gran confusione per terra.

“Mi racconterai il motivo di tutto questo, Severus?” gli chiese all’improvviso, inginocchiata a terra fuori dalla vasca, i capelli di un rosso amaranto, gli occhi che brillavano di preoccupazione.

“Sì,” le rispose immediatamente, con fermezza. “Te lo devo, lo so. Lo voglio.” Era coperto dall’acqua fino quasi alle spalle. I capelli erano ancora legati e in parte ormai bagnati.

Con un sorriso Tonks gli illustrò quello che aveva portato.

Prima di tutto gli diede un sapone al profumo di muschio per lavarsi.

Severus eseguì con soddisfazione.

Poi gli fece togliere l’acqua, decisamente lurida, dalla vasca e la riempì di nuovo aggiungendo un bagnoschiuma al profumo di limone.

Severus lo accettò con minore soddisfazione.

Sospirò di piacere quando lei gli lavò i capelli, massaggiandogli la testa. Glielo fece ripetere per tre volte.

Poi si fece aiutare per uscire dalla vasca. Si mise un telo di spugna ai fianchi e un altro sopra le spalle.

“Non sdraiarti a letto,” gli disse Tonks, mentre lui usciva dalla stanza.

“E dove dovrei andare così?”

“Siediti solo sul letto.”

Severus, stanco, accettò. Si mise seduto sul bordo, guardando verso la porta del bagno per vederla uscire.

Quando la vide arrivare con altre tre bottigliette in mano spalancò gli occhi irritato.

“Non mettermi poltiglie addosso!” sbottò.

“Andiamo!” rispose lei con altrettanto vigore. “Non intendo metterti creme di bellezza! Sei pieno di escoriazioni e di lividi. E sei disidratato!”

Gli passò le bottigliette e Severus vide che erano rimedi di erbe.

Sbuffando leggermente aprì la prima e fece per mettersene un po’ sulla mano.

“Fermo!” disse Tonks. Lui la guardò sorpreso.

“Volevo farlo io,” gli disse arrossendo.

Severus accennò un sorriso e gliela passò. Si sdraiò sul letto, chiuse gli occhi e lasciò che Tonks lo accarezzasse con la crema.

Al termine del piacevole intermezzo, Severus si infilò in un pigiama di Remus che Tonks aveva recuperato e si mise seduto sul letto, con la schiena contro i tre cuscini che lei aveva preparato.

Tonks stava ripulendo il bagno.

“Vorresti un po’ di te e di biscotti?” gli chiese dall’altra stanza.

“Non dovresti andare a casa dai tuoi, Ninphadora?” le chiese invece Severus.

“Sanno che sono con te e dove sono,” gli disse apparendo sulla soglia. “Sanno di potermi contattare in ogni momento.”

“Dovresti stare un po’ con loro,” le disse con serietà.

“Non vivo con loro da tempo, Severus!”

“La guerra è finita adesso. Devi stare con la tua famiglia.”

“Sono qui,” gli disse alzando le spalle.

Lui rimase in silenzio. Sorpreso e forse impaurito da quelle poche parole.

“Io…” iniziò incerto su come proseguire.

“È quello che penso io, Severus. Scusami, è troppo presto,” aggiunse rientrando nel bagno per finire il proprio lavoro.

“Ninphadora,” la chiamò dolcemente.

Lei uscì chiudendosi la porta del bagno alle spalle. Lo guardò mordendosi il labbro inferiore.

“Possiamo parlare di ogni cosa. Solo lasciami il tempo per…” si fermò non sapendo cosa dire.

Per riprendere a vivere, forse o per capire cosa volesse fare di se stesso. O solo per capire cosa provava per lei adesso che poteva guardare oltre il giorno dopo.

Rimasero a guardarsi fino a quando un leggero bussare alla porta della camera non fece sussultare entrambi.

“Avanti,” disse Piton.

“Sono rientrato ora.” Remus entrò nella stanza zoppicando leggermente.

“Cosa ti è successo?” chiese subito Tonks.

“Nulla di grave.” Si mise a sedere su una delle sedie a lato della libreria. “Lucius ha provato a scappare per raggiungere la moglie e mi ha scagliato dei tentacoli alle caviglie per bloccarmi. Hetta mi ha spiegato cosa metterci sopra e sono tornato per sapere se potevi darmi una mano.” Fece un cenno a Severus con la testa.

“Se hai la materia prima….” Severus alzò le spalle con sufficienza. “Come hai fatto a superare gli incantesimi di protezione?”

“Ho cerato di indovinare…” rispose con un’alzata di spalle. “Mi è andata bene. Hetta mi ha dato questa, ma non era sicura della composizione, perché era di sua sorella. Abbiamo pensato che tu sapevi cosa fare per controllarla…”

La fece volare verso Severus.

“Ho lasciato la bacchetta di là.” Fece un cenno con la testa verso il bagno. Tonks andò a prenderla mentre Piton annusava la crema nel vasetto.

“Da come puzza direi che è quella giusta.” Fece una smorfia di disgusto. “Spero tu non abbia incontri galanti nei prossimi giorni.”

“Nei prossimi giorni intendo dormire il più possibile e pensare il meno possibile, se mai riuscirò a farlo.”

“Cosa ci aspetta?” chiese Piton con tono preoccupato.

“Hanno chiesto a Kingsley di prendere il posto di Ministro.  Credo che accetterà. Io posso ritirarmi nell’ombra.” Sospirò e si appoggiò allo schienale della sedia. Tonks era rientrata e aveva dato a Severus la sua bacchetta.

Lo guardò mentre la muoveva sopra il vasetto mormorando parole incomprensibili.

“Direi che è fatta decisamente bene,” concluse dandolo in mano a Tonks, perché gliela restituisse. “Probabilmente l’aveva fatta la sorella. Era molto brava in Pozioni.”

“Come era a scuola Hetta Miles?” Remus lo guardò curioso. Allungò una mano per afferrare il vasetto da Tonks.

“Silenziosa per la maggior parte del tempo. Non si notava a meno che non la facessi arrabbiare. Diventata una furia se commettevo un’ingiustizia oppure se lasciavo capire le mie preferenze. Era in punizione parecchi giorni all’anno, con me. Molto brava nel suo lavoro.”

Remus lo ascoltò con attenzione. Poi si alzò.

“Io ho fame e anche voi immagino. Se te la senti potremmo andare tutti e tre alla Tana. Ci sono gli Weasley al completo, Harry e Hermione.”

“No Remus. Ma ho fame.”

“Potresti venire tu Tonks e poi ritornare con qualcosa per lui.”

Tonks annuì. Le era presa all’improvviso una gran voglia di andarsene via da quella camera. Il desiderio di vedere gli amici.

Aveva risposto a Severus senza riflettere e adesso sentiva di aver esagerato. Non con lui, ma con se stessa. Vedere i due uomini parlare di futuro cominciava a riempirla di ansia. Doveva pensare al suo futuro e non sarebbe stato semplice.

Piton era sparito per mesi, fingendosi morto. Lei aveva piano e urlato il suo dolore con gli amici più cari, con la sua famiglia. Aveva compreso dalle poche parole che si erano scambiati che lo aveva fatto per proteggerla e proteggere la sua missione, ma lei si sentiva tradita. Non riusciva a trovare altra parola per descrivere la sensazione che provava.

“Cosa vuoi che ti porti?” Glielo chiese girandogli le spalle per prendersi il maglione.

Piton socchiuse gli occhi, guardandole la schiena. Attese alcuni secondi prima di rispondere, ma lei non si girava.

“Quello che vuoi,” rispose laconico.

“Vado allora.” Gli sorrise e salutò Remus con un cenno della mano. “Appena Molly ha scaldato ti porto la cena.”

“Anche per me, Tonks. Mi fermo con Severus.” La ragazza fece un cenno, mentre Remus si sedeva nuovamente, con un’espressione di dolore.

“Deve bruciare parecchio,” cantilenò Piton.

“Cosa vi è successo?” chiese invece Remus.

Piton, con un’espressione irritata, sbottò.

“Nulla più delle solite stupide discussioni!” Severus si lasciò cadere tra i cuscini, chiudendo gli occhi.

“Avevi concordato con Harry che lo avresti ucciso tu?” Il tono di Remus era diventato sommesso, guardingo.

“No. Silente mi aveva chiesto di proteggerlo,” rispose senza mai alzare la testa dai cuscini.

“Horcrux…” sospirò ancora sconvolto dalla scoperta.

“Già… non lo sapevo neppure io.”

“Non te ne ha mai parlato?”

“Non parlava mai del suo passato. Solo il futuro era importante per Voldermort.”

“Harry…”

“Ah, lui solo all’ultimo momento. Ho tentato di pensare a qualcosa di alternativo al suo sacrificio, ma quei tre sono degli schiacciasassi quando decidono qualcosa. Irremovibili. Impossibili.”

Remus ridacchiò. “Immagino…”

“Perché mi aiuti, Lupin?”

“Non ho motivi per non farlo…”

“Non fare il bravo ragazzo con me!” Piton si mise a sedere sul letto, guardandolo apertamente. “Abbiamo decenni di motivi per odiarci!”

“Siamo cresciuti un po’ da allora. E la vita ci ha rovinati entrambi, non credi?”

“Già…” Poi all’improvviso sorrise “Hetta Miles?”

Remus si sbilanciò con un mezzo sorriso. “Credo che mi trovi odioso…”

“Segno che è intelligente, direi.”

Remus ridacchiò. Poi sospirò.

“Sono quello che sono, Severus. Questo non lo cambia neppure la morte di Voldemort.”

“Lo puoi controllare. Lo hai già provato.”

“Non è così semplice, lo sai.”

Piton rimase in silenzio per un attimo

“Se proprio devi curarti spalma un po’ di quella pozione sulle caviglie.”

In silenzio Remus si tolse scarpe e calzini e si passò la crema sulle caviglie coperte di graffi profondi e dolorosi.

“Qualcuno ti ha curato…”

Lupin alzò lo sguardo. Piton lo stava osservando dal letto.

“Hetta ha fatto un veloce incantesimo di pulizia della ferita. Poi mi ha portato questo schifo! Merlino, come puzza…” Lupin fece una smorfia eloquente. Ma diminuì notevolmente il dolore.

Si sentì all’improvviso uno scoppio provenire dal piano inferiore e la voce stridula della signora Black inveire contro il nuovo ospite.

Prima che uno dei due riuscisse a prendere la bacchetta, la voce profonda di Kingsley li raggiunse.

“Vale più l’urlo di quella donna di qualsiasi protezione magica!”

“Siamo quassù!” urlò Remus.

“Come stai?” Kingsley apparve sulla soglia occupando tutto il vano della porta con il suo corpo.

Diede uno sguardo veloce a Piton con un cenno di saluto quasi deferente.

“Come stai Severus?”

“Entrambi vecchi e derelitti,” commentò schiettamente Severus.

Remus riprese a spalmarsi la crema.

“È merito di Lucius?” L’Auror fece un cenno alle caviglie di Remus.

“Già. Spero che sia arrivato ad Azkaban.”

“Sono tutti già lì, con Malocchio che dirige le operazioni. Cosa ne dici dei Dissennatori? Sono qui per sentire il tuo parere.”

“Ti hanno già dato la carica ufficiale di Ministro?” Remus lo guardò con soddisfazione.

“No, ufficialmente designato dal Ministero. Giurerò tra una settimana circa.”

Non c’era traccia di orgoglio nella voce, solo determinazione e forza.

“Ottima scelta.” La voce profonda di Severus attirò immediatamente lo sguardo di Kinglsey.

“Lo pensi davvero?” gli chiese.

“Sì. Non credo ci sia nessuno in grado di farlo oltre a te o Remus. E lui è evidentemente escluso. Scusa la sincerità…” aggiunse con un cenno della mano verso l’altro uomo.

Remus sorrise con mestizia. “Niente più del vero.”

“Comunque ho bisogno del tuo parere, ufficiosamente se vuoi.” Kingsley incrociò le braccia al petto,  in attesa.

“Sono mercenari. Se gli offri qualcosa che loro ritengono equo, li avrai sempre dalla parte del Ministero.”

“Non voglio trovarmi legato dai loro possibili ricatti,” borbottò pensieroso il nuovo Ministro della Magia.

“Sono troppo stupidi per farlo,” sentenziò brutalmente Piton. “Non rischi nulla se trovi qualcuno in grado di gestirli senza paura.”

Kinglsey lo guardò con un accenno di sorriso. Poi si stropicciò gli occhi con le dita. Era decisamente stanco.

“Se ti fermi un attimo rientra Tonks con la cena da casa Weasley.”

“Prego.” Piton indicò la seconda sedia presente nella stanza, appoggiata sotto l’unica finestra.

Kingsley si mise seduto, allungò le gambe e sospirò.

“Malocchio stava stilando la lista dei prigionieri con l’aiuto di Percy Weasley. Ne avranno per almeno altre due ore.”

“Il Ministero?” Remus si stava infilando di nuovo i calzini.

“Se ne sta occupando il vecchio ViceMinistro per quando riguarda la pulizia interna. Gli incarichi sono tutti sospesi. Solo San Mungo funziona a pieno ritmo. Anche la Gringott è ferma per un controllo della situazione patrimoniale degli arrestati o dei sospettati. Ma lì almeno c’è Bill Weasley che media la situazione.”

Sentirono tutti e tre il crack che segnalava l’arrivo di Tonks e il suo borbottare qualcosa per evitare un incantesimo di protezione.

Attesero in silenzio che salisse le scale.

“C’è anche Kinglsey?” chiese aprendo la porta. Vedendolo seduto vicino alla finestra mise a terra tutto quello che aveva in mano e corse ad abbracciarlo.

“Sono felice che sia tu a guidarci!” Gli saltò addosso, costringendolo a ridere.

“Felice di vederti, Tonks!”

“Complimenti, Kinglsey!”

“Hetta!” esclamò facendo scendere Tonks dalle sue gambe e alzandosi in piedi.

“Ciao, Hetta!” Le si avvicinò a braccia spalancate per abbracciarla. “Sono felice di vedere anche te!”

Tonks li osservò. Avevano frequentato i corsi per Auror più o meno negli stessi anni e si conoscevano bene.  Sapere che il futuro era nelle mani di quell’uomo le dava un senso di piacevole sicurezza e gioia.

Remus e Severus guardarono in silenzio tutti e tre.

Entrambi pensavano che la maggior parte della loro generazione era passata attraverso due guerre ed era stata falciata via dalle battaglie o dalla prigionia. Gli amici erano scomparsi, i nemici erano in prigione.

Non si parlarono né si guardarono, ma si sentivano vecchi e soli, ora più che mai. La fine di quella guerra aveva decretato, per entrambi, la fine della loro effimera gloria.

Erano solo un lupo mannaro e un traditore, chiusi in una casa che apparteneva al passato. In quel momento Severus colse la necessità, per se stesso e per l’altro uomo, di costruire un rapporto di reciproca cortesia e di reciproco aiuto. Non rimaneva altro nella loro vita se non loro stessi.

Tonks sentiva lo sguardo di Severus su di sé e fu tentata di girarsi e sorridergli, ma una fitta di egoismo la solleticò. Provava ancora del risentimento per lui, una spiacevole sensazione di abbandono che non riusciva a controllare o a spiegare. Voleva potergli parlare, ma senza altre persone attorno e non era quello il momento. Si concentrò su Kingsley.

“Comunque mi pare che non fosse il tuo forte, la Trasfigurazione!” lo sentì commentare, ridendo di Hetta.

“Beh, non sono male comunque, come Auror!” sottolineò con decisione la donna. I capelli dorati, tagliati dritti sotto le orecchie, le conferivano un’aria da ragazzina  e la frangia, che non riusciva a tenere ferma dietro un orecchio, le copriva parte del volto facendola sembrare un pirata. Gli occhi scuri saettavano da lui a Tonks.

“C’è del cibo?” La voce cupa e decisa di Piton interruppe bruscamente il dialogo. “Oppure ti sei dimenticata di noi, Tonks?”

“Certo che no, mio signore e padrone!” gli rispose con tono esasperatamente servizievole.

Prese i piatti che aveva appoggiato a terra, entrando e li riscaldò uno alla volta, porgendoli ai tre uomini. Hetta tese loro posate e tovagliolo.

Molly si era ben organizzata, consapevole di dover dar da mangiare a persone che non pranzavano e cenavano decentemente da settimane. Aveva usato quanto di più sostanzioso le era venuto in mente e sui piatti fumavano stufato e patate. Tonks allungò anche una fetta di torta di mele e Hetta fece il giro con la birra.

Nessuno dei tre uomini aprì bocca per parecchi minuti, né si preoccupò di chiedere se le due ragazze avessero mangiato. Comparvero anche fette di pane cucinato in casa e un vassoio con altra carne e altre patate.

“Bene, direi che possiamo andare a mangiare anche noi!” Tonks fece l’occhiolino a Hetta ed entrambe salutarono con un cenno della mano, uscendo velocemente dalla stanza.

Piton, Lupin e Kingsley risposero con un cenno della mano, senza alzare lo sguardo dal piatto.

 

Qualche settimana dopo la fame era stata quasi eliminata. Remus e Severus avevano imparato a cucinare per necessità e lo facevano decisamente bene. In quei pochi giorni si era costruito un fragile equilibrio che permetteva una convivenza cortese.

La casa, enorme per sole due persone, lasciava spazio ad entrambi di stare da soli quando lo desideravano.

Harry Potter aveva deciso di passare gran parte dell’estate a casa Weasley, come chiesto da Molly e Arthur e Grimmalud Place poteva essere usata come base dell’Ordine oltre che come casa per i due uomini. Per questo motivo c’era sempre un costante movimento di persone che passavano a depositare documenti, a ricevere informazioni, a salutare gli abitanti.

Quel venerdì sera, in particolare, era atteso a cena Kinglsey con Bill Weasley, Arthur Weasley e Malocchio Moody per poter definire alcune linee generali di lavoro dentro e fuori dal Ministero.

Anche se molto era stato fatto per escludere dalle cariche ufficiali i simpatizzanti di Voldemort, compresi coloro che, all’improvviso, avevano cambiato opinione dichiarando la loro simpatia per gli oppositori del Signore Oscuro, il Ministero non era ancora considerato un luogo sicuro e Kinglsey preferiva prendere le decisioni con un gruppo di persone che considerava degne di fiducia in un luogo che non fosse pieno di orecchie indiscrete e di occhi curiosi.

Arthur Weasley aveva accettato la nomina di Capo dell’Ufficio per l’Applicazione della Legge sulla Magia.

Malocchio guidava ancora ufficiosamente l’attività di Azkaban in attesa di nominare un mago adatto al compito. Moody aveva espresso la sua opinione e Kinglsey l’aveva condivisa, ma sembrava un’impresa difficile poterla far accettare all’interessato. Oltre che all’opinione pubblica.

Ma quello era il problema minore del Ministro in quel momento. Azkaban era al limite delle sue possibilità di accoglienza. C’era un gruppo numeroso di prigionieri per i quali era necessario istituire i processi prima di arrivare al Bacio dei Dissennatori e se non si iniziavano i lavori del Tribunale era impossibile mettere in moto gli ingranaggi della prigione.

Per iniziare i processi era prioritario ripristinare il potere dei giudici, potere che il Ministero aveva negli ultimi mesi revocato per autonominarsi unico giudice, sottomesso solo alla propria paura di Voldemort.

Tutti i giudici contattati da Kinglsey e Arthur avevano dato la disponibilità a riprendere il posto che erano stati costretti a lasciare. Chiedevano però una guida autorevole e il tempo per definire linee giuridiche chiare. Mentre per l’ultimo aspetto si erano già messi al lavoro, per quanto riguarda la nomina del loro responsabile era compito di Kinglsey individuare una o più persone che fossero degne della carica.

Erano tutti attorno al tavolo della cucina e stavano bevendo della birra fresca. Discutevano da oltre un’ora dei vari problemi.

“Ho quattro giorni di tempo per dare loro dei nomi tra i quali poter scegliere,” spiegò Kingsley ai presenti. “Sicuramente farò il nome di Minerva McGrannit. Ho già sentito anche gli altri Ministri. Avete altre proposte?”

“Hai pensato a McMallan?” propose Arthur. “È sempre stato nell’ombra, ma ha scritto i testi giuridici più conosciuti.”

Kinglsey alzò un dito in segno di conferma. “Me ne ha parlato tuo figlio Percy, ma non lo conoscevo. Viene domani al Ministero per parlarne con me. Potresti esserci anche tu? Nel primo pomeriggio.”

Arthur fece un cenno di assenso.

“Vorrei sentire anche se i giudici stessi hanno qualcuno al loro interno e poi lascerò loro la decisione. Per quanto riguarda le linee generali dei tribunali le dovremo rivedere insieme Arthur. Le passerò anche a Percy per una analisi tecnica. Rimane il grande problema di Azkaban.” Si bevve un gran sorso di birra.

“Prima mangiamo,” propose Remus.

Prese dal forno due torte salate fumanti e le mise in tavola. Vi aggiunse verdura cotta e formaggio. Tutti si servirono abbondantemente e iniziarono la cena.

“Se il problema è l’accoglienza,” disse Piton quando i piatti furono svuotati,  prendendo la torta che aveva preparato e dando di nuovo inizio alla discussione, “perché non usare temporaneamente i sotterranei di Hogwarts? La scuola è chiusa fino a settembre e Minerva dovrebbe essere d’accordo.”

Impegnato a tagliare la torta non vide lo sguardo d’intesa tra Moody e Kinglsey.

“Sei la persona adatta per gestire la prigione.” Lo lasciò cadere come un commento casuale, ma nessuno dei presenti gli credette.

Piton alzò di scatto la testa, puntando gli occhi fiammeggianti su Kingsley.

“Scordatelo!” ringhiò.

“Un Mangiamorte che controlla i Mangiamorte. Non mi sembra una gran pubblicità,” commentò Remus.

“C’è bisogno di te in Tribunale come responsabile della documentazione che sarà prodotta. Vivrai tra le carte per i prossimi quarant’anni,” gli disse Kingsley puntandogli addosso un dito.

“Scordatelo!” esclamò Remus girandosi con foga verso di lui.

“Potete scambiarvi i ruoli se volete.”

Entrambi lo guardarono furenti.

“Non penserai che…”

“Non puoi pensare che…”

Le due voci si fusero insieme. Poi si fermarono.

Piton fece un cenno a Remus per lasciarlo parlare.

“Non puoi pensare che lasciare uno come me in mezzo a dei giudici e in un Tribunale sarà accettato!”

“Uno come te è già stato presentato e accolto dai giudici,” minimizzò Kingsley. “Non ci sono state opposizioni. Anzi, a dire il vero, uno dei giudici ha detto che sei stato il miglior insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure di suo nipote e che ti avrebbe voluto nuovamente ad insegnare.”

Remus scosse la testa incredulo. “Non mi riammetteranno mai all’insegnamento!”

“Probabile, ma non impossibile. Ci lavorerò sopra,” si limitò a dire Kingsley. “Le tue obiezioni?” chiese rivolto a Piton.

“Come a dire che io mi devo limitare ad accettare?” ironizzò Remus.

“Hai altre idee su come guadagnarti da vivere e aiutarci a uscire da questa guerra?” gli chiese Kingsley con durezza.

“Certo che no!” urlò Remus alzandosi in piedi e sbattendo le mani sul tavolo. “Sono un lupo mannaro, accidenti a te!” ringhiò. “Non posso stare in mezzo alla gente!”

“Lo hai fatto benissimo in questi mesi!” urlò in risposta Kingsley, mentre tutti gli altri si limitavano a guardarli in silenzio. A parte Piton tutti ne avevano già discusso ed erano pronti a sostenere la tesi di Kingsley. Anche se in quel momento lo sguardo di Lupin era decisamente più simile a quello di un lupo che di un essere umano. Bill si sentì pericolosamente consapevole dell’empatia che provava.

Il tono del Ministro divenne più contenuto.

“Hai gestito un esercito per mesi, Remus. Senza mai cedere. Nessuno di noi ha mai sottovalutato il tuo problema. Non lo faccio neppure io. Ma ci servi. Se potessi ti avrei messo a capo di quel Tribunale. E se me lo permetti il tuo nome tra i candidati sono pronto a scriverlo!”

Si guardarono a lungo negli occhi. Riconoscevano di essere due personalità forti e che cedere non era nell’indole di nessuno dei due. Avevano discusso molte volte durante i mesi precedenti per definire le strategie, discussioni pacate, ma anche discussioni urlate, nel rispetto reciproco.

Adesso Kingsley era Ministro della Magia e Lupin era consapevole che i ruoli si erano rovesciati ed era lui a dover cedere. Anche se non del tutto.

“Non mi metterò nella condizione di essere rifiutato. Accetto il ruolo di Cancelliere, se pensi che il Tribunale lo approverà.” Si mise seduto con l’atteggiamento di un uomo sconfitto.

Il Ministro fece un cenno di assenso. “Non si possono permettere di rifiutare. Ne sai più tu di quello che è successo e di legislazione di quanto ne sappiano tutti loro. Avrai in mano il controllo di tutto, anche se non formalmente. Chiunque prenderà la carica di Presidente del Tribunale lo riconoscerà. Non ti sto facendo un favore, Remus. Ti sto chiedendo un favore.”

Kingsley guardò Piton. E lui sorrise.

“Anche la mia candidatura è già stata discussa e approvata?” chiese ironico. “Dal Ministero e dai Mangiamorte presenti ad Azkaban?”

“Non ho intenzione di parlarne con dei prigionieri.” Kingsley scacciò con un gesto della mano quell’insinuazione. “Nessuno vuole quel posto, Severus, sono sincero. È un compito che richiede estrema fermezza e coerenza. Sarai da solo a gestirtelo. Non posso affidarti nessun ruolo di responsabilità al Ministero, lo sappiamo. Ma non voglio perdere le tue capacità. Ho pensato anche al San Mungo, nel reparto che si occupa di preparare le pozioni, ma non sei tipo da laboratorio, giusto?”

Piton lo fissò con attenzione. “Ci hai sistemati tutti?”

“Tutti coloro che penso abbiano delle capacità da spendere. Ho bisogno di gente fidata e di persone pronte a dannarsi per mesi per riprendere in mano la situazione del mondo magico. Minerva sarà a capo di Hogwarts. Moolunge ha accettato di guidare il Dipartimento che era di Arthur. Bill prenderà in mano l’ufficio delle Relazioni con i Gobelin. La Caporal passerà al Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. Non so chi prenderà il suo posto ad Hogwarts.”

“Minerva lo ha chiesto a Charlie, provvisoriamente,” annunciò Bill. “Credo che mio fratello abbia accettato per curiosità.”

“Direi che si divertiranno i ragazzi nei prossimi anni,” sentenziò Moody. “Non credo che sarà un’insegnante molto serio.”

“Probabile,” si limitò ad osservare Arthur Weasley.

“Gli Auror?” chiese Piton curioso.

“Anche quello è un problema. Ci sono molti Auror capaci, ma nessuno in grado di guidare l’intera organizzazione. Moody?” chiese all’improvviso, guardando l’amico. “Tu potresti farlo…” Aveva il tono di chi ci aveva appena pensato e il sorriso di chi sapeva bene quello che stava dicendo.

“Il gruppo dei derelitti si allarga,” commentò Piton. “Altre candidature?”

Remus si limitò ad un triste sorriso.

 

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Capitolo 4
*** A cena. ***


4.

 

Qualche ora dopo Severus e Tonks erano distesi a letto, nella camera di Severus.

Tonks era rannicchiata contro il suo petto, godendosi il calore del corpo di Piton contro il proprio. Lo avvolgeva con le braccia e con le gambe, gli occhi chiusi contro la sua spalla.

“Vuoi rimanere qui a dormire?” Severus era disteso sulla schiena, una gamba piegata sul letto e un braccio sopra gli occhi.

Tonks era così stanca che non riuscì a comprendere subito la domanda e rispose con un grugnito privo di senso. Piton sorrise al soffitto, senza togliere il braccio dal volto. Era piacevole sentire il corpo di una donna, di quella donna, abbandonato contro il suo.

Quando se n’era andato da lei era sicuro della propria morte. Intendeva tradire Voldermort e questo non gli avrebbe lasciato scampo.

L’ultimo colloquio che aveva deciso di fare con Harry Potter gli serviva solo per potergli spiegare quanto Silente aveva spiegato a lui, ma era stato il ragazzo che l’aveva stupito con informazioni tali da togliere il fiato.

Lo aveva ascoltato con una sensazione di gelo che gli attraversava il corpo, un misto di terrore e stupore per quello che Voldemort era riuscito a fare. Quando Harry gli aveva posto il problema del serpente e di come poterlo raggiungere si era sentito di nuovo esaltato dalla possibilità di riscattare l’errore fatto tanti anni prima. Harry non l’avrebbe mai perdonato, ma percepiva una qualche forma di ammirazione verso di lui, probabilmente per la sua coerenza e tenacia.

Era stato Ron Weasley ad abbozzare il piano che poi avevano messo in atto.

In quel momento, proprio allora, si era accorto che la vita poteva essere ancora una scelta possibile. Era disposto a morire per sconfiggere l’Oscuro Signore, ma la presenza di Tonks aveva sconvolto ogni suo piano. Si era aggrappato a quella possibilità, cercando di non lasciarsi mai trasportare dalla speranza.

La mente di Voldemort era in grado di leggere ogni sua emozione, ogni suo ricordo. Aveva dato prova, in tanti anni, della sua forza nel opporvisi, escludendo molti dei suoi ricordi dalle invadenti richieste di lealtà di Voldemort e non temeva di fargli vedere dove aveva vissuto in quei pochi giorni, ma intendeva proteggere Ninphadora.

Per farlo aveva controllato le emozioni grazie alla sua esperienza. Quello che temeva era di sentire la voce di lei urlare il suo nome, ma era stata brava, la ragazzina e non aveva pronunciato parola.

In quel momento Tonks aprì gli occhi.

“Mi hai chiesto qualcosa?”

“Se ti fermi questa notte.”

“Sono stravolta dalla stanchezza, Severus…” Gli accarezzò il petto con una mano.

“Lo so, anch’io.” Coprì quella mano con la sua, togliendo il braccio dalla faccia.

Rimasero in silenzio per un po’.

“Ninphadora…”

“Mhm…?”

Piton si girò su un fianco per guardarla negli occhi. I capelli gli scivolarono su una guancia e lui li allontanò con un gesto infastidito.

Tonks lo guardò, in attesa. Quando la chiamava per nome era per avere tutta la sua attenzione.

“Se Voldemort ti avesse vista, anche solo nella mia mente, avrebbe colpito te per punire me. E non potevo permetterglielo. Capisco la tua rabbia e la tua delusione. Ma preferisco vivere con loro che senza di te.”

Tonks lo fissò per un momento. La rabbia accumulata dentro stava bollendo quanto l’acqua per il the. Bolle e bolle di tensione e di frustrazione. Gli si lanciò addosso, costringendolo a girarsi nuovamente con la schiena contro il materasso. La sentì piangere e tempestargli il petto di pugni.

Le fermò le mani con le proprie.

“Ehi! Fermati…” Gliele lasciò andare lentamente e lei rimase contro il suo petto, scossa dai singhiozzi.

“Ti odio!”

“Sei ripetitiva.”

“Sei un maledetto egoista!”

“Per aver scelto la tua vita invece della mia?”

“Non è così!”

“E come la vedi allora?”

Tonks si alzò, mettendosi seduta sui talloni, al centro del letto. Lo guardò per un attimo e poi scese, portandosi contro la finestra della camera.

Si strinse le braccia al petto e lo fissò.

Aveva i capelli scompigliati, gli occhi e il naso rossi.

“Mi hai messa da parte! Potevi parlarmene! Dirmi che c’era una possibilità! E invece mi hai lasciato credere che fossi morto, che non ti avrei mai più avuto tra le braccia!”

Piton si era messo a sedere sul bordo del letto e la guardava serio.

“Voldemort mi ha letto così tante volte la mente per assicurarsi la mia lealtà” le spiegò con pacatezza. “Tante volte ha guardato i miei ricordi, il mio passato. Non volevo che tu facessi parte di quello che poteva vedere.”

“Pensavo fossi morto!!” gli urlò Tonks, stringendosi ancor di più le braccia sul petto. “Ti ho pianto per giorni!!”

Piton la guardò in silenzio.

“Questo non posso cambiarlo, Ninphadora. Posso solo spiegarti perché l’ho fatto e dirti che lo rifarei.”

“NON ESSERE COSÌ RAGIONEVOLE!” gli urlò piangendo. Era scossa dai singhiozzi.

Piton rimase interdetto.

“Ninpha…” Era una domanda. Vedeva il suo dolore, ma non lo capiva e non sapeva come proteggerla.

Tonks si lasciò scivolare a terra, rannicchiandosi con la testa tra le ginocchia.

Allora Severus si alzò di scatto e le si mise accanto, abbracciandola.

“Ninpha… amore…” le sussurrò tra i capelli.

Lei lo guardò con gli occhi bagnati, il naso e le guance arrossate, le labbra che tremavano.

“Amore….” Le prese il volto tra le mani, imbarazzato e intimidito.

Lei continuò a guardarlo, come in attesa di qualcosa d’altro.

“Ti amo, Ninpha…”

Tonks chiuse lentamente gli occhi e lo abbracciò.

“Ti odio…” gli disse ancora, la voce soffocata che gli solleticava il collo.

Rassicurato da quelle parole, Severus la strinse a sé.

“Alzati,” le chiese dopo qualche secondo.

Tonks si alzò, pulendosi la faccia con la manica della maglietta. Sorridendo Piton le baciò gli occhi.

“Due volte in meno di un anno è abbastanza per me,” le disse di nuovo guardandola negli occhi.

Gli rispose con un sorriso tremolante.

La baciò di nuovo sugli occhi e fece scivolare le mani dai suoi fianchi alla schiena.

Tonks si appoggiò di nuovo contro il suo petto.

“Hai la camicia bagnata,” sussurrò.

“Lo immagino.”

“Te lo sei cercato, comunque.”

“Sì, lo so.”

“Sai sempre tutto, come quando eri il professore. Sei un rompiscatole. Sei fastidioso. Sei arrogante.”

“Allora perché mi ami?” le chiese sorridendo.

“Ti odio!”

“Ah, già.” Le baciò la testa. “Sono anche bugiardo. Insofferente. Intransigente.”

“Egoista.”

“Posso sperare in qualche aspetto positivo?”

“No!”

“Neppure per aver pensato a te prima che a me stesso?”

“Quando?” Tonks si staccò da lui e lo guardò.

“Mi hai ascoltato oppure no?” si inalberò Severus.

“Sempre,” gli rispose. “Anche quando spiegavi quelle stupide pozioni del primo anno. Sai, quelle che nessuno riesce a fare perchè sono troppo difficili.”

Piton sorrise.

“Non ci sei mai riuscita, vero?”

Tonks allungò le braccia fino a circondargli il collo.

“Eri pronto a morire per salvare me.”

Piton fece un piccolo cenno di assenso.

“Allora per il futuro, ricorda che preferisco morire che stare senza di te.”

Piton la fissò per alcuni secondi e scosse la testa.

“No, questo non lo accetterò.”

“Non mi interessa. È una mia scelta, non tua.”

La guardò un momento.

“Stai usando il mio ragionamento contro di me.” Aveva la voce arrochita dalla stanchezza e dall’emozione. La voce che Tonks sentiva quando pensava a lui, bassa, profonda. Sensuale.

“Più o meno…” gli sorrise. “Ma è una scelta che farei veramente.”

“Non per me, Ninpha. Io non ho nessuno a parte te, tu hai la tua famiglia e molti amici. Non saresti sola.”

“Senza di te?” chiese ironica.

Piton appoggiò la fronte contro quella della ragazza e chiuse gli occhi.

“È una discussione senza fine questa.”

“Sì. Possiamo pensare a dormire per ora.”

“Bene, perché credo che mi addormenterei anche in piedi.”

Si staccò da lei e le accarezzò una guancia.

“Vai a casa. Ci possiamo vedere domani sera?”

Tonks fece un cenno di assenso.

“Mangiamo con Remus?”

“Sì, direi di sì. Porta Hetta con te, così li guardiamo litigare.”

Tonks gli pizzicò una spalla.

“Ahi!”

“Non scherzare con i sentimenti altrui!”

“Io sono troppo ragionevole per sapere cosa sono i sentimenti,” le rispose.

Tonks scoppiò a ridere e lo baciò.

 

La sera successiva Hetta arrivò prima di Tonks, portando vino e dolce.

Piton era già  ai fornelli e un profumo di salmone affumicato si sentiva nell’aria.

“Maggiorana…” disse Hetta entrando in cucina.

Si erano salutati a distanza quando aveva suonato alla porta e Piton le aveva aperto con un colpo di bacchetta dopo averle semplicemente chiesto di identificarsi.

Anche accogliere gli amici diventava molto più semplice in tempo di pace.

“Sto pensando si aggiungere un po’ di paprika…” aggiunse pensieroso Piton. Si girò a guardarla. “Eleganti…” commentò.

Hetta sorrise.

“Erano mesi e mesi che non indossavo una gonna!” Fece un giro su se stessa per mostrare il vestito fiorito.

“Buona scelta.”

“Presumo sia un complimento!”

“Il migliore possibile.”

Hetta depositò una torta e una bottiglia di vino che aveva tra le mani.

“Tonks?”

“Deve arrivare a minuti. Remus è sopra che si fa una doccia.”

“Ah... avete cominciato con il Ministero?”

Piton si girò nuovamente verso di lei, allungandole un bicchiere di vino bianco.

“Ufficialmente. Con una discreta accoglienza per entrambi. Il Tribunale sta cominciando a viaggiare a pieno regime e la prigione di conseguenza. In realtà oggi abbiamo fatto solo riunioni e riunioni. Devo ancora andare ad Azkaban.”

“Professor Piton…”

“Severus.”

“Ok, Severus. Ho parlato con Kingsley e mi ha proposto di entrare nel gruppo che guiderà di Auror. Io…” Hetta abbassò lo sguardo un attimo, quasi arrossendo. “Pensi che possa farcela?”

“Hetta Miles!” Il tono di Piton era deciso. “Smettila di pensare a come lo avrebbe fatto tua sorella! Sei troppo grande per continuare  a sentirti inferiore a lei.”

“Mi hai sempre rimproverato per questo.” Sospirò. “Ma non riesco a non pensare che lei sarebbe perfetta per questo compito.”

“Ma non può farlo, Hetta. E non pensare di farlo come se fossi lei!”

Hetta sorrise e poi si morse le labbra.

“Lo ho già pensato…”

“Buonasera Hetta.”

Lei rigirò di scatto al suono della voce di Remus.

“Ciao,” rispose d’istinto, gli occhi spalancati.

“C’è del vino anche per me?”

“Prego.” Piton gli allungò un bicchiere. “Hai preso la pozione?”

“Sì, grazie di averla preparata.”

“Stai male?” chiese Hetta.

“Una notte al mese, di solito,” rispose Remus con leggerezza, ma irritandosi per quella mancanza di attenzione nei suoi confronti.

Hetta comprese all’istante il significato di quella frase.

“Siamo in luna calante…” disse perplessa.

“Puoi venire a cena ancora per qualche sera, allora…”

“Antipatico!” sussurrò Hetta con un tono perfettamente udibile.

Piton, appoggiato contro la cucina, li guardava ghignando, del tutto indifferente al pesce e alle verdure. Hetta era ancora seduta al tavolo e osservava apertamente Remus che, dalla finestra, guardava il cielo, quasi ad avere conferma della fase lunare.

“Come?” chiese Remus guardandola con apparente antipatia.

“Antipatico,” disse di nuovo lei a voce ben chiara. “Non metti certo a loro agio gli ospiti.”

“Un vero maleducato…” ironizzò Remus.

“Un vero lupo,” rispose lei.

“Colpo basso, Hetta.”

“Hai iniziato tu il gioco. Io ho solo chiesto se stavi male.”

“Per potermi controllare nelle notti di luna piena prendo una pozione che Severus mi prepara e che mi aiuta a risentire molto meno degli effetti della mia… mutazione…” spiegò Remus con voce tranquilla.

“Adesso capisco. Quando ti trasformi, stai molto male?”

“Scusa?”

Nella sua vita ben poche volte si era sentito chiedere qualcosa sul suo essere un lupo mannaro. Di solito le persone davano per certo che gli piacesse girare di notte in cerca di prede da mordere. Oppure avevano troppa paura per chiedere qualsiasi cosa.

James, Sirius, Lily si erano veramente preoccupati per lui. I suoi genitori. Silente. Minerva. Piton a modo suo, facendogli trovare la pozione senza che lui la chiedesse. Certamente nessuna donna, tra le poche che avevano condiviso del tempo con lui.

“Non è abituato alla gentilezza…” la informò Severus, girandosi verso i fornelli.

“Non sono abituato alla sua gentilezza,” lo corresse Remus.

“Neppure io alla tua! E non ne ho avuto ancora nessun esempio!” sbottò Hetta, alzandosi in piedi per fronteggiarlo.

Lo sguardo di Remus venne attratto, senza che potesse controllarlo, verso la scollatura del vestito. Non era particolarmente appariscente, ma si era spostata e si notava l’attaccatura del seno.

Arrossirono entrambi, guardandosi all’improvviso negli occhi.

Distolsero lo sguardo altrettanto velocemente e Hetta sistemò il tessuto.

Piton, meravigliato dal silenzio, si girò e vide due persone adulte, rosse in volto che cercavano di non guardarsi. Aggrottò le sopracciglia, pensieroso.

“Avete già finito di litigare?” chiese esplicitamente.

“Direi di sì,” gli rispose Remus. “Apparecchio la tavola.”

Muovendosi dando sempre le spalle a Hetta, sguainò la bacchetta e cominciò a far volare piatti e posate.

Piton cercò lo sguardo di Hetta, ma lei gli restituì un sorriso timido.

“Salve!”

Tonks si presentò in cucina in quell’istante.

L’estate sembrava aver colpito tutte le donne in quella serata. Anche Tonks indossava una gonna lunga e vaporosa e una maglietta attillata che la rendevano molto femminile. Piton l’accolse con uno sguardo ammirato, anche se apparentemente indifferente.

Lei gli sorrise orgogliosa.

E un pensiero colpì la mente di Piton. Tonks stava salutando Hetta e Remus le aveva appena fatto un cenno con la mano. Severus si avvicinò all’uomo curioso di avere conferma di quello che pensava.

“Credi che dovremmo vestirci anche noi per l’occasione?”

Indossavano entrambi pantaloni di cotone e maglietta, quanto di più comodo erano riusciti a trovare dopo una giornata di riunioni in camicia e pantaloni pesanti e fastidiosi.

“Quale occasione?” chiese distrattamente Remus.

“Non mi pare un vestito troppo trasparente,” commentò Piton, scegliendo l’approccio diretto.

Remus si irrigidì. Però quando si girò verso di lui, stava ridacchiando.

“Per un attimo le ho visto un po’ di più la scollatura, tutto qui.”

“Probabilmente se la guardi più spesso fa meno effetto…” commentò serio Piton.

Remus si girò a guardarlo con gli occhi spalancati.

Piton alzò le spalle.

“Tra noi due chi dovrebbe essere l’esperto?”

Da quando avevano iniziato a collaborare parlavano solo di lavoro e a volte del passato. Non si erano mai impegnati in conversazioni personali, tranne qualche commento ironico. Sapevano abbastanza l’uno dell’altro da riuscire ad immaginare, comunque, quale poteva essere stato il rapporto con le donne fino a quel momento.

Piton gli scoccò un’occhiata quasi paterna.

“Credo io…” gli rispose serio.

“Probabile…”

“Cosa è probabile?” chiese Tonks che, in attimo di silenzio, lo aveva sentito.

“Nulla,” minimizzò Remus con un gesto della mano. “Quanto manca alla cena, Severus?”

“Quando volete…” Piton tornò ai fornelli per dare un’occhiata a tutte le sue pentole.

Hetta e Tonks si guardarono un attimo e si misero a sedere.

“Come è andata la giornata?” chiese Tonks a Severus.

“Kinglsey deve ancora capire cosa significa guidare un Ministero. Tende  a comandare un esercito.”

“Direi che gli hai mostrato la differenza,” si intromise Remus, sedendosi a fianco di Hetta. “Sei stato l’unico a dare qualche parere diverso dal suo. Con la solita grazia,” si prese intanto il piatto del pesce, “ e credo che Kingsley non l’avesse ben preventivato.”

Remus guardò Hetta, mentre le serviva il pesce sul piatto.

“Grazie, basta così.”

“Esempio di gentilezza,” osservò Remus lasciando il piatto a Tonks.

“Dobbiamo dichiararci soddisfatti per la serata, allora,” commentò Hetta.

“Di cosa parlate?” chiese Tonks.

“Hetta mi ritiene un uomo antipatico e scortese.”

“Tu? Scortese? Ma se sei attento anche ai croccantini per il gatto di Hermione!”

“Sei più gentile con un gatto che con me?” Hetta appoggiò le posate e si girò a guardare Remus con espressione furiosa.

“Un gatto non ha la possibilità di lamentarsi se me ne ricordo un giorno ogni tanto…” commentò Remus, maledicendo l’intervento di Tonks, mentre si prendeva la sua parte di cena. “E se guardo il gatto non mi faccio distrarre dalla sua bellezza.”

Remus la guardò negli occhi.

Percepì il sorriso di scherno di Piton e l’espressione meravigliata di Tonks, anche senza guardarli.

Hetta non rispose nulla, ma non distolse lo sguardo dal suo, arrossendo leggermente.

“Grazie,” sussurrò.

Remus le sorrise e prese a mangiare.

“Credo che Kinglesy,” disse Piton per smorzare la tensione che si era creata, “preferisca pensare di avermi chiamato a collaborare anche per avere qualche parere diverso dagli altri.”

“Questo è il tuo pensiero,” osservò Remus, brandendo la forchetta, “per motivare ogni opinione diversa o contraria.”

“Potrebbe anche essere…” ammise Piton mangiucchiando qualcosa.

“Vi conoscete da molto, voi due?” chiese Hetta. “Vi parlate con molta schiettezza.”

“Abbiamo frequentato Hogwarts negli stessi anni,” disse Piton scurendosi un po’ in volto.

“Non andavamo molto d’accordo, allora. Sai, Case diverse, idee diverse… ci siamo rivisti solo negli ultimi anni,” spiegò velocemente Remus.

“Ah. Tu eri con i genitori di Harry Potter, giusto?”

Remus appoggiò la forchetta. “Esatto.”

“Come mai adesso siete così…” Hetta si fermò in cerca della parola più adatta a descrivere quello che vedeva. Remus e Severus rimasero in silenzio a guardarla.

“… vicini?” concluse con una smorfia poco convinta.

“Siamo rimasti quasi solo noi due di quegli anni,” disse velocemente Remus.

Hetta lo guardò colpita e dispiaciuta.

“Dei Griffondoro. Dei Serpeverde che frequentavo io la maggior parte la ritroverò ad Azkaban,” spiegò Piton con maggiore tranquillità.

“Scusate, non volevo parlare di qualcosa di triste.”

Remus le sorrise, distogliendo lo sguardo dal piatto di fronte a sé.

“Voti scarsi in Divinazione, presumo…”

Hetta incrociò le braccia e lo fulminò.

“Per tua informazione, signor Lupin, sono uscita con una quantità impressionante di Eccezionale dai miei M.A.G.O. !”

Remus continuò a guardarla con un sorrisino ironico in volto, appoggiando il mento sulla mano e il braccio sul tavolo.

“Raccontami qualcosa di questa tipetta a Hogwarts, Severus…”

“Era veramente brava.” Piton e Tonks continuarono a mangiare pesce e verdura con aria divertita.

Hetta si sistemò sulla sedia, soddisfatta, lanciando uno sguardo di superiorità a Remus.

Si persero per parecchi minuti nel descrivere gli anni di Hetta a Hogwarts. Tonks ricordò di serate passate a discutere di Piton e delle sue complicate lezioni. E anche delle ipotesi sulla vita privata degli insegnanti.

“Gran pettegola,” suggerì Remus stringendo gli occhi.

“Decisamente scarso in Divinazione, signor Lupin!” cinguettò Hetta.

Remus spalancò gli occhi e trattenne una risata.

“Molto silenziosa, educata, studiosa…?” chiese con tono esageratamente sorpreso. “Rompiscatole? Noiosa?”

Hetta spalancò la bocca.

“Ha partecipato a non pochi scherzi, da quello che mi ha raccontato Bill Weasley…” sussurrò Tonks.

“Beh, sicuramente Bill ne ha fatto le spese qualche volta,” ammise Hetta, compiaciuta, guardandola. “Se non fosse stato così carino e perfetto avrebbe attratto meno l’attenzione delle ragazze!”

“Oh, un amore perduto,” sospirò Remus.

Hetta si girò nuovamente verso di lui.

“Non ho difficoltà ad ammettere che Weasley è un bell’uomo…” affermò con decisione.

“Non mi ricordo che tu fossi tra le sue adoranti ammiratrici…” Piton era perplesso.

“Certo che no! Dovevo pur mantenere il giusto distacco di una Serpeverde. Erano quelli di Corvonero,” aggiunse indicando Tonks, “che osavano tradire la Casa per correre dietro ai Griffondoro…”

“Ci sono cose che richiedono un po’ di flessibilità…” commentò Tonks decisa. “E un uomo può essere un motivo sufficiente per mescolare le carte.”

“Anche se non è carino come Bill Weasley?” chiese Severus con apparente indifferenza.

Tonks gli sorrise.  “Ho sempre avuto dei gusti tutti particolari in fatto di uomini…”

“Ci ha provato anche con me, sappilo, Severus.” Remus si mise a sedere rilassato contro la sedia, accavallando le gambe magre, sorridendo

Piton alzò lo sguardo di scatto verso di lui.

“Oh, Merlino! Volevo solo fare una prova!” Tonks gli lanciò un tovagliolo, colpendolo ad una spalla, mentre lui rideva.

“Una prova?” chiese Severus con voce profonda guardandola con attenzione.

“Prima di conoscerti.”

“Avevi undici anni quando mi hai conosciuto,” obiettò perplesso.

Tonks alzò gli occhi al cielo. Hetta rise divertita.

“Prima che iniziasse questa storia con l’Ordine…”

“L’Ordine della Fenice è nato quasi venti anni fa…” obiettò Remus. Severus annuì.

Tonks sospirò, guardandoli irritata.

“Si riferisce ad almeno quattro anni fa,” iniziò con il tono di chi racconta una favola a dei bambini. “Prima che ti incontrassi di nuovo nell’Ordine e prima di tutto quello che è successo tra noi.” Arrossì leggermente. Severus trattenne un sorriso. “Ho fatto alcune prove di seduzione con Remus, ma sapeva benissimo che non erano tentativi veri.” Gli puntò contro un dito. “E lui mi ha detto che facevo pena come seduttrice.”

“Ti sei messa a ridere mentre mi facevi una dichiarazione,” ricordò Remus.

“Tonks!” rise Hetta. “Avevi bisogno di fare delle prove?”

“Beh, il tipo era un Auror che arrivava dalla Spagna, sai gli scambi tra nazioni…”

“L’istruttore spagnolo di Difesa?” Hetta spalancò occhi e bocca. “Credo che ci abbiamo provato tutte con lui!”

“Probabile,” rise Tonks con lei. “Era decisamente attraente, no?”

“Uno degli uomini migliori che ho visto!” confermò Hetta. “Soprattutto a petto nudo mentre mostrava come atterrare un avversario.”

“Già…” Tonks le fece l’occhiolino.

“I due vecchietti qui presenti ringraziano…” sussurrò Piton.

Aveva raccontato a Tonks di averla seguita nei pochi giorni precedenti lo scontro finale, di averla osservata e di aver ascoltato in parte le sue conversazioni, compresa quella con Hetta sulle colline di Godric’s Hallow. Tonks ne aveva riso con lui, ma non aveva avuto la possibilità di spiegarlo a Hetta.

“Mi fanno sentire decrepito…” sospirò Remus.

Hetta aveva trattenuto il respiro, ricordandosi del commento dell’amica. Guardò Severus che le fece l’occhiolino.

Il Professor Piton che faceva l’occhiolino… Tonks e Hetta lo guardarono come fosse un esemplare raro di umanità.

Remus sembrò non percepire la tensione. Si alzò in piedi.

“Porto via i piatti e prendo il dolce di Hetta.” Si allontanò dal tavolo dopo aver raccolto i piatti e si avvicinò alla cucina dove aveva appoggiato la torta e i piattini.

“Non intendo dire nulla di più, Hetta.” Severus parlò a voce bassa.

“Eri lì?” gli chiese lei.

Severus annuì.

Hetta si lasciò andare contro la sedia.

“Mi sento stupida in questo momento…”

“Io mi sto divertendo…”

“Felice di renderti felice,” sbottò Hetta lanciandogli il tovagliolo.

“C’è una gara di lancio?”

Remus allungò un piattino con il dolce a Hetta e un altro a Tonks. Li presero ringraziando. Ritornò quasi subito un altri due piatti. Ne allungò uno a Severus e si mise seduto a mangiare il suo.

Severus assaggiò la fetta, limitandosi a due bocconi.

“Hai mangiato poco.” Tonks gli mise una mano sul polso.

“Il mio stomaco non si è ancora abituato alle grandi quantità. Ma adesso assaggio tutto, ragazzina.”

Tonks non rispose. Si limitò a guardarlo accarezzandogli la mano.

“Credo che tu stia mettendo in imbarazzo gli altri ospiti,” le disse Piton togliendo la sua mano dal quella della donna con una breve carezza. “Non mi sento debole o ammalato.”

“Scusatemi…” Tonks sorrise agli amici, avventandosi sul suo dolce e allungando il piatto vuoto a Remus perché lo riempisse.

“Posso terminare la mia fetta?”

“Quanto sei lento… me la prendo da sola.”

“Brava. Porta anche il vino e i calici.”

“Ci sono calici in dotazione alla casa?” Meravigliata Tonks li fece volare dal piano della cucina al tavolo, riempiendosi poi il piatto con il dolce.

“Molly ha sistemato al meglio. Harry si troverà tutto pronto al rientro.”

“Credi davvero che tornerà qui, Remus?”

“Dove dovrebbe andare? Può rimanere alla Tana finché vuole, ma una casa sua è bene che la mantenga.”

“E voi due?” chiese Hetta alzandosi per prendere anche lei un’altra fetta di dolce.

“Possiamo pensarci tra qualche mese. Harry si fermerà dagli Weasley a lungo, da quello che ha detto Arthur oggi.”

“Cosa vi aspetta domani?”

Remus e Severus raccontarono della giornata appena trascorsa e dei progetti per i giorni successivi.

“Bene,” concluse Remus dopo quasi un’ora di chiacchiere. “Direi che potete passare in uno dei salotti mentre io sistemo la stanza.”

“Ti posso dare una mano?” chiese Hetta.

“Non è necessario.”

“Mi vedi meglio in salotto a guardare il Professor Piton e Ninphadora Tonks avvinghiati sul divano?”

Severus scoppiò a ridere.

“Beh,” ammise Remus controllando la risata, “raccontata così sembra una cosa assurda.”

“A me piace passare per l’ex alunna che seduce professori maturi e derelitti…” Tonks abbracciò Severus mentre lo diceva, guardandolo con aria innocente.

“Cerca di limitarti ad una sola esperienza. Non credo che Vitius lo sopporterebbe,” le rispose Severus baciandole la fronte.

La risata di Tonks si perse per il corridoio.

“Bene, che si fa?” Hetta si alzò in piedi e guardò Remus.

“Sparecchiare, lavare i piatti, asciugare i piatti, sistemare la cucina. Approvi il progetto?” Remus era appoggiato con le mani alla sedia.

“Vai al lavello e immergi le mani in acqua, le mie si rovinano subito.” Gli fece un cenno perché si muovesse rapidamente e iniziò a raccogliere piatti, posate e bicchieri.

Portando le stoviglie vide che Remus si era sistemato un canovaccio alla vita e stava iniziando realmente a lavare i piatti senza bacchetta.

“Lo fai davvero a mano?”

“Strano, vero? È il mio momento di silenzio e rilassamento.”

Sorridendo lei gli mise tutto nel lavello, dove già c’erano gli altri piatti.

Sistemò la tavola, togliendo tovaglia e tovaglioli, sistemando sedie e pulì per terra usando scopa e bacchetta.

Lavorarono in silenzio, piacevolmente. Come se si trattasse della vita di tutti i giorni.

Terminato il lavoro si mise a fianco di Remus. Aveva lavato la maggior parte delle stoviglie che stavano sgocciolando dentro una vaschetta di scolo.

Si guardò in giro e prese un canovaccio per asciugarle.

“Non hai più risposto alla mia domanda.”

“Quale?” Remus si fermò un attimo a guardarla. Non se lo ricordava.

“Se fa male la mutazione, con la luna piena.”

“Ah, già…” sospirò. “Sì, fa male.”

“Fisicamente?”

“Non solo. Capisco cosa sta accadendo, ma non posso oppormi.”

Hetta rimase un attimo in silenzio, cercando di immaginare il dolore che doveva provare.

“Non puoi evitarlo?”

“Con la pozione di Severus. Ma devo prenderla con costanza e non è facile. E comunque ci sono cose che non posso evitare.”

“Quali?”

Continuavano a lavare e asciugare le stoviglie fianco a fianco, senza guardarsi.

“Divento più irritabile, aggressivo. Tendo a mangiare carne sempre più cruda. Ho bisogno di stare all’aperto. Mi è capitato di mordere oggetti. Alcune persone hanno dovuto difendersi. Anche amici.”

Elencò tutto questo con tono dimesso, rassegnato.

Hetta rimase in silenzio, cercando di capire quale potesse essere la mossa successiva.

Remus pensò che il silenzio fosse il segnale che la curiosità era stata soddisfatta e non era più interessata alla sua vita. Trattenendo la delusione terminò il lavoro.

“Portiamo il vino in salotto?” chiese Hetta asciugando l’ultimo piatto di portata.

“Se vuoi,” disse laconicamente Remus. Afferrò la bottiglia e quattro calici.

“Remus…”

Si bloccò sulla porta, girandosi verso di lei. Rimase in silenzio a guardarla.

“Non volevo essere invadente. Solo…”

“La gente non mi chiede nulla del… mio essere così…” spiegò brevemente. “Non sono abituato a parlarne.”

“Ma sei un lupo mannaro.”

“Sì.”

“E non ti piace.”

“Sì.”

“Non puoi cambiare la tua natura?”

“No,” sbottò quasi ridendo. “Lo avrei già fatto.”

“Domanda sciocca, hai ragione.” Arrossì e si girò a sistemare il canovaccio.

Remus la osservò, ammirandone il corpo e i capelli così lucidi e lisci. Era una sofferenza innamorarsi. Non c’erano più James e Sirius a consigliargli di provarci comunque e a consolarlo quando veniva respinto. Era solo.

“Dobbiamo avvisare che stiamo arrivando?” gli chiese sorridendo Hetta.

Remus sorrise di riflesso. “Bussiamo alla porta.”

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Capitolo 5
*** 5 ***


5.

Trovarono la porta del salotto aperta.

Piton e Tonks erano seduti sul divano, abbracciati e stavano parlando della situazione politica.

“Comunque Kinglsey ha ragione!” stava affermando Tonks con decisione.

“Su cosa?” chiese Remus entrando.

“Rispetto a quello che dice Severus.”

“Qualsiasi cosa dica Severus,” aggiunse Piton con tono sommesso.

“Lo irrito…” Tonks appariva compiaciuta di questo suo risultato.

Remus e Hetta si misero seduti sul divano di fronte al loro. Remus riempì i calici con il vino rimasto e li lasciò sul tavolino in mezzo a loro.

“Mi sembra che tu ci riesca spesso.”

“Troppo spesso.” Il tono sommesso di Piton non convinse nessuno degli altri tre. Severus Piton odiava essere contraddetto.

“Parliamo di altro?” chiese Remus appoggiandosi allo schienale del divano con le gambe accavallate e sorseggiando il vino.

“Hai l’aria di un uomo soddisfatto,” disse Tonks.

“Ho mangiato bene, ho un lavoro e un tetto sopra la testa. Direi che mi posso dire soddisfatto.”

“Sei sempre molto pratico,” borbottò Tonks. “Dev’essere la vostra generazione.”

In silenzio Remus terminò di bere il vino.

“Come è andato il rientro a casa, Hetta?”

Hetta si girò verso Severus, notando come la sua mano appoggiasse, leggera, sulla spalla di Tonks. Era  da invidiare, pensò.

“Ho dovuto prendere per mano molte cose di Jenny e decidere cosa farne. Mi sento svuotata. Avevo bisogno di venire qui e non stare sola.”

“Posso aiutarti?” Tonks si stava sporgendo verso l’amica con un braccio proteso.

Hetta le strinse velocemente la mano.

“Posso farcela da sola.”

“Serpeverde…” ghignò Piton. “L’orgoglio di essere in grado di fare tutto da soli.”

“Per te è perfetto!” Parlando Tonks gli diede un pugno sulla spalla.

Remus li guardò sorridendo, anche se la mente stava già ritornando al passato.

All’improvviso entrò dalla finestra una piccola volpe vaporosa, portandosi appresso una scia di luce. La voce era di un Auror, Georgette Smith.

“Qualcuno ha tentato di fuggire da Azkaban, Severus. Moody ha bisogno di te immediatamente.”

Scattarono tutti e quattro in piedi.

Piton uscì dalla stanza quasi correndo.

Remus e Hetta appoggiarono i calici sul tavolino e seguirono Tonks sul pianerottolo delle scale.

Piton stava già scendendo di corsa con il mantello sulle spalle.

Diede un bacio veloce a Tonks. Si girò verso Remus.

“Rientro quando posso. Appena so qualcosa mi faccio sentire. Avvisa Kingsley che sto andando là.”

Remus fece un cenno di assenso.

“Non aspettarmi qui!” disse rivolto a Tonks.  “Vai a casa…”

E scivolò lungo le scale fino alla porta d’ingresso.

Remus fece scoccare il suo Patronus dalla bacchetta con l’informazione per Kingsley.

Tonks si stava mordendo il labbro inferiore. Sospirò.

“Penso che sia meglio andare a casa, a questo punto. Potrebbero chiamarmi. Immagino che abbiate già riordinato…” Guardò i due amici.

“Tutto a posto,” le confermò Remus. “Vai pure.”

“Ci vediamo quanto prima,” gli rispose baciandolo su una guancia. “Grazie di tutto. Hetta…” si girà verso di lei. “Chiamami in qualsiasi momento ti serva.” Le fece l’occhiolino. “Se invece avranno bisogno di noi, ci troveremo quanto prima insieme!” Le fece l’occhiolino.

“Non mi tirerò indietro.”

Tonks li salutò ancora con un cenno della mano e scese al piano terra.

Remus e Hetta rimasero sulle scale in silenzio per qualche secondo.

“Andrò anch’io…” disse la donna. Poi rientrò nel salotto e ne uscì con i calici sporchi e la bottiglia mezza vuota. “Rimetto un po’ in ordine.”

“Puoi dare a me…” la fermò Remus allungando le mani.

“Ma no…”

Hetta si mosse verso le scale, cercando di passare a fianco di Remus, ma la poca luce proveniente dalle candele della sala la ingannò e si ritrovò quasi addosso all’uomo. Remus d’istinto allungò un braccio per sostenerla, avvolgendole i fianchi e appoggiando la mano sulla schiena.

Ad entrambi si bloccò il respiro. Evitarono di girare lo sguardo l’uno verso l’altra.

Quasi senza pensare, Remus le accarezzò la schiena e ad Hetta sfuggì un piccolo sospiro.

“Lascia andare quei bicchieri…” sussurrò Remus in fretta.

Hetta d’istinto aprì le mani. Bicchieri e bottiglia le scivolarono dalle dita. Remus aveva afferrato la propria bacchetta e mormorando un incantesimo li fece appoggiare a terra senza danno.

Le mani di Hetta rimasero immobili, lungo i suoi fianchi, mentre Remus la spostava contro di sé e le cercava la bocca con la propria.

Era un bacio arrivato per caso, inatteso e sorprendente. Leggero.

Remus interruppe il bacio, ma le sue labbra continuarono a sfiorare quelle della ragazza.

“Sono pericoloso,” mormorò.

“Oh, sì…” sospirò Hetta. “Direi di sì…”

Remus sorrise. “Sciocchina… non per questo…”

“Ho pensato tante volte…”

“A me?”

“Sì. Anche al lupo mannaro.”

“Sono pericoloso,” ribadì lui.

“Stammi lontano allora. Io non ci riesco…”

Remus la strinse con rabbia contro il suo corpo.

“Non sai, non puoi capire. Sono pericoloso.”

“Io ti voglio Remus,” gli rispose sussurrandoglielo in un orecchio.

“È la frase più bella che mi abbiano mai detto,” le rispose ironicamente.

Hetta si allontanò da lui quanto bastava per guardarlo negli occhi. “Ti voglio.”

Remus si chinò verso di lei per baciarla nuovamente.

 

Qualche settimana dopo Tonks era di turno al Ministero per il controllo all’ingresso dei testimoni chiamati per i diversi procedimenti in atto. Quel giorno erano stati convocati i Malfoy e c’era quindi molto interesse anche da parte della stampa con molti inviati che tentavano di superare i blocchi previsti utilizzando gli incantesimi più stravaganti.

C’era un elenco preciso di coloro che erano ammessi al Tribunale con permessi speciali rilasciati dal Ministero stesso, compresi pochi eletti giornalisti. Si temevano in particolare azioni di metamorfismo e tentativi di presentarsi nei panni di qualcun altro. Era dunque necessario un controllo lungo e snervante fatto di domande personali e di procedure anti-incantesimo. Chi si presentava era stato avvisato di questo percorso accidentato da attraversare, ma non tutti erano disposti ad accettarlo.

Hetta Miles era alle prese con un vecchio signore di età quantomeno centenaria che borbottava da dieci minuti lamentandosi per ogni domanda posta e per ogni controllo che Hetta, gentilmente, gli anticipava. Oltre a loro due erano presenti altri quattro Auror che svolgevano lo stesso compito. Dietro a loro Moody faceva da supervisore.

“Mia cara, direi che alla sua giovane età dovrebbe essere ben più veloce!” disse per l’ennesima volta il vecchietto.

Per l’ennesima volta Hetta fece finta di non aver sentito.

“Abbiamo terminato i controlli, Mister Kendryke. Potete accomodarvi in Tribunale,” gli annunciò dopo qualche istante. Il vecchietto sbuffò sonoramente e proseguì impettito verso l’aula del Ministero dove si riunivano i giudici.

Hetta lanciò uno sguardo esasperato a Tonks che rispose con una smorfia. Le diverse file davanti agli Auror stano diminuendo. Ma era previsto poi che si spostassero nell’Aula di Tribunale per i controlli durante il processo, almeno quattro di loro, tra cui Hetta e Tonks. Hetta si era proposta per fare i turni in Tribunale anche tutti i giorni, mentre gli altri cercavano di alternarsi per poter avere missioni all’esterno e soprattutto all’aperto.

Per Hetta era invece piacevole starsene in Tribunale e poter osservare Remus Lupin nella sua qualità di Cancelliere, intento a trascrivere le informazioni e sollecito nell’intervenire con il Presidente ogni qualvolta emergevano discrepanze o evidenti bugie. Si muoveva con fare felino nella stanza, quasi invisibile. Non si notavano i suoi movimenti e sembrava che comparisse in punti diversi all’improvviso. Kingsely si era premurato di fargli sapere, già al suo secondo giorno di lavoro, che il Presidente e i giudici apprezzavano il suo modo di fare. Dato che si trattava di persone del tutto estranee all’Ordine della Fenice e ad Hogwarts, erano complimenti piacevoli da sentire, perché arrivavano grazie al suo lavoro e non grazie al suo nome. Non erano stati fatti commenti neppure dai giornali sulla sua presenza in Tribunale e Remus era convinto che fosse merito del Ministro della Magia e della sua influenza.

Dalla sera del loro primo bacio Remus e Hetta non si erano più rivisti da soli.

Remus non si era sbilanciato oltre qualche languido bacio e qualche carezza sotto i suoi abiti in salotto. Erano stati distratti dall’arrivo del Patronus di Piton che annunciava il suo rientro a breve, dato che il tentativo di fuga era stato sventato senza conseguenze.

Con dolcezza l’aveva invitata ad andare a casa sua, assicurandola che era felice per quello che era accaduto tra loro e che la trovava dannatamente attraente.

Da allora, in quelle lunghe settimane, c’erano stati saluti cortesi, sorrisi, qualche veloce sfioramento nei corridoi del Ministero. Ma nessun altro tentativo di approfondire il rapporto. Neppure durante le frequenti cene, sempre rigorosamente in gruppo, alle quali entrambi prendevano parte.

Il rapporto tra Tonks e Piton proseguiva a gonfie vele. Per quello che poteva rappresentare questo concetto per quei due.

Hetta sorrise al vuoto ripensando al modo in cui la coppia si gestiva.

Vivevano separati, ma Tonks era quasi ogni giorno a Grimmauld Place, fermandosi anche a dormire. Piton si rifiutava di andare a conoscere i genitori di Tonks adducendo scuse varie, ma sempre basate sul fatto che la sua vita non lo rendeva un buon partito agli occhi dei futuri suoceri.

I genitori di Tonks avevano dichiarato in più occasioni e a più persone che pur trovando strana la scelta della figlia, la approvavano perché la rendeva felice. Per questo motivo anche le visite frequenti degli Weasley a Grimmauld Place o quelle di Piton alla Tana diventavano motivo di lieve attrito in quanto tutti lo invitavano a conoscere i suoceri e definire la relazione con Tonks.

Da circa due giorni Piton era stabile ad Azkaban poiché le prime sentenze stavano costringendo a molti cambiamenti nella prigione. Tonks aveva evitato di presentarsi alla prigione anche solo per i turni di guardia, per non rendere la situazione di Piton ancora più precaria.

La sua nomina era stata accolta con un generale gelido silenzio. Alcuni giornali avevano tentato qualche commento caustico, ma non aveva avuto seguito. Piton evitava le occasioni che lo avrebbero esposto al contatto con i giornalisti, non rilasciava interviste o pareri, neppure sulla prigione. I rapporti di Azkaban con la stampa erano tenuti da una strega che aveva specificatamente questo ruolo. Kinglsey aveva decretato che per motivi di sicurezza eventuali interviste con prigionieri o rappresentanti del Governo dovevano essere autorizzati dal Ministero, in particolare da Arthur Wealsey che si era dimostrato molto parco nel concederle. E i contenuti erano stati così scarsi che le richieste erano state quasi nulle.

Hetta si concentrò sull’aula di Tribunale.  A volte le testimonianze erano noiose e ripetitive. Raccontavano episodi risaputi oppure del tutto insignificanti. Eppure i giudici ponevano attenzione a tutto e sembravano memorizzare ogni dettaglio.

“Fate passare Lucius Malfoy.”

L’annuncio lo aveva dato il giudice più anziano, rivolgendosi alle guardie che, in fondo alla stanza, controllavano l’ingresso con le celle di detenzione del Ministero.

Hetta guardò entrare un uomo alto, emaciato, sconfitto. Eppure c’era ancora un aurea di potenza e di bellezza in quell’uomo. Si chiese come mai in tutti gli uomini di quella stessa generazione, come Remus o Severus, ci fosse un qualcosa di affascinante anche se, a parte Lucius, non erano certamente belli. E in quel momento anche Malfoy non poteva dirsi attraente.

Con una smorfia si stizza si disse che erano solo stupidi pensieri e cercò di concentransi nell’ osservare i partecipanti alla sessione del Tribunale.

Conosceva oramai quasi tutti. Non notò nessun viso particolare fino a quando non colse il movimento di lunghi capelli biondi raccolti da un foulard color avorio. Non poteva meravigliarsi del fatto che Narcissa fosse presente all’interrogatorio del marito, eppure non si aspettava di vederla. Non l’aveva notata neppure in fila all’ingresso. Aveva un’espressione tesa e seria in volto, lo sguardo fisso sul marito, gli occhi lucidi. Hetta si chiese come si sarebbe sentita al suo posto.

Durante gli anni di scuola la figura di Lucisu Mlafoy era un mito tra gli studenti dei Serpeverde per la sua potenza e arroganza. Molti lo riconoscevano come un modello da seguire. Hetta aveva sempre pensato che fosse un uomo difficile e autoritario, mentre ammirava molto la moglie, silenziosa eppure ben presente. Partecipavano a tutte le feste organizzate dalla Casa e, anche se non li aveva mai conosciuti personalmente dato che non era figlia di nessuno di importante, ne aveva seguito le vicende grazie ai gossip dei suoi nobili compagni di scuola.

Cercò il volto del figlio, ma non lo vide  da nessuna parte.

Lucius stava raccontando dei suoi rapporti con Voldemort, senza rinnegare nessuna delle sue scelte. Hetta ne ammirò la coerenza.

 

“Coerente?! Ma se ha ucciso e tradito Merlino sa solo quante persone!” Remus era arrabbiato.

“Ho detto che ne ammiro la coerenza, non le sue azioni! Capisco che è dal lato sbagliato della strada, ma non lo rende meno coerente!”

Hetta raccolse gli ultimi residui di cibo dal piatto e li mise nella scodella per il cane. A casa Weasley era arrivato, meno di due mesi prima, un cane randagio, accolto con affetto da George e lasciato in custodia a chiunque passasse di là. Non era mai senza cibo o acqua nonostante non avesse nessun padrone ufficiale.

Remus stava raccogliendo il resto delle stoviglie e aveva dato inizio alle pulizie.

Tutti i partecipanti alla cena erano usciti in giardino lasciando la coppia a sistemare la cucina.

Era chiaro a tutti, in particolare dopo i commenti di Tonks, che i due avevano bisogno di qualche occasione per stare insieme e che Remus aveva bisogno di un gran calcio sul didietro per fare il primo passo.

Severus si era rifiutato di fare qualsiasi cosa, commentando che l’età di Remus lo rendeva abile e autonomo. Tonks aveva sbiascicato un commento a mezza voce sulle capacità degli uomini di fare alcunché da soli, commento che Severus aveva preferito ignorare dopo una giornata di lavoro.

“Non capisco come tu possa pensare di trovare delle scusanti per quell’assassino!” Remus con un colpo un po’ violento della bacchetta ruppe un bicchiere. Con un sospiro di rabbia lo riaggiustò.

“Non lo scuso!” Hetta buttò con troppa determinazione i resti nella ciotola del cane, spargendone una parte per terra. Con un sospiro di rabbia li rimise nella ciotola con un colpo di bacchetta. “Ho solo detto che è stato coerente con le sue idee. Come lo siamo noi.”

“Io,” disse Remus, “ritengo che le idee creino una dannatissima e profondissima differenza.”

“Anch’io!” Hetta si girò finalmente a guardalo. “Altrimenti non sarei qui, adesso! Ho parlato della sua coerenza, non delle sue idee! Potresti ascoltarmi senza tagliare tutto con il coltello!?” Si mise le mani sui fianchi.

Remus appoggiò le proprie sul ripiano della cucina, prima di girarsi verso di lei e incrociarle al petto. “Sei tu quella che taglia con il coltello,” disse pacatamente. “Non puoi dividere una persona da quello che pensa!”

“Se lo facessi ti avrei chiesto di farlo uscire di prigione, dato che la coerenza è una gran bella cosa! Invece penso che ci stia bene lì dentro, per tutto quello che ha fatto, anche se è coerente!”

“Allora ho ragione io.”

“Remus Lupin, sei un dannato idiota!” Hetta si sentì le lacrime salire agli occhi. Ma doveva sputare fuori tutto quanto. “Hai le stesse emozioni di un pezzo di ghiaccio, sei rigido e duro come un blocco di cemento! E sei coerente tanto quanto Lucius Malfoy e con gli stessi pessimi risultati! Non fai altro che allontanare gli altri. Fai male agli altri con la tua dannata logica coerenza!”

Oramai le lacrime scendevano senza controllo per la rabbia e la frustrazione di non riuscire a controllarsi. Remus la guardava sbigottito, quasi senza capire quello che era successo. Sicuramente senza parole.

Hetta singhiozzò e poi afferrò il maglione che aveva appoggiato ad una sedia.

“Spiega tu agli altri perché me ne vado, stupido!”

“Hetta!” Remus allungò un braccio per trattenerla, ma lei si Smaterializzò all’istante.

Remus rimase a guardare il punto della stanza nella quale si trovava la ragazza fino ad un secondo prima, incredulo. Non riusciva a capire quando la conversazione era degenerata. Stavano parlando di Lucius Malfoy e all’improvviso si era parlato delle sue emozioni. Ma non era quello l’argomento della loro discussione. O almeno non gli era sembrato.

“Sembri leggermente folgorato.”

Remus si girò di scatto verso la porta d’ingresso della Tana. Severus, dritto in piedi, lo guardava con un sorrisetto ironico e per nulla gentile.

“Evita il sarcasmo.” Si sentiva irritato. Notevolmente.

“Abbiamo capito tutti che stavate litigando. Ci chiediamo perché.”

“Non lo so!” sbottò Remus allargando le braccia in segno di resa. “Non ne ho la più pallida idea del perché se ne sia andata!”

Severus allargò il suo sorrisetto ironico.

“Sono bravissime in queste cose.”

“Cosa vuoi dire?”

“Che sono abili nel farti sentire responsabile per qualcosa che non hai fatto. Convincendoti però di averlo fatto.”

“Non ho parlato di sentimenti e mi ha accusato di essere un pezzo di ghiaccio e di allontanare le persone.” Remus era pensieroso.

“Visto?” sorrise Severus. “Abilissime. Immagino che tu le abbia solo evidenziato che il suo commento sulla coerenza di Lucius era del tutto… incoerente.”

“Più o meno.”

“Devi scusarti.” Severus lo disse con fermezza.

“Per cosa?” Remus lo guardò attonito. “Non ho fatto o detto nulla!”

“Non importa. Quello che hai detto ha provocato un terremoto, dato che dal tono di voce stava anche piangendo. Quindi era qualcosa che non dovevi fare.”

“Merlino, Severus! Ma ti ascolti? Mi sembra di sentire Ron Weasley!” Remus lo guardò schifato.

“Lo so, lo so… sembra, anzi no, è una stupidaggine. Ma quello che hai detto ha provocato un problema. Devi risolvere il problema.”

“Ma quale problema? Lei si è creata il problema, non io!” Diede un pugno sul piano di marmo della cucina.

“Remus,” Severus sospirò guardando l’uomo davanti a sé. Era invecchiato forse più di lui negli ultimi mesi. Aveva più capelli bianchi e anche più rughe. Ma gli occhi erano gli stessi, lucidi e profondi di vent’anni prima.  “Non ne capisco molto più di te,” Severus entrò nella stanza, avvicinandosi.

“Per favore non fare l’esperto! Non lo sei per nulla!”

“Ho qualche settimana in più di esperienza con Ninpha.”

“Non farmi sapere nulla della vostra relazione!”

“Eviterò di dirti cosa facciamo a letto…”

“Severus!” Remus si girò verso di lui, pronto a prenderlo a pugni.

Piton alzò le braccia in segno di resa.

“Intendo solo dire che quando discuto con Ninpha avviene lo stesso. Parliamo di un argomento e presto ci ritroviamo a discutere di emozioni e sentimenti senza che capisca come ci siamo arrivati. Devi solo lasciar perdere quando la discussione è poco importante e insistere quando lo è. Cercando di capire il loro punto di vista.”

“Ma la discussione è fatta per discutere!” sbottò Remus. “Non per far finta che l’altro abbia ragione!”

“Non per le donne. Non per tutte, almeno. Essere capite è più importante del risultato.”

“Oh, Merlino!” Remus di avvicinò al tavolo e si lasciò afflosciare su una sedia. “Che accidenti stai dicendo?”

“Che se vuoi una relazione con Hetta ci sono alcune condizioni… perché tu vuoi una relazione con Hetta, giusto?”

Remus si passò le mani sulla faccia. “Intensamente. Dolorosamente. Spasmodicamente.”

“Chiaro,” lo fermò Severus. “Molto chiaro. Devi scusarti. Adesso, direi.”

“Devo andare a casa sua?”

“No, chiamala a rapporto da te!” ironizzò Severus.

“Puoi evitare di essere sarcastico, per favore?” chiese con lo stesso tono Remus.

“Dovresti andare. E quando Tonks te lo chiederà raccontale quanto sono stato convincente.”

A Remus fu necessario qualche secondo per capire l’implicazione di quell’ultima precisazione. Ma quando si rese conto che anche Severus era manovrato da una donna, scoppiò a ridere.

 

Hetta entrò in casa maledicendosi per la sua reazione. Non era possibile continuare a ripetersi che anche un bacio con Remus era meglio di niente se poi la sua vicinanza la rendeva più instabile di un incantesimo di un bambino di tre anni.

Con gli occhi ancora umidi di pianto chiuse la porta alle sue spalle e si distese sul divano in salotto. Sopra la sua testa c’era una foto della sorella mentre alzava le braccia al cielo dopo una vittoria di Quidditch con i Serpeverde.

“Perché ti sei innamorata di lui, Hetta?” chiese a se stessa a voce alta. Con un braccio si coprì gli occhi.

“Non è bello, non è attraente… perché Hetta? Perché lui e non Kirk Fannigan?” si chiese ripensando ad un capitano di Tassorosso preda di molte ragazze di Hogwarts nei suoi anni.

Sospirò. Con i piedi si tolse le scarpe, lanciandole al centro della stanza.

Con un altro sospiro si girò su un fianco, pronta a piangere di nuovo. Era convinta che fosse necessario svuotare il serbatoio di lacrime, prima di ricominciare a vivere. Si raggomitolò.

Scattò a sedere quando sentì bussare alla porta. Dovevano essere passati almeno dieci minuti e le lacrime erano quasi finite.

“Chi è?” chiese avvicinandosi alla porta.

“Remus.”

Si bloccò a metà del corridoio che portava all’ingresso. La mente priva di pensieri.

“Hetta?” chiamò Remus dopo qualche secondo.

Senza rispondergli aprì la porta.

Era in piedi lì di fronte. Proprio lui. Con tutti i suoi capelli bianchi, gli abiti stazzonati da una giornata di lavoro, gli occhi affaticati. Bello come sempre. Per lei.

La fissava in silenzio.

Lei rimase ferma, una mano sulla maniglia interna della casa, l’altra mano aperta sullo sterno.

“Qualsiasi cosa abbia detto, non intendevo farti piangere,” esordì Remus. “Non mi piace vederti piangere.”

Una lacrima le scese su una guancia.

Remus allungò una mano e gliela tolse, sfiorandola con un dito.

“Sono importante per te?” chiese all’improvviso Hetta.

Non era quello che intendeva dire. Non era quello che aveva pensato di dirgli. Non era quello che una donna poteva chiedere ad un uomo. Non era opportuno chiederglielo. Non era strategico chiederglielo.

“Sì.”

Hetta deglutì.

“Perché mi tieni lontana?” sussurrò.

“Per non farti male.”

“Mi stai facendo molto male,” disse con voce tremante.

“Ho paura, Hetta.” Lo disse con voce sicura.

“Di cosa?”

“Della prima notte di luna piena che ci dividerà.”

“Saprai chi sono?”

“No, non riconoscevo i miei genitori né i miei amici…”

“Allora me ne andrò via, quella notte. Lontano. Ma solo quella,” disse con ardore.

“Ci faremo molto male, Hetta. Credimi.” Remus la guardò con mestizia. “Possiamo farci solo del male.”

“Come lo sai?”

“So quello che sono…”

“Sì,” sospirò Hetta. “Ma penso che…” Trattenne il fiato per un attimo e poi, con un altro sospiro gli fece cenno di entrare in casa. Remus salì lentamente i pochi gradini e le passò accanto, attento a non sfiorarla. Si fermò nel corridoio d’ingresso e si girò a guardarla. Aveva chiuso la porta e vi si era appoggiata contro. Con un colpo di bacchetta Remus accese qualche candela per rischiarare la stanza.

“Penso di poter fare la differenza, no?” gli chiese, concludendo la frase lasciata a metà.

Remus scosse la testa, senza capire.

“Non conosco il tuo passato, quello privato, intendo.” Remus assentì con la testa, in silenzio. “Non so se parli così per qualche relazione finita male o… tragicamente…”

Remus scosse la testa, con decisione.

“Ah,” commentò Hetta con un mezzo sorriso. “Credevo di dovermi confrontare con un amore impossibile o perduto…” confessò senza guardarlo.

“No,” si limitò a confermare Remus. Avrebbe deciso poi cosa raccontarle delle sue mancate relazioni.

“Mi piaci Remus…” gli disse guardandolo negli occhi nuovamente. Lupin sentì lo stomaco fare una capriola e il respiro assottigliarsi. “Da molto tempo.”

“Da molto tempo?” disse a mezza voce, incredulo.

Hetta confermò con un cenno del capo.

“Io?” chiese Remus sorpreso.

Hetta sorrise. “Sì,” ridacchiò meravigliata. “Certo che parlo di te.”

“Perché?”

“Perché cosa?”

“Perché ti piaccio? Voglio dire… da quando?”

“La prima volta che ti ho visto nella sede dell’Ordine. Eri silenzioso, in disparte. Intrigante.”

“Io?” chiese nuovamente sempre più sorpreso.

“Sì,” rise nuovamente Hetta. “Perché sei così meravigliato?”

“Non sono uno che attrae le persone. Anzi. Le allontano.”

Hetta inclinò la testa poi di slancio lo abbracciò gettandogli le braccia al collo e stringendosi a lui. Remus rimase immobile e perplesso da quel gesto. Con lo sguardo incredulo ricambiò l’abbraccio accarezzandole la schiena e tuffando la faccia tra i suoi capelli.

“Hai cucinato muffin…” le sussurrò all’orecchio.

“I capelli…” ridacchiò lei.

“Sanno di cioccolata,” le confermò Remus.

“Fleur riesce a vivere con Bill… hanno anche dei figli…”

“Lui è stato solo sfiorato da un lupo mannaro. Io non posso avere figli. Non posso controllare il mio cambiamento.”

Hetta si strinse ancora di più a lui.

“Non è un motivo sufficiente per farmi desistere Remus. Ti voglio per me.”

Remus la strinse contro il suo corpo quasi a volerla soffocare tra le braccia.

“Ridimmelo…” le sospirò all’orecchio.

Hetta si allontanò tanto da potergli accarezzare la faccia e guardarlo negli occhi.

“Ti voglio.”

Remus chiuse i suoi e prese un profondo respiro.

“Mi fai impazzire quando lo dici…”

Hetta deglutì. “Guardami.”

Remus aprì gli occhi, lucidi di lacrime.

“Ti voglio esattamente come sei.”

Remus strinse le labbra cercando di trattenere la lacrima che invece scese sulla guancia.

“Ti voglio anch’io.”

Hetta sorrise.

Remus si avvicinò per baciarla.

 

 

Qualche settimana più tardi Hetta e Tonks erano nuovamente di guardia al Ministero. Era previsto un incontro tra il Ministro della Magia inglese e i suoi pari grado di diversi paesi europei per definire le linee comuni in ambito di investigazione internazionale. Molti Mangiamorte erano fuggiti all’estero nel tentativo di trovare appoggio o almeno un nascondiglio. Alcuni erano già stati rimpatriati in Inghilterra per ricevere il giusto processo, ma altri erano ancora latitanti. Kingsely aveva insistito per creare un coordinamento internazionale e questo incontro doveva sancire le modalità per arrivarci.

Erano stati già espletati tutti i controlli d’ingresso e gli Auror in servizio erano stati dislocati in alcune aree del Ministero per un controllo a distanza di chi entrava e usciva.

Le due donne erano sedute in una panchina all’esterno dell’edificio e fotografavano coloro che utilizzavano uno degli ingressi.  C’era così poca gente che avevano preso entrambe un’enorme tazza di te fumante e si alternavano alla macchina fotografica, continuando a chiacchierare. Indossavano pesanti giacconi per ripararsi dal freddo di quell’inverno.

“Mi sento un po’ inutile in questi momenti,” sbuffò Tonks.

“Decisamente meno coinvolgente del lavoro fatto con l’Ordine,” commentò Hetta, con tono ironico.

“Beh, se la metti così, preferisco starmene qui a riempirmi di caffè,” rispose Tonks, sorseggiandosi la bevanda calda. Hetta fece una foto ad una signora anziana che entrava al Ministero. Riconobbe in lei la stessa persona che in uno degli ultimi controlli per il Tribunale, le aveva chiesto informazioni per trovare il Reparto di controllo delle creature proibite. Le era sempre rimasta la curiosità di sapere quale creatura proibita la signora avesse visto o allevasse.

“Situazione con Remus?”

Hetta fece un gran sorriso e si girò verso di lei per un attimo.

“È un uomo… meraviglioso…” sospirò Hetta. “Mi fa sentire al sicuro.”

Tonks sorrise anche se l’amica, che le dava le spalle, non poteva vederla.

“Sei felice,” sentenziò.

“Come lo sei tu, no?” le sorride Hetta girandosi verso di lei.

Tonks annuì. “Ieri ha conosciuto i miei genitori, ufficialmente…”

“Oh!” esclamò Hetta. “Ted e Andromeda Tonks?”

“Un successo!”

“Per merito di chi?” ironizzò Hetta.

“Dei miei genitori, naturalmente! Immagina la scena di Severus Piton che stringe la mano a Ted Tonks, un Babbano e a Andromeda Tonks che assomiglia ad una sua ex amante…”

Risero apertamente.

“Severus era un pezzo di ghiaccio. Papà è riuscito ad ammorbidirlo parlandogli di pozioni.”

”Tuo padre ne sa qualcosa di pozioni?”

“Quello che raccontiamo io e mamma. Ma non si fida molto di noi e ha fatto fare a Severus la parte dell’esperto.”

“Ehi!” Hetta si accorse di una faccia nota che stava tentando di entrare al Ministero. Inviarono un Patronus all’interno segnalando il possibile ingresso di un giornalista della Gazzetta del Profeta.

Rimasero in attesa e meno di tre minuti dopo lo stesso uomo uscì con i capelli scarmigliati e un foglio blu, segno di qualche multa in denaro, in mano.

“Remus fa progetti per il futuro?” chiese Tonks dopo qualche altro minuto di silenzio.

“Non oltre il fine settimana, quando è di buon umore. Altrimenti arriviamo alla sera successiva. Piton?”

“Lo stesso. Ho provato a chiedergli cosa intende fare adesso che si sta avvicinando Natale, ma ha risposto che non intende pensarci troppo presto.”

“Siamo a metà novembre!”

“Glielo ho fatto notare.”

“E?”

“E mi ha risposto che è ancora troppo presto. Gli ho chiesto quando potrò riparlarne e mi ha risposto che posso fare quello che preferisco, senza tenere lui in considerazione.”

“Romantico!”

“Come una mandragola appena dissotterrata!”

Tonks addentò un panino con foga. E riprese a parlare a bocca piena.

“Vorrei almeno pensare di andare insieme da qualche parte, magari solo a fare un giro ad Edimburgo… o a Parigi… Credo che abbia paura del tempo libero. Non è abituato ad averne. Devo convincerlo che è bello farlo in due.”

“Remus credo abbia paura di farsi vedere in giro, di stare alla luce del sole. Ho provato a chiedergli il motivo e mi ha risposto che spera di non dovermi mai mettere nella situazione di essere cacciata via da qualcuno che lo riconosce come lupo mannaro.” Hetta si afflosciò contro lo schienale della panchina, stringendo in mano il bicchiere di caffè vuoto. “Vorrei aiutarlo a soffrire meno…”

Tonks fece un piccolo sorriso guardando davanti a sè.

“Severus ti direbbe che è proprio la tua presenza a farlo soffrire meno, anzi a rendergli la vita felice. Sai…” Lasciò la frase un attimo in sospeso, pensando se condividere un ricordo così personale con un amica. Hetta colse l’incertezza e alzò lo sguardo verso di lei.

“Cosa?”

“Severus cerca sempre di passare del tempo abbracciato a me prima di dormire. Gli ho chiesto il motivo solo qualche giorno fa. Mi ha risposto che ha passato così tanto tempo da solo che ha bisogno di sentirmi vicino per essere sereno. Forse per Remus è lo stesso…”

“Mi accarezza spesso…” Hetta aveva un tono di voce pensieroso. “A volte mi sono chiesta se lo fa per essere sicuro che sono proprio vicino a lui.” Sorrise. “È una persona dolce, attenta, ironica.” Sospirò.

All’improvviso un gufo si fermò al loro fianco. Beccò con scarsa cortesia la mano di Tonks e lasciò un foglio di pergamena ben  ripiegato.

“Severus…” spiegò Tonks prendendolo il mano mentre il gufo, indifferente a tutto, ripartiva.

Lo lesse rapidamente. “Azkaban. Sono a corto di personale. Si deve fermare anche questa notte.” Tonks ripiegò il foglio e appoggiò la testa contro il bicchiere di caffè. “Lo voglio qui con me…” disse con tristezza.

“Siamo alla terza notte, vero?” le chiese Hetta appoggiandole amichevolmente una mano sul braccio.

Severus era spesso costretto a fermarsi alla prigione anche di notte. Aveva sistemato e riadattato l’ufficio del vecchio direttore, portando anche un letto semplice nascosto da una parete fatta da librerie e mobili vari. Nel complesso Severus la riteneva molto migliore di tutte le altre case nelle quali aveva vissuto, tranne Hogwarts. Tonks aveva tentato in diverse occasioni di proporgli una convivenza, ma Severus aveva sviato il discorso. Dopo tre giorni di lontananza Tonks era pronta a rifare la domanda e non mollare l’osso fino a quando non avesse ricevuto la risposta che desiderava sentire.

“Se non fossi certa che mi colpirebbe con un Petrificus, andrei da lui per questa notte!” borbottò Tonks. “Ma penso che non mi voglia in mezzo ai piedi.”

“A ricordargli quello che si perde lasciandoti sola!” sospirò Hetta al posto suo.

“Già. Siete andati oltre con Remus?”

Hetta arrossì vistosamente, ma Tonks non la stava guardando.

“Sì,” mormorò. “Siamo andati oltre.”

“Bene!” Tonks si girò per sorriderle. “Soddisfatti?”

“Molto, grazie!” le sorrise Hetta. “Almeno io lo sono. Non ho mai chiesto direttamente a Remus.”

“Chiediglielo!” la spronò Tonks. “Digli che vuoi un punteggio per le tue performance!”

“Tonks!” la rimproverò Hetta mentre l’amica rideva apertamente, allungandosi sulla panchina.

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


EFP

6.

 

“Remus?” chiamò Hetta entrando in casa. Si erano accordati per vedersi a cena a casa di lei, ma quando era arrivata non c’erano segnali di una presenza umana nelle sue stanze. Tutto era chiuso e non si sentivano rumori. La casa era decisamente deserta, anche una volta entrati nel piccolo ingresso. Nessuna luce, nessun suono.

“Sono qui…”

Hetta quasi cadde a terra per la paura. Si spostò verso l’arco che conduceva al salotto e guardò dentro con molta attenzione.

Remus era seduto su una poltrona in vimini, regalo dei suoi genitori alla sorella nel periodo in cui desiderava andare in India.

Aveva gli occhi chiusi e apparentemente era rilassato.

Quando si girò a guardarla gli occhi quasi brillavano nell’oscurità. Solo allora Hetta si ricordò, d’improvviso, che quella notte ci sarebbe stata luna piena.

“Remus…” sussurrò cominciando a percepire la paura che le entrava nella pelle.

“Sono passato…” iniziò a dire con la voce contratta e strascicante, “solo per dirti che me ne vado fino a domani.”

Lentamente si alzò dalla poltrona, reggendosi in piedi. La luce dell’imbrunire colpiva ancora i vetri, ma il tramonto stava per arrivare.

Quando si girò verso di lei, Hetta scorse gli occhi allungati, le mani irrigidite e i capelli leggermente più lunghi del solito.

“Remus…” disse di nuovo con tono quasi di compassione.

“Non mi seguire!” latrò lui incamminandosi verso l’uscita. Hetta annuì senza mai distogliere lo sguardo dal suo uomo. Sembrava barcollare alla ricerca di un equilibrio che le gambe da sole non gli garantivano più, le mani irrigidite come artigli, la schiena più curva e la barba lunga.

“Ritornerò io da te,” sussurrò.

“Si,” rispose Hetta cercando di metterci tutta la convinzione possibile. Lo avrebbe atteso anche per giorni se fosse stato necessario.

Remus uscì dalla sua casa.

 

Meno di mezz’ora dopo le arrivò un messaggio di Tonks.

“Ho visto la luna. Vuoi compagnia?”

Hetta era preoccupata per Remus. Molto preoccupata. E stare da solo non la aiutava. Le rispose di sì.

Tonks arrivò poco dopo con una enorme confezione di gelato.

“Mi sembrava un buon passatempo per donne sole,” le disse offrendoglielo.

Hetta tentò un sorriso e in parte le riuscì.

“Non ti preoccupare. È in grado di badare a se stesso meglio di come potresti mai fare tu. O io.”

“Ho quasi più paura delle reazioni degli altri che delle sue,” ammise Hetta.

 

Il gelato era quasi terminato quando bussarono alla porta di Hetta.

Le donne trasalirono. Nessuna delle due attendeva visite. Hetta si girò verso Tonks con una muta domanda: “Sei di turno?”

Tonsk rispose con un’ espressione di meraviglia e scosse la testa.

“Sono Piton,” sentirono dire con voce bassa e, per Tonks, molto sensuale.

Hetta si alzò di scatto e corse alla porta spalancandola.

“Remus?” chiese ansante.

Piton la guardò meravigliato prima di cogliere il senso della domanda. Aveva gli occhi arrossati dalla fatica e l’unico desiderio era di riavere Tonks tra le braccia.

“No. Sono qui perché ho immaginato che avrei trovato Tonks. Non ti preoccupare per Remus. Sa cavarsela da solo.” Le sfiorò con la mano l’avambraccio, nonostante lo sguardo disinteressato e le fece un minimo sorriso stanco.

“Severus!” Tonks gli arrivò correndo, felice di vederlo dopo giorni di forzata lontananza. Severus la strinse a sé, ancora meravigliato per la sua presenza, confortato dal suo calore e eccitato dal suo profumo. Tonks colse la tensione che lo fece irrigidire contro di lei e lo abbracciò con ancora più ardore.

Hetta distolse lo sguardo, un po’ infastidita da quelle emozioni.

“Sei preoccupata per Remus?” le chiese Severus senza lasciare Tonks.

Hetta lo guardò e annuì. “Non mi piace molto stare qui ad aspettare.”

“Non puoi fare altro. Né seguirlo, né impedirlo. È frustrante, ma non puoi cambiare la situazione.”

“Ho paura.”

“Io avrei paura di incontrarlo. Per me e non per lui. Diventa un animale in tutti i sensi.”

“Devi essere così…” urlò Hetta senza parole. “Si tratta di Remus!”

“Lo so,” continuò Piton con lo stesso tono placido. Tonks guardava entrambi senza allontanarsi da lui. “L’ho visto. Ho visto il lupo mannaro. Non è più Remus. Non pensare a lui come un povero derelitto. È un animale feroce in queste ore.”

“Tu sei feroce.”

“Sono realista.”

Hetta si sentì incomprensibilmente più tranquilla sentendo quella voce quieta e il tono sicuro e ironico di Severus.

“Remus direbbe le stesse cose,” ammise poi con riluttanza.

Severus sospirò. “Lo so.”

“Oh, scusami, devi essere molto stanco.” Hetta si spostò dalla soglia facendogli cenno di entrare. Ma Piton scosse la testa.

“Scusa Hetta, ma desidero solo tornare a casa, farmi un doccia e dormire. Volevo rivedere Ninpha prima di farlo.” Accennò ad un sorriso, stringendosi Tonks al petto.

“Oh, ma non avevamo impegni io e Tonks!”

“Ti dispiace?” le chiese l’amica.

“Vai!” le sorrise Hetta, sentendosi felice almeno per l’amica.

La salutarono con dolcezza, ricordandole di non temere nulla per Remus.

Hetta si chiuse la porta alle spalle con un sospiro. Si chiese se con gli anni avrebbe mai accettato tutta la tensione che stava provando o se mai sarebbe diminuita con il tempo.

Si mise seduta in poltrona, in attesa, addormentandosi quasi subito, sfinita.

 

“Credi che dormirà?”

Tonks fece la domanda a Severus mentre ancora era in bagno. Lei si era già infilata sotto le coperte, per lasciare al suo compagno il piacere di scoprire cosa lo attendeva.

“Hetta?” le chiese Severus uscendo dalla stanza.

Tonks grugnì un assenso guardandolo. I mesi recenti di pasti regolari e abbondanti, la possibilità di dormire ogni notte per molte ore e, pensò, anche la sua presenza, avevano permesso a Severus di accumulare qualche chilo e perdere parecchie rughe. Non poteva certo definirlo bello, almeno non per il resto delle donne. Il naso grande e leggermente ricurvo occupava ancora la maggior parte del viso, i capelli lunghi erano ancora stretti in con un laccio, tranne in quel momento in cui scendevano umidi fino alle spalle. Era magro e angoloso. Aveva accumulato anni di vita, di esperienza, di dolore e di rabbia che il corpo non poteva più cancellare.

Sorrise ripensando alla prima volta che lo aveva visto con il solo asciugamano avvolto sui fianchi, alla confusione e alla rabbia che aveva provato per essere stata costretta a stare con lui invece di andare in battaglia.

Non aveva mai ringraziato Remus per averla scelta. Era stato certamente lui a decidere.

Rimase un momento incerta. Non aveva mai avuto conferma di questo suo ragionamento.

“Ninpha… che pensi?” le chiese Severus appendendo l’asciugamano alla porta del bagno.

“A ben poco, se ti presenti nudo!” gli sorrise immediatamente.

“Non mi dire che tu indossi qualcosa sotto quel lenzuolo…” le sorrise.

Erano così rari e improvvisi i sorrisi del suo uomo che Tonks dedicava loro ogni attenzione le poche volte che arrivavano.

Severus si infilò al suo fianco, abbracciandola.

“Chi ha deciso che sarei stata io a scortarti?” gli chiese accoccolandosi contro di lui.

Severus si lasciò cadere disteso sulla schiena.

“Sarebbe stato troppo facile…” sospirò.

“Cosa?”

“Fare l’amore prima di risolvere il tuo dubbio,” le disse ad occhi chiusi. “Intendi sapere chi ha deciso che mi avresti scortata fino al paesino per poi lasciarmi inghiottire dalla foresta?”

“Sì.”

“Remus ha preteso che avessi una scorta. Mi ha fatto scegliere quale Auror volevo trai piedi. Mi ricordavo solo di Charlie, Hetta e di te, ma Malocchio mi ha spiegato alcune caratteristiche di ciascuno degli altri. Ero tentato di scegliere Hetta perché la conoscevo meglio, ma poi ho visto Remus accarezzare quasi per caso la foto sulla scheda personale di Hetta e ho pensato che tra Charlie Weasley e il suo sarcasmo e una donna chiacchierona e caotica, era meglio una donna. E poi sei sempre stata intrigante.”

“Io?” Tonks, sbigottita, si alzò appoggiandosi ad un gomito e lo guardò dall’alto. Era decisamente sorpresa. Abbastanza da sorvolare sui primi due aggettivi.

“Sì, tu. Potresti baciarmi, adesso?”

Mormorando un insulto e ridacchiando Tonks si avvicinò al suo viso.

“Mi hai osservato abbastanza a lungo poco fa o devi fare un giro di controllo?” le chiese un attimo prima che le labbra si incontrassero.

“Devo fare qualche controllo visivo e… tattile. Poi potremmo parlare,” gli sussurrò Tonks baciandolo.

Severus chiuse gli occhi e rinunciò a trovare della logica in lei.

 

“Hetta?”

La donna si girò di scatto facendo ondeggiare la frangia bionda che ricadeva su metà del suo volto. Stava lavando i piatti a mano, per far passare il tempo che però si ostinava a trascinarsi lento e pesante dalla sera precedente. Aveva dormito, aveva mangiato, aveva fatto acquisti per casa, aveva di nuovo mangiato, ma non aveva smesso di pensare.

L’argomento principale dei suoi pensieri si era alla fine concretizzato.

“Remus!” gli corse incontro, il grembiule ai fianchi, i guanti bagnati, lasciando cadere il bicchiere che aveva in mano.

Lo strinse a sé con forza, lasciando le impronte umide delle mani sopra la sua maglia.

Non riuscì a dire nulla e il respiro le si bloccava in gola.

“Hetta…” disse di nuovo Remus allontanandola da sé. Era molto pallido e stanco.

Con un veloce mormorio Hetta fece scoprire i guanti e gli accarezzò il volto. Gli baciò lieve l’angolo della bocca e gli sorrise.

“Bentornato.”

Remus la guardò per un attimo.

“Oh, Hetta!” sospirò stringendola a sé con forza. “Oh, Hetta!”

“È accaduto qualcosa di particolare?” gli chiese allarmata lei, parlando tra i suoi capelli.

“Sì. Ho finalmente qualcuno da cui tornare quando la luna cala,” le sussurrò.

“Se non ritorni ti trovo e ti faccio nero di pugni…” gli rispose accarezzandogli la testa.

Remus la allontanò di nuovo dal suo corpo con un leggero sorriso in volto.

“Mi sono solo cambiato di abito con un incantesimo. Volevo vederti.”

Rimasero in silenzio a fissarsi negli occhi.

“Puzzi,” sottolineò Hetta con un smorfia.

Remus rise allontanandosi da lei. “Intendevo questo dicendo che mi sono solo cambiato d’abito.”

“Sali a farti una doccia,” gli propose Hetta.

“Non ho nulla per cambiarmi.”

“Prendi un asciugamano. Io intanto ti lavo i vestiti.”

Remus si passò le mani sui pantaloni.

“Devo cambiarmi del tutto, Hetta. Biancheria compresa.”

“Penso di riuscire a fare lo stesso il bucato,” lo derise lei, cogliendo la sua timidezza.

“Preferisco passare a Grimmauld Place e sistemare da solo, scusami,” le rispose lui, quasi arrossendo.

“Ti ho già visto quasi nudo,” gli sorrise. Ma lui rispose con un ghigno tirato che Hetta non riuscì ad interpretare.

“Ti è successo qualcosa?” gli chiese di nuovo, con meno ansia e più decisione nel tono della voce.

Remus rimase un attimo in silenzio. “Non è possibile che non mi accada nulla. Sono sempre pieno di lividi e graffi quando rientro a casa,” le spiegò tranquillamente.

“Devi curarti.”

“Qualcuno mi ha regalato una pomata contro graffi e ferite… una ragazza carina…”

“Non cambiare discorso Remus. Devi curarti.”

Hetta lo guardò con espressione decisa e ferma.

“Non sarà piacevole,” le disse Remus.

“Bene. Adesso lo so. Sdraiati nel mio letto.”

“Preferirei sentirtelo dire per altri motivi,” le sorrise Remus.

Hetta arrossì. “Diabolico uomo…” sussurrò.

Remus sorrise. “Grazie.”

“Non ho fatto nulla, ancora,” gli rispose alzando le spalle.

“Lo credi davvero?”

 

Parecchio tempo dopo Remus si alzò dal letto di Hetta. Lei dormiva, prona, abbracciando il suo cuscino. La guardò per alcuni minuti chiedendosi come mai il destino gli avesse premesso di trovare una donna come quella nella sua strada.

I capelli biondi erano arruffati. Certo, lui stesso aveva contribuito a creare quella situazione. Sorrise.

Si appoggiò alla finestra, lo sguardo sempre rivolto a lei.

Hetta si mosse per sistemarsi meglio il cuscino.

“Ti amo,” le disse Remus, sapendo che non lo stava ascoltando. Era ancora nudo, con le cicatrici più recenti che gli solcavano una coscia. Hetta non si aspettava tutti quei segni di lotta e lo aveva disinfettato e curato in silenzio, stringendo le labbra davanti ai solchi più profondi.

Non gli aveva chiesto nulla, lasciandolo avvolto in un asciugamano seduto sul letto.

“Non mi ricordo come o con chi…” le aveva detto spontaneamente lui, guardandole la schiena.

“Ho paura…” aveva confessato Hetta, quasi sottovoce.

“Che mi succeda qualcosa?”

“Sì.

“È probabile. Non cerco situazioni di pericolo, ma neppure le evito.”

“Sarei distrutta al tuo posto, dopo tutti questi anni di confusione e di tensione.”

“Ho trovato James, Lily e Sirius. E poi l’Ordine. Harry. Tutti ottimi motivi per non farsi prendere dalla follia. E adesso ho te.”

Gli aveva sorriso e gli aveva chiesto di essere amata.

 

Meno di due mesi dopo Severus capitolò su quasi tutto il fronte e andò a vivere con Tonks. Quasi tutto il fronte.

Rifiutò il matrimonio e quasi imprecò contro Tonks quando osò parlargli di bambini. Ma lei non avrebbe desistito. Un uomo che aveva conosciuto il dolore da bambino sarebbe stato un buon padre, gli disse. Piton si limitò a guardarla con un ghigno e le ricordò l’infanzia di Voldemort.

Tonks gli tirò un libro, centrando la poltrona alle sue spalle.

Remus non disse, non propose, non chiese nulla, tranne lasciare spesso cose sue a casa di Hetta. Un trasloco lento e regolare. Hetta sistemava e trovava nuovo spazio tra le sue cose per lui.

Grimmauld Place in poche settimane fu libera e pronta per Harry Potter.

L’arazzo con la signora Balck fu definitivamente eliminato grazie alla tenacia di Kreacher.

 

 

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