Le Avventure di Cruz e del Dio Luriath

di sakuraenn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Fuga ***
Capitolo 2: *** Vendetta e Rivelazione ***



Capitolo 1
*** La Fuga ***


Salve a tutti. Questo è il primo capitolo della mia storia più recente. Il racconto viene pubblicato nella mia personal page, quindi se lo ritrovate sotto il nick  Viridiana Camelia del Deserto son sempre io.
Questo capitolo è stato pubblicato sul forum il giorno 2/07/2013.
Buona lettura.
Regione di Lagora. Cruz guardò per l’ultima volta la rocca di Asmetrum nel deserto di Goz. Quella era stata la sua città natale e il luogo dove aveva raggiunto l’apice. Lui era il Re dei Ladri.
Lo era stato, perché ora lo attendeva solo la prigione dell’isola volante Metronom. Un immensa isola ancorata al cielo da sistemi di gravità e catene colossali.
Attorno ad essa si estendeva un magnifico paesaggio di monti e valli e anche di abissi. L’isola era stata collocata proprio sopra il più profondo burrone mai visto, aveva un ampiezza di 103 metri e una profondità di oltre 1000 metri.
La fuga da lì era impossibile. Si morse il labbro tornando a fissare i suoi carcerieri, la vita che lo attendeva ora era peggio dell’inferno.
Rilassò i muscoli e chiuse gli occhi; agitarsi non serviva a niente il suo maestro gliel’aveva sempre detto. Li riaprì guardando apaticamente l’esterno.
La carrozza sobbalzava nel deserto ghiaioso; a mano a mano che procedevano cominciarono a spuntare fili d’erba poi la tundra.
Le ore trascorrevano lente e le catene ai polsi cominciavano a fare male, Cruz guardò la guardia che rideva assieme a due colleghi; parlavano del fatto che il viaggio sarebbe durato tre giorni senza alcuna sosta.
Si morse nuovamente il labbro ripensando al re che lo aveva decretato il peggior rifiuto del suo regno e che gli aveva promesso la più atroce delle pene.
Aveva mantenuto la promessa. Ricordava bene l’impressione che gli aveva dato l’isola prigione vista da lontano; cupa, massiccia, imponente e tetra.
“Ora ci finirò dentro.”
Un brivido interiore gli scosse l’animo, si guardò le mani incatenate e la certezza dell’incubo che lo attendeva cancellò ogni sensazione dal suo corpo; guardò nuovamente le guardie chiedendosi per quanto avrebbero ancora riso e scherzato ma non gli importava gran che ormai; non gli importava più nemmeno di essere stato fregato da unadonna, una sguardrinella che faceva gli occhi morti e smielosi ad ogni uomo che incontrava.
Si chiuse in silenzio ascoltando i rumori e lo scorrere del tempo che lo separavano dall’inferno. Mentre la giornata scorreva anche le guardie smisero di ridere e scherzare, inizialmente si limitarono a guardare fuori, poi il secondo giorno si fecero irritati; espletavano i bisogni a turno mentre la carrozza era in movimento bestemmiando e imprecando ad ogni sobbalzo, mentre compivano le loro operazioni lui era tenuto a fil di spada dagli altri, quasi potesse mordere oppure scappare con quelle pesanti catene ai polsi e alle caviglie.
Sospirò attendendo che anche quel giorno passasse; a mezzanotte guardò fuori vedendo le prime montagne e in lontananza la meta.
Quell’ombra cupa risvegliò in lui ogni sentimento, provò il desiderio di fuggire, di togliere di mezzo le guardie e scappare lontano ma il leggero tintinnio delle catene, lo riportarono alla realtà dei fatti.
Notò che le guardie lo osservavano e non riuscì a fare a meno di deglutire ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di salirgli in gola.
<< Ho sedici anni >>
Fu tutto quello che riuscì a dire, fino a dieci giorni prima era il re dei sobborghi cittadini; rubava tutto quello che gli capitava a tiro, lo rivendeva e ci faceva la bella vita dando il resto come compenso a chi lavorava per lui, ora invece era solo un prigioniero, che cambio. La situazione era quasi comica.
Le guardie continuarono ad osservarlo in silenzio , capì al volo che lo disprezzavano e che non c’era modo di conversare con persone civili almeno un ultima volta.
Si rinchiuse nel suo silenzio, continuando ad osservare la sua condanna che si avvicinava sempre di più.
Verso metà pomeriggio gli furono proprio sotto, qua e là rigogliose foreste spiccavano sul bordo del precipizio e rumorose cascate colavano a picco in fondo ad esso.
Il tutto era suggestivo e irreale; da solo il paesaggio sarebbe apparso un inquietante paradiso naturale ma con quel “mostro” piazzato a mezz’aria sopra di esso; il paesaggio si trasformava, diventando un luogo carico di arcani e pericoli.
La carrozza si fermò e lo costrinsero a scendere, dopo giorni fermo incespicò sullo scalino osservando la carrucola con due soldati armati di tutto punto che scendeva dal cielo.
Fu pungolato e sospinto verso i due che lo fecero salire a bordo, facendo poi un segnale ai loro compagni che muovevano l’argano. Uno dei due gli puntò un coltello alla gola fissandolo con aria truce e intenzione omicida.
Rimase immobile sudando freddo; il mezzo si mosse e piano, piano, la superficie diventava più lontana e l’aria più rarefatta; arrivati in cima il coltello venne scostato e lui spinto sgraziatamente fuori della carrucola per una passerella; inciampò rischiando di cadere, alzato lo sguardo si ritrovò davanti un intera guarnigione con armi in pungo; armi di una fattura a lui sconosciuta per giunta.
Li osservò cercando di ipotizzare il potenziale di quelle armi, non riuscendoci storse la bocca, ingoiando un imprecazione; spostò poi lo sguardo a ciò che lo circondava ignorando quel gruppo di buzzurri che gli stava davanti.
Lo spazio in cui si trovava era pulito e ben tenuto di forma circolare, sembrava un giardino; in lontananza c’era un colonnato e un palazzo.
Fu circondato dai soldati e scortato attraverso il colonnato dentro lo stabile, qui con sua sorpresa gli vennero tolte le catene ma mentre si massaggiava i polsi gli venne rifilato un pugno di tale violenza che lo fece cadere a terra.
Un soldato lo afferrò da dietro per i capelli e un altro con uno strano arnese si avvicinò al suo collo; cercò di divincolarsi ma non riuscì a muovere un muscolo tanto la presa era ferrea; l’arma toccò la carne e avvertì un bruciore mai provato prima, tutto il suo cervello e il suo corpo furono avvolti come da una scarica elettrica e il punto dove l’arma toccava era incandescente.
Rimase senza fiato e collassò a terra finita l’operazione; lo fecero alzare a forza e gli infilarono uno strano bracciale al polso e delle catene leggere ai piedi trascinandolo poi per un lungo corridoio; una luce si irradiò in fondo ad esso e superato quel varco si ritrovò in una caverna di cristalli.
Qua e là c’erano uomini mal messi che picconavano o trasportavano pesi. Uno di loro cadde e un soldato contemporaneamente premette una placchetta di metallo nero che teneva in mano, l’uomo cominciò a contorcesi e il bracciale che il poveraccio aveva al polso iniziò ad emettere strane luci; Il corpo iniziò a diventare rosso e gli occhi a dilatarsi mentre l’espressione dell’uomo diventava sempre più grottesca, alla fine si accasciò a terra senza vita, dalle sue carni si alzava un leggero fumo e il suo colorito era rosso vivo, il soldato sorrise compiaciuto facendo cenno a due prigionieri di abbandonare il lavoro e portarlo via.
Cruz, impallidì. Capì al volo cosa gli avevano fatto. L’aveva già visto una volta quando un mago aveva sfidato il suo maestro riuscendo quasi ad ucciderlo. Avevano inserito dentro di lui qualcosa che poteva scatenare un autocombustione a distanza.
Guardò le guardie che lo scortavano, i loro volti erano impassibili, gli altri prigionieri nemmeno si voltavano di fronte a quell’orrore quasi non fossero nemmeno umani. Due soldati lo spinsero dentro la cava allontanandosi poi assieme al resto del gruppo. Il soldato che aveva perpetrato il macabro omicidio si avvicinò sorridendo.
<< Lavora sodo, non fermarti e non fiatare altrimenti ti faccio fare la fine del rifiuto di poco fa.>>
Sorrise di nuovo vedendo la sua espressione sconcertata e fece cenno ad un altro soldato di portagli un piccone, glielo porse indicandogli la parete da cui estrarre il minerale.
Obbedì mentre osservava il corpo trascinato via , deglutì avvicinandosi alla parete e iniziò a picconare; dopo poco i muscoli cominciarono a fargli male, ma quel dolore sordo era offuscato dalla miriade di pensieri che gli sconvolgevano la mente; un pensiero in particolare lo assillava , “ da dove veniva quella tecnologia? Come si poteva scatenare l’autocombustione in un essere umano senza usare un incantesimo dell’arte del fuoco?”
Ben presto tutti i suoi rimuginamenti furono annebbiati e sopraffatti dal dolore dei muscoli e dall’impellenza di acqua, si fermò un secondo guardandosi attorno ma una luce che si accese sul bracciale lo fece tornare subito al lavoro, il cuore gli batteva a raffica tanta era la paura, gettava un occhiata ogni secondo a quella diavoleria che aveva al polso, ad un tratto non ce la fece più e il piccone gli scivolò di mano, nello stesso istante due luci si accesero nel braccialetto, non fece in tempo nemmeno a focalizzare la situazione che un dolore lo trafisse per tutto il corpo e la sensazione che i polmoni e il cuore gli esplodessero, lo costrinsero a cadere a terra, il dolore si fermò improvviso come era venuto, rimase alcuni secondi immobile ansimando per inalare aria ,mentre cominciava a riprendersi un dolore acuto alla schiena lo fece sobbalzare.
Si voltò di scatto ma un pugno in volto lo fece cadere a terra; a questo seguirono altre frustate che lo fecero rannicchiare su se stesso.
<<  Al lavoro rifiuto! >>
L’urlo fu perentorio senza alcuna possibilità di appello.
Cruz riprese in mano l’attrezzo voltandosi di nuovo verso la parete ricominciando ad estrarre; gli ci volle una forte dose di concentrazione per non farsi sopraffare dalla stanchezza e dal dolore; picconò con testardaggine cercando di ingoiare la sete che lo divorava, il sapore di sangue in bocca e di non guardarsi attorno.
Le ore trascorsero, a sera una campana rintoccò tre volte con un suono sordo e potente; le guardie cominciarono ad urlare di mettersi in fila indiana; le udì come distorte, lontane continuando a picconare e picconare fino a che il rumore di uno schiocco di frusta non lo riportò alla realtà.
Lasciò cadere il piccone guardandosi attorno disorientato e sentendo tutto d’un botto il dolore delle ferite, la stanchezza, la paura e ricordandosi all’istante dove era.
Si unì alla fila guardando di sottecchi le guardie e i loro occhi carichi di disprezzo non riuscendo a farsi un idea di cosa lo attendeva.
Al momento sentiva solo male per tutto il corpo e la bocca era come una cosa gonfia e distorta.
I minuti trascorrevano lenti e tutti i prigionieri uomini e donne ciondolavano come non morti senza nemmeno osservarsi attorno; deglutì non osando alzare lo guardo al soffitto, continuando a muoversi appena sentiva muoversi il prigioniero avanti a lui e rimanendo il più possibile a testa bassa; ad un tratto si ritrovò di fronte ad un soldato che gli allungò una borraccia di acqua e un panino mezzo secco.
Lo guardò non riuscendo a crederci ma questi grugnì infastidito.
<< Fattelo durare fino a domani sera non avrai altro. >>
Fu spintonato, guardò un momento indietro stringendo tra le braccia il recipiente e il pane, poi tornò a fissare davanti a se; il corridoio era buio e stretto sembrava quasi un cunicolo scavato nella nuda pietra, l’aria era soffocante e sapeva di stantio e quel surreale clima di silenzio con i passi lenti e misurati gli diedero l’impressione di essere ad una marcia funebre con tanto di spiriti della morte che giravano li attorno.
Per un attimo il terrore prevalse su ogni emozione, le lacrime salirono alla gola ma non uscirono, almeno l’orgoglio e la dignità non intendeva perderli.
Fu rinchiuso assieme ad altri in un angusta cella; si rannicchiò in un angolo osservandosi attorno; tutti masticavano il loro pane senza guardare gli altri e fuori dalla cella le guardie li osservavano armi in pugno e telecomandi a portata di mano.
Addentò il pane urlando quando questo toccò la ferita al labbro e alla carne interna, lo sputò tossendo sangue e ansimò; provò a toccare con la lingua sentendo che la parte interna della gengiva si era lesionata a causa dell’attrito dei denti con i pugni ricevuti, non osò fare ulteriori test per vedere altri danni.
Aprì la fiaschetta bevendo un sorso d’acqua e detergendosi, tossì ingoiando il sangue e ansimò di nuovo mentre le chiudeva. Riprese il pane iniziando a rosicchiarlo lentamente con la parte sana della bocca e sopportando le fitte, quando non ce la fece più smise stringendo a se gli avanzi e rannicchiandosi in posizione fetale.
Non seppe a che ora ma le luci vennero spente, si guardò attorno rimanendo immobile ad ascoltare il silenzio e il dolore delle ferite che gli dava alla testa; l’aria era umida e sapeva di muffa; deglutì cercando di chiudere gli occhi e riposare. Cercando di cancellare la voglia di piangere, sputò un po’ di sangue tossendo e cercò di tenere gli occhi chiusi ma li riaprì di scatto non appena sentì un brivido gelido.
Si alzò di scatto sussultando per il dolore, quando posò lo sguardo davanti a se sbiancò rimanendo impietrito dal terrore; una gigantesca figura incappucciata fluttuante si ergeva proprio di fronte, portava nella mano scheletrica una falce e al collo aveva una pensante catena d’oro formata da riquadri con strani simboli.
Tutto parve fermarsi, la figura lo osservò immobile a lungo poi allungò la mano scheletrica prendendo il suo volto, si avvicinò e potè notare il vuoto dentro a quel cappuccio, per un momento si sentì mancare il fiato poi sentì qualcosa che si infilzava nel suo corpo e assieme ad esso un senso di calore lo pervase.
Si svegliò il mattino dopo frastornato al richiamo delle guardie; notò di essere osservato ma non capì il motivo , stranamente si sentiva meglio, il dolore al volto era quasi scomparso; poi si guardò il polso e per poco non svenne.
Deglutì guardandosi attorno , si alzò in piedi avvicinandosi ai prigionieri incurante delle guardie e degli sguardi impauriti.
<< Cosa mi avete fatto mentre dormivo? Che roba è questa? >>
Li guardò uno a uno osservando le loro espressioni, poi si voltò ad osservare le guardie e i loro sguardi; qualcosa dentro di lui cominciava a formulare un pensiero ma non voleva crederci sebbene sapesse delle leggende sugli spiriti della morte.
Lui però era vivo, non era morto e gli spiriti della morte ti rubavano tutta l’anima lasciandoti o zombie senza coscienza o letteralmente senza vita.
<<  Adesso calmati ragazzino. Quella cosa ti ha rubato solo un quarto di anima anche se non so per farci cosa.
Leggende dicono che questi “Spiriti della morte” relegati sull’isola hanno i compito di utilizzare l’energia vitale degli abitanti ma non ho idea di cosa ci facciano anzi, credevo fosse soltanto una fottuta leggenda. Merda! >>
Si voltò verso il soldato deglutendo.
<< Quindi è loro il marchio? Mi uccideranno? >>
<<  Cosa diavolo vuoi che ne sappia ragazzo. Sicuro è che non sei il solo a rischio qui. Siamo tutti a rischio ora e questo significa ulteriore lavoro per noi soldati della milizia. Forza tutti a lavoro ora. >>
Con un gesto imperioso intimò a tutti di mettersi in fila e portarsi dietro la borraccia, ricordando a tutti qual’era il segnale per bevo.
Lo guardò deglutendo, non riuscendo a muovere un passo ma uno spintone lo fece entrare nella fila, fissò il soldato barbuto armato di tutto punto che lo aveva pungolato ingoiando nuovamente la voglia di piangere.
Passò il resto della giornata ad estrarre cristalli e lo stesso fece i giorni seguenti, in una monotona routine, non accadde nulla di strano ma il segno non volle saperne di andarsene.
Una notte dopo una settimana che era lì, non riusciva a prendere sonno dal dolore che provava alle ossa e muscoli, ripensò alla sua vita prima di quella prigionia e le lacrime iniziarono a scendere da sole; assieme a loro affiorarono le domande e i misteri che lo avevano circondato fino a quel momento.
“Cos’era davvero quel luogo? Perché quel mostro gli aveva rubato parte della vita? Voleva andarsene, fuggire via da lì. Doveva trovare una maniera”
Quelle domande si insinuarono così tanto in lui da rimbombargli in testa insieme al desiderio di avere una forza maggiore, la forza per evadere.
Pianse fino a che non si sentì esaurito alzò lo guardo e lo vide, lo spirito che lo guardava con il suo collare in oro massiccio e la falce in mano; urlò con tutto il fiato che aveva in gola arretrando e svegliando gli altri prigionieri che davanti a quello spettacolo si misero a fare le cose più disparate; chi pregava, chi tremava chi intimava alla cosa di allontanarsi; con tutto quel trambusto arrivarono anche i soldati di corsa, notarono lo spirito della morte mentre scompariva e rimasero attoniti alcuni minuti fissando i prigionieri nella cella sbiancati dal terrore.
Per il resto della notte rimasero di guardia, nessuno dei prigionieri riuscì più a chiudere occhio e la mattina seguente nessuno ebbe la voglia di infierire sull’altro.
Le giornate continuarono a trascorrere monotone senza che accadesse più nulla di eclatante a parte due bestie ritrovate senza vita e presto passò un mese; la tensione continuava a rimanere alta e lentamente alcuni prigionieri cominciarono a fare richieste alle guardie, le punizioni che venivano inflitte loro erano crudeli; per un periodo tornava la quiete poi altri ricominciavano a fare domande e il ciclo si ripeteva.
Le guardie ormai si osservavano attorno per ogni minimo rumore e inveivano, frustavano, usavano quel maledetto telecomando ad ogni minima cosa che non gli tornava.
Cruz ormai non faceva più domande, dormiva poco e male e si era estraniato dal mondo, pensava ad un'unica cosa; l’evasione.
Ben presto si rese conto che quel desiderio lo stava facendo impazzire assieme al terrore di vedere nuovamente gli “Spiriti della morte” e venire ucciso da loro. Alzò la mano facendo il segno di Bere e iniziò a sorseggiare la poca acqua che aveva stupendosi di come si era abituato a quel macabro meccanismo per non essere frustato o peggio, la cosa era quasi comica se non fosse stato per il luogo nel quale si trovava.
Si osservò attorno, udendo due guardie che parlottavano tra loro sul fatto che al comandante erano arrivate le voci sugli spiriti e si domandavano che cosa sarebbe accaduto.
Rallentò il sorseggiare del’acqua per continuare ad ascoltarli ma un urlo secco gli fece trangugiare troppo liquido ed iniziò a tossire distraendosi; Anche le due guardie smisero di parlare, fissarono tutti il cadavere a terra e scossero il capo riprendendo a lavorare.
Cruz li imitò prendendo nuovamente mano al piccone e concentrandosi su un particolare cristallo. Le ore passavano e finalmente riuscì a staccare il blocco intero di cristallo di Adolite, posò il piccone afferrandolo e trascinandolo a lato con delicatezza, lo posò a terra e riprese l’attrezzo notando una cavità sotto al punto dove c’era il cristallo, la sua estrazione aveva aperto una piccola breccia.
Richiamò la guardia segnalando la scoperta e presto fu attorniato da parecchie persone, una guardia corse a chiamare il comandane della guarnigione che arrivò tutto impettito in uno splendido completo color azzurro e panna bordato d’oro e argento.
Le guardie fecero allontanare tutti i prigionieri e Cruz osservò attentamente l’uomo sulla cinquantina dai fluenti capelli biondi, il viso sorridente e l’espressione presuntuosa.
L’uomo fissò il buco ordinando ad un prigioniero di togliere il restante cristallo e ingrandire l’apertura. Osservando il suo modo di fare Cruz provò istintivamente un odio atavico per lui, lo fissò in cagnesco senza distogliere lo sguardo ma questo non sembrava neanche notarlo, poi l’apertura divenne finalmente agibile e con una mossa teatrale il comandante esordì “ Chi è stato a trovare questa caverna?”
Tutti quanti si allontanarono da lui e rimase solo a fissare quell’uomo che gli ispirava tanta antipatia.
<<  Credo che spetti a te l’onore dell’esplorazione mio giovane prigioniero >>
Il sorriso era così mellifuo che provò un moto di disgusto, Annuì senza dire una parola ed entrò come una marionetta nell’apertura notando che era piena di piccoli cristalli taglienti.
Mentre scendeva imprecò ad ogni nuovo taglio che quei microcristalli gli procuravano, più scendeva più il passaggio diventava stretto e i cristalli grandi e taglienti, le ferite aumentavano e con esse il dolore, poi ad un tratto non ebbe più nulla sotto e cadde con uno strillo sordo in un una pozza di acqua gelida.
Si guardò attorno cercando di capire quanto fosse grande quella caverna ma non vedeva nulla, si mosse ma uno strano fruscio nell’acqua lo fece bloccare di scatto.
Rimase in attesa coi sensi all’erta, poi sentendolo avvicinarsi, si tuffò in acqua iniziando a nuotare freneticamente.
Le ferite gli procuravano fitte ad ogni movimento ma la paura di morire ormai aveva preso il soppravvento su tutto.
La caverna ad un tratto si restringeva in un lungo fiume, continuò a nuotare senza meta fino a che dei cristalli fluorescenti non illuminarono tutto il tunnel.
Si fermò notando un sottile strato di terra e vi si issò mettendosi in piedi ansimante e voltandosi per vedere cosa lo inseguiva; rimpianse di averlo fatto quando scorse la Gorgone.
Rimase paralizzato per qualche secondo incantato dalla bellezza del suo viso, dal corpo serpentifero ricoperto di squame bianche e dai capelli muniti di lunghi serpenti dai riflessi blu argentei; usò tutta la volontà che aveva per riscuotersi e riprendere a correre senza voltarsi indietro incurante di tutto.
Lentamente le membra cominciarono a farsi pesanti e rallentò impercettibilmente sentendo mancarsi il respiro.
I polmoni gli bruciavano e il rimbombo del cuore gli risuonava nelle orecchie; voleva piangere, solo piangere; non sopportava più quell’incubo che da quando era arrivato in quel maledetto carcere, era cominciato, a questo punto era meglio morire.
Si fermò un secondo e un bruciore al polso terribile lo costrinse a riprendere a correre, guardò i segni del marchio che brillavano rosso sangue, deglutì guardandosi attorno con ancora più paura di prima.
I Cristalli fosforescenti erano sempre più grandi e luminosi, non c’era più terra asciutta e correva nell’acqua bassa e gelida sentendo le strida della gorgone sempre più vicine e qua e là scorgendo ombre evanescenti.
Imprecò senza più fiato notando un apertura da cui si irradiava la luce poco distante; ma da quanto correva?
Non lo sapeva, tutto gli appariva confuso sfocato, si fiondò sull’apertura , inciampando e non sentendo il fondo, venne sommerso dall’acqua per poi risalire in superficie cercando aria, si voltò assistendo allo spettacolo più scioccante della sua vita.
Decine di spiriti della morte si gettavano sulla gorgone assalendola e attaccandola; si guardò intorno, si trovava in una caverna circolare con statue di cavalieri ai lati e Dragoni scolpiti nel cristallo, in mezzo al lago c’era un urna deposta su un atollo.
Una tomba. Era finito nella tomba di qualche antico condottiero dell’isola; se c’era una tomba c’erano sicuramente tesori lo sapeva per esperienza e assieme a loro armi.
“Posso Difendermi!”
Il pensiero di trovare un arma riportò il suo umore alle stelle, fece un profondo respiro osservò la situazione dello scontro tra spiriti e gorgone, si controllò le ferite e facendo appello a tutte le sue forze residue nuotò fino alla teca.
Si issò sull’atollo fermandosi ad osservare il bell’uomo dentro alla bara , il corpo era conservato perfettamente, pareva dormisse.
Aveva un corpo muscoloso e dei profondi capelli bianchi, in mano teneva una magnifica spada di cristallo.
Si voltò verso lo scontro udendo l’urlo della gorgone, la bestiaccia stava vincendo nonostante gli sforzi degli spiriti della morte di tenerla lontana, spostò il coperchio dell’urna sentendo una serie di fitte incredibili per lo sforzo e le ferite, sussultò quanto il coperchio cadde di lato con un tonfo sordo.
Ansimò nuovamente e fu preso dal panico quando udì l’urlo trionfale della gorgone, si voltò vedendola entrare di gran carriera nella grotta, osservandosi attorno; afferrò di getto la spada che il cavaliere teneva in mano ma rimase sbigottito nel vedere che questi apriva gli occhi e sorrideva.
Non riuscì a muoversi; la mano dell’uomo si alzò penetrandogli la carne e afferrandogli il cuore; guardò quella mano che l’aveva trapassato, non c’era sangue, deglutì sentendo la stretta e la sensazione di sffocare, lui l’avvicinò a se sogghignando
<< Sarai il mio involucro, il mio portatore, sono libero!! >>
Quell’ultima parola rimbombò nell’aria come un eco, Cruz sentì le lacrime colargli mentre un vapore caldo e un energia luminosa azzurra pervadevano il suo corpo penetrandogli dentro e facendogli provare una sensazione differente da ogni altra mai provata.
Gli sembrava di bruciare, di soffocare e scomparire, di essere risucchiato, nel caos del momento riuscì solo a piangere e pregare per non morire.
Quelle parole mentali diventarono il suo appiglio, “Non voglio morire”; presero a rimbombargli in testa fino a diventare una forza che contrastasse il risucchio e il resto di quelle sensazioni, fu una lotta intensa che avviluppò tutto il suo corpo, poi tutto si fermò e fu soppiantato da un senso di calore e pace, sentì la coscienza cadere nell’oblio mentre un simbolo luminoso gli appariva in fronte.
<< Sono libero!! Fratello ti mostrerò chi è il migliore!! >>
L’urlo provenì dalla sua bocca ma non gli sembrò di aver parlato, vide le sue mani afferrare la spada, in puro cristallo di Adolite e Argento intarsiata e lanciarsi sulla gorgone incurante di tutto, la lotta fu breve e terminò tagliandogli la testa.
Rise ma tutto gli pareva un sogno distorto poi la sensazione di estraniamento sparì, si ritrovò in se con in mano la spada e davanti quel corpo decapitato.
Un terrore profondo si impadronì di lui e migliaia di domande confuse gli salirono alla mente; si guardò attorno pietrificato notando gli spiriti della morte inchinarsi al suo cospetto. Uno di loro si avvicinò, indietreggiò ma questi delicatamente gli afferrò la mano e gli mise un bracciale d’oro a catena con strane placche incise sopra proprio sopra il marchio.
La testa gli rimbombò mentre un “No” mentale riecheggiava per tutto il suo corpo. Una voce parlò cupa e roca mentre le altre cantavano una strana nenia.
<< Signore delle lotte, Dio considerato inutile e vanitoso, non farai il tuo comodo con colui che da secoli aspettiamo; non farai il tuo comodo in questo mondo.
Principe, ultimo erede della casata degli Ashiva, usa questo sigillo quando ne avrai bisogno e sappi qual è la storia. >>
Cadde in ginocchio mentre visioni di una civiltà antica e ormai perduta si insinuavano nella sua mente immagine dopo immagine; improvvisamente capì cos’erano quegli spiriti, qual’era la loro muta richiesta, l’origine di quelle strane armi e soprattutto scoprì cos’aveva in corpo e che la spada che aveva in mano non era altri che il vero corpo del Dio che si era insinuato dentro di lui; ma soprattutto capì quali erano le sue vere origini e perché fosse stato abbandonato da bambino ad Asmetrum.
Era l’ultimo discendente di un popolo depositario di grandi conoscenze e grande magia, abbandonato in fasce dai genitori perseguitati per essere studiati e usati fino a morte.
Provò una tristezza sorda, li guardò uno ad uno, gli spiriti dei suoi antenati, i fondatori dell’isola. Fece un profondo respiro.
<< riporterò in vita quella civiltà. Lo prometto. >>
Gli spiriti si alzarono tutti insieme e sparirono in un vapore bianco. Gli sembrò quasi sorridessero. Fissò la spada e deglutì provando un moto di paura ma ben deciso a non lasciarsi usare. Distrusse il bracciale che aveva al polso con l’arma e ringraziò il fatto che prima di scendere in quel buco gli avessero tolto le catene alle caviglie. Si sedette a riposare un poco e riorganizzarsi poi tornò in superficie, Colse tutti di sorpresa iniziando ad attaccare le guardie che incontrava; l’allarme si diffuse in fretta e ben presto fu inseguito, arrivò al parapetto e si voltò sorridendo.
<< sono libero. Sono evaso >>
Si lanciò dal parapetto, infilzando la spada sulla catena e iniziò a scendere correndo e puntando l’arma ad ogni folata di vento, arrivato a terra continuò a correre, ormai sentendo la morte sempre più vicina, al mancanza di aria e i polmoni che esplodevano. Si fermò dentro la macchia ai piedi del monte senza sapere che ore erano ma avvertendo i primi freddi della sera. Crollò stremato indeciso se ridere o piangere della situazione in cui si trovava.
Era libero ma ora lo attendeva una nuova vita e quella vita era rappresentata dalla convivenza con un Dio carico d’ira e desiderio di rivalsa, da una ricerca senza fine causata da un legame e promessa assurda.
“Che ne sarà di me? Voglio vivere, vedere il mondo.”
Chiuse gli occhi mentre le lacrime iniziavano a rigargli le guance e la spossatezza a condurlo nel mondo dei sogni.
 

 

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Capitolo 2
*** Vendetta e Rivelazione ***



Tra le fronde dell’albero Cruz guardava la ragazza che con espressione infinitamente triste fissava la tomba davanti a se.
Una lapide e un immenso sarcofago di marmo ricchi di fregi e decori floreali, azioni di battaglia e simboli della casata di appartenenza; si ergeva massiccio dinnanzi alla sua esile figura; per ultimo a far da gioiello della sepoltura, la grande spada incastonata nella lapide che emetteva scintillii ogni volta che il sole la illuminava.
Era una spada incredibilmente ricca e in mezzo a quella pietra pareva immensa; attorno a lei incisi con scaglie dorate i caratteri del nome e le date di nascita e morte del defunto.
Guardò il manico della sua spada con la coda dell’occhio, la teneva nel fodero dietro la schiena vista la grandezza e valutò le differenze fra le due armi tenendo ben conto che quella in suo possesso era speciale.
Il rumore del mare che lambiva la costa proprio lì affianco lo distrasse, Un immenso veliero passò avvicinandosi al porto e proiettando la sua ombra assieme a schizzi d’acqua; la ragazza non gli prestò nemmeno attenzione anzi chinò maggiormente la testa come a trattenere le lacrime, tornò ad osservarla nel suo splendido abito Blue Oltremare bordato in oro e il velo che le ricadeva sul volto dal quale uscivano i fluenti boccoli neri; sorrise non gli sembrava nemmeno la sgualdrinella che un anno prima l’aveva fatto finire in quella maledetta prigione.
Abbassò un momento lo sguardo, era già passato un anno da allora. In quell’anno si era guadagnato la fama di criminale super ricercato merito anche del fatto che era tornato ad Asmetrum a fare un salutino al Re e a comunicargli la sua evasione, inoltre aveva avuto qualche buon motivo per far scatenare Luriath.
Aveva lasciato un ricordino al sovrano della rocca quel giorno ma la sua vendetta non era finita, mancava lei.
L’Avrebbe umiliata fino a farle rimpiangere di essere nata. Le avrebbe reso pan per focaccia per tutto quello che aveva dovuto subire alla fortezza prigione e anche per la maledizione che gli era caduta addosso.
Un alito di vento mosse le fronde degli alberi portando con se il profumo del mare e il verso di un gabbiano; alzò lo sguardo allarmato osservandosi attorno con il groppo in gola poi riabbassò lo sguardo.
<< fratello. >>
Le parole uscirono dalle labbra della giovane con voce crinata come se stesse soffocando dentro di se il dolore straziante.
Con la mano strinse il velo, deglutendo e inghiottendo le lacrime che le salivano al viso, un leggero tremolio le impedì di lasciare il tessuto; deglutì di nuovo abbassando lo sguardo a terra.
<< amava così tanto suo fratello? >>
Cruz la fissò alcuni attimi sorpreso poi un idea gli balenò in testa; sorrise malizioso scendendo dall’albero facendo più rumore possibile.
Il cimitero era vuoto e dalla posizione in cui era la sepoltura poche persone potevano notarli.
Sorrise osservandola voltarsi con un sussulto.
<< ehilà! Ti ricordi di me vero?
O forse queste cicatrici che mi deturpano il volto mi hanno reso troppo irriconoscibile ai tuoi occhi? >>
Sorrise nel notare la paura mista alla sorpresa che si affacciava sugli occhi di lei mentre arretrava di un passo.
<< tu.. >>
<< sono venuto a renderti il favore che mi hai fatto. >>
L’afferrò mentre tentava la fuga, sbattendola al suolo con violenza; lei lottava scalciava ma non la lasciò andare, rinsaldò la presa ridendo.
<< Che succede, hai perso la baldanza adesso? Volevi sedurmi ad Asmetrum, farmi credere a promesse di ricchezza e lussuria per poi tradirmi e consegnarmi al sovrano; Mostrarti bella ed entrare nelle sue grazie. Complimenti ti devi essere sentita molto orgogliosa di quel che hai fatto. >>
Si mise a cavalcioni sopra il suo corpo immobilizzandole le gambe non staccando lo sguardo dal suo pieno di terrore.
<< che hai intenzione di farmi bastardo?>>
Si dimenò osservando il suo aggressore, qualcosa in quel ragazzo la spaventava, l’aveva sempre temuto ma al contempo si era sentita attratta da lui; così libero, così aggressivo e sicuro di se.
Si soffermò sul volto con quegli occhi limpidi dai riflessi dorati, il volto liscio e ben formato solcato da due terribili cicatrici, una al labbro l’altra fra gli occhi, la presa forte e decisa e infine quei capelli neri che sembravano rilucenti; per un attimo sentì nuovamente l’attrazione ma la soffocò dimenandosi ancora nel vano tentativo di liberarsi.
Si sentiva impotente arrabbiata e un mix tra frustrazione, paura e attrazione si mescolavano nel suo cervello creando un caos silenzioso.
<< rispondimi dannazione. >>
Guardò l’espressione del suo viso e il sorriso malizioso, quasi un ghigno di sfida; il panico iniziò ad affacciarsi dentro al suo animo, si mosse con maggiore forza senza riuscire a liberarsi, quella presa era troppo forte.
Attimi di silenzio intercorsero, poi il suo viso si avvicinò.
<< ti renderò l’umiliazione che mi hai inflitto e lo farò davanti al tuo caro fratellino maggiore. >>
Le afferrò la veste strappandogliela con rabbia e scoprendo un seno rotondo e sodo, l’afferrò muovendolo in maniera circolare, mentre lei urlava e le lacrime iniziavano a solcarle il volto, scoppiò a ridere esaltato
<< che succede? Era nei tuoi intenti no? Vendere il tuo corpo come la prostituta che sei. Prima a me e poi magari pensavi di finire nel letto di quel bastardo del sovrano non è vero?
Ti sto rendendo quel che hai seminato, credi di essere pulita solo perché sei in un altro regno ora? Sei solo una puttana. >>
Notò il suo sguardo sorpreso e terrorizzato, come a stare a dirgli “
Non è così, ti sbagli non sono così” Sentì un moto di rabbia avvampargli dentro, lasciò la presa e strappò anche l’altra parte dell’abito all’altezza del seno.
Lei urlò nuovamente cercando di divincolarsi, si avvicinò alitandole sul collo e poi su uno dei seni scoperti, in quel momento in lontananza si udì un suono quasi uno stridio, al sentirlo si bloccò improvvisamente e il suo sorriso si fece triste.
<< direi che può bastare sgualdrina, il gioco è finito. >>
Si alzò lasciandola e allontanandosi guardando il cielo; nel vento si sentiva un suono indefinito, uno stridio che si faceva sempre più intenso; si mise seduta osservandolo estrarre dal fodero la grande spada che portava sulla schiena e restare in attesa.
Un brivido le percorse tutto il corpo, si coprì con i brandelli dell’abito e alzò lo sguardo al cielo, in quel lasso di tempo in cui quasi l’aveva violentata il cielo si era ricoperto di nubi e l’aria si era notevolmente raffreddata, gli uccelli avevano smesso di cantare e i gabbiani di stormire; tutto era immoto come se il tempo si fosse bloccato.
Poi scorse la figura in armatura scendere dal cielo a velocità assurda emettendo un verso gracchiante, impugnava una falce, si voltò verso il ragazzo notando che i suoi muscoli erano tesi, proprio in quell’attimo la spada iniziò ad illuminarsi ricoprendosi di rune la luce e i simboli lo avvolsero in un bagliore azzurro, i suoi capelli divennero argentei; parò il colpo arrivato con una violenza inaudita e scaraventò l’essere lontano da se scattando poi all’attacco con un fendente a cui rispose un altro fendente.
Le armi cozzavano tra loro con incredibile violenza emettendo scintillii azzurri, il corpo di Cruz era teso per lo sforzo di difendersi dal suo avversario in netto vantaggio, un colpo di falce lo colpì alla guancia provocando una lacerazione, si morse il labbro con rabbia, rispondendo all’attacco e al contempo difendendosi.
Arretrava ad ogni nuovo colpo fino a che un colpo ben piazzato non lo costrinse in ginocchio, la creatura era impietosa colpiva e ricolpiva senza fermarsi, lui teneva la spada dritta davanti a se con decisione sudando mentre il sangue continuava a sgorgare dalla ferita, dai suoi occhi trasmigrava paura eppure dalla piega delle sue labbra si poteva intuire solo ira; urlò con voce roca e furibonda facendo forza sulle gambe e alzandosi di scatto menando un fendente che colpì la creatura in pieno petto.
Questa spiccò il volo allontanandosi, lui invece urlò di nuovo voltandosi verso di lei e avvicinandosi. Si inginocchiò ficcando al spada a terra e le prese il volto fra la mano.
<< Questo ragazzino è strano. Cosa ci troverà di attraente in una come te fino ad arrivare al punto di sentirsi ferito e tradito per un misero inganno di seduzione? Proprio non lo capisco. >>
Staccò la mano estraendo la spada e allontanandosi ciondolando sparendo fra le tombe.
Lei deglutì senza il coraggio di voltarsi o di pensare.
<< teria… >>
La voce si insinuò nella sua mente come un richiamo, assieme a lei arrivarono molte immagini in sequenza; una premonizione sul futuro e sul passato che ricostruivano una storia intricata e drammatica.
Si piegò in due per sopportare il dolore che quelle visioni le procurava, rimanendo senza fiato di fronte alla rivelazione che le veniva data.
<< sacerdotessa del culto di Luth, il mio culto; salva quello sciocco, liberati delle catene che ti imprigionano e riportami mio fratello. Questa è la missione che ti affido. >>
Le immagini sparirono assieme alla voce, si alzò in piedi voltandosi ad osservare i boschi scioccata e ansante.
Quel ragazzo era davvero l’ultimo discendente di un popolo tanto grande?
Quella spada era veramente il corpo del Dio del tuono Luriath…?
Deglutì nuovamente cadendo a terra e stringendosi la mano al petto sentendo venirle un attacco d’asma, si voltò guardando la tomba del fratello quasi a chiedergli consiglio, ansimò di nuovo e svenne.
A pochi metri di distanza Cruz tornato in se cadde a terra privo di forze; si concesse profondi e lunghi respiri per calmare i battiti accelerati ,mandando mentalmente al diavolo Luriath e la sua lingua lunga; quando si fu un po’ ripreso si mise seduto asciugandosi la ferita; estrasse dalla sacca che portava al fianco un unguento e ce lo applicò sopra con una smorfia quando questo iniziò a bruciare; rimise la spada nel fodero concedendosi un attimo di riposo poi si alzò ripercorrendo la strada fra gli alberi, scostando un ramo la vide distesa a terra, rimase qualche secondo fermo col cuore in gola, si avvicinò tastandole il polso e sentendo i battiti irregolari.
Senza riflettere la prese in braccio, portandola fino all’ingresso del cimitero, la lasciò in un punto dove il guardiano avrebbe potuto trovarla entro breve tempo e si allontanò tra il traffico cittadino.

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