Enter my world

di taisa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bugie e segreti ***
Capitolo 2: *** Un intelletto senza pari ***
Capitolo 3: *** Quel che non ti aspetti ***
Capitolo 4: *** Per qualche anno in più ***
Capitolo 5: *** Nessuna pietà ***
Capitolo 6: *** Pessimo tempismo ***
Capitolo 7: *** Ordinaria amministrazione ***
Capitolo 8: *** Qualcosa di stupido ***
Capitolo 9: *** Rapporti di coppia ***
Capitolo 10: *** Le conseguenze delle proprie azioni ***
Capitolo 11: *** Un vago sospetto ***
Capitolo 12: *** Doverose spiegazioni ***
Capitolo 13: *** Sempre più lontani ***
Capitolo 14: *** Le cose si complicano ***
Capitolo 15: *** Chiuso in gabbia ***
Capitolo 16: *** Una storia da raccontare ***
Capitolo 17: *** Progetti ***
Capitolo 18: *** La ragazza dell'ultimo anno ***
Capitolo 19: *** I volti degli sconosciuti ***
Capitolo 20: *** Un gesto parla da sé ***
Capitolo 21: *** Forza bruta ***
Capitolo 22: *** La vita si muove ***
Capitolo 23: *** Cure mediche ***
Capitolo 24: *** Le sorti del mio futuro ***
Capitolo 25: *** Non smettere di sognare ***
Capitolo 26: *** Buone e cattive notizie ***
Capitolo 27: *** Le parole di un messaggero ***
Capitolo 28: *** Basta un attimo di distrazione ***
Capitolo 29: *** Un'immagine residua ***
Capitolo 30: *** Bisogno di parlare ***
Capitolo 31: *** Una scomoda posizione ***
Capitolo 32: *** Pensieri della notte ***
Capitolo 33: *** La fine di un epoca ***
Capitolo 34: *** Solo noi due ***
Capitolo 35: *** Per motivi di sicurezza ***
Capitolo 36: *** In cerca di notizie ***
Capitolo 37: *** L'importanza di una vita ***
Capitolo 38: *** Per le persone care ***
Capitolo 39: *** I conti tornano ***
Capitolo 40: *** Nel mio mondo ***



Capitolo 1
*** Bugie e segreti ***


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Bugie e segreti

Il culmine del piacere giunse proprio in quel momento. Il suo corpo ebbe un ultimo fremito di diletto prima che il resto del mondo cominciasse a solleticare i suoi sensi. La realtà tornò lenta e rumorosa, riportandola con i piedi per terra.
Quando si lasciò cadere sul materasso si accorse che la sua pelle era bollente, nonostante il freddo invernale di metà dicembre. In contrasto, la collanina dorata che portava al collo le diede un fremito quando toccò la cute. Il ciondolo attaccato alla catenina, una piccola sfera di colore arancione nella quale era incastonata una stellina rossa, le ricadde tra i seni.
Si voltò al suo fianco, per cercare il suo amante. Anche lui si era sdraiato sul letto, osservando il soffitto della stanza. Fuori il cielo si era schiarito dalle nuvole nere che avevano portato la neve nei giorni precedenti e in quella giornata il sole riusciva timidamente a risplendere. I suoi raggi entrarono dalla finestra illuminando il corpo dell'uomo che le stava accanto e Bulma poté notare il sudore sul petto atletico di lui.
Si avvicinò, appoggiandogli la testa sulla spalla. Lo costrinse a circondarla con un braccio che lei si sistemò come se fosse una coperta. Lui non disse nulla, la lasciò fare senza aprire bocca.
Se avesse potuto esprimere un desiderio avrebbe voluto che quel momento non finisse mai, ma la magia non esiste e quando la realtà bussa alla porta non sempre è possibile fingere di non vedere.
La suoneria del suo cellulare rimbombò rumorosa nella stanza altrimenti silenziosa. Bulma l'avrebbe volentieri ignorata, se non avesse riconosciuto la tonalità che aveva impostato per essere quella esclusiva di sua madre.
I suoi occhi azzurri si fissarono sulla sveglia posta sul comodino dal lato in cui era sdraiato lui. Si accorse che era tardi e non le parve una buona idea non rispondere alla chiamata, correndo l'inutile rischio di farla insospettire.
Bulma balzò giù dal letto alla ricerca della giacca che faceva parte della sua divisa, consapevole che il telefono si trovava in una delle tasche. “Ciao mamma” salutò subito appena riuscì a rinvenirlo. Ascoltò la risposta “No, sono ancora a scuola” mentì “Sono rimasta a studiare con gli altri” aggiunse mentre i suoi occhi cercarono il motivo delle sue calunnie.
Vegeta si alzò dal letto in silenzio, ignaro che lei non lo stava perdendo di vista per un secondo. Impegnato nella ricerca di un paio pulito di boxer non si accorse che Bulma avrebbe voluto fermarlo per ordinargli di tornare a sdraiarsi sul materasso nudo com'era.
Fu davvero difficile concentrarsi per ascoltare le istruzioni che le venivano date e per poco si dimenticò che sua madre l'aveva appena informata che sarebbe tornata a casa entro una mezz'ora.
Recuperati un paio di pantaloni e una maglietta, Vegeta uscì dalla stanza, percorse il corridoio e raggiunse il bagno senza tuttavia premurarsi di chiudere nessuna delle porte.
“O... k allora ci vediamo a casa” disse infine Bulma, quando lui uscì dalla sua visuale. A dire il vero si stava facendo tardi, e se voleva rendere credibile la sua storia e fosse davvero rimasta a scuola con i suoi amici, quella sarebbe stata l'ora in cui tutti dovevano rincasare. Bulma abitava a poche fermate d'autobus dalla scuola, ma alcuni degli altri non erano così fortunati e quando capitava di rimanere nella biblioteca scolastica si salutavano sempre verso la stessa ora. “Sto andando a prendere la bici proprio ora” un'altra menzogna. Era diventata molto brava a raccontare bugie, ultimamente.
Vegeta riapparve, ora vestito, pochi istanti dopo il termine della telefonata. Anche Bulma aveva cominciato a recuperare i pezzi della sua divisa scolastica che aveva lasciato in giro per la camera da letto. Vedendola cercare le parti mancanti, fu lui e raccoglierle la camicia sulla quale era stampato lo stemma del liceo privato che la ragazza frequentava. Lo aggiunse con le altre cose sistemate sul letto.
Bulma si voltò a guardarlo infilarsi una felpa. Lo fissò per un momento, “Stai andando a lavoro?” gli domandò “Hn” rispose lui. Vegeta non era una persona di molte parole e Bulma aveva imparato ad accontentarsi di questi brevi suoni che sostituivano intere frasi.
Vegeta la baciò per un istante che le parve eterno e sempre troppo breve. “Chiudi la porta quando esci” le disse prima di voltarsi verso l’ingresso. Bulma gli afferrò l'orlo della felpa, “Promettimi che mi scriverai quando finisci” lui la guardò aggrottando le sopracciglia “Chiudiamo tardi, tu dovresti già essere a letto a quell'ora” le ricordò. Lei mise il broncio “Non importa! Voglio la buona notte, Vegeta! Promettimelo!”.
La guardò con un'espressione adirata per un attimo, poi sbuffò. “Sei una rompiscatole” brontolò e solo allora Bulma lo lasciò andare, consapevole che quello era il suo modo di assentire.

***

L'appartamento di Vegeta era situato sopra il magazzino del locale, doveva solo scendere una breve rampa di scale per entrare nel cortile circondato da un cancello, generalmente lasciato aperto per lasciar libero il passaggio allo scarico merci, e da alcune siepi dietro la quale Bulma era solita nascondere la propria bicicletta.
Il terreno era ricoperto da uno strato di neve che stava ormai scomparendo. Il tempo era decisamente migliorato rispetto a pochi giorni prima e, alzando gli occhi al cielo, le nuvole erano scomparse. Almeno per il momento non avrebbe più nevicato.
Non si poteva mai essere troppo sicuri tuttavia e Vegeta decise che era una buona idea spostare la propria moto sotto una tettoia all'interno del cortile, essendo stato costretto a parcheggiare allo scoperto a causa di un camion che stava recapitando un ordine e che ora si era allontanato.
Era una vecchia motocicletta che andava solo quando ne aveva voglia. Vegeta stava perdendo la pazienza con lei, ma al momento non aveva la possibilità di comprarne una nuova. Messo al riparo il motociclo, aprì la porta sul retro del magazzino e si diresse verso l'entrata del bar.
Era tardo pomeriggio, un orario in cui i clienti erano pochi, nonostante ciò il co-proprietario del locale era di servizio dietro il bancone. “Dove cavolo sei stato, Vegeta?” brontolò questi quando lo vide arrivare, “Sta zitto Nappa” tagliò corto l’altro.
Era inutile discutere con lui, era sparito senza dire una parola ed era ricomparso allo stesso modo. Quando non aveva voglia di parlare, che era la maggior parte delle volte, Vegeta era una cassaforte fatta di segreti.
Tuttavia Nappa si stava innervosendo! Erano un paio di mesi che Vegeta spariva senza spiegazione alcuna saltando costantemente il turno pomeridiano al bar. Sarà anche stato l'orario più tranquillo della giornata, ma c'era sempre molto lavoro da fare dietro le quinte.
Stava cominciando ad insospettirsi, se doveva essere sincero. Vegeta stava sicuramente nascondendo qualcosa, anche se ancora non sapeva cosa.

***

Aveva raccontato a sua madre che stava tornando a casa, prima di chiudere la telefonata. Non che questo fosse troppo distante dalla realtà, dopotutto si era precipitata dopo essersi resa presentabile. C'era solo un unico problema, l'appartamento di Vegeta distava quasi il doppio rispetto alla scuola, pertanto Bulma avrebbe impiegato altrettanto tempo a rincasare. Doveva quindi battere la madre sul tempo, e se aveva fatto i conti correttamente sarebbe riuscita nell'impresa.
Nonostante la sua sicurezza in fatto di tempistiche, tirò comunque un sospiro di sollievo quando si accorse che la macchina non era parcheggiata davanti al viale.
Rimediato a quella bugia doveva fare i conti con la seconda, sulla quale non poteva permettersi di transigere. Mentendo a tutti, amici e genitori, aveva raccontato che avrebbe studiato per tutto il pomeriggio. La realtà era che non aveva aperto un singolo libro avendo passato tutto il tempo con un uomo sette anni più grande di lei senza rivelare a nessuno della sua esistenza.
La sua relazione con Vegeta era un segreto.
Arrivata a casa si precipitò in camera per studiare matematica. Non poteva prendere un brutto voto al compito in classe di domani, i suoi risultati scolastici dovevano essere perfetti. E pur di mantenerli tali avrebbe studiato fino a notte tarda.
“Bulma aiutami a mettere via la spesa” disse la voce di sua madre che giunse dalle scale. Costretta ad abbandonare i suoi propositi di studio, la ragazza dovette uscire dalla propria camera. Tornò al piano inferiore per dare una mano portando i sacchetti in cucina e cominciando a svuotarli.
“Com'è andato lo studio con i tuoi amici?” le domandò allegra la donna, “Ho appena incominciato” pensò tra sé Bulma, “Bene” le rispose afferrando un pacchetto di patatine che ripose su uno scaffale in alto nel mobile contenente snack di ogni sorta “Ma vorrei studiare un altro po'” aggiunse frettolosa per giustificare il fatto che non avrebbe fatto altro per il resto della giornata.
Panchy estrasse delle verdure fresche e le ripose in frigo, “Non esagerare cara, se hai studiato tutto il pomeriggio dovresti rilassarti un po' prima di andare a dormire” suggerì alla figlia, “I tuoi voti sono ottimi” “S... sì, ma vorrei ripassare ancora alcune cose” mormorò Bulma cercando di restare sul vago.
La sua mano s'infilò in uno dei sacchetti estraendone un pacchetto di biscotti, una confezione di cereali e un succo di frutta. Li poggiò sul tavolo uno ad uno, soffermandosi ad osservarli.
Sua madre stava parlando, ma per un istante non le diede molto retta “Ehi, mamma, questi non sono i cereali che prendiamo di solito” le indicò. Panchy si voltò osservando la scatola senza notare nessuna differenza. “Cosa c'è che non va?” le domandò, la figlia le indicò il disegno sul cartone “Sono la solita marca, ma questi hanno l'uva sultanina” le fece notare “Lo sai che non mi piace” brontolò come una mocciosa mettendo il broncio. La donna alzò le spalle “Oh beh” minimizzò “Appena posso andrò a comprare quelli che ti piacciono” le promise.
Un po' contrariata, Bulma mise la confezione insieme alle altre nell'apposito scomparto del mobile.
“Stavo dicendo, Bulma” riprese Panchy, “Si hanno notizie sulla borsa di studio?” le domandò. Dopo aver riposto anche l'ultimo oggetto pescato dall'interno della borsa, Bulma si voltò verso sua madre “Non ancora, mi hanno detto che si saprà ad inizio gennaio” le ricordò. La donna giunse i palmi della mani “Oh, ci siamo quasi” cinguettò allegra.
Bulma era un po' nervosa per l'intera faccenda, aveva lavorato sodo anche solo per poter fare richiesta all'università.
Era una facoltà molto influente ed era difficile entrare. Ogni anno selezionavano i più bravi nell'intero paese, alla quale veniva data una prestigiosa borsa di studio e solo ad essi era concesso entrare senza il test d'ingresso che si teneva nei mesi estivi. Bulma voleva ad ogni costo quel privilegio, essendo un ateneo oneroso. Questo avrebbe permesso ai suoi genitori di non svenarsi economicamente pur di farle ottenere la laurea dei suoi sogni.
Voleva studiare ingegneria e voleva farlo nell'istituto che aveva frequentato anche suo padre. Per fare ciò doveva prima prendere un buon voto nel compito di matematica di domani e quindi doveva mettersi a studiare.


CONTINUA…

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Capitolo 2
*** Un intelletto senza pari ***


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Un intelletto senza pari

Il compito in classe non era stato troppo complicato, anche se non avesse passato la notte a studiare fino alle tre. Sapeva di aver fatto bene e si sentì fiduciosa delle sue capacità. Erano almeno venti minuti che aveva già consegnato al professore il suo test.
Il suono della campanella decretò la fine della lezione e l'inizio dell'intervallo. I suoi compagni di classe si affrettarono a scrivere le ultime note prima che i fogli venissero sottratti sotto i loro nasi.
Crilin, seduto al banco di fronte a lei, si voltò l'istante esatto in cui l'insegnante ritirò il suo compito. “Dimmi che la risposta alla terza equazione era cinque” la implorò, sapendo che se lì c'era qualcuno che aveva le risposte esatte a tutti i questi, quella era Bulma.
“Ti avevo detto che era otto” lo rimproverò Lazuli seduta con le spalle appoggiate alla parete dietro il tavolo alla sinistra del suo ragazzo. Crilin la guardò per un attimo con disappunto. Lei aveva cercato di suggerirgli le risposte esatte per tutto il tempo, ma in metà dei casi non era riuscito a sentire, mentre nell'altra metà avevano rischiato di farsi beccare. L'amico tornò a guardarla con un'ultima flebile speranza, ma Bulma alzò le spalle “Mi dispiace, Crilin, ha ragione lei” confermò. Lui sospirò rassegnato “Oh” bisbigliò. “Beh, un altro compito in classe nella quale ho preso un pessimo voto” s'introdusse Yamcha, che si era fatto largo dai banchi in prima fila, dov'era stato spostato per punirlo dopo essere stato scoperto a copiare una volta di troppo. “Dimmi almeno che ne hai fatta una giusta” si augurò Bulma, per tutta risposta lui si portò le mani dietro la nuca “Probabilmente no” dedusse noncurante.
Yamcha lasciò cadere il proprio astuccio sul banco che occupava di solito, dietro Lazuli e accanto a Bulma, “Non importa... piuttosto chi viene con me alle macchinette? Io avrei un po' di fame” suggerì lui. Le due ragazze si scambiarono uno sguardo. Lazuli si alzò ed afferrò la mano di Crilin, costringendolo a sollevarsi dalla sedia “Tanto vale andare tutti” disse cercando d'incoraggiare il ragazzo ancora sconfortato dall'idea che i suoi voti in matematica stavano peggiorando. Anche Bulma decise di alzarsi, “D'accordo” disse afferrando il cellulare che aveva nascosto nella giacca della divisa. Non aveva ricevuto alcun messaggio nuovo, appurò dopo aver verificato.
Vegeta era stato di parole, la notte precedente. Alle quattro in punto le aveva scritto un breve messaggio alla quale lei aveva replicato appena si era alzata quella mattina. Di lui non c'era ancora segno tuttavia.
Non che si aspettasse qualcosa di complicato, Vegeta aveva un modo di scrivere estremamente sintetico. Si trattava perlopiù di brevi frasi o di singole parole, ma a lei bastavano. A ben pensarci però, erano ancora le dieci del mattino, forse lui non si era ancora svegliato.
Il gruppetto si ritrovò ben presto in fila per arrivare ai distributori automatici in attesa del loro turno che per fortuna arrivò presto. Yamcha si voltò verso gli altri, “Bulma, tu vuoi qualcosa?” le domandò mostrandole una manciata di monete che teneva in mano. Bulma scosse il capo dopo aver controllato di nuovo il cellulare, “No grazie, quella roba fa ingrassare” “Non insistere principe azzurro, alla principessa non interessi” lo prese in giro una voce alle loro spalle.
Lapis sorseggiò da una bibita che aveva già ottenuto dalle macchinette, la mano libera nella tasca, e con sguardo impassibile fissò gli altri uno ad uno, “Sopravvissuti all'ora di matematica a quanto vedo” aggiunse poi.
Contrariamente al resto del gruppo, il gemello di Lazuli frequentava un'altra sezione evitando quindi il test del giorno.
Alla domanda Crilin sospirò ancora affranto e Lapis gli poggiò una mano sulla testa rasata. “Andrà meglio la prossima volta pelatino” gli disse. Si pentì di averlo fatto quando incrociò lo sguardo glaciale della sorella che lo costrinse a fare un passo indietro.
“Ehi, dimentichiamoci di queste cose. Siamo liberi questo pomeriggio, cosa volete fare?” cambiò argomento Yamcha.
Nella sua mano il cellulare vibrò per un istante. Bulma si affrettò a dare un'occhiata, ma ne fu subito delusa... non era Vegeta. Lesse comunque il messaggio.
“Possiamo andare in centro” suggerì Crilin, risvegliatosi dal suo torpore si voltò verso Lazuli “Cosa ne pensi?”. Lei gli regalò un lieve sorriso, “Se è quello che vuoi” stabilì. Lapis fece spallucce “Beh immagino che vada bene” disse senza suonare troppo convincente, mentre l'altro ragazzo annuì col capo.
In seguito Yamcha si rivolse a Bulma, “Tu?” le domandò. Lei sollevò il capo dal suo cellulare, “Cosa? Ah... no mi dispiace io non posso. Mi ha appena scritto mia sorella e mi ha chiesto se posso passare da lei oggi” spiegò digitando la risposta sulla tastiera del telefonino.

***

Sua sorella maggiore Tights abitava in periferia, dove gli affitti per gli appartamenti non erano troppo costosi, tanto da permettere ad una giovane aspirante giornalista di lavorare in un piccolo giornale locale.
Il problema, per Bulma, era che arrivarci in bicicletta era un'immensa fatica vista la distanza da percorrere. Si vedeva quindi costretta a lasciare il suo bolide alla fermata dell'autobus per farsi mezz'ora seduta sui mezzi pubblici. Se non altro aveva la possibilità di scendere proprio davanti al palazzo della sorella senza quindi fare molta strada.
Quando citofonò alla porta le aprì un giovane ragazzo mingherlino con indosso l'uniforme della polizia. Lui la squadrò dal basso verso l'alto, “Ah... sei tu” brontolò in una tonalità seccata, “Ciao Jaco” replicò Bulma.
Jaco era il coinquilino e amico di sua sorella. I due erano stati compagni di classe al liceo ed avevano finito per trovare un accordo per aiutarsi sul piano economico.
Dividere i costi dell'appartamento consentiva ad entrambi di mantenere in vita i reciproci stipendi un po' più a lungo, considerando che nessuno dei due veniva pagato molto.
“Tights, c'è tua sorella!” gridò Jaco all'interno della casa. La giovane donna si affacciò da una delle stanze in fondo al piccolo corridoio, “Vieni pure Bulma” le disse facendole segno di raggiungerla.
Mentre la ragazza si fece strada, Tights guardò il coinquilino, “Non dovevi andare a lavoro?” gli domandò “Sto andando” rispose lui infilandosi il berretto d'ordinanza sul capo prima di uscire e sbattere la porta. “È di cattivo umore?” le domandò Bulma una volta entrata nella camera da letto della sorella. Lei alzò le spalle “Non farci caso, Jaco è sempre di cattivo umore” scherzò.
Bulma si guardò attorno, la camera era abbastanza minimale, c'era solo lo spazio sufficiente per il letto, l'armadio e una scrivania che la sorella aveva tappezzato con vari poster per dare un po' di personalità all'ambiente.
Dopo essersi seduta sul materasso, Tights le indicò il portatile, “Eccolo, puoi sistemarlo?” le chiese. Bulma appoggiò il suo zaino scolastico sul pavimento appena fuori dalla stanza ed appese la giacca della divisa sullo schienale della sedia. Poi aprì il laptop e cominciò a digitare sui tasti, “Mh” farfugliò pensierosa.
Con uno squillo il suo cellulare diede il segnale di aver appena ricevuto un messaggio. Impiegò meno di un secondo ad estrarlo dalla tasca per poter leggere la missiva.
Vegeta!
Sulle sue labbra si disegnò subito un piccolo sorriso che riuscì a nascondere alla sorella alla quale dava le spalle. A malincuore lo informò che non sarebbe riuscita ad andarlo a trovare quel giorno, ma che le sarebbe mancato e avrebbe pensato a lui. Stava per poggiare il telefono sulla superficie del tavolo, quando decise di aggiungere un cuore a completare così la sua risposta.
“Ehi! Sei qui per aggiustare il mio computer, non per chiacchierare con i tuoi amici” le ricordò Tights, avendone bisogno... era il suo strumento di lavoro! “Cosa? Ah sì” si riscosse l'altra che senza pensare toccò il pendaglio appeso alla collanina che portava al collo.
Il silenzio scese nella stanza, fatta eccezione per il digitare dei tasti. “Allora, pensi di poterlo fare?” domandò in apprensione la maggiore. “Non lo so, è un errore che non conosco” le spiegò.
Bulma non si arrese e la sua lotta con il portatile durò per diversi minuti ancora, era diventata una questione di principio. Tights si alzò dal letto e si avvicinò a lei, chinandosi per vedere lo schermo, “Pensi che papà potrebbe riuscirci?” le domandò e per quella domanda si guadagnò un'occhiata di disapprovazione.
Il padre, Dr. Brief, era una sorta di aggiustatutto specializzato nella riparazione di elettrodomestici più svariati. Possedeva un piccolo negozio in centro incentrato sul restauro di oggetti non funzionanti. Non c'era nulla che non fosse in grado di fare.
Nei suoi diciassette anni di vita, Bulma aveva imparato da lui tutto quello che sapeva sull'arte della meccanica dietro la moderna tecnologia. Era un mondo che l'affascinava, per questo aveva sempre voluto seguire la sua strada.
Tuttavia, seppur il genitore fosse capace di ridare nuova vita anche ai computer, quello era un territorio nella quale lei era nettamente superiore. Tights lo sapeva, per questo aveva chiamato la sorella prima del padre.
“Scusa, non volevo offenderti” le disse in risposta allo sguardo che aveva ricevuto. Bulma tornò al suo lavoro.
“Dovrò fare qualche ricerca per sapere come ripararlo” decretò infine, ma quella diagnosi non piacque alla maggiore. “Ho una consegna per domani” si lamentò. Bulma ci pensò per alcuni secondi, “Mi è venuta un'idea, se vuoi posso dire alla mamma di venirmi a prendere e di portarmi il mio vecchio computer. Ti lascio quello mentre provo a sistemare questo” concluse. “Non sapevo avessi un nuovo computer” notò Tights, la sorella alzò le spalle “L'ho comprato alcuni mesi fa con i soldi del mio lavoro part-time” le rivelò.


CONTINUA…

Dunque, nota per quanto riguarda alcuni nomi. Come avrete notato ho usato i nomi “umani” per C17 e C18 (rispettivamente Lapis e Lazuli).

Ho fatto questa scelta perché mi suonavano più naturali in confronto ai reciproci numeri.

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Capitolo 3
*** Quel che non ti aspetti ***


d
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Quel che non ti aspetti

Arrivato nella zona del bar parcheggiò l'auto sul retro accanto alla cancellata che dava sul cortile.
Era inutile posteggiarla all'interno, nell'eventualità un camion dovesse passare a scaricare un ordine avrebbe dovuto comunque spostarla. Inoltre Vegeta era solito lasciare la sua moto dietro il cancello. Sebbene quest'ultima non si trovasse lì in quel momento.
Il veicolo che invece Nappa trovò nascosto tra i cespugli era una bicicletta. Sarebbe stato più sorpreso se fosse la prima volta che la individuava nello stesso punto. Non sapeva a chi appartenesse e d'altrocanto non era nemmeno un suo problema.
Era in ritardo quel giorno, nonostante il martedì aprissero più tardi del solito, avendo trovato traffico sul tragitto. Si reputò fortunato di aver trovato effettivamente un posto dove lasciare l'auto. C'era un'altra vettura tra la sua e l'inferriata che delimitava la proprietà del bar, alla quale dava le spalle.
Il suo cellulare cominciò all'improvviso a vibrare. Sarebbe stato bello trovarlo dove l'aveva lasciato, sul sedile del passeggero, ma doveva essere scivolato al suolo. Forse non avrebbe avuto tutti questi disagi se avesse fatto lo sforzo di mantenere il suo mezzo di trasporto con una minima parvenza di ordine.
C'era così tanto ciarpame sul posto accanto al guidatore che Nappa fu costretto a chinarsi ed immergere la mano tra carte, cartacce e una serie indistinguibile di spazzatura.
Quando finalmente raggiunse il telefono, chiunque avesse cercato di rintracciarlo aveva deciso di rinunciare.
Con la coda dell'occhio si accorse di uno strano movimento provenire dal cortile del bar. Più precisamente dall'ingresso dell'appartamento di Vegeta.
Tramite lo specchietto retrovisore vide una figura femminile emergere dall'interno dell'abitazione. Si soffermò per un momento sul pianerottolo davanti alla porta e si diede una sistemata alla gonna.
Nappa inarcò un sopracciglio. Questa sì che era una cosa inaspettata, pensò seguendo i movimenti della ragazza mentre questa s'infilava uno zainetto scolastico sulle spalle cominciando a scendere le scale. Arrivata ai cespugli si apprestò a slegare la bici nascosta dietro di essi.
Lui non fu in grado di guardarla in faccia, poiché gli stava dando le spalle, oltre al fatto che il capo era rimasto nascosto dai rami. Nonostante fosse così vicina Nappa non fu in grado di determinare la sua identità. Tuttavia una cosa gli balzò all'occhio, la ragazza indossava la divisa di un liceo privato il cui stemma era cucito sulla giacca. Una studentessa!
Nappa rimase ancora un secondo ad osservare la scena, prima che lei salisse sul sellino della bicicletta cominciando a pedalare nella direzione opposta rispetto a quella nella quale era parcheggiato. Per un attimo non seppe come interpretare questa rivelazione. Perché una mocciosa era uscita dall'appartamento del suo socio?
Tornò ad occuparsi dei propri affari, prestando attenzione al suo cellulare, solo per scoprire che il numero era verosimilmente una di quelle chiamate promozionali con l'antipatico vizio di telefonare sempre nei momenti meno opportuni.
Ancora seduto nella sua vettura smanettò col telefono per alcuni istanti, appoggiando la mano sulla portiera con l'intento di aprirla.
Un secondo movimento attirò la sua attenzione. La porta dell'appartamento si aprì nuovamente e questa volta ad uscirne fu Vegeta in persona.
Nappa ne fu sorpreso, non avendo visto la sua moto nel cortile aveva dedotto che fosse uscito, non si aspettava che fosse in casa.
Sempre guardandolo tramite lo specchietto, Nappa lo vide infilarsi una maglietta nei pantaloni prima di sistemarsi il maglione che indossava.
Osservandolo mentre scendeva la scalinata, mani nelle tasche, Nappa si domandò cosa ci faceva in compagnia di una licea... oh!
Ma certo!
Ecco perché Vegeta spariva nei pomeriggi, proprio quando la scuola era finita e prima che lei fosse costretta a tornare a casa da mammina!

***

Facendosi largo tra il fogliame che ricoprivano il cortile, Vegeta posteggiò la sua moto con crescente rabbia. Lo aveva lasciato a piedi... di nuovo.
Era stato costretto a farsi almeno un paio di chilometri trascinandosi quello stramaledetto ammasso di ferraglia dopo che il motore si era spento senza alcun preavviso. Fortunatamente i raggi del sole non erano più quelli estivi dei mesi scorsi e con l'autunno ormai alle porte il cielo era illuminato da un tramonto settembrino dalle pittoresche sfumature.
Tornato a casa, Vegeta diede un calcio al rottame che era costretto a guidare. Avrebbe voluto prendere una lastra di metallo e farle molto peggio, se non avesse imparato da una precedente esperienza che i danni sarebbero stati costosi da riparare.
Dopo la pessima giornata appena trascorsa aveva bisogno di una birra e se c'era una cosa positiva nel possedere un bar era quella che non correva mai il rischio di restare senza.
“Vegeta! Che fine hai fatto? Stavo aspettando te per i colloqui” lo chiamò Nappa appena lo vide entrare, “Quel dannato ferrovecchio!” sbottò lui senza dare nessuna spiegazione ulteriore. Non che ce ne fosse bisogno dopotutto.
Vegeta diede uno spintone al socio, in piedi davanti al frigo dalla quale estrasse una birra. “Lui è l'altro proprietario” stava nel frattempo spiegando Nappa, “È a lui che dovrai fare riferimento” aggiunse. Vegeta si voltò notando solo allora una figura minuta accanto al colosso che era il co-proprietario del locale. “Ciao” lo salutò lei.
“Mi prendi in giro?” sbottò immediatamente, “Questa mocciosa è quella che hai scelto per sostituirti?” “Il nome è Bulma” puntualizzò subito lei, non troppo felice di essere apostrofata come mocciosa da uno sconosciuto piuttosto maleducato. Vegeta fu abile nel nascondere la sua sorpresa a quella ritorsione.
“Se ti fossi presentato ai colloqui avresti potuto aiutarmi a scegliere” gli ricordò il colosso “Sta zitto” brontolò l'altro.
Vegeta guardò bene la ragazzina, gli sembrava piuttosto giovane, troppo. “Quanti anni hai?” le domandò altezzoso. Lei incrociò le braccia “Diciassette appena compiuti” gli rispose a tono. Con uno sguardo di disapprovazione, che sembrava voler dire “Stai scherzando?!” l'uomo si rivolse al collega.
“Rilassati, Vegeta. Ti serve solo qualcuno che pulisca il locale quando non ci sono troppi clienti” gli fece notare Nappa “E poi sarà solo per un mese, tornerò all'inizio di ottobre” “Tsk! Puoi anche non tornare, per quanto mi riguarda” replicò.


***

Vegeta era già dietro il bancone quando Nappa lo raggiunse. Sollevò lo sguardo sentendolo arrivare e decise di non fare nessun commento. Il suo mutismo non era certo la novità del giorno.
Il socio lo guardò lavorare ancora un po' incredulo, cercando di capacitarsi sulla sua scoperta.
Sentendosi osservato, Vegeta si voltò verso di lui con un'espressione tutt'altro che amichevole. “Cosa vuoi?” gli domandò tagliente e non troppo contento. Nappa sussultò “Niente!” esclamò in fretta.
Per togliersi il pensiero dalla mente decise di cambiare argomento, “Non pensavo fossi già qui” mentì “Il catorcio non era parcheggiato al solito posto” aggiunse frettolosamente.
Vegeta smise di trafficare con alcune bottiglie e si voltò in direzione del cortile, come se potesse vedere oltre le pareti che li separavano da esso. Un sogghignò si dipinse sul suo volto e Nappa si accorse che era quel tipo di sorrisetto che sulle labbra del collega non era mai una buona cosa.
“Me ne sono sbarazzato” gli rispose enigmatico. Nappa inarcò un sopracciglio, “Ti sei liberato del ferro vecchio?” gli domandò, “Hai finalmente deciso di farlo rottamare?”.
Vegeta gli rivolse uno sguardo stizzito, “Non essere idiota!” lo rimproverò “Avevo bisogno di soldi per comprare una nuova moto, così l'ho venduta” gli rispose incrociando le braccia, esibendosi in un altro di quei ghigni crudeli che erano una sua caratteristica.
“Cos...? Come hai fatto a vendere quel rottame?” esclamò Nappa genuinamente sorpreso. Quella vecchia moto partiva solo quando voleva lei e gli aveva dato più grattacapi che altro. Negli ultimi anni Vegeta l'aveva portata dal meccanico un numero infinito di volte senza mai riuscire ad ottenere un risultato stabile.
“Hn, semplice ho trovato qualcuno che me l'ha riparata e un idiota che l'ha comprata” spiegò Vegeta, mentre una luce di malevolenza gli attraversò gli scuri occhi neri.


CONTINUA…

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Capitolo 4
*** Per qualche anno in più ***


d
ENTER MY WORLD

Per qualche anno in più

Quando finalmente decise di aprire gli occhi erano le dieci di un sabato mattina e la prima cosa che fece fu allungare la mano verso il cellulare lasciato a caricare sul comodino.
Vegeta le aveva detto che le avrebbe scritto la notte precedente e Bulma fu molto felice di vedere che aveva mantenuto la parola. Tuttavia fu una grossa sorpresa notare che il messaggio non risaliva al giorno prima, bensì a pochi minuti fa.
Incuriosita e ancora un po' addormentata lo lesse. Scoprì che lui le aveva detto di recarsi nell'indirizzo che le aveva inviato.
Nessun'altra direttiva o dettaglio. Tipico di Vegeta restare sul vago e misterioso.
Con un brivido di curiosità e una crescente emozione balzò giù dal letto con un entusiasmo mai provato prima.
Non sapeva cosa aspettarsi e questo la mise in agitazione. Tanto per cominciare, cosa doveva mettersi?
Una volta tanto poteva evitare la divisa scolastica, non che fosse la prima volta che Vegeta la vedeva indossare qualcosa di diverso, né il primo weekend che riuscivano a sgattaiolare da qualche parte. Tuttavia era la prima volta che le dava queste indicazioni e sebbene non conoscesse il luogo che lui le aveva scritto nel messaggio conosceva almeno la zona e come arrivarci. Era piuttosto vicino.
Quando scelse i suoi abiti decise di andare per un look che la facesse sembrare più matura, dandole almeno quell'annetto extra tanto da farla sembrare maggiorenne e forse anche qualcosina in più.
Salutò in fretta e furia i suoi genitori, senza dar loro il tempo di commentare né l'abbigliamento o il fatto che stesse uscendo a metà mattina, cosa insolita quando s'incontrava con i suoi amici.
Arrivata sul luogo indicato trovò Vegeta appoggiato ad un lampione con le mani infilate nella tasca della sua giacca. Nel vederla arrivare non mosse un muscolo, limitandosi a seguirla con lo sguardo.
Non c'era nessuno oltre a lui, notò Bulma, e questo le diede determinazione in più. Senza esitare un secondo tirò fuori tutta la sua tenacia e decise di baciarlo in mezzo alla strada.
Vegeta non oppose resistenza, aveva scelto questo luogo d'incontro di proposito.
“Ciao” gli disse poi, guardandolo nell'intensità dei suoi occhi neri. Come di consueto lui non disse molto, si separò dal lampione e le afferrò una mano conducendola dietro l'angolo.
C'era una motocicletta parcheggiata lì, sulla quale era appeso un casco al manubrio. Vegeta lo afferrò e lo porse a lei, che per un istante lo fissò esterrefatta. “Mettilo” le disse quando lei decise di afferrarlo. Dalla tasca dei pantaloni estrasse un mazzo di chiavi ed aprì il bauletto attaccato alla motociclo estraendo un secondo casco che indossò lui stesso.
Bulma lo fissò ancora senza parole, questa non era la sua vecchia moto.
Vegeta saltò in sella al veicolo ed accese il motore, poi si voltò a guardarla in attesa. “Di chi è questa moto?” gli chiese. Coperto dal casco, lui si esibì in una smorfia seccata, “Non fare domande idiote. È mia” “Cosa?! E quando l'hai comprata?” esclamò sorpresa la ragazza.
Con un cenno del mento, Vegeta le indicò una concessionaria alla fine della strada. Bulma intuì che l'aveva letteralmente appena acquistata.
“Se non ti dai una mossa ti lascio qui” brontolò lui, che stava cominciando a perdere la pazienza. Bulma si voltò a guardarlo, mentre un sorriso si fece largo sul suo viso.
Una nuova dose d'entusiasmo le diede una sferzata d'energia. S'infilò il casco e salì sul sellino con gioia. “Dove andiamo?” volle sapere stringendolo attorno alla vita, “Che importanza ha?” replicò lui, prima di partire.
Non ne aveva davvero d'importanza!
Bulma si appoggiò alla sua schiena sentendo il calore che emanava il suo corpo in contrasto con il vento gelido degli ultimi giorni di dicembre che batteva contro le sue mani non coperte dai un paio di guanti.

***

“Come hai fatto a ridurla in questo stato?” gli domandò Bulma, osservando il motore della motocicletta. Vegeta si limitò ad una smorfia “È una vecchia moto” le fece notare.
Bulma si voltò a guardare il suo capo, poggiato a braccia conserte alla balaustra delle scalinate che portavano al suo appartamento. Tornò a fissare il veicolo. Effettivamente era un vecchio modello.
Sotto un punto di vista estetico era impeccabile, a parte un paio di colpi qua e là sul telaio era tenuta nei migliore dei modi.
Per quel che riguardava le prestazioni del motore invece... beh quella era tutta un'altra questione. Bulma si domandò come facesse anche solo ad accendersi e quando aveva dato voce a questo pensiero, Vegeta le aveva risposto che la maggior parte delle volte non lo faceva.
“Beh, io te l'ho aggiustata, ma ti avviso che non durerà in eterno” gli spiegò poggiandosi alla ringhiera accanto a lui, “Secondo me fai prima a comprartene una nuova” suggerì in seguito. Vegeta ringhiò “Me li dai tu i soldi per farlo?” le fece notare. Bulma osservò la motocicletta “Mh, se riuscissi a vendere questa dovresti aggiungere solo la differenza di prezzo” “Chi cavolo vuoi che la compra in queste condizioni’” le fece presente l'uomo. Lei fece una smorfia, riflettendoci.
“Non hai tutti i torti” concordò alla fine.
Bulma si avvicinò a lui, toccandogli la spalla con la propria “Ehi, se ne compri una nuova mi farai fare un giro, vero?” gli chiese provocatoria, avvicinandosi sempre di più a lui. Vegeta la guardò per alcuni istanti.
Era una ragazza carina con due grandi occhi azzurri incastonati come diamanti in un viso longilineo dalla carnagione nivea. Dal fisico snello e grandi seni accentuati dal fatto che indossasse un maglione attillato.
“È minorenne” gli sussurrò una voce all'orecchio, impedendogli di prendere decisioni della quale si sarebbe potuto pentire. Come una molla si scostò dal corrimano “P... perché dovrei fare una cosa del genere?” esclamò cercando di apparire calmo, ignaro che il suo imbarazzo era chiaramente visibile.
Bulma fece anch'ella un passo in avanti, gli poggiò un dito sul naso e sorrise “Perché mi devi un favore, dopo averti sistemato quella vecchia” replicò lei con un sorriso.
Questa ragazzina...
Lui fece ancora più fatica ad ascoltare la vocina della sua coscienza, ma riuscì ugualmente a resistere all'impulso di fare qualcosa di stupido.


***

Vegeta era una di quelle persone della quale era sempre molto difficile definire l'età. Avrebbe potuto avere venti o addirittura diciannove anni ad una prima occhiata. Solo in pochi sarebbero riusciti a ricavarne i suoi effettivi ventiquattro. Soprattutto se nessuno lo vedeva guidare una moto.
Al contrario, Bulma aveva fatto lo sforzo di apparire più grande per aggiungerne un paio ai suoi diciassette.
Insieme, in una città dove non li conosceva nessuno, potevano essere una coppia di coetanei che si frequentava.
Sotto gli occhi di estranei, per la prima volta, Bulma osò addirittura prenderlo a braccietto, approfittando del fatto che amici e parenti erano chilometri di distanza.
Entrare in un ristorante e sedersi ad un tavolo per due era un'altra nuova esperienza. Erano entrati, si erano seduti e avevano ordinato senza far capire che lei era minorenne.
A metà del pasto tuttavia, Bulma si vide costretta a scostare il piatto di bistecca, decisamente troppo corpulento per lei. “Vegeta, finiscila tu” gli disse, mettendo l'avanzo sotto il suo naso.
Lui corrugò le sopracciglia “Non sono il tuo animaletto” brontolò. “Esagerato! Ti sto chiedendo se vuoi finire anche la mia porzione, non mi sembra poi troppo complicato” ironizzò lei. Se non altro in quel ristorante si mangiava bene e non fu difficile convincerlo a servirsi di una seconda portata. Sebbene fosse basso e magro, Vegeta era una sorta di pozzo senza fondo quando si trattava di cibo. C'era da chiedersi dove lo metteva tutto quello che divorava.
Bulma poggiò il mento sul palmo della mano, cominciando a giocherellare col ciondolo che portava al collo. Fissò il suo ragazzo e sorrise.
Sentendosi osservato, Vegeta sollevò gli occhi per incrociarli con quelli azzurri di lei, “Cosa c'è?” domandò un po' infastidito.
La ragazza continuò a guardarlo per un paio di secondi, “Stavo solo pensando a quanto sei carino” commentò facendolo arrossire. “Sta zitta!” sbottò lui scostando lo sguardo altrove per nascondere l'imbarazzo.
All’improvviso la ragazza cominciò a smanettare col suo cellulare. “E ora che ti prende? Cosa diamine stai facendo?” le domandò lui un po' irrequieto. Bulma sorrise e si accostò, “Voglio immortalare questo momento” rispose avvicinandosi il più possibile all’uomo, stringendolo a sé. Vegeta cercò di divincolarsi, ma prima di riuscire a fuggire udì la giovane dire “Sorridi”, seguito dallo scatto della macchina fotografica.
“Non ti porto più da nessuna parte” brontolò infine Vegeta, Bulma si limitò a ridere.


CONTINUA…

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Capitolo 5
*** Nessuna pietà ***


d
ENTER MY WORLD

Nessuna pietà

Al suono della campanella di inizio lezioni, Bulma ed i suoi amici raggiunsero l'ingresso dell'aula.
Non essendo in classe con loro Lapis fu costretto a soffermarsi sulla porta, tenendo d'occhio quella della sua sezione più in là nel corridoio, per verificare l'arrivo del professore. Guadagnando quindi quei pochi minuti in più di conversazione restarono tutti lì a chiacchierare.
Lapis mostrò loro una fotografia di un’automobile dal proprio cellulare, che aveva visto parcheggiata mentre lui e la sorella si stavano recando a scuola quella stessa mattina. Era una di quelle macchine costose che in genere si vedono solo sulle riviste perché nessuno è così ricco da potersele permettere.
Appassionato di autovetture, per Lapis quello sarebbe stato il momento migliore della settimana. Se c'era una persona nel gruppo che condivideva lo stesso interesse, seppur in modo differente, quella era Bulma.
A lui piacevano tutti i modelli e le prestazioni di guida, lei preferiva la performance del motore e un'analisi tecnica del veicolo.
“Quanto siete noiosi” commentò Lazuli, stufa di ascoltare il gemello discutere di questa macchina come se avesse appena scoperto un tesoro leggendario e se Bulma gli dava pure corda questo discorso non sarebbe mai finito. “Ehm... però è una bella macchina” aggiunse timorosamente Crilin.
Lazuli sapeva cosa stava cercando di fare il suo ragazzo. Non era interessato davvero al veicolo, voleva solo attaccare bottone con Lapis. Crilin era il tipo di persona che faceva sempre i salti mortali pur di rendere felice la sua dolce metà e per questo lei gli sorrise.
“Ehi Bulma” intervenne Yamcha, attirando l'attenzione su di sé. Il giovane mise le mani avanti come se stesse afferrando un volante immaginario che sterzò imitando il gesto, “Sarei affascinante alla guida di una macchina come quella, vero?” le domandò continuando a simulare la guida cambiando una marcia inesistente.
Bulma lo guardò “Yamcha, nessuna macchina ti renderebbe affascinante” lo derise lei, suscitando la risata dell'intero gruppo. “Ehi!” protestò lui, abbandonando la sua simulazione, “Vi ricordo che io potrò fare la patente tra qualche mese e se continuate a prendermi in giro non vi farò fare un giro sulla mia macchina” puntualizzò prontamente. “Quale macchina? Quella che stavi appena guidando?” lo punzecchiò Lapis.
Un colpo di tosse lieve ma elegante distolse il gruppo dalla conversazione. Dietro di loro un uomo alto e magro li stava osservando tramite i suoi pallidi occhi viola e un sorriso tenue sulle labbra. “Signori, vi prego di accomodarvi in classe le lezioni stanno per iniziare” li invitò cordiale il professore il quale rivolse un'occhiata a Lapis, “Lei non è nella mia sezione, la prego quindi di avviarsi all'aula nella quale appartiene per cortesia” lo invitò.
Non ci fu nessuna discussione, dopo un ultimo saluto all'amico il rimanente quartetto prese posto dietro i rispettivi banchi. Allo stesso momento l'insegnante, che li aveva seguiti, diede un secondo colpo di tosse per segnalare la sua presenza al resto degli alunni.
Era stato un richiamo tenue, ma gli studenti non faticarono a riconoscere quel caratteristico ammonimento ed il silenzio scese nella stanza in meno di un istante. Nemmeno cinque minuti dall'inizio della lezione quando la porta d'ingresso si spalancò. “Whiiiiiiis” esordì una voce facendo sussultare l'intera classe che cominciò a guardarsi attorno per sapere cos'era venuto a fare qui il vicepreside.
Il professore si voltò a guardare l'uomo in piedi di fronte all'uscio, “Cosa posso fare per lei Signor Beerus” gli domandò con l'impeccabile tono elegante ed effeminato. L'altro lesse un bigliettino, “Bulma deve venire con me” annunciò.
Lei alzò lo sguardo, mentre i suoi amici si voltarono all'unisono a guardarla con sguardi più o meno preoccupati.
Whis invece indicò il vicepreside con la mano, palmo insù, ed osservò la studentessa, “La prego di seguire il Signor Beerus” la invitò affabile.
Bulma seguì il vicepreside tra i corridoi della scuola fino alla presidenza. L'aula di Lapis si trovava a poche porte di distanza da essa e quando la superarono la ragazza si accorse che l'amico era seduto al suo banco accanto alla porta intento a guardare il proprio cellulare.
Beerus si fece strada all'intero dell'ufficio del preside senza dare il tempo alla segretaria di avvisare il suo superiore. Bulma notò i visi terrorizzati di alcuni studenti, seduti davanti alla donna in attesa di essere ricevuti, appena videro il vicepreside entrare.
In ogni scuola c'è sempre quel docente che sembra essere la principale attrazione del corpo studentesco, in questa era Beerus. Le battute partivano dal fatto che in molti lo ritenevano uno scansafatiche. Raramente era visto girare per l'istituto e quelle poche volte sembrava mezzo addormentato o alle prese con qualcosa da mangiare.
La più diffusa teoria era che quando spariva andava in letargo per mesi riapparendo solo per mangiare e tornare a dormire una volta finito. Questa era solo la parte divertente della sua caratterizzazione com'era stata dipinta dagli studenti.
In realtà Beerus era una sorta di presenza nefasta. Sebbene nessuno sapesse dove andasse o cosa facesse tutto il tempo, tutti sapevano che quando era in giro le cose per gli studenti potevano andare male. Molto male.
Contrariamente a lui, il preside era un tipo magnanimo dal temperamento gentile e, come diceva qualcuno, senza spina dorsale. Entrare in presidenza e trovarli entrambi lì era qualcosa che metteva il terrore a qualsiasi studente consapevole di aver trasgredito ai regolamenti. Beerus era un tipo irascibile, volubile e propense agli scatti di rabbia improvvisi. Le sue punizioni erano mille volte più severe e temibili di quelle che dava il preside. Per questa ragione gli era stato dato il soprannome di Lord Beerus, a sua insaputa.
Bulma era una studentessa modello, non si aspettava un castigo, ma non per questo si era sentiva tranquilla in compagnia del vicepreside. La frase “Nessuna pietà quando c'è Lord Beerus”, spesso sussurrata tra i corridoi, le balenò alla mente come un ammonimento.
“Ehi Shin, non hai niente da mangiare?” gli domandò Lord Beerus una volta raggiunta la scrivania dietro la quale il preside era seduto, senza dargli tempo di salutare l'alunna, o di rispondergli.
Il vicepreside aprì i cassetti della sua scrivania alla ricerca di cibo. Ne ricavò una barretta di cioccolato che aprì senza chiedere l'autorizzazione. “Prego, serviti pure” brontolò Shin oscillando tra l'essere seccato e il sarcastico.
Bulma osservò la scena in silenzio in piedi di fronte alla porta. Solo quando il capriccioso Lord si mise comodo, sedendosi scomposto su una sedia, anche lei fu fatta accomodare.
Il preside guardò per un’ultima volta il suo collega, cercando di mascherare il fastidio, prima di rivolgere un sorriso affabile all’alunna afferrando un fascicolo sulla sua scrivania. “Abbiamo buone notizie per te” esordì, togliendole un enorme peso dallo stomaco. Le porse la documentazione, “Stamattina siamo stati contattati dall'università presso la quale hai fatto domanda... congratulazioni ti è stata assegnata la borsa di studio”.

***

Il bar era pressoché deserto fatta eccezione per alcuni clienti regolari che passavano gran parte della giornata ad annegare i propri problemi nell'alcol.
Non dovendo servire una clientela spropositata, Nappa si stava tenendo occupato pulendo il bancone dietro la quale stava lavorando. Seduto su uno sgabello accanto ad esso, Vegeta era invece immerso nelle scartoffie di conti ed inventario. Accanto a sé aveva un bicchiere dalla quale sorseggiava regolarmente, per poi adagiarlo nuovamente al banco che il collega stava tenendo pulito.
“Vegeta!” proruppe una voce che fece sussultare i presenti, accompagnata dallo sbattere della porta. L'unico che sembrò restare indifferente all'ingresso teatrale del basso individuo, che lo cercò con lo sguardo, parve essere proprio Vegeta.
Con un gesto flemmatico si prese tutto il tempo per dissetarsi, prima di voltarsi a guardare l'ometto che con passo pesante si avvicinò a lui. “Sei un imbroglione Vegeta!” piagnucolò questi. Lui usò un piede per allontanarlo “Non starmi troppo vicino Guldo, il tuo alito mi fa venire il voltastomaco” lo derise.
Anche dall'altra parte del bancone, Nappa fu in grado di vedere quel sorrisetto apparire sul volto del socio. Si voltò ad osservare il piccoletto che invece era furente dalla rabbia e Vegeta, come al solito, non fece nulla per acquietarlo. Al contrario sembrava che innervosirlo fosse per lui un sadico piacere.
“Non so qual è il tuo problema, ma se non sei qui per il servizio sei pregato di sparire. La tua faccia spaventa i clienti” continuò a deriderlo. “Come sarebbe a dire che non sai qual è il mio problema?! La tua moto è il mio problema!” urlò il piccoletto. Vegeta finse di pensarci “La mia moto? Intendi dire la tua moto” precisò il barista.
“Mi avevi detto che funzionava bene! Mi hai venduto un rottame!” sbraitò furente Guldo additandolo con crescente nervosismo. Vegeta incrociò le braccia “Funzionava quando l'hai comprata, se ora non va è colpa tua” “Non è vero, tu mi stai imbrogliando, lo so” sbraitò convinto l'altro, “Rivoglio i miei soldi!” aggiunse. Vegeta si esibì in una risata sguaiata dalle tonalità sarcastiche e crudeli, “Questo non succederà mai”.
Al culmine della sua frustrazione, Guldo afferrò il bicchiere dalla quale il proprietario del locale stava bevendo. Il suo intento era quello di sfracellarlo al suolo, ma Vegeta fu lesto afferrandolo per il polso prima che potesse compiere il gesto.
Il suo sguardo cambiò completamente. Gli occhi neri vibrarono con una luce nefasta, mentre le sue dita strinsero la presa, “Ti avviso, Guldo, prova a rompere qualsiasi cosa nel mio locale e non avrò nessuna pietà per te” lo ammonì in un tono cupo e tetro.
Vegeta recuperò il bicchiere e lo poggiò sul banco, lasciò il polso dell'altro e gli diede uno spintone. Guldo fece un paio di passi indietro, prima di inciampare trovandosi a sedere al suolo.
Nel frattempo Vegeta si alzò dallo sgabello. Sebbene fosse di statura bassa, il modo in cui squadrò Guldo lo fece sembrare quasi più alto dei due metri di Nappa. “Ora sparisci, porta la tua disgustosa faccia altrove prima che mi arrabbi sul serio” ordinò mostrandogli un pugno serrato.
Con un brivido di paura Guldo si alzò dal suolo correndo verso l'uscita come se da essa dipendesse la sua vita.


CONTINUA…

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Capitolo 6
*** Pessimo tempismo ***


d
ENTER MY WORLD

Pessimo tempismo

La serata precedente era stata un vero caos. Il bar si era riempito e tra i due proprietari avevano lavorato sodo fino all'ora di chiusura.
Vegeta era riuscito a guardare il suo cellulare solo dopo essere rincasato. Aveva trovato un messaggio di Bulma che gli annunciava grandi notizie, ma essendo le quattro di notte ed essendo esausto le aveva replicato di rimandare al giorno successivo.
Dopo una buona dormita si era risvegliato con un nuovo messaggio dalla ragazza che lo pregava di richiamarla una volta sveglio perché non poteva aspettare per raccontargli le novità.
Alle undici e mezzo, dopo essere tornato nel mondo dei vivi, Vegeta si ricordò che lei aveva lezioni e comunque non aveva voglia di parlare prima di essersi dato una rinfrescata. Con tutta calma si era preparato per la giornata e verso le dodici, sapendo che la campanella della pausa era suonata, decise di chiamarla.
“Sentiamo” disse solamente quando lei rispose al telefono. “Aspetta un secondo” gli bisbigliò. Vegeta la udì dire a qualcuno, forse amici, che era sua madre e doveva rispondere.
“Indovina!” esordì dopo essersi presumibilmente allontanata dalle persone con la quale si trovava. Lui sbuffò “Tsk! Ho di meglio da fare che stare ad ascoltare i tuoi giochetti” brontolò innervosito. Non gli piacevano gli indovinelli.
“No aspetta!” lo fermò lei, consapevole che sarebbe stato capace di chiudere la conversazione senza troppe cerimonie, “Mi hanno dato la borsa di studio!” gli annunciò con entusiasmo. “Mh” replicò lui senza aggiungere nulla.
“È tutto quello che hai da dire?” disse lei, il tono della sua voce tutt'altro che felice. Erano più di ventiquattro ore che moriva dalla voglia di dirglielo, dopo averlo urlato ad amici e parenti. “La tua ragazza potrà andare all'università dei suoi sogni e tu non sai dire altro se non mh?” “Cos'altro dovrei dirti?” brontolò Vegeta. Il suo umore stava già peggiorando.
“Come sarebbe?! Dovresti essere fiero di me! Dimmi che sei felice” lo spronò la ragazza. Lui restò in silenzio.
“Vegeta?” esortò non sentendo più alcun suono provenire dall'altro capo del telefono, “Come ti pare” le rispose in tono piatto e disinteressato. Bulma tentò di aprire bocca, ma Vegeta la interruppe “Devo andare” concluse terminando la chiamata.
Per un istante osservò il suo cellulare decidendo poi di scaraventarlo sul divanetto del suo piccolo soggiorno. Istintivamente sferrò un pugno alla parete.
Era arrabbiato e non sapeva perché. No, a dire il vero conosceva esattamente la ragione della sua insofferenza.
Fin da quando l'aveva conosciuta lei non aveva fatto altro che parlare dei suoi sogni e dell'università che sperava di frequentare e spesso aveva menzionato la borsa di studio che stava cercando di ottenere. Vegeta l'aveva sempre ascoltata con pazienza, ma c'era una cosa alla quale lei non aveva ancora pensato.
La famigerata facoltà di studi che Bulma voleva seguire era dall'altra parte del paese! Si sarebbe dovuta trasferire in un'altra città per tutti gli anni che necessitavano a farle avere la laurea.
Certo, ad agosto sarebbe diventata maggiorenne e il segreto della loro relazione non avrebbe più avuto motivo di esistere, ma le lezioni sarebbero iniziate ad ottobre dandole un mese per pianificare la sua nuova sistemazione. Dopodiché l'unica altra possibilità era una relazione a distanza, forse peggiore di averne una in segreto.
Vegeta si ritrovò a domandarsi se era più arrabbiato perché lei era ora in grado di seguire i suoi obiettivi oppure se lo era perché non riusciva ad essere davvero contento per i suoi successi.

***

Nappa sollevò il capo appena udì lo sbattere della porta sopra la scalinata.
Uscito di casa, Vegeta scese gli scalini fino a raggiungere il cortile imbattendosi nel socio alle prese con bottiglie vuote dei liquori consumati la notte precedente.
Nell'osservalo avvicinarsi, Nappa si accorse subito che negli occhi dell'altro era presente un visibile nervosismo. Era uno sguardo che aveva imparato a riconoscere con gli anni e ad evitare, Vegeta diventava intrattabile quando era arrabbiato.
Con uno dei tempismi peggiore della storia dei tempismi, Guldo apparve davanti al cancello. Non era solo, con lui erano presenti cinque o sei persone armate di bastoni e cattive intenzioni.
“Rivoglio i miei soldi, Vegeta” urlò appena vide il suo obiettivo. Lui strinse i denti e lo guardò come se volesse ridurlo in poltiglia, “Sparisci, escremento parlante” lo insultò l'altro.
Nappa notò i pugni del collega stringersi fino a fargli venire le nocche bianche. “È meglio che gli dai retta Guldo” gli suggerì nel modo più pacato possibile. “NO!” sbraitò, si voltò afferrando la ramazza da uno degli scagnozzi e cominciò a camminare con passo pesante all'intero del cortile.
Si fermò a pochi passi dalla motocicletta parcheggiata al solito posto e la guardò con malvagità. Un'idea gli balenò nella testa e senza consentire agli altri di comprendere le sue intenzioni spintonò il motociclo che perse l'equilibrio.
Vegeta vide la sua nuova moto finire al suolo accompagnata da un boato. Un pezzo, che si rivelò essere uno specchietto, slittò fino a raggiungere i suoi piedi.
Il tempo parve essersi fermato.
Guldo usò il bastone per infierire sulla motocicletta colpendo la carrozzeria ripetutamente. “Piantala Guldo!” lo ammonì Nappa, ma le sue parole rimasero inascoltate.
“Sta zitto Nappa” bisbigliò il collega al suo fianco l'altro. Gli occhi chiusi, le sopracciglia corrugate e la mandibola serrata. Nulla di tutto questo era un buon segno. “V... Vegeta” balbettò il socio.
Prima che potesse fermarlo, Vegeta cominciò a muoversi verso il nanerottolo con un passo lento e apparentemente calmo. Quando fu abbastanza vicino colpì Guldo con un pugno talmente violento da farlo volare.
Qualcuno degli amici di Guldo fece un passo in avanti nel tentativo d'intervenire, ma Vegeta lanciò tutti loro uno sguardo che prometteva un massacro a chiunque avesse avuto la malsana idea di tentare il salvataggio.
“Ahia” si lamentò il piccoletto, cercando di alzarsi, ma prima che ne avesse il tempo, il suo assalitore gli poggiò un piede sullo stomaco costringendolo a rimanere sul posto. Dopodiché gli afferrò il bavero con la mano sinistra. Poggiando tutto il suo peso sul ginocchio sinistro, che andò a sostituire il piede, Vegeta usò il pugno destro per colpire nuovamente la vittima della sua ira.
Guldo urlò di nuovo, ma senza dargli il tempo di lamentarsene troppo un terzo e un quarto e poi un quinto pugno lo colpirono uno dopo l'altro senza freno. Le urla del nanerottolo divennero sempre più inquietanti trasformandosi in gemiti di dolore.
Nessuno dei presenti, mentre Vegeta colpiva con sempre più veemenza, ebbe il coraggio d'intervenire. Schizzi di sangue cominciarono a spargersi al suolo.
Nappa fu il primo a trovare la forza, si avvicinò a lui e cercò di fermare il braccio del compare “Adesso basta Vegeta”. Sebbene fosse un uomo grande e grosso dall'aspetto corpulento, Vegeta era quello più agile e forte. Strattonata la mano del socio lo ringraziò con una gomitata, centrandolo in pieno viso.
Colpito all'occhio sinistro, Nappa barcollò per un istante coprendosi il volto con la mano.
Vedendo questo energumeno di uomo messo alle strette dal piccoletto, nessuno sembrò volersi offrire volontario per andare a fermarlo. Alcuni scagnozzi preferirono battere in ritirata. Altri erano troppo terrorizzati per muoversi assistendo al massacro con orrore.
I gemiti di Guldo si affievolirono fino a spegnersi completamente, forse svenuto. Nappa fece un secondo tentativo. Questa volta usò le sue possenti braccia per infilarle sotto le ascelle dell’altro barista riuscendo a sollevarlo di peso, “Basta Vegeta non può fare più nulla!” gli fece notare.
La differenza di statura giocò in favore di Nappa. Vegeta non era più in grado di toccare il terreno con i piedi, perdendo la stabilità per colpire. “Lasciami!” sbraitò cercando di liberarsi.
Il bestione si rivolse agli ultimi superstiti della banda, “Portatelo via, sbrigatevi” suggerì loro. Dopo qualche tentennamento qualcuno decise di seguire l'ordine e in due sollevarono di peso il capobanda, ricoperto interamente di sangue, trascinandolo oltre il cancello.


CONTINUA…

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Capitolo 7
*** Ordinaria amministrazione ***


d
ENTER MY WORLD

Ordinaria amministrazione

“Vegeta” Bulma si appoggiò con i gomiti al bancone osservando il barista servire un cliente un po' distante da lei. Lui si voltò, adagiò la birra davanti all'uomo che la stava aspettando e si avvicinò a lei.
“Ho finito i conti che mi hai chiesto e ho messo i documenti sulla scrivania nel magazzino” gli disse additando la porta del deposito. Bulma era lì per quello, essendo minorenne non poteva servire dietro al banco o gestire gli alcolici, ma a quello ci pensava Vegeta, la ragazza doveva solo tenere sotto controllo lo carico-scarico merci.
L'uomo incrociò le braccia “Puoi tornare a casa allora” Bulma si sentì un po' delusa, per un attimo aveva sperato che le chiedesse di restare ancora. Le piaceva il posto, o per meglio dire le piaceva lui.
“Sei sicuro? Se ti serve posso dare una pulita sul retro” si offrì “No” rispose risoluto il proprietario. La ragazza aprì bocca per replicare, quando si accorse che qualcosa alle sue spalle aveva attirato l'attenzione del barista. Bulma si voltò, c'era un gruppo di clienti impegnati in una discussione che sembrava piuttosto animata.
Vegeta sollevò la sbarra che divideva il bancone dal resto del locale e con sguardo assorto continuò a fissare la scena. “Che succede?” gli domandò tornando a guardarlo, ma non ottenne risposta.
“Bulma, vai in magazzino e chiudi la porta. Non uscire finché non te lo dico io” l'avvisò l'uomo. “Perché? Cos...” la sua frase fu interrotta da un frastuono che echeggiò nel bar “Muoviti!” l'ammonì d'urgenza.
Con passo sicuro si avvicinò agli uomini, ora in preda a quella che pareva essere diventato un diverbio anche fisico. Qualcuno aveva fatto ribaltare una sedia che aveva causato il rimbombo di poc'anzi.
Bulma comprese che qualsiasi cosa stesse succedendo era pericolosa, il suo istinto le suggerì di ascoltare l'ammonimento di Vegeta e chiudersi in magazzino, ma una parte di lei fu vinta dalla curiosità, impedendole di muoversi.
Da quella distanza non fu in grado di sapere cosa gli uomini, alla quale si era ora aggiunto Vegeta, si stessero dicendo. Alcuni di loro parvero agitati e dai loro gesti la giovane spettatrice si accorse che le cose stavano cominciando a scaldarsi.
Quello che successe in seguito parve svolgersi in un lampo.
Uno degli uomini si scagliò contro il proprietario nel tentativo di colpirlo con un pugno. Vegeta lo evitò, abbassandosi, per poi sferrare un colpo con la mano destra centrando il colosso sul mento facendogli perdere l'equilibrio.
Fu l'inizio del caos, anche le persone che non avevano nulla a che fare con la discussione cominciarono a scagliarsi l'uno contro l'altro.
Qualcosa volò accanto all'orecchio di Bulma che si accorse di essere in una posizione rischiosa. La bottiglia che l'aveva sfiorata non era l'unica a volare per la stanza, la prossima volta poteva non essere così fortunata.
I suoi occhi si scostarono sulla porta del magazzino, che era ora inaccessibile. Due uomini si stavano scazzottando proprio davanti ad essa. Quella d'ingresso invece era molto più lontana, per raggiungerla avrebbe dovuto attraversare tutto il locale.
Pentendosi di non aver ascoltato Vegeta quando le aveva dato l'ordine, decise che doveva trovare un posto al sicuro. Si acquattò e si rifugiò dietro il bancone proteggendosi il capo con entrambe le mani.
Dopo un tempo indeterminato, Bulma decise di verificare la situazione nella sala, sbirciando oltre il tavolo.
Si accorse subito che Vegeta stava affrontando da solo tre individui che non sembravano essere in grado di tenerlo a bada. Ironicamente, se all’inizio dello scontro qualcuno avesse fatto scommesse sull'esito dello stesso, non avrebbe puntato sul barista, molto più basso e scarno rispetto a tutti gli altri.
Eppure sotto gli abiti Vegeta nascondeva muscoli possenti in grado di mettere al tappeto uno dopo l'altro tutti gli uomini di grossa taglia che si scagliavano contro di lui.
Per quanto durò quella ressa non fu facile da capire, poteva essere trascorso un secondo o un secolo. Tuttavia quando si acquietò era rimasto in piedi solo Vegeta. Uno dopo l'altro gli uomini uscirono malfermi dal locale. Quando anche l'ultimo abbandonò il bar, Vegeta si avvicinò al bancone.
Sapeva che Bulma era rimasta lì, aveva notato la punta delle sue scarpe da dietro il banco. “Ehi... stai bene?” le domandò affacciandosi.
“Sì, e tu?” rispose, sollevando lo sguardo ed osservando l'uomo in volto, scoprendo che dalla sua tempia scorreva un rivolo di sangue, per il resto stava bene non aveva nemmeno il fiatone.

***

La ferita sulla testa di Vegeta non era grave, ma andava medicata. Per farlo aveva bisogno del kit di pronto soccorso che teneva nel bagno del suo appartamento. Tuttavia non riuscendo a vedere il punto dalla quale usciva il sangue aveva bisogno di una mano.
Bulma non era mai salita nella casa. Dall'esterno l'aveva immaginata un po' più piccola. La cucina ed il salotto erano un'unica stanza che faceva anche da ingresso. C'era una camera da letto, che riuscì ad intravedere tramite la porta aperta, e un modesto bagno, nella quale si trovavano in quel momento.
Vegeta era seduto sul bordo della vasca. Bulma gli disinfettò il taglio e vi applicò sopra un grosso cerotto per mitigare la fuoriuscita di ulteriore sangue.
Ciò di cui la ragazza non si rese conto era che lui aveva un posto in prima fila per guardatele il decoltè. Cercando di ricordarsi che si trattava comunque di una minorenne, Vegeta si sforzò di non soffermarsi troppo con lo sguardo.
Quando l'improvvisata infermiera ebbe finito, l'uomo si alzò. La sua maglietta era imbrattata di sangue e Vegeta decise di sfilarsela, ignaro che alle sue spalle Bulma stava ammirando i muscoli scolpiti del suo torso.
“Da domani non venire più” le disse afferrando una maglia pulita da un piccolo appendiabiti posto in un angolo del bagno. “Ti pagherò i soldi che ti devo e assumerò qualcun altro per il resto del mese” concluse infilandosi l'indumento. “Cosa? Perché?” domandò Bulma riconoscendo una certa delusione nel tono della sua voce, che sperò Vegeta non notasse.
Lui si voltò a guardarla “Perché cose come quelle successe prima capitano spesso” le spiegò, anche se di solito accadeva più verso l'orario di chiusura, quando molti dei clienti avevano più alcol nelle vene che sangue. “Non importa!” rispose Bulma “Io non ho paura, mi piace questo lavoro, voglio continuare a venire qui” e poi il suo capo era mozzafiato.
Vegeta inarcò un sopracciglio “Sei sicura?” “Sicurissima! Tanto se dovesse accadere di nuovo ci sarai sempre tu a proteggermi”. Per un istante lui ammirò la determinazione riflessa in quegli occhi azzurri.
Pur essendo così giovane e gracile, questa ragazzina era piuttosto coraggiosa. “Tsk, a quanto pare non ho scelta” si lamentò Vegeta, non troppo dispiaciuto... dopotutto.


CONTINUA…

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Capitolo 8
*** Qualcosa di stupido ***


d
ENTER MY WORLD

Qualcosa di stupido

La campanella era suonata da almeno mezz'ora e la maggior parte degli studenti era già tornata a casa.
A restare nei paraggi erano rimasti solo i più diligenti o agli alunni dell'ultimo anno che dovevano recuperare qualche materia, studiare per il prossimo test o ripetere l'ultima lezione assicurandosi da essere pronti per quella successiva.
Bulma ed i suoi amici rientravano in questa categoria, dovendo riesaminare le nozioni più difficili. Così, come avevano fatto in diverse precedenti occasioni, si erano trovati un posto nella biblioteca della scuola, in mezzo ai loro coetanei, per studiare in gruppo. Avevano scoperto che le lacune di uno potevano essere colmate da qualcun altro dandosi una mano reciprocamente.
Dopo un pasto veloce nella mensa, il quintetto si era precipitato in cerca di un tavolo da poter reclamare, prima che i posti si esaurissero occupati da altri studenti.
Fu dopo essersi impossessata in via temporanea di una sedia che Bulma si accorse, avendo verificato nel proprio zaino, dell'assenza del suo astuccio. A fatica fece mente locale ricordandosi infine che l'ultima volta in cui lo aveva visto risaliva alla fine delle lezioni, sul suo banco. Si domandò se lo avesse mai riposto nella borsa o se invece, distratta da altri pensieri, lo aveva abbandonato lì.
Sbuffò sommessamente attirando l'attenzione dei suoi amici. “Che succede?” bisbigliò Yamcha, cercando di non disturbare gli altri allievi che erano già in biblioteca. Bulma rispose con una smorfia “Credo di aver lasciato l'astuccio in classe” rispose alzandosi “Vado a vedere se è ancora lì”.
Non aveva fatto che un paio di passi, quando udì il silenzioso stridere di una seconda sedia. Voltandosi si aspettò quasi di vedere Yamcha in piedi, pronto ad offrirsi volontario per andarlo a recuperare, essendo una cosa che faceva sempre. Tuttavia fu Lazuli a dire “Vengo con te”.
“Oh” si sorprese Bulma, colta alla sprovvista. Le due ragazze si conoscevano dal primo anno, ma non si erano rivolte la parola fino al terzo, da quando Lazuli aveva iniziato la sua relazione con Crilin. Andavano abbastanza d'accordo, ma avevano poche cose in comune, pertanto era meglio avere almeno una terza persona a colmare il vuoto.
Erano infatti rare le occasioni in cui rimanevano da sole e Bulma doveva spesso trovare cose da dire nella speranza di aprire un dialogo. Lazuli era una persona di poche parole e quando non le interessava un discorso lo uccideva e seppelliva senza pietà grazie ai suoi disinteressati monosillabi.
Nonostante ciò, Bulma aveva col tempo imparato ad apprezzare l'altra ragazza che per quanto apparisse fredda e distante si era rivelata gentile e di buon cuore, nonostante i suoi silenzi.
Se non altro si era rivelato un buon esercizio per quando si era trovata a dover interagire con un altro brontolone di poche parole e che aveva deciso di andare in silenzio stampa dopo la discussione del giorno precedente, quando gli aveva detto della borsa di studio. Quello strano dialogo balzava ancora nella sua mente come un suono fastidioso che ronza in sottofondo senza mai smettere di rimbombare nel cervello.
“Grazie per avermi accompagnata” le disse Bulma, una volta fuori dalla biblioteca, cercando di eliminare Vegeta dai suoi pensieri, almeno per il momento. Lazuli alzò le spalle “Andiamo solo nella stessa direzione. Devo andare in bagno” la informò, passando una bionda ciocca di capelli dietro l'orecchio, com'era solita fare.
Nonostante la freddezza che le era stata dimostrata, Bulma le sorrise.
Vegeta tornò prepotentemente nei suoi pensieri, aver pensato a lui era come toccare una famigerata porta aperta.
Si era comportato in modo strano al telefono, le era sembrato quasi arrabbiato ma non riusciva a darsene una ragione. Dopotutto gli aveva dato una buona notizia, perché l'avesse presa così sul personale non riusciva a comprenderlo.
Aveva provato a contattarlo in serata e quella mattina stessa, ma il silenzio radio di Vegeta stava facendo più rumore di eventuali strilli e strepiti. Bulma non riusciva a capire se avesse fatto qualcosa di sbagliato lei stessa o c'era qualcosa che non capitava.
Stavano insieme da quattro mesi circa e lui era la sua prima relazione seria che fosse durata fino a tanto. Pertanto non avevano mai litigato, non davvero. Erano entrambi testardi e risoluti e qualche scaramuccia era quasi normale, ma questo strano silenzio era qualcosa che Bulma non sapeva come affrontare.
La cosa peggiore di avere una relazione segreta era l'impossibilità di chiedere consiglio a chi le stava vicino.
“Cos'hai oggi?” le chiese all'improvviso Lazuli “È tutto il giorno che sei pensierosa” aggiunse. Bulma sollevò lo sguardo dalle piastrelle del corridoio e lo posò sull'amica “Cosa?” mormorò un po' presa alla sprovvista. Lazuli affinò gli occhi, assottigliandoli come se potesse entrarle nella testa con due affilati coltelli di ghiaccio.
Allo stesso tempo, Bulma si rese conto che forse stava parlando con l'unica persona che, in un certo senso, poteva aiutarla. Dopotutto lei e Crilin erano una coppia fissa da quasi due anni e mezzo a questo punto ed erano il duo più duraturo che conoscesse, almeno tra i suoi coetanei.
“Dimmi una cosa, Lazuli, tu e Crilin non litigate mai?” le chiese di rimando, l'altra inarcò un sopracciglio. Ponderò per un secondo prima di rispondere “A volte”.
Bulma si fermò all'improvviso “E come fate a risolvere i litigi?”. Lazuli la imitò e tornò a riflettere.
In realtà le loro dispute erano brevi e quiete. Nella maggior parte dei casi si trattava di piccole divergenze di opinioni che si concludevano con Lazuli che si limitava a mettere il muso, mentre Crilin si sentiva mortificato al punto tale da chiederle perdono indipendentemente da ciò che si erano detti. E siccome la ragazza non sapeva mai dirgli di no quando cercava di fare ammenda, ma soprattutto non sopportava di vederlo afflitto, riapriva il dialogo con il conseguente raggiungimento di un compromesso.
Alzò le spalle “Ne parliamo” minimizzò senza entrare nei dettagli. Bulma si esibì in una smorfia e l'amica comprese che forse non era la risposta che cercava. E ora che ci pensava, una risposta a cosa? Perché fare una domanda del genere?
La fissò di nuovo con quegli occhi glaciali, fino a rendersi conto che non stava facendo domande ipotetiche, se Bulma chiedeva come risolvere una discussione con un partner era perché aveva esattamente quel tipo di problema. Non si domandò chi egli fosse e perché l'amica non ne avesse fatto parola con lei o con gli altri, rispondendosi che non era un problema suo. Avrà avuto le sue motivazioni, se aveva un segreto da nascondere.
“Se hai litigato col tuo ragazzo la cosa migliore è parlarne con lui il prima possibile e con calma” le suggerì, e prima di darle il tempo di replicare Lazuli riprese a camminare, svoltando l'angolo per dirigersi verso i bagni.
Bulma si sentì all'improvviso messa a nudo. Aveva sperato che la domanda fosse abbastanza vaga da passare inosservata, ma aveva stupidamente dimenticato quanto Lazuli potesse essere perspicace.

***

Bulma osservò le banconote nella busta che aveva tra le sue mani. Non aveva mai avuto tanti soldi in vita sua, ma come aveva promesso ai suoi genitori si era trovata un lavoro e ora poteva permettersi il nuovo computer.
Sollevò lo sguardo per guardare l'uomo che le aveva appena consegnato lo stipendio. “Grazie” gli disse.
Vegeta si appoggiò allo scaffale sulla quale erano riposte le bottiglie alle sue spalle. Incrociò le braccia “Hn” borbottò. Non aveva fatto altro che darle quello che le era stato promesso all'inizio del mese.
Bulma infilò nella tasca della giacca la busta per tenerla al sicuro. Muovendosi gli toccò una gamba, non c'era molto spazio dietro il bancone. Il locale era chiuso, all'interno c'erano solo loro.
“Dimmi una cosa Vegeta, tra una settimana tornerà il tuo amico, io ti mancherò?” “Cosa? Certo che no!” si affrettò a replicare lui, forse con troppa fretta.
Lei inarcò un sopracciglio “Davvero? Preferisci lavorare con un uomo grande e grosso piuttosto che con una giovane e delicata fanciulla come me?” lo provocò. Vegeta schiuse le labbra per un secondo senza sapere come rispondere. La sola cosa che riuscì a farfugliare fu uno sconclusionato “Io...”.
Bulma rise “Tu... che cosa?” “Io
non ho detto questo” cercò di difendersi l'uomo. Vegeta arrossì vistosamente, lei sorrise “Vedi, ti mancherò anche se non vuoi ammetterlo” concluse vittoriosa la ragazza.
“F... finiscila” cercò di tagliare corto il barista, sempre più a disagio.
Per un attimo lo guardò con attenzione. Vegeta era davvero molto attraente. Profondi occhi neri che sembra avessero sempre molto da dire, un viso mascolino ed intenso. La carnagione abbronzata e forti muscoli delle braccia abituate a sollevare pesanti casse di alcolici. Volendo trovargli un difetto fisico si poteva puntare alla sua bassa statura, Bulma era un pochino più alta di lui, ma questo nulla toglieva al suo fascino.
Se a ciò si aggiungeva l'atteggiamento da duro e il comportamento da
bad boy che riusciva a far girare la testa a qualsiasi ragazzina.
Vegeta era un uomo adulto, non era come i suoi amici o i suoi compagni di scuola. Si alzava la mattina per radersi la barba, poteva bere una birra senza dover dimostrare una carta d'identità, al di là del fatto che possedesse un bar. Abitava da solo e cosa ancora più importante, guidava una splendida motocicletta... quando questa decideva di accendersi.
Era affascinante in tutti i punti giusti.
“Lo sai cosa pensavo? Se non avessi sempre quella faccia imbronciata saresti davvero molto carino” Bulma si avvicinò a lui e gli premette un dito in mezzo alle sopracciglia sempre corrugate. “Cosa?” esclamò lui colto alla sprovvista, le afferrò la mano spostandola dalla sua fronte.
Gli era molto vicina, poté sentire il suo odore e uno dei suoi seni era appoggiato al bicipite del suo braccio destro.
Bulma si scostò. Se c'era una cosa più affascinante di un cattivo ragazzo era un cattivo ragazzo che dietro il comportamento da duro nascondeva una certa timidezza. “Toglimi una curiosità Vegeta, se avessi qualche anno in più potresti prendere in considerazione l'idea di baciarmi?” azzardò lei.
Vegeta sgranò gli occhi, forse non aveva capito molto bene cosa gli aveva chiesto. “È minorenne” gli ricordò la sua coscienza, come aveva fatto in diverse occasioni nelle ultime settimane. Con prepotenza decise di mettere a tacere quella voce per una volta. “Quanti anni hai?” le chiese, sebbene conoscesse già la risposta.
Bulma gli sorrise, i suoi occhi azzurri lo fissarono con una luce birichina “Diciassette... ma ad agosto sarò maggiorenne” rispose “Tu quanti ne hai?” “V… ventiquattro”. La ragazza sorrise.
Lui ci pensò un po' su, agosto era lontano, ma erano
solo undici mesi. Meno di un anno e se poteva guardarla in questa prospettiva le cose non erano poi tanto male.
La voce della sua coscienza tornò a sussurrargli all'orecchio, ma questa volta Vegeta non le diede il tempo di dire una parola, prendendo la decisione di fare
qualcosa di stupido.

***

L'orologio della cucina segnava le sei e quaranta, circa, quando Vegeta uscì dalla doccia. Era in ritardo di almeno venti minuti, sarebbe dovuto essere già a lavoro.
Tuttavia era ancora di pessimo umore a causa degli avvenimenti del giorno precedente, senza contare che doveva ancora vestirsi e prepararsi. Anche perché non poteva presentarsi giù al bar con indosso il solo asciugamano che teneva legato in vita. Era inoltre impensabile scendere senza aver bevuto un caffè, consapevole che avrebbe dovuto tirare avanti fino alle quattro, soprattutto dopo una nottata nella quale non aveva chiuso occhio.
Preparata la moka, che mise a bollire, decise di far passare il tempo leggendo la posta che aveva abbandonato sul tavolo dopo averla ritirata in mattinata. Non che ci fosse molto d'interessante, bollette, tasse, pubblicità e una lettera del suo avvocato che gli chiedeva di saldare una vecchia parcella. Nulla di utile, nuovo o interessante.
L'incessante bussare alla porta, tuttavia, quella sì che era una cosa inaspettata. Nella sua mente cercò di ipotizzare chi fosse il potenziale visitatore, ma fu solo quando aprì l'ingresso che scoprì l'arcano.
Bulma entrò facendo spostare il proprietario di casa senza troppe cerimonie e richiuse l'accesso alle proprie spalle, per assicurarsi che nessuno l'avesse vista entrare. Era accaldata e il viso pallido era arrossato dal freddo invernale e dalla fatica.
Vegeta fu sorpreso di vederla, non si aspettava che sarebbe passata, essendo perfettamente consapevole che a quell’ora si trovava generalmente già al bar. Quello che l'uomo non fu in grado di sapere era che lei aveva rischiato il tutto e per tutto per arrivare fin lì.
Dopo il discorso con Lazuli, Bulma aveva pensato alle parole dell'amica ed era giunta alla conclusione che aveva bisogno di un tu per tu con lui. Aveva finto indifferenza durante le ore di studio con i suoi amici, per non destare sospetti, ma aveva fissato l'orologio per tutto il tempo. Si era affrettata verso la sua bicicletta alla prima occasione ed aveva pedalato più forte del vento, nella speranza di giungere in tempo, senza mai dimenticare peraltro che se avesse fatto perdere le sue tracce troppo a lungo i suoi genitori avrebbero posto delle domande al suo rientro. Ed in tutta quella fretta non aveva avuto modo di avvisare Vegeta che stava arrivando e di farsi trovare pronto, cosa che faceva di solito.
Bulma sapeva che non aveva fatto in tempo e che era arrivata più tardi delle sue aspettative e speranze, ma quando era giunta a destinazione aveva notato le luci ancora accese nell'appartamento. Dalla strada era impossibile vedere se lui fosse verosimilmente in casa o meno, un bel vantaggio dell’appartamento era il non avere una posizione ideale per sbirciare all'interno delle finestre e Bulma ne era stata grata in diverse occasioni.
Non ebbe dunque modo di verificare se Vegeta avesse dimenticato le luci accese, se fosse in casa o se avesse compagnia. Bulma aveva deciso di rischiare ed aveva fatto gli scalini due a due per non farsi vedere.
“Cosa ci fai qui?” le domandò lui, mentre la ragazza si liberò della giacca pesante e della giacchetta della divisa, affrettandosi in seguito a slacciare i primi tre o quattro bottoni della blusa, nella speranza di riprendere fiato. “Noi dobbiamo parlare” esordì lei, quando la sua respirazione tornò alla normalità.
Vegeta, che aveva ancora la posta tra le mani, se ne liberò poggiandola sul tavolo dalla quale l'aveva raccolta ed incrociò le braccia. Sul suo volto la chiara espressione che sembrava voler trasmettere l'opinione contraria.
Bulma finse di non accorgersene. Altrettanto combattiva cercò di non lasciarsi distrarre dal fatto che lui le avesse aperto la porta praticamente nudo, se non fosse stato per quell'unico asciugamano. “Devi spiegarmi cos'è successo ieri” ordinò lei, “Ieri?” chiese invece Vegeta. Erano successe tante cose ieri, molte delle quale lei non era a conoscenza.
“Sì, dopo averti detto della borsa di studio mi hai chiuso il telefono in faccia e non ti sei più fatto sentire. Qual è il tuo problema?” inveii Bulma, si era ripromessa di non arrabbiarsi e di non alzare la voce, ma la teoria e la pratica sono due cose molto diverse. Lui restò in silenzio, fatta eccezione per un piccolo “Tsk” che bisbigliò tra i denti stretti.
Bulma si avvicinò a lui puntandogli un dito sotto il naso, “Beh? Non rispondi?”. Vegeta mantenne il suo silenzio, ma gli occhi azzurri della ragazza erano puntati su di lui e stavano cominciando a diventare pesanti.
Quello di cui lei non si era resa conto era il fatto che aveva erroneamente sbottonato la camicetta di un bottone di troppo ed il suo seno era parzialmente esposto da sguardi indiscreti, con più precisione quelli di un barista colto impreparato alla situazione.
“Che cavolo vuoi da me, Bulma? Vuoi tanto andare alla tua università? Vacci!” sbottò all'improvviso, nervoso ed in cerca di una via di fuga. “Cosa? Certo che ci vado! Non vedo cosa c'entra in tutto questo” urlò lei “Davvero? Quanto ci vuole per arrivare fin lì?” puntualizzò Vegeta. “Sono solo sei ore di macch... ah!” esclamò la ragazza.
All'improvviso si fermò, abbassò la mano e guardò l'uomo nelle profonde iridi nere “Questo è il tuo problema, Vegeta? Hai paura che saremo troppo lontani?” intuì “N... no” mormorò l'altro, ma la realtà era ormai venuta a galla.
Bulma rise, liberandosi delle sue preoccupazioni, “Vegeta, se riusciamo a stare insieme in segreto possiamo sopravvivere anche se lontani” lui non sembrò molto convinto. Gli poggiò entrambe le braccia sulle spalle e lo strinse “Quando sarò maggiorenne, ad agosto, avremo tutto il tempo di trovare una soluzione insieme” gli rammentò.
Quando lo baciò, un istante più tardi, si accorse che dietro la stoffa dell'asciugamano cominciava a muoversi qualcosa. L’inquilino del piano di sotto si era appena svegliato. Bulma abbassò lo sguardo, avendolo colto in flagrante. Tornando a guardarlo in viso gli sorrise maliziosa, “Quanto tempo abbiamo?” gli chiese, giocando col nodo che teneva allacciato l’asciugamano.
Il problema non era certo stato risolto, solo rimandato. Tuttavia Bulma e Vegeta ritrovarono la loro complicità.


CONTINUA…

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Capitolo 9
*** Rapporti di coppia ***


d
ENTER MY WORLD

Rapporti di coppia

“Buongiorno” esordì una volta scesa in cucina, trovando entrambi i suoi genitori. Suo padre sollevò il capo dal giornale che stava leggendo e commentando con la moglie, “'Giorno” le rispose seguendo la figlia con lo sguardo, prima di tornare al quotidiano. Bulma si avvicinò all'armadietto dietro la quale erano custoditi i cereali. La sua mano si allungò verso la confezione che era solita prendere la mattina, ma all'improvviso si bloccò. Cambiò idea quando vide la scatola della stessa marca che sua madre aveva comprato tempo fa e che non era mai stata aperta.
L'uva sultanina non le piaceva mai di solito, ma quel giorno decise di cambiare giusto perché ne aveva voglia.
Sua madre, intenta a lavare una pentola, la guardò. La figlia aveva già abbandonato il pigiama ed indossava degli abiti casual. “Stai uscendo cara?” le domandò per conferma.
Bulma annuì riempendosi una ciotola di cereali, dopo aver aperto la scatola. “Io e gli altri volevamo andare al cinema questo pomeriggio” le disse completando la scodella con il latte.
L'appoggiò sul tavolo davanti alla sedia vuota dal lato opposto rispetto al padre. Si mise a sedere ed osservò il genitore sopra le pagine della rivista, “A proposito papà, potresti darmi un po' di soldi?” gli chiese.
Brief osservò di sottecchi la figlia minore, “Mh, immagino di sì” disse lasciando cadere il giornale sul tavolo per infilarsi una mano nella tasca dei pantaloni. Le allungò un paio di banconote.
“Sarai qui per pranzo?” s'informò la donna. Bulma finì il cibo nella sua ciotola, sorprendentemente non disgustata dall'uva, poggiando il cucchiaio all'interno della scodella vuota. “No, il film che vogliamo vedere inizia presto. Mangiamo in zona così non rischiamo di perdere l'inizio” il tutto per facilitare il povero Crilin che abitando molto lontano non avrebbe fatto in tempo diversamente.

***

“Chi di voi vuole altre patatine fritte?” chiese Yamcha, osservando uno dopo l'altro i suoi amici seduti attorno al tavolo del fast food. “Io!” rispose Crilin sollevando una mano. Lapis storse le labbra, “Passo” “Anch'io” concordò la sorella. Era incredibile quanto poco mangiassero questi due, eppure l'energia sembrava non mancare mai.
Yamcha si alzò dalla sedia e guardò l'ultimo membro del gruppetto, “Bulma?” le chiese. La ragazza ci pensò per un istante, “Sì, perché no” acconsentì. “Perfetto! Patatine per tre” concluse lui “Vieni a darmi una mano, Crilin?” domandò.
Anche l'altro si mise in piedi “Va bene”, fece un passo, ma la mano di Lazuli afferrò la sua. Crilin si voltò a guardarla e lei scostò gli occhi azzurri.
Ci fu un breve e silenzioso dialogo tra loro e soltanto il ragazzo sembrò capire cosa lei stesse cercando di dirgli. Le strinse la mano e si chinò per baciarla sulle labbra, non senza arrossire.
“Vacci piano nanerottolo, guarda che quella è mia sorella” gli ricordò Lapis, seduto accanto alla gemella. Lazuli gli lanciò uno sguardo infastidito e lasciò la presa attorno alla mano di Crilin, il quale si grattò la nuca e si allontanò seguendo l'amico verso le casse, dopo aver balbettato un timido “Scusa”.
La bionda si voltò furente verso il fratello, “Si può sapere perché devi trattarlo sempre così?” “Così come?” mormorò lui, portandosi le mani dietro la testa, dondolandosi sulla sedia. “Come se lui ti desse fastidio” gli fece notare lei. Lapis sollevò le spalle, “A me il piccoletto piace” la rassicurò.
In una delle scatole dei panini che erano stati già divorati era rimasto un pizzico di sale dalle patatine. Bulma lo afferrò con la punta dell'indice e lo infilò svogliatamente tra le labbra. “Non ascoltarlo Lazuli, siete una bella coppia” la tranquillizzò, pur sentendosi un po' invidiosa. Anche lei e Vegeta erano una bella coppia, solo che non potevano ancora dimostrarlo al mondo.
La ragazza arrossì in imbarazzo.
“A proposito, sai se Crilin vuole ancora comprare un nuovo computer?” le chiese cambiando argomento. “Credo ci stia pensando, ma tutti quelli che trova costano troppo” rispose Lazuli.
Bulma adagiò il gomito sul tavolo e poggiò il mento sul palmo della mano, “Se vuole posso mandargli i link di alcuni siti che ho trovato. Quando volevo comprarne uno io ho fatto un elenco di posti che avevano buoni prezzi”. L'amica annuì “A Crilin potrebbe tornare utile” “Cosa potrebbe tornarmi utile?” chiese il diretto interessato, apparendo quasi dal nulla.
“Siete tornati presto” notò Bulma, osservando Yamcha porgerle uno dei contenitori di cartone davanti. Il ragazzo non fece in tempo a poggiarlo sul tavolo prima che Bulma sottraesse una patatina dalla confezione per portarsela alle labbra. Era la più buona che avesse mai assaggiato, forse avevano cambiato l'olio della friggitrice.
“Sì, c'era poca fila e le hanno appena preparate” le rispose l'amico, adagiando il secondo involucro davanti al suo posto per poi tornare a sedersi.


***

Erano in anticipo quando giunsero al cinema. Aver mangiato nella zona era stata un'ottima idea.
Giunti in sala le luci erano ancora accese e solo un paio di altri gruppetti avevano trovato posto nelle rispettive poltrone. Anche loro trovarono i sedili corrispondenti ai numeri scritti sui loro biglietti.
“Non ci posso credere! Questa volta non rischiamo di perderci l'inizio del film” commentò Yamcha, mettendosi comodo, “Beh, se qualcuno non abitasse così lontano non correremmo il rischio” mormorò Lapis. Crilin si sentì punto sul vivo “Chiedo scusa” mormorò.
Al suo fianco Lazuli lanciò uno sguardo minaccioso al fratello “Non dargli retta Crilin, sta solo scherzando” precisò. Lui si voltò a guardarla “Davvero?” domandò guardando il gemello della ragazza che, con un sorrisetto ironico, alzo entrambe le mani in segno di resa. Era sempre difficile capire quando era serio e quando invece non lo era.
La porta della sala si aprì. Una coppietta entrò mano nella mano in cerca delle poltrone a loro assegnate. Nell'osservarli, Bulma si domandò se un giorno lei e Vegeta sarebbero potuti essere quella coppia, così come potevano fare anche Lazuli e Crilin.
Doveva aspettare agosto e dopo il suo diciottesimo compleanno non sarebbe più stato un problema, ma essendo a metà gennaio sembrava una data ancora così lontana. I due ragazzi passarono accanto al gruppo di amici per poi sparire diverse file dietro di loro. Tra le mani, lei reggeva una confezione di popcorn che seminò una scia di profumo tipico di quando erano appena stati preparati.
“... e quindi non l'ho visto” stava nel frattempo dicendo Crilin. Bulma si accorse di essersi completamente distratta a di aver perso il filo del discorso. Per un attimo cercò di concentrarsi per cercare di capire di cosa stessero parlando i suoi amici, ma la sua concentrazione si dissolse prima di ascoltare una sola parola.
L'odore lasciato dai popcorn continuò a vagare nell'aria e per qualche ragione Bulma si ritrovò più interessata ed esso. Si voltò ad osservare la coppia seduta diverse file più in là.
Intenti a confabulare tra loro stavano nel contempo mangiucchiando il loro snack. Li osservò per un istante cercando di sopprimere l'impellente desiderio di mangiarne a sua volta. Ebbe l'impressione di sentirne l'odore anche da quella distanza.
Tentò una seconda volta di tornare alla conversazione tra i suoi amici, ma prima che potesse fare anche solo un tentativo il suo cervello le fece capire chiaro e tondo che davvero voleva dei popcorn. Il profumo intenso e burroso le penetrò nelle narici. Si scoprì a deglutire per cercare di dissipare l'acquolina che si era già creata nella sua bocca.
“Scusate” si ritrovò a dire all'improvviso interrompendo chiunque stesse parlando, sorprendendo peraltro anche sé stessa, “Chi altri vuole dei popcorn?” domandò.
I suoi amici si voltarono a guardarla con una certa sorpresa, non era da lei prendere questo genere di iniziative.
Per un istante nessuno parlò.
“Per me no grazie, io sto ancora digerendo le patatine” rispose infine Crilin, rivolgendosi ugualmente alla sua ragazza seduta accanto a lui, “Tu ne vuoi?” le chiese. Lazuli scosse il capo “No” “Nemmeno per me” replicò Lapis.
Yamcha scattò in piedi “Vado io a comprarteli!” esclamò tutto d'un fiato. Senza darle il tempo di rispondere si rivolse subito in direzione della porta svanendo come un fulmine.
“Che idiota, si è dimenticato di prendere i soldi” fece notare il gemello, dopo un istante di stordimento generale. “Non ha ancora capito che con te non ha speranze?” mormorò allusiva Lazuli, “Un po' mi dispiace per lui” replicò Crilin.
Bulma alzò le spalle “Che altro dovrei fare? Io gliel'ho detto chiaro e tondo che possiamo essere solo amici” concluse. E se proprio doveva essere sincera, Yamcha aveva molte meno possibilità di quelle che poteva immaginare.


CONTINUA…

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Capitolo 10
*** Le conseguenze delle proprie azioni ***


d
ENTER MY WORLD

Le conseguenze delle proprie azioni

“E se fosse l'antenna?” gli domandò la moglie, sbirciando da dietro le sue spalle. Brief era un uomo molto paziente e con calma mormorò “No, cara, l'antenna va benissimo” le spiegò premendo i pulsanti del telecomando. “Sei sicuro?” si assicurò lei, “Certo”, doveva solo resettare alcuni canali che erano andati perduti a causa della recezione.
Il campanello suonò all'improvviso, distogliendo Panchy dal lavoro del marito, con sollievo di quest’ultimo. Si voltò verso la porta del salotto e bisbigliò “Chi sarà?” parlottando tra sé. Ciabattando fuori dal soggiorno superò il piccolo corridoio che portava in cucina.
L'ingresso della casa si trovava lì, e quando lo aprì si trovò faccia a faccia con la figlia maggiore. “Hai dimenticato di nuovo le chiavi?” le domandò apprensiva. Tights fece spallucce “Mi sono accorta di averle lasciate a casa quando ero ormai a poche fermate da qui” le spiegò varcando la soglia.
La giovane donna si guardò attorno “Bulma mi ha detto che ha aggiustato il mio computer. È in casa?” le chiese non avendo visto la sorella da nessuna parte. La madre scosse il capo, “Sta ancora dormendo” la informò “Ieri era molto stanca e non me la sono sentita di svegliarla” era domenica dopotutto e la giovane non aveva impegni mattutini.
Tights guardò l'orologio appeso in cucina “Dormendo? Ma è quasi l'una” sottolineò. “Davvero?” si rese conto Panchy, volgendo a sua volta lo sguardo verso il quadrante “Oh! Si è fatto tardi, devo pensare al pranzo” si rese conto. Si era distratta dal trafficare del marito col televisore e non aveva tenuto conto dell'orario.
“Beh, io vado a vedere se Bulma è ancora viva” ironizzò la figlia, dopo essersi liberata della giacca invernale che abbandonò su una delle sedie attorno al tavolo.
Dopo aver varcato il corridoio s'incamminò verso le scalinate che portavano al piano di sopra. “Resti a pranzo con noi?” sentì la madre domandarle quando mise il piede sul primo gradino. Tights ci pensò per un istante “Sicuro” le rispose.
Esitò per un istante, prima d'intraprendere la scalata, voltandosi verso il salotto dove vide il padre trafficare con la TV. “Ciao papà” lo chiamò.
L'uomo non si voltò neanche, restando concentrato sul suo lavoro. Si limitò a sollevare una mano in segno di saluto. Quando era in modalità riflessiva sembrava sempre che il mondo sparisse, questa era una cosa che la figlia minore aveva senza dubbio ereditato da lui.
Raggiunto il pianerottolo in cima alle scale svoltò l'angolo e bussò alla porta della camera da letto di sua sorella, parallela alla stanza che era stata la sua, nella quale erano ancora custoditi i ricordi di un'adolescenza ormai andata.
“Ehi dormigliona, è ora d'alzarsi” esordì aprendo la porta, per trovarsi ad osservare una stanza buia. Di Bulma vide solo una ciocca di capelli spuntare da sotto le coperte. “Sorellina” la chiamò scuotendola. In risposta ottenne soltanto un contrariato mugolio.
Quando finalmente si mosse, Bulma si voltò verso la scura figura in piedi accanto al suo letto e la osservò per un breve istante. Impiegò alcuni secondi prima di riconoscerla “Tights?” chiese per sicurezza, la voce ancora impastata dal sonno. “Sì, sono io” la rassicurò lei “È ora di alzarsi” le ripeté.
L'idea non piacque molto alla minore che in tutta risposta si rotolò sul fianco per tornare nella posizione che aveva da poco abbandonato “Ancora cinque minuti” farfugliò. “Non penso proprio” decretò la giovane donna, decidendo di scostarle le coperte.
Sotto la calda trapunta si stava bene al calduccio, ma quando le furono sottratte Bulma rabbrividì a causa dell'improvviso cambio di temperatura. “Ehi!” brontolò, guardando Tights con un'espressione contrariata.
Normalmente ci sarebbero state proteste e imprecazioni, ma quel giorno Bulma si sentì troppo stanca per dar loro voce. Sconfitta dalla vitalità di sua sorella, non poté fare a meno di sollevarsi dal materasso. “Sono sveglia!” farfugliò non troppo convincente.
Tights la osservò “Cosa ti prende?” le domandò. Bulma cercò le ciabatte che aveva lasciato accanto al letto e si alzò in piedi. Sbadigliò “Nulla, è solo che in questi giorni non riesco a dormire molto bene” le spiegò, grattandosi la pancia ancora mezza addormentata.
Quando decise che era giunto il momento di farsi strada verso il bagno, un primo segno di lucidità si fece largo nella sua mente. Si fermò “Il tuo computer è sulla mia scrivania” le disse indicandolo, prima di uscire.

***

Nonostante fossero passate due settimane dall'accaduto, Vegeta sentiva ancora il sangue ribollirgli nelle vene quando ci ripensava. I danni alla sua moto erano stati onerosi da riparare.
L'aveva portata da uno specialista che lo aveva già aiutato in passato e la carrozzeria era stata perlopiù rimessa a nuovo, gli specchietti sostituiti ed era stata riverniciata. Non sarebbe mai più tornata come nuova, ma questa era la cosa più vicina che potesse sperare.
Tuttavia quando i suoi occhi si posavano sulle ammaccature ancora evidenti gli veniva voglia di prendere a pugni qualcosa… o qualcuno.
Erano anni che voleva sostituire la vecchia carretta, ma non era mai riuscito a mettere da parte denaro sufficiente. Tra le spese del bar, l'affitto dell'appartamento, spese legali, tasse e vari pagamenti non era mai stato in grado di racimolare abbastanza denaro per comprarsi una vettura decente. Vendere la precedente moto era stato l'unico modo per mettere da parte i soldi da investire in quella nuova.
Quella vecchia lo faceva sempre arrabbiare, ma aveva imparato a convivere col fatto che, ogni volta voleva andare a farsi un giro, rischiava di tornare a casa col carro-attrezzi.
Perché aveva deciso di arrendersi con il rottame e prenderne finalmente una nuova? Perché a Bulma piacevano le moto.
Spesso era capitato che ne parlassero e lei non aveva mai nascosto che le sarebbe piaciuto fare un giro lontano solo loro due. Questo non era di certo possibile con il ferro vecchio che al massimo li avrebbe portati fino alla fermata dell'autobus.
Se non altro i danni subiti dalla sua nuova moto non avevano toccato il motore. Sì la carrozzeria aveva subito qualche ammaccatura che però era stata prontamente riparata e ora che l'aveva riportata a casa dopo un periodo di riparazioni era di nuovo pronta a partire.
Non fece in tempo a posteggiarla davanti alla propria casa, o ad estrarre le chiavi, quando Nappa uscì dal magazzino con un sacchetto dell'immondizia tra le mani. Liberatosi della spazzatura si avvicinò a Vegeta. “Ehi vedo che l'hai rimessa a nuovo” commentò quando l'altro scese dal veicolo.
Tolto il casco Vegeta osservò la moto “Tsk” brontolò osservando una di quelle fastidiose contusioni ancora evidenti.
Due uomini apparvero al cancello che circondava il cortile. Si guardarono attorno ed entrarono. I proprietari del locale il fissarono con velato fastidio. Si scambiarono uno sguardo non troppo contenti che due sconosciuti stessero varcando la loro proprietà.
Nappa fece un passo avanti, il fisico possente ben in mostra, “Possiamo aiutarvi?” domandò non troppo amichevolmente. Vegeta appoggiò il casco sulla moto ed incrociò le braccia.
“Sì” rispose uno di loro “Stiamo cercando il titolare di questo posto” aggiunse indicando il bar. “Siamo noi” rispose di nuovo Nappa. I due sconosciuti si scambiarono a loro volta un'occhiata d'intesa, “Chi di voi due è un certo Vegeta?” “Chi lo vuole sapere?” replicò il diretto interessato.
L'uomo che aveva parlato fino a quel momento infilò la mano in una tasca ed estrasse un distintivo, “Polizia” si presentò “Signor Vegeta, è pregato di venire con noi” lo informò. “Tsk, e se non volessi?” ringhiò lui con sguardo minaccioso.
“Mi ha frainteso, la mia non era una richiesta” precisò il primo, il suo collega estrasse dalla cintura un paio di manette “È in arresto per aggressione. Le consiglio di non opporre resistenza” aggiunse.
“Che cosa?!” esclamarono in coro Nappa e Vegeta. Non che ci fosse bisogno di chiederlo, ma “Di che cosa state parlando?” s'intromise l'energumeno. Il secondo poliziotto lo guardò per un attimo, poi si rivolse all'uomo per la quale erano venuti “Guldo ha sporto denuncia nei suoi confronti con l'aggravante che rischia di perdere la vista da un occhio” “Immagino sappia di cosa stiamo parlando” aggiunse il collega.
Vegeta non disse nulla.
“Perché questo trattamento? Che ne è dei suoi diritti? Normalmente non si va in carcere per una denuncia di aggressione” cercò di difenderlo Nappa. “Ha ragione, di solito no, come il suo amico sa molto bene” l'agente che aveva appena parlato si voltò a guardare Vegeta che corrugò le sopracciglia, “Ma se l'imputato viene ritenuto pericoloso o recidivo dovrà attendere la sentenza definitiva in carcere”.
L'altro agente gli mostrò ancora le manette, “Cos'ha deciso? Viene con noi con le buone o dobbiamo aggiungere resistenza all'arresto alla sua denuncia?” gli domandò.


CONTINUA…

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Capitolo 11
*** Un vago sospetto ***


d
ENTER MY WORLD

Un vago sospetto

“Avete studiato per l'interrogazione della terza ora?” domandò Yamcha sporgendosi sul banco.
Seduta sul tavolo di Crilin, Lazuli alzò le spalle “Mi ha interrogato la scorsa settimana” lo informò sapendo di non rischiare l'eventuale chiamata alla cattedra. L'altro ragazzo parve meno certo, sfogliando le pagine del libro di testo con nervosismo “Non mi ricordo più nulla” si lamentò Crilin, portandosi una mano alla testa. Lazuli mise una mano sul tomo, costringendolo a fermarsi, “È su quello che abbiamo studiato insieme l'altro giorno. Sei preparato Crilin” lo rassicurò.
“Ohh voi piccioncini avete studiato tutti soli soletti eh? E bravo il nostro Crilin” gli fece il verso l'amico. “N... non è così, abbiamo studiato davvero!” gli rispose. Lazuli, un po' in imbarazzo, si portò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.
Yamcha rise sguaiatamente, poi si fermò e cominciò a riflettere “Mh, dovrei chiedere a Bulma se vuole studiare con me qualche volta” “Tu non demordi proprio mai” mormorò l'amico. “Certo che no! In amore vince chi insiste” recitò Yamcha, l'altro scosse il capo “Guarda che non è quello il detto” gli fece presente.
Lazuli lo fissò in silenzio per un istante “A proposito di Bulma, qualcuno sa dov'è?” chiese poi ed i due amici si voltarono verso il banco della ragazza ancora vacante. Le lezioni sarebbero iniziate a breve e di lei nessuna traccia.
Yamcha estrasse il suo cellulare dalla tasca, ma sulla conversazione di gruppo non c'era nessuna novità che la riguardasse. L'ultimo suo messaggio risaliva alla sera prima.
Giusto in quel momento, anticipando il suono della campanella di un secondo, Bulma entrò in classe. Sotto gli occhi dei suoi amici prese posto lasciando scivolare il suo zaino al suolo con un tonfo. Non aveva una bella cera, notarono tutti ed era una cosa che nell’ultima settimana era capitata spesso.
“Ehi, Bulma, stai bene?” le domandò apprensivo Crilin notando che la ragazza era molto pallida. Lei sospirò.
“Ho avuto una mattinaccia” spiegò loro “Mi sono svegliata stanca e tutto mi sembra faticoso oggi” sbuffò nuovamente poggiando la testa sul banco.
Gli altri si scambiarono una serie di sguardi. Yamcha alzò le spalle, Crilin si grattò la tempia ed entrambi fissarono Lazuli, come se lei, essendo l'altra ragazza del gruppo, avesse una sorta di potere magico che le permettesse di leggere nella mente dell'amica.
Un familiare colpo di tosse proruppe delicato ma assordante al tempo stesso nell'aula. Gli studenti si ammutolirono tutti insieme, trovando ognuno il rispettivo posto.
Whis li guardò tutti una volta accomodati, “Buongiorno” li salutò.
Le lezioni cominciarono senza intoppo subito dopo i vari convenevoli.
Non era passato nemmeno un quarto d'ora prima che la mano di Bulma si levò in aria in attesa di essere interpellata. L'insegnante s'interruppe e la guardò, “Mi dica Signorina Bulma, cosa posso fare per lei” chiese. La ragazza lo guardò con un'espressione supplichevole “Professore, posso andare in bagno?”.
Whis inarcò un sottile sopracciglio, aveva una stretta politica riguardo all'andirivieni degli studenti dai servizi. Di solito non mandava mai nessuno nella prima mezz'ora di lezione e tutti gli allievi erano a conoscenza di questa sua presa di posizione.
In genere avrebbe risposto di no ad una richiesta formulata così presto. Tuttavia la giovane aveva un'aria strana ed il professore intuì che doveva davvero averne un gran bisogno a giudicare dall'implorazione espressa con genuina sofferenza nei suoi occhi. Dopo averci riflettuto per alcuni secondi decise di fare uno strappo alla sua regola. “Vada pure” le concesse.
Il banco di Bulma era nell'ultima fila e Whis si accorse con quanta fretta si alzò percorrendo l'intera aula prima di uscire.
Ci fu un vociare generale, mentre gli altri compagni di classe commentarono la scena con i vicini. L'unico terzetto a restare in silenzio fu quello in fondo alla stanza.
Gli amici di Bulma si scambiarono uno sguardo carico di preoccupazione.

***

“Signorina Lazuli” la chiamò all'improvviso l'insegnante, senza preavviso. La ragazza sollevò il capo dal suo quaderno degli appunti e fissò l'uomo in piedi davanti alla cattedra “Sarebbe così gentile da andare a verificare come si sente la sua amica?”.
Lazuli non se lo fece ripetere. Il banco di Bulma era rimasto vuoto da più di venti minuti ormai e la sua prorogata assenza stava cominciando a mettere una certa ansia al terzetto di amici che, a turno, si voltava verso la porta o verso il posto vacante nella speranza di vederla ricomparire.
“Facci sapere come sta” le sussurrò Yamcha, forse il più preoccupato.
Una volta nei corridoi Lazuli percorse in fretta la strada che la separavano dal bagno delle ragazze. Una volta entrata non vide nessuno.
Si addentrò osservando gli scompartimenti dei vari gabinetti aspettandosi di trovarne uno chiuso, ma a prima vista, dalla prospettiva all’ingresso, le parvero tutti spalancati.
“Bulma?” chiamò un po' indecisa. “In fondo” le rispose la voce dell'amica che doveva averla riconosciuta.
Quando Lazuli la raggiunse la trovò seduta al suolo davanti al relativo water dello scompartimento. La testa poggiata sul divisorio alle sue spalle con gli occhi chiusi ed entrambe le mani poggiate sullo stomaco. Dava l'impressione di poter vomitare da un momento all'altro.
“Cos'è successo?” le domandò la bionda cercando d'inquadrare la situazione. “Mi sono sentita male” le spiegò vaga con una voce che non parve essere la sua. Se Lazuli non avesse visto le sue labbra muoversi, non avrebbe creduto che era stata davvero lei a parlare.
Bulma era uscita dall'aula di corsa e si era precipitata in bagno come se ne dipendesse la sua vita. Era arrivata giusto in tempo, prima di rivedere tutti i pasti dell'ultimo mese finire nel gabinetto.
Aveva provato a rialzarsi, ma si sentiva troppo debole per poterlo fare. La sola idea di muoversi le diede una sensazione di nausea e un giramento di testa. Per tali ragioni era rimasta seduta lì da un tempo indeterminato nella speranza di sentirsi meglio il prima possibile.
Lazuli la fissò per un secondo, “Vuoi che chiami qualcuno?” le offrì accorgendosi di quanto l'amica le sembrasse fragile ed indifesa. Bulma scosse lentamente il capo “No, tra poco passerà” le rispose, gli occhi ancora chiusi.
“Non mi sembri molto sconvolta” notò Lazuli “È già successo altre volte, vero?” chiese. Nel momento in cui pose la domanda una voce nella sua mente le suggerì la risposta.
Bulma non replicò, ma Lazuli stava già iniziando a porsi una serie sempre più precisa d'interrogativi.
Per un attimo ripensò al discorso che era avvenuto tra loro ormai diverse settimane prima, e per quanto incredibile che fosse, un'idea si fece strada tra le altre ipotesi e il più ci pensava e il più le parve veritiera. Bulma sembrava sempre stanca da un po' di tempo e anche quello era un indizio che andò ad incastonarsi in un puzzle sempre più nitido.
Lazuli si domandò se lei avesse preso in considerazione l’idea, ma soprattutto se fosse possibile. Ancora una volta, quel dialogo fatto di misteri e segreti tornò a balzarle nella mente.
“Bulma...” disse attirando la sua attenzione costringendola finalmente ad aprire gli occhi per guardarla “Sai cosa può essere?” s'informò prima di dar voce alla sua supposizione.
La ragazza sembrò indecisa, “Non saprei, forse un virus intestinale” disse. Lazuli esitò, le parve evidente che lei non avesse considerato l'idea.
Valutò attentamente come porre la questione senza sembrare irrispettosa. Si portò una ciocca dietro l'orecchio. “Allora... posso farti una domanda personale?”.


CONTINUA…

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Capitolo 12
*** Doverose spiegazioni ***


d
ENTER MY WORLD

Doverose spiegazioni

Qualsiasi problema doveva aver avuto il suo computer, da quando sua sorella glielo aveva riparato era tornato come nuovo. Quella ragazza era un vero genio quando si trattava di questo genere di cose. Tights era convinta che, una volta terminati gli studi, persino il padre non avrebbe retto il confronto.
Si concentrò sull'articolo che stava scrivendo e che doveva consegnare entro il la fine della giornata.
Lavorava per un giornale locale che stampava poche copie comprate perlopiù da gente più in là con l'età curiose di sapere cos'era accaduto il giorno prima nel vicinato e che non avevano nessuna conoscenza in fatto di tecnologia. Ignari del fatto che, al giorno d'oggi, potevano usare un telefono per apprendere in tempo reale gli eventi. Tights lavorava per la rivista solo da un paio d'anni e aveva smesso di essere la designata porta caffe da pochi mesi. Gli articoli che scriveva erano lungi dall'essere sbattuti in prima pagina, finendo spesso tra le notizie meno importanti.
Certo non era il lavoro ideale, ma da qualche parte bisognava iniziare.
Il citofono suonò vigorosamente, costringendo la giovane giornalista ad alzare il capo dal suo lavoro.
Jaco era appena andato a lavoro, ed essendo in casa da sola fu costretta ad andare ad aprire. “Chi è?” domandò premendo il pulsante dell'interfono, “Sono Bulma” rispose la voce della sorella.
Tights ne fu sorpresa. Di solito l'avvisava quando veniva a trovarla, non che le dispiacesse la visita inaspettata, ma per lei era parecchia strada da fare correndo il rischio di non trovarla in casa. Era già accaduto che Bulma fosse stata costretta a restare fuori dal portone per aver sbagliato le tempistiche, per questo era nata l'abitudine di un breve avviso.
La giovane donna premette il pulsante per aprire il cancello principale e sbloccò il portone dell'appartamento. Abitando al primo piano della palazzina la strada da percorrere non era molta. Erano necessari pochi minuti per giungere a destinazione.
Tights tornò verso il suo computer in cerca del telefonino. Forse si era distratta e non aveva notato una chiamata o un messaggio, ma con sua sorpresa non era stata una sua mancanza. Semplicemente la sorella non l'aveva contattata.
Bulma entrò in casa e chiuse la porta alle sue spalle, “Tights, devi aiutarmi!” esordì. Sua sorella la guardò tirare il fiato come se fosse giunta di corsa, eppure l'ingresso del palazzo era poco distante dalla fermata dell'autobus, non c'era molta strada da percorrere una volta scesa dal bus. “O... k” mormorò la più grande, lasciando trapelare una sorta d'incertezza.
Quello che si erano dette lei e Lazuli nei bagni, qualche ora prima, era rimasto un segreto tra loro. Se la supposizione della compagnia di classe era in qualche modo veritiera, Bulma si trovava in una situazione disperata.
Pur di non affrontare i suoi genitori, aveva mentito agli insegnanti dichiarando che ora si sentiva bene e non aveva bisogno di tornare a casa. Proseguendo le lezioni fino al termine della giornata.
Non che fosse stata attenta ad ogni singola parola detta durante le diverse ore, aveva cercato tutto il tempo di inviare messaggi a Vegeta in cerca del suo aiuto, ma per qualche ragione lui era sparito completamente. Erano più di ventiquattro ore che non aveva sue notizie e quando aveva addirittura cercato di chiamarlo all'intervallo si era imbattuta nella segreteria telefonica. Era strano, questa volta non avevano neppure litigato, ma a lui avrebbe pensato dopo.
Se Vegeta non voleva farsi trovare, Tights era la sua seconda scelta. Dopotutto, non potendo mettersi in contatto con l’uomo sentì la necessità dell'aiuto e del conforto della sorella, anche se le avrebbe dovuto dare qualche spiegazione in più.
Uscita da scuola era saltata sul primo autobus che portava verso l'abitazione della maggiore recitando mentalmente il modo migliore di affrontare l'argomento. Ora che si trovava lì aveva dimenticato tutto quello che le doveva dire.
“Sono nei guai, grossi guai. Ti prego aiutami” la scongiurò la ragazzina. “Va bene, va bene, calmati. Inizia dal principio, cos'è successo?” cercò di tranquillizzarla Tights. Bulma prese fiato decidendo di partire dalla realizzazione che era giunta grazie all'amica, “Sono in ritardo” disse, “In ritardo per cos... oh… oooooh!”. La minore vide la lenta consapevolezza farsi largo sul viso della sorella, “Non dirmi che... cavolo, non sapevo nemmeno avessi un ragazzo” commentò.
La ragazzina chiuse gli occhi. Aveva immaginato tante di quelle volte il momento nella quale avrebbe potuto raccontare a qualcuno di Vegeta, ma questo non era come aveva sperato. “Già... beh non lo sapeva nessuno” confessò sentendo il suo cuore sprofondare.
“Questa sì che è una sorpresa” mormorò la giornalista “Devo quindi dedurre che stai parlando di quello che penso tu stia parlando?” Bulma sospirò “Sì” ammise cercando di non incrociare gli occhi scuri della giovane donna.
Tights ci pensò su per un istante, “Hai verificato?” la più giovane scosse il capo. “D'accordo, ci penso io. In casa non c'è nessuno, sdraiati sul divano e mettiti comoda, io vado a fare un salto alla farmacia dietro l'angolo” disse afferrando la sua giacca da un appendiabiti all'ingresso, “Torno subito” la rassicurò, prima di uscire.

***

Era quasi incredibile pensare che appena un paio di settimane prima faceva la strada fin qui dalla sua scuola, al termine delle lezioni, per lavorare al bar. Ora la percorreva in gran segreto per sgattaiolare nell'appartamento di Vegeta, dopo aver nascosto la propria bici tra i cespugli.
Se l'adrenalina non era sufficiente a rendere questa relazione intrigante, c'era comunque il fatto che stesse frequentando un uomo molto più grande di lei che, per essere precisi, era un gran baciatore. Vegeta sapeva essere passionale, rude e delicato al tempo stesso e di lui, Bulma non poteva mai averne abbastanza.
Incollati l'uno all'altra le loro mani esploravano i reciproci corpi. A Bulma non dispiaceva affatto che le dita di lui palpeggiassero il suo seno, mentre continuava a baciarla, fintanto che fosse nascosto sotto la blusa. Quel giorno tuttavia, Vegeta decisa di osare di più, la sua mano infatti s’insinuò sulla coscia scoperta della ragazza, sotto la gonnella scolastica.
Dopo un primo, quasi terrificante, istante di piacere Bulma lo respinse. Poggiandogli i palmi sulle spalle lo allontanò all'improvviso, alzandosi come una molla dal divano sulla quale erano seduti. Si accorse di quanto quel contatto le fosse piaciuto, ma di quanta paura le aveva suscitato al tempo stesso. Un ragazzo, no un uomo, l'aveva appena toccata in un modo molto delicato.
“Che cavolo...?” brontolò lui sorpreso quanto la ragazza. Bulma deglutì “Sc... scusa” disse, riabbottonandosi la blusa. Vegeta la guardò con un'espressione piuttosto confusa guardandola stringersi tra le braccia.
“Mi dispiace, Vegeta ma io non...” bisbigliò. Ci pensò su per alcuni istanti, “Il fatto è che tu sei il primo ragazzo serio che io abbia mai avuto” gli confessò cercando di nascondere il suo imbarazzo.
Questo Vegeta non lo sapeva. Si limitò ad incrociare le braccia e a fissarla. Nonostante avesse sempre un comportamento molto maturo per la sua età, ogni tanto si dimenticava che era soltanto una ragazzina.
“Non penso di voler... andare... fino in fondo” gli spiegò. In tutta risposta, dopo averla studiata per un lungo ed interminabile momento, Vegeta trovò il telecomando della televisione e decise di accenderla, senza aggiungere una sola parola.
Bulma lo guardò, era ancora difficile per lei riuscire a distinguere alcuni dei suoi umori. Era sempre così misterioso.
“Sei arrabbiato?” “Tsk, non dire sciocchezze” brontolò limitandosi a cambiare canale. Per qualche motivo Bulma comprese che stava dicendo il vero, decise di andarsi a sedere di nuovo accanto a lui.
Vegeta non voleva certo imporsi su una ragazzina, se c'era d'aspettare avrebbe aspettato. Nel frattempo le mise un braccio attorno alle spalle limitandosi a tenerla stretta.


***

“A questo punto penso che tu mi debba una spiegazione, Bulma” le disse Tights osservandola dall'altra parte del bagno nella quale si trovano entrambe “Chi è questo ragazzo? Un compagno di scuola?”. Bulma era seduta sul bordo della vasca da bagno, guardandosi le punte delle scarpe. Con una mano cominciò a giocare col ciondolo sferico appeso alla sua collanina, “No” disse.
Tuttavia sua sorella aveva ragione, a questo punto era in debito con alcune delucidazioni, dopotutto la giovane donna non le aveva fatto nessuna domanda se non le strette necessarie, almeno fino a questo punto.
Sospirò “Non ho mai detto nulla a nessuno perché lui è molto più grande di me” si sentì dire, avendo quasi l'impressione di ascoltare la sua voce da molto lontano. Tights inarcò un sopracciglio “Quanto è molto più grande?” chiese cercando di nascondere una punta di preoccupazione. “Ha venticinque anni” disse la liceale “Ma li ha appena compiuti” puntualizzò, come se questa piccola differenza fosse di grande importanza. La sorella emesse un silenzioso sospiro di sollievo.
C'era comunque una gran bella differenza, ma almeno questo misterioso lui non era più grande della giornalista. Per un attimo aveva seriamente temuto che fosse molto vecchio. Tuttavia questo non cambiava il fatto che la sua sorellina stesse frequentando un uomo.
“Beh ora mi spiego perché non l'hai detto a nessuno. Conoscendoti mi sarei aspettata una conferenza stampa il momento in cui hai iniziato ad uscire con lui” scherzò Tights, cercando di alleggerire una tensione che però rimase palpabile. Bulma non sorrise, normalmente avrebbe risposto a tono, ma in quel momento non si sentì di dire nulla.
Il timer impostato sul telefono della sorella maggiore squillò quasi all'improvviso. Se non fosse che stessero aspettando proprio quello sarebbero saltata entrambe in aria per la paura.
Si guardarono l'un l'altra, e senza bisogno di parole si voltarono verso il lavandino, sulla quale era appoggiato il test. Ci fu un lungo silenzio.
Fu Tights a romperlo “Vuoi guardare tu o preferisci che lo faccia io?” chiese. Bulma strinse la presa sul pendaglio “Tu” rispose in ansia.
“Ok” rispose l'altra sollevando il famigerato oggetto. Bulma ebbe l'impressione di aver dimenticato come respirare. Ogni secondo stava scorrendo con una lentezza esasperante.
Tights si voltò a guardarla “È positivo... sei incinta”.


CONTINUA…

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Capitolo 13
*** Sempre più lontani ***


d
ENTER MY WORLD

Sempre più lontani

Tights le aveva fatto promettere che lo avrebbe detto a mamma e papà il prima possibile. Bulma era riuscita a convincerla a non prendere iniziative spiegandole che prima voleva parlarne con lui.
C'era un solo piccolo problema che non aveva rivelato alla sorella, tanto per aggiungerne a quelli che già aveva. Vegeta era svanito da un paio di giorni.
Bulma non aveva la minima idea di che fine avesse fatto o perché non stesse leggendo i messaggi che gli aveva inviato. Aveva fatto diversi tentativi per attirare la sua attenzione, ma nulla sembrava essere servito.
Il cellulare era sempre spento e lui non aveva ancora letto nessuna notifica. Tramite l'applicazione Bulma poté notare che per quanti gliene avesse mandati lui non aveva ancora visto nulla.
Nel panico decise che non aveva altra scelta se non quella di cercarlo personalmente. Così al termine delle lezioni prese la sua bicicletta e pedalò in direzione del bar.
Era rischioso e lo sapeva bene, in genere decidevano insieme se e quando incontrarsi per non correre il pericolo di trovarsi di fronte a degli inconvenienti. Ma se lui la stava ignorando allora non aveva altra scelta.
Per la prima volta da quando aveva messo piede nel locale, ormai quasi sei mesi fa, la pedalata le parve lunga e faticosa. Non aveva mai avuto problemi a raggiungere il bar con la sua bici, ma quel giorno le sue gambe le parvero pesanti e senza forza.
Si era già accorta che il tragitto tra casa e scuola stava diventando faticoso, lasciandola senza energia all'arrivo, e casa di Vegeta era molto più distante dalla scuola. Doveva farlo a tutti i costi tuttavia, aveva bisogno di parlare con lui.
Arrivata sul luogo era spossata e senza fiato. Quando scese dal sellino ebbe quasi un giramento di testa riuscendo appena in tempo ad afferrare la cancellata che circondava il cortile.
Di nascondere la bici non se ne parlava neanche, non aveva la forza di spostarla e di farla sparire dietro i rami dei cespugli, così decise di lasciarla fuori dalle inferiate con la speranza che non sarebbe passato nessuno nell'immediato futuro.
Si guardò attorno. La moto era parcheggiata al solito posto, quindi Vegeta doveva essere in giro. Con un po' di fortuna lo avrebbe trovato in casa anziché a lavoro, all'interno del locale.
Trovatasi alla base delle scale le guardò come se stesse per imbarcarsi nella scalata di una montagna. Erano sempre state così tante?
Raggiunto il pianerottolo provò a bussare alla porta. Attese, ma non ottenne risposta. Tentò una seconda volta, il risultato non cambiò.
Avrebbe voluto sbirciare dalle finestre, ma erano poste fuori dalla portata di qualcuno in piedi davanti alla porta. Quante volte avevano approfittato del fatto che non c'era una buona prospettiva per guardare all'interno delle vetrate? Si erano spesso trovati ad ignorare le finestre aperte consapevoli del fatto che nessuno sarebbe stato in grado di sbirciare al loro interno.
“Vegeta!” chiamò bussando con tutta la forza che le era rimasta, “Vegeta!” ritentò. Le sue nocche sbatterono contro la superficie della porta ancora e ancora cercando di fare più rumore possibile. Se era in casa l'avrebbe sentita senz'altro.
Tuttavia ad ogni secondo che passava la possibilità che fosse così si affievoliva. “Aprimi, ti prego” disse alla porta, mentre le forze l'abbandonarono. Scivolò al suolo battendo di nuovo sull'uscio. Si ritrovò in ginocchio, poggiando la testa sull'ingresso. “Ehi!” disse una voce all'improvviso “Cosa ci fai lì?”. Bulma si voltò guardando il cortile tramite la ringhiera.
Quella non era la persona che sperava di vedere. Avendo fatto un gran baccano nella speranza di farsi sentire dai fantasmi all'interno dell'abitazione, non aveva pensato che i vivi potessero anch'essi sentirla. Si alzò forse un po' troppo in fretta, causandole un nuovo giramento di testa.
Non aveva altra scelta, a questo punto se voleva notizie di Vegeta doveva chiedere.
Nappa l'attese alla fine della scalinata, osservandola mentre scendeva i gradini fino a raggiungere il cortile. “Cosa vuoi?” le domandò severo l'omone.
Bulma ebbe un ormai familiare sensazione allo stomaco e sperò di poter resistere ancora per qualche minuto. “Sto cercando Vegeta” disse avvicinatasi a lui, poggiandosi un braccio attorno allo stomaco.
L'uomo la fissò per qualche istante. Una mocciosa che cercava Vegeta? La ragazzina indossava la divisa scolastica di un liceo privato della zona e ora che ci pensava le due cose suscitarono un ricordo risalente ad almeno un mese prima, quando un giorno una liceale era uscita dall'appartamento del socio.
Con la coda dell'occhio si accorse della bicicletta lasciata all'ingresso del cortile e non ebbe più dubbi. È quella ragazza!
E ora che la guardava meglio in faccia gli parve ancora più familiare del previsto. L'aveva già vista da qualche parte, ma non si ricordò esattamente dove o quando.
“Vegeta non c'è, tornatene a casa” le disse scortese. Non voleva essere coinvolto nelle nefandezze del suo socio. Se lui voleva sbattersi una ragazzina non erano affari suoi, ma non voleva nemmeno essere coinvolto in queste sue decisioni.
Bulma si poggiò una mano alla bocca “Quando lo posso trovare ho bisogno di parlare con lui” spiegò. Nappa valutò in silenzio la risposta da darle.
Prima che potesse dire nulla, Bulma si chinò verso i cespugli vomitando anche l'anima. Apparentemente senza motivo cominciò a piangere asciugandosi le lacrime con il polsino della giacca.
Dopo aver rimesso tutto quello che poteva si accasciò al suolo in equilibrio sulle punte dei piedi premendosi entrambe le braccia sullo stomaco. Nappa la fissò per un lungo momento, “Ehi mocciosa, stai bene?” le domandò. “No” farfugliò lei con un filo di voce, tra le lacrime e la nausea che ancora non le era passata del tutto.
Nappa intuì che la ragazza era in guai più grandi di lei.

***

Spinto da un momento di pietà nei confronti di questa marmocchietta, Nappa decise di raccontarle quantomeno lo stretto necessario. Ulteriori spiegazioni avrebbe dovuto chiederle direttamente a Vegeta, qualora fosse riuscita ad incontrarlo.
Le raccontò, senza entrare nei dettagli, che c'era stata una rissa nella quale Vegeta era stato coinvolto che si era trasformata in un bagno di sangue. Lui stava bene, naturalmente, ma la parte avversa non poteva dire altrettanto, motivo per la quale Vegeta era stato recluso in un carcere.
Più di così non le avrebbe detto.
Per questo era scomparso! Non era stato in grado di avvisarla ed essendo il resto del mondo all'oscuro della loro relazione nessuno aveva avuto la possibilità o il motivo di chiamarla.
Se non altro, grazie ad un po' d'insistenza, Nappa l'aveva indirizzata all'istituto che vedeva Vegeta prigioniero.
Bulma studiò il percorso e decise di andare in quella zona, scoprendo ben presto che sarebbe stata una gita tutt'altro che facile o divertente.
Il carcere si trovava in periferia alle porte della città. Per andarci Bulma era costretta a prendere due autobus nella speranza che la coincidenza non fosse troppo problematica. Inoltre la fermata non era vicina al penitenziario e per arrivarci era costretta a camminare per circa dieci o quindici minuti.
Quando giunse a destinazione si reggeva in piedi a malapena. Doveva farlo tuttavia, doveva incontrare Vegeta, aveva bisogno di renderlo partecipe della scoperta del giorno precedente.
Seguì le indicazioni degli appositi cartelli che indirizzavano i visitatori ad attendere nella sala d’aspetto. La sala era molto grande, provvista di sedie per le persone che stavano attendendo il proprio turno per incontrare i loro cari.
Dalle finestre si poteva vedere il cortile della prigione, recintata da grosse cancellate con tanto di filo spinato. Da quella distanza non si era in grado di vedere molto, se non diversi puntini colorati che dovevano essere i detenuti con i loro giacconi arancioni o le guardie vestite con divise blu scuro.
Tornando a guardare l'interno della stanza, Bulma vide una breve fila di persone davanti ad un bancone dietro la quale una guardia, nascosta da un vetro, stava scrivendo notazioni su un foglio. Sopra la vetrata un grosso cartello indicò gli orari delle visite e Bulma tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che aveva fatto giusto in tempo. Ancora mezz'ora e avrebbero chiuso.
Si mise in fila ed attese.
Il suo turno arrivò ben presto e si ritrovò a parlare direttamente col carceriere.
Il secondino comunicava tramite un foro nel vetro, dietro la quale era nascosto, posto accanto alla sua bocca. “Sì?” le chiese alzando il capo dopo aver scritto un ultimo paio di righe per poi poggiare il foglio in un apposito cestello al suo fianco.
Prima che Bulma potesse dire una parola, l'ufficiale la guardò con attenzione. E se anche potesse apparirgli più grande dei suoi diciassette anni, la divisa del liceo non lasciava dubbi. L’uomo assottigliò lo sguardo “Quanti anni hai?” le domandò additando alla sua sinistra, in un punto fuori dal gabbiotto nella quale era seduto, che Bulma non aveva ancora visto fino a quel momento.
Il cartello appeso avvisava che era vietato per i minori far visita ai detenuti se non accompagnati da un adulto.
“Ne ho diciotto” mentì lei, sperando che qualche mese in più non avrebbe fatto la differenza. “Mh, davvero?” farfugliò indeciso l'uomo che abbassò il proprio dito sempre puntato verso sinistra “Allora mi serve un documento” aggiunse.
Una seconda inserzione, appena sotto la precedente, avvisò che era necessario avere con sé un documento identificativo prima di poter accedere, indipendentemente dall'età.
Il mondo di Bulma crollò. Se era una questione di mentire e farsi passare per una persona un po' più grande di quello che era non avrebbe avuto problemi, ma la sua carta d'identità precisava agosto come il mese della sua maggiore età.
“N... non ce l'ho con me” disse lei, sapendo che in realtà era al sicuro nel suo portafoglio. Il secondino alzò le spalle “Mi dispiace allora devo chiederti di lasciare la fila” “La prego! Devo vedere il mio ragazzo” implorò lei e si sentì un po' strana nel chiamare Vegeta il mio ragazzo ad alta voce davanti ad uno sconosciuto.
Lui le parve genuinamente dispiaciuto, “Non posso aiutarti, se non hai un documento non posso farti entrare, semplice. Puoi tornare un altro giorno se è così importante” le disse, mentre i suoi occhi parvero sussurrare “Se davvero hai diciotto anni”.
Bulma lasciò la fila a malincuore. Non poteva vedere Vegeta!


CONTINUA…

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Capitolo 14
*** Le cose si complicano ***


d
ENTER MY WORLD

Le cose si complicano

“Non posso credere che non l'hai ancora detto a mamma e papà” esclamò Tights guardando la sorella seduta dalla parte opposta del tavolo, “Mi avevi promesso che l'avresti fatto appena fossi riuscita a parlare col tuo ragazzo”.
Bulma non si era mai sentita così piccola ed indifesa in vita sua. Sapeva che la maggiore aveva ragione, stava diventando sempre più difficile nascondere la verità ai loro genitori. Soprattutto se si alzava tutte le mattine con la nausea e l'energia praticamente a zero.
Poteva raccontare la fandonia di aver preso un virus intestinale o di non aver dormito troppo bene solo un determinato numero di volte, prima che cominciassero ad insospettirsi.
Senza contare che gli ultimi giorni di scuola erano diventati insostenibili, fingendo di poter andare in bici arrivava in classe debole ed affaticata.
“Lo so, ma le cose si sono complicate” mormorò “Complicate?! Sei incinta, Bulma! Come possono essere più complicate di così?” inveii l'altra. In tutta risposta la più giovane si massaggiò le tempie “Ti prego, non urlarmi Tights. Mi sento già come se dovessi cadere a pezzi così com'è. Non ti ci mettere anche tu” sussurrò.
Tights inarcò un sopracciglio “Va bene, non urlo, però me lo avevi promesso. Ricordo male?” “Non gli ho ancora parlato” “Perché?” Bulma esitò.
Deglutì “Perché è qui che le cose si complicano” cercò di spiegare “Dimmi che non si è dileguato almeno” disse l'altra.
Il tono della giovane donna non nascose una punta di nervosismo, se questo ragazzo, anzi quest'uomo, aveva ingravidato la sua sorellina e si era dato alla macchia non lo avrebbe mai perdonato.
Bulma sospirò e cominciò a spiegare la situazione alla sorella. Le disse di Nappa e della sua infruttuosa gita al carcere. Le spiegò che non era in grado di andarlo a trovare a causa della sua età.
“Questo sì che è un guaio” commentò Tights alla fine del racconto “Non sai per cosa l'hanno arrestato?” Bulma scosse il capo. “Ti ho detto tutto quello che so” ammise. La bionda ci pensò su “Non puoi chiedere al suo amico qualche indicazione in più?” “Si è rifiutato di dirmi più di così e ha detto che se volevo sapere altro dovevo parlare direttamente con lui” si mise le mani tra i capelli, appoggiando i gomiti sulla superficie del tavolo che aveva davanti “Se torno lì rischio d'insospettirlo” aggiunse.
Purtroppo la casa di Tights si trovava dalla parte opposta della città. Il tragitto verso la prigione avrebbe richiesto tre cambi di autobus e una bella camminata. E siccome la giornalista non poteva permettersela non aveva una macchina.
Raggiungere il carcere era difficile anche per lei che in questo caso non era in grado di aiutarla.
“Mh, non possiamo andarlo a trovare e non possiamo parlare con questo suo amico” ragionò Tights “Però forse ho un'idea per scoprire qualcosa in più” disse alzandosi dalla sedia.
La sua borsa era appoggiata sul mobile all'ingresso e quando la raggiunse cominciò a cercare qualcosa al suo interno. Ne estrasse il proprio cellulare.
“Cosa vuoi fare?” domandò Bulma, per un attimo allarmata. “Non ti preoccupare” le disse l'altra “Il tuo segreto è al sicuro per ora, ma se vuoi sapere cos'è successo al tuo ragazzo devi fidarti di me”.

***

Quando Jaco rincasò erano ormai le sette di una serata invernale. Il cielo si era già fatto scuro e Tights aveva chiamato i genitori per avvisare che Bulma avrebbe dormito da lei quella sera. Questa non era la prima volta che accadeva, pertanto non destava sospetti.
“Mi devi un grosso favore, Tights” esordì il giovane poliziotto, additando l'amica e la sorella di quest'ultima sedute sul divano. “Dacci un taglio, Jaco. Dicci piuttosto cos'hai scoperto” lo liquidò lei.
Jaco la guardò mettendo il broncio per un secondo, poi si schiarì la gola ed estrasse un blocchetto sulla quale aveva scritto alcuni appunti.
Era da poco uscito dall'accademia di polizia e al momento il suo lavoro consisteva in noiose ronde attorno all'isolato. Il sogno di Jaco era quello di diventare un investigatore, ma per ora tutto quello che poteva fare era la gavetta.
Questa era la prima vera e propria possibilità di dar sfogo alla sua capacità investigativa.
Dandosi un mucchio di arie cominciò a leggere dai suoi appunti “Il tale che state cercando, questo Vegeta, è stato arrestato per aver picchiato un tizio di nome Guldo che ha sporto denuncia” Jaco sfogliò il taccuino con un atteggiamento teatrale.
“Secondo le mie fonti” continuò “L'ha ridotto talmente male che gli ha quasi distrutto mezza faccia e ha fatto molti danni al sistema nervoso del viso. Il tizio rischia un occhio” Tights guardò la sorella con un velo di preoccupazione, ma l’altra non parve troppo impressionata.
“Perché lo tengono in carcere? Non è così che funziona di solito!” esclamò Bulma. Jaco alzò l'indice di una mano e lo mostrò alle ragazze “Niente interruzioni” disse socchiudendo gli occhi. Bulma fece una smorfia.
Subito dopo riprese la sua lettura “Secondo il giudice che ha ricevuto la denuncia il vostro amico è pericoloso e ha ordinato la sua carcerazione fino alla sentenza...” “Come sarebbe a dire pericoloso?!” lo interruppe la giovane scattando in piedi, “Vegeta non è affatto pericoloso!”. Jaco si poggiò entrambe le mani ai fianchi, “Non hai sentito quello che ho detto? Ha cambiato i connotati a un tizio prendendolo a pugni. Uno così è senz'altro pericoloso!” “Come osi?!” sbottò la ragazza facendo un passo in avanti con aria minacciosa.
Tights le afferrò un polso, “Bulma, ti consiglio di darti una calmata. Non lo dico solo per il tuo bene” le suggerì. Lei ci pensò un secondo e dopo averci riflettuto tornò a sedersi.
“E tu Jaco continua a raccontarci cos'hai scoperto” chiese all'amico. Anche lui ebbe bisogno di un istante di contemplazione. Vinse la voglia di esibire le sue capacità investigative.
Di nuovo, con gesti che sembravano parte di una pantomima, il poliziotto tornò a prestare attenzione al suo blocco “C'è dell'altro, a quanto pare il giudice ha tenuto conto del fatto che questo Vegeta avesse dei precedenti” “Quali precedenti?” lo interruppe nuovamente Bulma. Jaco le riservò uno sguardo offeso, ma decise di proseguire, lesse gli appunti. “Quando aveva quindici anni ha picchiato uno dei suoi compagni di scuola. I genitori del ragazzo l'hanno denunciato, ma è riuscito ad evitare il riformatorio grazie al suo avvocato” girò la pagina del taccuino “Un paio d'anni fa invece è stato coinvolto in un'altra rissa, ma gli avvocati sono giunti ad un accordo e la persona offesa ha ritirato la querela”.
Tights si girò verso la sorella “Tu le sapevi tutte queste cose?” l'altra scosse il capo, “No, Vegeta è molto riservato” a volte fino all'estremo.
C'erano state poche occasioni nella quale le aveva raccontato qualcosa di sé. Tutto ciò che sapeva era che i genitori di Vegeta erano entrambi deceduti e la cosa più simile ad una figura paterna o a una sorta di fratello maggiore che avesse era Nappa. Il bar non era tecnicamente neanche suo, era ereditario ne era entrato in possesso alla morte del padre che lo aveva costruito dalle sue fondamenta.
Vegeta ne aveva venduto metà a Nappa, l'unico dipendente all'epoca, per dividere le spese che altrimenti non si sarebbe potuto permettere. Oltre al fatto che Vegeta non voleva farsi carico dell'intero locale perché non gli interessava. L'unico motivo per la quale continuava a sostenere il posto era l'appartamento nella quale abitava.
Era economico e comodo, se mai fosse stato costretto a cambiare casa forse avrebbe lasciato anche il bar.
Dei suoi problemi legali o dei guai che poteva aver avuto in passato non ne aveva mai fatto parola. Vegeta era sempre stato gentile con lei e a parte essere un gran brontolone a volte un po' brusco non aveva mai avuto nessuna sensazione che potesse essere violento o pericoloso. Anche sapendo che le risse nel bar erano all’ordine del giorno.
“Hai parlato di una sentenza” stava nel contempo chiedendo Tights, “Quando si avranno notizie?” Jaco sfogliò il blocchetto. Arrivò all'ultima pagina, “A dire il vero il giudice ha deliberato questa mattina” “Verrà rilasciato?” chiese Bulma con una flebile speranza.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio “Certo che no! Gli hanno dato quattro anni di reclusione. L’unica speranza che ha di uscire da lì è in appello” la speranza si sgretolò ai suoi piedi e la liceale ebbe l'impressione di poter perdere i sensi da un momento all'altro.
“Bulma” la chiamò la maggiore “Mi dispiace dovertelo dire, ma a questo punto non hai scelta. Abbiamo scoperto cos'è successo e mi sembra ovvio che non potrai parlare con lui tanto facilmente... ora devi dirlo a mamma e papà” le fece notare.
Aveva ragione, purtroppo. Se tutto ciò che aveva scoperto Jaco era vero, Bulma doveva prima affrontare i suoi genitori.


CONTINUA…

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Capitolo 15
*** Chiuso in gabbia ***


d
ENTER MY WORLD

Chiuso in gabbia

Di tutti le mansioni che potevano assegnargli quello che era toccato a lui era la pulizia dei bagni. Il lavoro più degradante che potesse pensare.
Poteva andarli peggio tuttavia, almeno aveva il turno mattutino, quando i bagni erano ancora relativamente accettabili. Le docce erano la cosa più faticosa da pulire, dopo che a turno ne avevano tutti fatto uso.
La peggior ipotesi era quella di dover svolgere l'ingrato compito a fine giornata, ma per fortuna quella non era una cosa che toccava a lui.
“Ehi, hai finito?” gli domandò la guardia che lo stava tenendo d'occhio, affacciandosi alla porta davanti alla quale sostava, squadrandolo con aria annoiata mentre passava il mocio sul pavimento.
Vegeta si fermò, appoggiandosi sullo scopettone per voltarsi a guardare l'uomo alle sue spalle. Neanche lui aveva molta voglia di stare lì, ma se per il guardiano era solo un'incombenza che gli era capitata quella giornata, il prigioniero sarebbe dovuto tornare lì anche l'indomani.
Senza dire una parola sistemò la ramazza sul carrello sulla quale erano adagiati tutti i prodotti dediti al compito che stava svolgendo. Spinse il vecchio carrello verso l'uscita del bagno dando così la sua risposta al secondino che lo lasciò passare.
Non era una prigione di massima sicurezza e durante l'ora di libertà i prigionieri erano abbastanza liberi di muoversi come volevano.
L'area relax, dove si trovavano televisioni e giochi da tavolo, era sempre piena di gente. Contrariamente al nome attribuito alla stanza era tutt'altro che rilassante, dispute e risse erano all'ordine del giorno. Spesso dovute a diverbi causati dal canale scelto da chi era arrivato prima al telecomando oppure ad imbrogli veri o presunti dovuti ai risultati delle partite dei suddetti giochi.
Per questa ragione molti dei carcerieri si trovavano a guardia di quella particolare stanza.
Accanto ad essa c'era la palestra, provvista di diverse attrezzature, pesi o quant'altro fosse necessario per chi voleva mantenersi in forza. Anche qui l'adrenalina scorreva veloce, ma ironicamente era meno propense a liti tra detenuti. La sicurezza era un po' più bassa rispetto all'area relax.
Vegeta passò poi davanti alla zona dei telefoni e per un attimo si soffermò a riflettere. Era incarcerato da poco meno di un mese e ogni volta che si trovava a passare davanti all'area telefonica il suo pensiero andava a Bulma.
Il suo arresto era stato così improvviso da non avergli dato il tempo di avvisarla. A questo punto lei doveva averlo scoperto e Vegeta si era spesso domandato come e cosa avesse pensato.
Avrebbe voluto chiamarla per avere sue notizie, ma c'erano rigide regole per l'utilizzo dei telefoni.
Ogni prigioniero aveva il diritto ad una sola telefonata giornaliera dalla massima durata di cinque minuti, a cominciare dal momento nella quale il ricevente decideva di accettare la chiamata. Allo scadere della quale la linea veniva brutalmente interrotta senza ulteriore preavviso. Inoltre non era possibile comporre un numero come di norma. I detenuti potevano scegliere da una lista per la quale avevano fatto specifica richiesta.
Non che fosse troppo complicato togliere o aggiungere nomi dalle persone che si volevano contattare, ma valeva la pena inserire il nominativo di Bulma nel suo elenco? Per quanto avrebbe voluto sentirla forse non era il caso di dare il contatto della sua ragazza minorenne senza una buona ragione.
Convintosi ancora una volta di non voler rischiare, Vegeta osservò la coda senza troppo pensare, notando tra gli altri anche il suo compagno di cella in attesa di parlare con qualcuno fuori da quelle mura.
Quando raggiunse il magazzino dentro la quale doveva riporre il carrello che portava, attese che la guardia aprisse il lucchetto.
Sotto l'occhio dell'agente di custodia si assicurò di ricollocare gli attrezzi utilizzati. L'uomo verificò che Vegeta non si appropriasse di nulla al suo interno, come da prassi. Una volta uscito dal magazzino il prigioniero appoggiò le mani al muro e, ancora una volta seguendo il manuale, attese di essere perquisito per ulteriori accertamenti.
Non aveva nulla di sospetto addosso e il carceriere gli diede il benestare tramite un cenno del capo “Puoi andare” gli disse, richiudendo il magazzino con una chiave. Vegeta si allontanò.

***

L'annuncio delle visite risuonava regolare ogni dieci minuti. Un totale di dieci nomi, tanti erano i posti disponibili, venivano chiamati per avvisare i rispettivi carcerati che qualcuno li stava aspettando dietro una vetrata.
Il suo nome non era uno di quelli annunciati e non se ne stupì o se ne preoccupò. A parte il suo avvocato, Nappa era l'unico che veniva a fargli visita e quando lo faceva era solo per tenerlo aggiornato sugli accadimenti del bar.
Vegeta entrò nell'area comune della prigione, quella nella quale erano situate le celle vere e proprie. Le prigioni erano poste su svariati piani in una grossa stanza a forma sferica.
Tutte erano rivolte verso il centro dove, al piano terreno, si trovavano alcuni tavoli per permettere di rimanere in zona a chiunque desiderasse. Questo era anche il luogo più sorvegliato ed i secondini seguivano ogni gesto dei carcerati come falchi.
La cella di Vegeta si trovava al terzo piano. Doveva salire alcuni gradini di metallo prima di raggiungerla.
Era una prigione come tutte le altre, due brandine di metallo ai lati opposti, un water e un lavandino erano posti nel mezzo per prime necessità quando le porte erano chiuse.
Accanto ai letti era situato un piccolo mobile composto da alcuni scaffali dove gli ospiti potevano sistemare i loro pochi averi. Molti prigionieri appendevano accanto ad esse foto o articoli che volevano avere sempre sott'occhio. Anche il compagno di cella di Vegeta ne aveva approfittato, mettendo in bella mostra i suoi cari sul muro accanto alla propria brandina.
Dopo aver lavato i bagni, Vegeta decise che voleva darsi una rinfrescata. Si avvicinò al piccolo lavabo e si sciacquò il viso.
Quando si sollevò si accorse di una grossa ombra proiettata all'interno della sua cella. Si voltò.
A coprire la porta della prigione si erano posti due grossi energumeni tanto grandi da coprire le sbatte che la richiudevano. Al centro tra essi un uomo più piccolo sbarrava l'uscita.
Tutti e tre erano in piedi a gambe larghe con le braccia incrociate dietro la schiena. Ghigni malvagi stampati sui loro visi e un'aria tutt'altro che amichevole.
“Quindi tu saresti Vegeta, il tizio che ha osato prendersela con il nostro amico Guldo” disse una voce, ma nessuno dei tre aveva parlato. Facendosi largo tra i suoi compagni, un quarto uomo entrò nella cella osservando Vegeta dall'alto al basso.
Dal canto suo, lui li fissò con indifferenza. Non aveva mai visto questo strano quartetto fino ad ora. “Chi siete?” domandò scettico.
L'uomo che apparve essere il capo si esibì in una strana danza “Noi siamo...” “... la squadra Ginew!” dissero gli altri tre in coro imitando alla perfezione il leader. Vegeta li fissò esterrefatto.
Indeciso se prenderli sul serio o se considerarli solo dei buffoni. Se erano amici di Guldo dovevano essere degli idioti, ma anche un idiota può diventare pericoloso.
Vegeta incrociò le braccia, “Cosa volete?” chiese con parsimonia. Il capo si schiarì la voce “Io sono Ginew” si presentò “E siamo qui per avvisarti” “Tsk” “Per quello che hai fatto a Guldo... ti consiglio di tenere gli occhi sempre bene aperti qui dentro” lo minacciò il capitano.
L'uomo si comportava in modo educato e gentile, ma il suo sguardo raccontava un'altra storia. Il suo istinto gli suggerì che questi erano degli idioti dalla quale era bene stare alla larga e se stavano minacciando non avevano paura di mettere in pratica le loro parole.
“Hai capito buffone? Se fai una mossa falsa sei finito!” urlò il più basso dei tre bodyguard. “Fa silenzio Jeeth” lo ammonì Ginew, suscitando l'ilarità degli altri due.
“Che succede qui?” tuonò la voce di un secondino che aveva notato la strana riunione che si era formata. “Ci dispiace agente, ma abbiamo appena scoperto che il nostro amico è finito dentro e volevamo solo fargli un salutino” rispose prontamente Ginew. Il guardiano scostò gli occhi verso Vegeta, in cerca di una qualche indicazione sul suo rapporto con il gruppetto. Tuttavia lo sguardo indicibile del carcerato non lo aiutò a comprendere la situazione. “Disperdetevi, non potete stare tutti qui” ordinò infine.
“Certo, ce ne andiamo subito” rispose affabile il leader, “Avete sentito? Jeeth, Butter, Rikoom” con quel comando Ginew cominciò ad avviarsi verso l'uscita della cella. Ad un passo dalla porta si fermò voltandosi alle sue spalle “Ci vediamo presto, Vegetuccio” gli disse. “A presto” gli fece eco l'uomo chiamato Jeeth, mentre uno degli altri due gli rivolse un nefasto sorriso. L'ultimo, dai capelli color carota, gli fece un cenno di saluto “Bye-Bye, Vegetuccio”.


CONTINUA…

Trivia time!
Nell’originale, la squadra Ginew ad eccezione di Guldo si rivolge a Vegeta chiamandolo Vegeta-chan.
Per quelle due persone che non lo sanno, chan è un suffisso onorifico che viene usato per donne e bambini. In genere quando è rivolto ad un uomo adulto è considerato offensivo e derisorio, come in questo caso.
Tuttavia se avessi usato l’originale Vegeta-chan per coerenza avrei dovuto usare tutti i suffissi anche per gli altri personaggi. Ho scelto di non farlo per non rendere la lettura troppo pesante. Così ho optato per Vegetuccio perché ho applicato lo stesso principio secondo la quale Zen-chan viene tradotto Zenuccio.


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Capitolo 16
*** Una storia da raccontare ***


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ENTER MY WORLD

Una storia da raccontare

La giornata non poteva iniziare peggio di così. Quando prese coscienza del mondo la prima sensazione che provò fu quella dell'ormai familiare nausea.
Se a ciò si aggiungeva il pesante bussare alla porta della sua camera da letto, le cose non facevano che peggiorare.
Sua madre entrò nella stanza con passetti leggeri e senza clemenza aprì le tapparelle alla finestra. Bulma nascose il capo sotto il cuscino, come una creatura della notte allergica al sole, quando la luce le illuminò il volto.
“È ora di alzarsi, Bulma” le disse civettuola la donna scostando le coperte per costringerla a destarsi. “Non mi sento molto bene” piagnucolò la ragazza.
Panchy non sembrò di umore molto caritatevole, nonostante ciò cercò di essere comprensiva. Si accomodò sul materasso accanto alla figlia e le poggiò una mano sulla spalla “Farai bene ad abituarti, le nausee andranno avanti almeno per il primo trimestre” l'avvertì.
Bulma sbirciò da sotto il guanciale ed osservò la madre per un lungo secondo.
L'inevitabile tragedia si era consumata un paio di giorni prima, quando era stata costretta a mettere mamma e papà a sedere per rivelare loro di aspettare un bambino. Era andata meglio del previsto.
I suoi genitori l'avevano presa incredibilmente bene e non giurarono vendetta né verso di lei né verso il futuro padre, anche quando erano venuti a conoscenza della sua età. Certo, non erano stati molto felice del fatto che Vegeta fosse finito dietro le sbarre e che, con ogni probabilità, ci sarebbe rimasto fino al quarto anno del figlio, o figlia che fosse. Menchemeno di apprendere che lui non era ancora stato avvertito.
Tuttavia, com'era nel carattere dei bizzarri genitori quali erano, avevano cercato di vedere le cose sotto una prospettiva positiva decidendo che la sola cosa da fare era prepararsi per l'evento che sarebbe giunto in quella casa.
Forse la persona che aveva preso questo punto di vista per il verso peggiore era proprio lei. Bulma si scoprì quasi delusa di non sentire nessuna ramanzina a riguardo. Ebbe più la sensazione che a loro non interessasse che la figlia ancora minorenne avrebbe presto dato loro un nipote.
Si trovò nella peculiare situazione di non riuscire a guardare in faccia i suoi genitori non per paura si averli fatti arrabbiare, ma con la paura di averli lasciati indifferenti.
“Mamma...” le chiese in un bisbiglio, “Perché tu e papà non siete arrabbiati?” sentì la necessità di chiederle. La donna sospirò e si poggiò un indice al mento, “Ne abbiamo parlato, non siamo arrabbiati, ma siamo un po' delusi” confessò “Sei una ragazza intelligente, ci aspettavamo un po' più di attenzione da parte tua”.
Stranamente questo le sollevò il morale. Era sempre meglio dell'indifferenza.
“Ora forza preparati, non vorrai perdere troppi giorni di scuola o rischi che ti tolgano la borsa di studio” le fece presente.
Questa nozione la mise sul chi vive. A fatica si mise seduta sul letto, una mano allo stomaco, cominciando a valutare quanto tempo le sarebbe servito prima di dover correre in bagno.
Panchy si alzò a sua volta “Oggi ti accompagnerà il papà” la ragazza si voltò a guardarla inarcando un sopracciglio, “Cosa? Perché?” domandò non troppo felice di questa nozione. La madre si afferrò il dorso di una mano, “Perché dobbiamo avvertire la scuola” la informò.
Non ci fu nemmeno bisogno di dire quando Bulma fosse poco entusiasta all'idea.

***

Nel messaggio che Lapis aveva scritto nella conversazione di gruppo aveva fatto sapere agli altri di aver visto Bulma entrare in presidenza con suo padre.
L'immediato campanello d'allarme suonò nella mente di tutti, che si era però limitato ad uno scambio di sguardi. Non c'era stato il tempo di fare commenti o di verbalizzare lo sgomento generale, poiché l'insegnante fece il suo ingresso appena pochi secondi prima.
Bulma si presentò con più di mezz'ora di ritardo e Whis non sembrò troppo sorpreso di vederla apparire a metà lezione. Al corrente del fatto che l'alunna si trovava dal preside non fece altro che invitarla con l'immancabile cordialità ad accomodarsi.
La ragazza prese posto e, con sorpresa di nessuno a questo punto, i suoi amici poterono notare che anche quella mattina aveva un aspetto pallido e stanco.
“Bulma, cos’è successo? Va tutto bene?” le chiese Yamcha, il più in apprensione di tutti. “Lapis ci ha detto che ti ha visto in presidenza” rincarò la dose Crilin, voltandosi per guardare l'amica seduta alle sue spalle.
Lei li guardò tutti e tre uno alla volta e con un groppo in gola si rese conto che presto si sarebbe vista costretta ad affrontare di nuovo l'argomento. Aveva appena speso minuti interminabile a spiegare alle autorità della scuola, incluso Lord Beerus, della sua situazione e di quello che era successo. Si era sentita nulla di meno di una prostituta che si era lasciata ingravidare dal primo che passava e ora avrebbe pagato a caro prezzo l'errore per il resto della sua vita.
L'idea di ricominciare quella spiegazione da capo per la quarta volta in pochi giorni non la mise di buon umore. Tuttavia loro erano i suoi amici e se non poteva contare su questo strambo gruppetto chi poteva aiutarla in futuro?
“Vi spiegherò tutto più tardi” bisbigliò. In un moto istintivo, i suoi occhi cercarono quelli di un pallido azzurro di Lazuli, l'unica che era a conoscenza di buona parte della storia e che, a differenza degli altri, non sarebbe caduta dalle nuvole quando l’avrebbe sentita.
“Sei sicura?” le stava chiedendo l'amico Crilin. Nel frattempo Lazuli annuì comprensiva, “Lascia perdere Crilin, ha detto che ce lo dirà dopo” tagliò corto lei. Il ragazzo la guardò e sembrò decidere di seguire il suo consiglio.
Al contrario, Yamcha non fu altrettanto facile da distrarre. Per un lungo momento continuò a guardarla aspettandosi quasi che prendesse fuoco. I suoi occhi scuri la studiarono cercando di comprendere quale fosse il suo segreto.
Bulma non si accorse di nulla, impegnata ad afferrare i suoi libri dallo zaino che aveva lasciato cadere al suolo.


***

Nonostante fosse ancora febbraio era una bella giornata e l'eterogeneo gruppo decise di andare al parco per ascoltare la storia che Bulma aveva da raccontare.
Com'era prevedibile le reazioni furono le più diverse. Lazuli ebbe solo conferme ai sospetti che già aveva, mentre suo fratello Lapis rispose con un semplice “Oh” piuttosto atonale.
Crilin era invece rimasto a bocca spalancata, forse non aveva capito bene perché quello che aveva appena sentito non gli parve vero. Yamcha si era invece rivelato il più silenzioso di tutti, restando in disparte.
“Ma come... come è successo? Come hai fatto a rimanere incinta?” le chiese Crilin quasi balbettando. Adagiato ad un albero, Lapis lo fissò con la sua solita espressione apatica “Prova a chiederlo alla tua ragazza” commentò. Per tutta risposta Lazuli scagliò in direzione del gemello un sassolino che aveva raccolto dal suolo. Lui lo evitò con destrezza, “Stavo solo scherzando” le rispose.
“Non intendevo quello!” si difese il ragazzo “Volevo solo dire... che per farlo ti serve... beh, lo sai...” “Quello che vuole dire Crilin è che ti serve qualcuno con la quale fare sesso” intervenne brusco Yamcha.
Bulma alzò i palmi delle mani al cielo “Beh, sorpresa” commentò sarcastica “Ho un ragazzo della quale non vi avevo detto nulla” gli ricordò. Yamcha assottigliò lo sguardo “Da quando?” lei ci pensò “Da circa cinque o sei mesi, se vuoi la verità” anche se quasi due lui li aveva passati dietro le sbarre non aveva nessuna importanza. “Avresti dovuto dircelo, siamo o non siamo i tuoi amici” le rinfacciò di nuovo lui.
Qual'era il suo problema? Perché si stava comportando in maniera tanto ostile?
Offesa incrociò le braccia ed aprì la bocca per replicare, ma l'altra ragazza ebbe la prontezza di riflessi di intercettarla “Cos'ha detto la scuola?” chiese prima che potessero essere dette cose della quale qualcuno si sarebbe potuto pentire.
Il trucco funzionò e Bulma si rivolse a lei, “Non dovrebbero esserci problemi. Quando la scuola finirà sarò solo al sesto mese e posso seguire le lezioni fino all’ultimo” spiegò loro. Ci pensò per un altro istante, poggiandosi una mano sulla pancia “Il bambino dovrebbe nascere a settembre, prima dell'università” aggiunse.
“E la tua borsa di studio?” domandò invece Lapis. “Il preside mi ha detto che ha l'obbligo di avvisare la facoltà, ma non crede ci saranno intoppi” riferì.
Crilin si alzò in piedi “In questo caso sarà nostro compito aiutarti come meglio possiamo, non è forse così ragazzi?” domandò guardando a turno i gemelli. Entrambi annuirono in silenzio, poi si rivolse all'altro ragazzo “Yamcha?” lo incitò con tono un po' incerto.
Lui sospirò “Ma certo” rispose accennando un sorriso che voleva essere d'incoraggiamento. Tuttavia dell'espressione gentile e solare che risiedeva sempre sul suo volto non era rimasta che un'ombra, lasciando spazio ad un'espressività fredda e un po' triste.


CONTINUA…

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Capitolo 17
*** Progetti ***


d
ENTER MY WORLD

Progetti

Ti rendi conto di aver passato troppo tempo in mezzo ad ubriaconi e poco di buono quando una rissa scatenatasi nel bel mezzo di una prigione ti lascia indifferente. Vegeta aveva visto così tante scazzottate nella sua vita, partecipando ad alcune di esse, da trovare noioso il parapiglia che i suoi compagni di disavventura avevano iniziato a pochi metri da lui.
Sebbene la sicurezza ci fosse in ogni angolo, era una prigione dopotutto non un campeggio, alcune schermaglie erano all'ordine del giorno. Qualcuno gli aveva detto, forse il suo compagno di cella, che essendo un istituto di detenzione per piccoli criminali azzuffate più impetuose accadevano di rado.
Guardando questi due idioti intenti in una disputa da femminucce, Vegeta si ritrovò a pensare che all'ultimo alla quale le aveva suonate, prima di Guldo, aveva rotto due costole a suon di pugni nonostante questi fosse due taglie più grande di lui. I buffoni del giorno non avrebbero avuto speranza contro il barista.
Come volevasi dimostrare la discussione fu sedata da un paio di guardie con anche troppa facilità.
Vegeta rimase in silenzio seduto in un angolo dell'area relax mentre i due bifolchi di turno venivano portati via dai secondini, tra i fischi degli altri detenuti. Non era chiaro se stessero contestando il fatto che lo spettacolo fosse già finito o che fosse stata un'esibizione piuttosto patetica, come se potessero ottenere il rimborso di un fantomatico biglietto.
A zittire l'intera sala ci pensò l'altoparlante, l'unica cosa che l'intera prigione ascoltava in religioso silenzio. L'annuncio delle visite era una sorta di spiraglio di luce nella quale tutti speravano una volta ogni tanto.
Sentire il proprio nome elencato nei fortunati che avevano la possibilità d'incontrare le persone care era una speranza che in fondo al cuore tutti provavano.
Vegeta non si aspettava mai molte visite e fu sorpreso che, una volta tanto, anche lui fu chiamato per l'appello.
Inarcando un sopracciglio si alzò dalla sua sedia trascinando i piedi verso la zona delle visite.
Come per ogni cosa in quel luogo c'era una procedura che andava rispettata con severità. All'ingresso di una sala un secondino verificava, tramite i numeri identificativi stampati sulle rispettive divise, se il carcerato che si era presentato apparteneva alla lista che era stata chiamata. A dieci persone alla volta era concesso entrare.
Una volta fatto ciò un collega si occupava di perquisire i detenuti per misure di sicurezza. Qui veniva indicato il numero da uno a dieci che era stato assegnato loro e che coincideva con uno sgabello e un tavolo nascosto dietro un vetro. Una volta seduti avevano dieci minuti di conversazione prima di essere costretti ad alzarsi, lasciando il posto al prossimo gruppo.
Le dieci postazioni erano coperte da divisori per consentire la privacy del prigioniero e del suo visitatore. Questo rendeva anche difficile sapere chi attendeva dall'altro lato della barricata fino a quando non si prendeva posto.
Nappa era la persona che lo aveva fatto chiamare e che l'osservava seduto sulla sedia sul lato opposto del tavolo. Tra loro una grossa vetrata con un foro al centro di esso per concedergli di parlare.
Vegeta si accomodò ed incrociò le braccia, non disse una parola aspettando che fosse l'altro a cominciare il discorso.
“Ho cominciato ad assumere del personale” lo informò il colosso, l'altro si limitò a prenderne atto sempre in silenzio. Avevano discusso di questo. Nappa non poteva gestire da solo il locale, era fisicamente impossibile, ma non poteva nemmeno permettersi di prolungare le ore di chiusura. Soprattutto ora che doveva pagare anche la quota di Vegeta. Erano arrivati all'accordo di cercare personale qualificato. Nessuno dei due era felice di questa scelta, ma le alternative erano pressoché inesistenti.
Nappa piantò sul vetro un paio di curriculum affinché il socio potesse vederli, “Questi sono i due che ho scelto” lo informò. Vegeta lesse le qualifiche di uno e dell'altro. A prima vista non avevano nulla che non andava, “Come ti pare” gli rispose... traducendolo era interpretabile come una sorta di benestare.
Il resto della conversazione fu incentrato nella sua interezza su questione finanziarie, sull'andamento del locale e sulle ultime novità che lo riguardavano.
I dieci minuti erano in procinto di terminare e Nappa cominciò ad alzarsi. Tuttavia un pensiero gli sfiorò la mente all'improvviso. Non poté capacitarsi del motivo per la quale ci pensò in quel momento, ma già che c'era... “Ehi Vegeta, la mocciosetta è venuta a trovarti?” gli domandò. Vegeta inarcò un sopracciglio, un po' confuso “Quale mocciosetta?” chiese di rimando “Quella che ti stavi portando a letto... e che hai messo incinta” “Cosa?!”.
Vegeta si sentì troppo confuso per domandarsi come Nappa avesse fatto a scoprire il suo segreto, dopotutto la seconda parte dell’affermazione era stata ancora più scioccante. Qualcuno doveva avergli dato una brutta botta in testa, perché d'un tratto si sentì piuttosto stordito.
“Non lo sapevi?” notò Nappa “L'ho vista più di un mese fa, chiedeva di te ed era parecchio agitata. Le ho detto dov’eri, ma se non si è più fatta vedere devo essermi sbagliato” concluse il gigante.
“Perché me lo stai dicendo solo ora?” lo rimproverò Vegeta, l'altro alzò le spalle “Non sono affari miei” gli fece notare. Di norma su questo punto si sarebbero trovati d'accordo, ma i pensieri del carcerato erano ancora così confusi da non sapere come reagire.
Un secondino gli diede un piccolo colpetto sulla spalla. Il suo turno era finito e l'orario delle visite per lui si era concluso.

***

“... Tights può portare via le cose dalla sua vecchia stanza” stava dicendo Panchy al marito, seduti attorno al tavolo imbandito per il pranzo. “Mi sembra la soluzione migliore, ormai non la usa più nessuno” convenne l'uomo. Dopotutto la figlia maggiore aveva lasciato il nido da qualche anno ormai e siccome avevano bisogno di fare spazio per una nuova vita era senza dubbio la soluzione migliore.
I coniugi si rivolsero alla figlia e futura madre, “Tu cosa ne pensi cara?” le domandò la donna.
Bulma sollevò lo sguardo dal suo cellulare, ignorando il cibo che si stava raffreddando nel suo piatto. “Cosa?” mormorò scendendo dalle nuvole. I suoi si scambiarono uno sguardo di rimprovero.
“Cara” l'apostrofò suo padre nel tono più affabile possibile, “Ci stiamo preoccupando del tuo bambino, sarebbe bene che prestassi un po' più d'attenzione” le fece notare. Nonostante l'intonazione amichevole c'era una sorta di rimprovero nel suo atteggiamento.
Bulma scostò lo sguardo da uno all'altra, “M... ma io stavo ascoltando” farfugliò non troppo convincente. “Quindi sei d'accordo su quello che abbiamo deciso per la culla?” chiese sua madre, “Ehm... s... ì?” rispose lei.
Il trillo del suo telefono non poté essere più propizio di così. Si alzò dalla sedia e lo afferrò, “È urgente, devo rispondere” disse sparendo prima che potessero dire una sola parola.
Aveva detto così, ma il numero che che segnalava il suo display non le era familiare. Si portò il cellulare all'orecchio “Pront...” una voce metallica l'avvisò che stava ricevendo una chiamata da una casa circondariale e che un detenuto stava cercando di mettersi in contatto con lei e di premere il tasto uno se desiderava accettare. Detenuto?
Non aveva mai pigiato un tasto con tanta foga in vita sua! “Veg...” “ È vero?” le disse appena entrarono in contatto. “Vero? Devi essere più chiaro di così, vero cosa?” cercò di chiedere colta alla sprovvista. Oggi sembrava essere la giornata.
“Sei incinta?” sentirgli fare questa domanda le fece quasi girare la testa. Ormai l'aveva scoperto tutto il mondo, ma lui era l'unica persona ancora all'oscuro. Bulma sospirò “ È vero” confermò.
Seguì un lungo silenzio. “Come hai fatto a scoprirlo?” chiese curiosa, “Non ha importanza” tagliò corto Vegeta, “Perché non me l'hai detto subito?” brontolò. Bulma non riuscì a capire se era arrabbiato, ma con lui questa era la norma.
“Sono minorenne” gli ricordò “Non mi fanno entrare senza un adulto e...” sbirciò oltre lo stipite della porta per assicurarsi che mamma e papà fossero distratti dalle loro conversazioni “... preferirei non portare i miei genitori” sussurrò.
Jaco aveva menzionato la possibilità che in appello Vegeta avrebbe avuto la possibilità di uscire con un largo anticipo. Di conseguenza Bulma si rifiutava di perdere le speranze. La prima volta che i suoi avrebbero incontrato il padre del suo bambino sarebbe stato alla sua scarcerazione, non divisi dalle sbarre di un carcere.
Vegeta ci pensò su “Ti richiamerò io” le disse. A questo punto aveva già aggiunto il suo numero alla lista, tanto valeva approfittarne. Oltre al fatto che ora aveva una buona ragione per chiamare.
L'idea che lui potesse telefonarla la riempì di gioia. Avrebbe voluto mettersi a danzare sul posto.
“Bulma... quanto tempo...?” mormorò Vegeta. Lei impiegò un istante per capire cosa stesse cercando di chiederle, ma infine comprese. Si sollevò la maglietta per guardarsi il ventre. Non c'era molto da vedere, un estraneo non se ne sarebbe neanche accorto. Tuttavia, laddove c'era sempre stata una pancia magra e piatta cominciava ad intravedersi una leggera circonferenza che però poteva essere attribuita ad un eccesso di dolciumi e all'ingordigia. “Ho appena iniziato l’ottava settimana” gli rispose.


CONTINUA…

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Capitolo 18
*** La ragazza dell'ultimo anno ***


d
ENTER MY WORLD

La ragazza dell'ultimo anno

Con l'arrivo della primavera gli studenti cominciarono ad indossare la divisa per l'apposita stagione. Diversamente da quella invernale non aveva una giacca e si componeva della sola camicia e della gonna o dei pantaloni.
Tirando fuori la sua dall'armadio, riposta al suo interno al termine dello scorso anno, Bulma la indossò. Riuscì ad allacciarla senza troppi problemi, ma con suo sommo disappunto si accorse che le stava un po' stretta. I bottoni stavano cominciando a tenere a faticare.
Un brivido di paura la percorse lungo la schiena. Sapeva che prima o poi il giorno sarebbe arrivato in cui avrebbe dovuto optare per la divisa più larga che la scuola le aveva fatto avere, ma in cuor suo sperava di poter rimandare l'inevitabile ancora per un po'.
Seppur fosse ormai venuta a patti col fatto che a settembre avrebbe dovuto partorire un bambino, non aveva ancora accettato l'idea che l'intera scuola ne venisse a conoscenza.
Le autorità scolastiche le avevano promesso massima riservatezza fino a quando sarebbe stato possibile, ma una donna in stato di gravidanza non è in grado di nasconderlo per sempre e prima o poi i segni sarebbero stati difficili da camuffare.
Bulma aveva quasi sperato, fino all'ultimo e forse tutt'ora, di riuscire a farla franca e di arrivare al mese di giugno senza che nessuno facesse caso al suo ingrossare.
Guardandosi allo specchio quella mattina si rese conto per la prima volta che il termine dell'anno scolastico era ben lontano e le dimensioni del suo ventre stavano crescendo giorno dopo giorno.
Questa rivelazione la mise di pessimo umore. Trascinando i piedi come se venisse portata al patibolo da un fantomatico boia si diresse verso la fermata dell'autobus.
Aveva dovuto dire addio alla sua fedele bicicletta quasi tre mesi prima, ormai. Il tragitto era diventato faticoso e stancante molto più del previsto. D'altra parte aver vomitato nel cortile di Vegeta, davanti al suo socio, aveva siglato la definitiva separazione dalla sua due-ruote che ora era legata nel piccolo giardino sul retro di casa.

***

Arrivata a scuola si guardò attorno osservando i suoi compagni nelle loro divise pulite. In un gesto impulsivo si sistemò la camicia sperando che nessuno notasse quei chili in più sul suo stomaco che non erano causati da un eccesso di cibo.
Bulma si guardò attorno in cerca di sguardi, come se si aspettasse di vedere dita accusatorie puntate contro di lei.
All'improvviso ogni persona che incontrava nel corridoio era diventata nemica ed ostile.
Qualcuno la stava guardando, si accorse, ma si domandò anche se stessero ipotizzando che fosse un po' ingrassata o se invece fossero a conoscenza della verità.
“Ciao” la salutò una voce familiare alle sue spalle. Bulma si girò e il volto cordiale ed amicale di Yamcha le diede più sicurezza, proprio quando sentì che stava per raschiare il fondo del baratro.
“Ciao!” ricambiò sentendosi tratta in salvo dal suo personale e momentaneo eroe “Non ti ho visto sull'autobus stamattina, pensavo non venissi” gli disse. Yamcha saliva alcune fermate dopo di lei, dei suoi amici era quello che abitava più vicino. “Ho... preso l'autobus prima” le rispose.
Bulma inarcò un sopracciglio “Questa è una novità, cos'è successo?” chiese scherzosa. Lui rise e si grattò la nuca “Ho sbagliato ad impostare la sveglia e mi sono alzato prima, quindi ho pensato che tanto valeva uscire presto” spiegò. “Davvero? E da quando sei così rigoroso?” scherzò di nuovo lei.
La risata di Yamcha si spense dal suo viso, ne rimase l'ombra di un sorriso. La guardò da capo a piedi ed i suoi occhi si soffermarono, seppur per un secondo, sul suo ventre “Ogni tanto capita anche a me” si prese in giro.
Bulma si accorse che, nonostante stesse scherzando e sorridendo, i suoi occhi raccontavano invece un'altra storia.
“Buongiorno” li salutò Crilin, accompagnato da uno sbadiglio. Crilin e i gemelli abitavano dalla parte opposta della città rispetto a Bulma e nonostante il ragazzo era quello che veniva da più lontano allungava di circa un quarto d'ora la strada ogni mattina pur di fare il tragitto con Lazuli.
“Ciao, pronti per l'interrogazione dell'ultima ora?” domandò Yamcha “Affatto” brontolò l'altro ragazzo. Lazuli alzò le spalle “Io ho studiato” si limitò ad osservare. Bulma incrociò le braccia “Naturalmente io sono preparata” “Bene, allora spero interroghi te” scherzò Yamcha.
“Ehi, dov'è tuo fratello?” domandò Bulma alla gemella, lei si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio “Non ha finito i compiti della prima ora” spiegò “Ha detto che avrebbe cercato qualcuno della sua classe da cui copiare” aggiunse Crilin.
Il gruppetto s'incamminò verso l'aula. Tra i suoi amici Bulma si dimenticò per un istante le preoccupazioni avute quella stessa mattina.
Tuttavia voltandosi per i corridoi le sembrò di notare qualche occhiata indiscreta nella sua direzione e per un'abitudine appena acquisita si sistemò la camicia nella speranza che non si vedesse nulla per il momento.


***

Mancavano cinque minuti alla fine dell'intervallo e Bulma pensò che era una buona idea andare in bagno prima dell'inizio delle lezioni.
Non voleva certo rischiare di correre all'ultimo momento, anche perché sarebbe stato uno sforzo spropositato per quel che la riguardava. Così decise di abbandonare i suoi amici pochi minuti prima assicurando loro che li avrebbe rivisti in classe prima del suono della campana.
Con passo spedito si diresse verso le toilette ed entrò. Fu felice di notare che non c'era nessuno, come previsto. Aveva di proposito scelto l'ala della scuola con il bagno meno utilizzato perché lontano dalla maggior parte delle classi. Di certo non voleva mettersi a fare la coda insieme a tante ragazzine indiscrete.
Durante le scorse settimane di nausee aveva imparato a sfruttare questo bagno per non incorrere in persone che avrebbero potuto vedere e aveva deciso di mantenere l'abitudine. Ora che ci pensava, le nausee si erano ormai quasi del tutto affievolite e almeno quel problema era superato.
Quando tornò ad alzarsi dal gabinetto ebbe un attimo di smarrimento e per un istante non se la sentì di muoversi.
I suoi occhi scorsero su tutte le scritte lasciate lì da generazioni di ragazzine che dichiaravano amore eterno alla cotta della settimana. Forse da qualche parte in quei bagni anche la sua mano aveva imbrattato le pareti scrivendo il suo nome insieme a quello di un ragazzo della quale non ricordava più il volto.
Oggigiorno sapeva il nome che avrebbe voluto incidere sulle mura per poterlo gridare al mondo.
Ripresa dalla leggera fatica cominciò ad aprire la porticina dello scompartimento, quando l'ingresso principale si spalancò.
Non seppe per quale ragione lo fece, ma prese la decisione di restare rintanata nel suo angolo nella speranza che le ragazze che stavano entrando avrebbero scelto altri gabinetti dandole la possibilità di sgattaiolare fuori. Oggi si sentiva ancora piuttosto suscettibile.
“... e poi se n'è andata via piangendo come una mocciosa. Avreste dovuto vedere che spettacolo” stava dicendo una ragazza alle sue amiche che risero in coro. “Certa gente dovrebbe vergognarsi a venire a scuola conciata in quel modo” le diede manforte la seconda “Infatti” concordò una terza.
Bulma sbirciò da uno spiraglio dietro la porta. Erano tre ragazze, non le conosceva per nome, sapeva che erano al terz... no, al quarto anno, quindi uno in meno di lei. Si erano fermate davanti agli specchi per rifarsi il trucco.
La prima, una bionda con la camicia forse un po' troppo sbottonata, si mise il rossetto. “Oh, sapete che cosa si dice in giro?” disse all'improvviso voltandosi verso le sue amiche. Le altre scossero il capo, pendendo dalle labbra della bionda, “Sembra che ci sia una ragazza dell'ultimo anno che s'è fatta mettere incinta” “Oh no!” pensò tra sé Bulma cercando di reprimere la voglia di urlare. Allora quegli sguardi non erano solo una sua impressione.
“Anch'io l'ho sentito!” confermò la seconda, una mora che portava i capelli legati in un'alta coda di cavallo, “Mi hanno detto che ancora non si sa chi sia, ma sospettano che sia della classe vicino alla presidenza” continuò a dire.
La terza che, i capelli li aveva corti, trattenne il fiato. “Non ci credo!” esclamò.
“Ma no” rispose la bionda “In quella classe sono tutte racchie, chi vuoi che se le porti a letto quelle?” risero tutte e tre. “Però di quella sezione sapete chi mi piacerebbe portare a letto? Quello carino, come si chiama ah... Lapis” confessò coda di cavallo, le altre due emisero versi d'approvazione. “Ha degli occhi così belli” continuò la bionda.
“Ah! Non ha una sorella? E se fosse lei?” esclamò taglio corto, “Lei cosa?” domandò la bionda, “Quella che è rimasta incinta” spiegò l'altra. Coda di cavallo fece una smorfia disgustata “No ti prego, lei non sta con il nanerottolo della sua sezione?” “Urgh, già... proprio non so cosa ci vede in quello là” le diede manforte la bionda.
Bulma dovette davvero sforzarsi per non uscire allo scoperto ed urlare loro che Crilin era un ragazzo d'oro e Lazuli era fortunata. Stava quasi per perdere la battaglia contro sé stessa, poi... avvenne.
“E la sua amica allora? Quella della borsa di studio?” Bulma ebbe un gemito di paura ascoltando le parole di taglio corto. Le altre due ci pensarono “Non lo so, quella ha troppo il naso incollato sui libri per sbattersi qualcuno” commentò la bionda.
“Ah... è così?” pensò la diretta interessata.
“Però è carina almeno” disse coda di cavallo “È vero” le concesse la bionda “Ma ultimamente deve aver studiato troppo perché è parecchio sciupata”. “Come sarebbe?! Soltanto carina?” si ritrovò a riflettere Bulma.
Forse era un po' sciupata, ma dopotutto per quello aveva una valida scusa, ma ci teneva comunque a precisare che non era soltanto carina.
Se non altro le tre ochette avevano il cervello troppo offuscato per fare il collegamento più ovvio. Di questo Bulma ne fu grata.
“L'ho notato anch'io, ha decisamente messo su qualche chilo” confermò capelli corti “Già” risero le sue amiche. “Ad ogni modo, quella non ce l'ha mica un ragazzo” le fece notare la bionda. “Che mi dici di quel tizio che le muore dietro?” chiese coda di cavallo, la bionda rise “Ti prego, quello sfigato? Secondo me manco se lo trova”. Un'altra risata generale.
La campanella suonò. L'intervallo era finito e le tre ragazze raccolsero i loro trucchi e si avviarono verso l'uscita del bagno. “Che mi dici di quella che si è fatta sospendere il mese scorso? Sta con il rag...” le loro voci si affievolirono quando la porta si richiuse alle loro spalle.
Bulma, di nuovo sola, poggiò la testa alla parete dello scompartimento e sospirò. In seguito chinò lo sguardo verso la sua pancia. Toccò i bottoni che a fatica facevano il loro lavoro. I due lembi della camicia si sovrapponevano appena.
Era solo questione di tempo, si rese conto, prima che l'intera scuola scoprisse chi era la ragazza dell'ultimo anno.


CONTINUA…

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Capitolo 19
*** I volti degli sconosciuti ***


d
ENTER MY WORLD

I volti degli sconosciuti

L'episodio con le tre ragazzine, alcune settimane prima, era stato solo l'inizio. La voce di corridoio, per definizione, si sparse a macchia d'olio in tutta la scuola e prima che potesse rendersene conto era ormai di dominio pubblico.
Il pettegolezzo sulla misteriosa ragazza dell'ultimo anno che era stata ingravidata aveva suscitato una specie di gioco d'azzardo. Tutte le ragazze della sua età si sentivano analizzate da occhi indiscreti mentre tutti cercavano d'individuare l'identità della misteriosa studentessa.
Non fu difficile quindi notare che il giro vita di Bulma stava ingrossando in maniera esponenziale. Sebbene fosse ancora in grado di indossare la camicetta standard della divisa, non sarebbe durata.
La soluzione dell'arcano divenne ben presto evidente.
Salendo sull'autobus, al ritorno verso casa, Bulma notò gli sguardi dei suoi compagni di scuola e questa volta non erano una sua impressione. Seduti sui sedili del pullman la guardarono passare bisbigliando al vicino di posto.
La situazione era andata ben oltre le semplici mura scolastiche. Ad occupare il mezzo pubblico c'era anche gente comune che saliva diretta verso misteriose destinazioni.
Alcune di queste persone la vedevano tutti i giorni e, come i ragazzi della sua età, si erano resi conto che Bulma stava cominciando ad esibire caratteristiche tipiche delle donne in dolce attesa.
Persino gente che non aveva mai visto in vita sua si voltò per guardare questa ragazzina con la divisa del liceo in evidente gravidanza.
Dopo aver strisciato l'abbonamento sulla macchinetta, per il controllo dei biglietti, cercò un posto. Yamcha la imitò seguendola di pochi passi.
L'unico sedile disponibile era uno singolo e l'amico la invitò ad accomodarsi. Bulma gli fu grata, almeno lui non la metteva a disagio e la sua presenza le fu di conforto.
Dopo essersi messa a sedere i suoi occhi si scostarono sugli altri passeggeri, notando in quanti la stessero osservando più o meno discretamente.
“Yamcha, ti conviene andare da un'altra parte o potrebbero farsi le idee sbagliate” lui la fissò confuso per un secondo. Dopo aver compreso la preoccupazione dell'amica si guardò attorno accorgendosi anch'egli di occhiate sfuggevoli che fingevano indifferenza. Le sorrise con quegli occhi ancora così distanti, “Non ha importanza” la rassicurò.
Il tragitto fu lungo quanto breve. Le diede l'impressione di non terminare mai sentendosi a disagio, ma la fermata di Yamcha, che quindi fu costretto a scendere, arrivò troppo presto lasciandola da sola.
Osservando dal finestrino si accorse del riflesso che veniva riverberato su di esso. C'erano un paio di anziane donne sedute sui sedili dalla parte opposta del piccolo corridoio. Una delle due, quella più vicina a lei, la guardò con attenzione. Bulma capì cosa stava guardando perché i suoi occhi erano puntati direttamente al suo ventre.
La donna si avvicinò all'amica e bisbigliò qualcosa all'orecchio. La seconda anziana si scorse per vedere quello che le veniva indicato. Scosse il capo con disapprovazione e cominciò a confabulare con l'altra.
Dietro le due un gruppo di quattro o cinque ragazzi di qualche anno più giovani di lei, tutti con la divisa della sua scuola, furono meno discreti. Alcuni di loro si esibirono in gesti volgari con l'esplicito intento di paragonarla ad una sgualdrina.
Fortuna volle che la maggior parte di loro scese alla fermata successiva e Bulma fu lasciata sola con i suoi pensieri.
Estrasse il cellulare dalla tasca e lo guardò quasi nella speranza che Vegeta potesse chiamarla. Lui era stato di parola e quando ne aveva l'opportunità cercava di telefonare, ma non era in grado di farlo tutti i giorni.
Si sentì afflitta e sola sentendo il desiderio di averlo al suo fianco.
Negli ultimi tempi aveva sviluppato l'abitudine di aprire la galleria di fotografie per sfogliare quelle scattate in quei momenti in cui erano insieme. Le sue preferite erano senza dubbio quelle del giorno in cui erano andati a fare una gita in moto. Quel pomeriggio le sembrò così lontano, erano già passati più di quattro mesi da allora.
Quando le aveva mostrate a sua sorella, Tights aveva scherzato chiedendole se Vegeta sorridesse mai. Bulma aveva risposto che era una di quelle cose più uniche che rare.
Alzando lo sguardo si accorse che la prossima sarebbe stata la sua fermata, ma il suo istinto le disse di non muoversi. Non aveva ancora voglia di tornare a casa.

***

Non si ricordava quanta strada ci fosse dalla fermata dell'autobus fino alla prigione. Le cose erano due, o la volta scorsa era così disperata da non essersi resa conto di quanta fatica aveva fatto, oppure i chili in più del bambino stavano già cominciando a farsi sentire.
Bulma arrivò alla sala d'aspetto senza fiato e subito si accorse di quanta coda c'era davanti allo sportello per prenotare una visita. Non aveva pensato a questo e il suo cuore sprofondò trascinato giù da un invisibile peso.
Dopo quella camminata infinita l'ultima cosa che voleva era restare in piedi ad aspettare per chissà quanto tempo. Decise che aveva la necessità di sedersi per un momento e così fece.
Riprendendo fiato la parte più razionale della sua mente le fece notare che aveva appena fatto una grossa stupidaggine. Cosa ci faceva lì? La situazione non era certo cambiata dall'ultima volta che era venuta. Non era diventata maggiorenne di punto in bianco, agosto era ancora lontano. Anche volendo non sarebbe potuta entrare.
“Che idiota che sono” si disse rendendosi conto che ora era bloccata lì. Lei e Vegeta avevano concordato che era meglio non coinvolgere troppo i suoi genitori, quindi non poteva chiamarli, anche perché loro non sapevano in quale penitenziario era recluso. Tights non aveva la macchina e abitava dalla parte opposta della città e nessuno dei suoi amici, nemmeno Yamcha il primo ad aver compiuto diciotto anni, aveva la patente.
Sospirò, beh... tra poco avrebbe dovuto iniziare a ripercorrere la strada all'inverso. Aveva solo bisogno di cinque minuti per riposare... anzi, meglio dieci o più probabile una mezz'oretta... almeno.
Un ragazzino si avvicinò alla sua sedia, occupando quella accanto a lei. Bulma lo guardò con attenzione, sembrava quasi un bambino, ma indossava la felpa appartenente alla squadra di arti marziali di un liceo pubblico. Sotto lo stemma era ricamata la scritta terzo anno.
Se quella maglia apparteneva a lui e non a qualcun altro doveva avere intorno ai quindici anni. E considerato che gli calzava a pennello non poteva essere diversamente.
Bulma pensò ai ragazzi sull'autobus ed ebbe un brivido.
“Ehilà!” le disse accorgendosi che lei lo stava fissando. Le sorrise con un'espressione gioviale ed amichevole e lei tirò un sospiro di sollievo comprendendo che non era come loro. “Ciao” gli rispose.
Lui aprì una confezione di patatine che doveva aver recuperato dalle macchinette dalla parte opposta del corridoio. Le offrì il pacchetto “Ne vuoi una?” le domandò. Bulma si accorse di avere un po' di fame, ma forse non era davvero suo il desiderio di cibo. “Ti ringrazio” acconsentì infilando la mano nel pacchetto.
“Io mi chiamo Goku” si presentò “Bulma” fece altrettanto lei, “Stai aspettando anche tu qualcuno?” volle sapere cominciando a mangiucchiare le sue patatine. “Beh...” farfugliò la ragazza “In un certo senso” “Io sono qui per vedere mio fratello, tu?”.
C'era qualcosa di particolare in questo ragazzino dall'aria ingenua. Era gentile e sembrava avere una naturale fascino. Ebbe la sensazione di conoscerlo da tutta una vita, anziché da nemmeno cinque minuti.
Per la prima volta da chissà quanto tempo si sentì invogliata a parlare con uno sconosciuto, “Il mio ragazzo... o almeno, mi piacerebbe” confessò chinando il capo, “Non credo che mi faranno entrare” aggiunse. Lui le mostrò il pacchetto di patatine, invitandola a prenderne ancora “Perché no?”. Bulma guardò il sacchettino e sebbene non avesse proprio voglia di cibo, il bambino dentro di lei sembrava essere di tutt'altra opinione costringendola ad accettare l'invito, “Sono minorenne e non posso entrare senza un adulto” “Oh” rispose lui.
“Kakaroth vedi di sbrigarti, tra poco tocca a noi!” urlò un uomo nella fila davanti al bancone. “Arrivo!” replicò il nuovo amico di Bulma, “Pensavo ti chiamassi Goku” notò lei. Il ragazzo si grattò la nuca “È il mio secondo nome e mi piace di più, solo la mia famiglia mi chiama Kakaroth” affermò alzandosi. Le lasciò il pacchetto di patatine e fece due passi verso la coda.
Si fermò e tornò indietro “Ehi, forse posso chiedere ai miei se possono aiutarti” suggerì “Cosa? E come?” domandò lei. Goku le sorrise a trentadue denti, in un'espressione della quale si era già affezionata in quel breve lasso di tempo.
Si allontanò di nuovo raggiungendo l'uomo che lo aveva chiamato e che, a giudicare dalla somiglianza, doveva essere il padre. Bulma si accorse che la stava indicando e la conversazione durò per pochi minuti.
Goku tornò verso di lei “Vieni, mio padre ha accettato di accompagnarti dentro se vuoi” “Davvero?” esclamò Bulma. La risposta fu di nuovo quel sorriso.
Seguito il nuovo amico, dopo essersi alzata e aver fatto in modo che la camicia nascondesse tutto il più possibile, si ritrovò a cospetto con il padre di Goku. L'uomo la guardò dall'alto al basso con aria severa, ma nei suoi occhi non c'era nessuna malevolenza “Ti conviene avere i tuoi documenti pronti per quando sarà il nostro turno” l'accolse. C'era una certa rigorosità nel suo modo di fare, ma sembrava essere anche gentile al tempo stesso. In un certo senso le ricordò Vegeta.
Al fianco dell'uomo una donna minuta gli diede una leggera gomitata di rimprovero “Non farci caso” le disse “Io mi chiamo Gine e lui è mio marito Bardack”.
“Vi ringrazio per l'aiuto, ma non vorrei esservi di disturbo” disse loro dopo essersi presentata. La donna sorrise “Nessun disturbo, ma noi saremo i prossimi, quindi ti conviene tirare fuori la tua carta d'identità” le fece notare.
Bulma li guardò tutti a turno. Goku e il suo sorriso gioviale, Gine con la sua aria gentile e Bardack con un comportamento burbero e familiare. Nessuno dei tre la stava giudicando e la ragazza si domandò quanto avessero notato.
La loro cortesia la convinse e nel recuperare il documento dal portafoglio lasciato nel suo zaino un primo istinto di maternità la costrinse a posarsi una mano sul grembo.


CONTINUA…

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Capitolo 20
*** Un gesto parla da sé ***


d
ENTER MY WORLD

Un gesto parla da sé

Bulma non era mai stata così emozionata in vita sua. Si sentì come una bambina nel mondo dei giocattoli e non riusciva a stare ferma. Le sue dita si strinsero sulla collanina attorno al suo collo con la quale stava giocando.
Quando vide un movimento dall'altro lato della vetrata trattenne il fiato. Tuttavia l'uomo che intravide non si fermò davanti alla sua postazione continuando a camminare. Distratta per quel breve istante non si rese subito conto che qualcuno si era invece fermato davanti a lei.
Si voltò giusto in tempo per vedere l'uomo prendere posto e ad ammirare l'espressione mutare quando si accorse chi era la persona che aveva deciso di andarlo a trovare.
La ragazza vide le sue labbra formare le lettere del proprio nome in un sussurro che non fu in grado di sentire. “Ciao Vegeta” lo salutò con entusiasmo. Lui sembrò ancora un po' confuso.
Gli occhi neri si scostarono sull'uomo in piedi dietro di lei che si teneva in disparte cercando di essere discreto e di rispettare la privacy della giovane che aveva appena accompagnato.
Vegeta tornò a guardare lei “Mi ha aiutato ad entrare” gli spiegò avendo compreso la sua incertezza. Dopotutto sarebbe potuto essere suo padre, se non fosse per il fatto che il signor Bardack doveva essere attorno ai quarant'anni, e quindi troppo giovane.
Chiarito il mistero i due amanti si guardarono negli occhi, studiando i reciproci cambiamenti avvenuti negli ultimi quattro mesi.
Bulma si accorse che lui le sembrava un po' malconcio, l'aria stanca e un po' smagrita, ma tutto sommato stava bene. A parte forse un accenno di occhiaie.
Dal canto suo Vegeta si rese conto di quanto lei fosse diversa. Era più grande e più matura in un certo senso. Aveva sempre avuto un atteggiamento più adulto rispetto ai suoi anni, ma ora lo dimostrava anche il suo viso.
Non c'era nulla di particolare alla quale poteva attribuire questa metamorfosi, forse era un'insieme di cose o forse non la guardava in faccia da così tanto tempo che aveva dimenticato i dettagli del suo volto. No, non era per quello, se c'era una cosa che non avrebbe mai scordato erano i suoi lineamenti che vedeva con nella mente ogni volta che provava a chiudere gli occhi.
In realtà la differenza era che aveva un aspetto più femminile e più da donna, avendo perso alcune caratteristiche infantili che aveva quando si erano conosciuti.
Se proprio fosse stato costretto a puntare il dito su qualcosa in particolare avrebbe scelto i suoi occhi. All'interno di quel limpido blu sembrava esserci una luce nuova e diversa.
Vegeta si rese conto che anche le sue gestualità erano cambiate. Era solita muoversi molto quando parlava, lasciando intravedere la sua personalità energica e piena di vita. Ora i suoi gesti erano pochi, lenti e cauti.
Si rese conto solo allora che una delle sue mani non si era mai mossa avendola appoggiata sul ventre senza scostarla da lì.
Osservando le sue dita si accorse anche della piega della sua camicetta e del fatto che avesse messo su diversi chili. Tuttavia la sua coscienza fu subito allertata quando si rese conto che quello era il suo bambino.
Ci aveva pensato spesso da quando Nappa se lo era lasciato sfuggire e si era sempre domandato come stesse Bulma e quali erano le sue condizioni. L'aveva immaginata spesso col pancione o addirittura con un figlio tra le braccia, ma vederla di persona era un'altra cosa.
Nonostante avesse ormai accettato l'idea che in un futuro non troppo lontano sarebbe diventato papà, c'era molta differenza tra quello che fluttua nel proprio immaginario e l'ineluttabile certezza che si presentava ai suoi occhi. Dopotutto poteva svegliarsi un giorno accorgendosi che era stato tutto frutto della sua immaginazione.
Che non stava per diventare padre, che erano sempre stati attenti, che non aveva una ragazza minorenne o addirittura di non aver mai sentito parlare di nessuno chiamato Bulma.
Vegeta ebbe bisogno di un secondo per riorganizzare l'ordine dei suoi pensieri e tornare con i piedi per terra.
“Non sei felice di vedermi?” gli chiese lei, “Hn” brontolò lui, incrociando le braccia, e Bulma sentì una sensazione di nostalgia.
Le era mancato da morire.
“Piuttosto, dimmi” cambiò argomento la giovane “Hai parlato col tuo avvocato per quanto riguarda l’appello?”. Vegeta ci pensò per un istante “Sì, sta cercando di fissare un’udienza entro la fine dell’anno” la informò.
La speranza tornò ad illuminare il volto della giovane. Erano ancora parecchi mesi, ma era sempre meglio di saperlo lì dentro per quattro anni. “Pensi che ti faranno uscire?” volle sapere.
Da quel che gli aveva spiegato il legale, se Vegeta fosse riuscito a convincere il giudice che non sarebbe più successo o che sarebbe cambiato c’era una buona probabilità.
Il carcerato guardò la ragazza attraverso il vetro dibattendo con sé stesso. Un figlio in arrivo era decisamente un motivo valido per concedergli i domiciliari, se non altro. Ma Vegeta dubitò che l’informazione sarebbe stata molto d’aiuto se il giudice avesse saputo che la madre del bambino era una minore, sebbene il compleanno di Bulma sarebbe arrivato prima di una fantomatica udienza.

***

Tutta l'emozione che aveva provato quando era entrata svanì nell'istante in cui le dissero che i minuti a sua disposizione erano terminati.
Se all'ingresso sarebbe stata in grado di volare, più come un palloncino che come un uccello, all'uscita l'umore le era tornato sotto le scarpe. Forse non avrebbe più avuto un'altra opportunità di rivederlo fino ad agosto o fino alla nascita del bambino e questo le fece vedere il mondo tramite una coltre grigia.
All'uscita Goku e sua madre li stavano attendendo.
“Sei riuscita a vedere il tuo ragazzo?” le chiese il giovane, una volta raggiunti, il cui viso era illuminato da un sorriso che servì a dissipare almeno in parte quelle nuvole, “Sì, ti ringrazio” gli rispose.
“Come sta Radish?” chiese Bardack rivolgendosi alla moglie. Gine annuì “L'ho visto bene, anche se è un po' dimagrito” lo aggiornò, “Gli hanno dato un nuovo compagno di cella” aggiunse Kakaroth.
Bulma si ricordò che Goku aveva parlato del fratello e un senso di colpa cominciò a stringersi alla sua gola. “Le chiedo scusa, signor Bardack, per colpa mia non è riuscito ad incontrare suo figlio”. L'uomo la guardò “Posso venire un altro giorno” la rassicurò.
Guardando il resto della famigliola, la ragazza si sentì un po' un'intrusa. Non conosceva queste persone e non voleva abusare della loro cortesia. “Ad ogni modo la ringrazio per l'aiuto. Spero di incontrarvi di nuovo” li salutò in congedo.
Fece solo mezzo passo verso l'ingresso dell'edificio, quando Gine la fermò “Aspetta! C'è qualcuno che può venire a prenderti?” le domandò. Bulma la guardò “Prenderò l'autobus” le rispose cercando di suonare incoraggiante. Nonostante ciò dietro di sé l'idea di rifare tutta quella strada le fece venire da vomitare.
“Stai scherzando?” esclamò la donna “La fermata è lontana, una ragazza nelle tue condizioni non dovrebbe fare sforzi inutili” Bulma sgranò gli occhi “Cos... come l'avete capito?” proruppe.
Gine le mostrò un'espressione comprensiva “Lo so che stai ancora cercando di nasconderlo, ma il modo in cui ti muovi lo rende evidente” le fece notare additando una delle sue mani. Solo in quel momento la giovane si accorse di averla poggiata sulla schiena a sostegno del peso che portava sulla pancia in un gesto tipico delle donne in stato interessante.
Guardando gli occhi scuri di Bardack si accorse che anche lui concordava con la moglie, ma nessuno dei due la stava giudicando. Ebbe un moto di simpatia per queste persone che la aiutarono a cancellare l'immagine dei passeggeri sull'autobus.
“Non ho capito... quali condizioni?” domandò Goku che al contrario non sembrava essersi reso conto di nulla. A quell'affermazione suo padre alzò gli occhi al cielo, “La tua amica aspetta un bambino, Kakaroth” gli fece notare a denti stretti il genitore. “Davvero?” esclamò rivolto ora a lei. Bulma annuì “Sì” ammise, per la prima volta quasi con leggerezza. “Oh” mormorò il ragazzo.
Bardack scosse il capo “Andiamo ragazzina, ti accompagnano noi” le disse facendo strada verso l'ingresso principale. “Ma... io non...” provò a protestare Bulma, “Stai tranquilla, non ci sono problemi” la rassicurò Gine.


***

Durante il tragitto Bardack seguì le indicazioni del navigatore per raggiungere l'abitazione di Bulma.
Non le era mai capitato di trovare così tanta confidenza con dei perfetti sconosciuti. Queste persone erano state gentili con lei fin dall'inizio e dopo settimane di disagi a scuola questa era davvero una ventata d'aria fresca.
Si ritrovò a rivelare qualcosa di sé e per la prima volta finì per confidare loro dettagli della sua relazione con Vegeta. Per quanto piccoli erano dettagli che non si era mai sentita di dire a familiari e amici, soprattutto a causa del burrascoso modo in cui il segreto era stato scoperto.
Raccontò delle gite in moto e del fatto che sgattaiolasse a casa sua al termine delle lezioni.
Quando le chiesero cos'aveva fatto per essere finito in prigione, Bulma non ebbe nessun problema a spiegarlo. Questo era qualcosa che, a parte Tights e Jaco, tutti gli altri conoscevano in una storia breve e limitata per non far sembrare Vegeta troppo cattivo. Anche perché lei sapeva che non era una cattiva persona.
“Wow... il tuo ragazzo sembra forte” commentò Goku alla termine del resoconto “E tuo fratello perché è in carcere?” gli chiese. “Furto aggravato” le rispose lui “Starà dentro per due anni, ma ne ha già scontato uno” aggiunse la madre “Quell'idiota” commentò invece il padre.
Per un attimo scese il silenzio, “Io volevo ringraziarvi di nuovo” lo ruppe Bulma “Di recente le gente tende a guardarmi storto... vista la mia situazione”. Tramite lo specchietto retrovisore, si accorse che moglie e marito si scambiarono uno sguardo d'intesa.
“So cosa vuoi dire” confessò Gine “Ti fissano tutti come se conoscessero la tua situazione e pensano che tu sia una poco di buono” Bulma restò a bocca spalancata, “Sì, ma come...?”. La donna si voltò per guardarla negli occhi tramite lo spazio tra i due sedili anteriori dell'auto “Io e Bardack avevamo all'incirca la tua età quando abbiamo avuto Radish” “Dice sul serio?” domandò esterrefatta, “Già” confermò Bardack.
Ora che ci pensava, i due coniugi non avevano molto più di quarant'anni e se il figlio maggiore era rinchiuso in una prigione, e non in un riformatorio per minorenni, doveva avere almeno diciotto anni. Se anche fosse stato un ragazzino rinchiuso poco dopo la maggiore età, i suoi genitori dovevano essere comunque giovani quando era nato, ma non aveva immaginato così tanto giovani.
Il navigatore segnalò l'arrivo e l'autista trovò uno spiazzo accanto alla casa per consentire alla ragazza di scendere.
Bulma esitò per un secondo prima di aprire la portiera. Quando scese, Goku si sporse verso di lei “Ehi Bulma, un giorno dovrai farmi conoscere il tuo ragazzo. Sembra un tipo in gamba” lei sorrise “D'accordo e tu mi farai conoscere tuo fratello” concordò.
La giovane chiuse la porta e cominciò ad incamminarsi verso casa. “Aspetta un secondo” la fermò Gine. Bulma si voltò ad osservarla, mentre la donna afferrò un pezzo di carta dalla propria borsa e cominciò a scrivere.
Una volta terminato glielo porse e Bulma lo lesse dopo averlo afferrato, erano il nome e il numero di telefono della donna. “A volte è più facile parlare con un estraneo che con qualcuno che si conosce” le disse “Non esitare se dovessi sentirne il bisogno” si raccomandò. Bulma guardò il pezzo di carta “Grazie” rispose.
Dopo saluti e convenevoli la macchina ripartì lasciandola da sola. L'ultima cosa che vide di loro fu la mano di Goku sventolare in un cenno di saluto prima che la macchina si trasformasse in una delle tante sulla strada.
Osservò il bigliettino nelle sue mani. Erano gentili certo, ma non voleva certo abusare della loro cordialità sentendo di averlo già fatto fin troppo.
Non voleva certo essere scortese, tuttavia preferì non accettare l'offerta. Senza pensarci infilò il pezzo di carta nella tasca dello zaino dove nascondeva carte e cartacce che avrebbe dovuto buttare e oggetti più piccoli.
Se la sarebbe cavata con le sue forze, grazie alle persone che aveva attorno e che ancora non l'avevano abbandonata.


CONTINUA…

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Capitolo 21
*** Forza bruta ***


d
ENTER MY WORLD

Forza bruta

Vegeta era terribilmente seccato.
All'inizio del turno, quella mattina, aveva trovato i bagni allagati a causa di una tubatura intasata, che avevano visto costretto il secondino ad allontanarsi per farne rapporto. Per pulire l'intera stanza, Vegeta impiegò quindi più tempo del previsto.
Quando udì le prime voci provenire dal corridoio capì che era iniziata l'ora di libertà. Guardò il pavimento, ancora mezzo bagnato e comprese ben presto che lui l'avrebbe passata a ramazzare.
Il pensiero lo fece arrabbiare ancora di più, avrebbe voluto fare una telefonata, ma di questo passo non ne aveva nessuna possibilità.
Udì la porta aprirsi, “Questo bagno è inaccessibile. Usatene un altro” disse a chiunque era appena entrato. “Perché, non hai ancora finito?” gli domandò una voce familiare.
Vegeta sollevò lo sguardo “Non hai sentito quello che ti ho detto, Radish?” ringhiò infastidito. L'altro lo fissò, le mani infilate nelle tasche della divisa. Per un momento osservò il pavimento allagato “Cos'è successo?” chiese curioso al compagno di cella.
“Fatti gli affari tuoi e sparisci” sbottò l'altro. Radish parve offeso per un istante, “Tsk, come ti pare” rispose girando i tacchi ed uscendo.
L'altro bagno era sull'altro versante dell'edificio, per arrivarci doveva attraversare la prigione.
Arrivando dalla direzione opposta, Radish notò quattro persone camminare verso la stanza dalla quale era venuto. Sui loro volti erano dipinti ghigni malevoli.
Quando gli passarono accanto ebbe una strana sensazione. Quei brutti ceffi erano pericolosi. Svoltato l'angolo Radish si appostò, sbirciando i gesti del quartetto.
Si fermarono davanti alla porta e confabularono tra loro, in seguito entrarono nel bagno.

***

“Ti ho det...” Vegeta si fermò quando, sollevando il capo dal pavimento, si accorse che non era Radish la persona che era appena sopraggiunta.
Ginew e i suoi amici lo fissarono con espressioni maligne e come un fulmine a ciel sereno Vegeta fece quadrare i conti nella sua mente.
Non era un caso che le tubature si erano intasate, perché qualcuno le aveva intasate. Qualcuno che aveva intenzione di tenerlo lì a pulire ben dopo l'inizio dell'ora libera, sapendo quindi dove trovarlo e di trovarlo da solo.
Era una trappola!
Vegeta sollevò il busto e strinse la scopa che stava utilizzando. “Cosa volete?” domandò cauto. Ginew rise, seguito a ruota dagli altri tre, “Sembri teso, Vegetuccio” gli rispose.
Lui si limitò a fissarli. Aveva visto e partecipato a troppe risse da bar in vita sua per non riconoscere il clima che precedeva una scazzottata. L'atmosfera pesante e i muscoli del corpo che si tendevano pronti ad entrare in azione. Ma se questo era quello che cercavano, questi idioti avevano trovato il barista sbagliato.
C'era un problema in questa situazione. Questa era una squadra affiatata che si spalleggiava reciprocamente conoscendo punti di forza e di debolezza gli uni degli altri e soprattutto non erano sbronzi. Mentre Vegeta era da solo contro quattro.
Il gruppetto si avvicinò a lui con lentezza, ma ogni passo parve far vibrare la terra.
In un gesto repentino che nessuno si aspettava, Vegeta usò lo scopettone come una mazza da baseball colpendo in pieno il più basso degli assalitori. Jeeth fece un passo indietro portandosi entrambe le mani al viso “Ah! Mi ha spaccato il naso!” urlò dolorante.
Approfittando del vantaggio della sorpresa, Vegeta sollevò di nuovo la ramazza colpendo Butter sulle ginocchia, facendogli cedere le gambe. Il colosso cadde al suolo finendo in una pozza d'acqua non ancora asciutta.
Percependo l'arrivo di Rikoom alla sua sinistra si voltò. Non avrebbe fatto in tempo a caricare un nuovo colpo con il bastone, almeno non abbastanza forte da danneggiare il bestione. Optò per calciarlo in pieno stomaco.
Purtroppo l'uomo era molto più muscoloso del previsto e l'attacco gli fece solo il solletico. Rikoom afferrò il piede dell'avversario con la mano sinistra tenendo ben salda la presa. Il grosso palmo destro, invece, si piantò con forza sul volto di Vegeta spintonandolo verso la parete.
Vegeta era sbilanciato, avendo un piede intrappolato, e non poté ribellarsi. L'impatto con il muro fu doloroso, facendogli perdere l'appiglio della sua arma costringendolo ad urlare.
Dopo un secondo di stordimento decise di riprendere il controllo della situazione. Poggiò entrambe le mani sulle piastrelle alle sue spalle, appena sopra la sua testa, ed approfittò della presa sulla sua caviglia. Con un colpo di reni sollevò la gamba destra, colpendo Rikoom sotto il mento con la punta della sua scarpa.
Colto alla sprovvista fu costretto a mollare la sua vittima. Barcollò all'indietro e sputò qualche dente che l'urto gli aveva fatto perdere.
Vegeta invece non fece in tempo a ritrovare una postura stabile e ricadde al suolo di schiena.
Jeeth tornò alla carica, cercando di colpirlo con un pugno prima che Vegeta avesse il tempo di rialzarsi. Tuttavia l'altro fu lesto afferrando il braccio di Jeeth con entrambe le mani e lo costrinse a piegare l'arto. Nel contempo gli fece lo sgambetto facendogli perdere l'equilibrio.
Quando Jeeth impattò col suolo, Vegeta riuscì a voltarsi pancia in giù piegandosi sugli avambracci, come se stesse facendo una flessione, poggiando una mano e tutto il suo peso sul volto dolorante di Jeeth.
In un lampo scattò in piedi, ma non fece in tempo a ritrovare l'equilibrio prima che Butter, giunto come un fulmine, riuscisse ad immobilizzarlo tenendogli entrambe le braccia dietro la schiena. Vegeta fu nuovamente sbattuto contro il muro, questa volta di petto.
La prigionia non durò a lungo, sferrando una testata all'uomo che lo teneva in trappola. Butter lasciò la presa e Vegeta s'inginocchiò dandogli una gomitata in pieno stomaco.
Vide giusto in tempo il calcio di Rikoom, riuscendo ad evitarlo appiattendosi al suolo. Vegeta lo colpì nel punto più debole del ginocchio, riuscendo a farlo crollare sul pavimento.
Tuttavia il manico della scopa che sopraggiunse dal lato opposto non lo vide fino a quando non fu troppo tardi. Lo prese in pieno viso, accanto all'occhio.
Fu un impatto talmente violento che Vegeta ebbe l'impressione di sentire il proprio cervello sbattere contro la superficie interna del cranio e per un attimo ebbe l'impressione che stesse per uscirgli dalla testa.
Ricadde al suolo in una pozza d'acqua e prima di riuscire a distinguere il sotto dal sopra, Ginew lo tenne al suolo poggiandogli con forza un piede sul petto. Gli mise il bastone sotto il mento, costringendolo a sollevare il capo.
“Tenetelo fermo” ordinò ai suoi scagnozzi. Rikoom e Butter lo afferrarono per le braccia e lo sollevarono di peso. “Devo ammetterlo, sei un osso duro Vegetuccio” gli disse il capitano guardandolo negli occhi.
Il dolore al volto gli impedì di aprire la palpebra sinistra, nonostante ciò guardò l'uomo come se avesse intenzione di saltargli al collo da un momento all'altro. E stando a quanto aveva appena dimostrato non era escluso che ci riuscisse.
Ginew non parve dell'idea di correre il rischio. Caricò le braccia e sferrò un colpo con la ramazza centrando la sua vittima in pieno stomaco, “Questo è per Guldo” gli disse sollevando di nuovo il bastone.
Vegeta perse il respiro per un lungo interminabile attimo.


***

“Che sta succedendo qui?” urlò uno degli agenti quando vide la scena. Ginew si voltò sorpreso, mentre i suoi compagni lasciarono la presa del loro bersaglio.
Vegeta cadde al suolo in una pozzanghera sulle piastrelle. L'acqua sotto di sé si colorò ben presto di rosa quando il suo sangue si mischiò ad essa.
Il capo dei carnefici alzò le mani “Abbiamo avuto una piccola discussione” minimizzò col sorriso sulle labbra.
L'agente a comandò additò i quattro carcerati ai suoi colleghi “Portateli in isolamento” ordinò. Non ci furono proteste quando la squadra Ginew fu portata via che al contrario parvero molto soddisfatti del loro operato.
Dopo essere riusciti ad immobilizzarlo avevano riempito di pugni il barista, consapevoli che avrebbe imparato la lezione.
Il secondino si avvicinò a Vegeta per accertarsi della sua condizione. Era ancora cosciente, ma respirava a fatica ed era piuttosto malconcio. L'uomo dedusse che gliene avevano date tante, ma il piccoletto era parecchio resistente. “Svelti, aiutatemi a portarlo in infermeria” ordinò ad altri carcerieri.
Dalla parte opposta del corridoio, Radish osservò un gruppo di secondini entrare ed uscire dai bagni di tutta fretta. Qualcuno aveva fatto loro la soffiata che qualcosa stava accadendo, facendo intervenire le guardie.


CONTINUA…

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Capitolo 22
*** La vita si muove ***


d
ENTER MY WORLD

La vita si muove

Bulma e i suoi amici si erano seduti attorno al piccolo tavolo nel giardino sul retro. L'anno scolastico stava giungendo al termine ed era il periodo più impegnativo per quelli dell'ultimo anno, sommersi di verifiche ed interrogazioni per solidificare i voti. Fino ad ora avevano sempre studiato a scuola, trovando un posto in biblioteca o, nella bella stagione come in questo caso, un angolo isolato del parco. Tuttavia era un sabato pomeriggio, dunque non si erano recati a lezione.
Certo era capitato altre volte che decidessero di riunirsi a studiare nei giorni liberi, ma in passato era stato molto più facile organizzarlo venendo incontro alle esigenze di tutti. Tuttavia per Bulma anche i mezzi pubblici stavano diventando un'incombenza che se poteva evitare ne faceva volentieri a meno.
I suoi amici erano stati tutti molto comprensivi con lei e avevano deciso di radunarsi a casa sua. Dopotutto non potevano certo fare a meno di Bulma per ripassare matematica.
Del gruppo solo Lazuli superava abbondantemente la sufficienza, Crilin annaspava per mantenerla, mentre Yamcha era così al di sotto che sembrava aver perso le speranze di recuperare.
Essere amici con la migliore della classe con i massimi dei voti aveva i suoi privilegi, primo fra tutti qualcuno in grado di rispiegare la lezione e renderla più comprensibile. Non essendo nella loro classe, Lapis aveva invece deciso di disertare il ritrovo. I suoi voti erano passabili, come la metteva lui, e aveva preferito spendere il suo sabato pomeriggio libero a fare qualcosa di più interessante.
Sparpagliati sul tavolo erano distribuiti libri, quaderni e computer, che avevano invaso anche alcune sedie libere.
Bulma era seduta al capotavola, direttamente sotto l'ombrellone, sua madre si era raccomandata di non stare troppo al sole. Accanto a lei erano seduti, in ordine, Lazuli, Crilin e Yamcha, dall'altra parte del tavolo.
“Non ci capisco niente! Perché quando cerco di risolverlo io non viene mai giusto?” si lamentò Crilin, dopo aver sbirciato il risultato dello stesso problema sul quaderno della ragazza al suo fianco per scoprire che era diverso da quello che aveva trovato lui. Bulma si sporse in avanti, almeno finché le era possibile farlo, ed osservò il foglio dell'amico. “Qui c'è un errore” gli disse indicando lo stesso con una penna, Crilin lo guardò meglio e si accorse che il calcolo era scorretto. Cancellò l'intero problema da quel punto in avanti e ricominciò da capo.
C'era una ciotola di biscotti al centro del tavolo che sua madre aveva insistito per offrire, la ragazza ne prese uno prima di tornare ad adagiare le spalle allo schienale della sedia. Ne aveva già mangiati una quintalata, ma i suoi amici o non ci avevano fatto caso, oppure erano così gentili da non puntualizzarlo.
Gli occhi azzurri della giovane si scostarono sul lato opposto del tavolo, osservando per un momento l'altro amico che in silenzio stava scrivendo sul proprio quaderno. “Come vanno le cose laggiù, Yamcha? Hai bisogno di una mano?” gli domando, avendo fatto caso che dei tre era l'unico a non averle chiesto ancora aiuto. Lui sollevò il capo del suo lavoro, le sorrise un po' nervoso “No, va tutto bene” le disse suonando tutt'altro che convincente, tornando poi al problema che stava cercando di risolvere.
Dall'interno dell'abitazione provennero alcune voci. Bulma intuì che era appena arrivato qualcuno, ma non fece in tempo a domandarsi chi fosse, quando la porta sul retro della casa si aprì.
“Vedo che c'è un mucchio di gente qui” “Tights!” esclamò la giovane quando riconobbe la sorella. La maggiore guardò la combriccola che a turno la salutò.
Si avvicinò alla sorella ed osservò il libro che aveva davanti “Matematica? Mai stata la mia materia preferita” commentò “Eppure è facile, basta solo prestare un po' più d'attenzione” le fece notare la ragazza dalla mente scientifica.
Tights alzò le spalle “Certo, certo, mi fido di te cervellona” tagliò corto “Piuttosto, la mamma mi ha incaricato di darti questa” le disse mettendole tra le mani una bottiglietta d'acqua fresca “E ti ricorda che devi bere tanto” aggiunse. Bulma alzò gli occhi verso il cielo, aveva già sentito questa raccomandazione un milione di volte.
In un secondo momento si accorse che sottobraccio la sorella maggiore stava portando un paio di scatole, al momento ancora appiattite, e uno rotolo di nastro adesivo. “Sei venuta a portare via le tue cose?” le chiese Bulma, la giovane donna annuì “Penso che con ancora un paio di viaggi dovrei riuscire a liberare la mia vecchia stanza” la informò, “Comunque, vi lascio studiare adesso. Ci vediamo più tardi”.
Quando sua sorella tornò dentro casa, gli occhi di Bulma si scostarono sul proprio cellulare, adagiato sulla sedia vacante accanto alla sua. Era rimasto silenzioso tutto il tempo e la giovane si domandò come mai Vegeta non avesse ancora chiamato. Erano giorni che non si faceva sentire e sebbene fosse normale avere lunghi periodi di silenzio, questo era senza dubbio il più duraturo fino ad ora.
“Evviva! Ce l'ho fatta!” esclamò Crilin alzando le braccia al cielo. Al suo fianco Lazuli guardò il suo quaderno ed annuì. “Portamelo qui Crilin, fammi vedere” gli chiese Bulma.
Con un pizzico d'orgoglio l'amico fece quanto richiesto. Si alzò e si avvicinò a lei poggiandole il suo compito davanti. Spalla a spalla controllarono entrambi il suo lavoro.
“Ah!” esclamò all'improvviso Bulma e Crilin, colto alla sprovvista, fece un balzo indietro “Cos'ho fatto?!” chiese mettendo le mani avanti. “Si è mosso” mormorò l'amica “Che cos... oh! Il bambino?” comprese il ragazzo. Bulma si poggiò una mano sul ventre “Sì” rispose. Crilin sembrò rifletterci per un istante “Ehi, ehm... posso sentire?” domandò timidamente. Lei gli sorrise “Certo, dammi una mano” lui lo fece e l'amica l'adagiò nel punto in cui aveva percepito il movimento.
Seguì un secondo di silenzio come se la lieve vibrazione potesse essere percepita a livello uditivo. Gli occhi dei presenti erano tutti indirizzati su di loro. “Ah sì! L'ho sentito anch'io!” confermò Crilin.
Lazuli si alzò “Posso... posso provare anch'io?” chiese arrossendo. Bulma le sorrise “Vieni”. Crilin le lasciò campo libero e come aveva fatto in precedenza, la futura madre diede all'amica la possibilità di percepire il suo bambino.
“Allora?” volle sapere Crilin dopo alcuni istanti. Per tutta risposta Lazuli annuì.
Bulma si rivolse infine a Yamcha, rimasto ancora seduto sul versante opposto del tavolo, “Vuoi sentire anche tu?” gli offrì. Il giovane parve esitare, “Io non...” farfugliò abbassando gli occhi, notando la ciotola in mezzo al tavolo quasi completamente vuota. Si alzò di scatto ed afferrò il contenitore “Vado a chiedere a tua madre se possiamo avere degli altri biscotti” esclamò d'un tratto. “Non ha import... anza” provò a fermarlo Bulma, ma Yamcha si era già precipitato in casa prima che lei potesse concludere la frase.

***

Dopo un intenso pomeriggio di studi i suoi amici erano tornati a casa propria. Bulma si era inoltre stancata, sebbene non avesse fatto altro che stare seduta a dare suggerimenti a chi ne aveva bisogno.
Sentì quindi l'esigenza di stendersi per un po' a causa della schiena che aveva iniziato a dolerle. Decise di salire in camera propria e a metà della scalinata ringraziò che erano solo pochi gradini, se faceva fatica adesso che aveva raggiunto il quinto mese, al nono avrebbe avuto bisogno di una gru.
Fortuna volle che la strada per raggiungere la stanza non era molta. Appena raggiunto l'ultimo scalino bastava girare a sinistra e aprire la prima porta sul lato destro del corridoio. Speculare ad essa, sulla sinistra, si trovava invece la camera che era stata di Tights.
Da quando la sorella aveva lasciato il nido, l'ingresso era quasi sempre rimasto chiuso, tuttavia quando Bulma vi passò accanto lo vide aperto. Si ricordò che Tights era passata alcune ore prima e si domandò se era ancora lì. D'altra parte non l'aveva ancora vista andare via.
Si affacciò osservandone il suo interno. Era in uno stato intermediario al momento.
Chiaramente non era più la camera di Tights, che la stava ripulendo dei suoi averi un passo alla volta, ma non era nemmeno quella del nascituro. In un angolo infatti erano stati ammassati nuovi mobili adatti alla cameretta di un neonato, tra le quali la culla e alcuni giocattoli.
Sul lato adiacente invece si trovavano vecchi mobili appartenuti un tempo ad una ragazza adolescente ancora tappezzati di adesivi e vecchi ricordi. Quasi tutti gli scaffali erano ancora in piedi ed erano stati svuotati. Quel poco che era rimasto della vecchia inquilina era stato adagiato al suolo.
Tights si trovava seduta sul pavimento, intenta a decidere se quel libro valeva la pena salvarlo e portarlo con sé, oppure aggiungerlo alla scatola delle cose da buttare.
“Questa stanza è irriconoscibile adesso” esordì Bulma, la maggiore si voltò e rise “Devo lasciare il posto al nipote” le rispose. Lo sguardo della più giovane si tinse di un velo di tristezza “Lo so, ma... per colpa mia devi buttare via tutte le tue cose” mormorò.
La donna afferrò un foglio e si alzò “Non dire così, questa stanza era più un magazzino per me, prima o poi avrei dovuto fare un po' di pulizia qua dentro” si avvicinò alla sorella e le poggiò un braccio sulle spalle “E poi mi ha dato modo di ritrovare cose che avevo dimenticato, guarda”. Le porse il foglio, che si scoprì essere una fotografia.
Ritraeva una giovane Tights, che all'epoca doveva avere nove anni, mentre stringeva tra le braccia una neonata... Bulma. “Deve essere stata scattata quando mamma e papà ti hanno portato a casa” le raccontò.
L'infante che era ormai cresciuta osservò con attenzione l'immagine “Non l'avevo mai vista prima” confessò. Tights rise “Penso di averla nascosta per ripicca una di quelle volte in cui mi hai fatto arrabbiare quando eravamo piccole... poi devo essermene dimenticata” ipotizzò.
In un angolo del suo cervello, Bulma cercò di ricordarsi che quando avrebbe portato a casa il suo bambino avrebbe dovuto scattare una fotografia dopo averlo messo in braccio alla zia. Così avrebbero avuto un altro ricordo.


CONTINUA…

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Capitolo 23
*** Cure mediche ***


d
ENTER MY WORLD

Cure mediche

Aveva imparato ad accettare molte cose, negli ultimi cinque mesi, non da ultimo il fatto che una vita stava crescendo giorno dopo giorno nel suo corpo. L'idea che avesse davvero una creatura dentro di sé diventava sempre più tangibile ad ogni movimento che l'indiscreto ospite faceva al suo interno.
Bulma si era dovuta riadattare riorganizzando le sue abitudini di conseguenza.
Una di queste erano le regolari visite mediche che doveva sostenere di malavoglia. Erano scomode ed imbarazzanti e ne avrebbe volentieri fatto a meno, ma da esse dipendeva in parte la salute del nascituro e quale madre era suo compito assicurarsi che tutto stesse filando liscio.
Dopo le lezioni, quel giorno, prese l'autobus che l'avrebbe portata fino all'ospedale e si avviò verso la sala della dottoressa che l'aveva in cura. Sua madre l’avrebbe raggiunta lì e l’avrebbe portata a casa.
Quando entrò nel reparto si guardò attorno osservando ancora una volta poster e depliant che ritraevano donne in stato interessante o che sussurravano suggerimenti relativi alla gravidanza o ai primi mesi di vita del nuovo arrivato in famiglia.
Su uno dei comodi divanetti in reception era seduta un'altra futura madre, intenta a leggere una rivista sulla quale era fotografato un neonato in copertina.
Bulma si accomodò dalla parte opposta e la osservò per un minuto. Il grembo della donna era almeno il doppio del suo. In un movimento spontaneo si accarezzò la pancia nascosta a malapena sotto la camicetta della divisa.
L'altra paziente sollevò lo sguardo e le sorrise, “Quante settimane?” le chiese gentilmente. Per la prima volta, la ragazza fu quasi felice di rispondere a domande sulla sua condizione “Ventunesima” le rispose senza vergogna “Lei?”, la donna si strofinò la pancia con delicatezza “Ventisei. È il mio terzo”.
Un dottore uscì da una delle stanze, anticipato da un'altra paziente che s'incamminò verso l'uscita. Osservò la cartella clinica tra le mani e sollevò lo sguardo verso la donna.
Essendo il suo turno, la signora si alzò con lentezza, aiutata dal medico, e sparì nello studio di questi, non prima di aver regalato a Bulma un ultimo sorriso d'incoraggiamento.
Mentre la giovane osservava la signora muoversi, con quel grosso pancione, si rese conto che avevano un solo mese di differenza, per quanto riguardava l'avanzare delle rispettive gravidanze. Se quello era ciò che l'aspettava nelle prossime cinque o sei settimane, la divisa scolastica non sarebbe mai arrivata alla fine dell'anno.
Si guardò la camicia e sospirò. Era giunta l'ora di arrendersi e di e affrontare un nuovo compromesso dovuto alla sua condizione.

***

Aprì lentamente gli occhi ricordandosi tutto d'un tratto che la testa gli faceva ancora male. La commozione cerebrale che aveva subito a conseguenza della colluttazione con il manico da scopa ed il pavimento si era rivelata parecchio dolorosa.
I medici non erano troppo preoccupati delle sue attuali condizioni di salute, la commozione era lieve e dopo un primo paio di giorni lo avevano subito diagnosticato fuori pericolo. Tuttavia Vegeta sentiva ancora il cervello dolergli come se lo scontro interno del cranio avesse lasciato un grosso livido.
Benché il peggio fosse ormai passato, gli era stato detto di restare in infermeria fino a nuovo ordine. Lo staff medico preferì tenerlo sotto osservazione per un altro po' di tempo, per assicurarsi che non ci fossero conseguenze più gravi.
Vegeta si sentiva ancora un po' confuso e dopo un primo momento di smarrimento dovette guardarsi attorno per ricordarsi dove si trovasse. Non sarebbe stato in grado di dire da quanto tempo si trovasse lì, se non fosse per il calendario appeso alla parete che ora indicava giugno come mese in progressione.
Appoggiò la testa fasciata ai cuscini ed osservò il soffitto.
Se l'era vista brutta, ma poteva anche andare peggio. Per essere stato un pestaggio quattro contro uno, Vegeta era uscito contuso ma tutto d'un pezzo.
La testa era ovviamente il problema più grosso, il resto erano lividi e contusioni alla quale era abituato. In una rissa, anche una da bar, non si esce quasi mai indenni, portando a casa sempre qualche ferita di guerra.
Ma questo non era un bar, queste persone erano sobrie e sapevano perfettamente cosa stavano facendo. Vegeta si domandò fino a che punto erano disposti a spingersi e quanto lo avrebbero torturato se le guardie non fossero intervenute al momento propizio.
Tuttavia, l'idea che fosse stato salvato da qualcun altro gli fece ribollire il sangue nelle vene. Quei maledetti avrebbero pagato per quello che gli avevano fatto, avrebbe sicuramente trovato un modo per farli soffrire tanto quanto stava soffrendo lui. Doveva solo trovare il modo migliore per farlo.
“Cosa stai facendo?” gli domandò la sua coscienza “Stai per diventare padre dovresti preoccuparti di uscire da questo posto tutto intero” si ricordò.
Quella riflessione gli fece girare la testa più della commozione cerebrale.
Bulma fu il suo prossimo pensiero. Non aveva sue notizie da giorni prima dell’accaduto, non avendo avuto il tempo di chiamarla, e sicuramente non era in grado di farlo da lì. I medici gli avevano detto che doveva restare a letto per tutto il tempo, gli era concesso solo di andare in bagno dove veniva sorvegliato da una guardia.
Si chiese come stava Bulma, come stava andando la gravidanza e se fosse preoccupata da questo improvviso silenzio.
Sdraiato lì, in quel letto d'infermeria, annoiato e dolorante, avrebbe più di ogni altra cosa voluto poterla sentire. Almeno farle sapere che stava bene o per avere novità che riguardavano lei ed il bambino.
In silenzio continuò a rifletterci. Quel posto era una dannata trappola, in carcere tutti trovano un motivo per la quale distruggerti. Vegeta doveva passarci quattro anni in quel posto, fermo restante che l'avvocato non riuscisse a vincere l'appello per farlo uscire prima, ma per quello doveva aspettare la prima udienza a settembre. Intanto era rinchiuso da pochi mesi ed era già finito nelle mire di un gruppo di psicopatici e in infermeria.
Un'idea cominciò a formarsi nella sua mente.
Da lì però non poteva parlarne con nessuno, nemmeno con Nappa se lo avesse voluto. Essendo in osservazione non gli erano concessi contatti dal mondo esterno. C'era una sola eccezione, una sola categoria di persone alla quale era consentito prendere contatto in qualsiasi momento, anche da un letto d'ospedale. Tuttavia non gli serviva altro, dopotutto era proprio la persona di cui aveva bisogno per prendere determinate precauzioni.
“Ehi!” chiamò Vegeta, rivolto all'infermiere impegnato a riordinare garze e medicamenti vari. L'uomo alzò lo sguardo “Cosa?” gli domandò paziente. Vegeta esitò per un istante “Voglio parlare con il mio avvocato”.


***

Quando sua madre era venuta a prenderla, durante la visita, Bulma diede voce alla sua conclusione. Panchy ne parve sollevata. Aveva cercato di indurla a pensare al suo abbigliamento da qualche settimana, ma la figlia sperava di rimandare l'incombenza il più a lungo possibile. Era quindi un po' in ritardo rispetto ad altre madri, ma all'inizio di giugno era impensabile coprire un ventre gravido con un grosso maglione.
Di conseguenza, senza darle il tempo di cambiare idea, Panchy guidò direttamente verso il centro città raggiungendo un grosso negozio prenatale che si vantava di accontentare tutte le mamme del futuro, almeno così recitava lo slogan scritto a lettere cubitali all'ingresso.
Una volta dentro, Bulma si guardò attorno. “Non so nemmeno da che parte cominciare” brontolò guardandosi attorno, trovandosi in un mondo fatto di passeggini, seggiolini, tutine per neonati e abiti fuori misura.
Sua madre si fermò accanto a lei “Intanto diamo un'occhiata da quella parte” le suggerì, additando il reparto che interessava loro.
Bulma annuì e si avviò in quella direzione, facendosi largo tra altri clienti e la merce esposta, fermandosi davanti ad una selezioni di vestiti.
Ne afferrò uno, lo guardò e lo rimise al suo posto accompagnato da una smorfia. Di solito le piaceva fare shopping, ma questo non era il suo genere. Nessuno degli abiti aveva il suo stile, “Possibile che non ci sia nulla di bello qui?” si lamentò “Sono tutti troppo brutti o troppo grossi” continuò la liceale riponendo l'ennesimo capo dopo averlo guardato meglio.
Panchy rise “Non ti conviene fare tanto la schizzinosa, ti servono solo per i prossimi mesi” le ricordò porgendole un paio di t-shirt colorate sulla quale erano ricamate scritte mirate a puntualizzare che chiunque le indossasse aspettava un bambino. “E non ti preoccupare della taglia, le riempirai molto presto” continuò a dire, poi svanì tra i vari appendiabiti.
Bulma ripensò alla donna seduta nella sala d'attesa del medico, ma anche guardandosi attorno si accorse di altre madri con grembi delle più svariate misure. Così si arrese, cominciando a sceglie tra le maglie che aveva di fronte.
Sua madre ricomparve, in mano un cestello nella quale aveva infilato altri abiti e alla quale aggiunse le magliette che Bulma aveva scelto, insieme a quelle che le aveva dato lei stessa poc’anzi.
“Vai a prendere dei pantaloni. Sceglili elastici e comodi” le suggerì, spingendola lentamente in quella direzione. E prima ancora che la ragazza ebbe il tempo di replicare, la donna svanì di nuovo.
Una coppia attirò l'attenzione di Bulma. Lei non doveva essere più in là del terzo mese e con calma stava scegliendo tutti i vestiti che voleva indossare. Lui era una forza della natura, continuando a tornare indietro con oggetti vari trovati su qualche scaffale. Peluche, tute per neonati, giocattoli, cercando costantemente di convincere sua moglie a comprarli. E quando lei diceva di no, lui andava a riporre un articolo per tornare con almeno altri due. Il suo entusiasmo era palpabile.
“Vegeta, tu non faresti mai una cosa del genere, vero?” gli chiese in silenzio Bulma. Per un attimo riuscì ad immaginarlo, in un luogo del genere. Teso, nervoso ed irascibile, restando fermo accanto alla porta d’ingresso nell'attesa di uscire da lì il prima possibile.
All'idea non poté fare a meno di ridere tra sé, finendo per toccare la sua collanina, prima che la mamma tornasse alla carica. Altri indumenti finirono nel cestello, alla quale Bulma aveva solo aggiunto un paio di pantaloni.
Panchy guardò la piccola collezione di vestiti che erano stati raccolti, afferrò altri calzari e li ammassò al resto. “Non ti sembra di esagerare mamma?” le chiese la giovane ora un po' preoccupata. Quando la donna cominciava su questa strada non si poteva mai sapere quante cianfrusaglie inutili sarebbero tornate a casa. “Niente affatto, cara” additò il cestello “Questi sono gli abiti che indosserai per almeno i prossimi quattro mesi, quindi ti consiglio di cominciare a provarli” aggiunse guardando alle spalle della figlia.
Bulma si voltò, trovandosi ad osservare i camerini. Sospirò, il modo migliore per superare il momento era quello di farlo durare il meno possibile. Si girò, trascinando con sé il cesto ricolmo d’abiti, cominciando ad avviarsi. “Bulma” la chiamò la madre, la ragazza la guardò “Metti anche questo nel cestello” le disse porgendole quello che si rivelò essere un libro.
Lo afferrò e ne lesse la copertina. Era un libro di nomi per neonati “Adesso che hai scoperto il sesso, ti conviene cominciare a pensarci” le suggerì Panchy.


CONTINUA…

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Capitolo 24
*** Le sorti del mio futuro ***


d
ENTER MY WORLD

Le sorti del mio futuro

Entrando a scuola, quella mattina, Bulma fu intercettata da una delle bidelle che l'avvertì di essere attesa in presidenza al suo arrivo. Dopo aver seguito la donna si accomodò sulle sedie di fronte all'ufficio ed attese con pazienza di essere convocata.
Con una mano si accarezzò la pancia in un gesto che era diventato sempre più consueto. Ormai anche a scuola era costretta ad indossare la divisa speciale che le era stata data tempo fa.
Nel corridoio gli studenti si stavano affrettando per entrare in classe, Bulma notò molti di essi volgerle uno sguardo al loro passaggio. I pettegolezzi erano un po' diminuiti negli ultimi tempi, ma non si erano del tutto acquietati. Aveva imparato ad ignorarli, se un bambino si trovava a bivaccare nel suo utero non era certo un problema loro.
Lapis si avvicinò all'entrata della sua classe, le fece un cenno di saluto quando la vide, prima di entrare in aula.
Bulma scostò lo sguardo verso la finestra per ignorare tutti gli altri. Era una bella giornata di giugno, tra poche settimane non sarebbe più stata una studentessa di liceo e qualsiasi cosa avevano da dire i suoi compagni di scuola l'avrebbe ben presto dimenticato. Dopotutto non avrebbe mai più rivisto buona parte di queste persone.
La porta della presidenza si aprì e a Bulma fu fatto cenno di entrare.
Appena mise piede al suo interno, si accorse che l'atmosfera era tetra.
Shin era seduto dietro la sua scrivania con un'espressione mortificata, sembrò quasi in imbarazzo tanto da non guardarla negli occhi. Con sorpresa della ragazza, il suo insegnante rappresentate, Wish, era in piedi dietro al tavolo. Le braccia incrociate dietro la schiena e uno sguardo rattristato.
La cosa peggiore, notò Bulma, era la presenza del Lord. Seduto sul lato opposto rispetto al professore. Sebbene il suo atteggiamento appariva quello solito ad una prima occhiata, Beerus parve nervoso dondolandosi sulla sedia.
Le fu detto di accomodarsi e le diedero tutto il tempo per farlo, tenendo presente che le servivano alcuni minuti per sedersi.
“Che succede?” domandò lei un po' incerta. La risposta tardò di qualche secondo.
Shin si schiarì la voce e cominciò a parlare “Sono molto dispiaciuto” esordì, ma anziché proseguire si fermò colto da una certa indecisione. Bulma scostò lo sguardo da lui a uno degli altri due, in attesa di una spiegazione più appropriata.
Whis prese in mano le redini della situazione “Signorina Bulma” cominciò serio “Mi duole informarla che siamo stati contattati dall'università in merito alla sua borsa di studio... purtroppo hanno deciso di revocarla vista la sua condizione” “Che cosa?!” esclamò lei.
“Perché? Mi avevate assicurato che non avrei avuto problemi!” sbottò lei “Non è una decisione che spetta alla scuola” intervenne Beerus “Ma io ho lavorato tanto per ottenerla” perseverò la giovane.
“Il problema è che l'università non vuole investire soldi in una... ragazza madre” cercò di spiegarle Shin “Vede, in media ragazze che si trovano nella sua situazione non portano a termine gli studi e non si laureano. Quindi non vogliono pagare per qualcuno che con ogni probabilità finirà per abbandonare prima del tempo” cercò di evitare i suoi occhi “Così dice l'università almeno” si affrettò ad aggiungere il preside.
“È ridicolo! Perché dovrei rinunciarci, dopo tutta la fatica che ho fatto?” tornò a protestare Bulma. Lei e la sua famiglia stavano pianificando modi per poterla aiutare ad adempiere i suoi doveri da universitaria e madre al tempo stesso. Avevano riposto molta fiducia in quella borsa di studio, se l'avesse persa tutto si sarebbe complicato.
I soldi che non avrebbero dovuto pagare per la retta universitaria sarebbero inoltre serviti per il bambino, un'altra spesa tutt'altro che economica.
La cosa ironica, in senso negativo, era che Bulma aveva fatto richiesta per la borsa di studio indirizzata agli studenti più meritevoli, coloro i quali la facoltà reputava degni di investire per istruire le migliori menti del paese. L'alternativa era quella che veniva affidata agli studenti che dimostravano potenzialità, ma non avevano le liquidità per potersi permettere la retta.
Quando Bulma aveva studiato le applicazioni da presentare aveva subito scartato la seconda perché il reddito dei suoi genitori era superiore al massimo consentito per farne richiesta. Ora, con una bocca in più da sfamare, la situazione si era capovolta.
Tuttavia era troppo tardi. Le borse di studio disponibili per i nuovi studenti erano già state assegnate, anche se avesse potuto o voluto farne una richiesta non avrebbe mai potuto ottenerla.
“Mi... dispiace” mormorò il preside, che non sapeva cosa dire. “Non è tutto perduto Signorina Bulma” intervenne Wish, “Se è comunque sua intenzione proseguire farà ancora in tempo a sostenere il test d'ingresso che si terrà a luglio” le fece presente. “Lo so che non è la stessa cosa, ma almeno può entrare in facoltà, sono sicuro che una ragazza in gamba come lei troverà un modo per convincere l'istituto del suo valore una volta lì” Bulma lo fissò con un nodo alla gola.
“E come pensa che possa riuscirci? I test d'ingresso si svolgono in università, e io non posso andare fino a lì” l’istituto si trovava dall'altra parte del paese, a chilometri di distanza “L'unico modo per andarci sarebbe in aereo, ma non permettono alle donne al terzo trimestre di viaggiare e io sarò al settimo mese!” questo l'aveva scoperto di recente, mentre sfogliava articoli sulla gravidanza “E non mi sarà certo possibile andarci in macchina o in treno. Non c'è possibilità che possa restare seduta per così tanto tempo” quello stava diventando dolorante già ora.
Nella stanza scese il silenzio.
“Quanto sei noiosa, ragazzina” proruppe Lord Beerus, “Shin parlerà con i tizi dell'università e ti farà sostenere un test speciale qui a scuola” disse. Il preside lo guardò “Davvero? Beh sì, non è una cattiva idea” concordò.
Bulma li guardò uno per uno. Sapeva che stavano cercando di aiutarla, ma lei ebbe comunque la sensazione che il suo mondo fosse crollato.

***

Guardando il cortile dal bar alla finestra dell'appartamento si poteva vedere solo la nebbia. Sotto questo punto di vista novembre era stato piuttosto irremovibile. La città era coperta da quello spesso strato di coltre bianca da giorni ormai ed era difficile vedere ad un palmo dal proprio naso.
All'interno dell'abitazione, Bulma aveva tutt'altro da guardare.
Vegeta stava lavando alcune stoviglie dopo averle usate per pranzare insieme. Era un sabato e dopo aver trovato una scusa per evitare gli amici e aver mentito ai suoi genitori si era rifugiata a casa del suo amante.
Era da qualche tempo che ci stava pensando, ma stava cominciando a vedere Vegeta sotto un'altra prospettiva. Con le mani bagnate dall'acqua corrente aveva alzato le maniche del maglione fino ai gomiti mostrando le braccia che di solito erano nascoste dagli abiti. La sua schiena era forte e possente, ogni muscolo si muoveva celato dalla stoffa. Portava dei jeans piuttosto attillati che poco lasciavano all'immaginazione di quello che nascondevano nella zona posteriore.
Bulma si trovò nella peculiare posizione di domandarsi come dovesse essere spogliato dei suoi indumenti. Un elettrizzante desiderio le diede un brivido che partì dalla nuca, percorse la sua schiena, ed arrivò al basso ventre.
Non era la prima volta che aveva provato una sensazione simile, era accaduto sempre più spesso negli ultimi tempi. Si era trovata sveglia la notte pensando a lui lasciandosi pervadere dall'irrefrenabile voglia di spogliarlo nudo e di poterlo sentire dentro.
Si scoprì a deglutire in silenzio, fissandolo per un tempo che parve interminabile. “Vegeta” lo chiamò, lui si voltò e quando gli occhi neri dell'uomo s'incrociarono con quelli azzurri di lei seppe che era sulla strada giusta. “Io...” mormorò un po' in imbarazzo “... credo di essere pronta” gli disse.
L'uomo chiuse il rubinetto, incrociò le braccia e dopo essersi voltato si poggiò al lavabo. Il suo sguardo si assottigliò studiandola come se la stesse guardando già nuda. “Per cosa?” le chiese.
Sapeva cosa fosse, l'aveva intuito dal modo in cui lei lo aveva guardato di recente, ma se non poteva dirlo allora non aveva nessuna speranza di farlo.
All'oscuro di questo ragionamento, Bulma si sentì a disagio e per un secondo lo odiò per costringerla a dirlo ad alta voce. Infine trovò il coraggio “S... sesso. Con te” disse e quando lo fece sentì la forza tornarle prepotente nelle vene.
Vegeta la guardò per un altro lungo interminabile istante. Con quegli occhi scuri ed intensi poteva far tremare il mondo solo guardandolo.
Si scostò dal lavandino e la raggiunse “Sei sicura?” le domandò. Bulma annuì, sì non era mai stata così certa di qualcosa in vita sua. Fino a quel momento la sua mente era sempre stata ottenebrata da un pensiero che le aveva impedito di riflettere, ma ora che lo aveva espresso ad alta voce si accorse che non era mai stata così lucida.
“Sicurissima” rispose. Vegeta le poggiò le labbra sulle sue, baciandola con delicatezza, quasi avesse paura di romperla. Quando le mani cominciarono a slacciarle la blusa, Bulma provò un nuovo brivido per lei inedito.


***

Dopo le brutte notizie della mattinata non se la sentì di andare a lezione. Uscita dalla presidenza si era rifugiata in un angolo del giardino scolastico.
Ancora non poteva credere a quello che era accaduto, avendo ancora la sensazione che il suo intero mondo fosse crollato a picco.
Tutti i suoi sogni di una vita, dopo il lavoro che aveva fatto per arrivare fin lì ed era tutto finito prima di iniziare. Era tutto crollato per qualcosa che non era stata in grado di prevedere e Bulma non seppe a chi dare la colpa.
Finì per darla a se stessa. Per aver avuto il desiderio di esplorare un nuovo mondo, quello del sesso, ed era finita per restare incinta. Nonostante fossero stati attenti e avessero preso le dovute precauzioni non era bastato.
Se solo fosse stata in grado di tornare indietro nel tempo si sarebbe fermata, perché non ne valeva la pena.
D'altra parte, era davvero così? La verità era che ne era valsa la pena.
Quello che lei e Vegeta avevano avuto in quei momenti non l'avrebbe cambiato per nulla al mondo.
Qual'era dunque la risposta? A chi doveva essere attribuita la colpa di una vita imprevista che si stava frapponendo tra lei e i suoi sogni? Una vita che aveva già imparato ad amare in quei primi sei mesi di gestazione come non aveva mai amato nessuno prima.
Avrebbe davvero detto alla se stessa del passato di fermarsi, di non rincorrere quel desiderio carnale che era la causa di tutti i suoi problemi? Non lo sapeva, non era certo una risposta facile. In entrambi i casi avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa, al suo sogno o al suo bambino.
Si domandò cosa avrebbero detto i suoi genitori quando li avrebbe informati che non potevano più contare su quei soldi garantiti dalla facoltà di sua scelta per la garanzia del suo futuro. Sapeva che non si sarebbero arrabbiati, ma l'idea che li avrebbe costretti a scavare sul fondo del barattolo per qualche moneta in più, oltre a quelli che avrebbero già dovuto spendere per il nipote, le fece venire un buco al cuore.
Dopo tutto quello che aveva fatto, tutto quel lavoro e quella breve sensazione di successo quando avevano riconosciuto le sue potenzialità era stato sprecato.
Si sentì svuotata e senza speranza, il mondo attorno a lei danzò vacuo nella sua testa.
Questo era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto poter chiamare Vegeta per potergli raccontare tutto e sentire il calore delle sue braccia. Lui non aveva ancora chiamato e Bulma sentì il desiderio di udire la sua voce come non mai.
Scoppiò a piangere, anche se non avrebbe voluto... maledetti ormoni!
Le lacrime le rigarono il viso e il collo, scendendo copiose dai suoi occhi in un fiume in piena.
Sentendo la necessità di soffiarsi il naso, Bulma raggiunse lo zaino che aveva appoggiato accanto ai suoi piedi ed aprì il taschino nella quale conservava i fazzoletti di carta.
Non essendo la persona più ordinata al mondo quella tasca era una sorta di giungla di carta, nella quale era solita infilare bigliettini o fogli in generale.
Qualche vecchio biglietto dell'autobus, prima che facesse l'abbonamento, uno o due biglietti del cinema e qualche scontrino fuoriuscì dalla tasca prima che lei riuscisse a recuperare i fazzoletti.
Fu un'immensa fatica riuscire a recuperarli, sparpagliati attorno ai suoi piedi. Bulma dovette scivolare sulla panchina e piegarsi sulle ginocchia per riuscire a raggiungere il suolo.
Dopo averli raccolti tutti cominciò a rimetterli da dove erano fuorusciti, ma uno di essi in particolare attirò la sua attenzione.


CONTINUA…

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Capitolo 25
*** Non smettere di sognare ***


d
ENTER MY WORLD

Non smettere di sognare

“Hai avuto problemi a trovare la casa?” volle sapere Gine dopo averla fatta entrare. Bulma scosse il capo “No, anche se non conoscevo questa zona della città le indicazioni che mi ha dato erano molto facili da seguire” la rassicurò.
La donna le sorrise “Mi fa piacere saperlo. Perché non ti metti comoda in salotto? Io vado a prenderti qualcosa da bere, con questo caldo sarai assetata” additò indicando una porta in fondo al corridoio “Posso portarti anche qualcosa da mangiare?” “Ehm... ha qualcosa di salato?” “Ma certo, te lo porto subito” acconsentì avviandosi verso quella che doveva essere la cucina. Intanto Bulma s'incamminò verso la stanza che le era stata indicata.
Era un appartamentino modesto in una palazzina in periferia, quasi più piccola di quella di Tights e Jaco. Il corridoio era molto stretto e per un istante la ragazza ebbe la sensazione che non ci sarebbe mai passata attraverso, senza rovesciare nulla dagli scaffali stipati su ambo le pareti che contribuivano a rendere il passaggio ancora più striminzito. Si rivelò essere solo una sua paura, riuscendo a sgusciare fino al salottino nonostante l'ingombrante pancione.
Appena sopraggiunse all'ingresso sbirciò all'interno della sala. “Ciao Goku” lo salutò quando vide il ragazzo seduto sul tappeto davanti alla televisione concentrato su un videogioco nella quale uomini muscolosi si sfidavano in una zuffa. “Ehilà Bulma” replicò lui, sorridendole. Lei si ricordò all'istante cosa le era piaciuto di questo ragazzino, la prima volta che si erano incontrati.
Lui la fissò per un secondo “Sei ingrassata parecchio” notò “Stupido! Aspetto un bambino!” “Ah già... ahah... l'avevo dimenticato” ridacchiò. Bulma lo guardò sentendosi un po' arrabbiata, ma le passò subito quando lo vide grattarsi la nuca in un gesto piuttosto buffo.
“Ehi, vuoi giocare?” le domandò mostrandole il joystick che reggeva in mano “Non so come si fa” gli fece notare. Goku si alzò “Siediti, ti faccio vedere” suggerì indicandole il divano contro la quale era appoggiato fino a quel momento.
Bulma lo fece più che volentieri, la fermata dell'autobus non era lontana dalla casa, ma il caldo d'inizio estate e i chili di troppo di una creatura che aveva nel frattempo deciso di prendere lezioni di ballo nel suo utero l'avevano affaticata.
Durante l'operazione di atterraggio sul divano, la mongolfiera... ehm, la ragazza ebbe modo di osservare la parete dietro il televisore. C'erano degli scaffali sulla quale erano riposti una serie di riconoscimenti. Accanto ad essi alcune fotografie erano state incorniciate ed appese. Molte di esse ritraevano il figlio minore dei padroni di casa immortalato a ricevere diversi di quei premi.
Goku afferrò un secondo joystick, che era stato riposto accanto alla TV, prese posto accanto a lei e glielo porse. “Dimmi una cosa, Goku, sono tutti tuoi quei trofei?” chiese incuriosita. Lui si voltò per guardare nella stessa direzione “Sì, pratico le arti marziali da quando ero piccolo” Bulma si ricordò all'improvviso della felpa che il ragazzo indossava quando si erano conosciuti “L'anno prossimo andrò ai campionati nazionali” le spiegò. “Davvero? Devi essere molto bravo allora” “Eheh già, voglio diventare il più forte di tutti” le confidò senza mai smettere di sorridere.
“Ti ho portato la tua acqua” esordì Gine entrando in salotto con un vassoio tra le mani “Di salato ho trovato un pacchetto di patatine, spero vada bene”. Poggiò il portavivande su un piccolo tavolino accanto al divano dov'era seduta la sua ospite.
Bulma pensò all'ironia. Lei e Goku si erano parlati proprio grazie ad un pacchetto di patatine. “È perfetto grazie” afferrò il bicchiere d'acqua e ne bevve un sorso lasciando scivolare il limpido liquido fresco nella sua gola assetata.
“Allora...” esordì la donna sedendosi su una piccola poltrona “Cos'è successo? Quando mi hai chiamato l'altro giorno mi sei sembrata agitata. Va tutto bene?” Bulma si sentì un po' in colpa. Forse non avrebbe mai dovuto fare quella telefonata, col senno di poi, ma quando aveva rivisto il numero di Gine si era ritrovata a pensare a quello che le aveva detto quando glielo aveva dato. In quel momento l'aiuto di un estraneo sembrava la cosa migliore, dopo aver sentito il desiderio di isolarsi da tutti.
La donna le aveva detto di venire a trovarla nel weekend e sebbene la liceale aveva avuto tutto il tempo per disdire si era ritrovata a non volerlo fare. Solo mettendo piede in quella casa si era accorta che non era stata una buona idea.
“Io... mi dispiace, forse non avrei dovuto chiamare” confessò mordendosi il labbro inferiore, “Sciocchezze, ti ho dato il mio numero proprio per questo! Andiamo racconta” esortò Gine.
Bulma titubò ancora un istante, prima di aprire bocca e, quando lo fece, ne uscì un fiume interminabile di parole.

***

“... volevo frequentare quell'università da quando ero bambina e ora non so più se sarò in grado” concluse alla fine. Da una parte si sentì meglio, aver dato sfogo a tutto quello che provava le tolse un grosso peso. D'altra parte avrebbe voluto scoppiare a piangere.
“Non capisco perché devi rinunciare” mormorò la voce di Goku, che nel frattempo era tornato a sedersi sul pavimento a giocare con i suoi videogiochi, ma che aveva evidentemente ascoltato quello che Bulma e sua madre si stavano dicendo.
La giovane lo guardò “Beh, perché...” “Voglio diventare il più forte di tutti” le parole che le aveva rivolto il ragazzino le tornarono alla mente. “Kakaroth ha ragione, da quello che ci hai detto sembri una ragazza in gamba e penso che tu possa realizzare i tuoi sogni anche dopo la nascita del tuo bambino” rincarò la dose Gine.
Bulma guardò madre e figlio, i suoi occhi scivolarono verso la parete abbellita dai trofei, ed infine tornò alla donna. “Lei come ha fatto? Dopo suo figlio, intendo” chiese, pentendosene. Per un istante ebbe l'impressione di essere stata indiscreta, ma Gine non sembrò esserne infastidita.
“Beh, la nostra situazione era un po' diversa dalla tua. Io e mio marito Bardack ci siamo conosciuti a scuola ed eravamo coetanei, ma eravamo anche un po' più giovani di te” la sua mente sembrò tornare a quei tempi ricordando anni passati. “È stata dura e i nostri genitori non sono mai stati molto comprensivi come sembrano essere i tuoi, ma le cose migliorano con l'andare del tempo” le accarezzò una spalla in segno d'incoraggiamento. “Radish è sempre stato molto turbolento, come potrai immaginare” era il figlio che era finito in carcere, dopotutto “Ma nonostante tutto non ci siamo mai pentiti di averlo avuto” a questa affermazione della madre, Goku emesse un suono di disapprovazione dalle labbra accompagnato da una smorfia. La sua reazione suscitò l'ilarità di Bulma.
Era ovvio che tra i due c'era un tipico attrito tra fratelli.
“Spero che un giorno potrò dire la stessa cosa” disse la giovane, e la sua mano toccò il pendaglio della sua collana. Se proprio doveva immaginare il futuro, in qualsiasi modo si fosse risolta la questione dei suoi studi, auspicava di poter almeno dire di non essersi pentita di essere diventata madre, anche se con qualche anno in anticipo rispetto alla media.
“Sono sicura che sarà così” la incoraggiò Gine. Gli occhi neri della donna si scostavano sulla pancia della giovane “Come sta andando nel frattempo? A quante settimane sei?”. Bulma si toccò il ventre “Ventiduesima, ma sta andando bene, anche se mia madre pensa che non mangio abbastanza” le rispose.
Gine la guardò con attenzione, era giovane e magra, se non fosse per la gravidanza, ma le sembrava in buona salute, tuttavia non avendola conosciuta prima non aveva idea della sua costituzione naturale. “E tu pensi che abbia ragione?” “Non lo so, a me sembra di divorare tutto quello che mi capita”.
Bulma si era accorta che non aveva mai ingurgitato così tante schifezze in tutta la sua vita, tanto quanto le era capitato negli ultimi mesi. Era sempre stata molto attenta alla linea ed era abituata a contare le calorie. Da quando era rimasta incinta invece ogni cosa commestibile che finiva alla sua portata la trangugiava senza esitazione. Pentendosene in un secondo momento.
La sua dottoressa però le aveva assicurato che la sua dieta era ben proporzionata e che non stava né esagerando né digiunando.
“E mi sembra di essere una palla di lardo” aggiunse con una smorfia. Gine rise “E dovrai diventare molto più grossa di così, te lo assicuro” Bulma sospirò “Sì, questo l’ho capito da tempo” l’idea continuava a non entusiasmarla, ma aveva imparato ad accettarla.
“Come sta il papà invece? Sei più riuscita ad andarlo a trovare?” la giovane scosse mestamente il capo. “A dire la verità non lo sento nemmeno per telefono da quasi un mese” confessò a fil di voce. “Cosa? Come mai?” esclamò Gine e anche Goku smise di giocare per voltarsi a guardarla.
Bulma scosse il capo, “Non lo so, prima mi chiamava almeno una volta ogni due settimane, ma è da un po' che non si fa sentire... sono un po' preoccupata” per qualche ragione queste persone le suscitavano sempre una grande simpatia, ritrovandosi ad ammettere cose che non aveva mai detto a nessuno.
Il silenzio di Vegeta la stava mettendo in agitazione da un po' e se avesse cambiato idea su di lei? E se non volesse più vederla o sentirla?
Gine guardò un grosso orologio appeso sulla parete accanto alla porta “Ascolta, mio marito tornerà a casa tra un'oretta circa. Se non ti da fastidio aspettare, appena arriva possiamo andare tutti alla prigione” suggerì.


CONTINUA…

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Capitolo 26
*** Buone e cattive notizie ***


d
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Buone e cattive notizie

“Ehi, bentornato Vegeta” lo accolse Radish intercettandolo nel corridoio, appena lo aveva riconosciuto. Vegeta sospirò, di tutte le persone nella quale doveva imbattersi, appena rientrato dall'infermeria, doveva essere proprio il compagno di cella?
Della scazzottata nei bagni portava ancora i segni, ma nulla di grave. Il residuo di un occhio nero e un paio di punti di sutura sulla fronte che erano ancora coperti da un cerotto.
Il danno più grave che aveva subito era stata la lieve commozione cerebrale che lo aveva obbligato a restare in osservazione per settimane. Dalla quale si era ormai ripreso.
Vegeta, che di solito era una persona attiva, aveva sofferto più la noia di dover restare sdraiato senza poter fare nulla che non per i dolori fisici. Non che avesse molta nostalgia di alzarsi presto per andare a pulire i cessi, ma se proprio dovevano torturarlo, costringerlo in un letto a tempo indeterminato era forse il modo più crudele per farlo.
“Che fine hanno fatto quei maledetti?” ringhiò, notando l'assenza dei suoi assalitori mentre continuava a percorrere il corridoi seguito da Radish come se questi fosse una sorta di cagnolino. “Non sono ancora tornati” lo informò l'altro prigioniero “Sono in isolamento dopo la scazzottata. Dicono che li terranno lì per almeno un'altra settimana”.
Radish affrettò il passo per riuscire a tenergli testa, “Ho sentito che li hai conciati per le feste anche se erano in vantaggio numerico” “Tsk, non abbastanza” commentò infastidito l'altro.
Vegeta si fermò d'un tratto, “Ora sparisci, ho di meglio da fare che parlare con te” brontolò osservando la fila davanti ai telefoni.
Non sentiva Bulma da prima della baruffa e in infermeria non aveva avuto la possibilità di chiamarla. La conosceva, se non si fosse fatto sentire al più presto si sarebbe preoccupata o arrabbiata e Vegeta concluse che farla innervosire non avrebbe giovato al bambino.
L'annuncio delle visite che elencava i dieci prigionieri attesi dai loro cari partì regolare come sempre. Vegeta imprecò in silenzio quando sentì, tra gli altri, anche il suo nome proprio quando era in procinto di mettersi in coda.
Tra tutta la procedura per arrivare fin lì e il colloquio con chiunque stesse aspettando, non avrebbe fatto in tempo a reclamare una telefonata e questo lo avrebbe costretto a rimandare al giorno dopo. Altre ventiquattro ore nella quale Bulma avrebbe aspettato una chiamata che non sarebbe avvenuta.
Malvolentieri girò i tacchi avviandosi verso la sala delle visite. Ancora più seccante era essere seguiti come un'ombra da Radish. Non se ne sarebbe liberato fino a quando gli avrebbero assegnato il tavolo. Si era accorto che anche lui era stato chiamato.
Radish cercò ancora una volta di stare dietro all'altro prigioniero, sapendo che stavano andando nella stessa direzione. Tuttavia la guardia che lo aveva perquisito all'arrivo fu più veloce rispetto a quello che stava controllando Vegeta. Per questo motivo entrò per primo lasciandosi il compagno di cella alle spalle.
Trovato il tavolo che gli era stato assegnato si accomodò trovandosi davanti alla madre e al fratello minore.
“Ciao Radish, come stai?” domandò la donna appena vide il figlio. Radish tuttavia non poté fare a meno di notare una considerevole assenza, “Dov'è papà?” le chiese sentendosi un po' offeso. “È andato ad aiutare un'altra persona, ma ti saluta e dice che passerà appena gli sarà possibile” lo informò.
L'uomo non parve troppo contento, incrociò le braccia “Quindi mi devo accontentare dell'impiastro?” “Ehi!” esclamò risentito Kakaroth. “Non cominciate!” li ammonì entrambi Gine “Comunque, ho una buona notizia, Bardack ha avuto una promozione a lavoro, prenderà uno stipendio un po' più alto ora” “Beh grandioso” commentò sarcastico il figlio.
“Papà ha detto che ora potremo permetterci un nuovo computer” aggiunse il fratello. Radish emesse un verso seccato con la bocca “Sai cosa me ne frega, nanerottolo” lo prese in giro sollevando gli occhi al soffitto come se anche solo ascoltarlo fosse tedioso. “Io non sono un nanerottolo!” protestò di nuovo il minore.
Gine additò il figlio maggiore dietro il vetro “Piantala Radish, non continuare a provocarlo. Hai ventisette anni, non dovrei più dirtelo alla tua età!” si voltò verso il minore “E tu smettila di cadere nelle sue trappole, Kakaroth, non lo vedi che lo fa apposta?” “Ma io non ho fatto nulla” lagnò il ragazzino.

***

“Si può sapere cos'hai fatto in faccia?” esclamò Bulma, non potendo fare a meno di notare i segni della baruffa ancora visibili sul volto di Vegeta. “Tsk, non è nulla” minimizzò “Ho solo sbattuto la testa” “Contro cosa? Un muro di cemento?” beh, era anche ricoperto da piastrelle di marmo se proprio si voleva mettere i puntini sulle i, ma era stato l’impatto col pavimento ad essere più doloroso.
“Lascia perdere” gli occhi di Vegeta si scostarono sull'uomo che a braccia incrociate se ne stava in disparte, come nell'occasione precedente. Bulma decise di fare quanto suggeriva, se c'era un muro qui quello era la sua testa. Almeno adesso aveva capito perché non si era fatto sentire di recente, anche se non ne comprendeva appieno il motivo.
La ragazza sospirò “Mi sa che hai ragione, non voglio sprecare questa occasione per parlare di questo, se tanto hai deciso che non me lo vuoi dire... anche perché temo che non potrò venire a trovarti per un bel po'”. Vegeta inarcò un sopracciglio, “Cosa intendi dire?” domandò confuso.
Bulma si toccò la collanina ed abbassò lo sguardo “Perché appena sarà finita la scuola dovrò preparare l'esame d'ammissione all’università e non avrò il tempo di passare a trovarti” spiegò, ma l'uomo non sembrò aver risolto i suoi dubbi “Di cosa stai parlando? Perché dovresti dare un esame?”. Bulma scostò lo sguardo “Mi hanno... mi hanno revocato la borsa di studio” “Che cosa?! Perché?” sbottò lui.
La giovane poggiò entrambe le mani sulla pancia gonfia, sollevò gli occhi azzurri con uno sguardo intriso di grande tristezza e con un velato sorriso melenso gli comunicò la risposta in silenzio. “Stai scherzando?” mormorò Vegeta quando comprese, ma lei scosse il capo. “A quanto pare l'università non vuole investire soldi in una ragazza madre” ripeté testualmente lei, la voce incrinata dalla sua disperazione che riuscì a non tramutare in pianto.
Vegeta restò a guardarla a bocca aperta. Ricordava perfettamente il giorno in cui gli aveva detto della borsa di studio, come avrebbe mai potuto dimenticarlo, e la conseguente rabbia che era scaturita dalla notizia. Si era sentito un po' geloso e preoccupato, all'idea che lei sarebbe andata a studiare a chilometri di distanza, ma questo non era certo quello che voleva. Ed era colpa sua, lui l'aveva messa incinta!
“Potrò andare all'università solo se riuscirò a superare l'esame, sempre se la mia scuola riuscirà a convincerli a farmelo almeno sostenere” c'erano un po' troppi se per i gusti di Vegeta, in quella frase. “Per questo devo studiare, così almeno avrò una possibilità, anche se non sarà facile” Bulma si guardò il grembo e lo accarezzò con delicatezza “Sai, dobbiamo anche pensare alle spese per il bambino”.
Scese il silenzio, mentre Bulma si lasciò per un attimo sopraffare da un magone alla gola e Vegeta dai sensi di colpa.
“Ah! Però ho anche delle belle notizie!” esclamò lei all'improvviso per scacciare la malinconia “Siccome non mi hai più chiamato non sono riuscita a dirtelo, ma... è maschio!” Vegeta si riscosse “Davvero?” lei annuì.
Bulma infilò una mano nella tasca “A proposito, devo chiederti una cosa importante” gli disse aprendo un foglio spiegazzato, che aveva estratto insieme ad una penna, per poi poggiarlo sul vetro che li separava.
Era una lista di nomi, tutti maschili, che lei aveva scarabocchiato ogni qualvolta gliene piaceva uno dal libro che le aveva dato sua madre. “Dobbiamo cominciare a decidere, quindi mi devi dire quali ti piacciono tra questi. Dimmene almeno... mmh... almeno cinque” ordinò. “Che? Non ne ho idea” brontolò lui cercando di sottrarsi e di allontanarsi dal vetro.
Bulma fece una smorfia come una mocciosa, “Non fare il difficile Vegeta! Se ci pensi non mi pare di chiederti poi molto!” esclamò lei. Vegeta ci rimuginò su e una parte di lui non poté che concordare, dopotutto non era una richiesta troppo eccessiva.
“Io non...” mormorò incerto leggendo la lista che gli stava mostrando. Bulma aveva davvero una pessima calligrafia e metà dei nomi non era nemmeno leggibile. “Tr... unks?” disse Vegeta con un po' d'incertezza, scegliendo semplicemente il primo che gli era capitato di vedere.
“Bene!” concordò lei. Staccò il foglio dal vetro e lo appoggiò sul tavolo. Con la penna cerchiò il nome, ma prima che potesse chiuderlo si fermò “Ahia!” esclamò d'un tratto, toccandosi il grembo. “Ehi, Bulma, tutto bene?” volle sapere lui leggermente apprensivo, “Mi ha tirato un calcio ed era anche bello forte” lo informò. Una parte di Vegeta avrebbe voluto spaccare il vetro per poterle poggiare una mano sulla pancia e sentire anche lui.
Non era di certo il primo segnale di vita dall'interno, ma Bulma non ne aveva mai percepito uno così forte. Sorrise “È un buon segno” gli disse “Forse gli piace il nome, oppure è felice anche lui di vedere il suo papà”.


CONTINUA…

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Capitolo 27
*** Le parole di un messaggero ***


d
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Le parole di un messaggero

Di tutte le cose che odiava in prigione, la cosa peggiore era senza dubbio il cibo.
Lasciamo perdere il fatto che era immangiabile nonché un'offesa ai sensi, tutti e cinque... in qualche modo. La cosa più snervante erano le porzioni.
Ok, bisognava ignorare il fatto che metterlo in bocca poteva avere delle ritorsioni, ma i piatti erano talmente striminziti da non essere in grado di saziare nemmeno una formica. Forse contavano sul fatto che fossero tutti così disgustati dal cibo da non voler rischiare di mandarne giù più del necessario.
Il problema, per Vegeta almeno, era che lui aveva un appetito praticamente insaziabile. Quando si sedeva al tavolo poteva finire da solo un'intera teglia di cibo e chiedere il bis.
In carcere non sapeva se voleva rischiare una seconda portata o se preferiva alzarsi da tavola affamato come se non avesse nemmeno mangiato. Certi giorni non riusciva a comprendere e se ad innervosire il suo stomaco era la nausea o la fame.
Scoraggiato osservò il pasto melmoso che aveva davanti cercando di capire se quelle nel suo vassoio fossero patate o pezzi di carne... neanche dopo averlo assaggiato riuscì a svelare l'arcano. E poi cos'era quel agglomeramento verde? Verdure o legumi?
“È occupato?” chiese una voce in relazione al posto libero di fronte a lui e Vegeta, che la riconobbe, ringhiò “Sì, vai a sederti da un'altra parte” “Non ci sono altri posti liberi” gli fece notare Radish.
Vegeta sollevò il capo, dopo aver visto scivolare il coagulo di cosiddetto cibo dal suo cucchiaio di plastica. Si guardò intorno notando tutti i vari gruppetti di carcerati raggruppati ai tavoli.
Di posti liberi ce n'erano in abbondanza, ma nessuno che Radish potesse occupare. Nessuno dei due aveva una banda o un gruppo di appartenenza, erano due emarginati senza compagni. Tuttavia se a Vegeta andava bene così, considerato che preferiva la solitudine e la capacità di cavarsela da solo, Radish era meno indipendente e aveva bisogno di aggregarsi a qualcuno.
Prima che Vegeta finisse dietro le sbarre, Radish aveva già scontato un anno della sua condanna e lo aveva passato perlopiù da solo. Quando finalmente gli venne assegnato un nuovo compagno di cella, a seguito della scarcerazione del precedente, aveva trovato qualcuno con la quale parlare.
Vegeta non era la persona più amichevole del mondo, questo era innegabile, ma era sempre meglio di niente e per Radish quella era una boccata d'aria fresca in un posto che aveva l'odore del letamaio. Aveva solo bisogno di un amico e l'aveva trovato in Vegeta, nonostante quest'ultimo non fosse molto d'accordo.
Radish si accomodò nonostante le proteste più o meno velate dell'altro carcerato. “Che cos'è questa roba?” domandò quando ebbe modo di guardare il piatto, “Non ne ho idea” commentò Vegeta altrettanto confuso. Questo era uno di quei giorni in cui preferiva non rischiare e fare la fame. “Sembra che qualcuno abbia tritato gli avanzi degli ultimi sei mesi” concluse Radish, osservando il suo cucchiaio pieno di quella... roba.
L'assaggiò... sapeva di fango. Con disgusto fece ricadere la posata sul vassoio. Dall'altra parte del tavolo, Vegeta stava ancora giocando con il pasto sollevando il cucchiaio carico di cibo solo per farlo ricadere sul piatto, come fosse liquame. Era decisamente uno dei giorni peggiori.
Radish decise di cambiare argomento “Ehi, pensi che avrai visite oggi?” gli domandò. Vegeta smise di giocare con il... ehm... cibo, “No” rispose risoluto. “Perché no?” “Perché non sono affari tuoi” tagliò corto il barista, non troppo incline a fare conversazione.
Delle grida si levarono dal fondo della mensa. Radish, che dava le spalle alla porta, si voltò. Contemporaneamente Vegeta scostò lo sguardo nella stessa direzione.
La squadra Ginew!
“Devono essere usciti dall'isolamento” statuì l'ovvio Radish, osservando il gruppetto acclamato dai loro amici come se fossero degli eroi. Vegeta spezzò la posata che stringeva tra le mani, non che ci volesse poi molto essendo fatte di plastica. “Quei maledetti” sibilò irritato, “Pagheranno per quello che mi hanno fatto” affermò in seguito.
Sorpreso Radish si voltò di scatto “Stai parlando sul serio? Ma quelli sono in quattro e noi siamo in due” “Sbagliato, io sono da solo e comunque quegli imbecilli non sono sempre in quattro” gli fece notare Vegeta, sul cui volto si estese un ghigno crudele.
Se non altro ebbe la soddisfazione di notare che Jeeth aveva ancora il naso fasciato e la dentatura di Rikoom aveva molti pezzi mancanti.

***

“Perché quelli cerchiati?” le chiese Crilin leggendo il foglio che aveva tra le mani. Lazuli si chinò verso di lui per leggere a sua volta. “Perché sono quelli che piacciono anche a Vegeta” li informò Bulma.
Il gruppo era seduto su alcune panchine sotto un albero nel giardino della scuola. Passare l'intervallo all'interno dell'edificio era impensabile con il caldo soffocante di giugno.
“Shorts è carino” commentò l'amico dopo averci pensato un po'. Alle sue spalle Lapis si appoggiò allo schienale della panca e sbirciò la lista di nomi da sopra le teste dell'altro ragazzo e della sorella. “A me piace Trousers” fece sapere alla futura madre, “Trousers non è cerchiato” gli fece notare Bulma. Il gemello alzò le spalle, era difficile dire se avesse ignorato di proposito le istruzioni o se non ci avesse fatto caso.
Gli occhi di Bulma si scostarono su Yamcha, in piedi accanto a Lapis. Era appena un paio di passi di distanza dagli altri e la ragazza si domandò se riuscisse anche solo a leggere il foglio da lì. Sentendo la mancanza della sua opinione aprì bocca per domandargliela direttamente. “A me piace Trunks” le disse Lazuli, distraendola dal suo intento, “Vero?! Anche a me piace molto” esclamò l'amica.
“Mi dispiace disturbare questa piacevole conversazione” s'introdusse una voce, costringendo tutti a voltarsi, Whis li guardò con un sorriso cordiale “Ma avrei bisogno di parlare con la Signorina Bulma per un secondo, se a voi signori non dispiace” domandò cortese, gli amici si guardarono attorno. “Oltretutto l'intervallo è quasi terminato e sarebbe una buona idea cominciare ad avvicinarsi all'aula” puntualizzò in seguito il professore.
Crilin fu il primo a scattare “Sissignore” gli disse, porgendo il foglio alla legittima proprietaria. “Vi ringrazio” disse loro quando vide il quartetto allontanarsi in direzione della scuola.
Incuriosita, Bulma osservò l'uomo in attesa di conoscere le sue intenzioni, “C'è qualche problema?” lo esortò. Whis le sorrise “Al contrario, vengo a portarle buone notizie” gli occhi di Bulma s'illuminarono di speranza.
L'insegnante le pose un fascicolo che aveva portato con sé “La informo che la scuola ha raggiunto un accordo con l'università in merito al suo test d'ingresso” disse nascondendo il braccio dietro la schiena, dopo che lei s'impossessò dei documenti.
Bulma aprì la cartellina, cominciando a leggerne il contenuto “Che tipo di accordo?” gli chiese nonostante stesse cercando di comprenderlo per conto suo.
“Come le avevamo anticipato le sarà consentito svolgere l'esame in questo istituto a metà luglio, il giorno stesso in cui lo dovranno sostenere anche i suoi compagni. Dovrà farlo qui da sola in presenza di un rappresentate della scuola, che sarei io, di un professore universitario e un supervisore esterno” con un gesto del polso fece scivolare la mano in un invito a leggere i fogli che le aveva consegnato.
Il modo che l'insegnante aveva di muovere le lunghe ed affusolate dita era sempre molto elegante e sinuoso. Diventava quasi ipnotico durante le lezioni, catturando l'attenzione della classe grazie a quelle movenze effeminate.
“È fantastico! Non so come ringraziarla professore” esclamò Bulma, al settimo cielo. Whis sorrise con la sua immancabile finezza in aggiunta ad un pizzico di mistero. Ridacchiò portandosi le punta delle dita alla labbra “Ohohoh, non ringrazi me, Signorina, io sono solo il messaggero” la giovane lo fissò incerta per un istante, “Il rettore non voleva lasciarle sostenere l'esame fuori sede, ma il Signor Beerus ha creato un pandemonio pur di darle questa possibilità” “Lord Beer... ehm, il vicepreside ha cercato di aiutarmi?” sbottò sbalordita.
Whis la fissò con quegli occhi pallidi che sembravano avere sempre tutte le risposte dell'universo, poiché nulla sembrava sfuggirgli, nemmeno il simpatico soprannome che gli alunni aveva dato al suo superiore.
“Esatto” confermò appoggiandosi una mano accanto alle labbra e chinandosi appena verso di lei “Ma questo deve restare un segreto tra noi” le bisbigliò.
Il suono della campana proruppe tra il caos del corpo studentesco che li circondava. L'insegnante sollevò lo sguardo “Oh, l'intervallo si è concluso” appurò portandosi anche l'altra mano dietro la schiena “L'attendo in classe appena avrà modo di raggiungermi. Dopotutto è ancora una mia studentessa per un'altra settimana” le disse. In seguito chinò il capo in un leggero inchino di congedo e si allontanò.


CONTINUA…

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Capitolo 28
*** Basta un attimo di distrazione ***


d
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Basta un attimo di distrazione

Luglio era giunto con prepotenza, segnando l'inizio di un'estate che si preannunciava rovente.
Era davvero difficile studiare con questo caldo!
In aggiunta a ciò il costante pensiero rivolto ai suoi amici che si stavano godendo la meritata vacanza al termine degli studi, prima di affrontare un nuovo futuro, continuava a fluttuarle per la mente. Non erano più studenti delle scuole superiori e ognuno di loro aveva deciso di percorrere la propria strada.
Quella di Bulma era ancora legata a quel test d'ammissione che avrebbe dovuto affrontare tra due settimane e che stava cercando di preparare. Tuttavia continuava ad immaginare i suoi amici in piscina, al parco oppure in un luogo fresco senza di lei e doveva ammettere di essere un po' invidiosa.
Eppure, soltanto l'anno scorso, avevano passato il tempo insieme ipotizzando cosa avrebbero potuto fare alla fine del liceo, tuttavia nessuno avrebbe potuto fare certe previsioni.
Bulma un anno fa non conosceva nemmeno Vegeta, e di certo non credeva che avrebbe ottenuto, e perso, una borsa di studio e ancora meno poteva immaginare di aspettare un bambino a più di mese di distanza dal suo diciottesimo compleanno.
Molte cose possono cambiare nel corso di un anno.
La sola scappatoia dall'afa estiva era la finestra spalancata della sua camera da letto, dalla quale giungeva una lieve brezza di tanto in tanto. E sebbene avesse anche un piccolo ventilatore, perché sua madre aveva insistito che restasse al fresco, non pareva essere sufficiente.
Bulma era tutta sudata, e si era vista costretta a sollevare la canottiera che indossava sopra il pancione per dargli un po' d'aria. La stoffa copriva solo il suo seno pieno ed ingrossato.
Ci aveva fatto caso spesso negli ultimi tempi, la sua sinuosità era ingigantita al pari del suo ventre e quando le era capitato di guardarsi allo specchio, con quei grossi seni pieni, si era ritrovata a pensare a Vegeta, se a lui sarebbero piaciuti. Forse gli sarebbe piaciuto poterlo toccare ed in cuor suo, Bulma avrebbe tanto voluto poterglielo permettere.
Quando il pensiero si rivolse al suo ragazzo i suoi occhi si scostarono sul suo cellulare, adagiato sulla scrivania ingombrata di libri, quaderni e del suo computer che stava utilizzando per lo studio.
Dopo la loro ultima conversazione erano rimasti d'accordo che, indipendentemente dagli impegni accademici di Bulma, se Vegeta ne avesse avuto l'occasione l'avrebbe comunque chiamata. D'altra parte le telefonate non potevano durare più di cinque minuti e lei gli aveva spiegato che preferiva sentire la sua voce di tanto in tanto piuttosto che non avere sue notizie troppo a lungo. Soprattutto dopo aver notato il suo viso contuso la volta scorsa, della quale non aveva ottenuto alcuna spiegazione.
Doveva solo avere ancora un po' di pazienza tuttavia, superato l'esame tra due settimane, agosto sarebbe stato dietro l'angolo e con esso il suo compleanno. Per allora sarebbe stata in grado di fargli visita senza la necessità di una balia. Goku e la sua famiglia erano stati molto gentili e il signor Bardack si era dimostrato un cicerone molto discreto, ma Bulma sentiva la sua presenza alle spalle ogni volta che parlava con Vegeta. Ancora poco e sarebbero stati liberi di dirsi tutto quello che volevano. Magari avrebbe avuto l'occasione di chiedergli se i seni così grossi erano di suo gradimento.
Purtroppo per il momento doveva accontentarsi di un telefono silenzioso. Per oggi sembrava che Vegeta non avrebbe chiamato, l'orario sarebbe scaduto a breve e di lui neanche l'ombra.
Bulma cacciò il pensiero e riprese a studiare al meglio delle sue possibilità, ma non era certo facile se al già oppressivo caldo si aggiungeva un nascituro che aveva deciso di rivoltare il suo utero in cerca di una posizione comoda... o di qualcosa da fare.
La ragazza si poggiò una mano alla pancia, accarezzandosela nella speranza di tranquillizzarlo, ma oggi la piccola peste era parecchio sveglia. “Ti prego, cerca di stare fermo lì dentro, la mamma deve concentrarsi” gli disse nella speranza che lui potesse comprendere le sue parole.
Adagiò la penna che stava utilizzando sul tavolo e girò la sedia per fare in modo che il pancione non stesse sotto la scrivania. Si accarezzò il ventre con entrambe le mani “Andiamo piccolino stai buono” cercò di convincerlo e questa volta funzionò.
Un leggero tonfo attirò la sua attenzione, solo per scoprire che la biro era scivolata lungo il suo quaderno, era rotolata sulla superficie del tavolo ed era finita al suolo prima che lei potesse fare nulla per fermarla.
Questo era un problema bello grosso.
Bulma sospirò scontenta e provò ad alzarsi dalla sedia. Era, e si sentiva, davvero enorme di questi tempi avendo l'impressione che pure lei potesse andare giù per una collina rotolando come aveva fatto la penna. Per sollevarsi, infatti, fu costretta ad appoggiare il suo peso sulla scrivania poggiandosi sul braccio destro.
Una volta in piedi, si adagiò la mano destra sul punto più basso della pancia, senza smettere di tenersi al mobile, e si portò accanto alla penna che la guardava dal pavimento deridendola.
Piegandosi sulle ginocchia si abbassò fino a quanto ne fu in grado nella speranza di poter raggiungere la biro. Riuscì a sfiorarla con la punta del medio destro, intrappolandola tra due dita. Con somma soddisfazione riuscì miracolosamente ad alzarsi e senza bisogno di chiamare un carroattrezzi per farlo.
Tuttavia di tutte le cose per la quale era stata costretta a prestare attenzione, quella che non aveva previsto era il fatto che la sua mano sinistra aveva sfregato contro un libro sulla scrivania che fuoriusciva dal bordo del tavolo. A furia di muovere il tomo anch'esso, assieme a molti fogli e blocchi d'appunti, crollò al suolo.
Bulma li guardò sconfortata. Aveva impiegato almeno cinque minuti per raccogliere solo una penna, per recuperare tutto ciò che era finito a terra ci sarebbe voluto il resto del pomeriggio. La cosa peggiore di tutte era che non poteva nemmeno posticipare l'incombenza, poiché quello era il libro di testo dalla quale stava studiando.
Sconfortata, ma non arrendevole, cominciò l'operazione di recupero del libro.
“Toc toc! Ti ho portato qualcosa da mangiare e da bere” proruppe sua madre entrando in camera sua con un vassoio. “Mamma!” piagnucolò Bulma, che non era mai stata così felice di vederla “Aiutami ti prego” mormorò esausta e supplichevole.
Panchy osservò la situazione e comprese l'ostacolo che stava affrontando la figlia, “Ci penso io cara” la rassicurò adagiando il portavivande sulla scrivania ed infilando una bottiglia d'acqua fresca nelle mani della figlia. Bulma non se lo fece ripetere e bevve una lunga sorsata della dissetante bevanda.
“Ho chiamato la dottoressa oggi” la informò la donna mentre si occupava di raccogliere i primi superstiti dal suolo “Abbiamo deciso che dopo l'esame dovrai fare una visita di controllo ogni settimana fino al parto” disse poggiando il libro ed alcuni fogli sulla scrivania. Bulma sospirò, non le piacevano gli accertamenti dal medico, si sentiva a disagio, “È proprio necessario?” brontolò “Sì lo è” tagliò corto la madre.
La ragazza si arrese, era per il bene del suo piccolo e non protestò più di tanto.
Panchy recuperò l'ultimo foglio e si ritrovò a guardarlo, “Oh, state già pensando al nome? Il libro ti è stato d’aiuto?” notò, la figlia annuì “Sì, sto cercando di restringere il campo, ma ce ne sono un paio che mi piacciono” la informò sorridendo.

***

Le cosa migliore del periodo estivo, era che molti dei prigionieri preferivano l'aria aperta, dedicandosi a sport di squadra o al bighellonaggio lontani delle mura vecchie della prigione.
Lui era più affine al sollevamento pesi ed era decisamente l'attività che preferiva di più quando ne aveva la possibilità. E non c'era nessuno a disturbarlo se tutti gli altri si trovavano in cortile.
In aggiunta a ciò l'ora di libertà stava giungendo al termine e molte persone avevano rinunciato all'attività nella piccola stanza adibita a palestra. Era rimasto da solo ad alzare la barra dei pesi, mentre era sdraiato sulla panca.
Con forza i suoi muscoli spinsero l'asta verso l'alto a ritmo regolare. Uno, due... uno, due... uno, d...
All'improvviso non gli fu più possibile sollevare i pesi che erano diventati più gravosi. Scioccato dall'improvviso cambio di carico, sollevò il capo accorgendosi che qualcuno stava tenendo le mani premute sulla barra aggiungendo la sua forza ed il suo peso per impedirgli di sollevarlo.
“V... Vegetuccio” farfugliò Rikoom nel tentativo di liberarsi della sua presa. Infastidito dall’odioso nomignolo, l'altro aumentò la forza con la quale stava premendo la barra che si avvicinò pericolosa alla gola del colosso.
“Voi idioti mi state sottovalutando, pensate davvero che basta tendermi un agguato per spaventarmi?” il baricentro si abbassò ulteriormente e l'asta cominciò a premere contro la pelle dell'uomo sdraiato che cercava comunque di combattere. “L... lasciami” farfugliò Rikoom che essendo svantaggiato non riuscì a controbattere la pressione che stava opponendo Vegeta sulla barra, “L'unica cosa che avete ottenuto è stata quella di farmi arrabbiare e ora ve ne farò pentire” ringhiò l'assalitore.
Vegeta si avvicinò all'orecchio di Rikoom “Avvisa il tuo caro Ginew di tenere gli occhi sempre bene aperti qui dentro” gli sussurrò.
“Ehi! Che succede lì?” tuonò una guardia che si trovava nei paraggi. Vegeta lasciò la presa ed abbassò le braccia “Proprio nulla” rispose a fil di voce, un sorriso enigmatico sul volto.
Rikoom sollevò la barra appena ne ebbe l'occasione e la ripose sugli agganci dietro la sua testa. A fatica annaspò in cerca d'aria. Si appoggiò una mano al collo e si rimise seduto sulla panca. “Ti pentirai di averlo fatto, Vegeta” gli ringhiò contro.
L'altro si voltò a guardarlo, il ghigno si accentuò in uno sguardo crudele, “Staremo a vedere” concluse Vegeta, uscendo dalla stanza a seguito del secondino.


CONTINUA…

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Capitolo 29
*** Un'immagine residua ***


d
ENTER MY WORLD

Un'immagine residua

“Ha finito presto Signorina Bulma, è sicura di non voler verificare le sue risposte un'ultima volta prima di consegnare?” le domandò Wish quando lei gli mise tra le affusolate dita il test compilato. La giovane scosse il capo “No, ho già controllato più di una volta e credo di non avere nulla da aggiungere” lo rassicurò.
Bulma aveva impiegato due ore e mezza, delle sei concesse, per concludere il compito che aveva trovato davanti. Era stato duro, lo studio che aveva affrontato nelle scorse settimane era valso la pena, ma si sentiva soddisfatta del risultato. Nessuna domanda era stata eccessivamente complicata e di intoppi veri e propri, che l'avevano costretta a bloccarsi per cercare una risposta dimenticata nella sua mente, non erano stati né troppi né troppo impegnativi.
Era la migliore studentessa della sua classe, del suo anno e forse anche della sua età, non per nulla quella borsa di studio era dapprima andata a lei.
Whis le sorrise, notando l'incredibile sicurezza sul viso della giovane “Molto bene. Sono sicuro che il suo voto sarà eccellente” “È quello che credo anch'io” commentò lei.
“Beh, è libera di andare, dunque. E mi auguro che si farà onore alla facoltà così come si è distinta anche qui da noi” le disse il professore, facendole cenno di accomodarsi alla cattedra per le procedure di rito prima di lasciare l'aula.
Salutati anche gli altri docenti, Bulma uscì dalla classe sentendosi una persona nuova. Aveva appena dato l'esame per la quale aveva studiato senza sosta per l'ultimo mese, senza contare tutto il tempo impiegato per dimostrare di essere meritevole della borsa di studio. Ora era libera, almeno per un po'.
Dopo essere stata in bagno, necessità di una donna incinta, si avviò a testa alta verso l'uscita del plesso scolastico. A pochi passi dall'ingresso si bloccò.
Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe messo piede in quell'edificio, nella quale aveva passato gli ultimi anni. Le fece un po' paura, stava per affrontare un'avventura sconosciuta.
“Ci siamo piccolo mio” sussurrò al bambino, uscendo da quella porta entrambi avrebbero dovuto affrontare una nuova vita, anche se in modi molto diversi.
Bulma si fece coraggio e riprese a camminare.
“Ehi ragazzina, vedi di laurearti, sono stato chiaro?” le disse una voce alle sue spalle, prima che la luce del giorno che filtrava dalla porta facesse in tempo a sfiorarle il viso.
Si voltò per vedere Lord Beerus in mezzo al corridoio, in mano quello che sembrava essere un budino, che la fissò con un'espressione seria. Bulma fu piuttosto sorpresa, Lord Beerus era sempre stato l'incubo degli studenti, il vicepreside dal pugno di ferro che puniva gli alunni indisciplinati con eccessiva disciplina. Tuttavia Bulma non aveva mai avuto problemi con lui e stando a quello che aveva raccontato Wish era a lui che doveva la possibilità di trovarsi lì quel giorno.
Ora che ci pensava, non aveva mai avuto modo di dimostrargli la sua gratitudine. “Grazie di tutto Signor Beerus” “Tsk! Sparisci da qui ora e non farmi perdere tempo” brontolò lui sventolando la mano con la quale reggeva un cucchiaino. Dopodiché si voltò e si allontanò assaggiando il suo dolce.
Bulma gli udì esclamare quanto era squisito il suo dessert prima di vederlo sparire dietro l'angolo.

***

I suoi genitori si erano raccomandati di chiamare appena avesse finito l'esame, così da farsi venire a prendere davanti alla scuola, ma Bulma aveva preferito non disturbarli. Non sapeva quando avrebbe finito il test e non voleva rischiare di far fare loro un inutile avanti e indietro. Testarda decise di prendere l'autobus così come aveva sempre fatto prima della fine dell'anno scolastico.
Col senno di poi era stata una pessima idea.
Non aveva tenuto conto di molti fattori, tra giugno e luglio le temperature erano salite in maniera considerevole e il caldo rendeva tutto più faticoso. In aggiunta a ciò la sua pancia era ormai gigantesca, nonché doppiamente pesante rispetto a prima.
Se a questo si aggiungeva quella strana camminata scodinzolante, che sembrava affliggere donne in stato avanzato, tutto era diventato molto più faticoso. Eppure la sua fermata dell'autobus non era troppo distante da casa, ma non le era mai sembrata così lontana.
A metà strada fu costretta a fermarsi essendo esausta e sudata. Sentendo di non poter muovere più un muscolo si guardò attorno. C'erano due buone notizie, notò subito. Dal lato opposto della strada c'era una gelateria che non sembrava avere troppa gente in attesa. La seconda erano alcune panchine poco più in là all'ombra.
Era un perfetto luogo dove sedersi e tirare il fiato.
Si era accomodata da almeno dieci minuti a mangiare il suo gelato quando un volto familiare si presentò al suo cospetto.
Yamcha le sorrise cordiale “Ciao, pensavo avessi l'esame oggi” la salutò. Bulma lo guardò un po' sorpresa nel vederlo lì, ma in realtà non avrebbe dovuto essere poi troppo meravigliata. Dopotutto non abitava molto lontano e la bici che teneva con una mano le suggerì che era uscito per farsi un giro. “Ho finito presto, stavo giusto tornando a casa, ma avevo bisogno di una pausa” gli spiegò. “Oh, allora com'è andato?” s'informò cortese “Direi bene, non era troppo complicato” minimizzò lei. Yamcha le sorrise “C'era da aspettarselo”.
“Perché non mi fai compagnia?” Bulma picchiettò una mano sulla panchina, lui parve indeciso per un istante. Il sorriso che le diede era ancora quello un po' distante che aveva ormai imparato a riconoscere.
Era sempre gentile, ma c'era un certo distacco emotivo nascosto dietro la sua cordialità.
“Sicuro, prima se non ti dispiace andrei a prendermi un gelato anch'io” additò il cono, ormai ridotto alla punta del biscotto, che lei stava ancora mangiando. Adagiò la bicicletta alla panca e fece un passo verso la gelateria. “Aspetta!” lo bloccò lei “Ti dispiace...” si vergognò un po' “Ti dispiace prenderne un altro anche a me?” chiese a disagio.
Era sempre un po' imbarazzante far vedere agli altri quanto cibo stava ingurgitando ultimamente, ma era davvero un ottimo gelato e la sua gola le suggerì che ne voleva un secondo davvero, davvero davvero tanto.
Yamcha annuì “Sicuro, non c'è problema. Che gusto lo vuoi?” “Fragola e potresti portarmi anche una bottiglietta d'acqua? Mia madre mi uccide se scopre che non bevo abbastanza”.


***

“Hai progetti per i prossimi giorni, visto sei libera adesso?” le chiese Yamcha, accartocciando il fazzoletto con la quale aveva tenuto in mano il suo gelato, ormai dissipato nel nulla. “Stavo pensando di andare a scalare una montagna, ma qualcuno mi ha detto che non si può fare” ironizzò Bulma, sorseggiando dalla bottiglietta d'acqua. Il ragazzo emesse una sorta di risata leggera.
La giovane si strinse nelle spalle “Quello che so è che dalla prossima settimana dovrò andare dal dottore ogni mercoledì, per il resto non ho molto altro che posso fare” gli spiegò. Bulma abbassò lo sguardo sul ventre e lo accarezzò “Però mi piacerebbe andare a trovare il papà” aggiunse forse parlando più col bimbo che con l'amico.
Yamcha osservò le dita di lei per un attimo ed in seguito scostò lo sguardo, strinse il pugno, deglutì “Che tipo è... lui?” domandò.
Lei lo guardò con sorpresa, era la prima volta che l'amico le faceva domande sul padre di suo figlio “Cosa vuoi sapere? Si chiama Vegeta, ha venticinque anni gestisce un bar, gli piace guidare una moto. È un po' scontroso, ma è una brava persona” “Una brava persona?”. Bulma ebbe una brutta sensazione nel modo in cui il ragazzo ripeté quelle tre parole.
“Perché, ti sembra tanto strano?” mormorò un po' sospettosa. “Sì, se è tanto una brava persona allora perché è finito in carcere?” la domanda di Yamcha sembrò celare un velo di risentimento. Bulma si sarebbe alzata in piedi con indignazione, se ne fosse stata in grado. “Cosa vorresti dire? Guarda che non è un delinquente, non ha ucciso nessuno o rapinato una banca” tentò di girarsi per guardarlo negli occhi, ma lui stava guardando altrove, “È dentro perché è stato coinvolto in una rissa, ha un bar e cose di questo genere capitano spesso... credimi”.
A sua insaputa, il ragazzo si esibì in una smorfia dimostrando la sua poca convinzione. “D'accordo scusa, non avrei dovuto dire niente” tagliò corto mandando giù un boccone amaro. Erano mesi che teneva dentro quel pensiero.
Così come era da tempo che ne teneva in serbo un altro che non riuscì a trattenere “ È solo che non posso ancora credere che tu abbia fatto certe cose” mormorò in un sussurro. Bulma aggrottò le sopracciglia, “Fatto cosa?” chiese dopo un paio di secondi di silenzio “Sesso o essere rimasta incinta?” precisò brutale.
Yamcha dovette pensarci su, “Non lo so... forse entrambe le cose” ammise anche a se stesso. “Beh mi dispiace Yamcha, so che tu hai sempre provato dei sentimenti per me, ma sai bene che non sono mai stati corrisposti” “Lo so” “E allora cosa? Ti aspettavi che sarei rimasta casta e pura per sempre nella speranza di svegliarmi un giorno follemente innamorata di te?” sbottò la ragazza.
Yamcha si alzò all'improvviso “No... non era ciò che credevo. Forse non me lo aspettavo” ammise “Forse avevo un'immagine diversa di te. Oppure ero convinto che a te certe cose non interessassero” afferrò la sua bici, “Ad ogni modo non volevo farti arrabbiare. Ti chiedo scusa”.
Bulma non ebbe il tempo di aggiungere altro, lui salì in sella “È tardi, devo tornare a casa e dovresti farlo anche tu, i tuoi genitori saranno preoccupati” detto ciò poggiò il piede sul pedale e cominciò a pedalare sulla pista ciclabile, sparendo ben presto dalla sua vista.
Lei rimase impietrita senza avere in tempo di protestare. Si era tristemente abituata agli sguardi degli estranei che la fissavano come se fosse una poco di buono, aveva imparato ad ignorarli, ma che un pensiero del genere venisse da uno dei suoi più cari amici faceva davvero molto male.


CONTINUA…

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Capitolo 30
*** Bisogno di parlare ***


d
ENTER MY WORLD

Bisogno di parlare

Radish si era messo in coda per l'utilizzo del telefono da diversi minuti ormai, in attesa del suo turno. Erano rimaste solo due persone davanti a lui.
Annoiato si guardò attorno osservando i prigionieri immersi nelle loro personali conversazioni telefoniche, nella speranza di vedere qualcuno allontanarsi. Ci fu un movimento e Radish poté notare che uno degli apparecchi era appena stato abbandonato, ora mancava solo una persona.
Si accorse che Vegeta era riuscito a raggiungere uno dei telefoni e stava discutendo con qualcuno di misterioso dall'altro lato della cornetta.
Non era raro che individuasse anche il suo compagno di cella agli apparecchi telefonici, ma Radish non aveva la minima idea con chi stesse chiacchierando. Vegeta era una fonte inesauribile di misteri, e ogni volta che cercava di aprire una conversazione con lui finiva sempre per parlare da solo o veniva zittito bruscamente.
Aveva notato che Vegeta andava a telefonare una o due volte a settimana, ma era impossibile sapere a chi. Radish non sapeva se avesse dei genitori, degli amici una compagna o se fossero chiamate di lavoro.
Inoltre non aveva molti indizi inerenti ad eventuali persone care, contrariamente alla maggior parte dei carcerati, Vegeta non aveva fotografie appese alla parete che aveva invece lasciato scarne e prive di carattere. Non parlava mai della sua vita fuori dal carcere, restava sempre silenzioso e distaccato.
Anche quando erano chiusi in gabbia, si limitava a starsene per conto proprio, sdraiato sulla sua branda o facendo qualche esercizio fisico per non restare fuori allenamento.
Radish si era ritrovato a chiedersi se gli capitava mai di pensare ai suoi cari quando di notte si spegnevano le luci e tutto diventava silenzioso, come accadeva a molti altri. Senza che se ne fosse reso conto, la persona di fronte a lui si scostò trovando un telefono libero. Al tempo stesso anche un altro posto si liberò.
Il secondino davanti alla fila gli fece cenno di avvicinarsi. Radish raggiunse l’apparecchio che risultò essere vicino a Vegeta.
“... andare così spesso dal dottore?” stava chiedendo il compagno di cella, mentre Radish iniziò le procedure per poter cominciare una conversazione a sua volta. Vegeta, non parve accorgersene “Fino a quando?” continuò a dire.
Senza fare troppo caso a lui, l'altro si adagiò la cornetta all'orecchio ed attese di sentire una risposta. “Tsk, io non sono affatto preoccupato” brontolò Vegeta.
Una voce dall'altro capo del telefono lo distrasse dalla conversazione dell'altro prigioniero “Radish?” “Ciao papà” rispose “Come vanno le cose?”. Bardack ci pensò su per un istante “Tutto bene” “Tipico di papà”, pensò tra sé l'uomo, le sue risposte erano sempre troppo vaghe.
Tramite la cornetta udì delle voci sullo sfondo, forse la madre e il fratellino. Eppure quella non sembrava la voce della mamma, “Che succede lì?” chiese curioso. La risposta di suo padre arrivò con qualche secondo di ritardo “Un'amica di Kakaroth è venuta a trovarlo” “Kakaroth ha… un'amica? Da quando il tonto s'è svegliato?” commentò sarcastico il maggiore. “Non chiamarlo così” lo rimproverò suo padre “Ti passo tua madre” aggiunse frettoloso.
“Aspetta pap...” ma Bardack aveva già passato il ricevitore alla moglie “Radish! Come stai? Sei riuscito a parlare con tuo padre?” esordì Gine. “Sì, un po'” non poteva aspettarsi molto di più da lui “Mi ha detto qualcosa su un'amica di Kakaroth” riferì.
A quell'affermazione sentì sua madre ridacchiare “È molto carina. Ti passo tuo fratello” “No! Mamma non far...” “Ehilà Radish!” suonò la voce del più piccolo.
Radish sospirò “Impiastro, non dirmi che ti sei trovato una fidanzatina?” “Cosa? No, Chichi è soltanto un'amica” il maggiore sbuffò “Devo proprio spiegarti tutto, fratellino” disse.
“Dannazione!” sbottò all'improvviso Vegeta, distraendo Radish dal discorso col fratello. Gli vide poggiare la cornetta sul gancio con un po' troppa enfasi.
Era capitato a tutti, il tempo terminava sempre troppo velocemente, soprattutto quando si era immersi in una conversazione importante. I cinque minuti non erano mai abbastanza.

***

Mancava poco alla fine della giornata, quando le luci si sarebbero spente lasciando i prigionieri ai loro pensieri e alle loro preoccupazioni.
Vegeta si sentiva di strano umore quel giorno, come se la reclusione e la lontananza da casa stesse cominciando a farsi sentire. Aveva parlato con Bulma quel pomeriggio e sebbene questa non fosse una novità, lei aveva parlato di parto e visite di routine. Questo gli diede una sensazione di concretezza, settembre non era molto lontano, dopotutto luglio stava per concludersi. Quel bambino stava arrivando e sarebbe nato prima che il futuro papà potesse rendersene conto.
Radish era sdraiato sulla branda e gli stava raccontando di qualcosa che riguardava il fratello, ma Vegeta non gli prestò più di tanta attenzione.
Il barista aveva le spalle appoggiate alle sbarre, questo gli consentì di notare il movimento accanto alle celle un piano sotto rispetto alla loro. Un secondino camminò spedito fino a raggiungere una prigione e si sporse per parlare con uno dei carcerati al suo interno.
La conversazione tra i due durò alcuni minuti, prima che la guardia si allontanasse. Il prigioniero cominciò ad urlare attirando su di sé l'attenzione dell'intero carcere. “Sì! È nata la mia bambina!” stava dicendo.
Inutile dire che non tutti i carcerati erano interessati alla vita dell'individuo e ben presto proteste e inviti non troppo cordiali di tacere si levarono dalle celle. C'era chi era genuinamente infastidito, chi invece era più interessato a far baccano.
Essendo qualcosa di nuovo ed insolito anche chi non aveva nulla da dire si affacciò alle sbarre per osservare la scena.
Radish fu uno di quelli che decise di curiosare, avvicinandosi alla grata per guardare ciò che stava accadendo.
“Chi se ne frega!” stava gridando qualcuno “Taci idiota o ti ammazzo” “Tappati la bocca imbecille” erano solo alcune delle frasi che venivano urlate all'indirizzo dell'uomo, troppo al settimo cielo per farci caso.
Vegeta l'osservò in silenzio. Quale sarebbe stata la sua reazione quando un secondino lo avrebbe avvicinato per dargli la stessa notizia?
Non si sarebbe messo a gridare, questo era certo, ma cominciò a domandarsi cos'avrebbe fatto. Bulma stava per raggiungere l'ottavo mese e con un po' di nervosismo Vegeta si accorse che presto avrebbe scoperto quale sensazione avrebbe provato.
“Idiota, sta zitto!” gridò Radish, pur di fare un po' di baldoria. In realtà non era infastidito dalla reazione del neo-padre, ma si ritrovò a pensare che stava esagerando, non capiva proprio cosa lo costringesse a fare tutto questo casino.
Un bambino è un bambino, ne nascono a migliaia ogni giorno, perché questo doveva essere diverso? Perché l'intero carcere doveva esserne informato?
“Tsk, quante storie per una cosa tanto stupida” commentò poi, voltandosi a guardare il compagno di cella.
Vegeta era rimasto in silenzio, osservando la scena a braccia incrociate “Tu non credi?” gli chiese Radish, pur notando che l'altro sembrava stranamente pensieroso.
“Mio figlio nascerà tra un mese” spiegò all'improvviso, lasciando Radish di stucco.
Non fu tanto per la rivelazione, o forse anche per quella, ma per il fatto che per una volta Vegeta gli aveva raccontato qualcosa di sé.
Radish si ricordò gli stralci di conversazione che aveva sentito vicino ai telefoni e si rese conto che Vegeta stava parlando di dottori e visite mediche. Ad un tratto quel discorso trovò un senso. La conversazione era con la sua ragazza, fidanzata o moglie che fosse.
“D... davvero?” balbettò incredulo “Beh, ehi, congratulazioni” gli disse. Vegeta si voltò a guardarlo “Che diamine stai dicendo? Non è ancora nato” puntualizzò tornando di nuovo ad essere il solito brontolone.
Seccato dal suo stesso comportamento e dal momento di debolezza, Vegeta andò a sdraiarsi sulla branda. Non seppe perché aveva finito per raccontare qualcosa di personale a uno come Radish, ma dopo mesi di silenzio nella quale non aveva mai avuto occasione di dare la notizia a qualcuno forse ne sentiva semplicemente il bisogno.
Le luci nella sala si spensero e pochi istanti dopo le voci si acquietarono fino a zittirsi del tutto.


CONTINUA…

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Capitolo 31
*** Una scomoda posizione ***


d
ENTER MY WORLD

Una scomoda posizione

All’inizio del suo ottavo mese di gravidanza, Bulma scoprì suo malgrado che non esisteva una posizione nella quale stare comoda. Che fosse in piedi, seduta o sdraiata, di schiena o sul fianco, una o più parti del suo corpo avrebbe sofferto acciacchi e dolori.
Le sue gambe, i suoi glutei o la sua schiena qualcuno era destinato a patire un agonizzante tormento. Le era stato suggerito di muoversi spesso e con attenzione, ma era più facile a dirsi che a farsi. Al di là del fatto che la sua pancia e il suo intero corpo erano di proporzioni gigantesche a questo punto, facendola sentire una balena arenata qualunque posa assumesse, ma se a ciò si aggiungeva il torrido caldo di inizio agosto le cose non facevano che peggiorare.
Senza contare che non aveva energie. Ultimamente stava dormendo poco e male, il piccoletto aveva la brutta abitudine di svegliarsi in piena notte e muoversi come se avesse deciso di esibirsi nelle più complesse acrobazie, incurante dello stato di sua madre.
In una particolare giornata afosa e rovente, il suddetto cetaceo si era spiaggiato nel giardino sul retro della casa. Bulma aveva preso possesso di uno sdraio e si era sdraiata su di esso incurante del dolore alla schiena.
L’intenzione era quella di abbronzarsi almeno un po', tanto non aveva la forza di fare molto altro. Certo, l’intento si rivelò presto un’impresa, poiché sua madre l’aveva ricoperta con l’ombrellone, assicurandosi di non esporsi al sole diretto. Di norma avrebbe protestato, ma la mancanza di vitalità la costrinse ad arrendersi ben presto.
Altrettanto preoccupato per la salute della figlia, e del nipote, suo padre aveva trascinato fuori casa un ventilatore e, tramite prolunghe e cavi, glielo aveva posto accanto per tenerla al fresco.
Per un po' riuscì a sentirsi a suo agio.
Il campanello della porta suonò, Bulma udì sua madre andare ad aprire. Non molto tempo più tardi Crilin ed i gemelli la raggiunsero sul retro. Tutti e tre indossavano abbigliamenti da mare, con tanto di occhiali da sole e costume da bagno.
“Dove state andando?” domandò la ragazza, dopo aver notato il vestiario dei suoi amici, “In piscina!” esclamò Crilin con un sorriso entusiasta. “Vogliamo andare in quella con gli scivoli in centro” aggiunse Lazuli.
Bulma cercò di mettersi seduta, ma l’operazione fu lenta e complicata, “E come pensate di arrivarci? È lontana da qui” puntualizzò dopo essere riuscita nell’impresa. Lapis le mostrò un mazzo di chiavi appartenente ad un’automobile “In macchina” le disse senza nascondere una certa soddisfazione.
Nel mese di maggio i gemelli erano diventati maggiorenni. Al termine della scuola avevano studiato per ottenere la patente, per la felicità del ragazzo. Ora del gruppo di amici Bulma e Crilin erano rimasti gli unici minorenni, ma a differenza di quest’ultimo, la ragazza avrebbe dovuto attendere solo un paio di settimane prima di raggiungere la maggiore età. Crilin era costretto ad aspettare per altri tre mesi.
“Vostro padre vi ha dato la macchina?” volle sapere Bulma, un po' perplessa. I gemelli si scambiarono uno sguardo d’intesa “Certo” rispose Lapis, ma non fu difficile immaginare che la verità fosse tutt’altra.
Nessuno dei due aveva un buon rapporto con il padre adottivo e non sarebbe certo stata una sorpresa se l’auto fosse magicamente sparita dal garage a discapito di permessi che con ogni probabilità non erano stati concessi.
“Siamo venuti a chiederti se vuoi venire anche tu” cambiò argomento Lazuli, “Credi che mi lasceranno andare sugli scivoli?” ci pensò “Anche volendo, dici che riesco a passare su uno scivolo” ironizzò. “Non preoccuparti! Ci sono anche le piscine basse o senza scivoli” la rassicurò Crilin “Davvero?” “Sì, Crilin ha controllato sul sito” rincarò la dose Lazuli, sorridendo al ragazzo che arrossì.
Bulma lo fissò a sua volta, “Grazie Crilin! In questo caso vengo volentieri” esclamò, dopotutto non era una cattiva idea. “E Yamcha? Ci aspetta lì?” chiese cominciando ad alzarsi. I tre amici si guardarono reciprocamente “Yamcha non viene” la informò Lazuli “Ha detto che aveva delle cose da fare” aggiunse Crilin. Bulma si fermò e si voltò verso di lui “Quali cose?” “Non me l’ha detto” rispose il ragazzo.
Bulma si sentì afflitta. Dalla loro ultima conversazione le cose tra loro erano rimaste piuttosto tese. Si erano visti da allora, certo, ma sempre e solo in presenza degli altri e anche in quelle occasioni i dialoghi erano brevi e freddi. Non le fu difficile intuire che le cose che aveva da fare erano quelle di evitarla. Si tenne il pensiero per sé, essendo il resto del gruppo all’oscuro di ciò che si erano detti quel giorno. “Capisco” mormorò mestamente.
“D'accordo, basta che vi muovete” li esortò Lapis, la sorella si voltò verso di lui, “A te interessa solo guidare fino a lì” notò. Il gemello alzò le spalle “E allora?” ammise.
Bulma riuscì ad alzarsi, “Dammi il tempo di prepararmi” disse.
Non aveva fatto che pochi passi, prima di fermarsi all’improvviso “Ehi ragazzi… vi dispiace se invito anche qualcun altro?” domandò.

***

“Ehilà! Io sono Goku!” si presentò il giovane appena li raggiunse alla piscina. “Ciao Goku, hai avuto problemi ad arrivare?” lo accolse Bulma appena li raggiunse.
Lui sorrise trasmettendole ancora una volta quell'immancabile simpatica che lo contraddistingueva. “No è stato facile” le rispose.
All’improvviso sembrò che gli balzasse alla mente un’idea “Oh! Ti saluta la mamma, dice di chiamarla così possiamo andare a trovare Radish e Vegeta” “Grazie, lo terrò presente. Siete andati a visitare tuo fratello di recente?” s’informò Bulma. Goku annuì “Sì siamo passati due giorni fa” le riferì.
“Ottimo! Vieni, ti presento i miei amici, loro sono Crilin, Lazuli e Lap… dov’è Lapis?” chiese rivolta alla sorella del ragazzo. Lei alzò lo sguardo al cielo “Ha visto qualche ragazza carina ed è andato a provarci… è convinto di essere irresistibile ora che può guidare” spiegò un po' indignata. Bulma si limitò a ridere.
“Ehi… ehm, Goku, giusto? Pratichi le arti marziali?” gli domandò Crilin, indicando la maglietta che l’altro indossava. Così come il giorno in cui Bulma l’aveva conosciuto, Goku portava un indumento del suo team. Evidentemente trovava quegli abiti molto comodi. “Sicuro! L’anno prossimo vincerò le nazionali giovanili” gli rispose. “Wow, allora devi essere bravo” esclamò l’altro ragazzo. Goku gli mostrò due dita in segno di vittoria, accompagnate dal solito sorriso.
“Anch’io ho praticato le arti marziali sai?” gli disse Crilin, “E da quando?” commentò Lazuli al suo fianco “Q… quando ero piccolo. Però non ero molto bravo e ho smesso” “Davvero? Devi farmi vedere cosa sai fare allora” esultò Goku, sfilandosi la maglietta e gettandola sul suo zaino che aveva adagiato assieme a quelli dei suoi nuovi amici.
Il ragazzino si guardò attorno, adocchiando uno spiazzo libero nella quale andare ad esercitarsi, “Andiamo Crilin!” esclamò additando il luogo che aveva individuato. “Eh? Ah certo” mormorò l'altro.
Nonostante Goku fosse più giovane e dall’aspetto gracile, Crilin era comunque molto più basso di lui.
Tuttavia, contagiato dal naturale entusiasmo del ragazzo, Crilin decise di seguirlo, ma prima di farlo si fermò per baciare Lazuli su una guancia. I due si allontanarono tra la folla senza più voltarsi indietro.
“Beh, ci hanno lasciato tutti da sole” notò Bulma vedendo i due amici sparire. Era sicura che Goku non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad inserirsi nel gruppo. Se c’era una cosa che aveva capito di lui dal primo momento in cui lo aveva visto era che la sua energia era inesauribile. “Spero che Crilin non si faccia male” si preoccupò Lazuli.
Bulma si poggiò entrambe le mani dietro la schiena, per sostenere il peso del grembo gravido, poi si guardò attorno notando la piscina per i bambini. Non se la sentì più di stare in piedi, “Senti Lazuli, ti va di accompagnarmi?” le domandò indicando la vasca. L’altra ragazza annuì.
Per entrare in acqua fu costretta ad usare l’apposita scaletta e dovette fare bene attenzione a dove metteva i piedi, cosa assai complicata in sé poiché erano mesi che non riusciva neanche più a vederseli. Una volta dentro tuttavia, le parve di essere rinata all’improvviso.
All'inizio del suo ottavo mese di gravidanza scoprì che l’unico posto in cui una donna in stato interessante potesse dimenticarsi dei chili di troppo che il suo corpo doveva sostenere era a mollo nell’acqua… proprio come una balena. Si domandò perché non avesse pensato prima a questa scoperta, poiché avrebbe voluto passare lì tutti i suoi giorni. “Venitemi a pescare dopo il parto, vi prego” commentò avendo la possibilità di rilassarsi per un po'.
Lazuli preferì sedersi sul bordo della vasca, lasciando penzolare in acqua solo le lunghe gambe.
L’urlo di un bambino attirò l’attenzione dell’intera vasca, incluse le due ragazze. A bordo piscina, una madre stava cercando di tranquillizzare il suo bambino di pochi mesi. La donna sembrava esasperata, era evidente che si trovava in questa situazione molto spesso.
Bulma poggiò le spalle sul limitare della vasca, accanto all’amica, e come tutti osservò la scena. Sovrappensiero si accarezzò il pancione e si domandò se anche il suo piccolo amore sarebbe stato altrettanto turbolento o se invece sarebbe stato un angioletto. Sarebbe riuscita ad essere una buona madre per lui?
Negli ultimi tempi la parola parto veniva fuori sempre più spesso durante varie conversazioni. Non era tanto lontano, si rese conto, e questo le mise un po' di paura. Doveva ammettere che non solo sentiva di non essere pronta a dare alla luce il suo bambino, tra sangue e dolore, ma l’idea di doversi assumere così tante responsabilità nei confronti di un altro essere umano la terrorizzava.
Era troppo giovane per diventare madre e sebbene in molti la definissero matura per la sua età, lei non si sentiva all’altezza.
Al pensiero ebbe un fremito di paura e cercò di scacciare il pensiero in un angolo della sua mente, ripetendosi che sarebbe andato tutto bene. Anche se non ne era completamente convinta.


CONTINUA…

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Capitolo 32
*** Pensieri della notte ***


d
ENTER MY WORLD

Pensieri della notte

Bulma si svegliò di soprassalto, madida di sudore. A svegliarla era stato il pianto isterico di un bambino che dormiva nella stanza accanto. Necessitò di alcuni istanti prima di rendersi conto che, in realtà, non c'era nessun bambino... non ancora.
I suoi sogni erano diventati vividi negli ultimi tempi, alcuni anche troppo realistici nonostante le situazioni surreali che la torturavano durante la notte. Erano le sensazioni ad essere concrete.
Alcune notti prima aveva sognato di tenere in braccio un mostruoso alieno dagli occhi vacui che insisteva per chiamarla mamma desideroso di succhiare il latte dal suo seno. La percezione di quell'immagine fu talmente reale che per tutto il resto del giorno si sentì depressa e terrorizzata. Arrivò quasi a pensare di aver cambiato idea e di non volere questo bambino, sperando che non uscisse più da lì.
A dire il vero quelli peggiori riguardavano Vegeta. Non perché fossero terribili, al contrario. I giochi del suo subconscio le proiettavano immagini di momenti diversi, ricordi di giornate vissute insieme mischiate al desiderio che le cose potessero essere differenti.
Sognava che, arrivato il fatidico giorno, lui era lì per tenerle la mano. Oppure che stessero passando una giornata insieme come facevano un tempo, senza bambino in arrivo.
Il motivo per la quale facevano tanto male era perché, una volta dissipato il sogno, rimaneva solo l'impressione che fosse tutto vero, per poi essere distrutto quando la sua mente le sussurrava la realtà dei fatti.
Bulma avrebbe voluto tornare a dormire, quella notte, stanca, accaldata ed affaticata, ma il pargolo parve avere altri piani in serbo. Nella sua pancia decise che era un buon momento per cominciare a fare stretching, incurante che fossero le tre di notte. “Tesoro della mamma, perché devi farlo sempre a quest'ora?” gli chiese accarezzandosi il grosso ventre.
Se anche fosse riuscita a tranquillizzare l'energetico bimbetto, Bulma scoprì di avere un altro problema. Doveva andare in bagno e con sconforto si accorse che non era nemmeno più sorpresa.
Era arrivata ad un punto in cui aveva la necessità di andarci quasi ogni cinque minuti, e considerata quanta fatica e il tempo essenziale per farlo, tanto valeva viverci chiusa là dentro.
Non ebbe molta scelta se non rotolare giù dal letto, come una palla quale era, per cercare di raggiungere la toilette.
Quando aprì l'uscio della sua stanza si ritrovò ad osservare la porta della camera di Tights, solo che non era più la camera della sorella. Ormai era una nursery in tutto e per tutto, pronta ad accogliere il nuovo membro della famiglia in qualsiasi momento. All'ingresso era stata attaccata una targhetta sulla quale era incisa la parola Trunks.

***

Siccome quella notte non voleva farsi mancare niente, oltre agli incubi, ad un inquilino turbolento e la necessità di andare al bagno, Bulma decise che aveva bisogno di mangiare qualcosa, possibilmente di salato.
Le voglie alle tre del mattino erano giusto la cosa che ci voleva per completare il quadro. La sua ossessione, da circa otto mesi, era sempre stato cibo grasso e pieno di sale, patatine, popcorn, cracker, salatini e chi più ne ha. Non aveva mai mangiato così tanta roba salata in tutta la sua vita, ma negli ultimi mesi erano diventate la sua fissazione. Mangiava anche del dolce, certo, ma perlopiù preferiva il sale.
La cattiva notizia, appurò a malincuore, era che sua madre non aveva ancora fatto la spesa quella settimana e di tutte le cose che avrebbe voluto mangiare al momento ne erano rimaste poche. La notizia buona fu che, grazie al suo radar da donna incinta e desiderosa di cibo, riuscì a scovare un vecchio pacchetto di patatine nascosto su uno scaffale in alto nel mobile contenente vari snack. Era lì da chissà quanto, ma non aveva importanza. Bulma lo voleva più di ogni altra cosa.
C'era però un motivo se era sopravvissuto alla sua furia famelica, ovvero era davvero difficile arrivarci o almeno lo era per lei.
La sua pancia aveva superato di gran lunga le dimensioni di una palla da basket e si frapponeva tra lei e l'agognato pasto, premendo insistente contro la superficie del mobile sottostante quello che custodiva gelosamente il pacchetto di patatine. Se non fosse stata così grassa ci sarebbe arrivata senza troppa difficoltà solo alzandosi in punta di piedi.
Al di là del fatto che i suoi piedi non la reggevano manco piantati al suolo nella loro interezza, il sacchetto era finito molto in fondo al mobile dopo essere stato spintonato da altri viveri col passare del tempo.
Era così vicino, eppure così lontano e Bulma sentì la frustrazione farsi strada nelle sue vene, tanto che gli ormoni impazziti di una ragazza in stato interessante cominciarono a suggerirle di mettersi a piangere come una mocciosa.
“Bulma? Tutto bene?” le domandò una voce alle sue spalle e quando si voltò si accorse che suo padre era giunto in suo soccorso. “Non ci arrivo” gli disse, la voce rotta dalla demoralizzazione, sentendosi nel contempo brutta, grassa ed inutile.
Il genitore venne a darle provvidenziale supporto, recuperando le patatine senza sforzo.
Sentendosi esausta, Bulma si sedette al tavolo della cucina, appena il padre le diede il pacchetto. “Ti sei svegliato per colpa mia?” gli chiese, Brief alzò le spalle “Fa troppo caldo per dormire” la tranquillizzò, sebbene la ragione per la quale si era destato erano stati i rumori provenire dalla cucina.
L'uomo si versò un bicchiere d'acqua e si sedette accanto alla figlia per farle compagnia.
Sul tavolo erano rimasti dei documenti giunti per posta negli ultimi giorni e che qualcuno aveva tirato fuori prima di andare dormire per un ultimo consulto notturno. Tra essi, il più importante era la lettera d'ammissione giunta da parte dell'università che confermava il superamento del test da parte di Bulma. Nessuno si sorprese che la ragazza avesse ottenuto il massimo dei voti. Quello alla quale tutti erano più impreparati era la lettera d'accompagnamento che ricordava loro di pagare la prima rata all'iscrizione entro metà settembre.
Era una quota assai salata che aveva scioccato tutti. Sapevano che sarebbe stato costoso, ma non si aspettavano così tanto.
Bulma aveva inoltre sentito i suoi genitori discutere alcuni giorni prima, secondo suo padre le spese per costruire la nursery avevano superato il budget stabilito. Sebbene i suoi le avevano ripetuto più volte di non preoccuparsi dei soldi, il senso di colpa che provava nei loro confronti era spropositato. Se non fosse rimasta incinta così giovane non avrebbero avuto questi problemi.
“Allora, Bulma cos'hai deciso per la prossima settimana?” chiese suo padre distogliendola sai suoi pensieri “A che proposito?” “Il tuo compleanno” le ricordò.
“Oh” farfugliò lei... l'aveva quasi dimenticato. Era da almeno un anno che contava i giorni che la separavano dalla maggiore età, soprattutto dopo aver incontrato Vegeta. Erano stati mesi di angosciante apprensione quando aveva trovato un uomo che la faceva sentire speciale di cui però non poteva raccontare nulla a nessuno a causa di quei sconfortanti sette/otto anni di differenza. Sebbene la verità fosse venuta fuori nel modo più scomodo possibile, e prima del previsto, Bulma aveva quasi finito per scordare di essere ancora minorenne. Un bambino in arrivo ti fa sentire molto più grande per diverse ragioni. Così aveva finito per dimenticare che stava per diventare maggiorenne.
“Non voglio nulla di particolare papà. Mi basta una festicciola con voi e i miei amici” gli rispose, pensando che la se stessa di un anno fa sarebbe inorridita a questa affermazione, che invece avrebbe voluto una festa in grande stile. “Va bene, ne parlerò con la mamma” la rassicurò l'uomo annuendo ripetutamente.
Siccome la nottata era stata piena di emozioni dalle più disparate, un velo di tristezza s'insinuò nei suoi occhi “Anche se Vegeta non potrà venire” mormorò in un filo di voce.
Suo padre la fissò per un istante, sospirò “Questo ragazzo significa davvero tanto per te, eh?” notò. Bulma annuì “Sì”.
Con una mano giocò con il pendaglio arancione appeso alla sua catenina. Con la gravidanza aveva dovuto cambiare il suo stile di abbigliamento in modo radicale. I suoi abiti alla moda erano stati sostituiti da premaman ed era costretta a dormire con una vestaglia che la faceva sentire una vecchia, ma alla sua collana non avrebbe rinunciato per nulla al mondo.


CONTINUA…

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Capitolo 33
*** La fine di un epoca ***


d
ENTER MY WORLD

La fine di un epoca

Quello è il costo per l'idraulico?” sbottò Vegeta piuttosto irritato, leggendo il preventivo che il collega aveva poggiato al vetro che li separava. “È il più economico che ho trovato” gli rispose Nappa, mortificato “Non è una cosa di poco costo, Vegeta, il danno è grave ed è urgente da riparare”.
Il carcerato non parve molto felice della notizia. Nappa lo aveva avvisato che c'era stato un incidente nel bar e che era stato costretto a chiudere le serrande per salvare il salvabile. Da quanto gli aveva raccontato, qualcuno aveva intasato una tubatura che era poi esplosa allagando mezzo magazzino, rovinando la merce e creando danni a una parete.
“Ci servono soldi, se ne hai sarebbe una buona idea usarli” azzardò il colosso, “Come scusa?” domandò l'altro in un sibilo. “Io non ti do un bel niente, razza d'idiota. Non ho intenzione di pagare un centesimo per i disastri che hanno combinato gli imbecilli che tu hai assunto nel mio locale” “Nostro locale” “Sta zitto!” tagliò corto Vegeta.
Non aveva nessuna importanza che Vegeta fosse dieci volte più piccolo per massa muscolare o altezza, quando assottigliava gli occhi sotto le sopracciglia aggrottate più che mai faceva paura persino ad un gigante come Nappa. Sebbene fosse dietro le sbarre, l'omone ebbe la certezza che sarebbe riuscito a nuocerlo solo con lo sguardo.
“Ha... hai ragione, scusa” cercò di tranquillizzarlo, “Ma allora come posso fare per pagare l'idraulico?” “Non è un problema che mi riguarda. Detrailo dallo stipendio di quello che ha fatto tutto questo casino” sentenziò Vegeta.
L'altro lo fissò inarcando un sopracciglio, “Sì ma non sappiamo chi ha intasato il tubo e...” “Tappati quella boccaccia! Scalalo dallo stipendio di tutti, paga di tasca tua, non m'interessa come farai basta che lo fai” Vegeta lo guardò intensamente “O ti assicuro che te ne farò pentire”.
Quella minaccia sarebbe potuta risultare vana, provenendo da un uomo in carcere, ma Vegeta avrebbe trovato un modo. Contrariamente a Nappa aveva un buon avvocato, tanto per iniziare.
“Va bene, va bene... farò come vuoi tu” concluse il gigante riponendo il preventivo in una cartelletta contenente una serie di documenti. “Accidenti Vegeta, da quando sei diventato così attaccato ai soldi?” commentò in seguito. Di solito non aveva mai avuto problemi a spendere denaro se era necessario. Nappa sapeva che non era ricco, ma forse aveva ancora qualche spicciolo rimasto dall'eredità di suo padre.
“Tsk, sei proprio un idiota. Forse te lo sei dimenticato, ma mio figlio nascerà a breve, pensi davvero che voglia spendere inutilmente soldi a causa tua?” era vero, Nappa l'aveva scordato. Non aveva più pensato alla ragazzina e gli era passato di mente. A dire il vero non sapeva nemmeno se Vegeta fosse ancora in contatto con lei.
Ora che ci pensava non sapeva nemmeno se fosse un bambino o una bambina, ma a giudicare dall'uso del maschile... “Quindi... è un maschio?” “Cos... e allora?” Vegeta parve essersi calmato all'improvviso. “Nulla, non lo sapevo” concluse il colosso.
Mancavano ancora un paio di minuti, ma siccome non avevano più altro da dirsi Nappa cominciò a riordinare gli ultimi fogli riponendoli nella cartellina. Assicurandosi di aver preso tutto osservò un appunto scritto su un foglietto adesivo, “Chiamami tra una settimana, l'idraulico ha detto che entro il 25 dovrebbe aver finito” gli disse.
Il 25? “Aspetta Nappa! Che giorno è oggi?” domandò d'un tratto Vegeta. L'altro lo guardò, poi controllò l'orologio da polso “Il 18 agosto, perché?” “Devi fare una cosa per me” gli ordinò il piccoletto.

***

Bulma adorava tutte le persone che si erano riunite lì quel giorno. A cominciare con i suoi genitori che, come le avevano promesso, si erano prodigati ad organizzare una festicciola per la figlia ora maggiorenne.
Tuttavia, non sarebbe stato possibile senza Tights, che aveva dato il suo contributo facendosi carico di molte responsabilità, a cominciare dal fatto che aveva la tolleranza di fare la spesa con la madre, famosa per avere la tendeva a farsi prendere un po' la mano quando si trattava di pianificare eventi. Con lei alla guida si rischiava di avere tutto il doppio del necessario. La figlia maggiore si era armata di pazienza per cercare di evitare inutili stress alla sorellina che non poteva permettersi tensioni superflue nelle sue condizioni. Al meglio delle loro capacità anche i suoi amici, incluso Yamcha, si erano dati parecchio da fare.
Tutti gli invitati si erano presentati con diversi regali, molti dei quali inaspettati. Bulma sarebbe stata in grado dividerli in tre categorie.
Quelli più classici che comprendevano oggetti che avrebbe potuto acquistare lei stessa, ma alla quale non aveva pensato. C'erano regali mirati più verso il bambino che non a lei, per facilitarla nel suo prossimo ruolo di mamma e per viziare un po' il suo pargoletto. Infine qualcuno aveva anche pensato all'università, regalandole oggetti che sarebbero tornati utili durante i suoi studi.
Bulma aveva fatto una scoperta interessante, mentre stava preparando la documentazione per la sua nuova avventura scolastica. L'università aveva un programma dedicato a studenti eccellenti. Qualora si era in grado di ottenere il massimo dei voti per i primi tre anni di studi, c'era la possibilità di guadagnarsi un parziale rimborso sulle rette degli anni passati, nonché un incentivo fino al conseguimento della laurea.
Certo, non era ideale come la borsa di studio, essendo per altro una grossa scommessa. Bulma non si sarebbe potuta permettere errori e anche se fosse riuscita nell’impresa la sua famiglia doveva comunque stringere la cinghia per i primi tre anni.
E poi c'era anche Trunks.
Bulma era costretta a trasferirsi nel campus universitario essendo la facoltà molto lontana. Questo l'avrebbe tenuta distante dal suo bambino, ma sarebbe tornata a casa tutti i weekend per prendersi cura di lui. Sarebbe stata molto dura, ma c’era poco da fare. Bulma si sarebbe dovuta impegnare il doppio, se non il triplo, rispetto a tutti i suoi coetanei.
“Vado a prendere la torta!” annunciò Panchy alzandosi dal tavolo attorno alla quale erano tutti seduti. “Aspetta mamma, devo prima andare in bagno” Bulma sospirò “Di nuovo” aggiunse amareggiata. “Certo tesoro, tu fai con comodo” le disse.
Suo padre la aiutò ad alzarsi e Bulma si avviò verso la toilette. Ne avevano due in casa, una grande al piano di sopra e una piccola al piano terreno.
Il bagno piccolo era davvero molto, molto piccolo e la giovane non si era mai resa conto di quanto fosse stretto fino a quando si era ritrovata a camminare con un'anguria sulla pancia. D'altra parte non poteva permettersi di fare gli scalini tutte le volte che ne aveva la necessità, preferì andare quindi in quello più piccolo. L'operazione era lenta e delicata, ma a questo punto aveva imparato tutti i trucchi necessari.
Quando il dirigibile gigante riuscì nell'impresa, uscendo dal bagno, Yamcha la intercettò. “Ehi Bulma... senti possiamo parlare un secondo da soli?” le domandò. Lei lo fissò non senza sorpresa. Era da quel giorno di un mese fa che non la guardava nemmeno in faccia. Inarcato un sopracciglio gli rispose con un incerto “Va bene, cosa vuoi dirmi?”.
Yamcha si grattò la tempia “Ecco, io volevo solo... chiederti scusa. Non sono stato un buon amico per te e non avevo il diritto di dirti... quelle cose”. Bulma notò che reggeva un sacchetto di plastica solo quando lui ci infilò dentro una mano “Ehm, quindi volevo regalarti questo” disse estraendo un peluche dalla borsa, “Anche se non è proprio per te” precisò.
L'animaletto aveva le sembianze di un lupo, seppur non in perfette condizioni. Un occhio era mancante, un orecchio era molto più corto dell'altro e una delle zampe era stata ricucita in modo molto grezzo. “Lo so che non è bellissimo, ma era il mio, quando ero piccolo... ne abbiamo passate tante insieme” rise “E si vede” glielo porse. Bulma lo guardò esterrefatta “No! Yamcha io non pos...” “Ti prego! Per me è importante. Voglio che l'abbia Trunks, deve perdonare lo zio Yamcha per aver deluso la sua mamma e per aver pensato male del suo papà” la ragazza esitò ancora per un istante.
Infine decise di prenderlo, “Io... non so nemmeno cosa dire” mormorò ricolma di gratitudine. Yamcha prese fiato “Ok, allora lascia parlare me” fece una pausa e cercò un modo per iniziare “Sono stato uno stupido. Ero arrabbiato perché non riuscivo a credere che una cosa del genere potesse succedere proprio a te, ma dopo quello che ci siamo detti ho capito che non ne avevo nessun diritto” doveva essersi preparato il discorso, rigirandolo infinite volte nella sua mente fino ad impararlo quasi a memoria. “Quello che mi hai detto mi ha aiutato a capire che mi stavo comportando da egoista. Questa è la tua vita e io non posso fare altro che essere felice per te, se tu lo sei” ci fu una grossa pausa “Io non... non sono più innamorato di te, ma se posso chiederti di perdonarmi e di rimanere amici non potrei chiedere di meglio” concluse e le sorrise.
Era il sorriso che aveva imparato a conoscere negli anni, quello che gli illuminava anche gli occhi, quello bello e sincero che aveva sempre adorato. Con un tuffo al cuore si rese conto di quanto le fosse mancato il suo stupido, egoista amico Yamcha. Bulma riuscì a trattenere le lacrime a stento “Yamcha... vorrei poterti abbracciare in questo momento, ma temo che non riuscirei ad arrivarci” si accarezzò l'enorme ventre e lui rise “Te lo tengo in conto, me lo darai quando sarai di nuovo in grado”.
Risero entrambi, come ai vecchi tempi.
“Bulma!” esordì Tights, raggiungendoli nel corridoio davanti alla porta del bagno, “È bene che tu venga a dare un'occhiata!” le disse.


CONTINUA…

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Capitolo 34
*** Solo noi due ***


d
ENTER MY WORLD

Solo noi due

“Bulma!” esordì Tights, raggiungendoli nel corridoio davanti alla porta del bagno, “È bene che tu venga a dare un'occhiata!” le disse.
Lei e Yamcha si scambiarono un'occhiata perplessa. Tights fece loro segno di muoversi e i due ragazzi la seguirono.
Passando davanti alla cucina, nella quale si stavano svolgendo i festeggiamenti, si accorsero che non era rimasto nessuno seduto attorno al tavolo. Bulma abbandonò il peluche che teneva ancora in mano sul posto che stava occupando poc'anzi.
Quando raggiunsero l'ingresso si accorsero che erano tutti ammassati davanti alla porta intenti ad osservare il vialetto di casa.
“Cosa succede?” domandò la festeggiata cercando di farsi strada tra i suoi genitori e Lazuli, mentre il rombo di un motore echeggiò all'improvviso. Bulma impiegò alcuni secondi per mettere a fuoco l'intera situazione.
Un uomo stava trafficando con un carrello attaccato ad un automobile parcheggiata proprio di fronte all'abitazione. Aveva l'aria famigliare e la ragazza si sforzò di ricordarsi dove l'aveva già visto.
Era grande e grosso come una montagna e dopo pochi attimi Bulma riuscì ad inquadrarlo. L'altro proprietario del bar! Il socio di Vegeta... Nappa, se non ricordava male.
Il colosso aprì la portiera della sua autovettura ed estrasse quello che pareva essere un plico di carta che cominciò a consultare.
“Wow! È stupenda!” esultò Lapis, alla destra del portone principale, Bulma scostò lo sguardo in direzione della sua voce, “Peccato per queste ammaccature però” stava ancora commentando. La giovane si accorse che stava ammirando una motocicletta, toccandone il telaio.
Bulma non poté credere a quello che stava guardando, “La moto di Vegeta!” si rese conto osservando Lapis, ma anche Crilin, girarle attorno come se non ne avessero mai vista una in vita loro.
Dopo aver verificato che tutti i fogli fossero al loro posto nella cartellina, Nappa sollevò lo sguardo studiando i volti delle persone ammassate davanti al portone di casa, identificando quella che stava cercando.
Sarebbe potuto andare per esclusione, ovviamente non erano i più anziani, né la donna quasi trentenne. Nemmeno poteva essere il ragazzo, ovviamente, o la bionda.
Non l'avrebbe certo riconosciuta se l'avesse incontrata per strada, soprattutto perché l'ultima volta che l'aveva vista era più impegnata a vomitare nei cespugli sul retro del bar. Senza contare che non aveva una gran memoria per ricordarsi i volti degli sconosciuti.
Tuttavia il fatto che fosse in avanzato stato di gravidanza era un indizio piuttosto indicativo.
A grandi passi si avvicinò a lei.
Vedendosi avvicinare dal gigante, Bulma si voltò a guardarlo senza avere la minima idea di quali fossero le sue intenzioni.
Nappa si fermò a pochi passi da lei “Ragazzina, devi ringraziare Vegeta per questo” le disse mettendole tra le mani i documenti che aveva portato con sé. Bulma non ebbe il tempo di aprire bocca prima che l'omone le fece scivolare tra le dita anche un mazzo di chiavi.
Si voltò, “Buona fortuna” le disse tornando in direzione della sua auto.
“Cosa sono?” domandò suo padre cercando di leggere i fogli oltre la sua spalla. Curiosa quanto lui, Bulma cominciò a sfogliarli per far luce sul mistero.
Più scorreva nella lettura e meno poteva credere a quello che aveva tra le mani. Si trattava di un passaggio di proprietà che statuiva la vendita del mezzo da Vegeta a... lei!
“M... mi ha regalato la sua moto!” esclamò quando l'intero documento le fu chiaro.
Dalla cucina provenne lo squillo di un telefono e Lazuli si precipitò all'interno della casa per recuperarlo.
Panchy si sporse cercando di guardare l'attestato, “E cosa te ne fai di una moto?” le domandò un po' perplessa. Bulma guardò le chiavi del veicolo parcheggiato davanti al vialetto di casa. Quando sollevò lo sguardo sperava di poter intercettare nuovamente Nappa, ma lui era già ripartito.
“Bulma, il tuo telefono sta squillando” la informò Lazuli spintonando Yamcha da parte, che invece era rimasto alle spalle dell'amica fino a quel momento.
La futura madre afferrò il cellulare che l'altra le stava porgendo e con un brivido si accorse che il suo display la stava informando che la telefonata proveniva dal carcere. Con urgenza mise i documenti e le chiavi nelle mani di suo padre e spintonò per tornare dentro casa. Camminando verso il salotto, con la sua camminata ciondolante e grossolana, si occupò di tutte le procedure di rito che precedevano la chiamata vera e propria e che ormai aveva imparato a gestire.
“Vegeta!” esclamò quando sentì la sua voce “La tua moto? Perché?” “Tsk, non è per farti divertire” la informò lui, “Vendila. I soldi ti serviranno per la tua università... e Trunks”.
Oggi sembrava il giorno dei gesti inaspettati. “Che cosa? Ma è la tua moto!” rispose Bulma, che nel frattempo si rese conto che le gambe stavano cominciando a dolere. Fu costretta a sedersi sul divano.
“E cosa me ne faccio secondo te? Qui dentro non posso usarla, non ti pare?” le fece notare Vegeta. “Sì ma...” insistette lei in un fil di voce.
Dall'altro lato della cornetta udì l'uomo emettere un leggero ringhio di fastidio “Piantala. Ti servono soldi per studiare e Trunks è mio figlio” Bulma si accarezzò il gigantesco pancione “Grazie” mormorò infine.
Tra loro ci fu un secondo di silenzio.
“Senti Vegeta, se la situazione fosse stata diversa... mi avresti portato a fare un giro come quando siamo andati fuori città?” gli chiese sentendosi malinconica tutto d'un tratto.
Per quanto amasse tutte le persone presenti alla festa e fosse grata per il loro affetto, Vegeta sarebbe stato l'unico con la quale avrebbe voluto davvero passare il suo compleanno.
“Sei davvero una seccatura” brontolò lui “Mi avresti dato altra scelta?” le fece notare. Bulma rise “Anche questo è vero” ammise, “Saremmo potuti andare al mare, solo io e te, in uno di quei centri turistici”. Vegeta la lasciò sognare per un momento “Hn, dove ti pare” le rispose.
“Lo sai, ora sono maggiorenne. Posso venire a trovarti quando voglio e possiamo parlare solo noi due” gli fece notare Bulma “Voglio provare ad organizzarmi nei prossimi giorni e venire da te” “Pensi di farcela?” le domandò l'uomo.
Bulma annuì, anche se Vegeta non poté vederla. Non lo vedeva da giugno, tra una cosa e l'altra, aveva nostalgia di lui “Non credo ci saranno molti problemi” gli disse.
Uno strano scatto repentino dei suoi ormoni la fece scoppiare a piangere senza apparente motivo. “Perché diamine stai frignando adesso?” volle sapere Vegeta, vagamente preoccupato. Bulma si asciugò le lacrime “Non lo so” gli disse, appoggiando la mano sul pendaglio della sua collanina, “È solo che... Vegeta, ti a...”

***

La telefonata si interruppe come sempre senza senza pietà. Vegeta osservò la cornetta dell'apparecchio per un istante, prima di riadagiarlo sull'apposita forcella.
Non aveva sentito l'ultima frase di Bulma, ma con ogni probabilità non era nulla d'importante.
Si allontanò dai telefoni, lasciando spazio alla prossima persona in fila. Si mise le mani nelle tasche e cominciò ad incamminarsi nei corridoi.
“Ehi Vegeta, stavi chiamando la tua ragazza?” lo intercettò Radish, che aveva notato la direzione dalla quale era sopraggiunto. Da quando gli aveva detto del bambino era diventato ancora più appiccicoso del solito. Vegeta sospirò “È il suo compleanno” gli rispose, chiedendosi ancora una volta perché gli stava anche rispondendo.


CONTINUA…

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Capitolo 35
*** Per motivi di sicurezza ***


d
ENTER MY WORLD

Per motivi di sicurezza

Mantenendo la parola data a Vegeta, Bulma aveva fatto in modo di andare a trovarlo pochi giorni dopo il suo compleanno.
Aveva chiamato Gine chiedendole se potevano accompagnarla. La donna si era rivelata come sempre molto disponibile organizzando una visita collettiva alla prigione.
Purtroppo, Bulma si era resa conto che con ogni probabilità non sarebbe riuscita a andare più molto spesso, poiché le cose erano molto complicate e sfiancanti.
Siccome abitava fuori mano, rispetto al tragitto che la famigliola avrebbe dovuto percorrere, era stato stabilito di incontrarsi a metà strada. Bulma era costretta a prendere un autobus che la portasse più vicino all'itinerario.
Quella non era la parte più complicata. Essendo una zona meno frequentata della città i mezzi pubblici erano vuoti e si trattava solo di poche fermate. Tuttavia il tratto in macchina durava almeno venti minuti, senza contare il tempo per la ricerca del parcheggio e Bulma aveva sofferto ogni secondo.
Nonostante l'avessero fatta accomodare sul sedile anteriore del passeggero sentiva di avere davvero poco posto o la capacità di muoversi. Gine sedeva dietro di lei e le aveva suggerito di portare indietro il sedile il più possibile, essendo una donna minuta non aveva bisogno di molto spazio per le gambe.
Tuttavia la sua ingombrante pancia le impediva di cambiare posizione e al lungo andare i chili di troppo che si portava addosso cominciarono a farsi sentire.
Al loro arrivo sentì di avere la schiena a pezzi e i glutei indolenziti.
C'era poi una tratta di strada da percorrere dal posteggio dell'auto fino alla sala d'attesa. E seppur erano stati fortunati, questa volta, a trovare uno spiazzo piuttosto vicino all'ingresso, non era detto che la prossima sarebbe stata altrettanto favorevole.
Dopo essere giunti nella sala bisognava inoltre fare la fila. Quel giorno erano arrivati in anticipo e davanti al banco non c'era ancora nessuno, ma prima o poi si sarebbe dovuta alzare dalla sedia per attendere con pazienza il proprio turno.
Bulma aveva sofferto fino a lì, ma questo non teneva conto di ciò che sarebbe avvenuto dopo. Una volta terminata la coda c'erano le procedure di sicurezza, nella quale i visitatori venivano spogliati di borse e averi che venivano riposte in appositi cassetti, per poi subire una perquisizione preventiva.
Solo allora era possibile entrare e trovare posto sulle sedie poste davanti al vetro. E se Bulma si ricordava quelle seggiole non erano nemmeno troppo confortevoli, anche l'ultima volta le aveva trovate molto scomode. Certo erano studiate solo per incontri brevi, ma avrebbe sofferto tutto il tempo in cui si sarebbe trovata davanti a Vegeta.
E dopo tutto questo c'era da rifare l'intera procedura all'inverso per il rientro a casa. Bulma era costantemente stanca e senza energia, la sola idea la mise di malumore, ma se c'era una cosa positiva in tutto questo era il primo colloquio a due con il suo Vegeta.
Ora che ci pensava, a parte le conversazioni telefoniche, non si vedevano faccia a faccia da due mesi. Quando era passata l'ultima volta a giugno non era neanche la metà di quanto era diventata grossa ora. Sembrava fosse trascorso un secolo da allora e nella sua ingenuità Bulma aveva pensato di essere enorme già al tempo… e quanto si era sbagliata.
Un brutto presentimento si fece strada tra i suoi pensieri... e se Vegeta fosse rimasto disgustato? E se, nel vederla, l'avesse ripudiata? E se guardandola avrebbe scoperto di non essere più attratto da lei? E se l'avesse ritenuta un mostro o una palla di lardo?
“Bardack, andresti a prendermi una bottiglietta d'acqua alle macchinette?” gli chiese la moglie, voltandosi verso di lui. L'uomo era adagiato accanto alla finestra, in compagnia del figlio che nel frattempo stava osservando all'esterno dell'edificio. “Va bene” le disse separandosi dalla parete. “Prendine una anche per Bulma, fa caldo qua dentro e ha bisogno di bere” si raccomandò quando il marito passò accanto ai sedili sulla quale erano sedute “Ok” rispose lui.
“La ringrazio” mormorò la giovane, tornando all'improvviso alla realtà, pur mantenendo l'alone dei suoi dubbi fluttuare nella sua mente. “C'è qualche problema?” domandò Gine, avendo notato un cambio d'umore all'apparenza senza motivo. Bulma si guardò la pancia “Sono brutta e grassa... Vegeta non mi vorrà più” lagnò, Gine rise “Al contrario, potrebbe non averti mai trovato così attraente”.
Alle loro spalle, poco interessato a questi discorsi, Kakaroth si concentrò sui movimenti fuori dalla finestra. Da quella prospettiva poteva vedere il cortile della prigione.
Non doveva volerci molto perché aprissero la fila per i visitatori, dopotutto la guardia dietro al bancone si era già seduta al suo posto e dalla finestra poté notare che i primi prigionieri stavano affollando la piazzola dietro la recinzione. Da quella distanza erano tutti piccoli puntini colorati, le divise arancioni dei carcerati e quelle blu scuro delle guardie. Si chiese se suo fratello fosse uno di quelli arancioni. Affascinato dai pallini che si muovevano alla rinfusa, almeno in apparenza, restò ad osservarli per un po'.
Passarono solo alcuni minuti, prima che Goku si accorgesse che c'era qualcosa di strano, gli arancioni si aggregarono tutti in un unico punto, formando un grosso cerchio. C'era del movimento e l'osservatore poté notare che i blu si stavano avvicinando a gran velocità cercando di separare gli arancioni.
Nella sua mente un campanello d'allarme suonò nel momento in cui vide le guardie sparire dietro l'ammasso arancione per non riapparire. “Mamma” chiamò all'improvviso portandosi più vicino alla finestra “Sta succedendo qualcosa” l'avvisò. Gine guardò prima il figlio poi Bulma e decise di alzarsi in piedi, “Che cosa vuoi dire?” domandò affacciandosi a sua volta.
“Che succede?” chiese la ragazza, che aveva più difficoltà ad alzarsi. Madre e figlio non le risposero, vedendosi costretta a mettersi in piedi. Si avvicinò alla finestra, ma non riuscì a vedere molto. C'era un davanzale tra l'inizio del muro ed il vetro e, ancora una volta, Bulma aveva un gigantesco grembo a farle da cuscinetto.
Frustrata per non riuscire a constatare di persona la situazione, stava per dare voce ai suoi pensieri e chiedere ancora delucidazioni, ma alle sue spalle il secondino di fronte al bancone si alzò.
“Sono... sono sicura che non è niente” cercò di suonare incoraggiante la donna, fallendo nel suo intento. Kakaroth assunse un'espressione seria e continuò ad osservare la scena in silenzio.
Nel frattempo Bulma poté notare che l'uomo dietro il banco stava animatamente parlando con qualcuno tramite la ricetrasmittente. Essendosi allontanato dalla vetrata che separava il banco dal resto della sala, nessuno fu in grado di sentire quello che stava dicendo.
Una ad una tutte le persone presenti nella sala d'aspetto cominciarono ad accorgersi degli strani movimenti delle guardie. Bulma notò un paio di esse allontanarsi di corsa nel corridoio. Sempre più gente iniziò ad alzarsi dalle poltrone per affacciarsi alle altre finestre o ad osservare i movimenti nel corridoio.
“Che succede?” urlò un uomo, rivolto al carceriere il quale gli fece cenno di scostarsi dal banco. Il visitatore non sembrò intenzionato e cominciò a sbattere le mani sul vetro. Bulma intuì una volta per tutte che quel separé era lì proprio per occasioni come quelle.
Un annunciò suonò sovrastando la cagnara che si era creata in un breve lasso di tempo “Per motivi di sicurezza le visite sono sospese. Si prega di procedere verso le uscite e di ritornare domani” disse.

***

Il caos era scoppiato senza preavviso spargendosi per tutta la prigione. Insurrezioni in carcere non erano certo nulla di strano, anche in una prigione di minima sicurezza, e spesso esplodevano quando nessuno se lo aspettava.
Molti prigionieri partecipavano per un'illusoria sensazione di libertà e di ribellione per le autorità.
Radish e Vegeta si trovavano nella sala relax quando erano iniziati i disordini, colti alla sprovvista come tutti gli altri.
Dei due Vegeta fu il più rapido a comprendere la situazione che si stava creando e ad intuire di dover restare sull'attenti. “Dobbiamo andarcene da qui!” disse appena si accorse dei tafferugli. Tuttavia non ebbe il tempo di avvisare il compagno di cella, quando le prime ripercussioni si sentirono anche in quella zona del carcere.
Radish cercò di seguire l'esempio dell'altro che nel frattempo si fece strada a suon di pugni contro chiunque osasse frapporsi tra loro e l'ingresso, restare chiusi in una qualsiasi stanza era pericoloso.
“Dove stiamo andando?” gli domandò Radish una volta riusciti a far breccia ed entrare nel corridoio “E io come faccio a saperlo? Cerca solo di stare in guardia” urlò di rimando l'altro.
“Vegetuccio... è giunta l'ora di giocare” mormorò una voce alle loro spalle. I due si voltarono per vedere Ginew, Rikoom, Jeeth e Butter creare un muro nel corridoio. Non erano soli, molte altre persone circondarono il duo impedendogli di muoversi.
Letteralmente con le spalle al muro, Vegeta lanciò un'occhiata al compagno “Radish, cerca solo di non venirmi tra i piedi” lo avvisò, stringendo i pugni e tendendo i muscoli, pronto all'assalto.


***

Il sole estivo stava cominciando a tramontare e ancora dalla prigione non si avevano notizie.
Bulma era seduta sul sedile anteriore della macchina di Bardack che l'uomo aveva spostato all'ombra, sul suggerimento della moglie, per non esporre la giovane ad una potenziale insolazione. Agosto era agli sgoccioli, ma il caldo era ancora persistente.
Non erano rimasti in molti, fuori dal cancello, ad attendere notizie dopo che le guardie erano riuscite a liberare la sala d’aspetto facendo uscire tutti dall'edificio. Col passare delle ore sempre più persone avevano abbandonato la speranza ed erano tornate a casa.
“Ripetono quello che hanno detto l'ultima volta” esordì Bardack una volta raggiunta la sua auto “La rivolta è sedata, ma ci sono feriti e hanno bisogno di tempo per medicare tutti” “Radish e Vegeta? Siete riusciti a scoprire qualcosa?” chiese Gine, guardando prima il marito e poi Kakaroth.
Bardack scosse lentamente il capo e Bulma intuì che era preoccupato per il figlio. “Non danno notizie su nessuno in particolare” rispose il minore, “Dicono di tornare un altro giorno”. Anche Gine sembrò inquieta, “Mamma, Radish starà bene” cercò di rassicurarla il ragazzo.
Bulma avrebbe voluto la sua stessa sicurezza.
La donna le diede un'occhiata pensierosa “Penso sia meglio andarcene anche noi. Se non ci danno notizie è meglio accompagnare Bulma a casa” lei alzò lo sguardo “No, io...” “Gine ha ragione, i tuoi saranno in pensiero” intervenne Bardack.
La ragazza si sentì sconfitta. Non aveva le energie, fisiche o mentali, per protestare. La sua reazione fu quella di poggiarsi entrambe le mani sul grembo per trarre la forza emotiva dal suo bambino.


CONTINUA…

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Capitolo 36
*** In cerca di notizie ***


d
ENTER MY WORLD

In cerca di notizie

Dietro l'espressione seria ed imperturbabile, Bardack nascondeva la preoccupazione per le sorti del figlio maggiore.
Erano passati tre giorni dall'insurrezione e la prigione era ancora una roccaforte dalla quale non giungevano notizie. Per una ragione ignota veniva mantenuto uno stretto riserbo sulle sorti dei prigionieri. Le sole cose che erano state divulgate era la presenza di molti feriti che avevano necessità di cure mediche.
Lo staff doveva prendersi cura di loro e non aveva dunque tempo per dare informazioni alle persone in trepidante attesa che affollavano l'esterno dell'edificio.
Quando l'uomo pensava a Radish aveva sempre una brutta sensazione. Suo figlio non era molto indipendente, a livello caratteriale. Aveva sempre avuto bisogno di seguire un leader fin da quando era piccolo.
Nel suo gruppo di amici era sempre stato uno di quelli che seguivano senza mai prendere decisioni autonome. Per questo si era cacciato nei guai ed era finito con le manette ai polsi.
Bardack aveva cercato un migliaio di volte di avvertirlo che doveva prendere decisioni da solo. L'arresto era avvenuto a causa di un furto che qualcuno lo aveva indotto a commettere alla quale il ragazzo non era riuscito a dire di no.
Conoscendo questo lato del suo carattere, il padre si domandò se e come si sarebbe comportato durante una rivolta in carcere. Fosse stato da solo forse non sarebbe riuscito a cavarsela, Radish necessitava di una guida, senza di essa era debole.
Dei suoi figli, Bardack sapeva che Kakaroth avrebbe avuto migliori possibilità in una situazione del genere. Il minore era emotivamente più forte e più deciso, nonostante l'atteggiamento bonario che spesso veniva scambiato per debolezza.
Le mani dell'uomo si strinsero attorno al volante al pensiero. In silenzio osservò la strada che l'auto stava percorrendo ed in cuor suo sperò che oggi avrebbero avuto la possibilità di vedere Radish.
Osservando lo specchietto retrovisore i suoi occhi si scostarono dapprima sul lato vuoto del sedile posteriore, poi scivolarono sulla moglie che gli sedeva accanto mentre guardava fuori del finestrino dell'autovettura. “Gine, perché non hai invitato anche la ragazzina?” le domandò. La donna si voltò verso di lui “Ho pensato non fosse una buona idea farla venire con noi” gli rispose.
Quando erano andati alla prigione, il giorno della rivolta, Gine aveva già notato che la sola andata aveva messo a dura prova Bulma. Era arrivata stanca e dolorante ed il suo disagio era visibile sul volto.
Tuttavia non c'era stato modo di dissuaderla, era così desiderosa di vedere il suo ragazzo che negarglielo le avrebbe spezzato il cuore nel modo più crudele possibile. Per sopportare l'intero tragitto si era aggrappata al suo entusiasmo e alla sua forza di spirito.
Gine aveva provato molta compassione per lei. Aveva ammirato la sua determinazione e tenacia e aveva dedotto che qualunque cosa la vita le avrebbe presentato l'avrebbe affrontato con caparbietà. A cominciare dalla prossima maternità... il suo bambino era in buone mani.
Con altrettanta fermezza aveva chiesto di essere accompagnata anche il giorno successivo, nella speranza di avere informazioni sul suo Vegeta.
Quando l'avevano raggiunta nel luogo dell'appuntamento sembrava ancora provata dal giorno precedente, ma di nuovo fu difficile, se non impossibile, dirle di no. A quello sguardo carico di forza di volontà e di supplica non si poteva negare nulla.
Bulma aveva insistito anche il terzo giorno, dopo essere tornati a casa a mani vuote. Ma era allo stremo e Gine cominciò a temere che non avrebbe retto un'altra volta.
Oltre all'affaticamento fisico, c'era anche quello morale. Quei costanti buchi nell'acqua erano la fonte di molto stress, l'ultima cosa che quella ragazza aveva bisogno in quel momento.
“È alla sua trentacinquesima settimana, non le fa bene sforzarsi tanto” aggiunse rivolta al marito “La chiameremo se avremo delle notizie” “Va bene” concordò lui.
Gine si voltò, osservando il sedile posteriore. Kakaroth non aveva ancora detto una parola da quando erano partiti e questo, per lui, era piuttosto atipico.
Il ragazzo era sempre piuttosto scanzonato e alla mano, le uniche occasioni in cui la madre lo aveva visto così serio era quando stava per salire sul ring di un incontro importante.
La donna sapeva che era preoccupato, nonostante i fratelli bisticciassero e battibeccassero molto erano comunque legati l'uno all'altro. Radish aveva introdotto il minore alle arti marziali, quando erano bambini e Kakaroth aveva sempre cercato di essere presente quando i genitori andavano a trovare il maggiore.
Gine aveva inoltre intuito che si era molto affezionato anche alla loro nuova amica. Forse persino lui si era reso conto che Bulma non sembrava riuscire a reggersi sulle proprie gambe dopo tre giorni di visita conseguiti.
La macchina entrò nel parcheggio della prigione. Era giunta l'ora di scoprire se il viaggio sarebbe valso la pena.

***

Radish si accomodò al posto che gli era stato assegnato e vide i suoi genitori tirare un sospiro di sollievo.
Le porte della prigione erano state riaperte da poche ore e le prime visite erano state consentite. Trovandosi già sul posto la sua famiglia era stata fatta entrare all'arrivo.
Gine e Bardack guardarono il figlio negli occhi, era un po' contuso, ma stava bene. Un labbro gonfio una fasciatura attorno alla testa e un braccio ingessato. Se non altro era tutto d'un pezzo e a parte i postumi di una scazzottata che doveva essere stata piuttosto feroce poteva dirsi integro.
“Radish! Siamo stati in pensiero per te!” lo accolse la madre appena lo vide “È un sollievo vedere che stai bene” aggiunse “È solo qualche graffio” minimizzò il ragazzo.
“Come hai fatto a cavartela lì dentro?” gli domandò suo padre, Radish lo guardò “Mi sono battuto fino allo stremo. Saresti stato fiero di me papà” disse, sperando che fosse la verità.
Radish sentiva sempre di non essere all'altezza delle sue aspettative, quindi trattenne il fiato in trepidante attesa per scoprire se davvero suo padre avrebbe concordato. “Bene” rispose laconico lui, senza dargli la possibilità di comprendere se fosse orgoglioso o meno, lasciandolo nel dubbio.
Quello che però non disse fu che non ce l'avrebbe mai fatta se non avesse avuto qualcuno al suo fianco.
“Ehi Radish, conosci un tizio che si chiama Vegeta?” volle sapere all'improvviso Kakaroth. Il maggiore si voltò sorpreso verso di lui, notando quell'espressione seria che così raramente appariva sul suo viso. “Vegeta? Come fai a sapere di lui?” domandò di rimando.
Fu Gine a rispondergli “Abbiamo fatto amicizia con la sua ragazza. È una brava persona ed è in apprensione per avere sue notizie” “La sua ragazza?” mormorò Radish. “Mio figlio nascerà tra un mese” gli disse Vegeta e quella frase gli tornò alla mente all'improvviso.
Se quello che diceva la mamma era vero, avevano conosciuto la futura madre del fantomatico figlio.
Radish chinò il capo pensieroso, “È il mio compagno di cella” “Davvero?” esclamò Kakaroth. La sua famiglia non era al corrente di questo particolare, d'altra parte fino ad un secondo prima non era al corrente che sapessero chi era Vegeta.
“Quindi sai come sta? Hai sue notizie?” esortò Gine, pendendo dalle labbra di suo figlio. Radish esitò, quando alzò lo sguardo fu solo per cercare quello di suo padre, “Non sono buone...” iniziò a dire.


CONTINUA…

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Capitolo 37
*** L'importanza di una vita ***


d
ENTER MY WORLD

L'importanza di una vita

La prima volta che avevano accompagnato Bulma a casa, il giorno in cui l'avevano conosciuta, Bardack aveva usato il navigatore per trovare la via. A distanza di mesi riuscì a risalire all'itinerario recuperando le indicazioni del GPS.
Il tragitto era stato silenzioso e teso. Nessuno dei due, tra lui e Gine, erano molto dell'umore di dialogare, sebbene non ce ne fosse bisogno. Condividevano lo stesso pensiero e lo stesso peso nel cuore che non fu necessario esprimere ad alta voce.
Non avevano avvisato Kakaroth, preferendo lasciare fuori il figlio da questo gravoso carico della quale non si poteva fare a meno.
Quando Bardack parcheggiò l'auto di fronte all'abitazione furono entrambi costretti ad uscire dalla loro apatia, in quanto tutto stava per diventare reale e tangibile.
L'uomo si voltò ad osservare la minuta figura della moglie seduta accanto a sé nell'auto. Ne contemplò il viso inquieto ed attese da lei un segnale qualsiasi.
“Non posso credere che siamo arrivati a questo punto” sussurrò Gine, voltandosi per guardare il marito negli occhi. L'uomo le afferrò una mano per trasmetterle un po' di forza “Lo so, ma non abbiamo scelta” sua moglie era una donna molto sensibile.
Seguirono alcuni secondi di silenzio. “Sei pronta?” le domandò infine lui, quando si rese conto che non potevano più procrastinare l'ingrato compito che era toccato loro. Gine annuì lentamente, sospirò e aprì la portiera dell'auto.
I suoi piedi si poggiarono sul terreno e con un brivido si rese conto che non si poteva più tornare indietro.
Seguita a breve dal marito s'incamminò verso la porta d'ingresso e dopo un'ultima esitazione suonò il campanello.
L'uscio si schiuse dopo pochi istanti e davanti a loro comparve una donna alta e magra dai ricci capelli biondi. Sulle labbra un sorriso gentile che presto si sarebbe spezzato.
“Sì?” domandò loro non avendoli mai visti prima di allora. Gine prese fiato “Lei è la mamma di Bulma?” chiese cercando di non sembrare eccessivamente invadente. La donna annuì “Sì, state cercando mia figlia?” s'informò Panchy, prima di lasciarli entrare in casa.
“Beh, veramente...” mormorò la donna minuta, cercando di nuovo lo sguardo dell'uomo al suo fianco “Mi chiamo Gine” disse poggiandosi una mano al petto “E lui è mio marito Bardack” aggiunse indicandolo “Abbiamo conosciuto Bulma in visita alla prigione... non so se le ha parlato di noi”.
Panchy ci pensò un po' su. A dire il vero Bulma aveva accennato ad una famiglia che aveva incontrato nella sala d'aspetto e che l'avevano aiutata in diverse occasioni. “Oh sì, siete le persone che l'hanno accompagnata a far visita a Vegeta?” chiese per conferma “Esatto” rispose Gine. “Siete stati molto gentili. Purtroppo mia figlia si è intestardita che non vuole farcelo incontrare, anche se io e mio marito ci siamo offerti di portarla” rise “Quando s'impunta è difficile farle cambiare idea” spiegò.
Fissò i due sconosciuti, “Avete notizie di ciò che è successo in carcere?” intuì perspicace. La coppia alla porta parve reticente, “Sì” disse infine lui “Ma forse è meglio se ne parliamo dentro” “Con il suo permesso” aggiunse Gine.
Panchy lo fissò per un attimo, “Oh! Ma certo, certo. Accomodatevi” li invitò facendo un passo di lato per farli entrare.

***

Bulma avrebbe tanto voluto visitare la prigione, ma il suo corpo grosso e gonfio era arrivato allo stremo. Ci aveva provato diverse volte ed era tornata a casa sempre più sfiancata.
Aveva dunque passato gli ultimi giorni chiusa in camera sua con la sola eccezione per i pasti e per scodinzolare verso il bagno, gite che erano sempre più frequenti. Non che avesse alternative, il suo fisico aggravato dall'abbondante peso di un nascituro le impediva di fare qualsiasi movimento se non lo stretto necessario.
Desiderava più di ogni altra cosa andare a trovare Vegeta, ma tre tentativi in altrettanti giorni erano stati uno sforzo eccessivo. Tutto ciò che poteva fare era attendere notizie da Goku e i suoi genitori fissando il cellulare in costante apprensione.
Ancheggiando come una papera, al ritorno dalla toilette si accorse che dal piano inferiore stavano provenendo delle voci concitate impegnate in un conversazione che pareva della massima urgenza. Due di esse riuscì a riconoscerle al volo, erano i suoi genitori. Le altre non fu altrettanto facile identificare, ma avevano qualcosa di familiare.
Incuriosita si avvicinò agli scalini e facendo molta attenzione cominciò a discenderli per raggiungere il salotto. Una mano stretta salda al corrimano, l'altra nella parte inferiore del pancione per sostenerlo.
Nonostante non fosse in grado di vedere i suoi piedi riuscì a scendere con successo le scale. Con quella camminata goffa tipico delle donne in dolce attesa attraversò il piccolo corridoio e si affacciò all'ingresso del soggiorno.
La prima cosa che vide fu sua madre, seduta sul bordo di una poltrona in una postura tesa e scioccata. Entrambe le mani poste davanti alla bocca.
“Cosa succede?” domandò la giovane quando entrò nella stanza. Bulma si voltò verso il divano, riconoscendo le due misteriose voci “Signor Bardack, signora Gine!” esclamò con sorpresa “Ci sono novità?” volle sapere in trepidante attesa.
Panchy si alzò “Bulma cara, credo sia meglio che ti sieda” raccomandò, mostrandole il posto che aveva da poco abbandonato. “Mi sembra una buona idea, tesoro” le diede manforte Brief.
Bulma li guardò entrambi. Le loro espressioni preoccupate la resero restia e sospettosa. “Non ho bisogno di sedermi” s'impuntò, tornando a rivolgersi ai genitori di Goku.
Loro si scambiarono uno sguardo altrettanto cupo. Infine Bardack si alzò e fece un passo verso di lei. “Ieri hanno riaperto l'accesso al pubblico e siamo riusciti a vedere Radish” Bulma trattenne il fiato “Abbiamo scoperto che era insieme a Vegeta quando è iniziato lo scompiglio” l'uomo fece una pausa.
“Ci ha detto che stavano cercando di mettersi al riparo, quando sono stati circondati da altri carcerati” riprese a raccontare. Gine scostò lo sguardo, aveva udito questa storia tante volte e ognuna di esse sentiva una stretta alla bocca dello stomaco. “Sembra che Vegeta si sia fatto dei nemici e loro hanno approfittato dell'opportunità per... accoltellarlo” “Cosa?!” esclamò sgomenta la ragazza, “Non è possibile, Vegeta non si sarebbe mai fatto cogliere impreparato” argomentò risulta.
Bardack la guardò con comprensione “Può anche darsi, ma erano in molti e loro erano soltanto in due” “No! Lui sa affrontare tante persone alla volta. L'ho visto con i miei occhi!” affermò Bulma, mentre ricordava la baruffa alla quale aveva assistito ormai quasi un anno prima.
“Mi dispiace, purtroppo questa volta è stato sfortunato” le disse l'uomo, cercando di farle vedere la realtà dei fatti. Sfortunato, ma certo, non poteva essere diversamente, Vegeta era una furia quando si batteva, quel giorno era stato l'unico a rimanere in piedi, nonostante l'apparente disparità. “E adesso come sta?” esortò.
“Cara, perché non provi a sederti adesso?” intervenne suo padre, preoccupato non solo per la figlia, ma anche per il nipote. “No! Voglio sapere come sta Vegeta!” gli occhi della giovane erano solo per Bardack, che era stato designato come narratore.
L'uomo cercò con lo sguardo il padre della ragazza, in attesa del suo permesso per proseguire. Sconfitto dalla testardaggine della figlia, Brief fece un cenno di consenso. “Quando sono riusciti a fermare la rivolta era già troppo tardi, perché aveva perso troppo sangue. Hanno fatto il possibile e stando a quanto Radish è riuscito a scoprire dagli infermieri, Vegeta ha lottato per un giorno” fece una breve pausa “Mi dispiace, ma non ce l'ha fatta” concluse.
Bulma lo guardò a bocca aperta “Che cosa vuol dire?” chiese, forse non aveva capito bene.
Panchy le fu vicino e le poggiò le mani sulle spalle “Tesoro, mi dispiace così tanto. Vuol dire che Vegeta è deceduto”.


***

Stava solo sognando, era uno di quei sogni vividi che aveva negli ultimi mesi. Tra poco si sarebbe svegliata e si sarebbe resa conto che in realtà andava tutto bene e magari avrebbe fatto visita a Vegeta come aveva progettato di fare tempo prima.
Quando però aprì gli occhi, nel buio della sua stanza, si accorse che le bruciavano. Se nella vita si potesse versare solo una certa quantità di lacrime, doveva aver raggiunto il suo limite in quelle ore.
La realtà, quando tornò a bussare alla porta della sua memoria, le ricordò che la vita era ingiusta e crudele.
Vegeta... era... morto...
Non esisteva destino peggiore, almeno quando era solo in carcere era certa che un giorno sarebbe uscito da lì e sarebbe stato il compagno e il padre che lei desiderava. La morte è invece una condizione definitiva che non può essere convertita.
Così, nel giro di poche ore Bulma scoprì che della persona più importante della sua vita non era rimasto più nulla.
Una mano si adagiò sulla sua collana e con le dita accarezzò la sfera arancione che vi era attaccata. Cominciò a piangere, pensando che di tutti i sogni non le importava più nulla. La vita stessa non valeva più la pena di essere vissuta.
Il bambino si mosse nel suo grosso grembo e le ricordò la sua presenza. Come se percepisse l'angoscia di sua madre e a modo suo stesse cercando di consolarla.
Bulma si accarezzò la pancia, mentre le lacrime scendevano copiose dal suo viso. Tutto quello che aveva con Vegeta era andato perduto in un istante, tutto ad eccezione di quella vita che cresceva dentro di lei e che presto avrebbe dato alla luce.


CONTINUA…

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Capitolo 38
*** Per le persone care ***


d
ENTER MY WORLD

Per le persone care

Da quando Vegeta aveva venduto la sua moto, il parcheggio all'interno del cortile era rimasto vacante. Essendo l'unico attuale proprietario del locale, Nappa ne aveva approfittato e ne faceva uso.
Uscendo dalla sua autovettura i suoi occhi si scostarono sui materiali inutilizzati per la riparazione delle tubature avvenuta il mese precedente. Si annotò mentalmente di avvisare i dipendenti che aveva assunto di spostarli in un luogo più appropriato. Dov'erano ora erano solo fastidiosi.
Aprendo il bagagliaio dell'auto, Nappa estrasse una scatola di cartone. Era andato a recuperarla dalla prigione alcune ore prima. Non avendo altra famiglia, Vegeta aveva segnalato il nome del socio come unico contatto in caso di emergenze, oltre a quello del suo avvocato.
Pertanto l'omone era stato incaricato di andare a riprendere gli averi che il prigioniero aveva indosso il giorno del suo arresto. Gli abiti, le chiavi di casa attaccate a quelle del locale, un paio di fogli sulla quale aveva scritto alcuni promemoria, il portafoglio e il cellulare la cui batteria era ormai scarica da tempo e che nessuno sarebbe più stato in grado di accendere, non conoscendo il codice della sua riattivazione e che avrebbe quindi conservato per sempre i suoi segreti.
Sul pianerottolo davanti alla porta dell'appartamento, Nappa infilò la mano nella scatola per recuperare le chiavi. L'abitazione era rimasta sigillata da quando Vegeta era stato incarcerato. Il problema non era tanto la serratura rimasta chiusa, c'era un secondo mazzo in qualche cassetto nel bar in caso d'emergenza, ma nessuno aveva davvero motivo per mettervi piede.
Entrando nel piccolo bilocale il colosso sentì un fremito di nostalgia. Dall’ultima volta che era stato lì dentro erano passati almeno tre o quattro anni, il giorno nella quale aveva aiutato Vegeta a trasferirsi.
Tuttavia prima di lui era stato Nappa il precedente inquilino di quella casa, occupandola per quasi quindici anni, per poi lasciarla al figlio del vecchio proprietario.
Doveva tutto al vecchio, quando aveva diciotto anni era allo sbando senza avere un posto dove andare o qualcuno alla quale chiedere aiuto. Era stato lui a dargli il primo lavoro al bar, come garzone, e un tetto sopra la testa facendogli pagare un piccolo affitto.
Il locale non era soltanto un luogo di lavoro per Nappa, rappresentava anche la sua salvezza e un debito nei confronti della persona che lo aveva tirato fuori dai guai quando ne aveva più bisogno.
A cinque anni dalla sua morte, seppellire il figlio in una nuvolosa giornata d'inizio settembre, gli diede una sensazione di dejavu, nonché una percezione di fallimento e di sconfitta.
Il bar che aveva costruito da zero e il ragazzo che aveva allevato da solo erano le sole cose che il vecchio gli aveva lasciato, insieme all'indiretta responsabilità di prendersene cura. Il locale aveva rischiato di essere allagato e Vegeta era finito a far compagnia al defunto padre.
Tuttavia, guardandosi attorno per un attimo ebbe l'impressione che quella casa non fosse mai stata lasciata libera. Sì, c'era un po' di polvere accumulatasi negli ultimi mesi, ma tutto il resto sembrava attendere il rientro dell'inquilino.
Stoviglie ancora nel lavello, indumenti poggiati sul divano e un maglione pesante abbandonato su una delle sedie attorno ad un piccolo tavolo, segno che era ancora inverno quando era stato dimenticato lì.
Nella camera da letto il materasso era sfatto, dando l'impressione che qualcuno si fosse appena alzato. In un angolo un cestello era pieno di indumenti che dovevano essere lavati. Mentre un paio di scarpe era rimasto al centro della stanza, sfilate forse di fretta.
Nappa adagiò lo scatolone sul mobile più vicino all'accesso della stanza e guardò al suo interno. Ne estrasse gli abiti, ma quando lo fece sentì un piccolo tonfo.
Scostando lo sguardo accanto ai suoi piedi si accorse che il portafoglio era balzato fuori dal contenitore. Forse era finito sopra i jeans all'interno della scatola e quando Nappa li aveva estratti anche portafoglio ne era uscito.
Si chinò per recuperalo. Quando l'oggetto era finito al suolo si era aperto e guardando con vago interesse il suo contenuto riconobbe lo stile di Vegeta.
Era riservato in tutto quello che faceva e tendeva a non personalizzare mai nulla di privato. La sua casa non aveva quadri o poster, cosa che invece aveva fatto Nappa a suo tempo, la sua scrivania nel retro del bar era spoglio di chincaglierie e il suo portafoglio era privo di effetti personali.
C'erano solo un paio di banconote, carte di credito e delle monetine nell'apposito scompartimento. Nulla di più. Nappa lo riadagiò sul mobile accanto alla scatola e distolse lo sguardo, portandolo al resto della stanza. Finì per riporre gli abiti nel cestello, come se qualcuno potesse lavarli, e si diresse verso la porta della camera.
Fu allora che i suoi occhi catturarono un particolare che non aveva notato prima. Nascosto in uno scompartimento interno del portafoglio l'angolo di un foglietto spuntò appena, rilevando la sua presenza. Nappa lo afferrò incuriosito, qualsiasi cosa fosse, Vegeta aveva fatto bene attenzione a tenerlo nascosto, ma la caduta doveva averlo scosso abbastanza da renderlo visibile.
Quello che estrasse fu, con somma sorpresa, una fotografia. Vegeta non sembrava molto felice di essere al centro della foto, la sua espressione era tutt'altro che sorridente... ma quello era Vegeta anche nel suo giorno migliore, chi lo conosceva sapeva che ottenere un sorriso da lui era chiedere l'impossibile. Benché sembrasse infastidito, i suoi occhi raccontavano una storia diversa. Riflessi nella profondità delle sue iridi scure c'era una luce di tranquillità che Nappa non gli aveva mai visto prima di allora.
Accanto a lui c'era una ragazzina. Sapeva di averla già vista da qualche parte, ma aveva il brutto vizio di non prestare troppa attenzione ai visi degli sconosciuti. Tuttavia ebbe l'illuminazione necessaria quando riaffiorò un'immagine di lei in piedi di fronte alla porta della propria casa mentre era pesantemente gravida. Non ricordava il suo nome, se non per il fatto che iniziasse con la B, forse.
Al contrario di lui, la ragazza sembrava al culmine della felicità, espresso non solo negli occhi azzurri, ma anche col sorriso che le abbelliva il viso. La foto era stata scattata da un cellulare e a giudicare dalla posizione della ragazzina, nonché del suo braccio, doveva essere stato il suo e doveva essere stata lei a scattarla. L'altro braccio di lei era appoggiato sulle spalle di Vegeta, per impedirgli di sfuggire dall'inquadratura.
Nappa non riconobbe il posto, doveva essere da un'altra parte della città o completamente in un altro paese, ma non doveva essere stata scattata molto prima del fatidico arresto. Alle loro spalle, in quello che sembrava essere un ristorante, c’era una vetrata. La gente all'esterno camminava stretta in pesanti giacche invernali e in un lato della strada era ben visibile la moto di Vegeta, quella nuova non il vecchio catorcio che aveva prima.
“Vegeta, tenevi davvero così tanto a questa mocciosa?” gli chiese Nappa nel silenzio.

***

“Siamo sicuri che sia una buona idea?” domandò Yamcha, voltandosi verso il sedile del passeggero sulla quale erano seduti i suoi amici. “Mi sembra troppo tardi per avere dubbi. Ormai siamo arrivati” gli fece notare Lazuli portandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Crilin, seduto al centro del sedile accanto alla ragazza, si grattò la nuca “E se non volesse vederci?” mormorò altrettanto preoccupato quanto l'altro.
“Non ha nessuna importanza” esordì all'improvviso Goku “Dobbiamo farle capire che abbiamo almeno provato” disse loro, aprendo la portiera dell'auto ed uscendo dalla vettura.
Lapis si appoggiò al volante con l’avambraccio, girandosi a sua volta “Ehi, il ragazzino è più sveglio di quanto pensassi” commentò ironico nella sua tipica tonalità piatta.
Goku attraversò la strada e raggiunse l’abitazione. Non era mai stato a casa di Bulma e non sapeva a quale finestra appartenesse la sua stanza, ma sul lato ovest le tapparelle erano chiuse ed intuì che doveva essere una di quelle.
Si adagiò le mani intorno alla bocca “Bulmaaaa!” urlò.
“Ehi, che stai facendo?” gli chiese Crilin “Basta suonare il campanello” dicendo ciò si prodigò a premerlo. Goku lo guardò sorpreso “Oh” mormorò.
Lapis si chinò verso l'orecchio della gemella “Ritiro tutto” bisbigliò, lei roteò gli occhi verso il cielo.
Panchy apparve sulla soglia della porta, osservando gli amici della figlia che si erano radunati davanti all’ingresso. “Mi dispiace tanto ragazzi, ma Bulma non vuole vedere nessuno” spiegò amareggiata.
Erano settimane che la ragazza si era barricata in camera e si rifiutava di uscire, nonostante i tentativi dei genitori e della sorella.
“Era come temevo” mormorò Crilin, afflitto. Al suo fianco Yamcha sospirò “La prego, può dirle che siamo passati e che siamo preoccupati per lei?”.
La madre della ragazza annuì “Ma certo” li rassicurò.
Goku osservò la scena per un momento. Era con i suoi genitori quando Radish aveva raccontato loro la storia, riferendo i fatti dal suo punto di vista.
Il fratello aveva detto che uno degli assalitori era armato di un coltello artigianale, usando un vecchio spazzolino da denti alla quale era stato applicato un frammento appuntito di un vetro. Radish aveva visto l'improvvisata arma conficcarsi nello stomaco di Vegeta più e più volte, nonostante l'instancabile resistenza che quest'ultimo aveva opposto.
Aveva cercato di salvarlo, ma alle sue spalle qualcuno gli diede una botta in testa, facendolo svenire. Al suo risveglio i tafferugli erano stati sedati e si era ritrovato in infermeria con una fasciatura alla testa.
Nel letto accanto al suo Vegeta aveva lottato per rimanere aggrappato alla vita e molti degli infermieri si erano detti sorpresi che ci stesse riuscendo sebbene i soccorsi fossero stati tardivi.
La morte di un prigioniero era stata la causa principale per la quale il carcere era rimasto isolato per alcuni giorni.
Goku non aveva mai conosciuto Vegeta e ora non avrebbe mai avuto occasione di farlo, ma da come lo aveva descritto Bulma e da quello che aveva raccontato Radish il ragazzo provò un istintivo moto di simpatia nei suoi riguardi.
Suo padre gli aveva confidato che gli ricordava lui, con la stessa tenacia e lo stesso fuoco che ardeva quando si trovavano su un ring, nel caso di Kakaroth, o in una rissa, come invece accadeva per Vegeta.
Goku si avvicinò al cancello che delimitava il giardino posteriore e cominciò a scavalcarlo. “Ehi! Che stai facendo?” esclamò sorpreso Crilin, Goku lo ignorò.
Dopo aver trovato una posizione stabile sul punto più alto della cancellata si poggiò le mani alla bocca, come aveva fatto poc'anzi “Bulmaaaaaa! Vegeta non vorrebbe vederti triste!” urlò a quella che ipotizzò essere la sua camera, “Mi hai sentito Bulma?” continuò a strillare.


CONTINUA…

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Capitolo 39
*** I conti tornano ***


d
ENTER MY WORLD

I conti tornano

Tights ogni tanto si ricordava che aveva ancora le chiavi della casa dei suoi genitori e, ancor più raramente, le veniva in mente di portarle quando andava a far loro visita.
Entrando rischiò quasi d'inciampare su una borsa posta subito accanto all'ingresso. La sacca era di sua sorella, la riconobbe perché Bulma era solita utilizzarla quando veniva a stare la notte a casa sua. Tuttavia non mancò di notare che non era stata chiusa con il lucchetto com'era solita fare la sorellina. Il gancio aveva una combinazione numerica che conosceva solo la proprietaria, ed era quindi rimasto appeso alla zip senza sfruttare il suo potenziale.
Qualcun altro doveva aver appoggiato la borsa sotto il mobiletto adiacente all'uscio e la giovane ipotizzò fosse opera della mamma.
“Ciao a tutti” esordì entrando in cucina. Mentre i suoi genitori sollevarono lo sguardo per salutarla, dandole un caloroso benvenuto, lei ebbe il tempo di guardarsi attorno e studiare la situazione.
In un angolo della stanza erano stati stipati pannolini per la prima infanzia, assieme ad un intero kit dedito alla cura di un neonato poggiato su un piccolo tavolino non molto distante.
Suo padre era seduto attorno al tavolo principale della sala, alle prese con alcuni documenti che stava studiando e che occupavano metà della superficie sulla quale l'uomo era appoggiato. Li aveva divisi in diversi blocchetti, consultandoli a turno per poi scrivere alcune annotazioni su un taccuino.
Accanto a lui e ai suoi pezzi di carta, era adagiato un vassoio imbandito con posate, bicchiere e bottiglia d'acqua. Il piatto che vi era posato al suo interno era ancora vuoto. La madre era impegnata ai fornelli a cucinare la pietanza che era destinato alla ciotola.
Tights lo fissò per un istante in più, sapendo con certezza dove il portavivande fosse diretto. Bulma era ancora chiusa in camera sua dopotutto e se in buona parte era dovuto alle sue attuali condizioni fisiche, gran parte non lo era.
Si accomodò sulla sedia accanto a quella di suo padre ed osservò la documentazione. Erano perlopiù estratti conti, tasse, pagamenti e fatture ottenute dai clienti. “Ah, papà, ti ho portato questo” gli disse afferrando la borsetta che teneva ancora sulla spalla e che si adagiò sulle ginocchia. Immerse le mani al suo interno per alcuni istanti e ne estrasse un foglio mettendolo davanti al padre.
Brief lo consultò “Ti ho fatto il bonifico che mi hai chiesto. Spero che basti perché non ho molto altro” lo informò la figlia “Oh! Ti ringrazio cara, con questi dovremmo quasi esserci” mormorò lui scrivendo un appunto sul blocchetto e mettendo il documento appena acquisito assieme a quelli della categoria corrispondente sul tavolo.
“Io e il papà te li ridaremo appena ne avremo la possibilità” la rassicurò Panchy, girando con un mestolo il pranzo che bolliva nella pentola. “Lo so, tranquilla mamma” poi si rivolse ancora al padre, “Quanto vi manca per pagare la prima rata?”.
L'uomo fece un po' di conteggi, come la figlia minore per lui la matematica non aveva segreti e gli bastarono pochi secondi per far quadrare i conti. “Più o meno duecentocinquanta” concluse, grattandosi il mento.
Panchy si voltò ad osservare la figlia “La scadenza è tra una settimana, dovremmo riuscire a trovarli” poi si rivolse al marito “Vero caro?” Brief annuì. “Sì, un paio di clienti hanno degli arretrati da pagare e la prima retta dovrebbe essere pronta” asserì fiducioso.
Tights sospirò “E questa è solo la prima... quando bisogna pagare la prossima?” s'informò. Suo padre le passo il foglio che l'università aveva mandato insieme alla lettera di accettazione. La giovane lo consultò ed emise un fischio quando si accorse dei prezzi riportati “Accidenti! Sapevo che era costosa, ma non mi aspettavo così tanto!” esclamò scioccata “Come hai fatto a pagarla quando l'hai frequentata tu, papà?” “Ho lavorato mentre studiavo, ma hanno anche aumentato i costi in questi anni” le riferì Brief.
“Mh, certo che quella borsa di studio sarebbe tornata utile” commentò amareggiata Tights, “È inutile disperarsi per questo, tesoro. Nessuno può farci più nulla ormai” sancì la madre in un tono che voleva essere rassicurante.
La figlia la guardò “E la moto? Non siete riusciti a venderla?” chiese, non le era certo sfuggita la motocicletta ancora parcheggiata in giardino che aveva intravisto dal cancello mentre stava entrando. “Avevamo un compratore, ma tua sorella non se l'è sentita” rispose Brief. Tights inarcò un sopracciglio “Perché no?”.
Ufficialmente Bulma era la proprietaria del veicolo ed essendo ora maggiorenne era lei che doveva apporre la firma sul contratto di vendita. Tuttavia tra un trambusto e l'altro era diventato assai complicato riuscire a liberarsene. Sapeva che la sua famiglia aveva bisogno di soldi ed era ben disposta a venderla, ma questo era prima.
“Abbi pazienza cara, era la moto di Vegeta. Tua sorella non ha ancora superato quello che è successo” le ricordò Panchy. La figlia si limitò ad uno sguardo rattristato accompagnato da un sussurrato “Già”.
Ci fu un attimo di silenzio.
“A proposito, come sta Bulma?” s'informò Tights. La madre scosse il capo “Non troppo bene purtroppo” “Sono sicuro che si riprenderà presto. La nostra Bulma è più forte di quello che sembra” aggiunse Brief cercando di essere rassicurante per tutti e tre. Madre e figlia annuirono in comune accordo.
Panchy tornò ai fornelli “Piuttosto Tights, perché non mi aiuti a portarle da mangiare visto che sei qui” le disse.

***

Da qualche parte nella stanza buia, Bulma udì il suo telefono vibrare. Ipotizzò che fosse un messaggio da parte di uno dei suoi amici, alla quale si era aggiunto Goku. Ne aveva ricevuti parecchi da quando era successo, ma non li aveva neanche letti.
Voleva bene ad ognuno di loro, soprattutto dopo che li aveva uditi urlare sotto la sua finestra alcune settimane fa. Tuttavia non aveva voglia di vederli.
Preferiva restare sdraiata sul suo letto incurante del dolore alla schiena o al resto del suo pesante corpo.
E nonostante ogni muscolo fosse dolente, la sua sofferenza fisica non era nulla in confronto con quello che la stava lacerando dentro. Ogni volta che ci pensava il mondo tornava a crollarle sotto i piedi.
La porta della sua camera si aprì, ma la ragazza non si voltò per controllare chi fosse. I suoi occhi si scostarono sull'orologio sopra il comò per un secondo, prima di tornare a fissare il vuoto. Era da poco passato mezzogiorno.
“Come ti senti cara?” bisbigliò Panchy entrando nella stanza con il vassoio tra le mani. La figlia non le rispose e la donna la guardò per un attimo, sdraiata su un fianco e coperta da un leggero lenzuolo.
La madre si avvicinò, poggiò la vettovaglia sulla scrivania e si sedette sul materasso accanto alla ragazza. La figlia maggiore la seguì a ruota, adagiando una bottiglia d'acqua e una seconda portata sul tavolo accanto al vassoio. Tights si adagiò al banco di legno ed osservò in silenzio la scena.
Panchy cercò di sbirciare oltre la spalla della giovane per cercare il suo sguardo “Tesoro, vuoi mangiare qualcosa?” “Non ho fame” farfugliò la ragazzina. Sua madre le scostò una ciocca di capelli dalla fronte “Lo so che non hai fame, ma ne abbiamo discusso anche l'altro giorno, digiunare non fa bene al bambino” le rammentò.
Bulma se ne rendeva perfettamente conto, questo discorso l'aveva già sentito diverse volte. Trunks aveva bisogno di nutrimento e l'unico modo in cui poteva ottenerlo era tramite sua madre.
L'espressione della giovane si contrasse in una smorfia di dolore. A Panchy non sfuggì, “Va tutto bene cara?” le domandò con delicatezza. Bulma scosse il capo “No... fa male” confessò.
La madre la studiò per un istante, scostò il lenzuolo e si accorse che lei aveva entrambe le mani premute nel punto più basso del pancione. Ci ragionò su.
“Ti ha fatto male altre volte?” le chiese con tutta calma, Bulma affermò di nuovo con un gesto del capo, “Ricordi quanto tempo è passato dall'ultima volta che ti ha fatto male?” “Non lo so” “Pensaci tesoro, è importante”.
Bulma tornò a guardare l'orologio “Non ricordo, mezz'ora, forse” rispose restando sul vago.
Tights si ritrovò ad incrociare lo sguardo con quello di sua madre “Tesoro” le disse lei “Ti dispiace andare giù e dire al papà di tirare fuori la macchina e di tenersi pronto?”. Sgranò gli occhi quando comprese quello che le stava dicendo “Vado” esclamò avviandosi verso la porta della stanza.
Non aveva fatto che un solo passo oltre la soglia, “Tights” la richiamò la donna “Fai in modo che non si dimentichi la borsa all'ingresso” puntualizzò. La figlia annuì e sparì nel corridoio.
Panchy tornò verso la minore “Cara, credo sia una buona idea se cominci ad alzarti” disse poggiandole una mano sotto il gomito per aiutarla a mettersi seduta. “Perché? Che succede?” le chiese la giovane un po' frastornata.
Ancora una volta la madre le scostò una ciocca di capelli, “Non è nulla di grave, cara. Il tuo Trunks sta arrivando” la informò.
Il cervello di Bulma era in uno stato apatico da molto tempo ed impiegò un attimo prima di registrare l'informazione che le era stata fornita, “Cosa?!” esclamò quando tornò ad essere cosciente.
Un fremito di paura s'impossessò di lei. L'idea la terrorizzò a tal punto da percuoterla visibilmente. No! Non voleva che ciò accadesse, non voleva che un bambino sgusciasse fuori dalle sue intimità. Non era pronta e non lo voleva, nonostante avesse atteso nove mesi proprio per questo.
Avrebbe preferito serrare le gambe e fare in modo che ciò non accadesse mai!
“No! Mamma, non voglio” mormorò al limite dell'isteria.
Panchy le strinse le spalle “Non hai molta scelta, cara. Tra qualche ora diventerai mamma anche tu”.


CONTINUA…

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Capitolo 40
*** Nel mio mondo ***


d
ENTER MY WORLD

Nel mio mondo

Le temperature erano scese di molto nelle ultime settimane e Bulma aprì l'armadio in cerca di un maglione che la tenesse al caldo.
Ci fu un secondo di smarrimento, quando i suoi occhi fissarono la desolazione che vi era all'interno. Tutti i suoi abiti, o quasi, erano infilati nelle due grosse valigie che erano momentaneamente parcheggiate all'ingresso della sua camera da letto. Era la prima settimana di ottobre, nonché l'ultimo weekend che avrebbe passato a casa dei suoi genitori. Lunedì avrebbe preso un treno in direzione della facoltà, lasciando dietro di sé la vita che aveva conosciuto fino a quel momento.
Alle sue spalle il baby-monitor diede segnali di vita. La ragazza si voltò verso la sua scrivania, dopo aver afferrato un vecchio pullover che avrebbe lasciato lì, ascoltando i pianti del bambino che provenivano dalla stanza accanto.
Trunks si era svegliato ed era compito della madre prendersene cura.
Bulma non lasciò passare nemmeno un minuto e si affrettò a raggiungere il neonato sdraiato nella sua culla. Trunks smise di piangere nell'istante in cui riconobbe le braccia della mamma e parve calmarsi immediatamente.
Tra tutte le cose che avrebbe lasciato dietro di sé, suo figlio era senza dubbio la più difficile da abbandonare. Aveva promesso, a sé stessa e ai suoi genitori, che sarebbe tornata a casa se non tutti i weekend almeno ogni due.
“Tu sei quello che mi mancherà più di tutti” gli sussurrò Bulma, stringendolo forte. Era incredibile da credere, ma sebbene fosse passato così poco tempo dalla nascita del bambino, da quando era entrato nel suo mondo Bulma si era resa conto di non riuscire ad immaginare come potesse essere la vita senza di lui. Soprattutto da quando Vegeta ne era uscito in modo così brutale ed improvviso.
Non avrebbe mai superato la sua perdita, proprio quando la vita per loro stava cominciando ad avere una possibilità di svolta. Nonostante ciò il suo più grande rammarico, a parte l’ovvio lutto, era il fatto che nessuno tra le persone a cui teneva di più avrebbero avuto modo di conoscerlo. Vegeta sarebbe per sempre rimasto il misterioso papà di Trunks e nessuno avrebbe avuto modo di capire cosa di lui le aveva fatto perdere la testa.
Quando i pensieri si rivolsero al padre del suo piccolo, fu costretta a far leva su tutta la sua forza per non lasciarsi andare allo sconforto.
Era stata dura vendere la sua moto, sapendo cosa gli era costata e quanto Vegeta aveva tenuto ad essa, ma i soldi che ne avevano ricavato erano e sarebbero stati d'aiuto.
“Bulma! Scendi presto, c'è una visita per te!” urlò sua madre dal pianterreno. La giovane guardò il pargolo che sorreggeva tra le braccia “Chi sarà mai?” gli chiese, illudendosi per un istante che lui potesse capire. Trunks tuttavia sembrò essere più preoccupato ad osservare il pullover di sua madre per domandarselo.
Scendendo le scale Bulma provò ad pronosticare chi potesse essere il misterioso visitatore, ipotizzando uno dei suoi amici, ma l'uomo che si trovò davanti, quando raggiunse la cucina, era un perfetto sconosciuto.
Era un uomo distinto vestito in un completo elegante ed ordinato. Nella sua mano era stretta una valigetta di pelle che adagiò su una delle sedie attorno al tavolo della cucina.
Il misterioso individuo si schiarì la voce, coprendosi le labbra con un pugno, “Lei deve essere Bulma” esordì fissandola con un'espressione seria. Lei strinse gli occhi in cerca di un indizio che servisse a svelare la sua identità “Chi vuole saperlo?”. Lui si sistemò la cravatta “Mi presento, io sono Piccolo... l'avvocato di Vegeta” Bulma sgranò gli occhi.
Il famoso avvocato! Ricordava che quando Jaco aveva svolto le sue ricerche, mesi e mesi fa, aveva più volte ribadito che Vegeta era stato tirato fuori dai guai da questo miracoloso legale. Anche lo stesso Vegeta l'aveva nominato in un paio di occasioni, rassicurandola che stava lavorando ad un appello per concedergli la libertà, o i domiciliari, prima della scadenza della sua sentenza. L'ultima notizia che lui le aveva dato era che, all’inizio di settembre, si sarebbe dovuta celebrare la prima udienza per il ricorso; ottenuta in fretta proprio grazie all'insistenza del suo legale.
“Oh” espresse in meraviglia la ragazza “Perché l'avvocato di Vegeta è venuto a trovarmi?” Trunks si mosse e la madre se lo sistemò meglio tra le braccia.
Piccolo osservò la scena per un breve istante, fissando il neonato ed in seguito la ragazza. Sembrò rifletterci per un attimo, immerso nei suoi pensieri. In seguito riportò la sua attenzione sulla sua valigia, nella quale infilò una mano. Ne estrasse un fascicolo e lo porse alla giovane “Sono venuto per portarle questo” le disse.
Bulma gli fece notare di avere le mani impegnate “Lo dia pure a mia madre” lo invitò e lui fece quello che gli era stato chiesto, porgendo il documento a Panchy, in piedi accanto alla figlia. La giovane provò a sbirciare, ma il file era anonimo, a parte il nome di Vegeta scritto sulla copertina sopra una targhetta. “Che cos'è?” domandò spinta dalla curiosità.
Piccolo la fissò ancora per un secondo. I suoi profondi occhi neri la studiarono con attenzione, “Il testamento” decise di rivelarle infine.
“Che cosa?! Da quando Vegeta ha una cosa del genere? Perché? Ma soprattutto, perché viene fuori ora?” ne avrebbe avute tante altre di domande del genere, ma queste proruppero dalle sue labbra senza darle il tempo di fermarle. Il legale riprese la propria borsa ed infilò la mano libera nella tasca, “È una cosa comune a molti detenuti, come immaginerà hanno molto tempo a disposizione per riflettere e le Case Circondariali non sono luoghi molto sicuri” le fece notare “Ho molti clienti che chiedono di scriverne uno durante la loro permanenza” Bulma fissò il fascicolo che sua madre cominciò a sfogliare. “Di solito ci vuole del tempo per l'apertura del testamento. Per questo sono venuto a cercarla solo oggi”.
Ancora un po' stordita dalla notizia, Bulma cercò di ritrovare la propria lucidità. “Perché è qui? Se sta dando a me una copia del testamento vuol dire che Vegeta mi ha lasciato qualcosa” intuì infine “Quasi tutto” disse Piccolo “Ha lasciato la sua quota del bar al socio, ma tutto il resto appartiene a lei”. Gli occhi scuri del legale scivolarono per un secondo sul neonato “Non credo di doverle chiedere la ragione” indovinò tornando ad osservare la ragazza, che strinse a sé il pargolo quasi per istinto. Piccolo si voltò “Il resto lo troverà nel fascicolo che le ho consegnato” e senza darle il tempo di replicare uscì dalla porta d'ingresso dopo averle regalato un piccolo gesto del capo.
Una volta ravvedutasi dalla sorpresa, Bulma si rivolse alla madre, “Fammi dare un'occhiata” le chiese rivolta ai documenti. La donna li poggiò sul tavolo ed entrambe cominciarono a consultarli.
Quello che le aveva detto Piccolo era vero. Vegeta le aveva lasciato tutto.
Il suo conto in banca, per quanto minuscolo, l'eredità di suo padre o quello che ne restava. Cosa più importante, l'appartamento sopra il magazzino del bar.
Vegeta non era ricco, i suoi averi erano limitati, ma aveva fatto in modo che se gli fosse accaduto qualcosa in carcere, come purtroppo era successo, tutti i suoi beni sarebbero finiti nelle mani delle persone per lui più importanti: Bulma e, di conseguenza, Trunks.
In cima ai documenti era segnata la data di stipulazione del testamento. Risalivano ad inizio giugno. Chissà cosa, in quel periodo, era passato per la mente di Vegeta tanto da indurlo a prendere una decisione tanto importante.
Bulma non lo avrebbe mai saputo, ma ad essere sincera conosceva abbastanza bene Vegeta da sapere che se pure avesse avuto l'opportunità di domandarglielo, lui non le avrebbe dato la soddisfazione di una risposta. Sarebbe per sempre rimasto un mistero che non avrebbe mai risolto.
Istintivamente la sua mano si poggiò sulla catenina che portava al collo, toccando il ciondolo che strinse forte tra le dita.

***

Fuori stava ancora nevicando, notò quando i suoi occhi si scostarono sulla finestra dalla quale poteva osservare grossi fiocchi di neve che danzavano in cielo.
Per contrasto, si stava davvero bene in quella stanza. Il riscaldamento autonomo dell'appartamento era settato alla giusta temperatura, ma il posto migliore dalla quale osservare il mondo era sotto le coperte. Soprattutto se lui le stava sdraiato accanto.
Gli occhi di Bulma si scostarono verso l'amante, avvicinandosi a lui per poterlo tenere stretto ed appoggiandogli la testa sui pettorali. Vegeta la strinse a sé, ma il suo sguardo restò fisso sul soffitto.
La ragazza si era accorta che era pensieroso quel giorno, rendendolo meno loquace del solito. All'improvviso lui si mise seduto, “Ehi!” protestò lei. Sapeva che prima o poi si sarebbero dovuti alzare, ma avrebbe preferito restare lì per ancora cinque minuti... almeno.
Vegeta non le rispose, si voltò verso il suo comodino ed aprì uno dei cassetti. Curiosa, Bulma seguì i suoi gesti e si accorse della sua esitazione. Stava per sedersi anche lei, con l'intento di sbirciare oltre la sua spalla, quando Vegeta infilò la mano nel cassetto e lo richiuse.
Senza molta delicatezza le lanciò sulle ginocchia quello che si rivelò essere una scatoletta.
Bulma la fissò senza capire, “Che cos'è?” gli domandò. In responso Vegeta ringhiò “Non fare domande idiote” così dicendo incrociò le braccia e la osservò con un broncio in viso.
“Aww... mi stai facendo un regalo? È la prima volta che me ne fai uno” commentò afferrando il contenitore. “Tsk, sta zitta” brontolò lui tornando a sdraiarsi sul materasso, dandole le spalle.
All'insaputa della giovane continuò ad osservarla tramite il riflesso della finestra. Bulma aveva un solo modo per svelare il mistero, decidendo quindi di aprire la scatola. Al suo interno era contenuta una collanina, il cui ciondolo era una piccola sfera arancione nella quale era incastonata una stellina rossa.
Non era bigiotteria, aveva un certo valore, ma non era neanche troppo pregiata.
“Wow!” esclamò lei con entusiasmo quando la vide. Bulma si mise a sedere e diede uno spintone all'uomo “Aiutami a metterla” gli disse scuotendolo.
Vegeta sbuffò e sollevò il busto dal materasso, aiutandola ad indossarla. Quando le sue mani si allontanarono dal collo della giovane, lei scattò giù dal letto.
Nuda, a parte per catenina, si precipitò verso lo specchio in bagno.
Dalla sua prospettiva, ancora sdraiato sul materasso, Vegeta poté osservarla mentre si controllava con indosso il nuovo girocollo.
Bulma tornò di corsa e s'infilò sotto le coperte. Era pur sempre metà dicembre e lei non portava abiti di sorta. Sebbene il riscaldamento fosse alla giusta temperatura, Vegeta era la sua principale fonte di calore.
Quando lo raggiunse gli saltò al collo e lo strinse con tutta la forza che aveva in corpo “È bellissima, Vegeta. Ti amo”.
Silenzio.
Solo dopo averlo detto, Bulma si rese conto delle parole che erano appena uscite dalle sue labbra. Non c'aveva mai pensato, era un sentimento che non sapeva nemmeno di provare e che non aveva mai sentito per nessuno.
Eppure.
Eppure doveva essere vero, perché quando le sue orecchie udirono il suono della sua voce pronunciare quella frase si rese conto che doveva essere vera.
“Tu... cosa?” mormorò lui colto altrettanto alla sprovvista.
Guardandolo negli occhi, Bulma si rese conto di non avere dubbi. Sorrise “Ti amo” ripeté e questa volta lo fece con una certa consapevolezza. Certa che non potevano esserci altre alternative. Era ciò che provava per lui.
Vegeta sembrò un po' meno sicuro, nei suoi occhi il dubbio e un pizzico di paura. Un sentimento così non gli era familiare e non sembrò in grado di trovare una risposta a quell'affermazione.
In cuor suo Bulma cominciò a vacillare. E se fosse stato a senso unico? E se lui non provava lo stesso per lei?
La sua certezza e la sua felicità rischiò di sgretolarsi, ma prima che il dubbio potesse rovinare l'intero momento, Vegeta si chinò verso di lei e la baciò nel modo più delicato possibile. Rispondendole in silenzio.


FINE

Anche questa (luuunga) storia è infine giunta al termine!
Un sentito grazie a tutti voi per averla letta fin qui. Un doppio e caloroso grazie anche a chi ha ritagliato del tempo prezioso dai suoi impegni per farmi conoscere le sue opinioni.

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