Enter my world di taisa (/viewuser.php?uid=14713)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bugie e segreti ***
Capitolo 2: *** Un intelletto senza pari ***
Capitolo 3: *** Quel che non ti aspetti ***
Capitolo 4: *** Per qualche anno in più ***
Capitolo 5: *** Nessuna pietà ***
Capitolo 6: *** Pessimo tempismo ***
Capitolo 7: *** Ordinaria amministrazione ***
Capitolo 8: *** Qualcosa di stupido ***
Capitolo 9: *** Rapporti di coppia ***
Capitolo 10: *** Le conseguenze delle proprie azioni ***
Capitolo 11: *** Un vago sospetto ***
Capitolo 12: *** Doverose spiegazioni ***
Capitolo 13: *** Sempre più lontani ***
Capitolo 14: *** Le cose si complicano ***
Capitolo 15: *** Chiuso in gabbia ***
Capitolo 16: *** Una storia da raccontare ***
Capitolo 17: *** Progetti ***
Capitolo 18: *** La ragazza dell'ultimo anno ***
Capitolo 19: *** I volti degli sconosciuti ***
Capitolo 20: *** Un gesto parla da sé ***
Capitolo 21: *** Forza bruta ***
Capitolo 22: *** La vita si muove ***
Capitolo 23: *** Cure mediche ***
Capitolo 24: *** Le sorti del mio futuro ***
Capitolo 25: *** Non smettere di sognare ***
Capitolo 26: *** Buone e cattive notizie ***
Capitolo 27: *** Le parole di un messaggero ***
Capitolo 28: *** Basta un attimo di distrazione ***
Capitolo 29: *** Un'immagine residua ***
Capitolo 30: *** Bisogno di parlare ***
Capitolo 31: *** Una scomoda posizione ***
Capitolo 32: *** Pensieri della notte ***
Capitolo 33: *** La fine di un epoca ***
Capitolo 34: *** Solo noi due ***
Capitolo 35: *** Per motivi di sicurezza ***
Capitolo 36: *** In cerca di notizie ***
Capitolo 37: *** L'importanza di una vita ***
Capitolo 38: *** Per le persone care ***
Capitolo 39: *** I conti tornano ***
Capitolo 40: *** Nel mio mondo ***
Capitolo 1 *** Bugie e segreti ***
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MY WORLD
Bugie e segreti
Il
culmine del piacere giunse proprio in quel momento. Il suo corpo ebbe
un ultimo fremito di diletto prima che il resto del mondo cominciasse a
solleticare i suoi sensi. La realtà tornò lenta e
rumorosa, riportandola con i piedi per terra.
Quando si lasciò cadere sul materasso si accorse che la sua
pelle era bollente, nonostante il freddo invernale di metà
dicembre. In contrasto, la collanina dorata che portava al collo le
diede un fremito quando toccò la cute. Il ciondolo attaccato
alla catenina, una piccola sfera di colore arancione nella quale era
incastonata una stellina rossa, le ricadde tra i seni.
Si voltò al suo fianco, per cercare il suo amante. Anche lui
si era sdraiato sul letto, osservando il soffitto della stanza. Fuori
il cielo si era schiarito dalle nuvole nere che avevano portato la neve
nei giorni precedenti e in quella giornata il sole riusciva timidamente
a risplendere. I suoi raggi entrarono dalla finestra illuminando il
corpo dell'uomo che le stava accanto e Bulma poté notare il
sudore sul petto atletico di lui.
Si avvicinò, appoggiandogli la testa sulla spalla. Lo
costrinse a circondarla con un braccio che lei si sistemò
come se fosse una coperta. Lui non disse nulla, la lasciò
fare senza aprire bocca.
Se avesse potuto esprimere un desiderio avrebbe voluto che quel momento
non finisse mai, ma la magia non esiste e quando la realtà
bussa alla porta non sempre è possibile fingere di non
vedere.
La suoneria del suo cellulare rimbombò rumorosa nella stanza
altrimenti silenziosa. Bulma l'avrebbe volentieri ignorata, se non
avesse riconosciuto la tonalità che aveva impostato per
essere quella esclusiva di sua madre.
I suoi occhi azzurri si fissarono sulla sveglia posta sul comodino dal
lato in cui era sdraiato lui. Si accorse che era tardi e non le parve
una buona idea non rispondere alla chiamata, correndo l'inutile rischio
di farla insospettire.
Bulma balzò giù dal letto alla ricerca della
giacca che faceva parte della sua divisa, consapevole che il telefono
si trovava in una delle tasche. “Ciao mamma”
salutò subito appena riuscì a rinvenirlo.
Ascoltò la risposta “No, sono ancora a
scuola” mentì “Sono rimasta a studiare
con gli altri” aggiunse mentre i suoi occhi cercarono il
motivo delle sue calunnie.
Vegeta si alzò dal letto in silenzio, ignaro che lei non lo
stava perdendo di vista per un secondo. Impegnato nella ricerca di un
paio pulito di boxer non si accorse che Bulma avrebbe voluto fermarlo
per ordinargli di tornare a sdraiarsi sul materasso nudo com'era.
Fu davvero difficile concentrarsi per ascoltare le istruzioni che le
venivano date e per poco si dimenticò che sua madre l'aveva
appena informata che sarebbe tornata a casa entro una mezz'ora.
Recuperati un paio di pantaloni e una maglietta, Vegeta uscì
dalla stanza, percorse il corridoio e raggiunse il bagno senza tuttavia
premurarsi di chiudere nessuna delle porte.
“O... k allora ci vediamo a casa” disse infine
Bulma, quando lui uscì dalla sua visuale. A dire il vero si
stava facendo tardi, e se voleva rendere credibile la sua storia e
fosse davvero
rimasta a scuola con i suoi amici, quella sarebbe stata
l'ora in cui tutti dovevano rincasare. Bulma abitava a poche fermate
d'autobus dalla scuola, ma alcuni degli altri non erano così
fortunati e quando capitava di rimanere nella biblioteca scolastica si
salutavano sempre verso la stessa ora. “Sto andando a
prendere la bici proprio ora” un'altra menzogna. Era
diventata molto brava a raccontare bugie, ultimamente.
Vegeta riapparve, ora vestito, pochi istanti dopo il termine della
telefonata. Anche Bulma aveva cominciato a recuperare i pezzi della sua
divisa scolastica che aveva lasciato in giro per la camera da letto.
Vedendola cercare le parti mancanti, fu lui e raccoglierle la camicia
sulla quale era stampato lo stemma del liceo privato che la ragazza
frequentava. Lo aggiunse con le altre cose sistemate sul letto.
Bulma si voltò a guardarlo infilarsi una felpa. Lo
fissò per un momento, “Stai andando a
lavoro?” gli domandò “Hn”
rispose lui. Vegeta non era una persona di molte parole e Bulma aveva
imparato ad accontentarsi di questi brevi suoni che
sostituivano intere
frasi.
Vegeta la baciò per un istante che le parve eterno e sempre
troppo breve. “Chiudi la porta quando esci” le
disse prima di voltarsi verso l’ingresso. Bulma gli
afferrò l'orlo della felpa, “Promettimi che mi
scriverai quando finisci” lui la guardò
aggrottando le sopracciglia “Chiudiamo tardi, tu dovresti
già essere a letto a quell'ora” le
ricordò. Lei mise il broncio “Non importa! Voglio
la buona notte, Vegeta! Promettimelo!”.
La guardò con un'espressione adirata per un attimo, poi
sbuffò. “Sei una rompiscatole”
brontolò e solo allora Bulma lo lasciò andare,
consapevole che quello era il suo modo di assentire.
***
L'appartamento
di Vegeta era situato sopra il magazzino del locale, doveva solo
scendere una breve rampa di scale per entrare nel cortile circondato da
un cancello, generalmente lasciato aperto per lasciar libero il
passaggio allo scarico merci, e da alcune siepi dietro la quale Bulma
era solita nascondere la propria bicicletta.
Il terreno era ricoperto da uno strato di neve che stava ormai
scomparendo. Il tempo era decisamente migliorato rispetto a pochi
giorni prima e, alzando gli occhi al cielo, le nuvole erano scomparse.
Almeno per il momento non avrebbe più nevicato.
Non si poteva mai essere troppo sicuri tuttavia e Vegeta decise che era
una buona idea spostare la propria moto sotto una tettoia all'interno
del cortile, essendo stato costretto a parcheggiare allo scoperto a
causa di un camion che stava recapitando un ordine e che ora si era
allontanato.
Era una vecchia motocicletta che andava solo quando ne aveva voglia.
Vegeta stava perdendo la pazienza con lei, ma al momento non aveva la
possibilità di comprarne una nuova. Messo al riparo il
motociclo, aprì la porta sul retro del magazzino e si
diresse
verso l'entrata del bar.
Era tardo pomeriggio, un orario in cui i clienti erano pochi,
nonostante ciò il co-proprietario del locale era di servizio
dietro il bancone. “Dove cavolo sei stato, Vegeta?”
brontolò questi quando lo vide arrivare, “Sta
zitto
Nappa” tagliò corto l’altro.
Era inutile discutere con lui, era sparito senza dire una parola ed era
ricomparso allo stesso modo. Quando non aveva voglia di parlare, che
era la maggior parte delle volte, Vegeta era una cassaforte fatta di
segreti.
Tuttavia Nappa si stava innervosendo! Erano un paio di mesi che Vegeta
spariva senza spiegazione alcuna saltando costantemente il turno
pomeridiano al bar. Sarà anche stato l'orario più
tranquillo della giornata, ma c'era sempre molto lavoro da fare dietro le quinte.
Stava cominciando ad insospettirsi, se doveva essere sincero. Vegeta
stava sicuramente nascondendo qualcosa, anche se ancora non sapeva cosa.
***
Aveva
raccontato a sua madre che stava tornando a casa, prima di chiudere la
telefonata. Non che questo fosse troppo distante dalla
realtà,
dopotutto si era precipitata dopo essersi resa presentabile. C'era solo
un unico problema, l'appartamento di Vegeta distava quasi il doppio
rispetto alla scuola, pertanto Bulma avrebbe impiegato altrettanto
tempo a rincasare. Doveva quindi battere la madre sul tempo, e se aveva
fatto i conti correttamente sarebbe riuscita nell'impresa.
Nonostante la sua sicurezza in fatto di tempistiche, tirò
comunque un sospiro di sollievo quando si accorse che la macchina non
era parcheggiata davanti al viale.
Rimediato a quella bugia doveva fare i conti con la seconda, sulla
quale non poteva
permettersi
di transigere. Mentendo a tutti, amici e genitori, aveva raccontato che
avrebbe studiato per tutto il pomeriggio. La realtà era che
non
aveva aperto un singolo libro avendo passato tutto il tempo con un uomo
sette anni più grande di lei senza rivelare a nessuno della
sua
esistenza.
La sua relazione con Vegeta era un segreto.
Arrivata a casa si precipitò in camera per studiare
matematica.
Non poteva prendere un brutto voto al compito in classe di domani, i
suoi risultati scolastici dovevano essere perfetti. E pur di
mantenerli tali avrebbe studiato fino a notte tarda.
“Bulma aiutami a mettere via la spesa” disse la
voce di sua
madre che giunse dalle scale. Costretta ad abbandonare i suoi propositi
di studio, la ragazza dovette uscire dalla propria camera.
Tornò
al piano inferiore per dare una mano portando i sacchetti in cucina e
cominciando a svuotarli.
“Com'è andato lo studio con i tuoi
amici?” le domandò allegra la donna, “Ho appena
incominciato”
pensò tra sé Bulma, “Bene” le
rispose
afferrando un pacchetto di patatine che ripose su uno scaffale in alto
nel mobile contenente snack di ogni sorta “Ma vorrei studiare
un
altro po'” aggiunse frettolosa per giustificare il fatto che
non
avrebbe fatto altro per il resto della giornata.
Panchy estrasse delle verdure fresche e le ripose in frigo,
“Non
esagerare cara, se hai studiato tutto il pomeriggio dovresti rilassarti
un po' prima di andare a dormire” suggerì alla
figlia,
“I tuoi voti sono ottimi” “S...
sì, ma vorrei
ripassare ancora alcune cose” mormorò Bulma
cercando di
restare sul vago.
La sua mano s'infilò in uno dei sacchetti estraendone un
pacchetto di biscotti, una confezione di cereali e un succo di frutta.
Li poggiò sul tavolo uno ad uno, soffermandosi ad osservarli.
Sua madre stava parlando, ma per un istante non le diede molto retta
“Ehi, mamma, questi non sono i cereali che prendiamo di
solito” le indicò. Panchy si voltò
osservando la
scatola senza notare nessuna differenza. “Cosa c'è
che non
va?” le domandò, la figlia le indicò il
disegno sul
cartone “Sono la solita marca, ma questi hanno l'uva
sultanina” le fece notare “Lo sai che non mi
piace”
brontolò come una mocciosa mettendo il broncio. La donna
alzò le spalle “Oh beh”
minimizzò
“Appena posso andrò a comprare quelli che ti
piacciono” le promise.
Un po' contrariata, Bulma mise la confezione insieme alle altre
nell'apposito scomparto del mobile.
“Stavo dicendo, Bulma” riprese Panchy,
“Si hanno
notizie sulla borsa di studio?” le domandò. Dopo
aver
riposto anche l'ultimo oggetto pescato dall'interno della borsa, Bulma
si voltò verso sua madre “Non ancora, mi hanno
detto che
si saprà ad inizio gennaio” le ricordò.
La donna
giunse i palmi della mani “Oh, ci siamo quasi”
cinguettò allegra.
Bulma era un po' nervosa per l'intera faccenda, aveva lavorato sodo
anche solo per poter fare richiesta all'università.
Era una facoltà molto influente ed era difficile entrare.
Ogni
anno selezionavano i più bravi nell'intero paese, alla quale
veniva data una prestigiosa borsa di studio e solo ad essi era concesso
entrare senza il test d'ingresso che si teneva nei mesi estivi. Bulma
voleva ad ogni costo quel privilegio, essendo un ateneo oneroso. Questo
avrebbe permesso ai suoi genitori di non svenarsi economicamente pur di
farle ottenere la laurea dei suoi sogni.
Voleva studiare ingegneria e voleva farlo nell'istituto che aveva
frequentato anche suo padre. Per fare ciò doveva prima
prendere
un buon voto nel compito di matematica di domani e quindi doveva
mettersi a studiare.
CONTINUA…
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Capitolo 2 *** Un intelletto senza pari ***
d
ENTER
MY WORLD
Un intelletto senza pari
Il
compito in classe non era stato troppo complicato, anche se non avesse
passato la notte a studiare fino alle tre. Sapeva di aver fatto bene e
si sentì fiduciosa delle sue capacità. Erano
almeno venti minuti che aveva già consegnato al professore
il suo test.
Il suono della campanella decretò la fine della lezione e
l'inizio dell'intervallo. I suoi compagni di classe si affrettarono a
scrivere le ultime note prima che i fogli venissero sottratti sotto i
loro nasi.
Crilin, seduto al banco di fronte a lei, si voltò l'istante
esatto in cui l'insegnante ritirò il suo compito.
“Dimmi che la risposta alla terza equazione era
cinque” la implorò, sapendo che se lì
c'era qualcuno che aveva le risposte esatte a tutti i questi, quella
era Bulma.
“Ti avevo detto che era otto” lo
rimproverò Lazuli seduta con le spalle appoggiate alla
parete dietro il tavolo alla sinistra del suo ragazzo. Crilin la
guardò per un attimo con disappunto. Lei aveva cercato di
suggerirgli le risposte esatte per tutto il tempo, ma in
metà dei casi non era riuscito a sentire, mentre nell'altra
metà avevano rischiato di farsi beccare.
L'amico tornò a guardarla con un'ultima flebile speranza, ma
Bulma alzò le spalle “Mi dispiace, Crilin, ha
ragione lei” confermò. Lui sospirò
rassegnato “Oh” bisbigliò.
“Beh, un altro compito in classe nella quale ho preso un
pessimo voto” s'introdusse Yamcha, che si era fatto largo dai
banchi in prima fila, dov'era stato spostato per punirlo dopo essere
stato scoperto a copiare una volta di troppo. “Dimmi almeno
che ne hai fatta una giusta” si augurò Bulma, per
tutta risposta lui si portò le mani dietro la nuca
“Probabilmente no” dedusse noncurante.
Yamcha lasciò cadere il proprio astuccio sul banco che
occupava di solito, dietro Lazuli e accanto a Bulma, “Non
importa... piuttosto chi viene con me alle macchinette? Io avrei un po'
di fame” suggerì lui. Le due ragazze si
scambiarono uno sguardo. Lazuli si alzò ed
afferrò la mano di Crilin, costringendolo a sollevarsi dalla
sedia “Tanto vale andare tutti” disse cercando
d'incoraggiare il ragazzo ancora sconfortato dall'idea che i suoi voti
in matematica stavano peggiorando.
Anche Bulma decise di alzarsi, “D'accordo” disse
afferrando il cellulare che aveva nascosto nella giacca della divisa.
Non aveva ricevuto alcun messaggio nuovo, appurò dopo aver
verificato.
Vegeta era stato di parole, la notte precedente. Alle quattro in punto
le aveva scritto un breve messaggio alla quale lei aveva replicato
appena si era alzata quella mattina. Di lui non c'era ancora segno
tuttavia.
Non che si aspettasse qualcosa di complicato, Vegeta aveva un modo di
scrivere estremamente sintetico. Si trattava perlopiù di
brevi frasi o di singole parole, ma a lei bastavano. A ben pensarci
però, erano ancora le dieci del mattino, forse lui non si
era ancora svegliato.
Il gruppetto si ritrovò ben presto in fila per arrivare ai
distributori automatici in attesa del loro turno che per fortuna
arrivò presto. Yamcha si voltò verso gli altri,
“Bulma, tu vuoi qualcosa?” le domandò
mostrandole una manciata di monete che teneva in mano. Bulma scosse il
capo dopo aver controllato di nuovo il cellulare, “No grazie,
quella roba fa ingrassare” “Non insistere principe
azzurro, alla principessa non interessi” lo prese in giro una
voce alle loro spalle.
Lapis sorseggiò da una bibita che aveva già
ottenuto dalle macchinette, la mano libera nella tasca, e con sguardo
impassibile fissò gli altri uno ad uno,
“Sopravvissuti all'ora di matematica a quanto vedo”
aggiunse poi.
Contrariamente al resto del gruppo, il gemello di Lazuli frequentava
un'altra sezione evitando quindi il test del giorno.
Alla domanda Crilin sospirò ancora affranto e Lapis gli
poggiò una mano sulla testa rasata.
“Andrà meglio la prossima volta
pelatino” gli disse. Si pentì di averlo fatto
quando incrociò lo sguardo glaciale della sorella che lo
costrinse a fare un passo indietro.
“Ehi, dimentichiamoci di queste cose. Siamo liberi questo
pomeriggio, cosa volete fare?” cambiò argomento
Yamcha.
Nella sua mano il cellulare vibrò per un istante. Bulma si
affrettò a dare un'occhiata, ma ne fu subito delusa... non
era Vegeta. Lesse comunque il messaggio.
“Possiamo andare in centro” suggerì
Crilin, risvegliatosi dal suo torpore si voltò verso Lazuli
“Cosa ne pensi?”. Lei gli regalò un
lieve sorriso, “Se è quello che vuoi”
stabilì. Lapis fece spallucce “Beh immagino che
vada bene” disse senza suonare troppo convincente, mentre
l'altro ragazzo annuì col capo.
In seguito Yamcha si rivolse a Bulma, “Tu?” le
domandò. Lei sollevò il capo dal suo cellulare,
“Cosa? Ah... no mi dispiace io non posso. Mi ha appena
scritto mia sorella e mi ha chiesto se posso passare da lei
oggi” spiegò digitando la risposta sulla tastiera
del telefonino.
***
Sua
sorella maggiore Tights abitava in periferia, dove gli affitti per gli
appartamenti non erano troppo costosi, tanto da permettere ad una
giovane aspirante giornalista di lavorare in un piccolo giornale locale.
Il problema, per Bulma, era che arrivarci in bicicletta era un'immensa
fatica vista la distanza da percorrere. Si vedeva quindi costretta a
lasciare il suo bolide alla fermata dell'autobus per farsi mezz'ora
seduta sui mezzi pubblici. Se non altro aveva la possibilità di
scendere proprio davanti al palazzo della sorella senza quindi fare
molta strada.
Quando citofonò alla porta le aprì un giovane ragazzo
mingherlino con indosso l'uniforme della polizia. Lui la squadrò
dal basso verso l'alto, “Ah... sei tu” brontolò in
una tonalità seccata, “Ciao Jaco” replicò
Bulma.
Jaco era il coinquilino e amico di sua sorella. I due erano stati
compagni di classe al liceo ed avevano finito per trovare un accordo
per aiutarsi sul piano economico.
Dividere i costi dell'appartamento consentiva ad entrambi di mantenere
in vita i reciproci stipendi un po' più a lungo, considerando
che nessuno dei due veniva pagato molto.
“Tights, c'è tua sorella!” gridò Jaco
all'interno della casa. La giovane donna si affacciò da una
delle stanze in fondo al piccolo corridoio, “Vieni pure
Bulma” le disse facendole segno di raggiungerla.
Mentre la ragazza si fece strada, Tights guardò il coinquilino,
“Non dovevi andare a lavoro?” gli domandò “Sto
andando” rispose lui infilandosi il berretto d'ordinanza sul capo
prima di uscire e sbattere la porta. “È di cattivo
umore?” le domandò Bulma una volta entrata nella camera da
letto della sorella. Lei alzò le spalle “Non farci caso,
Jaco è sempre di cattivo umore” scherzò.
Bulma si guardò attorno, la camera era abbastanza minimale,
c'era solo lo spazio sufficiente per il letto, l'armadio e una
scrivania che la sorella aveva tappezzato con vari poster per dare un
po' di personalità all'ambiente.
Dopo essersi seduta sul materasso, Tights le indicò il
portatile, “Eccolo, puoi sistemarlo?” le chiese. Bulma
appoggiò il suo zaino scolastico sul pavimento appena fuori
dalla stanza ed appese la giacca della divisa sullo schienale della
sedia. Poi aprì il laptop e cominciò a digitare sui
tasti, “Mh” farfugliò pensierosa.
Con uno squillo il suo cellulare diede il segnale di aver appena
ricevuto un messaggio. Impiegò meno di un secondo ad estrarlo
dalla tasca per poter leggere la missiva.
Vegeta!
Sulle sue labbra si disegnò subito un piccolo sorriso che
riuscì a nascondere alla sorella alla quale dava le spalle. A
malincuore lo informò che non sarebbe riuscita ad andarlo a
trovare quel giorno, ma che le sarebbe mancato e avrebbe pensato a lui.
Stava per poggiare il telefono sulla superficie del tavolo, quando
decise di aggiungere un cuore a completare così la sua risposta.
“Ehi! Sei qui per aggiustare il mio computer, non per
chiacchierare con i tuoi amici” le ricordò Tights,
avendone bisogno... era il suo strumento di lavoro! “Cosa? Ah
sì” si riscosse l'altra che senza pensare toccò il
pendaglio appeso alla collanina che portava al collo.
Il silenzio scese nella stanza, fatta eccezione per il digitare dei
tasti. “Allora, pensi di poterlo fare?” domandò in
apprensione la maggiore. “Non lo so, è un errore che non
conosco” le spiegò.
Bulma non si arrese e la sua lotta con il portatile durò per
diversi minuti ancora, era diventata una questione di principio. Tights
si alzò dal letto e si avvicinò a lei, chinandosi per
vedere lo schermo, “Pensi che papà potrebbe
riuscirci?” le domandò e per quella domanda si
guadagnò un'occhiata di disapprovazione.
Il padre, Dr. Brief, era una sorta di aggiustatutto specializzato nella
riparazione di elettrodomestici più svariati. Possedeva un
piccolo negozio in centro incentrato sul restauro di oggetti non
funzionanti. Non c'era nulla che non fosse in grado di fare.
Nei suoi diciassette anni di vita, Bulma aveva imparato da lui tutto
quello che sapeva sull'arte della meccanica dietro la moderna
tecnologia. Era un mondo che l'affascinava, per questo aveva sempre
voluto seguire la sua strada.
Tuttavia, seppur il genitore fosse capace di ridare nuova vita anche ai
computer, quello era un territorio nella quale lei era nettamente
superiore. Tights lo sapeva, per questo aveva chiamato la sorella prima
del padre.
“Scusa, non volevo offenderti” le disse in risposta allo
sguardo che aveva ricevuto. Bulma tornò al suo lavoro.
“Dovrò fare qualche ricerca per sapere come
ripararlo” decretò infine, ma quella diagnosi non piacque
alla maggiore. “Ho una consegna per domani” si
lamentò. Bulma ci pensò per alcuni secondi, “Mi
è venuta un'idea, se vuoi posso dire alla mamma di venirmi a
prendere e di portarmi il mio vecchio computer. Ti lascio quello mentre
provo a sistemare questo” concluse. “Non sapevo avessi un
nuovo computer” notò Tights, la sorella alzò le
spalle “L'ho comprato alcuni mesi fa con i soldi del mio lavoro
part-time” le rivelò.
CONTINUA…
Dunque, nota per quanto
riguarda alcuni nomi. Come avrete notato ho usato i nomi
“umani” per C17 e C18 (rispettivamente Lapis e
Lazuli).
Ho fatto questa scelta perché mi suonavano più naturali in confronto ai reciproci numeri.
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Capitolo 3 *** Quel che non ti aspetti ***
d
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MY WORLD
Quel che non ti aspetti
Arrivato
nella zona del bar parcheggiò l'auto sul retro accanto alla
cancellata che dava sul cortile.
Era inutile posteggiarla all'interno, nell'eventualità un
camion
dovesse passare a scaricare un ordine avrebbe dovuto comunque
spostarla. Inoltre Vegeta era solito lasciare la sua moto dietro il
cancello. Sebbene quest'ultima non si trovasse lì in quel
momento.
Il veicolo che invece Nappa trovò nascosto tra i cespugli
era
una bicicletta. Sarebbe stato più sorpreso se fosse la prima
volta che la individuava nello stesso punto. Non sapeva a chi
appartenesse e d'altrocanto non era nemmeno un suo problema.
Era in ritardo quel giorno, nonostante il martedì aprissero
più tardi del solito, avendo trovato traffico sul tragitto.
Si
reputò fortunato di aver trovato effettivamente un posto
dove
lasciare l'auto. C'era un'altra vettura tra la sua e l'inferriata che
delimitava la proprietà del bar, alla quale dava le spalle.
Il suo cellulare cominciò all'improvviso a vibrare. Sarebbe
stato bello trovarlo dove l'aveva lasciato, sul sedile del passeggero,
ma doveva essere scivolato al suolo. Forse non avrebbe avuto tutti
questi disagi se avesse fatto lo sforzo di mantenere il suo mezzo di
trasporto con una minima parvenza di ordine.
C'era così tanto ciarpame sul posto accanto al guidatore che
Nappa fu costretto a chinarsi ed immergere la mano tra carte, cartacce
e una serie indistinguibile di spazzatura.
Quando finalmente raggiunse il telefono, chiunque avesse cercato di
rintracciarlo aveva deciso di rinunciare.
Con la coda dell'occhio si accorse di uno strano movimento provenire
dal cortile del bar. Più precisamente dall'ingresso
dell'appartamento di Vegeta.
Tramite lo specchietto retrovisore vide una figura femminile emergere
dall'interno dell'abitazione. Si soffermò per un momento sul
pianerottolo davanti alla porta e si diede una sistemata alla gonna.
Nappa inarcò un sopracciglio. Questa sì che era
una cosa
inaspettata, pensò seguendo i movimenti della ragazza mentre
questa s'infilava uno zainetto scolastico sulle spalle cominciando a
scendere le scale. Arrivata ai cespugli si apprestò a
slegare la
bici nascosta dietro di essi.
Lui non fu in grado di guardarla in faccia, poiché gli stava
dando le spalle, oltre al fatto che il capo era rimasto nascosto dai
rami. Nonostante fosse così vicina Nappa non fu in grado di
determinare la sua identità. Tuttavia una cosa gli
balzò
all'occhio, la ragazza indossava la divisa di un liceo privato il cui
stemma era cucito sulla giacca.
Una studentessa!
Nappa rimase ancora un secondo ad osservare la scena, prima che lei
salisse sul sellino della bicicletta cominciando a pedalare nella
direzione opposta rispetto a quella nella quale era parcheggiato. Per
un attimo non seppe come interpretare questa rivelazione.
Perché
una mocciosa era uscita dall'appartamento del suo socio?
Tornò ad occuparsi dei propri affari, prestando attenzione
al
suo cellulare, solo per scoprire che il numero era verosimilmente una
di quelle chiamate promozionali con l'antipatico vizio di telefonare
sempre nei momenti meno opportuni.
Ancora seduto nella sua vettura smanettò col telefono per
alcuni
istanti, appoggiando la mano sulla portiera con l'intento di aprirla.
Un secondo movimento attirò la sua attenzione. La porta
dell'appartamento si aprì nuovamente e questa volta ad
uscirne
fu Vegeta in persona.
Nappa ne fu sorpreso, non avendo visto la sua moto nel cortile aveva
dedotto che fosse uscito, non si aspettava che fosse in casa.
Sempre guardandolo tramite lo specchietto, Nappa lo vide infilarsi una
maglietta nei pantaloni prima di sistemarsi il maglione che indossava.
Osservandolo mentre scendeva la scalinata, mani nelle tasche, Nappa si
domandò cosa ci faceva in compagnia di una licea... oh!
Ma certo!
Ecco perché Vegeta spariva nei pomeriggi,
proprio quando la
scuola era finita e prima che lei fosse costretta a tornare a casa da
mammina!
***
Facendosi
largo tra il fogliame che ricoprivano il cortile, Vegeta
posteggiò la sua moto con crescente rabbia. Lo aveva
lasciato a
piedi... di nuovo.
Era stato costretto a
farsi almeno un
paio di chilometri trascinandosi quello stramaledetto ammasso di
ferraglia dopo che il motore si era spento senza alcun preavviso.
Fortunatamente i raggi del sole non erano più quelli estivi
dei
mesi scorsi e con l'autunno ormai alle porte il cielo era illuminato da
un tramonto settembrino dalle pittoresche sfumature.
Tornato a casa, Vegeta
diede un
calcio al rottame che era costretto a guidare. Avrebbe voluto prendere
una lastra di metallo e farle molto peggio, se non avesse imparato da
una precedente esperienza che i danni sarebbero stati costosi da
riparare.
Dopo la pessima giornata
appena
trascorsa aveva bisogno di una birra e se c'era una cosa positiva nel
possedere un bar era quella che non correva mai il rischio di restare
senza.
“Vegeta! Che
fine hai fatto?
Stavo aspettando te per i colloqui” lo chiamò
Nappa appena
lo vide entrare, “Quel dannato ferrovecchio!”
sbottò
lui senza dare nessuna spiegazione ulteriore. Non che ce ne fosse
bisogno dopotutto.
Vegeta diede uno
spintone al socio,
in piedi davanti al frigo dalla quale estrasse una birra.
“Lui
è l'altro proprietario” stava nel frattempo
spiegando
Nappa, “È a lui che dovrai fare
riferimento”
aggiunse. Vegeta si voltò notando solo allora una figura
minuta
accanto al colosso che era il co-proprietario del locale.
“Ciao” lo salutò lei.
“Mi prendi in
giro?”
sbottò immediatamente, “Questa mocciosa
è quella
che hai scelto per sostituirti?” “Il nome
è
Bulma” puntualizzò subito lei, non troppo felice
di essere
apostrofata come mocciosa da uno sconosciuto piuttosto
maleducato.
Vegeta fu abile nel nascondere la sua sorpresa a quella ritorsione.
“Se ti fossi
presentato ai
colloqui avresti potuto aiutarmi a scegliere” gli
ricordò
il colosso “Sta zitto” brontolò l'altro.
Vegeta guardò
bene la
ragazzina, gli sembrava piuttosto giovane, troppo. “Quanti
anni
hai?” le domandò altezzoso. Lei
incrociò le braccia
“Diciassette appena compiuti” gli rispose a tono.
Con uno
sguardo di disapprovazione, che sembrava voler dire “Stai
scherzando?!”
l'uomo si rivolse al collega.
“Rilassati,
Vegeta. Ti serve
solo qualcuno che pulisca il locale quando non ci sono troppi
clienti” gli fece notare Nappa “E poi
sarà solo per
un mese, tornerò all'inizio di ottobre”
“Tsk! Puoi
anche non tornare, per quanto mi riguarda” replicò.
***
Vegeta
era già dietro il bancone quando Nappa lo raggiunse.
Sollevò lo sguardo sentendolo arrivare e decise di non fare
nessun commento. Il suo mutismo non era certo la novità del
giorno.
Il socio lo guardò lavorare ancora un po' incredulo,
cercando di capacitarsi sulla sua scoperta.
Sentendosi osservato, Vegeta si voltò verso di lui con
un'espressione tutt'altro che amichevole. “Cosa
vuoi?” gli
domandò tagliente e non troppo contento. Nappa
sussultò
“Niente!” esclamò in fretta.
Per togliersi il pensiero dalla mente decise di cambiare argomento,
“Non pensavo fossi già qui”
mentì “Il
catorcio non era parcheggiato al solito posto” aggiunse
frettolosamente.
Vegeta smise di trafficare con alcune bottiglie e si voltò
in
direzione del cortile, come se potesse vedere oltre le pareti che li
separavano da esso. Un sogghignò si dipinse sul suo volto e
Nappa si accorse che era quel tipo di sorrisetto che sulle labbra del
collega non era mai
una buona cosa.
“Me ne sono sbarazzato” gli rispose enigmatico.
Nappa
inarcò un sopracciglio, “Ti sei liberato del ferro
vecchio?” gli domandò, “Hai finalmente deciso
di
farlo rottamare?”.
Vegeta gli rivolse uno sguardo stizzito, “Non essere
idiota!” lo rimproverò “Avevo bisogno di
soldi per
comprare una nuova moto, così l'ho venduta” gli
rispose
incrociando le braccia, esibendosi in un altro di quei ghigni crudeli
che erano una sua caratteristica.
“Cos...? Come hai fatto a vendere quel rottame?”
esclamò Nappa genuinamente sorpreso. Quella vecchia moto
partiva
solo quando voleva lei e gli aveva dato più grattacapi che
altro. Negli ultimi anni Vegeta l'aveva portata dal meccanico un numero
infinito di volte senza mai riuscire ad ottenere un risultato stabile.
“Hn, semplice ho trovato qualcuno che me l'ha riparata e un idiota che l'ha comprata” spiegò Vegeta, mentre una luce di malevolenza gli attraversò gli scuri occhi neri.
CONTINUA…
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Capitolo 4 *** Per qualche anno in più ***
d
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MY WORLD
Per qualche anno in più
Quando
finalmente decise di aprire gli occhi erano le dieci di un sabato
mattina e la prima cosa che fece fu allungare la mano verso il
cellulare lasciato a caricare sul comodino.
Vegeta le aveva detto che le avrebbe scritto la notte precedente e
Bulma fu molto felice di vedere che aveva mantenuto la parola. Tuttavia
fu una grossa sorpresa notare che il messaggio non risaliva al giorno
prima, bensì a pochi minuti fa.
Incuriosita e ancora un po' addormentata lo lesse. Scoprì che
lui le aveva detto di recarsi nell'indirizzo che le aveva inviato.
Nessun'altra direttiva o dettaglio. Tipico di Vegeta restare sul vago e misterioso.
Con un brivido di curiosità e una crescente emozione
balzò giù dal letto con un entusiasmo mai provato prima.
Non sapeva cosa aspettarsi e questo la mise in agitazione. Tanto per cominciare, cosa doveva mettersi?
Una volta tanto poteva evitare la divisa scolastica, non che fosse la
prima volta che Vegeta la vedeva indossare qualcosa di diverso,
né il primo weekend che riuscivano a sgattaiolare da qualche
parte. Tuttavia era la prima volta che le dava queste indicazioni e
sebbene non conoscesse il luogo che lui le aveva scritto nel messaggio
conosceva almeno la zona e come arrivarci. Era piuttosto vicino.
Quando scelse i suoi abiti decise di andare per un look che la facesse
sembrare più matura, dandole almeno quell'annetto extra tanto da
farla sembrare maggiorenne e forse anche qualcosina in più.
Salutò in fretta e furia i suoi genitori, senza dar loro il
tempo di commentare né l'abbigliamento o il fatto che stesse
uscendo a metà mattina, cosa insolita quando s'incontrava con i
suoi amici.
Arrivata sul luogo indicato trovò Vegeta appoggiato ad un
lampione con le mani infilate nella tasca della sua giacca. Nel vederla
arrivare non mosse un muscolo, limitandosi a seguirla con lo sguardo.
Non c'era nessuno oltre a lui, notò Bulma, e questo le diede
determinazione in più. Senza esitare un secondo tirò
fuori tutta la sua tenacia e decise di baciarlo in mezzo alla strada.
Vegeta non oppose resistenza, aveva scelto questo luogo d'incontro di proposito.
“Ciao” gli disse poi, guardandolo nell'intensità dei
suoi occhi neri. Come di consueto lui non disse molto, si separò
dal lampione e le afferrò una mano conducendola dietro l'angolo.
C'era una motocicletta parcheggiata lì, sulla quale era appeso
un casco al manubrio. Vegeta lo afferrò e lo porse a lei, che
per un istante lo fissò esterrefatta. “Mettilo” le
disse quando lei decise di afferrarlo. Dalla tasca dei pantaloni
estrasse un mazzo di chiavi ed aprì il bauletto attaccato alla
motociclo estraendo un secondo casco che indossò lui stesso.
Bulma lo fissò ancora senza parole, questa non era la sua vecchia moto.
Vegeta saltò in sella al veicolo ed accese il motore, poi si
voltò a guardarla in attesa. “Di chi è questa
moto?” gli chiese. Coperto dal casco, lui si esibì in una
smorfia seccata, “Non fare domande idiote. È mia”
“Cosa?! E quando l'hai comprata?” esclamò sorpresa
la ragazza.
Con un cenno del mento, Vegeta le indicò una concessionaria alla
fine della strada. Bulma intuì che l'aveva letteralmente appena
acquistata.
“Se non ti dai una mossa ti lascio qui” brontolò
lui, che stava cominciando a perdere la pazienza. Bulma si voltò
a guardarlo, mentre un sorriso si fece largo sul suo viso.
Una nuova dose d'entusiasmo le diede una sferzata d'energia.
S'infilò il casco e salì sul sellino con gioia.
“Dove andiamo?” volle sapere stringendolo attorno alla
vita, “Che importanza ha?” replicò lui, prima di
partire.
Non ne aveva davvero d'importanza!
Bulma si appoggiò alla sua schiena sentendo il calore che
emanava il suo corpo in contrasto con il vento gelido degli ultimi
giorni di dicembre che batteva contro le sue mani non coperte dai un
paio di guanti.
***
“Come
hai fatto a ridurla in questo stato?” gli domandò Bulma,
osservando il motore della motocicletta. Vegeta si limitò ad una
smorfia “È una vecchia moto” le fece notare.
Bulma si voltò a guardare il suo capo, poggiato a braccia
conserte alla balaustra delle scalinate che portavano al suo
appartamento. Tornò a fissare il veicolo. Effettivamente era un
vecchio modello.
Sotto un punto di vista estetico era impeccabile, a parte un paio di
colpi qua e là sul telaio era tenuta nei migliore dei modi.
Per quel che riguardava le prestazioni del motore invece... beh quella
era tutta un'altra questione. Bulma si domandò come facesse
anche solo ad accendersi e quando aveva dato voce a questo pensiero,
Vegeta le aveva risposto che la maggior parte delle volte non lo faceva.
“Beh, io te l'ho aggiustata, ma ti avviso che non durerà
in eterno” gli spiegò poggiandosi alla ringhiera accanto a
lui, “Secondo me fai prima a comprartene una nuova”
suggerì in seguito. Vegeta ringhiò “Me li dai tu i
soldi per farlo?” le fece notare. Bulma osservò la
motocicletta “Mh, se riuscissi a vendere questa dovresti
aggiungere solo la differenza di prezzo” “Chi cavolo vuoi
che la compra in queste condizioni’” le fece presente
l'uomo. Lei fece una smorfia, riflettendoci.
“Non hai tutti i torti” concordò alla fine.
Bulma si avvicinò a lui, toccandogli la spalla con la propria
“Ehi, se ne compri una nuova mi farai fare un giro, vero?”
gli chiese provocatoria, avvicinandosi sempre di più a lui.
Vegeta la guardò per alcuni istanti.
Era una ragazza carina con due grandi occhi azzurri incastonati come
diamanti in un viso longilineo dalla carnagione nivea. Dal fisico
snello e grandi seni accentuati dal fatto che indossasse un maglione
attillato.
“È minorenne” gli sussurrò una voce
all'orecchio, impedendogli di prendere decisioni della quale si sarebbe
potuto pentire. Come una molla si scostò dal corrimano
“P... perché dovrei fare una cosa del genere?”
esclamò cercando di apparire calmo, ignaro che il suo imbarazzo
era chiaramente visibile.
Bulma fece anch'ella un passo in avanti, gli poggiò un dito sul
naso e sorrise “Perché mi devi un favore, dopo averti
sistemato quella vecchia” replicò lei con un sorriso.
Questa ragazzina...
Lui fece ancora più fatica ad ascoltare la vocina della sua
coscienza, ma riuscì ugualmente a resistere all'impulso di fare
qualcosa di stupido.
***
Vegeta
era una di quelle persone della quale era sempre molto difficile
definire l'età. Avrebbe potuto avere venti o addirittura
diciannove anni ad una prima occhiata. Solo in pochi sarebbero riusciti
a ricavarne i suoi effettivi ventiquattro. Soprattutto se nessuno lo
vedeva guidare una moto.
Al contrario, Bulma aveva fatto lo sforzo di apparire più grande per aggiungerne un paio ai suoi diciassette.
Insieme, in una città dove non li conosceva nessuno, potevano essere una coppia di coetanei che si frequentava.
Sotto gli occhi di estranei, per la prima volta, Bulma osò
addirittura prenderlo a braccietto, approfittando del fatto che amici e
parenti erano chilometri di distanza.
Entrare in un ristorante e sedersi ad un tavolo per due era un'altra
nuova esperienza. Erano entrati, si erano seduti e avevano ordinato
senza far capire che lei era minorenne.
A metà del pasto tuttavia, Bulma si vide costretta a scostare il
piatto di bistecca, decisamente troppo corpulento per lei.
“Vegeta, finiscila tu” gli disse, mettendo l'avanzo sotto
il suo naso.
Lui corrugò le sopracciglia “Non sono il tuo
animaletto” brontolò. “Esagerato! Ti sto chiedendo
se vuoi finire anche la mia porzione, non mi sembra poi troppo
complicato” ironizzò lei.
Se non altro in quel ristorante si mangiava bene e non fu difficile
convincerlo a servirsi di una seconda portata. Sebbene fosse basso e
magro, Vegeta era una sorta di pozzo senza fondo quando si trattava di
cibo. C'era da chiedersi dove lo metteva tutto quello che divorava.
Bulma poggiò il mento sul palmo della mano, cominciando a
giocherellare col ciondolo che portava al collo. Fissò il suo
ragazzo e sorrise.
Sentendosi osservato, Vegeta sollevò gli occhi per incrociarli
con quelli azzurri di lei, “Cosa c'è?”
domandò un po' infastidito.
La ragazza continuò a guardarlo per un paio di secondi,
“Stavo solo pensando a quanto sei carino” commentò
facendolo arrossire. “Sta zitta!” sbottò lui
scostando lo sguardo altrove per nascondere l'imbarazzo.
All’improvviso la ragazza cominciò a smanettare col suo
cellulare. “E ora che ti prende? Cosa diamine stai
facendo?” le domandò lui un po' irrequieto. Bulma sorrise
e si accostò, “Voglio immortalare questo momento”
rispose avvicinandosi il più possibile all’uomo,
stringendolo a sé. Vegeta cercò di divincolarsi, ma prima
di riuscire a fuggire udì la giovane dire “Sorridi”,
seguito dallo scatto della macchina fotografica.
“Non ti porto più da nessuna parte” brontolò infine Vegeta, Bulma si limitò a ridere.
CONTINUA…
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Capitolo 5 *** Nessuna pietà ***
d
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MY WORLD
Nessuna pietà
Al suono della campanella di inizio lezioni, Bulma ed i suoi amici raggiunsero l'ingresso dell'aula.
Non essendo in classe con loro Lapis fu costretto a soffermarsi sulla
porta, tenendo d'occhio quella della sua sezione più in
là nel corridoio, per verificare l'arrivo del professore.
Guadagnando quindi quei pochi minuti in più di conversazione
restarono tutti lì a chiacchierare.
Lapis mostrò loro una fotografia di un’automobile dal
proprio cellulare, che aveva visto parcheggiata mentre lui e la sorella
si stavano recando a scuola quella stessa mattina. Era una di quelle
macchine costose che in genere si vedono solo sulle riviste
perché nessuno è così ricco da potersele
permettere.
Appassionato di autovetture, per Lapis quello sarebbe stato il momento
migliore della settimana. Se c'era una persona nel gruppo che
condivideva lo stesso interesse, seppur in modo differente, quella era
Bulma.
A lui piacevano tutti i modelli e le prestazioni di guida, lei
preferiva la performance del motore e un'analisi tecnica del veicolo.
“Quanto siete noiosi” commentò Lazuli, stufa di
ascoltare il gemello discutere di questa macchina come se avesse appena
scoperto un tesoro leggendario e se Bulma gli dava pure corda questo
discorso non sarebbe mai finito. “Ehm... però è una
bella macchina” aggiunse timorosamente Crilin.
Lazuli sapeva cosa stava cercando di fare il suo ragazzo. Non era
interessato davvero al veicolo, voleva solo attaccare bottone con
Lapis. Crilin era il tipo di persona che faceva sempre i salti mortali
pur di rendere felice la sua dolce metà e per questo lei gli
sorrise.
“Ehi Bulma” intervenne Yamcha, attirando l'attenzione su di
sé. Il giovane mise le mani avanti come se stesse afferrando un
volante immaginario che sterzò imitando il gesto, “Sarei
affascinante alla guida di una macchina come quella, vero?” le
domandò continuando a simulare la guida cambiando una marcia
inesistente.
Bulma lo guardò “Yamcha, nessuna macchina ti renderebbe
affascinante” lo derise lei, suscitando la risata dell'intero
gruppo. “Ehi!” protestò lui, abbandonando la sua
simulazione, “Vi ricordo che io potrò fare la patente tra
qualche mese e se continuate a prendermi in giro non vi farò
fare un giro sulla mia macchina” puntualizzò prontamente.
“Quale macchina? Quella che stavi appena guidando?” lo
punzecchiò Lapis.
Un colpo di tosse lieve ma elegante distolse il gruppo dalla
conversazione. Dietro di loro un uomo alto e magro li stava osservando
tramite i suoi pallidi occhi viola e un sorriso tenue sulle labbra.
“Signori, vi prego di accomodarvi in classe le lezioni stanno per
iniziare” li invitò cordiale il professore il quale
rivolse un'occhiata a Lapis, “Lei non è nella mia sezione,
la prego quindi di avviarsi all'aula nella quale appartiene per
cortesia” lo invitò.
Non ci fu nessuna discussione, dopo un ultimo saluto all'amico il
rimanente quartetto prese posto dietro i rispettivi banchi. Allo stesso
momento l'insegnante, che li aveva seguiti, diede un secondo colpo di
tosse per segnalare la sua presenza al resto degli alunni.
Era stato un richiamo tenue, ma gli studenti non faticarono a
riconoscere quel caratteristico ammonimento ed il silenzio scese nella
stanza in meno di un istante.
Nemmeno cinque minuti dall'inizio della lezione quando la porta
d'ingresso si spalancò. “Whiiiiiiis” esordì
una voce facendo sussultare l'intera classe che cominciò a
guardarsi attorno per sapere cos'era venuto a fare qui il vicepreside.
Il professore si voltò a guardare l'uomo in piedi di fronte
all'uscio, “Cosa posso fare per lei Signor Beerus” gli
domandò con l'impeccabile tono elegante ed effeminato. L'altro
lesse un bigliettino, “Bulma deve venire con me”
annunciò.
Lei alzò lo sguardo, mentre i suoi amici si voltarono all'unisono a guardarla con sguardi più o meno preoccupati.
Whis invece indicò il vicepreside con la mano, palmo
insù, ed osservò la studentessa, “La prego di
seguire il Signor Beerus” la invitò affabile.
Bulma seguì il vicepreside tra i corridoi della scuola fino alla
presidenza. L'aula di Lapis si trovava a poche porte di distanza da
essa e quando la superarono la ragazza si accorse che l'amico era
seduto al suo banco accanto alla porta intento a guardare il proprio
cellulare.
Beerus si fece strada all'intero dell'ufficio del preside senza dare il
tempo alla segretaria di avvisare il suo superiore. Bulma notò i
visi terrorizzati di alcuni studenti, seduti davanti alla donna in
attesa di essere ricevuti, appena videro il vicepreside entrare.
In ogni scuola c'è sempre quel docente che sembra essere la
principale attrazione del corpo studentesco, in questa era Beerus. Le
battute partivano dal fatto che in molti lo ritenevano uno
scansafatiche. Raramente era visto girare per l'istituto e quelle poche
volte sembrava mezzo addormentato o alle prese con qualcosa da mangiare.
La più diffusa teoria era che quando spariva andava in letargo
per mesi riapparendo solo per mangiare e tornare a dormire una volta
finito. Questa era solo la parte divertente della sua caratterizzazione
com'era stata dipinta dagli studenti.
In realtà Beerus era una sorta di presenza nefasta. Sebbene
nessuno sapesse dove andasse o cosa facesse tutto il tempo, tutti
sapevano che quando era in giro le cose per gli studenti potevano
andare male. Molto male.
Contrariamente a lui, il preside era un tipo magnanimo dal temperamento
gentile e, come diceva qualcuno, senza spina dorsale. Entrare in
presidenza e trovarli entrambi lì era qualcosa che metteva il
terrore a qualsiasi studente consapevole di aver trasgredito ai
regolamenti. Beerus era un tipo irascibile, volubile e propense agli
scatti di rabbia improvvisi. Le sue punizioni erano mille volte
più severe e temibili di quelle che dava il preside. Per questa
ragione gli era stato dato il soprannome di Lord Beerus, a sua insaputa.
Bulma era una studentessa modello, non si aspettava un castigo, ma non
per questo si era sentiva tranquilla in compagnia del vicepreside. La
frase “Nessuna pietà quando c'è Lord Beerus”,
spesso sussurrata tra i corridoi, le balenò alla mente come un
ammonimento.
“Ehi Shin, non hai niente da mangiare?” gli domandò
Lord Beerus una volta raggiunta la scrivania dietro la quale il preside
era seduto, senza dargli tempo di salutare l'alunna, o di rispondergli.
Il vicepreside aprì i cassetti della sua scrivania alla ricerca
di cibo. Ne ricavò una barretta di cioccolato che aprì
senza chiedere l'autorizzazione. “Prego, serviti pure”
brontolò Shin oscillando tra l'essere seccato e il sarcastico.
Bulma osservò la scena in silenzio in piedi di fronte alla
porta. Solo quando il capriccioso Lord si mise comodo, sedendosi
scomposto su una sedia, anche lei fu fatta accomodare.
Il preside guardò per un’ultima volta il suo collega,
cercando di mascherare il fastidio, prima di rivolgere un sorriso
affabile all’alunna afferrando un fascicolo sulla sua scrivania.
“Abbiamo buone notizie per te” esordì, togliendole
un enorme peso dallo stomaco. Le porse la documentazione,
“Stamattina siamo stati contattati dall'università presso
la quale hai fatto domanda... congratulazioni ti è stata
assegnata la borsa di studio”.
***
Il
bar era pressoché deserto fatta eccezione per alcuni clienti
regolari che passavano gran parte della giornata ad annegare i propri
problemi nell'alcol.
Non dovendo servire una clientela spropositata, Nappa si stava tenendo
occupato pulendo il bancone dietro la quale stava lavorando. Seduto su
uno sgabello accanto ad esso, Vegeta era invece immerso nelle
scartoffie di conti ed inventario. Accanto a sé aveva un
bicchiere dalla quale sorseggiava regolarmente, per poi adagiarlo
nuovamente al banco che il collega stava tenendo pulito.
“Vegeta!” proruppe una voce che fece sussultare i presenti,
accompagnata dallo sbattere della porta. L'unico che sembrò
restare indifferente all'ingresso teatrale del basso individuo, che lo
cercò con lo sguardo, parve essere proprio Vegeta.
Con un gesto flemmatico si prese tutto il tempo per dissetarsi, prima
di voltarsi a guardare l'ometto che con passo pesante si
avvicinò a lui. “Sei un imbroglione Vegeta!”
piagnucolò questi. Lui usò un piede per allontanarlo
“Non starmi troppo vicino Guldo, il tuo alito mi fa venire il
voltastomaco” lo derise.
Anche dall'altra parte del bancone, Nappa fu in grado di vedere quel
sorrisetto apparire sul volto del socio. Si voltò ad osservare
il piccoletto che invece era furente dalla rabbia e Vegeta, come al
solito, non fece nulla per acquietarlo. Al contrario sembrava che
innervosirlo fosse per lui un sadico piacere.
“Non so qual è il tuo problema, ma se non sei qui per il
servizio sei pregato di sparire. La tua faccia spaventa i
clienti” continuò a deriderlo. “Come sarebbe a dire
che non sai qual è il mio problema?! La tua moto è il mio
problema!” urlò il piccoletto. Vegeta finse di pensarci
“La mia moto? Intendi dire la tua moto” precisò il
barista.
“Mi avevi detto che funzionava bene! Mi hai venduto un
rottame!” sbraitò furente Guldo additandolo con crescente
nervosismo. Vegeta incrociò le braccia “Funzionava quando
l'hai comprata, se ora non va è colpa tua” “Non
è vero, tu mi stai imbrogliando, lo so” sbraitò
convinto l'altro, “Rivoglio i miei soldi!” aggiunse.
Vegeta si esibì in una risata sguaiata dalle tonalità
sarcastiche e crudeli, “Questo non succederà mai”.
Al culmine della sua frustrazione, Guldo afferrò il bicchiere
dalla quale il proprietario del locale stava bevendo. Il suo intento
era quello di sfracellarlo al suolo, ma Vegeta fu lesto afferrandolo
per il polso prima che potesse compiere il gesto.
Il suo sguardo cambiò completamente. Gli occhi neri vibrarono
con una luce nefasta, mentre le sue dita strinsero la presa, “Ti
avviso, Guldo, prova a rompere qualsiasi cosa nel mio locale e non
avrò nessuna pietà per te” lo ammonì in un
tono cupo e tetro.
Vegeta recuperò il bicchiere e lo poggiò sul banco,
lasciò il polso dell'altro e gli diede uno spintone. Guldo fece
un paio di passi indietro, prima di inciampare trovandosi a sedere al
suolo.
Nel frattempo Vegeta si alzò dallo sgabello. Sebbene fosse di
statura bassa, il modo in cui squadrò Guldo lo fece sembrare
quasi più alto dei due metri di Nappa. “Ora sparisci,
porta la tua disgustosa faccia altrove prima che mi arrabbi sul
serio” ordinò mostrandogli un pugno serrato.
Con un brivido di paura Guldo si alzò dal suolo correndo verso l'uscita come se da essa dipendesse la sua vita.
CONTINUA…
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Capitolo 6 *** Pessimo tempismo ***
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MY WORLD
Pessimo tempismo
La
serata precedente era stata un vero caos. Il bar si era riempito e tra
i due proprietari avevano lavorato sodo fino all'ora di chiusura.
Vegeta era riuscito a guardare il suo cellulare solo dopo essere
rincasato. Aveva trovato un messaggio di Bulma che gli annunciava
grandi notizie, ma essendo le quattro di notte ed essendo esausto le
aveva replicato di rimandare al giorno successivo.
Dopo una buona dormita si era risvegliato con un nuovo messaggio dalla
ragazza che lo pregava di richiamarla una volta sveglio
perché non poteva aspettare per raccontargli le
novità.
Alle undici e mezzo, dopo essere tornato nel mondo dei vivi, Vegeta si
ricordò che lei aveva lezioni e comunque non aveva voglia di
parlare prima di essersi dato una rinfrescata. Con tutta calma si era
preparato per la giornata e verso le dodici, sapendo che la campanella
della pausa era suonata, decise di chiamarla.
“Sentiamo” disse solamente quando lei rispose al
telefono. “Aspetta un secondo” gli
bisbigliò. Vegeta la udì dire a qualcuno, forse
amici, che era sua madre e doveva rispondere.
“Indovina!” esordì dopo essersi
presumibilmente allontanata dalle persone con la quale si trovava. Lui
sbuffò “Tsk! Ho di meglio da fare che stare ad
ascoltare i tuoi giochetti” brontolò innervosito.
Non gli piacevano gli indovinelli.
“No aspetta!” lo fermò lei, consapevole
che sarebbe stato capace di chiudere la conversazione senza troppe
cerimonie, “Mi hanno dato la borsa di studio!” gli
annunciò con entusiasmo. “Mh”
replicò lui senza aggiungere nulla.
“È tutto quello che hai da dire?” disse
lei, il tono della sua voce tutt'altro che felice. Erano più
di ventiquattro ore che moriva dalla voglia di dirglielo, dopo averlo
urlato ad amici e parenti. “La tua ragazza potrà
andare all'università dei suoi sogni e tu non sai dire altro
se non mh?” “Cos'altro dovrei dirti?”
brontolò Vegeta. Il suo umore stava già
peggiorando.
“Come sarebbe?! Dovresti essere fiero di me! Dimmi che sei
felice” lo spronò la ragazza. Lui restò
in silenzio.
“Vegeta?” esortò non sentendo
più alcun suono provenire dall'altro capo del telefono,
“Come ti pare” le rispose in tono piatto e
disinteressato. Bulma tentò di aprire bocca, ma Vegeta la
interruppe “Devo andare” concluse terminando la
chiamata.
Per un istante osservò il suo cellulare decidendo poi di
scaraventarlo sul divanetto del suo piccolo soggiorno. Istintivamente
sferrò un pugno alla parete.
Era arrabbiato e non sapeva perché. No, a dire il vero
conosceva esattamente la ragione della sua insofferenza.
Fin da quando l'aveva conosciuta lei non aveva fatto altro che parlare
dei suoi sogni e dell'università che sperava di frequentare
e spesso aveva menzionato la borsa di studio che stava cercando di
ottenere. Vegeta l'aveva sempre ascoltata con pazienza, ma c'era una
cosa alla quale lei non aveva ancora pensato.
La famigerata facoltà di studi che Bulma voleva seguire era
dall'altra parte del paese! Si sarebbe dovuta trasferire in un'altra
città per tutti gli anni che necessitavano a farle avere la
laurea.
Certo, ad agosto sarebbe diventata maggiorenne e il segreto della loro
relazione non avrebbe più avuto motivo di esistere, ma le
lezioni sarebbero iniziate ad ottobre dandole un mese per pianificare
la sua nuova sistemazione. Dopodiché l'unica altra
possibilità era una relazione a distanza, forse peggiore di
averne una in segreto.
Vegeta si ritrovò a domandarsi se era più
arrabbiato perché lei era ora in grado di seguire i suoi
obiettivi oppure se lo era perché non riusciva ad essere
davvero contento per i suoi successi.
***
Nappa sollevò il capo appena udì lo sbattere della porta sopra la scalinata.
Uscito di casa, Vegeta scese gli scalini fino a raggiungere il cortile
imbattendosi nel socio alle prese con bottiglie vuote dei liquori
consumati la notte precedente.
Nell'osservalo avvicinarsi, Nappa si accorse subito che negli occhi
dell'altro era presente un visibile nervosismo. Era uno sguardo che
aveva imparato a riconoscere con gli anni e ad evitare, Vegeta
diventava intrattabile quando era arrabbiato.
Con uno dei tempismi peggiore della storia dei tempismi, Guldo apparve
davanti al cancello. Non era solo, con lui erano presenti cinque o sei
persone armate di bastoni e cattive intenzioni.
“Rivoglio i miei soldi, Vegeta” urlò appena vide il
suo obiettivo. Lui strinse i denti e lo guardò come se volesse
ridurlo in poltiglia, “Sparisci, escremento parlante” lo
insultò l'altro.
Nappa notò i pugni del collega stringersi fino a fargli venire
le nocche bianche. “È meglio che gli dai retta
Guldo” gli suggerì nel modo più pacato possibile.
“NO!” sbraitò, si voltò afferrando la ramazza
da uno degli scagnozzi e cominciò a camminare con passo pesante
all'intero del cortile.
Si fermò a pochi passi dalla motocicletta parcheggiata al solito
posto e la guardò con malvagità. Un'idea gli
balenò nella testa e senza consentire agli altri di comprendere
le sue intenzioni spintonò il motociclo che perse l'equilibrio.
Vegeta vide la sua nuova
moto finire al suolo accompagnata da un boato. Un pezzo, che si
rivelò essere uno specchietto, slittò fino a raggiungere
i suoi piedi.
Il tempo parve essersi fermato.
Guldo usò il bastone per infierire sulla motocicletta colpendo
la carrozzeria ripetutamente. “Piantala Guldo!” lo
ammonì Nappa, ma le sue parole rimasero inascoltate.
“Sta zitto Nappa” bisbigliò il collega al suo fianco
l'altro. Gli occhi chiusi, le sopracciglia corrugate e la mandibola
serrata. Nulla di tutto questo era un buon segno. “V...
Vegeta” balbettò il socio.
Prima che potesse fermarlo, Vegeta cominciò a muoversi verso il nanerottolo con un passo lento e apparentemente calmo. Quando fu abbastanza vicino colpì Guldo con un pugno talmente violento da farlo volare.
Qualcuno degli amici di Guldo fece un passo in avanti nel tentativo
d'intervenire, ma Vegeta lanciò tutti loro uno sguardo che
prometteva un massacro a chiunque avesse avuto la malsana idea di
tentare il salvataggio.
“Ahia” si lamentò il piccoletto, cercando di
alzarsi, ma prima che ne avesse il tempo, il suo assalitore gli
poggiò un piede sullo stomaco costringendolo a rimanere sul
posto. Dopodiché gli afferrò il bavero con la mano
sinistra. Poggiando tutto il suo peso sul ginocchio sinistro, che
andò a sostituire il piede, Vegeta usò il pugno destro
per colpire nuovamente la vittima della sua ira.
Guldo urlò di nuovo, ma senza dargli il tempo di lamentarsene
troppo un terzo e un quarto e poi un quinto pugno lo colpirono uno dopo
l'altro senza freno. Le urla del nanerottolo divennero sempre
più inquietanti trasformandosi in gemiti di dolore.
Nessuno dei presenti, mentre Vegeta colpiva con sempre più
veemenza, ebbe il coraggio d'intervenire. Schizzi di sangue
cominciarono a spargersi al suolo.
Nappa fu il primo a trovare la forza, si avvicinò a lui e
cercò di fermare il braccio del compare “Adesso basta
Vegeta”. Sebbene fosse un uomo grande e grosso dall'aspetto
corpulento, Vegeta era quello più agile e forte. Strattonata la
mano del socio lo ringraziò con una gomitata, centrandolo in
pieno viso.
Colpito all'occhio sinistro, Nappa barcollò per un istante coprendosi il volto con la mano.
Vedendo questo energumeno di uomo messo alle strette dal piccoletto,
nessuno sembrò volersi offrire volontario per andare a fermarlo.
Alcuni scagnozzi preferirono battere in ritirata. Altri erano troppo
terrorizzati per muoversi assistendo al massacro con orrore.
I gemiti di Guldo si affievolirono fino a spegnersi completamente,
forse svenuto.
Nappa fece un secondo tentativo. Questa volta usò le sue
possenti braccia per infilarle sotto le ascelle dell’altro
barista riuscendo a sollevarlo di peso, “Basta Vegeta non
può fare più nulla!” gli fece notare.
La differenza di statura giocò in favore di Nappa. Vegeta non
era più in grado di toccare il terreno con i piedi, perdendo la
stabilità per colpire. “Lasciami!” sbraitò
cercando di liberarsi.
Il bestione si rivolse agli ultimi superstiti della banda,
“Portatelo via, sbrigatevi” suggerì loro. Dopo
qualche tentennamento qualcuno decise di seguire l'ordine e in due
sollevarono di peso il capobanda, ricoperto interamente di sangue,
trascinandolo oltre il cancello.
CONTINUA…
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Capitolo 7 *** Ordinaria amministrazione ***
d
ENTER
MY WORLD
Ordinaria amministrazione
“Vegeta”
Bulma si appoggiò con i gomiti al bancone osservando il
barista servire un cliente un po' distante da lei. Lui si
voltò, adagiò la birra davanti all'uomo che la
stava aspettando e si avvicinò a lei.
“Ho finito i
conti che mi hai chiesto e ho messo i documenti sulla scrivania nel
magazzino” gli disse additando la porta del deposito. Bulma
era lì per quello, essendo minorenne non poteva servire
dietro al banco o gestire gli alcolici, ma a quello ci pensava Vegeta,
la ragazza doveva solo tenere sotto controllo lo carico-scarico merci.
L'uomo
incrociò le braccia “Puoi tornare a casa
allora” Bulma si sentì un po' delusa, per un
attimo aveva sperato che le chiedesse di restare ancora. Le piaceva il
posto, o per meglio dire le piaceva lui.
“Sei sicuro?
Se ti serve posso dare una pulita sul retro” si
offrì “No” rispose risoluto il
proprietario. La ragazza aprì bocca per replicare, quando si
accorse che qualcosa alle sue spalle aveva attirato l'attenzione del
barista. Bulma si voltò, c'era un gruppo di clienti
impegnati in una discussione che sembrava piuttosto animata.
Vegeta
sollevò la sbarra che divideva il bancone dal resto del
locale e con sguardo assorto continuò a fissare la scena.
“Che succede?” gli domandò tornando a
guardarlo, ma non ottenne risposta.
“Bulma, vai in
magazzino e chiudi la porta. Non uscire finché non te lo
dico io” l'avvisò l'uomo.
“Perché? Cos...” la sua frase fu
interrotta da un frastuono che echeggiò nel bar
“Muoviti!” l'ammonì d'urgenza.
Con passo sicuro si
avvicinò agli uomini, ora in preda a quella che pareva
essere diventato un diverbio anche fisico. Qualcuno aveva fatto
ribaltare una sedia che aveva causato il rimbombo di poc'anzi.
Bulma comprese che
qualsiasi cosa stesse succedendo era pericolosa, il suo istinto le
suggerì di ascoltare l'ammonimento di Vegeta e chiudersi in
magazzino, ma una parte di lei fu vinta dalla curiosità,
impedendole di muoversi.
Da quella distanza non
fu in grado di sapere cosa gli uomini, alla quale si era ora aggiunto
Vegeta, si stessero dicendo. Alcuni di loro parvero agitati e dai loro
gesti la giovane spettatrice si accorse che le cose stavano cominciando
a scaldarsi.
Quello che successe in
seguito parve svolgersi in un lampo.
Uno degli uomini si
scagliò contro il proprietario nel tentativo di colpirlo con
un pugno. Vegeta lo evitò, abbassandosi, per poi sferrare un
colpo con la mano destra centrando il colosso sul mento facendogli
perdere l'equilibrio.
Fu l'inizio del caos,
anche le persone che non avevano nulla a che fare con la discussione
cominciarono a scagliarsi l'uno contro l'altro.
Qualcosa volò
accanto all'orecchio di Bulma che si accorse di essere in una posizione
rischiosa. La bottiglia che l'aveva sfiorata non era l'unica a volare
per la stanza, la prossima volta poteva non essere così
fortunata.
I suoi occhi si
scostarono sulla porta del magazzino, che era ora inaccessibile. Due
uomini si stavano scazzottando proprio davanti ad essa. Quella
d'ingresso invece era molto più lontana, per raggiungerla
avrebbe dovuto attraversare tutto il locale.
Pentendosi di non aver
ascoltato Vegeta quando le aveva dato l'ordine, decise che doveva
trovare un posto al sicuro. Si acquattò e si
rifugiò dietro il bancone proteggendosi il capo con entrambe
le mani.
Dopo un tempo
indeterminato, Bulma decise di verificare la situazione nella sala,
sbirciando oltre il tavolo.
Si accorse subito che
Vegeta stava affrontando da solo tre individui che non sembravano
essere in grado di tenerlo a bada. Ironicamente, se
all’inizio dello scontro qualcuno avesse fatto scommesse
sull'esito dello stesso, non avrebbe puntato sul barista, molto
più basso e scarno rispetto a tutti gli altri.
Eppure sotto gli abiti
Vegeta nascondeva muscoli possenti in grado di mettere al tappeto uno
dopo l'altro tutti gli uomini di grossa taglia che si scagliavano
contro di lui.
Per quanto
durò quella ressa non fu facile da capire, poteva essere
trascorso un secondo o un secolo. Tuttavia quando si
acquietò era rimasto in piedi solo Vegeta.
Uno dopo l'altro gli uomini uscirono malfermi dal locale. Quando anche
l'ultimo abbandonò il bar, Vegeta si avvicinò al
bancone.
Sapeva che Bulma era
rimasta lì, aveva notato la punta delle sue scarpe da dietro
il banco. “Ehi... stai bene?” le domandò
affacciandosi.
“Sì,
e tu?” rispose, sollevando lo sguardo ed osservando l'uomo in
volto, scoprendo che dalla sua tempia scorreva un rivolo di sangue, per
il resto stava bene non aveva nemmeno il fiatone.
***
La ferita sulla testa di Vegeta
non era grave, ma andava medicata. Per farlo aveva bisogno del kit di
pronto soccorso che teneva nel bagno del suo appartamento. Tuttavia non
riuscendo a vedere il punto dalla quale usciva il sangue aveva bisogno
di una mano.
Bulma non era mai salita
nella casa. Dall'esterno l'aveva immaginata un po' più
piccola. La cucina ed il salotto erano un'unica stanza che faceva anche
da ingresso. C'era una camera da letto, che riuscì ad
intravedere tramite la porta aperta, e un modesto bagno, nella quale si
trovavano in quel momento.
Vegeta era seduto sul
bordo della vasca. Bulma gli disinfettò il taglio e vi
applicò sopra un grosso cerotto per mitigare la fuoriuscita
di ulteriore sangue.
Ciò di cui la
ragazza non si rese conto era che lui aveva un posto in prima fila per
guardatele il decoltè. Cercando di ricordarsi che si
trattava comunque di una minorenne, Vegeta si sforzò di non
soffermarsi troppo con lo sguardo.
Quando l'improvvisata
infermiera ebbe finito, l'uomo si alzò. La sua maglietta era
imbrattata di sangue e Vegeta decise di sfilarsela, ignaro che alle sue
spalle Bulma stava ammirando i muscoli scolpiti del suo torso.
“Da domani non
venire più” le disse afferrando una maglia pulita
da un piccolo appendiabiti posto in un angolo del bagno. “Ti
pagherò i soldi che ti devo e assumerò qualcun
altro per il resto del mese” concluse infilandosi
l'indumento. “Cosa? Perché?”
domandò Bulma riconoscendo una certa delusione nel tono
della sua voce, che sperò Vegeta non notasse.
Lui si voltò
a guardarla “Perché cose come quelle successe
prima capitano spesso” le spiegò, anche se di
solito accadeva più verso l'orario di chiusura, quando molti
dei clienti avevano più alcol nelle vene che sangue.
“Non importa!” rispose Bulma “Io non ho
paura, mi piace questo lavoro, voglio continuare a venire
qui” e poi il suo capo era mozzafiato.
Vegeta inarcò
un sopracciglio “Sei sicura?”
“Sicurissima! Tanto se dovesse accadere di nuovo ci sarai
sempre tu a proteggermi”. Per un istante lui
ammirò la determinazione riflessa in quegli occhi azzurri.
Pur essendo
così giovane e gracile, questa ragazzina era piuttosto
coraggiosa. “Tsk, a quanto pare non ho scelta” si
lamentò Vegeta, non troppo dispiaciuto... dopotutto.
CONTINUA…
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Capitolo 8 *** Qualcosa di stupido ***
d
ENTER
MY WORLD
Qualcosa di stupido
La
campanella era suonata da almeno mezz'ora e la maggior parte degli
studenti era già tornata a casa.
A restare nei paraggi erano rimasti solo i più diligenti o
agli alunni dell'ultimo anno che dovevano recuperare qualche materia,
studiare per il prossimo test o ripetere l'ultima lezione assicurandosi
da essere pronti per quella successiva.
Bulma ed i suoi amici rientravano in questa categoria, dovendo
riesaminare le nozioni più difficili. Così, come
avevano fatto in diverse precedenti occasioni, si erano trovati un
posto nella biblioteca della scuola, in mezzo ai loro coetanei, per
studiare in gruppo. Avevano scoperto che le lacune di uno potevano
essere colmate da qualcun altro dandosi una mano reciprocamente.
Dopo un pasto veloce nella mensa, il quintetto si era precipitato in
cerca di un tavolo da poter reclamare, prima che i posti si esaurissero
occupati da altri studenti.
Fu dopo essersi impossessata in via temporanea di una sedia che Bulma
si accorse, avendo verificato nel proprio zaino, dell'assenza del suo
astuccio. A fatica fece mente locale ricordandosi infine che l'ultima
volta in cui lo aveva visto risaliva alla fine delle lezioni, sul suo
banco. Si domandò se lo avesse mai riposto nella borsa o se
invece, distratta da altri pensieri, lo aveva abbandonato lì.
Sbuffò sommessamente attirando l'attenzione dei suoi amici.
“Che succede?” bisbigliò Yamcha,
cercando di non disturbare gli altri allievi che erano già
in biblioteca. Bulma rispose con una smorfia “Credo di aver
lasciato l'astuccio in classe” rispose alzandosi
“Vado a vedere se è ancora
lì”.
Non aveva fatto che un paio di passi, quando udì il
silenzioso stridere di una seconda sedia. Voltandosi si
aspettò quasi di vedere Yamcha in piedi, pronto ad offrirsi
volontario per andarlo a recuperare, essendo una cosa che faceva
sempre. Tuttavia fu Lazuli a dire “Vengo con te”.
“Oh” si sorprese Bulma, colta alla sprovvista. Le
due ragazze si conoscevano dal primo anno, ma non si erano rivolte la
parola fino al terzo, da quando Lazuli aveva iniziato la sua relazione
con Crilin. Andavano abbastanza d'accordo, ma avevano poche cose in
comune, pertanto era meglio avere almeno una terza persona a colmare il
vuoto.
Erano infatti rare le occasioni in cui rimanevano da sole e Bulma
doveva spesso trovare cose da dire nella speranza di aprire un dialogo.
Lazuli era una persona di poche parole e quando non le interessava un
discorso lo uccideva e seppelliva senza pietà grazie ai suoi
disinteressati monosillabi.
Nonostante ciò, Bulma aveva col tempo imparato ad apprezzare
l'altra ragazza che per quanto apparisse fredda e distante si era
rivelata gentile e di buon cuore, nonostante i suoi silenzi.
Se non altro si era rivelato un buon esercizio per quando si era
trovata a dover interagire con un altro brontolone di poche parole e
che aveva deciso di andare in silenzio stampa dopo la discussione del
giorno precedente, quando gli aveva detto della borsa di studio. Quello
strano dialogo balzava ancora nella sua mente come un suono fastidioso
che ronza in sottofondo senza mai smettere di rimbombare nel cervello.
“Grazie per avermi accompagnata” le disse Bulma,
una volta fuori dalla biblioteca, cercando di eliminare Vegeta dai suoi
pensieri, almeno per il momento. Lazuli alzò le spalle
“Andiamo solo nella stessa direzione. Devo andare in
bagno” la informò, passando una bionda ciocca di
capelli dietro l'orecchio, com'era solita fare.
Nonostante la freddezza che le era stata dimostrata, Bulma le sorrise.
Vegeta tornò prepotentemente nei suoi pensieri, aver pensato
a lui era come toccare una famigerata porta aperta.
Si era comportato in modo strano al telefono, le era sembrato quasi
arrabbiato ma non riusciva a darsene una ragione. Dopotutto gli aveva
dato una buona notizia, perché l'avesse presa
così sul personale non riusciva a comprenderlo.
Aveva provato a contattarlo in serata e quella mattina stessa, ma il
silenzio radio di Vegeta stava facendo più rumore di
eventuali strilli e strepiti. Bulma non riusciva a capire se avesse
fatto qualcosa di sbagliato lei stessa o c'era qualcosa che non
capitava.
Stavano insieme da quattro mesi circa e lui era la sua prima relazione
seria che fosse durata fino a tanto. Pertanto non avevano mai litigato,
non davvero. Erano entrambi testardi e risoluti e qualche scaramuccia
era quasi normale, ma questo strano silenzio era qualcosa che Bulma non
sapeva come affrontare.
La cosa peggiore di avere una relazione segreta era
l'impossibilità di chiedere consiglio a chi le stava vicino.
“Cos'hai oggi?” le chiese all'improvviso Lazuli
“È tutto il giorno che sei pensierosa”
aggiunse. Bulma sollevò lo sguardo dalle piastrelle del
corridoio e lo posò sull'amica “Cosa?”
mormorò un po' presa alla sprovvista. Lazuli
affinò gli occhi, assottigliandoli come se potesse entrarle
nella testa con due affilati coltelli di ghiaccio.
Allo stesso tempo, Bulma si rese conto che forse stava parlando con
l'unica persona che, in un certo senso, poteva aiutarla. Dopotutto lei
e Crilin erano una coppia fissa da quasi due anni e mezzo a questo
punto ed erano il duo più duraturo che conoscesse, almeno
tra i suoi coetanei.
“Dimmi una cosa, Lazuli, tu e Crilin non litigate
mai?” le chiese di rimando, l'altra inarcò un
sopracciglio. Ponderò per un secondo prima di rispondere
“A volte”.
Bulma si fermò all'improvviso “E come fate a
risolvere i litigi?”. Lazuli la imitò e
tornò a riflettere.
In realtà le loro dispute erano brevi e quiete. Nella
maggior parte dei casi si trattava di piccole divergenze di opinioni
che si concludevano con Lazuli che si limitava a mettere il muso,
mentre Crilin si sentiva mortificato al punto tale da chiederle perdono
indipendentemente da ciò che si erano detti. E siccome la
ragazza non sapeva mai dirgli di no quando cercava di fare ammenda, ma
soprattutto non sopportava di vederlo afflitto, riapriva il dialogo con
il conseguente raggiungimento di un compromesso.
Alzò le spalle “Ne parliamo”
minimizzò senza entrare nei dettagli. Bulma si
esibì in una smorfia e l'amica comprese che forse non era la
risposta che cercava. E ora che ci pensava, una risposta a cosa?
Perché fare una domanda del genere?
La fissò di nuovo con quegli occhi glaciali, fino a rendersi
conto che non stava facendo domande ipotetiche, se Bulma chiedeva come
risolvere una discussione con un partner era perché aveva
esattamente quel tipo di problema. Non si domandò chi egli
fosse e perché l'amica non ne avesse fatto parola con lei o
con gli altri, rispondendosi che non era un problema suo.
Avrà avuto le sue motivazioni, se aveva un segreto da
nascondere.
“Se hai litigato col tuo ragazzo la cosa migliore
è parlarne con lui il prima possibile e con calma”
le suggerì, e prima di darle il tempo di replicare Lazuli
riprese a camminare, svoltando l'angolo per dirigersi verso i bagni.
Bulma si sentì all'improvviso messa a nudo. Aveva sperato
che la domanda fosse abbastanza vaga da passare inosservata, ma aveva
stupidamente dimenticato quanto Lazuli potesse essere perspicace.
***
Bulma
osservò le banconote nella busta che aveva tra le sue mani.
Non aveva mai avuto tanti soldi in vita sua, ma come aveva promesso ai
suoi genitori si era trovata un lavoro e ora poteva permettersi il
nuovo computer.
Sollevò lo sguardo per guardare l'uomo che le aveva appena
consegnato lo stipendio. “Grazie” gli disse.
Vegeta si appoggiò allo scaffale sulla quale erano riposte
le bottiglie alle sue spalle. Incrociò le braccia
“Hn” borbottò. Non aveva fatto altro che
darle quello che le era stato promesso all'inizio del mese.
Bulma infilò nella tasca della giacca la busta per tenerla
al sicuro. Muovendosi gli toccò una gamba, non c'era molto
spazio dietro il bancone. Il locale era chiuso, all'interno c'erano
solo loro.
“Dimmi una cosa Vegeta, tra una settimana tornerà
il tuo amico, io ti mancherò?” “Cosa?
Certo che no!” si affrettò a replicare lui, forse
con troppa fretta.
Lei inarcò un sopracciglio “Davvero? Preferisci
lavorare con un uomo grande e grosso piuttosto che con una giovane e
delicata fanciulla come me?” lo provocò.
Vegeta schiuse le labbra per un secondo senza sapere come rispondere.
La sola cosa che riuscì a farfugliare fu uno sconclusionato
“Io...”.
Bulma rise “Tu... che cosa?” “Io non ho
detto questo” cercò di difendersi l'uomo. Vegeta
arrossì vistosamente, lei sorrise “Vedi, ti
mancherò anche se non vuoi ammetterlo” concluse
vittoriosa la ragazza.
“F... finiscila” cercò di tagliare corto
il barista, sempre più a disagio.
Per un attimo lo guardò con attenzione. Vegeta era davvero
molto attraente. Profondi occhi neri che sembra avessero sempre molto
da dire, un viso mascolino ed intenso. La carnagione abbronzata e forti
muscoli delle braccia abituate a sollevare pesanti casse di alcolici.
Volendo trovargli un difetto fisico si poteva puntare alla sua bassa
statura, Bulma era un pochino più alta di lui, ma questo
nulla toglieva al suo fascino.
Se a ciò si aggiungeva l'atteggiamento da duro e il
comportamento da bad boy che riusciva a far girare la testa a qualsiasi
ragazzina.
Vegeta era un uomo adulto, non era come i suoi amici o i suoi compagni
di scuola. Si alzava la mattina per radersi la barba, poteva bere una
birra senza dover dimostrare una carta d'identità, al di
là del fatto che possedesse un bar. Abitava da solo e cosa
ancora più importante, guidava una splendida motocicletta...
quando questa decideva di accendersi.
Era affascinante in tutti i punti giusti.
“Lo sai cosa pensavo? Se non avessi sempre quella faccia
imbronciata saresti davvero molto carino” Bulma si
avvicinò a lui e gli premette un dito in mezzo alle
sopracciglia sempre corrugate. “Cosa?”
esclamò lui colto alla sprovvista, le afferrò la
mano spostandola dalla sua fronte.
Gli era molto vicina, poté sentire il suo odore e uno dei
suoi seni era appoggiato al bicipite del suo braccio destro.
Bulma si scostò. Se c'era una cosa più
affascinante di un cattivo ragazzo era un cattivo ragazzo che dietro il
comportamento da duro nascondeva una certa timidezza.
“Toglimi una curiosità Vegeta, se avessi qualche
anno in più potresti prendere in considerazione l'idea di
baciarmi?” azzardò lei.
Vegeta sgranò gli occhi, forse non aveva capito molto bene
cosa gli aveva chiesto. “È minorenne”
gli ricordò la sua coscienza, come aveva fatto in diverse
occasioni nelle ultime settimane. Con prepotenza decise di mettere a
tacere quella voce per una volta. “Quanti anni
hai?” le chiese, sebbene conoscesse già la
risposta.
Bulma gli sorrise, i suoi occhi azzurri lo fissarono con una luce
birichina “Diciassette... ma ad agosto sarò
maggiorenne” rispose “Tu quanti ne hai?”
“V… ventiquattro”. La ragazza sorrise.
Lui ci pensò un po' su, agosto era lontano, ma erano solo
undici mesi. Meno di un anno e se poteva guardarla in questa
prospettiva le cose non erano poi tanto male.
La voce della sua coscienza tornò a sussurrargli
all'orecchio, ma questa volta Vegeta non le diede il tempo di dire una
parola, prendendo la decisione di fare qualcosa di stupido.
***
L'orologio
della cucina segnava le sei e quaranta, circa, quando Vegeta
uscì dalla doccia. Era in ritardo di almeno venti minuti,
sarebbe dovuto essere già a lavoro.
Tuttavia era ancora di pessimo umore a causa degli avvenimenti del
giorno precedente, senza contare che doveva ancora vestirsi e
prepararsi. Anche perché non poteva presentarsi
giù al bar con indosso il solo asciugamano che teneva legato
in vita. Era inoltre impensabile scendere senza aver bevuto un
caffè, consapevole che avrebbe dovuto tirare avanti fino
alle quattro, soprattutto dopo una nottata nella quale non aveva chiuso
occhio.
Preparata la moka, che mise a bollire, decise di far passare il tempo
leggendo la posta che aveva abbandonato sul tavolo dopo averla ritirata
in mattinata. Non che ci fosse molto d'interessante, bollette, tasse,
pubblicità e una lettera del suo avvocato che gli chiedeva
di saldare una vecchia parcella. Nulla di utile, nuovo o interessante.
L'incessante bussare alla porta, tuttavia, quella sì che era
una cosa inaspettata. Nella sua mente cercò di ipotizzare
chi fosse il potenziale visitatore, ma fu solo quando aprì
l'ingresso che scoprì l'arcano.
Bulma entrò facendo spostare il proprietario di casa senza
troppe cerimonie e richiuse l'accesso alle proprie spalle, per
assicurarsi che nessuno l'avesse vista entrare. Era accaldata e il viso
pallido era arrossato dal freddo invernale e dalla fatica.
Vegeta fu sorpreso di vederla, non si aspettava che sarebbe passata,
essendo perfettamente consapevole che a quell’ora si trovava
generalmente già al bar. Quello che l'uomo non fu in grado
di sapere era che lei aveva rischiato il tutto e per tutto per arrivare
fin lì.
Dopo il discorso con Lazuli, Bulma aveva pensato alle parole dell'amica ed era giunta alla
conclusione che aveva bisogno di un tu per tu con lui. Aveva finto
indifferenza durante le ore di studio con i suoi amici, per non destare
sospetti, ma aveva fissato l'orologio per tutto il tempo. Si era
affrettata verso la sua bicicletta alla prima occasione ed aveva
pedalato più forte del vento, nella speranza di giungere in
tempo, senza mai dimenticare peraltro che se avesse fatto perdere le
sue tracce troppo a lungo i suoi genitori avrebbero posto delle domande
al suo rientro. Ed in tutta quella fretta non aveva avuto modo di
avvisare Vegeta che stava arrivando e di farsi trovare pronto, cosa che
faceva di solito.
Bulma sapeva che non aveva fatto in tempo e che era arrivata
più tardi delle sue aspettative e speranze, ma quando era
giunta a destinazione aveva notato le luci ancora accese
nell'appartamento. Dalla strada era impossibile vedere se lui fosse
verosimilmente in casa o meno, un bel vantaggio
dell’appartamento era il non avere una posizione ideale per
sbirciare all'interno delle finestre e Bulma ne era stata grata in
diverse occasioni.
Non ebbe dunque modo di verificare se Vegeta avesse dimenticato le luci
accese, se fosse in casa o se avesse compagnia. Bulma aveva deciso di
rischiare ed aveva fatto gli scalini due a due per non farsi vedere.
“Cosa ci fai qui?” le domandò lui,
mentre la ragazza si liberò della giacca pesante e della
giacchetta della divisa, affrettandosi in seguito a slacciare i primi
tre o quattro bottoni della blusa, nella speranza di riprendere fiato.
“Noi dobbiamo parlare” esordì lei,
quando la sua respirazione tornò alla normalità.
Vegeta, che aveva ancora la posta tra le mani, se ne liberò
poggiandola sul tavolo dalla quale l'aveva raccolta ed
incrociò le braccia. Sul suo volto la chiara espressione che
sembrava voler trasmettere l'opinione contraria.
Bulma finse di non accorgersene. Altrettanto combattiva
cercò di non lasciarsi distrarre dal fatto che lui le avesse
aperto la porta praticamente nudo, se non fosse stato per quell'unico
asciugamano. “Devi spiegarmi cos'è successo
ieri” ordinò lei, “Ieri?”
chiese invece Vegeta. Erano successe tante cose ieri, molte delle quale
lei non era a conoscenza.
“Sì, dopo averti detto della borsa di studio mi
hai chiuso il telefono in faccia e non ti sei più fatto
sentire. Qual è il tuo problema?” inveii Bulma, si
era ripromessa di non arrabbiarsi e di non alzare la voce, ma la teoria
e la pratica sono due cose molto diverse. Lui restò in
silenzio, fatta eccezione per un piccolo “Tsk” che
bisbigliò tra i denti stretti.
Bulma si avvicinò a lui puntandogli un dito sotto il naso,
“Beh? Non rispondi?”. Vegeta mantenne il suo
silenzio, ma gli occhi azzurri della ragazza erano puntati su di lui e
stavano cominciando a diventare pesanti.
Quello di cui lei non si era resa conto era il fatto che aveva
erroneamente sbottonato la camicetta di un bottone di troppo ed il suo
seno era parzialmente esposto da sguardi indiscreti, con più
precisione quelli di un barista colto impreparato alla situazione.
“Che cavolo vuoi da me, Bulma? Vuoi tanto andare alla tua
università? Vacci!” sbottò
all'improvviso, nervoso ed in cerca di una via di fuga.
“Cosa? Certo che ci vado! Non vedo cosa c'entra in tutto
questo” urlò lei “Davvero? Quanto ci
vuole per arrivare fin lì?” puntualizzò
Vegeta. “Sono solo sei ore di macch... ah!”
esclamò la ragazza.
All'improvviso si fermò, abbassò la mano e
guardò l'uomo nelle profonde iridi nere “Questo
è il tuo problema, Vegeta? Hai paura che saremo troppo
lontani?” intuì “N... no”
mormorò l'altro, ma la realtà era ormai venuta a
galla.
Bulma rise, liberandosi delle sue preoccupazioni, “Vegeta, se
riusciamo a stare insieme in segreto possiamo sopravvivere anche se
lontani” lui non sembrò molto convinto. Gli
poggiò entrambe le braccia sulle spalle e lo strinse
“Quando sarò maggiorenne, ad agosto, avremo tutto
il tempo di trovare una soluzione insieme” gli
rammentò.
Quando lo baciò, un istante più tardi, si accorse
che dietro la stoffa dell'asciugamano cominciava a muoversi qualcosa.
L’inquilino del piano di sotto si era appena svegliato. Bulma
abbassò lo sguardo, avendolo colto in flagrante. Tornando a
guardarlo in viso gli sorrise maliziosa, “Quanto tempo
abbiamo?” gli chiese, giocando col nodo che teneva allacciato
l’asciugamano.
Il problema non era certo stato risolto, solo rimandato. Tuttavia Bulma
e Vegeta ritrovarono la loro complicità.
CONTINUA…
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Capitolo 9 *** Rapporti di coppia ***
d
ENTER
MY WORLD
Rapporti di coppia
“Buongiorno”
esordì una volta scesa in cucina, trovando entrambi i suoi
genitori. Suo padre sollevò il capo dal giornale che stava
leggendo e commentando con la moglie, “'Giorno” le
rispose seguendo la figlia con lo sguardo, prima di tornare al
quotidiano.
Bulma si avvicinò all'armadietto dietro la quale erano
custoditi i cereali. La sua mano si allungò verso la
confezione che era solita prendere la mattina, ma all'improvviso si
bloccò. Cambiò idea quando vide la scatola della
stessa marca che sua madre aveva comprato tempo fa e che non era mai
stata aperta.
L'uva sultanina non le piaceva mai di solito, ma quel giorno decise di
cambiare giusto perché ne aveva voglia.
Sua madre, intenta a lavare una pentola, la guardò. La
figlia aveva già abbandonato il pigiama ed indossava degli
abiti casual. “Stai uscendo cara?” le
domandò per conferma.
Bulma annuì riempendosi una ciotola di cereali, dopo aver
aperto la scatola. “Io e gli altri volevamo andare al cinema
questo pomeriggio” le disse completando la scodella con il
latte.
L'appoggiò sul tavolo davanti alla sedia vuota dal lato
opposto rispetto al padre. Si mise a sedere ed osservò il
genitore sopra le pagine della rivista, “A proposito
papà, potresti darmi un po' di soldi?” gli chiese.
Brief osservò di sottecchi la figlia minore, “Mh,
immagino di sì” disse lasciando cadere il giornale
sul tavolo per infilarsi una mano nella tasca dei pantaloni. Le
allungò un paio di banconote.
“Sarai qui per pranzo?” s'informò la
donna. Bulma finì il cibo nella sua ciotola,
sorprendentemente non disgustata dall'uva, poggiando il cucchiaio
all'interno della scodella vuota. “No, il film che vogliamo
vedere inizia presto. Mangiamo in zona così non rischiamo di
perdere l'inizio” il tutto per facilitare il povero Crilin
che abitando molto lontano non avrebbe fatto in tempo diversamente.
***
“Chi
di voi vuole altre patatine fritte?” chiese Yamcha,
osservando uno dopo l'altro i suoi amici seduti attorno al tavolo del
fast food. “Io!” rispose Crilin sollevando una
mano. Lapis storse le labbra, “Passo”
“Anch'io” concordò la sorella. Era
incredibile quanto poco mangiassero questi due, eppure l'energia
sembrava non mancare mai.
Yamcha si alzò dalla sedia e guardò l'ultimo
membro del gruppetto, “Bulma?” le chiese. La
ragazza ci pensò per un istante, “Sì,
perché no” acconsentì.
“Perfetto! Patatine per tre” concluse lui
“Vieni a darmi una mano, Crilin?”
domandò.
Anche l'altro si mise in piedi “Va bene”, fece un
passo, ma la mano di Lazuli afferrò la sua. Crilin si
voltò a guardarla e lei scostò gli occhi azzurri.
Ci fu un breve e silenzioso dialogo tra loro e soltanto il ragazzo
sembrò capire cosa lei stesse cercando di dirgli. Le strinse
la mano e si chinò per baciarla sulle labbra, non senza
arrossire.
“Vacci piano nanerottolo, guarda che quella è mia
sorella” gli ricordò Lapis, seduto accanto alla
gemella. Lazuli gli lanciò uno sguardo infastidito e
lasciò la presa attorno alla mano di Crilin, il quale si
grattò la nuca e si allontanò seguendo l'amico
verso le casse, dopo aver balbettato un timido
“Scusa”.
La bionda si voltò furente verso il fratello, “Si
può sapere perché devi trattarlo sempre
così?” “Così come?”
mormorò lui, portandosi le mani dietro la testa,
dondolandosi sulla sedia. “Come se lui ti desse
fastidio” gli fece notare lei. Lapis sollevò le
spalle, “A me il piccoletto piace” la
rassicurò.
In una delle scatole dei panini che erano stati già divorati
era rimasto un pizzico di sale dalle patatine. Bulma lo
afferrò con la punta dell'indice e lo infilò
svogliatamente tra le labbra. “Non ascoltarlo Lazuli, siete
una bella coppia” la tranquillizzò, pur sentendosi
un po' invidiosa. Anche lei e Vegeta erano una bella coppia, solo che
non potevano ancora dimostrarlo al mondo.
La ragazza arrossì in imbarazzo.
“A proposito, sai se Crilin vuole ancora comprare un nuovo
computer?” le chiese cambiando argomento. “Credo ci
stia pensando, ma tutti quelli che trova costano troppo”
rispose Lazuli.
Bulma adagiò il gomito sul tavolo e poggiò il
mento sul palmo della mano, “Se vuole posso mandargli i link
di alcuni siti che ho trovato. Quando volevo comprarne uno io ho fatto
un elenco di posti che avevano buoni prezzi”. L'amica
annuì “A Crilin potrebbe tornare utile”
“Cosa potrebbe tornarmi utile?” chiese il diretto
interessato, apparendo quasi dal nulla.
“Siete tornati presto” notò Bulma,
osservando Yamcha porgerle uno dei contenitori di cartone davanti. Il
ragazzo non fece in tempo a poggiarlo sul tavolo prima che Bulma
sottraesse una patatina dalla confezione per portarsela alle labbra.
Era la più buona che avesse mai assaggiato, forse avevano
cambiato l'olio della friggitrice.
“Sì, c'era poca fila e le hanno appena
preparate” le rispose l'amico, adagiando il secondo involucro
davanti al suo posto per poi tornare a sedersi.
***
Erano
in anticipo quando giunsero al cinema. Aver mangiato nella zona era
stata un'ottima idea.
Giunti in sala le luci erano ancora accese e solo un paio di altri
gruppetti avevano trovato posto nelle rispettive poltrone. Anche loro
trovarono i sedili corrispondenti ai numeri scritti sui loro biglietti.
“Non ci posso credere! Questa volta non rischiamo di perderci
l'inizio del film” commentò Yamcha, mettendosi
comodo, “Beh, se qualcuno non abitasse così
lontano non correremmo il rischio” mormorò Lapis.
Crilin si sentì punto sul vivo “Chiedo
scusa” mormorò.
Al suo fianco Lazuli lanciò uno sguardo minaccioso al
fratello “Non dargli retta Crilin, sta solo
scherzando” precisò. Lui si voltò a
guardarla “Davvero?” domandò guardando
il gemello della ragazza che, con un sorrisetto ironico, alzo entrambe
le mani in segno di resa. Era sempre difficile capire quando era serio
e quando invece non lo era.
La porta della sala si aprì. Una coppietta entrò
mano nella mano in cerca delle poltrone a loro assegnate.
Nell'osservarli, Bulma si domandò se un giorno lei e Vegeta
sarebbero potuti essere quella coppia, così come potevano
fare anche Lazuli e Crilin.
Doveva aspettare agosto e dopo il suo diciottesimo compleanno non
sarebbe più stato un problema, ma essendo a metà
gennaio sembrava una data ancora così lontana.
I due ragazzi passarono accanto al gruppo di amici per poi sparire
diverse file dietro di loro. Tra le mani, lei reggeva una confezione di
popcorn che seminò una scia di profumo tipico di quando
erano appena stati preparati.
“... e quindi non l'ho visto” stava nel frattempo
dicendo Crilin. Bulma si accorse di essersi completamente distratta a
di aver perso il filo del discorso. Per un attimo cercò di
concentrarsi per cercare di capire di cosa stessero parlando i suoi
amici, ma la sua concentrazione si dissolse prima di ascoltare una sola
parola.
L'odore lasciato dai popcorn continuò a vagare nell'aria e
per qualche ragione Bulma si ritrovò più
interessata ed esso. Si voltò ad osservare la coppia seduta
diverse file più in là.
Intenti a confabulare tra loro stavano nel contempo mangiucchiando il
loro snack. Li osservò per un istante cercando di sopprimere
l'impellente desiderio di mangiarne a sua volta. Ebbe l'impressione di
sentirne l'odore anche da quella distanza.
Tentò una seconda volta di tornare alla conversazione tra i
suoi amici, ma prima che potesse fare anche solo un tentativo il suo
cervello le fece capire chiaro e tondo che davvero voleva dei
popcorn. Il profumo intenso e burroso le penetrò nelle
narici. Si scoprì a deglutire per cercare di dissipare
l'acquolina che si era già creata nella sua bocca.
“Scusate” si ritrovò a dire
all'improvviso interrompendo chiunque stesse parlando, sorprendendo
peraltro anche sé stessa, “Chi altri vuole dei
popcorn?” domandò.
I suoi amici si voltarono a guardarla con una certa sorpresa, non era
da lei prendere questo genere di iniziative.
Per un istante nessuno parlò.
“Per me no grazie, io sto ancora digerendo le
patatine” rispose infine Crilin, rivolgendosi ugualmente alla
sua ragazza seduta accanto a lui, “Tu ne vuoi?” le
chiese. Lazuli scosse il capo “No”
“Nemmeno per me” replicò Lapis.
Yamcha scattò in piedi “Vado io a
comprarteli!” esclamò tutto d'un fiato. Senza
darle il tempo di rispondere si rivolse subito in direzione della porta
svanendo come un fulmine.
“Che idiota, si è dimenticato di prendere i
soldi” fece notare il gemello, dopo un istante di stordimento
generale. “Non ha ancora capito che con te non ha
speranze?” mormorò allusiva Lazuli, “Un
po' mi dispiace per lui” replicò Crilin.
Bulma alzò le spalle “Che altro dovrei fare? Io
gliel'ho detto chiaro e tondo che possiamo essere solo amici”
concluse. E se proprio doveva essere sincera, Yamcha aveva molte meno
possibilità di quelle che poteva immaginare.
CONTINUA…
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Capitolo 10 *** Le conseguenze delle proprie azioni ***
d
ENTER
MY WORLD
Le conseguenze delle proprie azioni
“E
se fosse l'antenna?” gli domandò la moglie,
sbirciando da dietro le sue spalle. Brief era un uomo molto paziente e
con calma mormorò “No, cara, l'antenna va
benissimo” le spiegò premendo i pulsanti del
telecomando. “Sei sicuro?” si assicurò
lei, “Certo”, doveva solo resettare alcuni canali
che erano andati perduti a causa della recezione.
Il campanello suonò all'improvviso, distogliendo Panchy dal
lavoro del marito, con sollievo di quest’ultimo. Si
voltò verso la porta del salotto e bisbigliò
“Chi sarà?” parlottando tra
sé. Ciabattando fuori dal soggiorno superò il
piccolo corridoio che portava in cucina.
L'ingresso della casa si trovava lì, e quando lo
aprì si trovò faccia a faccia con la figlia
maggiore. “Hai dimenticato di nuovo le chiavi?” le
domandò apprensiva. Tights fece spallucce “Mi sono
accorta di averle lasciate a casa quando ero ormai a poche fermate da
qui” le spiegò varcando la soglia.
La giovane donna si guardò attorno “Bulma mi ha
detto che ha aggiustato il mio computer. È in
casa?” le chiese non avendo visto la sorella da nessuna
parte. La madre scosse il capo, “Sta ancora
dormendo” la informò “Ieri era molto
stanca e non me la sono sentita di svegliarla” era domenica
dopotutto e la giovane non aveva impegni mattutini.
Tights guardò l'orologio appeso in cucina
“Dormendo? Ma è quasi l'una”
sottolineò. “Davvero?” si rese conto
Panchy, volgendo a sua volta lo sguardo verso il quadrante
“Oh! Si è fatto tardi, devo pensare al
pranzo” si rese conto. Si era distratta dal trafficare del
marito col televisore e non aveva tenuto conto dell'orario.
“Beh, io vado a vedere se Bulma è ancora
viva” ironizzò la figlia, dopo essersi liberata
della giacca invernale che abbandonò su una delle sedie
attorno al tavolo.
Dopo aver varcato il corridoio s'incamminò verso le
scalinate che portavano al piano di sopra. “Resti a pranzo
con noi?” sentì la madre domandarle quando mise il
piede sul primo gradino. Tights ci pensò per un istante
“Sicuro” le rispose.
Esitò per un istante, prima d'intraprendere la scalata,
voltandosi verso il salotto dove vide il padre trafficare con la TV.
“Ciao papà” lo chiamò.
L'uomo non si voltò neanche, restando concentrato sul suo
lavoro. Si limitò a sollevare una mano in segno di saluto.
Quando era in modalità riflessiva sembrava sempre che il
mondo sparisse, questa era una cosa che la figlia minore aveva senza
dubbio ereditato da lui.
Raggiunto il pianerottolo in cima alle scale svoltò l'angolo
e bussò alla porta della camera da letto di sua sorella,
parallela alla stanza che era stata la sua, nella quale erano ancora
custoditi i ricordi di un'adolescenza ormai andata.
“Ehi dormigliona, è ora d'alzarsi”
esordì aprendo la porta, per trovarsi ad osservare una
stanza buia. Di Bulma vide solo una ciocca di capelli spuntare da sotto
le coperte. “Sorellina” la chiamò
scuotendola. In risposta ottenne soltanto un contrariato mugolio.
Quando finalmente si mosse, Bulma si voltò verso la scura
figura in piedi accanto al suo letto e la osservò per un
breve istante. Impiegò alcuni secondi prima di riconoscerla
“Tights?” chiese per sicurezza, la voce ancora
impastata dal sonno. “Sì, sono io” la
rassicurò lei “È ora di
alzarsi” le ripeté.
L'idea non piacque molto alla minore che in tutta risposta si
rotolò sul fianco per tornare nella posizione che aveva da
poco abbandonato “Ancora cinque minuti”
farfugliò. “Non penso proprio”
decretò la giovane donna, decidendo di scostarle le coperte.
Sotto la calda trapunta si stava bene al calduccio, ma quando le furono
sottratte Bulma rabbrividì a causa dell'improvviso cambio di
temperatura. “Ehi!” brontolò, guardando
Tights con un'espressione contrariata.
Normalmente ci sarebbero state proteste e imprecazioni, ma quel giorno
Bulma si sentì troppo stanca per dar loro voce. Sconfitta
dalla vitalità di sua sorella, non poté fare a
meno di sollevarsi dal materasso. “Sono sveglia!”
farfugliò non troppo convincente.
Tights la osservò “Cosa ti prende?” le
domandò. Bulma cercò le ciabatte che aveva
lasciato accanto al letto e si alzò in piedi.
Sbadigliò “Nulla, è solo che in questi
giorni non riesco a dormire molto bene” le spiegò,
grattandosi la pancia ancora mezza addormentata.
Quando decise che era giunto il momento di farsi strada verso il bagno,
un primo segno di lucidità si fece largo nella sua mente. Si
fermò “Il tuo computer è sulla mia
scrivania” le disse indicandolo, prima di uscire.
***
Nonostante
fossero passate due settimane dall'accaduto, Vegeta sentiva ancora il
sangue ribollirgli nelle vene quando ci ripensava. I danni alla sua
moto erano stati onerosi da riparare.
L'aveva portata da uno specialista che lo aveva già aiutato
in passato e la carrozzeria era stata perlopiù rimessa a
nuovo, gli specchietti sostituiti ed era stata riverniciata. Non
sarebbe mai più tornata come nuova, ma questa era la cosa
più vicina che potesse sperare.
Tuttavia quando i suoi occhi si posavano sulle ammaccature ancora
evidenti gli veniva voglia di prendere a pugni qualcosa… o
qualcuno.
Erano anni che voleva sostituire la vecchia carretta, ma non era mai
riuscito a mettere da parte denaro sufficiente. Tra le spese del bar,
l'affitto dell'appartamento, spese legali, tasse e vari pagamenti non
era mai stato in grado di racimolare abbastanza denaro per comprarsi
una vettura decente. Vendere la precedente moto era stato l'unico modo
per mettere da parte i soldi da investire in quella nuova.
Quella vecchia lo faceva sempre arrabbiare, ma aveva imparato a
convivere col fatto che, ogni volta voleva andare a farsi un giro,
rischiava di tornare a casa col carro-attrezzi.
Perché aveva deciso di arrendersi con il rottame e prenderne
finalmente una nuova? Perché a Bulma piacevano le moto.
Spesso era capitato che ne parlassero e lei non aveva mai nascosto che
le sarebbe piaciuto fare un giro lontano solo loro due. Questo non era
di certo possibile con il ferro vecchio che al massimo li avrebbe
portati fino alla fermata dell'autobus.
Se non altro i danni subiti dalla sua nuova moto non avevano toccato il
motore. Sì la carrozzeria aveva subito qualche ammaccatura
che però era stata prontamente riparata e ora che l'aveva
riportata a casa dopo un periodo di riparazioni era di nuovo pronta a
partire.
Non fece in tempo a posteggiarla davanti alla propria casa, o ad
estrarre le chiavi, quando Nappa uscì dal magazzino con un
sacchetto dell'immondizia tra le mani. Liberatosi della spazzatura si
avvicinò a Vegeta. “Ehi vedo che l'hai rimessa a
nuovo” commentò quando l'altro scese dal veicolo.
Tolto il casco Vegeta osservò la moto
“Tsk” brontolò osservando una di quelle
fastidiose contusioni ancora evidenti.
Due uomini apparvero al cancello che circondava il cortile. Si
guardarono attorno ed entrarono. I proprietari del locale il fissarono
con velato fastidio. Si scambiarono uno sguardo non troppo contenti che
due sconosciuti stessero varcando la loro proprietà.
Nappa fece un passo avanti, il fisico possente ben in mostra,
“Possiamo aiutarvi?” domandò non troppo
amichevolmente. Vegeta appoggiò il casco sulla moto ed
incrociò le braccia.
“Sì” rispose uno di loro
“Stiamo cercando il titolare di questo posto”
aggiunse indicando il bar. “Siamo noi” rispose di
nuovo Nappa. I due sconosciuti si scambiarono a loro volta un'occhiata
d'intesa, “Chi di voi due è un certo
Vegeta?” “Chi lo vuole sapere?”
replicò il diretto interessato.
L'uomo che aveva parlato fino a quel momento infilò la mano
in una tasca ed estrasse un distintivo, “Polizia”
si presentò “Signor Vegeta, è pregato
di venire con noi” lo informò. “Tsk, e
se non volessi?” ringhiò lui con sguardo
minaccioso.
“Mi ha frainteso, la mia non era una richiesta”
precisò il primo, il suo collega estrasse dalla cintura un
paio di manette “È in arresto per aggressione. Le
consiglio di non opporre resistenza” aggiunse.
“Che cosa?!” esclamarono in coro Nappa e Vegeta.
Non che ci fosse bisogno di chiederlo, ma “Di che cosa state
parlando?” s'intromise l'energumeno. Il secondo poliziotto lo
guardò per un attimo, poi si rivolse all'uomo per la quale
erano venuti “Guldo ha sporto denuncia nei suoi confronti con
l'aggravante che rischia di perdere la vista da un occhio”
“Immagino sappia di cosa stiamo parlando” aggiunse
il collega.
Vegeta non disse nulla.
“Perché questo trattamento? Che ne è
dei suoi diritti? Normalmente non si va in carcere per una denuncia di
aggressione” cercò di difenderlo Nappa.
“Ha ragione, di solito no, come il suo amico sa molto
bene” l'agente che aveva appena parlato si voltò a
guardare Vegeta che corrugò le sopracciglia, “Ma
se l'imputato viene ritenuto pericoloso o recidivo dovrà
attendere la sentenza definitiva in carcere”.
L'altro agente gli mostrò ancora le manette,
“Cos'ha deciso? Viene con noi con le buone o dobbiamo
aggiungere resistenza all'arresto alla sua denuncia?” gli
domandò.
CONTINUA…
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Capitolo 11 *** Un vago sospetto ***
d
ENTER
MY WORLD
Un vago sospetto
“Avete
studiato per l'interrogazione della terza ora?”
domandò Yamcha sporgendosi sul banco.
Seduta sul tavolo di Crilin, Lazuli alzò le spalle
“Mi ha interrogato la scorsa settimana” lo
informò sapendo di non rischiare l'eventuale chiamata alla
cattedra. L'altro ragazzo parve meno certo, sfogliando le pagine del
libro di testo con nervosismo “Non mi ricordo più
nulla” si lamentò Crilin, portandosi una mano alla
testa. Lazuli mise una mano sul tomo, costringendolo a fermarsi,
“È su quello che abbiamo studiato insieme l'altro
giorno. Sei preparato Crilin” lo rassicurò.
“Ohh voi piccioncini avete studiato tutti soli soletti eh? E
bravo il nostro Crilin” gli fece il verso l'amico.
“N... non è così, abbiamo studiato
davvero!” gli rispose. Lazuli, un po' in imbarazzo, si
portò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.
Yamcha rise sguaiatamente, poi si fermò e
cominciò a riflettere “Mh, dovrei chiedere a Bulma
se vuole studiare con me qualche volta” “Tu non
demordi proprio mai” mormorò l'amico.
“Certo che no! In amore vince chi insiste”
recitò Yamcha, l'altro scosse il capo “Guarda che
non è quello il detto” gli fece presente.
Lazuli lo fissò in silenzio per un istante “A
proposito di Bulma, qualcuno sa dov'è?” chiese poi
ed i due amici si voltarono verso il banco della ragazza ancora
vacante. Le lezioni sarebbero iniziate a breve e di lei nessuna traccia.
Yamcha estrasse il suo cellulare dalla tasca, ma sulla conversazione di
gruppo non c'era nessuna novità che la riguardasse. L'ultimo
suo messaggio risaliva alla sera prima.
Giusto in quel momento, anticipando il suono della campanella di un
secondo, Bulma entrò in classe. Sotto gli occhi dei suoi
amici prese posto lasciando scivolare il suo zaino al suolo con un
tonfo. Non aveva una bella cera, notarono tutti ed era una cosa che
nell’ultima settimana era capitata spesso.
“Ehi, Bulma, stai bene?” le domandò
apprensivo Crilin notando che la ragazza era molto pallida. Lei
sospirò.
“Ho avuto una mattinaccia” spiegò loro
“Mi sono svegliata stanca e tutto mi sembra faticoso
oggi” sbuffò nuovamente poggiando la testa sul
banco.
Gli altri si scambiarono una serie di sguardi. Yamcha alzò
le spalle, Crilin si grattò la tempia ed entrambi fissarono
Lazuli, come se lei, essendo l'altra ragazza del gruppo, avesse una
sorta di potere magico che le permettesse di leggere nella mente
dell'amica.
Un familiare colpo di tosse proruppe delicato ma assordante al tempo
stesso nell'aula. Gli studenti si ammutolirono tutti insieme, trovando
ognuno il rispettivo posto.
Whis li guardò tutti una volta accomodati,
“Buongiorno” li salutò.
Le lezioni cominciarono senza intoppo subito dopo i vari convenevoli.
Non era passato nemmeno un quarto d'ora prima che la mano di Bulma si
levò in aria in attesa di essere interpellata. L'insegnante
s'interruppe e la guardò, “Mi dica Signorina
Bulma, cosa posso fare per lei” chiese. La ragazza lo
guardò con un'espressione supplichevole
“Professore, posso andare in bagno?”.
Whis inarcò un sottile sopracciglio, aveva una stretta
politica riguardo all'andirivieni degli studenti dai servizi. Di solito
non mandava mai nessuno nella prima mezz'ora di lezione e tutti gli
allievi erano a conoscenza di questa sua presa di posizione.
In genere avrebbe risposto di no ad una richiesta formulata
così presto. Tuttavia la giovane aveva un'aria strana ed il
professore intuì che doveva davvero averne un gran bisogno a
giudicare dall'implorazione espressa con genuina sofferenza nei suoi
occhi.
Dopo averci riflettuto per alcuni secondi decise di fare uno strappo
alla sua regola. “Vada pure” le concesse.
Il banco di Bulma era nell'ultima fila e Whis si accorse con quanta
fretta si alzò percorrendo l'intera aula prima di uscire.
Ci fu un vociare generale, mentre gli altri compagni di classe
commentarono la scena con i vicini. L'unico terzetto a restare in
silenzio fu quello in fondo alla stanza.
Gli amici di Bulma si scambiarono uno sguardo carico di preoccupazione.
***
“Signorina
Lazuli” la chiamò all'improvviso l'insegnante,
senza preavviso. La ragazza sollevò il capo dal suo quaderno
degli appunti e fissò l'uomo in piedi davanti alla cattedra
“Sarebbe così gentile da andare a verificare come
si sente la sua amica?”.
Lazuli non se lo fece ripetere. Il banco di Bulma era rimasto vuoto da
più di venti minuti ormai e la sua prorogata assenza stava
cominciando a mettere una certa ansia al terzetto di amici che, a
turno, si voltava verso la porta o verso il posto vacante nella
speranza di vederla ricomparire.
“Facci sapere come sta” le sussurrò
Yamcha, forse il più preoccupato.
Una volta nei corridoi Lazuli percorse in fretta la strada che la
separavano dal bagno delle ragazze. Una volta entrata non vide nessuno.
Si addentrò osservando gli scompartimenti dei vari gabinetti
aspettandosi di trovarne uno chiuso, ma a prima vista, dalla
prospettiva all’ingresso, le parvero tutti spalancati.
“Bulma?” chiamò un po' indecisa.
“In fondo” le rispose la voce dell'amica che doveva
averla riconosciuta.
Quando Lazuli la raggiunse la trovò seduta al suolo davanti
al relativo water dello scompartimento. La testa poggiata sul divisorio
alle sue spalle con gli occhi chiusi ed entrambe le mani poggiate sullo
stomaco. Dava l'impressione di poter vomitare da un momento all'altro.
“Cos'è successo?” le domandò
la bionda cercando d'inquadrare la situazione. “Mi sono
sentita male” le spiegò vaga con una voce che non
parve essere la sua. Se Lazuli non avesse visto le sue labbra muoversi,
non avrebbe creduto che era stata davvero lei a parlare.
Bulma era uscita dall'aula di corsa e si era precipitata in bagno come
se ne dipendesse la sua vita. Era arrivata giusto in tempo, prima di
rivedere tutti i pasti dell'ultimo mese finire nel gabinetto.
Aveva provato a rialzarsi, ma si sentiva troppo debole per poterlo
fare. La sola idea di muoversi le diede una sensazione di nausea e un
giramento di testa. Per tali ragioni era rimasta seduta lì
da un tempo indeterminato nella speranza di sentirsi meglio il prima
possibile.
Lazuli la fissò per un secondo, “Vuoi che chiami
qualcuno?” le offrì accorgendosi di quanto l'amica
le sembrasse fragile ed indifesa. Bulma scosse lentamente il capo
“No, tra poco passerà” le rispose, gli
occhi ancora chiusi.
“Non mi sembri molto sconvolta” notò
Lazuli “È già successo altre volte,
vero?” chiese. Nel momento in cui pose la domanda una voce
nella sua mente le suggerì la risposta.
Bulma non replicò, ma Lazuli stava già iniziando
a porsi una serie sempre più precisa d'interrogativi.
Per un attimo ripensò al discorso che era avvenuto tra loro
ormai diverse settimane prima, e per quanto incredibile che fosse,
un'idea si fece strada tra le altre ipotesi e il più ci
pensava e il più le parve veritiera. Bulma sembrava sempre
stanca da un po' di tempo e anche quello era un indizio che
andò ad incastonarsi in un puzzle sempre più
nitido.
Lazuli si domandò se lei avesse preso in considerazione
l’idea, ma soprattutto se fosse possibile. Ancora una volta,
quel dialogo fatto di misteri e segreti tornò a balzarle
nella mente.
“Bulma...” disse attirando la sua attenzione
costringendola finalmente ad aprire gli occhi per guardarla
“Sai cosa può essere?”
s'informò prima di dar voce alla sua supposizione.
La ragazza sembrò indecisa, “Non saprei, forse un
virus intestinale” disse. Lazuli esitò, le parve
evidente che lei non avesse considerato l'idea.
Valutò attentamente come porre la questione senza sembrare
irrispettosa. Si portò una ciocca dietro l'orecchio.
“Allora... posso farti una domanda personale?”.
CONTINUA…
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Capitolo 12 *** Doverose spiegazioni ***
d
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MY WORLD
Doverose spiegazioni
Qualsiasi
problema doveva aver avuto il suo computer, da quando sua sorella
glielo aveva riparato era tornato come nuovo. Quella ragazza era un
vero genio quando si trattava di questo genere di cose. Tights era
convinta che, una volta terminati gli studi, persino il padre non
avrebbe retto il confronto.
Si concentrò sull'articolo che stava scrivendo e che doveva
consegnare entro il la fine della giornata.
Lavorava per un giornale locale che stampava poche copie comprate
perlopiù da gente più in là con
l'età curiose di sapere cos'era accaduto il giorno prima nel
vicinato e che non avevano nessuna conoscenza in fatto di tecnologia.
Ignari del fatto che, al giorno d'oggi, potevano usare un telefono per
apprendere in tempo reale gli eventi.
Tights lavorava per la rivista solo da un paio d'anni e aveva smesso di
essere la designata porta caffe da pochi mesi. Gli articoli che
scriveva erano lungi dall'essere sbattuti in prima pagina, finendo
spesso tra le notizie meno importanti.
Certo non era il lavoro ideale, ma da qualche parte bisognava iniziare.
Il citofono suonò vigorosamente, costringendo la giovane
giornalista ad alzare il capo dal suo lavoro.
Jaco era appena andato a lavoro, ed essendo in casa da sola fu
costretta ad andare ad aprire. “Chi è?”
domandò premendo il pulsante dell'interfono, “Sono
Bulma” rispose la voce della sorella.
Tights ne fu sorpresa. Di solito l'avvisava quando veniva a trovarla,
non che le dispiacesse la visita inaspettata, ma per lei era parecchia
strada da fare correndo il rischio di non trovarla in casa. Era
già accaduto che Bulma fosse stata costretta a restare fuori
dal portone per aver sbagliato le tempistiche, per questo era nata
l'abitudine di un breve avviso.
La giovane donna premette il pulsante per aprire il cancello principale
e sbloccò il portone dell'appartamento. Abitando al primo
piano della palazzina la strada da percorrere non era molta. Erano
necessari pochi minuti per giungere a destinazione.
Tights tornò verso il suo computer in cerca del telefonino.
Forse si era distratta e non aveva notato una chiamata o un messaggio,
ma con sua sorpresa non era stata una sua mancanza. Semplicemente la
sorella non l'aveva contattata.
Bulma entrò in casa e chiuse la porta alle sue spalle,
“Tights, devi aiutarmi!” esordì. Sua
sorella la guardò tirare il fiato come se fosse giunta di
corsa, eppure l'ingresso del palazzo era poco distante dalla fermata
dell'autobus, non c'era molta strada da percorrere una volta scesa dal
bus. “O... k” mormorò la più
grande, lasciando trapelare una sorta d'incertezza.
Quello che si erano dette lei e Lazuli nei bagni, qualche ora prima,
era rimasto un segreto tra loro. Se la supposizione della compagnia di
classe era in qualche modo veritiera, Bulma si trovava in una
situazione disperata.
Pur di non affrontare i suoi genitori, aveva mentito agli insegnanti
dichiarando che ora si sentiva bene e non aveva bisogno di tornare a
casa. Proseguendo le lezioni fino al termine della giornata.
Non che fosse stata attenta ad ogni singola parola detta durante le
diverse ore, aveva cercato tutto il tempo di inviare messaggi a Vegeta
in cerca del suo aiuto, ma per qualche ragione lui era sparito
completamente. Erano più di ventiquattro ore che non aveva
sue notizie e quando aveva addirittura cercato di chiamarlo
all'intervallo si era imbattuta nella segreteria telefonica. Era
strano, questa volta non avevano neppure litigato, ma a lui avrebbe
pensato dopo.
Se Vegeta non voleva farsi trovare, Tights era la sua seconda scelta.
Dopotutto, non potendo mettersi in contatto con l’uomo
sentì la necessità dell'aiuto e del conforto
della sorella, anche se le avrebbe dovuto dare qualche spiegazione in
più.
Uscita da scuola era saltata sul primo autobus che portava verso
l'abitazione della maggiore recitando mentalmente il modo migliore di
affrontare l'argomento. Ora che si trovava lì aveva
dimenticato tutto quello che le doveva dire.
“Sono nei guai, grossi guai. Ti prego aiutami” la
scongiurò la ragazzina. “Va bene, va bene,
calmati. Inizia dal principio, cos'è successo?”
cercò di tranquillizzarla Tights. Bulma prese fiato
decidendo di partire dalla realizzazione che era giunta grazie
all'amica, “Sono in ritardo” disse, “In
ritardo per cos... oh… oooooh!”. La minore vide la
lenta consapevolezza farsi largo sul viso della sorella, “Non
dirmi che... cavolo, non sapevo nemmeno avessi un ragazzo”
commentò.
La ragazzina chiuse gli occhi. Aveva immaginato tante di quelle volte
il momento nella quale avrebbe potuto raccontare a qualcuno di Vegeta,
ma questo non era come aveva sperato. “Già... beh
non lo sapeva nessuno” confessò sentendo il suo
cuore sprofondare.
“Questa sì che è una
sorpresa” mormorò la giornalista “Devo
quindi dedurre che stai parlando di quello che penso tu stia
parlando?” Bulma sospirò
“Sì” ammise cercando di non incrociare
gli occhi scuri della giovane donna.
Tights ci pensò su per un istante, “Hai
verificato?” la più giovane scosse il capo.
“D'accordo, ci penso io. In casa non c'è nessuno,
sdraiati sul divano e mettiti comoda, io vado a fare un salto alla
farmacia dietro l'angolo” disse afferrando la sua giacca da
un appendiabiti all'ingresso, “Torno subito” la
rassicurò, prima di uscire.
***
Era
quasi incredibile pensare che appena un paio di settimane prima faceva
la strada fin qui dalla sua scuola, al termine delle lezioni, per
lavorare al bar. Ora la percorreva in gran segreto per sgattaiolare
nell'appartamento di Vegeta, dopo aver nascosto la propria bici tra i
cespugli.
Se l'adrenalina non era sufficiente a rendere questa relazione
intrigante, c'era comunque il fatto che stesse frequentando un uomo
molto più grande di lei che, per essere precisi, era un gran
baciatore. Vegeta sapeva essere passionale, rude e delicato al tempo
stesso e di lui, Bulma non poteva mai averne abbastanza.
Incollati l'uno all'altra le loro mani esploravano i reciproci corpi. A
Bulma non dispiaceva affatto che le dita di lui palpeggiassero il suo
seno, mentre continuava a baciarla, fintanto che fosse nascosto sotto
la blusa. Quel giorno tuttavia, Vegeta decisa di osare di
più, la sua mano infatti s’insinuò
sulla coscia scoperta della ragazza, sotto la gonnella scolastica.
Dopo un primo, quasi terrificante, istante di piacere Bulma lo
respinse. Poggiandogli i palmi sulle spalle lo allontanò
all'improvviso, alzandosi come una molla dal divano sulla quale erano
seduti. Si accorse di quanto quel contatto le fosse piaciuto, ma di
quanta paura le aveva suscitato al tempo stesso. Un ragazzo, no un
uomo, l'aveva appena toccata in un modo molto delicato.
“Che cavolo...?” brontolò lui sorpreso
quanto la ragazza. Bulma deglutì “Sc...
scusa” disse, riabbottonandosi la blusa. Vegeta la
guardò con un'espressione piuttosto confusa guardandola
stringersi tra le braccia.
“Mi dispiace, Vegeta ma io non...”
bisbigliò. Ci pensò su per alcuni istanti,
“Il fatto è che tu sei il primo ragazzo serio che
io abbia mai avuto” gli confessò cercando di
nascondere il suo imbarazzo.
Questo Vegeta non lo sapeva. Si limitò ad incrociare le
braccia e a fissarla. Nonostante avesse sempre un comportamento molto
maturo per la sua età, ogni tanto si dimenticava che era
soltanto una ragazzina.
“Non penso di voler... andare... fino in fondo” gli
spiegò. In tutta risposta, dopo averla studiata per un lungo
ed interminabile momento, Vegeta trovò il telecomando della
televisione e decise di accenderla, senza aggiungere una sola parola.
Bulma lo guardò, era ancora difficile per lei riuscire a
distinguere alcuni dei suoi umori. Era sempre così
misterioso.
“Sei arrabbiato?” “Tsk, non dire
sciocchezze” brontolò limitandosi a cambiare
canale. Per qualche motivo Bulma comprese che stava dicendo il vero,
decise di andarsi a sedere di nuovo accanto a lui.
Vegeta non voleva certo imporsi su una ragazzina, se c'era d'aspettare
avrebbe aspettato. Nel frattempo le mise un braccio attorno alle spalle
limitandosi a tenerla stretta.
***
“A
questo punto penso che tu mi debba una spiegazione, Bulma” le
disse Tights osservandola dall'altra parte del bagno nella quale si
trovano entrambe “Chi è questo ragazzo? Un
compagno di scuola?”. Bulma era seduta sul bordo della vasca
da bagno, guardandosi le punte delle scarpe. Con una mano
cominciò a giocare col ciondolo sferico appeso alla sua
collanina, “No” disse.
Tuttavia sua sorella aveva ragione, a questo punto era in debito con
alcune delucidazioni, dopotutto la giovane donna non le aveva fatto
nessuna domanda se non le strette necessarie, almeno fino a questo
punto.
Sospirò “Non ho mai detto nulla a nessuno
perché lui è molto più grande di
me” si sentì dire, avendo quasi l'impressione di
ascoltare la sua voce da molto lontano. Tights inarcò un
sopracciglio “Quanto è molto più
grande?” chiese cercando di nascondere una punta di
preoccupazione. “Ha venticinque anni” disse la
liceale “Ma li ha appena compiuti”
puntualizzò, come se questa piccola differenza fosse di
grande importanza. La sorella emesse un silenzioso sospiro di sollievo.
C'era comunque una gran bella differenza, ma almeno questo misterioso
lui non era più grande della giornalista. Per un attimo
aveva seriamente temuto che fosse molto vecchio. Tuttavia questo non
cambiava il fatto che la sua sorellina stesse frequentando un uomo.
“Beh ora mi spiego perché non l'hai detto a
nessuno. Conoscendoti mi sarei aspettata una conferenza stampa il
momento in cui hai iniziato ad uscire con lui”
scherzò Tights, cercando di alleggerire una tensione che
però rimase palpabile. Bulma non sorrise, normalmente
avrebbe risposto a tono, ma in quel momento non si sentì di
dire nulla.
Il timer impostato sul telefono della sorella maggiore
squillò quasi all'improvviso. Se non fosse che stessero
aspettando proprio quello sarebbero saltata entrambe in aria per la
paura.
Si guardarono l'un l'altra, e senza bisogno di parole si voltarono
verso il lavandino, sulla quale era appoggiato il test. Ci fu un lungo
silenzio.
Fu Tights a romperlo “Vuoi guardare tu o preferisci che lo
faccia io?” chiese. Bulma strinse la presa sul pendaglio
“Tu” rispose in ansia.
“Ok” rispose l'altra sollevando il famigerato
oggetto. Bulma ebbe l'impressione di aver dimenticato come respirare.
Ogni secondo stava scorrendo con una lentezza esasperante.
Tights si voltò a guardarla “È
positivo... sei incinta”.
CONTINUA…
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Capitolo 13 *** Sempre più lontani ***
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MY WORLD
Sempre più lontani
Tights
le aveva fatto promettere che lo avrebbe detto a mamma e
papà il prima possibile. Bulma era riuscita a convincerla a
non prendere iniziative spiegandole che prima voleva parlarne con lui.
C'era un solo piccolo problema che non aveva rivelato alla sorella,
tanto per aggiungerne a quelli che già aveva. Vegeta era
svanito da un paio di giorni.
Bulma non aveva la minima idea di che fine avesse fatto o
perché non stesse leggendo i messaggi che gli aveva inviato.
Aveva fatto diversi tentativi per attirare la sua attenzione, ma nulla
sembrava essere servito.
Il cellulare era sempre spento e lui non aveva ancora letto nessuna
notifica. Tramite l'applicazione Bulma poté notare che per
quanti gliene avesse mandati lui non aveva ancora visto nulla.
Nel panico decise che non aveva altra scelta se non quella di cercarlo
personalmente. Così al termine delle lezioni prese la sua
bicicletta e pedalò in direzione del bar.
Era rischioso e lo sapeva bene, in genere decidevano insieme se e
quando incontrarsi per non correre il pericolo di trovarsi di fronte a
degli inconvenienti. Ma se lui la stava ignorando allora non aveva
altra scelta.
Per la prima volta da quando aveva messo piede nel locale, ormai quasi
sei mesi fa, la pedalata le parve lunga e faticosa. Non aveva mai avuto
problemi a raggiungere il bar con la sua bici, ma quel giorno le sue
gambe le parvero pesanti e senza forza.
Si era già accorta che il tragitto tra casa e scuola stava
diventando faticoso, lasciandola senza energia all'arrivo, e casa di
Vegeta era molto più distante dalla scuola. Doveva farlo a
tutti i costi tuttavia, aveva bisogno di parlare con lui.
Arrivata sul luogo era spossata e senza fiato. Quando scese dal sellino
ebbe quasi un giramento di testa riuscendo appena in tempo ad afferrare
la cancellata che circondava il cortile.
Di nascondere la bici non se ne parlava neanche, non aveva la forza di
spostarla e di farla sparire dietro i rami dei cespugli,
così decise di lasciarla fuori dalle inferiate con la
speranza che non sarebbe passato nessuno nell'immediato futuro.
Si guardò attorno. La moto era parcheggiata al solito posto,
quindi Vegeta doveva essere in giro. Con un po' di fortuna lo avrebbe
trovato in casa anziché a lavoro, all'interno del locale.
Trovatasi alla base delle scale le guardò come se stesse per
imbarcarsi nella scalata di una montagna. Erano sempre state
così tante?
Raggiunto il pianerottolo provò a bussare alla porta.
Attese, ma non ottenne risposta. Tentò una seconda volta, il
risultato non cambiò.
Avrebbe voluto sbirciare dalle finestre, ma erano poste fuori dalla
portata di qualcuno in piedi davanti alla porta. Quante volte avevano
approfittato del fatto che non c'era una buona prospettiva per guardare
all'interno delle vetrate? Si erano spesso trovati ad ignorare le
finestre aperte consapevoli del fatto che nessuno sarebbe stato in
grado di sbirciare al loro interno.
“Vegeta!” chiamò bussando con tutta la
forza che le era rimasta, “Vegeta!”
ritentò.
Le sue nocche sbatterono contro la superficie della porta ancora e
ancora cercando di fare più rumore possibile. Se era in casa
l'avrebbe sentita senz'altro.
Tuttavia ad ogni secondo che passava la possibilità che
fosse così si affievoliva. “Aprimi, ti
prego” disse alla porta, mentre le forze l'abbandonarono.
Scivolò al suolo battendo di nuovo sull'uscio. Si
ritrovò in ginocchio, poggiando la testa sull'ingresso.
“Ehi!” disse una voce all'improvviso
“Cosa ci fai lì?”. Bulma si
voltò guardando il cortile tramite la ringhiera.
Quella non era la persona che sperava di vedere. Avendo fatto un gran
baccano nella speranza di farsi sentire dai fantasmi all'interno
dell'abitazione, non aveva pensato che i vivi potessero anch'essi
sentirla. Si alzò forse un po' troppo in fretta, causandole
un nuovo giramento di testa.
Non aveva altra scelta, a questo punto se voleva notizie di Vegeta
doveva chiedere.
Nappa l'attese alla fine della scalinata, osservandola mentre scendeva
i gradini fino a raggiungere il cortile. “Cosa
vuoi?” le domandò severo l'omone.
Bulma ebbe un ormai familiare sensazione allo stomaco e
sperò di poter resistere ancora per qualche minuto.
“Sto cercando Vegeta” disse avvicinatasi a lui,
poggiandosi un braccio attorno allo stomaco.
L'uomo la fissò per qualche istante. Una mocciosa che
cercava Vegeta? La ragazzina indossava la divisa scolastica di un liceo
privato della zona e ora che ci pensava le due cose suscitarono un
ricordo risalente ad almeno un mese prima, quando un giorno una liceale
era uscita dall'appartamento del socio.
Con la coda dell'occhio si accorse della bicicletta lasciata
all'ingresso del cortile e non ebbe più dubbi. È
quella ragazza!
E ora che la guardava meglio in faccia gli parve ancora più
familiare del previsto. L'aveva già vista da qualche parte,
ma non si ricordò esattamente dove o quando.
“Vegeta non c'è, tornatene a casa” le
disse scortese. Non voleva essere coinvolto nelle nefandezze del suo
socio. Se lui voleva sbattersi una ragazzina non erano affari suoi, ma
non voleva nemmeno essere coinvolto in queste sue decisioni.
Bulma si poggiò una mano alla bocca “Quando lo
posso trovare ho bisogno di parlare con lui”
spiegò. Nappa valutò in silenzio la risposta da
darle.
Prima che potesse dire nulla, Bulma si chinò verso i
cespugli vomitando anche l'anima. Apparentemente senza motivo
cominciò a piangere asciugandosi le lacrime con il polsino
della giacca.
Dopo aver rimesso tutto quello che poteva si accasciò al
suolo in equilibrio sulle punte dei piedi premendosi entrambe le
braccia sullo stomaco. Nappa la fissò per un lungo momento,
“Ehi mocciosa, stai bene?” le domandò.
“No” farfugliò lei con un filo di voce,
tra le lacrime e la nausea che ancora non le era passata del tutto.
Nappa intuì che la ragazza era in guai più grandi
di lei.
***
Spinto
da un momento di pietà nei confronti di questa
marmocchietta, Nappa decise di raccontarle quantomeno lo stretto
necessario. Ulteriori spiegazioni avrebbe dovuto chiederle direttamente
a Vegeta, qualora fosse riuscita ad incontrarlo.
Le raccontò, senza entrare nei dettagli, che c'era stata una
rissa nella quale Vegeta era stato coinvolto che si era trasformata in
un bagno di sangue. Lui stava bene, naturalmente, ma la parte avversa
non poteva dire altrettanto, motivo per la quale Vegeta era stato
recluso in un carcere.
Più di così non le avrebbe detto.
Per questo era scomparso! Non era stato in grado di avvisarla ed
essendo il resto del mondo all'oscuro della loro relazione nessuno
aveva avuto la possibilità o il motivo di chiamarla.
Se non altro, grazie ad un po' d'insistenza, Nappa l'aveva indirizzata
all'istituto che vedeva Vegeta prigioniero.
Bulma studiò il percorso e decise di andare in quella zona,
scoprendo ben presto che sarebbe stata una gita tutt'altro che facile o
divertente.
Il carcere si trovava in periferia alle porte della città.
Per andarci Bulma era costretta a prendere due autobus nella speranza
che la coincidenza non fosse troppo problematica. Inoltre la fermata
non era vicina al penitenziario e per arrivarci era costretta a
camminare per circa dieci o quindici minuti.
Quando giunse a destinazione si reggeva in piedi a malapena. Doveva
farlo tuttavia, doveva incontrare Vegeta, aveva bisogno di renderlo
partecipe della scoperta del giorno precedente.
Seguì le indicazioni degli appositi cartelli che
indirizzavano i visitatori ad attendere nella sala d’aspetto.
La sala era molto grande, provvista di sedie per le persone che stavano
attendendo il proprio turno per incontrare i loro cari.
Dalle finestre si poteva vedere il cortile della prigione, recintata da
grosse cancellate con tanto di filo spinato. Da quella distanza non si
era in grado di vedere molto, se non diversi puntini colorati che
dovevano essere i detenuti con i loro giacconi arancioni o le guardie
vestite con divise blu scuro.
Tornando a guardare l'interno della stanza, Bulma vide una breve fila
di persone davanti ad un bancone dietro la quale una guardia, nascosta
da un vetro, stava scrivendo notazioni su un foglio. Sopra la vetrata
un grosso cartello indicò gli orari delle visite e Bulma
tirò un sospiro di sollievo quando si accorse che aveva
fatto giusto in tempo. Ancora mezz'ora e avrebbero chiuso.
Si mise in fila ed attese.
Il suo turno arrivò ben presto e si ritrovò a
parlare direttamente col carceriere.
Il secondino comunicava tramite un foro nel vetro, dietro la quale era
nascosto, posto accanto alla sua bocca.
“Sì?” le chiese alzando il capo dopo
aver scritto un ultimo paio di righe per poi poggiare il foglio in un
apposito cestello al suo fianco.
Prima che Bulma potesse dire una parola, l'ufficiale la
guardò con attenzione. E se anche potesse apparirgli
più grande dei suoi diciassette anni, la divisa del liceo
non lasciava dubbi. L’uomo assottigliò lo sguardo
“Quanti anni hai?” le domandò additando
alla sua sinistra, in un punto fuori dal gabbiotto nella quale era
seduto, che Bulma non aveva ancora visto fino a quel momento.
Il cartello appeso avvisava che era vietato per i minori far visita ai
detenuti se non accompagnati da un adulto.
“Ne ho diciotto” mentì lei, sperando che
qualche mese in più non avrebbe fatto la differenza.
“Mh, davvero?” farfugliò indeciso l'uomo
che abbassò il proprio dito sempre puntato verso sinistra
“Allora mi serve un documento” aggiunse.
Una seconda inserzione, appena sotto la precedente, avvisò
che era necessario avere con sé un documento identificativo
prima di poter accedere, indipendentemente dall'età.
Il mondo di Bulma crollò. Se era una questione di mentire e
farsi passare per una persona un po' più grande di quello
che era non avrebbe avuto problemi, ma la sua carta
d'identità precisava agosto come il mese della sua maggiore
età.
“N... non ce l'ho con me” disse lei, sapendo che in
realtà era al sicuro nel suo portafoglio. Il secondino
alzò le spalle “Mi dispiace allora devo chiederti
di lasciare la fila” “La prego! Devo vedere il mio
ragazzo” implorò lei e si sentì un po'
strana nel chiamare Vegeta il mio ragazzo ad alta voce davanti ad uno
sconosciuto.
Lui le parve genuinamente dispiaciuto, “Non posso aiutarti,
se non hai un documento non posso farti entrare, semplice. Puoi tornare
un altro giorno se è così importante”
le disse, mentre i suoi occhi parvero sussurrare “Se davvero
hai diciotto anni”.
Bulma lasciò la fila a malincuore. Non poteva vedere Vegeta!
CONTINUA…
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Capitolo 14 *** Le cose si complicano ***
d
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MY WORLD
Le cose si complicano
“Non
posso credere che non l'hai ancora detto a mamma e
papà” esclamò Tights guardando la
sorella seduta dalla parte opposta del tavolo, “Mi avevi
promesso che l'avresti fatto appena fossi riuscita a parlare col tuo
ragazzo”.
Bulma non si era mai sentita così piccola ed indifesa in
vita sua. Sapeva che la maggiore aveva ragione, stava diventando sempre
più difficile nascondere la verità ai loro
genitori. Soprattutto se si alzava tutte le mattine con la nausea e
l'energia praticamente a zero.
Poteva raccontare la fandonia di aver preso un virus intestinale o di
non aver dormito troppo bene solo un determinato numero di volte, prima
che cominciassero ad insospettirsi.
Senza contare che gli ultimi giorni di scuola erano diventati
insostenibili, fingendo di poter andare in bici arrivava in classe
debole ed affaticata.
“Lo so, ma le cose si sono complicate”
mormorò “Complicate?! Sei incinta, Bulma! Come
possono essere più complicate di così?”
inveii l'altra. In tutta risposta la più giovane si
massaggiò le tempie “Ti prego, non urlarmi Tights.
Mi sento già come se dovessi cadere a pezzi così
com'è. Non ti ci mettere anche tu”
sussurrò.
Tights inarcò un sopracciglio “Va bene, non urlo,
però me lo avevi promesso. Ricordo male?”
“Non gli ho ancora parlato”
“Perché?” Bulma esitò.
Deglutì “Perché è qui che le
cose si complicano” cercò di spiegare
“Dimmi che non si è dileguato almeno”
disse l'altra.
Il tono della giovane donna non nascose una punta di nervosismo, se
questo ragazzo, anzi quest'uomo, aveva ingravidato la sua sorellina e
si era dato alla macchia non lo avrebbe mai perdonato.
Bulma sospirò e cominciò a spiegare la situazione
alla sorella. Le disse di Nappa e della sua infruttuosa gita al
carcere. Le spiegò che non era in grado di andarlo a trovare
a causa della sua età.
“Questo sì che è un guaio”
commentò Tights alla fine del racconto “Non sai
per cosa l'hanno arrestato?” Bulma scosse il capo.
“Ti ho detto tutto quello che so” ammise.
La bionda ci pensò su “Non puoi chiedere al suo
amico qualche indicazione in più?” “Si
è rifiutato di dirmi più di così e ha
detto che se volevo sapere altro dovevo parlare direttamente con
lui” si mise le mani tra i capelli, appoggiando i gomiti
sulla superficie del tavolo che aveva davanti “Se torno
lì rischio d'insospettirlo” aggiunse.
Purtroppo la casa di Tights si trovava dalla parte opposta della
città. Il tragitto verso la prigione avrebbe richiesto tre
cambi di autobus e una bella camminata. E siccome la giornalista non
poteva permettersela non aveva una macchina.
Raggiungere il carcere era difficile anche per lei che in questo caso
non era in grado di aiutarla.
“Mh, non possiamo andarlo a trovare e non possiamo parlare
con questo suo amico” ragionò Tights
“Però forse ho un'idea per scoprire qualcosa in
più” disse alzandosi dalla sedia.
La sua borsa era appoggiata sul mobile all'ingresso e quando la
raggiunse cominciò a cercare qualcosa al suo interno. Ne
estrasse il proprio cellulare.
“Cosa vuoi fare?” domandò Bulma, per un
attimo allarmata. “Non ti preoccupare” le disse
l'altra “Il tuo segreto è al sicuro per ora, ma se
vuoi sapere cos'è successo al tuo ragazzo devi fidarti di
me”.
***
Quando
Jaco rincasò erano ormai le sette di una serata invernale.
Il cielo si era già fatto scuro e Tights aveva chiamato i
genitori per avvisare che Bulma avrebbe dormito da lei quella sera.
Questa non era la prima volta che accadeva, pertanto non destava
sospetti.
“Mi devi un grosso favore, Tights”
esordì il giovane poliziotto, additando l'amica e la sorella
di quest'ultima sedute sul divano. “Dacci un taglio, Jaco.
Dicci piuttosto cos'hai scoperto” lo liquidò lei.
Jaco la guardò mettendo il broncio per un secondo, poi si
schiarì la gola ed estrasse un blocchetto sulla quale aveva
scritto alcuni appunti.
Era da poco uscito dall'accademia di polizia e al momento il suo lavoro
consisteva in noiose ronde attorno all'isolato. Il sogno di Jaco era
quello di diventare un investigatore, ma per ora tutto quello che
poteva fare era la gavetta.
Questa era la prima vera e propria possibilità di dar sfogo
alla sua capacità investigativa.
Dandosi un mucchio di arie cominciò a leggere dai suoi
appunti “Il tale che state cercando, questo Vegeta,
è stato arrestato per aver picchiato un tizio di nome Guldo
che ha sporto denuncia” Jaco sfogliò il taccuino
con un atteggiamento teatrale.
“Secondo le mie fonti” continuò
“L'ha ridotto talmente male che gli ha quasi distrutto mezza
faccia e ha fatto molti danni al sistema nervoso del viso. Il tizio
rischia un occhio” Tights guardò la sorella con un
velo di preoccupazione, ma l’altra non parve troppo
impressionata.
“Perché lo tengono in carcere? Non è
così che funziona di solito!” esclamò
Bulma. Jaco alzò l'indice di una mano e lo mostrò
alle ragazze “Niente interruzioni” disse
socchiudendo gli occhi. Bulma fece una smorfia.
Subito dopo riprese la sua lettura “Secondo il giudice che ha
ricevuto la denuncia il vostro amico è pericoloso e ha
ordinato la sua carcerazione fino alla sentenza...”
“Come sarebbe a dire pericoloso?!” lo interruppe la
giovane scattando in piedi, “Vegeta non è affatto
pericoloso!”. Jaco si poggiò entrambe le mani ai
fianchi, “Non hai sentito quello che ho detto? Ha cambiato i
connotati a un tizio prendendolo a pugni. Uno così
è senz'altro pericoloso!” “Come
osi?!” sbottò la ragazza facendo un passo in
avanti con aria minacciosa.
Tights le afferrò un polso, “Bulma, ti consiglio
di darti una calmata. Non lo dico solo per il tuo bene” le
suggerì. Lei ci pensò un secondo e dopo averci
riflettuto tornò a sedersi.
“E tu Jaco continua a raccontarci cos'hai scoperto”
chiese all'amico. Anche lui ebbe bisogno di un istante di
contemplazione. Vinse la voglia di esibire le sue capacità
investigative.
Di nuovo, con gesti che sembravano parte di una pantomima, il
poliziotto tornò a prestare attenzione al suo blocco
“C'è dell'altro, a quanto pare il giudice ha
tenuto conto del fatto che questo Vegeta avesse dei
precedenti” “Quali precedenti?” lo
interruppe nuovamente Bulma. Jaco le riservò uno sguardo
offeso, ma decise di proseguire, lesse gli appunti. “Quando
aveva quindici anni ha picchiato uno dei suoi compagni di scuola. I
genitori del ragazzo l'hanno denunciato, ma è riuscito ad
evitare il riformatorio grazie al suo avvocato”
girò la pagina del taccuino “Un paio d'anni fa
invece è stato coinvolto in un'altra rissa, ma gli avvocati
sono giunti ad un accordo e la persona offesa ha ritirato la
querela”.
Tights si girò verso la sorella “Tu le sapevi
tutte queste cose?” l'altra scosse il capo, “No,
Vegeta è molto riservato” a volte fino all'estremo.
C'erano state poche occasioni nella quale le aveva raccontato qualcosa
di sé. Tutto ciò che sapeva era che i genitori di
Vegeta erano entrambi deceduti e la cosa più simile ad una
figura paterna o a una sorta di fratello maggiore che avesse era Nappa.
Il bar non era tecnicamente neanche suo, era ereditario ne era entrato
in possesso alla morte del padre che lo aveva costruito dalle sue
fondamenta.
Vegeta ne aveva venduto metà a Nappa, l'unico dipendente
all'epoca, per dividere le spese che altrimenti non si sarebbe potuto
permettere. Oltre al fatto che Vegeta non voleva farsi carico
dell'intero locale perché non gli interessava. L'unico
motivo per la quale continuava a sostenere il posto era l'appartamento
nella quale abitava.
Era economico e comodo, se mai fosse stato costretto a cambiare casa
forse avrebbe lasciato anche il bar.
Dei suoi problemi legali o dei guai che poteva aver avuto in passato
non ne aveva mai fatto parola. Vegeta era sempre stato gentile con lei
e a parte essere un gran brontolone a volte un po' brusco non aveva mai
avuto nessuna sensazione che potesse essere violento o pericoloso.
Anche sapendo che le risse nel bar erano all’ordine del
giorno.
“Hai parlato di una sentenza” stava nel contempo
chiedendo Tights, “Quando si avranno notizie?” Jaco
sfogliò il blocchetto. Arrivò all'ultima pagina,
“A dire il vero il giudice ha deliberato questa
mattina” “Verrà rilasciato?”
chiese Bulma con una flebile speranza.
Il ragazzo inarcò un sopracciglio “Certo che no!
Gli hanno dato quattro anni di reclusione. L’unica speranza
che ha di uscire da lì è in appello” la
speranza si sgretolò ai suoi piedi e la liceale ebbe
l'impressione di poter perdere i sensi da un momento all'altro.
“Bulma” la chiamò la maggiore
“Mi dispiace dovertelo dire, ma a questo punto non hai
scelta. Abbiamo scoperto cos'è successo e mi sembra ovvio
che non potrai parlare con lui tanto facilmente... ora devi dirlo a
mamma e papà” le fece notare.
Aveva ragione, purtroppo. Se tutto ciò che aveva scoperto
Jaco era vero, Bulma doveva prima affrontare i suoi genitori.
CONTINUA…
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Capitolo 15 *** Chiuso in gabbia ***
d
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MY WORLD
Chiuso in gabbia
Di
tutti le mansioni che potevano assegnargli quello che era toccato a lui
era la pulizia dei bagni. Il lavoro più degradante che
potesse pensare.
Poteva andarli peggio tuttavia, almeno aveva il turno mattutino, quando
i bagni erano ancora relativamente accettabili. Le docce erano la cosa
più faticosa da pulire, dopo che a turno ne avevano tutti
fatto uso.
La peggior ipotesi era quella di dover svolgere l'ingrato compito a
fine giornata, ma per fortuna quella non era una cosa che toccava a lui.
“Ehi, hai finito?” gli domandò la
guardia che lo stava tenendo d'occhio, affacciandosi alla porta davanti
alla quale sostava, squadrandolo con aria annoiata mentre passava il
mocio sul pavimento.
Vegeta si fermò, appoggiandosi sullo scopettone per voltarsi
a guardare l'uomo alle sue spalle. Neanche lui aveva molta voglia di
stare lì, ma se per il guardiano era solo un'incombenza che
gli era capitata quella giornata, il prigioniero sarebbe dovuto tornare
lì anche l'indomani.
Senza dire una parola sistemò la ramazza sul carrello sulla
quale erano adagiati tutti i prodotti dediti al compito che stava
svolgendo. Spinse il vecchio carrello verso l'uscita del bagno dando
così la sua risposta al secondino che lo lasciò
passare.
Non era una prigione di massima sicurezza e durante l'ora di
libertà i prigionieri erano abbastanza liberi di muoversi
come volevano.
L'area relax, dove si trovavano televisioni e giochi da tavolo, era
sempre piena di gente. Contrariamente al nome attribuito alla stanza
era tutt'altro che rilassante, dispute e risse erano all'ordine del
giorno. Spesso dovute a diverbi causati dal canale scelto da chi era
arrivato prima al telecomando oppure ad imbrogli veri o presunti dovuti
ai risultati delle partite dei suddetti giochi.
Per questa ragione molti dei carcerieri si trovavano a guardia di
quella particolare stanza.
Accanto ad essa c'era la palestra, provvista di diverse attrezzature,
pesi o quant'altro fosse necessario per chi voleva mantenersi in forza.
Anche qui l'adrenalina scorreva veloce, ma ironicamente era meno
propense a liti tra detenuti. La sicurezza era un po' più
bassa rispetto all'area relax.
Vegeta passò poi davanti alla zona dei telefoni e per un
attimo si soffermò a riflettere. Era incarcerato da poco
meno di un mese e ogni volta che si trovava a passare davanti all'area
telefonica il suo pensiero andava a Bulma.
Il suo arresto era stato così improvviso da non avergli dato
il tempo di avvisarla. A questo punto lei doveva averlo scoperto e
Vegeta si era spesso domandato come e cosa avesse pensato.
Avrebbe voluto chiamarla per avere sue notizie, ma c'erano rigide
regole per l'utilizzo dei telefoni.
Ogni prigioniero aveva il diritto ad una sola telefonata giornaliera
dalla massima durata di cinque minuti, a cominciare dal momento nella
quale il ricevente decideva di accettare la chiamata. Allo scadere
della quale la linea veniva brutalmente interrotta senza ulteriore
preavviso. Inoltre non era possibile comporre un numero come di norma.
I detenuti potevano scegliere da una lista per la quale avevano fatto
specifica richiesta.
Non che fosse troppo complicato togliere o aggiungere nomi dalle
persone che si volevano contattare, ma valeva la pena inserire il
nominativo di Bulma nel suo elenco? Per quanto avrebbe voluto sentirla
forse non era il caso di dare il contatto della sua ragazza minorenne
senza una buona ragione.
Convintosi ancora una volta di non voler rischiare, Vegeta
osservò la coda senza troppo pensare, notando tra gli altri
anche il suo compagno di cella in attesa di parlare con qualcuno fuori
da quelle mura.
Quando raggiunse il magazzino dentro la quale doveva riporre il
carrello che portava, attese che la guardia aprisse il lucchetto.
Sotto l'occhio dell'agente di custodia si assicurò di
ricollocare gli attrezzi utilizzati. L'uomo verificò che
Vegeta non si appropriasse di nulla al suo interno, come da prassi. Una
volta uscito dal magazzino il prigioniero appoggiò le mani
al muro e, ancora una volta seguendo il manuale, attese di essere
perquisito per ulteriori accertamenti.
Non aveva nulla di sospetto addosso e il carceriere gli diede il
benestare tramite un cenno del capo “Puoi andare”
gli disse, richiudendo il magazzino con una chiave.
Vegeta si allontanò.
***
L'annuncio
delle visite risuonava regolare ogni dieci minuti. Un totale di dieci
nomi, tanti erano i posti disponibili, venivano chiamati per avvisare i
rispettivi carcerati che qualcuno li stava aspettando dietro una
vetrata.
Il suo nome non era uno di quelli annunciati e non se ne
stupì o se ne preoccupò. A parte il suo avvocato,
Nappa era l'unico che veniva a fargli visita e quando lo faceva era
solo per tenerlo aggiornato sugli accadimenti del bar.
Vegeta entrò nell'area comune della prigione, quella nella
quale erano situate le celle vere e proprie. Le prigioni erano poste su
svariati piani in una grossa stanza a forma sferica.
Tutte erano rivolte verso il centro dove, al piano terreno, si
trovavano alcuni tavoli per permettere di rimanere in zona a chiunque
desiderasse. Questo era anche il luogo più sorvegliato ed i
secondini seguivano ogni gesto dei carcerati come falchi.
La cella di Vegeta si trovava al terzo piano. Doveva salire alcuni
gradini di metallo prima di raggiungerla.
Era una prigione come tutte le altre, due brandine di metallo ai lati
opposti, un water e un lavandino erano posti nel mezzo per prime
necessità quando le porte erano chiuse.
Accanto ai letti era situato un piccolo mobile composto da alcuni
scaffali dove gli ospiti potevano sistemare i loro pochi averi. Molti
prigionieri appendevano accanto ad esse foto o articoli che volevano
avere sempre sott'occhio. Anche il compagno di cella di Vegeta ne aveva
approfittato, mettendo in bella mostra i suoi cari sul muro accanto
alla propria brandina.
Dopo aver lavato i bagni, Vegeta decise che voleva darsi una
rinfrescata. Si avvicinò al piccolo lavabo e si
sciacquò il viso.
Quando si sollevò si accorse di una grossa ombra proiettata
all'interno della sua cella. Si voltò.
A coprire la porta della prigione si erano posti due grossi energumeni
tanto grandi da coprire le sbatte che la richiudevano. Al centro tra
essi un uomo più piccolo sbarrava l'uscita.
Tutti e tre erano in piedi a gambe larghe con le braccia incrociate
dietro la schiena. Ghigni malvagi stampati sui loro visi e un'aria
tutt'altro che amichevole.
“Quindi tu saresti Vegeta, il tizio che ha osato prendersela
con il nostro amico Guldo” disse una voce, ma nessuno dei tre
aveva parlato. Facendosi largo tra i suoi compagni, un quarto uomo
entrò nella cella osservando Vegeta dall'alto al basso.
Dal canto suo, lui li fissò con indifferenza. Non aveva mai
visto questo strano quartetto fino ad ora. “Chi
siete?” domandò scettico.
L'uomo che apparve essere il capo si esibì in una strana
danza “Noi siamo...” “... la squadra
Ginew!” dissero gli altri tre in coro imitando alla
perfezione il leader. Vegeta li fissò esterrefatto.
Indeciso se prenderli sul serio o se considerarli solo dei buffoni. Se
erano amici di Guldo dovevano essere degli idioti, ma anche un idiota
può diventare pericoloso.
Vegeta incrociò le braccia, “Cosa
volete?” chiese con parsimonia. Il capo si schiarì
la voce “Io sono Ginew” si presentò
“E siamo qui per avvisarti”
“Tsk” “Per quello che hai fatto a
Guldo... ti consiglio di tenere gli occhi sempre bene aperti qui
dentro” lo minacciò il capitano.
L'uomo si comportava in modo educato e gentile, ma il suo sguardo
raccontava un'altra storia. Il suo istinto gli suggerì che
questi erano degli idioti dalla quale era bene stare alla larga e se
stavano minacciando non avevano paura di mettere in pratica le loro
parole.
“Hai capito buffone? Se fai una mossa falsa sei
finito!” urlò il più basso dei tre
bodyguard. “Fa silenzio Jeeth” lo ammonì
Ginew, suscitando l'ilarità degli altri due.
“Che succede qui?” tuonò la voce di un
secondino che aveva notato la strana riunione che si era formata.
“Ci dispiace agente, ma abbiamo appena scoperto che il nostro
amico è finito dentro e volevamo solo fargli un
salutino” rispose prontamente Ginew.
Il guardiano scostò gli occhi verso Vegeta, in cerca di una
qualche indicazione sul suo rapporto con il gruppetto. Tuttavia lo
sguardo indicibile del carcerato non lo aiutò a comprendere
la situazione. “Disperdetevi, non potete stare tutti
qui” ordinò infine.
“Certo, ce ne andiamo subito” rispose affabile il
leader, “Avete sentito? Jeeth, Butter, Rikoom” con
quel comando Ginew cominciò ad avviarsi verso l'uscita della
cella. Ad un passo dalla porta si fermò voltandosi alle sue
spalle “Ci vediamo presto, Vegetuccio” gli disse.
“A presto” gli fece eco l'uomo chiamato Jeeth,
mentre uno degli altri due gli rivolse un nefasto sorriso. L'ultimo,
dai capelli color carota, gli fece un cenno di saluto
“Bye-Bye, Vegetuccio”.
CONTINUA…
Trivia time!
Nell’originale, la squadra Ginew ad eccezione di Guldo si
rivolge a Vegeta chiamandolo Vegeta-chan.
Per quelle due persone che non lo sanno, chan è un suffisso
onorifico che viene usato per donne e bambini. In genere quando
è rivolto ad un uomo adulto è considerato
offensivo e derisorio, come in questo caso.
Tuttavia se avessi usato l’originale Vegeta-chan per coerenza
avrei dovuto usare tutti i suffissi anche per gli altri personaggi. Ho
scelto di non farlo per non rendere la lettura troppo pesante.
Così ho optato per Vegetuccio perché ho applicato
lo stesso principio secondo la quale Zen-chan viene tradotto Zenuccio.
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Capitolo 16 *** Una storia da raccontare ***
d
ENTER
MY WORLD
Una storia da raccontare
La
giornata non poteva iniziare peggio di così. Quando prese
coscienza del mondo la prima sensazione che provò fu quella
dell'ormai familiare nausea.
Se a ciò si aggiungeva il pesante bussare alla porta della
sua camera da letto, le cose non facevano che peggiorare.
Sua madre entrò nella stanza con passetti leggeri e senza
clemenza aprì le tapparelle alla finestra. Bulma nascose il
capo sotto il cuscino, come una creatura della notte allergica al sole,
quando la luce le illuminò il volto.
“È ora di alzarsi, Bulma” le disse
civettuola la donna scostando le coperte per costringerla a destarsi.
“Non mi sento molto bene” piagnucolò la
ragazza.
Panchy non sembrò di umore molto caritatevole, nonostante
ciò cercò di essere comprensiva. Si
accomodò sul materasso accanto alla figlia e le
poggiò una mano sulla spalla “Farai bene ad
abituarti, le nausee andranno avanti almeno per il primo
trimestre” l'avvertì.
Bulma sbirciò da sotto il guanciale ed osservò la
madre per un lungo secondo.
L'inevitabile tragedia si era consumata un paio di giorni prima, quando
era stata costretta a mettere mamma e papà a sedere per
rivelare loro di aspettare un bambino. Era andata meglio del previsto.
I suoi genitori l'avevano presa incredibilmente bene e non giurarono
vendetta né verso di lei né verso il futuro
padre, anche quando erano venuti a conoscenza della sua età.
Certo, non erano stati molto felice del fatto che Vegeta fosse finito
dietro le sbarre e che, con ogni probabilità, ci sarebbe
rimasto fino al quarto anno del figlio, o figlia che fosse. Menchemeno
di apprendere che lui non era ancora stato avvertito.
Tuttavia, com'era nel carattere dei bizzarri genitori quali erano,
avevano cercato di vedere le cose sotto una prospettiva positiva
decidendo che la sola cosa da fare era prepararsi per l'evento che
sarebbe giunto in quella casa.
Forse la persona che aveva preso questo punto di vista per il verso
peggiore era proprio lei. Bulma si scoprì quasi delusa di
non sentire nessuna ramanzina a riguardo. Ebbe più la
sensazione che a loro non interessasse che la figlia ancora minorenne
avrebbe presto dato loro un nipote.
Si trovò nella peculiare situazione di non riuscire a
guardare in faccia i suoi genitori non per paura si averli fatti
arrabbiare, ma con la paura di averli lasciati indifferenti.
“Mamma...” le chiese in un bisbiglio,
“Perché tu e papà non siete
arrabbiati?” sentì la necessità di
chiederle. La donna sospirò e si poggiò un indice
al mento, “Ne abbiamo parlato, non siamo arrabbiati, ma siamo
un po' delusi” confessò “Sei una ragazza
intelligente, ci aspettavamo un po' più di attenzione da
parte tua”.
Stranamente questo le sollevò il morale. Era sempre meglio
dell'indifferenza.
“Ora forza preparati, non vorrai perdere troppi giorni di
scuola o rischi che ti tolgano la borsa di studio” le fece
presente.
Questa nozione la mise sul chi vive. A fatica si mise seduta sul letto,
una mano allo stomaco, cominciando a valutare quanto tempo le sarebbe
servito prima di dover correre in bagno.
Panchy si alzò a sua volta “Oggi ti
accompagnerà il papà” la ragazza si
voltò a guardarla inarcando un sopracciglio,
“Cosa? Perché?” domandò non
troppo felice di questa nozione. La madre si afferrò il
dorso di una mano, “Perché dobbiamo avvertire la
scuola” la informò.
Non ci fu nemmeno bisogno di dire quando Bulma fosse poco entusiasta
all'idea.
***
Nel
messaggio che Lapis aveva scritto nella conversazione di gruppo aveva
fatto sapere agli altri di aver visto Bulma entrare in presidenza con
suo padre.
L'immediato campanello d'allarme suonò nella mente di tutti,
che si era però limitato ad uno scambio di sguardi. Non
c'era stato il tempo di fare commenti o di verbalizzare lo sgomento
generale, poiché l'insegnante fece il suo ingresso appena
pochi secondi prima.
Bulma si presentò con più di mezz'ora di ritardo
e Whis non sembrò troppo sorpreso di vederla apparire a
metà lezione. Al corrente del fatto che l'alunna si trovava
dal preside non fece altro che invitarla con l'immancabile
cordialità ad accomodarsi.
La ragazza prese posto e, con sorpresa di nessuno a questo punto, i
suoi amici poterono notare che anche quella mattina aveva un aspetto
pallido e stanco.
“Bulma, cos’è successo? Va tutto
bene?” le chiese Yamcha, il più in apprensione di
tutti. “Lapis ci ha detto che ti ha visto in
presidenza” rincarò la dose Crilin, voltandosi per
guardare l'amica seduta alle sue spalle.
Lei li guardò tutti e tre uno alla volta e con un groppo in
gola si rese conto che presto si sarebbe vista costretta ad affrontare
di nuovo l'argomento. Aveva appena speso minuti interminabile a
spiegare alle autorità della scuola, incluso Lord Beerus,
della sua situazione e di quello che era successo. Si era sentita nulla
di meno di una prostituta che si era lasciata ingravidare dal primo che
passava e ora avrebbe pagato a caro prezzo l'errore per il resto della
sua vita.
L'idea di ricominciare quella spiegazione da capo per la quarta volta
in pochi giorni non la mise di buon umore. Tuttavia loro erano i suoi
amici e se non poteva contare su questo strambo gruppetto chi poteva
aiutarla in futuro?
“Vi spiegherò tutto più
tardi” bisbigliò. In un moto istintivo, i suoi
occhi cercarono quelli di un pallido azzurro di Lazuli, l'unica che era
a conoscenza di buona parte della storia e che, a differenza degli
altri, non sarebbe caduta dalle nuvole quando l’avrebbe
sentita.
“Sei sicura?” le stava chiedendo l'amico Crilin.
Nel frattempo Lazuli annuì comprensiva, “Lascia
perdere Crilin, ha detto che ce lo dirà dopo”
tagliò corto lei. Il ragazzo la guardò e
sembrò decidere di seguire il suo consiglio.
Al contrario, Yamcha non fu altrettanto facile da distrarre. Per un
lungo momento continuò a guardarla aspettandosi quasi che
prendesse fuoco. I suoi occhi scuri la studiarono cercando di
comprendere quale fosse il suo segreto.
Bulma non si accorse di nulla, impegnata ad afferrare i suoi libri
dallo zaino che aveva lasciato cadere al suolo.
***
Nonostante
fosse ancora febbraio era una bella giornata e l'eterogeneo gruppo
decise di andare al parco per ascoltare la storia che Bulma aveva da
raccontare.
Com'era prevedibile le reazioni furono le più diverse.
Lazuli ebbe solo conferme ai sospetti che già aveva, mentre
suo fratello Lapis rispose con un semplice “Oh”
piuttosto atonale.
Crilin era invece rimasto a bocca spalancata, forse non aveva capito
bene perché quello che aveva appena sentito non gli parve
vero. Yamcha si era invece rivelato il più silenzioso di
tutti, restando in disparte.
“Ma come... come è successo? Come hai fatto a
rimanere incinta?” le chiese Crilin quasi balbettando.
Adagiato ad un albero, Lapis lo fissò con la sua solita
espressione apatica “Prova a chiederlo alla tua
ragazza” commentò. Per tutta risposta Lazuli
scagliò in direzione del gemello un sassolino che aveva
raccolto dal suolo. Lui lo evitò con destrezza,
“Stavo solo scherzando” le rispose.
“Non intendevo quello!” si difese il ragazzo
“Volevo solo dire... che per farlo ti serve... beh, lo
sai...” “Quello che vuole dire Crilin è
che ti serve qualcuno con la quale fare sesso” intervenne
brusco Yamcha.
Bulma alzò i palmi delle mani al cielo “Beh,
sorpresa” commentò sarcastica “Ho un
ragazzo della quale non vi avevo detto nulla” gli
ricordò. Yamcha assottigliò lo sguardo
“Da quando?” lei ci pensò “Da
circa cinque o sei mesi, se vuoi la verità” anche
se quasi due lui li aveva passati dietro le sbarre non aveva nessuna
importanza. “Avresti dovuto dircelo, siamo o non siamo i tuoi
amici” le rinfacciò di nuovo lui.
Qual'era il suo problema? Perché si stava comportando in
maniera tanto ostile?
Offesa incrociò le braccia ed aprì la bocca per
replicare, ma l'altra ragazza ebbe la prontezza di riflessi di
intercettarla “Cos'ha detto la scuola?” chiese
prima che potessero essere dette cose della quale qualcuno si sarebbe
potuto pentire.
Il trucco funzionò e Bulma si rivolse a lei, “Non
dovrebbero esserci problemi. Quando la scuola finirà
sarò solo al sesto mese e posso seguire le lezioni fino
all’ultimo” spiegò loro. Ci
pensò per un altro istante, poggiandosi una mano sulla
pancia “Il bambino dovrebbe nascere a settembre, prima
dell'università” aggiunse.
“E la tua borsa di studio?” domandò
invece Lapis. “Il preside mi ha detto che ha l'obbligo di
avvisare la facoltà, ma non crede ci saranno
intoppi” riferì.
Crilin si alzò in piedi “In questo caso
sarà nostro compito aiutarti come meglio possiamo, non
è forse così ragazzi?”
domandò guardando a turno i gemelli. Entrambi annuirono in
silenzio, poi si rivolse all'altro ragazzo
“Yamcha?” lo incitò con tono un po'
incerto.
Lui sospirò “Ma certo” rispose
accennando un sorriso che voleva essere d'incoraggiamento. Tuttavia
dell'espressione gentile e solare che risiedeva sempre sul suo volto
non era rimasta che un'ombra, lasciando spazio ad
un'espressività fredda e un po' triste.
CONTINUA…
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Capitolo 17 *** Progetti ***
d
ENTER
MY WORLD
Progetti
Ti
rendi conto di aver passato troppo tempo in mezzo ad ubriaconi e poco
di buono quando una rissa scatenatasi nel bel mezzo di una prigione ti
lascia indifferente. Vegeta aveva visto così tante
scazzottate nella sua vita, partecipando ad alcune di esse, da trovare
noioso il parapiglia che i suoi compagni di disavventura avevano
iniziato a pochi metri da lui.
Sebbene la sicurezza ci fosse in ogni angolo, era una prigione
dopotutto non un campeggio, alcune schermaglie erano all'ordine del
giorno. Qualcuno gli aveva detto, forse il suo compagno di cella, che
essendo un istituto di detenzione per piccoli criminali azzuffate
più impetuose accadevano di rado.
Guardando questi due idioti intenti in una disputa da femminucce,
Vegeta si ritrovò a pensare che all'ultimo alla quale le
aveva suonate, prima di Guldo, aveva rotto due costole a suon di pugni
nonostante questi fosse due taglie più grande di lui. I
buffoni del giorno non avrebbero avuto speranza contro il barista.
Come volevasi dimostrare la discussione fu sedata da un paio di guardie
con anche troppa facilità.
Vegeta rimase in silenzio seduto in un angolo dell'area relax mentre i
due bifolchi di turno venivano portati via dai secondini, tra i fischi
degli altri detenuti. Non era chiaro se stessero contestando il fatto
che lo spettacolo fosse già finito o che fosse stata
un'esibizione piuttosto patetica, come se potessero ottenere il
rimborso di un fantomatico biglietto.
A zittire l'intera sala ci pensò l'altoparlante, l'unica
cosa che l'intera prigione ascoltava in religioso silenzio. L'annuncio
delle visite era una sorta di spiraglio di luce nella quale tutti
speravano una volta ogni tanto.
Sentire il proprio nome elencato nei fortunati che avevano la
possibilità d'incontrare le persone care era una speranza
che in fondo al cuore tutti provavano.
Vegeta non si aspettava mai molte visite e fu sorpreso che, una volta
tanto, anche lui fu chiamato per l'appello.
Inarcando un sopracciglio si alzò dalla sua sedia
trascinando i piedi verso la zona delle visite.
Come per ogni cosa in quel luogo c'era una procedura che andava
rispettata con severità. All'ingresso di una sala un
secondino verificava, tramite i numeri identificativi stampati sulle
rispettive divise, se il carcerato che si era presentato apparteneva
alla lista che era stata chiamata. A dieci persone alla volta era
concesso entrare.
Una volta fatto ciò un collega si occupava di perquisire i
detenuti per misure di sicurezza. Qui veniva indicato il numero da uno
a dieci che era stato assegnato loro e che coincideva con uno sgabello
e un tavolo nascosto dietro un vetro. Una volta seduti avevano dieci
minuti di conversazione prima di essere costretti ad alzarsi, lasciando
il posto al prossimo gruppo.
Le dieci postazioni erano coperte da divisori per consentire la privacy
del prigioniero e del suo visitatore. Questo rendeva anche difficile
sapere chi attendeva dall'altro lato della barricata fino a quando non
si prendeva posto.
Nappa era la persona che lo aveva fatto chiamare e che l'osservava
seduto sulla sedia sul lato opposto del tavolo. Tra loro una grossa
vetrata con un foro al centro di esso per concedergli di parlare.
Vegeta si accomodò ed incrociò le braccia, non
disse una parola aspettando che fosse l'altro a cominciare il discorso.
“Ho cominciato ad assumere del personale” lo
informò il colosso, l'altro si limitò a prenderne
atto sempre in silenzio. Avevano discusso di questo. Nappa non poteva
gestire da solo il locale, era fisicamente impossibile, ma non poteva
nemmeno permettersi di prolungare le ore di chiusura. Soprattutto ora
che doveva pagare anche la quota di Vegeta. Erano arrivati all'accordo
di cercare personale qualificato. Nessuno dei due era felice di questa
scelta, ma le alternative erano pressoché inesistenti.
Nappa piantò sul vetro un paio di curriculum
affinché il socio potesse vederli, “Questi sono i
due che ho scelto” lo informò. Vegeta lesse le
qualifiche di uno e dell'altro. A prima vista non avevano nulla che non
andava, “Come ti pare” gli rispose... traducendolo
era interpretabile come una sorta di benestare.
Il resto della conversazione fu incentrato nella sua interezza su
questione finanziarie, sull'andamento del locale e sulle ultime
novità che lo riguardavano.
I dieci minuti erano in procinto di terminare e Nappa
cominciò ad alzarsi. Tuttavia un pensiero gli
sfiorò la mente all'improvviso. Non poté
capacitarsi del motivo per la quale ci pensò in quel
momento, ma già che c'era... “Ehi Vegeta, la
mocciosetta è venuta a trovarti?” gli
domandò. Vegeta inarcò un sopracciglio, un po'
confuso “Quale mocciosetta?” chiese di rimando
“Quella che ti stavi portando a letto... e che hai messo
incinta” “Cosa?!”.
Vegeta si sentì troppo confuso per domandarsi come Nappa
avesse fatto a scoprire il suo segreto, dopotutto la seconda parte
dell’affermazione era stata ancora più scioccante.
Qualcuno doveva avergli dato una brutta botta in testa,
perché d'un tratto si sentì piuttosto stordito.
“Non lo sapevi?” notò Nappa
“L'ho vista più di un mese fa, chiedeva di te ed
era parecchio agitata. Le ho detto dov’eri, ma se non si
è più fatta vedere devo essermi
sbagliato” concluse il gigante.
“Perché me lo stai dicendo solo ora?” lo
rimproverò Vegeta, l'altro alzò le spalle
“Non sono affari miei” gli fece notare. Di norma su
questo punto si sarebbero trovati d'accordo, ma i pensieri del
carcerato erano ancora così confusi da non sapere come
reagire.
Un secondino gli diede un piccolo colpetto sulla spalla. Il suo turno
era finito e l'orario delle visite per lui si era concluso.
***
“...
Tights può portare via le cose dalla sua vecchia
stanza” stava dicendo Panchy al marito, seduti attorno al
tavolo imbandito per il pranzo. “Mi sembra la soluzione
migliore, ormai non la usa più nessuno” convenne
l'uomo. Dopotutto la figlia maggiore aveva lasciato il nido da qualche
anno ormai e siccome avevano bisogno di fare spazio per una nuova vita
era senza dubbio la soluzione migliore.
I coniugi si rivolsero alla figlia e futura madre, “Tu cosa
ne pensi cara?” le domandò la donna.
Bulma sollevò lo sguardo dal suo cellulare, ignorando il
cibo che si stava raffreddando nel suo piatto.
“Cosa?” mormorò scendendo dalle nuvole.
I suoi si scambiarono uno sguardo di rimprovero.
“Cara” l'apostrofò suo padre nel tono
più affabile possibile, “Ci stiamo preoccupando
del tuo bambino, sarebbe bene che prestassi un po' più
d'attenzione” le fece notare. Nonostante l'intonazione
amichevole c'era una sorta di rimprovero nel suo atteggiamento.
Bulma scostò lo sguardo da uno all'altra, “M... ma
io stavo ascoltando” farfugliò non troppo
convincente. “Quindi sei d'accordo su quello che abbiamo
deciso per la culla?” chiese sua madre, “Ehm...
s... ì?” rispose lei.
Il trillo del suo telefono non poté essere più
propizio di così. Si alzò dalla sedia e lo
afferrò, “È urgente, devo
rispondere” disse sparendo prima che potessero dire una sola
parola.
Aveva detto così, ma il numero che che segnalava il suo
display non le era familiare. Si portò il cellulare
all'orecchio “Pront...” una voce metallica
l'avvisò che stava ricevendo una chiamata da una casa
circondariale e che un detenuto stava cercando di mettersi in contatto
con lei e di premere il tasto uno se desiderava accettare. Detenuto?
Non aveva mai pigiato un tasto con tanta foga in vita sua!
“Veg...” “ È vero?”
le disse appena entrarono in contatto. “Vero? Devi essere
più chiaro di così, vero cosa?”
cercò di chiedere colta alla sprovvista. Oggi sembrava
essere la giornata.
“Sei incinta?” sentirgli fare questa domanda le
fece quasi girare la testa. Ormai l'aveva scoperto tutto il mondo, ma
lui era l'unica persona ancora all'oscuro. Bulma sospirò
“ È vero” confermò.
Seguì un lungo silenzio. “Come hai fatto a
scoprirlo?” chiese curiosa, “Non ha
importanza” tagliò corto Vegeta,
“Perché non me l'hai detto subito?”
brontolò. Bulma non riuscì a capire se era
arrabbiato, ma con lui questa era la norma.
“Sono minorenne” gli ricordò
“Non mi fanno entrare senza un adulto e...”
sbirciò oltre lo stipite della porta per assicurarsi che
mamma e papà fossero distratti dalle loro conversazioni
“... preferirei non portare i miei genitori”
sussurrò.
Jaco aveva menzionato la possibilità che in appello Vegeta
avrebbe avuto la possibilità di uscire con un largo
anticipo. Di conseguenza Bulma si rifiutava di perdere le speranze. La
prima volta che i suoi avrebbero incontrato il padre del suo bambino
sarebbe stato alla sua scarcerazione, non divisi dalle sbarre di un
carcere.
Vegeta ci pensò su “Ti richiamerò
io” le disse. A questo punto aveva già aggiunto il
suo numero alla lista, tanto valeva approfittarne. Oltre al fatto che
ora aveva una buona ragione per chiamare.
L'idea che lui potesse telefonarla la riempì di gioia.
Avrebbe voluto mettersi a danzare sul posto.
“Bulma... quanto tempo...?” mormorò
Vegeta. Lei impiegò un istante per capire cosa stesse
cercando di chiederle, ma infine comprese. Si sollevò la
maglietta per guardarsi il ventre. Non c'era molto da vedere, un
estraneo non se ne sarebbe neanche accorto. Tuttavia, laddove c'era
sempre stata una pancia magra e piatta cominciava ad intravedersi una
leggera circonferenza che però poteva essere attribuita ad
un eccesso di dolciumi e all'ingordigia. “Ho appena iniziato
l’ottava settimana” gli rispose.
CONTINUA…
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Capitolo 18 *** La ragazza dell'ultimo anno ***
d
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MY WORLD
La ragazza dell'ultimo anno
Con
l'arrivo della primavera gli studenti cominciarono ad indossare la
divisa per l'apposita stagione. Diversamente da quella invernale non
aveva una giacca e si componeva della sola camicia e della gonna o dei
pantaloni.
Tirando fuori la sua dall'armadio, riposta al suo interno al termine
dello scorso anno, Bulma la indossò. Riuscì ad
allacciarla senza troppi problemi, ma con suo sommo disappunto si
accorse che le stava un po' stretta. I bottoni stavano cominciando a
tenere a faticare.
Un brivido di paura la percorse lungo la schiena. Sapeva che prima o
poi il giorno sarebbe arrivato in cui avrebbe dovuto optare per la
divisa più larga che la scuola le aveva fatto avere, ma in
cuor suo sperava di poter rimandare l'inevitabile ancora per un po'.
Seppur fosse ormai venuta a patti col fatto che a settembre avrebbe
dovuto partorire un bambino, non aveva ancora accettato l'idea che
l'intera scuola ne venisse a conoscenza.
Le autorità scolastiche le avevano promesso massima
riservatezza fino a quando sarebbe stato possibile, ma una donna in
stato di gravidanza non è in grado di nasconderlo per sempre
e prima o poi i segni sarebbero stati difficili da camuffare.
Bulma aveva quasi sperato, fino all'ultimo e forse tutt'ora, di
riuscire a farla franca e di arrivare al mese di giugno senza che
nessuno facesse caso al suo ingrossare.
Guardandosi allo specchio quella mattina si rese conto per la prima
volta che il termine dell'anno scolastico era ben lontano e le
dimensioni del suo ventre stavano crescendo giorno dopo giorno.
Questa rivelazione la mise di pessimo umore. Trascinando i piedi come
se venisse portata al patibolo da un fantomatico boia si diresse verso
la fermata dell'autobus.
Aveva dovuto dire addio alla sua fedele bicicletta quasi tre mesi
prima, ormai. Il tragitto era diventato faticoso e stancante molto
più del previsto. D'altra parte aver vomitato nel cortile di
Vegeta, davanti al suo socio, aveva siglato la definitiva separazione
dalla sua due-ruote che ora era legata nel piccolo giardino sul retro
di casa.
***
Arrivata
a scuola si guardò attorno osservando i suoi compagni nelle
loro divise pulite. In un gesto impulsivo si sistemò la
camicia sperando che nessuno notasse quei chili in più sul
suo stomaco che non erano causati da un eccesso di cibo.
Bulma si guardò attorno in cerca di sguardi, come se si
aspettasse di vedere dita accusatorie puntate contro di lei.
All'improvviso ogni persona che incontrava nel corridoio era diventata
nemica ed ostile.
Qualcuno la stava guardando, si accorse, ma si domandò anche
se stessero ipotizzando che fosse un po' ingrassata o se invece fossero
a conoscenza della verità.
“Ciao” la salutò una voce familiare alle
sue spalle. Bulma si girò e il volto cordiale ed amicale di
Yamcha le diede più sicurezza, proprio quando
sentì che stava per raschiare il fondo del baratro.
“Ciao!” ricambiò sentendosi tratta in
salvo dal suo personale e momentaneo eroe “Non ti ho visto
sull'autobus stamattina, pensavo non venissi” gli disse.
Yamcha saliva alcune fermate dopo di lei, dei suoi amici era quello che
abitava più vicino. “Ho... preso l'autobus
prima” le rispose.
Bulma inarcò un sopracciglio “Questa è
una novità, cos'è successo?” chiese
scherzosa. Lui rise e si grattò la nuca “Ho
sbagliato ad impostare la sveglia e mi sono alzato prima, quindi ho
pensato che tanto valeva uscire presto” spiegò.
“Davvero? E da quando sei così
rigoroso?” scherzò di nuovo lei.
La risata di Yamcha si spense dal suo viso, ne rimase l'ombra di un
sorriso. La guardò da capo a piedi ed i suoi occhi si
soffermarono, seppur per un secondo, sul suo ventre “Ogni
tanto capita anche a me” si prese in giro.
Bulma si accorse che, nonostante stesse scherzando e sorridendo, i suoi
occhi raccontavano invece un'altra storia.
“Buongiorno” li salutò Crilin,
accompagnato da uno sbadiglio. Crilin e i gemelli abitavano dalla parte
opposta della città rispetto a Bulma e nonostante il ragazzo
era quello che veniva da più lontano allungava di circa un
quarto d'ora la strada ogni mattina pur di fare il tragitto con Lazuli.
“Ciao, pronti per l'interrogazione dell'ultima
ora?” domandò Yamcha “Affatto”
brontolò l'altro ragazzo. Lazuli alzò le spalle
“Io ho studiato” si limitò ad osservare.
Bulma incrociò le braccia “Naturalmente io sono
preparata” “Bene, allora spero interroghi
te” scherzò Yamcha.
“Ehi, dov'è tuo fratello?”
domandò Bulma alla gemella, lei si sistemò una
ciocca di capelli dietro l'orecchio “Non ha finito i compiti
della prima ora” spiegò “Ha detto che
avrebbe cercato qualcuno della sua classe da cui copiare”
aggiunse Crilin.
Il gruppetto s'incamminò verso l'aula. Tra i suoi amici
Bulma si dimenticò per un istante le preoccupazioni avute
quella stessa mattina.
Tuttavia voltandosi per i corridoi le sembrò di notare
qualche occhiata indiscreta nella sua direzione e per un'abitudine
appena acquisita si sistemò la camicia nella speranza che
non si vedesse nulla per il momento.
***
Mancavano
cinque minuti alla fine dell'intervallo e Bulma pensò che
era una buona idea andare in bagno prima dell'inizio delle lezioni.
Non voleva certo rischiare di correre all'ultimo momento, anche
perché sarebbe stato uno sforzo spropositato per quel che la
riguardava. Così decise di abbandonare i suoi amici pochi
minuti prima assicurando loro che li avrebbe rivisti in classe prima
del suono della campana.
Con passo spedito si diresse verso le toilette ed entrò. Fu
felice di notare che non c'era nessuno, come previsto. Aveva di
proposito scelto l'ala della scuola con il bagno meno utilizzato
perché lontano dalla maggior parte delle classi. Di certo
non voleva mettersi a fare la coda insieme a tante ragazzine indiscrete.
Durante le scorse settimane di nausee aveva imparato a sfruttare questo
bagno per non incorrere in persone che avrebbero potuto vedere e aveva
deciso di mantenere l'abitudine. Ora che ci pensava, le nausee si erano
ormai quasi del tutto affievolite e almeno quel problema era superato.
Quando tornò ad alzarsi dal gabinetto ebbe un attimo di
smarrimento e per un istante non se la sentì di muoversi.
I suoi occhi scorsero su tutte le scritte lasciate lì da
generazioni di ragazzine che dichiaravano amore eterno alla cotta della
settimana. Forse da qualche parte in quei bagni anche la sua mano aveva
imbrattato le pareti scrivendo il suo nome insieme a quello di un
ragazzo della quale non ricordava più il volto.
Oggigiorno sapeva il nome che avrebbe voluto incidere sulle mura per
poterlo gridare al mondo.
Ripresa dalla leggera fatica cominciò ad aprire la porticina
dello scompartimento, quando l'ingresso principale si
spalancò.
Non seppe per quale ragione lo fece, ma prese la decisione di restare
rintanata nel suo angolo nella speranza che le ragazze che stavano
entrando avrebbero scelto altri gabinetti dandole la
possibilità di sgattaiolare fuori. Oggi si sentiva ancora
piuttosto suscettibile.
“... e poi se n'è andata via piangendo come una
mocciosa. Avreste dovuto vedere che spettacolo” stava dicendo
una ragazza alle sue amiche che risero in coro. “Certa gente
dovrebbe vergognarsi a venire a scuola conciata in quel modo”
le diede manforte la seconda “Infatti”
concordò una terza.
Bulma sbirciò da uno spiraglio dietro la porta. Erano tre
ragazze, non le conosceva per nome, sapeva che erano al terz... no, al
quarto anno, quindi uno in meno di lei. Si erano fermate davanti agli
specchi per rifarsi il trucco.
La prima, una bionda con la camicia forse un po' troppo sbottonata, si
mise il rossetto. “Oh, sapete che cosa si dice in
giro?” disse all'improvviso voltandosi verso le sue amiche.
Le altre scossero il capo, pendendo dalle labbra della bionda,
“Sembra che ci sia una ragazza dell'ultimo anno che
s'è fatta mettere incinta” “Oh
no!” pensò tra sé Bulma cercando di
reprimere la voglia di urlare. Allora quegli sguardi non erano solo una
sua impressione.
“Anch'io l'ho sentito!” confermò la
seconda, una mora che portava i capelli legati in un'alta coda di
cavallo, “Mi hanno detto che ancora non si sa chi sia, ma
sospettano che sia della classe vicino alla presidenza”
continuò a dire.
La terza che, i capelli li aveva corti, trattenne il fiato.
“Non ci credo!” esclamò.
“Ma no” rispose la bionda “In quella
classe sono tutte racchie, chi vuoi che se le porti a letto
quelle?” risero tutte e tre. “Però di
quella sezione sapete chi mi piacerebbe portare a letto? Quello carino,
come si chiama ah... Lapis” confessò coda di
cavallo, le altre due emisero versi d'approvazione. “Ha degli
occhi così belli” continuò la bionda.
“Ah! Non ha una sorella? E se fosse lei?”
esclamò taglio corto, “Lei cosa?”
domandò la bionda, “Quella che è
rimasta incinta” spiegò l'altra. Coda di cavallo
fece una smorfia disgustata “No ti prego, lei non sta con il
nanerottolo della sua sezione?” “Urgh,
già... proprio non so cosa ci vede in quello
là” le diede manforte la bionda.
Bulma dovette davvero sforzarsi per non uscire allo scoperto ed urlare
loro che Crilin era un ragazzo d'oro e Lazuli era fortunata. Stava
quasi per perdere la battaglia contro sé stessa, poi...
avvenne.
“E la sua amica allora? Quella della borsa di
studio?” Bulma ebbe un gemito di paura ascoltando le parole
di taglio corto. Le altre due ci pensarono “Non lo so, quella
ha troppo il naso incollato sui libri per sbattersi qualcuno”
commentò la bionda.
“Ah... è così?”
pensò la diretta interessata.
“Però è carina almeno” disse
coda di cavallo “È vero” le concesse la
bionda “Ma ultimamente deve aver studiato troppo
perché è parecchio sciupata”.
“Come sarebbe?! Soltanto carina?” si
ritrovò a riflettere Bulma.
Forse era un po' sciupata, ma dopotutto per quello aveva una valida
scusa, ma ci teneva comunque a precisare che non era soltanto carina.
Se non altro le tre ochette avevano il cervello troppo offuscato per
fare il collegamento più ovvio. Di questo Bulma ne fu grata.
“L'ho notato anch'io, ha decisamente messo su qualche
chilo” confermò capelli corti
“Già” risero le sue amiche.
“Ad ogni modo, quella non ce l'ha mica un ragazzo”
le fece notare la bionda. “Che mi dici di quel tizio che le
muore dietro?” chiese coda di cavallo, la bionda rise
“Ti prego, quello sfigato? Secondo me manco se lo
trova”. Un'altra risata generale.
La campanella suonò. L'intervallo era finito e le tre
ragazze raccolsero i loro trucchi e si avviarono verso l'uscita del
bagno. “Che mi dici di quella che si è fatta
sospendere il mese scorso? Sta con il rag...” le loro voci si
affievolirono quando la porta si richiuse alle loro spalle.
Bulma, di nuovo sola, poggiò la testa alla parete dello
scompartimento e sospirò. In seguito chinò lo
sguardo verso la sua pancia. Toccò i bottoni che a fatica
facevano il loro lavoro. I due lembi della camicia si sovrapponevano
appena.
Era solo questione di tempo, si rese conto, prima che l'intera scuola
scoprisse chi era la ragazza dell'ultimo anno.
CONTINUA…
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Capitolo 19 *** I volti degli sconosciuti ***
d
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MY WORLD
I volti degli sconosciuti
L'episodio
con le tre ragazzine, alcune settimane prima, era stato solo l'inizio.
La voce di corridoio, per definizione, si sparse a macchia d'olio in
tutta la scuola e prima che potesse rendersene conto era ormai di
dominio pubblico.
Il pettegolezzo sulla misteriosa ragazza dell'ultimo anno che era stata
ingravidata aveva suscitato una specie di gioco d'azzardo. Tutte le
ragazze della sua età si sentivano analizzate da occhi
indiscreti mentre tutti cercavano d'individuare l'identità
della misteriosa studentessa.
Non fu difficile quindi notare che il giro vita di Bulma stava
ingrossando in maniera esponenziale. Sebbene fosse ancora in grado di
indossare la camicetta standard della divisa, non sarebbe durata.
La soluzione dell'arcano divenne ben presto evidente.
Salendo sull'autobus, al ritorno verso casa, Bulma notò gli
sguardi dei suoi compagni di scuola e questa volta non erano una sua
impressione. Seduti sui sedili del pullman la guardarono passare
bisbigliando al vicino di posto.
La situazione era andata ben oltre le semplici mura scolastiche. Ad
occupare il mezzo pubblico c'era anche gente comune che saliva diretta
verso misteriose destinazioni.
Alcune di queste persone la vedevano tutti i giorni e, come i ragazzi
della sua età, si erano resi conto che Bulma stava
cominciando ad esibire caratteristiche tipiche delle donne in dolce
attesa.
Persino gente che non aveva mai visto in vita sua si voltò
per guardare questa ragazzina con la divisa del liceo in evidente
gravidanza.
Dopo aver strisciato l'abbonamento sulla macchinetta, per il controllo
dei biglietti, cercò un posto. Yamcha la imitò
seguendola di pochi passi.
L'unico sedile disponibile era uno singolo e l'amico la
invitò ad accomodarsi. Bulma gli fu grata, almeno lui non la
metteva a disagio e la sua presenza le fu di conforto.
Dopo essersi messa a sedere i suoi occhi si scostarono sugli altri
passeggeri, notando in quanti la stessero osservando più o
meno discretamente.
“Yamcha, ti conviene andare da un'altra parte o potrebbero
farsi le idee sbagliate” lui la fissò confuso per
un secondo. Dopo aver compreso la preoccupazione dell'amica si
guardò attorno accorgendosi anch'egli di occhiate sfuggevoli
che fingevano indifferenza. Le sorrise con quegli occhi ancora
così distanti, “Non ha importanza” la
rassicurò.
Il tragitto fu lungo quanto breve. Le diede l'impressione di non
terminare mai sentendosi a disagio, ma la fermata di Yamcha, che quindi
fu costretto a scendere, arrivò troppo presto lasciandola da
sola.
Osservando dal finestrino si accorse del riflesso che veniva
riverberato su di esso.
C'erano un paio di anziane donne sedute sui sedili dalla parte opposta
del piccolo corridoio. Una delle due, quella più vicina a
lei, la guardò con attenzione. Bulma capì cosa
stava guardando perché i suoi occhi erano puntati
direttamente al suo ventre.
La donna si avvicinò all'amica e bisbigliò
qualcosa all'orecchio. La seconda anziana si scorse per vedere quello
che le veniva indicato. Scosse il capo con disapprovazione e
cominciò a confabulare con l'altra.
Dietro le due un gruppo di quattro o cinque ragazzi di qualche anno
più giovani di lei, tutti con la divisa della sua scuola,
furono meno discreti. Alcuni di loro si esibirono in gesti volgari con
l'esplicito intento di paragonarla ad una sgualdrina.
Fortuna volle che la maggior parte di loro scese alla fermata
successiva e Bulma fu lasciata sola con i suoi pensieri.
Estrasse il cellulare dalla tasca e lo guardò quasi nella
speranza che Vegeta potesse chiamarla. Lui era stato di parola e quando
ne aveva l'opportunità cercava di telefonare, ma non era in
grado di farlo tutti i giorni.
Si sentì afflitta e sola sentendo il desiderio di averlo al
suo fianco.
Negli ultimi tempi aveva sviluppato l'abitudine di aprire la galleria
di fotografie per sfogliare quelle scattate in quei momenti in cui
erano insieme. Le sue preferite erano senza dubbio quelle del giorno in
cui erano andati a fare una gita in moto. Quel pomeriggio le
sembrò così lontano, erano già passati
più di quattro mesi da allora.
Quando le aveva mostrate a sua sorella, Tights aveva scherzato
chiedendole se Vegeta sorridesse mai. Bulma aveva risposto che era una
di quelle cose più uniche che rare.
Alzando lo sguardo si accorse che la prossima sarebbe stata la sua
fermata, ma il suo istinto le disse di non muoversi. Non aveva ancora
voglia di tornare a casa.
***
Non
si ricordava quanta strada ci fosse dalla fermata dell'autobus fino
alla prigione. Le cose erano due, o la volta scorsa era così
disperata da non essersi resa conto di quanta fatica aveva fatto,
oppure i chili in più del bambino stavano già
cominciando a farsi sentire.
Bulma arrivò alla sala d'aspetto senza fiato e subito si
accorse di quanta coda c'era davanti allo sportello per prenotare una
visita. Non aveva pensato a questo e il suo cuore sprofondò
trascinato giù da un invisibile peso.
Dopo quella camminata infinita l'ultima cosa che voleva era restare in
piedi ad aspettare per chissà quanto tempo. Decise che aveva
la necessità di sedersi per un momento e così
fece.
Riprendendo fiato la parte più razionale della sua mente le
fece notare che aveva appena fatto una grossa stupidaggine. Cosa ci
faceva lì? La situazione non era certo cambiata dall'ultima
volta che era venuta. Non era diventata maggiorenne di punto in bianco,
agosto era ancora lontano. Anche volendo non sarebbe potuta entrare.
“Che idiota
che sono” si disse rendendosi conto che ora era
bloccata lì. Lei e Vegeta avevano concordato che era meglio
non coinvolgere troppo i suoi genitori, quindi non poteva chiamarli,
anche perché loro non sapevano in quale penitenziario era
recluso. Tights non aveva la macchina e abitava dalla parte opposta
della città e nessuno dei suoi amici, nemmeno Yamcha il
primo ad aver compiuto diciotto anni, aveva la patente.
Sospirò, beh... tra poco avrebbe dovuto iniziare a
ripercorrere la strada all'inverso. Aveva solo bisogno di cinque minuti
per riposare... anzi, meglio dieci o più probabile una
mezz'oretta... almeno.
Un ragazzino si avvicinò alla sua sedia, occupando quella
accanto a lei. Bulma lo guardò con attenzione, sembrava
quasi un bambino, ma indossava la felpa appartenente alla squadra di
arti marziali di un liceo pubblico. Sotto lo stemma era ricamata la
scritta terzo anno.
Se quella maglia apparteneva a lui e non a qualcun altro doveva avere
intorno ai quindici anni. E considerato che gli calzava a pennello non
poteva essere diversamente.
Bulma pensò ai ragazzi sull'autobus ed ebbe un brivido.
“Ehilà!” le disse accorgendosi che lei
lo stava fissando. Le sorrise con un'espressione gioviale ed amichevole
e lei tirò un sospiro di sollievo comprendendo che non era
come loro. “Ciao” gli rispose.
Lui aprì una confezione di patatine che doveva aver
recuperato dalle macchinette dalla parte opposta del corridoio. Le
offrì il pacchetto “Ne vuoi una?” le
domandò. Bulma si accorse di avere un po' di fame, ma forse
non era davvero suo il desiderio di cibo. “Ti
ringrazio” acconsentì infilando la mano nel
pacchetto.
“Io mi chiamo Goku” si presentò
“Bulma” fece altrettanto lei, “Stai
aspettando anche tu qualcuno?” volle sapere cominciando a
mangiucchiare le sue patatine. “Beh...”
farfugliò la ragazza “In un certo senso”
“Io sono qui per vedere mio fratello, tu?”.
C'era qualcosa di particolare in questo ragazzino dall'aria ingenua.
Era gentile e sembrava avere una naturale fascino. Ebbe la sensazione
di conoscerlo da tutta una vita, anziché da nemmeno cinque
minuti.
Per la prima volta da chissà quanto tempo si
sentì invogliata a parlare con uno sconosciuto,
“Il mio ragazzo... o almeno, mi piacerebbe”
confessò chinando il capo, “Non credo che mi
faranno entrare” aggiunse. Lui le mostrò il
pacchetto di patatine, invitandola a prenderne ancora
“Perché no?”. Bulma guardò il
sacchettino e sebbene non avesse proprio voglia di cibo, il bambino
dentro di lei sembrava essere di tutt'altra opinione costringendola ad
accettare l'invito, “Sono minorenne e non posso entrare senza
un adulto” “Oh” rispose lui.
“Kakaroth vedi di sbrigarti, tra poco tocca a noi!”
urlò un uomo nella fila davanti al bancone.
“Arrivo!” replicò il nuovo amico di
Bulma, “Pensavo ti chiamassi Goku”
notò lei. Il ragazzo si grattò la nuca
“È il mio secondo nome e mi piace di
più, solo la mia famiglia mi chiama Kakaroth”
affermò alzandosi. Le lasciò il pacchetto di
patatine e fece due passi verso la coda.
Si fermò e tornò indietro “Ehi, forse
posso chiedere ai miei se possono aiutarti”
suggerì “Cosa? E come?”
domandò lei. Goku le sorrise a trentadue denti, in
un'espressione della quale si era già affezionata in quel
breve lasso di tempo.
Si allontanò di nuovo raggiungendo l'uomo che lo aveva
chiamato e che, a giudicare dalla somiglianza, doveva essere il padre.
Bulma si accorse che la stava indicando e la conversazione
durò per pochi minuti.
Goku tornò verso di lei “Vieni, mio padre ha
accettato di accompagnarti dentro se vuoi”
“Davvero?” esclamò Bulma. La risposta fu
di nuovo quel sorriso.
Seguito il nuovo amico, dopo essersi alzata e aver fatto in modo che la
camicia nascondesse tutto il più possibile, si
ritrovò a cospetto con il padre di Goku. L'uomo la
guardò dall'alto al basso con aria severa, ma nei suoi occhi
non c'era nessuna malevolenza “Ti conviene avere i tuoi
documenti pronti per quando sarà il nostro turno”
l'accolse. C'era una certa rigorosità nel suo modo di fare,
ma sembrava essere anche gentile al tempo stesso. In un certo senso le
ricordò Vegeta.
Al fianco dell'uomo una donna minuta gli diede una leggera gomitata di
rimprovero “Non farci caso” le disse “Io
mi chiamo Gine e lui è mio marito Bardack”.
“Vi ringrazio per l'aiuto, ma non vorrei esservi di
disturbo” disse loro dopo essersi presentata. La donna
sorrise “Nessun disturbo, ma noi saremo i prossimi, quindi ti
conviene tirare fuori la tua carta d'identità” le
fece notare.
Bulma li guardò tutti a turno. Goku e il suo sorriso
gioviale, Gine con la sua aria gentile e Bardack con un comportamento
burbero e familiare. Nessuno dei tre la stava giudicando e la ragazza
si domandò quanto avessero notato.
La loro cortesia la convinse e nel recuperare il documento dal
portafoglio lasciato nel suo zaino un primo istinto di
maternità la costrinse a posarsi una mano sul grembo.
CONTINUA…
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Capitolo 20 *** Un gesto parla da sé ***
d
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MY WORLD
Un gesto parla da sé
Bulma
non era mai stata così emozionata in vita sua. Si
sentì come una bambina nel mondo dei giocattoli e non
riusciva a stare ferma. Le sue dita si strinsero sulla collanina
attorno al suo collo con la quale stava giocando.
Quando vide un movimento dall'altro lato della vetrata trattenne il
fiato. Tuttavia l'uomo che intravide non si fermò davanti
alla sua postazione continuando a camminare. Distratta per quel breve
istante non si rese subito conto che qualcuno si era invece fermato
davanti a lei.
Si voltò giusto in tempo per vedere l'uomo prendere posto e
ad ammirare l'espressione mutare quando si accorse chi era la persona
che aveva deciso di andarlo a trovare.
La ragazza vide le sue labbra formare le lettere del proprio nome in un
sussurro che non fu in grado di sentire. “Ciao
Vegeta” lo salutò con entusiasmo. Lui
sembrò ancora un po' confuso.
Gli occhi neri si scostarono sull'uomo in piedi dietro di lei che si
teneva in disparte cercando di essere discreto e di rispettare la
privacy della giovane che aveva appena accompagnato.
Vegeta tornò a guardare lei “Mi ha aiutato ad
entrare” gli spiegò avendo compreso la sua
incertezza. Dopotutto sarebbe potuto essere suo padre, se non fosse per
il fatto che il signor Bardack doveva essere attorno ai quarant'anni, e
quindi troppo giovane.
Chiarito il mistero i due amanti si guardarono negli occhi, studiando i
reciproci cambiamenti avvenuti negli ultimi quattro mesi.
Bulma si accorse che lui le sembrava un po' malconcio, l'aria stanca e
un po' smagrita, ma tutto sommato stava bene. A parte forse un accenno
di occhiaie.
Dal canto suo Vegeta si rese conto di quanto lei fosse diversa. Era
più grande e più matura in un certo senso. Aveva
sempre avuto un atteggiamento più adulto rispetto ai suoi
anni, ma ora lo dimostrava anche il suo viso.
Non c'era nulla di particolare alla quale poteva attribuire questa
metamorfosi, forse era un'insieme di cose o forse non la guardava in
faccia da così tanto tempo che aveva dimenticato i dettagli
del suo volto. No, non era per quello, se c'era una cosa che non
avrebbe mai scordato erano i suoi lineamenti che vedeva con nella mente
ogni volta che provava a chiudere gli occhi.
In realtà la differenza era che aveva un aspetto
più femminile e più da donna, avendo perso alcune
caratteristiche infantili che aveva quando si erano conosciuti.
Se proprio fosse stato costretto a puntare il dito su qualcosa in
particolare avrebbe scelto i suoi occhi. All'interno di quel limpido
blu sembrava esserci una luce nuova e diversa.
Vegeta si rese conto che anche le sue gestualità erano
cambiate. Era solita muoversi molto quando parlava, lasciando
intravedere la sua personalità energica e piena di vita. Ora
i suoi gesti erano pochi, lenti e cauti.
Si rese conto solo allora che una delle sue mani non si era mai mossa
avendola appoggiata sul ventre senza scostarla da lì.
Osservando le sue dita si accorse anche della piega della sua camicetta
e del fatto che avesse messo su diversi chili. Tuttavia la sua
coscienza fu subito allertata quando si rese conto che quello era il
suo bambino.
Ci aveva pensato spesso da quando Nappa se lo era lasciato sfuggire e
si era sempre domandato come stesse Bulma e quali erano le sue
condizioni. L'aveva immaginata spesso col pancione o addirittura con un
figlio tra le braccia, ma vederla di persona era un'altra cosa.
Nonostante avesse ormai accettato l'idea che in un futuro non troppo
lontano sarebbe diventato papà, c'era molta differenza tra
quello che fluttua nel proprio immaginario e l'ineluttabile certezza
che si presentava ai suoi occhi. Dopotutto poteva svegliarsi un giorno
accorgendosi che era stato tutto frutto della sua immaginazione.
Che non stava per diventare padre, che erano sempre stati attenti, che
non aveva una ragazza minorenne o addirittura di non aver mai sentito
parlare di nessuno chiamato Bulma.
Vegeta ebbe bisogno di un secondo per riorganizzare l'ordine dei suoi
pensieri e tornare con i piedi per terra.
“Non sei felice di vedermi?” gli chiese lei,
“Hn” brontolò lui, incrociando le
braccia, e Bulma sentì una sensazione di nostalgia.
Le era mancato da morire.
“Piuttosto, dimmi” cambiò argomento la
giovane “Hai parlato col tuo avvocato per quanto riguarda
l’appello?”. Vegeta ci pensò per un
istante “Sì, sta cercando di fissare
un’udienza entro la fine dell’anno” la
informò.
La speranza tornò ad illuminare il volto della giovane.
Erano ancora parecchi mesi, ma era sempre meglio di saperlo
lì dentro per quattro anni. “Pensi che ti faranno
uscire?” volle sapere.
Da quel che gli aveva spiegato il legale, se Vegeta fosse riuscito a
convincere il giudice che non sarebbe più successo o che
sarebbe cambiato c’era una buona probabilità.
Il carcerato guardò la ragazza attraverso il vetro
dibattendo con sé stesso. Un figlio in arrivo era
decisamente un motivo valido per concedergli i domiciliari, se non
altro. Ma Vegeta dubitò che l’informazione sarebbe
stata molto d’aiuto se il giudice avesse saputo che la madre
del bambino era una minore, sebbene il compleanno di Bulma sarebbe
arrivato prima di una fantomatica udienza.
***
Tutta
l'emozione che aveva provato quando era entrata svanì
nell'istante in cui le dissero che i minuti a sua disposizione erano
terminati.
Se all'ingresso sarebbe stata in grado di volare, più come
un palloncino che come un uccello, all'uscita l'umore le era tornato
sotto le scarpe. Forse non avrebbe più avuto un'altra
opportunità di rivederlo fino ad agosto o fino alla nascita
del bambino e questo le fece vedere il mondo tramite una coltre grigia.
All'uscita Goku e sua madre li stavano attendendo.
“Sei riuscita a vedere il tuo ragazzo?” le chiese
il giovane, una volta raggiunti, il cui viso era illuminato da un
sorriso che servì a dissipare almeno in parte quelle nuvole,
“Sì, ti ringrazio” gli rispose.
“Come sta Radish?” chiese Bardack rivolgendosi alla
moglie. Gine annuì “L'ho visto bene, anche se
è un po' dimagrito” lo aggiornò,
“Gli hanno dato un nuovo compagno di cella”
aggiunse Kakaroth.
Bulma si ricordò che Goku aveva parlato del fratello e un
senso di colpa cominciò a stringersi alla sua gola.
“Le chiedo scusa, signor Bardack, per colpa mia non
è riuscito ad incontrare suo figlio”. L'uomo la
guardò “Posso venire un altro giorno” la
rassicurò.
Guardando il resto della famigliola, la ragazza si sentì un
po' un'intrusa. Non conosceva queste persone e non voleva abusare della
loro cortesia. “Ad ogni modo la ringrazio per l'aiuto. Spero
di incontrarvi di nuovo” li salutò in congedo.
Fece solo mezzo passo verso l'ingresso dell'edificio, quando Gine la
fermò “Aspetta! C'è qualcuno che
può venire a prenderti?” le domandò.
Bulma la guardò “Prenderò
l'autobus” le rispose cercando di suonare incoraggiante.
Nonostante ciò dietro di sé l'idea di rifare
tutta quella strada le fece venire da vomitare.
“Stai scherzando?” esclamò la donna
“La fermata è lontana, una ragazza nelle tue
condizioni non dovrebbe fare sforzi inutili” Bulma
sgranò gli occhi “Cos... come l'avete
capito?” proruppe.
Gine le mostrò un'espressione comprensiva “Lo so
che stai ancora cercando di nasconderlo, ma il modo in cui ti muovi lo
rende evidente” le fece notare additando una delle sue mani.
Solo in quel momento la giovane si accorse di averla poggiata sulla
schiena a sostegno del peso che portava sulla pancia in un gesto tipico
delle donne in stato interessante.
Guardando gli occhi scuri di Bardack si accorse che anche lui
concordava con la moglie, ma nessuno dei due la stava giudicando. Ebbe
un moto di simpatia per queste persone che la aiutarono a cancellare
l'immagine dei passeggeri sull'autobus.
“Non ho capito... quali condizioni?”
domandò Goku che al contrario non sembrava essersi reso
conto di nulla. A quell'affermazione suo padre alzò gli
occhi al cielo, “La tua amica aspetta un bambino,
Kakaroth” gli fece notare a denti stretti il genitore.
“Davvero?” esclamò rivolto ora a lei.
Bulma annuì “Sì” ammise, per
la prima volta quasi con leggerezza. “Oh”
mormorò il ragazzo.
Bardack scosse il capo “Andiamo ragazzina, ti accompagnano
noi” le disse facendo strada verso l'ingresso principale.
“Ma... io non...” provò a protestare
Bulma, “Stai tranquilla, non ci sono problemi” la
rassicurò Gine.
***
Durante
il tragitto Bardack seguì le indicazioni del navigatore per
raggiungere l'abitazione di Bulma.
Non le era mai capitato di trovare così tanta confidenza con
dei perfetti sconosciuti. Queste persone erano state gentili con lei
fin dall'inizio e dopo settimane di disagi a scuola questa era davvero
una ventata d'aria fresca.
Si ritrovò a rivelare qualcosa di sé e per la
prima volta finì per confidare loro dettagli della sua
relazione con Vegeta. Per quanto piccoli erano dettagli che non si era
mai sentita di dire a familiari e amici, soprattutto a causa del
burrascoso modo in cui il segreto era stato scoperto.
Raccontò delle gite in moto e del fatto che sgattaiolasse a
casa sua al termine delle lezioni.
Quando le chiesero cos'aveva fatto per essere finito in prigione, Bulma
non ebbe nessun problema a spiegarlo. Questo era qualcosa che, a parte
Tights e Jaco, tutti gli altri conoscevano in una storia breve e
limitata per non far sembrare Vegeta troppo cattivo. Anche
perché lei sapeva che non era una cattiva persona.
“Wow... il tuo ragazzo sembra forte”
commentò Goku alla termine del resoconto “E tuo
fratello perché è in carcere?” gli
chiese. “Furto aggravato” le rispose lui
“Starà dentro per due anni, ma ne ha
già scontato uno” aggiunse la madre
“Quell'idiota” commentò invece il padre.
Per un attimo scese il silenzio, “Io volevo ringraziarvi di
nuovo” lo ruppe Bulma “Di recente le gente tende a
guardarmi storto... vista la mia situazione”. Tramite lo
specchietto retrovisore, si accorse che moglie e marito si scambiarono
uno sguardo d'intesa.
“So cosa vuoi dire” confessò Gine
“Ti fissano tutti come se conoscessero la tua situazione e
pensano che tu sia una poco di buono” Bulma restò
a bocca spalancata, “Sì, ma come...?”.
La donna si voltò per guardarla negli occhi tramite lo
spazio tra i due sedili anteriori dell'auto “Io e Bardack
avevamo all'incirca la tua età quando abbiamo avuto
Radish” “Dice sul serio?”
domandò esterrefatta, “Già”
confermò Bardack.
Ora che ci pensava, i due coniugi non avevano molto più di
quarant'anni e se il figlio maggiore era rinchiuso in una prigione, e
non in un riformatorio per minorenni, doveva avere almeno diciotto
anni. Se anche fosse stato un ragazzino rinchiuso poco dopo la maggiore
età, i suoi genitori dovevano essere comunque giovani quando
era nato, ma non aveva immaginato così tanto giovani.
Il navigatore segnalò l'arrivo e l'autista trovò
uno spiazzo accanto alla casa per consentire alla ragazza di scendere.
Bulma esitò per un secondo prima di aprire la portiera.
Quando scese, Goku si sporse verso di lei “Ehi Bulma, un
giorno dovrai farmi conoscere il tuo ragazzo. Sembra un tipo in
gamba” lei sorrise “D'accordo e tu mi farai
conoscere tuo fratello” concordò.
La giovane chiuse la porta e cominciò ad incamminarsi verso
casa. “Aspetta un secondo” la fermò
Gine. Bulma si voltò ad osservarla, mentre la donna
afferrò un pezzo di carta dalla propria borsa e
cominciò a scrivere.
Una volta terminato glielo porse e Bulma lo lesse dopo averlo
afferrato, erano il nome e il numero di telefono della donna.
“A volte è più facile parlare con un
estraneo che con qualcuno che si conosce” le disse
“Non esitare se dovessi sentirne il bisogno” si
raccomandò. Bulma guardò il pezzo di carta
“Grazie” rispose.
Dopo saluti e convenevoli la macchina ripartì lasciandola da
sola. L'ultima cosa che vide di loro fu la mano di Goku sventolare in
un cenno di saluto prima che la macchina si trasformasse in una delle
tante sulla strada.
Osservò il bigliettino nelle sue mani. Erano gentili certo,
ma non voleva certo abusare della loro cordialità sentendo
di averlo già fatto fin troppo.
Non voleva certo essere scortese, tuttavia preferì non
accettare l'offerta. Senza pensarci infilò il pezzo di carta
nella tasca dello zaino dove nascondeva carte e cartacce che avrebbe
dovuto buttare e oggetti più piccoli.
Se la sarebbe cavata con le sue forze, grazie alle persone che aveva
attorno e che ancora non l'avevano abbandonata.
CONTINUA…
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Capitolo 21 *** Forza bruta ***
d
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MY WORLD
Forza bruta
Vegeta
era terribilmente seccato.
All'inizio del turno, quella mattina, aveva trovato i bagni allagati a
causa di una tubatura intasata, che avevano visto costretto il
secondino ad allontanarsi per farne rapporto. Per pulire l'intera
stanza, Vegeta impiegò quindi più tempo del
previsto.
Quando udì le prime voci provenire dal corridoio
capì che era iniziata l'ora di libertà.
Guardò il pavimento, ancora mezzo bagnato e comprese ben
presto che lui l'avrebbe passata a ramazzare.
Il pensiero lo fece arrabbiare ancora di più, avrebbe voluto
fare una telefonata, ma di questo passo non ne aveva nessuna
possibilità.
Udì la porta aprirsi, “Questo bagno è
inaccessibile. Usatene un altro” disse a chiunque era appena
entrato. “Perché, non hai ancora
finito?” gli domandò una voce familiare.
Vegeta sollevò lo sguardo “Non hai sentito quello
che ti ho detto, Radish?” ringhiò infastidito.
L'altro lo fissò, le mani infilate nelle tasche della
divisa. Per un momento osservò il pavimento allagato
“Cos'è successo?” chiese curioso al
compagno di cella.
“Fatti gli affari tuoi e sparisci”
sbottò l'altro. Radish parve offeso per un istante,
“Tsk, come ti pare” rispose girando i tacchi ed
uscendo.
L'altro bagno era sull'altro versante dell'edificio, per arrivarci
doveva attraversare la prigione.
Arrivando dalla direzione opposta, Radish notò quattro
persone camminare verso la stanza dalla quale era venuto. Sui loro
volti erano dipinti ghigni malevoli.
Quando gli passarono accanto ebbe una strana sensazione. Quei brutti
ceffi erano pericolosi. Svoltato l'angolo Radish si appostò,
sbirciando i gesti del quartetto.
Si fermarono davanti alla porta e confabularono tra loro, in seguito
entrarono nel bagno.
***
“Ti
ho det...” Vegeta si fermò quando, sollevando il
capo dal pavimento, si accorse che non era Radish la persona che era
appena sopraggiunta.
Ginew e i suoi amici lo fissarono con espressioni maligne e come un
fulmine a ciel sereno Vegeta fece quadrare i conti nella sua mente.
Non era un caso che le tubature si erano intasate, perché
qualcuno le aveva intasate. Qualcuno che aveva intenzione di tenerlo
lì a pulire ben dopo l'inizio dell'ora libera, sapendo
quindi dove trovarlo e di trovarlo da solo.
Era una trappola!
Vegeta sollevò il busto e strinse la scopa che stava
utilizzando. “Cosa volete?” domandò
cauto. Ginew rise, seguito a ruota dagli altri tre, “Sembri
teso, Vegetuccio” gli rispose.
Lui si limitò a fissarli. Aveva visto e partecipato a troppe
risse da bar in vita sua per non riconoscere il clima che precedeva una
scazzottata. L'atmosfera pesante e i muscoli del corpo che si tendevano
pronti ad entrare in azione. Ma se questo era quello che cercavano,
questi idioti avevano trovato il barista sbagliato.
C'era un problema in questa situazione. Questa era una squadra
affiatata che si spalleggiava reciprocamente conoscendo punti di forza
e di debolezza gli uni degli altri e soprattutto non erano sbronzi.
Mentre Vegeta era da solo contro quattro.
Il gruppetto si avvicinò a lui con lentezza, ma ogni passo
parve far vibrare la terra.
In un gesto repentino che nessuno si aspettava, Vegeta usò
lo scopettone come una mazza da baseball colpendo in pieno il
più basso degli assalitori. Jeeth fece un passo indietro
portandosi entrambe le mani al viso “Ah! Mi ha spaccato il
naso!” urlò dolorante.
Approfittando del vantaggio della sorpresa, Vegeta sollevò
di nuovo la ramazza colpendo Butter sulle ginocchia, facendogli cedere
le gambe. Il colosso cadde al suolo finendo in una pozza d'acqua non
ancora asciutta.
Percependo l'arrivo di Rikoom alla sua sinistra si voltò.
Non avrebbe fatto in tempo a caricare un nuovo colpo con il bastone,
almeno non abbastanza forte da danneggiare il bestione. Optò
per calciarlo in pieno stomaco.
Purtroppo l'uomo era molto più muscoloso del previsto e
l'attacco gli fece solo il solletico. Rikoom afferrò il
piede dell'avversario con la mano sinistra tenendo ben salda la presa.
Il grosso palmo destro, invece, si piantò con forza sul
volto di Vegeta spintonandolo verso la parete.
Vegeta era sbilanciato, avendo un piede intrappolato, e non
poté ribellarsi. L'impatto con il muro fu doloroso,
facendogli perdere l'appiglio della sua arma costringendolo ad urlare.
Dopo un secondo di stordimento decise di riprendere il controllo della
situazione. Poggiò entrambe le mani sulle piastrelle alle
sue spalle, appena sopra la sua testa, ed approfittò della
presa sulla sua caviglia. Con un colpo di reni sollevò la
gamba destra, colpendo Rikoom sotto il mento con la punta della sua
scarpa.
Colto alla sprovvista fu costretto a mollare la sua vittima.
Barcollò all'indietro e sputò qualche dente che
l'urto gli aveva fatto perdere.
Vegeta invece non fece in tempo a ritrovare una postura stabile e
ricadde al suolo di schiena.
Jeeth tornò alla carica, cercando di colpirlo con un pugno
prima che Vegeta avesse il tempo di rialzarsi. Tuttavia l'altro fu
lesto afferrando il braccio di Jeeth con entrambe le mani e lo
costrinse a piegare l'arto. Nel contempo gli fece lo sgambetto
facendogli perdere l'equilibrio.
Quando Jeeth impattò col suolo, Vegeta riuscì a
voltarsi pancia in giù piegandosi sugli avambracci, come se
stesse facendo una flessione, poggiando una mano e tutto il suo peso
sul volto dolorante di Jeeth.
In un lampo scattò in piedi, ma non fece in tempo a
ritrovare l'equilibrio prima che Butter, giunto come un fulmine,
riuscisse ad immobilizzarlo tenendogli entrambe le braccia dietro la
schiena. Vegeta fu nuovamente sbattuto contro il muro, questa volta di
petto.
La prigionia non durò a lungo, sferrando una testata
all'uomo che lo teneva in trappola. Butter lasciò la presa e
Vegeta s'inginocchiò dandogli una gomitata in pieno stomaco.
Vide giusto in tempo il calcio di Rikoom, riuscendo ad evitarlo
appiattendosi al suolo. Vegeta lo colpì nel punto
più debole del ginocchio, riuscendo a farlo crollare sul
pavimento.
Tuttavia il manico della scopa che sopraggiunse dal lato opposto non lo
vide fino a quando non fu troppo tardi. Lo prese in pieno viso, accanto
all'occhio.
Fu un impatto talmente violento che Vegeta ebbe l'impressione di
sentire il proprio cervello sbattere contro la superficie interna del
cranio e per un attimo ebbe l'impressione che stesse per uscirgli dalla
testa.
Ricadde al suolo in una pozza d'acqua e prima di riuscire a distinguere
il sotto dal sopra, Ginew lo tenne al suolo poggiandogli con forza un
piede sul petto. Gli mise il bastone sotto il mento, costringendolo a
sollevare il capo.
“Tenetelo fermo” ordinò ai suoi
scagnozzi. Rikoom e Butter lo afferrarono per le braccia e lo
sollevarono di peso. “Devo ammetterlo, sei un osso duro
Vegetuccio” gli disse il capitano guardandolo negli occhi.
Il dolore al volto gli impedì di aprire la palpebra
sinistra, nonostante ciò guardò l'uomo come se
avesse intenzione di saltargli al collo da un momento all'altro. E
stando a quanto aveva appena dimostrato non era escluso che ci
riuscisse.
Ginew non parve dell'idea di correre il rischio. Caricò le
braccia e sferrò un colpo con la ramazza centrando la sua
vittima in pieno stomaco, “Questo è per
Guldo” gli disse sollevando di nuovo il bastone.
Vegeta perse il respiro per un lungo interminabile attimo.
***
“Che
sta succedendo qui?” urlò uno degli agenti quando
vide la scena. Ginew si voltò sorpreso, mentre i suoi
compagni lasciarono la presa del loro bersaglio.
Vegeta cadde al suolo in una pozzanghera sulle piastrelle. L'acqua
sotto di sé si colorò ben presto di rosa quando
il suo sangue si mischiò ad essa.
Il capo dei carnefici alzò le mani “Abbiamo avuto
una piccola discussione” minimizzò col sorriso
sulle labbra.
L'agente a comandò additò i quattro carcerati ai
suoi colleghi “Portateli in isolamento”
ordinò. Non ci furono proteste quando la squadra Ginew fu
portata via che al contrario parvero molto soddisfatti del loro operato.
Dopo essere riusciti ad immobilizzarlo avevano riempito di pugni il
barista, consapevoli che avrebbe imparato la lezione.
Il secondino si avvicinò a Vegeta per accertarsi della sua
condizione. Era ancora cosciente, ma respirava a fatica ed era
piuttosto malconcio. L'uomo dedusse che gliene avevano date tante, ma
il piccoletto era parecchio resistente. “Svelti, aiutatemi a
portarlo in infermeria” ordinò ad altri carcerieri.
Dalla parte opposta del corridoio, Radish osservò un gruppo
di secondini entrare ed uscire dai bagni di tutta fretta. Qualcuno
aveva fatto loro la soffiata che qualcosa stava accadendo, facendo
intervenire le guardie.
CONTINUA…
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Capitolo 22 *** La vita si muove ***
d
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MY WORLD
La vita si muove
Bulma
e i suoi amici si erano seduti attorno al piccolo tavolo nel giardino
sul retro. L'anno scolastico stava giungendo al termine ed era il
periodo più impegnativo per quelli dell'ultimo anno,
sommersi di verifiche ed interrogazioni per solidificare i voti.
Fino ad ora avevano sempre studiato a scuola, trovando un posto in
biblioteca o, nella bella stagione come in questo caso, un angolo
isolato del parco. Tuttavia era un sabato pomeriggio, dunque non si
erano recati a lezione.
Certo era capitato altre volte che decidessero di riunirsi a studiare
nei giorni liberi, ma in passato era stato molto più facile
organizzarlo venendo incontro alle esigenze di tutti. Tuttavia per
Bulma anche i mezzi pubblici stavano diventando un'incombenza che se
poteva evitare ne faceva volentieri a meno.
I suoi amici erano stati tutti molto comprensivi con lei e avevano
deciso di radunarsi a casa sua. Dopotutto non potevano certo fare a
meno di Bulma per ripassare matematica.
Del gruppo solo Lazuli superava abbondantemente la sufficienza, Crilin
annaspava per mantenerla, mentre Yamcha era così al di sotto
che sembrava aver perso le speranze di recuperare.
Essere amici con la migliore della classe con i massimi dei voti aveva
i suoi privilegi, primo fra tutti qualcuno in grado di rispiegare la
lezione e renderla più comprensibile.
Non essendo nella loro classe, Lapis aveva invece deciso di disertare
il ritrovo. I suoi voti erano passabili, come la metteva lui, e aveva
preferito spendere il suo sabato pomeriggio libero a fare qualcosa di
più interessante.
Sparpagliati sul tavolo erano distribuiti libri, quaderni e computer,
che avevano invaso anche alcune sedie libere.
Bulma era seduta al capotavola, direttamente sotto l'ombrellone, sua
madre si era raccomandata di non stare troppo al sole. Accanto a lei
erano seduti, in ordine, Lazuli, Crilin e Yamcha, dall'altra parte del
tavolo.
“Non ci capisco niente! Perché quando cerco di
risolverlo io non viene mai giusto?” si lamentò
Crilin, dopo aver sbirciato il risultato dello stesso problema sul
quaderno della ragazza al suo fianco per scoprire che era diverso da
quello che aveva trovato lui. Bulma si sporse in avanti, almeno
finché le era possibile farlo, ed osservò il
foglio dell'amico. “Qui c'è un errore”
gli disse indicando lo stesso con una penna, Crilin lo
guardò meglio e si accorse che il calcolo era scorretto.
Cancellò l'intero problema da quel punto in avanti e
ricominciò da capo.
C'era una ciotola di biscotti al centro del tavolo che sua madre aveva
insistito per offrire, la ragazza ne prese uno prima di tornare ad
adagiare le spalle allo schienale della sedia. Ne aveva già
mangiati una quintalata, ma i suoi amici o non ci avevano fatto caso,
oppure erano così gentili da non puntualizzarlo.
Gli occhi azzurri della giovane si scostarono sul lato opposto del
tavolo, osservando per un momento l'altro amico che in silenzio stava
scrivendo sul proprio quaderno. “Come vanno le cose
laggiù, Yamcha? Hai bisogno di una mano?” gli
domando, avendo fatto caso che dei tre era l'unico a non averle chiesto
ancora aiuto. Lui sollevò il capo del suo lavoro, le sorrise
un po' nervoso “No, va tutto bene” le disse
suonando tutt'altro che convincente, tornando poi al problema che stava
cercando di risolvere.
Dall'interno dell'abitazione provennero alcune voci. Bulma
intuì che era appena arrivato qualcuno, ma non fece in tempo
a domandarsi chi fosse, quando la porta sul retro della casa si
aprì.
“Vedo che c'è un mucchio di gente qui”
“Tights!” esclamò la giovane quando
riconobbe la sorella. La maggiore guardò la combriccola che
a turno la salutò.
Si avvicinò alla sorella ed osservò il libro che
aveva davanti “Matematica? Mai stata la mia materia
preferita” commentò “Eppure è
facile, basta solo prestare un po' più
d'attenzione” le fece notare la ragazza dalla mente
scientifica.
Tights alzò le spalle “Certo, certo, mi fido di te
cervellona” tagliò corto “Piuttosto, la
mamma mi ha incaricato di darti questa” le disse mettendole
tra le mani una bottiglietta d'acqua fresca “E ti ricorda che
devi bere tanto” aggiunse. Bulma alzò gli occhi
verso il cielo, aveva già sentito questa raccomandazione un
milione di volte.
In un secondo momento si accorse che sottobraccio la sorella maggiore
stava portando un paio di scatole, al momento ancora appiattite, e uno
rotolo di nastro adesivo. “Sei venuta a portare via le tue
cose?” le chiese Bulma, la giovane donna annuì
“Penso che con ancora un paio di viaggi dovrei riuscire a
liberare la mia vecchia stanza” la informò,
“Comunque, vi lascio studiare adesso. Ci vediamo
più tardi”.
Quando sua sorella tornò dentro casa, gli occhi di Bulma si
scostarono sul proprio cellulare, adagiato sulla sedia vacante accanto
alla sua. Era rimasto silenzioso tutto il tempo e la giovane si
domandò come mai Vegeta non avesse ancora chiamato. Erano
giorni che non si faceva sentire e sebbene fosse normale avere lunghi
periodi di silenzio, questo era senza dubbio il più duraturo
fino ad ora.
“Evviva! Ce l'ho fatta!” esclamò Crilin
alzando le braccia al cielo. Al suo fianco Lazuli guardò il
suo quaderno ed annuì. “Portamelo qui Crilin,
fammi vedere” gli chiese Bulma.
Con un pizzico d'orgoglio l'amico fece quanto richiesto. Si
alzò e si avvicinò a lei poggiandole il suo
compito davanti. Spalla a spalla controllarono entrambi il suo lavoro.
“Ah!” esclamò all'improvviso Bulma e
Crilin, colto alla sprovvista, fece un balzo indietro “Cos'ho
fatto?!” chiese mettendo le mani avanti. “Si
è mosso” mormorò l'amica “Che
cos... oh! Il bambino?” comprese il ragazzo. Bulma si
poggiò una mano sul ventre
“Sì” rispose. Crilin sembrò
rifletterci per un istante “Ehi, ehm... posso
sentire?” domandò timidamente. Lei gli sorrise
“Certo, dammi una mano” lui lo fece e l'amica
l'adagiò nel punto in cui aveva percepito il movimento.
Seguì un secondo di silenzio come se la lieve vibrazione
potesse essere percepita a livello uditivo. Gli occhi dei presenti
erano tutti indirizzati su di loro. “Ah sì! L'ho
sentito anch'io!” confermò Crilin.
Lazuli si alzò “Posso... posso provare
anch'io?” chiese arrossendo. Bulma le sorrise
“Vieni”. Crilin le lasciò campo libero e
come aveva fatto in precedenza, la futura madre diede all'amica la
possibilità di percepire il suo bambino.
“Allora?” volle sapere Crilin dopo alcuni istanti.
Per tutta risposta Lazuli annuì.
Bulma si rivolse infine a Yamcha, rimasto ancora seduto sul versante
opposto del tavolo, “Vuoi sentire anche tu?” gli
offrì. Il giovane parve esitare, “Io
non...” farfugliò abbassando gli occhi, notando la
ciotola in mezzo al tavolo quasi completamente vuota. Si
alzò di scatto ed afferrò il contenitore
“Vado a chiedere a tua madre se possiamo avere degli altri
biscotti” esclamò d'un tratto. “Non ha
import... anza” provò a fermarlo Bulma, ma Yamcha
si era già precipitato in casa prima che lei potesse
concludere la frase.
***
Dopo
un intenso pomeriggio di studi i suoi amici erano tornati a casa
propria. Bulma si era inoltre stancata, sebbene non avesse fatto altro
che stare seduta a dare suggerimenti a chi ne aveva bisogno.
Sentì quindi l'esigenza di stendersi per un po' a causa
della schiena che aveva iniziato a dolerle. Decise di salire in camera
propria e a metà della scalinata ringraziò che
erano solo pochi gradini, se faceva fatica adesso che aveva raggiunto
il quinto mese, al nono avrebbe avuto bisogno di una gru.
Fortuna volle che la strada per raggiungere la stanza non era molta.
Appena raggiunto l'ultimo scalino bastava girare a sinistra e aprire la
prima porta sul lato destro del corridoio. Speculare ad essa, sulla
sinistra, si trovava invece la camera che era stata di Tights.
Da quando la sorella aveva lasciato il nido, l'ingresso era quasi
sempre rimasto chiuso, tuttavia quando Bulma vi passò
accanto lo vide aperto. Si ricordò che Tights era passata
alcune ore prima e si domandò se era ancora lì.
D'altra parte non l'aveva ancora vista andare via.
Si affacciò osservandone il suo interno. Era in uno stato
intermediario al momento.
Chiaramente non era più la camera di Tights, che la stava
ripulendo dei suoi averi un passo alla volta, ma non era nemmeno quella
del nascituro. In un angolo infatti erano stati ammassati nuovi mobili
adatti alla cameretta di un neonato, tra le quali la culla e alcuni
giocattoli.
Sul lato adiacente invece si trovavano vecchi mobili appartenuti un
tempo ad una ragazza adolescente ancora tappezzati di adesivi e vecchi
ricordi. Quasi tutti gli scaffali erano ancora in piedi ed erano stati
svuotati. Quel poco che era rimasto della vecchia inquilina era stato
adagiato al suolo.
Tights si trovava seduta sul pavimento, intenta a decidere se quel
libro valeva la pena salvarlo e portarlo con sé, oppure
aggiungerlo alla scatola delle cose da buttare.
“Questa stanza è irriconoscibile adesso”
esordì Bulma, la maggiore si voltò e rise
“Devo lasciare il posto al nipote” le rispose. Lo
sguardo della più giovane si tinse di un velo di tristezza
“Lo so, ma... per colpa mia devi buttare via tutte le tue
cose” mormorò.
La donna afferrò un foglio e si alzò
“Non dire così, questa stanza era più
un magazzino per me, prima o poi avrei dovuto fare un po' di pulizia
qua dentro” si avvicinò alla sorella e le
poggiò un braccio sulle spalle “E poi mi ha dato
modo di ritrovare cose che avevo dimenticato, guarda”. Le
porse il foglio, che si scoprì essere una fotografia.
Ritraeva una giovane Tights, che all'epoca doveva avere nove anni,
mentre stringeva tra le braccia una neonata... Bulma. “Deve
essere stata scattata quando mamma e papà ti hanno portato a
casa” le raccontò.
L'infante che era ormai cresciuta osservò con attenzione
l'immagine “Non l'avevo mai vista prima”
confessò. Tights rise “Penso di averla nascosta
per ripicca una di quelle volte in cui mi hai fatto arrabbiare quando
eravamo piccole... poi devo essermene dimenticata”
ipotizzò.
In un angolo del suo cervello, Bulma cercò di ricordarsi che
quando avrebbe portato a casa il suo bambino avrebbe dovuto scattare
una fotografia dopo averlo messo in braccio alla zia. Così
avrebbero avuto un altro ricordo.
CONTINUA…
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Capitolo 23 *** Cure mediche ***
d
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MY WORLD
Cure mediche
Aveva
imparato ad accettare molte cose, negli ultimi cinque mesi, non da
ultimo il fatto che una vita stava crescendo giorno dopo giorno nel suo
corpo. L'idea che avesse davvero una creatura dentro di sé
diventava sempre più tangibile ad ogni movimento che
l'indiscreto ospite faceva al suo interno.
Bulma si era dovuta riadattare riorganizzando le sue abitudini di
conseguenza.
Una di queste erano le regolari visite mediche che doveva sostenere di
malavoglia. Erano scomode ed imbarazzanti e ne avrebbe volentieri fatto
a meno, ma da esse dipendeva in parte la salute del nascituro e quale
madre era suo compito assicurarsi che tutto stesse filando liscio.
Dopo le lezioni, quel giorno, prese l'autobus che l'avrebbe portata
fino all'ospedale e si avviò verso la sala della dottoressa
che l'aveva in cura. Sua madre l’avrebbe raggiunta
lì e l’avrebbe portata a casa.
Quando entrò nel reparto si guardò attorno
osservando ancora una volta poster e depliant che ritraevano donne in
stato interessante o che sussurravano suggerimenti relativi alla
gravidanza o ai primi mesi di vita del nuovo arrivato in famiglia.
Su uno dei comodi divanetti in reception era seduta un'altra futura
madre, intenta a leggere una rivista sulla quale era fotografato un
neonato in copertina.
Bulma si accomodò dalla parte opposta e la
osservò per un minuto. Il grembo della donna era almeno il
doppio del suo. In un movimento spontaneo si accarezzò la
pancia nascosta a malapena sotto la camicetta della divisa.
L'altra paziente sollevò lo sguardo e le sorrise,
“Quante settimane?” le chiese gentilmente. Per la
prima volta, la ragazza fu quasi felice di rispondere a domande sulla
sua condizione “Ventunesima” le rispose senza
vergogna “Lei?”, la donna si strofinò la
pancia con delicatezza “Ventisei. È il mio
terzo”.
Un dottore uscì da una delle stanze, anticipato da un'altra
paziente che s'incamminò verso l'uscita. Osservò
la cartella clinica tra le mani e sollevò lo sguardo verso
la donna.
Essendo il suo turno, la signora si alzò con lentezza,
aiutata dal medico, e sparì nello studio di questi, non
prima di aver regalato a Bulma un ultimo sorriso d'incoraggiamento.
Mentre la giovane osservava la signora muoversi, con quel grosso
pancione, si rese conto che avevano un solo mese di differenza, per
quanto riguardava l'avanzare delle rispettive gravidanze. Se quello era
ciò che l'aspettava nelle prossime cinque o sei settimane,
la divisa scolastica non sarebbe mai arrivata alla fine dell'anno.
Si guardò la camicia e sospirò. Era giunta l'ora
di arrendersi e di e affrontare un nuovo compromesso dovuto alla sua
condizione.
***
Aprì
lentamente gli occhi ricordandosi tutto d'un tratto che la testa gli
faceva ancora male. La commozione cerebrale che aveva subito a
conseguenza della colluttazione con il manico da scopa ed il pavimento
si era rivelata parecchio dolorosa.
I medici non erano troppo preoccupati delle sue attuali condizioni di
salute, la commozione era lieve e dopo un primo paio di giorni lo
avevano subito diagnosticato fuori pericolo. Tuttavia Vegeta sentiva
ancora il cervello dolergli come se lo scontro interno del cranio
avesse lasciato un grosso livido.
Benché il peggio fosse ormai passato, gli era stato detto di
restare in infermeria fino a nuovo ordine. Lo staff medico
preferì tenerlo sotto osservazione per un altro po' di
tempo, per assicurarsi che non ci fossero conseguenze più
gravi.
Vegeta si sentiva ancora un po' confuso e dopo un primo momento di
smarrimento dovette guardarsi attorno per ricordarsi dove si trovasse.
Non sarebbe stato in grado di dire da quanto tempo si trovasse
lì, se non fosse per il calendario appeso alla parete che
ora indicava giugno come mese in progressione.
Appoggiò la testa fasciata ai cuscini ed osservò
il soffitto.
Se l'era vista brutta, ma poteva anche andare peggio. Per essere stato
un pestaggio quattro contro uno, Vegeta era uscito contuso ma tutto
d'un pezzo.
La testa era ovviamente il problema più grosso, il resto
erano lividi e contusioni alla quale era abituato. In una rissa, anche
una da bar, non si esce quasi mai indenni, portando a casa sempre
qualche ferita di guerra.
Ma questo non era un bar, queste persone erano sobrie e sapevano
perfettamente cosa stavano facendo. Vegeta si domandò fino a
che punto erano disposti a spingersi e quanto lo avrebbero torturato se
le guardie non fossero intervenute al momento propizio.
Tuttavia, l'idea che fosse stato salvato da qualcun altro gli fece
ribollire il sangue nelle vene. Quei maledetti avrebbero pagato per
quello che gli avevano fatto, avrebbe sicuramente trovato un modo per
farli soffrire tanto quanto stava soffrendo lui. Doveva solo trovare il
modo migliore per farlo.
“Cosa stai facendo?” gli domandò la sua
coscienza “Stai per diventare padre dovresti preoccuparti di
uscire da questo posto tutto intero” si ricordò.
Quella riflessione gli fece girare la testa più della
commozione cerebrale.
Bulma fu il suo prossimo pensiero. Non aveva sue notizie da giorni
prima dell’accaduto, non avendo avuto il tempo di chiamarla,
e sicuramente non era in grado di farlo da lì. I medici gli
avevano detto che doveva restare a letto per tutto il tempo, gli era
concesso solo di andare in bagno dove veniva sorvegliato da una guardia.
Si chiese come stava Bulma, come stava andando la gravidanza e se fosse
preoccupata da questo improvviso silenzio.
Sdraiato lì, in quel letto d'infermeria, annoiato e
dolorante, avrebbe più di ogni altra cosa voluto poterla
sentire. Almeno farle sapere che stava bene o per avere
novità che riguardavano lei ed il bambino.
In silenzio continuò a rifletterci. Quel posto era una
dannata trappola, in carcere tutti trovano un motivo per la quale
distruggerti. Vegeta doveva passarci quattro anni in quel posto, fermo
restante che l'avvocato non riuscisse a vincere l'appello per farlo
uscire prima, ma per quello doveva aspettare la prima udienza a
settembre. Intanto era rinchiuso da pochi mesi ed era già
finito nelle mire di un gruppo di psicopatici e in infermeria.
Un'idea cominciò a formarsi nella sua mente.
Da lì però non poteva parlarne con nessuno,
nemmeno con Nappa se lo avesse voluto. Essendo in osservazione non gli
erano concessi contatti dal mondo esterno. C'era una sola eccezione,
una sola categoria di persone alla quale era consentito prendere
contatto in qualsiasi momento, anche da un letto d'ospedale. Tuttavia
non gli serviva altro, dopotutto era proprio la persona di cui aveva
bisogno per prendere determinate precauzioni.
“Ehi!” chiamò Vegeta, rivolto
all'infermiere impegnato a riordinare garze e medicamenti vari. L'uomo
alzò lo sguardo “Cosa?” gli
domandò paziente. Vegeta esitò per un istante
“Voglio parlare con il mio avvocato”.
***
Quando
sua madre era venuta a prenderla, durante la visita, Bulma diede voce
alla sua conclusione. Panchy ne parve sollevata. Aveva cercato di
indurla a pensare al suo abbigliamento da qualche settimana, ma la
figlia sperava di rimandare l'incombenza il più a lungo
possibile. Era quindi un po' in ritardo rispetto ad altre madri, ma
all'inizio di giugno era impensabile coprire un ventre gravido con un
grosso maglione.
Di conseguenza, senza darle il tempo di cambiare idea, Panchy
guidò direttamente verso il centro città
raggiungendo un grosso negozio prenatale che si vantava di accontentare
tutte le mamme del futuro, almeno così recitava lo slogan
scritto a lettere cubitali all'ingresso.
Una volta dentro, Bulma si guardò attorno. “Non so
nemmeno da che parte cominciare” brontolò
guardandosi attorno, trovandosi in un mondo fatto di passeggini,
seggiolini, tutine per neonati e abiti fuori misura.
Sua madre si fermò accanto a lei “Intanto diamo
un'occhiata da quella parte” le suggerì, additando
il reparto che interessava loro.
Bulma annuì e si avviò in quella direzione,
facendosi largo tra altri clienti e la merce esposta, fermandosi
davanti ad una selezioni di vestiti.
Ne afferrò uno, lo guardò e lo rimise al suo
posto accompagnato da una smorfia. Di solito le piaceva fare shopping,
ma questo non era il suo genere. Nessuno degli abiti aveva il suo
stile, “Possibile che non ci sia nulla di bello
qui?” si lamentò “Sono tutti troppo
brutti o troppo grossi” continuò la liceale
riponendo l'ennesimo capo dopo averlo guardato meglio.
Panchy rise “Non ti conviene fare tanto la schizzinosa, ti
servono solo per i prossimi mesi” le ricordò
porgendole un paio di t-shirt colorate sulla quale erano ricamate
scritte mirate a puntualizzare che chiunque le indossasse aspettava un
bambino. “E non ti preoccupare della taglia, le riempirai
molto presto” continuò a dire, poi
svanì tra i vari appendiabiti.
Bulma ripensò alla donna seduta nella sala d'attesa del
medico, ma anche guardandosi attorno si accorse di altre madri con
grembi delle più svariate misure. Così si arrese,
cominciando a sceglie tra le maglie che aveva di fronte.
Sua madre ricomparve, in mano un cestello nella quale aveva infilato
altri abiti e alla quale aggiunse le magliette che Bulma aveva scelto,
insieme a quelle che le aveva dato lei stessa poc’anzi.
“Vai a prendere dei pantaloni. Sceglili elastici e
comodi” le suggerì, spingendola lentamente in
quella direzione. E prima ancora che la ragazza ebbe il tempo di
replicare, la donna svanì di nuovo.
Una coppia attirò l'attenzione di Bulma. Lei non doveva
essere più in là del terzo mese e con calma stava
scegliendo tutti i vestiti che voleva indossare. Lui era una forza
della natura, continuando a tornare indietro con oggetti vari trovati
su qualche scaffale. Peluche, tute per neonati, giocattoli, cercando
costantemente di convincere sua moglie a comprarli. E quando lei diceva
di no, lui andava a riporre un articolo per tornare con almeno altri
due. Il suo entusiasmo era palpabile.
“Vegeta, tu non faresti mai una cosa del genere,
vero?” gli chiese in silenzio Bulma. Per un attimo
riuscì ad immaginarlo, in un luogo del genere. Teso, nervoso
ed irascibile, restando fermo accanto alla porta d’ingresso
nell'attesa di uscire da lì il prima possibile.
All'idea non poté fare a meno di ridere tra sé,
finendo per toccare la sua collanina, prima che la mamma tornasse alla
carica. Altri indumenti finirono nel cestello, alla quale Bulma aveva
solo aggiunto un paio di pantaloni.
Panchy guardò la piccola collezione di vestiti che erano
stati raccolti, afferrò altri calzari e li
ammassò al resto. “Non ti sembra di esagerare
mamma?” le chiese la giovane ora un po' preoccupata. Quando
la donna cominciava su questa strada non si poteva mai sapere quante
cianfrusaglie inutili sarebbero tornate a casa. “Niente
affatto, cara” additò il cestello
“Questi sono gli abiti che indosserai per almeno i prossimi
quattro mesi, quindi ti consiglio di cominciare a provarli”
aggiunse guardando alle spalle della figlia.
Bulma si voltò, trovandosi ad osservare i camerini.
Sospirò, il modo migliore per superare il momento era quello
di farlo durare il meno possibile. Si girò, trascinando con
sé il cesto ricolmo d’abiti, cominciando ad
avviarsi. “Bulma” la chiamò la madre, la
ragazza la guardò “Metti anche questo nel
cestello” le disse porgendole quello che si rivelò
essere un libro.
Lo afferrò e ne lesse la copertina. Era un libro di nomi per
neonati “Adesso che hai scoperto il sesso, ti conviene
cominciare a pensarci” le suggerì Panchy.
CONTINUA…
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Capitolo 24 *** Le sorti del mio futuro ***
d
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MY WORLD
Le sorti del mio futuro
Entrando
a scuola, quella mattina, Bulma fu intercettata da una delle bidelle
che l'avvertì di essere attesa in presidenza al suo arrivo.
Dopo aver seguito la donna si accomodò sulle sedie di fronte
all'ufficio ed attese con pazienza di essere convocata.
Con una mano si accarezzò la pancia in un gesto che era
diventato sempre più consueto. Ormai anche a scuola era
costretta ad indossare la divisa speciale che le era stata data tempo
fa.
Nel corridoio gli studenti si stavano affrettando per entrare in
classe, Bulma notò molti di essi volgerle uno sguardo al
loro passaggio. I pettegolezzi erano un po' diminuiti negli ultimi
tempi, ma non si erano del tutto acquietati. Aveva imparato ad
ignorarli, se un bambino si trovava a bivaccare nel suo utero non era
certo un problema loro.
Lapis si avvicinò all'entrata della sua classe, le fece un
cenno di saluto quando la vide, prima di entrare in aula.
Bulma scostò lo sguardo verso la finestra per ignorare tutti
gli altri. Era una bella giornata di giugno, tra poche settimane non
sarebbe più stata una studentessa di liceo e qualsiasi cosa
avevano da dire i suoi compagni di scuola l'avrebbe ben presto
dimenticato. Dopotutto non avrebbe mai più rivisto buona
parte di queste persone.
La porta della presidenza si aprì e a Bulma fu fatto cenno
di entrare.
Appena mise piede al suo interno, si accorse che l'atmosfera era tetra.
Shin era seduto dietro la sua scrivania con un'espressione mortificata,
sembrò quasi in imbarazzo tanto da non guardarla negli
occhi. Con sorpresa della ragazza, il suo insegnante rappresentate,
Wish, era in piedi dietro al tavolo. Le braccia incrociate dietro la
schiena e uno sguardo rattristato.
La cosa peggiore, notò Bulma, era la presenza del Lord.
Seduto sul lato opposto rispetto al professore. Sebbene il suo
atteggiamento appariva quello solito ad una prima occhiata, Beerus
parve nervoso dondolandosi sulla sedia.
Le fu detto di accomodarsi e le diedero tutto il tempo per farlo,
tenendo presente che le servivano alcuni minuti per sedersi.
“Che succede?” domandò lei un po'
incerta. La risposta tardò di qualche secondo.
Shin si schiarì la voce e cominciò a parlare
“Sono molto dispiaciuto” esordì, ma
anziché proseguire si fermò colto da una certa
indecisione. Bulma scostò lo sguardo da lui a uno degli
altri due, in attesa di una spiegazione più appropriata.
Whis prese in mano le redini della situazione “Signorina
Bulma” cominciò serio “Mi duole
informarla che siamo stati contattati dall'università in
merito alla sua borsa di studio... purtroppo hanno deciso di revocarla
vista la sua condizione”
“Che cosa?!”
esclamò lei.
“Perché? Mi avevate assicurato che non avrei avuto
problemi!” sbottò lei “Non è
una decisione che spetta alla scuola” intervenne Beerus
“Ma io ho lavorato tanto per ottenerla”
perseverò la giovane.
“Il problema è che l'università non
vuole investire soldi in una... ragazza
madre”
cercò di spiegarle Shin “Vede, in media ragazze
che si trovano nella sua situazione non portano a termine gli studi e
non si laureano. Quindi non vogliono pagare per qualcuno che con ogni
probabilità finirà per abbandonare prima del
tempo” cercò di evitare i suoi occhi
“Così dice l'università
almeno” si affrettò ad aggiungere il preside.
“È ridicolo! Perché dovrei rinunciarci,
dopo tutta la fatica che ho fatto?” tornò a
protestare Bulma. Lei e la sua famiglia stavano pianificando modi per
poterla aiutare ad adempiere i suoi doveri da universitaria e madre al
tempo stesso. Avevano riposto molta fiducia in quella borsa di studio,
se l'avesse persa tutto si sarebbe complicato.
I soldi che non avrebbero dovuto pagare per la retta universitaria
sarebbero inoltre serviti per il bambino, un'altra spesa tutt'altro che
economica.
La cosa ironica, in senso negativo, era che Bulma aveva fatto richiesta
per la borsa di studio indirizzata agli studenti più
meritevoli, coloro i quali la facoltà reputava degni di
investire per istruire le migliori menti del paese. L'alternativa era
quella che veniva affidata agli studenti che dimostravano
potenzialità, ma non avevano le liquidità per
potersi permettere la retta.
Quando Bulma aveva studiato le applicazioni da presentare aveva subito
scartato la seconda perché il reddito dei suoi genitori era
superiore al massimo consentito per farne richiesta. Ora, con una bocca
in più da sfamare, la situazione si era capovolta.
Tuttavia era troppo tardi. Le borse di studio disponibili per i nuovi
studenti erano già state assegnate, anche se avesse potuto o
voluto farne una richiesta non avrebbe mai potuto ottenerla.
“Mi... dispiace” mormorò il preside, che
non sapeva cosa dire. “Non è tutto perduto
Signorina Bulma” intervenne Wish, “Se è
comunque sua intenzione proseguire farà ancora in tempo a
sostenere il test d'ingresso che si terrà a
luglio” le fece presente. “Lo so che non
è la stessa cosa, ma almeno può entrare in
facoltà, sono sicuro che una ragazza in gamba come lei
troverà un modo per convincere l'istituto del suo valore una
volta lì” Bulma lo fissò con un nodo
alla gola.
“E come pensa che possa riuscirci? I test d'ingresso si
svolgono in università, e io non posso andare fino a
lì” l’istituto si trovava dall'altra
parte del paese, a chilometri di distanza “L'unico modo per
andarci sarebbe in aereo, ma non permettono alle donne al terzo
trimestre di viaggiare e io sarò al settimo mese!”
questo l'aveva scoperto di recente, mentre sfogliava articoli sulla
gravidanza “E non mi sarà certo possibile andarci
in macchina o in treno. Non c'è possibilità che
possa restare seduta per così tanto tempo” quello
stava diventando dolorante già ora.
Nella stanza scese il silenzio.
“Quanto sei noiosa, ragazzina” proruppe Lord
Beerus, “Shin parlerà con i tizi
dell'università e ti farà sostenere un test
speciale qui a scuola” disse. Il preside lo guardò
“Davvero? Beh sì, non è una cattiva
idea” concordò.
Bulma li guardò uno per uno. Sapeva che stavano cercando di
aiutarla, ma lei ebbe comunque la sensazione che il suo mondo fosse
crollato.
***
Guardando
il cortile dal bar alla finestra dell'appartamento si poteva vedere
solo la nebbia. Sotto questo punto di vista novembre era stato
piuttosto irremovibile. La città era coperta da quello
spesso strato di coltre bianca da giorni ormai ed era difficile vedere
ad un palmo dal proprio naso.
All'interno
dell'abitazione, Bulma aveva tutt'altro da guardare.
Vegeta stava lavando
alcune stoviglie dopo averle usate per pranzare
insieme. Era un sabato e dopo aver trovato una scusa per evitare gli
amici e aver mentito ai suoi genitori si era rifugiata a casa del suo
amante.
Era da qualche tempo che
ci stava pensando, ma stava cominciando a
vedere Vegeta sotto un'altra prospettiva. Con le mani bagnate
dall'acqua corrente aveva alzato le maniche del maglione fino ai gomiti
mostrando le braccia che di solito erano nascoste dagli abiti. La sua
schiena era forte e possente, ogni muscolo si muoveva celato dalla
stoffa. Portava dei jeans piuttosto attillati che poco lasciavano
all'immaginazione di quello che nascondevano nella zona posteriore.
Bulma si
trovò nella peculiare posizione di domandarsi come
dovesse essere spogliato dei suoi indumenti. Un elettrizzante desiderio
le diede un brivido che partì dalla nuca, percorse la sua
schiena, ed arrivò al basso ventre.
Non era la prima volta
che aveva provato una sensazione simile, era
accaduto sempre più spesso negli ultimi tempi. Si era
trovata sveglia la notte pensando a lui lasciandosi pervadere
dall'irrefrenabile voglia di spogliarlo nudo e di poterlo sentire
dentro.
Si scoprì a
deglutire in silenzio, fissandolo per un tempo
che parve interminabile. “Vegeta” lo
chiamò, lui si voltò e quando gli occhi neri
dell'uomo s'incrociarono con quelli azzurri di lei seppe che era sulla
strada giusta. “Io...” mormorò un po' in
imbarazzo “... credo di essere pronta” gli disse.
L'uomo chiuse il
rubinetto, incrociò le braccia e dopo
essersi voltato si poggiò al lavabo. Il suo sguardo si
assottigliò studiandola come se la stesse guardando
già nuda. “Per cosa?” le chiese.
Sapeva cosa fosse, l'aveva intuito dal modo
in cui lei lo aveva
guardato di recente, ma se non poteva dirlo allora non aveva nessuna
speranza di farlo.
All'oscuro di questo
ragionamento, Bulma si sentì a disagio
e per un secondo lo odiò per costringerla a dirlo ad alta
voce. Infine trovò il coraggio “S... sesso. Con
te” disse e quando lo fece sentì la forza tornarle
prepotente nelle vene.
Vegeta la
guardò per un altro lungo interminabile istante.
Con quegli occhi scuri ed intensi poteva far tremare il mondo solo
guardandolo.
Si scostò dal
lavandino e la raggiunse “Sei
sicura?” le domandò. Bulma annuì,
sì non era mai stata così certa di qualcosa in
vita sua. Fino a quel momento la sua mente era sempre stata ottenebrata
da un pensiero che le aveva impedito di riflettere, ma ora che lo aveva
espresso ad alta voce si accorse che non era mai stata così
lucida.
“Sicurissima”
rispose. Vegeta le poggiò
le labbra sulle sue, baciandola con delicatezza, quasi avesse paura di
romperla. Quando le mani cominciarono a slacciarle la blusa, Bulma
provò un nuovo brivido per lei inedito.
***
Dopo
le brutte notizie della mattinata non se la sentì di andare
a lezione. Uscita dalla presidenza si era rifugiata in un angolo del
giardino scolastico.
Ancora non poteva credere a quello che era accaduto, avendo ancora la
sensazione che il suo intero mondo fosse crollato a picco.
Tutti i suoi sogni di una vita, dopo il lavoro che aveva fatto per
arrivare fin lì ed era tutto finito prima di iniziare. Era
tutto crollato per qualcosa che non era stata in grado di prevedere e
Bulma non seppe a chi dare la colpa.
Finì per darla a se stessa. Per aver avuto il desiderio di
esplorare un nuovo mondo, quello del sesso, ed era finita per restare
incinta. Nonostante fossero stati attenti e avessero preso le dovute
precauzioni non era bastato.
Se solo fosse stata in grado di tornare indietro nel tempo si sarebbe
fermata, perché non ne valeva la pena.
D'altra parte, era davvero così? La verità era
che ne era valsa la pena.
Quello che lei e Vegeta avevano avuto in quei momenti non l'avrebbe
cambiato per nulla al mondo.
Qual'era dunque la risposta? A chi doveva essere attribuita la colpa di
una vita imprevista che si stava frapponendo tra lei e i suoi sogni?
Una vita che aveva già imparato ad amare in quei primi sei
mesi di gestazione come non aveva mai amato nessuno prima.
Avrebbe davvero detto alla se stessa del passato di fermarsi, di non
rincorrere quel desiderio carnale che era la causa di tutti i suoi
problemi? Non lo sapeva, non era certo una risposta facile. In entrambi
i casi avrebbe dovuto rinunciare a qualcosa, al suo sogno o al suo
bambino.
Si domandò cosa avrebbero detto i suoi genitori quando li
avrebbe informati che non potevano più contare su quei soldi
garantiti dalla facoltà di sua scelta per la garanzia del
suo futuro. Sapeva che non si sarebbero arrabbiati, ma l'idea che li
avrebbe costretti a scavare sul fondo del barattolo per qualche moneta
in più, oltre a quelli che avrebbero già dovuto
spendere per il nipote, le fece venire un buco al cuore.
Dopo tutto quello che aveva fatto, tutto quel lavoro e quella breve
sensazione di successo quando avevano riconosciuto le sue
potenzialità era stato sprecato.
Si sentì svuotata e senza speranza, il mondo attorno a lei
danzò vacuo nella sua testa.
Questo era uno di quei momenti in cui avrebbe voluto poter chiamare
Vegeta per potergli raccontare tutto e sentire il calore delle sue
braccia. Lui non aveva ancora chiamato e Bulma sentì il
desiderio di udire la sua voce come non mai.
Scoppiò a piangere, anche se non avrebbe voluto... maledetti
ormoni!
Le lacrime le rigarono il viso e il collo, scendendo copiose dai suoi
occhi in un fiume in piena.
Sentendo la necessità di soffiarsi il naso, Bulma raggiunse
lo zaino che aveva appoggiato accanto ai suoi piedi ed aprì
il taschino nella quale conservava i fazzoletti di carta.
Non essendo la persona più ordinata al mondo quella tasca
era una sorta di giungla di carta, nella quale era solita infilare
bigliettini o fogli in generale.
Qualche vecchio biglietto dell'autobus, prima che facesse
l'abbonamento, uno o due biglietti del cinema e qualche scontrino
fuoriuscì dalla tasca prima che lei riuscisse a recuperare i
fazzoletti.
Fu un'immensa fatica riuscire a recuperarli, sparpagliati attorno ai
suoi piedi. Bulma dovette scivolare sulla panchina e piegarsi sulle
ginocchia per riuscire a raggiungere il suolo.
Dopo averli raccolti tutti cominciò a rimetterli da dove
erano fuorusciti, ma uno di essi in particolare attirò la
sua attenzione.
CONTINUA…
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Capitolo 25 *** Non smettere di sognare ***
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MY WORLD
Non smettere di sognare
“Hai
avuto problemi a trovare la casa?” volle sapere Gine dopo
averla fatta entrare. Bulma scosse il capo “No, anche se non
conoscevo questa zona della città le indicazioni che mi ha
dato erano molto facili da seguire” la rassicurò.
La donna le sorrise “Mi fa piacere saperlo. Perché
non ti metti comoda in salotto? Io vado a prenderti qualcosa da bere,
con questo caldo sarai assetata” additò indicando
una porta in fondo al corridoio “Posso portarti anche
qualcosa da mangiare?” “Ehm... ha qualcosa di
salato?” “Ma certo, te lo porto subito”
acconsentì avviandosi verso quella che doveva essere la
cucina. Intanto Bulma s'incamminò verso la stanza che le era
stata indicata.
Era un appartamentino modesto in una palazzina in periferia, quasi
più piccola di quella di Tights e Jaco. Il corridoio era
molto stretto e per un istante la ragazza ebbe la sensazione che non ci
sarebbe mai passata attraverso, senza rovesciare nulla dagli scaffali
stipati su ambo le pareti che contribuivano a rendere il passaggio
ancora più striminzito. Si rivelò essere solo una
sua paura, riuscendo a sgusciare fino al salottino nonostante
l'ingombrante pancione.
Appena sopraggiunse all'ingresso sbirciò all'interno della
sala. “Ciao Goku” lo salutò quando vide
il ragazzo seduto sul tappeto davanti alla televisione concentrato su
un videogioco nella quale uomini muscolosi si sfidavano in una zuffa.
“Ehilà Bulma” replicò lui,
sorridendole. Lei si ricordò all'istante cosa le era
piaciuto di questo ragazzino, la prima volta che si erano incontrati.
Lui la fissò per un secondo “Sei ingrassata
parecchio” notò “Stupido! Aspetto un
bambino!” “Ah già... ahah... l'avevo
dimenticato” ridacchiò. Bulma lo guardò
sentendosi un po' arrabbiata, ma le passò subito quando lo
vide grattarsi la nuca in un gesto piuttosto buffo.
“Ehi, vuoi giocare?” le domandò
mostrandole il joystick che reggeva in mano “Non so come si
fa” gli fece notare. Goku si alzò
“Siediti, ti faccio vedere” suggerì
indicandole il divano contro la quale era appoggiato fino a quel
momento.
Bulma lo fece più che volentieri, la fermata dell'autobus
non era lontana dalla casa, ma il caldo d'inizio estate e i chili di
troppo di una creatura che aveva nel frattempo deciso di prendere
lezioni di ballo nel suo utero l'avevano affaticata.
Durante l'operazione di atterraggio sul divano, la mongolfiera... ehm,
la ragazza ebbe modo di osservare la parete dietro il televisore.
C'erano degli scaffali sulla quale erano riposti una serie di
riconoscimenti. Accanto ad essi alcune fotografie erano state
incorniciate ed appese. Molte di esse ritraevano il figlio minore dei
padroni di casa immortalato a ricevere diversi di quei premi.
Goku afferrò un secondo joystick, che era stato riposto
accanto alla TV, prese posto accanto a lei e glielo porse.
“Dimmi una cosa, Goku, sono tutti tuoi quei
trofei?” chiese incuriosita. Lui si voltò per
guardare nella stessa direzione “Sì, pratico le
arti marziali da quando ero piccolo” Bulma si
ricordò all'improvviso della felpa che il ragazzo indossava
quando si erano conosciuti “L'anno prossimo andrò
ai campionati nazionali” le spiegò.
“Davvero? Devi essere molto bravo allora”
“Eheh già, voglio diventare il più
forte di tutti” le confidò senza mai smettere di
sorridere.
“Ti ho portato la tua acqua” esordì Gine
entrando in salotto con un vassoio tra le mani “Di salato ho
trovato un pacchetto di patatine, spero vada bene”.
Poggiò il portavivande su un piccolo tavolino accanto al
divano dov'era seduta la sua ospite.
Bulma pensò all'ironia. Lei e Goku si erano parlati proprio
grazie ad un pacchetto di patatine. “È perfetto
grazie” afferrò il bicchiere d'acqua e ne bevve un
sorso lasciando scivolare il limpido liquido fresco nella sua gola
assetata.
“Allora...” esordì la donna sedendosi su
una piccola poltrona “Cos'è successo? Quando mi
hai chiamato l'altro giorno mi sei sembrata agitata. Va tutto
bene?” Bulma si sentì un po' in colpa. Forse non
avrebbe mai dovuto fare quella telefonata, col senno di poi, ma quando
aveva rivisto il numero di Gine si era ritrovata a pensare a quello che
le aveva detto quando glielo aveva dato. In quel momento l'aiuto di un
estraneo sembrava la cosa migliore, dopo aver sentito il desiderio di
isolarsi da tutti.
La donna le aveva detto di venire a trovarla nel weekend e sebbene la
liceale aveva avuto tutto il tempo per disdire si era ritrovata a non
volerlo fare. Solo mettendo piede in quella casa si era accorta che non
era stata una buona idea.
“Io... mi dispiace, forse non avrei dovuto
chiamare” confessò mordendosi il labbro inferiore,
“Sciocchezze, ti ho dato il mio numero proprio per questo!
Andiamo racconta” esortò Gine.
Bulma titubò ancora un istante, prima di aprire bocca e,
quando lo fece, ne uscì un fiume interminabile di parole.
***
“...
volevo frequentare quell'università da quando ero bambina e
ora non so più se sarò in grado”
concluse alla fine. Da una parte si sentì meglio, aver dato
sfogo a tutto quello che provava le tolse un grosso peso. D'altra parte
avrebbe voluto scoppiare a piangere.
“Non capisco perché devi rinunciare”
mormorò la voce di Goku, che nel frattempo era tornato a
sedersi sul pavimento a giocare con i suoi videogiochi, ma che aveva
evidentemente ascoltato quello che Bulma e sua madre si stavano dicendo.
La giovane lo guardò “Beh,
perché...” “Voglio diventare il
più forte di tutti” le parole che le aveva rivolto
il ragazzino le tornarono alla mente. “Kakaroth ha ragione,
da quello che ci hai detto sembri una ragazza in gamba e penso che tu
possa realizzare i tuoi sogni anche dopo la nascita del tuo
bambino” rincarò la dose Gine.
Bulma guardò madre e figlio, i suoi occhi scivolarono verso
la parete abbellita dai trofei, ed infine tornò alla donna.
“Lei come ha fatto? Dopo suo figlio, intendo”
chiese, pentendosene. Per un istante ebbe l'impressione di essere stata
indiscreta, ma Gine non sembrò esserne infastidita.
“Beh, la nostra situazione era un po' diversa dalla tua. Io e
mio marito Bardack ci siamo conosciuti a scuola ed eravamo coetanei, ma
eravamo anche un po' più giovani di te” la sua
mente sembrò tornare a quei tempi ricordando anni passati.
“È stata dura e i nostri genitori non sono mai
stati molto comprensivi come sembrano essere i tuoi, ma le cose
migliorano con l'andare del tempo” le accarezzò
una spalla in segno d'incoraggiamento. “Radish è
sempre stato molto turbolento, come potrai immaginare” era il
figlio che era finito in carcere, dopotutto “Ma nonostante
tutto non ci siamo mai pentiti di averlo avuto” a questa
affermazione della madre, Goku emesse un suono di disapprovazione dalle
labbra accompagnato da una smorfia. La sua reazione suscitò
l'ilarità di Bulma.
Era ovvio che tra i due c'era un tipico attrito tra fratelli.
“Spero che un giorno potrò dire la stessa
cosa” disse la giovane, e la sua mano toccò il
pendaglio della sua collana. Se proprio doveva immaginare il futuro, in
qualsiasi modo si fosse risolta la questione dei suoi studi, auspicava
di poter almeno dire di non essersi pentita di essere diventata madre,
anche se con qualche anno in anticipo rispetto alla media.
“Sono sicura che sarà così”
la incoraggiò Gine. Gli occhi neri della donna si scostavano
sulla pancia della giovane “Come sta andando nel frattempo? A
quante settimane sei?”. Bulma si toccò il ventre
“Ventiduesima, ma sta andando bene, anche se mia madre pensa
che non mangio abbastanza” le rispose.
Gine la guardò con attenzione, era giovane e magra, se non
fosse per la gravidanza, ma le sembrava in buona salute, tuttavia non
avendola conosciuta prima non aveva idea della sua costituzione
naturale. “E tu pensi che abbia ragione?”
“Non lo so, a me sembra di divorare tutto quello che mi
capita”.
Bulma si era accorta che non aveva mai ingurgitato così
tante schifezze in tutta la sua vita, tanto quanto le era capitato
negli ultimi mesi. Era sempre stata molto attenta alla linea ed era
abituata a contare le calorie. Da quando era rimasta incinta invece
ogni cosa commestibile che finiva alla sua portata la trangugiava senza
esitazione. Pentendosene in un secondo momento.
La sua dottoressa però le aveva assicurato che la sua dieta
era ben proporzionata e che non stava né esagerando
né digiunando.
“E mi sembra di essere una palla di lardo” aggiunse
con una smorfia. Gine rise “E dovrai diventare molto
più grossa di così, te lo assicuro”
Bulma sospirò “Sì, questo
l’ho capito da tempo” l’idea continuava a
non entusiasmarla, ma aveva imparato ad accettarla.
“Come sta il papà invece? Sei più
riuscita ad andarlo a trovare?” la giovane scosse mestamente
il capo. “A dire la verità non lo sento nemmeno
per telefono da quasi un mese” confessò a fil di
voce. “Cosa? Come mai?” esclamò Gine e
anche Goku smise di giocare per voltarsi a guardarla.
Bulma scosse il capo, “Non lo so, prima mi chiamava almeno
una volta ogni due settimane, ma è da un po' che non si fa
sentire... sono un po' preoccupata” per qualche ragione
queste persone le suscitavano sempre una grande simpatia, ritrovandosi
ad ammettere cose che non aveva mai detto a nessuno.
Il silenzio di Vegeta la stava mettendo in agitazione da un po' e se
avesse cambiato idea su di lei? E se non volesse più vederla
o sentirla?
Gine guardò un grosso orologio appeso sulla parete accanto
alla porta “Ascolta, mio marito tornerà a casa tra
un'oretta circa. Se non ti da fastidio aspettare, appena arriva
possiamo andare tutti alla prigione” suggerì.
CONTINUA…
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Capitolo 26 *** Buone e cattive notizie ***
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MY WORLD
Buone e cattive notizie
“Ehi,
bentornato Vegeta” lo accolse Radish intercettandolo nel
corridoio, appena lo aveva riconosciuto. Vegeta sospirò, di
tutte le persone nella quale doveva imbattersi, appena rientrato
dall'infermeria, doveva essere proprio il compagno di cella?
Della scazzottata nei bagni portava ancora i segni, ma nulla di grave.
Il residuo di un occhio nero e un paio di punti di sutura sulla fronte
che erano ancora coperti da un cerotto.
Il danno più grave che aveva subito era stata la lieve
commozione cerebrale che lo aveva obbligato a restare in osservazione
per settimane. Dalla quale si era ormai ripreso.
Vegeta, che di solito era una persona attiva, aveva sofferto
più la noia di dover restare sdraiato senza poter fare nulla
che non per i dolori fisici. Non che avesse molta nostalgia di alzarsi
presto per andare a pulire i cessi, ma se proprio dovevano torturarlo,
costringerlo in un letto a tempo indeterminato era forse il modo
più crudele per farlo.
“Che fine hanno fatto quei maledetti?”
ringhiò, notando l'assenza dei suoi assalitori mentre
continuava a percorrere il corridoi seguito da Radish come se questi
fosse una sorta di cagnolino. “Non sono ancora
tornati” lo informò l'altro prigioniero
“Sono in isolamento dopo la scazzottata. Dicono che li
terranno lì per almeno un'altra settimana”.
Radish affrettò il passo per riuscire a tenergli testa,
“Ho sentito che li hai conciati per le feste anche se erano
in vantaggio numerico” “Tsk, non
abbastanza” commentò infastidito l'altro.
Vegeta si fermò d'un tratto, “Ora sparisci, ho di
meglio da fare che parlare con te” brontolò
osservando la fila davanti ai telefoni.
Non sentiva Bulma da prima della baruffa e in infermeria non aveva
avuto la possibilità di chiamarla. La conosceva, se non si
fosse fatto sentire al più presto si sarebbe preoccupata o
arrabbiata e Vegeta concluse che farla innervosire non avrebbe giovato
al bambino.
L'annuncio delle visite che elencava i dieci prigionieri attesi dai
loro cari partì regolare come sempre. Vegeta
imprecò in silenzio quando sentì, tra gli altri,
anche il suo nome proprio quando era in procinto di mettersi in coda.
Tra tutta la procedura per arrivare fin lì e il colloquio
con chiunque stesse aspettando, non avrebbe fatto in tempo a reclamare
una telefonata e questo lo avrebbe costretto a rimandare al giorno
dopo. Altre ventiquattro ore nella quale Bulma avrebbe aspettato una
chiamata che non sarebbe avvenuta.
Malvolentieri girò i tacchi avviandosi verso la sala delle
visite. Ancora più seccante era essere seguiti come un'ombra
da Radish. Non se ne sarebbe liberato fino a quando gli avrebbero
assegnato il tavolo. Si era accorto che anche lui era stato chiamato.
Radish cercò ancora una volta di stare dietro all'altro
prigioniero, sapendo che stavano andando nella stessa direzione.
Tuttavia la guardia che lo aveva perquisito all'arrivo fu
più veloce rispetto a quello che stava controllando Vegeta.
Per questo motivo entrò per primo lasciandosi il compagno di
cella alle spalle.
Trovato il tavolo che gli era stato assegnato si accomodò
trovandosi davanti alla madre e al fratello minore.
“Ciao Radish, come stai?” domandò la
donna appena vide il figlio. Radish tuttavia non poté fare a
meno di notare una considerevole assenza, “Dov'è
papà?” le chiese sentendosi un po' offeso.
“È andato ad aiutare un'altra persona, ma ti
saluta e dice che passerà appena gli sarà
possibile” lo informò.
L'uomo non parve troppo contento, incrociò le braccia
“Quindi mi devo accontentare dell'impiastro?”
“Ehi!” esclamò risentito Kakaroth.
“Non cominciate!” li ammonì entrambi
Gine “Comunque, ho una buona notizia, Bardack ha avuto una
promozione a lavoro, prenderà uno stipendio un po'
più alto ora” “Beh grandioso”
commentò sarcastico il figlio.
“Papà ha detto che ora potremo permetterci un
nuovo computer” aggiunse il fratello. Radish emesse un verso
seccato con la bocca “Sai cosa me ne frega,
nanerottolo” lo prese in giro sollevando gli occhi al
soffitto come se anche solo ascoltarlo fosse tedioso. “Io non
sono un nanerottolo!” protestò di nuovo il minore.
Gine additò il figlio maggiore dietro il vetro
“Piantala Radish, non continuare a provocarlo. Hai ventisette
anni, non dovrei più dirtelo alla tua
età!” si voltò verso il minore
“E tu smettila di cadere nelle sue trappole, Kakaroth, non lo
vedi che lo fa apposta?” “Ma io non ho fatto
nulla” lagnò il ragazzino.
***
“Si
può sapere cos'hai fatto in faccia?”
esclamò Bulma, non potendo fare a meno di notare i segni
della baruffa ancora visibili sul volto di Vegeta. “Tsk, non
è nulla” minimizzò “Ho solo
sbattuto la testa” “Contro cosa? Un muro di
cemento?” beh, era anche ricoperto da piastrelle di marmo se
proprio si voleva mettere i puntini sulle i, ma era stato
l’impatto col pavimento ad essere più doloroso.
“Lascia perdere” gli occhi di Vegeta si scostarono
sull'uomo che a braccia incrociate se ne stava in disparte, come
nell'occasione precedente. Bulma decise di fare quanto suggeriva, se
c'era un muro qui quello era la sua testa. Almeno adesso aveva capito
perché non si era fatto sentire di recente, anche se non ne
comprendeva appieno il motivo.
La ragazza sospirò “Mi sa che hai ragione, non
voglio sprecare questa occasione per parlare di questo, se tanto hai
deciso che non me lo vuoi dire... anche perché temo che non
potrò venire a trovarti per un bel po'”. Vegeta
inarcò un sopracciglio, “Cosa intendi
dire?” domandò confuso.
Bulma si toccò la collanina ed abbassò lo sguardo
“Perché appena sarà finita la scuola
dovrò preparare l'esame d'ammissione
all’università e non avrò il tempo di
passare a trovarti” spiegò, ma l'uomo non
sembrò aver risolto i suoi dubbi “Di cosa stai
parlando? Perché dovresti dare un esame?”. Bulma
scostò lo sguardo “Mi hanno... mi hanno revocato
la borsa di studio” “Che cosa?!
Perché?” sbottò lui.
La giovane poggiò entrambe le mani sulla pancia gonfia,
sollevò gli occhi azzurri con uno sguardo intriso di grande
tristezza e con un velato sorriso melenso gli comunicò la
risposta in silenzio. “Stai scherzando?”
mormorò Vegeta quando comprese, ma lei scosse il capo.
“A quanto pare l'università non vuole investire
soldi in una ragazza madre” ripeté testualmente
lei, la voce incrinata dalla sua disperazione che riuscì a
non tramutare in pianto.
Vegeta restò a guardarla a bocca aperta. Ricordava
perfettamente il giorno in cui gli aveva detto della borsa di studio,
come avrebbe mai potuto dimenticarlo, e la conseguente rabbia che era
scaturita dalla notizia. Si era sentito un po' geloso e preoccupato,
all'idea che lei sarebbe andata a studiare a chilometri di distanza, ma
questo non era certo quello che voleva. Ed era colpa sua, lui l'aveva
messa incinta!
“Potrò andare all'università solo se
riuscirò a superare l'esame, sempre se la mia scuola
riuscirà a convincerli a farmelo almeno sostenere”
c'erano un po' troppi se per i gusti di Vegeta, in quella frase.
“Per questo devo studiare, così almeno
avrò una possibilità, anche se non
sarà facile” Bulma si guardò il grembo
e lo accarezzò con delicatezza “Sai, dobbiamo
anche pensare alle spese per il bambino”.
Scese il silenzio, mentre Bulma si lasciò per un attimo
sopraffare da un magone alla gola e Vegeta dai sensi di colpa.
“Ah! Però ho anche delle belle notizie!”
esclamò lei all'improvviso per scacciare la malinconia
“Siccome non mi hai più chiamato non sono riuscita
a dirtelo, ma... è maschio!” Vegeta si riscosse
“Davvero?” lei annuì.
Bulma infilò una mano nella tasca “A proposito,
devo chiederti una cosa importante” gli disse aprendo un
foglio spiegazzato, che aveva estratto insieme ad una penna, per poi
poggiarlo sul vetro che li separava.
Era una lista di nomi, tutti maschili, che lei aveva scarabocchiato
ogni qualvolta gliene piaceva uno dal libro che le aveva dato sua
madre. “Dobbiamo cominciare a decidere, quindi mi devi dire
quali ti piacciono tra questi. Dimmene almeno... mmh... almeno
cinque” ordinò. “Che? Non ne ho
idea” brontolò lui cercando di sottrarsi e di
allontanarsi dal vetro.
Bulma fece una smorfia come una mocciosa, “Non fare il
difficile Vegeta! Se ci pensi non mi pare di chiederti poi
molto!” esclamò lei. Vegeta ci rimuginò
su e una parte di lui non poté che concordare, dopotutto non
era una richiesta troppo eccessiva.
“Io non...” mormorò incerto leggendo la
lista che gli stava mostrando. Bulma aveva davvero una pessima
calligrafia e metà dei nomi non era nemmeno leggibile.
“Tr... unks?” disse Vegeta con un po' d'incertezza,
scegliendo semplicemente il primo che gli era capitato di vedere.
“Bene!” concordò lei. Staccò
il foglio dal vetro e lo appoggiò sul tavolo. Con la penna
cerchiò il nome, ma prima che potesse chiuderlo si
fermò “Ahia!” esclamò d'un
tratto, toccandosi il grembo. “Ehi, Bulma, tutto
bene?” volle sapere lui leggermente apprensivo, “Mi
ha tirato un calcio ed era anche bello forte” lo
informò. Una parte di Vegeta avrebbe voluto spaccare il
vetro per poterle poggiare una mano sulla pancia e sentire anche lui.
Non era di certo il primo segnale di vita dall'interno, ma Bulma non ne
aveva mai percepito uno così forte. Sorrise
“È un buon segno” gli disse
“Forse gli piace il nome, oppure è felice anche
lui di vedere il suo papà”.
CONTINUA…
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Capitolo 27 *** Le parole di un messaggero ***
d
ENTER
MY WORLD
Le parole di un messaggero
Di
tutte le cose che odiava in prigione, la cosa peggiore era senza dubbio
il cibo.
Lasciamo perdere il fatto che era immangiabile nonché
un'offesa ai sensi, tutti e cinque... in qualche modo. La cosa
più snervante erano le porzioni.
Ok, bisognava ignorare il fatto che metterlo in bocca poteva avere
delle ritorsioni, ma i piatti erano talmente striminziti da non essere
in grado di saziare nemmeno una formica. Forse contavano sul fatto che
fossero tutti così disgustati dal cibo da non voler
rischiare di mandarne giù più del necessario.
Il problema, per Vegeta almeno, era che lui aveva un appetito
praticamente insaziabile. Quando si sedeva al tavolo poteva finire da
solo un'intera teglia di cibo e chiedere il bis.
In carcere non sapeva se voleva rischiare una seconda portata o se
preferiva alzarsi da tavola affamato come se non avesse nemmeno
mangiato. Certi giorni non riusciva a comprendere e se ad innervosire
il suo stomaco era la nausea o la fame.
Scoraggiato osservò il pasto melmoso che aveva davanti
cercando di capire se quelle nel suo vassoio fossero patate o pezzi di
carne... neanche dopo averlo assaggiato riuscì a svelare
l'arcano. E poi cos'era quel agglomeramento verde? Verdure o legumi?
“È occupato?” chiese una voce in
relazione al posto libero di fronte a lui e Vegeta, che la riconobbe,
ringhiò “Sì, vai a sederti da un'altra
parte” “Non ci sono altri posti liberi”
gli fece notare Radish.
Vegeta sollevò il capo, dopo aver visto scivolare il coagulo
di cosiddetto cibo dal suo cucchiaio di plastica. Si guardò
intorno notando tutti i vari gruppetti di carcerati raggruppati ai
tavoli.
Di posti liberi ce n'erano in abbondanza, ma nessuno che Radish potesse
occupare. Nessuno dei due aveva una banda o un gruppo di appartenenza,
erano due emarginati senza compagni. Tuttavia se a Vegeta andava bene
così, considerato che preferiva la solitudine e la
capacità di cavarsela da solo, Radish era meno indipendente
e aveva bisogno di aggregarsi a qualcuno.
Prima che Vegeta finisse dietro le sbarre, Radish aveva già
scontato un anno della sua condanna e lo aveva passato
perlopiù da solo. Quando finalmente gli venne assegnato un
nuovo compagno di cella, a seguito della scarcerazione del precedente,
aveva trovato qualcuno con la quale parlare.
Vegeta non era la persona più amichevole del mondo, questo
era innegabile, ma era sempre meglio di niente e per Radish quella era
una boccata d'aria fresca in un posto che aveva l'odore del letamaio.
Aveva solo bisogno di un amico e l'aveva trovato in Vegeta, nonostante
quest'ultimo non fosse molto d'accordo.
Radish si accomodò nonostante le proteste più o
meno velate dell'altro carcerato. “Che cos'è
questa roba?” domandò quando ebbe modo di guardare
il piatto, “Non ne ho idea” commentò
Vegeta altrettanto confuso. Questo era uno di quei giorni in cui
preferiva non rischiare e fare la fame. “Sembra che qualcuno
abbia tritato gli avanzi degli ultimi sei mesi” concluse
Radish, osservando il suo cucchiaio pieno di quella... roba.
L'assaggiò... sapeva di fango. Con disgusto fece ricadere la
posata sul vassoio. Dall'altra parte del tavolo, Vegeta stava ancora
giocando con il pasto sollevando il cucchiaio carico di cibo solo per
farlo ricadere sul piatto, come fosse liquame. Era decisamente uno dei
giorni peggiori.
Radish decise di cambiare argomento “Ehi, pensi che avrai
visite oggi?” gli domandò. Vegeta smise di giocare
con il... ehm... cibo, “No” rispose risoluto.
“Perché no?”
“Perché non sono affari tuoi”
tagliò corto il barista, non troppo incline a fare
conversazione.
Delle grida si levarono dal fondo della mensa. Radish, che dava le
spalle alla porta, si voltò. Contemporaneamente Vegeta
scostò lo sguardo nella stessa direzione.
La squadra Ginew!
“Devono essere usciti dall'isolamento”
statuì l'ovvio Radish, osservando il gruppetto acclamato dai
loro amici come se fossero degli eroi. Vegeta spezzò la
posata che stringeva tra le mani, non che ci volesse poi molto essendo
fatte di plastica. “Quei maledetti”
sibilò irritato, “Pagheranno per quello che mi
hanno fatto” affermò in seguito.
Sorpreso Radish si voltò di scatto “Stai parlando
sul serio? Ma quelli sono in quattro e noi siamo in due”
“Sbagliato, io sono da solo e comunque quegli imbecilli non
sono sempre in quattro” gli fece notare Vegeta, sul cui volto
si estese un ghigno crudele.
Se non altro ebbe la soddisfazione di notare che Jeeth aveva ancora il
naso fasciato e la dentatura di Rikoom aveva molti pezzi mancanti.
***
“Perché
quelli cerchiati?” le chiese Crilin leggendo il foglio che
aveva tra le mani. Lazuli si chinò verso di lui per leggere
a sua volta. “Perché sono quelli che piacciono
anche a Vegeta” li informò Bulma.
Il gruppo era seduto su alcune panchine sotto un albero nel giardino
della scuola. Passare l'intervallo all'interno dell'edificio era
impensabile con il caldo soffocante di giugno.
“Shorts è carino” commentò
l'amico dopo averci pensato un po'. Alle sue spalle Lapis si
appoggiò allo schienale della panca e sbirciò la
lista di nomi da sopra le teste dell'altro ragazzo e della sorella.
“A me piace Trousers” fece sapere alla futura
madre, “Trousers non è cerchiato” gli
fece notare Bulma. Il gemello alzò le spalle, era difficile
dire se avesse ignorato di proposito le istruzioni o se non ci avesse
fatto caso.
Gli occhi di Bulma si scostarono su Yamcha, in piedi accanto a Lapis.
Era appena un paio di passi di distanza dagli altri e la ragazza si
domandò se riuscisse anche solo a leggere il foglio da
lì. Sentendo la mancanza della sua opinione aprì
bocca per domandargliela direttamente. “A me piace
Trunks” le disse Lazuli, distraendola dal suo intento,
“Vero?! Anche a me piace molto” esclamò
l'amica.
“Mi dispiace disturbare questa piacevole
conversazione” s'introdusse una voce, costringendo tutti a
voltarsi, Whis li guardò con un sorriso cordiale
“Ma avrei bisogno di parlare con la Signorina Bulma per un
secondo, se a voi signori non dispiace” domandò
cortese, gli amici si guardarono attorno. “Oltretutto
l'intervallo è quasi terminato e sarebbe una buona idea
cominciare ad avvicinarsi all'aula” puntualizzò in
seguito il professore.
Crilin fu il primo a scattare “Sissignore” gli
disse, porgendo il foglio alla legittima proprietaria. “Vi
ringrazio” disse loro quando vide il quartetto allontanarsi
in direzione della scuola.
Incuriosita, Bulma osservò l'uomo in attesa di conoscere le
sue intenzioni, “C'è qualche problema?”
lo esortò. Whis le sorrise “Al contrario, vengo a
portarle buone notizie” gli occhi di Bulma s'illuminarono di
speranza.
L'insegnante le pose un fascicolo che aveva portato con sé
“La informo che la scuola ha raggiunto un accordo con
l'università in merito al suo test d'ingresso”
disse nascondendo il braccio dietro la schiena, dopo che lei
s'impossessò dei documenti.
Bulma aprì la cartellina, cominciando a leggerne il
contenuto “Che tipo di accordo?” gli chiese
nonostante stesse cercando di comprenderlo per conto suo.
“Come le avevamo anticipato le sarà consentito
svolgere l'esame in questo istituto a metà luglio, il giorno
stesso in cui lo dovranno sostenere anche i suoi compagni.
Dovrà farlo qui da sola in presenza di un rappresentate
della scuola, che sarei io, di un professore universitario e un
supervisore esterno” con un gesto del polso fece scivolare la
mano in un invito a leggere i fogli che le aveva consegnato.
Il modo che l'insegnante aveva di muovere le lunghe ed affusolate dita
era sempre molto elegante e sinuoso. Diventava quasi ipnotico durante
le lezioni, catturando l'attenzione della classe grazie a quelle
movenze effeminate.
“È fantastico! Non so come ringraziarla
professore” esclamò Bulma, al settimo cielo. Whis
sorrise con la sua immancabile finezza in aggiunta ad un pizzico di
mistero. Ridacchiò portandosi le punta delle dita alla
labbra “Ohohoh, non ringrazi me, Signorina, io sono solo il
messaggero” la giovane lo fissò incerta per un
istante, “Il rettore non voleva lasciarle sostenere l'esame
fuori sede, ma il Signor Beerus ha creato un pandemonio pur di darle
questa possibilità” “Lord Beer... ehm,
il vicepreside ha cercato di aiutarmi?” sbottò
sbalordita.
Whis la fissò con quegli occhi pallidi che sembravano avere
sempre tutte le risposte dell'universo, poiché nulla
sembrava sfuggirgli, nemmeno il simpatico soprannome che gli alunni
aveva dato al suo superiore.
“Esatto” confermò appoggiandosi una mano
accanto alle labbra e chinandosi appena verso di lei “Ma
questo deve restare un segreto tra noi” le
bisbigliò.
Il suono della campana proruppe tra il caos del corpo studentesco che
li circondava. L'insegnante sollevò lo sguardo
“Oh, l'intervallo si è concluso”
appurò portandosi anche l'altra mano dietro la schiena
“L'attendo in classe appena avrà modo di
raggiungermi. Dopotutto è ancora una mia studentessa per
un'altra settimana” le disse. In seguito chinò il
capo in un leggero inchino di congedo e si allontanò.
CONTINUA…
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Capitolo 28 *** Basta un attimo di distrazione ***
d
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MY WORLD
Basta un attimo di distrazione
Luglio
era giunto con prepotenza, segnando l'inizio di un'estate che si
preannunciava rovente.
Era davvero difficile studiare con questo caldo!
In aggiunta a ciò il costante pensiero rivolto ai suoi amici
che si stavano godendo la meritata vacanza al termine degli studi,
prima di affrontare un nuovo futuro, continuava a fluttuarle per la
mente. Non erano più studenti delle scuole superiori e
ognuno di loro aveva deciso di percorrere la propria strada.
Quella di Bulma era ancora legata a quel test d'ammissione che avrebbe
dovuto affrontare tra due settimane e che stava cercando di preparare.
Tuttavia continuava ad immaginare i suoi amici in piscina, al parco
oppure in un luogo fresco senza di lei e doveva ammettere di essere un
po' invidiosa.
Eppure, soltanto l'anno scorso, avevano passato il tempo insieme
ipotizzando cosa avrebbero potuto fare alla fine del liceo, tuttavia
nessuno avrebbe potuto fare certe previsioni.
Bulma un anno fa non conosceva nemmeno Vegeta, e di certo non credeva
che avrebbe ottenuto, e perso, una borsa di studio e ancora meno poteva
immaginare di aspettare un bambino a più di mese di distanza
dal suo diciottesimo compleanno.
Molte cose possono cambiare nel corso di un anno.
La sola scappatoia dall'afa estiva era la finestra spalancata della sua
camera da letto, dalla quale giungeva una lieve brezza di tanto in
tanto. E sebbene avesse anche un piccolo ventilatore, perché
sua madre aveva insistito che restasse al fresco, non pareva essere
sufficiente.
Bulma era tutta sudata, e si era vista costretta a sollevare la
canottiera che indossava sopra il pancione per dargli un po' d'aria. La
stoffa copriva solo il suo seno pieno ed ingrossato.
Ci aveva fatto caso spesso negli ultimi tempi, la sua
sinuosità era ingigantita al pari del suo ventre e quando le
era capitato di guardarsi allo specchio, con quei grossi seni pieni, si
era ritrovata a pensare a Vegeta, se a lui sarebbero piaciuti. Forse
gli sarebbe piaciuto poterlo toccare ed in cuor suo, Bulma avrebbe
tanto voluto poterglielo permettere.
Quando il pensiero si rivolse al suo ragazzo i suoi occhi si scostarono
sul suo cellulare, adagiato sulla scrivania ingombrata di libri,
quaderni e del suo computer che stava utilizzando per lo studio.
Dopo la loro ultima conversazione erano rimasti d'accordo che,
indipendentemente dagli impegni accademici di Bulma, se Vegeta ne
avesse avuto l'occasione l'avrebbe comunque chiamata. D'altra parte le
telefonate non potevano durare più di cinque minuti e lei
gli aveva spiegato che preferiva sentire la sua voce di tanto in tanto
piuttosto che non avere sue notizie troppo a lungo. Soprattutto dopo
aver notato il suo viso contuso la volta scorsa, della quale non aveva
ottenuto alcuna spiegazione.
Doveva solo avere ancora un po' di pazienza tuttavia, superato l'esame
tra due settimane, agosto sarebbe stato dietro l'angolo e con esso il
suo compleanno. Per allora sarebbe stata in grado di fargli visita
senza la necessità di una balia. Goku e la sua famiglia
erano stati molto gentili e il signor Bardack si era dimostrato un
cicerone molto discreto, ma Bulma sentiva la sua presenza alle spalle
ogni volta che parlava con Vegeta. Ancora poco e sarebbero stati liberi
di dirsi tutto quello che volevano. Magari avrebbe avuto l'occasione di
chiedergli se i seni così grossi erano di suo gradimento.
Purtroppo per il momento doveva accontentarsi di un telefono
silenzioso. Per oggi sembrava che Vegeta non avrebbe chiamato, l'orario
sarebbe scaduto a breve e di lui neanche l'ombra.
Bulma cacciò il pensiero e riprese a studiare al meglio
delle sue possibilità, ma non era certo facile se al
già oppressivo caldo si aggiungeva un nascituro che aveva
deciso di rivoltare il suo utero in cerca di una posizione comoda... o
di qualcosa da fare.
La ragazza si poggiò una mano alla pancia, accarezzandosela
nella speranza di tranquillizzarlo, ma oggi la piccola peste era
parecchio sveglia. “Ti prego, cerca di stare fermo
lì dentro, la mamma deve concentrarsi” gli disse
nella speranza che lui potesse comprendere le sue parole.
Adagiò la penna che stava utilizzando sul tavolo e
girò la sedia per fare in modo che il pancione non stesse
sotto la scrivania. Si accarezzò il ventre con entrambe le
mani “Andiamo piccolino stai buono”
cercò di convincerlo e questa volta funzionò.
Un leggero tonfo attirò la sua attenzione, solo per scoprire
che la biro era scivolata lungo il suo quaderno, era rotolata sulla
superficie del tavolo ed era finita al suolo prima che lei potesse fare
nulla per fermarla.
Questo era un problema bello grosso.
Bulma sospirò scontenta e provò ad alzarsi dalla
sedia. Era, e si sentiva, davvero enorme di questi tempi avendo
l'impressione che pure lei potesse andare giù per una
collina rotolando come aveva fatto la penna. Per sollevarsi, infatti,
fu costretta ad appoggiare il suo peso sulla scrivania poggiandosi sul
braccio destro.
Una volta in piedi, si adagiò la mano destra sul punto
più basso della pancia, senza smettere di tenersi al mobile,
e si portò accanto alla penna che la guardava dal pavimento
deridendola.
Piegandosi sulle ginocchia si abbassò fino a quanto ne fu in
grado nella speranza di poter raggiungere la biro. Riuscì a
sfiorarla con la punta del medio destro, intrappolandola tra due dita.
Con somma soddisfazione riuscì miracolosamente ad alzarsi e
senza bisogno di chiamare un carroattrezzi per farlo.
Tuttavia di tutte le cose per la quale era stata costretta a prestare
attenzione, quella che non aveva previsto era il fatto che la sua mano
sinistra aveva sfregato contro un libro sulla scrivania che fuoriusciva
dal bordo del tavolo. A furia di muovere il tomo anch'esso, assieme a
molti fogli e blocchi d'appunti, crollò al suolo.
Bulma li guardò sconfortata. Aveva impiegato almeno cinque
minuti per raccogliere solo una penna, per recuperare tutto
ciò che era finito a terra ci sarebbe voluto il resto del
pomeriggio. La cosa peggiore di tutte era che non poteva nemmeno
posticipare l'incombenza, poiché quello era il libro di
testo dalla quale stava studiando.
Sconfortata, ma non arrendevole, cominciò l'operazione di
recupero del libro.
“Toc toc! Ti ho portato qualcosa da mangiare e da
bere” proruppe sua madre entrando in camera sua con un
vassoio. “Mamma!” piagnucolò Bulma, che
non era mai stata così felice di vederla “Aiutami
ti prego” mormorò esausta e supplichevole.
Panchy osservò la situazione e comprese l'ostacolo che stava
affrontando la figlia, “Ci penso io cara” la
rassicurò adagiando il portavivande sulla scrivania ed
infilando una bottiglia d'acqua fresca nelle mani della figlia. Bulma
non se lo fece ripetere e bevve una lunga sorsata della dissetante
bevanda.
“Ho chiamato la dottoressa oggi” la
informò la donna mentre si occupava di raccogliere i primi
superstiti dal suolo “Abbiamo deciso che dopo l'esame dovrai
fare una visita di controllo ogni settimana fino al parto”
disse poggiando il libro ed alcuni fogli sulla scrivania. Bulma
sospirò, non le piacevano gli accertamenti dal medico, si
sentiva a disagio, “È proprio
necessario?” brontolò “Sì lo
è” tagliò corto la madre.
La ragazza si arrese, era per il bene del suo piccolo e non
protestò più di tanto.
Panchy recuperò l'ultimo foglio e si ritrovò a
guardarlo, “Oh, state già pensando al nome? Il
libro ti è stato d’aiuto?”
notò, la figlia annuì “Sì,
sto cercando di restringere il campo, ma ce ne sono un paio che mi
piacciono” la informò sorridendo.
***
Le
cosa migliore del periodo estivo, era che molti dei prigionieri
preferivano l'aria aperta, dedicandosi a sport di squadra o al
bighellonaggio lontani delle mura vecchie della prigione.
Lui era più affine al sollevamento pesi ed era decisamente
l'attività che preferiva di più quando ne aveva
la possibilità. E non c'era nessuno a disturbarlo se tutti
gli altri si trovavano in cortile.
In aggiunta a ciò l'ora di libertà stava
giungendo al termine e molte persone avevano rinunciato
all'attività nella piccola stanza adibita a palestra. Era
rimasto da solo ad alzare la barra dei pesi, mentre era sdraiato sulla
panca.
Con forza i suoi muscoli spinsero l'asta verso l'alto a ritmo regolare.
Uno, due... uno, due... uno, d...
All'improvviso non gli fu più possibile sollevare i pesi che
erano diventati più gravosi. Scioccato dall'improvviso
cambio di carico, sollevò il capo accorgendosi che qualcuno
stava tenendo le mani premute sulla barra aggiungendo la sua forza ed
il suo peso per impedirgli di sollevarlo.
“V... Vegetuccio” farfugliò Rikoom nel
tentativo di liberarsi della sua presa. Infastidito
dall’odioso nomignolo, l'altro aumentò la forza
con la quale stava premendo la barra che si avvicinò
pericolosa alla gola del colosso.
“Voi idioti mi state sottovalutando, pensate davvero che
basta tendermi un agguato per spaventarmi?” il baricentro si
abbassò ulteriormente e l'asta cominciò a premere
contro la pelle dell'uomo sdraiato che cercava comunque di combattere.
“L... lasciami” farfugliò Rikoom che
essendo svantaggiato non riuscì a controbattere la pressione
che stava opponendo Vegeta sulla barra, “L'unica cosa che
avete ottenuto è stata quella di farmi arrabbiare e ora ve
ne farò pentire” ringhiò l'assalitore.
Vegeta si avvicinò all'orecchio di Rikoom “Avvisa
il tuo caro Ginew di tenere gli occhi sempre bene aperti qui
dentro” gli sussurrò.
“Ehi! Che succede lì?” tuonò
una guardia che si trovava nei paraggi. Vegeta lasciò la
presa ed abbassò le braccia “Proprio
nulla” rispose a fil di voce, un sorriso enigmatico sul volto.
Rikoom sollevò la barra appena ne ebbe l'occasione e la
ripose sugli agganci dietro la sua testa. A fatica annaspò
in cerca d'aria. Si appoggiò una mano al collo e si rimise
seduto sulla panca. “Ti pentirai di averlo fatto,
Vegeta” gli ringhiò contro.
L'altro si voltò a guardarlo, il ghigno si
accentuò in uno sguardo crudele, “Staremo a
vedere” concluse Vegeta, uscendo dalla stanza a seguito del
secondino.
CONTINUA…
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Capitolo 29 *** Un'immagine residua ***
d
ENTER
MY WORLD
Un'immagine residua
“Ha
finito presto Signorina Bulma, è sicura di non voler
verificare le sue risposte un'ultima volta prima di
consegnare?” le domandò Wish quando lei gli mise
tra le affusolate dita il test compilato. La giovane scosse il capo
“No, ho già controllato più di una
volta e credo di non avere nulla da aggiungere” lo
rassicurò.
Bulma aveva impiegato due ore e mezza, delle sei concesse, per
concludere il compito che aveva trovato davanti. Era stato duro, lo
studio che aveva affrontato nelle scorse settimane era valso la pena,
ma si sentiva soddisfatta del risultato. Nessuna domanda era stata
eccessivamente complicata e di intoppi veri e propri, che l'avevano
costretta a bloccarsi per cercare una risposta dimenticata nella sua
mente, non erano stati né troppi né troppo
impegnativi.
Era la migliore studentessa della sua classe, del suo anno e forse
anche della sua età, non per nulla quella borsa di studio
era dapprima andata a lei.
Whis le sorrise, notando l'incredibile sicurezza sul viso della giovane
“Molto bene. Sono sicuro che il suo voto sarà
eccellente” “È quello che credo
anch'io” commentò lei.
“Beh, è libera di andare, dunque. E mi auguro che
si farà onore alla facoltà così come
si è distinta anche qui da noi” le disse il
professore, facendole cenno di accomodarsi alla cattedra per le
procedure di rito prima di lasciare l'aula.
Salutati anche gli altri docenti, Bulma uscì dalla classe
sentendosi una persona nuova. Aveva appena dato l'esame per la quale
aveva studiato senza sosta per l'ultimo mese, senza contare tutto il
tempo impiegato per dimostrare di essere meritevole della borsa di
studio. Ora era libera, almeno per un po'.
Dopo essere stata in bagno, necessità di una donna incinta,
si avviò a testa alta verso l'uscita del plesso scolastico.
A pochi passi dall'ingresso si bloccò.
Quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe messo piede in
quell'edificio, nella quale aveva passato gli ultimi anni. Le fece un
po' paura, stava per affrontare un'avventura sconosciuta.
“Ci siamo piccolo mio” sussurrò al
bambino, uscendo da quella porta entrambi avrebbero dovuto affrontare
una nuova vita, anche se in modi molto diversi.
Bulma si fece coraggio e riprese a camminare.
“Ehi ragazzina, vedi di laurearti, sono stato
chiaro?” le disse una voce alle sue spalle, prima che la luce
del giorno che filtrava dalla porta facesse in tempo a sfiorarle il
viso.
Si voltò per vedere Lord Beerus in mezzo al corridoio, in
mano quello che sembrava essere un budino, che la fissò con
un'espressione seria. Bulma fu piuttosto sorpresa, Lord Beerus era
sempre stato l'incubo degli studenti, il vicepreside dal pugno di ferro
che puniva gli alunni indisciplinati con eccessiva disciplina. Tuttavia
Bulma non aveva mai avuto problemi con lui e stando a quello che aveva
raccontato Wish era a lui che doveva la possibilità di
trovarsi lì quel giorno.
Ora che ci pensava, non aveva mai avuto modo di dimostrargli la sua
gratitudine. “Grazie di tutto Signor Beerus”
“Tsk! Sparisci da qui ora e non farmi perdere
tempo” brontolò lui sventolando la mano con la
quale reggeva un cucchiaino. Dopodiché si voltò e
si allontanò assaggiando il suo dolce.
Bulma gli udì esclamare quanto era squisito il suo dessert
prima di vederlo sparire dietro l'angolo.
***
I
suoi genitori si erano raccomandati di chiamare appena avesse finito
l'esame, così da farsi venire a prendere davanti alla
scuola, ma Bulma aveva preferito non disturbarli. Non sapeva quando
avrebbe finito il test e non voleva rischiare di far fare loro un
inutile avanti e indietro. Testarda decise di prendere l'autobus
così come aveva sempre fatto prima della fine dell'anno
scolastico.
Col senno di poi era stata una pessima idea.
Non aveva tenuto conto di molti fattori, tra giugno e luglio le
temperature erano salite in maniera considerevole e il caldo rendeva
tutto più faticoso. In aggiunta a ciò la sua
pancia era ormai gigantesca, nonché doppiamente pesante
rispetto a prima.
Se a questo si aggiungeva quella strana camminata scodinzolante, che
sembrava affliggere donne in stato avanzato, tutto era diventato molto
più faticoso. Eppure la sua fermata dell'autobus non era
troppo distante da casa, ma non le era mai sembrata così
lontana.
A metà strada fu costretta a fermarsi essendo esausta e
sudata. Sentendo di non poter muovere più un muscolo si
guardò attorno. C'erano due buone notizie, notò
subito. Dal lato opposto della strada c'era una gelateria che non
sembrava avere troppa gente in attesa. La seconda erano alcune panchine
poco più in là all'ombra.
Era un perfetto luogo dove sedersi e tirare il fiato.
Si era accomodata da almeno dieci minuti a mangiare il suo gelato
quando un volto familiare si presentò al suo cospetto.
Yamcha le sorrise cordiale “Ciao, pensavo avessi l'esame
oggi” la salutò. Bulma lo guardò un po'
sorpresa nel vederlo lì, ma in realtà non avrebbe
dovuto essere poi troppo meravigliata. Dopotutto non abitava molto
lontano e la bici che teneva con una mano le suggerì che era
uscito per farsi un giro. “Ho finito presto, stavo giusto
tornando a casa, ma avevo bisogno di una pausa” gli
spiegò. “Oh, allora com'è
andato?” s'informò cortese “Direi bene,
non era troppo complicato” minimizzò lei. Yamcha
le sorrise “C'era da aspettarselo”.
“Perché non mi fai compagnia?” Bulma
picchiettò una mano sulla panchina, lui parve indeciso per
un istante. Il sorriso che le diede era ancora quello un po' distante
che aveva ormai imparato a riconoscere.
Era sempre gentile, ma c'era un certo distacco emotivo nascosto dietro
la sua cordialità.
“Sicuro, prima se non ti dispiace andrei a prendermi un
gelato anch'io” additò il cono, ormai ridotto alla
punta del biscotto, che lei stava ancora mangiando. Adagiò
la bicicletta alla panca e fece un passo verso la gelateria.
“Aspetta!” lo bloccò lei “Ti
dispiace...” si vergognò un po' “Ti
dispiace prenderne un altro anche a me?” chiese a disagio.
Era sempre un po' imbarazzante far vedere agli altri quanto cibo stava
ingurgitando ultimamente, ma era davvero un ottimo gelato e la sua gola
le suggerì che ne voleva un secondo davvero, davvero davvero
tanto.
Yamcha annuì “Sicuro, non c'è problema.
Che gusto lo vuoi?” “Fragola e potresti portarmi
anche una bottiglietta d'acqua? Mia madre mi uccide se scopre che non
bevo abbastanza”.
***
“Hai
progetti per i prossimi giorni, visto sei libera adesso?” le
chiese Yamcha, accartocciando il fazzoletto con la quale aveva tenuto
in mano il suo gelato, ormai dissipato nel nulla. “Stavo
pensando di andare a scalare una montagna, ma qualcuno mi ha detto che
non si può fare” ironizzò Bulma,
sorseggiando dalla bottiglietta d'acqua. Il ragazzo emesse una sorta di
risata leggera.
La giovane si strinse nelle spalle “Quello che so
è che dalla prossima settimana dovrò andare dal
dottore ogni mercoledì, per il resto non ho molto altro che
posso fare” gli spiegò. Bulma abbassò
lo sguardo sul ventre e lo accarezzò
“Però mi piacerebbe andare a trovare il
papà” aggiunse forse parlando più col
bimbo che con l'amico.
Yamcha osservò le dita di lei per un attimo ed in seguito
scostò lo sguardo, strinse il pugno, deglutì
“Che tipo è... lui?” domandò.
Lei lo guardò con sorpresa, era la prima volta che l'amico
le faceva domande sul padre di suo figlio “Cosa vuoi sapere?
Si chiama Vegeta, ha venticinque anni gestisce un bar, gli piace
guidare una moto. È un po' scontroso, ma è una
brava persona” “Una brava persona?”.
Bulma ebbe una brutta sensazione nel modo in cui il ragazzo
ripeté quelle tre parole.
“Perché, ti sembra tanto strano?”
mormorò un po' sospettosa. “Sì, se
è tanto una brava persona allora perché
è finito in carcere?” la domanda di Yamcha
sembrò celare un velo di risentimento. Bulma si sarebbe
alzata in piedi con indignazione, se ne fosse stata in grado.
“Cosa vorresti dire? Guarda che non è un
delinquente, non ha ucciso nessuno o rapinato una banca”
tentò di girarsi per guardarlo negli occhi, ma lui stava
guardando altrove, “È dentro perché
è stato coinvolto in una rissa, ha un bar e cose di questo
genere capitano spesso... credimi”.
A sua insaputa, il ragazzo si esibì in una smorfia
dimostrando la sua poca convinzione. “D'accordo scusa, non
avrei dovuto dire niente” tagliò corto mandando
giù un boccone amaro. Erano mesi che teneva dentro quel
pensiero.
Così come era da tempo che ne teneva in serbo un altro che
non riuscì a trattenere “ È solo che
non posso ancora credere che tu abbia fatto certe cose”
mormorò in un sussurro. Bulma aggrottò le
sopracciglia, “Fatto cosa?” chiese dopo un paio di
secondi di silenzio “Sesso o essere rimasta
incinta?” precisò brutale.
Yamcha dovette pensarci su, “Non lo so... forse entrambe le
cose” ammise anche a se stesso. “Beh mi dispiace
Yamcha, so che tu hai sempre provato dei sentimenti per me, ma sai bene
che non sono mai stati corrisposti” “Lo
so” “E allora cosa? Ti aspettavi che sarei rimasta
casta e pura per sempre nella speranza di svegliarmi un giorno
follemente innamorata di te?” sbottò la ragazza.
Yamcha si alzò all'improvviso “No... non era
ciò che credevo. Forse non me lo aspettavo” ammise
“Forse avevo un'immagine diversa di te. Oppure ero convinto
che a te certe cose non interessassero” afferrò la
sua bici, “Ad ogni modo non volevo farti arrabbiare. Ti
chiedo scusa”.
Bulma non ebbe il tempo di aggiungere altro, lui salì in
sella “È tardi, devo tornare a casa e dovresti
farlo anche tu, i tuoi genitori saranno preoccupati” detto
ciò poggiò il piede sul pedale e
cominciò a pedalare sulla pista ciclabile, sparendo ben
presto dalla sua vista.
Lei rimase impietrita senza avere in tempo di protestare. Si era
tristemente abituata agli sguardi degli estranei che la fissavano come
se fosse una poco di buono, aveva imparato ad ignorarli, ma che un
pensiero del genere venisse da uno dei suoi più cari amici
faceva davvero molto male.
CONTINUA…
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Capitolo 30 *** Bisogno di parlare ***
d
ENTER
MY WORLD
Bisogno di parlare
Radish
si era messo in coda per l'utilizzo del telefono da diversi minuti
ormai, in attesa del suo turno. Erano rimaste solo due persone davanti
a lui.
Annoiato si guardò attorno osservando i prigionieri immersi
nelle loro personali conversazioni telefoniche, nella speranza di
vedere qualcuno allontanarsi. Ci fu un movimento e Radish
poté notare che uno degli apparecchi era appena stato
abbandonato, ora mancava solo una persona.
Si accorse che Vegeta era riuscito a raggiungere uno dei telefoni e
stava discutendo con qualcuno di misterioso dall'altro lato della
cornetta.
Non era raro che individuasse anche il suo compagno di cella agli
apparecchi telefonici, ma Radish non aveva la minima idea con chi
stesse chiacchierando. Vegeta era una fonte inesauribile di misteri, e
ogni volta che cercava di aprire una conversazione con lui finiva
sempre per parlare da solo o veniva zittito bruscamente.
Aveva notato che Vegeta andava a telefonare una o due volte a
settimana, ma era impossibile sapere a chi. Radish non sapeva se avesse
dei genitori, degli amici una compagna o se fossero chiamate di lavoro.
Inoltre non aveva molti indizi inerenti ad eventuali persone care,
contrariamente alla maggior parte dei carcerati, Vegeta non aveva
fotografie appese alla parete che aveva invece lasciato scarne e prive
di carattere. Non parlava mai della sua vita fuori dal carcere, restava
sempre silenzioso e distaccato.
Anche quando erano chiusi in gabbia, si limitava a starsene per conto
proprio, sdraiato sulla sua branda o facendo qualche esercizio fisico
per non restare fuori allenamento.
Radish si era ritrovato a chiedersi se gli capitava mai di pensare ai
suoi cari quando di notte si spegnevano le luci e tutto diventava
silenzioso, come accadeva a molti altri.
Senza che se ne fosse reso conto, la persona di fronte a lui si
scostò trovando un telefono libero. Al tempo stesso anche un
altro posto si liberò.
Il secondino davanti alla fila gli fece cenno di avvicinarsi. Radish
raggiunse l’apparecchio che risultò essere vicino
a Vegeta.
“... andare così spesso dal dottore?”
stava chiedendo il compagno di cella, mentre Radish iniziò
le procedure per poter cominciare una conversazione a sua volta.
Vegeta, non parve accorgersene “Fino a quando?”
continuò a dire.
Senza fare troppo caso a lui, l'altro si adagiò la cornetta
all'orecchio ed attese di sentire una risposta. “Tsk, io non
sono affatto preoccupato” brontolò Vegeta.
Una voce dall'altro capo del telefono lo distrasse dalla conversazione
dell'altro prigioniero “Radish?” “Ciao
papà” rispose “Come vanno le
cose?”. Bardack ci pensò su per un istante
“Tutto bene” “Tipico di
papà”, pensò tra sé l'uomo,
le sue risposte erano sempre troppo vaghe.
Tramite la cornetta udì delle voci sullo sfondo, forse la
madre e il fratellino. Eppure quella non sembrava la voce della mamma,
“Che succede lì?” chiese curioso. La
risposta di suo padre arrivò con qualche secondo di ritardo
“Un'amica di Kakaroth è venuta a
trovarlo” “Kakaroth ha… un'amica? Da
quando il tonto s'è svegliato?”
commentò sarcastico il maggiore. “Non chiamarlo
così” lo rimproverò suo padre
“Ti passo tua madre” aggiunse frettoloso.
“Aspetta pap...” ma Bardack aveva già
passato il ricevitore alla moglie “Radish! Come stai? Sei
riuscito a parlare con tuo padre?” esordì Gine.
“Sì, un po'” non poteva aspettarsi molto
di più da lui “Mi ha detto qualcosa su un'amica di
Kakaroth” riferì.
A quell'affermazione sentì sua madre ridacchiare
“È molto carina. Ti passo tuo fratello”
“No! Mamma non far...” “Ehilà
Radish!” suonò la voce del più piccolo.
Radish sospirò “Impiastro, non dirmi che ti sei
trovato una fidanzatina?” “Cosa? No, Chichi
è soltanto un'amica” il maggiore sbuffò
“Devo proprio spiegarti tutto, fratellino” disse.
“Dannazione!” sbottò all'improvviso
Vegeta, distraendo Radish dal discorso col fratello. Gli vide poggiare
la cornetta sul gancio con un po' troppa enfasi.
Era capitato a tutti, il tempo terminava sempre troppo velocemente,
soprattutto quando si era immersi in una conversazione importante. I
cinque minuti non erano mai abbastanza.
***
Mancava
poco alla fine della giornata, quando le luci si sarebbero spente
lasciando i prigionieri ai loro pensieri e alle loro preoccupazioni.
Vegeta si sentiva di strano umore quel giorno, come se la reclusione e
la lontananza da casa stesse cominciando a farsi sentire. Aveva parlato
con Bulma quel pomeriggio e sebbene questa non fosse una
novità, lei aveva parlato di parto e visite di routine.
Questo gli diede una sensazione di concretezza, settembre non era molto
lontano, dopotutto luglio stava per concludersi. Quel bambino stava
arrivando e sarebbe nato prima che il futuro papà potesse
rendersene conto.
Radish era sdraiato sulla branda e gli stava raccontando di qualcosa
che riguardava il fratello, ma Vegeta non gli prestò
più di tanta attenzione.
Il barista aveva le spalle appoggiate alle sbarre, questo gli
consentì di notare il movimento accanto alle celle un piano
sotto rispetto alla loro. Un secondino camminò spedito fino
a raggiungere una prigione e si sporse per parlare con uno dei
carcerati al suo interno.
La conversazione tra i due durò alcuni minuti, prima che la
guardia si allontanasse. Il prigioniero cominciò ad urlare
attirando su di sé l'attenzione dell'intero carcere.
“Sì! È nata la mia bambina!”
stava dicendo.
Inutile dire che non tutti i carcerati erano interessati alla vita
dell'individuo e ben presto proteste e inviti non troppo cordiali di
tacere si levarono dalle celle. C'era chi era genuinamente infastidito,
chi invece era più interessato a far baccano.
Essendo qualcosa di nuovo ed insolito anche chi non aveva nulla da dire
si affacciò alle sbarre per osservare la scena.
Radish fu uno di quelli che decise di curiosare, avvicinandosi alla
grata per guardare ciò che stava accadendo.
“Chi se ne frega!” stava gridando qualcuno
“Taci idiota o ti ammazzo” “Tappati la
bocca imbecille” erano solo alcune delle frasi che venivano
urlate all'indirizzo dell'uomo, troppo al settimo cielo per farci caso.
Vegeta l'osservò in silenzio. Quale sarebbe stata la sua
reazione quando un secondino lo avrebbe avvicinato per dargli la stessa
notizia?
Non si sarebbe messo a gridare, questo era certo, ma
cominciò a domandarsi cos'avrebbe fatto. Bulma stava per
raggiungere l'ottavo mese e con un po' di nervosismo Vegeta si accorse
che presto avrebbe scoperto quale sensazione avrebbe provato.
“Idiota, sta zitto!” gridò Radish, pur
di fare un po' di baldoria. In realtà non era infastidito
dalla reazione del neo-padre, ma si ritrovò a pensare che
stava esagerando, non capiva proprio cosa lo costringesse a fare tutto
questo casino.
Un bambino è un bambino, ne nascono a migliaia ogni giorno,
perché questo doveva essere diverso? Perché
l'intero carcere doveva esserne informato?
“Tsk, quante storie per una cosa tanto stupida”
commentò poi, voltandosi a guardare il compagno di cella.
Vegeta era rimasto in silenzio, osservando la scena a braccia
incrociate “Tu non credi?” gli chiese Radish, pur
notando che l'altro sembrava stranamente pensieroso.
“Mio figlio nascerà tra un mese”
spiegò all'improvviso, lasciando Radish di stucco.
Non fu tanto per la rivelazione, o forse anche per quella, ma per il
fatto che per una volta Vegeta gli aveva raccontato qualcosa di
sé.
Radish si ricordò gli stralci di conversazione che aveva
sentito vicino ai telefoni e si rese conto che Vegeta stava parlando di
dottori e visite mediche. Ad un tratto quel discorso trovò
un senso. La conversazione era con la sua ragazza, fidanzata o moglie
che fosse.
“D... davvero?” balbettò incredulo
“Beh, ehi, congratulazioni” gli disse. Vegeta si
voltò a guardarlo “Che diamine stai dicendo? Non
è ancora nato” puntualizzò tornando di
nuovo ad essere il solito brontolone.
Seccato dal suo stesso comportamento e dal momento di debolezza, Vegeta
andò a sdraiarsi sulla branda. Non seppe perché
aveva finito per raccontare qualcosa di personale a uno come Radish, ma
dopo mesi di silenzio nella quale non aveva mai avuto occasione di dare
la notizia a qualcuno forse ne sentiva semplicemente il bisogno.
Le luci nella sala si spensero e pochi istanti dopo le voci si
acquietarono fino a zittirsi del tutto.
CONTINUA…
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Capitolo 31 *** Una scomoda posizione ***
d
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MY WORLD
Una scomoda posizione
All’inizio
del suo ottavo mese di gravidanza, Bulma scoprì suo malgrado
che non esisteva una posizione nella quale stare comoda. Che fosse in
piedi, seduta o sdraiata, di schiena o sul fianco, una o più
parti del suo corpo avrebbe sofferto acciacchi e dolori.
Le sue gambe, i suoi glutei o la sua schiena qualcuno era destinato a
patire un agonizzante tormento. Le era stato suggerito di muoversi
spesso e con attenzione, ma era più facile a dirsi che a
farsi. Al di là del fatto che la sua pancia e il suo intero
corpo erano di proporzioni gigantesche a questo punto, facendola
sentire una balena arenata qualunque posa assumesse, ma se a
ciò si aggiungeva il torrido caldo di inizio agosto le cose
non facevano che peggiorare.
Senza contare che non aveva energie. Ultimamente stava dormendo poco e
male, il piccoletto aveva la brutta abitudine di svegliarsi in piena
notte e muoversi come se avesse deciso di esibirsi nelle più
complesse acrobazie, incurante dello stato di sua madre.
In una particolare giornata afosa e rovente, il suddetto cetaceo si era
spiaggiato nel giardino sul retro della casa. Bulma aveva preso
possesso di uno sdraio e si era sdraiata su di esso incurante del
dolore alla schiena.
L’intenzione era quella di abbronzarsi almeno un po', tanto
non aveva la forza di fare molto altro. Certo, l’intento si
rivelò presto un’impresa, poiché sua
madre l’aveva ricoperta con l’ombrellone,
assicurandosi di non esporsi al sole diretto. Di norma avrebbe
protestato, ma la mancanza di vitalità la costrinse ad
arrendersi ben presto.
Altrettanto preoccupato per la salute della figlia, e del nipote, suo
padre aveva trascinato fuori casa un ventilatore e, tramite prolunghe e
cavi, glielo aveva posto accanto per tenerla al fresco.
Per un po' riuscì a sentirsi a suo agio.
Il campanello della porta suonò, Bulma udì sua
madre andare ad aprire. Non molto tempo più tardi Crilin ed
i gemelli la raggiunsero sul retro. Tutti e tre indossavano
abbigliamenti da mare, con tanto di occhiali da sole e costume da bagno.
“Dove state andando?” domandò la
ragazza, dopo aver notato il vestiario dei suoi amici, “In
piscina!” esclamò Crilin con un sorriso
entusiasta. “Vogliamo andare in quella con gli scivoli in
centro” aggiunse Lazuli.
Bulma cercò di mettersi seduta, ma l’operazione fu
lenta e complicata, “E come pensate di arrivarci?
È lontana da qui” puntualizzò dopo
essere riuscita nell’impresa. Lapis le mostrò un
mazzo di chiavi appartenente ad un’automobile “In
macchina” le disse senza nascondere una certa soddisfazione.
Nel mese di maggio i gemelli erano diventati maggiorenni. Al termine
della scuola avevano studiato per ottenere la patente, per la
felicità del ragazzo. Ora del gruppo di amici Bulma e Crilin
erano rimasti gli unici minorenni, ma a differenza di
quest’ultimo, la ragazza avrebbe dovuto attendere solo un
paio di settimane prima di raggiungere la maggiore età.
Crilin era costretto ad aspettare per altri tre mesi.
“Vostro padre vi ha dato la macchina?” volle sapere
Bulma, un po' perplessa. I gemelli si scambiarono uno sguardo
d’intesa “Certo” rispose Lapis, ma non fu
difficile immaginare che la verità fosse
tutt’altra.
Nessuno dei due aveva un buon rapporto con il padre adottivo e non
sarebbe certo stata una sorpresa se l’auto fosse magicamente
sparita dal garage a discapito di permessi che con ogni
probabilità non erano stati concessi.
“Siamo venuti a chiederti se vuoi venire anche tu”
cambiò argomento Lazuli, “Credi che mi lasceranno
andare sugli scivoli?” ci pensò “Anche
volendo, dici che riesco a passare su uno scivolo”
ironizzò. “Non preoccuparti! Ci sono anche le
piscine basse o senza scivoli” la rassicurò Crilin
“Davvero?” “Sì, Crilin ha
controllato sul sito” rincarò la dose Lazuli,
sorridendo al ragazzo che arrossì.
Bulma lo fissò a sua volta, “Grazie Crilin! In
questo caso vengo volentieri” esclamò, dopotutto
non era una cattiva idea. “E Yamcha? Ci aspetta
lì?” chiese cominciando ad alzarsi. I tre amici si
guardarono reciprocamente “Yamcha non viene” la
informò Lazuli “Ha detto che aveva delle cose da
fare” aggiunse Crilin. Bulma si fermò e si
voltò verso di lui “Quali cose?”
“Non me l’ha detto” rispose il ragazzo.
Bulma si sentì afflitta. Dalla loro ultima conversazione le
cose tra loro erano rimaste piuttosto tese. Si erano visti da allora,
certo, ma sempre e solo in presenza degli altri e anche in quelle
occasioni i dialoghi erano brevi e freddi. Non le fu difficile intuire
che le cose che aveva da fare erano quelle di evitarla. Si tenne il
pensiero per sé, essendo il resto del gruppo
all’oscuro di ciò che si erano detti quel giorno.
“Capisco” mormorò mestamente.
“D'accordo, basta che vi muovete” li
esortò Lapis, la sorella si voltò verso di lui,
“A te interessa solo guidare fino a lì”
notò. Il gemello alzò le spalle “E
allora?” ammise.
Bulma riuscì ad alzarsi, “Dammi il tempo di
prepararmi” disse.
Non aveva fatto che pochi passi, prima di fermarsi
all’improvviso “Ehi ragazzi… vi dispiace
se invito anche qualcun altro?” domandò.
***
“Ehilà!
Io sono Goku!” si presentò il giovane appena li
raggiunse alla piscina. “Ciao Goku, hai avuto problemi ad
arrivare?” lo accolse Bulma appena li raggiunse.
Lui sorrise trasmettendole ancora una volta quell'immancabile simpatica
che lo contraddistingueva. “No è stato
facile” le rispose.
All’improvviso sembrò che gli balzasse alla mente
un’idea “Oh! Ti saluta la mamma, dice di chiamarla
così possiamo andare a trovare Radish e Vegeta”
“Grazie, lo terrò presente. Siete andati a
visitare tuo fratello di recente?”
s’informò Bulma. Goku annuì
“Sì siamo passati due giorni fa” le
riferì.
“Ottimo! Vieni, ti presento i miei amici, loro sono Crilin,
Lazuli e Lap… dov’è Lapis?”
chiese rivolta alla sorella del ragazzo. Lei alzò lo sguardo
al cielo “Ha visto qualche ragazza carina ed è
andato a provarci… è convinto di essere
irresistibile ora che può guidare”
spiegò un po' indignata. Bulma si limitò a ridere.
“Ehi… ehm, Goku, giusto? Pratichi le arti
marziali?” gli domandò Crilin, indicando la
maglietta che l’altro indossava. Così come il
giorno in cui Bulma l’aveva conosciuto, Goku portava un
indumento del suo team. Evidentemente trovava quegli abiti molto
comodi. “Sicuro! L’anno prossimo vincerò
le nazionali giovanili” gli rispose. “Wow, allora
devi essere bravo” esclamò l’altro
ragazzo. Goku gli mostrò due dita in segno di vittoria,
accompagnate dal solito sorriso.
“Anch’io ho praticato le arti marziali
sai?” gli disse Crilin, “E da quando?”
commentò Lazuli al suo fianco “Q…
quando ero piccolo. Però non ero molto bravo e ho
smesso” “Davvero? Devi farmi vedere cosa sai fare
allora” esultò Goku, sfilandosi la maglietta e
gettandola sul suo zaino che aveva adagiato assieme a quelli dei suoi
nuovi amici.
Il ragazzino si guardò attorno, adocchiando uno spiazzo
libero nella quale andare ad esercitarsi, “Andiamo
Crilin!” esclamò additando il luogo che aveva
individuato. “Eh? Ah certo” mormorò
l'altro.
Nonostante Goku fosse più giovane e dall’aspetto
gracile, Crilin era comunque molto più basso di lui.
Tuttavia, contagiato dal naturale entusiasmo del ragazzo, Crilin decise
di seguirlo, ma prima di farlo si fermò per baciare Lazuli
su una guancia. I due si allontanarono tra la folla senza
più voltarsi indietro.
“Beh, ci hanno lasciato tutti da sole”
notò Bulma vedendo i due amici sparire. Era sicura che Goku
non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad inserirsi nel
gruppo. Se c’era una cosa che aveva capito di lui dal primo
momento in cui lo aveva visto era che la sua energia era inesauribile.
“Spero che Crilin non si faccia male” si
preoccupò Lazuli.
Bulma si poggiò entrambe le mani dietro la schiena, per
sostenere il peso del grembo gravido, poi si guardò attorno
notando la piscina per i bambini. Non se la sentì
più di stare in piedi, “Senti Lazuli, ti va di
accompagnarmi?” le domandò indicando la vasca.
L’altra ragazza annuì.
Per entrare in acqua fu costretta ad usare l’apposita
scaletta e dovette fare bene attenzione a dove metteva i piedi, cosa
assai complicata in sé poiché erano mesi che non
riusciva neanche più a vederseli. Una volta dentro tuttavia,
le parve di essere rinata all’improvviso.
All'inizio del suo ottavo mese di gravidanza scoprì che
l’unico posto in cui una donna in stato interessante potesse
dimenticarsi dei chili di troppo che il suo corpo doveva sostenere era
a mollo nell’acqua… proprio come una balena. Si
domandò perché non avesse pensato prima a questa
scoperta, poiché avrebbe voluto passare lì tutti
i suoi giorni. “Venitemi a pescare dopo il parto, vi
prego” commentò avendo la possibilità
di rilassarsi per un po'.
Lazuli preferì sedersi sul bordo della vasca, lasciando
penzolare in acqua solo le lunghe gambe.
L’urlo di un bambino attirò l’attenzione
dell’intera vasca, incluse le due ragazze. A bordo piscina,
una madre stava cercando di tranquillizzare il suo bambino di pochi
mesi. La donna sembrava esasperata, era evidente che si trovava in
questa situazione molto spesso.
Bulma poggiò le spalle sul limitare della vasca, accanto
all’amica, e come tutti osservò la scena.
Sovrappensiero si accarezzò il pancione e si
domandò se anche il suo piccolo amore sarebbe stato
altrettanto turbolento o se invece sarebbe stato un angioletto. Sarebbe
riuscita ad essere una buona madre per lui?
Negli ultimi tempi la parola parto veniva fuori sempre più
spesso durante varie conversazioni. Non era tanto lontano, si rese
conto, e questo le mise un po' di paura. Doveva ammettere che non solo
sentiva di non essere pronta a dare alla luce il suo bambino, tra
sangue e dolore, ma l’idea di doversi assumere
così tante responsabilità nei confronti di un
altro essere umano la terrorizzava.
Era troppo giovane per diventare madre e sebbene in molti la
definissero matura per la sua età, lei non si sentiva
all’altezza.
Al pensiero ebbe un fremito di paura e cercò di scacciare il
pensiero in un angolo della sua mente, ripetendosi che sarebbe andato
tutto bene. Anche se non ne era completamente convinta.
CONTINUA…
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Capitolo 32 *** Pensieri della notte ***
d
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MY WORLD
Pensieri della notte
Bulma
si svegliò di soprassalto, madida di sudore. A svegliarla
era stato il pianto isterico di un bambino che dormiva nella stanza
accanto. Necessitò di alcuni istanti prima di rendersi conto
che, in realtà, non c'era nessun bambino... non ancora.
I suoi sogni erano diventati vividi negli ultimi tempi, alcuni anche
troppo realistici nonostante le situazioni surreali che la torturavano
durante la notte. Erano le sensazioni ad essere concrete.
Alcune notti prima aveva sognato di tenere in braccio un mostruoso
alieno dagli occhi vacui che insisteva per chiamarla mamma desideroso
di succhiare il latte dal suo seno. La percezione di quell'immagine fu
talmente reale che per tutto il resto del giorno si sentì
depressa e terrorizzata. Arrivò quasi a pensare di aver
cambiato idea e di non volere questo bambino, sperando che non uscisse
più da lì.
A dire il vero quelli peggiori riguardavano Vegeta. Non
perché fossero terribili, al contrario. I giochi del suo
subconscio le proiettavano immagini di momenti diversi, ricordi di
giornate vissute insieme mischiate al desiderio che le cose potessero
essere differenti.
Sognava che, arrivato il fatidico giorno, lui era lì per
tenerle la mano. Oppure che stessero passando una giornata insieme come
facevano un tempo, senza bambino in arrivo.
Il motivo per la quale facevano tanto male era perché, una
volta dissipato il sogno, rimaneva solo l'impressione che fosse tutto
vero, per poi essere distrutto quando la sua mente le sussurrava la
realtà dei fatti.
Bulma avrebbe voluto tornare a dormire, quella notte, stanca, accaldata
ed affaticata, ma il pargolo parve avere altri piani in serbo. Nella
sua pancia decise che era un buon momento per cominciare a fare
stretching, incurante che fossero le tre di notte. “Tesoro
della mamma, perché devi farlo sempre a
quest'ora?” gli chiese accarezzandosi il grosso ventre.
Se anche fosse riuscita a tranquillizzare l'energetico bimbetto, Bulma
scoprì di avere un altro problema. Doveva andare in bagno e
con sconforto si accorse che non era nemmeno più sorpresa.
Era arrivata ad un punto in cui aveva la necessità di
andarci quasi ogni cinque minuti, e considerata quanta fatica e il
tempo essenziale per farlo, tanto valeva viverci chiusa là
dentro.
Non ebbe molta scelta se non rotolare giù dal letto, come
una palla quale era, per cercare di raggiungere la toilette.
Quando aprì l'uscio della sua stanza si ritrovò
ad osservare la porta della camera di Tights, solo che non era
più la camera della sorella. Ormai era una nursery in tutto
e per tutto, pronta ad accogliere il nuovo membro della famiglia in
qualsiasi momento.
All'ingresso era stata attaccata una targhetta sulla quale era incisa
la parola Trunks.
***
Siccome
quella notte non voleva farsi mancare niente, oltre agli incubi, ad un
inquilino turbolento e la necessità di andare al bagno,
Bulma decise che aveva bisogno di mangiare qualcosa, possibilmente di
salato.
Le voglie alle tre del mattino erano giusto la cosa che ci voleva per
completare il quadro. La sua ossessione, da circa otto mesi, era sempre
stato cibo grasso e pieno di sale, patatine, popcorn, cracker, salatini
e chi più ne ha. Non aveva mai mangiato così
tanta roba salata in tutta la sua vita, ma negli ultimi mesi erano
diventate la sua fissazione. Mangiava anche del dolce, certo, ma
perlopiù preferiva il sale.
La cattiva notizia, appurò a malincuore, era che sua madre
non aveva ancora fatto la spesa quella settimana e di tutte le cose che
avrebbe voluto mangiare al momento ne erano rimaste poche. La notizia
buona fu che, grazie al suo radar da donna incinta e desiderosa di
cibo, riuscì a scovare un vecchio pacchetto di patatine
nascosto su uno scaffale in alto nel mobile contenente vari snack. Era
lì da chissà quanto, ma non aveva importanza.
Bulma lo voleva più di ogni altra cosa.
C'era però un motivo se era sopravvissuto alla sua furia
famelica, ovvero era davvero difficile arrivarci o almeno lo era per
lei.
La sua pancia aveva superato di gran lunga le dimensioni di una palla
da basket e si frapponeva tra lei e l'agognato pasto, premendo
insistente contro la superficie del mobile sottostante quello che
custodiva gelosamente il pacchetto di patatine. Se non fosse stata
così grassa ci sarebbe arrivata senza troppa
difficoltà solo alzandosi in punta di piedi.
Al di là del fatto che i suoi piedi non la reggevano manco
piantati al suolo nella loro interezza, il sacchetto era finito molto
in fondo al mobile dopo essere stato spintonato da altri viveri col
passare del tempo.
Era così vicino, eppure così lontano e Bulma
sentì la frustrazione farsi strada nelle sue vene, tanto che
gli ormoni impazziti di una ragazza in stato interessante cominciarono
a suggerirle di mettersi a piangere come una mocciosa.
“Bulma? Tutto bene?” le domandò una voce
alle sue spalle e quando si voltò si accorse che suo padre
era giunto in suo soccorso. “Non ci arrivo” gli
disse, la voce rotta dalla demoralizzazione, sentendosi nel contempo
brutta, grassa ed inutile.
Il genitore venne a darle provvidenziale supporto, recuperando le
patatine senza sforzo.
Sentendosi esausta, Bulma si sedette al tavolo della cucina, appena il
padre le diede il pacchetto. “Ti sei svegliato per colpa
mia?” gli chiese, Brief alzò le spalle
“Fa troppo caldo per dormire” la
tranquillizzò, sebbene la ragione per la quale si era
destato erano stati i rumori provenire dalla cucina.
L'uomo si versò un bicchiere d'acqua e si sedette accanto
alla figlia per farle compagnia.
Sul tavolo erano rimasti dei documenti giunti per posta negli ultimi
giorni e che qualcuno aveva tirato fuori prima di andare dormire per un
ultimo consulto notturno. Tra essi, il più importante era la
lettera d'ammissione giunta da parte dell'università che
confermava il superamento del test da parte di Bulma. Nessuno si
sorprese che la ragazza avesse ottenuto il massimo dei voti. Quello
alla quale tutti erano più impreparati era la lettera
d'accompagnamento che ricordava loro di pagare la prima rata
all'iscrizione entro metà settembre.
Era una quota assai salata che aveva scioccato tutti. Sapevano che
sarebbe stato costoso, ma non si aspettavano così tanto.
Bulma aveva inoltre sentito i suoi genitori discutere alcuni giorni
prima, secondo suo padre le spese per costruire la nursery avevano
superato il budget stabilito. Sebbene i suoi le avevano ripetuto
più volte di non preoccuparsi dei soldi, il senso di colpa
che provava nei loro confronti era spropositato. Se non fosse rimasta
incinta così giovane non avrebbero avuto questi problemi.
“Allora, Bulma cos'hai deciso per la prossima
settimana?” chiese suo padre distogliendola sai suoi pensieri
“A che proposito?” “Il tuo
compleanno” le ricordò.
“Oh” farfugliò lei... l'aveva quasi
dimenticato. Era da almeno un anno che contava i giorni che la
separavano dalla maggiore età, soprattutto dopo aver
incontrato Vegeta. Erano stati mesi di angosciante apprensione quando
aveva trovato un uomo che la faceva sentire speciale di cui
però non poteva raccontare nulla a nessuno a causa di quei
sconfortanti sette/otto anni di differenza. Sebbene la
verità fosse venuta fuori nel modo più scomodo
possibile, e prima del previsto, Bulma aveva quasi finito per scordare
di essere ancora minorenne. Un bambino in arrivo ti fa sentire molto
più grande per diverse ragioni. Così aveva finito
per dimenticare che stava per diventare maggiorenne.
“Non voglio nulla di particolare papà. Mi basta
una festicciola con voi e i miei amici” gli rispose, pensando
che la se stessa di un anno fa sarebbe inorridita a questa
affermazione, che invece avrebbe voluto una festa in grande stile.
“Va bene, ne parlerò con la mamma” la
rassicurò l'uomo annuendo ripetutamente.
Siccome la nottata era stata piena di emozioni dalle più
disparate, un velo di tristezza s'insinuò nei suoi occhi
“Anche se Vegeta non potrà venire”
mormorò in un filo di voce.
Suo padre la fissò per un istante, sospirò
“Questo ragazzo significa davvero tanto per te,
eh?” notò. Bulma annuì
“Sì”.
Con una mano giocò con il pendaglio arancione appeso alla
sua catenina. Con la gravidanza aveva dovuto cambiare il suo stile di
abbigliamento in modo radicale. I suoi abiti alla moda erano stati
sostituiti da premaman ed era costretta a dormire con una vestaglia che
la faceva sentire una vecchia, ma alla sua collana non avrebbe
rinunciato per nulla al mondo.
CONTINUA…
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Capitolo 33 *** La fine di un epoca ***
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MY WORLD
La fine di un epoca
“Quello
è il costo per l'idraulico?” sbottò
Vegeta piuttosto irritato, leggendo il preventivo che il collega aveva
poggiato al vetro che li separava. “È il
più economico che ho trovato” gli rispose Nappa,
mortificato “Non è una cosa di poco costo, Vegeta,
il danno è grave ed è urgente da
riparare”.
Il carcerato non parve molto felice della notizia. Nappa lo aveva
avvisato che c'era stato un incidente nel bar e che era stato costretto
a chiudere le serrande per salvare il salvabile. Da quanto gli aveva
raccontato, qualcuno aveva intasato una tubatura che era poi esplosa
allagando mezzo magazzino, rovinando la merce e creando danni a una
parete.
“Ci servono soldi, se ne hai sarebbe una buona idea
usarli” azzardò il colosso, “Come
scusa?” domandò l'altro in un sibilo.
“Io non ti do un bel niente, razza d'idiota. Non ho
intenzione di pagare un centesimo per i disastri che hanno combinato
gli imbecilli che tu hai assunto nel mio locale”
“Nostro locale” “Sta zitto!”
tagliò corto Vegeta.
Non aveva nessuna importanza che Vegeta fosse dieci volte
più piccolo per massa muscolare o altezza, quando
assottigliava gli occhi sotto le sopracciglia aggrottate più
che mai faceva paura persino ad un gigante come Nappa. Sebbene fosse
dietro le sbarre, l'omone ebbe la certezza che sarebbe riuscito a
nuocerlo solo con lo sguardo.
“Ha... hai ragione, scusa” cercò di
tranquillizzarlo, “Ma allora come posso fare per pagare
l'idraulico?” “Non è un problema che mi
riguarda. Detrailo dallo stipendio di quello che ha fatto tutto questo
casino” sentenziò Vegeta.
L'altro lo fissò inarcando un sopracciglio,
“Sì ma non sappiamo chi ha intasato il tubo
e...” “Tappati quella boccaccia! Scalalo dallo
stipendio di tutti, paga di tasca tua, non m'interessa come farai basta
che lo fai” Vegeta lo guardò intensamente
“O ti assicuro che te ne farò pentire”.
Quella minaccia sarebbe potuta risultare vana, provenendo da un uomo in
carcere, ma Vegeta avrebbe trovato un modo. Contrariamente a Nappa
aveva un buon avvocato, tanto per iniziare.
“Va bene, va bene... farò come vuoi tu”
concluse il gigante riponendo il preventivo in una cartelletta
contenente una serie di documenti. “Accidenti Vegeta, da
quando sei diventato così attaccato ai soldi?”
commentò in seguito. Di solito non aveva mai avuto problemi
a spendere denaro se era necessario. Nappa sapeva che non era ricco, ma
forse aveva ancora qualche spicciolo rimasto dall'eredità di
suo padre.
“Tsk, sei proprio un idiota. Forse te lo sei dimenticato, ma
mio figlio nascerà a breve, pensi davvero che voglia
spendere inutilmente soldi a causa tua?” era vero, Nappa
l'aveva scordato. Non aveva più pensato alla ragazzina e gli
era passato di mente. A dire il vero non sapeva nemmeno se Vegeta fosse
ancora in contatto con lei.
Ora che ci pensava non sapeva nemmeno se fosse un bambino o una
bambina, ma a giudicare dall'uso del maschile... “Quindi...
è un maschio?” “Cos... e
allora?” Vegeta parve essersi calmato all'improvviso.
“Nulla, non lo sapevo” concluse il colosso.
Mancavano ancora un paio di minuti, ma siccome non avevano
più altro da dirsi Nappa cominciò a riordinare
gli ultimi fogli riponendoli nella cartellina. Assicurandosi di aver
preso tutto osservò un appunto scritto su un foglietto
adesivo, “Chiamami tra una settimana, l'idraulico ha detto
che entro il 25 dovrebbe aver finito” gli disse.
Il 25? “Aspetta Nappa! Che giorno è
oggi?” domandò d'un tratto Vegeta. L'altro lo
guardò, poi controllò l'orologio da polso
“Il 18 agosto, perché?” “Devi
fare una cosa per me” gli ordinò il piccoletto.
***
Bulma
adorava tutte le persone che si erano riunite lì quel
giorno. A cominciare con i suoi genitori che, come le avevano promesso,
si erano prodigati ad organizzare una festicciola per la figlia ora
maggiorenne.
Tuttavia, non sarebbe stato possibile senza Tights, che aveva dato il
suo contributo facendosi carico di molte responsabilità, a
cominciare dal fatto che aveva la tolleranza di fare la spesa con la
madre, famosa per avere la tendeva a farsi prendere un po' la mano
quando si trattava di pianificare eventi. Con lei alla guida si
rischiava di avere tutto il doppio del necessario. La figlia maggiore
si era armata di pazienza per cercare di evitare inutili stress alla
sorellina che non poteva permettersi tensioni superflue nelle sue
condizioni. Al meglio delle loro capacità anche i suoi
amici, incluso Yamcha, si erano dati parecchio da fare.
Tutti gli invitati si erano presentati con diversi regali, molti dei
quali inaspettati. Bulma sarebbe stata in grado dividerli in tre
categorie.
Quelli più classici che comprendevano oggetti che avrebbe
potuto acquistare lei stessa, ma alla quale non aveva pensato. C'erano
regali mirati più verso il bambino che non a lei, per
facilitarla nel suo prossimo ruolo di mamma e per viziare un po' il suo
pargoletto. Infine qualcuno aveva anche pensato
all'università, regalandole oggetti che sarebbero tornati
utili durante i suoi studi.
Bulma aveva fatto una scoperta interessante, mentre stava preparando la
documentazione per la sua nuova avventura scolastica.
L'università aveva un programma dedicato a studenti
eccellenti. Qualora si era in grado di ottenere il massimo dei voti per
i primi tre anni di studi, c'era la possibilità di
guadagnarsi un parziale rimborso sulle rette degli anni passati,
nonché un incentivo fino al conseguimento della laurea.
Certo, non era ideale come la borsa di studio, essendo per altro una
grossa scommessa. Bulma non si sarebbe potuta permettere errori e anche
se fosse riuscita nell’impresa la sua famiglia doveva
comunque stringere la cinghia per i primi tre anni.
E poi c'era anche Trunks.
Bulma era costretta a trasferirsi nel campus universitario essendo la
facoltà molto lontana. Questo l'avrebbe tenuta distante dal
suo bambino, ma sarebbe tornata a casa tutti i weekend per prendersi
cura di lui. Sarebbe stata molto dura, ma c’era poco da fare.
Bulma si sarebbe dovuta impegnare il doppio, se non il triplo, rispetto
a tutti i suoi coetanei.
“Vado a prendere la torta!” annunciò
Panchy alzandosi dal tavolo attorno alla quale erano tutti seduti.
“Aspetta mamma, devo prima andare in bagno” Bulma
sospirò “Di nuovo” aggiunse amareggiata.
“Certo tesoro, tu fai con comodo” le disse.
Suo padre la aiutò ad alzarsi e Bulma si avviò
verso la toilette. Ne avevano due in casa, una grande al piano di sopra
e una piccola al piano terreno.
Il bagno piccolo era davvero molto, molto piccolo e la giovane non si
era mai resa conto di quanto fosse stretto fino a quando si era
ritrovata a camminare con un'anguria sulla pancia. D'altra parte non
poteva permettersi di fare gli scalini tutte le volte che ne aveva la
necessità, preferì andare quindi in quello
più piccolo. L'operazione era lenta e delicata, ma a questo
punto aveva imparato tutti i trucchi necessari.
Quando il dirigibile gigante riuscì nell'impresa, uscendo
dal bagno, Yamcha la intercettò. “Ehi Bulma...
senti possiamo parlare un secondo da soli?” le
domandò. Lei lo fissò non senza sorpresa. Era da
quel giorno di un mese fa che non la guardava nemmeno in faccia.
Inarcato un sopracciglio gli rispose con un incerto “Va bene,
cosa vuoi dirmi?”.
Yamcha si grattò la tempia “Ecco, io volevo
solo... chiederti scusa. Non sono stato un buon amico per te e non
avevo il diritto di dirti... quelle cose”. Bulma
notò che reggeva un sacchetto di plastica solo quando lui ci
infilò dentro una mano “Ehm, quindi volevo
regalarti questo” disse estraendo un peluche dalla borsa,
“Anche se non è proprio per te”
precisò.
L'animaletto aveva le sembianze di un lupo, seppur non in perfette
condizioni. Un occhio era mancante, un orecchio era molto
più corto dell'altro e una delle zampe era stata ricucita in
modo molto grezzo. “Lo so che non è bellissimo, ma
era il mio, quando ero piccolo... ne abbiamo passate tante
insieme” rise “E si vede” glielo porse.
Bulma lo guardò esterrefatta “No! Yamcha io non
pos...” “Ti prego! Per me è importante.
Voglio che l'abbia Trunks, deve perdonare lo zio Yamcha per aver deluso
la sua mamma e per aver pensato male del suo papà”
la ragazza esitò ancora per un istante.
Infine decise di prenderlo, “Io... non so nemmeno cosa
dire” mormorò ricolma di gratitudine. Yamcha prese
fiato “Ok, allora lascia parlare me” fece una pausa
e cercò un modo per iniziare “Sono stato uno
stupido. Ero arrabbiato perché non riuscivo a credere che
una cosa del genere potesse succedere proprio a te, ma dopo quello che
ci siamo detti ho capito che non ne avevo nessun diritto”
doveva essersi preparato il discorso, rigirandolo infinite volte nella
sua mente fino ad impararlo quasi a memoria. “Quello che mi
hai detto mi ha aiutato a capire che mi stavo comportando da egoista.
Questa è la tua vita e io non posso fare altro che essere
felice per te, se tu lo sei” ci fu una grossa pausa
“Io non... non sono più innamorato di te, ma se
posso chiederti di perdonarmi e di rimanere amici non potrei chiedere
di meglio” concluse e le sorrise.
Era il sorriso che aveva imparato a conoscere negli anni, quello che
gli illuminava anche gli occhi, quello bello e sincero che aveva sempre
adorato. Con un tuffo al cuore si rese conto di quanto le fosse mancato
il suo stupido, egoista amico Yamcha.
Bulma riuscì a trattenere le lacrime a stento
“Yamcha... vorrei poterti abbracciare in questo momento, ma
temo che non riuscirei ad arrivarci” si accarezzò
l'enorme ventre e lui rise “Te lo tengo in conto, me lo darai
quando sarai di nuovo in grado”.
Risero entrambi, come ai vecchi tempi.
“Bulma!” esordì Tights, raggiungendoli
nel corridoio davanti alla porta del bagno, “È
bene che tu venga a dare un'occhiata!” le disse.
CONTINUA…
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Capitolo 34 *** Solo noi due ***
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MY WORLD
Solo noi due
“Bulma!”
esordì Tights, raggiungendoli nel corridoio davanti alla
porta del bagno, “È bene che tu venga a dare
un'occhiata!” le disse.
Lei e Yamcha si scambiarono un'occhiata perplessa. Tights fece loro
segno di muoversi e i due ragazzi la seguirono.
Passando davanti alla cucina, nella quale si stavano svolgendo i
festeggiamenti, si accorsero che non era rimasto nessuno seduto attorno
al tavolo. Bulma abbandonò il peluche che teneva ancora in
mano sul posto che stava occupando poc'anzi.
Quando raggiunsero l'ingresso si accorsero che erano tutti ammassati
davanti alla porta intenti ad osservare il vialetto di casa.
“Cosa succede?” domandò la festeggiata
cercando di farsi strada tra i suoi genitori e Lazuli, mentre il rombo
di un motore echeggiò all'improvviso. Bulma
impiegò alcuni secondi per mettere a fuoco l'intera
situazione.
Un uomo stava trafficando con un carrello attaccato ad un automobile
parcheggiata proprio di fronte all'abitazione. Aveva l'aria famigliare
e la ragazza si sforzò di ricordarsi dove l'aveva
già visto.
Era grande e grosso come una montagna e dopo pochi attimi Bulma
riuscì ad inquadrarlo. L'altro proprietario del bar! Il
socio di Vegeta... Nappa, se non ricordava male.
Il colosso aprì la portiera della sua autovettura ed
estrasse quello che pareva essere un plico di carta che
cominciò a consultare.
“Wow! È stupenda!” esultò
Lapis, alla destra del portone principale, Bulma scostò lo
sguardo in direzione della sua voce, “Peccato per queste
ammaccature però” stava ancora commentando. La
giovane si accorse che stava ammirando una motocicletta, toccandone il
telaio.
Bulma non poté credere a quello che stava guardando,
“La moto di Vegeta!” si rese conto osservando
Lapis, ma anche Crilin, girarle attorno come se non ne avessero mai
vista una in vita loro.
Dopo aver verificato che tutti i fogli fossero al loro posto nella
cartellina, Nappa sollevò lo sguardo studiando i volti delle
persone ammassate davanti al portone di casa, identificando quella che
stava cercando.
Sarebbe potuto andare per esclusione, ovviamente non erano i
più anziani, né la donna quasi trentenne. Nemmeno
poteva essere il ragazzo, ovviamente, o la bionda.
Non l'avrebbe certo riconosciuta se l'avesse incontrata per strada,
soprattutto perché l'ultima volta che l'aveva vista era
più impegnata a vomitare nei cespugli sul retro del bar.
Senza contare che non aveva una gran memoria per ricordarsi i volti
degli sconosciuti.
Tuttavia il fatto che fosse in avanzato stato di gravidanza era un
indizio piuttosto indicativo.
A grandi passi si avvicinò a lei.
Vedendosi avvicinare dal gigante, Bulma si voltò a guardarlo
senza avere la minima idea di quali fossero le sue intenzioni.
Nappa si fermò a pochi passi da lei “Ragazzina,
devi ringraziare Vegeta per questo” le disse mettendole tra
le mani i documenti che aveva portato con sé. Bulma non ebbe
il tempo di aprire bocca prima che l'omone le fece scivolare tra le
dita anche un mazzo di chiavi.
Si voltò, “Buona fortuna” le disse
tornando in direzione della sua auto.
“Cosa sono?” domandò suo padre cercando
di leggere i fogli oltre la sua spalla. Curiosa quanto lui, Bulma
cominciò a sfogliarli per far luce sul mistero.
Più scorreva nella lettura e meno poteva credere a quello
che aveva tra le mani. Si trattava di un passaggio di
proprietà che statuiva la vendita del mezzo da Vegeta a...
lei!
“M... mi ha regalato la sua moto!”
esclamò quando l'intero documento le fu chiaro.
Dalla cucina provenne lo squillo di un telefono e Lazuli si
precipitò all'interno della casa per recuperarlo.
Panchy si sporse cercando di guardare l'attestato, “E cosa te
ne fai di una moto?” le domandò un po' perplessa.
Bulma guardò le chiavi del veicolo parcheggiato davanti al
vialetto di casa. Quando sollevò lo sguardo sperava di poter
intercettare nuovamente Nappa, ma lui era già ripartito.
“Bulma, il tuo telefono sta squillando” la
informò Lazuli spintonando Yamcha da parte, che invece era
rimasto alle spalle dell'amica fino a quel momento.
La futura madre afferrò il cellulare che l'altra le stava
porgendo e con un brivido si accorse che il suo display la stava
informando che la telefonata proveniva dal carcere. Con urgenza mise i
documenti e le chiavi nelle mani di suo padre e spintonò per
tornare dentro casa. Camminando verso il salotto, con la sua camminata
ciondolante e grossolana, si occupò di tutte le procedure di
rito che precedevano la chiamata vera e propria e che ormai aveva
imparato a gestire.
“Vegeta!” esclamò quando
sentì la sua voce “La tua moto?
Perché?” “Tsk, non è per
farti divertire” la informò lui,
“Vendila. I soldi ti serviranno per la tua
università... e Trunks”.
Oggi sembrava il giorno dei gesti inaspettati. “Che cosa? Ma
è la tua moto!” rispose Bulma, che nel frattempo
si rese conto che le gambe stavano cominciando a dolere. Fu costretta a
sedersi sul divano.
“E cosa me ne faccio secondo te? Qui dentro non posso usarla,
non ti pare?” le fece notare Vegeta. “Sì
ma...” insistette lei in un fil di voce.
Dall'altro lato della cornetta udì l'uomo emettere un
leggero ringhio di fastidio “Piantala. Ti servono soldi per
studiare e Trunks è mio figlio” Bulma si
accarezzò il gigantesco pancione
“Grazie” mormorò infine.
Tra loro ci fu un secondo di silenzio.
“Senti Vegeta, se la situazione fosse stata diversa... mi
avresti portato a fare un giro come quando siamo andati fuori
città?” gli chiese sentendosi malinconica tutto
d'un tratto.
Per quanto amasse tutte le persone presenti alla festa e fosse grata
per il loro affetto, Vegeta sarebbe stato l'unico con la quale avrebbe
voluto davvero passare il suo compleanno.
“Sei davvero una seccatura” brontolò lui
“Mi avresti dato altra scelta?” le fece notare.
Bulma rise “Anche questo è vero” ammise,
“Saremmo potuti andare al mare, solo io e te, in uno di quei
centri turistici”. Vegeta la lasciò sognare per un
momento “Hn, dove ti pare” le rispose.
“Lo sai, ora sono maggiorenne. Posso venire a trovarti quando
voglio e possiamo parlare solo noi due” gli fece notare Bulma
“Voglio provare ad organizzarmi nei prossimi giorni e venire
da te” “Pensi di farcela?” le
domandò l'uomo.
Bulma annuì, anche se Vegeta non poté vederla.
Non lo vedeva da giugno, tra una cosa e l'altra, aveva nostalgia di lui
“Non credo ci saranno molti problemi” gli disse.
Uno strano scatto repentino dei suoi ormoni la fece scoppiare a
piangere senza apparente motivo. “Perché diamine
stai frignando adesso?” volle sapere Vegeta, vagamente
preoccupato. Bulma si asciugò le lacrime “Non lo
so” gli disse, appoggiando la mano sul pendaglio della sua
collanina, “È solo che... Vegeta, ti
a...”
***
La
telefonata si interruppe come sempre senza senza pietà.
Vegeta osservò la cornetta dell'apparecchio per un istante,
prima di riadagiarlo sull'apposita forcella.
Non aveva sentito l'ultima frase di Bulma, ma con ogni
probabilità non era nulla d'importante.
Si allontanò dai telefoni, lasciando spazio alla prossima
persona in fila. Si mise le mani nelle tasche e cominciò ad
incamminarsi nei corridoi.
“Ehi Vegeta, stavi chiamando la tua ragazza?” lo
intercettò Radish, che aveva notato la direzione dalla quale
era sopraggiunto. Da quando gli aveva detto del bambino era diventato
ancora più appiccicoso del solito. Vegeta sospirò
“È il suo compleanno” gli rispose,
chiedendosi ancora una volta perché gli stava anche
rispondendo.
CONTINUA…
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Capitolo 35 *** Per motivi di sicurezza ***
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MY WORLD
Per motivi di sicurezza
Mantenendo
la parola data a Vegeta, Bulma aveva fatto in modo di andare a trovarlo
pochi giorni dopo il suo compleanno.
Aveva chiamato Gine chiedendole se potevano accompagnarla. La donna si
era rivelata come sempre molto disponibile organizzando una visita
collettiva alla prigione.
Purtroppo, Bulma si era resa conto che con ogni probabilità
non sarebbe riuscita a andare più molto spesso,
poiché le cose erano molto complicate e sfiancanti.
Siccome abitava fuori mano, rispetto al tragitto che la famigliola
avrebbe dovuto percorrere, era stato stabilito di incontrarsi a
metà strada. Bulma era costretta a prendere un autobus che
la portasse più vicino all'itinerario.
Quella non era la parte più complicata. Essendo una zona
meno frequentata della città i mezzi pubblici erano vuoti e
si trattava solo di poche fermate. Tuttavia il tratto in macchina
durava almeno venti minuti, senza contare il tempo per la ricerca del
parcheggio e Bulma aveva sofferto ogni secondo.
Nonostante l'avessero fatta accomodare sul sedile anteriore del
passeggero sentiva di avere davvero poco posto o la capacità
di muoversi. Gine sedeva dietro di lei e le aveva suggerito di portare
indietro il sedile il più possibile, essendo una donna
minuta non aveva bisogno di molto spazio per le gambe.
Tuttavia la sua ingombrante pancia le impediva di cambiare posizione e
al lungo andare i chili di troppo che si portava addosso cominciarono a
farsi sentire.
Al loro arrivo sentì di avere la schiena a pezzi e i glutei
indolenziti.
C'era poi una tratta di strada da percorrere dal posteggio dell'auto
fino alla sala d'attesa. E seppur erano stati fortunati, questa volta,
a trovare uno spiazzo piuttosto vicino all'ingresso, non era detto che
la prossima sarebbe stata altrettanto favorevole.
Dopo essere giunti nella sala bisognava inoltre fare la fila. Quel
giorno erano arrivati in anticipo e davanti al banco non c'era ancora
nessuno, ma prima o poi si sarebbe dovuta alzare dalla sedia per
attendere con pazienza il proprio turno.
Bulma aveva sofferto fino a lì, ma questo non teneva conto
di ciò che sarebbe avvenuto dopo. Una volta terminata la
coda c'erano le procedure di sicurezza, nella quale i visitatori
venivano spogliati di borse e averi che venivano riposte in appositi
cassetti, per poi subire una perquisizione preventiva.
Solo allora era possibile entrare e trovare posto sulle sedie poste
davanti al vetro. E se Bulma si ricordava quelle seggiole non erano
nemmeno troppo confortevoli, anche l'ultima volta le aveva trovate
molto scomode. Certo erano studiate solo per incontri brevi, ma avrebbe
sofferto tutto il tempo in cui si sarebbe trovata davanti a Vegeta.
E dopo tutto questo c'era da rifare l'intera procedura all'inverso per
il rientro a casa. Bulma era costantemente stanca e senza energia, la
sola idea la mise di malumore, ma se c'era una cosa positiva in tutto
questo era il primo colloquio a due con il suo Vegeta.
Ora che ci pensava, a parte le conversazioni telefoniche, non si
vedevano faccia a faccia da due mesi. Quando era passata l'ultima volta
a giugno non era neanche la metà di quanto era diventata
grossa ora. Sembrava fosse trascorso un secolo da allora e nella sua
ingenuità Bulma aveva pensato di essere enorme
già al tempo… e quanto si era sbagliata.
Un brutto presentimento si fece strada tra i suoi pensieri... e se
Vegeta fosse rimasto disgustato? E se, nel vederla, l'avesse ripudiata?
E se guardandola avrebbe scoperto di non essere più attratto
da lei? E se l'avesse ritenuta un mostro o una palla di lardo?
“Bardack, andresti a prendermi una bottiglietta d'acqua alle
macchinette?” gli chiese la moglie, voltandosi verso di lui.
L'uomo era adagiato accanto alla finestra, in compagnia del figlio che
nel frattempo stava osservando all'esterno dell'edificio. “Va
bene” le disse separandosi dalla parete. “Prendine
una anche per Bulma, fa caldo qua dentro e ha bisogno di
bere” si raccomandò quando il marito
passò accanto ai sedili sulla quale erano sedute
“Ok” rispose lui.
“La ringrazio” mormorò la giovane,
tornando all'improvviso alla realtà, pur mantenendo l'alone
dei suoi dubbi fluttuare nella sua mente. “C'è
qualche problema?” domandò Gine, avendo notato un
cambio d'umore all'apparenza senza motivo. Bulma si guardò
la pancia “Sono brutta e grassa... Vegeta non mi
vorrà più” lagnò, Gine rise
“Al contrario, potrebbe non averti mai trovato
così attraente”.
Alle loro spalle, poco interessato a questi discorsi, Kakaroth si
concentrò sui movimenti fuori dalla finestra. Da quella
prospettiva poteva vedere il cortile della prigione.
Non doveva volerci molto perché aprissero la fila per i
visitatori, dopotutto la guardia dietro al bancone si era
già seduta al suo posto e dalla finestra poté
notare che i primi prigionieri stavano affollando la piazzola dietro la
recinzione. Da quella distanza erano tutti piccoli puntini colorati, le
divise arancioni dei carcerati e quelle blu scuro delle guardie. Si
chiese se suo fratello fosse uno di quelli arancioni. Affascinato dai
pallini che si muovevano alla rinfusa, almeno in apparenza,
restò ad osservarli per un po'.
Passarono solo alcuni minuti, prima che Goku si accorgesse che c'era
qualcosa di strano, gli arancioni si aggregarono tutti in un unico
punto, formando un grosso cerchio. C'era del movimento e l'osservatore
poté notare che i blu si stavano avvicinando a gran
velocità cercando di separare gli arancioni.
Nella sua mente un campanello d'allarme suonò nel momento in
cui vide le guardie sparire dietro l'ammasso arancione per non
riapparire. “Mamma” chiamò
all'improvviso portandosi più vicino alla finestra
“Sta succedendo qualcosa” l'avvisò. Gine
guardò prima il figlio poi Bulma e decise di alzarsi in
piedi, “Che cosa vuoi dire?” domandò
affacciandosi a sua volta.
“Che succede?” chiese la ragazza, che aveva
più difficoltà ad alzarsi. Madre e figlio non le
risposero, vedendosi costretta a mettersi in piedi. Si
avvicinò alla finestra, ma non riuscì a vedere
molto. C'era un davanzale tra l'inizio del muro ed il vetro e, ancora
una volta, Bulma aveva un gigantesco grembo a farle da cuscinetto.
Frustrata per non riuscire a constatare di persona la situazione, stava
per dare voce ai suoi pensieri e chiedere ancora delucidazioni, ma alle
sue spalle il secondino di fronte al bancone si alzò.
“Sono... sono sicura che non è niente”
cercò di suonare incoraggiante la donna, fallendo nel suo
intento. Kakaroth assunse un'espressione seria e continuò ad
osservare la scena in silenzio.
Nel frattempo Bulma poté notare che l'uomo dietro il banco
stava animatamente parlando con qualcuno tramite la ricetrasmittente.
Essendosi allontanato dalla vetrata che separava il banco dal resto
della sala, nessuno fu in grado di sentire quello che stava dicendo.
Una ad una tutte le persone presenti nella sala d'aspetto cominciarono
ad accorgersi degli strani movimenti delle guardie. Bulma
notò un paio di esse allontanarsi di corsa nel corridoio.
Sempre più gente iniziò ad alzarsi dalle poltrone
per affacciarsi alle altre finestre o ad osservare i movimenti nel
corridoio.
“Che succede?” urlò un uomo, rivolto al
carceriere il quale gli fece cenno di scostarsi dal banco. Il
visitatore non sembrò intenzionato e cominciò a
sbattere le mani sul vetro. Bulma intuì una volta per tutte
che quel separé era lì proprio per occasioni come
quelle.
Un annunciò suonò sovrastando la cagnara che si
era creata in un breve lasso di tempo “Per motivi di
sicurezza le visite sono sospese. Si prega di procedere verso le uscite
e di ritornare domani” disse.
***
Il
caos era scoppiato senza preavviso spargendosi per tutta la prigione.
Insurrezioni in carcere non erano certo nulla di strano, anche in una
prigione di minima sicurezza, e spesso esplodevano quando nessuno se lo
aspettava.
Molti prigionieri partecipavano per un'illusoria sensazione di
libertà e di ribellione per le autorità.
Radish e Vegeta si trovavano nella sala relax quando erano iniziati i
disordini, colti alla sprovvista come tutti gli altri.
Dei due Vegeta fu il più rapido a comprendere la situazione
che si stava creando e ad intuire di dover restare sull'attenti.
“Dobbiamo andarcene da qui!” disse appena si
accorse dei tafferugli. Tuttavia non ebbe il tempo di avvisare il
compagno di cella, quando le prime ripercussioni si sentirono anche in
quella zona del carcere.
Radish cercò di seguire l'esempio dell'altro che nel
frattempo si fece strada a suon di pugni contro chiunque osasse
frapporsi tra loro e l'ingresso, restare chiusi in una qualsiasi stanza
era pericoloso.
“Dove stiamo andando?” gli domandò
Radish una volta riusciti a far breccia ed entrare nel corridoio
“E io come faccio a saperlo? Cerca solo di stare in
guardia” urlò di rimando l'altro.
“Vegetuccio... è giunta l'ora di
giocare” mormorò una voce alle loro spalle. I due
si voltarono per vedere Ginew, Rikoom, Jeeth e Butter creare un muro
nel corridoio. Non erano soli, molte altre persone circondarono il duo
impedendogli di muoversi.
Letteralmente con le spalle al muro, Vegeta lanciò
un'occhiata al compagno “Radish, cerca solo di non venirmi
tra i piedi” lo avvisò, stringendo i pugni e
tendendo i muscoli, pronto all'assalto.
***
Il
sole estivo stava cominciando a tramontare e ancora dalla prigione non
si avevano notizie.
Bulma era seduta sul sedile anteriore della macchina di Bardack che
l'uomo aveva spostato all'ombra, sul suggerimento della moglie, per non
esporre la giovane ad una potenziale insolazione. Agosto era agli
sgoccioli, ma il caldo era ancora persistente.
Non erano rimasti in molti, fuori dal cancello, ad attendere notizie
dopo che le guardie erano riuscite a liberare la sala
d’aspetto facendo uscire tutti dall'edificio. Col passare
delle ore sempre più persone avevano abbandonato la speranza
ed erano tornate a casa.
“Ripetono quello che hanno detto l'ultima volta”
esordì Bardack una volta raggiunta la sua auto “La
rivolta è sedata, ma ci sono feriti e hanno bisogno di tempo
per medicare tutti” “Radish e Vegeta? Siete
riusciti a scoprire qualcosa?” chiese Gine, guardando prima
il marito e poi Kakaroth.
Bardack scosse lentamente il capo e Bulma intuì che era
preoccupato per il figlio. “Non danno notizie su nessuno in
particolare” rispose il minore, “Dicono di tornare
un altro giorno”. Anche Gine sembrò inquieta,
“Mamma, Radish starà bene”
cercò di rassicurarla il ragazzo.
Bulma avrebbe voluto la sua stessa sicurezza.
La donna le diede un'occhiata pensierosa “Penso sia meglio
andarcene anche noi. Se non ci danno notizie è meglio
accompagnare Bulma a casa” lei alzò lo sguardo
“No, io...” “Gine ha ragione, i tuoi
saranno in pensiero” intervenne Bardack.
La ragazza si sentì sconfitta. Non aveva le energie, fisiche
o mentali, per protestare. La sua reazione fu quella di poggiarsi
entrambe le mani sul grembo per trarre la forza emotiva dal suo
bambino.
CONTINUA…
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Capitolo 36 *** In cerca di notizie ***
d
ENTER
MY WORLD
In cerca di notizie
Dietro
l'espressione seria ed imperturbabile, Bardack nascondeva la
preoccupazione per le sorti del figlio maggiore.
Erano passati tre giorni dall'insurrezione e la prigione era ancora una
roccaforte dalla quale non giungevano notizie. Per una ragione ignota
veniva mantenuto uno stretto riserbo sulle sorti dei prigionieri. Le
sole cose che erano state divulgate era la presenza di molti feriti che
avevano necessità di cure mediche.
Lo staff doveva prendersi cura di loro e non aveva dunque tempo per
dare informazioni alle persone in trepidante attesa che affollavano
l'esterno dell'edificio.
Quando l'uomo pensava a Radish aveva sempre una brutta sensazione. Suo
figlio non era molto indipendente, a livello caratteriale. Aveva sempre
avuto bisogno di seguire un leader fin da quando era piccolo.
Nel suo gruppo di amici era sempre stato uno di quelli che seguivano
senza mai prendere decisioni autonome. Per questo si era cacciato nei
guai ed era finito con le manette ai polsi.
Bardack aveva cercato un migliaio di volte di avvertirlo che doveva
prendere decisioni da solo. L'arresto era avvenuto a causa di un furto
che qualcuno lo aveva indotto a commettere alla quale il ragazzo non
era riuscito a dire di no.
Conoscendo questo lato del suo carattere, il padre si
domandò se e come si sarebbe comportato durante una rivolta
in carcere. Fosse stato da solo forse non sarebbe riuscito a cavarsela,
Radish necessitava di una guida, senza di essa era debole.
Dei suoi figli, Bardack sapeva che Kakaroth avrebbe avuto migliori
possibilità in una situazione del genere. Il minore era
emotivamente più forte e più deciso, nonostante
l'atteggiamento bonario che spesso veniva scambiato per debolezza.
Le mani dell'uomo si strinsero attorno al volante al pensiero. In
silenzio osservò la strada che l'auto stava percorrendo ed
in cuor suo sperò che oggi avrebbero avuto la
possibilità di vedere Radish.
Osservando lo specchietto retrovisore i suoi occhi si scostarono
dapprima sul lato vuoto del sedile posteriore, poi scivolarono sulla
moglie che gli sedeva accanto mentre guardava fuori del finestrino
dell'autovettura. “Gine, perché non hai invitato
anche la ragazzina?” le domandò. La donna si
voltò verso di lui “Ho pensato non fosse una buona
idea farla venire con noi” gli rispose.
Quando erano andati alla prigione, il giorno della rivolta, Gine aveva
già notato che la sola andata aveva messo a dura prova
Bulma. Era arrivata stanca e dolorante ed il suo disagio era visibile
sul volto.
Tuttavia non c'era stato modo di dissuaderla, era così
desiderosa di vedere il suo ragazzo che negarglielo le avrebbe spezzato
il cuore nel modo più crudele possibile. Per sopportare
l'intero tragitto si era aggrappata al suo entusiasmo e alla sua forza
di spirito.
Gine aveva provato molta compassione per lei. Aveva ammirato la sua
determinazione e tenacia e aveva dedotto che qualunque cosa la vita le
avrebbe presentato l'avrebbe affrontato con caparbietà. A
cominciare dalla prossima maternità... il suo bambino era in
buone mani.
Con altrettanta fermezza aveva chiesto di essere accompagnata anche il
giorno successivo, nella speranza di avere informazioni sul suo Vegeta.
Quando l'avevano raggiunta nel luogo dell'appuntamento sembrava ancora
provata dal giorno precedente, ma di nuovo fu difficile, se non
impossibile, dirle di no. A quello sguardo carico di forza di
volontà e di supplica non si poteva negare nulla.
Bulma aveva insistito anche il terzo giorno, dopo essere tornati a casa
a mani vuote. Ma era allo stremo e Gine cominciò a temere
che non avrebbe retto un'altra volta.
Oltre all'affaticamento fisico, c'era anche quello morale. Quei
costanti buchi nell'acqua erano la fonte di molto stress, l'ultima cosa
che quella ragazza aveva bisogno in quel momento.
“È alla sua trentacinquesima settimana, non le fa
bene sforzarsi tanto” aggiunse rivolta al marito
“La chiameremo se avremo delle notizie”
“Va bene” concordò lui.
Gine si voltò, osservando il sedile posteriore. Kakaroth non
aveva ancora detto una parola da quando erano partiti e questo, per
lui, era piuttosto atipico.
Il ragazzo era sempre piuttosto scanzonato e alla mano, le uniche
occasioni in cui la madre lo aveva visto così serio era
quando stava per salire sul ring di un incontro importante.
La donna sapeva che era preoccupato, nonostante i fratelli
bisticciassero e battibeccassero molto erano comunque legati l'uno
all'altro. Radish aveva introdotto il minore alle arti marziali, quando
erano bambini e Kakaroth aveva sempre cercato di essere presente quando
i genitori andavano a trovare il maggiore.
Gine aveva inoltre intuito che si era molto affezionato anche alla loro
nuova amica. Forse persino lui si era reso conto che Bulma non sembrava
riuscire a reggersi sulle proprie gambe dopo tre giorni di visita
conseguiti.
La macchina entrò nel parcheggio della prigione. Era giunta
l'ora di scoprire se il viaggio sarebbe valso la pena.
***
Radish
si accomodò al posto che gli era stato assegnato e vide i
suoi genitori tirare un sospiro di sollievo.
Le porte della prigione erano state riaperte da poche ore e le prime
visite erano state consentite. Trovandosi già sul posto la
sua famiglia era stata fatta entrare all'arrivo.
Gine e Bardack guardarono il figlio negli occhi, era un po' contuso, ma
stava bene. Un labbro gonfio una fasciatura attorno alla testa e un
braccio ingessato. Se non altro era tutto d'un pezzo e a parte i
postumi di una scazzottata che doveva essere stata piuttosto feroce
poteva dirsi integro.
“Radish! Siamo stati in pensiero per te!” lo
accolse la madre appena lo vide “È un sollievo
vedere che stai bene” aggiunse “È solo
qualche graffio” minimizzò il ragazzo.
“Come hai fatto a cavartela lì dentro?”
gli domandò suo padre, Radish lo guardò
“Mi sono battuto fino allo stremo. Saresti stato fiero di me
papà” disse, sperando che fosse la
verità.
Radish sentiva sempre di non essere all'altezza delle sue aspettative,
quindi trattenne il fiato in trepidante attesa per scoprire se davvero
suo padre avrebbe concordato. “Bene” rispose
laconico lui, senza dargli la possibilità di comprendere se
fosse orgoglioso o meno, lasciandolo nel dubbio.
Quello che però non disse fu che non ce l'avrebbe mai fatta
se non avesse avuto qualcuno al suo fianco.
“Ehi Radish, conosci un tizio che si chiama
Vegeta?” volle sapere all'improvviso Kakaroth. Il maggiore si
voltò sorpreso verso di lui, notando quell'espressione seria
che così raramente appariva sul suo viso. “Vegeta?
Come fai a sapere di lui?” domandò di rimando.
Fu Gine a rispondergli “Abbiamo fatto amicizia con la sua
ragazza. È una brava persona ed è in apprensione
per avere sue notizie” “La sua ragazza?”
mormorò Radish. “Mio figlio nascerà tra
un mese” gli disse Vegeta e quella frase gli tornò
alla mente all'improvviso.
Se quello che diceva la mamma era vero, avevano conosciuto la futura
madre del fantomatico figlio.
Radish chinò il capo pensieroso, “È il
mio compagno di cella” “Davvero?”
esclamò Kakaroth. La sua famiglia non era al corrente di
questo particolare, d'altra parte fino ad un secondo prima non era al
corrente che sapessero chi era Vegeta.
“Quindi sai come sta? Hai sue notizie?”
esortò Gine, pendendo dalle labbra di suo figlio. Radish
esitò, quando alzò lo sguardo fu solo per cercare
quello di suo padre, “Non sono buone...”
iniziò a dire.
CONTINUA…
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Capitolo 37 *** L'importanza di una vita ***
d
ENTER
MY WORLD
L'importanza di una vita
La
prima volta che avevano accompagnato Bulma a casa, il giorno in cui
l'avevano conosciuta, Bardack aveva usato il navigatore per trovare la
via. A distanza di mesi riuscì a risalire all'itinerario
recuperando le indicazioni del GPS.
Il tragitto era stato silenzioso e teso. Nessuno dei due, tra lui e
Gine, erano molto dell'umore di dialogare, sebbene non ce ne fosse
bisogno. Condividevano lo stesso pensiero e lo stesso peso nel cuore
che non fu necessario esprimere ad alta voce.
Non avevano avvisato Kakaroth, preferendo lasciare fuori il figlio da
questo gravoso carico della quale non si poteva fare a meno.
Quando Bardack parcheggiò l'auto di fronte all'abitazione
furono entrambi costretti ad uscire dalla loro apatia, in quanto tutto
stava per diventare reale e tangibile.
L'uomo si voltò ad osservare la minuta figura della moglie
seduta accanto a sé nell'auto. Ne contemplò il
viso inquieto ed attese da lei un segnale qualsiasi.
“Non posso credere che siamo arrivati a questo
punto” sussurrò Gine, voltandosi per guardare il
marito negli occhi. L'uomo le afferrò una mano per
trasmetterle un po' di forza “Lo so, ma non abbiamo
scelta” sua moglie era una donna molto sensibile.
Seguirono alcuni secondi di silenzio. “Sei pronta?”
le domandò infine lui, quando si rese conto che non potevano
più procrastinare l'ingrato compito che era toccato loro.
Gine annuì lentamente, sospirò e aprì
la portiera dell'auto.
I suoi piedi si poggiarono sul terreno e con un brivido si rese conto
che non si poteva più tornare indietro.
Seguita a breve dal marito s'incamminò verso la porta
d'ingresso e dopo un'ultima esitazione suonò il campanello.
L'uscio si schiuse dopo pochi istanti e davanti a loro comparve una
donna alta e magra dai ricci capelli biondi. Sulle labbra un sorriso
gentile che presto si sarebbe spezzato.
“Sì?” domandò loro non
avendoli mai visti prima di allora. Gine prese fiato “Lei
è la mamma di Bulma?” chiese cercando di non
sembrare eccessivamente invadente. La donna annuì
“Sì, state cercando mia figlia?”
s'informò Panchy, prima di lasciarli entrare in casa.
“Beh, veramente...” mormorò la donna
minuta, cercando di nuovo lo sguardo dell'uomo al suo fianco
“Mi chiamo Gine” disse poggiandosi una mano al
petto “E lui è mio marito Bardack”
aggiunse indicandolo “Abbiamo conosciuto Bulma in visita alla
prigione... non so se le ha parlato di noi”.
Panchy ci pensò un po' su. A dire il vero Bulma aveva
accennato ad una famiglia che aveva incontrato nella sala d'aspetto e
che l'avevano aiutata in diverse occasioni. “Oh
sì, siete le persone che l'hanno accompagnata a far visita a
Vegeta?” chiese per conferma “Esatto”
rispose Gine. “Siete stati molto gentili. Purtroppo mia
figlia si è intestardita che non vuole farcelo incontrare,
anche se io e mio marito ci siamo offerti di portarla” rise
“Quando s'impunta è difficile farle cambiare
idea” spiegò.
Fissò i due sconosciuti, “Avete notizie di
ciò che è successo in carcere?”
intuì perspicace. La coppia alla porta parve reticente,
“Sì” disse infine lui “Ma
forse è meglio se ne parliamo dentro”
“Con il suo permesso” aggiunse Gine.
Panchy lo fissò per un attimo, “Oh! Ma certo,
certo. Accomodatevi” li invitò facendo un passo di
lato per farli entrare.
***
Bulma
avrebbe tanto voluto visitare la prigione, ma il suo corpo grosso e
gonfio era arrivato allo stremo. Ci aveva provato diverse volte ed era
tornata a casa sempre più sfiancata.
Aveva dunque passato gli ultimi giorni chiusa in camera sua con la sola
eccezione per i pasti e per scodinzolare verso il bagno, gite che erano
sempre più frequenti. Non che avesse alternative, il suo
fisico aggravato dall'abbondante peso di un nascituro le impediva di
fare qualsiasi movimento se non lo stretto necessario.
Desiderava più di ogni altra cosa andare a trovare Vegeta,
ma tre tentativi in altrettanti giorni erano stati uno sforzo
eccessivo. Tutto ciò che poteva fare era attendere notizie
da Goku e i suoi genitori fissando il cellulare in costante apprensione.
Ancheggiando come una papera, al ritorno dalla toilette si accorse che
dal piano inferiore stavano provenendo delle voci concitate impegnate
in un conversazione che pareva della massima urgenza. Due di esse
riuscì a riconoscerle al volo, erano i suoi genitori. Le
altre non fu altrettanto facile identificare, ma avevano qualcosa di
familiare.
Incuriosita si avvicinò agli scalini e facendo molta
attenzione cominciò a discenderli per raggiungere il
salotto. Una mano stretta salda al corrimano, l'altra nella parte
inferiore del pancione per sostenerlo.
Nonostante non fosse in grado di vedere i suoi piedi riuscì
a scendere con successo le scale. Con quella camminata goffa tipico
delle donne in dolce attesa attraversò il piccolo corridoio
e si affacciò all'ingresso del soggiorno.
La prima cosa che vide fu sua madre, seduta sul bordo di una poltrona
in una postura tesa e scioccata. Entrambe le mani poste davanti alla
bocca.
“Cosa succede?” domandò la giovane
quando entrò nella stanza. Bulma si voltò verso
il divano, riconoscendo le due misteriose voci “Signor
Bardack, signora Gine!” esclamò con sorpresa
“Ci sono novità?” volle sapere in
trepidante attesa.
Panchy si alzò “Bulma cara, credo sia meglio che
ti sieda” raccomandò, mostrandole il posto che
aveva da poco abbandonato. “Mi sembra una buona idea,
tesoro” le diede manforte Brief.
Bulma li guardò entrambi. Le loro espressioni preoccupate la
resero restia e sospettosa. “Non ho bisogno di
sedermi” s'impuntò, tornando a rivolgersi ai
genitori di Goku.
Loro si scambiarono uno sguardo altrettanto cupo. Infine Bardack si
alzò e fece un passo verso di lei. “Ieri hanno
riaperto l'accesso al pubblico e siamo riusciti a vedere
Radish” Bulma trattenne il fiato “Abbiamo scoperto
che era insieme a Vegeta quando è iniziato lo
scompiglio” l'uomo fece una pausa.
“Ci ha detto che stavano cercando di mettersi al riparo,
quando sono stati circondati da altri carcerati” riprese a
raccontare. Gine scostò lo sguardo, aveva udito questa
storia tante volte e ognuna di esse sentiva una stretta alla bocca
dello stomaco. “Sembra che Vegeta si sia fatto dei nemici e
loro hanno approfittato dell'opportunità per...
accoltellarlo” “Cosa?!”
esclamò sgomenta la ragazza, “Non è
possibile, Vegeta non si sarebbe mai fatto cogliere
impreparato” argomentò risulta.
Bardack la guardò con comprensione “Può
anche darsi, ma erano in molti e loro erano soltanto in due”
“No! Lui sa affrontare tante persone alla volta. L'ho visto
con i miei occhi!” affermò Bulma, mentre ricordava
la baruffa alla quale aveva assistito ormai quasi un anno prima.
“Mi dispiace, purtroppo questa volta è stato
sfortunato” le disse l'uomo, cercando di farle vedere la
realtà dei fatti. Sfortunato,
ma certo, non poteva essere
diversamente, Vegeta era una furia quando si batteva, quel giorno era
stato l'unico a rimanere in piedi, nonostante l'apparente
disparità. “E adesso come sta?”
esortò.
“Cara, perché non provi a sederti
adesso?” intervenne suo padre, preoccupato non solo per la
figlia, ma anche per il nipote. “No! Voglio sapere come sta
Vegeta!” gli occhi della giovane erano solo per Bardack, che
era stato designato come narratore.
L'uomo cercò con lo sguardo il padre della ragazza, in
attesa del suo permesso per proseguire. Sconfitto dalla testardaggine
della figlia, Brief fece un cenno di consenso. “Quando sono
riusciti a fermare la rivolta era già troppo tardi,
perché aveva perso troppo sangue. Hanno fatto il possibile e
stando a quanto Radish è riuscito a scoprire dagli
infermieri, Vegeta ha lottato per un giorno” fece una breve
pausa “Mi dispiace, ma non ce l'ha fatta” concluse.
Bulma lo guardò a bocca aperta “Che cosa vuol
dire?” chiese, forse non aveva capito bene.
Panchy le fu vicino e le poggiò le mani sulle spalle
“Tesoro, mi dispiace così tanto. Vuol dire che
Vegeta è deceduto”.
***
Stava
solo sognando, era uno di quei sogni vividi che aveva negli ultimi
mesi. Tra poco si sarebbe svegliata e si sarebbe resa conto che in
realtà andava tutto bene e magari avrebbe fatto visita a
Vegeta come aveva progettato di fare tempo prima.
Quando però aprì gli occhi, nel buio della sua
stanza, si accorse che le bruciavano. Se nella vita si potesse versare
solo una certa quantità di lacrime, doveva aver raggiunto il
suo limite in quelle ore.
La realtà, quando tornò a bussare alla porta
della sua memoria, le ricordò che la vita era ingiusta e
crudele.
Vegeta... era... morto...
Non esisteva destino peggiore, almeno quando era solo in carcere era
certa che un giorno sarebbe uscito da lì e sarebbe stato il
compagno e il padre che lei desiderava. La morte è invece
una condizione definitiva che non può essere convertita.
Così, nel giro di poche ore Bulma scoprì che
della persona più importante della sua vita non era rimasto
più nulla.
Una mano si adagiò sulla sua collana e con le dita
accarezzò la sfera arancione che vi era attaccata.
Cominciò a piangere, pensando che di tutti i sogni non le
importava più nulla. La vita stessa non valeva
più la pena di essere vissuta.
Il bambino si mosse nel suo grosso grembo e le ricordò la
sua presenza. Come se percepisse l'angoscia di sua madre e a modo suo
stesse cercando di consolarla.
Bulma si accarezzò la pancia, mentre le lacrime scendevano
copiose dal suo viso. Tutto quello che aveva con Vegeta era andato
perduto in un istante, tutto ad eccezione di quella vita che cresceva
dentro di lei e che presto avrebbe dato alla luce.
CONTINUA…
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Capitolo 38 *** Per le persone care ***
d
ENTER
MY WORLD
Per le persone care
Da
quando Vegeta aveva venduto la sua moto, il parcheggio all'interno del
cortile era rimasto vacante. Essendo l'unico attuale proprietario del
locale, Nappa ne aveva approfittato e ne faceva uso.
Uscendo dalla sua autovettura i suoi occhi si scostarono sui materiali
inutilizzati per la riparazione delle tubature avvenuta il mese
precedente. Si annotò mentalmente di avvisare i dipendenti
che aveva assunto di spostarli in un luogo più appropriato.
Dov'erano ora erano solo fastidiosi.
Aprendo il bagagliaio dell'auto, Nappa estrasse una scatola di cartone.
Era andato a recuperarla dalla prigione alcune ore prima. Non avendo
altra famiglia, Vegeta aveva segnalato il nome del socio come unico
contatto in caso di emergenze, oltre a quello del suo avvocato.
Pertanto l'omone era stato incaricato di andare a riprendere gli averi
che il prigioniero aveva indosso il giorno del suo arresto. Gli abiti,
le chiavi di casa attaccate a quelle del locale, un paio di fogli sulla
quale aveva scritto alcuni promemoria, il portafoglio e il cellulare la
cui batteria era ormai scarica da tempo e che nessuno sarebbe
più stato in grado di accendere, non conoscendo il codice
della sua riattivazione e che avrebbe quindi conservato per sempre i
suoi segreti.
Sul pianerottolo davanti alla porta dell'appartamento, Nappa
infilò la mano nella scatola per recuperare le chiavi.
L'abitazione era rimasta sigillata da quando Vegeta era stato
incarcerato. Il problema non era tanto la serratura rimasta chiusa,
c'era un secondo mazzo in qualche cassetto nel bar in caso d'emergenza,
ma nessuno aveva davvero motivo per mettervi piede.
Entrando nel piccolo bilocale il colosso sentì un fremito di
nostalgia. Dall’ultima volta che era stato lì
dentro erano passati almeno tre o quattro anni, il giorno nella quale
aveva aiutato Vegeta a trasferirsi.
Tuttavia prima di lui era stato Nappa il precedente inquilino di quella
casa, occupandola per quasi quindici anni, per poi lasciarla al figlio
del vecchio proprietario.
Doveva tutto al vecchio, quando aveva diciotto anni era allo sbando
senza avere un posto dove andare o qualcuno alla quale chiedere aiuto.
Era stato lui a dargli il primo lavoro al bar, come garzone, e un tetto
sopra la testa facendogli pagare un piccolo affitto.
Il locale non era soltanto un luogo di lavoro per Nappa, rappresentava
anche la sua salvezza e un debito nei confronti della persona che lo
aveva tirato fuori dai guai quando ne aveva più bisogno.
A cinque anni dalla sua morte, seppellire il figlio in una nuvolosa
giornata d'inizio settembre, gli diede una sensazione di dejavu,
nonché una percezione di fallimento e di sconfitta.
Il bar che aveva costruito da zero e il ragazzo che aveva allevato da
solo erano le sole cose che il vecchio gli aveva lasciato, insieme
all'indiretta responsabilità di prendersene cura. Il locale
aveva rischiato di essere allagato e Vegeta era finito a far compagnia
al defunto padre.
Tuttavia, guardandosi attorno per un attimo ebbe l'impressione che
quella casa non fosse mai stata lasciata libera. Sì, c'era
un po' di polvere accumulatasi negli ultimi mesi, ma tutto il resto
sembrava attendere il rientro dell'inquilino.
Stoviglie ancora nel lavello, indumenti poggiati sul divano e un
maglione pesante abbandonato su una delle sedie attorno ad un piccolo
tavolo, segno che era ancora inverno quando era stato dimenticato
lì.
Nella camera da letto il materasso era sfatto, dando l'impressione che
qualcuno si fosse appena alzato. In un angolo un cestello era pieno di
indumenti che dovevano essere lavati. Mentre un paio di scarpe era
rimasto al centro della stanza, sfilate forse di fretta.
Nappa adagiò lo scatolone sul mobile più vicino
all'accesso della stanza e guardò al suo interno. Ne
estrasse gli abiti, ma quando lo fece sentì un piccolo tonfo.
Scostando lo sguardo accanto ai suoi piedi si accorse che il
portafoglio era balzato fuori dal contenitore. Forse era finito sopra i
jeans all'interno della scatola e quando Nappa li aveva estratti anche
portafoglio ne era uscito.
Si chinò per recuperalo. Quando l'oggetto era finito al
suolo si era aperto e guardando con vago interesse il suo contenuto
riconobbe lo stile di Vegeta.
Era riservato in tutto quello che faceva e tendeva a non personalizzare
mai nulla di privato. La sua casa non aveva quadri o poster, cosa che
invece aveva fatto Nappa a suo tempo, la sua scrivania nel retro del
bar era spoglio di chincaglierie e il suo portafoglio era privo di
effetti personali.
C'erano solo un paio di banconote, carte di credito e delle monetine
nell'apposito scompartimento. Nulla di più.
Nappa lo riadagiò sul mobile accanto alla scatola e distolse
lo sguardo, portandolo al resto della stanza. Finì per
riporre gli abiti nel cestello, come se qualcuno potesse lavarli, e si
diresse verso la porta della camera.
Fu allora che i suoi occhi catturarono un particolare che non aveva
notato prima. Nascosto in uno scompartimento interno del portafoglio
l'angolo di un foglietto spuntò appena, rilevando la sua
presenza. Nappa lo afferrò incuriosito, qualsiasi cosa
fosse, Vegeta aveva fatto bene attenzione a tenerlo nascosto, ma la
caduta doveva averlo scosso abbastanza da renderlo visibile.
Quello che estrasse fu, con somma sorpresa, una fotografia. Vegeta non
sembrava molto felice di essere al centro della foto, la sua
espressione era tutt'altro che sorridente... ma quello era Vegeta anche
nel suo giorno migliore, chi lo conosceva sapeva che ottenere un
sorriso da lui era chiedere l'impossibile. Benché sembrasse
infastidito, i suoi occhi raccontavano una storia diversa. Riflessi
nella profondità delle sue iridi scure c'era una luce di
tranquillità che Nappa non gli aveva mai visto prima di
allora.
Accanto a lui c'era una ragazzina. Sapeva di averla già
vista da qualche parte, ma aveva il brutto vizio di non prestare troppa
attenzione ai visi degli sconosciuti. Tuttavia ebbe l'illuminazione
necessaria quando riaffiorò un'immagine di lei in piedi di
fronte alla porta della propria casa mentre era pesantemente gravida.
Non ricordava il suo nome, se non per il fatto che iniziasse con la B,
forse.
Al contrario di lui, la ragazza sembrava al culmine della
felicità, espresso non solo negli occhi azzurri, ma anche
col sorriso che le abbelliva il viso. La foto era stata scattata da un
cellulare e a giudicare dalla posizione della ragazzina,
nonché del suo braccio, doveva essere stato il suo e doveva
essere stata lei a scattarla. L'altro braccio di lei era appoggiato
sulle spalle di Vegeta, per impedirgli di sfuggire dall'inquadratura.
Nappa non riconobbe il posto, doveva essere da un'altra parte della
città o completamente in un altro paese, ma non doveva
essere stata scattata molto prima del fatidico arresto. Alle loro
spalle, in quello che sembrava essere un ristorante, c’era
una vetrata. La gente all'esterno camminava stretta in pesanti giacche
invernali e in un lato della strada era ben visibile la moto di Vegeta,
quella nuova non il vecchio catorcio che aveva prima.
“Vegeta, tenevi davvero così tanto a questa
mocciosa?” gli chiese Nappa nel silenzio.
***
“Siamo
sicuri che sia una buona idea?” domandò Yamcha,
voltandosi verso il sedile del passeggero sulla quale erano seduti i
suoi amici. “Mi sembra troppo tardi per avere dubbi. Ormai
siamo arrivati” gli fece notare Lazuli portandosi una ciocca
di capelli dietro l'orecchio. Crilin, seduto al centro del sedile
accanto alla ragazza, si grattò la nuca “E se non
volesse vederci?” mormorò altrettanto preoccupato
quanto l'altro.
“Non ha nessuna importanza” esordì
all'improvviso Goku “Dobbiamo farle capire che abbiamo almeno
provato” disse loro, aprendo la portiera dell'auto ed uscendo
dalla vettura.
Lapis si appoggiò al volante con l’avambraccio,
girandosi a sua volta “Ehi, il ragazzino è
più sveglio di quanto pensassi”
commentò ironico nella sua tipica tonalità piatta.
Goku attraversò la strada e raggiunse
l’abitazione. Non era mai stato a casa di Bulma e non sapeva
a quale finestra appartenesse la sua stanza, ma sul lato ovest le
tapparelle erano chiuse ed intuì che doveva essere una di
quelle.
Si adagiò le mani intorno alla bocca
“Bulmaaaa!” urlò.
“Ehi, che stai facendo?” gli chiese Crilin
“Basta suonare il campanello” dicendo
ciò si prodigò a premerlo. Goku lo
guardò sorpreso “Oh” mormorò.
Lapis si chinò verso l'orecchio della gemella
“Ritiro tutto” bisbigliò, lei
roteò gli occhi verso il cielo.
Panchy apparve sulla soglia della porta, osservando gli amici della
figlia che si erano radunati davanti all’ingresso.
“Mi dispiace tanto ragazzi, ma Bulma non vuole vedere
nessuno” spiegò amareggiata.
Erano settimane che la ragazza si era barricata in camera e si
rifiutava di uscire, nonostante i tentativi dei genitori e della
sorella.
“Era come temevo” mormorò Crilin,
afflitto. Al suo fianco Yamcha sospirò “La prego,
può dirle che siamo passati e che siamo preoccupati per
lei?”.
La madre della ragazza annuì “Ma certo”
li rassicurò.
Goku osservò la scena per un momento. Era con i suoi
genitori quando Radish aveva raccontato loro la storia, riferendo i
fatti dal suo punto di vista.
Il fratello aveva detto che uno degli assalitori era armato di un
coltello artigianale, usando un vecchio spazzolino da denti alla quale
era stato applicato un frammento appuntito di un vetro. Radish aveva
visto l'improvvisata arma conficcarsi nello stomaco di Vegeta
più e più volte, nonostante l'instancabile
resistenza che quest'ultimo aveva opposto.
Aveva cercato di salvarlo, ma alle sue spalle qualcuno gli diede una
botta in testa, facendolo svenire. Al suo risveglio i tafferugli erano
stati sedati e si era ritrovato in infermeria con una fasciatura alla
testa.
Nel letto accanto al suo Vegeta aveva lottato per rimanere aggrappato
alla vita e molti degli infermieri si erano detti sorpresi che ci
stesse riuscendo sebbene i soccorsi fossero stati tardivi.
La morte di un prigioniero era stata la causa principale per la quale
il carcere era rimasto isolato per alcuni giorni.
Goku non aveva mai conosciuto Vegeta e ora non avrebbe mai avuto
occasione di farlo, ma da come lo aveva descritto Bulma e da quello che
aveva raccontato Radish il ragazzo provò un istintivo moto
di simpatia nei suoi riguardi.
Suo padre gli aveva confidato che gli ricordava lui, con la stessa
tenacia e lo stesso fuoco che ardeva quando si trovavano su un ring,
nel caso di Kakaroth, o in una rissa, come invece accadeva per Vegeta.
Goku si avvicinò al cancello che delimitava il giardino
posteriore e cominciò a scavalcarlo. “Ehi! Che
stai facendo?” esclamò sorpreso Crilin, Goku lo
ignorò.
Dopo aver trovato una posizione stabile sul punto più alto
della cancellata si poggiò le mani alla bocca, come aveva
fatto poc'anzi “Bulmaaaaaa! Vegeta non vorrebbe vederti
triste!” urlò a quella che ipotizzò
essere la sua camera, “Mi hai sentito Bulma?”
continuò a strillare.
CONTINUA…
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Capitolo 39 *** I conti tornano ***
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MY WORLD
I conti tornano
Tights
ogni tanto si ricordava che aveva ancora le chiavi della casa dei suoi
genitori e, ancor più raramente, le veniva in mente di
portarle quando andava a far loro visita.
Entrando rischiò quasi d'inciampare su una borsa posta
subito accanto all'ingresso. La sacca era di sua sorella, la riconobbe
perché Bulma era solita utilizzarla quando veniva a stare la
notte a casa sua. Tuttavia non mancò di notare che non era
stata chiusa con il lucchetto com'era solita fare la sorellina. Il
gancio aveva una combinazione numerica che conosceva solo la
proprietaria, ed era quindi rimasto appeso alla zip senza sfruttare il
suo potenziale.
Qualcun altro doveva aver appoggiato la borsa sotto il mobiletto
adiacente all'uscio e la giovane ipotizzò fosse opera della
mamma.
“Ciao a tutti” esordì entrando in
cucina. Mentre i suoi genitori sollevarono lo sguardo per salutarla,
dandole un caloroso benvenuto, lei ebbe il tempo di guardarsi attorno e
studiare la situazione.
In un angolo della stanza erano stati stipati pannolini per la prima
infanzia, assieme ad un intero kit dedito alla cura di un neonato
poggiato su un piccolo tavolino non molto distante.
Suo padre era seduto attorno al tavolo principale della sala, alle
prese con alcuni documenti che stava studiando e che occupavano
metà della superficie sulla quale l'uomo era appoggiato. Li
aveva divisi in diversi blocchetti, consultandoli a turno per poi
scrivere alcune annotazioni su un taccuino.
Accanto a lui e ai suoi pezzi di carta, era adagiato un vassoio
imbandito con posate, bicchiere e bottiglia d'acqua. Il piatto che vi
era posato al suo interno era ancora vuoto. La madre era impegnata ai
fornelli a cucinare la pietanza che era destinato alla ciotola.
Tights lo fissò per un istante in più, sapendo
con certezza dove il portavivande fosse diretto. Bulma era ancora
chiusa in camera sua dopotutto e se in buona parte era dovuto alle sue
attuali condizioni fisiche, gran parte non lo era.
Si accomodò sulla sedia accanto a quella di suo padre ed
osservò la documentazione. Erano perlopiù
estratti conti, tasse, pagamenti e fatture ottenute dai clienti.
“Ah, papà, ti ho portato questo” gli
disse afferrando la borsetta che teneva ancora sulla spalla e che si
adagiò sulle ginocchia. Immerse le mani al suo interno per
alcuni istanti e ne estrasse un foglio mettendolo davanti al padre.
Brief lo consultò “Ti ho fatto il bonifico che mi
hai chiesto. Spero che basti perché non ho molto
altro” lo informò la figlia “Oh! Ti
ringrazio cara, con questi dovremmo quasi esserci”
mormorò lui scrivendo un appunto sul blocchetto e mettendo
il documento appena acquisito assieme a quelli della categoria
corrispondente sul tavolo.
“Io e il papà te li ridaremo appena ne avremo la
possibilità” la rassicurò Panchy,
girando con un mestolo il pranzo che bolliva nella pentola.
“Lo so, tranquilla mamma” poi si rivolse ancora al
padre, “Quanto vi manca per pagare la prima rata?”.
L'uomo fece un po' di conteggi, come la figlia minore per lui la
matematica non aveva segreti e gli bastarono pochi secondi per far
quadrare i conti. “Più o meno
duecentocinquanta” concluse, grattandosi il mento.
Panchy si voltò ad osservare la figlia “La
scadenza è tra una settimana, dovremmo riuscire a
trovarli” poi si rivolse al marito “Vero
caro?” Brief annuì. “Sì, un
paio di clienti hanno degli arretrati da pagare e la prima retta
dovrebbe essere pronta” asserì fiducioso.
Tights sospirò “E questa è solo la
prima... quando bisogna pagare la prossima?”
s'informò. Suo padre le passo il foglio che
l'università aveva mandato insieme alla lettera di
accettazione. La giovane lo consultò ed emise un fischio
quando si accorse dei prezzi riportati “Accidenti! Sapevo che
era costosa, ma non mi aspettavo così tanto!”
esclamò scioccata “Come hai fatto a pagarla quando
l'hai frequentata tu, papà?” “Ho
lavorato mentre studiavo, ma hanno anche aumentato i costi in questi
anni” le riferì Brief.
“Mh, certo che quella borsa di studio sarebbe tornata
utile” commentò amareggiata Tights,
“È inutile disperarsi per questo, tesoro. Nessuno
può farci più nulla ormai”
sancì la madre in un tono che voleva essere rassicurante.
La figlia la guardò “E la moto? Non siete riusciti
a venderla?” chiese, non le era certo sfuggita la
motocicletta ancora parcheggiata in giardino che aveva intravisto dal
cancello mentre stava entrando. “Avevamo un compratore, ma
tua sorella non se l'è sentita” rispose Brief.
Tights inarcò un sopracciglio “Perché
no?”.
Ufficialmente Bulma era la proprietaria del veicolo ed essendo ora
maggiorenne era lei che doveva apporre la firma sul contratto di
vendita. Tuttavia tra un trambusto e l'altro era diventato assai
complicato riuscire a liberarsene. Sapeva che la sua famiglia aveva
bisogno di soldi ed era ben disposta a venderla, ma questo era prima.
“Abbi pazienza cara, era la moto di Vegeta. Tua sorella non
ha ancora superato quello che è successo” le
ricordò Panchy. La figlia si limitò ad uno
sguardo rattristato accompagnato da un sussurrato
“Già”.
Ci fu un attimo di silenzio.
“A proposito, come sta Bulma?” s'informò
Tights. La madre scosse il capo “Non troppo bene
purtroppo” “Sono sicuro che si
riprenderà presto. La nostra Bulma è
più forte di quello che sembra” aggiunse Brief
cercando di essere rassicurante per tutti e tre. Madre e figlia
annuirono in comune accordo.
Panchy tornò ai fornelli “Piuttosto Tights,
perché non mi aiuti a portarle da mangiare visto che sei
qui” le disse.
***
Da
qualche parte nella stanza buia, Bulma udì il suo telefono
vibrare. Ipotizzò che fosse un messaggio da parte di uno dei
suoi amici, alla quale si era aggiunto Goku. Ne aveva ricevuti parecchi
da quando era successo, ma non li aveva neanche letti.
Voleva bene ad ognuno di loro, soprattutto dopo che li aveva uditi
urlare sotto la sua finestra alcune settimane fa. Tuttavia non aveva
voglia di vederli.
Preferiva restare sdraiata sul suo letto incurante del dolore alla
schiena o al resto del suo pesante corpo.
E nonostante ogni muscolo fosse dolente, la sua sofferenza fisica non
era nulla in confronto con quello che la stava lacerando dentro. Ogni
volta che ci pensava il mondo tornava a crollarle sotto i piedi.
La porta della sua camera si aprì, ma la ragazza non si
voltò per controllare chi fosse. I suoi occhi si scostarono
sull'orologio sopra il comò per un secondo, prima di tornare
a fissare il vuoto. Era da poco passato mezzogiorno.
“Come ti senti cara?” bisbigliò Panchy
entrando nella stanza con il vassoio tra le mani. La figlia non le
rispose e la donna la guardò per un attimo, sdraiata su un
fianco e coperta da un leggero lenzuolo.
La madre si avvicinò, poggiò la vettovaglia sulla
scrivania e si sedette sul materasso accanto alla ragazza. La figlia
maggiore la seguì a ruota, adagiando una bottiglia d'acqua e
una seconda portata sul tavolo accanto al vassoio. Tights si
adagiò al banco di legno ed osservò in silenzio
la scena.
Panchy cercò di sbirciare oltre la spalla della giovane per
cercare il suo sguardo “Tesoro, vuoi mangiare
qualcosa?” “Non ho fame”
farfugliò la ragazzina. Sua madre le scostò una
ciocca di capelli dalla fronte “Lo so che non hai fame, ma ne
abbiamo discusso anche l'altro giorno, digiunare non fa bene al
bambino” le rammentò.
Bulma se ne rendeva perfettamente conto, questo discorso l'aveva
già sentito diverse volte. Trunks aveva bisogno di
nutrimento e l'unico modo in cui poteva ottenerlo era tramite sua madre.
L'espressione della giovane si contrasse in una smorfia di dolore. A
Panchy non sfuggì, “Va tutto bene cara?”
le domandò con delicatezza. Bulma scosse il capo
“No... fa male” confessò.
La madre la studiò per un istante, scostò il
lenzuolo e si accorse che lei aveva entrambe le mani premute nel punto
più basso del pancione. Ci ragionò su.
“Ti ha fatto male altre volte?” le chiese con tutta
calma, Bulma affermò di nuovo con un gesto del capo,
“Ricordi quanto tempo è passato dall'ultima volta
che ti ha fatto male?” “Non lo so”
“Pensaci tesoro, è importante”.
Bulma tornò a guardare l'orologio “Non ricordo,
mezz'ora, forse” rispose restando sul vago.
Tights si ritrovò ad incrociare lo sguardo con quello di sua
madre “Tesoro” le disse lei “Ti dispiace
andare giù e dire al papà di tirare fuori la
macchina e di tenersi pronto?”. Sgranò gli occhi
quando comprese quello che le stava dicendo “Vado”
esclamò avviandosi verso la porta della stanza.
Non aveva fatto che un solo passo oltre la soglia,
“Tights” la richiamò la donna
“Fai in modo che non si dimentichi la borsa
all'ingresso” puntualizzò. La figlia
annuì e sparì nel corridoio.
Panchy tornò verso la minore “Cara, credo sia una
buona idea se cominci ad alzarti” disse poggiandole una mano
sotto il gomito per aiutarla a mettersi seduta.
“Perché? Che succede?” le chiese la
giovane un po' frastornata.
Ancora una volta la madre le scostò una ciocca di capelli,
“Non è nulla di grave, cara. Il tuo Trunks sta
arrivando” la informò.
Il cervello di Bulma era in uno stato apatico da molto tempo ed
impiegò un attimo prima di registrare l'informazione che le
era stata fornita, “Cosa?!” esclamò
quando tornò ad essere cosciente.
Un fremito di paura s'impossessò di lei. L'idea la
terrorizzò a tal punto da percuoterla visibilmente. No! Non
voleva che ciò accadesse, non voleva che un bambino
sgusciasse fuori dalle sue intimità. Non era pronta e non lo
voleva, nonostante avesse atteso nove mesi proprio per questo.
Avrebbe preferito serrare le gambe e fare in modo che ciò
non accadesse mai!
“No! Mamma, non voglio” mormorò al
limite dell'isteria.
Panchy le strinse le spalle “Non hai molta scelta, cara. Tra
qualche ora diventerai mamma anche tu”.
CONTINUA…
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Capitolo 40 *** Nel mio mondo ***
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MY WORLD
Nel mio mondo
Le
temperature erano scese di molto nelle ultime settimane e Bulma
aprì l'armadio in cerca di un maglione che la tenesse al
caldo.
Ci fu un secondo di smarrimento, quando i suoi occhi fissarono la
desolazione che vi era all'interno. Tutti i suoi abiti, o quasi, erano
infilati nelle due grosse valigie che erano momentaneamente
parcheggiate all'ingresso della sua camera da letto. Era la prima
settimana di ottobre, nonché l'ultimo weekend che avrebbe
passato a casa dei suoi genitori. Lunedì avrebbe preso un
treno in direzione della facoltà, lasciando dietro di
sé la vita che aveva conosciuto fino a quel momento.
Alle sue spalle il baby-monitor diede segnali di vita. La ragazza si
voltò verso la sua scrivania, dopo aver afferrato un vecchio
pullover che avrebbe lasciato lì, ascoltando i pianti del
bambino che provenivano dalla stanza accanto.
Trunks si era svegliato ed era compito della madre prendersene cura.
Bulma non lasciò passare nemmeno un minuto e si
affrettò a raggiungere il neonato sdraiato nella sua culla.
Trunks smise di piangere nell'istante in cui riconobbe le braccia della
mamma e parve calmarsi immediatamente.
Tra tutte le cose che avrebbe lasciato dietro di sé, suo
figlio era senza dubbio la più difficile da abbandonare.
Aveva promesso, a sé stessa e ai suoi genitori, che sarebbe
tornata a casa se non tutti i weekend almeno ogni due.
“Tu sei quello che mi mancherà più di
tutti” gli sussurrò Bulma, stringendolo forte. Era
incredibile da credere, ma sebbene fosse passato così poco
tempo dalla nascita del bambino, da quando era entrato nel suo mondo
Bulma si era resa conto di non riuscire ad immaginare come potesse
essere la vita senza di lui. Soprattutto da quando Vegeta ne era uscito
in modo così brutale ed improvviso.
Non avrebbe mai superato la sua perdita, proprio quando la vita per
loro stava cominciando ad avere una possibilità di svolta.
Nonostante ciò il suo più grande rammarico, a
parte l’ovvio lutto, era il fatto che nessuno tra le persone
a cui teneva di più avrebbero avuto modo di conoscerlo.
Vegeta sarebbe per sempre rimasto il misterioso papà di
Trunks e nessuno avrebbe avuto modo di capire cosa di lui le aveva
fatto perdere la testa.
Quando i pensieri si rivolsero al padre del suo piccolo, fu costretta a
far leva su tutta la sua forza per non lasciarsi andare allo sconforto.
Era stata dura vendere la sua moto, sapendo cosa gli era costata e
quanto Vegeta aveva tenuto ad essa, ma i soldi che ne avevano ricavato
erano e sarebbero stati d'aiuto.
“Bulma! Scendi presto, c'è una visita per
te!” urlò sua madre dal pianterreno. La giovane
guardò il pargolo che sorreggeva tra le braccia
“Chi sarà mai?” gli chiese, illudendosi
per un istante che lui potesse capire. Trunks tuttavia
sembrò essere più preoccupato ad osservare il
pullover di sua madre per domandarselo.
Scendendo le scale Bulma provò ad pronosticare chi potesse
essere il misterioso visitatore, ipotizzando uno dei suoi amici, ma
l'uomo che si trovò davanti, quando raggiunse la cucina, era
un perfetto sconosciuto.
Era un uomo distinto vestito in un completo elegante ed ordinato. Nella
sua mano era stretta una valigetta di pelle che adagiò su
una delle sedie attorno al tavolo della cucina.
Il misterioso individuo si schiarì la voce, coprendosi le
labbra con un pugno, “Lei deve essere Bulma”
esordì fissandola con un'espressione seria. Lei strinse gli
occhi in cerca di un indizio che servisse a svelare la sua
identità “Chi vuole saperlo?”. Lui si
sistemò la cravatta “Mi presento, io sono
Piccolo... l'avvocato di Vegeta” Bulma sgranò gli
occhi.
Il famoso avvocato! Ricordava che quando Jaco aveva svolto le sue
ricerche, mesi e mesi fa, aveva più volte ribadito che
Vegeta era stato tirato fuori dai guai da questo miracoloso legale.
Anche lo stesso Vegeta l'aveva nominato in un paio di occasioni,
rassicurandola che stava lavorando ad un appello per concedergli la
libertà, o i domiciliari, prima della scadenza della sua
sentenza. L'ultima notizia che lui le aveva dato era che,
all’inizio di settembre, si sarebbe dovuta celebrare la prima
udienza per il ricorso; ottenuta in fretta proprio grazie
all'insistenza del suo legale.
“Oh” espresse in meraviglia la ragazza
“Perché l'avvocato di Vegeta è venuto a
trovarmi?” Trunks si mosse e la madre se lo
sistemò meglio tra le braccia.
Piccolo osservò la scena per un breve istante, fissando il
neonato ed in seguito la ragazza. Sembrò rifletterci per un
attimo, immerso nei suoi pensieri. In seguito riportò la sua
attenzione sulla sua valigia, nella quale infilò una mano.
Ne estrasse un fascicolo e lo porse alla giovane “Sono venuto
per portarle questo” le disse.
Bulma gli fece notare di avere le mani impegnate “Lo dia pure
a mia madre” lo invitò e lui fece quello che gli
era stato chiesto, porgendo il documento a Panchy, in piedi accanto
alla figlia. La giovane provò a sbirciare, ma il file era
anonimo, a parte il nome di Vegeta scritto sulla copertina sopra una
targhetta. “Che cos'è?”
domandò spinta dalla curiosità.
Piccolo la fissò ancora per un secondo. I suoi profondi
occhi neri la studiarono con attenzione, “Il
testamento” decise di rivelarle infine.
“Che cosa?! Da quando Vegeta ha una cosa del genere?
Perché? Ma soprattutto, perché viene fuori
ora?” ne avrebbe avute tante altre di domande del genere, ma
queste proruppero dalle sue labbra senza darle il tempo di fermarle. Il
legale riprese la propria borsa ed infilò la mano libera
nella tasca, “È una cosa comune a molti detenuti,
come immaginerà hanno molto tempo a disposizione per
riflettere e le Case Circondariali non sono luoghi molto
sicuri” le fece notare “Ho molti clienti che
chiedono di scriverne uno durante la loro permanenza” Bulma
fissò il fascicolo che sua madre cominciò a
sfogliare. “Di solito ci vuole del tempo per l'apertura del
testamento. Per questo sono venuto a cercarla solo oggi”.
Ancora un po' stordita dalla notizia, Bulma cercò di
ritrovare la propria lucidità. “Perché
è qui? Se sta dando a me una copia del testamento vuol dire
che Vegeta mi ha lasciato qualcosa” intuì infine
“Quasi tutto” disse Piccolo “Ha lasciato
la sua quota del bar al socio, ma tutto il resto appartiene a
lei”. Gli occhi scuri del legale scivolarono per un secondo
sul neonato “Non credo di doverle chiedere la
ragione” indovinò tornando ad osservare la
ragazza, che strinse a sé il pargolo quasi per istinto.
Piccolo si voltò “Il resto lo troverà
nel fascicolo che le ho consegnato” e senza darle il tempo di
replicare uscì dalla porta d'ingresso dopo averle regalato
un piccolo gesto del capo.
Una volta ravvedutasi dalla sorpresa, Bulma si rivolse alla madre,
“Fammi dare un'occhiata” le chiese rivolta ai
documenti. La donna li poggiò sul tavolo ed entrambe
cominciarono a consultarli.
Quello che le aveva detto Piccolo era vero. Vegeta le aveva lasciato
tutto.
Il suo conto in banca, per quanto minuscolo, l'eredità di
suo padre o quello che ne restava. Cosa più importante,
l'appartamento sopra il magazzino del bar.
Vegeta non era ricco, i suoi averi erano limitati, ma aveva fatto in
modo che se gli fosse accaduto qualcosa in carcere, come purtroppo era
successo, tutti i suoi beni sarebbero finiti nelle mani delle persone
per lui più importanti: Bulma e, di conseguenza, Trunks.
In cima ai documenti era segnata la data di stipulazione del
testamento. Risalivano ad inizio giugno. Chissà cosa, in
quel periodo, era passato per la mente di Vegeta tanto da indurlo a
prendere una decisione tanto importante.
Bulma non lo avrebbe mai saputo, ma ad essere sincera conosceva
abbastanza bene Vegeta da sapere che se pure avesse avuto
l'opportunità di domandarglielo, lui non le avrebbe dato la
soddisfazione di una risposta. Sarebbe per sempre rimasto un mistero
che non avrebbe mai risolto.
Istintivamente la sua mano si poggiò sulla catenina che
portava al collo, toccando il ciondolo che strinse forte tra le dita.
***
Fuori stava ancora nevicando,
notò quando i suoi occhi si scostarono sulla finestra dalla
quale poteva osservare grossi fiocchi di neve che danzavano in cielo.
Per contrasto, si stava
davvero bene in quella stanza. Il riscaldamento autonomo
dell'appartamento era settato alla giusta temperatura, ma il posto
migliore dalla quale osservare il mondo era sotto le coperte.
Soprattutto se lui le stava sdraiato accanto.
Gli occhi di Bulma si
scostarono verso l'amante, avvicinandosi a lui per poterlo tenere
stretto ed appoggiandogli la testa sui pettorali. Vegeta la strinse a
sé, ma il suo sguardo restò fisso sul soffitto.
La ragazza si era
accorta che era pensieroso quel giorno, rendendolo meno loquace del
solito. All'improvviso lui si mise seduto, “Ehi!”
protestò lei. Sapeva che prima o poi si sarebbero dovuti
alzare, ma avrebbe preferito restare lì per ancora cinque
minuti... almeno.
Vegeta non le rispose,
si voltò verso il suo comodino ed aprì uno dei
cassetti. Curiosa, Bulma seguì i suoi gesti e si accorse
della sua esitazione. Stava per sedersi anche lei, con l'intento di
sbirciare oltre la sua spalla, quando Vegeta infilò la mano
nel cassetto e lo richiuse.
Senza molta delicatezza
le lanciò sulle ginocchia quello che si rivelò
essere una scatoletta.
Bulma la
fissò senza capire, “Che
cos'è?” gli domandò. In responso Vegeta
ringhiò “Non fare domande idiote”
così dicendo incrociò le braccia e la
osservò con un broncio in viso.
“Aww... mi
stai facendo un regalo? È la prima volta che me ne fai
uno” commentò afferrando il contenitore.
“Tsk, sta zitta” brontolò lui tornando a
sdraiarsi sul materasso, dandole le spalle.
All'insaputa della
giovane continuò ad osservarla tramite il riflesso della
finestra.
Bulma aveva un solo modo per svelare il mistero, decidendo quindi di
aprire la scatola. Al suo interno era contenuta una collanina, il cui
ciondolo era una piccola sfera arancione nella quale era incastonata
una stellina rossa.
Non era bigiotteria,
aveva un certo valore, ma non era neanche troppo pregiata.
“Wow!”
esclamò lei con entusiasmo quando la vide. Bulma si mise a
sedere e diede uno spintone all'uomo “Aiutami a
metterla” gli disse scuotendolo.
Vegeta sbuffò
e sollevò il busto dal materasso, aiutandola ad indossarla.
Quando le sue mani si allontanarono dal collo della giovane, lei
scattò giù dal letto.
Nuda, a parte per
catenina, si precipitò verso lo specchio in bagno.
Dalla sua prospettiva,
ancora sdraiato sul materasso, Vegeta poté osservarla mentre
si controllava con indosso il nuovo girocollo.
Bulma tornò
di corsa e s'infilò sotto le coperte. Era pur sempre
metà dicembre e lei non portava abiti di sorta. Sebbene il
riscaldamento fosse alla giusta temperatura, Vegeta era la sua
principale fonte di calore.
Quando lo raggiunse gli
saltò al collo e lo strinse con tutta la forza che aveva in
corpo “È bellissima, Vegeta. Ti amo”.
Silenzio.
Solo dopo averlo detto,
Bulma si rese conto delle parole che erano appena uscite dalle sue
labbra. Non c'aveva mai pensato, era un sentimento che non sapeva
nemmeno di provare e che non aveva mai sentito per nessuno.
Eppure.
Eppure doveva essere
vero, perché quando le sue orecchie udirono il suono della
sua voce pronunciare quella frase si rese conto che doveva essere vera.
“Tu...
cosa?” mormorò lui colto altrettanto alla
sprovvista.
Guardandolo negli occhi,
Bulma si rese conto di non avere dubbi. Sorrise “Ti
amo” ripeté e questa volta lo fece con una certa
consapevolezza. Certa che non potevano esserci altre alternative. Era
ciò che provava per lui.
Vegeta sembrò
un po' meno sicuro, nei suoi occhi il dubbio e un pizzico di paura. Un
sentimento così non gli era familiare e non
sembrò in grado di trovare una risposta a quell'affermazione.
In cuor suo Bulma
cominciò a vacillare. E se fosse stato a senso unico? E se
lui non provava lo stesso per lei?
La sua certezza e la sua
felicità rischiò di sgretolarsi, ma prima che il
dubbio potesse rovinare l'intero momento, Vegeta si chinò
verso di lei e la baciò nel modo più delicato
possibile. Rispondendole in silenzio.
FINE
Anche questa (luuunga) storia è infine giunta al termine!
Un sentito grazie a tutti voi per averla letta fin qui. Un doppio e
caloroso grazie anche a chi ha ritagliato del tempo prezioso dai suoi
impegni per farmi conoscere le sue opinioni.
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