Molto molto lontano

di NPC_Stories
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1373 DR: Se un uovo viene rotto dall'esterno, la vita finisce ***
Capitolo 2: *** 1373 DR: Se un uovo viene rotto dall'interno, la vita comincia ***



Capitolo 1
*** 1373 DR: Se un uovo viene rotto dall'esterno, la vita finisce ***


Nota: questa storia è il sequel di Per sempre felici e contenti; consiglio di leggere prima quella.




1373 DR: Se un uovo viene rotto dall’esterno, la vita finisce



Trentesimo giorno del mese di Kythorn, appena fuori dalle mura di Trademeet, un’ora dopo mezzanotte

Beryl stava correndo già da alcuni minuti, ma non sentiva la stanchezza. L’adrenalina e la paura gli mettevano le ali ai piedi. Aveva già esplorato quella zona il giorno prima, con calma e in perfetto silenzio, e sapeva dove stava andando.
Attualmente, dritto contro un muro di terra.
La trincea dove si era infilato piegava bruscamente a destra. L’agile tagliaborse continuò a correre, senza preoccuparsi troppo di sbandare. Anziché curvare, usò la parete davanti a sé come base d’appoggio per un salto acrobatico che lo rimise in carreggiata prima ancora che i suoi inseguitori si rendessero conto della mossa.
Gli orchi lo tallonavano dappresso, nonostante la curva improvvisa che li costrinse a rallentare leggermente. Il ladro aveva guadagnato solo un paio di secondi. Per fortuna la fuga non era l’unico piano di Beryl.
Mentre correva, la sua mano sinistra scese in automatico alla cintura, dove una piccola borsa magica conteneva la sua vasta e rispettabile collezione di Verghe Inamovibili. Bastò infilare l’indice e il medio nella scarsella e pensare a ciò che voleva prendere, perché una di quelle verghe si materializzasse fra le sue dita.
L’altra mano intanto andò a toccare la fibbia della cintura, un colpetto dell’unghia sul metallo fu sufficiente a risvegliare la magia dell’oggetto. Beryl sentì che l’incantesimo lo avvolgeva e lo sospingeva in avanti, rendendo i suoi passi più ampi e più rapidi. Avrebbe avuto bisogno di quell’aiuto magico, perché ora il suo piano avrebbe preteso la sua attenzione su altri dettagli e di norma il suo passo sarebbe rallentato troppo.
Estrasse una Verga Inamovibile dalla borsa, mentre con la mano destra faceva lo stesso pescando da una borsa gemella che teneva sul fianco destro. Adesso aveva in mano due corti bastoni di metallo, ma si trattava di una variante dell’oggetto classico che aveva progettato lui stesso. Quelle verghe di solito erano semplici sbarre che potevano essere fissate in un punto, anche a mezz’aria, grazie all’incantesimo che le permeava. Bastava schiacciare un pulsante situato a una delle estremità, e magicamente si otteneva una base d’appoggio altrimenti impossibile, in barba alle leggi di natura.
Le verghe di Beryl all’altra estremità erano appuntite anziché piatte, come se fossero lunghi paletti di ferro. L’astuto ladro aveva molteplici usi per quegli oggetti: li utilizzava come normali appigli, ma anche come randelli oppure colpendo di punta.
Si diede un ultimo sprint per mettere distanza fra sé e gli orchi, poi posizionò quelle prime due verghe in orizzontale accanto a sé con la punta rivolta alle sue spalle, e premette i due pulsanti con perfetta sincronia.
Osvith”, sussurrò nel frattempo. In draconico significava fuga, ed era il comando che avrebbe attivato un potere ausiliario di quegli oggetti: una volta al giorno, ogni verga avrebbe agito in un istante anziché impiegare alcuni secondi a fissarsi a mezz’aria. Beryl di solito faceva appello quel potere speciale quando doveva usare le sue verghe per una rapida fuga acrobatica o qualcosa del genere. Usarle in contemporanea non era facile, richiedeva concentrazione e questo gli fece comunque rallentare la corsa, ma l’incantesimo di Velocità della cintura lo sosteneva.
Le verghe rimanevano sospese nella sua scia, Beryl le seminava a diverse altezze con la stessa disinvoltura di un ragazzino che si sta lasciando alle spalle briciole di pane. Riuscì a piazzare sei verghe in quel modo, mentre alle sue spalle sentiva i nemici che si avvicinavano sempre di più.
Poi smisero di avvicinarsi. I primi orchi avevano raggiunto le sue trappole creative e ci si erano impalati con slancio. Nell’oscurità della notte non era semplice distinguere le sottili verghe, specialmente se si stava correndo. I nemici tendevano sempre ad accorgersene troppo tardi.
Beryl sorrise soddisfatto sentendo rumori molli di orchi trafitti e rantoli di dolore, tuttavia non si faceva illusioni: non era al sicuro. I nemici erano comunque troppo vicini, e lui non voleva sprecare proprio tutte le sue preziose verghe. Avrebbe già dovuto recuperarne sei dai cadaveri degli orchi.
Gli inseguitori si trovarono presto la strada ostruita dai corpi, bloccati sul posto per colpa delle verghe infilzate nella carne, incastrate nelle armature. Delle persone decenti si sarebbero fermate ad aiutare i compagni ancora vivi; gli orchi si limitarono a scansarli, o spintonarli in avanti se non riuscivano a deviare in corsa, spingendo quelle armi improprie ancor più in profondità. La loro carica rallentò. Ma non si fermò.
Becca, se vuoi fare qualcosa, questo è il momento! Pensò Beryl con una punta di ansia.
L’effetto di Velocità terminò, e il ladro si sentì all’improvviso debole come un vecchio. Aveva recuperato la sua velocità normale, ma dopo aver avuto le ali ai piedi era come camminare nella sabbia. Si stava chiedendo che fine avessero fatto i suoi alleati, quando…
Dovrei fermarmi e combattere, pensò all’improvviso.
Era un pensiero idiota, suicida.
Era un pensiero non suo.
Qualcuno gli aveva appena suggerito quell’idea con un incantesimo, e Beryl pregò che fosse stata Rebecca. Doveva credere che fosse lei e fidarsi di quel suggerimento.
Si fermò di colpo, estraendo altre due verghe e impugnandole come armi. I nemici stavano arrivando un po’ alla volta. Erano equipaggiati in modo eterogeneo, perché l’esercito di Sothillis era più come un’orda di barbari e piccole tribù riunite insieme, in cui i fabbri scarseggiavano e soltanto i soldati d’elite avevano armature su misura. Beryl però sapeva che questi orchi rappresentavano una pattuglia di guardia, che in origine erano una dozzina (ora ne restavano sei) e che erano abbastanza annoiati da desiderare di squartare qualunque sventurato umano si fossero trovati davanti.
Corsero verso di lui, sogghignando nel vedere che si era fermato. Per un momento sembrò perfino che avessero preso velocità, anche se dopo una lunga corsa era impossibile… infatti non stavano più correndo, ma scivolando. Il terreno sotto i loro piedi era diventato improvvisamente viscido, come ricoperto da uno strato di grasso. Tre di loro riuscirono più o meno a pattinare rimanendo in posizione verticale, ma gli altri crollarono a terra sulla spinta del loro slancio. Beryl si occupò prima di quelli ancora in piedi; il solo fatto che dovessero concentrarsi per non cadere li rendeva dei bersagli facili, incapaci di schivare i suoi colpi letali. Un salto acrobatico lo portò ad atterrare sulla faccia di un orco, che cadde sotto il suo peso. Senza interrompere lo slancio, l’agile furfante fece compiere al braccio sinistro un largo giro, caricando il colpo di energia cinetica visto che non aveva molta forza muscolare da mettere in gioco. La verga appuntita penetrò come un paletto nel collo al nemico più vicino.
Ne restava in piedi soltanto uno, più quattro a terra ancora vivi. L’orco cominciò a capire che forse erano caduti in una trappola, e afferrò un corno che teneva alla cintura, per suonarlo e chiamare rinforzi.
Una sacca di pelle gli arrivò dritta in faccia, lanciata da un avversario invisibile.
Immediatamente si aprì, anzi praticamente esplose, inondando il soldato con una colata di melassa appiccicosa. L’orco per automatismo provò comunque a suonare il corno, ma produsse solo una patetica bolla e uno stridio castrato. Beryl gli perforò la gola prima che potesse riprovare, e poi si occupò degli altri che si stavano alzando. Un orco riuscì quasi ad afferrarlo per un piede, una buona idea rispetto al semplice “alzarsi e colpire di spada”, ma il ladro era troppo agile per farsi sorprendere come un pivello.
Alla fine l’ometto rimase solo, in piedi sul cadavere di un orco, con altri corpi riversi a terra intorno a lui.
Il suo udito fine captò dei passi in avvicinamento, ma si rilassò quando vide la figura familiare della sua amica maga.
Rebecca stava cercando di muoversi senza fare rumore, ma non era mai stata molto brava. Era una giovane donna dalle forme gentili e aveva il classico fisico da sollevatrice di cucchiaio. Però nonostante le apparenze era una maga di tutto rispetto e non aveva paura di sporcarsi le mani, una cosa rara per una nobile. In quel momento in effetti le sue mani erano sporche di sangue. Teneva fra le braccia le sue sei verghe che aveva recuperato dai cadaveri delle guardie, e non aveva avuto il tempo di pulirle.
Unto, Becca? Sul serio?” Le chiese sottovoce, con un sorriso sghembo.
La giovane donna scrollò le spalle.
“La nostra missione è segreta, e gli incantesimi potenti attirano l’attenzione.” Gli ricordò lei. “Te la sei cavata, no?”
Beryl non intendeva muovere una vera critica, solo punzecchiare un po’ l’amica. Rebecca era capace di lanciare incantesimi devastanti e di uccidere molti avversari in un colpo solo, invece aveva scelto di usare un trucchetto da principianti per tenere un profilo basso. Il ladro ammirava la sua versatilità, perché rendendo instabile il terreno sotto i piedi dei nemici aveva permesso a un alleato di mettere a frutto le sue capacità e colpire gli orchi in punti vitali. Questo era vero lavoro di squadra, secondo lui, mentre invece molti altri maghi preferivano alzare il tiro e risolvere tutto da soli.
Gli piaceva, Rebecca. Beryl non sopportava le persone con atteggiamento da primadonna, tendeva ad entrarci sempre in competizione.
“La trincea?” Domandò, per tornare allo scopo iniziale della missione. “Hai trovato il passaggio segreto?”
“Non ancora” si adombrò la maga “ma abbiamo quasi un’ora prima del cambio della guardia. Tu sei più bravo di me a trovare i passaggi segreti, quindi ti lascio volentieri questo compito. Io mi terrò pronta a tessere illusioni per far credere che le guardie siano ancora vive.”

Quella notte riuscirono a mappare parte delle trincee sotterranee che le forze degli invasori avevano scavato intorno a Trademeet, e consegnarono tutto al Primo Generale poco dopo l'alba.
Quello dei nemici non era un esercito allo sbaraglio che faceva conto solo sul numero, come i nobili di Athkatla si ostinavano a credere: era una macchina da guerra ben organizzata, con generali che avevano idee interessanti.
Trademeet era stata conquistata circa un anno prima, e in quei mesi tutti gli umani capaci di lavorare erano stati impiegati per scavare gallerie e per forgiare armi per l’esercito di Sothillis, l’ambizioso ogre magi. I bambini, i vecchi e gli inabili erano stati massacrati, molte donne erano state requisite e usate dai goblinoidi e dagli orchi, e quasi tutte ad un certo punto avevano cercato la morte. I liberatori, le forze congiunte degli eserciti di diverse città dell’Amn, non avevano una chiara idea di cosa fosse successo fra le mura di Trademeet, ma qualche sprazzo di informazioni era trapelato.
Rebecca non era riuscita a dormire bene da quando si era unita alle forze dell’Amn che assediavano quella città commerciale un tempo fiorente. Dentro di sé pensava al suo villaggio, la sua amata Bormton, e alla decisione di suo padre di cedere la cittadina fortificata alla fazione dei seguaci di Cyric anziché provare a combattere contro gli orchi.
Alla fine era stata una decisione saggia. Bormton aveva sofferto, lei stessa aveva sofferto, ma Trademeet… era tutta un’altra cosa. Se il suo piccolo borgo avesse subito lo stesso destino di Trademeet, Rebecca non se lo sarebbe mai perdonato. Anzi, probabilmente sarebbe morta già da molto tempo.
Quanti uomini ci erano voluti per scavare quella rete di gallerie in pochi mesi? Cosa ne era stato di loro, dopo? La maga non osava chiederselo. Il pensiero era troppo orribile.
Un tempo Bormton e Trademeet erano state rivali; la città di pianura cercava continuamente di tagliare i commerci diretti a Bormton e di sottomettere la cittadina alla sua influenza, e non erano rari i reciproci sabotaggi e colpi bassi. Ma quello era stato prima della guerra, prima dei massacri e dell’arrivo di un tremendo nemico comune. Adesso quelle dispute sembravano così sciocche.
Rebecca aveva già acconsentito al patto che avrebbe sottomesso Bormton all’autorità di Athkatla, e sperava che accadesse anche a Trademeet: un unico regno, un unico esercito, un’unica forza con cui fare i conti, non più città indipendenti e separate da vecchi dissapori. La giovane donna non si era mai occupata di politica prima (di solito le donne nell’Amn non lo facevano, a parte forse le sacerdotesse), ma adesso si scopriva unitarista.
“...fin quasi alle linee di retroguardia” stava dicendo un generale, indicando qualcosa su una mappa.
Rebecca si impose di tornare al presente: il consiglio di guerra stava esaminando la mappa che Beryl aveva disegnato, anche se il ladro non era presente per spiegare i dettagli.
Ecco, quella era una delle tante forme di stupidità che flagellava la sua cultura, si disse Rebecca alzando gli occhi al cielo. Beryl era motivo di imbarazzo per l’esercito, anche se era uno dei migliori ladri di Athkatla ed era spesso utilizzato dalla città per missioni non ufficiali di spionaggio e sabotaggio. Avevano bisogno di lui, ma pubblicamente lo deploravanono; la ragazza sapeva che la cosa aveva più a che fare con la sua moralità privata che con quella pubblica, per dirla in termini educati. In termini schietti, Beryl non apprezzava molto la compagnia femminile, e questo era un dettaglio da tenere vergognosamente nascosto. Non avrebbe mai potuto ambire a cariche ufficiali, la sua stessa natura lo condannava a dover fare un mestiere al limite della legalità.
Nessun mistero quindi che avesse stretto subito amicizia con una maga che aveva osato alzare la testa e disubbidire a suo padre, e con una veggente che il giorno del suo matrimonio aveva rivolto le sue promesse nuziali al Tempio anziché al suo fidanzato. Già, fra tutti e tre erano una bella compagnia di indispensabili sassolini nella scarpa.
“Consiglio di spostare il grosso dell’esercito” stava dicendo un altro ufficiale “ma lasciamo i fuochi da campo in modo da far credere ai nemici di essere ancora accampati qui.”
“Dovremmo lasciare anche delle tende…”
“Non abbiamo abbastanza tende.”
“Che importa? Voglio dire, è piena estate. I soldati possono accamparsi all’aperto.”
Rebecca lasciò che la conversazione fluisse intorno a lei come la corrente di un fiume. Non c’era bisogno del suo apporto.
“Lady Rebecca?”
A quanto pare era in errore.
“Hm?”
“Quanto tempo pensate che abbiamo?”
La donna ci pensò un attimo, facendo mente locale sulla situazione nelle gallerie.
“Beryl ha trovato dei barili di polvere nera[1], posizionati strategicamente in fondo alle gallerie. Ha bagnato con l’acqua tutti gli esplosivi che ha trovato, ma non siamo sicuri che li abbia trovati tutti. Consiglio di spostare il grosso dell’esercito un po’ più indietro, non ha senso girare intorno alla città e posizionarsi su un altro versante, visto che questi cunicoli potrebbero diffondersi a raggiera in ogni direzione. Io posso coprire i nostri spostamenti con alcune illusioni, ma non reggeranno ad un esame attento. Non sappiamo se i terribili ogre magi siano in città.”
“Se dovessimo agire come se ci fossero, allora qualsiasi mossa sarebbe inutile, e non agiremmo affatto.” La rimproverò un vecchio ufficiale con orrendi baffi a manubrio. Rebecca si chiese con che coraggio un uomo con baffi simili osasse mostrarsi in pubblico e addirittura parlarle con quel tono. Doveva essere un pezzo grosso. Sul petto aveva il simbolo di Imnescar, una città che lei stessa aveva aiutato a liberare.
“Agiamo come se non ci fossero, ma teniamoci pronti a difenderci come se ci fossero.” Intervenne un altro soldato, in tono conciliante.
“Ad ogni modo i barili di polvere nera sono un problema secondario. Li useranno solo in caso di estremo bisogno, perché farebbero crollare i cunicoli, e a loro quei cunicoli servono per sbucare alle nostre spalle e compiere sortite” continuò la maga.
“Pensate che oseranno tanto?”
Rebecca sorrise, giocherellando con un orecchino magico di ametista a forma di goccia che aveva all’orecchio destro. Lo aveva creato lei stessa, nel suo tempo libero, per poter avere un incantesimo di divinazione perennemente attivo. Quell’incantesimo le permetteva di vedere la vera forma delle persone e delle cose. Nessuno però sapeva che ce l’avesse, e dovevano continuare a non saperlo.
Fece scivolare la mano sinistra nella sua borsa di componenti per incantesimi e ne estrasse una fialetta all’apparenza vuota. Con l’altra mano finse di ravvivarsi i capelli, ma dietro la testa piegò le dita a formare una sequenza che avrebbe attivato un incantesimo. Dalle sue labbra non uscì un fiato. Non voleva allarmare nessuno.
Un momento dopo, uno degli ufficiali si alzò di scatto in piedi, portandosi le mani alla gola. Era stato silenzioso e contemplativo fino a quel momento, quindi il suo gesto improvviso colse tutti alla sprovvista. Il soldato tossì, annaspando per cercare aria, gli occhi spalancati e pieni di terrore. Cercava di respirare, ma l’aria semplicemente si rifiutava di entrare nella sua bocca. Molti altri si alzarono allarmati, pensando di essere sotto attacco, alcuni cercarono di aiutare il compagno. L’uomo diventò rapidamente cianotico e crollò a terra svenuto prima che chiunque potesse capirci qualcosa.
Rebecca dissipò l’incantesimo. Voleva farlo svenire, non ucciderlo a sangue freddo.
“Hanno già osato.” Commentò, con tutta tranquillità. “Legatelo, prima che riprenda i sensi. Non è quello che sembra.”
Alcuni di quegli ufficiali le rivolsero uno sguardo vacuo, come se non sapessero cosa pensare, ma un paio di soldati giovani si misero all’opera per legare e disarmare l’uomo svenuto. Un potente controincantesimo per dissolvere effetti magici rese giustizia a Rebecca: l’uomo in realtà era un hobgoblin sotto mentite spoglie.
Dopo questo, neppure l’ufficiale di Imnescar si rivolse più a Rebecca in tono paternalistico. Al contrario, diventarono tutti un po’ più paranoici, come era giusto che fosse. La maga era ancora convinta che stessero prendendo quella guerra un po’ troppo sottogamba.

Più tardi quel pomeriggio si ritirò nella sua tenda. Doveva decidere quali incantesimi preparare per i giorni seguenti e non aveva alcun desiderio di prendere parte alle ricerche per la scomparsa del cavaliere che era stato sostituito dalla spia. Probabilmente era morto e Rebecca riteneva di aver già dato abbastanza per quel giorno. La missione notturna, tutta la mattina in consiglio, un pranzo fugace e adesso stava crollando dal sonno.
Per di più aveva sacrificato la sua scorta di ciambelle per estrarne lo zucchero e preparare melassa alchemica, quindi aveva davvero voglia di rannicchiarsi sulla sua branda e sognare un mondo migliore.
Beryl non era dello stesso avviso. L’aspettava nella sua tenda, con il suo classico sorriso entusiasta. Rebecca trovava un po’ irritante la sua amicizia appiccicosa, ma il ladro aveva così poche persone di cui poteva fidarsi…
“Cosa?” Sospirò la maga, trovandolo seduto sulla sua branda.
“Volevo sapere com’è andata in consiglio” lui scrollò le spalle.
“Mah. Al solito. Qualcuno è ragionevole, qualcuno no, tutti vorrebbero primeggiare, nessuno si era accorto che c’era una spia hobgoblin in mezzo a noi.”
“Non è compito tuo, accorgertene?”
Rebecca scrollò di nuovo le spalle.
“Certo che è compito mio, ma visto che ho una certa utilità vorrei anche che mi fosse riconosciuta.”
“Ah, lo dici a me?” sussurrò il giovane, scuotendo la testa sconsolato. “Hai notizie di Sanna?”
Lo sguardo di Rebecca s’intristì. Non aveva voglia di affondare in pensieri deprimenti, ma sembrava un destino inevitabile.
“Non ci sono miglioramenti. Ieri sono andata a trovarla nella tenda medica e non mi ha riconosciuta. Temo che quell’incidente abbia compromesso la sua salute mentale… spero solo che sia reversibile.”
“Non avrebbe dovuto cercare di divinare Trademeet” Beryl si adombrò, pensando alle terribili conseguenze di quel gesto.
“Certo che avrebbe dovuto!” Scattò Rebecca, perché davvero non sopportava quell’atteggiamento da grande saggio col senno di poi. “Era questo il suo compito, è una veggente. Tutti ci stiamo assumendo dei rischi in questa guerra, i soldati rischiano la vita, lei ha rischiato la sua sanità mentale…”
“E tu cosa rischi?” la interruppe l’uomo, inviperito perché lei gli aveva risposto male. “Dimmi, cosa rischi stando qui nelle retrovie, a preparare i tuoi incantesimi? Cosa rischi a startene invisibile mentre io combatto in prima linea?”
Rebecca impallidì per la rabbia e strinse i pugni. A volte Beryl la faceva proprio uscire di testa.
“Tanto per cominciare, sul campo di battaglia ci sono sempre dei pericoli. Frecce volanti, maghi nemici, polvere esplosiva, trappole e incantesimi ad area! E poi se qualcuno di loro potesse vedere le cose invisibili, io sarei bell’e morta.”
“E allora tanto vale che tu ci vada senza la copertura dell’invisibilità, se è la stessa cosa.” Ritorse lui.
“Mi sembri un deficiente quando parli così!” Lei afferrò un cuscino di stracci e glielo tirò in faccia. Beryl lo schivò agilmente. “Se qualcuno provasse a colpirti, tu sei addestrato a schivare e parare i colpi. Io passo otto ore al giorno a studiare, non ho preparazione bellica, non so nemmeno correre per un intero minuto senza che mi venga il fiatone. Senza protezioni magiche sarei vulnerabile come una pignatta alla festa di Pratoverde!”
Il ladro rimase in silenzio, perché sapeva che lei aveva ragione.
“D’accordo. Non è che io voglia vederti morire, dopotutto.” Borbottò.
Quanta grazia, pensò Rebecca con fastidio, ma non voleva continuare a litigare.
“Sono dispiaciuta quanto te per quello che è successo a Sanna” riprese, abbassando il tono di voce. “Ma devo credere che si riprenderà. Il suo tentativo è stato eroico, lei crede nella giustezza della nostra causa e vuole che l’Amn sia libero dalla piaga degli ogre magi. Posso capire che tu non sia mosso da sentimenti altrettanto patriottici. Posso capire come mai dici che non avrebbe dovuto, e che avrebbe dovuto prima di tutto pensare a sé stessa. Ma lei è una sacerdotessa, ha una responsabilità verso la gente comune.”
“L’Amn non è niente per me.” Confermò lui. “Non mi ha mai dato niente e non mi ha mai fatto sentire a casa. Athkatla mi paga bene. Mi diverte che i nobili, i mercanti e i signori delle gilde abbiano bisogno di me, mi piace vederli ingoiare l’orgoglio per chiedermi favori e ingaggiarmi per lavori clandestini. Ma questa soddisfazione non è abbastanza per ricompensarmi dei rischi che sto correndo in questa guerra, e nemmeno i soldi sono abbastanza. Alla fine, se sono rimasto è solo perché ho fatto amicizia con te e con Sanna. Non voglio vedervi buttare via le vostre vite per qualcosa che… per me non ha nessun valore.”
Rebecca impallidì di nuovo, ma stavolta non per la rabbia.
“Migliaia di vite, Beryl. Centinaia di migliaia. Come puoi dire che non hanno valore?”
“Migliaia di vite che condannerebbero la mia senza pensarci due volte.” Ritorse lui.
“Non ti sto dicendo di approvare la loro ideologia, solo di riconoscere il valore intrinseco della vita umana” cercò di ammorbidirlo.
“Dov’è il valore intrinseco della mia vita umana?”
“Per me la tua vita ha valore” continuò Rebecca, andando a sedersi accanto a lui. “So che sono una persona sola, ma per me ha molto valore. Anche quando fai lo stronzetto.”
Beryl la guardò in cagnesco, ma non riuscì a trattenere un sorriso. Rimasero in silenzio per un lungo momento, l’uno accanto all’altra. La tenda era una piccola oasi di pace in mezzo alla frenesia dell’accampamento.
Alla fine lui ruppe il silenzio.
“Vorrei andare a trovare Sanna. Vieni con me?”
Rebecca era stanca e affranta, avrebbe solo voluto dormire, non credeva di avere la forza di rivedere così presto la sua amica spezzata e di sopportare il peso di quella perdita. Però che scelta aveva? Beryl aveva bisogno di lei, adesso. Aveva bisogno di sapere che il suo piccolo mondo avrebbe continuato a reggere, anche senza Sanna. Il loro gruppo non poteva disgregarsi.
“Certo.” Sospirò e si alzò in piedi, spazzolandosi i vestiti con le mani. “Andiamo.”



**********
[1] In italiano hanno tradotto con polvere nera quello che in inglese è Smokepowder (Irraggiungibile Est, pag. 184), che non è la stessa cosa di Black powder intesa come la polvere da sparo del nostro mondo. La Black powder, o gunpowder, non funziona su Toril. Il dio Gond lo impedisce a causa del suo potenziale distruttivo. La Smokepowder funziona allo stesso modo, ma il processo di creazione non è solo chimico, serve anche della magia per produrla, quindi è più rara e costosa. Questo suggerisce che l'esercito di Sothillis se la sia procurata o tramite gli alleati sacerdoti di Cyric, oppure perché già presente a Trademeet per qualche motivo.



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Capitolo 2
*** 1373 DR: Se un uovo viene rotto dall'interno, la vita comincia ***


1373 DR: Se un uovo viene rotto dall'interno, la vita comincia


La tenda medica, così veniva chiamata l’infermeria da campo, era mezza vuota. L’esercito umano nicchiava e l’esercito goblinoide se ne stava arroccato in città, quindi non c’erano state battaglie a campo aperto, ma entrambe le parti avevano tentato sortite e sabotaggi. Alcuni degli “ospiti” della tenda medica erano nemici, orchi o goblinoidi, tenuti prigionieri ma vivi in attesa di essere interrogati. Se si trovavano lì, era perché non erano ancora fuori pericolo a causa delle ferite. Gli altri pazienti invece erano colleghi di Rebecca, in senso lato: individui di spicco che erano stati divisi in gruppetti e addestrati a lavorare insieme, come era successo a lei, Beryl e il loro defunto compagno Marcus. Rebecca conosceva solo di vista alcuni di questi coraggiosi volontari, ma le sembrava che lo gnomo mezzo morto che stava su una brandina in fondo alla tenda appartenesse al gruppo che era stato inviato a sabotare le armi d’assedio dei goblinoidi, molti mesi prima quando stavano conquistando Imnescar. Come si chiamava…? Non le veniva proprio in mente. E perché ora era ferito? Aveva cercato di infiltrarsi in città? Dov’erano i suoi compagni? Forse il guerriero nella branda accanto alla sua era uno dei suoi compagni. Forse… No, lui no. Quello era Kinross di Purskul, il nome le tornò in mente nel giro di un attimo; avrebbe riconosciuto quella mandibola squadrata ovunque. Era un mezzorco e quindi pochissimi ufficiali si fidavano di lui, anche se nella sua città natale non era strano trovare mezzorchi, costituivano quasi un terzo della popolazione. Kinross lavorava con un trio di halfling suoi compatrioti, ricordò la maga, non con uno gnomo. Ma quindi che fine aveva fatto quella gente? Che cosa era successo a Trademeet prima che lei arrivasse?
Sanna stava mangiando in silenzio. Di solito un guaritore doveva imboccarla, perché la fragile sacerdotessa era in stato confusionale se non catatonico, ma quel pomeriggio stava seduta sulla sua branda senza bisogno di supporto e riusciva a mangiare da sola. I suoi gesti erano meccanici, come se non fosse del tutto presente a sé stessa, ma era sempre un miglioramento.

Beryl e Rebecca si fermarono vicino alla sua branda. Lei non li guardò. Continuò a mangiare la sua pappa insapore, una cucchiaiata dopo l’altra, ma quando ebbe terminato fu in grado di rendersi conto che il cucchiaio era vuoto e che era inutile insistere. Mise il cucchiaio nel piatto di metallo e appoggiò il tutto su un immaginario tavolino alla sua sinistra. La gavetta da campo cadde a terra con un fracasso metallico, e Sanna la cercò con lo sguardo, senza capire perché fosse per terra o perché avesse fatto rumore.
Sta migliorando. Pensò Rebecca con una stretta al cuore. Due giorni fa non si sarebbe nemmeno girata per guardare.
La maga si sedette davanti alla veggente, sforzandosi di rivolgerle un sorriso amichevole e confortante.
“Ciao, Sanna. Guarda, siamo venuti a trovarti. Io e Beryl. Sei contenta?”
La giovane donna mantenne il suo sguardo vacuo fisso in un punto accanto alla testa di Rebecca, senza parlare, per quasi un minuto intero. Poi, quando la maga aveva ormai perso le speranze, con immensa fatica Sanna spostò lo sguardo sul suo viso e la mise a fuoco.
“Rowan.” Mormorò, in tono assente. “È splendido vederti. Sei così bella.” Allungò una mano verso Rebecca, e lei la prese senza esitare. Sanna chiaramente non era lì con la testa, ma era la prima volta che parlava da molti giorni.
“Sanna, sono Rebecca. C’è qui anche Beryl. Siamo i tuoi amici.” Insistette, scambiandosi uno sguardo preoccupato con il ladro.
“Rowan figlia Elene, figlia di Dranste, figlia di Lyanne, figlia di Shandri, figlia di…” continuò a sciorinare una sequela di nomi femminili per quasi un minuto, sempre più a bassa voce, fino a quando Rebecca non fu più in grado di distinguere nulla. “Figlia di… io… non vedo più niente. Mi dispiace, Rowan.”
“Sanna, sono io. Sono Rebecca.” Prese entrambe le mani fredde e deboli della veggente fra le sue. Questo in qualche modo sembrò dare una scossa a Sanna.
“Oh, adesso vedo! Rowan, madre di Rebecca, madre di… no… è così incerto. Il futuro è sempre così. Ma conosco Rebecca. È una brava persona. Devi essere così fiera di lei, Rowan.” Sanna le rivolse un sorriso così entusiasta da sciogliere il cuore. “Avrei voluto conoscerti. Sei una brava persona anche tu. Gli incantesimi che hai imparato non possono cambiare la tua anima, lo sai?”
“Sanna, io sono” stava per insistere che lei era Rebecca, ma si fermò perché aveva avuto un’altra idea. “Sono molto contenta di parlare con te. Mi spiace non averti potuta conoscere.”
“Sei morta molto tempo fa, credo.” Sanna chinò la testa da un lato, come se ascoltasse una voce lontana.
“Sì, è vero. Ma se sono morta, con chi stai parlando adesso?”
Sanna rimase in silenzio per un lungo momento, e Rebecca poteva quasi vedere nella sua mente la battaglia fra la follia che l’aveva sopraffatta e la tiepida voce della ragione che gridava Qualcosa non quadra. Immaginava che la condizione di Sanna fosse come un sogno illogico dal quale non ci si riesce a svegliare.
“Sto parlando con te.” Concluse infine, scuotendo la testa, e Rebecca seppe che aveva perso. “Si può parlare con i morti. Ho parlato con Marcus, prima. Ha detto che ci vuole bene e che gli dispiace.”
Rebecca scambiò uno sguardo preoccupato con Beryl. L’uomo di cui parlava, Marcus Bakran, era un paladino di Lathander che era stato affibbiato al loro gruppo fin da quando l’esercito si era mobilitato da Athkatla. Era morto in battaglia alcune settimane prima. Non era sempre facile andare d’accordo con lui, ma Rebecca sentiva comunque la sua mancanza.
“Ne sono certa, cara. Anche noi gli volevamo bene.”
“Lui ha detto che Becca… no.” Sanna corrugò la fronte. “Ha detto che gli dispiaceva per tutto, ma ha pensato che gli dispiaceva per come ha trattato Rebecca. Che lei era arrabbiata con lui, prima che lui morisse. Rowan, forse puoi dire a Rebecca che lui ha detto” si fermò di colpo, ritraendo le mani dalla presa della maga e portandole davanti alla bocca. “Oh, come sono stupida. Non puoi dirglielo. Morirai quando lei era ancora piccola.”
Rebecca ormai aveva fatto l’abitudine all’incapacità di Sanna di coniugare i tempi dei verbi, non per ignoranza ma perché quando era in trance la sua mente si trovava contemporaneamente nel passato e nel futuro.
“Non importa, Sanna, tesoro. Può dirlo Beryl a Rebecca.” Mormorò tristemente, arrendendosi al fatto che per quel giorno la sua amica non l’avrebbe riconosciuta.
“Marcus per caso ti ha detto pure che gli dispiace per come ha trattato Beryl?” intervenne l’uomo, sentendosi messo da parte. Anche lui aveva avuto i suoi dissapori con il paladino, a causa della sua ristretta visione del mondo.
“Be’, sì, gli dispiace.” Sanna fece lo sforzo di girare il capo verso il ladro per guardare nella sua direzione. “Ha detto che gli dispiace per tutto, ma lui non prova le stesse cose per Beryl e per Rebecca. Beryl non gli è mai piaciuto tanto, perché era sempre contrario a tutte le regole, anche a quelle di...” Sanna esitò, non per delicatezza ma perché stava cercando di esprimere bene il concetto “...Lathander. Lui dice quelle di natura, ma non sono leggi della natura, sono leggi di Lathander. Marcus non conosce la differenza, quindi non può chiederti perdono. Mi dispiace, Beryl.”

Beryl rimase di stucco a quelle parole, come se la veggente l’avesse appena schiaffeggiato. Marcus non conosce la differenza, suonava molto come devi avere pazienza con lui. Quella era la prima volta che qualcuno metteva in discussione davanti a lui il fatto che un dogma religioso corrispondesse a una legge di natura, Beryl stesso non aveva mai concepito quell’idea. Eppure adesso sembrava così ovvia. I chierici e i paladini non erano depositari di una verità universale, al massimo credevano di esserlo. Purtroppo ci credevano così tanto da farlo credere anche agli altri.
“Aspetta, hai… mi hai chiamato per nome? Tu quindi sai che io sono Beryl?” Il ladro s’inginocchiò accanto alla brandina per poter guardare Sanna negli occhi.
La donna gli posò una mano sulla testa rasata e l’accarezzò avanti e indietro.
“L’unico pelato dell’esercito è Beryl” commentò, come se parlasse di una terza persona. Poi cambiò di nuovo registro. “Ti rasi il capo tutti i giorni perché da bambino ti prendevano per i capelli. Non devi farlo per forza. E non devi tagliarti le orecchie. No, non pensarci nemmeno.”
“Non ci ho mai pensato!” mentì l’uomo.
“Non devi farlo.” Sanna continuò ad accarezzargli la testa, come se in quel modo potesse leggere i suoi pensieri, e il suo sguardo si riempì di tristezza. “Se fossi in te, direi a Marcus che la legge di Lathander può inciderla su una spada e infilarsela su per il culo.” Il ladro sussultò. Non aveva mai sentito quella donna dall’aspetto angelico usare un linguaggio scurrile. Non pensava che ne fosse capace. “Non puoi lasciare che Marcus ti faccia star male. Non lo fa con cattive intenzioni, se tu stai male è peggio per entrambi. Devi dirlo anche a Rebecca.”
“Glielo dirò.” Promise Beryl.
“No, dovrebbe dirglielo Marcus. Dovrebbe scusarsi. Lo farà, adesso è andato a prendermi delle mele. Ho tanta voglia di mele!”
“Tesoro… Marcus è morto.” Le ricordò l’ometto.
“Marcus è morto.” Ripeté Sanna. “Spero che torni presto con le mele. Prima mi ha fatta stare meglio.”

Beryl e Rebecca uscirono dalla tenda poco dopo, prigionieri di sentimenti contrastanti.
“Be’... è andata meglio di quanto temessi.” Azzardò infine l’ometto. “Mi ha quasi riconosciuto. Mi dispiace che non sia riuscita a fare lo stesso con te.”
Rebecca per un momento si chiese se fosse sincero; Beryl era sempre così competitivo. Ma no, nemmeno lui poteva essere così meschino da trarre soddisfazione dalla condizione pietosa della loro amica Sanna.
“Hai ragione, anche io temevo peggio.” Disse invece, prendendolo di sorpresa. “Fino a ieri nemmeno parlava, oggi mi ha solo scambiata per mia madre. Non è strano, per una veggente, e Sanna era bizzarra già da prima.”
“Tua… vuoi dire che non erano vaneggiamenti? Tua madre si chiamava davvero Rowan?”
“Sì. Sanna non l’ha mai conosciuta e io non gliel’ho mai detto, quindi stava avendo una qualche visione in cui non riusciva a distinguerci. Almeno ci è andata vicina. Mi preoccupa di più il suo discorso sull’avere parlato con Marcus.”
“Dubiti che possa parlare con i morti?”
“No” sospirò Rebecca, “ma speravo che l’anima di Marcus fosse già andata… sai, Oltre.”
Camminarono in silenzio, facendosi strada fra la gente affaccendata. La maga era persa nei ricordi dei mesi precedenti, quando l’esercito si era diretto alla guerra contro la città conquistata di Imnescar, per liberarla dai goblinoidi e dai cultisti di Cyric. All’epoca lei era già una figura importante nell’esercito, ma più per ragioni politiche che belliche. Beryl invece non era importante, era una pedina sacrificabile. Era stato mandato ad esplorare le fogne per aprire una via che portasse in città, ma quei cunicoli maleodoranti erano ben pattugliati dai goblin ed erano anche pieni di mostri. Il ladro ne era uscito vivo per miracolo. Gli altri comandanti dell’esercito volevano rimandarlo subito nelle fogne, era chiaro che non davano molto valore alla sua vita. Rebecca aveva provato a contrastare la loro decisione, ma non era servito a nulla, la voce di una persona sola non aveva molto peso in un consiglio di guerra (e la voce di una donna ancor meno). Quindi era passata dalle parole ai fatti: aveva smesso gli abiti da nobildonna e si era unita a Beryl nella missione per esplorare le fognature. Questo aveva sconvolto tutti, i generali erano scandalizzati.
Rebecca e Beryl non arrivarono mai alle fogne, la loro missione fu annullata perché il rischio era troppo alto rispetto al possibile beneficio. E da quel giorno, a Rebecca venne assegnato un paladino d’ufficio. Marcus era un paladino di Lathander ed era costantemente crucciato per la salute della maga. Ora lei non ricordava esattamente perché, ma lui continuava a impedirle di fare cose e di assumersi rischi eccessivi.
Beryl si era unito al loro gruppo per via di Rebecca. Era stata l’unica a prendersi a cuore la sua vita e questo l’aveva molto colpito.
Sanna era stata l’ultima ad unirsi al gruppetto perché aveva fatto amicizia con Rebecca, ma nominalmente non era davvero una di loro: era una dei pochi veggenti dell’esercito, una mistica dotata di un talento soprannaturale, riusciva a vedere sprazzi del futuro senza dover lanciare incantesimi. Una risorsa del genere non apparteneva ad un singolo gruppo d’assalto, e Sanna non andava mai in missione con loro, ma quando i tre tornavano al campo base lei era sempre felice di passare il tempo con i suoi amici. Visto che Beryl e Marcus non avevano mai davvero legato, e Rebecca a tratti non sopportava nessuno dei due, la presenza equilibrata di Sanna spesso li aveva riportati alla pace prima che venissero dette parole imperdonabili.
Non erano le persone più affiatate del mondo, ma per Rebecca erano i migliori amici che potesse trovare nell’esercito amniano. Non sempre c’era possibilità di scelta.
Tutto sommato poteva andarle peggio, e avere intorno persone eterogenee in un certo senso era piacevole. Ma quello che un tempo era un bel gruppetto di quattro teste diverse, era diventato un trio quando il paladino era morto, e adesso che Sanna sembrava impazzita restavano solo Beryl e Rebecca a cercare di tenere in piedi la loro amicizia traballante. Erano come uno sgabello con due gambe, ed entrambi lo sapevano, ma non avevano nessun altro su cui fare affidamento; quantomeno, per ora erano uniti dai ricordi felici e dall’affetto residuo che avevano l’uno per l’altra, e per gli amici perduti.

“Dovete capire che non posso” sbottò una voce da qualche parte alla loro sinistra. Per qualche motivo quella voce riuscì a scavalcare il rumore generale e catturò l’attenzione di Rebecca. “Ci sono regole da seguire, queste mele sono per gli ufficiali.”
Era una voce familiare, roca e baritonale. Dove l’aveva già sentita…?
“Potreste vendermene qualcuna.” Propose un’altra persona. Quella seconda voce colpì la maga come una secchiata d’acqua fredda.
Rebecca afferrò Beryl per un polso e lo tirò bruscamente di lato, ignorando le sue proteste.
“State cercando di corrompermi?” il primo uomo sembrava oltraggiato.
“Come osate? Il mio registro pulito è il mio unico registro!” Protestò il secondo uomo, usando un tipico modo di dire dell’Amn: siccome i contabili corrotti tenevano due registri, uno vero e uno falso, dicendo di avere solo il registro sincero stava affermando di essere un uomo onesto[1]. “Le mele sono per gli ufficiali, voi siete un ufficiale, sto cercando di capire se mi vendereste la vostra razione.”
Nel frattempo Beryl aveva iniziato a divincolarsi nella stretta di Rebecca. “Che succede?” Borbottò, perché la donna sembrava ben decisa a non lasciarlo andare.
“È Marcus! Ho sentito la sua voce!” Bisbigliò lei, guardandosi intorno per capire dove fosse l’amico in tutta quella folla.
“Becca, stai sognando. Marcus è morto, hai le alluci…”
“È riuscito ad insultare l’ufficiale dei rifornimenti senza volerlo.”
“Per gli dèi! Hanno riportato in vita Marcus?” Beryl rimase a bocca aperta, senza più mezzo dubbio. C’era una sola persona in tutto l’Amn abbastanza ingenua da fare simili gaffe.
Riuscirono ad aprirsi la strada fino allo spiazzo dove qualcuno aveva indirizzato tutti i carri dei rifornimenti. Nel via-vai di garzoni indaffarati, Marcus svettava sugli altri soldati come un mezzogigante fra i nani. Era straordinariamente alto per un uomo dell’Amn, e già questo l’avrebbe reso riconoscibile a colpo d’occhio. Inoltre indossava di nuovo la sua corazza completa di acciaio laccato di bianco, il vecchio smalto ormai grattato via nei molti punti in cui le spade dei nemici l’avevano colpito. Marcus e Beryl avevano discusso decine di volte sul fatto che quell’armatura l’avrebbe reso un facile bersaglio, soprattutto di notte, ma il paladino da quell’orecchio non ci sentiva.
Alla fine non era morto a causa dell’armatura, ma in un leale combattimento all’ombra delle Torri Gemelle dell’Eterna Eclisse… per quanto un combattimento contro dei seguaci di Cyric possa essere leale… e in un certo senso questo gli aveva reso giustizia. Era stata una morte eroica, per questo Rebecca sperava che il suo spirito fosse in pace.
“Marcus!” Gridò, scioccata. Lui era lì. Era davvero lì.
L’uomo dalla stazza imponente si girò con aria stupita. Il suo viso era sempre lo stesso, largo e abbronzato, e come sempre i suoi sentimenti erano così manifesti da essere quasi fastidiosi.
“Becca! Beryl! Ben trovati.” Li salutò alzando una mano, come se fosse appena tornato da una vacanza e nulla più. “Potreste aiutarmi a convincere questo brav’uomo a darmi un po’ di mele per Sanna?”
I due lo guardarono senza sapere cosa pensare. Beryl si riprese per primo.
“Eri morto, razza di citrullo testa di coboldo, e tutto quello che sai dire è se ti aiutiamo a ottenere delle mele?
Il paladino spostò lo sguardo dall’uno all’altra, un paio di volte.
“Ah. Oh. Nessuno ve l’aveva detto?” borbottò. “Sono tornato in vita settimane fa. Solo pochi giorni dopo la mia morte. Mi hanno solo trattenuto sui passi montani per tenere aperta la via per l’esercito. Ho passato l’ultimo mese a contrastare le sortite dei cultisti di Cyric dell’unica torre che è rimasta in piedi, dopo che quel drago impazzito ha distrutto l’altra. Vi ho mandato una lettera, ma forse si è persa, l’esercito non è organizzato bene come dovrebbe.”
Seguì un lungo, pesante silenzio.
“Hai mandato una lettera.” Riepilogò Rebecca, in tono gelido.
Marcus ebbe la buona creanza di arrossire.
“Mi dispiace, non pensavo che voi… per tutto questo tempo mi avete dato per morto?”
La maga si fece avanti e gli diede uno spintone contro il pettorale dell’armatura. L’omone non si spostò di un millimetro, fu Rebecca a sbilanciarsi e a dover fare un passo indietro.
“Dato per morto? Dato per morto! Non solo ho pianto la tua morte, testa di un asino incrociato con un goblin, sono anche stata male perché ci eravamo lasciati in cattivi termini, ho passato ore a pensare a quanto sia importante… dire agli amici… che tieni a loro… prima che ti muoiano davanti come mosche!” Sbottò, sottolineando ogni frase con uno spintone a vuoto.
Il paladino lasciò che si sfogasse; la sua amica era una nobildonna dell’Amn, non era da lei fare una scenata davanti a un pubblico, quindi era palese a tutti quanto fosse sconvolta. Marcus non voleva davvero peggiorare la situazione.
Dopo qualche minuto lei si calmò. O forse era solo troppo stanca, emotivamente e fisicamente, per continuare.
“Mi dispiace, Becca.” L’uomo alzò una mano e gliela posò su una spalla, in segno di vicinanza e comprensione. “Se ti può consolare, anch’io ho pensato molto alla nostra amicizia e alla mia morte. Mi ha aperto gli occhi, in un certo senso. Ci sono cose di cui voglio parlare… con te e con Beryl. Ma prima, mi aiuti a ottenere delle mele per Sanna? L’ho vista davvero migliorare grazie ai miei incantesimi, ma quella pappetta che le danno gli infermieri non l’aiuterà a tornare in forze.”
Rebecca restò ancora una volta sorpresa da queste parole, ma in un angolo della sua mente si affacciò il ricordo che Marcus avesse studiato un po’ l’arte della guarigione, prima di diventare un paladino. C’era stato un tempo in cui era sempre molto in affanno per la sua salute, ma la donna non riusciva a ricordare il perché. Non le sembrava di essere mai stata cagionevole, anzi, aveva ereditato la sana e robusta costituzione di suo padre.
Scrollò le spalle; a volte le capitava, certi ricordi le salivano alla mente in modo confuso, soprattutto per quanto riguardava il periodo in cui si era unita all’esercito prima dello stallo invernale dell’anno precedente. Forse in battaglia aveva subito più traumi di quanto pensasse, ma non aveva importanza.
“Stai sbagliando approccio, tampinando il povero sergente Moslana. Lui non ha mele da venderti, perché è stato così galante da cedere a me la sua porzione, dato che io non sono un ufficiale e non ne avrei diritto.”
Non era la verità, il sergente Moslana era semplicemente di rango troppo basso per avere accesso a simili privilegi, mentre Rebecca aveva diritto alle mele perché era nobile e perché era un’importante maga… e anche perché, insomma, era la sua città a procurarle. Il sergente Moslana era un uomo di Bormton, quindi anche se ufficialmente era al servizio dell’esercito come addetto alle vettovaglie, considerava Rebecca la sua lady e non avrebbe contraddetto i suoi ordini; per questo la storia della maga era credibile. Raccontando quell’innocua bugia stava risparmiando al brav’uomo l’umiliazione di dover ammettere di avere un rango troppo basso, e allo stesso tempo gli stava facendo fare la figura del cavaliere galante.
“Capisco. Mi scuso per avervi importunato, sergente.” Il paladino gli rivolse un rigido inchino. “Becca, allora posso chiederti di cedere qualcuna delle tue mele alla nostra amica?”
“Certo, può averle anche tutte. Qualsiasi cosa possa farla stare meglio.”

Più tardi, al loro rientro nella tende medica, Sanna rivolse al gruppo un luminoso sorriso.
“Mi piacciono i gatti!” Esclamò, guardando Rebecca.
La donna si guardò intorno, sperando che ci fosse un qualche gatto nella tenda. Ovviamente non c’era. Sanna era di nuovo fuori fase.
“Certo, tesoro.” Rispose con un sorriso forzato. “Ecco, guarda, Marcus ti ha portato le mele.”
“Oh, bene!” Sanna sporse le mani e prese il sacchetto di tela che il paladino le aveva portato, ne estrasse alcune mele e le distribuì equamente ai suoi amici. Il suo sorriso era vacuo e bambinesco, ma nei suoi gesti c’era una sorta di solennità. “Marcus procura le mele, Beryl le ruba, Rebecca le mangia…” cantilenò, mettendo un frutto in mano a ciascuno.
“Oh? Sono Rebecca, adesso?”
“Ma certo!” Sanna le rivolse uno sguardo perplesso. “Quello è il tuo gatto, no?”
“Uh… va bene.” La maga scrollò le spalle. Non aveva mai avuto un gatto.
“Marcus, devi dire qualcosa ai nostri amici? Io vorrei dormire un po’, se oggi è permesso.” Bisbigliò la veggente, improvvisamente seria.
L’omone alzò una mano e accarezzò i capelli di Sanna come avrebbe potuto fare con una bambina.
“Certo, piccola, oggi è permesso dormire. Sei stanca?”
“Non dormo da così tanti giorni…” bisbigliò lei, anche se a detta degli infermieri non era vero. Si sdraiò sulla sua brandina e in pochi istanti scivolò in un sonno tranquillo. La mela che aveva in mano cadde a terra, intoccata.

Nella tenda calò un silenzio pesante.
Rebecca, Beryl e Marcus avevano rimandato la loro discussione a dopo la visita all’amica inferma, ma adesso non c’erano più scuse per evitare l’argomento e tutti e tre erano abbastanza in imbarazzo. Erano amici, ma non c’era molta confidenza fra loro. Non c’era familiarità. Il loro sodalizio era stato forzato dalle circostanze.
“Allora…” cominciò Rebecca, prima che potesse farlo Beryl. L’ometto avrebbe usato di sicuro un tono più sarcastico, indisponendo il paladino. “Marcus, come ci si sente ad essere morto e di nuovo vivo? Questo non sarebbe un pochino contrario alla fede di Lathander?”
Marcus arrossì leggermente, anzi, per via della sua carnagione color caramello sembrò che le sue guance diventassero un po’ più scure.
“Non è esattamente contrario, il mio Signore è un feroce nemico della necromanzia, non della resurrezione. È più corretto e preferibile accettare la fine della propria vita e attendere di rinascere in modo naturale, ma se la resurrezione è possibile in primo luogo significa che la vita ha avuto termine in modo innaturale, prima del tempo. Ad esempio per un’uccisione, come è successo a me. In questi casi non è proibito essere resuscitati, ma occorre che vi sia una buona ragione. Io sto combattendo una guerra. Proteggere gli innocenti e i bambini è senza dubbio un’ottima ragione per rinunciare ad un comodo Aldilà e tornare a fare il mio dovere.” La sua spiegazione suonò un po’ fredda alle orecchie dei suoi amici, e da questo capirono che non era molto a suo agio con quella decisione. Tuttavia il senso del dovere era più forte. “E poi… non volevo abbandonare i miei compagni.” Concluse, stavolta in tono più basso e più incerto.
“Questo mi sorprende.” Annunciò Beryl, e Rebecca si stupì che non ci fosse traccia di sarcasmo nel suo tono. “Pensavo che non saresti mai stato in grado di stupirmi, vecchio mio, perché sei elastico come un blocco di marmo. Eppure forse sbagliavo.”
“Non raccolgo la tua provocazione. In parte hai ragione.” Ammise Marcus, e questo lasciò il ladro letteralmente a bocca aperta.
“Non è davvero lui!” Beryl si girò verso Rebecca, allarmato. “È un impostore, o un doppelganger. Fai qualcosa!”
“Non essere sciocco, me ne sarei accorta se fosse un doppelganger” lo tranquillizzò la maga, sfiorando con un dito il suo orecchino di ametista. “Ricorda che ho i miei metodi per scoprire la verità.”
“E allora che cosa gli è successo?” Balbettò il ladro.
“Sono morto.” Intervenne pacatamente Marcus. “E dal momento che sono proprio qui davanti a te, apprezzerei che non parlassi di me come se non ci fossi.” Recriminò, aggrottando le sopracciglia in un modo che era così tipico di lui, che tutti i dubbi di Beryl evaporarono all’istante.
“Allora ti prego, raccontaci.” Rebecca si sedette su una brandina vuota accanto a quella di Sanna e fece cenno al paladino di sedersi accanto a lei.
Marcus sospirò, ma non si sedette. Sembrava nervoso, anche se era bravo a non farlo notare.
“Non ho molti ricordi della mia morte. Ricordo una grande pace, forse ero stato accolto nell’Aldilà del mio dio. Lo spero. Ma ricordo anche qualcos’altro… una felicità perfetta può venire solo da una bontà perfetta. E io non ero perfettamente felice quando ero vivo, voglio dire prima, quindi forse non ero perfettamente buono. C’erano molte cose che mi davano fastidio, ma non era solo fastidio, era… disagio, forse. Beryl, ad esempio. Riconosco che è un valido alleato, che al momento sta facendo del bene, e che non è una cattiva persona. Il suo modo di essere, però, mi ha sempre creato disagio, come se fosse un difetto della Natura, o come se la sua scelta di vita fosse stata… appositamente… andare contro Natura. Quando sono morto mi sono reso conto che questo fastidio che provavo era come un peso attaccato alla caviglia, una cosa che ostacolava solo me. Una cosa di cui non avrei dovuto curarmi perché non era rivolta contro di me.”
“Quindi secondo te io sono così idiota da scegliere una condizione che mi rende un emarginato per il mio stesso popolo?” Scattò Beryl. “Per la miseria, non ho mai sentito niente di più stupido in tutta la mia vita!”
“Forse non è una scelta.” Ammise Marcus. “Ma non lo so. A me sembri un bastian contrario. Ti ho sempre attribuito abbastanza coraggio e spirito di ribellione da scegliere perfino una cosa così… rischiosa e controproducente. Se c’era una persona al mondo con lo stomaco per farlo, quella persona eri tu.”
“Oh… sembra quasi un complimento.”
“Non ti ho mai ammirato.” Chiarì Marcus. “Ma ho sempre riconosciuto le tue virtù. Sei una persona che mi faceva ammattire per il fastidio, ma sei pur sempre una persona. Non ho mai avallato il modo in cui Athkatla ti tratta, spero che tu lo sappia.”
“Certo che lo so. È l’unico motivo per cui riuscivo a lavorare con te.” Concesse il ladro.
“Ho promesso a me stesso di non lasciarmi più infastidire da queste cose. La tua natura, o le tue scelte, sono affari tuoi.”
Beryl si strinse nelle spalle. Era il massimo che poteva ottenere, da un paladino di Lathander, ed era comunque meglio del rapporto che avevano prima.
“Quanto a te, Becca… nel corso dell’ultimo anno hai preso decisioni che non ho approvato, lo sai. Hai abbandonato il tetto coniugale…”
“Ero sposata a un pazzo sadico seguace di Cyric! E lo avevo sposato solo per proteggere la mia città.” Protestò la maga.
“Lo so, e sono sempre stato consapevole della situazione orribile da cui eri fuggita. Per questo ho sempre guardato con indulgenza a quella tua decisione. Era contraria alla legge, ma era anche questione di sopravvivenza, quindi non ti biasimo. Però, risposarti con un mezzo sconosciuto mentre eri ancora maritata con quell’uomo, ai miei occhi era sbagliato.”
“Sì, lo so, me lo hai detto diverse volte.” Rebecca incrociò le braccia. “Se può essere d’aiuto, il mio primo marito era già morto quando ho sposato Felix, anche se io non lo sapevo.”
Marcus alzò una mano come per farle cenno di calmarsi.
“Ho preso la decisione di non curarmi più di questa faccenda. Tu hai agito per amore e questo non può essere sbagliato. Per di più, il motivo per cui ero risentito per il tuo matrimonio, era… meschino. Non me ne sono mai accorto, ma in realtà ero invidioso della tua libertà. Te ne sei fregata delle convenzioni sociali e hai preso una simile decisione su due piedi. In un certo senso, vivere come vivi tu dev’essere… emozionante. Prima non mi sentivo pronto ad ammetterlo, a riconoscere che c’è una parte di me stesso che… non direi che desidera vivere fuori dalle regole, ma invidia chi ci riesce. Due anni fa mio fratello è morto, ucciso dai goblinoidi quando hanno attaccato la regione del lago Esmel per la prima volta. Una parte di me avrebbe voluto riportarlo in vita, ma non era un guerriero, era solo un ragazzo. Non c’era una valida ragione per farlo, quindi non l’ho fatto. Non avrei potuto convincere nessuno a farlo, non avevo recuperato il suo corpo e non avrei potuto pagare un simile incantesimo… ma la mia fede era il primo ostacolo: non pensavo che fosse giusto. Ho sofferto così tanto per la sua morte, e quando sono morto a mia volta ho capito che quel dolore era inutile. Nessuna regola vale più della felicità, o dell’amore. Crederlo mi stava solo facendo male.”
“Stai dicendo che smetterai di essere un paladino?” Domandò Rebecca, senza fiato.
Marcus prese un profondo respiro.
“Io… no. Non posso smettere, sono ancora convinto che la mia vocazione e il mio lavoro siano al servizio del Bene. Ma sarò meno rigido, d’ora in poi, perché ho smesso di credere che il Bene sia vincolato a delle leggi terrene. Credo ancora nell’utilità delle leggi per quello che riguarda…” ci pensò, cercando le parole giuste “il necessario mantenimento dell’ordine pubblico, l’organizzazione della vita delle persone. Senza leggi saremmo al livello dei barbari, o peggio. Senza leggi il male che c’è nelle persone viene fuori più facilmente. Ma ora so che le leggi devono essere solo un mezzo, non un fine. Solo uno strumento per portare avanti il Bene. Quando una legge è ingiusta, o stupida, o rende inutilmente infelice qualcuno…”
Beryl e Rebecca si tesero inconsciamente verso di lui, chiedendosi se stesse per dire qualcosa di incredibile come si dovrebbe ignorare quella legge, o simili parole che fino a poco prima sarebbero state impensabili per lui.
“Sì?”
Marcus li guardò entrambi con una punta di biasimo.
“Allora quella legge sta andando oltre lo scopo per cui è stata creata, e andrebbe rimessa in discussione.”
I suoi amici si scambiarono uno sguardo perplesso, poi un timido sorriso complice.
“Per rimessa in discussione, intendi come… con un’interrogazione ufficiale presso il Consiglio cittadino?” Lo punzecchiò Rebecca.
“Con una richiesta redatta in triplice copia?” Beryl continuò sulla stessa linea.
“Certo, si capisce.” Non c’era sarcasmo nel tono di Marcus, e non capiva perché i due stessero ridacchiando. “Con un preavviso di almeno dieci giorni, come vuole la legge di Athka… mi state prendendo per i fondelli?”
Beryl e Rebecca non riuscirono più a trattenere le risate.
“Cosa c’è da ridere?” Sbottò l’omone, frustrato.
“C’è che è fantastico riaverti qui.” Rebecca gli sorrise calorosamente, e lui capì che la donna aveva davvero sofferto per la sua morte. “Ed è fantastico che tu sia un po’ diverso, ma sempre così uguale a te stesso.”
“Forse il tuo è un piccolo passo, dal mio punto di vista.” Intervenne Beryl. “Ma di certo, per quella che è la tua natura, sei andato molto lontano.”
Marcus finalmente comprese cosa stavano cercando di dire, e si sciolse in un sorriso che rispecchiava quelli dei suoi amici. “Sì, e mi piacerebbe continuare ad andare lontano. Non so cosa sarà di noi quando la guerra sarà finita. L’unica cosa che so è che saremo tutti vivi, Sanna tornerà in sé, e faremo del nostro meglio per essere felici. Forse non saremo insieme. Non penso che io e Beryl potremmo collaborare senza lo spauracchio di un tremendo Ogre Magi e di un esercito di goblinoidi. Però resteremo amici, e allora avrò almeno un ricordo positivo di questa guerra.”
Rebecca si strinse nelle spalle, perché segretamente concordava con lui: il loro gruppo non era destinato a rimanere unito in assenza di una minaccia esterna, erano troppo diversi. Però adesso aveva la certezza che sarebbero rimasti amici, e il pensiero era molto confortante.
Sanna scelse quel momento per aprire gli occhi, solo un pochino.
“Luce su di voi.” Biascicò, sonnolenta. “Quando riprenderemo Trademeet, vi siete ricordati di non andare alla torre dell’orologio? Non dovevate assolutamente…” borbottò qualche altro tempo verbale sbagliato e si riaddormentò, russando sonoramente contro il cuscino.



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[1] Non me lo sono inventato, è davvero un modo di dire tipico dell'Amn


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