Il profumo dei biscotti a Parigi

di WhiteLight Girl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Quando la pioggia osserva ***
Capitolo 2: *** Due farfalle innamorate ***
Capitolo 3: *** L'odore della neve ***



Capitolo 1
*** Quando la pioggia osserva ***


QUANDO LA PIOGGIA OSSERVA

La storia di Cenerentola insegna che gli incantesimi più belli si infrangono a mezzanotte, forse era questa la ragione che spingeva Adrien Agreste a restare fuori fino a tardi, quando il tempo lo permetteva.
L’odore della notte lo faceva sentire vivo, il freddo gli pizzicava le narici e le punte delle dita fino a intirizzirle, ma lui non avrebbe rinunciato a quei momenti per nessuna ragione al mondo. Amava la Parigi che poteva vedere di notte, con le sue luci e le sue ombre. Amava i colori di ogni stagione, i profumi che distinguevano ogni strada e che gli avrebbero permesso di riconoscere ogni zona anche ad occhi chiusi.
Per Chat Noir quello era il paradiso, la libertà, la realizzazione di ogni suo desiderio e sogno proibito, e non avrebbe mai voluto rinunciarvi, neanche se questo gli fosse costato la vita.
Stese le braccia contro il cielo plumbeo, la sensazione della pioggia contro il volto l’aveva sempre aiutato a rilassarsi, anche quando essa diventava fitta come una cascata e lo costringeva a chiudere le palpebre. il vento portava alle sue narici l’odore della terra bagnata, nella gola avvertì il retrogusto dei gas di scarico delle automobili, il suono di loro clacson risuonava tutto attorno a lui, come le luci dei fari e dei lampioni si rispecchiavano nelle pozzanghere giù in strada.
Da quando era diventato Chat Noir per la prima volta ed aveva scoperto quella vita, per Adrien era diventato l’odore della libertà.
Si rilassò, sorridendo tra sé e inspirando ancora.
C’era qualcosa di magico, nell’essere da solo su quei tetti. Certo, era bello anche passarvi il tempo con Ladybug, ma da solo gli pareva di essere immerso in un sogno dove qualunque cosa sarebbe potuta diventare reale.
Era il suo porto sicuro, dove la solitudine era una scelta e non una costrizione imposta da altri, dove poteva fingere che una volta tornato a casa avrebbe trovato qualcuno di amorevole ad aspettarlo.
Saltò sul tetto inferiore e scivolò sulle tegole fino a che raggiunse il bordo, allora guardò giù un istante e balzò fino all’edificio di fronte. Atterrò a quattro zampe sul terrazzino vuoto, la pioggia scrosciava nella Senna al suo fianco, gli inzuppava i capelli spingendoglieli negli occhi e contro i bordi della maschera. Il mondo era in una bolla di acqua e luci sotto lo scintillio imponente della Torre Eiffel; tutto era ovattato, distante come la sua vita vera. Era come un foglio di carta bianca su cui avrebbe potuto scrivere decine di destini possibili a seconda della direzione che avrebbe intrapreso. I tragitti possibili, lassù, erano un numero infinito, senza strade e svincoli che lo intrappolassero in percorsi prestabiliti.
Scrutò attraverso le finestre degli appartamenti che aveva tutti attorno, intravide le famiglie, le coppie, momenti di vita quotidiana che aveva desiderato per tanto tempo e tra loro trovò Marinette.
Lei era china sulla scrivania, un lembo di stoffa tra le mani e gli occhi bassi, l’espressione concentrata.
Si domandò cosa stesse facendo, si sporse verso di lei per vedere meglio e sobbalzò, quando lei sollevò il capo ed intrecciò lo sguardo con il suo.
Adrien ebbe un sobbalzo, sorrise della confusione riflessa nel suo sguardo e le fece l’occhiolino. Corse via nella notte, lasciandosi indietro l’amica e perdendosi ancora una volta nella pioggia.

Marinette strinse la presa sulla camicetta che aveva tra le mani e sospirò, mentre la sagoma di Chat Noir svaniva nell’oscurità. Aveva Tikki al suo fianco, ben nascosta tra le spolette colorate della sua scatola di cucito, ma la sua presenza non la tranquillizzava come avrebbe sperato.
«Si prenderà di certo un raffreddore, questa volta.» borbottò.
Le sarebbe piaciuto poterlo sgridare, rispedirlo a casa a dormire ogni volta che nel suo bighellonare finiva nel suo quartiere, ma non avrebbe osato esporsi come Marinette e Ladybug non avrebbe dovuto sapere nulla delle sue scappatelle.
Il bruciore al polpastrello la fece sussultare, il pizzico della puntura dell’ago pulsò ripetutamente anche quando portò il dito in bocca.
Tikki la guardava con un sorriso mesto. «Probabilmente ora che ha iniziato a piovere sta andando a casa.» disse.
Marinette annuì. «Spero che non viva troppo lontano da qui.»
Tornò ad infilare l’ago nella stoffa per concludere ciò che restava dell’imbastitura, realizzando che ormai era diventato troppo tardi per poter passare alla cucitura ufficiale.
Tikki le sorrise. «Dovresti andare a dormire, sai?»
Le spense la musica di sottofondo, un invito ad obbedire che non avrebbe ammesso repliche. Marinette mise l’ultimo punto e si alzò. Abbandonò quel che restava della torta al cioccolato nel piattino accanto al computer e sperò che Chat Noir potesse assaggiarne una altrettanto buona, una volta che fosse arrivato a casa.

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Capitolo 2
*** Due farfalle innamorate ***


DUE FARFALLE INNAMORATE

Era da tempo che gli abitanti di Parigi avevano smesso di soffermarsi ad ammirare le farfalle. Chat Noir l’aveva notato da alcuni mesi, quando, durante uno dei suoi giri della città, aveva visto alcuni ragazzi sobbalzare ed allontanarsi nel momento in cui una di esse era volata loro accanto. Pochi giorni dopo, in un parco, aveva sentito un ragazzino piangere e chiamare la madre perché convinto che un’Akuma stesse per aggredirlo e, quando era accorso per risolvere il problema, aveva scoperto che si trattava di una semplice farfalla impegnata a volare da un fiore all’altro.
Ne aveva contati a decine, di casi come quelli, dagli adolescenti che prendevano in giro i loro coetanei per essere sobbalzati una volta di troppo nel cortile della scuola a bambini spauriti che correvano a nascondersi dietro i genitori perché Papillon non li trovasse.
Chat Noir capiva bene perché l’idea di essere posseduti li spaventasse tanto, tra il timore di fare del male alle persone care e l’idea di non poter più controllare il proprio corpo e le proprie azioni. Lo aveva provato sulla propria pelle fin troppe volte e aveva sentito subito quanto fosse facile arrendersi e lasciarsi controllare, smettere di combattere finché non fosse stato qualcun altro a liberare la sua mente e riportarlo alla ragione.
A volte la consapevolezza di avere sempre qualcuno pronto a riportarlo alla realtà lo consolava, ma altre desiderava ardentemente poter essere in grado di fare da sé, di non dover aspettare che Ladybug sconfiggesse l’Akuma per riportarlo alla realtà, e quel desiderio era come un macigno legato al suo piede e lo trascinava a fondo, rendendolo pesante e schiacciando ogni suo pensiero.
Adrien Agreste avrebbe voluto essere leggero come una di quelle farfalle che in quel periodo gettavano tanto, inutile scompiglio a Parigi, e poteva esserlo nei panni di Chat Noir, ma solo fino a quando quei pensieri non tornavano a tormentarlo, lasciandolo immobile sui tetti, impigliandolo come in una ragnatela. Allora il ragazzo non poteva fare altro che restare a guardare la vita che scorreva sotto di lui, ascoltare le risate della gente, le loro voci ed i loro nomi liberati nel vento mentre si chiamavano a vicenda, chiedendosi come sarebbe stato essere tra loro con qualcuno di speciale e camminare per strada pur sentendosi sospeso a un metro da terra.
Era un bel controsenso, se ci pensava, pensare che stando sul marciapiede e non dovendosi nascondere si sarebbe sentito leggero e invece in piedi sui tetti, a diversi metri da terra, avrebbe continuato ad avvertire quel peso che lo trascinava giù. Sollevando lo sguardo su uno dei manifesti provenienti dall’ultima campagna promozionale rivide se stesso, quel falso sorriso che non riusciva quasi più a distinguere da quello vero e quegli occhi resi troppo languidi da un esagerato intervento di Photoshop. Fu come se quella parte di lui volesse ribadirgli ancora una volta che era lì, che ciò che suo padre voleva che fosse avrebbe potuto schiacciare il suo vero io in un istante, se solo ne avesse avuto l’occasione. Chat Noir arretrò ed uscì dal cono d’ombra, non avrebbe permesso che questo pensiero lo rabbuiasse ulteriormente. Il cielo azzurro era chiazzato di nuvole bianche, avrebbe potuto essere una giornata perfetta per un pic-nic, una delle ultime prima dell’arrivo dell’inverno, se solo lui avesse avuto qualcuno con cui andare al parco, ma finché suo padre non avesse accettato di lasciarlo uscire non avrebbe potuto permettersi di farsi vedere in giro con uno dei suoi amici, ed anche solo restando fuori come Chat Noir rischiava tanto.
Lasciò il cartellone pubblicitario dietro di sé e sedette sul bordo del tetto, la scuola era proprio davanti a lui e la fontana scrosciava rumorosamente al centro del parco, il venticello che gli scuoteva i capelli andava rinfrescandosi sempre di più, ma lui aveva tutta l’intenzione di godere di quell’atmosfera finché avesse potuto. Da qualche parte, pensò, Nino ed Alya stavano passeggiando mano nella mano, felici e innamorati, e a lui non restava che osservare la Senna e domandarsi quando sarebbe finalmente toccato a lui. Chat Noir si domandò come sarebbe stato sentire il palmo di Ladybug premuto contro il suo senza nessun costume magico in mezzo, se davvero baciarla sarebbe stato come volare, come aveva immaginato numerose volte. Qualcosa si agitò nella sua pancia: una sensazione piacevole e sfarfallante che gli era ormai familiare, assieme a quella vertigine che lo coglieva ogni volta che si trovava a pensare così intensamente a lei. Due farfalle gli passarono davanti agli occhi rincorrendosi, sbattevano le ali così velocemente che il ragazzo non riusciva a distinguerne i colori. Sorrise loro, immaginando le decine di modi in cui avrebbe voluto sentirsi come loro, anche se questo avrebbe significato vivere solo per qualche giorno. Se lo sarebbe fatto bastare, pensò.
Poco distante, sul balcone della panetteria, Marinette Dupain-Cheng emerse dalla botola con l’annaffiatoio pieno d’acqua e un piatto stretti tra le mani; lasciò quest’ultimo sul tavolino e si occupò prima dei vasi.
Lei non lo vide, ma Chat Noir la notò subito e si alzò sorridendo. Si trattenne dal correre a salutarla, sopprimendo la felicità di aver trovato finalmente qualcuno con cui avrebbe potuto parlare, poiché sapeva bene che non sarebbe stata una buona idea e che Marinette avrebbe potuto trovare strano il fatto che un supereroe andasse a farle visita.
Le farfalle si incalzarono e ondeggiarono in aria, riempiendo lo spazio che lo separava dalla ragazza, Chat Noir sperò che lei non le vedesse; non voleva che anche lei ne fosse spaventata. Strinse il bastone tra le dita, domandandosi se usarlo per mandarle via fosse una buona idea, ma durante la sua esitazione loro raggiunsero il balcone e sfiorarono una delle mani di Marinette, che si immobilizzò all’istante, con l’annaffiatoio inclinato e l’acqua che gocciolava ancora dentro al vaso. Chat Noir si preparò a raggiungerla e a rassicurarla, ma lei sorrideva e quando lui se ne accorse fu come se parte di quel peso che fino a quel momento l’aveva incatenato si alleviasse.
Marinette sollevò un dito, le farfalle vi volarono attorno e Chat Noir quasi pensò che vi si sarebbero poggiate sopra, invece una di loro vi passò accanto e si posò contro uno dei fiori davanti alla ragazza. Marinette cambiò vaso, in silenzio, e lasciò che le due riposassero su due petali vicini mentre innaffiava gli anemoni. Fu allora che lei lo vide e, quando alzò lo sguardo, sgranò gli occhi ed inclinò il capo, Chat Noir sentì ancora una volta lo stomaco agitarsi ed il sorriso spuntare incontrollato. Non riuscì a trattenersi e si sentì stupido finché Marinette iniziò a sorridergli a sua volta, allora sospirò e si rilassò.
Quando Marinette distolse lo sguardo e si voltò, pensò che il mondo fosse diventato un po’ meno luminoso, ma poi lei tornò a guardarlo e gli sorrise ancora, sollevò il piatto e gli fece cenno di raggiungerla.
Chat Noir si morse il labbro, non aveva motivi per rifiutare, anche se era certo che fosse ciò che Ladybug gli avrebbe detto di fare. Era sicuro che non le sarebbe piaciuto vederlo mettere a rischio la sua identità in quel modo, ma anche che finché non l’avesse scoperto non avrebbe avuto problemi. Quando atterrò sul balcone e il profumo dei biscotti appena sfornati raggiunse le sue narici, le farfalle si alzarono ancora in volo e, volteggiando, si allontanarono perdendosi lungo la Senna. Per un momento ebbe l’impressione che il suo cuore fosse leggero come loro.


***

Un ringraziamento particolare a Florence Maxwell per aver betato questo capitolo.
Se siete arrivati fin qui e leggerete questo appunto, mi sento in dovere di dirvi che, finalmente, nel prossimo capitolo si parleranno.

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Capitolo 3
*** L'odore della neve ***


L’ODORE DELLA NEVE

In confronto all’aria gelida che aveva portato la prima nevicata della stagione, la cioccolata tra le mani di Marinette sembrava bollente, ma lei era sul terrazzino da così tanto tempo che era certa che ormai fosse soltanto tiepida e tutto il resto del calore fosse solo una sua sensazione.
Si strinse nella coperta, Tikki era appollaiata nel suo grembo, stretta a ciò che restava del suo biscotto.
«Mi riempirai di briciole.» la sgridò Marinette, sentendola muoversi contro il maglione.
Tikki le pizzicò il fianco provocandole un sussulto e si affacciò tra le pieghe del plaid, Marinette Le fece la linguaccia, poi il Kwami sparì ancora, mettendosi al sicuro dal gelo della notte.
Marinette prese un lungo sorso di cioccolata, il piattino con i pochi biscotti rimanenti era proprio lì affianco, ma lei si era già saziata.
Si mosse sulla sedia, il freddo e l’essere stata ferma tanto a lungo aveva fatto sì che le sue gambe iniziassero a formicolare, allora si alzò e spinse il bacino in avanti per far schioccare la spina dorsale. Si sentì subito meglio; meno intorpidita, più vigile. Inspirò forte il profumo della prima neve e tese il piede in avanti per premerlo su di essa, poi rimase ad osservare il suo operato sorridendo come se fosse l’impronta che vi era rimasta sopra fosse la più bella tra le opere d’arte.
Se avesse dovuto provare a immaginare cosa avrebbe potuto rovinare quel momento, Marinette non avrebbe mai potuto pensare che fosse il balzo maldestro di Chat Noir, che entrò all’improvviso nel suo campo visivo per uscirne con altrettanta velocità. Seguirono un rantolo ed un tonfo che, inaspettatamente, diedero vita ad una risata che Marinette fece fatica a trattenere.
Premette le labbra l’una contro l’altra e coprì la bocca con una mano, quando fu sicura che avrebbe potuto trattenersi avanzò piano fino alla ringhiera e guardò giù in strada.
Chat Noir era ancora disteso pancia all’aria e con il collo sollevato quel tanto che bastava perché potesse massaggiarsi la nuca.
Nel momento in cui lui parve notarla, le sorrise. «Sto bene, tranquilla. Solo le conseguenze dell’essere un supereroe.»
«Le conseguenze di fare l’idiota, vorrai dire.» borbottò Marinette.
Il sorriso di Chat Noir si spense.
«Guarda che ti sento.» la rimbeccò.
Marinette sentì Tikki ridacchiare, le diede una spinta con un dito e tirò una mano fuori dalla coperta. Una volta che ebbe spinto via la neve da sopra la balaustra in ferro, vi poggiò sopra i gomiti e rimase a guardare.
Chat Noir si mise a sedere e si tirò su, in bilico sul ghiaccio sottile che si era creato da una pozzanghera sul marciapiede. Le lanciò un’altra occhiata.
«Credevo che fossi una ragazza carina, dolce, sensibile.» le disse «E poi mi tiri fuori questa parte di te così sbarazzina e impertinente...»
Marinette sbatté gli occhi, di nuovo dovette trattenersi dal ridere.
«Mi trovi impertinente?» domandò.
«Assolutamente, madamigella.» rispose Chat Noir, strofinandosi una mano sul fianco. «Invece che offrirmi la merenda come conforto per questa caduta...»
«La merenda?» gli chiese Marinette. «Ma se è quasi mezzanotte...»
«Allora il classico spuntino di mezzanotte!» ribatté lui. «Sono il tuo supereroe di fiducia, non puoi negarmelo.»
Marinette strabuzzò gli occhi e si sollevò, il movimento fu tanto repentino che quasi perse l’equilibrio.
«Il mio cosa?» domandò. Sospirò, rassegnata agli occhi languidi di lui, che era in piedi sotto un lampione proprio come un attore sotto i riflettori. «Oh, che diamine! I biscotti vanno bene?»
Chat Noir sorrise ampiamente ed annuì, la luce si rifletté nei suoi occhi. Il primo passo che fece verso di lei lo fece incespicare e scivolare in avanti, ma lui fu abile a rimettersi in piedi e tese il braccio in avanti, il bastone stretto nel pugno che si allungò ed affondò silenziosamente sulla neve che ricopriva l’asfalto ed allo stesso tempo lo trascinava su.
Il ragazzo si lasciò ricadere in avanti, Marinette avvertì Tikki abbandonarla per tornare dentro proprio mentre lui serrava le palpebre ed accorciava il bastone per atterrare. Per primo atterrò su una gamba flessa, poi si sbilanciò in avanti e finì a faccia in giù sul mucchietto di neve che Marinette aveva spinto via da sedia e tavolino.
Lei rise, le fu inevitabile, ad alta voce e con il viso sollevato verso il cielo, poi si piegò in avanti con le lacrime agli occhi e si asciugò il viso con un lembo della coperta.
Chat Noir la fissava imbronciato.
«Scusa, ma è stato troppo divertente!» gli disse.
Lui gonfiò le guance. «Allora? Questi biscotti che mi hai promesso?»

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