RITORNO
SU JAKKU
* * *
SECONDA
PARTE
Rey
aprì gli occhi e si rese conto di essere sdraiata sulla
sabbia a
pochi metri dalla pedana abbassata del Falcon. La testa poggiava
sulla parte più morbida dello zaino di Ben e sulle spalle
aveva
adagiata la sua giacca.
Il
sole era calato all'orizzonte, ma il cielo non era ancora
completamente buio, si intravvedevano le prime luci delle stelle ed
era già sorta la prima delle due lune di Jakku. Il vento
notturno
aveva raffreddato velocemente l'aria infuocata del deserto e la
temperatura era calata drasticamente.
C'era
silenzio, pace, tranquillità.
Ma la
quiete in cui era immersa durò poco.
«Accidenti
a te, maledetto mostriciattolo!» Ben imprecò ad
alta voce dando una
sferzata ai suoi sensi annebbiati.
Rey si
sollevò per guardarsi intorno e lo vide dimenarsi come un
forsennato
con qualcosa di verdastro appollaiato sulle spalle: invano cercava di
divincolarsi dalla presa ferrea che lo attanagliava al collo.
Con
una rapida occhiata individuò la sua fidata asta, la
richiamò a sé
con la Forza, poi concentrò tutte le sue energie per alzarsi
e
andare in suo soccorso. Roteò il bastone e colpì
l'aggressore sulla
testa, nonostante fosse protetto da una blanda armatura.
Il
piccoletto gettò un urlo, lasciò la presa attorno
al collo di Ben e
cadde all'indietro, imprecando nella sua strana lingua.
Rey
riconobbe subito una sua vecchia conoscenza e replicò a
tono.
«Tiqual, Teedo!» lo rimproverò,
piantando il bastone nella sabbia
e puntando i pugni ai fianchi.
«Di'kut
talama. Chakaar*.» L'alieno provò a ribattere,
tentando di
rimettersi in piedi, ma un bagliore lucente e inaspettato lo
bloccò,
provocandogli un violento fremito di terrore, era la lunga lama di
una spada laser impugnata dalla mano salda di Ben.
Rey
non aveva mai visto un Teedo così spaventato, pur conoscendo
l'indole impavida della sua razza.
«Ta-talama
jetii...» farfugliò il piccolo rettile, cercando
di allontanare il
muso dalla punta incandescente, strisciando all'indietro sui gomiti.
«Noma
jetii!» Rey cercò di rassicurarlo con scarsi
risultati.
«Jurkadir
jetii!» Urlò invece il piccolo Teedo terrorizzato,
prima di
rigirarsi, rotolando nella sabbia e fuggire via nella direzione di
una duna, sulla quale si intravvedeva un annoiato Luggabest ad
attenderlo.
Ben
spense la spada e si appese l'elsa alla cintura con aria soddisfatta.
«Credo proprio che non rivederemo quel fastidioso ladruncolo
per un
bel pezzo.»
Rey
non era del suo stesso parere. «Che cosa credevi di fare?
Volevi
ucciderlo?» Gli si rivolse severa. «I Teedos si
limitano a cercare
rottami da scambiare, non sono violenti, a meno che non vengano
provocati.»
Ben si
voltò verso di lei indignato: era per caso sotto accusa?
«Stai
insinuando che sia stato io a provocarlo? Mi è piombato alle
spalle
mentre digitavo il codice di apertura della pedana e ha cercato di
strozzarmi. Doveva essersi appostato sopra il Falcon già da
un
pezzo, quel piccolo bastardo. Credi ancora che siano innocui?»
Rey
non diede troppo peso alle sue giustificazioni, si
stiracchiò e poi
si massaggiò la schiena dolorante. «Non credo ce
l'avesse con te...
ma di certo non si aspettava la tua presenza»
ipotizzò, grattandosi
la testa scarmigliata, poi si abbandonò ad uno sbadiglio non
troppo
elegante. I suoi tempi di recupero, dopo una dormita, si stavano
allungando, «è più probabile che si
volesse vendicare di me. Tempo
fa gli impedii di smontare BB-8 per i pezzi.»
Ben
sgranò gli occhi incredulo. «Tra tutti i Teedos
che potevamo
incontrare nelle sterminate lande desertiche di Jakku, siamo
incappati proprio in quello a cui hai pestato i piedi anni fa?
È
solo una coincidenza o siamo stati mostruosamente
sfortunati?» Non
sapeva se scoppiare a ridere o precipitarsi alla cabina di guida del
Falcon e levare le ancore il prima possibile, quel pianeta cominciava
a stargli decisamente troppo stretto.
La
calma di Rey smorzò i suoi bollori. «Certo che no.
I Teedos hanno
un sistema di comunicazione molto particolare**, c'è una
specie di
telepatia tra loro, sono in grado di trasmettersi ricordi,
esperienze... debiti maturati da altri Teedos. E tu, adesso, hai
appena mostrato ad uno di loro, che c'è un
jedi che
se ne va in giro indisturbato sul loro pianeta a comportarsi come un
idiota che
vuole tagliargli la testa. Una mossa davvero astuta...»
Ben
reagì con sarcasmo. «Chi sarebbe l'idiota
jedi?»
Finse di provocarla con un'adorabile smorfia contrariata.
A
Rey scappò una risata, sapeva quanto Ben odiava essere
definito un
jedi,
lui era un pilota, un contrabbandiere e una canaglia, come suo padre
prima di lui. Non poté fare a meno di stampargli un bacio
sulle
labbra carnose, leggermente screpolate dal sole. «Credimi,
uno come
te, da solo su Jakku, non arriverebbe vivo al tramonto» lo
redarguì
con tenerezza.
Ben
aggrottò le sopracciglia contrariato, accettò il
bacio ma con
riserva. «Al diavolo i Teedos e i loro rancori generazionali,
ce ne
andiamo immediatamente da questo inferno; ne ho abbastanza di sabbia,
antichi cimeli della resistenza, e avidi mercanti di rottami!»
A
quell'imperativo Rey protestò vivacemente.
«Restiamo ancora un po',
ti prego, almeno per questa notte. Domattina partiremo e non
farò
storie, te lo prometto.»
Ben
negò perentorio con ogni fibra del suo corpo, la prese per
le spalle
e la scosse per assicurarsi che comprendesse bene quello che stava
per dire. «Non appena metteremo piede sul Falcon decolleremo.
Non
voglio più avere nulla a che fare con le stranezze di questo
dannato
pianeta.» Il suo tono era severo e non ammetteva obiezioni.
Rey
si rabbuiò divincolandosi dalla sua presa. «Ti
assicuro che non c'è
pericolo, ma mi serve ancora un po' di tempo. Ho bisogno
di sapere...»
Raramente
si era ritrovata a supplicare, ma Ben si dimostrò
irremovibile: se
alla ex scava rifiuti aveva dato alla testa il sole cocente di Jakku,
ci avrebbe pensato lui a farla rinsavire.
* * *
Il
comandante
Solo
aveva cantato vittoria troppo presto: una volta raggiunta la hall
principale BB-8, rammaricato, comunicò loro che non era
riuscito a
completare la procedura di diagnostica e a ricalibrare gli
scambiatori di calore.
Risultato:
il Falcon non era in grado di decollare.
L'occhiata
truce che rivolse al piccolo droide, fu sufficiente a terrorizzarlo:
BB-8 rotolò via e si andò a nasconde dietro una
pila di casse.
Ben
sospirò scoraggiato, sotto lo sguardo stanco, ma trionfante,
di Rey
che subito si dileguò all'interno di uno dei corridoi
tondeggianti.
Rimasto
solo, non poté fare altro che rimuginare su quella
situazione. Come
aveva fatto ad essere così stupido da dimenticare una delle
regole
fondamentali di quando erano nemici? La scava rifiuti pestifera
riusciva sempre ad ottenere quello che voleva, anche per vie traverse
e poco ortodosse. Non era da escludere che si fosse accordata col
droide per rallentare o addirittura sabotare le riparazioni.
In
quel momento era esausto, sia fisicamente che mentalmente, e troppo
nervoso per protestare e prendersi sulle spalle anche quella bega.
Suo malgrado, fu costretto a rimandare la partenza di qualche ora.
BB-8
si affacciò titubante dalla pila di casse per controllare la
situazione, ma non appena incrociò il suo sguardo furente si
ritrasse di nuovo spaventato, rotolando verso la stiva.
Avrebbe
sfogato volentieri la rabbia prendendo a calci quell'inutile palla
metallica fino
all'avamposto di Niima, e avrebbe goduto un mondo nel vederla
smontare pezzo pezzo da Unkar Plutt.
Purtroppo
sarebbe rimasta una sua perversa fantasia: la signorina nessuno
non glielo avrebbe mai perdonato.
*
Rey
era nervosa e inquieta. Anche se era riuscita ad ottenere qualche ora
di permanenza su Jakku, non aveva idea di come risolvere quella
situazione di stallo. Aveva sperato che visitare il suo vecchio
rifugio le avrebbe aperto la mente e svelato qualche dettaglio in
più
sul suo passato, invece era servito solo a farle ricordare che
persino il suo nome era frutto di un'invenzione, un'identità
fittizia che si era costruita addosso per sopportare la solitudine,
per sentirsi parte di qualcosa
che,
in realtà, non esisteva.
L'unico
risultato che era riuscita ad ottenere era l'ennesima lite con Ben.
Non che fosse così difficile rimediare un'accesa discussione
con
lui, era praticamente la prassi, da quando avevano iniziato a
scorrazzare indisturbati per la galassia. Il comportamento del suo
compagno era sempre stato eccessivamente ossessivo e non privo di
fissazioni, ma da quando aveva scoperto che sarebbe diventato padre,
tutti i suoi difetti si erano elevati all'ennesima potenza; i pochi
pregi invece erano sminuiti da un atteggiamento fin troppo protettivo
nei suoi confronti, che a volte sfiorava addirittura la persecuzione.
Ben
era irritante e adorabile allo stesso tempo, lo amava da morire, ma
l'idea di prenderlo a ceffoni, ogni tanto, si risvegliava in lei con
prepotenza.
In
quel momento non aveva alcuna intenzione di sopportare anche le sue
paranoie. Era sfinita, sudata e appiccicaticcia, desiderava
ardentemente darsi almeno una ripulita, e rifocillarsi a dovere.
Dopo, forse, avrebbe pensato a riallacciare rapporti diplomatici con
lui.
Entrò
nel bagno privato dell'alloggio del comandante e si liberò
senza
pudore dei suoi indumenti di lana intrisi di sabbia e sudore,
lasciandoli a terra, poi si infilò nella stretta doccia.
L'acqua
calda che scorreva lungo le sue membra tese, non ebbe il potere di
sciogliere la sua inquietudine, né di tranquillizzarla sul
suo sogno
ricorrente. Si massaggiò le braccia e le gambe doloranti per
lo
sforzo di quella lunga giornata, e si accarezzò l'addome,
che
mostrava appena il suo stato. Chiuse gli occhi e cercò di
rilassarsi
e percepire il suo bambino: era tranquillo, aveva smesso di agitarsi
e stava dormendo.
Nonostante
i timori, più che fondati, di Ben, era sicura che il piccolo
non
corresse alcun pericolo. Oltre ad avvertire ogni suo singolo
movimento, sapeva anche di cosa avesse bisogno.
Anche
Ben riusciva a percepire le prime manifestazioni emotive di suo
figlio, e di questo ne era felice. A volte, solo la sua vicinanza
riusciva a calmarlo, come se quel piccolo essere, che non aveva
ancora alcuna percezione della realtà esterna, riuscisse a
riconoscere il tocco di suo padre e avesse instaurato un legame anche
con lui.
Non
sapeva come spiegarlo, ma da quando era incinta i suoi sensi si erano
notevolmente acuiti, risvegliandole il bisogno di saperne di
più sul
suo passato su Jakku e, soprattutto, sull'abbandono dei suoi
genitori.
Forse
il piccolo
Solo
fungeva da amplificatore dei suoi sentimenti e desideri. Oppure erano
semplicemente i suoi ormoni impazziti ad averle provocato un intenso
scombussolamento interno, una specie di vuoto emotivo che doveva
assolutamente colmare.
Era
sicura che la gravidanza, in qualche modo, c'entrava qualcosa. Non
era stata un incidente di percorso, una leggerezza, o peggio,
un'incoscienza. La piccola vita che stava crescendo dentro di lei,
era stata fortemente voluta da entrambi. Era il loro punto di
incontro, il loro equilibrio così a lungo cercato. Ma
soprattutto,
per Ben rappresentava una svolta nella sua vita travagliata: il
desiderio di guardare avanti e chiudere per sempre con la sofferenza
del suo passato.
Alla
fine della guerra, Rey lo aveva ritrovato in uno stato pietoso: era
fermamente convinto che, per il bene della galassia, la stirpe degli
Skywalker doveva estinguersi con lui. L'essersi abbandonato ai
sentimenti che provava per la sua amata/odiata scava rifiuti, gli
aveva fatto compiere l'ultimo passo verso l'accettazione di se
stesso, gli aveva dato una speranza concreta di riscatto. Da
quell'impensabile traguardo raggiunto, erano partiti per costruirsi
un avvenire insieme; sapevano che non sarebbe stato un cammino
facile, né privo di ostacoli, ma lentamente ci stavano
riuscendo.
Chiuse
l'acqua della doccia e si fermò a riflettere a capo chino:
concepire
una nuova vita, per loro, non era stato solo un atto d'amore, era
stato soprattutto il frutto di una promessa reciproca, e lei aveva
tutta l'intenzione di mantenerla.
*
Nella
hall principale Ben era inquieto almeno quanto Rey: da quando avevano
rimesso piede sul Falcon, la signorina nessuno,
non gli aveva più rivolto la parola. Si era chiusa in un un
mutismo
di ripicca e non accennava segni di resa.
Che
fosse orgogliosa, testarda e ostinata, lo sapeva bene, lo aveva
sperimentato in abbondanza a sue spese, ai tempi della guerra. Quegli
stupidi giochetti lo mandavano in bestia, ma in quel frangente si
rendeva conto di avere le mani legate. Non voleva discutere per
l'ennesima volta e rischiare di farla innervosire.
Anche
se era convinto di essere dalla parte della ragione, decise di fare
un passo indietro, ingoiare il rospo e raggiungerla nella loro
cabina, in cui si era rintanata, dopo avergli lanciato uno sguardo
assassino. Era desideroso di rompere quel silenzio angosciante che lo
stava devastando; avevano sprecato troppo tempo in liti,
incomprensioni e minacce di morte, in passato, ora non riusciva
nemmeno a sopportare l'idea che Rey gli serbasse rancore, anche per
dei motivi futili o delle sciocchezze.
Premette
il pulsante di attivazione del portello e si sentì sollevato
nel
constatare che la cabina non era chiusa dall'interno.
Lo
scrosciare dell'acqua lo avvisò che Rey si stava lavando.
Attese
pazientemente, seduto sul letto, che uscisse dalla doccia, nella
speranza di riprendere il discorso e potersi riavvicinare. Ma quando
la vide uscire, avvolta da un semplice asciugamano, col viso e i
capelli bagnati e l'espressione severa, capì che la
questione era
più seria del previsto.
La
giovane jedi gli concesse una fredda occhiata fuggevole e poi si
limitò ad ignorarlo.
Ben
rimase a guardarla mentre si asciugava velocemente e non
poté fare a
meno di ammirarla. Non era mai stata così bella: le forme
sinuose,
che andavano arrotondandosi, e il seno lievemente più pieno,
avevano
il potere di risvegliargli brutalmente il desiderio, ma
cercò di
soffocarlo. La vide infilarsi la casacca chiara di lino, lunga fino
al ginocchio, che usava spesso per dormire, in religioso silenzio,
sperando invano in un suo cenno.
Ingoiò
a vuoto e si obbligò a tenere a bada il crescente senso di
frustrazione. Non avevano ottenuto nulla dalla visita al rifugio, ma
percepiva chiaramente l'inquietudine di Rey: la questione sul suo
nome e sulla sua famiglia, non era affatto risolta, anzi si era
addirittura complicata.
Evitò
di provocarla perché non voleva innervosirla. Un assurdo
senso di
prurito poi, gli si stava diffondendo in tutto il corpo,
distogliendolo da tutti quei pensieri che non facevano altro che
incupirlo ancora di più.
Si
tolse uno stivale, lo sollevò, facendo scivolare tutta la
sabbia che
vi si era infilata, sul pavimento, e sospirò. Ci avrebbe
pensato
BB-8 a ripulire tutto, a lavare e sistemare anche i loro vestiti.
Sarebbe stata una degna punizione per l'impiccio che aveva causato.
Non
aveva mai provato una gran simpatia per il piccolo astro-meccanico;
quando Rey aveva deciso di lasciare tutto e unirsi a lui, quel
piccolo droide aveva insistito per seguirla, col benestare del suo ex
padrone, Poe Dameron.
«Ci
penserai tu a tenerli d'occhio, non è vero vecchio
amico?» Aveva
ironizzato quel pallone gonfiato di un pilota da strapazzo. Suo
malgrado, era stato costretto a tenere la bocca chiusa ed accettare.
Nella sua posizione non poteva permettersi di fare il difficile o,
peggio, protestare. Desiderava soltanto iniziare una nuova vita
accanto a Rey. Tutto il resto non aveva più importanza.
«Detesto
la sabbia» si ritrovò a imprecare ad alta voce e a
denti stretti,
sentendosi fastidiosamente appiccicaticcio. Solo quando
sentì il
rumore del portello della cabina chiudersi bruscamente, si rese conto
che quelle parole avevano fatto incattivire ancora di più la
sua
compagna che piuttosto che rivolgergli la parola o rispondergli a
tono, aveva preferito tornare alla hall principale più
combattiva
che mai.
Gettò
lo stivale a terra e si tolse anche l'altro: aveva decisamente
bisogno di una doccia gelata.
* * *
Prepararono
la cena senza scambiarsi nemmeno una parola e cenarono in silenzio
seduti, come di consueto, attorno all'holotavolo, fra le poltroncine
tondeggianti.
Rey
era a disagio: sentiva gli occhi di Ben addosso, mentre lei non
faceva altro che evitare il suo sguardo e riempirsi la pancia. Da
quando riuscire a procurarsi scarse razioni di cibo, non era
più la
sua unica ragione di vita, si era ripromessa di non lasciare mai
nulla nel piatto.
Nonostante
Ben avesse abbondato con le porzioni, preparando le sue pietanze
preferite, si obbligò a non farsi ammorbidire.
Lo
detestava quando si comportava ancora inconsciamente da despota e
ogni essere vivente che gli orbitava intorno doveva sottostare ai
suoi comandi perentori senza fiatare. Non erano più in
guerra, non
erano mai stati comandante e sottoposto e, soprattutto, non erano
più
nemici. Anzi, presto sarebbero diventati entrambi responsabili, a
pari merito, della vita di un nuovo essere umano; era giunto il
momento che imparasse ad abbassare la cresta e ad essere più
accondiscendente. Il fatto poi, che avesse ammesso apertamente di
odiare la sabbia, lo rendeva meritevole di una morte atroce sotto
immani sofferenze.
Durerà
ancora per molto questo silenzio ostinato?
Le
parole di Ben le risuonarono nella testa, vivide ed improvvise, e
questo la fece sussultare, costringendola a sollevare lo sguardo. A
volte si dimenticava che potevano comunicare anche telepaticamente,
ma da quando stavano insieme, raramente ne avevano sentito la
necessità.
Il
tono di Ben non era aggressivo o minaccioso, era semplicemente
preoccupato per la piega che stava prendendo quella faccenda tra
loro. La consapevolezza che ci fosse ancora qualcosa che poteva
dividerli lo spaventava. E spaventava anche lei.
Qualcuno
ti ha mai detto che metti più paura mentre mangi che con una
spada
laser in mano?
A
quelle parole Rey non poté fare a meno di scoppiare a
ridere, con la
bocca piena, sputando cibo dappertutto e Ben
si coprì il volto con le mani, fingendosi schifato.
Quando
finalmente riuscì a darsi un contegno e a ritrovare un
minimo di
dignità, si sforzò di essere comprensiva, o
forse, il suo
particolare stato, che la portava a passare dalla rabbia ad
un'assurda euforia, in un nano secondo, le giunse misericordiosamente
in aiuto. Si alzò, gli si avvicinò, camminando
sul pavimento gelido
a piedi nudi e si fermò davanti a lui.
Lo
sguardo di Ben mostrava di nuovo quella lieve sfumatura malinconica
che aveva perso, da quando stavano insieme, ed era qualcosa di
straziante. Gli scompigliò i capelli arruffati e ancora
leggermente
umidi, gli prese il viso tra le mai e, infine, gli sorrise benevola.
Ben
invece la strinse a sé con prepotenza, posando la guancia
sul suo
ventre, sentendosi finalmente sollevato. Rey avvertiva chiaramente
quanto fosse dispiaciuto, ma sapeva anche che non aveva tutti i torti
nel voler difendere allo stremo ciò che amava.
«Non
mi importa quale sia il tuo vero nome. Per me sei Rey. Lo sei stata
dal primo istante in cui le nostre menti sono entrate in contatto...
e lo sarai per sempre.» Glielo disse piano, con la sua voce
profonda
e calda, con l'intenzione di ribadirle che si era innamorato di lei
per quello che gli aveva dimostrato di essere, in barba alle sue
origini insignificanti.
Rey
sorrise di nuovo e si sentì lusingata, l'egoismo di Ben, a
volte
così ostinato ed infantile, aveva sempre il potere di
intenerirla.
«Ma è importante per me...» gli
confessò, corrugando la fronte,
nella speranza che comprendesse anche il suo punto di vista.
Si
staccò da lui a malincuore, accarezzandogli la guancia
sfregiata e
imboccò la galleria, tornandosene in cabina. Si sentiva
insolitamente stanca: braccia e gambe le pesavano più del
solito,
aveva solo bisogno di sdraiarsi.
Forse
un sonno ristoratore e la tranquillità della notte di Jakku
le
avrebbero aperto la mente. O forse sarebbe rimasta con le sue
risposte insolute per tutto il resto della vita; in ogni caso il
mattino dopo sarebbero ripartiti.
Ben la
lasciò andare senza protestare, anche se vederla
così inquieta e
combattuta gli provocava un dolore fisico. Aveva fatto il possibile
per venirle incontro, ora non aveva la più pallida idea di
come
aiutarla.
Era
nervoso e non aveva sonno, provava solo un gran bisogno di sfogare
l'energia negativa che aveva accumulato nelle ultime ore; e sarebbe
stato meglio, per il bene di tutti, se l'avesse convogliata in
qualcosa di utile. Si diresse verso la postazione computerizzata e
diede il via alla procedura di diagnostica: era giunto il momento di
ricalibrare quei dannati scambiatori di calore.
* * *
Il
sonno di Rey era agitato, continuava a rigirarsi nella cuccetta senza
riuscire a trovare pace. Anche se nel Falcon il clima era
termoregolato, lei aveva freddo. Si avvolse nella grande e calda
coperta che i lanai*** di Ahch-To avevano tessuto apposta per lei, e
che le avevano donato prima che lasciasse l'isola. Se la strinse
addosso nella speranza vana di scaldarsi.
C'era
qualcosa che la disturbava: un gemito, un lamento lontano, e poi voci
confuse, sussurri che confabulavano, parole che lei non riusciva a
comprendere.
Una
figura più chiara iniziò a prendere forma nel
grigiore. Lentamente
si avvicinava, diventando più nitida.
Rey la
riconobbe subito, era sempre quella giovane donna che aveva preso a
frequentare incessantemente i suoi sogni. Si chinava su di lei, come
se fosse ancora una bambina, e la guardava, con quei suoi grandi
occhi chiari e tristi. Il suo viso era grazioso, i lineamenti
delicati: era solo una giovane mercante di rottami, come ce n'erano a
centinaia su Jakku, eppure aveva qualcosa di vagamente familiare che
le suscitava tenerezza, compassione.
La
giovane donna si sforzò di sorriderle, come a volerla
tranquillizzare, anche se a Rey dava l'impressione di essere
fortemente in pena, poi sollevò una mano in cui teneva
stretto un
fiore dalla forma insolita e strana, che emanava un profumo intenso e
selvaggio. Lo stelo era lungo, con poche foglie verdastre, mentre
delle piccole campanule, raccolte in fitti grappoli erano di un
colore vivace, che variava dal rosso, al marrone, al giallo ocra. Non
era bellissimo, non era aggraziato, era particolare e curioso e,
soprattutto, aveva l'aria di essere molto resistente.
Conosceva
quel fiore, su Jakku ne aveva visti sbocciare parecchi, durante la
stagione meno arida. Ne era germogliato uno, spontaneamente, persino
dentro il suo AT-AT.
La
donna glielo porse asciugandosi, con la manica lurida della giacca,
le lacrime che le rigavano il viso sporco di grasso e, per la prima
volta, le parlò.
Keziah...
Rey
sussultò nel sonno, come se fosse stata punta da qualcosa.
Il nome
di quel fiore la stordì, le fece l'effetto inaspettato di
una chiave
in grado di far scattare il lucchetto di uno scrigno prezioso,
rimasto chiuso per troppo tempo.
In un
istante la sua mente, per molti anni intrappolata in una sorta di
auto protezione, si aprì, e finalmente, tutti i suoi ricordi
riemersero dall'oscurità in cui li aveva nascosti.
Si
svegliò di soprassalto e urlò.
«Mamma!»
* * *
Quando
Ben rientrò nella cabina, per concedersi qualche ora di
risposo,
trovò il letto sfatto ma vuoto. Si guardò intorno
preoccupato: Rey
non c'era. Non era nemmeno nel piccolo bagno che suo padre aveva
ricavato dal lussuoso ( ma inutile ) guardaroba dello zio Lando.
Espanse
i suoi sensi e non la trovò nemmeno all'interno del Falcon.
Quella
consapevolezza gli fece gelare il sangue nelle vene: era riuscita a
svignarsela senza farsi sentire.
Cercò
di non cedere al panico e alla rabbia che già gli stavano
crescendo
dentro, in maniera esponenziale. Quella testona incosciente aveva
lasciato la nave per andare chissà dove, in cerca delle sue
dannate
risposte, ed era uscita nel freddo della notte vestita solo con
quella sua camicia leggera. Nella migliore delle ipotesi si sarebbe
congelata.
Si
augurò che fosse ritornata al suo AT-AT, lì
almeno avrebbe avuto un
riparo. Giurò a se stesso che, non appena l'avesse
ritrovata,
l'avrebbe tenuta incatenata alla poltrona del copilota almeno fino a
quando il sistema di Jakku non si sarebbe trovato dall'altro capo
della galassia.
Agguantò
la pesante coperta di lana, abbandonata sul letto e si
precipitò
fuori dal Falcon.
Si
morse il labbro inferiore a sangue, scrutando il paesaggio scuro
circostante. Il cielo era ancora nero e trapuntato di stelle, ma una
sottile linea lucente, all'orizzonte, indicava che l'alba ormai non
era lontana.
I suoi
sensi parevano impazziti, si sentiva spaesato, non aveva idea di
quale direzione Rey avesse preso, la sabbia non aveva il potere di
conservare le impronte. Alla rabbia per essere stato raggirato,
cominciò a sommarsi la paura che potesse esserle accaduto
qualcosa
e, per un soffio, credette di non riuscire a resistere
all'oscurità
che, con prepotenza, avanzava dentro di sé, premendo per
inghiottirlo. Era sempre lì, in agguato e pronta a
divorarlo, faceva
parte del suo essere, anche se per anni era riuscito a bilanciarla.
Si
fermò e si obbligò a respirare lentamente;
opporsi al lato oscuro
era difficile e doloroso, ma non impossibile.
Subito
sentì un piacevole senso di calore scorrergli lungo il
corpo,
l'energia del lato chiaro lo avvolgeva e lo penetrava, imponendogli
di tranquillizzarsi e di riflettere. Aveva il potere di riprendere in
mano la situazione e di non farsi sopraffare dalle sue debolezze.
Aveva il legame con Rey che, come una luce inesauribile, lo avrebbe
guidato verso di lei.
Chiuse
gli occhi e si affidò al suo istinto, cercò il
calore che Rey
emanava, l'aura luminosa che si sprigionava dal suo corpo,
tentò di
rintracciare la scia dei suoi pensieri e delle sue emozioni e,
finalmente, riuscì a percepirla.
«Rey!»
la chiamò, riaprendo gli occhi. Nelle sue grandi iridi nere
si
rifletteva la luce delle stelle.
«Ben...»
La sentì rispondere chiaramente.
Il
suo cuore sussultò di gioia. Non era andata troppo lontano,
la
direzione che aveva preso, era diametralmente opposta a quella in cui
si trovava la carcassa del camminatore, era stata fortemente attratta
da qualcosa,
e non gli sarebbe stato difficile raggiungerla.
Superò
un'alta collina e corse giù per il pendio affondando
affannosamente
nella sabbia, il paesaggio che aveva intorno era incolore e monotono,
c'era solo un'interminabile susseguirsi di dune, in qualsiasi
direzione, eppure Rey era lì vicino, la sentiva, riusciva a
percepire il suo odore delicato, insieme ad un altro profumo
più
intenso, del tutto sconosciuto e selvatico.
Si
avventurò su di un'altra duna, ancora più alta e,
quando giunse
sulla sommità, credette di vivere in un sogno: ai piedi di
quell'immensa collina di sabbia si stendeva una suggestiva vallata,
in parte ricoperta di fiori, i cui lunghi steli ondeggiavano lenti
alla brezza notturna. Inginocchiata al centro della distesa
individuò
Rey. Non avrebbe mai creduto che, nel bel mezzo di un deserto,
potesse nascere qualcosa di così meraviglioso.
Scese
lungo il crinale col cuore in gola, si avvicinò titubante,
timoroso
della possibile reazione di Rey. La giovane jedi gli dava la schiena
e il suo viso era rivolto verso la linea ondulata dell'orizzonte che
si andava lentamente schiarendo.
Le
posò la calda coperta di lana sulle spalle.
Lei
sussultò appena, poi se la strinse addosso emettendo un
gemito di
piacere, godendo del tepore che riusciva ad infonderle.
Ben le
girò intorno e le si inginocchiò davanti,
sperando in una
spiegazione a quel gesto così incomprensibile.
Inaspettatamente, la
vide serena. Era sollevata e felice di rivederlo, come se lo stesse
aspettando impaziente.
«Hai
ricordato tutto» constatò fiducioso, ancora
ansimante per la corsa.
Il desiderio di rimproverarla, per quell'incoscienza, ormai si era
assopito.
Rey
annuì, aveva gli occhi gonfi, arrossati e ancora umidi di
lacrime.
«Erano
così giovani...» iniziò titubante, con
la voce rotta dall'emozione
e lo sguardo perso nel vuoto, «ed ingenui. Lo erano troppo
per
vivere in un mondo spietato, in cui puoi sopravvivere solo se sei
scaltro, avido ed egoista. Eppure si amavano...» Si
fermò un
istante per prendere fiato e poi continuò. «È
buffo come l'amore possa farti sentire invincibile, e ti renda capace
di fare qualunque cosa, anche se non hai niente e non sei
nessuno.»
Dopo quello che era accaduto tra lei e Ben, finalmente riusciva a
comprenderlo.
«Erano
solo degli insignificanti mercanti di rottami, ma per me
rappresentavano tutto. Vivevamo a Reestkii
un piccolo insediamento non lontano dall'avamposto di Niima.
Quando
andavano a procurarsi i pezzi da scambiare, erano costretti a
lasciarmi da sola, nella nostra umile tenda, ma loro sapevano che non
mi sarei mai allontanata, come io sapevo che loro sarebbero sempre
tornati. C'era una specie di patto solenne tra noi.
A
volte venivano a farci visita i seguaci della Chiesa della Forza, del
villaggio di Tuanul.
Spesso ci aiutavano, portandoci del cibo e dei regali. A quel tempo
non sapevo perché lo facessero.
Un
giorno mia madre confidò ad uno di loro, il più
anziano, che temeva
che io avessi qualcosa di diverso, di speciale.
Mi aveva visto fare cose strane, incomprensibili e ne aveva avuto
paura. Riuscivo a sentire l'angoscia e la preoccupazione che provava
per me, ma non sapevo come fare per placarle.
Quell'uomo
sembrò capire perfettamente e cercò di
tranquillizzarla, ma le
rispose che doveva portarmi al più presto via da Jakku e
cercare
qualcuno che potesse guidare
i miei passi.
Oggi so che, quel qualcuno,
a cui si stava riferendo era Luke.
I miei
genitori non avevano nulla, tanto meno una nave o del denaro per
abbandonare il pianeta, ma da quel momento iniziarono a pensare
seriamente ad un modo per lasciare Jakku.
Un
giorno si presentò alla nostra tenda un forestiero che non
avevo mai
visto, lui e i miei genitori si misero in disparte a parlare, ma io
riuscii ugualmente a sentire di nascosto. Propose loro una specie di
affare, dovevano aiutarlo a rubare un mercantile per iniziare un
commercio segreto di pezzi più costosi e ricercati. Per loro
sarebbe
stata una svolta, non avrebbero dovuto più sporcarsi le mani
tra i
rifiuti e soffrire la calura per delle misere porzioni di cibo,
dovevano soltanto trasportare la merce e consegnarla non lontano dal
pianeta. Presto avrebbero avuto abbastanza crediti per lasciare per
sempre il sistema.
Avevo
solo sei anni a quel tempo e fu
allora che tutto iniziò a precipitare: mia madre mi
spiegò che ci
dovevamo separare... non sarebbe stato per sempre, dovevo solo essere
paziente perché, molto presto, tutto sarebbe cambiato,
sarebbero
tornati a prendermi e avremmo potuto lasciare insieme Jakku. E non
avremmo mai più sofferto la fame.
Nonostante
mi sentissi spaesata e spaventata, sapevo che potevo fidarmi di loro
e che sarebbero tornati. Loro tornavano sempre.
Mi
portarono a Niima e mi cedettero ad Unkar Plutt: era una pratica
molto comune a quel tempo e non avrebbe suscitato sospetti, nessuno
avrebbe fatto domande, o si sarebbe indignato. La povertà
spingeva a
fare cose di gran lunga più orribili che vendere una bambina
per
procurarsi cibo o acqua. Io li capivo. Non potevano portarmi con
loro, era troppo rischioso e quello era l'unico modo per proteggermi
e assicurarmi del cibo.
Qualcosa
però andò storto, o forse furono traditi.
Riuscirono a requisire la
nave e a fare il primo trasporto, ma Zuvio, il capo della Milizia di
Niima, si mise sulle loro tracce e li catturò, riportandoli
indietro.
Su
Jakku il furto di astronavi e il trasporto illegale vengono puniti in
un solo modo: con la morte. Dell'uomo che li aveva ingaggiati non se
ne seppe più niente. Sparì nel nulla,
così come era venuto. I miei
genitori invece vennero giustiziati, insieme ad altri criminali e
sepolti in una fossa comune... la scena che hai visto anche
tu.»
Dopo
quel lungo racconto Rey abbassò il capo esausta, ma
soddisfatta.
Parlarne e sfogarsi le aveva fatto bene. Era stato come disfarsi di
un peso tremendo ed ora si sentiva più leggera e finalmente
libera.
Ben la
fissò con dispiacere, ma era anche sollevato: era sicuro che
quello
che aveva visto, toccandole la mano, era accaduto davvero. Non le
aveva mai mentito, non aveva mai avuto l'intenzione di circuirla o
ingannarla. Aveva solo cercato di guidarla verso una verità,
che
purtroppo, lei conosceva troppo bene, anche se si rifiutava di
accettarla.
«Credo
che da quel momento la Forza ti abbia protetta» le disse,
prendendo
le sue mani gelate che sbucavano dalla coperta e cercando di
scaldarle.
Lei
apprezzò il suo gesto ed annuì. «Dentro
di me sapevo quello che
era successo. Sapevo che non sarebbero tornati mai più, ed
è stato
solo grazie alla Forza se sono riuscita a non farmi sopraffare dal
dolore. La realtà che mi sono costruita attorno, il lavoro
con Unkar
Plutt, mi hanno aiutata a sopravvivere, e mi hanno completamente
isolata dal resto della galassia. Ma quando ho toccato la spada di
Luke, quel qualcosa, che dentro di me c'era sempre stato, si
è
risvegliato....»
«Mi
dispiace...» le sussurrò fissandola serio. Rey
corrugò la fronte
senza capire.
«Per
cosa?»
«Un
tempo ti dissi che i tuoi ti avevano gettato via come spazzatura. E
lo feci con l'intenzione di farti del male. Invece...»
«Invece?»
Rey sembrava dovesse estorcergli quelle parole con le pinze.
«In
un certo senso... hanno perso le loro vite, per proteggerti. Se
fossero riusciti a portarti via da Jakku e a trovare Luke...
probabilmente ora saresti morta. Avrei ucciso anche te, quella notte,
in cui ho dato fuoco al tempio.» Ben glielo
confessò con rabbia e
un profondo senso di vergogna. Sapeva perfettamente che ne sarebbe
stato capace e che, a quel tempo, non avrebbe avuto nessun rimpianto.
Rey
sorrise accarezzandogli la guancia sfregiata. «Chi
può dirlo?
Magari ti avrei seguito...»
Ben
scosse il capo contrariato. «In quel caso non ci sarebbe
stato
equilibrio e adesso non saremmo qui, inginocchiati in una suggestiva
distesa di fiori, nel bel mezzo del deserto a fissarci come due
stupidi invece di...»
«Invece
di?»
«Baciarci...»
le confessò un po' frustrato, il contatto fisico con il suo
corpo
gli era tremendamente mancato da quando tutta quella faccenda aveva
avuto inizio. Desiderava solo stringerla di nuovo, perdersi nel suo
calore, fare d nuovo l'amore con lei.
Rey lo
guardò dritto negli occhi, il volto di Ben era
pericolosamente
vicino al suo. Le loro labbra erano bramose di incontrarsi, ma
qualcosa ancora la tratteneva. Nello sguardo intenso di Ben poteva
leggere mille parole, desiderio, passione, avrebbe potuto fissare i
suoi occhi per sempre.
Poi
lui ruppe quell'istante lungo un'eternità, e lei chiuse le
palpebre
lasciando che fossero i suoi sensi a guidarla. Sentì le
labbra
morbide di Ben contro le sue, si lasciò cullare da q1uella
sensazione di leggerezza, interrotta solo dal tocco della sua lingua
e dalle sue mani calde che le sfioravano il viso.
Affondò
le dita tra i suoi capelli scuri per attirarlo a sé e per
non
lasciarlo andare via. Fu solo un attimo, uno scontro avido e famelico
tra le loro lingue, un momento, la cui intensità
sperò che non
finisse mai.
Si
separarono a malincuore, solo per riprendere fiato, promettendosi
mentalmente di riprendere da dove avevano interrotto, una volta
tornati sul Falcon.
«Cosa
ti ha spinto a ricordare?» Ben si dimostrò
inaspettatamente
curioso, non riusciva a capire perché fosse stata fortemente
attratta da quella strana distesa di fiori.
Rey si
sciolse dal suo abbraccio e si guardò intorno sorridente, il
suo
sguardo si posò fiero e sereno sui fiori che li
circondavano. Poi
accarezzò uno di essi, lo colse e glielo porse.
«È
una Keziah****. Il fiore più forte del deserto di Jakku; ha
una
bellezza semplice e non è aggraziato. Il suo profumo non
è affatto
delicato, ma è intenso e selvatico. Però
è resistente, tenace,
tanto da riuscire a sbocciare e crescere al centro del nulla.»
«Un
po' come te...» constatò Ben, dimostrandole di
aver capito a cosa
si stesse riferendo; tra loro non avrebbero mai più potuto
esserci
segreti o incomprensioni.
Rey
annuì. «Keziah, è il mio vero nome...
» Gli confidò, mentre i
primi raggi del sole iniziavano a schiarire il buio del cielo e ad
illuminare i loro visi rasserenati.
Ben la
fissò serio negli occhi ambrati che parevano brillare
nell'intensa
luce dell'alba di Jakku. «Per me sarai sempre
Rey...» le ribadì,
perentorio e caparbio.
La
giovane jedi non poté fare a meno di scuotere il capo
rassegnata.
«Beh... è comunque un bel nome, è
particolare e anche di buon
auspicio. Potremmo darlo a lei...»
gli propose sorridendo sorniona.
A
quella rivelazione inaspettata Ben rimase interdetto. «Lei?»
ripeté sollevando un sopracciglio.
Rey
annuì, aprendo i lembi della coperta e abbassando lo sguardo
sul
ventre leggermente rigonfio. «Nostra figlia. Mi dispiace. Sei
deluso?» si finse preoccupata.
Ben
alzò gli occhi al cielo e poi sorrise. «Mettiamola
così: spero
vivamente che, il nome, sia l'unica cosa stramba che
erediterà da
te» la provocò, abbracciandola più
forte, poi chiuse gli occhi e
tentò in tutti i modi di trattenere le lacrime.
«Andiamo su Naboo»
le disse, parlando piano, stringendola come se fosse il bene
più
prezioso che avesse mai avuto. «Aspetteremo il suo arrivo
lì, sul
pianeta natale di mia nonna. È
un posto meraviglioso e tranquillo. Prendiamoci una pausa da tutto e,
per una volta, pensiamo solo a noi»
le propose, ricordando con nostalgia quelle poche volte in cui ci era
stato da bambino e ne era rimasto incantato. Naboo era il luogo dei
pochi ricordi sereni che aveva della sua infanzia.
Rey
sorrise tra le sue braccia ed annuì. «Attento a
te, comandante Ben
Solo. Stai diventando un po' troppo sentimentale per i miei
gusti»
acconsentì. Non le importava dove sarebbe nata la loro
bambina,
l'avrebbe data alla luce anche tra le fiamme infernali di Mustafar,
se avesse avuto accanto il suo Ben.
*
Mano
nella mano tornarono al Falcon quando il sole aveva superato di poco
la linea dell'orizzonte e l'aria si era già fatta rovente.
Non
appena il mercantile divenne visibile, dall'alto di una duna, Ben
imprecò malamente. «Dannazione!»
«Che
succede?» Rey si voltò verso di lui sconcertata, e
adesso che
diavolo gli era preso?
«Avrei
dovuto immaginare che quel disgustoso mostriciattolo se la fosse
legata al dito.»
La
giovane jedi continuava a non seguirlo, poi guardò meglio e
si
accorse che effettivamente, al Falcon, mancava qualcosa.
«Quel
piccolo delinquente ci ha rubato la parabola intergalattica!»
Ben
sbraitò inferocito confermando la sua impressione.
Rey
alzò le sopracciglia stupita. «Beh... ha trovato
il modo di
vendicare l'onore dei Teedos e di racimolare qualcosa da scambiare.
Ha tutta la mia ammirazione!» si trovò ad dover
ammettere
sogghignando.
Dopotutto
il ritorno su Jakku si era rivelato proficuo, aveva finalmente fatto
luce sulla parte più oscura del suo passato, aveva ritrovato
il suo
vero nome ed aveva rafforzato ancora di più il suo legame
con Ben.
Gli effetti collaterali non erano stati poi così disastrosi.
Lui
invece pareva deluso e scoraggiato, doveva trovare il modo di
risollevare il suo umore o il viaggio di ritorno sarebbe stato un
vero e proprio incubo.
«Che
hai intenzione di fare?» gli chiese, genuinamente curiosa.
«E
hai il coraggio di chiedermelo? Sorvolerò con il Falcon
l'Avamposto
di Niima e raderò al suolo quel covo malefico di mercanti di
rottami, una volta per tutte!» Sentenziò
inferocito.
Rey
si rese conto di dover correre subito ai ripari. «Ho un'idea
migliore: prima di fermarci su Naboo, e di goderci la nostra meritata
vacanza... potremmo fare un salto su Lotho Minor*****. È
una vera e propria miniera d'oro per i mercanti di rottami. Ci sono
intere distese di relitti da saccheggiare, ci si potrebbe addirittura
costruire un intero mercantile con i resti delle altre astronavi
abbandonate. Scommetto che, con un po' di fortuna, potremo trovare
un'antenna intergalattica persino migliore di quella.»
Ben
sbatté le palpebre un paio di volte fissandola tra
l'incredulo e lo
sbigottito, poi non poté fare a meno di scoppiare a ridere
di gusto.
L'entusiasmo con cui Rey aveva paragonato una lurida discarica, come
Lotho Minor, ad una specie di paradiso terrestre, gli aveva fatto
tornare il buon umore, e non sapeva se considerare la cosa
miracolosa, o spaventosa, allo stesso tempo.
La sua
adorabile compagna rimaneva sempre l'impertinente e grezza scava
rifiuti che aveva conosciuto su Takodana, e niente e nessuno avrebbe
potuto mutare la sua natura selvaggia e indomita. Ma era questo che
più amava di lei.
Nonostante
tutto tentò di dissuaderla. «Sei impazzita?
Sarà pieno di Jawas,
agguerriti e armati fino ai denti, laggiù» le fece
notare, per
tentare di scoraggiarla, anche se sapeva che sarebbe stato fiato
sprecato.
«Non
farla così tragica. I Jawas sono creature presuntuose ma
stupide. Me
li saprò lavorare e non ci daranno fastidio.» Fu
l'ovvia risposta.
«Penso che Naboo possa aspettare e l'Avamposto di Niima...
credo che
stia bene dove sta» ragionò, con gli occhi che le
brillavano per
l'eccitazione. Solo dopo averlo supplicato con lo sguardo da
cerbiatta, per diversi istanti, però, riuscì a
strappargli un
«D'accordo...» biascicato a bocca storta.
A quel
punto Rey gli saltò letteralmente addosso, divorandolo di
baci.
*
Ben
scosse la testa rassegnato mentre digitava il codice di sblocco del
portello di ingresso del Falcon. Non poteva credere di essersi fatto
abbindolare di nuovo. Dopo aver acconsentito allo sbarco su Jakku si
era ripromesso di non farle più decidere una rotta di
navigazione,
nemmeno se si fosse trattato di una questione di vita o di morte.
Invece
Rey era riuscita ad incastrarlo di nuovo, ma questa volta non aveva
tutti i torti, su Lotho Minor avrebbero assemblato la miglior
parabola per le comunicazioni intergalattiche, che quel vecchio
catorcio avesse mai avuto. E, chissà, magari avrebbero anche
potuto
potenziare il sistema di occultamento binario, se avessero trovato un
nuovo refrigeratore, che non necessitasse di essere rattoppato
costantemente con del nastro isolante.
La
pedana si abbassò permettendo loro di entrare e poi si
chiuse
lentamente alle loro spalle, sigillando l'atmosfera interna.
«Ben...?»
«Che
c'è, ancora?» Sbuffò esasperato.
La
giovane jedi fece finta di non averlo visto strabuzzare gli occhi al
cielo, per l'ennesima volta, in quella giornata.
«Non
azzardarti mai più a dire che detesti la sabbia!»
F I N E
______________
Note:
* Per
questo rudimentale linguaggio chiamato Teedospeak mi sono rifatta un
po' al mandaloriano ^ ^'
** I
Teedos non facevano distinzioni tra individui e ogni membro della
specie era semplicemente chiamato Teedo. Avevano sperimentato una
forma sconosciuta di connessione telepatica tra individui e un Teedo
era noto per ricordare eventi accaduti ad altri Teedo. Fonte
Wookieepedia.
*** I
lanai di Ahch-To, sono creature diventate canon nell'ultimo capitolo
del romanzo di Jason Fry, Gli ultimi Jedi.
Ovviamente io ho
immaginato che dopo la fine della guerra Rey e Ben vi abbiano fatto
ritorno, seppure per un breve periodo.
****
Keziah (pronunciato Kisia) è davvero un
nome femminile di
origine ebraica e deriva da “cassia”, nome di una
famiglia di
arbusti che cresce in India e in Egitto. Ovviamente il fiore a cui si
riferisce Rey è quello che lei stessa ha trovato nel suo
AT-AT e che
vediamo, per una breve inquadratura, in TFA.
*****
Lotho Minor, pianeta dell'Orlo Esterno, Settore Watza, ricoperto di
rottami e rifiuti provenienti da altri mondi. Abitato da esseri
simili ai Jawas. Compare nella serie The Clone Wars,
Fonte
Wookieepedia
Angolo
dell'autrice:
Eccoci
giunti al tanto sospirato finale. Riuscirà il nostro EROE Ben
Solo a tenere la sua irrequieta compagna, (per di
più incinta)
lontano dai guai? Ne dubito fortemente. E dubito anche che vedremo il
Falcon atterrare su Naboo tanto presto ^ ^'
Qualcosa
mi dice che la piccola Keziah avrà un'esistenza parecchio
movimentata accanto ai due scalmanati genitori. XD
Fateme
sognà fino a quando non arriverà la mannaia
implacabile di Abrams
ad affettare tutte le mie speranze reylose.
Grazie
a chi ha avuto la costanza di seguimi, intrufolandosi con me, in
questo piccolo momento intimo della storia tra Ben e Rey, lontano da
guerre e schieramenti.
Besitos!
|