Ritorno su Jakku

di Angel Of Fire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte Prima ***
Capitolo 2: *** Parte Seconda ***



Capitolo 1
*** Parte Prima ***


Ritorno su Jakku - 1



I ricordi sono cicatrici del destino




RITORNO SU JAKKU



* * *


PRIMA PARTE



Il Millenium Falcon uscì dall'Iperspazio col solito violento scossone. Come da consuetudine, Rey si sentì strattonare dalla cintura di sicurezza della poltrona del copilota.

Strizzò gli occhi, arricciò le labbra ed imprecò in qualche strana lingua: si era impegnata a fondo per cercare di eliminare quel difetto fastidioso, ma alla fine aveva dovuto arrendersi. Esistevano cose che esulavano dalle sue capacità di astro-meccanico. O forse, più semplicemente, quel dannato pezzo di ferraglia si divertiva a prendersi gioco di lei.

Si liberò dalla cintura e gettò lo sguardo oltre il vetro del cockpit: il suo pianeta natale, con la sua vasta superficie rossiccia, leggermente screziata di viola, appariva immenso e luminoso, nel nero dello spazio.

Per un istante l'assalì un assurdo senso di paura.

Dalla poltrona del pilota provenne un sospiro. Ben si voltò verso di lei e le riservò un'occhiata perplessa. «Sei sicura di volerlo fare? Sei ancora in tempo per cambiare idea, non siamo del tutto a corto di carburante.»

Rey non poteva obiettare, l'ultima volta si erano riforniti abbastanza da poter raggiungere almeno tre sistemi e quasi fu tentata di chiedergli di invertire la rotta.

Inspirò, deglutì a vuoto e si concesse ancora qualche secondo per riflettere. Si rendeva conto che anche per lui non fosse facile: Jakku rappresentava il teatro dell'ennesimo massacro compiuto per volontà del Primo Ordine, era comprensibile che si sentisse a disagio. Per lei, invece, quella grossa roccia desertica, ormai dimenticata dal resto della galassia, era stata una casa. Tutto era iniziato da lì e, in un certo senso, era giunto il momento di chiudere il cerchio.

Erano anni, ormai, che non ci rimetteva piede ma, non appena l'enorme globo le si era materializzato difronte, una miriade di ricordi le avevano affollato la mente e si era ritrovata a rivivere quella fuga rocambolesca che l'aveva portata ad affrontare il suo destino, ad anni luce di distanza.

Dopo la fine della Grande Guerra Galattica, Rey aveva sperato di potersi lasciare tutti i brutti ricordi alle spalle, ma non era stato affatto facile ricominciare una nuova esistenza, dopo quello che era successo. C'era ancora una questione che aveva lasciato in sospeso su Jakku, qualcosa che aveva seppellito sotto quelle stesse distese di sabbia, che avevano fatto da monotona cornice alla sua vita, per tanto tempo. Quel qualcosa, pian piano, premeva per riemergere.

Ora che tutto era finito, e che nella Galassia era stato ristabilito l'equilibrio, si rendeva conto che non avrebbe potuto guardare con serenità e fiducia al futuro, finché non avesse infranto anche l'ultima barriera ed affrontato la parte più intima e oscura di sé.

Annuì con decisione e Ben si dimostrò consenziente, sebbene a malincuore.


*


Penetrarono nell'atmosfera del pianeta e giunsero nel bel mezzo delle Goazone Badlands. Il Falcon si posò dolcemente, ondeggiando, nello spazio fra due alte dune, sollevando piccoli sbuffi di sabbia.

Come al solito, Ben aveva effettuato un atterraggio da manuale e Rey si dimostrò leggermente invidiosa: aveva sempre avuto il sospetto che quel vecchio catorcio, avesse delle preferenze in fatto di piloti; di sicuro aveva un debole per il comandante Solo, visto quanto si dimostrava docile e accondiscendente, quando c'era lui ai comandi.

«Le dune non sono un nascondiglio sicuro, le tue vecchie conoscenze non ci metteranno molto ad individuarci, dobbiamo fare in fretta.» Il tono agitato di Ben la distolse brutalmente dai suoi ridicoli paragoni; aveva ragione, qualunque risposta stesse cercando in quel luogo, doveva sbrigarsi a trovarla.

Lasciarono entrambi la cabina di pilotaggio e si diressero nella hall principale per prepararsi alla discesa, ma BB-8 li accolse tutto agitato. C'era un problema con gli scambiatori di calore, nulla di particolarmente grave, era il solito intoppo di quella carretta che cadeva letteralmente a pezzi. Gli scambiatori andavano semplicemente ricalibrati, e ci avrebbe pensato il piccolo droide a mettere le cose a posto, durante la loro assenza.

Ben rovistò in un contenitore, accanto alla postazione computerizzata e, dopo diverse imprecazioni, finalmente ne tirò fuori, soddisfatto, un rilevatore di metalli ad onde soniche e si caricò lo zaino sulle spalle.

Rey riempì due capienti borracce che sistemò nella sua sacca, insieme ad altri generi di prima necessità, poi attirò a sé la sua fedele asta e se la mise a tracolla. Anche se non avevano messo piede sul suolo di Jakku, già riusciva a percepire la pericolosa aria familiare. Infine scambiò un'occhiata d'intesa con Ben, per confermargli che era pronta per affrontare la missione.

Lasciarono il mercantile lentamente, con circospezione, seguendo le coordinate indicate dal sonar. Superarono un'alta duna e scesero lungo il crinale, raggiungendo una zona più pianeggiante.

Rey diede una rapida occhiata col binocolo da scout*, zoomando su una vasta area di deserto, ma di quello che stavano cercando non c'era traccia: all'orizzonte si stagliava solo un'interminabile distesa di sabbia, sulla quale il sole picchiava duro. «Sei sicuro che sia questa la direzione giusta?» Chiese dubbiosa.

Ben picchiettò un paio di volte con l'indice sullo schermo del sonar. «Se queste solo le Goazone Badlands e questo affare funziona correttamente, direi di sì. Quello che stiamo cerando si trova là sotto. Rilevo una massa metallica di considerevoli dimensioni.» Indicò una piccola duna anomala a circa cinquecento metri di distanza.

Proseguirono rapidi, sotto gli aggressivi raggi del sole ma, a circa metà strada, Rey dovette fermarsi per rifocillarsi. Si attaccò alla borraccia e bevve voracemente generosi sorsi d'acqua come se non si fosse dissetata da giorni, poi si pulì le labbra col dorso della mano. Si rese conto, con rammarico, di non essere più abituata alle lunghe camminate sotto quelle temperature estreme. Dovette inspirare ampie boccate d'aria per riprendere fiato.

Rivolse lo sguardo accaldato al suo compagno, gli passò la borraccia e si accorse che la stava già studiando cupo e preoccupato.

Ben non aveva preso affatto bene l'idea di tornare su Jakku, fin dal primo momento in cui gliel'aveva proposta. Era sicuro che lei, ormai, avesse chiuso con il suo passato, e che sarebbe stato un rischio inutile. Aveva dovuto faticare parecchio per convincerlo, ma alla fine aveva accettato di accompagnarla, più che altro per evitare che si cacciasse nei guai.

«Non guardarmi come se dovessi stramazzare a terra da un momento all'altro. Ho solo un po' di affanno» lo rassicurò, vedendolo inquieto e sul punto di caricarsela sulle spalle e riportarla alla nave. «Muoviamoci, dai. Ormai ci siamo quasi.» Il tono fiducioso di Rey non riuscì a tranquillizzare del tutto Ben, che si limitò a seguirla scuotendo la testa con riluttanza.

Non appena ebbero raggiunto la piccola duna, Rey si fermò, chiuse gli occhi ed iniziò a concentrarsi. Espanse i suoi sensi e finalmente riuscì a percepire qualcosa: vibrazioni, sensazioni, un lontano senso di appartenenza, e ne fu inaspettatamente felice.

Nel deserto di Jakku il paesaggio era in continua metamorfosi ed evoluzione, le dune si spostavano, lentamente, impercettibilmente, sotto la costante spinta del vento. Era quasi impossibile sapersi orientare, senza avere degli strumenti adeguati; eppure lei riusciva a sentire l'aria di casa, il profumo familiare della sabbia rovente, che in alcuni momenti della giornata si mischiava all'acre odore metallico del Cimitero delle Astronavi, non molto distante da lì. Riconosceva il profilo lontano dell'altopiano di Plaintive Hand che aveva osservato infinite volte al tramonto, quando finalmente poteva concedersi una meritata cena, dopo una dura giornata di lavoro.

Non c'erano dubbi: sotto quel grosso cumulo di sabbia c'era la sua casa, il caro, vecchio, camminatore abbattuto dall'Alleanza Ribelle durante l'epica battaglia di Jakku. Riposava nascosto sotto la sabbia, coricato su un lato, come un grosso gigante addormentato e, forse, era riuscito a scampare agli sguardi avidi dei mercanti di rottami.

Ben girò attorno alla piccola collina, analizzando i dati provenienti dal sonar, poi le fece cenno di avvicinarsi e le mostrò sullo schermo i risultati della scansione ravvicinata.

«Siamo fortunati. Sembra che sia sepolto solo da un abbondante mezzo metro di sabbia. Ci penserai tu a tenere a bada gli scava rifiuti che si saranno già appostati tutt'intorno, mentre dissotterro questo affare, vero?» Quella specie di battuta non la fece affatto sorridere.

«Sei sempre il solito disfattista» lo zittì, studiando attentamente la scansione che roteava in più direzioni e che rappresentava con delle sottili linee rosse, l'intero scheletro del camminatore. «L'ingresso si trova proprio sotto la pancia, tra le gambe dell' AT-AT, non occorre dissotterrarlo tutto» gli indicò il punto sullo schermo, «qui lo strato di sabbia è davvero esiguo» tenne a precisare rifilandogli un'occhiata corrucciata.

Il desiderio di Ben di lasciare al più presto quel pianeta era palpabile, Rey riusciva a percepire in modo chiaro la sua preoccupazione e questo la rendeva fastidiosamente irrequieta. Ma non poteva biasimarlo: lui era abituato ad avvertire ogni infinitesima sfumatura di pericolo in qualsiasi situazione e, soprattutto, a non fidarsi della quiete apparente. Le sue emozioni fremevano nella Forza e la penetravano completamente contribuendo ad accrescere la sua ansia. Ma non sarebbe fuggita via un'altra volta senza essere prima riuscita a placare quelle voci che continuavano a ronzarle nella testa e a dare una spiegazione razionale ad un sogno che la tormentava, ormai in modo ricorrente.

Ben assottigliò lo sguardo e le lanciò una delle sue occhiate più cupe: doveva arrivarle forte e chiaro il messaggio che le stava facendo un immenso favore. Le piantò lo scanner tra le mani e si avvicinò al punto in cui avrebbe dovuto trovarsi il famigerato passaggio.

Rey sorrise vittoriosa fino a quando non intuì le sue intenzioni. «Cosa credi di fare?» lo aggredì, vedendo che aveva già teso la mano e si stava preparando a richiamare la Forza per spazzare via la sabbia.

«A te cosa sembra?» si dimostrò sorpreso di dover giustificare l'ovvio.

Rey gli si mise di fronte, puntando i pugni ai fianchi e bloccando ogni suoi intento. «Non ci pensare nemmeno, l'ondata di sabbia che provocheresti attirerebbe qualunque scava rifiuti si trovi nelle vicinanze, oltre a rendere l'aria irrespirabile e il relitto inavvicinabile per un bel pezzo.»

Ben non riuscì a trattenere una risata sarcastica. «I tuoi cari Teedos**, e chissà cos'altro, ci hanno già avvistato nel momento in cui abbiamo messo piede sul pianeta. Staranno facendo a gara con gli scagnozzi di Unkar Plutt... Il Falcon è un bottino succulento e le piccole trappole che ho piazzato tutto intorno, non serviranno a tenerli lontano a lungo. Non abbiamo tempo da perdere. Spostati.»

Rey non poté fare a meno di ringhiare senza muoversi di un millimetro. «Hai la pretesa di conoscere questo posto meglio di me? I Teedos viaggiano sui Luggabeast***, anche se ci avessero avvistato, cosa di cui dubito, ci metterebbero ore ad arrivare. E per quanto riguarda Unkar Plutt... non credo che sia interessato ancora a quel pezzo di ferraglia, dopo il brutto incontro che ha avuto con Chewbacca... Perciò scordati l'uso della Forza, il patto era che non avremmo dovuto dare nell'occhio» gli ribadì, fissandolo perentoria.

Ben assottigliò lo sguardo e si dimostrò diabolicamente curioso. «Che è successo con Chewbacca?» La parola discrezione nel suo vocabolario proprio non esisteva.

Rey esitò qualche istante prima di rispondergli, quell'episodio risaliva ancora ai tempi in cui si rincorrevano per tutta la Galassia, cercando di ammazzarsi a vicenda e non era di certo un bel ricordo da riesumare. «Beh, ecco... Plutt aveva nascosto un tracciatore sul Falcon e ci seguì su Takodana. Quando ha cercato di vendicarsi e di riprenderselo, Chewbe è intervenuto e gli ha staccato un braccio di netto****.»

A quella rivelazione Ben rise di gusto, immaginandosi la scena. «Quella palla di lardo ha avuto quello che si meritava.» Esclamò con soddisfazione, come se avesse voluto farlo lui stesso, ma il suo entusiasmo durò ben poco. «Ora torniamo a noi due: non pretenderai che scavi con le mani, spero...» Lo sguardo da cucciolo di Rancor che le riservò, riuscì quasi ad impietosirla.

«Certo che no. Nello zaino deve esserci una pala pieghevole.» Il suo suggerimento (che aveva tutta l'aria di un ordine) venne accolto con un grugnito ed un'occhiata inferocita, ma lei non ammise proteste, sollevò un sopracciglio e si dimostrò irremovibile. «Non pretenderai che scavi io.»

Lo sguardo di Ben roteò nevrotico su di lei e inaspettatamente si addolcì, scosse la testa e alzò gli occhi al cielo rassegnato.

Rey sorrise soddisfatta nel vederlo fare retromarcia a pugni stretti, e dirigersi verso lo zaino, imprecando sottovoce.

La consapevolezza di non potergli dare una mano, avrebbe dovuto farla sentire in colpa, invece riuscì solo a trovare la circostanza estremamente divertente. Non gli avrebbe fatto male un po' di movimento per scaricare la tensione.


*


Ben aveva una corporatura possente ed una resistenza fuori dal comune, Rey lo sapeva bene perché lo aveva sperimentato più volte di persona, sia quando erano nemici, sia in circostanze molto più piacevoli, da quando avevano iniziato ad essere una coppia. Tuttavia, il clima infernale di Jakku ebbe il potere di farlo vacillare, benché ormai fossero vicini al tramonto e il sole si era ridotto ad una grossa palla infuocata che tingeva di rosso gli strati più bassi dell'atmosfera.

Dopo essersi liberato della giacca di pelle scura e della camicia grigia, che gli si era fastidiosamente appiccicata alla schiena sudata, diede fondo a tutta la sua riserva d'acqua, rimanendo in pantaloni, stivali e cinturone. Ma Rey era sicura che gli restava ancora un bel po' di fiato e abbastanza energie per riuscire a sgomberare il passaggio a colpi di pala.

Impietosita dai suoi sforzi, gli spiegò che non era stata affatto una buona idea liberarsi dei vestiti per resistere al caldo secco e ardente, perché avrebbe solo rimediato una bella scottatura e una potente disidratazione. Ma i suoi preziosi consigli di sopravvivenza riecheggiarono nel silenzio del deserto, senza venire accolti.

Aspettò pazientemente, seduta lungo il dorso di una duna, ben coperta dai suoi vecchi stracci di lana grezza che avevano il potere di mantenerla fresca ed isolata dalla calura e si limitò ad osservarlo scavare, sudato e arrabbiato, sotto i raggi roventi a torso nudo, con i capelli corvini spettinati ed appiccicati attorno al viso.

Dopotutto non le era andata male: la visione dei suoi bicipiti e degli ampi pettorali in tensione, aveva sempre avuto il potere di risvegliarle brutalmente istinti primordiali.


Non appena Ben ebbe finito di liberare il passaggio, scaraventò la pala talmente lontano da non essere più visibile ad occhio nudo. Recuperò l'anonima camicia e la giacca, con le quali si mimetizzava alla perfezione tra le bande di contrabbandieri e i trasportatori di spezie, le scrollò dalla sabbia che già vi si era accumulata, e fece cenno a Rey di entrare per prima. Mai come in quel momento si ritrovò a rimpiangere le uniformi del Primo Ordine, che almeno erano dotate di sofisticati sistemi di termoregolazione. «Sua signoria può accomodarsi» ironizzò ancora ansimante, con lo sguardo stravolto e furente, ma a Rey riuscì a suscitare solo un infinito senso di tenerezza ed ammirazione per non averle fatto muovere neanche un dito.

L'ex scava rifiuti si rialzò a fatica dalla sua posizione aiutandosi con l'asta e lo raggiunse con poche falcate, affondando gli stivali nella sabbia, poi gli porse un telo col quale avrebbe potuto asciugarsi il sudore che gli colava abbondantemente lungo le tempie. Piantò il suo bastone poco lontano dai piedi di Ben, e si inginocchiò per scivolare dentro l'AT-AT.

L'interno del tunnel era angusto, completamente buio e maleodorante.

Prima di addentrarsi, Rey aprì uno sportello che si trovava alla sinistra del condotto, nel quale vi era un tastierino che azionava un rudimentale sistema di sicurezza, che aveva inventato per evitare che il suo rifugio venisse saccheggiato nei periodi in cui era a caccia di rottami. Digitò il codice ma non accadde nulla, il camminatore era completamente privo di energia.

Rey si rese conto che gli accumulatori esterni ed il pannello ad energia solare erano scollegati ed era la prova che il suo nascondiglio era stato violato già da un pezzo.

Accese un' eco-torcia, se la mise tra i denti e proseguì carponi fino a quando non raggiunse il diaframma che fungeva da portello, con il quale si riparava durante la notte e nelle lunghe tormente di sabbia. Spinse verso l'interno con una spallata per disincagliarlo, lo gettò a terra sollevando un po' di sabbia e, finalmente, riuscì a penetrare nel ventre del camminatore. Tossicchiò un paio di volte per espellere la polvere sottile che aveva inevitabilmente inalato, e subito sentì provenire dall'esterno le proteste di Ben. «Ehi! Va tutto bene là dentro?»

Lentamente si rimise in piedi, diede una rapida occhiata tutt'intorno, illuminando il più possibile con la torcia, e poi si affacciò nel passaggio per fargli cenno di raggiungerla. «È tutto a posto, non c'è pericolo.»

Ben soffocò l'istinto di afferrarla per i capelli e riportala al mercantile, ma si trattenne. A volte, l'unico modo di farla ragionare era ricorrere alle maniere forti, ma si obbligò ad essere paziente. Strisciò nel tunnel imprecando, trascinandosi dietro anche lo zaino; si era appena rivestito e liberato della sabbia che gli si era appiccicata dappertutto, ed ora era di nuovo al punto di partenza.

Si sollevò nel locale angusto e si rese conto che, in piedi, ci stava a malapena, si scrollò dalla sabbia e poi si sforzò di mettere a fuoco quel poco che riusciva ad intravvedere nel buio. Non appena si mosse, sbatté la fronte contro qualcosa di solido che pendeva dal soffitto, inciampò in un paio di rottami che gli si erano intrecciati tra i piedi e, per poco, non ruzzolò a terra. «È il caso di fare un po' di luce se non vogliamo rischiare di ammazzarci» le suggerì sarcastico.

Rey sospirò scoraggiata. «Purtroppo non c'è più energia, avevo un piccolo sistema di sicurezza per proteggere l'ingresso, ma hanno fatto saltare anche quello, se sono riusciti a penetrare all'interno credo che abbiano lasciato ben poco.

Ben rovistò alla cieca nello zaino e tirò fuori un'altra eco-torcia più potente. Rey si guardò intorno e sussultò, non avrebbe mai creduto che un tale scempio avrebbe potuto farle così male, e si coprì la bocca con le mani per non urlare: del suo piccolo rifugio, che l'aveva protetta per anni dalla calura diurna e dal gelo delle notti desertiche, non restava altro che un cumulo di inutile immondizia buttata qua e là. I mercanti di rottami, avevano portato via tutto quello che poteva essere riutilizzato e riciclato, lasciando solo alcuni stracci, mensole e vettovaglie rotte. Persino le bellissime lampade create dagli artigiani del villaggio di Tuanul*****, e che gli aveva donato un seguace della Chiesa della Forza, non erano scampate alla razzia.

«Mi dispiace...» Ben fu costretto ad ammettere, di fronte a quel disastro, «ma davvero ti eri illusa di ritrovare tutto come lo avevi lasciato?»

Rey chinò il capo avvicinandosi a un pezzo di amaca sospesa dal soffitto, che un tempo era stato il suo giaciglio. Accarezzò la corda dalla quale pendeva il telo strappato, sbrindellato e intriso di polvere e sabbia, e sospirò amaramente.

Lontani e dolorosi ricordi iniziarono a tornare a galla. Quante volte si era addormentata dondolandosi, avvolta nei suoi stracci, nelle fredde e interminabili notti? Quante volte si era illusa che fossero mani amorevoli e familiari a cullarla? Quando invece erano soltanto gli spifferi impietosi del vento che si infiltravano ovunque, a muovere le corde che pendevano dal soffitto.

Non c'era più traccia della sua cucina ad induzione di calore, dei suoi preziosi distillatori d'acqua che in più di un'occasione le avevano impedito di morire di sete.

Camminò barcollando attraverso il ciarpame e raggiunse la parte più interna del rifugio, dove custodiva il computer di volo recuperato da un Ala-Y, dal quale aveva appreso tutto ciò che conosceva sulle astronavi, sui sistemi di pilotaggio e da cui aveva imparato diverse lingue, tra cui anche il droide binario con cui aveva potuto comunicare con BB-8; lo aveva trovato quando era poco più di una bambina, ed aveva subito capito che, alcune cose, sarebbe stato più saggio tenerle per sé, anziché venderle ad Unkar Plutt.

Cercò in modo spasmodico tra i pezzi di lamiere tagliate malamente, sollevandole e scaraventandole da ogni parte, ma del computer ovviamente non vi era più traccia. Era riuscita soltanto a smuovere abbastanza polvere da rendere la vista e la respirazione più difficoltose.

Ben la raggiunse e la prese dolcemente per le spalle, distogliendola da quella ricerca frenetica e affannosa. Si stupì di se stesso per la pazienza che stava dimostrando in quel frangente. «Smettila. Vuoi rischiare di tagliarti? Qua sotto non c'è più niente. Niente per cui valga la pena arrabbiarsi.» Non voleva essere brutale, ma non era nella sua indole dare false speranze.

Rey si liberò dalla sua presa, decisa a proseguire, evitò di dargli ascolto, sentiva chiaramente che quel luogo aveva ancora qualcosa da mostrarle, da svelarle, e non si sarebbe arresa tanto facilmente.

Puntò la torcia contro l'angolo più interno e buio e qualcos'altro attirò la sua attenzione: il pannello metallico sul quale aveva segnato, ad uno a uno, tutti i giorni in cui aveva atteso invano il ritorno dei suoi, su quel pianeta. Si diresse, tremando, verso quei segni. Passò i polpastrelli delle dita su ognuno di essi, lungo ogni fila, quasi a voler ripercorrere, in pochi istanti, gli anni di solitudine che era stata costretta a sopportare. Erano stati tanti, interminabili, eppure erano passati... Strinse le labbra e ingoiò un groppo amaro. Un assurdo senso di dolore si impadronì dei suoi sensi. Ma subito un leggero solletico, proprio sotto lo stomaco, le ricordò che adesso non era più sola. Lo sapeva. Lo sentiva. Eppure c'era ancora qualcosa che le mancava.

Qualche metro più indietro, la voce profonda di Ben la fece voltare: «Guarda qui. A quanto pare, fin da piccola sapevi già da che parte stare.» Lo disse arricciando il naso con finto disgusto, facendo penzolare, tra l'indice e il pollice, i resti di quello che sembrava un vecchio pupazzo arancione, che aveva tutta l'aria di rappresentare un pilota della resistenza a cui mancava una gamba.

Rey sgranò gli occhi, si precipitò verso di lui, si appropriò del pupazzo in malo modo e poi lo osservò tra le mani, incredula e commossa; i mercanti di rottami si erano portati via tutto, ma almeno le avevano lasciato i suoi ricordi più preziosi. Si portò quei pochi resti accanto al viso chiudendo le palpebre e poi iniziò ad ansimare.

Nel vederla così agitata, a Ben scattò qualcosa dentro e agì d'impulso, richiamò a sé la Forza, e con un unico gesto della mano fece saltare verso l'esterno tutta la parete in cui si innestava il cunicolo d'ingresso, permettendo finalmente alla luce e all'aria di penetrare. Si era trattenuto dal farlo anche troppo a lungo, e non gli importava nulla delle eventuali conseguenze.

Rey sussultò per il forte rumore di lamiere accartocciate e per la sorpresa. «Non potevi proprio farne a meno, eh?» lo rimproverò accigliata, pulendosi il viso sudato e appiccicaticcio di polvere. Di sicuro quel gesto aveva sollevato una considerevole colonna di sabbia che non sarebbe passata inosservata.

«In questo buco si soffoca e tu hai bisogno di ossigeno!» Fu la reazione rude ma sincera di Ben. «Ne ho abbastanza di questo ammasso di immondizia. Ti sta soltanto facendo agitare più del dovuto e questo non fa bene né a te, né a nostro figlio!» le urlò contro, indicando, con un cenno del capo, quello che Rey ancora si ostinava a nascondere sotto l'ampia casacca.

La giovane jedi lo guardò con aria stravolta e poi, chinando la testa annuì, come se si fosse smarrita e Ben le avesse mostrato di nuovo la via. Il pupazzo scivolò a terra e posò entrambe le mani sul ventre, che aveva appena iniziato ad arrotondarsi.

«Hai ragione... il bambino è agitato. Lo è da quando faccio quello strano sogno. Non so che cosa mi stia succedendo, o cosa voglia dire. Ma ho bisogno di risposte. Credevo di poterle trovare quaggiù. Evidentemente mi sbagliavo.»

Ben le si avvicinò addolcendo lo sguardo, dimostrandosi più comprensivo e lei si gettò contro il suo petto ampio lasciandosi stringere dalle sue braccia forti. Gli fu infinitamente grata di essere lì, in quel momento critico. Era l'unica persona che voleva accanto e che avrebbe voluto al suo fianco per sempre.

«Cosa c'entra il bambino con tutta questa storia?» Le chiese preoccupato, posandole una mano sulla pancia, nella speranza di riuscire a placare l'inquietudine del piccolo che continuava a dimenarsi.

«Da qualche tempo sogno una donna... si avvicina, si china verso di me e mi sorride, il suo viso è sporco di grasso e lubrificante, come quello di ogni mercante di rottami... ed è così giovane. Non ho idea di chi sia... Mi guarda con i suoi occhi chiari e tristi e sembra che stia soffrendo. Non è arrabbiata con me, non vuole farmi del male. Mi porge soltanto uno strano fiore e non smette di fissarmi come se volesse dirmi qualcosa.»

Ben sospirò spazientito. «E allora? Cosa c'entra tutto questo con Jakku? Qual è il collegamento?»

«Ho già visto quel fiore, lo conosco. Credo che cresca non lontano da qui... ma per quanto mi sforzi, non riesco a ricordarne il nome.»

Ben scosse la testa contrariato. «Tutto questo è semplicemente assurdo. Stiamo rischiando la pelle per un sogno che potrebbe non voler dire nul...»

All'improvviso un rumore sordo alle loro spalle, attirò in modo inquietante l'attenzione di entrambi, facendoli sussultare. Ben spinse Rey dietro di sé, con l'intento di proteggerla e si avvicinò cauto, al punto dove aveva sentito lo schianto. Rovistò tra il ciarpame e ne tirò fuori un malandato casco della resistenza. Probabilmente il movimento d'aria che aveva generato, sfondando la parete, lo aveva fatto scivolare dall'appiglio a cui era agganciato.

Se lo rigirò interessato tra le mani, fino a quando non scorse la curiosa scritta in Aurebesh incisa su un lato. Alzò gli occhi verso Rey e la guardò con piglio interrogativo, pretendendo spiegazioni. «C'è scritto Ræh... »

L'ex scava rifiuti annuì, stringendosi nelle spalle. All'improvviso si sentiva spaesata, aveva freddo, nonostante le temperature fossero ancora proibitive, ed evitò cauta i suoi occhi scuri, di fronte ai quali era impossibile mentire.

«Da dove arriva questo affare?» Il tono di Ben invece si stava facendo più aggressivo e non ammetteva esitazioni.

«Dall'X-wing del comandante Dosmit Ræh... è da lì che ho recuperato molte cose» gli spiegò con sincerità, consapevole delle conseguenze.

«Ræh ha una vaga somiglianza con Rey» insinuò lui, senza mezzi termini, cercando in modo spasmodico il suo sguardo, per avere la conferma che quel suo terribile sospetto avesse un minimo di fondamento. «Anzi, si può dire che la pronuncia sia molto simile» insistette, deciso ad arrivare fino in fondo a quella spiacevole faccenda. Ma l'unica cosa che riuscì ad ottenere fu di vedere la sua compagna chiudersi ancora più in se stessa, incrociare le braccia per proteggersi il grembo e piegarsi, per andarsi a sedere su una cassa sgangherata.

A Ben invece si gelò il sangue. «Rey non è il tuo nome, vero? Anche questo è solo un'invenzione.»

Rey chiuse gli occhi, serrò la mascella, ma nonostante sentisse la tensione salire ai massimi livelli tra loro, evitò di ribattere.

«Rispondi!» Il tono di Ben era diventato minaccioso e la fece sussultare, quasi spaventare, ma si ostinò a rimanere in silenzio.

A quell'ennesimo rifiuto, Ben si alterò visibilmente. «Cosa ti hanno fatto di così terribile i tuoi genitori da spingerti a rifiutare persino il tuo nome? Perché ti ostini a nascondere a te stessa la verità? Di cosa hai paura ancora? È per questo assurdo motivo che siamo venuti fin qui e stai mettendo in pericolo nostro figlio?» urlò scaraventando il casco contro una parete e mandandolo in frantumi.

Rey non si mosse da dove era seduta, si rese conto che quello che Ben aveva detto era la pura verità e non aveva più la forza di reagire, sollevò il viso stravolto, mentre le lacrime sgorgavano copiose dai suoi occhi lucidi e ambrati. «Non lo ricordo il mio vero nome...» gli confessò in un sussurro, poi prese a tremare e singhiozzare.

Ben rimase in piedi ad osservarla ansimando, rendendosi conto di aver pesantemente esagerato; per quanto si sforzasse di comprendere quella situazione, non riusciva ad accettare che Rey, o in qualunque altro modo si chiamasse, non riuscisse a lasciarsi alle spalle quel dannato pianeta, e soprattutto il suo doloroso passato.

I suoi genitori l'avevano venduta come un oggetto, lo aveva visto limpido e chiaro, e ancora più chiaramente li aveva visti morti in una fossa comune nel deserto di Jakku, come feccia criminale. Il trauma di quell'abbandono le aveva fatto addirittura dimenticare il suo vero nome. Perché si ostinava a rimanere attaccata a quei ricordi, inutili e dolorosi, cosa sperava di trovare, cosa credeva di dimostrare? Perché continuava ad averne bisogno?

Si riavvicinò titubante, già pentito per la sua reazione esagerata, e le si inginocchiò di fronte per riuscire a catturare meglio i suoi occhi. Sentiva l'inquietudine della loro creatura, amplificata dal precario stato emotivo di Rey. Le posò entrambe le mani sulle spalle e cercò di tranquillizzarla, prima che la situazione degenerasse. «Scusami, non volevo che finisse in questo modo. Andiamo via. Non c'è niente qui per noi, abbiamo altro a cui pensare, adesso.» Le sue dita scivolarono lungo il collo esile della ragazza, raggiunsero il suo viso e lo accarezzarono.

Le guance di Rey erano rigate di lacrime. Era confusa, agitata, il cuore le batteva a mille, ma tentò ugualmente di dargli una spiegazione. «I miei genitori mi hanno lasciata qui per un motivo, lo sento, ne sono sicura. Hanno cercato di proteggermi. Non so da chi, o da cosa... ma io devo scoprirlo, non voglio ricordarli solo come dei vigliacchi che hanno venduto la loro unica figlia per farsi una bevuta. Mi serve ancora un po' di tempo... Nostro figlio non corre alcun pericolo, te lo assicuro. Non voltarmi le spalle proprio adesso.»

Per la prima volta Ben provò un'intensa sensazione di paura per il bambino che Rey portava in grembo e che rappresentava quel futuro di pace ed equilibrio per cui avevano tanto combattuto e che si stava lentamente concretizzando. Se avesse rischiato di perderlo solo per assecondare una sua fissazione, sarebbe impazzito di dolore, e non l'avrebbe mai perdonata.

Le aveva concesso un'occasione, che si era rivelata infruttuosa, ora la sua pazienza era giunta al limite. Si alzò e la fissò preoccupato. «Adesso torniamo al Falcon, lì staremo al sicuro, tra poco sarà buio e farà parecchio freddo là fuori. Poi decideremo cosa fare.»

Rey annuì e tirò su col naso. Aveva il viso sporco di lacrime e polvere, e d'un tratto, sembrava una bambina spaesata, bisognosa di protezione. La mano di Ben scivolò attorno alla sua schiena, mentre l'altra le passò sotto le gambe che ancora tremavano. Si lasciò sollevare dalle sue braccia forti. Si accucciò contro il suo petto caldo, desiderosa di chiudere gli occhi e lasciarsi andare. Era stanca, moriva di fame, aveva sete e un disperato bisogno di dormire.



Continua...




________________


Note:


* Attrezzatura presa in prestito dal gioco Battlefront.

** Teedos: specie di rettile senziente originario del pianeta Jakku. Hanno una pelle squamosa grigio verde. I loro corpi sono ricoperti da involucri in cui è presente un sistema di tubi e filtri per il riciclaggio dell'acqua.

*** Luggabest: bestie da soma che venivano potenziate ciberneticamente per una maggiore resistenza.

**** In realtà questo episodio non è altro che una scena tagliata da Il risveglio della Forza.

***** Le lampade del villaggio di Tuanul non sono una mia invenzione ma si vedono chiaramente nell'immagine della Rey's Home nel libro Star Wars: Complete Location.



Angolo autrice:

Lo so, ho una long ancora in corso (Gli Eredi della Forza) che mi sta facendo penare non poco, e mi presento con una storia che non c'entra un fico secco con la trama dell'altra. Ammetto che, con tutti i leak e i mezzi spoiler (veri o presunti tali) che stanno via via uscendo su ep.9 la mia ispirazione sta colando a picco abbastanza velocemente. Recentemente Boyega ha annunciato che ep. 9 sarà cronologicamente ambientato circa un anno dopo gli eventi di Crait, questo mi solleva un po' il morale, visto che la mia long in corso è ambientata anch'essa circa un anno dopo... Immagini ufficiali della spada di Rey hanno confermato che il Kyber è spezzato a metà e anche questo mi giunge a favore... ammetto che cercare di far combaciare tutti i vari pezzi del puzzle non è semplice e soprattutto, basta un piccolo particolare per far saltare tutta la trama. Tutta questa lunga premessa per dire che... avevo bisogno di una pausa e di scrivere qualcosa di leggero e tranquillo su di loro, in un momento lontano da guerre e trilogie, qualcosa che avverrà molto dopo ep.9 e che mi ronzava nella testa già da un pezzo.

Chi sono veramente i genitori di Rey? Molti hanno già dato la loro fantasiosa interpretazione e pure io vorrei dire la mia, anche se nel prossimo film dubito che verrà riaperta la questione, a meno che non sia qualcosa di realmente sorprendente. La mia idea, un po' si riallaccia alla visione di Rey nella cantina di Maz Kanata, quindi non vi resta che leggere la seconda ed ultima parte, che verrà pubblicata a breve, per svelare finalmente l'arcano!

Besos!

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Capitolo 2
*** Parte Seconda ***



RITORNO SU JAKKU


* * *


SECONDA PARTE



Rey aprì gli occhi e si rese conto di essere sdraiata sulla sabbia a pochi metri dalla pedana abbassata del Falcon. La testa poggiava sulla parte più morbida dello zaino di Ben e sulle spalle aveva adagiata la sua giacca.

Il sole era calato all'orizzonte, ma il cielo non era ancora completamente buio, si intravvedevano le prime luci delle stelle ed era già sorta la prima delle due lune di Jakku. Il vento notturno aveva raffreddato velocemente l'aria infuocata del deserto e la temperatura era calata drasticamente.

C'era silenzio, pace, tranquillità.

Ma la quiete in cui era immersa durò poco.

«Accidenti a te, maledetto mostriciattolo!» Ben imprecò ad alta voce dando una sferzata ai suoi sensi annebbiati.

Rey si sollevò per guardarsi intorno e lo vide dimenarsi come un forsennato con qualcosa di verdastro appollaiato sulle spalle: invano cercava di divincolarsi dalla presa ferrea che lo attanagliava al collo.

Con una rapida occhiata individuò la sua fidata asta, la richiamò a sé con la Forza, poi concentrò tutte le sue energie per alzarsi e andare in suo soccorso. Roteò il bastone e colpì l'aggressore sulla testa, nonostante fosse protetto da una blanda armatura.

Il piccoletto gettò un urlo, lasciò la presa attorno al collo di Ben e cadde all'indietro, imprecando nella sua strana lingua.

Rey riconobbe subito una sua vecchia conoscenza e replicò a tono. «Tiqual, Teedo!» lo rimproverò, piantando il bastone nella sabbia e puntando i pugni ai fianchi.

«Di'kut talama. Chakaar*.» L'alieno provò a ribattere, tentando di rimettersi in piedi, ma un bagliore lucente e inaspettato lo bloccò, provocandogli un violento fremito di terrore, era la lunga lama di una spada laser impugnata dalla mano salda di Ben.

Rey non aveva mai visto un Teedo così spaventato, pur conoscendo l'indole impavida della sua razza.

«Ta-talama jetii...» farfugliò il piccolo rettile, cercando di allontanare il muso dalla punta incandescente, strisciando all'indietro sui gomiti.

«Noma jetii!» Rey cercò di rassicurarlo con scarsi risultati.

«Jurkadir jetii!» Urlò invece il piccolo Teedo terrorizzato, prima di rigirarsi, rotolando nella sabbia e fuggire via nella direzione di una duna, sulla quale si intravvedeva un annoiato Luggabest ad attenderlo.

Ben spense la spada e si appese l'elsa alla cintura con aria soddisfatta. «Credo proprio che non rivederemo quel fastidioso ladruncolo per un bel pezzo.»

Rey non era del suo stesso parere. «Che cosa credevi di fare? Volevi ucciderlo?» Gli si rivolse severa. «I Teedos si limitano a cercare rottami da scambiare, non sono violenti, a meno che non vengano provocati.»

Ben si voltò verso di lei indignato: era per caso sotto accusa? «Stai insinuando che sia stato io a provocarlo? Mi è piombato alle spalle mentre digitavo il codice di apertura della pedana e ha cercato di strozzarmi. Doveva essersi appostato sopra il Falcon già da un pezzo, quel piccolo bastardo. Credi ancora che siano innocui?»

Rey non diede troppo peso alle sue giustificazioni, si stiracchiò e poi si massaggiò la schiena dolorante. «Non credo ce l'avesse con te... ma di certo non si aspettava la tua presenza» ipotizzò, grattandosi la testa scarmigliata, poi si abbandonò ad uno sbadiglio non troppo elegante. I suoi tempi di recupero, dopo una dormita, si stavano allungando, «è più probabile che si volesse vendicare di me. Tempo fa gli impedii di smontare BB-8 per i pezzi.»

Ben sgranò gli occhi incredulo. «Tra tutti i Teedos che potevamo incontrare nelle sterminate lande desertiche di Jakku, siamo incappati proprio in quello a cui hai pestato i piedi anni fa? È solo una coincidenza o siamo stati mostruosamente sfortunati?» Non sapeva se scoppiare a ridere o precipitarsi alla cabina di guida del Falcon e levare le ancore il prima possibile, quel pianeta cominciava a stargli decisamente troppo stretto.

La calma di Rey smorzò i suoi bollori. «Certo che no. I Teedos hanno un sistema di comunicazione molto particolare**, c'è una specie di telepatia tra loro, sono in grado di trasmettersi ricordi, esperienze... debiti maturati da altri Teedos. E tu, adesso, hai appena mostrato ad uno di loro, che c'è un jedi che se ne va in giro indisturbato sul loro pianeta a comportarsi come un idiota che vuole tagliargli la testa. Una mossa davvero astuta...»

Ben reagì con sarcasmo. «Chi sarebbe l'idiota jedi?» Finse di provocarla con un'adorabile smorfia contrariata.

A Rey scappò una risata, sapeva quanto Ben odiava essere definito un jedi, lui era un pilota, un contrabbandiere e una canaglia, come suo padre prima di lui. Non poté fare a meno di stampargli un bacio sulle labbra carnose, leggermente screpolate dal sole. «Credimi, uno come te, da solo su Jakku, non arriverebbe vivo al tramonto» lo redarguì con tenerezza.

Ben aggrottò le sopracciglia contrariato, accettò il bacio ma con riserva. «Al diavolo i Teedos e i loro rancori generazionali, ce ne andiamo immediatamente da questo inferno; ne ho abbastanza di sabbia, antichi cimeli della resistenza, e avidi mercanti di rottami!»

A quell'imperativo Rey protestò vivacemente. «Restiamo ancora un po', ti prego, almeno per questa notte. Domattina partiremo e non farò storie, te lo prometto.»

Ben negò perentorio con ogni fibra del suo corpo, la prese per le spalle e la scosse per assicurarsi che comprendesse bene quello che stava per dire. «Non appena metteremo piede sul Falcon decolleremo. Non voglio più avere nulla a che fare con le stranezze di questo dannato pianeta.» Il suo tono era severo e non ammetteva obiezioni.

Rey si rabbuiò divincolandosi dalla sua presa. «Ti assicuro che non c'è pericolo, ma mi serve ancora un po' di tempo. Ho bisogno di sapere...»

Raramente si era ritrovata a supplicare, ma Ben si dimostrò irremovibile: se alla ex scava rifiuti aveva dato alla testa il sole cocente di Jakku, ci avrebbe pensato lui a farla rinsavire.


* * *


Il comandante Solo aveva cantato vittoria troppo presto: una volta raggiunta la hall principale BB-8, rammaricato, comunicò loro che non era riuscito a completare la procedura di diagnostica e a ricalibrare gli scambiatori di calore.

Risultato: il Falcon non era in grado di decollare.

L'occhiata truce che rivolse al piccolo droide, fu sufficiente a terrorizzarlo: BB-8 rotolò via e si andò a nasconde dietro una pila di casse.

Ben sospirò scoraggiato, sotto lo sguardo stanco, ma trionfante, di Rey che subito si dileguò all'interno di uno dei corridoi tondeggianti.

Rimasto solo, non poté fare altro che rimuginare su quella situazione. Come aveva fatto ad essere così stupido da dimenticare una delle regole fondamentali di quando erano nemici? La scava rifiuti pestifera riusciva sempre ad ottenere quello che voleva, anche per vie traverse e poco ortodosse. Non era da escludere che si fosse accordata col droide per rallentare o addirittura sabotare le riparazioni.

In quel momento era esausto, sia fisicamente che mentalmente, e troppo nervoso per protestare e prendersi sulle spalle anche quella bega. Suo malgrado, fu costretto a rimandare la partenza di qualche ora.

BB-8 si affacciò titubante dalla pila di casse per controllare la situazione, ma non appena incrociò il suo sguardo furente si ritrasse di nuovo spaventato, rotolando verso la stiva.

Avrebbe sfogato volentieri la rabbia prendendo a calci quell'inutile palla metallica fino all'avamposto di Niima, e avrebbe goduto un mondo nel vederla smontare pezzo pezzo da Unkar Plutt.

Purtroppo sarebbe rimasta una sua perversa fantasia: la signorina nessuno non glielo avrebbe mai perdonato.


*


Rey era nervosa e inquieta. Anche se era riuscita ad ottenere qualche ora di permanenza su Jakku, non aveva idea di come risolvere quella situazione di stallo. Aveva sperato che visitare il suo vecchio rifugio le avrebbe aperto la mente e svelato qualche dettaglio in più sul suo passato, invece era servito solo a farle ricordare che persino il suo nome era frutto di un'invenzione, un'identità fittizia che si era costruita addosso per sopportare la solitudine, per sentirsi parte di qualcosa che, in realtà, non esisteva.

L'unico risultato che era riuscita ad ottenere era l'ennesima lite con Ben. Non che fosse così difficile rimediare un'accesa discussione con lui, era praticamente la prassi, da quando avevano iniziato a scorrazzare indisturbati per la galassia. Il comportamento del suo compagno era sempre stato eccessivamente ossessivo e non privo di fissazioni, ma da quando aveva scoperto che sarebbe diventato padre, tutti i suoi difetti si erano elevati all'ennesima potenza; i pochi pregi invece erano sminuiti da un atteggiamento fin troppo protettivo nei suoi confronti, che a volte sfiorava addirittura la persecuzione.

Ben era irritante e adorabile allo stesso tempo, lo amava da morire, ma l'idea di prenderlo a ceffoni, ogni tanto, si risvegliava in lei con prepotenza.

In quel momento non aveva alcuna intenzione di sopportare anche le sue paranoie. Era sfinita, sudata e appiccicaticcia, desiderava ardentemente darsi almeno una ripulita, e rifocillarsi a dovere. Dopo, forse, avrebbe pensato a riallacciare rapporti diplomatici con lui.

Entrò nel bagno privato dell'alloggio del comandante e si liberò senza pudore dei suoi indumenti di lana intrisi di sabbia e sudore, lasciandoli a terra, poi si infilò nella stretta doccia. L'acqua calda che scorreva lungo le sue membra tese, non ebbe il potere di sciogliere la sua inquietudine, né di tranquillizzarla sul suo sogno ricorrente. Si massaggiò le braccia e le gambe doloranti per lo sforzo di quella lunga giornata, e si accarezzò l'addome, che mostrava appena il suo stato. Chiuse gli occhi e cercò di rilassarsi e percepire il suo bambino: era tranquillo, aveva smesso di agitarsi e stava dormendo.

Nonostante i timori, più che fondati, di Ben, era sicura che il piccolo non corresse alcun pericolo. Oltre ad avvertire ogni suo singolo movimento, sapeva anche di cosa avesse bisogno.

Anche Ben riusciva a percepire le prime manifestazioni emotive di suo figlio, e di questo ne era felice. A volte, solo la sua vicinanza riusciva a calmarlo, come se quel piccolo essere, che non aveva ancora alcuna percezione della realtà esterna, riuscisse a riconoscere il tocco di suo padre e avesse instaurato un legame anche con lui.

Non sapeva come spiegarlo, ma da quando era incinta i suoi sensi si erano notevolmente acuiti, risvegliandole il bisogno di saperne di più sul suo passato su Jakku e, soprattutto, sull'abbandono dei suoi genitori.

Forse il piccolo Solo fungeva da amplificatore dei suoi sentimenti e desideri. Oppure erano semplicemente i suoi ormoni impazziti ad averle provocato un intenso scombussolamento interno, una specie di vuoto emotivo che doveva assolutamente colmare.

Era sicura che la gravidanza, in qualche modo, c'entrava qualcosa. Non era stata un incidente di percorso, una leggerezza, o peggio, un'incoscienza. La piccola vita che stava crescendo dentro di lei, era stata fortemente voluta da entrambi. Era il loro punto di incontro, il loro equilibrio così a lungo cercato. Ma soprattutto, per Ben rappresentava una svolta nella sua vita travagliata: il desiderio di guardare avanti e chiudere per sempre con la sofferenza del suo passato.

Alla fine della guerra, Rey lo aveva ritrovato in uno stato pietoso: era fermamente convinto che, per il bene della galassia, la stirpe degli Skywalker doveva estinguersi con lui. L'essersi abbandonato ai sentimenti che provava per la sua amata/odiata scava rifiuti, gli aveva fatto compiere l'ultimo passo verso l'accettazione di se stesso, gli aveva dato una speranza concreta di riscatto. Da quell'impensabile traguardo raggiunto, erano partiti per costruirsi un avvenire insieme; sapevano che non sarebbe stato un cammino facile, né privo di ostacoli, ma lentamente ci stavano riuscendo.

Chiuse l'acqua della doccia e si fermò a riflettere a capo chino: concepire una nuova vita, per loro, non era stato solo un atto d'amore, era stato soprattutto il frutto di una promessa reciproca, e lei aveva tutta l'intenzione di mantenerla.


*


Nella hall principale Ben era inquieto almeno quanto Rey: da quando avevano rimesso piede sul Falcon, la signorina nessuno, non gli aveva più rivolto la parola. Si era chiusa in un un mutismo di ripicca e non accennava segni di resa.

Che fosse orgogliosa, testarda e ostinata, lo sapeva bene, lo aveva sperimentato in abbondanza a sue spese, ai tempi della guerra. Quegli stupidi giochetti lo mandavano in bestia, ma in quel frangente si rendeva conto di avere le mani legate. Non voleva discutere per l'ennesima volta e rischiare di farla innervosire.

Anche se era convinto di essere dalla parte della ragione, decise di fare un passo indietro, ingoiare il rospo e raggiungerla nella loro cabina, in cui si era rintanata, dopo avergli lanciato uno sguardo assassino. Era desideroso di rompere quel silenzio angosciante che lo stava devastando; avevano sprecato troppo tempo in liti, incomprensioni e minacce di morte, in passato, ora non riusciva nemmeno a sopportare l'idea che Rey gli serbasse rancore, anche per dei motivi futili o delle sciocchezze.

Premette il pulsante di attivazione del portello e si sentì sollevato nel constatare che la cabina non era chiusa dall'interno.

Lo scrosciare dell'acqua lo avvisò che Rey si stava lavando. Attese pazientemente, seduto sul letto, che uscisse dalla doccia, nella speranza di riprendere il discorso e potersi riavvicinare. Ma quando la vide uscire, avvolta da un semplice asciugamano, col viso e i capelli bagnati e l'espressione severa, capì che la questione era più seria del previsto.

La giovane jedi gli concesse una fredda occhiata fuggevole e poi si limitò ad ignorarlo.

Ben rimase a guardarla mentre si asciugava velocemente e non poté fare a meno di ammirarla. Non era mai stata così bella: le forme sinuose, che andavano arrotondandosi, e il seno lievemente più pieno, avevano il potere di risvegliargli brutalmente il desiderio, ma cercò di soffocarlo. La vide infilarsi la casacca chiara di lino, lunga fino al ginocchio, che usava spesso per dormire, in religioso silenzio, sperando invano in un suo cenno.

Ingoiò a vuoto e si obbligò a tenere a bada il crescente senso di frustrazione. Non avevano ottenuto nulla dalla visita al rifugio, ma percepiva chiaramente l'inquietudine di Rey: la questione sul suo nome e sulla sua famiglia, non era affatto risolta, anzi si era addirittura complicata.

Evitò di provocarla perché non voleva innervosirla. Un assurdo senso di prurito poi, gli si stava diffondendo in tutto il corpo, distogliendolo da tutti quei pensieri che non facevano altro che incupirlo ancora di più.

Si tolse uno stivale, lo sollevò, facendo scivolare tutta la sabbia che vi si era infilata, sul pavimento, e sospirò. Ci avrebbe pensato BB-8 a ripulire tutto, a lavare e sistemare anche i loro vestiti. Sarebbe stata una degna punizione per l'impiccio che aveva causato.

Non aveva mai provato una gran simpatia per il piccolo astro-meccanico; quando Rey aveva deciso di lasciare tutto e unirsi a lui, quel piccolo droide aveva insistito per seguirla, col benestare del suo ex padrone, Poe Dameron.

«Ci penserai tu a tenerli d'occhio, non è vero vecchio amico?» Aveva ironizzato quel pallone gonfiato di un pilota da strapazzo. Suo malgrado, era stato costretto a tenere la bocca chiusa ed accettare. Nella sua posizione non poteva permettersi di fare il difficile o, peggio, protestare. Desiderava soltanto iniziare una nuova vita accanto a Rey. Tutto il resto non aveva più importanza.

«Detesto la sabbia» si ritrovò a imprecare ad alta voce e a denti stretti, sentendosi fastidiosamente appiccicaticcio. Solo quando sentì il rumore del portello della cabina chiudersi bruscamente, si rese conto che quelle parole avevano fatto incattivire ancora di più la sua compagna che piuttosto che rivolgergli la parola o rispondergli a tono, aveva preferito tornare alla hall principale più combattiva che mai.

Gettò lo stivale a terra e si tolse anche l'altro: aveva decisamente bisogno di una doccia gelata.



* * *


Prepararono la cena senza scambiarsi nemmeno una parola e cenarono in silenzio seduti, come di consueto, attorno all'holotavolo, fra le poltroncine tondeggianti.

Rey era a disagio: sentiva gli occhi di Ben addosso, mentre lei non faceva altro che evitare il suo sguardo e riempirsi la pancia. Da quando riuscire a procurarsi scarse razioni di cibo, non era più la sua unica ragione di vita, si era ripromessa di non lasciare mai nulla nel piatto.

Nonostante Ben avesse abbondato con le porzioni, preparando le sue pietanze preferite, si obbligò a non farsi ammorbidire.

Lo detestava quando si comportava ancora inconsciamente da despota e ogni essere vivente che gli orbitava intorno doveva sottostare ai suoi comandi perentori senza fiatare. Non erano più in guerra, non erano mai stati comandante e sottoposto e, soprattutto, non erano più nemici. Anzi, presto sarebbero diventati entrambi responsabili, a pari merito, della vita di un nuovo essere umano; era giunto il momento che imparasse ad abbassare la cresta e ad essere più accondiscendente. Il fatto poi, che avesse ammesso apertamente di odiare la sabbia, lo rendeva meritevole di una morte atroce sotto immani sofferenze.


Durerà ancora per molto questo silenzio ostinato?

Le parole di Ben le risuonarono nella testa, vivide ed improvvise, e questo la fece sussultare, costringendola a sollevare lo sguardo. A volte si dimenticava che potevano comunicare anche telepaticamente, ma da quando stavano insieme, raramente ne avevano sentito la necessità.

Il tono di Ben non era aggressivo o minaccioso, era semplicemente preoccupato per la piega che stava prendendo quella faccenda tra loro. La consapevolezza che ci fosse ancora qualcosa che poteva dividerli lo spaventava. E spaventava anche lei.


Qualcuno ti ha mai detto che metti più paura mentre mangi che con una spada laser in mano?

A quelle parole Rey non poté fare a meno di scoppiare a ridere, con la bocca piena, sputando cibo dappertutto e Ben si coprì il volto con le mani, fingendosi schifato.

Quando finalmente riuscì a darsi un contegno e a ritrovare un minimo di dignità, si sforzò di essere comprensiva, o forse, il suo particolare stato, che la portava a passare dalla rabbia ad un'assurda euforia, in un nano secondo, le giunse misericordiosamente in aiuto. Si alzò, gli si avvicinò, camminando sul pavimento gelido a piedi nudi e si fermò davanti a lui.

Lo sguardo di Ben mostrava di nuovo quella lieve sfumatura malinconica che aveva perso, da quando stavano insieme, ed era qualcosa di straziante. Gli scompigliò i capelli arruffati e ancora leggermente umidi, gli prese il viso tra le mai e, infine, gli sorrise benevola.

Ben invece la strinse a sé con prepotenza, posando la guancia sul suo ventre, sentendosi finalmente sollevato. Rey avvertiva chiaramente quanto fosse dispiaciuto, ma sapeva anche che non aveva tutti i torti nel voler difendere allo stremo ciò che amava.

«Non mi importa quale sia il tuo vero nome. Per me sei Rey. Lo sei stata dal primo istante in cui le nostre menti sono entrate in contatto... e lo sarai per sempre.» Glielo disse piano, con la sua voce profonda e calda, con l'intenzione di ribadirle che si era innamorato di lei per quello che gli aveva dimostrato di essere, in barba alle sue origini insignificanti.

Rey sorrise di nuovo e si sentì lusingata, l'egoismo di Ben, a volte così ostinato ed infantile, aveva sempre il potere di intenerirla. «Ma è importante per me...» gli confessò, corrugando la fronte, nella speranza che comprendesse anche il suo punto di vista.

Si staccò da lui a malincuore, accarezzandogli la guancia sfregiata e imboccò la galleria, tornandosene in cabina. Si sentiva insolitamente stanca: braccia e gambe le pesavano più del solito, aveva solo bisogno di sdraiarsi.

Forse un sonno ristoratore e la tranquillità della notte di Jakku le avrebbero aperto la mente. O forse sarebbe rimasta con le sue risposte insolute per tutto il resto della vita; in ogni caso il mattino dopo sarebbero ripartiti.

Ben la lasciò andare senza protestare, anche se vederla così inquieta e combattuta gli provocava un dolore fisico. Aveva fatto il possibile per venirle incontro, ora non aveva la più pallida idea di come aiutarla.

Era nervoso e non aveva sonno, provava solo un gran bisogno di sfogare l'energia negativa che aveva accumulato nelle ultime ore; e sarebbe stato meglio, per il bene di tutti, se l'avesse convogliata in qualcosa di utile. Si diresse verso la postazione computerizzata e diede il via alla procedura di diagnostica: era giunto il momento di ricalibrare quei dannati scambiatori di calore.

* * *


Il sonno di Rey era agitato, continuava a rigirarsi nella cuccetta senza riuscire a trovare pace. Anche se nel Falcon il clima era termoregolato, lei aveva freddo. Si avvolse nella grande e calda coperta che i lanai*** di Ahch-To avevano tessuto apposta per lei, e che le avevano donato prima che lasciasse l'isola. Se la strinse addosso nella speranza vana di scaldarsi.

C'era qualcosa che la disturbava: un gemito, un lamento lontano, e poi voci confuse, sussurri che confabulavano, parole che lei non riusciva a comprendere.

Una figura più chiara iniziò a prendere forma nel grigiore. Lentamente si avvicinava, diventando più nitida.

Rey la riconobbe subito, era sempre quella giovane donna che aveva preso a frequentare incessantemente i suoi sogni. Si chinava su di lei, come se fosse ancora una bambina, e la guardava, con quei suoi grandi occhi chiari e tristi. Il suo viso era grazioso, i lineamenti delicati: era solo una giovane mercante di rottami, come ce n'erano a centinaia su Jakku, eppure aveva qualcosa di vagamente familiare che le suscitava tenerezza, compassione.

La giovane donna si sforzò di sorriderle, come a volerla tranquillizzare, anche se a Rey dava l'impressione di essere fortemente in pena, poi sollevò una mano in cui teneva stretto un fiore dalla forma insolita e strana, che emanava un profumo intenso e selvaggio. Lo stelo era lungo, con poche foglie verdastre, mentre delle piccole campanule, raccolte in fitti grappoli erano di un colore vivace, che variava dal rosso, al marrone, al giallo ocra. Non era bellissimo, non era aggraziato, era particolare e curioso e, soprattutto, aveva l'aria di essere molto resistente.

Conosceva quel fiore, su Jakku ne aveva visti sbocciare parecchi, durante la stagione meno arida. Ne era germogliato uno, spontaneamente, persino dentro il suo AT-AT.

La donna glielo porse asciugandosi, con la manica lurida della giacca, le lacrime che le rigavano il viso sporco di grasso e, per la prima volta, le parlò.

Keziah...

Rey sussultò nel sonno, come se fosse stata punta da qualcosa. Il nome di quel fiore la stordì, le fece l'effetto inaspettato di una chiave in grado di far scattare il lucchetto di uno scrigno prezioso, rimasto chiuso per troppo tempo.

In un istante la sua mente, per molti anni intrappolata in una sorta di auto protezione, si aprì, e finalmente, tutti i suoi ricordi riemersero dall'oscurità in cui li aveva nascosti.

Si svegliò di soprassalto e urlò.

«Mamma!»



* * *


Quando Ben rientrò nella cabina, per concedersi qualche ora di risposo, trovò il letto sfatto ma vuoto. Si guardò intorno preoccupato: Rey non c'era. Non era nemmeno nel piccolo bagno che suo padre aveva ricavato dal lussuoso ( ma inutile ) guardaroba dello zio Lando.

Espanse i suoi sensi e non la trovò nemmeno all'interno del Falcon. Quella consapevolezza gli fece gelare il sangue nelle vene: era riuscita a svignarsela senza farsi sentire.

Cercò di non cedere al panico e alla rabbia che già gli stavano crescendo dentro, in maniera esponenziale. Quella testona incosciente aveva lasciato la nave per andare chissà dove, in cerca delle sue dannate risposte, ed era uscita nel freddo della notte vestita solo con quella sua camicia leggera. Nella migliore delle ipotesi si sarebbe congelata.

Si augurò che fosse ritornata al suo AT-AT, lì almeno avrebbe avuto un riparo. Giurò a se stesso che, non appena l'avesse ritrovata, l'avrebbe tenuta incatenata alla poltrona del copilota almeno fino a quando il sistema di Jakku non si sarebbe trovato dall'altro capo della galassia.

Agguantò la pesante coperta di lana, abbandonata sul letto e si precipitò fuori dal Falcon.

Si morse il labbro inferiore a sangue, scrutando il paesaggio scuro circostante. Il cielo era ancora nero e trapuntato di stelle, ma una sottile linea lucente, all'orizzonte, indicava che l'alba ormai non era lontana.

I suoi sensi parevano impazziti, si sentiva spaesato, non aveva idea di quale direzione Rey avesse preso, la sabbia non aveva il potere di conservare le impronte. Alla rabbia per essere stato raggirato, cominciò a sommarsi la paura che potesse esserle accaduto qualcosa e, per un soffio, credette di non riuscire a resistere all'oscurità che, con prepotenza, avanzava dentro di sé, premendo per inghiottirlo. Era sempre lì, in agguato e pronta a divorarlo, faceva parte del suo essere, anche se per anni era riuscito a bilanciarla.

Si fermò e si obbligò a respirare lentamente; opporsi al lato oscuro era difficile e doloroso, ma non impossibile.

Subito sentì un piacevole senso di calore scorrergli lungo il corpo, l'energia del lato chiaro lo avvolgeva e lo penetrava, imponendogli di tranquillizzarsi e di riflettere. Aveva il potere di riprendere in mano la situazione e di non farsi sopraffare dalle sue debolezze. Aveva il legame con Rey che, come una luce inesauribile, lo avrebbe guidato verso di lei.

Chiuse gli occhi e si affidò al suo istinto, cercò il calore che Rey emanava, l'aura luminosa che si sprigionava dal suo corpo, tentò di rintracciare la scia dei suoi pensieri e delle sue emozioni e, finalmente, riuscì a percepirla.

«Rey!» la chiamò, riaprendo gli occhi. Nelle sue grandi iridi nere si rifletteva la luce delle stelle.

«Ben...» La sentì rispondere chiaramente.

Il suo cuore sussultò di gioia. Non era andata troppo lontano, la direzione che aveva preso, era diametralmente opposta a quella in cui si trovava la carcassa del camminatore, era stata fortemente attratta da qualcosa, e non gli sarebbe stato difficile raggiungerla.

Superò un'alta collina e corse giù per il pendio affondando affannosamente nella sabbia, il paesaggio che aveva intorno era incolore e monotono, c'era solo un'interminabile susseguirsi di dune, in qualsiasi direzione, eppure Rey era lì vicino, la sentiva, riusciva a percepire il suo odore delicato, insieme ad un altro profumo più intenso, del tutto sconosciuto e selvatico.

Si avventurò su di un'altra duna, ancora più alta e, quando giunse sulla sommità, credette di vivere in un sogno: ai piedi di quell'immensa collina di sabbia si stendeva una suggestiva vallata, in parte ricoperta di fiori, i cui lunghi steli ondeggiavano lenti alla brezza notturna. Inginocchiata al centro della distesa individuò Rey. Non avrebbe mai creduto che, nel bel mezzo di un deserto, potesse nascere qualcosa di così meraviglioso.

Scese lungo il crinale col cuore in gola, si avvicinò titubante, timoroso della possibile reazione di Rey. La giovane jedi gli dava la schiena e il suo viso era rivolto verso la linea ondulata dell'orizzonte che si andava lentamente schiarendo.

Le posò la calda coperta di lana sulle spalle.

Lei sussultò appena, poi se la strinse addosso emettendo un gemito di piacere, godendo del tepore che riusciva ad infonderle.

Ben le girò intorno e le si inginocchiò davanti, sperando in una spiegazione a quel gesto così incomprensibile. Inaspettatamente, la vide serena. Era sollevata e felice di rivederlo, come se lo stesse aspettando impaziente.

«Hai ricordato tutto» constatò fiducioso, ancora ansimante per la corsa. Il desiderio di rimproverarla, per quell'incoscienza, ormai si era assopito.

Rey annuì, aveva gli occhi gonfi, arrossati e ancora umidi di lacrime.

«Erano così giovani...» iniziò titubante, con la voce rotta dall'emozione e lo sguardo perso nel vuoto, «ed ingenui. Lo erano troppo per vivere in un mondo spietato, in cui puoi sopravvivere solo se sei scaltro, avido ed egoista. Eppure si amavano...» Si fermò un istante per prendere fiato e poi continuò. «È buffo come l'amore possa farti sentire invincibile, e ti renda capace di fare qualunque cosa, anche se non hai niente e non sei nessuno.» Dopo quello che era accaduto tra lei e Ben, finalmente riusciva a comprenderlo.

«Erano solo degli insignificanti mercanti di rottami, ma per me rappresentavano tutto. Vivevamo a Reestkii un piccolo insediamento non lontano dall'avamposto di Niima.

Quando andavano a procurarsi i pezzi da scambiare, erano costretti a lasciarmi da sola, nella nostra umile tenda, ma loro sapevano che non mi sarei mai allontanata, come io sapevo che loro sarebbero sempre tornati. C'era una specie di patto solenne tra noi.

A volte venivano a farci visita i seguaci della Chiesa della Forza, del villaggio di Tuanul. Spesso ci aiutavano, portandoci del cibo e dei regali. A quel tempo non sapevo perché lo facessero.

Un giorno mia madre confidò ad uno di loro, il più anziano, che temeva che io avessi qualcosa di diverso, di speciale. Mi aveva visto fare cose strane, incomprensibili e ne aveva avuto paura. Riuscivo a sentire l'angoscia e la preoccupazione che provava per me, ma non sapevo come fare per placarle.

Quell'uomo sembrò capire perfettamente e cercò di tranquillizzarla, ma le rispose che doveva portarmi al più presto via da Jakku e cercare qualcuno che potesse guidare i miei passi. Oggi so che, quel qualcuno, a cui si stava riferendo era Luke.

I miei genitori non avevano nulla, tanto meno una nave o del denaro per abbandonare il pianeta, ma da quel momento iniziarono a pensare seriamente ad un modo per lasciare Jakku.

Un giorno si presentò alla nostra tenda un forestiero che non avevo mai visto, lui e i miei genitori si misero in disparte a parlare, ma io riuscii ugualmente a sentire di nascosto. Propose loro una specie di affare, dovevano aiutarlo a rubare un mercantile per iniziare un commercio segreto di pezzi più costosi e ricercati. Per loro sarebbe stata una svolta, non avrebbero dovuto più sporcarsi le mani tra i rifiuti e soffrire la calura per delle misere porzioni di cibo, dovevano soltanto trasportare la merce e consegnarla non lontano dal pianeta. Presto avrebbero avuto abbastanza crediti per lasciare per sempre il sistema.

Avevo solo sei anni a quel tempo e fu allora che tutto iniziò a precipitare: mia madre mi spiegò che ci dovevamo separare... non sarebbe stato per sempre, dovevo solo essere paziente perché, molto presto, tutto sarebbe cambiato, sarebbero tornati a prendermi e avremmo potuto lasciare insieme Jakku. E non avremmo mai più sofferto la fame.

Nonostante mi sentissi spaesata e spaventata, sapevo che potevo fidarmi di loro e che sarebbero tornati. Loro tornavano sempre.

Mi portarono a Niima e mi cedettero ad Unkar Plutt: era una pratica molto comune a quel tempo e non avrebbe suscitato sospetti, nessuno avrebbe fatto domande, o si sarebbe indignato. La povertà spingeva a fare cose di gran lunga più orribili che vendere una bambina per procurarsi cibo o acqua. Io li capivo. Non potevano portarmi con loro, era troppo rischioso e quello era l'unico modo per proteggermi e assicurarmi del cibo.

Qualcosa però andò storto, o forse furono traditi. Riuscirono a requisire la nave e a fare il primo trasporto, ma Zuvio, il capo della Milizia di Niima, si mise sulle loro tracce e li catturò, riportandoli indietro.

Su Jakku il furto di astronavi e il trasporto illegale vengono puniti in un solo modo: con la morte. Dell'uomo che li aveva ingaggiati non se ne seppe più niente. Sparì nel nulla, così come era venuto. I miei genitori invece vennero giustiziati, insieme ad altri criminali e sepolti in una fossa comune... la scena che hai visto anche tu.»

Dopo quel lungo racconto Rey abbassò il capo esausta, ma soddisfatta. Parlarne e sfogarsi le aveva fatto bene. Era stato come disfarsi di un peso tremendo ed ora si sentiva più leggera e finalmente libera.

Ben la fissò con dispiacere, ma era anche sollevato: era sicuro che quello che aveva visto, toccandole la mano, era accaduto davvero. Non le aveva mai mentito, non aveva mai avuto l'intenzione di circuirla o ingannarla. Aveva solo cercato di guidarla verso una verità, che purtroppo, lei conosceva troppo bene, anche se si rifiutava di accettarla.

«Credo che da quel momento la Forza ti abbia protetta» le disse, prendendo le sue mani gelate che sbucavano dalla coperta e cercando di scaldarle.

Lei apprezzò il suo gesto ed annuì. «Dentro di me sapevo quello che era successo. Sapevo che non sarebbero tornati mai più, ed è stato solo grazie alla Forza se sono riuscita a non farmi sopraffare dal dolore. La realtà che mi sono costruita attorno, il lavoro con Unkar Plutt, mi hanno aiutata a sopravvivere, e mi hanno completamente isolata dal resto della galassia. Ma quando ho toccato la spada di Luke, quel qualcosa, che dentro di me c'era sempre stato, si è risvegliato....»

«Mi dispiace...» le sussurrò fissandola serio. Rey corrugò la fronte senza capire.

«Per cosa?»

«Un tempo ti dissi che i tuoi ti avevano gettato via come spazzatura. E lo feci con l'intenzione di farti del male. Invece...»

«Invece?» Rey sembrava dovesse estorcergli quelle parole con le pinze.

«In un certo senso... hanno perso le loro vite, per proteggerti. Se fossero riusciti a portarti via da Jakku e a trovare Luke... probabilmente ora saresti morta. Avrei ucciso anche te, quella notte, in cui ho dato fuoco al tempio.» Ben glielo confessò con rabbia e un profondo senso di vergogna. Sapeva perfettamente che ne sarebbe stato capace e che, a quel tempo, non avrebbe avuto nessun rimpianto.

Rey sorrise accarezzandogli la guancia sfregiata. «Chi può dirlo? Magari ti avrei seguito...»

Ben scosse il capo contrariato. «In quel caso non ci sarebbe stato equilibrio e adesso non saremmo qui, inginocchiati in una suggestiva distesa di fiori, nel bel mezzo del deserto a fissarci come due stupidi invece di...»

«Invece di?»

«Baciarci...» le confessò un po' frustrato, il contatto fisico con il suo corpo gli era tremendamente mancato da quando tutta quella faccenda aveva avuto inizio. Desiderava solo stringerla di nuovo, perdersi nel suo calore, fare d nuovo l'amore con lei.

Rey lo guardò dritto negli occhi, il volto di Ben era pericolosamente vicino al suo. Le loro labbra erano bramose di incontrarsi, ma qualcosa ancora la tratteneva. Nello sguardo intenso di Ben poteva leggere mille parole, desiderio, passione, avrebbe potuto fissare i suoi occhi per sempre.

Poi lui ruppe quell'istante lungo un'eternità, e lei chiuse le palpebre lasciando che fossero i suoi sensi a guidarla. Sentì le labbra morbide di Ben contro le sue, si lasciò cullare da q1uella sensazione di leggerezza, interrotta solo dal tocco della sua lingua e dalle sue mani calde che le sfioravano il viso.

Affondò le dita tra i suoi capelli scuri per attirarlo a sé e per non lasciarlo andare via. Fu solo un attimo, uno scontro avido e famelico tra le loro lingue, un momento, la cui intensità sperò che non finisse mai.

Si separarono a malincuore, solo per riprendere fiato, promettendosi mentalmente di riprendere da dove avevano interrotto, una volta tornati sul Falcon.

«Cosa ti ha spinto a ricordare?» Ben si dimostrò inaspettatamente curioso, non riusciva a capire perché fosse stata fortemente attratta da quella strana distesa di fiori.

Rey si sciolse dal suo abbraccio e si guardò intorno sorridente, il suo sguardo si posò fiero e sereno sui fiori che li circondavano. Poi accarezzò uno di essi, lo colse e glielo porse.

«È una Keziah****. Il fiore più forte del deserto di Jakku; ha una bellezza semplice e non è aggraziato. Il suo profumo non è affatto delicato, ma è intenso e selvatico. Però è resistente, tenace, tanto da riuscire a sbocciare e crescere al centro del nulla.»

«Un po' come te...» constatò Ben, dimostrandole di aver capito a cosa si stesse riferendo; tra loro non avrebbero mai più potuto esserci segreti o incomprensioni.

Rey annuì. «Keziah, è il mio vero nome... » Gli confidò, mentre i primi raggi del sole iniziavano a schiarire il buio del cielo e ad illuminare i loro visi rasserenati.

Ben la fissò serio negli occhi ambrati che parevano brillare nell'intensa luce dell'alba di Jakku. «Per me sarai sempre Rey...» le ribadì, perentorio e caparbio.

La giovane jedi non poté fare a meno di scuotere il capo rassegnata. «Beh... è comunque un bel nome, è particolare e anche di buon auspicio. Potremmo darlo a lei...» gli propose sorridendo sorniona.

A quella rivelazione inaspettata Ben rimase interdetto. «Lei?» ripeté sollevando un sopracciglio.

Rey annuì, aprendo i lembi della coperta e abbassando lo sguardo sul ventre leggermente rigonfio. «Nostra figlia. Mi dispiace. Sei deluso?» si finse preoccupata.

Ben alzò gli occhi al cielo e poi sorrise. «Mettiamola così: spero vivamente che, il nome, sia l'unica cosa stramba che erediterà da te» la provocò, abbracciandola più forte, poi chiuse gli occhi e tentò in tutti i modi di trattenere le lacrime. «Andiamo su Naboo» le disse, parlando piano, stringendola come se fosse il bene più prezioso che avesse mai avuto. «Aspetteremo il suo arrivo lì, sul pianeta natale di mia nonna. È un posto meraviglioso e tranquillo. Prendiamoci una pausa da tutto e, per una volta, pensiamo solo a noi» le propose, ricordando con nostalgia quelle poche volte in cui ci era stato da bambino e ne era rimasto incantato. Naboo era il luogo dei pochi ricordi sereni che aveva della sua infanzia.

Rey sorrise tra le sue braccia ed annuì. «Attento a te, comandante Ben Solo. Stai diventando un po' troppo sentimentale per i miei gusti» acconsentì. Non le importava dove sarebbe nata la loro bambina, l'avrebbe data alla luce anche tra le fiamme infernali di Mustafar, se avesse avuto accanto il suo Ben.


*

Mano nella mano tornarono al Falcon quando il sole aveva superato di poco la linea dell'orizzonte e l'aria si era già fatta rovente. Non appena il mercantile divenne visibile, dall'alto di una duna, Ben imprecò malamente. «Dannazione!»

«Che succede?» Rey si voltò verso di lui sconcertata, e adesso che diavolo gli era preso?

«Avrei dovuto immaginare che quel disgustoso mostriciattolo se la fosse legata al dito.»

La giovane jedi continuava a non seguirlo, poi guardò meglio e si accorse che effettivamente, al Falcon, mancava qualcosa.

«Quel piccolo delinquente ci ha rubato la parabola intergalattica!» Ben sbraitò inferocito confermando la sua impressione.

Rey alzò le sopracciglia stupita. «Beh... ha trovato il modo di vendicare l'onore dei Teedos e di racimolare qualcosa da scambiare. Ha tutta la mia ammirazione!» si trovò ad dover ammettere sogghignando.

Dopotutto il ritorno su Jakku si era rivelato proficuo, aveva finalmente fatto luce sulla parte più oscura del suo passato, aveva ritrovato il suo vero nome ed aveva rafforzato ancora di più il suo legame con Ben. Gli effetti collaterali non erano stati poi così disastrosi.

Lui invece pareva deluso e scoraggiato, doveva trovare il modo di risollevare il suo umore o il viaggio di ritorno sarebbe stato un vero e proprio incubo.

«Che hai intenzione di fare?» gli chiese, genuinamente curiosa.

«E hai il coraggio di chiedermelo? Sorvolerò con il Falcon l'Avamposto di Niima e raderò al suolo quel covo malefico di mercanti di rottami, una volta per tutte!» Sentenziò inferocito.

Rey si rese conto di dover correre subito ai ripari. «Ho un'idea migliore: prima di fermarci su Naboo, e di goderci la nostra meritata vacanza... potremmo fare un salto su Lotho Minor*****. È una vera e propria miniera d'oro per i mercanti di rottami. Ci sono intere distese di relitti da saccheggiare, ci si potrebbe addirittura costruire un intero mercantile con i resti delle altre astronavi abbandonate. Scommetto che, con un po' di fortuna, potremo trovare un'antenna intergalattica persino migliore di quella.»

Ben sbatté le palpebre un paio di volte fissandola tra l'incredulo e lo sbigottito, poi non poté fare a meno di scoppiare a ridere di gusto. L'entusiasmo con cui Rey aveva paragonato una lurida discarica, come Lotho Minor, ad una specie di paradiso terrestre, gli aveva fatto tornare il buon umore, e non sapeva se considerare la cosa miracolosa, o spaventosa, allo stesso tempo.

La sua adorabile compagna rimaneva sempre l'impertinente e grezza scava rifiuti che aveva conosciuto su Takodana, e niente e nessuno avrebbe potuto mutare la sua natura selvaggia e indomita. Ma era questo che più amava di lei.

Nonostante tutto tentò di dissuaderla. «Sei impazzita? Sarà pieno di Jawas, agguerriti e armati fino ai denti, laggiù» le fece notare, per tentare di scoraggiarla, anche se sapeva che sarebbe stato fiato sprecato.

«Non farla così tragica. I Jawas sono creature presuntuose ma stupide. Me li saprò lavorare e non ci daranno fastidio.» Fu l'ovvia risposta. «Penso che Naboo possa aspettare e l'Avamposto di Niima... credo che stia bene dove sta» ragionò, con gli occhi che le brillavano per l'eccitazione. Solo dopo averlo supplicato con lo sguardo da cerbiatta, per diversi istanti, però, riuscì a strappargli un «D'accordo...» biascicato a bocca storta.

A quel punto Rey gli saltò letteralmente addosso, divorandolo di baci.


*


Ben scosse la testa rassegnato mentre digitava il codice di sblocco del portello di ingresso del Falcon. Non poteva credere di essersi fatto abbindolare di nuovo. Dopo aver acconsentito allo sbarco su Jakku si era ripromesso di non farle più decidere una rotta di navigazione, nemmeno se si fosse trattato di una questione di vita o di morte.

Invece Rey era riuscita ad incastrarlo di nuovo, ma questa volta non aveva tutti i torti, su Lotho Minor avrebbero assemblato la miglior parabola per le comunicazioni intergalattiche, che quel vecchio catorcio avesse mai avuto. E, chissà, magari avrebbero anche potuto potenziare il sistema di occultamento binario, se avessero trovato un nuovo refrigeratore, che non necessitasse di essere rattoppato costantemente con del nastro isolante.

La pedana si abbassò permettendo loro di entrare e poi si chiuse lentamente alle loro spalle, sigillando l'atmosfera interna.


«Ben...?»

«Che c'è, ancora?» Sbuffò esasperato.

La giovane jedi fece finta di non averlo visto strabuzzare gli occhi al cielo, per l'ennesima volta, in quella giornata.

«Non azzardarti mai più a dire che detesti la sabbia!»



F I N E



______________


Note:

* Per questo rudimentale linguaggio chiamato Teedospeak mi sono rifatta un po' al mandaloriano ^ ^'

** I Teedos non facevano distinzioni tra individui e ogni membro della specie era semplicemente chiamato Teedo. Avevano sperimentato una forma sconosciuta di connessione telepatica tra individui e un Teedo era noto per ricordare eventi accaduti ad altri Teedo. Fonte Wookieepedia.

*** I lanai di Ahch-To, sono creature diventate canon nell'ultimo capitolo del romanzo di Jason Fry, Gli ultimi Jedi. Ovviamente io ho immaginato che dopo la fine della guerra Rey e Ben vi abbiano fatto ritorno, seppure per un breve periodo.

**** Keziah (pronunciato Kisia) è davvero un nome femminile di origine ebraica e deriva da “cassia”, nome di una famiglia di arbusti che cresce in India e in Egitto. Ovviamente il fiore a cui si riferisce Rey è quello che lei stessa ha trovato nel suo AT-AT e che vediamo, per una breve inquadratura, in TFA.

***** Lotho Minor, pianeta dell'Orlo Esterno, Settore Watza, ricoperto di rottami e rifiuti provenienti da altri mondi. Abitato da esseri simili ai Jawas. Compare nella serie The Clone Wars, Fonte Wookieepedia


Angolo dell'autrice:

Eccoci giunti al tanto sospirato finale. Riuscirà il nostro EROE Ben Solo a tenere la sua irrequieta compagna, (per di più incinta) lontano dai guai? Ne dubito fortemente. E dubito anche che vedremo il Falcon atterrare su Naboo tanto presto ^ ^'

Qualcosa mi dice che la piccola Keziah avrà un'esistenza parecchio movimentata accanto ai due scalmanati genitori. XD

Fateme sognà fino a quando non arriverà la mannaia implacabile di Abrams ad affettare tutte le mie speranze reylose.

Grazie a chi ha avuto la costanza di seguimi, intrufolandosi con me, in questo piccolo momento intimo della storia tra Ben e Rey, lontano da guerre e schieramenti.

Besitos!

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