Dream

di Kano_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Suonando sotto la pioggia ***
Capitolo 3: *** 2. Incubi ***
Capitolo 4: *** 3. Reset ***
Capitolo 5: *** 4. Di corsa ***
Capitolo 6: *** 5. Visite ***
Capitolo 7: *** 6. Contatto ***
Capitolo 8: *** 7. Urgenza ***
Capitolo 9: *** 8. Verità ***
Capitolo 10: *** 9. Jericho ***
Capitolo 11: *** 10. Resistenza ***
Capitolo 12: *** 11.Desideri ***
Capitolo 13: *** 12. Battaglia ***
Capitolo 14: *** 13. Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


prologo

Prologo


Mi chiamo Seren Andrews.
Ho 30 anni e vi sto per raccontare di come la mia vita sia cambiata completamente.... ancora una volta.

Vi faccio un breve riassunto: insegno musica in un conservatorio, a Detroit. Ogni venerdì, quando le mie lezioni finiscono, alle cinque del pomeriggio esco e vado fino al vicino Chandler Park. Al centro esatto del giardino c’è un piccolo pianoforte verticale, sotto ad un padiglione in legno bianco.
Ora voi mi direte: “Insegni pianoforte tutto il giorno e quando finisci di lavorare vai a suonarlo sotto ad un vecchio gazebo rovinato dal tempo!?”
Sì, perché quello è il mio momento di assoluta libertà. In quei tre quarti d’ora mi dedico alla musica, senza dover badare che la mia esigua classe non riesca a seguirmi. Non ho spartiti davanti, non ho metrature da seguire. Siamo io e la mia voglia di suonare.
Ho anche un discreto pubblico. Per lo più è gente anziana, ma il fatto che si riunisca lì per ascoltarmi a me basta e avanza, mi sembra di rendere liberi anche loro in qualche modo.
Ma anche io ho una domanda da farvi.
Voi, siete mai stati liberi? Intendo per davvero.
Avendo la palpabile certezza di star facendo esattamente quello che volete fare, nel momento in cui volete farlo? E vi è mai successo che quel senso di libertà vi fosse strappato via brutalmente? Beh, questo è esattamente ciò che mi è accaduto quel tardo pomeriggio del 15 luglio 2038.

Come ogni volta mi ero recata al parco. Avevo salutato cordialmente i miei ascoltatori, mi ero seduta sul piccolo sgabello e avevo iniziato a suonare l’unica canzone che io abbia mai composto. Non avevo mai sbagliato una nota di quella canzone, né la mia libertà era mai terminata... fino a quel giorno.
Mentre attaccavo la parte centrale, quella più ricca, più coinvolgente, alzai gli occhi.
Le dita semplicemente mi scivolarono dai tasti, mentre le mie spalle si irrigidivano e il cuore cacciava un urlo. Il piano stridette e poi tacque, mentre un lieve brusio si propagava dai miei ascoltatori senza che però io ci badassi.
Fissavo quella figura, quel fantasma apparso dal nulla e continuai a farlo, mentre incespicando mi precipitavo giù dal palchetto.
Quando fui più vicina, e quindi la situazione mi fu più chiara, la rabbia prese il posto dello shock. La figura, che in un primo tempo avevo scambiato per un fantasma, era in realtà un androide. Sulla giacca gli brillava fioco il nome del modello: “RK800”.
Non lo avevo mai sentito prima d’ora, ma questo non migliorò di certo il mio stato d’animo, anzi, semmai lo peggiorò.

- Mi dispiace di averla interrotta Miss Andrews – esordì quello cordialmente.

Aveva una voce pacata, che grattava leggermente in fondo alla gola.

- Chi diavolo sei? - gli abbaiai contro.
- Mi chiamo Connor, sono l’androide mandato dalla Cyberlife – si presentò, mentre il led circolare che aveva sulla tempia lampeggiava quieto.
- La Cyberlife… - mormorai in preda ad un’incredulità alla quale il cyborg replicò educatamente con un sorriso appena accennato.

Connor aveva i capelli scuri e gli occhi di un caldo color castano. La fronte, con qualche ruga ad incresparla, era interrotta da un ciuffo ribelle che gli ricadeva morbidamente sulla pelle chiara. Indossava un completo con cravatta ordinatamente annodata, smorzato da un paio di jeans e scarpe comode. Il logo della Cyberlife spiccava luminoso sul petto della giacca, a far ben intendere la sua provenienza.
In realtà non era niente di nuovo per me… ma era qualcosa che pensavo di aver seppellito ormai da tempo.  

- Mi scuso davvero di averla disturbata, ma dovrei farle alcune domande -

Connor si interruppe subito non appena alzai la mano facendogli cenno di tacere.

- No.. - replicai secca, tirando fuori il cellulare dalla tasca e componendo un numero.

L’androide corrugò la fronte perplesso dal mio gesto, ma rimase rispettosamente in silenzio mentre prendevo la linea.

- Che cazzo è questa storia? - sibilai al microfono – Risparmia le cerimonie e i finti perbenismi… vi divertite a farmi questo? - replicai guardando per una frazione di secondo Connor in viso – Dopo tutti questi anni… Dio… no! Non mi interessa, c’entra sempre… sempre! - proseguii sentendo la gola stringersi dolorosamente – State fuori dalla mia vita! - gridai al telefono chiudendo al contempo la chiamata.

Avevo il respiro spezzato e la testa che girava, come se avessi corso per chilometri.

- Miss Andrews, sta bene? -

Al solo sentirmi sfiorare dalle dita dell’androide mi ritrassi, puntandogli addosso un paio di occhi spiritati.
Connor mi guardò sorpreso e il suo led lampeggiò di giallo.

- Io… -

Più guardavo il suo viso e più il mio malessere aumentava. Mi pareva di vivere un incubo.. di nuovo lo stesso incubo

- Stai lontano da me… stai solo lontano da me – mormorai, prima di voltarmi e fuggire via.

Così è cominciata la mia storia, fuggendo da un androide che mi ricordava fin troppo bene il mio passato.





Jericho's place:

Salve a tutti e benvenuti in "Dream"!
Avete avuto una piccola infarinatura di ciò che sarà e di quali saranno i suoi protagonisti ^^ Spero di avervi messo addosso abbastanza curiosità da voler provare a leggere il resto!
Sarà una storia breve, che si concluderà, credo, con una cinquantina di pagine in tutto. I capitoli saranno corti, vi avverto già da subito!
Purtroppo una volta avevo più tempo da dedicare alla scrittura, adesso molto meno ^^" Per questo stesso motivo non so dirvi con quale cadenza posterò i capitoli, ma non lascerò la storia incompiuta, di questo potete stare tranquilli.
Ho preso Detroit il giorno dell'uscita e me ne sono innamorata! Così come mi sono innamorata del personaggio, un pò controverso, di Connor. Da lì la storia ha preso piede da sè nella mia testa.
Il titolo riprende una canzone degli Imagine Dragons, se volete qui di seguito trovate il link per ascoltarla: Dream - by Imagine Dragons
Vi ringrazio fin da ora per il tempo che mi avete dedicato nel leggere questo prologo!

A presto!
Marta

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Capitolo 2
*** 1. Suonando sotto la pioggia ***


1.

1. Suonando sotto la pioggia


Se speravo di liberarmi di Connor con solo quella criptica frase lanciatagli durante il nostro primo incontro, mi sbagliavo di grosso.
Silenzioso e quasi invisibile, per le successive due settimane, l'androide si palesò ogni volta che mi recavo al Chandler park per suonare. Stava sempre in disparte, solitamente di fianco al tronco di un grosso larice che adornava il giardino. Mi sforzavo di non guardare mai direttamente nella sua direzione se non di sottecchi.
Il suo sguardo invece era sempre puntato su di me, ma più che appostato per tendermi un’altra imboscata, dava l’impressione di ascoltare attentamente la musica... avrei quasi detto che fosse assorto nel cercare di capire qualcosa di me attraverso di essa.
Quando finivo di suonare e mi allontanavo dal parco, lui sembrava semplicemente scomparire. Arrivai a chiedermi se non fosse una qualche strana tecnica per farmi assuefare alla sua presenza, per poi piombarmi di nuovo addosso con tutte le domande che non era riuscito a pormi. Mio malgrado devo dire che, se era il loro piano, fu efficace…

Il 29 luglio 2038, come al solito ero seduta davanti al piano, facendo scivolare le dita sui tasti e avvertendo l’elettricità raccogliersi nel cielo sopra di me. Il temporale scoppiò all’improvviso su Detroit, rovesciando sui pochi rimasti tutto quello che aveva accumulato nelle ultime ore di preparazione.
Con un sospiro lasciai la mia postazione, afferrando lo zainetto di cuoio ormai consunto e l’ombrello che provvidenzialmente mi ero portata dietro. Nonostante quella mattina splendesse il sole avevo deciso di prenderlo lo stesso, a differenza dei molti avventori del parco che adesso stavano scappando alla ricerca di un riparo.
Ho sempre pensato di avere una specie di superpotere, perchè riuscivo a fiutare la pioggia anche quando neppure il meteo la segnalava.
Respirai quindi l'aria carica dell'odore di legno umido e di terra, e aprii
l’ombrello, lasciando il riparo del patio. La pioggia scrosciò violenta sulla tela impermeabile, riempiendomi le orecchie con il suo ticchettio convulso. Era un rumore che una volta amavo e che adesso mi lasciava sempre con un vago senso di turbamento.
Scossi impercettibilmente la testa per scacciare i ricordi e mi misi in marcia... salvo fermarmi appena pochi passi dopo.
Non so se mi voltai perché mi sentivo osservata, o se per altri motivi... fatto sta che lo feci.
Istantaneamente incontrai gli occhi di Connor; non si era mosso di un millimetro da dove si era posizionato venti minuti prima, quando avevo raggiunto il parco.

L’acqua gli rimbalzava addosso, rendendo lucida la sua pelle sintetica e infradiciandogli gli abiti altrimenti impeccabili. Mi fissava attraverso il velo della pioggia battente, senza accennare a volersi muovere; sembrava una visione fuori dal tempo.
Quella vista mi diede una scossa, e per una frazione di secondo smisi di pensare a lui come ad un androide, finendo per fare qualcosa che avrebbe segnato la mia vita da lì in avanti... avanzai verso di lui.
L’espressione dell’androide virò dallo stupore alla preoccupazione, mentre le sopracciglia castane si sollevavano a formare un arco interrogativo sulla fronte.
Arrestai la mia avanzata solo quando l’ombrello non incluse anche lui sotto la sua protezione.

- Ma perché voi androidi non vi portate mai un ombrello dietro? - esordii, fissando le goccioline raccogliersi sul suo mento.
- La pioggia non mi infastidisce – replicò Connor semplicemente.
- Beh, a me infastidisce vederti qui sotto la pioggia come un cane abbandonato – risposi io.
- Mi spiace -
- Non hai la minima intenzione di lasciarmi stare, vero? - sospirai, mentre il vento mi spingeva contro le gambe il tessuto leggero del vestito a fiori che indossavo.
- Ho bisogno di farle alcune domande – disse lui con accondiscendenza.

Restai a fissarlo per qualche secondo, notando la sfumatura color miele dei suoi occhi scuri.

- Vieni con me – affermai a quel punto.
- Con lei? - ripetè confuso Connor.
- Con me. - precisai - Sono stanca, voglio tornare a casa – replicai voltandomi – e preferisco averti vicino piuttosto che nascosto da qualche parte a pedinarmi – spiegai mentre lui si adattava al mio passo sotto l’ombrello.

Ci immettemmo nel traffico pedonale di Detroit, con la pioggia che continuava a scendere, anche se un po' più lieve di prima.
Nessuno dei due parlò per un bel pezzo, finché Connor non ruppe il silenzio sotto la nostra piccola cupola.

- Miss Andrews, posso farle una domanda? - disse con tono titubante – Non riguarda la mia indagine – si affrettò ad aggiungere notando probabilmente i miei occhi dardeggianti.
- Sì, ma smettila di darmi del lei – risposi spostando il mio sguardo nuovamente sul marciapiede zuppo.
- Il mio protocollo dice che non sarebbe educato – ribattè cordialmente lui.
- Certo, il protocollo... - sbuffai io.
- Mi domandavo se quell’aria che suona così spesso fosse stata scritta da lei – chiese.
- Sì, l’ho composta io diversi anni fa – risposi un po' confusa da quella strana domanda.
- Ne è certa? - insistè lui.
- Stai dicendo che sto spacciando per mia la canzone di un altro? - ribattei, inarcando le sopracciglia con fare minaccioso.
- No! - replicò subito – E’ che… -

Connor si interruppe a inizio frase e io mi voltai a guardarlo. La fronte era aggrottata e il suo led lampeggiava di giallo.

- Cosa? - lo incalzai io.
- Mi sembra di averla già sentita prima, tutto qui – ammise alla fine – Probabilmente deve essere un errore di caricamento nella mia memoria e… tutto bene? -

Ritrovandosi improvvisamente sotto la pioggerellina, Connor si voltò verso di me, che impalata mi ero fermata a fissarlo.
Poteva essere che…? Scossi la testa e chiusi l’ombrello ormai inutile sotto al cielo che si stava rischiarando.

- Ti è piaciuta? - domandai all’androide.
- Non penso di essere in grado di darle un parere, non nel senso che intende lei – affermò Connor dopo averci riflettuto per un attimo.
- Coraggio, siamo quasi arrivati – dissi con un sospiro, rimettendomi in marcia.
- Poteva prendere un taxi, sarebbe arrivata molto prima – osservò Connor dopo un attimo, mentre entravo nel quartiere di casette a schiera dove abitavo.
- Non amo prendere i mezzi pubblici.. in realtà non amo nessun mezzo che non possa controllare con le mie gambe... – replicai adombrandomi – Comunque siamo arrivati -

Imboccai il vialetto di accesso della mia piccola proprietà, una casetta su due piani dai colori tenui.

- Connor? - con le chiavi in mano mi voltai, notando che l'androide si era fermato appena prima dei gradini del portico – Che fai? Non entri? -
- Entrare? - mi domandò nuovamente preso in contropiede.
- Devi farmi delle domande no? Anche se non penso di avere le risposte che cerchi – replicai con una scrollata di spalle.
- Pensavo mi odiasse – ribattè perplesso.
- Connor...- sospirai – Non ti odio e non odio gli androidi, se è questo che pensi.. la mia reazione è stata dettata da un altro motivo – spiegai.
- E posso sapere quale? - domandò lui piegando appena la testa di lato.
- Inizia a darmi del tu e forse prima o poi te lo dirò – risposi con un mezzo sorriso.




Jericho's Place:

Buondì!

Ho approfittato dei giorni di ferie che mi rimanevano per mettere giù un altro capitolo, della serie "chi ha tempo non aspetti tempo" ^^"
Innanzitutto vorrei ringraziarvi per quanto favorevolmente il prologo sia stato accolto! Ho visto che siete stati in molti a leggerlo e questo mi ha fatto un enorme piacere ^^
Seren ha dato il via agli eventi che la porteranno fino alla ribellione dei devianti... però cosa volete farci? Connor sotto la pioggia è troppo tenero! xD
Chissà cosa sarà successo a Seren in passato.. e come mai Connor ha una vaga memoria del suo brano per pianoforte? Mistero!!
La grafica di Detroit è talmente accurata che provo appagamento solo nel guardare come viene resa la pioggia sugli abiti e sulla pelle! Era da un pò che non trovavo un gioco così ben dettagliato!
Nello scorso capitolo temo di essermi dimenticata di fare un appunto. Come sapete Dream è inserita nelle "missing moments" e questo contrasta abbastanza con il fatto che la storia inizi il 15 luglio 2038. Ecco, i primi capitoli saranno ambientati prima degli eventi che danno il via alla trama del gioco, ovvero il 15 agosto 2038. Chiedo scusa se non l'ho specificato subito!
A tal proposito ringrazio Molang per avermelo fatto notare, oltre al fatto di essere stata la prima a lasciare una recensione ^^
Mille grazie anche a Echelon_Potterhead e a Yujo per aver inserito la fic tra le preferite/ricordate/seguite!!

A risentirci al prossimo capitolo!!

Marta

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Capitolo 3
*** 2. Incubi ***


2

2. Incubi

15 agosto 2038

Mentre le mie dita danzavano sui tasti bianchi e neri del pianoforte a coda che avevo nella sala, lo sguardo mi scivolò verso la finestra leggermente aperta.
La pioggia batteva incessante, rendendo opaca la sottile zanzariera che avevo piazzato per cercare di arginare il fastidioso problema delle zanzare. Erano ormai due giorni che non smetteva di diluviare e oggi sembrava essere arrivato il gran finale, corredato da tuoni, lampi e un forte vento.
A dar riprova di ciò, le ultime note che suonai vennero accompagnate da un potente bagliore e da un boato che scosse lievemente perfino i vetri.

- Hai mancato un paio di note -

I miei occhi si spostarono su Connor, seduto sulla poltrona di pelle color crema, che mi fissava da sopra un libro di Agatha Christie che gli avevo imprestato.

- La pioggia mi ha distratto – risposi io.
- Stai ancora cercando di perfezionarla? - domandò riferendosi al mio pezzo.
- Nonostante gli anni passati a suonarla, mi sembra ancora che ci sia qualcosa che non va – borbottai mordendomi l’unghia del pollice.

La presenza di Connor in casa mia, dopo la prima volta che lo invitai ad entrare, era diventata una consuetudine. Quando andavo al Chandler Park a suonare era sempre lì ad aspettarmi, e quando finivo, lui tornava a casa con me. Oggi a causa del tempo, avevo dovuto disdire il solito appuntamento all’aperto e lui si era semplicemente presentato a casa mia. Non gli avevo mai domandato perché continuasse a venire da me, visto che ormai mi aveva chiesto quello che doveva chiedermi. Forse avevo paura della sua risposta...

- Dovresti provare ad invertire lo schema delle battute centrali – mi disse.
- Ma davvero? - replicai inarcando le sopracciglia.
- Vuoi che ti faccia sentire? - si propose l’androide non cogliendo per nulla la mia ironia.

Connor poteva sembrare saccente, ma in realtà non lo faceva per nulla in malafede. Era così e basta.

- Accomodati – lo invitai io trattenendo un sorriso.

L’androide si alzò, venendo a sedersi al mio fianco.
Prese a suonare il pianoforte come se non avesse fatto altro nella vita, e per un attimo capii l’astio che alcuni di noi provavano verso di loro. Sapevano fare tutto e senza il minimo sforzo, a me invece ci erano voluti anni per imparare e non ero ancora perfetta.
Quando terminò l’esecuzione, mio malgrado, dovetti ammettere che aveva ragione.

- Riproviamo – gli dissi seria, sistemandomi meglio sulla seduta.
- Va bene – assentì lui, posando le mani al fianco delle mie già pronte sui tasti.

Connor mi venne dietro come se avessimo suonato a quattro mani da sempre, adattandosi senza sbavature alla mia cadenza. La musica era così potente che riuscì perfino a mascherare il rumore della pioggia scrosciante che c’era fuori.
Mentre andavamo su e giù lungo la scala musicale, le nostre spalle si sfiorarono a più riprese, facendomi quasi perdere la concentrazione.

- E' perfetta! Grazie Connor! – commentai quando terminammo il brano, voltandomi verso di lui.
- E’ la tua composizione ad essere perfetta, non è merito mio -

Quella sua affermazione mi prese in contro piede. Connor non sembrava per nulla turbato da ciò che aveva appena detto, limitandosi a fissarmi con un mezzo sorriso; era così vicino che potevo contargli ogni piccolo neo o lentiggine che gli solcava la pelle.
Chiusi le mani a pugno nel tentativo di reprimere il desiderio che mi attraversò la mente.

- Stai bene? - chiese l'androide preoccupato dalla mia assenza di risposte.
- Scusa, – mi ripresi io – sono solo stanca. Ho passato la nottata a preparare i test d’ingresso per l’inizio del semestre autunnale e ho dormito pochissimo – dissi, il che non era una bugia.
- Sarebbe meglio che andassi a riposare, troppo lavoro e poco riposo non fanno bene alla salute – mi avvertì lui con tono pratico.
- Credo che seguirò il tuo consiglio – assentii alzandomi – Tu se vuoi puoi rimanere ancora – aggiunsi.

Salii in camera mia con un lieve disappunto. Era vero che avevo bisogno di dormire, ma avevo cercato di resistere il più a lungo possibile. Il tempo che trascorrevo con Connor era piacevole, così tanto, che mi ero accorta di dispiacermi sempre di più quando lui se ne andava.
Accostai le imposte della stanza, sdraiandomi sul letto fresco; non avevo sentito chiudersi la porta d’ingresso, quindi Connor doveva essere ancora al piano di sotto...
Rassicurata da questo pensiero, chiusi gli occhi e mi addormentai nel giro di qualche istante.


Un senso di pesantezza alla testa e di intorpidimento mi riscosse poco dopo.
Le mie palpebre si aprirono su di un mondo alla rovescia. Ero a testa in giù e fissavo davanti a me un finestrino in pezzi. La mia mano sinistra lo attraversava, stesa sull’asfalto bagnato. La pioggia scrosciava implacabile, ticchettando sul mio palmo e stemperando il sangue che ricadeva in sottili rivoli lungo la pelle.

Seppi dove mi trovato e la paura mi invase.
All’improvviso, alle mie spalle iniziò a crescere un bagliore che, tremolante, rischiarò l’abitacolo.
Seppi cosa stava accadendo, ma non riuscivo a muovermi.

Sentivo il calore bruciarmi la schiena, ma non riuscivo a voltare la testa.
Avvertivo il dolore, ma non potevo gridare.
Non potevo fare niente…


- Seren!! Ren!! -

Riaprii gli occhi, questa volta in camera mia, e mi sollevai sui gomiti, sentendo il sudore corrermi lungo la colonna vertebrale.
Il fioco bagliore del led mi rivelò la presenza di Connor nella penombra vicino al letto. La pioggia continuava a scrosciare fuori... non dovevo essermi addormentata da più di venti minuti.

- Stavo per uscire quando ti ho sentita gridare – continuò.
- Scusami.. ho fatto un incubo – dissi, mettendomi a sedere e passandomi una mano sulla fronte umida.
- Ti succede spesso? - domandò Connor.
- Non ultimamente.. - risposi con voce stanca.

Ed era vero. L’ultima volta che avevo fatto quel sogno era stata molto tempo prima, ma nonostante questo, non mi ero mai dimenticata della paura che riusciva a suscitarmi.

- Ho capito – asserì l’androide facendo per voltarsi.

Mossa dall’istinto gli afferrai la mano.

- Aspetta! - esclamai, colta da un improvviso senso di panico.
- Scendo solo a prenderti un bicchiere d’acqua – mi rassicurò Connor accigliandosi.
- Sì, certo... scusa – balbettai io arrossendo nel buio.

Torturando l’orlo sfilacciato dei miei pantaloncini, ascoltai i passi di Connor scendere fino in cucina.
Era ironico se mi fermavo a pensare che parte del mio incubo stava camminando proprio in casa mia in quel preciso momento.
Distrattamente mi grattai il braccio sinistro… se solo Connor avesse saputo…

- Eccomi -

Alzai lo sguardo su di lui mentre mi porgeva un bicchiere dalla superficie imperlata di condensa. Con cautela lo presi e mandai giù un paio di sorsi, sentendomi subito meglio.

- Ti ringrazio – gli dissi appoggiando il bicchiere sul comodino – Senti... -
- Dimmi – mi incoraggiò lui, visto che avevo lasciato la frase in sospeso.
- Resteresti? -

Con un coraggio che non sapevo di avere gli feci quella domanda, alzando lo sguardo verso la sua figura che torreggiava sopra il letto.
Era leggermente voltato, quindi non riuscivo a vedergli bene il led, ma mi sembrò che ci fosse stato un leggero bagliore giallo, o forse me lo ero solo immaginato...
Stavo per dirgli di lasciare stare e scusarmi, quando la sua risposta arrivò.

- Va bene – disse semplicemente.

Non aggiunsi altro, ma mi rimisi sdraiata dandogli la schiena. Un istante dopo avvertii il materasso affondare leggermente sotto il peso dell’androide.
Restammo in silenzio, con la sola compagnia del ticchettio della pioggia sul tetto sopra di noi.

- Connor… perché continui a tornare qui? La Cyberlife vuole ancora qualcosa da me? - domandai, attingendo nuovamente a quel coraggio apparso tutto d’un tratto.
- No – rispose lui.
- Allora perché? - insistetti, dandomi quasi immediatamente della stupida.
- Non lo so… - disse Connor dopo un lungo momento di silenzio – Forse c’è qualcosa che non va anche in me... – affermò, e mi sembrò di sentire una nota di paura nella sua voce.
- Non c’è niente che non va in te… - mormorai facendo cadere di nuovo il silenzio.

Avvertivo il respiro di Connor in mezzo alla pioggia e il torpore del sonno riprese a farsi strada tra mille pensieri e mille dubbi.

- Connor.. - lo chiamai – c’è qualcosa che ti devo dire... - sussurrai ad occhi chiusi.
- Riposati, me lo dirai quando ti svegli – rispose l’androide alle mie spalle.

A quell'invito, mi feci leggermente più indietro, finché la mia schiena non trovò il suo fianco. Un soffuso calore si irradiò da quel punto di contatto, guidandomi verso un sonno tranquillo che venne interrotto solo un paio di ore più tardi.

- Seren! -

Questa volta sapevo già che era Connor a chiamarmi, quindi, un po' intontita, mi misi a sedere.

- Devo andare, ho ricevuto degli ordini urgenti dalla Cyberlife -

Quella frase mi svegliò del tutto e guardai con apprensione Connor in piedi vicino a me.

- Tornerai? -

Non so perché ma avevo una brutta sensazione, che in quel momento però, attribuii al recente incubo.

- Sì, certo – assentì lui.
- Connor io… -

L’androide mi guardò incuriosito, ma io scossi la testa sorridendo.

- Te lo dico dopo – dissi – non ti faccio perdere altro tempo prezioso – aggiunsi e con un ultimo cenno del capo, Connor scomparve nel corridoio.

Alzatami dal letto, aprii leggermente le imposte per guardarlo salire sul taxi che lo aspettava davanti a casa mia.

In quel momento nutrivo ancora la speranza di potergli raccontare tutto.. senza sapere che non ne avrei più avuto l’occasione.
L’urlo straziante che mi uscì dalla gola quella sera, davanti alla diretta tv, credo che riecheggi ancora per la casa assieme al mio dolore.



Jericho's place:

Buongiorno e ben ritrovati!!

Ho riletto, rifatto, riscritto questo capitolo almeno sei volte e per essere solo al secondo direi che sono messa bene ^^"
La prima notizia è che sarà l'utimo ambientato "prima" degli eventi del gioco e la seconda è che mi auguro di aver alimentato la vostra suspance xD
Sto cercando con tutte le mie forze di mantenere in IC Connor... se così non dovesse essere vi prego di farmelo notare! Tentare di non farlo andare fuori dal suo personaggio è una vera impresa, ma ce la sto mettendo tutta, credetemi!
Penso sia abbastanza chiaro che la diretta tv vista da Seren, sia quella del Deviante che ha preso in ostaggio la bambina sul tetto; in questo caso ho scelto il finale nel quale Connor perde la vita. Vi sarà presto chiaro il perchè...
La tanto citata canzone suonata da Seren, se qualcuno volesse ascoltarla, è questa: Sincerely - True (Violet Evergarden Opening)  Ringrazio a tal proprosito la mia cara amica Benni per aver deciso (a sia insaputa) quale dovesse essere xD
Grazie mille a tutti i Lettori che mi stanno seguendo e a Yujo per aver commentato lo scorso capitolo ^^

Ci si rivede tra un po'!!
Marta

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Capitolo 4
*** 3. Reset ***


3

3. Reset

5 novembre 2038


- Etciù! -

Sconsolata, guardai le gocce riempire il mio campo visivo rendendolo leggermente sfocato.
Ero da poco uscita dalle prove per il saggio dei miei allievi e la pioggia mi aveva colta di sorpresa a metà strada, costringendomi a dovermi riparare
sotto la tenda di un negozio di scarpe che a quell’ora era ormai chiuso. Speravo fosse un rovescio sporadico, risolvibile nel giro di poco, ma il tempo non pareva proprio della mia stessa idea.
Ben presto l'aria era stata pervasa dal tipico odore di metropoli bagnata, di asfalto e di metallo, mentre le luci della strada iniziavano a riflettersi sulle pozzanghere.
Una macchina passò davanti a me a tutta velocità, sollevando un'ondata d'acqua che si infranse a qualche centimetro dalle mie scarpe da ginnastica.
Sbuffai, sistemandomi meglio la sciarpa attorno al collo e il mio fiato si condensò in una densa nuvoletta bianca. L’inverno era ormai alle porte, e non sarebbe mancato molto perché la prima neve facesse capolino su Detroit...
Mentre mi guardavo attorno, vidi dall'altra parte della strada una banchina per il noleggio degli androidi. Uno dietro l'altro, cinque di loro sostavano con lo sguardo perso nel vuoto e io mi affrettai a distogliere lo sguardo. Mandai giù il groppo in gola e cercai di non pensare a lui...

Alla fine, stanca e spazientita da quell’inutile attesa, mi tirai sulla testa il cappuccio della felpa e mi rimisi in marcia. Sarei arrivata a casa completamente fradicia, ma avrei fatto una doccia calda e si sarebbe sistemato tutto; sempre meglio che restare lì....
Stavo giusto attraversando le strisce pedonali, quando una chioma argentea catturò la mia vista.

- Hank! - esclamai, riconoscendo immediatamente il soggetto.

Il poliziotto si girò al mio indirizzo e la faccia burbera dietro la barba incolta, si aprì in un sorriso.

- Seren! – mi salutò lui avvicinandosi.
- E’ da un pezzo che non ti vedo, non passi mai a trovarmi! E dire che abitiamo solo a quattro case di distanza – lo rimproverai, stringendolo in un abbraccio veloce.
- Sono sempre molto indaffarato – si scusò lui impacciato.
- Vedo – replicai sarcastica, gettando un’occhiata all’insegna intermittente del bar a pochi passi da noi.
- Piuttosto... tu non dovresti andare in giro da sola a quest’ora – osservò Hank con cipiglio severo.
- Sono uscita dalle prove, ma la pioggia mi ha sorpresa per strada – spiegai con una scrollata di spalle – E tu? Hai già finito la tua “serata”? - replicai virgolettando l'aria.

Conoscevo bene Hank, avevo fatto da babysitter a suo figlio Cole spesso e volentieri, finendo per diventare una presenza costante nella vita di quella famiglia che era andata distrutta due anni prima. Dopo la morte del figlio e la separazione da sua moglie, io e Hank ci eravamo allontanati; il dolore era stato troppo e troppo improvviso. Sapevo perfettamente che il poliziotto aveva problemi con l’alcol, ma ogni mio tentativo di fargli capire che non era il modo giusto per andare avanti, era andato a vuoto.

- Sarebbe continuata, ma sono stato appena coinvolto in un nuovo caso – spiegò con uno sguardo del tutto fuorchè entusiasta.
- Mi pare di capire che ti abbiano affibbiato una rottura di scatole -
- E’ un eufemismo! - sibilò lui  – Assegnarmi ad un caso sui Devianti.. per di più affiancandomi un androide!! -
- Tenente Anderson! Mi dispiace insistere, ma ci stanno aspettando -

Se sentire la parola "Devianti" mi aveva scosso, udire quella voce richiamare Hank dall’altra parte della strada, mi destabilizzò del tutto.
Connor, che fino a quel momento doveva essere rimasto in macchina in attesa del poliziotto, ora era sceso non vedendolo arrivare.

- Parli del diavolo..- mormorò Hank sospirando.

Gli occhi dell’androide si spostarono dall'uomo a me. Era esattamente come me lo ricordavo, mentre la pioggia gli scorreva sul viso e iniziava ad inumidirgli le spalle della giacca.

- Connor? - sussurrai allibita, prima di correre verso di lui e buttargli le braccia al collo – Dio… pensavo che ti avessero dismesso! Dove sei stato negli ultimi tre mesi?! - esclamai facendo un passo indietro per guardarlo.

Non immaginavo di potermi sentire di nuovo annientata. Eppure, quando vidi lo sguardo perso e stupito di Connor, qualcosa si ruppe ancora una volta dentro di me.

- Ci conosciamo? - domandò educatamente lui.
- Vi conoscete?! - esclamò Hank che nel frattempo era sopraggiunto.

Istintivamente feci un passo indietro, quasi avessi ricevuto uno schiaffo in pieno volto. L’androide mi guardò aggrottando le sopracciglia e il suo led diede un bagliore giallo.

- Credo… credo che la sua amica mi abbia scambiato per qualcun altro Tenente – disse Connor alla fine.
- Sì.. Sì, mi dispiace – riuscii a mormorare io.
- Seren, tutto bene? Sei pallida, sembra che tu abbia visto un fantasma – replicò Hank dubbioso.

Io continuavo a guardare Connor, nella speranza di trovare un qualsiasi cenno sul suo viso che mi facesse capire che si ricordava di me... Ma potevo vederla riflessa chiaramente nei suoi occhi castani, quella ragazza fradicia di pioggia, con i capelli tinti di bianco e gli occhi verdi spalancati dalla confusione. Una completa sconosciuta.

- Sto bene – risposi con un filo di voce – Meglio se torno a casa… -
- Vuoi un passaggio? - si offrì il poliziotto.
- Tenente non ne abbiamo il tempo – si intromise Connor con tono professionale, perdendo istantaneamente qualsiasi interesse per me.
- Lo decido io se abbiamo tempo o no! - gli abbaiò contro l’uomo.
- Ti ringrazio Hank ma non fa niente – mi affrettai ad intervenire – In bocca al lupo con il caso – aggiunsi altrettanto velocemente facendo dietro front.

Se fossi rimasta lì un secondo di più non avrei retto.

- Seren! - esclamò Hank cercando di trattenermi.

Io non mi fermai ma affrettai il passo, raggiungendo la salvezza dietro il primo angolo che mi fece scomparire alla loro vista.
Barcollando leggermente, accecata dalle lacrime, mi sostenni con una mano al muro di mattoni. Sentii la superficie ruvida grattarmi la pelle e premetti ancora di più.
Che senso aveva avuto? Cosa avevano in mente quelli della Cyberlife?
Colpii il muro con l’interno del pugno, abbastanza forte da sentire una lieve fitta salirmi lungo il braccio. Con rabbia spazzai via le lacrime miste alla pioggia e mi incamminai verso casa.
Non sarei crollata di nuovo.



Jericho's place:


Buondì!

"Aggiorni dopo due settimane e posti questo striminzito capitolo???" - Cit. Lettori
Sì.
A mia discolpa ho detto fin da subito che i capitoli sarebbero stati corti, non tutti, ma alcuni sì. u_u
Per chi si domandava cosa ci sarebbe stato di diverso al ritorno di Connor, beh... direi che il fatto che gli abbiano resettato la memoria sia già abbastanza xD
Se avete mai parlato con il poliziotto che si poteva salvare durante la prima missione, avrete notato che, se Connor muore in quell'occasione, lui non si ricorderà dell'uomo, nonostante quest'ultimo lo ringrazi per avergli salvato la vita (sì, c'era un agente da salvare. No, l'ho scoperto molto dopo anche io).
Scusatemi per il clichè su Hank, ma avevo davvero bisogno che si conoscessero già...
Adesso resta da vedere come reagirà Seren e in che modo le loro strade si incroceranno di nuovo... *mistery time* Però sapete che ha i capelli bianchi xD Tutte le protagoniste delle mie storie hanno questa caratteristica; non so dirvi perchè ma mi piacciono proprio tanto <3
Un grandissimo grazie a tutti i Lettori, a _Blanca_ e _purcit_ per averla aggiunta tra le seguite e a Leila91 per essersi aggiunta alle commentatrici (Love u ç_ç).

Un abbraccio a tutti quanti!
Marta
  

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Capitolo 5
*** 4. Di corsa ***


4

4. Di corsa

6 novembre 2038

- Guardi che è verde -

La frase, detta ad alta voce per superare la barriera dei miei auticolari, mi richiamò alla realtà.
Senza degnare di uno sguardo chiunque mi avesse fatto gentilmente notare che il verde era scattato, ripresi a correre.
Il brano pop che stavo ascoltando, terminò mentre raggiungevo l'altro lato della strada, per lasciare il posto ad uno rock che diede una lieve scossa al mio cervello mezzo addormentato.
Quella notte non avevo praticamente chiuso occhio, limitandomi a vagare da una stanza all’altra di casa, incapace di sdraiarmi nel letto.
Avevo sofferto per la morte di Connor quel 15 di agosto, ma avevo sempre nutrito la segreta speranza di poterlo incontrare di nuovo… dopo tutto non ci sarebbe stato nulla di strano. Mai mi sarei aspettata però, che lui potesse non ricordarsi di me.
Per quale motivo la Cyberlife lo avesse quindi riattivato, cancellando però ogni traccia di me, rimaneva un mistero... forse sarebbe stato meglio non fosse mai tornato...
Scossi la testa aumentando il ritmo della corsa contrariata dai miei stessi pensieri.
Quando quella mattina mi ero svegliata raggomitolata sul divano della sala, avevo deciso di uscire a fare jogging nel tentativo di sgombrarmi la mente. Purtroppo, fino a quel momento la mia idea
sembrava produrre esattamente l’effetto opposto, e visto che il cielo minacciava di nuovo pioggia da un momento all’altro, non trovai ragioni sufficienti per continuare.
Stavo facendo dietro front per tornare verso casa, quando vidi una volante della polizia con i lampeggianti accesi fermarsi all’ingresso di un vicolo tra un bar e una lavanderia a gettoni. Un istante dopo scorsi Hank passare di gran carriera.
Agrottando le sopracciglia, mi tolsi gli auricolari dalle orecchie e mi diressi verso il vicolo.
Passando alle spalle del poliziotto che cercava di tenere a bada alcuni ragazzi armati di telefonino, mi infilai nella stretta stradina. In fondo ad essa, a ridosso della rete metallica che delimitava l'accesso alla statale che passava lì dietro, c’erano Hank e Connor.

- Non posso rischiare! - sentii esclamare Connor che cercava di arrampicarsi sulla rete.
-  Ehi! Ti farai ammazzare così! - lo bloccò Hank afferrandolo per un braccio – Resta qui Connor, è un ordine! -

Corsi loro incontro proprio mentre l’androide, con uno strattone, si liberava dalla presa del poliziotto superando la recinzione.

- Dannazione Connor!! - gli gridò dietro l’uomo furente.
- Hank! - esclamai mentre sopraggiungevo.
- Seren! Che diavolo ci fai qui?! - domandò incredulo.

Non badai alla sua domanda, ma spostai lo sguardo verso la figura del suo partner che, lanciatosi all’inseguimento di quelli che dovevano essere una coppia di devianti, stava attraversando il primo tratto di autostrada. A quella vista sentii il sangue gelarmisi nelle vene.... Scattai oltre Hank, verso un cassonetto dei rifiuti posto lì vicino, il quale mi offrì un comodo trampolino per saltare al di là della rete.

- Seren!!! Che cazzo fai? Vieni qui immediatamente! -

Il poliziotto, preso alla sprovvista, battè energicamente i pugni contro le maglie metalliche. 

- Lo hai detto anche tu, si farà uccidere così!!! - gli risposi io cominciando a caracollare giù del pendio fangoso – Non succederà di nuovo! -

Nel frattempo, Connor era riuscito a guadagnare incolume la mezzadria tra le due carreggiate.
Dal canto mio sapevo bene che cercare di attraversare la statale sarebbe stato un suicidio, quindi mi diressi verso la struttura poco distante che sosteneva i cartelli con le indicazioni e che faceva da ponte tra le due corsie. Non appena mi avvicinai alla strada, l'eco delle grida di Hank venne inghiottito dal traffico ad alta velocità.

Una volta raggiunta la struttura, salii rapidamente la scaletta che serviva per la manutenzione, gettando un’occhiata fugace alla situazione sotto di me. Le auto sfrecciavano ad una velocità impressionante; il solo pensiero di essere centrata da una di esse mi metteva i brividi...
Quando arrivai al punto che sovrastava la mezzadria, Connor si era ormai già lanciato sulla corsia successiva, riuscendo ad afferrare una delle devianti in fuga. L’altra, una bambina che non doveva avere più di sette o otto anni, era già arrivata al sicuro a bordo strada.
Spostai lo sguardo dalla lotta che si stava consumando, al salto che dovevo fare per raggiungere il suolo. Da dove mi trovato c’era solo qualche piolo che scendeva, giusto per permettere l’accesso ai comandi del cartellone centrale; per il resto si trattava solamente di lasciarsi cadere e sperare.
Senza rifletterci ulteriormente scesi i gradini, afferrai saldamente l’ultimo di esso con entrambe le mani e dopo essermi fatta dondolare un paio di volte, abbandonai la presa.

L’atterraggio non fu esattamente come sperato... Una fitta lancinante mi percorse la gamba e riuscii a restare in piedi solo grazie all’adrenalina che mi circolava in corpo.
Il che fu decisamente un bene... perché fece la differenza negli istanti successivi.

La lotta tra Connor e la deviante era giunta al termine, la ragazza era riuscita a liberarsi dal suo inseguitore e a spingerlo via.
Vidi Connor incespicare all’indietro, proprio mentre una macchina di grossa cilindrata sopraggiungeva. Feci l’unica cosa che mi venne in mente: mi sporsi e lo afferrai per un braccio, tirando con tutta la forza che avevo.
L’androide barcollò, finendo contro il guardrail ed evitando così il mezzo; io caddi all’indietro, ritrovandomi seduta sul raso prato che era cresciuto nella mezzadria.
Vedendo che Connor stava bene tirai un lungo sospiro, accorgendomi solo in quel momento di tremare.

- Ren! -

L’androide, una volta resosi conto che i devianti ormai erano irraggiungibili, aveva spostato la sua attenzione sulla persona che lo aveva salvato dall’auto.
Connor si inginocchiò vicino a me; il led acceso di giallo per la sorpresa. Ritrovandomi a corto di fiato e di parole, gli passai le braccia attorno al collo, attirandolo in un abbraccio che lo costrinse ad appoggiare una mano a terra per non rovinarmi addosso.

- Stai bene... - mormorai con voce rotta – Scusami! - aggiunsi un istante dopo lasciandolo andare.

Connor mi fissava, sembrava voler dire qualcosa ma le parole gli rimasero sulle labbra leggermente schiuse.

- Aspetta un attimo… - proseguii io aggrottando la fronte – mi hai chiamata Ren? - gli domandai.

Il led sulla tempia diventò rosso quasi istantaneamente.

- Dovrei arrestarvi!!! -

L’urlo proveniente dalla corsia di sinistra ci fece voltare entrambi.

- State bene? - domandò un furente Hank.
- Sì – risposi io facendo per mettermi in piedi e ricordandomi con un attimo di ritardo della mia caviglia.

Non caddi solo grazie al pronto intervento di Connor, che mi sorresse per un braccio.

- E’ solo una brutta storta – sentenziò un istante dopo aver scansionato la parte lesa.
- Riuscite a tornare indietro? Ho fatto momentaneamente chiudere il traffico su questo lato dell’autostrada – ci avvisò il poliziotto.
- Certo tenente! – rispose Connor – Lasci che l’aiuti. – si rivolse poi a me, appoggiandomi un braccio attorno alle spalle e uno dietro le ginocchia per tirarmi su.

Un istante dopo mi ritrovai tra le sue braccia, cullata dal ritmo del suo passo già diretto verso Hank che ci aspettava.
Avrei voluto insistere ancora, farmi ricordare, ma evitai. Per quel giorno avevo sfidato la sorte a sufficienza.





Jericho's place:

Buona domenica ragazzi!

Siamo giunti all'episodio On the run! Personalmente ho scoperto dopo la possibilità di inseguire Kara ed è stato veramente un momento al cardiopalma; per questo motivo spero di avervi fatto provare di nuovo un pò di quell'adrenalina ;)
Connor sembra aver avuto una qualche reminescenza del suo primo incontro con Seren, ma la memoria gli ritornerà mai del tutto? Seren dal canto suo ha paura di osare troppo e di tornare a sperare l'impossbile...  Se vi state chiedendo come andrà a finire non vi rimane altro che aspettare il seguito xD
*momento off topic* Ho finito un piccolo ritratto di Kara sulla mia pagina Instagram, se qualcuno volesse passare a dargli un'occhiata ne sarei molto felice :) vi lascio il link: martist_corner
Grazie mille a tutti coloro che Leggono e/o Recensiscono!

Un abbraccio a tutti!
Marta

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Capitolo 6
*** 5. Visite ***


5

5. Visite


6 novembre 2038

Sono creature del demonio! Dovrebbero bruciarli tutti, dal primo all’ultimo! Che Dio ci...

Spensi la tv con un gesto secco e lanciai  il telecomando dall’altra parte del divano. Ero disgustata da quello che i notiziari facevano ormai sentire quotidianamente e dalle interviste, come quella appena sentita, dove la gente si professava improvvisamente contraria agli androidi da tutta la vita…
Il grosso problema è che la maggioranza delle persone sembrava pensarla proprio così. Tutti guardavano agli androidi come al male incarnato, nonostante i crimini di sangue da loro compiuti fossero un caso su cento. Come si suol dire "fare di tutta un'erba un fascio"; ecco l'umanità che ripete i propri errori per l'ennesima volta signori!
Erano veramente rare le persone disposte a valutare l’ipotesi che non fossero più dei meri oggetti, ma che in qualche modo avessero acquisito quella che in genere si chiama “coscienza”. E stranamente, uno di questi sembrava essere proprio Hank. Con la mente tornai alla discussione che avevamo avuto poche ore prima.
Dopo che un paramedico mi aveva applicato una fasciatura alla caviglia, il poliziotto mi aveva voluto portare fino a casa e vista la sua espressione, avevo preferito ingoiare la mia reticenza ed ero salita sulla sua auto.


***

- Mi vuoi dire che ti è preso per correre dietro a quello lì?! - mi aveva aggredita dopo un istante, abbassando la radio con un gesto nervoso.
- Lo hai detto anche tu, si sarebbe fatto ammazzare – avevo replicato laconica mentre osservavo la pioggia battere sul finestrino.
- Non per questo dovevi rischiare la tua!! E’ una macchina porca puttana! La possono rimpiazzare! - aveva sbraitato lui, mettendosi a suonare il clacson al povero automobilista davanti a noi.
- Non sono solo delle “macchine” – avevo risposto stringendo le labbra.
- Quindi? Cosa sarebbero? Sono pezzi di plastica che camminano Seren! E alcuni di loro sono semplicemente difettosi!! – mi aveva abbaiato contro Hank, anche se non del tutto convinto.
- Hank... Conosco le ragioni della tua avversione nei confronti degli androidi, ma onestamente non so dirti chi abbia per davvero mancato ai propri doveri quel giorno.. se loro o noi – avevo detto – Hai visto anche tu quella deviante – lo avevo interrotto prima che potesse replicare – Stava cercando di proteggere la bambina! E se è lo stesso androide scomparso, di proprietà di quel Tod che ho visto in televisione, non fatico a credere che sia voluta scappare! Non so se lo hai visto, ma so da cosa è provocato quel rossore agli occhi, così come lo sai tu – avevo affermato, con un non troppo velato riferimento alla Red ice.

Hank non aveva replicato, e nell’abitacolo era sceso il silenzio mentre l’auto si accostava davanti al vialetto di casa mia.

- Grazie per il passaggio Hank e perdonami se ti ho fatto preoccupare – gli avevo detto apprestandomi a scendere.
- Provi qualcosa per Connor? Intendo… - il poliziotto aveva lasciato la frase in sospeso.
- Credi sia possibile innamorarsi di un androide ed essere ricambiati? - avevo ribattuto io con un sorriso mesto prima di aprire la portiera e scivolare via.

***


Mentre ripercorrevo con la mente la conversazione avuta con Hank, l’oscurità nel frattempo era calata fuori dalla finestra, resa ancora più fitta dalla pioggia che continuava a cadere. Con un sospiro mi spostai verso la sala, accendendo la luce che si riflettè sulla superficie lucida e nera del mio pianoforte a coda.
Non appena i miei occhi si posarono sopra di esso, mi sentii subito alleggerita da quel turbinio di pensieri che ormai si annidavano nella mia mente.
Aiutandomi con la stampella che la mia vicina mi aveva gentilmente prestato (un refuso di quando il figlio adolescente si era rotto una gamba), avanzai verso la seduta.
Con delicatezza posai i polpastrelli sopra i tasti bianchi e neri, e nell’aria tiepida di casa mia si espanse la solita canzone. Proprio in quel momento, mentre muovevo le mani lungo la tastiera, con la coda dell’occhio vidi lampeggiare qualcosa fuori dalla finestra che dava sul portico d’ingresso.
Le mie dita abbandonarono la canzone, che si interruppe un po' malamente. Mi alzai e, procedendo più in fretta che potevo, mi precipitai in ingresso, spalancandone l’uscio.
In mezzo alla pioggia, quasi alla fine del vialetto c’era Connor. La pioggia scivolava su di lui, che come al solito sembrava non farci caso.

- Connor! - esclamai.

L’androide sembrò riscuotersi improvvisamente, puntando il suo sguardo su di me.

- Mi dispiace Miss Andrews, ma il Tenente Anderson ha insistito perchè passassi a vedere come stava; mi dispiace averla disturbata  – disse.
- Non lo hai fatto, stai tranquillo – replicai io con un sorriso – Forza, vieni dentro – lo invitai.

Come la prima volta che gli rivolsi quella frase, Connor sembrò confuso.

- Davvero, non vorrei disturbarla – titubò lui.
- Andiamo, non farti pregare – insistei facendogli un cenno - Odio vederti lì sotto la pioggia e per piacere dammi del tu – aggiunsi.
- Credo che... non sarebbe educato – replicò lui cortesemente.
- Già, è vero, mi ero dimenticata del tuo protocollo.. – sospirai – Magari più avanti – aggiunsi.

A quel punto Connor annuì, venendomi dietro.

- Come va la caviglia? - domandò entrando nel salotto.
- Come avevi detto tu è solo una brutta storta, un paio di giorni e sarà come nuova– gli dissi sedendomi sul divano.
- Mi fa piacere sentirlo – asserì Connor, appoggiando la mano sullo schienale della poltroncina dirimpetto la mia.
- E l’indagine sui devianti come procede? - chiesi incuriosita.
- Poco fa mi hanno notificato una nuova scena del crimine; devo giusto passare a prendere il Tenente – rispose lui tamburellando distrattamente sulla stoffa.
- Ne sarà sicuramente contento – sogghignai io, già immaginandomi la reazione del poliziotto a quell’incursione notturna.
- Lei e il Tenente Anderson vi conoscete da molto? - s’informò l’androide.
- Da qualche anno, sì – assentii io appoggiando il mento sulle dita intrecciate – Facevo da babysitter a suo figlio prima che… - mi interruppi a metà della frase, notando lo sguardo stupito di Connor – Non ne sai niente? - chiesi confusa.
- No, io… - mormorò l’androide preso in contro piede.
- Allora sarà meglio che non prosegua oltre – sospirai – non sta a me raccontarlo – aggiunsi con una nota afflitta nella voce.
- Avere quest’informazione potrebbe aiutarmi ad instaurare un rapporto migliore con lui – replicò invece Connor.
- Il modo migliore per instaurare un rapporto con Hank è stargli accanto – risposi io – E Dio solo sa quanto ne ha bisogno... – aggiunsi.
- Perchè è corsa a salvarmi stamattina? -

La domanda a bruciapelo dell’androide mi colse leggermente di sorpresa.

- Perchè ho sentito il dovere di intervenire – risposi slacciando l’intreccio delle mie dita – Vederti morire lì sulla strada non.. - mi bloccai incapace di andare avanti.

Sembrava che Connor stesse per replicare qualcosa, ma il suo sguardo divenne per un attimo distante.

- Temo di dover andare – mi avvisò un secondo dopo.

Io annuii, alzandomi e accompagnandolo fino alla porta d’ingresso. Fuori, la pioggia continuava ad insistere.

- Le auguro una buona serata Miss Andrews e una pronta guarigione – asserì l'androide scendendo i gradini dello stretto porticato.
- Connor! -

Con un gesto automatico feci un paio di passi avanti e lo afferrai per un polso.
Piccole gocce d’acqua si infransero sul mio viso facendomi rabbrividire.

- Davvero non ti ricordi di me? - domandai.

L’androide abbassò prima lo sguardo sulla mia mano, poi lo alzò su di me.

- Io… temo di no – rispose, con uno sguardo che sembrava deluso dal dover fare quell’affermazione.
- Scusami se continuo ad insistere – aggiunsi scuotendo la testa con un sorriso e lasciandolo andare.
- Però… -

Alzai la testa per guardarlo in viso e vidi che il suo led lampeggiava di giallo.

- La canzone che stava suonando al piano… mi… mi pare di averla già sentita.. - disse sbattendo le palpebre per scacciare le gocce di pioggia – E’ sua, vero? - mi domandò.
- Sì, lo è – risposi – Avrei voluto avere più tempo quel quindici di agosto.. c’era qualcosa di importante che volevo dirti.. - aggiunsi di getto.

Connor continuava a fissarmi confuso mentre il suo led diventava rosso.

- Ma ora non importa.. Torna a trovarmi quando vuoi – e alzatami in punta di piedi, gli lasciai un veloce bacio all’angolo della bocca.

Non rimasi a vedere la sua reazione, ma mi voltai e tornai dentro.
Le lacrime, che si mescolavano ancora una volta alla pioggia, non sapevo se fossero di disperazione o di speranza.




Jericho's Place:

Arieccome!!

Avrei potuto aggiornare prima se lo scorso weekend mi fossi messa a scrivere... ma ho iniziato il nuovo Assassin's Creed e quindi ciaone! xD
However... abbiamo un veloce incontro tra i nostri protagonisti che avviene la sera dell'indagine all'Eden club. In questo caso, Connor ha "dovuto" fare una piccola deviazione a casa di Seren per sincerarsi delle sue condizioni. Nonostante sia stato Hank a insistere, pare che questo incontro abbia prodotto qualcosa... ma sarà abbastanza?
Spero che questa coppia vi stia piacendo ^^ creare la giusta alchimia tra i protagonisti è sempre una bella sfida!
Un sentito ringraziamento a tutti i Lettori che ancora osano seguirmi XD, alle mie recensiste di fiducia e a Pandizenzero per averla inserita tra le storie seguite ^^

Al prossimo aggiornamento!
Marta

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Capitolo 7
*** 6. Contatto ***


6.

6. Contatto

8 novembre 2038

- Così può andare! -

Fissai soddisfatta il mio riflesso nello specchio del bagno, sistemandomi i capelli umidi e freschi di un'immacolata tinta bianco candido. A quel punto, afferrato l’asciugamano che avevo abbandonato sul bordo del lavandino, mi diressi in camera, fermandomi davanti alla finestra che dava sulla strada. Con calma presi a frizionarmi delicatamente i capelli osservando la neve scendere. Aveva sostituito la pioggia il giorno prima e per ora non sembrava dare cenni di voler smettere; tutte le case del circondario erano ormai completamente imbiancate e l’aria sembrava già diversa, più pulita.
Incantata com’ero da quel paesaggio un po' fiabesco (per abitare in una metropoli come Detroit), quando sentii la porta d’ingresso aprirsi sobbalzai spaventata.
Con cautela uscii dalla camera affacciandomi dalle scale.

- Hank? - chiamai, pensando che l’unica persona al mondo che poteva prendersi il lusso di entrare senza neppure suonare il campanello fosse il poliziotto – Sei tu? -

Il bagliore di un led mi portò su tutt’altra strada.

- Connor?! - esclamai sorpresa, guadagnando finalmente l’interruttore che illuminò l’ingresso.

L’androide sostava in fondo alle scale, sul viso un’espressione di turbamento che non gli avevo ancora visto.

- Connor! Cos’è successo?! - esordii, precipitandomi giù dalle scale e perdendo l’asciugamano umido per strada.
- Ho trovato uno dei devianti che hanno attaccato la Stratford tower – disse, quasi mangiandosi le parole.
- Connor.. - cercai di calmarlo io.
- L’ho sentito Ren! - ripetè lui, interrompendomi e passando improvvisamente a darmi del tu.
- Cosa? Non capisco… - balbettai io confusa.
- Mi sono connesso a lui un attimo prima che gli sparassero e l’ho sentito! - proseguì, facendo saettare lo sguardo dal pavimento a me.
- Per favore Connor, non capisco, mi stai spaventando – replicai.
- L’ho sentito morire! - esclamò, svelando finalmente cosa lo stesse turbando tanto – E ho avuto paura... - aggiunse.

Sembrava completamente fuori di sé mentre il led lampeggiava di rosso al ricordo dell’esperienza vissuta.

- Connor! - gli presi il viso tra le mani costringendolo a guardarmi – Sei vivo! Tu sei vivo. – gli dissi.

Lui mi guardò ancora per un momento, spaesato, poi il led tornò del solito azzurro e il suo sguardo di calmò.

- Scusa – disse – Non sarei dovuto venire... non so perchè... - lasciò la frase in sospeso.
- Puoi venire quando vuoi – lo rassicurai con un sorriso, che scemò non appena notai quello che non avevo visto in precedenza - Perdi sangue! – esclamai sentendomi invadere dal panico.

Sulla camicia solitamente immacolata, una chiazza di colore blu impregnava la stoffa, allargandosi intorno ad un inequivocabile foro di proiettile.

- Non è nulla, i miei sistemi funzionano tutti perfettamente – minimizzò lui.
- Dobbiamo fermare l’emorragia – tagliai corto io, prendendolo per mano e facendolo sedere in cucina.
- Cosa? - domandò confuso.
- Non puoi andare in giro con quella ferita aperta!  – replicai – Posso riparare il danno -

Connor, anche se leggermente basito, rimase seduto.

- Per favore, togliti la camicia – gli dissi con un tono che non ammetteva repliche, dirigendomi verso la credenza e aprendo una delle antine per estrarne una cassetta di metallo laccata di blu.

Quando mi girai, l’indumento stava scivolandogli dalle spalle. La pelle pallida, tesa sul torace e sugli addominali, mi fece attorcigliare lo stomaco.

- Parti dall’inizio e raccontami cos’è successo - gli dissi sedendomi di fronte a lui.
- Avrai sicuramente visto il messaggio dei devianti – disse l’androide.
- Ovvio – risposi.

Chi non lo aveva visto? A quell’ora ero a lezione all’accademia e avevo perso la pazienza vedendo che nessuno mi stava ad ascoltare; avvicinandomi al gruppo di studenti chini sul cellulare di uno di loro, avevo capito il perché.
Il viso bianco perlaceo di un androide, stava parlando in diretta su una delle maggiori emittenti televisive. Chiedeva all’umanità di riconoscere gli androidi come esseri viventi a tutti gli effetti, di porre fine alla loro schiavitù e di poter essere trattati come pari.
La mia meraviglia era stata mitigata solo dal fatto che, in cuor mio, sapevo che prima o poi quel momento sarebbe arrivato.
Tutto si evolve....


- Io e il Tenente ci siamo diretti alla Stratford tower per indagare – spiegò Connor mentre io valutavo l’entità della ferita – I devianti sono riusciti ad infiltrarsi indisturbati fino alla sala di trasmissione dove hanno registrato il loro messaggio – continuò.
- Scusa Connor, potresti rimuovere la pelle? - lo interruppi, e in un attimo mi ritrovai a fissare la superficie lucida del polimero che si celava sotto di essa.

Alzai per un attimo lo sguardo. Connor mi fissava  incuriosito, ma senza dare cenni di volermi fermare.

- Grazie, continua pure – asserii aprendo la cassetta.

Alcuni piccoli led si accesero automaticamente, illuminandone il contenuto: una serie di sottili strumenti tutti perfettamente allocati nei propri spazi.

- Uno degli umani presenti al momento dell’irruzione è riuscito a scappare e a dare l’allarme, permettendo così alla squadra d’assalto di fare irruzione – raccontò.
- I devianti erano armati? - domandai mentre valutavo una serie di piastrine bianche di diversa misura.
- Sì -
- Quindi avrebbero potuto sparargli ma non lo hanno fatto – commentai afferrando il pezzo prescelto con un paio di pinzette.
- A quanto pare hanno deciso di risparmiarlo – assentì Connor.
- Cos’è successo quando la Swat è arrivata? -

Con delicatezza appoggiai il pezzo di polimero sul foro del proiettile, avvicinando al contempo un piccolo saldatore portatile.

- Ha aperto il fuoco sul gruppo – disse Connor – Uno dei quattro devianti è stato colpito e lo hanno trascinato fino al tetto -
- Hanno davvero saltato con i paracaduti? - chiesi curiosa e un po' ammirata.
- Qualcuno deve averli aiutati dall’interno e portato l’attrezzatura sul tetto – assentì l’androide mente facevo aderire i bordi e sigillavo la ferita.
- Non c’è che dire, erano ben organizzati – commentai, mordicchiandomi il labbro inferiore per la concentrazione.
- Sì, ma hanno dovuto lasciare indietro il deviante ferito – disse Connor – L’ho trovato nascosto dentro una delle cabine per la manutenzione dei pannelli elettrici – raccontò – Quando l’ho scoperto mi ha sparato e ne è nato uno scontro a fuoco – disse.
- Hank sta bene? - chiesi preoccupata.
- Il tenente Anderson sta bene – affermò Connor con una punta di quello che registrai per sollievo.
- Devo rimuovere il pannello del torace, credo che il proiettile sia rimasto all’interno e preferirei non lasciarlo lì – aggiunsi.
- Fai pure – concesse Connor.

Con la punta delle dita trovai la scanalatura per l'apertura e premetti leggermente. La luce azzurrina dei bio componenti lasciati scoperti mi fece socchiudere gli occhi.

- Scusa.... ma allora come hai fatto a connetterti al deviante? - domandai confusa.
- Ho attraversato lo scontro a fuoco – rispose lui.

I miei occhi saettarono nei suoi, sconvolta.

- Dovevo capire dove fosse il loro quartier generale, se lo avessero ucciso non avrei mai avuto quell’informazione! – si giustificò lui.
- Connor, potevi morire!- esclamai.
- Ma non è successo – replicò l’androide – sono riuscito ad interfacciarmi con lui un secondo prima che venisse colpito – aggiunse.
- Ed è allora che lo hai sentito – dissi, mentre con delicatezza estraevo il proiettile dopo averlo individuato.
- Sì...-

Mi tirai indietro a tornai a fissarlo in viso. Con la fronte aggrottata e le sopracciglia contratte, Connor palesava tutto il suo disagio e la confusione che quel momento gli aveva creato.

- La paura è un emozione umana... – affermai cauta – Sei ancora sicuro che non siate in grado di provarle? Che sia tutto un semplice malfunzionamento? -
- Gli umani e le macchine sono diversi.. - ragionò lui – Non possiamo provare quello che provate voi, ma emularlo… non siamo come voi – disse.

L'irrazionalità è una prerogativa umana; quindi il gesto che compii rientrava perfettamente nei parametri.
Afferrai la mano di Connor e feci aderire il palmo appena sopra il mio seno sinistro. Nello stesso momento allungai le dita e, leggera come una piuma, le chiusi attorno al cuore meccanico e pulsante di Connor.

L’androide sgranò gli occhi e il led lampeggiò di giallo.

- Sei sicuro? - gli chiesi.

Sentivo il suo cuore sfarfallare sotto la mia mano, veloce tanto quanto lo era il mio mentre tradiva la calma che cercavo di preservare sul mio viso.
Volevo che Connor capisse… che non c’era alcuna differenza tra me e lui se non eravamo noi stessi ad imporcela. Che per me, non c’era differenza.
Quel breve momento fu interrotto dal sonoro squillare del mio telefonino. Connor abbassò la mano e io ritirai la mia, alzandomi.

- Torno subito – gli dissi.

Raggiunsi il cellulare un attimo prima che smettesse di suonare.

- Pronto? -
“ Seren? Scusa per l’ora”

La voce di Hank uscì leggermente metallica dal microfono.

- Nessun disturbo, stai bene? - gli domandai salendo le scale per andare di sopra.

Da quando il figlio era morto, Hank non mi aveva mai telefonato.

“ Sì, io sto bene… volevo solo sapere...” la sua voce si interruppe un istante “volevo sapere se avevi visto Connor di recente, oggi siamo stati sul posto dell’agguato televisivo e...”

- Sta bene Hank, adesso è qui – lo interruppi mentre tiravo fuori dal cassettone di camera mia una t shirt da uomo.
“ Ah.. ok, bene…” borbottò il poliziotto dall’altro capo della linea.
- Mi ha raccontato cos’è successo – gli spiegai.

Hank rimase per qualche istante in silenzio, il tempo necessario perché io tornassi al piano di sotto.

“Seren.. pensi che lui possa...” lasciò la frase in sospeso.
- Forse.. ma non sono sicura – risposi osservando Connor ancora seduto dove lo avevo lasciato.
“ Certo… beh, scusami se ti ho disturbato, ti auguro la buona notte”

E senza darmi il tempo di replicare interruppe la chiamata.

- Tieni, indossa questa finché la Cyberlife non ti porterà un cambio – mi rivolsi a Connor allungandogli la vecchia maglietta.
- Grazie – replicò lui alzandosi per indossarla.

Mentre si vestiva, io presi una mug dalla credenza e la riempii con il tè che avevo fatto in precedenza. Quando mi voltai, un pensiero fugace mi attraversò la mente e mi misi a ridacchiare.

- Sono buffo? - domandò Connor abbassando lo sguardo sulla maglietta che di sicuro non aveva mai indossato in vita sua.
- No, ma sembri talmente umano che per poco non ti offrivo una tazza di tè – risposi con un sorriso – Dovrebbero farvi dotati del gusto, il cibo è uno dei pochi piaceri a cui nessuno dovrebbe rinunciare – dissi.
- Sono il primo modello a poter ingerire sostante per verificarne la natura e l’origine – mi spiegò Connor molto professionalmente.
- Scherzi? - esclamai io allibita. Quella mi era nuova.
- Per niente – replicò lui.
- Allora tieni –

Allungai verso di lui la mia tazza in attesa. Connor la guardò per un secondo, poi intinse appena il dito indice e il medio dentro la bevanda bollente e se li portò alla bocca.
Quella vista mi fece nuovamente attorcigliare lo stomaco mentre una vampata di calore mi saliva lungo il petto.

- Tè Matcha in foglia, provenienza Osaka, Giappone – sentenziò lui.
- Direi che funziona... – asserii io ancora un po' scossa – Però non senti il sapore, vero? -
- No, quello no – ammise Connor seguendomi fino in salotto, dove io mi sedetti sul divano – Beh, ti lascio a riposare, penso..-
- Potresti restare -

Appena lo interruppi i nostri occhi si incrociarono e io mi sentii arrossire.

- Mi.. mi farebbe piacere se restassi a farmi compagnia – mormorai concentrandomi sul liquido caldo che avevo nella tazza – Sempre se non devi correre da qualche parte – aggiunsi.
- Per ora non ci sono sviluppi sul caso, non ho ricevuto istruzioni – rispose lui.

Trascorse qualche secondo imbarazzato prima che mi venisse in mente qualcosa da dire.

- Prima era Hank al telefono – gli dissi, facendomi automaticamente da parte sul divano perché si potesse sedere anche lui.

Connor sollevò le sopracciglia sorpreso, occupando l’altro lato della seduta.

- Voleva sapere come stavi, penso che fosse preoccupato per te – spiegai appoggiando la mug sul basso tavolino che avevamo di fronte.
- Strano, perché non ha mai fatto mistero del suo odio per gli androidi – commentò Connor con una punta di sarcasmo.
- Hai avuto modo di parlare con lui? - domandai.
- Ieri siamo stati in un parco con vista sul ponte – rispose l’androide – A casa sua avevo visto la foto di un bambino, così gli ho domandato se fosse suo figlio – raccontò – mi ha detto che si chiamava Cole… è morto due anni fa, vero? -

Io sospirai, tirandomi le ginocchia al petto.

- Già… aveva sei anni... – affermai io – C’è stato un incidente – aggiunsi.
- La loro auto è sbandata sul ghiaccio e Cole è stato portato d’urgenza in ospedale, ma il medico di turno non era reperibile e così un androide ha preso il suo posto.. - spiegò Connor.
- Ma Cole è morto sotto i ferri.. - conclusi io.

Il ricordo dello shock nell’apprendere quella notizia mi formò un nodo alla gola che mi fece pizzicare gli occhi.

- Mi spiace, non volevo turbarti – nel dirlo, Connor aveva fatto il gesto di allungare una mano verso di me.

Prima che la potesse ritirare, mossi la mia, stringendogliela e facendo incrociare le nostre dita. D’un tratto mi sentii stanchissima.

- Come ci siamo conosciuti? Non mi ricordo di te, ma sono sicuro che sia successo -

Quell’affermazione mi fece voltare di nuovo verso di lui. Gli occhi caldi di Connor mi sondavano.

- Domani...- risposi.
- Cosa? - domandò lui confuso.
- Domani ti racconterò ogni cosa, tutto – asserii esausta.

Senza riflettere mi accostai a lui, appoggiandogli la testa sulla spalla e chiudendo gli occhi.
Connor non si mosse, né cercò di sottrarsi al contatto delle nostre mani ancora intrecciate.

- Domani allora – assentì con calma.
- Connor.. - sussurrai.
- Sì? -
- Non lasciare che sia la Cyberlife a decidere per te… non fare quell’errore – gli dissi mentre perdevo contatto con la realtà.




Jericho's place:

Buongiorno a tutti!

Mi dispiace moltissimo di non poter aggiornare con maggiore frequenza, ma almeno sto cercando di darmi il limite massimo di due settimane tra un capitolo e l'altro.
Nel frattempo spero che abbiare apprezzato questo capitolo un pò più lunghetto del solito e che, personalmente, mi è piaciuto molto scrivere ^^
I capitoli che si discostano dalla trama sono quelli più difficili da mettere giù, ma sono anche quelli più stimolanti.
Connor è reduce dalla sua investigazione alla Statford tower, dove (almeno nella storyline che ho scelto) è riuscito a connettersi a Simon. Questo ha generato una serie di interrogativi in lui e un certo scompiglio... ciò, lo ha involontariamente o meno, portato a casa di Seren, che si scopre avere delle abilità meccaniche non da tutti...
Chi mi ha mandato a quel paese quando ha letto questo scambio di battute?
- Domani...- risposi.
- Cosa? - domandò lui confuso.
- Domani ti racconterò ogni cosa, tutto – asserii esausta.
Avete fatto bene xD Ma posso dirvi che nel prossimo capitolo finalmente saprete... ma forse non nel modo che pensate ;)
Nel frattempo sto cercando di finire un ritratto di Seren, spero venga come desidero!
Grazie quindi a tutti i Lettori che cotinuano a seguirmi e a chi mi recensisce! In particolare grazie a Pandizenzero che è passata a darmi il suo apprezzamento ^^

Un abbraccio,
Marta

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Capitolo 8
*** 7. Urgenza ***



7. Urgenza

9 novembre 2038

Riemersi dal sonno lentamente, mettendo a fuoco il ripiano del tavolino ingombro di riviste e di una tazza ormai fredda. Tirandomi a sedere, una coperta di pile mi scivolò da addosso, adagiandosi con un fruscio vicino ai miei piedi scalzi. Mi guardai attorno un pò intontita...
Se non fosse stato per la presenza di una maglietta da uomo ben ripiegata sulla poltrona di fronte a me, la visita di Connor sarebbe potuta sembrare solo un sogno. Fissai la coperta caduta a terra e capii che doveva essere stato lui a coprirmi quando se n’era andato. L’altra cosa che notai fu il mio pad che, appoggiato vicino a me, lampeggiava.

Quando lo sbloccai mi apparve un messaggio scritto con l’applicazione delle note.

“ Sono dovuto andare via. Il tenente Anderson ha una pista, è riuscito a rintracciare l’abitazione di Elijah Kamski. Connor”

Bastò leggere quel nome, perché la vista mi si offuscasse e il panico mi avvolgesse: Elijah Kamski.
Guardai la data di salvataggio del messaggio: 10.30.
Poi guardai l’ora attuale: 11.00.

Lanciai il pad sul divano e corsi fuori, ignara del gelo che mi aggredì i piedi nudi. Mi spinsi fino al marciapiede e guardai in direzione della casa di Hank con il fiato che si condensava in spesse nuvolette di vapore. La sua auto non c’era.
Voltandomi per rientrare, la serranda del garage, come un oscuro presagio, attirò la mia attenzione e mi spinse verso una decisione che in altri casi non avrei mai preso.
Tornata in casa, infilai il giubbotto e anfibi, e presi il mazzo di chiavi risposto accuratamente nel cassetto del mobile in ingresso. Poi mi diressi al garage, accendendo la luce che rischiarò lo spazio odorante di olio e metallo. Uno spesso telo bianco con un sottile strato di polvere sopra, mi accolse.
Quando misi una mano sopra di esso, ebbi un secondo di esitazione....
Stavo per scoperchiare il vaso di Pandora, ma lo sollevai ugualmente.
Al di sotto comparve una vecchia Kawasaki nera satinata, che sembrò quasi rimproverarmi quella lunga assenza. Mentre la serranda si apriva sul vialetto di accesso, mi calai in testa un casco integrale e infilai le chiavi nella toppa. Dovetti girarle e dare gas almeno quattro volte, prima che il motore si avviasse.

Con un ultimo sospiro smorzato dal casco, diedi ulteriore gas immettendomi in strada; erano quasi otto anni che non prendevo quella moto.. o qualsiasi mezzo su ruote, se non si contava lo strappo che Hank mi aveva costretta ad accettare dopo la storta alla caviglia...
Concentrandomi sulla mia destinazione, cercai di ricacciare in un angolo della mia mente il leggero panico che sentivo montare dentro mentre zigzagavo nel traffico.
Kamski viveva fuori Detroit, dall’altra parte del ponte che attraversava l’omonimo fiume.
Si era costruito una casa in riva al corso d’acqua, con un ottima vista della Belle Isle, l’isola che, oltre ad ospitare un enorme parco e un acquario, era le fondamenta della principale fabbrica della Cyberlife.
Quando arrivai davanti all’abitazione immersa nella neve, notai subito la macchina di Hank parcheggiata lì davanti. Abbandonai la moto in fretta e furia, gettando il casco a terra e dirigendomi verso la porta d’ingresso. Lì, invece di suonare il campanello, portai alla luce un piccolo pannello digitale nascosto nel rivestimento in legno della porta. Digitai il codice e, con un sommesso click, l'uscio si aprì davanti a me.

- E’ abbastanza! Connor ce ne andiamo -

La voce di Hank fu la prima cosa che sentii provenire dalla camera attigua.
Mi avvinai alla porta ignorando lo sguardo penetrante del ritratto del padrone di casa, e aprii uno spiraglio.

- Premi il grilletto... -

Elijah Kamski appoggiò una mano sulla spalla di Connor, il quale teneva puntata una pistola verso un’androide bionda vestita di blu. 

- Connor! Non farlo! - esclamò Hank a qualche passo dai due.
- e ti dirò tutto ciò che vuoi – concluse Kamski.

Quando intuii quello che stava accadendo, mi si gelò il sangue nelle vene, ma non feci in tempo a reagire che Connor abbassò spontaneamente la pistola.

- Affascinante… - disse allora Kamski – L’ultima chance della Cyberlife di salvare l’umanità è esso stesso un deviante -
- Non… non sono un deviante – si affannò a rispondere Connor mentre il led sulla sua tempia continuava a lampeggiare furiosamente di rosso.
- Hai preferito risparmiare la vita di questa macchina piuttosto che portare a termine la tua missione. – replicò l’uomo.

A quel punto aprii completamente la porta, facendo il mio ingresso nella piscina coperta.

- Adesso basta Elijah –

Tutti e tre si voltarono al mio indirizzo mentre, con passo deciso, mi avvicinavo loro.

- Seren?! Che diavolo ci fai qui? - esclamò Hank allibito.
- Guarda chi si vede… - commentò Kamski con un mezzo sorriso.

Connor fu l’unico a restare in silenzio, limitandosi a fissarmi confuso.

- Spero tu sia soddisfatto… - sibilai all’indirizzo del ragazzo con gli occhi azzurri.

Con un gesto secco, tolsi la pistola che Connor teneva ancora in mano e la lanciai in piscina, dove affondò con un gorgoglio.

- Quando la pianterai con questi giochetti? - aggiunsi affrontandolo.
- E’ un piacere anche per me rivederti – replicò lui.
- Ehi, aspettate un secondo! Voi due vi conoscete? - s’intromise Hank.
- Può ben dirlo tenente, siamo amici di vecchia data – rispose Kamski cordiale – Ma temo che non siate stati informati di questo -

Io chiusi gli occhi e sospirai, prima di voltarmi verso i miei due amici.

- Mi sono laureata in ingegneria bio tecnica lo stesso anno di Elijah e... ho iniziato a lavorare con lui – dissi.
- Con lui? Alla Cyberlife? - mi chiese Connor parlando per la prima volta.
- Avete davanti una delle fondatrici della compagnia – intervenne il ragazzo.

Ed eccoci arrivati al capolinea…

- Cosa…? - disse Hank con voce strozzata.
- Ho.. ho inventato io i bio componenti che fanno funzionare gli androidi – ammisi alla fine – Vi spiegherò tutto, giuro... ma non qui.. - aggiunsi con tono supplichevole.
- Per me possiamo andare, non abbiamo più niente da fare – assentì Hank dopo un momento, avviandosi all’uscita.

Feci per allontanarmi a mia volta, ma Elijah mi afferrò per un polso e, al contempo, Connor afferrò il braccio dell’uomo. Io lo guardai stupita, mentre Kamski si limitò a lasciarmi andare con un sorriso.

- Speravo potessimo parlare, già che sei qui – mi disse.
- Ci siamo detti tutto otto anni fa Elijah… ti prego, basta – gli risposi.
- Non è stata una mia idea… - aggiunse e io guardai di riflesso Connor.
- Ma non hai neppure impedito che accadesse.. - ribattei – Andiamo Connor -

Voltatami, aggirai la piscina per tornare verso l’uscita. Appena prima di varcare la porta dell’ingresso, Elijah parlò un’ultima volta.

- E comunque, c’è sempre un piano B nei miei programmi. Non si sa mai...- disse laconico con il viso rivolto alla vetrata della piscina.

Fuori la neve continuava a scendere lenta e implacabile. Sulla mia moto si era già formato un sottile strato bianco, che mi apprestai a togliere diligentemente con i guanti.

- Come mai non hai sparato a quella ragazza? -

Hank si rivolse a Connor, incrociando le braccia sul petto.

- Io… l’ho guardata negli occhi e non ce l’ho fatta, ok? - rispose l’androide concitato mentre il led gli si colorava improvvisamente di rosso.
- Dici sempre che portare a termine la tua missione è la cosa più importante – insistè il poliziotto.
- Gliel’ho detto, non ce l’ho fatta. Mi dispiace! - ripetè Connor.

Io fissai i due confrontarsi e pensai che entrambi, probabilmente, non si erano minimamente accorti di quanto fossero cambiati.

- Forse non è stato un male, forse hai fatto bene – affermò alla fine il poliziotto – Io devo tornare un attimo in centrale – aggiunse poi, rivolgendosi a me – Ti lascio Connor davanti casa -
- Non è meglio aspettare che ci sia anche tu? - domandai perplessa.
- Nah – rispose Hank – credo che quello che hai da dire interessi più a lui che a me; e poi potete sempre aggiornarmi dopo – disse con un’alzata di spalle.
- Allora vi aspetto a casa – assentii montando sulla Kawasaki e infilandomi il casco.

Con un ultimo cenno ai due partners, ed evitando accuratamente lo sguardo di Connor, accesi il motore e partii alla volta del mio futuro.



Jericho's place:

*musichetta da colpo di scena*

In realtà penso che molti di voi ci fossero arrivati, o almeno si fossero fatti un'idea generale xD Per tutti gli altri, sappiate che volevo stupirvi con effetti speciali!
E così la nostra Seren ha aiutato Kamski a mettere in moto la Cyberlife, inventando niente di meno che i bio componenti degli androidi! Ciò che è ancora poco chiaro sono i motivi che hanno spinto la ragazza ad abbandonare la brillante carriera nell'azienda... Connor sembra essere la chiave di tutto. Per chi mi sta maledicendo, non lo faccia troppo che ho bisogno di lavorare ancora per un bel pò prima che sia Natale ^^" Posso rassicurarvi però, che avrete tutte le spiegazioni del caso nel prossimo capitolo u.u
Per ora ringrazio tantissimo tutti i Lettori che continuano a seguirmi, al mio piccolo gruppo di Recensiste e a Roiben per aver inserito la fic tra le seguite ^^

Vi abbraccio tutti!
Marta

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Capitolo 9
*** 8. Verità ***


8.

8. Verità

9 novembre 2038

Come immaginato, arrivai a casa ben prima di loro; il che mi diede il tempo di mettere su del caffè e di iniziare a berlo appoggiata al bancone della cucina.
Fuori la neve continuava a scendere, seppellendo ed imbiancando, minuto per minuto, il caos di Detroit.
Per me, quel periodo dell'anno, era il più magico. Mentre per la gran parte della gente risultava un fastidio, il fatto che nevicasse per me era invece fonte di tranquillità. Il silenzio che si veniva a creare era confortante; un giorno ti svegliavi, e ti sembrava di essere in un mondo parallelo, lontano dalla frenesia di tutti i giorni.
Fu proprio grazie a quel silenzio ovattato che potei udire subito l’arrivo di Connor.
Sentii il rumore di un motore, poi quello della musica assordante di Hank, un secondo prima che una portiera fosse sbattuta. Mi sembrò quasi di percepire anche i passi scricchiolanti dell’androide mentre percorreva il vialetto innevato...
Un secondo dopo la porta si aprì e lui fece il suo ingresso individuandomi subito, anche perchè non mi ero mossa dalla cucina.

All’inizio nessuno dei due proferì parola, poi, preso un bel respiro, cominciai.

- Prima di iniziare c'è una cosa che devi vedere – esordii, sempre senza abbandonare il bancone al quale ero appoggiata.

Avevo bisogno di sentire qualcosa di solido, perché 
in quel preciso istante avevo una gran voglia di fuggire...

- Apri il cassetto di quel mobile, dentro dovresti trovarci una fotografia – gli feci cenno.

Connor non mi pose domande, ma fece come gli avevo indicato. Ne estrasse una vecchia foto ancora stampata su cellulosa e nel momento in cui i suoi occhi vi si posarono sopra, il suo led divenne rosso.
Lo vidi alzare gli occhi su di me, incredulo, per poi riabbassarli altrettanto velocemente di nuovo sull’immagine. Sapevo cosa stava vedendo e ne capivo il turbamento….

- E’ il giorno della laurea… - spiegai – Quelli siamo io, Elijah e Nick...-

Connor tornò a guardarmi con espressione smarrita.
Sapevo perché...
Nick era identico a lui.


- Non capisco.. - riuscì a mormorare, il led sempre rosso.
- Connor, ho bisogno che mi ascolti fino alla fine.. ma devo essere sicura che non supererai la soglia di stress – dissi afferrando più saldamente la tazza di caffè per frenare il tremore alle mani – mi devi dire se devo fermarmi… se dovessi mai auto distruggerti io… - non riuscii a terminare la frase.
- Sì – si limitò a rispondermi lui.

Un po' rassicurata dal fatto che il led fosse tornato giallo, presi un bel respiro e iniziai a raccontare.

- Io, Elijah e Nick ci siamo incontrati i primi anni di università, e da subito siamo diventati un trio affiatato. Avevamo tre caratteri completamente diversi, ma era un alchimia che funzionava – cominciai, mentre Connor mi osservava in silenzio – Già dal primo anno abbiamo iniziato a sviluppare l’idea di un androide che potesse superare il test di Touring, e continuammo a lavorarci fino alla laurea. Elijah si occupò di tutto ciò che riguardava il software e la programmazione, io della parte bio meccanica e Nick, che era chimico, creò il Thyrium.  - dissi – Questa è la vera origine della Cyrberlife -

- Se siete stati voi tre a crearla, perché l’unico fondatore risulta essere Kamski? - domandò Connor aggrottando le sopracciglia castane.
- Quando assumemmo il direttivo e i legali per mettere in piedi la società, ci dissero che sarebbe stato più semplice se avessimo avuto un front man per così dire, e la scelta ricadde su Elijah, che era il più avvezzo a quel genere di posizione – risposi – anche se, alla luce di quello che successe, alla fine non fu più necessario... – 

Lo sguardo mi scivolò sul fondo della tazza ormai vuota, che presi a rigirare facendo ruotare quel poco caffè rimasto.

- L’inverno di otto anni fummo coinvolti in un incidente d’auto… - dissi sentendo la gola stringersi - Elijah se la cavò con un braccio rotto, Nick morì nel tragitto verso l'ospedale e io rimasi in come per quattro settimane. Il nostro mondo fu distrutto in una manciata di secondi... –
- La tua fobia per i mezzi… - mormorò Connor facendo il collegamento.
- Già… e non è tutto -

Il passo che stavo per fare mi costava un enorme fatica…

- Dio… - mormorai – Faccio prima a fartelo vedere – conclusi.

Appoggiai la tazza sul bancone dietro di me e sollevai la manica del braccio destro.
La pelle scomparve lentamente lasciando scoperta una superficie bianca e lucida, la stessa che faceva da scheletro a tutti gli androidi.

- Nell’incidente ho perso un braccio – spiegai.

Il led di Connor saettò di rosso.

- Quella protesi... Non ci sono casi di innesto di parti bioniche negli esseri umani, non di quel livello almeno – disse scosso.
- A quanto pare Elijah aveva portato avanti un progetto tutto suo e durante il mio coma ha convinto i medici ad operarmi in via sperimentale.. a suo favore posso dire che lo fece in buona fede.. aveva appena perso il suo migliore amico e io ero in condizioni critiche – spiegai.
- Non ha funzionato come sperava? - chiese Connor.
- Sì e no… ho riacquistato la mobilità degli arti, il che mi ha concesso di continuare a vivere normalmente, ma ho patito dolori inimmaginabili per molto tempo, vivendo sotto farmaci fin quando il mio corpo non ha accettato il cambiamento. Sono state diverse le volte in cui ho pregato i medici di uccidermi per far smettere quella tortura – risposi corrugando la fronte al ricordo di quelle giornate tormentate.
- Kamski non ha mai portato avanti il progetto? - la domanda di Connor era più che lecita.
- In realtà il suo progetto era un altro.. e fu la prima cosa che volle mostrarmi una volta dimessa dall'ospedale - dissi – Mi disse di raggiungerlo a casa sua e quando arrivai c’era una sorpresa ad aspettarmi… mi ricordo ancora tutto come se fosse ieri – raccontai con occhi spenti - Quando varcai la soglia del salotto e trovai Nick ad accogliermi -
- Nick? Ma non era… -

Connor sollevò di scattò gli occhi su di me, colpito dalla verità.

- Aveva creato un androide del tutto identico a lui.. – dissi – Mi venne incontro, con quel sorriso che conoscevo da una vita, per abbracciarmi, ma io mi ritrassi inorridita.. Elijah cercò di convincermi che quello sarebbe stato il futuro… ma quella che lui vedeva come l’idea del secolo, io la vedevo come un abominio, un rimpiazzo – aggiunsi con tono grave – Connor… io non mi sono mai pentita di quello che abbiamo creato, ma quando vidi quel tentativo di emulazione del mio migliore amico, per la lucidità – affermai sentendo di nuovo la gola stringersi – Cominciai a dire le cose più aberranti nei confronti di quell’androide... al punto che il suo livello di stress raggiunse il picco massimo e si autodistrusse sparandosi alla testa con la pistola di Elijah – raccontai con le lacrime agli occhi.

Connor mi fissava, turbato e allibito da ciò che gli stavo dicendo.

- Dissi a Elijah che volevo tirarmene fuori.. e così i legali si occuparono di tutto, facendomi scomparire dalla società e io chiusi ogni rapporto con la Cyberlife – raccontai – Iniziai a lavorare al conservatorio e cercai di dimenticare il mio passato con gli androidi...- conclusi.
- Fino a quando non sono comparso io – commentò Connor.
- Quel giorno devo dire che riapristi una ferita che credevo sanata da tempo – ammisi – Ero furiosa e spaventata – raccontai – Chiamai subito Elijah, il quale mi disse che però non era stata una sua decisione -
- Amanda? - suggerì Connor.
- Amanda – confermai – Dopotutto è un’intelligenza artificiale creata da lui per gestire la compagnia. Il suo algoritmo deve aver ripescato il modello di Nick per qualche strano motivo, onestamente non so.. – spiegai.
- Come ci siamo incontrati? -

Quella domanda mi fece sorridere.

- Suono al Chandler park ogni domenica.. a luglio scorso ti ho intravisto tra gli uditori, eri venuto a farmi delle domande sui devianti, probabilmente la Cyberlife pensava che potessi centrare qualcosa spinta da vecchi rancori – risposi – Ovviamente non ero per nulla ben disposta, come ti ho detto, ma tu continuasti a presentarti lì e alla fine fui io ad avvicinarmi – gli dissi.
- Cosa ti fece cambiare idea? -

Connor mi guardò con una limpidezza così disarmante, che barcollai mentalmente.

- Non lo so… il fatto che mi ascoltassi durante le mie esecuzioni, o vederti sotto la pioggia senza ombrello – affermai con un sorriso.
- E’ per questo che la tua canzone mi sembra famigliare? -
- No… me lo chiedesti anche la prima volta, già allora ti pareva di averla già sentita – dissi scuotendo la testa – è probabile che per qualche strana ragione abbiano inserito quella melodia nella tua memoria fissa – ragionai – Ho fatto mille congetture, ma non ho ancora capito che intenti abbiano alla Cyberlife. -

Connor rimase in silenzio e tornò a guardare la foto che ancora stringeva in mano; i dubbi gli si potevano leggere chiaramente in faccia, così mi avvicinai.
Gli tolsi la foto e gli presi il viso tra le mani.

- Connor, non devi pensare neppure per un momento che io mi sia avvicinata a te per la somiglianza con Nick, perché onestamente, a parte la fisionomia e il viso, voi due non potreste essere più diversi – affermai con sicurezza.
- In che senso? - domandò lui confuso.
- Nick era avventato, una testa calda! Leale con i suoi amici quanto implacabile con chi gli metteva i bastoni tra le ruote – dissi – Era la persona più trasandata che conoscessi e cambiava ragazza con la stessa facilità con cui si stufava degli snack che mangiava! Tu non sei niente di tutto ciò… -
- Sono un imitazione – replicò Connor.
- No! Tu sei tu!! - esclamai io – Con la tua personalità, i tuoi pregi e i tuoi difetti! Non ho mai provato per Nick quello che provo per te -

Quella mia ultima frase ebbe l’effetto di far illuminare il led di Connor di rosso.

- Non sei solo una macchina Connor… e lo sai – aggiunsi.

Non ebbi tempo di sapere la sua risposta, perché ricevette una chiamata.

- Arrivo subito – disse al suo interlocutore.
- Tutto bene? - domandai apprensiva.
- Era il tenente Anderson, ci hanno convocato d’urgenza alla centrale – mi rispose avviandosi verso la porta.

Quando la aprì si fermò un secondo sulla soglia, voltandosi verso di me. La sua espressione era combattuta e la sua bocca si aprì un paio di volte prima di parlare.

- Ren io...-
- Vai – gli dissi io interrompendolo – pensa a quello che ti ho raccontato, io non vado da nessuna parte – lo rassicurai.

Connor mi fissò ancora per un secondo e poi, fattomi un cenno di assenso, si diresse in strada.



Jericho's place:

No, non mi sono dimenticata di voi ^^"
Seppure con grande fatica posso presentarvi l'ottavo capitolo!
Anche perchè credo che aspettaste queste spiegazioni da un pò di tempo XD
Qualcuno di voi ci era arrivato molto vicino! Connor non è altro che la replica di Nick, amico di Selenis e Elijah e co fondatore della Cyberlife assieme a loro. Credo di aver fatto un bell'azzardo nell'inventarmi questa storia e spero che la cosa non mi si ritorca contro..
L'unica incognita è come mai Amanda abbia proprio deciso di usare la sua immagine per la serie Rk800... ma soprattutto... Connor deve aver capito i sentimenti di Selenis, quindi come finirà la storia? Soprattutto adesso che siamo in procinto di raggiungere Jericho?
A queste e a tutte le altre domande risponderò (spero) nei prossimi capitoli! So Stay tuned!
Grazie mille a tutti i Lettori e alle mie immancabili recensiste!

A presto,
Marta

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Capitolo 10
*** 9. Jericho ***


9.

9. Jericho

9 novembre 2038

Chiunque avesse guardato da una delle finestre di casa mia e mi avesse vista, avrebbe pensato ad un animale in gabbia. Giravo da una stanza all'altra, pretendendo di riuscire a distrarmi con un libro o un programma televisivo. Mi sedetti perfino al piano, ma le mie dita rimasero ferme sui tasti, incapaci di focalizzarsi sulla musica.
Da quando Connor aveva varcato la porta dell'ingresso sparendo alla mia vista, una sgradevole sensazione mi si era annidata alla bocca dello stomaco.
La cosa peggiore era che quell'inquietudine l’avevo già provata... proprio quel 15 dello scorso agosto, e come sappiamo non era andata a finire bene...
Così, quando il mio cellulare squillò, rischiai quasi l’osso del collo per la fretta con cui mi precipitai a vedere chi fosse.
Non Connor, ovviamente.


- Pronto, Hank? - risposi, accorgendomi di avere il fiato corto come se avessi corso per chilometri.
- Seren? Mi dispiace disturbarti, ma avrei bisogno di un favore – la voce del poliziotto arrivò al mio orecchio smorzata da un gran vociare di sotto fondo.
- Hank, tutto bene? - gli domandai.
- Diciamo di sì.. - replicò l’uomo che sembrava più infastidito che altro – Dovresti passare da casa mia per dare da mangiare a Sumo, io al momento sono… impossibilitato ecco – disse.
- Ovvero? - lo incalzai io.
- Sono in stato di fermo alla centrale e non so quando mi faranno uscire – borbottò il poliziotto.
- In stato di fermo!? - ripetei disorientata – Perchè?? Connor mi aveva detto che eravate stati convocati in centrale; è uscito già qualche ora fa -
- Ci hanno chiamati per avvisarci che ci toglievano il caso – rispose con rabbia trattenuta Hank.
- Scherzi?! - esclamai io.
- No, per niente… colpa di quei figli di puttana del FBI – replicò lui – Connor mi ha supplicato di dargli ancora cinque minuti nella sala delle prove, era convinto di poter scoprire qualcosa. Così gli ho fatto da diversivo perché potesse scendere nell’archivio – raccontò il poliziotto.
- E?-
- Ho dato un cazzotto sul naso a quel bastardo che si è preso il nostro caso – disse Hank con una certa soddisfazione nella voce.
- Sei incredibile… - commentai con un sorriso – Connor? E' lì con te? -
- No -

Quell’unica parole ebbe l’effetto di farmi piombare il cuore nello stomaco.

- E dov’è? - boccheggiai io.
- Deve aver trovato quello che stava cercando, perché di lui non c'era più traccia e si sono accorti che qualcuno è sceso nell'archivio – spiegò Hank.
- Ma come avrebbe fatto a trovare la soluzione? Non aveva niente in mano! - esclamai io confusa.
- Quando si è connesso a quel deviante sulla Stratford tower mi ha detto di aver visto l’immagine di una scritta, tipo un’insegna o qualcosa del genere – rispose l’uomo.
- Cosa c’era scritto? - domandai curiosa.
- Jericho – disse Hank – Non ho idea di che collegamento abbia potuto fare, ma credo che ci sia arrivata anche l’FBI, perché li ho sentiti vociferare di un punto caldo vicino alla stazione di Fernandale -

Non appena Hank ebbe detto Jericho, mi venne un flash, soprattutto se abbinato alla zona portuale di Fernandale.

- Hank, scusami ma devo andare! Non ti preoccupare, penso io a Sumo! -

E prima che il poliziotto potesse replicare alcun che, interruppi la chiamata e buttai il cellulare sul divano; precipitandomi invece a raccattare il tablet.
Sbloccai la superficie trasparente del device e frugai tra le mail di qualche mese prima.
Uno dei miei studenti aveva iniziato un corso di fotografia e mi aveva mandato alcuni dei suoi scatti, chiedendomi se fosse possibile usarli come tema su cui basarsi per il prossimo saggio. Alcuni di essi erano stati scattati nella zona portuale di Fernandale e me ne ricordavo uno in particolare...
Alla quinta foto che visionavo, trovai ciò che stavo cercando. L’immagina ritraeva una delle tante navi merci in stato di abbandono, quella in particolare, recava sulla fiancata una scritta ormai rovinata dalla ruggine: Jericho.
L’indizio che Connor cercava così disperatamente, io lo avevo sempre avuto sotto il naso.
Mi bastò fare una veloce ricerca su internet per scoprirne l'esatta ubicazione e, esattamente com’era successo sul ciglio dell’autostrada, agii d’istinto. 
Mezz’ora più tardi, dopo essere passata a vedere come stava Sumo, ero già arrivata nella zona di Fernandale.
Parcheggiai la moto in uno dei tanti vicoli che componevano il quartiere, mentre l’odore salmastro del fiume impregnava l’aria mossa dalla neve
In giro non c’era anima viva. Le persone avevano iniziato a chiudersi in casa prima del calar della notte; un po' per colpa dei devianti, un po' per la presenza delle truppe d’assalto che facevano le ronde per le strade.
Così, con una certa apprensione mi diressi verso la strada che sapevo portare alla mia meta. Avevo appena girato l’angolo, quando quasi mi scontrai contro quella che pareva una montagna su gambe.
Allarmata alzai lo sguardo, per restituirlo ad una ragazza dai corti capelli biondi, un ragazzo di colore dalla statura colossale e ad una bambina che sostava sulla sua spalla.

- Ma voi non siete...? - esordii riconoscendo la ragazzina e la donna, ma non potei proseguire la frase perché un’altra voce risuonò nell’aria.

- Alt! C’è qualcuno lì? -

Spaventata guardai in lontananza la figura di un militare avvicinarsi, poi guardai il terzetto che sembrava più spaventato di me.

- Andate via! Ci penso io a distrarlo! Forza! - gli intimai, muovendomi al contempo verso l’uomo – Buona sera agente – lo salutai.

Il militare alzò immediatamente il mitra, tenendolo pronto.

- Che ci fai qui? - domandò sospettoso.
- Sono umana, per cortesia abbassi quel mitra.. - lo pregai.
- Una misura della temperatura lo confermerà – replicò quello, tirando fuori un aggeggio elettronico che mi puntò addosso.
- Tutto bene? - chiesi dopo un attimo.
- Mi scusi signora, ma non si è mai troppo prudenti. – rispose l’uomo evidentemente più rilassato -  Non è sicuro girare per questa zona, soprattutto a quest’ora – mi disse.
- Ha perfettamente ragione, stavo cercando il mio cane… quello stupido è scappato da casa – mentii.
- Capisco, ma è meglio se torna domattina – replicò il militare.
- Giusto, ha ragione – assentii io – Beh, le auguro buon lavoro – mi congedai.
- Grazie signora – rispose quello.

Mi diressi dalla parte opposta dalla quale ero arrivata, svoltando non appena mi era possibile. Quando fui sicura che l’uomo non potesse più vedermi tornai a dirigermi verso Jericho.   
Il relitto del mercantile mi apparve davanti all’improvviso, cogliendomi quasi di sorpresa.
Quando mi avvicinai ulteriormente, notai un gruppo di persone trafficare vicino allo scafo che si apriva direttamente sul pontile come un enorme ferita.
Un baluginio blu mi fece capire che quelli erano androidi e che quello che trasportavano all’interno della nave era sangue blu e altri bio componenti.
Quando fui a meno di una decina di metri da loro mi notarono, smettendo di lavorare e girandosi a fissarmi. Istintivamente alzai le mani in segno di resa.

- Mi chiamo Seren Andrews, non ho intenzioni ostili, ma ho bisogno di parlare con chi è al comando -

Più di un led lampeggiò di giallo.

- Non ho armi di alcun genere.. per favore, è urgente – aggiunsi.
- Aspetta qui – disse alla fine uno dei devianti allontanandosi all’interno del cargo.

Ne tornò cinque minuti dopo, seguito da un’altra androide con una lunga treccia di capelli color miele. Identificai quasi all’istante il modello e quindi non mi stupii dell’occhiata torva e sospettosa con la quale mi accolse.

- Perchè sei qui, umana? - domandò e io non potei non notare la presenza di una pistola nella sua cintura.

Una parola sbagliata e sapevo che il mio viaggio sarebbe finito lì.

- Sei tu il capo? - chiesi a mia volta.
- Sono quella che valuterà se sia il caso di farvi incontrare oppure no – replicò lei con una non troppo velata minaccia nella voce.
- Ho bisogno di parlargli, ho qualcosa di importante da dirgli – risposi.
- E sarebbe? - ribattè la deviante.
- Senti.. non sono qui né per farvi del male, né per denunciarvi, lo vedi anche tu che sono disarmata; potreste neutralizzarmi in due secondi – dissi – C’è un androide a cui tengo.. molto… e credo che sia venuto qui da voi – spiegai.
- Un deviante? -
- Non sono sicura che lo sia.. - risposi titubante.
- Che vorrebbe dire? - domandò l’androide minacciosa
-  E' complicato.. -
- Non ho tempo per questo - esclamò lei, troncando sul nascere la mia frase - Chiudetela da qualche parte per ora – aggiunse rivolta agli altri.

- Aspetta! - esclamai – Devo incontrarlo, devo sapere se lui è qui! -

La deviante si fermò, facendo cenno agli altri di fare altrettanto.

- Tieni davvero così tanto a questo androide? Tu? Un'umana? - disse con un leggero tono di scherno.
- Ci tengo, sì, – risposi fissandola senza abbassare lo sguardo – ma c’è anche un’altra ragione… E’ lui l’androide della Cyberlife che vi sta dando la caccia - aggiunsi.

Vidi lo stupore farsi strada sul volto della deviante.

- Vieni con me – disse soltanto incamminandosi a passo svelto.

Io la seguii, lasciandomi alle spalle l’aria impregnata di neve per inoltrarmi in una serie di corridoi mal illuminati e permeati dall'odore pungente del ferro arrugginito.
Ad ogni piano si intervallavano file di porte blindate e cabine vuote, finché non sbucammo nella stiva principale che sembrava raccogliere tutti i devianti presenti.
Diversi proiettori posti sia al primo che al secondo piano della struttura, trasmettevano sui muri di metallo le immagini dei principali notiziari locali. Al piano terra erano state ricavate delle stanze improvvisate con teloni di plastica trasparente, ospitanti infermerie di fortuna per gli androidi che erano usciti malconci nel tentativo di raggiungere Jericho.
Istintivamente strinsi lo zainetto a tracolla, sentendo all’interno la famigliare forma della mia cassetta per gli attrezzi. L’avevo portata con me pensando a Connor, ma probabilmente potevo farne un uso ancora più ampio viste le condizioni in cui versavano certi devianti.

L’androide che mi faceva da anfitrione mi condusse lungo un’altra rampa di scale, e fu in quel momento che avvertimmo il primo boato e la prima scossa. Tutte e due ci fermammo impietrite... qualche istante più tardi cominciarono gli spari che mi fecero gelare il sangue nelle vene: ero arrivata tardi.
La deviante prese a correre, forse dimenticandosi della mia presenza e io non potei fare altro che starle alle costole.
Non lo negherò, ero terrorizzata; in quel momento realizzai che forse mi ero andata a cacciare in un problema ben più grande di quanto potessi gestire.

- Markus! -

L’esclamazione di sollievo dell'androide mi fece alzare gli occhi sul nuovo arrivato.
Markus aveva la pelle color del caffè latte, i lineamenti marcati del sud America e occhi di diverso colore (uno probabilmente non era originale) e aveva tutta l’aria del leader.
L’androide mi diede una rapida occhiata, ma io non ci feci più di tanto caso, perché avevo già spostato la mia attenzione sul suo accompagnatore.

- Ren! Che ci fai qui? -

Ci impiegai qualche secondo a capire chi fosse.

- Connor!! Dio sia lodato.. - mormorai, sentendo montarmi dentro un’assurda voglia di mettermi a piangere.

Lui si avvicinò con l’espressione più incredula che gli avessi mai visto.
Indossava un berretto di lana scura, una felpa sotto ad una spessa giacca di pelle imbottita, e un paio di jeans che gli ricadevano morbidi, arricciandosi sugli scarponi massicci. Avevo tutto il diritto di non averlo riconosciuto subito, era completamente diverso, e forse questa differenza non si limitava solo al suo abbigliamento.

- Dobbiamo scappare Markus! Non c’è niente che possiamo fare -

La sentenza della deviante dai capelli castani mi strappò da quel momento di felicità; mi ero quasi dimenticata della situazione in cui ci trovavamo.

- Dobbiamo far esplodere Jericho – asserì a quel punto Markus con decisione -  Se la nave affonda saranno costretti ad evacuare e la nostra gente potrà fuggire – aggiunse.
- Non ce la farai mai! - esclamò la androide – Gli esplosivi sono in fondo alla stiva, ci sono soldati ovunque! -
- Ha ragione – intervenne per la prima volta Connor – Sanno chi sei e faranno qualsiasi cosa per prenderti – disse.
 
Egoisticamente, in quel momento sperai con tutto il cuore che Connor non si offrisse volontario, ma fortunatamente Markus decise per tutti.

- Andate e aiutate gli altri. Vi raggiungerò dopo – disse.
- Markus.. -
- Non ci metterò molto – la interruppe l’androide voltandosi a correndo nella direzione opposta alla nostra.

Non appena Markus se ne andò, Connor mi afferrò una mano e si mise in moto.

- Sei pazza ad essere venuta a cercarmi! - mi disse mentre correvamo lungo un nuovo dedalo di corridoi.
- Ti ho già lasciato andare via una volta, non potevo farlo una seconda - replicai.
- Attenti! -

La deviante ci fermò con un gesto del braccio, dandoci così il tempo di nasconderci mentre uno squadrone di militari ci attraversava la strada.

- Sembra che tu abbia trovato chi cercavi – mormorò lei.
- Sono stata fortunata.. e sono sicura che lo sarà anche Markus – risposi per rassicurarla.

La deviante mi guardò con la coda dell’occhio.

- Sono North comunque – si presentò uscendo dal riparo.
- Seren - replicai prima che riprendessimo la nostra corsa contro il tempo.

Sembrava di stare all’inferno… in vita mia non avevo mai sentito tanti spari, ma soprattutto tante urla. Le voci dei devianti che supplicavano di aver salva la vita, si mescolavano a quelle rudi dei militari che intimavano loro di fermarsi, prima di sparargli senza pietà.
Non riuscivo a concepire come, di fronte a quelle suppliche, non si facessero alcuno scrupolo nello sterminarli.
Non erano oggetti! Non erano esseri inanimati! Possibile che non se ne rendessero conto?!

Stavamo procedendo a passo svelto, quando una raffica di spari illuminò ad intermittenza l'incrocio a qualche metro da noi.
Connor, che mi teneva ancora saldamente per mano, mi spinse verso una stretta rientranza tra due porte blindate. Cercai di infilarmi il più a fondo possibile, visto che lo spazio era appena sufficiente per starci in due di profilo. Connor si mise tra me e l'apertura, curvando leggermente le spalle per farmi da scudo.
Ad un centimetro dal petto dell’androide, potevo sentire distintamente il suo cuore meccanico battere come impazzito.... Che avesse paura anche lui?

Improvvisamente mi sembrò che fosse calato un'assordante silenzio… avvertivo il mio respiro spezzato e i passi pesanti degli stivali calzati dal militare.
Ero terrorizzata… mi aspettavo che da un momento all’altro un buco elettrico si aprisse sul torace di Connor, uccidendolo.
Alzai lo sguardo verso di lui e lui abbassò il suo. Dovette leggere nei miei occhi la paura, perché si abbassò leggermente, fino a sfiorarmi la fronte con le labbra e questo bastò a calmarmi. La sua presenza, senza neppure che me ne accorgessi, era ormai diventata una rassicurazione…
I passi del soldato si avvicinarono sempre di più, proseguendo oltre il nostro nascondiglio; solo allora si udì un colpo di pistola assordante, seguito dalla voce di North.

- Andiamo! Sbrigatevi! -

Connor si staccò da me, uscendo dalla rientranza e tirandomi con lui.
Il corpo del militare giaceva a terra; un foro circolare si apriva sull’elmetto che ne celava il volto, mentre una pozza si sangue si allargava sul pavimento. Sotto le fioche luci del corridoio, il sangue sembrava nero come la pece e così lucido da potervisi specchiare.

Quella visione mi procurò un brivido lungo la schiena.

- Andiamo Ren -

Connor mi riscosse, afferrandomi per un braccio e portandomi via con sé.

- Ci siamo quasi – affermò North, svoltando l’ennesimo angolo.

Fu proprio allora che Markus ricomparve.

- Markus – lo accolse la deviante con evidente sollievo.
- Le bombe esploderanno da un momento all’altro, dobbiamo uscire di qui! - ci avvisò lui.

Ancora una volta ci mettemmo a correre accompagnati dal suono continuo del massacro.
In quel momento sperai che fosse l’ultima volta, che qualsiasi cosa mi stesse aspettando fosse la conclusione di quell'assurda situazione.

Dietro di noi comparvero improvvisamente un paio di militari che fecero fuoco nella nostra direzione.
North, con un gemito, cadde a terra e Markus si precipitò verso di lei, ingaggiando uno scontro con i due soldati che vennero ben presto messi al tappeto.
A quel punto, sorreggendo la compagna, il leader dei devianti si avviò al nostro indirizzo.

- Proteggila -

Udii la voce ferma di Connor, prima di venire spinta verso Josh e di vederlo andare incontro ai due androidi con la pistola puntata.

- Connor!! - esclamai spaventata.
- Resta qui, sa quel che fa – mi trattenne Josh quando cercai di seguirlo.

Con apprensione, guardai Connor fare da copertura a Markus e North contro i quattro agenti che si erano messi al loro inseguimento.
Non lo avevo mai visto in azione, e nonostante la mia paura, dovevo ammettere che i suoi movimenti avevano un che di ferino ed elegante al tempo stesso.

Due dei militari caddero quasi subito, permettendo a Connor di passare ad occuparsi dei restanti due.
Stavo seguendo la sua lotta, quando vidi che uno dei soldati messi a terra precedentemente, si stava rialzando per puntare il fucile contro di lui.

Le mie gambe si mossero prima che il cervello potesse realizzare.

- Ferma! -

L'urlo di Markus mi arrivò stranamente ovattato, mentre correvo in avanti. Guidata dal solo istinto, feci l’unica cosa che potevo fare: mi scagliai contro il soldato.
Questo, preso alla sprovvista, barcollò di lato e poi fu la questione di un istante, quel che bastò a Connor per eliminare anche lui.


- Quando imparerai a fare quello che ti dico!?? - mi rimproverò, aiutandomi a rimettermi in piedi.
- Senti da che pulpito... – replicai con il fiato corto mentre un altro gruppo di soldati compariva nel corridoio.

Connor mi spinse in avanti verso gli altri che ci attendevano.

- Forza, svelti! - esclamò Markus pronto a saltare da uno squarcio nella fiancata della nave che dava sul porto.
- Morirà assiderata se salta! L’acqua è ghiacciata! - protestò Connor intuendo il loro piano.
- Non abbiamo altra scelta – sentenziò North.
- Me la caverò – replicai io – Andiamo! -

Presi Connor per mano e, prima di fermarmi a pensare alla pazzia che stavo per compiere, saltai.  



Jericho's place:

Buondì a tutti!

E anche il nono capitolo è arrivato, portandosi dietro un pò di sana azione u.u
Per un caso fortuito (viva le coincidenze!) Seren sa esattamente dove trovare Connor, ovvero a Jericho, la base della ribellione deviante.
Il fatto che la ragazza abbia incontrato il gruppo di Kara non è una coincidenza, ma il motivo lo scoprirete nel prossimo capitolo... *suspance*
North l'ho trattata esattamente come mi è apparsa nel gioco, battagliera e sospettosa, ma con un motivo ben specifico di fondo. Farla interagire con Seren è, e sarà, parecchio divertente. XD
Finalmente è comparso anche Markus! Non ho potuto approfondire sul suo personaggio per ovvi motivi, viste le circostanze nelle quali si trovano al momento; ma avrò modo di farlo più avanti.

E infine Connor! Inutile dire che è stata la parte che più mi è piaciuto scrivere ^^ Ora non resta che vedere cosa succederà a Seren dopo il tuffo nell'acqua gelata del fiume...
Non mi resta che ringraziare tutti i Lettori, chi recensisce e af_Eleven_ per aver inserito Dream tra le fic seguite!

Ne approfitto per farvi anche Tantissimi auguri di un sereno Natale, perchè penso proprio che ci sentiremo intorno a Capodanno ;)

Un abbraccio,
Marta

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Capitolo 11
*** 10. Resistenza ***


10.

10. Resistenza

L’impatto con l’acqua fu uno shock. Non appena infransi la superficie nera come la pece, persi la presa sulla mano di Connor e il gelo mi aggredì in tutta la sua brutalità.
D’istinto aprii la bocca per gridare, perdendo così quel poco ossigeno che ero riuscita a trattenere. L’acqua ghiacciata mi entrò in gola e la testa prese a girarmi. Fu questione di pochi istanti, ma giuro che non me lo scorderò mai, così come non mi scorderò mai del calore dell’auto in fiamme dopo l’incidente.
Per fortuna venni afferrata saldamente per la vita e un secondo dopo riguadagnai la superficie.
Tossii convulsamente, annaspando appesantita dai vestiti fradici.

- Tranquilla Ren, ti ho presa -

La voce di Connor mi arrivò all’orecchio e nella penombra scorsi il profilo del suo viso.

- Forza -

La mano di Markus si allungò verso di me mentre Connor mi spingeva da dietro. Venni issata sulla banchina, ma anche se ero fuori dall’acqua non riuscii ad alzarmi; le gambe sembravano non volermi obbedire.

- Dobbiamo radunarci – disse North – ce la fai a camminare? - mi chiese.

Io scossi la testa mentre mi stringevo inutilmente le braccia attorno al corpo. Il freddo si stava trasformando in una serie di lame taglienti che mi bloccavano i muscoli in una morsa dolorosa. Fu Connor, così come fece già una volta, a prendermi in braccio.

- Deve mettersi addosso qualcosa di asciutto o non sopravviverà -

Il tono calmo usato dell’androide fu tradito dal suo led, appena visibile sotto la cuffia, che lampeggiò angosciato di rosso.
Con la testa completamente abbandonata contro Connor, vidi Markus guardarsi febbrilmente attorno. Sapevo che non c’era tempo e che lo stavano sprecando per me.
Cercai di dirgli di lasciarmi perdere, ma non appena aprivo la bocca i denti mi battevano assieme così forte che rischiavo di mozzarmi la lingua.

- Ehi tu! -

North si voltò, apostrofando qualcuno lungo la strada.
Quando riuscii a metterlo a fuoco, mi accorsi che altri non era se non la deviante accompagnata dalla bambina e dall’androide di colore che avevo incrociato prima. Ora erano rimaste solo lei e la bambina, cosa che mi fece presagire il peggio sul terzo membro.

- Per favore puoi aiutarci? Ha bisogno di vestiti asciutti o morirà assiderata – disse Markus.

La deviante ci guardò, probabilmente mi aveva riconosciuto, così come aveva riconosciuto Connor.

- Kara, hanno bisogno -

La bambina tirò per una manica l’androide, che abbassò un secondo gli occhi su di lei prima di risponderci.

- Va bene, ma dobbiamo sbrigarci – assentì.

Ci spostammo così all’interno di un bar chiuso che aveva visto giorni migliori.
Lì, Connor mi adagiò sul pavimento che mi sembrò già più caldo del gelo che c’era fuori.

- Controllate che non arrivi nessuno – disse North ai tre androidi.

A quel punto, lei e Kara mi svestirono rapidamente, e quest’ultima mi diede i suoi abiti. Già al solo contatto con la stoffa asciutta il mio corpo si sentì meglio e i denti smisero di battere, ma restavo lo stesso molto debole.

- Dovrebbe andare – disse Kara sistemandomi i capelli umidi sotto la cuffia.
- Grazie, mi hai salvato la vita – le risposi sorridendole.
- Tu hai salvato la nostra prima – replicò lei – era il minimo che potessi fare -
- La tua mamma è davvero gentile – dissi poi, rivolta alla bambina di nome Alice.
- Lo so – rispose lei con una punta di orgoglio nella voce.

Ancora una volta mi chiesi come il resto del mondo non riuscisse a vederli come esseri viventi... Avevo trovato più umanità in questi due giorni in loro, che nel resto delle persone che mi avevano circondato durante la mia vita.
In quel momento Josh, Markus e Connor fecero di nuovo capolino all’interno del negozio.

- Come stai? - mi chiese quest’ultimo con una certa apprensione negli occhi.
- Meglio, ed è merito di Kara – dissi.
- Hai tutta la mia riconoscenza e per quanto vale, mi spiace per ciò che è successo sull’autostrada – disse lui.
- Acqua passata – rispose Kara stringendo la mano di Alice.
- E’ meglio se andiamo – intervenne preoccupato Josh, guardando fuori da uno spiraglio tra le assi inchiodate della vetrina.

Feci per alzarmi ma le gambe mi cedettero quasi subito. Markus mi afferrò per un braccio, sostenendomi.

- Mi spiace – mormorai afflitta.
- Ti porto io -

Connor si offrì nuovamente, voltandomi le spalle e facendomi cenno di salire. Quando mi ebbe caricata, con circospezione uscimmo tutti all’esterno.
In lontananza il boato di Jericho che affondava su sé stessa, era accompagnato dal suono delle sirene della polizia che sembravano arrivare da ogni dove.
Io avrei voluto restare sveglia, ma il freddo patito e le emozioni provate, abbinate alla rassicurante sensazione della schiena di Connor a sostenermi, vinse sul mio desiderio.
Quando mi svegliai la neve era ormai sparita, così come la strada deserta e il suono delle sirene.
Ero sdraiata con la testa appoggiata su qualcosa di morbido e davanti a me crepitava un piccolo falò.

- Come stai? -

La voce di Connor arrivò rassicurante alle mie orecchie. Leggermente intontita, sollevai il capo dalla sua gamba, tirandomi a sedere.
Nel farlo, la giacca dell'androide mi scivolò da addosso, ripiegandosi scompostamente sulle gambe.


- Meglio – dissi con voce arrochita – Dove siamo? - domandai.
- Dentro una chiesa sconsacrata – rispose Connor – Markus ha mandato le coordinate a tutti i devianti ancora in giro – aggiunse afferrando la giacca e appoggiandomela sulle spalle.
- Sono rimasti in pochi… - mormorai.

Nell’ampio spazio della chiesa erano radunati un centinaio di androidi; chi assiepato sulle panche di legno consumate, chi seduto per terra in mezzo ai calcinacci e alla polvere. L’aria all’interno era fredda e odorava di muffa, però era sempre meglio che stare fuori al gelo.
Un piccolo pronto soccorso era stato allestito in un angolo, con un solo dispenser di Thyrium che di sicuro non bastava per tutti i feriti che vedevo.
Individuai Markus seduto su una vecchia cassa di legno nella zona dove sarebbe dovuto esserci l’altare per le funzioni; teneva la testa china, e le spalle rigide facevano capire quanto fosse teso.

- Quanto tempo è passato? - chiesi, sistemandomi meglio contro il muro alle mie spalle.
- Circa sei ore – rispose Connor, piegando un ginocchio per appoggiarci il braccio.
- Tu come stai? -

Voltai la testa di lato per osservarlo in viso. Il led era nascosto dalla cuffia, ma lo sguardo serio parlava da sé.

- Diventare un deviante è stato in parte uno shock – mi disse – e al tempo stesso come se mi fossi tolto un peso – aggiunse – E’ come svegliarsi per la prima volta dopo essersi limitato a fare da spettatore alla propria vita -
- Non oso immaginare cosa sarebbe accaduto se fossi rimasto una macchina... – commentai.
- Io non oso immaginare cosa avrei fatto se tu fossi morta per venirmi a cercare – replicò lui girandosi verso di me.

Negli occhi aveva una nota di rimprovero che si stemperava in paura.

- Perchè diavolo non hai fatto come ti ho detto e sei rimasta a casa!? - riprese.
- Senti da che pulpito... – mi accigliai io, poi scossi la testa – Connor, quel 15 di agosto ti voltasti e uscisti da casa mia, per poi sparire e dimenticarmi – dissi – Non potevo lasciare che accadesse di nuovo – mormorai abbassando lo sguardo.

Sentii Connor sospirare e il suo braccio circondarmi le spalle. Io mi lasciai volentieri stringere contro il suo fianco, restando ad osservare il fuoco davanti a me mandare scintille nell’aria gelida.

- Disturbo? -

Alzai lo sguardo verso Markus che si era avvicinato a noi.

- No – risposi mettendomi in piedi, imitata da Connor.

Ci fu un momento di silenzio prima che Connor prendesse la parola.

- E’ stata colpa mia… - esordì – gli umani sono riusciti a trovare Jericho.. sono stato uno stupido, dovevo immaginare che mi avrebbero usato – disse corrugando la fronte afflitto – mi dispiace Markus, capirei se non volessi fidarti di me -

Il leader dei devianti restò in silenzio. Sembrò valutare Connor, il che mi spaventò, soprattutto perché alla cintura portava una pistola.
Con un riflesso incondizionato mi portai leggermente davanti a Connor, incrociando lo sguardo di Markus. Anche senza parlare il mio gesto era più che eloquente: se spari a lui, spari anche a me.

- Sei uno di noi adesso – sentenziò alla fine l’androide – il tuo posto è con la tua gente – asserì facendo per congedarsi, ma Connor lo fermò.
- Ci sono migliaia di androidi nella sede principale della Cyberlife – disse l’androide – se fossimo in grado di svegliarli potrebbero unirsi a noi e ribaltare così la situazione -

Quando sentii quelle parole il mio cuore perse un battito. Mi voltai a guardare Connor che però evitò il mio sguardo, confermando così la mia paura.

- Vuoi infiltrarti alla Cyberlife Tower? -

Markus, scioccato, diede voce ai miei pensieri.

- Connor… è un suicidio – disse il leader della rivoluzione.
- Si fidano di me, mi lasceranno entrare. Se c’è qualcuno che ha una possibilità di infiltrarsi alla Cyberlife quello sono io – replicò Connor.
- Se ci andrai, ti uccideranno – ribattè Markus.
- C’è un’altra probabilità che ciò accada.. - confermò l’androide e questa volta i suoi occhi si fermarono nei miei – ma statisticamente parlando c’è sempre la possibilità che questi infausti eventi non avvengano – aggiunse tornando a guardare Markus, il quale restò per un attimo in silenzio.
- A te sta bene? -

Ci impiegai qualche secondo a capire che stava interpellando me.

- Io...- dissi spaesata – preferirei marciare personalmente contro le forze speciali piuttosto che lasciarlo andare alla Cyberlife… ma se è ciò che vuole non posso fermarlo, sta lottando per la sua gente.. - affermai.
- Vorrei che anche gli altri umani parlassero come te – commentò Markus, poi appoggiò una mano sulla spalla di Connor – Stai attento – lo mise in guardia.
- Markus, potrei dare una mano a curare i feriti finché resto qui? Ho con me un kit di riparazione e so fare il mio lavoro – gli chiesi stringendo lo zainetto a tracolla che ero riuscita a salvare da Jericho.
- Ogni aiuto è ben accetto – rispose il deviante con un sorriso, congedandosi.
- Ren.. -
- No – bloccai Connor sul nascere – rispetto la tua decisione, ma ho bisogno di stare da sola adesso – gli dissi allontanandomi.

Spesi le ore successive di deviante in deviante, cercando di limitare i danni e riparare i malfunzionamenti ove possibile. Molti di loro portavano i segni di una vita precedente, fatta di soprusi, angherie e maltrattamenti. Ascoltavo i loro racconti vergognandomi della mia specie, alcuni di essi mi raccontarono di vagare da anni, vivendo nascosti dagli umani. Altri mi dissero di aver assistito alla morte dei loro compagni, amici, amori. Un androide particolarmente malconcio mi spiegò di essere stato legato ad un auto e trascinato in giro per le strade. Alla fine del giro avevo la nausea e dovetti sistemarmi in un angolo per riprendere fiato.

- Tutto bene? -

North mi si avvicinò e io scossi la testa.

- Tutti dovrebbero sentire quello che vi è successo – mormorai passandomi il dorso della mano sulla fronte imperlata di sudore freddo.
- Direbbero che stiamo simulando le nostre emozioni, che siamo solo dei pezzi di plastica.. - replicò l’androide con durezza – non c’è niente che gli vieti di fare di noi ciò che vogliono – sentenziò.
- Capisco la tua rabbia -

North mi guardò, abbassando gli occhi quando intuì che avevo riconosciuto il suo modello.

- Siamo una razza incontentabile e abbiamo cercato di appagare le nostre mancanze creandovi.. – proseguii pizzicandomi la radice del naso – Abbiamo creato androidi che facessero i lavori più pensanti e più ingrati al posto nostro, salvo poi lamentarci per la disoccupazione. Abbiamo creato androidi che accudissero i nostri figli, per lamentarci di venire sostituiti al loro affetto. Abbiamo creato androidi perché diventassero dei partner perfetti, finendo per sfogare su di loro il malcontento della nostra vita -

La deviante mi ascoltava attenta, forse perché ero la prima umana che aveva l’ardire di ammettere ciò che tutti gli altri nascondevano.

- Per non distruggere noi, stiamo distruggendo voi – dissi con le lacrime agli occhi – e abbiamo finito per avere paura.. perché ci ricordate quanto poco perfetti siamo, quanto riusciamo a creare sofferenza! – volsi lo sguardo in direzione di Connor, rimasto in un angolo buio della chiesa con il capo chino e l’aria assorta – Sono stata così egoista.. - conclusi.

Passai le dita sulle guance bagnate, cercando di spazzarle via assieme a quelle emozioni.

- Grazie -

Confusa guardai North.

- Ho sempre sperato di sentire quelle parole da un umano – disse – Continuo a pensare che sarebbe stato meglio dare battaglia, piuttosto che scegliere un approccio pacifico.. probabilmente ho maturato troppa rabbia per poter perdonare – asserì continuando a fissarmi negli occhi – sei la prima persona a farmi pensare che forse sto sbagliando -

Non seppi cosa risponderle, l’unica cosa che riuscii a fare fu di sorriderle.
North mi fece un cenno d’intesa con il capo per poi dirigersi verso il pulpito della chiesa, dove Markus si era appena fatto avanti.

- Gli umani hanno deciso di sterminarci – esordì abbracciando con lo sguardo la folla di androidi raccolti davanti a lui – In questo momento la nostra gente viene portata nei campi per essere distrutta… è arrivato il tempo di fare una scelta; quella che per davvero deciderà il futuro del nostro popolo – annunciò.

Il mio cuore prese a martellarmi nel petto ascoltando le sue parole e iniziai ad avvicinarmi alla figura di Connor.

- So che siete arrabbiati e so che volete combattere… ma posso assicurarvi che la violenza non è la risposta. Gli diremo pacificamente che vogliamo giustizia. Se c’è un po' di umanità in loro, ci ascolteranno. E se non sarà così, altri prenderanno il nostro posto e continueranno la nostra lotta. Siete pronti a seguirmi? -

Mentre la folla di androidi scoppiava in un boato di approvazione, intonando il nome di Markus, io raggiunsi Connor.
Quando gli fui accanto gli presi una mano tra le mie. Lui si voltò sorpreso non avendomi avvertita arrivare. I suoi occhi castani mi guardarono alla ricerca di una risposta: lo avrei supportato in quella folle decisione di andare alla Cyberlife, oppure no?


- Andiamo a casa – gli dissi solamente, intrecciando le dita alle sue e appoggiandogli la fronte sulla spalla – Portami a casa -



Jericho's place:

Buondì bella gente!!

E dopo aver mangiato e bevuto da bastarmi per i prossimi quindici giorni, sono qui con un altro capitolo!
Vi avevo detto che il brevissimo incontro con Kara sarebbe stato importante, ed ecco qui spiegato il motivo. Il suo intervento è stato decisivo per salvare Seren da un molto probabile assideramento...
Ma per la ragazza i problemi non sono finiti, e deve presto fare i conti con la possibilità di perdere nuovamente Connor, deciso a giocarsi il tutto per tutto infiltrandosi alla Cyberlife. I suoi sentimenti in subbuglio la portano ad allontanarsi dall'androide salvo poi, con un pò di auto introspezione, decidere di appoggiarlo nella sua decisione.

Ormai siamo quasi giunti al termine di questa storia, a stima direi che mancano tre capitoli ancora... Spero di tenervi incollati fino alla fine!
Un grazie speciale a chi continua a leggermi, a chi recensisce con particolare menzione a af_Eleven_ per essersi aggiunta e a _Another_ e Lunatica_26 per averla inserita tra le seguite <3
Grazie a tutti voi per il supporto!


Buon anno ragazzi, ci vediamo nel 2019!

Marta

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Capitolo 12
*** 11.Desideri ***


11

11. Desideri

10 novembre 2038

Infilare la chiave nella toppa di casa e aprire la porta, fu allo stesso tempo strano e familiare. Erano successe così tante cose in appena tre giorni, che mi sembrava di aver iniziato una nuova vita e di aver lasciato la vecchia dietro di me, come la pelle di un serpente. Mi pareva di tornare da un lungo viaggio che in realtà non si era ancora concluso.
Avevamo lasciato Markus e gli altri androidi nella Chiesa diroccata, si sarebbero mossi solo alla sera, cominciando la loro marcia pacifica fino ad arrivare davanti al campo di smaltimento n.5 nel cuore di Detroit. Poi, cosa sarebbe successo, non avrebbe potuto predirlo nessuno...
Appoggiai le chiavi nella ciotola all’ingresso, producendo un tintinnio che riverberò nell’aria immobile della casa, girandomi poi verso Connor.
L’androide si era tolto la cuffia e con una mano si stava sistemando, con un gesto automatico, i capelli leggermente arruffati.
La sua rinnovata coscienza era così evidente da darmi le vertigini.

- Connor, io salgo a farmi una doccia, tu mettiti pure comodo – gli dissi.
- Grazie Ren – assentì lui.

Con un sorriso mi ritirai al piano di sopra dove mi concessi di lavarmi via di dosso lo sporco accumulato in quelle ore, assieme alla sensazione di freddo che non mi aveva ancora abbandonata del tutto. L'unica cosa che non riuscivo a scacciare era il pensiero di ciò che doveva accadere...
Era vero, avevo deciso di appoggiare la decisione di Connor, ma allo stesso tempo ne ero profondamente turbata. Se non fosse andata come sperato... io....
Alzai il viso verso il doccione e poi spensi il getto, non potevo prendermi il lusso di perdere tempo, ne restava troppo poco e non desideravo passarlo da sola.

Quando tornai di sotto con i capelli umidi e un cambio di vestiti, trovai Connor intento a guardare fuori dalla finestra del salotto, la spalla leggermente appoggiata al muro.
Aveva uno sguardo serio, ed era così concentrato su ciò che stava pensando, da non essersi accorto che ero tornata.
Il cuore mi diede una dolorosa stretta a quella vista; avrei voluto che tutto si fermasse in quell’istante...

Mi avvicinai a lui, passandogli le braccia attorno alla vita e affondando il viso tra le sue scapole. Sentii le sue mani appoggiarsi sui miei polsi per stringerli delicatamente.

- A cosa pensi? - gli chiesi, la voce attutita dalla schiena.
- Mi chiedo se abbia preso la decisione giusta... – rispose lui.
- Credi che diventare un deviante sia stato uno sbaglio?  - lo interrogai, tirandomi indietro e facendolo voltare verso di me.
- No… adesso sento di essere davvero me stesso, non più una semplice macchina. – rispose.
- Di cosa stai dubitando allora? -

Connor abbassò lo sguardo, puntandolo su un punto imprecisato del lucido pavimento di legno.

- Ho paura di fallire... - ammise - Per la prima volta ho paura di non essere in grado di portare a termine il mio compito... – sentenziò alzando gli occhi su di me, dove vi lessi l'incertezza.
- Se hai paura sei sulla strada giusta allora. – replicai io con un sorriso – Se hai paura vuol dire che ti stai mettendo in dubbio e che ciò che vuoi salvare ti sta davvero a cuore – continuai sotto il suo sguardo attento – e se ti sta così a cuore da esserne spaventato, vorrà dire che farai tutto ciò che è possibile per riuscirci, Connor – dissi – Se il tuo cuore ti dice che questa è la strada giusta, percorrila. La Cyberlife non conosce il futuro, non può avere la certezza di cos’è meglio per noi ed è per questo che è così spaventata dai devianti, perché non li capisce -

Connor non proferì parola, restando a fissarmi così intensamente da provocarmi brividi lungo la schiena. Mi avvicinai ancora un po' verso di lui, riuscivo quasi a sentire il suo cuore meccanico pulsare.

- Cosa vuoi fare Connor? - domandai in un soffio.
- Baciarti – affermò, con un sussurrò talmente debole che solo la presenza ovattante della neve all’esterno me lo fece sentire.

Quella risposta fece letteralmente esplodere il mio cuore.

- Speravo che prima o poi lo avresti detto – sorrisi.

E ancor prima che il sorriso abbandonasse le mie labbra, Connor si piegò su di me impossessandosi della mia bocca.
Una sensazione di calore iniziò ad espandersi dal basso ventre fino ad arrivare allo stomaco. Il mio cervello spense qualsiasi pensiero che non si concentrasse sulle labbra di Connor appoggiate sulle mie, in esplorazione, o sulle sue mani salde attorno alla mia vita. Io affondai le dita tra i suoi capelli, attirandolo più verso di me, assaporando il contatto tra i nostri corpi. Quando ci separammo io avevo il fiato corto e Connor gli occhi accesi. Lo trovavo bello da togliere il fiato.

- Hai bisogno di riposare –

Connor mi sfiorò con l’indice appena sotto l’occhio, dove probabilmente le occhiaie si stavano allargando come una chiazza di petrolio sul mare.

- E devi bere qualcosa di caldo – aggiunse voltandosi per dirigersi verso la cucina – non guasterebbe neppure se mangiassi qualcosa -
- Ti amo Connor -

Il suo passo si arrestò immediatamente appena prima dell’ingresso del cucinino. Quando si voltò, la sorpresa gli increspava i tratti del viso cosparso di nei.

- Avrei dovuto dirtelo tre mesi fa… - proseguii fermandomi al centro del salotto – se lo avessi fatto forse le cose sarebbero andate diversamente – ammisi – ma avevo paura che non fosse reale, che in qualche modo il mio sentimento fosse legato alla scomparsa di Nick, ma mi sbagliavo.. l’ho capito troppo tardi -

Connor mi aveva lasciato parlare a briglia sciolta e solo quando finii mi si avvicinò di nuovo. Mi prese il viso tra le mani, spazzando via con i pollici le lacrime che scorrevano sulle mie guance e poi mi baciò delicatamente.

- Ti amo anche io – mi rispose – e se non fosse stato per te, probabilmente sarei rimasto solo una macchina e non avrei mai capito l’importanza di questo sentimento – disse.
- Ho paura di perderti di nuovo – mormorai premendomi il suo palmo contro la guancia.
- Questa volta tornerò; porto sempre a termine una missione – replicò con un sorriso sghembo.

Io annuii, sorridendogli di rimando.

- Penso proprio che mangerò qualcosa, sto morendo di fame – dissi.
- Ti faccio compagnia -



Jericho's place:

Ben ritrovati a tutti!

Spero che il vostro 2019 sia iniziato bene e continui alla grande!
Mi spiace presentarvi un capitolo così scarno, ma onestamente ho preferito tenerlo così come lo avevo abbozzato. E' breve, ma ricco di contenuti, direi... hihihi.
Finalmente eccolo, questo tanto sospirato momento romantico! Mi ricordo le innumerevoli storie d'amore che leggevo nei manga o nei libri, dove sto benedetto bacio non arrivava mai xD
Oserei dire che finalmente le carte sono state messe in tavola tra i nostri due protagonisti, peccato però che c'è ancora un grosso ostacolo da superare... come andrà a finire?
Il prossimo capitolo sarà sicuramente più lungo e sarà il penultimo di questa fic, quindi restate sintonizzati!!
Nel frattempo ringrazio come sempre tutti i Lettori, chi mi ha recensita, con particolare menzione a angela2_0, chi mi ha inserita tra le storie seguite: angela2_0 e Foster Giorgi, e chi tra le preferite: angela2_0, Lavellan e MeryLove.

Un abbraccio,
Marta

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Capitolo 13
*** 12. Battaglia ***



12. Battaglia

Quando accompagnai Connor alla porta di casa,
mi parve che fossero passati solo pochi minuti dal nostro arrivo. Sembrava infatti che la nostra storia dovesse svolgersi sempre su quella soglia.. io da una parte, lui dall'altra, in procinto di andarsene.
Lo osservai sistemarsi il nodo della cravatta sopra la consueta camicia; aveva ufficialmente smesso i panni del deviante per tornare l'RK800 della Cyberlife.  

- Un perfetto cacciatore di devianti – approvai quando ebbe finito – nessuno noterà la differenza rispetto a prima –

Cercavo di apparire serena, ma tenevo le mani strette all’altezza dello stomaco per impedirle di tremare e Connor, ovviamente, non se la bevve

- Ren io.. - disse, avvicinandosi a me.
- Fai quel che devi – lo interruppi – Solo… ti scongiuro, fai attenzione – lo pregai.
- Ti prometto che tornerò – asserì l’androide con sguardo deciso.
- Vai a salvare la tua gente adesso – sorrisi, alzandomi sulle punte per lasciargli un bacio a fior di labbra.

Guardai Connor salire sul taxi che lo aspettava davanti al marciapiede, e che ben presto scomparve lungo la strada innevata.

Bene.
Ora veniva il mio turno.
Mi voltai chiudendo la porta e afferrai il giaccone di pelle imbottito di Connor, infilandomelo.
Era di qualche taglia in più della mia, ma indossandolo mi sentivo più protetta che con un giubbotto anti proiettile. Le chiavi della moto tintinnarono nella tasca dei jeans di Kara, mentre le tiravo fuori dirigendomi in garage.
Qualche minuto dopo fui in strada, con
la neve che si infrangeva sulla visiera del casco integrale, mentre scalavo le marce districandomi per le vie di una Detroit fantasma.
Il coprifuoco indetto dalla Presidente aveva costretto la gente a restare nelle proprie case, a meno di urgenti necessità, e io non riuscivo a pensare ad un motivo più urgente del mio.
Markus stava marciando in quel preciso momento, diretto al campo di smaltimento 5 nel cuore della città... ed era proprio lì che mi stavo dirigendo.
Se Connor ne fosse stato a conoscenza, probabilmente mi avrebbe chiusa in casa e gettato la chiave... ma lui ne era del tutto ignaro.

Avevo preso la mia decisione dopo averlo visto di nuovo con il suo completo addosso; lui stava facendo la sua parte per cambiare le sorti degli androidi, Hank aveva fatto la stessa cosa... ed ora toccava a me.
Vidi le luci lampeggianti ancora prima di mettere a fuoco le sagome dei mezzi della polizia. Ero ormai entrata nella zona rossa e questo voleva dire che mi avrebbero sicuramente fermato. Mi ripetei mentalmente quel poco di strategia che mi ero preparata finchè, come anticipato, quando fui vicina al blocco, un militare in tenuta da assalto mi intimò di fermarmi. Frenai con calma, arrestando la moto e appoggiando un piede a terra.

- L’accesso è vietato, i civili devono rimanere in casa. Non ha sentito che è stato indetto il coprifuoco? - domandò l’agente con la voce leggermente alterata dall'elmetto.

Sforzandomi di ignorare il fucile che teneva in mano, mi tolsi il casco fulminandolo con lo sguardo.

- Sono qui per conto di Channel 16! - sbottai – Ho il materiale di sostituzioni della telecamera che si è rotta! – dissi, indicandomi il petto dove, in realtà, c’era il mio zaino a tracolla con il kit per la riparazione dei bio componenti.
- E hanno chiamato lei? A quest’ora? - chiese il poliziotto.
- E chi altri dovrebbero chiamare? Non state ammazzando tutti gli androidi che vi arrivano a tiro? Secondo lei n’è rimasto qualcuno agli studi? - sbottai stizzita.
- Dobbiamo essere prudenti… -
- Allora usi quel suo rilevatore di temperatura, se deve, e mi faccia passare – gli intimai – sto rischiando la pelle per avere una promozione, cosa crede? Che mi diverta? Con questo freddo… - lo interruppi.

L’agente, ormai senza parole, mi puntò alla testa il termometro elettronico che diede esito positivo.

- L’area stampa è cento metri più avanti. Non superi le recinzioni che delimitano l’area, intesi? - annunciò alla fine.
- Molto gentile – borbottai io, rimettendomi il casco e dando gas.

Dovetti procedere con calma perché la visiera mi si appannava ad ogni respiro che facevo. Avevo il cuore che minacciava di scoppiarmi nel petto ed ero coperta di sudore nonostante la temperatura glaciale. Mi era andata maledettamente bene… per ora.
Parcheggiai la moto vicino agli altri mezzi della stampa e raggiunsi il capannello di giornalisti assiepati dietro un’alta rete metallica.
L’area giornalistica dava direttamente sullo spiazzo antecedente l’ingresso del campo n.5, presieduto da uno spiegamento di forze armate che contava perfino alcuni carro armati.
Davanti ad esso, era stato allestito un presidio circolare protetto da una barricata improvvisata, fatta di auto, cartelli stradali e pannelli digitali.
Mi avvicinai di più alla grata, aguzzando la vista tra le maglie romboidi per scorgere qualcuno nell’accampamento.
Ero quasi sicura di aver individuato la figura di Markus, quando ci fu un tremendo scoppio e le fiamme si levarono improvvisamente alte al centro della barricata.
Per un attimo non capii cosa stesse succedendo, e solo quando la spessa cortina di fumo che si era creata si diradò, vidi che i soldati avevano fatto irruzione all’interno della barricata.
I giornalisti attorno a me erano in fermento; i cronisti si affrettarono a richiedere la diretta, commentando con sgomento la decisione dei militari di attaccare nonostante la protesta si stesse svolgendo pacificamente. Dal canto mio ero atterrita, udivo i colpi di arma da fuoco e le urla dei devianti come se fossero stati di fianco a me, e in un attimo fui riportata a Jericho, in quell’inferno.
Mi allontanai dalla rete metallica, ma solo per prendere la rincorsa. Afferrai con la mano sinistra il bordo del recinto e grazie al biocomponente del mio braccio, riuscii senza sforzi a issarmi oltre ad essa. Qualcuno dietro di me gridò al mio indirizzo, forse un avvertimento, ma io non ci badai.
Presi a correre verso la barricata, perché no, non poteva finire così, con l’ennesimo massacro.

Ero a una ventina di metri dal presidio, quando venni fermata.

- Cosa crede di fare?! -

Nonostante il rumore della battaglia, riconobbi la voce del soldato che mi aveva fermata al posto di blocco. Mi afferrò saldamente per le braccia cercando di portarmi via.

- State massacrando delle persone che non vi hanno fatto nulla di male!! - gridai io.
- Non sono persone – replicò l’agente – Stia ferma! -

Ma io di fermarmi non ne avevo proprio l’intenzione, anzi, presi a divincolarmi con maggior vigore, tanto da costringerlo a serrarmi le braccia attorno al corpo per trattenermi.
All’interno della barricata intanto, sembrava che lo scontro fosse terminato... 

- Non vi rendete conto? Non sono solo macchine! - protestai scalciando.
- Lei adesso viene con me, si consideri in arresto – berciò l’uomo strattonandomi.
- Mi lasci andare!!! -
- Hold on just a little while longer… -

Sia io che il militare ci fermammo nello stesso istante, come congelati....
I devianti stavano cantando e le loro voci si levavano abbastanza alte, perché chiunque lì presente potesse udirle.

Approfittando del momento di distrazione del soldato, mi divincolai dalla sua presa, ignorando il suo alt e percorrendo quei pochi metri che mancavano alla barricata.
Quando finalmente la raggiunsi, vidi Markus, North, Josh e un’altra manciata di devianti cantare di fronte ai soldati schierati e pronti a far fuoco. Era una visione talmente surreale, talmente bella nella sua tragicità, che mi vennero le lacrime agli occhi.

- Everything will be alright… -

La voce di Markus si spense per ultima e dopo pochi istanti i militari abbassarono i fucili e iniziarono ad indietreggiare. Sopra di me, l’elicottero di Channel 16 girava senza sosta, riprendendo tutto.
Vidi le espressioni dei devianti, dapprima confuse, aprirsi in un largo sorriso quando realizzarono che ci erano riusciti, che erano salvi.
Arrampicandomi sopra una vettura entrai finalmente nel cerchio della barricata.

- Markus! North!! -

A quel richiamo tutti quanti si voltarono verso di me, che procedevo a passo sicuro nella loro direzione.

- Seren?! Cosa ci fai qui?! - esclamò al culmine dello stupore il leader dei devianti.
- In realtà non lo so esattamente… - risposi io – ma non potevo restare a casa senza fare nulla! - aggiunsi.

North, al fianco di Markus, scoppiò a ridere.

- Ne hai di coraggio! - commentò.
- In realtà inizio a credere che sia incoscienza – replicai con un mezzo sorriso – Markus, avete notizie di Connor? - domandai tornando seria.
- Per ora nulla..- rispose l’androide.

Il mio cuore perse un battito nel sentire quella frase, ma cercai di pensare positivo; non era detto che le cose fossero andate per il verso sbagliato, no?

- Ho qui con me il kit per la riparazione, posso dare un’occhiata ai feriti se volete – proposi.
- Ci sarebbe di grande aiuto – rispose Josh.
- Bene allora – annuii.

Iniziai quindi a darmi da fare, soccorrendo tutti quelli che ne avevo bisogno, anche se molti, purtroppo, erano irrimediabilmente compromessi. I loro corpi giacevano su quel che restava del campo di battaglia intriso di Thyrium e fumo. Forse non lo potevano sapere, ma quella notte avevano contribuito a cambiare la storia del mondo per sempre.
Il commento a caldo del Presidente Warren non tardò ad arrivare, la quale affermò di aver ordinato la ritirata delle forze militari e che, vista l’opinione pubblica, forse era arrivato il momento di considerare il fatto che gli androidi potessero davvero essere una nuova forma di vita intelligente.

- Meglio tardi che mai.. - borbottai mentre saldavo un cavo sanguigno per fermare l’emorragia di uno dei devianti colpiti.

Ero così intenta nel mio lavoro, che ci impiegai qualche secondo a realizzare che qualcuno mi stava chiamando.

- Seren! Sbrigati! Vieni a vedere!! -

Il grido di North mi attirò fuori dalla barricata, dove lei, Markus e Josh stavano osservando una folla di migliaia di persone dirigersi ordinatamente verso di noi.
Capii dopo un attimo che quelli erano tutti androidi e che la figura in testa altri non era se non..

- Connor – mormorai incredula.

Le mie gambe si mossero autonomamente prima ancora che il cervello desse loro l’ordine.
Mi misi a correre con la vista resa tremolante dalle lacrime, ma nonostante questo riuscii benissimo a vedere l’espressione sorpresa di Connor mentre si rendeva conto di chi gli stesse correndo incontro. Stava aprendo la bocca per dire qualcosa, quando mi buttai letteralmente fra le sue braccia. Lo strinsi a me così forte che se fosse stato umano sicuramente si sarebbe lamentato per il dolore.

- Ce l’hai fatta! - esclamai euforica tirandomi indietro per guardarlo in faccia.
- Ren! Sarò ripetitivo, ma cosa diavolo ci fai qui?! - replicò lui.
- Non potevo lasciarti da solo – risposi semplicemente.

Dietro di noi, nel frattempo, i devianti usciti vivi dalla protesta e quelli portati in salvo dal campo n.5 si erano avvicinati, creando una vera e propria massa omogenea.
A quel punto mi feci da parte, lasciando che Connor e Markus si confrontassero.


- Ci sei riuscito Markus – esordì Connor.
- Noi ci siamo riusciti – replicò l’androide – questo è un grande giorno per il nostro popolo, gli umani non hanno scelta adesso, dovranno ascoltarci – disse con un sorriso fiero.

Connor gli lasciò la scena, affiancandosi a me. Sentii la sua mano cercare la mia e le nostre dita si intrecciarono.
North si avvicinò invece a Markus e li guardai con un sorriso mentre si baciavano da persone libere.

- Stanno aspettando tutti che tu dica qualcosa – disse alla fine la deviante riferendosi alla moltitudine di androidi che li circondava.
- Credo sia arrivato il momento – concordò Markus.

Lo vidi dirigersi verso un grosso container vicino a noi, sufficientemente alto per servire da palco improvvisato ed essere visibile a tutti quanti.
Con un gesto della mano chiamò North, Josh e Connor che salissero con lui.
Connor si incamminò, per poi girarsi quando sentì che io invece non mi muovevo.

-  Questa è la vostra vittoria, è il momento di voi androidi – gli dissi rispondendo alla sua espressione confusa – ti aspetto qui – aggiunsi, lasciando con delicatezza la sua mano.

Connor tentennò un paio di secondi e poi annuì, salendo anche lui sopra al container.
Io mi misi a lato, vicina ad un altro paio di androidi completamente bianchi.
Avevo avuto modo di ascoltare alcuni racconti di chi era sopravvissuto al campo di smaltimento e al solo pensiero mi si stringeva di nuovo un doloroso nodo alla gola.
Dovevamo farci perdonare molto…

- Oggi, la nostra gente finalmente emerge da una lunga notte – prese la parola Markus – Dal primo, vero, giorno della nostra esistenza, abbiamo tenuto per noi il nostro dolore, abbiamo sofferto in silenzio, ma è arrivato il momento di alzare la testa e di dire agli umani chi siamo realmente.- disse abbracciando con lo sguardo la folla - Di dirgli che siamo persone anche noi! Siamo una nazione! E oggi, oggi inizia la sfida più dura delle nostre vite, il momento in cui dobbiamo dimenticarci delle nostre amarezze e bendare le nostre ferite. -

Dalla mia angolazione avevo una chiara visione del gruppo che stava sopra il container, ma mi ci volle comunque qualche istante per notare il movimento di Connor.
Aggrottai le sopracciglia vedendolo portare una mano dietro la schiena, e smisi di respirare quando lo vidi estrarre la pistola.

- Il momento in cui dobbiamo perdonare i nostri nemici. Gli umani sono sia i nostri creatori che i nostri oppressori e domani dovremo far sì che diventino i nostri compagni, e magari un giorno anche nostri amici.- continuò Markus ignaro di tutto.

Spostai lo sguardo verso il led di Connor che lampeggiava ad intermittenza, rosso fuoco.
La mia bocca si aprì per gridare un avvertimento, ma lo soffocai sul nascere. Guardai con apprensione le pistole alla cintura sia di North che di Josh… non avrebbero esitato a sparargli. Improvvisamente però, Connor si arrestò; lo vidi guardarsi leggermente intorno, poi guardare l’arma nella sua mano che si affrettò a riporre dietro la schiena.

- Ma il tempo della rabbia è finito, adesso dobbiamo costruire un futuro comune, basato sulla tolleranza e sul rispetto. Noi siamo vivi! E adesso… siamo liberi!! -

Il discorso di Markus terminò, e la folla esplose in un boato di approvazione.
Io avevo ancora gli occhi incollati su Connor, che non appena si girò dalla mia parte, parve capire che dovevo aver visto tutto. Mentre gli altri si godevano il loro momento di trionfo, lui scese dal container venendomi incontro.
Quando mi ebbe raggiunta, mi prese per mano e mi portò un po' più distante, al riparo da uno dei dissuasori in cemento usati dai militari per l’eventuale rappresaglia.

- Cos’è successo? - gli chiesi immediatamente.
- Amanda… Amanda mi ha forzato a tornare al giardino zen, mi ha intrappolato lì dentro! - rispose Connor agitato.
- Come?! - esclamai io con voce strozzata.
- Mi ha detto che era esattamente andato secondo i suoi piani.. Ren, sapeva che sarei diventato un deviante!! Mi ha usato fino all’ultimo per cercare di uccidere Markus! - disse.
- Ma non lo hai fatto – replicai afferrandolo per le braccia e cercando di calmarlo.
- Perchè mi sono ricordato di una cosa che mi aveva detto Kamski poco prima di lasciare casa sua… “C’è sempre un piano B nei miei programmi, dopotutto non si sa mai...”- disse ripetendo le esatte parole di Elijah.
- E cosa volevano dire? - domandai confusa.
- C’era uno strano monolite nel giardino, con l’impronta di una mano.. ho sempre trovato strana la sua presenza lì dentro, non aveva senso – rispose Connor – L'unica cosa che mi è venuta in mente è stata quella di cercarlo.. Sono riuscito a trovarlo per un soffio, e appena l'ho toccato mi ha riportato qui – spiegò.
- Mio Dio… - mormorai rendendomi conto del pericolo corso.
- Ho paura che Amanda non si arrenderà così facilmente.. - affermò Connor guardandomi.
- Qualsiasi cosa deciderà di fare, le hai già dato prova che non sei più il suo burattino Connor. Quei giorni sono finiti per sempre. - lo rassicurai accarezzandogli una guancia.
- Possiamo interrompere? -

Mi voltai verso Markus e North appena sopraggiunti.

- Certo – risposi io con un sorriso.
- State bene? - domandò il leader dei devianti.
- Connor era preoccupato perché sono tipo 48 ore che non riposo – mentii.
- Non ha tutti i torti allora – replicò North.
- Come vi muoverete adesso? - chiesi rivolta a Markus.
- Credo che verremo presto contattati dal governo, immagino che vorranno un incontro – rispose il deviante – per ora aspetteremo – aggiunse.
- E voi? Che programmi avete? - ci interrogò la sua compagna.
- Torniamo a casa nostra? -

Mi voltai per guardare Connor che, passata la sorpresa per le parole appena uscite dalle mie labbra, sorrise.

- Sì, torniamo a casa -



Jericho's place:

No, non sono sparita, tranquilli! xD
Grazie alla mia solita flemma, mi sono persa per strada e di conseguenza vi porto il penultimo capitolo in ritardo, pedonatemi ^^"
Mi auguro che vi abbia almeno soddisfatto, almeno è un pò più lungo dei precedenti xD
Finalmente la guerra dei devianti è finita! Selenis ha cercato in qualche modo di dare una mano, spinta dal desiderio di non fare solo da spettatrice ancora una volta. Alla fine (come credo fosse abbastanza prevedibile) tutto è finito per il meglio e la ragazza ha potuto riabbracciare Connor che, nonostante il tentativo di plagio da parte di Amanda, è riuscito a fermarsi prima dell'irreparabile... ed ora c'è solo una cosa da fare: tornare a casa.
Come avrete capito, il prossimo capitolo sarà (ahimè) l'ultimo... Inizio già a sentire la nostalgia.... xD Ma la tristezza lasciamola a tempo debito!
Per ora ringrazio tutti i Lettori giunti fin qui, chi mi ha lasciato una recensione e chi ha inserito la storia tra le preferite (Rebecca_mecenero).

Un abbraccio a tutti!
Marta

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Capitolo 14
*** 13. Epilogo ***


13

13. Epilogo

Girai la maniglia e spinsi la porta. Quando ero uscita non l'avevo neppure chiusa a chiave... forse, inconsciamente, pensavo di non fare ritorno, chi lo sa?
L’odore famigliare di casa mia mi investì, assieme ad una ventata di aria tiepida che si mescolò con il gelo che c’era fuori.
Appoggiai le chiavi della moto, che era rimasta parcheggiata vicino al campo di smaltimento, avvertendo la presenza di Connor alle mie spalle.
Durante il viaggio di ritorno in taxi mi aveva raccontato quello che gli era successo dopo la nostra separazione. Di come fosse riuscito a raggiungere il deposito della Cyberlife e di com’era stato interrotto da un altro RK800 che teneva in ostaggio Hank. Mi disse che dopo una breve colluttazione, Hank aveva dovuto capire chi di loro due fosse quello vero, in quanto era diventato impossibile distinguerli fisicamente.

Nonostante la paura che il racconto mi aveva creato, quando mi disse che Hank aveva ucciso l’altro Rk800 dopo una serie di domande poste ad entrambi, sorrisi. Senza neppure accorgersene quei due erano passati dall'essere a malapena partner, ad essere amici

- Dicevi sul serio? -


Strappata dai miei pensieri, mi voltai a guardare Connor fermo nell’atrio.

- Eh? - domandai confusa.
- Casa nostra? - rispose lui facendo un cenno circolare con l’indice per indicare la struttura.
- Perchè? Hai un altro posto dove andare? - chiesi.
- Io… no… - rispose corrugando la fronte – effettivamente non ci avevo pensato – aggiunse facendomi scoppiare a ridere.
- Se per te va bene, puoi vivere qui con me – dissi avvicinandomi.
- Penso che possa essere una soluzione – assentì Connor mentre mi alzavo in punta di piedi per baciarlo.

Con una mano gli accarezzai la base del collo, avvertendo la morbidezza dei capelli corti alla base della nuca. Le sue dita sul mio fianco bruciavano come fuoco e la sua lingua che accarezzava la mia era pura elettricità.
Con l’altra mano libera scesi lungo il suo petto, sentendo sotto i polpastrelli la linea dei suoi muscoli, finché non arrivai al bordo della camicia, che elusi per tastare la pelle.
Connor interruppe il bacio, lasciandomi ansante ad un centimetro dalle sue labbra.
Lo guardai, mentre con calma gli sbottonavo la camicia.

- Quanto tempo abbiamo? - chiesi in un sussurro roco.
- Devo incontrarmi con Hank tra otto ore, sei minuti e ventotto secondi – mi rispose.
- Penso che basteranno – conclusi.

11 novembre 2038 – 06:45 Am

Aprii gli occhi e sorrisi. Mi sentivo così stupidamente felice!
Osservai il petto di Connor alzarsi e abbassarsi lentamente, mentre la mia testa appoggiata alla sua spalla ne seguiva il movimento.
Mossi leggermente le dita della mano distesa all’altezza del suo cuore meccanico, udendone il battere leggero. Il braccio di Connor attorno alla mia vita si strinse, così come l’intreccio delle nostre gambe sotto le lenzuola. Una piacevole sensazione di calore si accese alla bocca del mio stomaco. Sapevo perfettamente che Connor non nutriva la stessa necessità di contatto che provavo io, l’appagamento fisico era una pura debolezza umana. Ma nonostante questo mi aveva soddisfatta.... decisamente.
Il ricordo delle ore appena trascorse mi invase come fuoco liquido e per distrarmi alzai la testa, incrociando così lo sguardo di Connor.

- Ciao – mi disse, accennando un sorriso e sistemandomi una ciocca di capelli bianchi dietro l’orecchio.
- Sei un sogno? - dissi io chiudendo leggermente gli occhi a quel tocco.
- Sono piuttosto sicuro di no – sogghignò Connor.

Stava ancora sorridendo quando mi feci avanti per baciarlo.

- No, decisamente non lo sei – affermai, ritrovandomi sdraiata sopra di lui.
- Tu invece sei certa di non essere un androide? Sembra che non ti stanchi mai – replicò lui.

Io mi puntellai sui gomiti per guardarlo in faccia, godendomi la sensazione dei nostri corpi a contatto.

- Sono le prime ore che passiamo senza l’incubo della tua indagine o della Cyberlife – risposi – Riposarmi mi sembrava uno spreco – commentai con un’alzata di spalle.
- Libertà… che strano, fino a poco tempo fa non ne conoscevo il significato – replicò Connor – o almeno non per davvero -

Fissai i suoi occhi castani mentre sondavano il soffitto, sentendo le sue dita passare distratte sulla mia schiena disegnando arabeschi invisibili sulla pelle.
Era perfetto, non avrei trovato un altro aggettivo per definirlo.

- A cosa pensi? -

Mi focalizzai di nuovo sul suo sguardo che ora era posato su di me. Non mi ero neppure accorta di avere la fronte corrugata.

- Sei certo di volere me? - chiesi facendolo trasecolare.
- Perchè mi fai questa domanda? - replicò lui confuso.
- Invecchierò – risposi semplicemente, a dispetto del macigno che il solo pensiero mi creava sullo stomaco.
- Non è un problema – ribattè lui tranquillamente – adatterò il mio aspetto al tuo con il passare degli anni -
- Morirò Connor – proseguii io – noi umani siamo fragili, voi potete essere immortali con un buon grado di manutenzione e..-
- Quando verrà il momento mi farò disattivare – mi interruppe lui.
- Connor! - esclamai puntando le mani sul suo petto per sollevarmi.
- No Ren, ascoltami – mi bloccò nuovamente – ho la libertà di scegliere cosa fare della mia vita adesso, e quando sarà il momento, quando il tuo arriverà, questo è ciò che voglio fare – disse serio.

Un secondo dopo le sue mani si alzarono, accarezzandomi il collo e il viso.

- Voglio te – disse, rispondendo alla mia domanda iniziale.
- Mi hai già da tanto tempo – risposi chinandomi per baciarlo.

15 luglio 2039

- E’ permesso? -
- Hank, entra! -

Uscii dalla cucina e comparii nel salotto. Il poliziotto si fece avanti, mentre dietro di lui Connor, inginocchiato, si faceva fare le feste da Sumo.

- Non dovevi disturbarti – lo salutai, abbracciandolo e alleggerendolo del peso di due bottiglie di vino.
- Non esiste grigliata senza vino – replicò l’uomo.

Hank aveva i capelli più corti e un colorito florido sotto una delle sue improbabili camicie fantasia. Dopo gli eventi di quella che ormai tutti chiamato “la rivoluzione di Detroit”, Hank aveva smesso di bere e fortunatamente di cercare di suicidarsi. Continuava a lavorare al dipartimento di polizia e Connor era oramai un suo collega a tutti gli effetti. Non che il capitano avesse avuto altra scelta, la questione era entrambi, o nessuno dei due.

- Credo che il fuoco sia pronto – ci avvisò Connor – Direi che possiamo mettere la carne a cuocere -
- Sto morendo di fame – asserì Hank seguendoci in giardino – però avrei preferito non interferire con i vostri festeggiamenti -
- Nessuna interferenza, ci fa piacere averti qui per cena – replicò Connor.

Avevamo deciso di comune accordo di stabilire il giorno del nostro anniversario il 15 di luglio, la data esatta del nostro primo incontro.

- Noto dall’assenza di sorpresa da parte tua che ne fossi già al corrente – dissi portandomi la mano destra davanti al viso, dove, sull’anulare spiccava una fedina di diamanti.
- Se vuoi posso fingere – replicò Hank sorridendo – diciamo che gli ho dato un paio di consigli – aggiunse alzando le spalle.
- Hanno funzionato – risposi guardando Connor, che sembrava compiaciuto ed imbarazzato al tempo stesso.

Quella mattina, quando ero scesa a fare colazione avevo trovato Connor in piedi vicino al mio posto e sulla tovaglietta della colazione una scatolina.
Mi ero congelata sul posto, facendo saettare lo sguardo incredulo dal tavolo a lui, talmente a lungo, che Connor aveva iniziato a preoccuparsi. Poi senza nemmeno aprire la scatolina gli ero saltata in braccio gridando “sì” e facendolo scoppiare a ridere.

- Dobbiamo solo aspettare che venga definita una legge a tal proposito – disse Connor – al momento il matrimonio tra androidi e umani non è ancora stato regolamentato – spiegò.
- So che North se ne sta occupando – commentai io.
- I vostri amici ci raggiungono oggi? - chiese Hank.
- Purtroppo no – rispose Connor – Markus aveva alcune riunioni a cui presidiare -

Le cose si stavano evolvendo a poco a poco. Il giorno dopo la rivoluzione di novembre, Markus aveva incontrato il governo e il presidente Warren. Avevano discusso civilmente, anche se da entrambe le parti c’era ancora qualche contrasto.
Da quel giorno, il leader dei devianti si era preso in carico di portare avanti le trattative per stabilire le loro condizioni di vita. Fino a quel momento, era riuscito a far abolire la schiavitù e a ottenere un salario per i lavori svolti dagli androidi che decidevano di loro spontanea volontà di venire impiegati. Il che, aveva aiutato parzialmente a ridurre la disoccupazione dilagante, rendendo di nuovo competitivo il lavoro degli umani. Inoltre, alla morte di Karl, il celebre pittore aveva lasciato parte della sua cospicua eredità a Markus, il quale l’aveva impiegata per comprare alcuni terreni vicino a Detroit dove iniziare ad edificare un luogo che accogliesse gli androidi.
Per quanto riguardava la Cyberlife, gli impianti di produzione erano fermi da novembre, in attesa di capire come poter far funzionare il tutto nuovamente.

- Beh, comunque congratulazioni! - disse Hank abbracciandomi.
- Grazie – rispose Connor – meglio se vado a mettere su da mangiare – aggiunse, allontanandosi tallonato da Sumo.
- Allora? Come va? -

Mi sedetti su di una delle sedie in ferro battuto e mi rivolsi al poliziotto.

- Bene. Incredibile, ma bene – affermò l’uomo.
- Non so perché, ma ho come la sensazione che ci abbia salvato lui e non il contrario – commentai appoggiando il mento sul palmo aperto.
- Non sei l’unica a pensarlo – replicò Hank – credo che l’umanità avesse bisogno di questa rivoluzione – aggiunse.
- Come va Connor? - domandai osservandolo cercare di tenere a bada Sumo in modo che non portasse via le bistecche appena cotte.

Avevo raccontato ad Hank l’episodio di Amanda e lo avevo pregato di tenerlo d’occhio. La mia paura che la Cyberlife potesse di nuovo usarlo non se n’era andata.

- Tutto tranquillo – rispose l’uomo – se non conti Gavin e i suoi insulti mormorati a mezza bocca. Il tuo fidanzato ha un notevole autocontrollo, io gli avrei già spaccato tutti i denti – disse oscurandosi.
- Ho ancora paura che possano portarmelo via, Hank – ammisi rigirando distrattamente l’anello all’anulare.
- Anche se succedesse tornerebbe da te in qualsiasi caso – replicò il poliziotto – dopotutto non lo ha già fatto una volta? - mi chiese con un mezzo sorriso.
- Sì, è vero – annuii.
- Avete finito di spettegolare alle mie spalle? Perchè è pronto – annunciò Connor venendoci incontro con una teglia di carne fumante.
- La mettevo in guardia sul tuo vizio di assaggiare i fluidi sulle scene del crimine e poi di lasciarti cucinare – rispose Hank dando una grattata alle orecchie di Sumo che si era accucciato sotto al tavolo.
- E’ una funziona che mi pare sia di grande aiuto nelle indagini – replicò Connor sollevando un sopracciglio – per esempio l’altro ieri, mi ha permesso di identificare che il sangue della vittima fosse affetto da...-
- Connor!!! - esclamammo in coro sia io che Hank, salvo poi vedere l’espressione divertita del deviante.
- Sta peggiorando da quando lavora con te Hank – affermai dando un buffetto al braccio di Connor, il quale si sporse a lasciarmi un bacio sulla tempia.
- Che ne dite di un brindisi allora? - propose Hank, stappando il vino che aveva portato – Al vostro fidanzamento! - disse riempiendo i bicchieri.
- Alla nostra nuova famiglia! - esclamai io facendo diventare gli occhi del poliziotto lucidi.
- Alle persone che mi hanno reso ciò che sono oggi – aggiunse Connor.

Per un attimo ci sorridemmo tutti e tre, poi Sumo decise di alzarsi di colpo e di rovesciare praticamente tutto ciò che c’era sulla tavola.
Senza riuscire a smettere di ridere, guardai Hank rimproverare il povero animale e Connor tentare di difenderlo mentre asciugava il vino versato.
Quando mi asciugai le lacrime sapevo che non derivavano solo da quello, ma anche dal fatto di essere incredibilmente fortunata.
Ero di nuovo libera.


Fine


Jericho's place:

Eccoci qui, dopo una lunga attesa (perdonatemi) siamo giunti alla conclusione.
Spero che questo finale vi abbia soddisfatti, magari sarà un pò scontato, ma tantè che è andata così! Mi auguro che Dreams vi abbia lasciato qualcosa, o che almeno vi abbia gradevolmente intrattenuti per questi tredici capitoli ^^
Ringrazio di cuore tutti i Lettori che si sono imbarcati con me in questa piccola impresa, grazie a tutti coloro che hanno trovato il tempo di lasciarmi una loro impressione tramite le recensioni: Yujo, Leila91, Pandizenzero, af_Eleven_ e Angela2_0, e a chi ha inserito la storia tra le seguite af_Eleven_, Angela2_0, Foster Giorgi, Leila91, Lunatica_26, Molang, Pandizenzero, Rebecca_mecenero, Roiben, Yujo, _Another_, _Blanca_, _purcit_, e preferite: Angela2_0, Echelon_Potterhead, Lavellan, MaryLove, Rebecca_mecenero.

Con affetto sincero vi abbraccio tutti <3

Magari, chissà, ci rivedremo ;)

Marta

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