After all, I need you.

di Marti4869_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

Tre settimane prima…

«Papà, io vado a dormire da Sonoko questa sera, ti ho già lasciato la cena pronta»
«D’accordo» ricevuta la risposta da suo padre, la ragazza, chiuse la porta dell’agenzia e corse al piano di sopra in camera sua. Non sarebbe andata da Sonoko quella sera, ma da Shinichi. Il ragazzo, quel pomeriggio, l’aveva invitata a cena dicendole che era riuscito a tornare a Tokyo solo per quel giorno. Entrò nella sua stanza e tirò fuori dall’armadio un vestitino rosso, dalla linea ad A, che le arrivava qualche centimetro al di sopra del ginocchio, stretto in vita da una cintura in pizzo nero. Lo indossò e ci abbinò un paio di decolleté non troppo alte. Non era solita indossare tacchi, ma da qualche anno aveva iniziato ad utilizzarli per le occasioni. Poi corse in bagno e mise solo un po’ di mascara. Infine, prima di uscire di casa, si avvicinò alla sua scrivania e indossò il braccialetto in argento con scritto il suo nome, che le aveva regalato Shinichi l’ultima volta che si erano visti e che lei toglieva solo per fare la doccia. Si perse a fissarlo, pensando che finalmente lo avrebbe rivisto e avrebbero passato la serata insieme, si fece scappare un sorriso, prima di essere riportata alla realtà dal campanello che suonava. Si diresse ad aprire, spalancando la porta che rivelò davanti a lei la figura del giovane detective con un mazzo di orchidee a coprirgli la faccia. Lei, dopo essere scoppiata a piangere lo afferrò e saltò con le braccia al collo del suo fidanzato, lasciandogli un bacio pieno d’amore sulle labbra. Si staccarono e, mano nella mano, andarono dal taxi che li avrebbe portati a cena in un ristorante in centro città. Una volta finito di mangiare, si diressero a piedi verso il viale coperto dai ciliegi che iniziavano a preparare la loro fioritura, dove camminando e scherzando tra di loro fecero passare la mezzanotte. Decisero di rientrare a casa e, chiamando un altro taxi, si fecero accompagnare a villa Kudo, dove avrebbero passato la notte. Appena entrati, Ran non perse un secondo per togliersi le scarpe che le torturavano i piedi e, nel momento in cui si alzò, sentì due braccia fasciarle la vita. Shinichi avvicinò le sue labbra al collo della ragazza, iniziando a lasciarle una scia di baci umidi che si spostavano dalla spalla, alla guancia, passando per il collo. La karateka, si abbandonò a quel tocco che per troppo tempo le era mancato. Improvvisamente, con uno scatto, il ragazzo la girò verso di se baciandola sulle labbra, con dolcezza ed un pizzico di malizia, mentre, le sue mani accarezzavano le curve di lei. Il detective, si allontanò leggermente passandole un braccio sotto le gambe, mentre con l’altro, stringeva l’esile vita della fidanzata a se, portandola poi al piano di sopra nella camera matrimoniale dove, prima di trasferirsi a Los Angeles, dormivano i suoi genitori. Entrò nella stanza, chiuse la porta con un piede e si diresse sul letto dove lasciò Ran posizionandosi sopra di lei. Riprese a baciarla in maniera sempre più passionale e, mentre lei armeggiava con i bottoni della camicia del ragazzo tentando di sbottonarli, lui iniziò ad abbassarle la zip del vestito, alzandolo e andando a giocare con l’elastico dei suoi slip. In poco tempo si ritrovarono entrambi in intimo, che però non rimase a lungo sulle loro pelli considerando che, passando la sua mano sotto la schiena della ragazza Shinichi le slacciò con un gesto secco il reggiseno, facendolo finire insieme agli altri vestiti inermi sul pavimento, raggiunti poco dopo anche dal resto del loro intimo. Quella notte i due ragazzi si abbandonarono alla passione, come se fosse stata la loro ultima volta. Niente e nessuno avrebbe mai avuto il potere di fargli dimenticare l’amore provato l’uno nei confronti dell’altra in quella nottata.


Quella mattina, come ormai le accadeva da un paio di giorni, Ran si ritrovava a svegliarsi con una strana sensazione di nausea. La ragazza iniziava a preoccuparsi, anche se era abbastanza convinta si trattasse solo dell’influenza che aveva, di recente, avuto anche suo padre, un dubbio si faceva spazio nella sua mente, dubbio che aveva paura di confermare. Sonoko era andata in vacanza con Makoto e la sua famiglia, sua madre era partita per un lavoro fuori città dal quale non sarebbe tornata prima della settimana successiva e la karateka si ritrovava a Tokyo senza nessuno con cui confidarsi, nessuno che avrebbe potuto aiutarla. Per sua fortuna era riuscita a nascondere tutto ciò ai due che vivevano con lei, poiché quando lei si alzava suo padre dormiva sempre e il piccolo Conan aveva ,da qualche giorno, la testa completamente altrove.

Dopo essere corsa in bagno e aver rimesso anche l’anima, si sciacquò la faccia e andò a cambiarsi per preparare la colazione ai due con cui conviveva.

In seguito alla mattinata passata divisa tra bagno e divano, la ragazza preparò il pranzo ai suoi coinquilini e decise di uscire di casa. Prima di tutto, si diresse a fare la spesa per comprare l’occorrente per la cena di quella sera e qualche pasto precotto per i giorni successivi, dato che, non sentendosi troppo bene, non aveva neanche voglia di cucinare.
Successivamente, si diresse in farmacia per acquistare delle cose, tra cui anche un qualche medicinale che avrebbe potuto aiutarla a farle passare la nausea.

Finite le commissioni che l’avevano portata ad uscire, presa dalla stanchezza si avviò per rientrare.

Arrivata davanti all’agenzia, salì le scale fino a raggiungere l’appartamento che vi era situato sopra, entrò in casa e dopo aver poggiato le buste piene di cibo in cucina, scese al piano di sotto.
Aprì la porta dell’ufficio ma lì trovò solo il ragazzino che abitava con loro, disteso sul divano, con un libro in mano ed un’espressione che tutto sembrava meno quella di un lettore.
«Conan» lo chiamò, facendolo sussultare.
«Sai che fine ha fatto mio padre? Prima che uscissi era qui.»
«Ran… ehm, non ne ho idea, credo abbia detto che uscisse ad indagare su qualcosa» disse il ragazzo con un’espressione che definirla sorpresa era poco. Infatti, prima che arrivasse Ran a destarlo dai suoi pensieri, era immerso nel ragionare su come le avrebbe detto tutto. Si ricompose e poggiando il libro che teneva tra le mani, sul tavolino davanti a lui, si alzò e mentre stava per uscire una voce lo bloccò.
«Dove vai?»
«A fare una passeggiata.»
«Okay ma non tardare, tra poco più di mezz’ora la cena sarà in tavola.»
«Va bene» aprì la porta e uscendo aggiunse «Ci vediamo tra mezz’ora allora».
Scese gli scalini che lo dividevano dalla strada e lasciando Ran a preparare la cena, si diresse verso il viale coperto di ciliegi in piena fioritura. Quei fiori, lo riportavano a quando all’asilo conobbe quella ragazza, all’ora bambina, che gli avrebbe cambiato totalmente la vita, insegnandogli cosa voleva dire amare una persona tanto, da voler morire al suo posto pur di proteggerla dalla crudeltà del mondo. Il ricordo di quei momenti, lo faceva stare bene e la tranquillità che gli suscitavano, era la cosa che più lo avrebbe aiutato a prendere una decisione.

Camminando, si ritrovò sommerso da una miriade di petali rosa che cadevano dai rami ad ogni folata di vento e andavano a circondarlo, aiutandolo ad immergersi nei suoi pensieri. Arrivò ai piedi di un albero e si sedette, cingendosi le ginocchia con le braccia e portando lo sguardo a terra. Non si era mai ritrovato in una situazione del genere e adesso tutto gli appariva così difficile, nessuna parola gli sembrava giusta a spiegare la situazione alla sua Ran, ogni cosa la reputava stupida e senza senso. Lui stesso che, ogni singolo giorno da quella maledetta notte di 5 anni prima, avrebbe voluto rivelarle tutto ponendo fine a quelle bugie, in quell’istante si trovava a sperare che quel momento non arrivasse mai. Doveva ammetterlo, anche se non voleva accettarlo, Shinichi Kudo aveva paura. Nessuno avrebbe mai accostato questo sentimento a quel ragazzo spaccone e pieno di sé, eppure era così. Temeva la reazione della sua amica. Aveva paura che dopo averle rivelato tutto, lei non avrebbe più voluto sentir parlare di lui. Aveva paura di perdere per sempre la possibilità di guardare negli occhi la persona che aveva sempre amato. Lui che mai si era spaventato davanti a nulla, cercando di trovare sempre una soluzione con razionalità, adesso si trovava nel panico più totale. Non voleva rinunciare a tutto quello che aveva creato con lei in quegli anni da quando si erano fidanzati, portando avanti quella relazione nonostante tutto, nonostante non potessero essere come quelle coppie che si vedono in giro per strada, a causa del segreto che lui le nascondeva per paura di perderla per mano di qualche mente malata. Conan passò la mezz’ora successiva ad immaginare a come avrebbe parlato alla sua Ran, a cosa le avrebbe detto e a supporre come avrebbe reagito lei, però, ogni volta i suoi pensieri andavano a finire in un modo peggiore.

A destarlo dalle sue riflessioni, ci riuscì solo lo squillo del suo cellulare. Prendendolo dalla sua tasca, dopo essersi alzato da terra, il ragazzo lesse sullo schermo il nome dell’amico di Osaka e premendo il tasto verde che si illuminava sul suo display, rispose alla chiamata.
«Hattori…»
«Kudo!» Heiji, al sentire il tono malinconico dell’amico, interruppe improvvisamente la domanda che gli stava per porre e continuò: «cos’è successo come mai questo tono disperato? Dati gli ultimi avvenimenti, pensavo di trovarti più felice»
«Mi piacerebbe essere spensierato, ma è quasi una settimana che sto cercando un modo di parlare a Ran di tutta la storia… con scarsi risultati aggiungerei.»
«Ah… ma quindi ancora non sa nulla?»
«Sei sordo?» disse Shinichi, con il tono leggermente alterato dal nervosismo che lo caratterizzava in quei giorni: «Scusa… è che…» continuò portando lo sguardo sui suoi piedi, ma esitò nel finire la frase, non voleva ammettere di avere paura, non voleva ammetterlo neanche a se stesso figuriamoci ad un’altra persona. Dall’altra parte, il detective dell’ovest, compreso lo stato d’animo dell’amico, decise di cambiare discorso «Ti lascio ai tuoi pensieri, ci sentiamo appena starai più tranquillo. Ricorda però che se avessi bisogno di me, basterebbe una telefonata.»
«Grazie Heiji.» disse l’altro con un tono freddo, alzando lo sguardo da terra e concludendo la chiamata: «Devo andare adesso, avevo detto a Ran che sarei rientrato presto, altrimenti si preoccupa.»
Heiji, da parte sua, annuì pur sapendo di non essere visto e terminò la conversazione con un sorriso sulle labbra, intriso di tristezza per la situazione dell’amico.


Conan rientrò in casa e aprendo la porta con cautela, scorse Ran seduta sul divano con le gambe incrociate, un cuscino stretto al petto e lo sguardo fisso sul suo polso. Si fermò ad osservarla. Era una settimana che, preso dalle sue riflessioni, non dedicava del tempo alla ragazza che sempre gli era stata vicina. Adesso si trovava lì, fermo sulla soglia della porta, ad osservarle le guance solcate dalle lacrime. Era stato così stupido da non accorgersi che lei stava male, eppure ce l’aveva avuta sempre sotto gli occhi, nonostante ciò era riuscito a non notare che non stava bene. Dopo un primo momento di esitazione, decise di avvicinarsi a lei e, senza fare alcun rumore la raggiunse sul divano. La ragazza sobbalzò e si asciugò immediatamente le lacrime.
«Conan… non ti ho sentito arrivare» disse poi provando a camuffare la voce spezzata dal pianto.
Il ragazzino non disse una parola e, dopo averla guardata negli occhi, l’abbracciò stringendola forte a se nella vana speranza di aiutarla a stare meglio e di farsi perdonare, più che da lei da se stesso, che in quei giorni non era stato capace di avvertire lo stato d’animo della ragazza.
«Grazie, davvero, mi ci voleva.» disse Ran staccandosi dall’abbraccio dopo qualche decina di secondi e tuffando il suo sguardo negli occhi blu del ragazzino che aveva di fronte, occhi che le ricordavano terribilmente quelli del ragazzo di cui era innamorata, colui che voleva accanto in quel momento così difficile per lei.
«Allora… è pronta la cena?» disse Conan sorridendo, utilizzando il tono più infantile che riusciva ad usare, tentando di distrarla e alleggerire la tensione che si era creata nell’aria.
«Sì certo!» rispose lei alzandosi, prendendo per mano il ragazzino, che arrossì leggermente, e portandolo verso il tavolo che aveva preparato con il cibo servito. Si sedettero e iniziarono a mangiare.
«Ma lo zietto? Non cena con noi?»
«No mi ha chiamata appena sei uscito di casa avvertendomi che non sarebbe tornato perché il suo cliente lo aveva invitato a cenare fuori» rispose lei leggermente interdetta. La cena andò avanti nell’assoluto silenzio poiché entrambi erano immersi nei propri pensieri, uno a pensare a come le avrebbe rivelato tutto e l’altra a pensare ai dubbi che affollavano la sua mente. Successivamente, andarono a dormire senza dire una parola oltre ad uno striminzito “buonanotte” quasi sussurrato da parte di entrambi.




 
\\\\\\SPAZIO AUTRICE\\\\\\
EHILÀ!
Sono tornata, mi ripresento, il mio nome è Martina.
Non so se qualcuno di voi aveva già letto la storia che avevo publicato qualche mese fà, nel caso lo aveste fatto, mi scuso ma, rileggendola ho pensato di cambiare delle cose perché, provando ad andare avanti, mi era difficile continuare a scrivere.
Sperando che quesata volta sia la definitiva, approfitto della giornata di oggi (*colpo di tosse* episodio 928 *colpo di tosse*) per provare a riproporvi quello che ho scritto.
Non so darvi una data precisa per il nuovo capitolo ma spero di riuscirci entro due settimane. 
Se ne avete voglia, una recensione è sempre gradita! 
Mi scuso ancora con chi, questo, lo aveva già letto, spero di riuscire a ripagare la vostra pazienza con i prossimi capitoli.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Erano le 8:30 della mattina successiva, Ran si era appena alzata per andare a preparare la colazione quando, presa dalla forte nausea che in quei giorni non l’abbandonava un attimo, dovette correre in bagno a rimettere.
Per non far preoccupare Conan e suo padre, cercò di tirarsi su il prima possibile. Stava per alzarsi da terra quando, improvvisamente, la porta del bagno si spalancò rivelando la figura di Conan che, sentendo dei conati provenire da quella stanza, si era precipitato lì, trovandosi davanti la ragazza accasciata a terra accanto al gabinetto. Shinichi si abbassò all’altezza della karateka e facendole passare un braccio attorno alle sue esili spalle la aiutò ad alzarsi accompagnandola prima al lavandino per sciacquarsi la faccia e poi sul suo letto, notandola molto provata. Aspettò che lei fosse comoda prima di chiederle qualsiasi cosa.
«Che ti è successo?»
«Avrò contratto lo stesso virus di papà» rispose la ragazza tentando di convincere prima se stessa e poi lui.
«Da quanto stai così?» chiese Conan sedendole accanto e guardandola negli occhi, come in cerca della verità, sempre più preoccupato dalle sue risposte.
«Circa quattro giorni…» continuò sincera lei portando le ginocchia al petto e stringendole con le braccia.
«E perché non ci hai detto niente? Credi che se non lo dici a nessuno passerà prima?» si alterò Shinichi, sempre più in pensiero, ripercorrendo con la mente quegli ultimi giorni. Come aveva fatto a non accorgersene? Era forse diventato cieco? Aspettò per un po’ la risposta della ragazza continuando a riflettere sull’ultimo periodo della sua vita fin quando, ad un certo punto, il suo cuore perse un battito ricordando cosa era successo a casa sua solo qualche settimana prima. Il ragazzo iniziò a sperare si sbagliasse, voltandosi verso Ran che era seduta vicino a lui, notò che la ragazza aveva gli occhi pieni di lacrime. Quella visione gli spezzò il cuore e tentando di convincersi che si stava sbagliando, le diede un abbraccio e la invitò a riposare a letto dicendole che avrebbe pensato lui alla colazione, scendendo a prenderla al Poirot.
Ran, stremata e assonnata, non riuscì a fare altro che accettare la proposta del ragazzino che, dopo averle stampato un bacio sulla fronte, usciva dalla camera.

Dopo aver lasciato la ragazza a riposare, Shinichi, era andato a vestirsi indossando i suoi soliti calzoncini, accompagnati da una camicia bianca.
Una volta costatato che Kogoro dormiva ancora, uscì di casa scendendo al Poirot, dove fece colazione e ordinò qualcosa da asporto per il detective e sua figlia. Salì in casa e lasciò il vassoio con il cibo sul tavolo, dopodiché lanciò uno sguardo al suo orologio da polso.
Notando che tra una cosa e un’altra si erano fatte quasi le nove decise, non avendo altro da fare, di scendere in agenzia a riflettere. Avrebbe preferito, magari, andare a fare una passeggiata o anche allenarsi a calcio, come faceva sempre, per ragionare meglio ma, con Ran in quelle condizioni, non se la sentiva di allontanarsi da casa, se non per cose importanti.
 
Appena entrato, si diresse subito a sedersi su uno dei divani marroni che arredavano il posto e si perse per l’ennesima volta nei suoi pensieri. Questa volta, oltre alle sue solite preoccupazioni, si faceva spazio nella sua mente il pensiero della salute della ragazza che dormiva al piano di sopra, la sua situazione lo preoccupava, aveva un dubbio che lo attanagliava e che in quel momento, se si fosse avverato, avrebbe solo reso il tutto più difficile.
Quel suo essere pensieroso, però, fu bruscamente interrotto dalla suoneria del suo cellulare.
Lo afferrò, dalla scrivania del detective, e lesse il nome dell’amica scienziata sullo schermo.
“Haibara, come mai così presto questa mattina?” rispose Conan incuriosito dal motivo di quella chiamata.
“Shinichi, ti consiglio di raggiungermi ho qualcosa che potrebbe interessarti.”
In quelle parole risuonava una strana soddisfazione.
Non ci volle tanto per Shinichi a ricollegare il tono che aveva utilizzato Ai per pronunciare quella frase, al motivo della chiamata. L’antidoto che tanto in quegli anni aveva aspettato, adesso, era pronto a combattere gli effetti che quella maledetta “APTX4869” aveva provocato al suo corpo anni prima.
Balzò dal divano lasciandoci cadere, distrattamente, il libro sopra e si fiondò immediatamente fuori dall’ufficio con il suo skate tra le mani.

Corse a gran velocità tra i passanti per le strade di Tokyo, con il vento che gli scompigliava i capelli, un gran sorriso stampato sulle labbra e la testa completamente svuotata da ogni pensiero. Una volta arrivato davanti villa Kudo, sfilò dalla tasca dei suoi pantaloni le chiavi di casa ed entrando, si diresse direttamente nella sua camera per prendere i vestiti che gli sarebbero serviti una volta tornato adulto. Entrò nella stanza e aprì le ante dell’armadio prendendo uno zaino e infilandoci dentro ciò che avrebbe indossato una volta tornato nel suo vero corpo.

Uscì dalla sua camera e prima di scendere al piano terra, si diresse nella stanza che, quella notte di tre settimane prima, aveva accolto lui e la sua Ran. Ripercorse con la mente ogni singolo istante di quella serata e, mentre dei brividi di piacere gli attraversavano l’intera spina dorsale al solo ricordo, l’ansia e la preoccupazione rinchiudevano il suo cuore in una morsa più stretta ogni secondo che passava, palesando sempre più la probabile realtà che lo circondava.
Si rassegnò e con le gambe tremanti, scese le scale che lo portarono di fronte l’uscita di casa sua;
il momento che tanto aveva aspettato in quegli anni era finalmente arrivato e dentro di sé la gioia provata fino ad allora si mescolò con un po’ di malinconia, poiché, talmente lo aveva atteso, che adesso non riusciva quasi a crederci.
Stava per uscire quando, per cercare di scaricare tutta la tensione che gli si era accumulata in corpo, decise di entrare nella sua biblioteca. Stare in quella stanza lo aveva sempre rilassato, essere circondato da tutti quei libri che lui tanto amava, lo faceva stare bene. Fece un paio di respiri profondi e poi si avvicinò allo scaffale dove teneva il suo violino, lo prese in mano e intonò l’inizio di una delle sue melodie preferite.

Pur non essendo riuscito a silenziare completamente i mille pensieri che gli facevano compagnia in quei giorni, Shinichi, si abbandonò alla felicità che lo aveva sommerso, al solo pensiero di ritrasformarsi di nuovo nell’adulto che avrebbe dovuto essere.

Forte di questa sua ritrovata sicurezza non perse altro tempo e, con il suo zaino sulle spalle, si diresse a casa del suo amico, dove il suo vecchio aspetto lo attendeva. Gli sarebbe piaciuto aspettarsi di tornare alla sua vecchia vita ma, dato il corso degli ultimi eventi, ne dubitava fortemente.

Una porta divideva Conan dal tornare Shinichi e dopo aver immagazzinato dell’ossigeno nei suoi polmoni, come se da un momento all’altro si fosse ritrovato negli abissi oceanici, suonò il campanello.
Passarono solo pochi secondi e si ritrovò davanti all’amico Agasa, visibilmente felice di vederlo. Il ragazzo, non diede al professore neanche il tempo di aprire bocca che si era già autoinvitato a entrare, togliendosi le scarpe e dirigendosi verso il divano dove si trovava seduta Ai.
La ragazzina lo stava aspettando con le gambe accavallate, visibilmente stanca, con delle occhiaie a circondarle gli occhi blu e un portapillole nella mano destra.
«Allora?! Dov’è l’antidoto?!» iniziò il detective, contagiato da un’impazienza facilmente comparabile con quella di Genta che aspetta di mangiare.
«Che ne dici di iniziare a comportarti dall’adulto quale sei?» la scienziata pronunciò queste parole fulminando il compagno di sventure con uno sguardo truce. Conan, recepito il messaggio, si ricompose, si sedette sul divano di fronte a lei e stette in silenzio, invitando l’altra a parlare.
«L’antidoto è qui dentro» disse porgendo il portapillole al ragazzo di fronte a lei, che l’afferrò immediatamente «ma tu come pensi di giustificare l’improvvisa scomparsa di Conan?»
«Alle persone più importanti dirò la verità, ovviamente. Per quanto riguarda i bambini… beh, a loro dirò di essermi trasferito in America con i miei genitori, credo… in realtà ci ho riflettuto un po’ e questa mi sembra la soluzione migliore.» Shinichi volse uno sguardo, leggermente abbattuto, ad Ai e aggiunse «tu piuttosto, che hai intenzione di fare? Tornerai adulta?»
«Ho bisogno di pensarci su.» tagliò corto la ramata.
Il ragazzo annuì e alzandosi dal divano si diresse verso il bagno con il suo zaino su una spalla e il portapillole in mano.
Entrò nella stanza, si sedette e con in testa il solo pensiero di poter riuscire finalmente a tornare adulto, aprì il porta pillole e trovandone solo una al suo interno, intuì le probabili intenzioni dell’amica.

Fece un sospiro e assunse la capsula che gli avrebbe permesso il ritorno a quella vita che da tempo aveva, per volere di altri, abbandonato.
In quel momento pensava solo che avrebbe potuto finalmente riabbracciare la sua ragazza, senza avere più l’ansia di dover scappare da lei, abbandonandola, da un  momento all’altro.
Passarono solo una manciata di secondi prima che i sintomi da lui ormai ben conosciuti arrivassero, infatti, il calore che ogni volta gli invadeva il corpo, come ad annunciargli la sua trasformazione, non si fece attendere. Subito dopo non tardarono ad arrivare le strazianti fitte al petto, che si ripetevano una dopo l’altra, aumentando sempre d’intensità, procurandogli ognuna una sofferenza maggiore. Ogni secondo che passava il suo fiato si faceva più corto e il sudore freddo gli imperlava la fronte. Questa situazione peggiorava sempre di più fino ad arrivare a quello che era l’ultimo, nonché peggiore, dolore, quell’ultimo colpo che gli trafiggeva il petto, procurandogli un male maggiore di quello causatogli dal proiettile che, qualche anno prima, gli trafisse l’addome. Un urlo straziante spezzò il silenzio che si era creato nella casa, silenzio che tornò a regnare subito dopo. Ai e il dottore non distolsero lo sguardo dalla stanza dove si era rinchiuso il ragazzino, fino a quando, un cigolio della porta non li riportò alla realtà rivelando ai loro occhi la figura di un ragazzo, visibilmente felice, che non si faceva vedere da un po’ troppo tempo ormai. Il volto di Agasa s’illuminò di gioia nel vedere di nuovo quel giovane che era praticamente cresciuto in casa sua, mentre, quello di Ai si fece sfuggire una nota abbastanza evidente di soddisfazione, per essere riuscita finalmente a sintetizzare quell’antidoto al quale lavorava da anni.
«Allora? Cosa sono quelle facce?» esordì Shinichi, con una nota d’ironia a colorargli la voce, avanzando verso i suoi amici mentre si sistemava il polsino della camicia.
«Sono solo soddisfatta del mio lavoro.» lo liquidò la ramata, alzandosi dal divano e andando a mettersi a letto.
«Adesso che farai?» chiese il professore al ragazzo davanti a lui che si sistemava l’orologio e controllava l’ora.
Erano, ormai, quasi le 9:40, e aveva lasciato Ran a casa da sola da un bel po’ ormai.
«Professore ha da fare?»
«Di cosa hai bisogno?» chiese Agasa con tono ovvio.
«Mi accompagnerebbe in agenzia? Sa com’è, adesso mi è un po’ difficile usare lo skate, tornando a piedi mi ci vorrebbe troppo tempo e ho promesso a Ran che avrei pensato io a lei.» l’amico rassegnato e confuso, senza rispondere, si tolse il camice e prese le chiavi del suo maggiolone giallo uscendo di casa seguito da Shinichi.


«Potrei almeno sapere perché dovresti occuparti di Ran?» chiese il professore, con aria abbastanza confusa, una volta saliti in macchina.
«Questa mattina si è sentita poco bene così, le ho detto di riposare perché avrei pensato io a tutto» riassunse a grandi linee il detective.
«Come le spiegherai il perché  tu anziché Conan?»
«Molto semplicemente, è arrivato il momento di raccontarle tutta la verità, anche se ho paura che non sia il momento più adatto, aspettando ancora, peggiorerò solo il tutto.» sospirò il giovane detective «devo ammettere di avere paura della sua reazione, sono consapevole che ci resterà, giustamente, male ma non posso continuare a mentirle come se niente fosse. Lei merita la mia totale sincerità. Non voglio perderla per sempre, ma non posso neanche continuare a raccontarle bugie, ingannandola, solo per il mio egoismo.» buttò fuori, poi, tutto d’un fiato, straziato da quella situazione che da anni aveva costretto lui, continuamente alla ricerca della verità, ad essere quello che non era mai stato: un bugiardo.
Alle parole di Shinichi, Agasa restò in silenzio, colpito dall’umanità che raramente dimostrava quel ragazzo. Lui riusciva sempre a mantenere la calma e a ragionare con lucidità, in quell’occasione però non era più la sua fredda e razionale mente a parlare, ma il cuore del ragazzo, spaventato dal perdere per sempre quell’unica persona che era riuscita a farlo battere come non mai.
Un gelido silenzio calò nell’auto.
Il ragazzo, sospirò portando lo sguardo fuori dal finestrino, pregando che anche i sospetti che lo attanagliavano da quella mattina rimanessero solo sospetti, oppure la situazione si sarebbe complicata notevolmente.






 
//////SPAZIO AUTRICE//////
Ehilà! Sono tornata con un nuovo capitolo! Spero che, apprezzerete anche questo capitolo, ma, soprattutto, di non deludere coloro che hanno apprezzato il primo!
Prima di commentare il capitolo, ne approfitto per ringraziare quelli che hanno recensito il capitolo precedente.
Vedere apprezzato quello che ho scritto mi ha resa molto fiera di quello che faccio.
Tornando a noi... piaciuto questo secondo capitolo? Il nostro Shinichi è tornato tra di noi, dimostrandosi più emotivo di quanto sembri (anche se in qualche episodio si è fatto scappare qualche preoccupazione ^-^)
Come andrà a finire con Ran secondo voi?
Al prossimo capitolo!
(che spero di riuscire a pubblicare entro due settimane)
-Martina

 
P.s. ho intenzione di cambiare il titolo della storia perché, questo, non mi fa particolarmente impazzire, perciò...
se avete dei suggerimenti scrivetemeli pure nelle recensioni!!

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 

Intanto che Shinichi si dirigeva in agenzia da lei, Ran si svegliava nella sua stanza, questa volta senza nausea. La ragazza, portò lo sguardo alla sveglia digitale, che aveva sul comodino accanto al suo letto, accorgendosi che erano da poco passate le 9:30.

Afferrò il suo smartphone controllando i messaggi ricevuti. Tra le varie notifiche c’erano: quelle di suo padre che l’avvisava di essere uscito e che, tanto per cambiare, sarebbe rientrato solo dopo cena; quelle di Kazuha che le augurava il buongiorno con una fantastica foto di Heiji in cui il ragazzo dormiva beatamente sbavando; e, in fondo alla lista si trovava un messaggio del piccolo Conan che diceva soltanto: “Sono uscito”. La karateka sorrise al ricordo di quanto, quel ragazzino, che lei aveva sempre considerato come un fratello, si fosse preoccupato per lei quando, quella mattina, l’aveva vista stare male. Decise di alzarsi e prepararsi, cercando di acquistare un aspetto migliore.

Si avvicinò al suo armadio e ne cercò all’interno la cosa più comoda che possedeva ma che, allo stesso tempo, riuscisse ad essere anche carina. Non era ancora nel suo stato migliore, perciò non aveva voglia di vestirsi in maniera troppo impegnativa ma non aveva neanche intenzione di buttarsi troppo nel ruolo della malata, personaggio che non le apparteneva minimamente.

Completò la sua ricerca quando le capitò sotto le mani uno di quei vestiti in tessuto morbido che tanto le piacevano.

Decretò che fosse abbastanza comodo, così lo afferrò e si diresse in bagno a prepararsi. Decise di farsi una doccia per cercare di riprendersi meglio dal voltastomaco che, qualche ora prima, l’aveva stremata; aprì l’acqua calda e iniziò a spogliarsi. Era completamente nuda davanti allo specchio situato sopra il lavandino. Iniziò a guardarsi, si mise di profilo osservandosi la pancia e istintivamente iniziò ad accarezzarsela. Non voleva che i suoi sospetti fossero reali eppure, quella strana sensazione che le suggeriva che fosse proprio come immaginava, non voleva abbandonare la sua testa. Non poteva essere incinta. Non poteva, non ora. Anche se, tutto sommato, un po’ nel profondo del suo cuore, ci sperava di vedersi mamma, con Shinichi al suo fianco. La seconda parte di tutto ciò, purtroppo, sembrava sempre più irreale, dato che da anni, non riuscivano a passare insieme più di qualche ora di tanto in tanto.

D’un tratto tornò alla realtà, convincendosi che quelle erano solo congetture create dalla sua mente perché, a causa del virus, in quei giorni aveva riposato poco. Entrò in doccia, si lavò e si preparò.

Shinichi scese dal maggiolone del professore salutandolo e ringraziandolo, subito dopo, preso dall’insicurezza e dalla paura, cambiò direzione iniziando a passeggiare riflettendo tra sé e sé.

Arrivò al parchetto vicino l’agenzia, posto dove era solito giocare con i Detective Boys quando era Conan. Oltrepassò la rete che fungeva da recinzione e trovò un pallone abbandonato; quasi istintivamente gli diede un calcio iniziando a passarlo da un piede ad un altro, fino a calciarlo contro il muro davanti a se. Racchiuse in quel calcio tutta la frustrazione che lo accompagnava da tempo ormai, come a volersene liberare, trasformandola nell’energia che la palla aveva liberato colpendo la parete e rimbalzando. Al detective parse di esserci riuscito e si sentì improvvisamente più tranquillo, così, dopo aver temporeggiato continuando a giocare per i 20 minuti successivi, prese coraggio e lentamente si avviò verso la casa che in quegli anni lo aveva accolto pronto, forse, ad affrontare ciò che sapeva lo aspettasse.

 

Ran, si trovava su uno dei divani dell’agenzia a leggere una rivista di karate cercando di ammazzare il tempo, non avendo la forza di fare nient’altro.

Aveva lo sguardo fisso su un punto indefinito della pagina e la mente dispersa totalmente altrove.

Infatti qualcos’altro da fare lo aveva. In quei giorni in cui era stata male, aveva avuto il presentimento non fosse un semplice virus il suo. Dopo la notte passata con Shinichi, infatti, avrebbe dovuto avere le mestruazioni. Completamente saltate. Preoccupata e cosciente di quale potesse essere stata la causa, aveva provato a cercare informazioni su internet, andando purtroppo a riscontrare molti dei sintomi lì riportati. Sebbene le coincidenze erano molte, probabilmente guidata dalla paura, aveva cercato di ignorarle, rifugiandosi nella convinzione che fosse colpa dell’influenza che in quei giorni stava contagiando molte persone. Nonostante questo suo volersi convincere del contrario, il giorno precedente, in farmacia, aveva ugualmente acquistato un test di gravidanza, anche se, per paura del risultato aveva evitato fino ad allora di farlo.

Poggiò con sicurezza la rivista che teneva in mano sul tavolino davanti a se e, con un sospiro, decise che fosse arrivata l’ora di dare una risposta ai suoi dubbi. Dopotutto, se avesse fatto il test o meno, il risultato non sarebbe di certo cambiato; per questo, si alzò e si diresse verso la sua borsa tirandone fuori una scatolina bianca e blu che portò con sé in bagno.

Passarono circa cinque minuti prima che un cigolio prodotto dalla porta della toilette rompesse il silenzio nel vuoto della casa. Lentamente, venne a crearsi la figura di Ran che teneva stretto, nelle mani tremanti, un bastoncino bianco. Il viso della ragazza era rivolto verso quell’astina candida che aveva scritto sopra “INCINTA 2-3 SETTIMANE” e, mentre un sorriso amaro, appena accennato, era disegnato sulle sue labbra, le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi. Le gambe iniziarono a tremarle mentre dei leggeri crampi le attraversavano l’addome, non avendo più la forza di stare in piedi si appoggiò al divano, scivolandoci lentamente sopra.

Passò solo qualche minuto prima che un suono di passi la fece sussultare. Vide, attraverso il vetro nella parte superiore della porta, un’ombra passarci davanti per proseguire dritta. Poggiò distrattamente sul tavolino, il test che teneva stretto tra le dita e corse alla porta, noncurante degli occhi arrossati dal pianto, la aprì trovandosi davanti l’unica persona che non si sarebbe mai aspettata di vedere, ma che, allo stesso tempo, desiderava più di chiunque altro. Aveva di fronte il suo ragazzo che le sorrideva a braccia aperte, con un’espressione di felicità, mista a preoccupazione, sul volto.

«Sorpresa!» esclamò con tono dolce Shinichi.

Ran, non perse un secondo e gli saltò al collo stringendolo a se più forte che poteva scoppiando a piangere disperatamente .

Il detective, dopo averla stretta a se più forte che poteva, guardò negli occhi la ragazza che aveva tra le braccia, asciugandole con il pollice una lacrima che correva sulla sua guancia e iniziò a baciarla dolcemente.

Ran, ricordando cosa aveva abbandonato poco più in là, si staccò dal bacio del fidanzato e avvicinandosi al tavolino prese la rivista infilandoci in mezzo il test. Quello non era il posto adatto per parlare.

«Andiamo di sopra. Non voglio parlare qui potrebbe arrivare qualcuno da un momento all’altro.»

«Hai ragione.»

Salirono nell’appartamento e Ran si allontanò da Shinichi, chiedendogli di aspettarla qualche minuto perché aveva una cosa urgente da fare, entrando poi in camera sua.

Lì tirò fuori il test e riprese a guardarlo in silenzio seduta sul letto a gambe incrociate, non sapendo cosa fare, mentre Shinichi l’aspettava impaziente e ansioso, camminando avanti e dietro il perimetro della sala dove mangiavano solitamente.

I minuti passavamo ma, della karateka non se ne vedeva neanche l’ombra, per questo motivo, il detective, preoccupato che fosse successo qualcosa decise di entrare in quella camera, ignorando le raccomandazioni della ragazza.

 

Appena mise piede in quella stanza, raggelò e il suo cuore perse un battito.

Lei, la sua Ran, era seduta sul letto con il viso basso, lo sguardo puntato su qualcosa di bianco stretto nelle sue mani poggiate sulla sua pancia e le guance rigate, per l’ennesima volta a causa sua, dalle lacrime che scendevano copiose dai suoi occhi. La vista di quella scena lo faceva stare male e il pensiero che potesse essere colpa sua, lo faceva sentire una persona miserabile.  

Il ragazzo, fece un respiro profondo e si sedette accanto a lei portando, anche lui, lo sguardo su quel bastoncino candido che eliminava ogni suo dubbio, preannunciando chiaramente, che le loro vite sarebbero cambiate radicalmente di lì a poco. Il detective, tese la sua mano, andando a stringere quella della fidanzata come se fosse stata la sua ultima possibilità di vederla e di toccare quella pelle che negli anni tanto aveva bramato.

«Scusami» disse lei, guardandolo negli occhi, senza aggiungere altro.

«Sciocca, di cosa dovrei scusarti? Se in questa stanza c’è qualcuno che deve scusarsi quello sono io.» sospirò lui con la voce tremante, cosciente di ciò a cui andava in contro: «Prima che tu prenda una decisione che influenzerà, immancabilmente, in un modo o in un altro, la tua vita, voglio che ascolti cosa ho da dirti…»  continuò poi, il ragazzo andando ad aumentare la presa, tremante, sulla mano della fidanzata.

«Per favore, ascoltami. Lasciami dire quello che ho da dirti, prima di reagire.» Ran era sempre più preoccupata dalle parole che stava per dirle il suo ragazzo, stava facendo troppi giri di parole, e tutto ciò non preannunciava niente di buono, soprattutto se accostato alle sue mani tremanti.

Dopo queste premesse, nonostante la paura sempre più grande della sua reazione, prese un profondo respiro e senza il coraggio di guardarla negli occhi iniziò a parlarle: «Scusami per averti mentito in questi anni.» non riuscì a finire senza prendere fiato di nuovo, questa volta prima di continuare portò il suo sguardo in quello della ragazza di fronte a lui, notando, con il cuore a pezzi, i suoi occhi pieni di lacrime trattenute a malapena.

Lasciò la presa sulla mano della karateka e strinse le sue in pugni, continuando:«Scusami, per averti lasciata sola quella sera di cinque anni fa al Tropical Land, se io non lo avessi fatto non avrei dovuto mentirti per tutto questo tempo. Infatti, dopo essermi allontanato, sono stato preso alle spalle da uno dei criminali che stavo seguendo e dopo avermi stordito, mi ha costretto ad assumere un veleno che avrebbe dovuto uccidermi.»

Ran, sempre più sconvolta da tutto quello che le stava accadendo, non riusciva a spiccicare una parola, un malloppo di preoccupazioni le bloccava la gola rendendola praticamente muta.

Il ragazzo da parte sua, non stava meglio, infatti, lui che sempre si era mostrato forte davanti a tutti scoppiò a piangere dinanzi la paura, più reale ogni secondo che passava, di essere abbandonato dall’unica persona che era stata capace di fargli perdere la testa. Con le lacrime che scorrevano lentamente sugli zigomi, il detective si fece coraggio e  terminò.

«Scusami se, fingendomi Conan, per tutti questi anni ti ho fatta soffrire, preso dalla paura che quei pazzi avrebbero potuto farti del male. Volevo solo proteggerti, non volevo perderti per mano di un pazzo. Per questo e non per altro, ho aspettato fino ad adesso, che l’organizzazione non esiste più, per dirti tutto.»

Ormai, la fragilità che quel ragazzo appassionato di gialli, aveva da sempre nascosto dietro un muro di sicurezza e presunzione, era venuta fuori e le lacrime non smettevano di corrergli sul viso. Aveva esternato tutte le sue paure davanti alla sua amica d’infanzia, davanti a colei che sempre aveva protetto dalla crudeltà del mondo.

Quella stessa persona che adesso lo guardava senza più un briciolo di fiducia nei suoi confronti e che, con l’animo confuso e il cuore a pezzi, stava racimolando le ultime energie che aveva in corpo per farsi forza e rispondergli.

Per quanto le faceva male pronunciare quelle parole, non poteva accettarlo. Non poteva far passare così cinque anni di bugie. In queste condizioni non riusciva più, neanche ad essere sicura di tutte le cose che le aveva detto, dell’amore che tanto le aveva professato. E se fossero state tutte, solo, bugie per “non coinvolgerla”? Chi glielo assicurava?

 
                                                                  \\\\\\\\\SPAZIO AUTRICE\\\\\\\\\\
Ehilà! Sono tornata con un nuovo capitolo... ci ho messo un po' ma spero ne sia valsa la pena. Spero la storia vi stia piacendo e che le attese per i capitoli no vi stanchino troppo. Mi rattrista avvisarvi che, putroppo, probabilmente per il prossimo ce ne vorrà ancora di più. Spero ancora che vi stia piacendo e vi invito a farmelo sapere con una recensione. Inoltre, vi rinnovo l'invito a suggerirmi dei titoli migliori di questo, mi farebbe molto piacere.
Al prossimo capitolo
-Martina.

 

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