L'intersezione del genio

di Crystal Rose
(/viewuser.php?uid=1076008)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era una volta... ***
Capitolo 2: *** Rapita dal destino ***
Capitolo 3: *** Benvenuta su Germa ***
Capitolo 4: *** L'allenamento del mattino ***
Capitolo 5: *** Il laboratorio ***
Capitolo 6: *** La lega a memoria di forma ***
Capitolo 7: *** Corri coniglietto! ***
Capitolo 8: *** Gli obblighi sociali ***
Capitolo 9: *** Il becher ***
Capitolo 10: *** L'ultima notte su Germa ***
Capitolo 11: *** Cortocircuito ***
Capitolo 12: *** La teoria del caos ***
Capitolo 13: *** Disordine entropico ***
Capitolo 14: *** Il salvataggio ***
Capitolo 15: *** Il regno di Kamabakka ***



Capitolo 1
*** C'era una volta... ***


Tutte le storie cominciano con “C’era una volta in un regno lontano lontano“ e prevedono una bella fanciulla che sta passando un gran brutto momento e resta in attesa di un uomo grande e forte che la salvi e la porti via in sella al suo cavallo bianco verso il loro “vissero per sempre felici e contenti”. La mia storia è esattamente il contrario. Inizia in un piccolo paesino assolutamente di nessuna rilevanza, su di un’isola piuttosto tranquilla e banale, una di quelle che, nonostante fossimo nell’epoca d’oro della pirateria, non veniva visitata né da pirati, né da uomini del governo. Talmente insignificante che non ne veniva dimenticata l’esistenza solo perché comparivamo ancora nelle mappe. Eravamo lontani dalle rotte più battute ed il clima non era mai tanto avverso da spingere qui una nave, neanche per sfortuna.
 
Vivevo tranquilla in una casetta piuttosto modesta. A mia madre, morta quando ero appena una bambina, non piaceva lo sfarzo, preferiva passare inosservata e vivere una vita felice e modesta, senza attirare attenzioni. Abbiamo vissuto da sole, io e lei, per 10 anni, mio padre ci spedì in quel paesino prima della mia nascita e non si è mai più fatto vedere. Avevo 10 anni quando un’orribile febbre la portò via lasciandomi da sola. Pensai che mio padre finalmente si decidesse a prendermi con sé e portarmi via da quel noioso paesino ma lui ancora una volta non si fece vedere. Mandò sull’isola una donna grassoccia con una sua lettera di scuse in cui mi spiegava perché non potessi stare con lui e la necessità che nessuno sapesse della mia esistenza e del nostro legame. Da quel momento la donna, che si presentò come Marla, si sarebbe presa cura di me.
 
Dimenticavo, io mi chiamo Lea ed ho 19 anni, vivo ancora nella casetta sull’altura in mezzo al verde con la mia adorata madre adottiva Marla. Le giornate sono piuttosto noiose e ripetitive: do una mano in casa, mi arrangio a fare qualche lavoretto per contribuire alle spese, anche se mio padre non manca di mandarci sostanziosi fondi ogni mese, ma Marla la pensa come mia madre, meglio non dare nell’occhio, meno la gente parla di noi e meglio è. Non frequentiamo molte persone, la mia governante non lo ritiene sicuro, però al villaggio mi conoscono tutti e mi vogliono tutti un gran bene, anche perché mi rendo utile come posso.
 
Ho un segreto, un enorme, mastodontico segreto che tengo nascosto da quando morì mia madre, ne siamo al corrente solo io, la mia tata e mio padre e devo proteggerlo ad ogni costo, anche della vita se necessario. Ogni giorno il gabbiano ci consegna il giornale e Marla lo spulcia per bene prima di passarmelo, non ho idea di cosa si aspetti di vederci sopra, forse teme di vederci notizie che la riguardano o che riguardano mio padre o la nostra isola, chi la capisce. Non mi ha mai parlato molto di lei, mi ha dato amore, comprensione e non mi ha risparmiato certo le sculacciate quando combinavo qualche pasticcio. Io credo che nasconda qualcosa ma non ne ha mai fatto parola con anima viva e non ha contatti con nessuno all’infuori di me, mio padre e gli abitanti del villaggio.
 
Un giorno tornò dal villaggio pallida come uno straccio.
 
- Marla ti senti bene? – le chiesi soppesandola, non era il tipo di donna che si spaventasse facilmente.
 
- È un disastro! –
 
- Cosa è un disastro? – era davvero trafelata.
 
- Quel matto di Aron! –
 
- Chi? Il vecchio pescatore? Che ha combinato? –
 
- Da stamattina va dicendo al villaggio che ha trovato un giacimento di agalmatolite su quest’isola! – era sconvolta.
 
- Buon per lui. – non capivo il nesso tra la fortuna del vecchio e lo stato emotivo della mia tata.
 
- Razza di zuccona che non sei altro! Non capisci questo cosa significa? –
 
- No. – in effetti non lo capivo.
 
- Mi chiedo come fai ad essere così brillante quando ti sfuggono cose così ovvie. –
 
- Arriva al dunque. –
 
- Se quello che va dicendo quel matto di Aron è vero presto quest’isola diventerà troppo trafficata. Non è più un posto sicuro! Dobbiamo andare via! –
 
- Andare via? Andare dove?  -
 
- Dove non possano trovarci. –
 
- Ma sei impazzita! Qui ho i miei amici e la tomba di mia madre. Io non vado da nessuna parte! – se pensava di trascinarmi via di lì solo per i deliri di un povero vecchio allora era più matta di lui.
 
- Non hai scelta signorinella! Sai bene quali siano gli ordini di tuo padre: per nessun motivo al mondo devono trovarti o venire a conoscenza della tua esistenza! –
 
- Mio padre è un esagerato! Chi mai dovrebbe venire a conoscenza di me o del mio legame con lui?! Anche se quest’isola iniziasse a pullulare di gente, come potrebbero mai scoprirmi? –
 
- Tu sottovaluti il pericolo! Ti porti dietro un nome terribilmente pericoloso! –
 
- Ti sbagli! Quello non è il mio nome. Non ho mai visto quell’uomo in vita mia e dato chi è non credo che lo vedrò mai. Io porto il nome di mia madre e mia madre non era nessuno. –
 
- Somigli a lui più di quanto immagini e se dovessero scoprire il tuo piccolo magazzino segreto finiresti nei guai. Non ci sono molte persone a questo mondo capaci di fare quello che fate voi. –
 
- Non possono dimostrare niente e non ho intenzione di andarmene, almeno non fino a quando non verificheremo la reale esistenza del pericolo. Un’isola diversa non è meno pericolosa di questa. Per ora resteremo e se questo posto dovesse rivelarsi davvero pericoloso per me allora andremo via. –
 
- Scriverò a tuo padre, stanne certa! –
 
- Non dimenticare di allegare i miei saluti se lo fai. – dissi sarcastica prima di uscire, per quanto mi riguardava quella discussione era durata anche troppo. Avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi capisse sul serio, così mi recai alla tomba di mia madre, una croce sull’altura, la vista sul mare che si aveva da lì era bellissima.
 
Non avevo mai lasciato la mia isola, non avevo neanche mai pensato a lasciarla a dire il vero, la tomba di mia madre era tutto ciò che restava della mia famiglia ed anche se con me c’era Marla non me la sentivo di lasciarla. Ogni volta che mi sentivo giù o le cose andavano male andavo da lei e chiacchieravamo, parlare alla sua croce ed osservare la vastità del mare mi aiutava a riacquistare la lucidità e riflettere. Ero una persona molto razionale, lo ero per natura ed ero stata cresciuta in quel modo, la voce della testa doveva sempre essere più forte di quella del cuore, solo il cervello doveva avere l’autorità di prendere decisioni.
 
Marla aveva ragione, aveva semplicemente ragione. Quell’isola era sicura perché era abitata da gente sempliciotta e di buon cuore che non sospettava e non faceva domande, mi avevano vista crescere e mi apprezzavano e tanto bastava loro. Non c’erano quasi mai nuovi arrivati e comunque mai nessuno di pericoloso per noi. Scoprire l’agalmatolite su di un’isola aveva due conseguenze: la prima è che sarebbe sicuramente partita una diatriba tra il nostro regno e quelli limitrofi per averne il possesso e la seconda è che sarebbero arrivate sull’isola molte persone, forse troppe, di tutti i generi, pirati, uomini della marina, potenti, malavitosi. Un giacimento di agalmatolite faceva gola a tanti, qualcuno avrebbe potuto scoprire il mio nascondiglio in città e risalire a me e mio padre, era pericoloso. Non c’era altro da fare, dovevo assicurarmi che la voce messa in giro da quel vecchio fosse sensata ed in caso affermativo dovevo distruggere il magazzino e andarmene dall’isola quanto più in fretta possibile anche se l’idea non mi piaceva.
 
Mi alzai e, dopo aver sfiorato la croce di legno, scesi in paese per acquisire informazioni. La fortuna non era dalla mia. Non avevo mai sentito dire una cosa sensata a quel vecchio pazzo in tutta la mia vita, ma come si dice, c’è sempre una prima volta. Aveva sul serio trovato l’agalmatolite e la notizia era volata di bocca in bocca con una tale rapidità da essere già sull’edizione del mattino il giorno seguente, neanche fosse la notizia dell’incidente avvenuto alle nozze della figlia di Big Mom. Era un disastro, un disastro di dimensioni bibliche.
 
- Ecco! Lo vedi! – Marla mi sventolò il giornale sotto al naso. – Che ti dicevo?! Quest’isola è pericolosa! –
 
- Si ho capito! Avevi ragione, va bene? – mi sentivo piccata, non tanto per il fatto che avesse ragione, quello lo avevo capito anche io da subito, ma per il fatto che fosse vero e che questo comportava necessariamente il dover abbandonare la casa in cui ero cresciuta e mia madre. – Adesso dove andremo? –
 
- Ieri ho scritto a tuo padre, presto ci farà avere notizie, ci dirà se esiste un posto sicuro per te. Nel frattempo prepariamo la partenza. Tu sai cosa fare. – sospirai rassegnata.
 
Si che lo sapevo, bisognava distruggere tutte le prove. Andai al magazzino e feci un inventario di tutto ciò che c’era. Caricai in uno zaino tutte le lettere e i documenti criptati inviatimi da mio padre ed alcuni oggettini che potevano tornarmi utili e dopo un ultimo sguardo malinconico al mio mondo mi chiusi la porta alle spalle. Avevo passato circa una settimana a fare questa operazione, a bruciare documenti e smontare macchinari e a montare congegni esplosivi collegati alla porta, se qualcuno la avesse aperta, sfondata, colpita o simili sarebbe saltato tutto in aria distruggendone il contenuto e chi avesse tentato di accedervi senza permesso.
 
Mi ero scoperta a non provare niente a quel pensiero, infondo le brave persone non cercano di forzare le porte altrui ed un farabutto in meno al mondo non avrebbe sconvolto proprio nessuno. Mi incamminai verso casa con il mio zainetto in spalla e prima di tornare mi fermai per lasciare dei fiori alla mamma, non sapevo quando saremmo andate via, non volevo perdere neanche un secondo con lei, non l’avrei rivista mai più.
 
Tornata a casa, Marla mi disse che mio padre finalmente aveva risposto alla sua lettera e mi passò il pezzo di carta criptato, a leggerlo così sembrava dispensasse consigli sul modo corretto di far crescere le azalee, ma per chi conosceva il suo modo di comunicare era possibile leggere cose di tutt’altra natura. Aveva trovato un posto che riteneva sicuro, ci spiegava come raggiungerlo e quale nave prendere per imbarcarci in modo da non avere problemi, ci avvisava ovviamente di distruggere tutte le prove, come se ce ne fosse bisogno, e ci augurava buona fortuna.
 
Mancava una settimana alla data dell’imbarco ed il nostro amato paese era già entrato in guerra con un regno vicino. Come sono sciocchi gli uomini, sempre pronti a fare la guerra a tutti, nonostante fosse un paese tranquillo, abitato da gente pacifica che non aveva mai impugnato un’arma in vita propria. Forse era proprio questo il problema, il mondo ci vedeva deboli, facili da sottomettere, avevano pensato che sarebbe stato più semplice spazzarci via e sottrarci l’agalmatolite che comprarla da noi. Non potevamo resistere, lo sapevamo noi, lo sapevano loro e lo sapeva anche il tipo che si offrì magnanimamente di proteggerci in cambio della cessione del possesso dei giacimenti. In pratica, eravamo partiti con lo scoprire qualcosa, sul nostro territorio, la cui vendita avrebbe potuto migliorare la vita degli abitanti, all’ospitare un conflitto tra due potenze straniere che pagavamo affinché ci togliessero i nostri averi in cambio del risparmiarci la vita. Che situazione del cazzo!
 
Ormai il conflitto neanche ci interessava più, pagavamo solo i costi in termini di fonti e vite per stabilire chi avrebbe dovuto assoggettarci, proprio assurdo. E la marina? Dov’erano i garanti della giustizia? Voltati dall’altro lato, tanto per cambiare, in cambio di forniture a prezzi vantaggiosi. Non mi erano mai stati simpatici quelli, davano la caccia ai malvagi ma erano loro i veri farabutti a questo mondo, era per colpa loro se la mia vita era andata così, se dovevo nascondermi e scappare, se non potevo avere legami e se non potevo vedere mio padre. Quindi da un lato meglio per me che la marina non si immischiasse, ma dall’altro mi dispiaceva per la povera gente che faceva affidamento nella giustizia.
 
Passò la settimana che ci separava dalla partenza, ormai era tutto pronto e la guerra per fortuna non si stava svolgendo sulla nostra isola che ospitava solo il quartier generale dei nostri “benefattori” ed i suoi eserciti. Erano in stallo, erano assolutamente alla pari, nessuno riusciva a spuntarla sull’altro e le scorte e i fondi si stavano esaurendo, mi chiesi che senso aveva continuare così, non capirò mai questo modo di fare e di pensare.
 
Mi ero recata da mia madre, era tutto pronto e volevo passare con lei gli ultimi momenti prima di partire, inoltre quella era un’ottima posizione per avvistare la nave su cui dovevamo imbarcarci. Non dissi neanche una parola, io che ero una gran chiacchierona, per la prima volta, dal giorno della sua morte, non sapevo cosa dirle, mi sembrava di stare per perderla di nuovo. Ad un certo punto vidi un puntino all’orizzonte, doveva essere la nave, mi si strinse il cuore, il momento dell’addio era ormai prossimo. Il puntino si triplicò e dietro ne comparvero altri due. In tutto cinque puntini che si avvicinavano a noi. Cosa diavolo erano? Frugai nel mio zaino, che mi ero trascinata dietro, e tirai fuori un dispositivo da cecchino per metterli a fuoco e poterli vedere nonostante la distanza. Non era affatto la nave mercantile che doveva darci un passaggio.
 
All’orizzonte c’erano 5 navi tutte uguali: delle piattaforme su enormi lumache viola marchiate dal numero 66 e sulla piattaforma delle torri e dei pezzi di quello che sembravano parti di un castello. Cosa diavolo erano? Non avevo mai visto navi simili, non poteva essere quella piccola flotta, il passaggio a cui faceva riferimento mio padre. Erano ormai abbastanza vicine da poter essere osservate ad occhio nudo quando mi decisi a metter via il mio dispositivo, afferrare lo zaino e correre verso casa dopo aver sfiorato la croce di legno. Entrai come una furia e raccontai a Marla cosa avevo visto, credo di non averla mai vista così pallida e spaventata in vita mia, mi fece paura.
 
- Scappa! – mi disse in preda al panico.
 
- Di chi sono quelle navi? –
 
- Del demonio in persona e dei suoi figli. Ovunque appaiano portano con sé solo morte e distruzione. Scappa Lea, corri senza voltarti e nasconditi bene. Sta lontana dalla città. – mi stava già spingendo verso la porta.
 
- Aspetta! Perché devo scappare? Tu cosa farai? –
 
- Lea ascoltami bene, sta lontana dal paese e dal magazzino, nasconditi dove non possano trovarti e resta lì per alcuni giorni. Non uscire allo scoperto, qualunque cosa dovessi sentire. Quelli sono dei mostri, dei mercenari ingaggiati per distruggerci, sono venuti a radere al suolo l’isola e non se ne andranno fino a quando non ci saranno riusciti. Non devono sapere chi sei e non devono trovarti. Dammi retta almeno una volta nella tua vita e scappa. –
 
- Non ti lascio qua! – lei era tutta la famiglia che mi restava.
 
- Non preoccuparti per me bambina, me la saprò cavare e poi una casa vuota creerebbe sospetti, verrebbero a cercarci, se trovano me non ti cercheranno. –
 
- E gli abitanti del villaggio? –
 
- Sono spacciati, non c’è niente che tu possa fare per loro. Ora vai! – aveva uno sguardo terribilmente preoccupato.
 
La abbracciai forte.
 
- Non preoccuparti bambina, ci vedremo ancora. Verrò a cercarti, stanne certa. – mi sorrise e mi diede una leggera spinta.
 
Iniziai a camminare sempre più svelta fino a correre con le lacrime che mi rigavano le guance. Sapevo che Marla mi aveva mentito solo per farmi allontanare da lì, ma non dovevo dimenticare ciò che mi era stato insegnato, bisogna ascoltare la voce della ragione, prima che quella del cuore per cui le mie gambe dovevano continuare a correre lontano dalla mia casa sebbene le lacrime mi impedissero di vedere la strada.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Rapita dal destino ***


Corsi fino a farmi mancare il fiato, fino a quando il petto non mi fece male e i singhiozzi non mi tolsero il respiro. Crollai sulle ginocchia in mezzo agli alberi, ero arrabbiata e molto triste. Dovevo nascondermi e quella era l’unica cosa che sapevo fare, avevo passato tutta la vita a nascondermi, non mi avrebbero trovata, sarei rimasta al sicuro fino a quando non se ne fossero andati e poi… e poi cosa avrei fatto? Sarei tornata alla mia casa per vederla bruciata? Avrei camminato tra i cadaveri dei paesani? Tra le macerie del villaggio? Dove sarei andata? Cosa avrei fatto? E Marla? Mi si spezzava il cuore al suo pensiero, ma cosa potevo fare? Non potevo certo affrontare un esercito tutta sola.
 
Non sapevo combattere, non sapevo difendermi, ero alta appena un metro e sessanta ed ero molto magra, le mie speranze di sconfiggere un soldato rasentavano lo zero. Avrei voluto rimanere con lei, restare al suo fianco, ma non dovevano prendermi, non per me, non mi importava di essere catturata o uccisa, ma non dovevano prendermi per il bene del mondo, o almeno così mi avevano sempre detto. Le mie capacità, nelle mani sbagliate potevano fare davvero un sacco di danni.
 
Mi nascosi, non so quanto tempo passai con le braccia strette intorno alle ginocchia e la testa su di esse, minuti o forse ore, non saprei. So solo che i rumori della devastazione che avevano luogo sull’isola arrivavano nitidamente fino a me, schianti, crolli, esplosioni, urla. Mi tappai le orecchie per non sentire e spinsi la testa contro le ginocchia con più forza. Conoscevo quelle persone, i loro volti mi passavano davanti, donne, uomini, bambini, anziani, alcuni erano miei amici, altri mi avevano regalato le caramelle o i dolcetti quando ero piccola ed ora si stavano spegnendo uno alla volta sotto i colpi di un esercito di orribili mostri senz’anima.
 
Sentì correre qualcuno non molto lontano da me, forse qualcuno era riuscito a mettersi in salvo e scappare, forse era proprio la mia Marla. Senza palesare la mia presenza osservai il punto da cui proveniva il rumore. C’era un uomo, stava scappando, indossava la divisa dell’esercito che ci aveva conquistati, era ferito ma continuava a correre e dietro di lui, dopo non molto, comparve qualcuno. Mi aspettavo senza ombra di dubbio un gigante, o un mostro con tre teste o un colosso corazzato e armato fino ai denti e invece era solo un ragazzo, forse di poco più grande di me, con i capelli verdi tirati all’indietro e le sopracciglia a ricciolo. Indossava una tuta con lo stesso simbolo che avevo visto sulle navi “66” ed un 4 sul mantello.
 
A vederlo così non sembrava pericoloso, ma sapevo per esperienza che l’apparenza poteva facilmente ingannare. Era molto alto e muscoloso e la tuta che indossava era davvero singolare, ad un primo sguardo sembrava una normale tuta ma alcuni dettagli attirarono la mia attenzione, iniziavo a farmi un’idea di cosa fosse. I miei sospetti si concretizzarono quando l’uomo che stava scappando, resosi conto di non poter andare molto lontano provò a sparargli. L’inseguitore neanche provò a schivare il colpo sebbene fossi piuttosto sicura che avrebbe potuto riuscirci senza problemi. Il proiettile non gli fece assolutamente niente. L’uomo sparò ancora ma nessuno dei suoi colpi riuscì a fargli neanche un graffio, sembrava fatto di agalmatolite.
 
Sorrideva, trovava il suo vantaggio divertente. Un solo scatto velocissimo e fu vicino all’uomo, stava sfruttando le capacità conferitegli dalla tuta ed io conoscevo quella tecnologia, potevo fermarlo, se i mostri di cui Marla aveva paura erano come lui allora potevo salvare l’isola. Iniziai a cercare nel mio zaino, avevo qualcosa che faceva al caso, finalmente potevo rendermi utile, non avrei dovuto aspettare nascosta in un angolo la fine del massacro, potevo fare qualcosa di concreto. Il ragazzo dai capelli verdi assestò un calcio al soldato ed il corpo del poveretto venne sbalzato lontano, ricoperto di scariche verdi. Era fortissimo e continuava a ghignare.
 
Si voltò nella mia direzione, sapeva che ero lì, avvertiva la mia presenza. Ero a conoscenza del fatto che alcune persone fossero dotate di capacità incredibili ma non ne avevo mai vista una prima d’ora così da vicino. Scappare da un tipo simile sarebbe stato inutile, mi avrebbe acciuffata in niente. Per fortuna avevo un piano per cavarmela. Come prima cosa raccolsi del fango e mi sporcai la faccia, non doveva essere in grado di riconoscermi o di ricordare il mio viso. Uscì dal mio nascondiglio ed avanzai verso di lui, l’oggetto che avevo recuperato dallo zaino stretto tra le mani, dietro alla schiena. Sperai non facesse scatti bruschi, i miei riflessi non erano affatto buoni, anzi, oserei dire fossero del tutto inesistenti.
 
- Quest’isola è davvero noiosa. – disse il ragazzo continuando a guardare nella mia direzione. – Solo contadini, pescatori e deboli omuncoli travestiti da soldati. Non c’è nessuno che sia alla nostra altezza con cui potersi divertire. – venni fuori dalle piante in cui mi nascondevo incontrando il suo ghigno.
 
Sapevo che avrei dovuto avere paura di lui, se Marla ne aveva allora era davvero pericoloso, ma non ne avevo. Forse sottovalutavo troppo la situazione, nonostante avessi visto con quanta calma avesse ucciso quel soldato davanti ai miei stessi occhi. Forse l’avere “un’arma” contro di lui mi dava una sicurezza inappropriata alle circostanze. Il fatto è che ero e sono una persona molto razionale, sapendo di non avere via di fuga, andargli incontro ed usare il mio congegno era la sola cosa possibile, avere paura di aver fatto la scelta sbagliata non aveva senso dal momento che non avevo altra possibilità.
 
- Un’altra ragazzina. – mi guardò a metà tra il divertito ed il deluso, dovevo essere uno spettacolo davvero patetico così impiastricciata. – Mi verrebbe quasi voglia di avere pietà di voi poveri e indifesi paesani… peccato io non provi sentimenti inutili come la pietà. – sfoggiò un sorriso piuttosto sadico, era fin troppo chiaro che fosse intenzionato a farmi fare la fine del soldato.
 
Fece uno scatto verso di me nell’esatto momento in cui premetti il bottone del mio congegno che fortunatamente avevo già acceso e programmato. Non mi mossi di un millimetro, avevo previsto con precisione il risultato. Il congegno emise una scarica che interferì con la tecnologia della sua tuta inattivandola e siccome stava usando quelle strane scarpe per spostarsi verso di me, il risultato fu che ruzzolò a terra finendo con la faccia nel fango a poca distanza da dove mi trovavo. Uno a zero per me.
 
Se fossi stata meno sprovveduta e ingenua avrei capito che quello era il momento giusto per scappare invece, forte del risultato ottenuto e pensando di averlo reso inoffensivo, restai lì a fissarlo. Il primo era fuori gioco, uno alla volta avrei potuto disarmarli tutti.
 
- Ma che diavolo è successo? – si rialzò togliendosi il fango dalla faccia con il braccio. Iniziò a tastarsi la tuta, non funzionava più niente. Si rimise in piedi, era proprio un colosso, a onor del vero lo sarebbe stato chiunque rispetto a me, ero terribilmente minuta. Lui mi osservò per qualche attimo, come a tentare di capire se c’entrassi qualcosa in quello che gli era successo, ma a vedermi così credo avesse scartato subito l’idea, anche se… credo gli sembrò strano che me ne restassi lì impalata con le braccia dietro la schiena.
 
Tentò ancora di far ripartire la tuta, senza successo. Poteva fare quello che voleva, avevo mandato tutto in corto circuito, quell’aggeggio era da buttare. Forse il motivo per cui non scappai era proprio quella tuta, nonostante fossi capace di disattivarla era comunque molto interessante, insomma non avevo mai visto niente di simile su quell’isoletta. In un villaggio di contadini e pescatori non c’è molta tecnologia, vedere qualcosa del genere era strabiliante. Lui riportò lo sguardo su di me cogliendomi in flagrante mentre fissavo la sua tuta ed ebbi la sensazione che avesse deciso che c’entrassi qualcosa.
 
- Sei stata tu! Come hai fatto?! – sembrava un’affermazione più che una domanda. La sua espressione mi riscosse, era grosso e arrabbiato ed anche senza tuta poteva farmi del male, a questo non avevo pensato. Mi voltai di scatto ed iniziai a correre via. Sciocca, sciocca, sciocca! Restarmene lì era stato un errore, sarei dovuta scappare prima! Corsi, quanto più velocemente potessi, dal canto mio avevo il vantaggio di conoscere alla perfezione l’isola, dovevo riuscire a seminarlo e nascondermi.
 
Anche senza tuta era velocissimo, mi acciuffò in pochissimi secondi, mi afferrò per il collo e mi sollevò in aria, credetti che me lo avrebbe spezzato. Presi a scalciare e a dibattermi ma lui non fece una piega e quando il mio campo visivo si riempì di puntini neri lasciai cadere il congegno e forse fu proprio quella la mia salvezza, perché lo strano oggetto attirò la sua attenzione. Mi lasciò andare infischiandosene del fatto che sarei caduta a terra facendomi male, mi sembrò di capire che la mia salute ed il mio benessere non fossero una sua priorità, e mentre tossivo in cerca di aria raccolse il mio prezioso congegno.
 
- Che cos’è? – mi chiese ricevendo in cambio solo colpi di tosse. Non avevo aria in quel momento ma in ogni caso non gli avrei risposto.
 
- Dove lo hai preso? – sembrava sapere cosa tenesse tra le mani e questo non era affatto un bene. Lo guardai torva senza rispondere valutando tutti i possibili piani di fuga.
 
Si abbassò per guardarmi in faccia. – Hai usato questo poco fa. Che cos’è? – non gli risposi. – Non sono il tipo che si fa scrupoli se c’è da torturare qualcuno. Dimmi che cos’è. – la parola tortura non suonava bene ed essendo a poca distanza dal cadavere del soldato non dubitavo che quelle parole non fossero solo minacce vane, tuttavia non potevo dirglielo.
 
- Non lo so. – gli risposi senza abbassare lo sguardo neanche per un attimo, stavo provando a sembrare quanto più determinata possibile. Non osavo immaginare che idea dovessi dargli tutta impiastricciata, con i capelli neri legati alla meno peggio, arruffati e con ciocche sfuggite e incollate all’appiccicume che avevo sul viso.
 
- Dove lo hai preso? –
 
- L’ho trovato a terra. – mentì sperando che non aprisse il mio zaino, ma eventualmente potevo dire di aver trovato anche quello.
 
- Come facevi a sapere a cosa serviva e come usarlo? –
 
- Non lo sapevo, ho premuto i tasti a caso, pensavo fosse un’arma, volevo difendermi. – Sembrava credibile come storia.
 
Guardò l’oggetto e poi me prima di sfoggiare un enorme sorriso crudele.
 
- Meglio così. Se avessi saputo di cosa si trattava non avrei potuto più ucciderti. –
 
Deglutì, iniziavo ad avere paura, mi aveva quasi soffocata e lo aveva fatto senza sforzo, poteva seriamente uccidermi. Per un attimo fui tentata di confessare che il congegno fosse mio ma per tutta la vita mi avevano inculcato che non dovevo lasciarmi scoprire, anche a costo della vita. Serrai le labbra e lo guardai male. Mi osservò per qualche attimo e poi mi afferrò di nuovo per il collo, non stava stringendo come prima ma faceva comunque male, forse voleva godersi di più il momento.
 
Tirò un braccio indietro e prese la mira sulla mia faccia, voleva uccidermi a pugni. Impallidì ma non dissi una parola, mi limitai a fissarlo. Quando tirò il pugno chiusi gli occhi, involontariamente e mi stupì nel constatare che non mi aveva colpito. Ne riaprì uno e lo osservai perplessa, che stava facendo? Sbuffò infastidito e poi mi sollevò e mi mise in spalla trasportandomi come fossi un sacco di patate.
 
- Che stai facendo? – ero piuttosto confusa, forse aveva cambiato idea sulle modalità con cui voleva uccidermi.
 
- Non è ovvio? Ti porto con me. –
 
- Dove? Che vuoi farne di me? Se devi uccidermi fallo subito, smettila di rimandare! – stava tentando di terrorizzarmi per obbligarmi a confessare.
 
- Non ti ucciderò finché non mi dirai la verità su quel congegno. – Afferrò il mio zaino e si accorse che ce n’erano altri. – E anche su questi. –
 
- Non sono miei, li ho trovati in giro e pensavo di poterli vendere per farci qualche soldo, non so cosa siano. –
 
- Sei una pessima bugiarda. –
 
- È la verità! Mettimi giù! – iniziavo a scalciare, le cose stavano andando malissimo, avrebbe dovuto uccidermi, non rapirmi, non potevo permetterlo!
 
A forza di dibattermi perse la presa su di me e mi lasciò cadere. Incurante del dolore e del livido che mi sarebbe sicuramente comparso a seguito della caduta iniziai di nuovo a correre, non doveva prendermi viva, se non fossi riuscita a seminarlo non avrei avuto altra scelta che saltare da un dirupo, sperai non fosse necessario, non me la sentivo di morire così giovane. Inutile dire che mi riprese dopo pochissimo. Mi voltai come una furia e gli tirai un pugno, mi sembrò di colpire un muro, sperai solo di non essermi rotta la mano.
 
- Smettila di resistere, non mi diverto ad inseguire chi non posso uccidere. – sembrava piuttosto infastidito. Mi ero piegata su me stessa cullandomi la mano dolorante quando mi sentì afferrare di nuovo, mi dibattei quanto più potetti, ma lui mi teneva saldamente. Il suo lumacofono iniziò a suonare e per rispondere, senza lasciar andare me, dovette posare lo zaino.
 
- Si può sapere dove sei finito? – gli chiese una voce maschile.
 
- Ho avuto un contrattempo, la mia tuta è fuori uso. –
 
- Che significa che la tua tuta è fuori uso? –
 
- Ho trovato una ragazza con uno strano congegno che ha usato per metterla fuori uso. Ne ha diversi altri, tutta roba altamente tecnologica. Ho preso lei e lo zaino e sto tornando. –
 
- Dove li ha presi? –
 
- Non lo so, ma quando tornerò glielo farò confessare. –
 
- Portare via qualcosa dall’isola non rientra nei patti. –
 
- Non devono saperlo necessariamente, no? – sorrise e riagganciò. Mi diede uno scrollone, non avevo smesso di agitarmi neanche un attimo sperando che mi lasciasse cadere di nuovo. – La smetti di agitarti in questo modo?! –
 
- Lasciami andare! Ti ho detto che non so niente di quella roba! –
 
- Se fosse stato vero non te ne saresti rimasta in silenzio mentre stavo per colpirti. Preferivi farti ucciderti che dirmelo e questo rende ancora più interessante quello che stai nascondendo. –
 
- Magari l’ho fatto solo per non farmi colpire, bestione. –
 
- Lo vedremo. Una volta arrivati ti tirerò fuori tutta la verità e spero davvero che tu resista il più possibile prima di parlare o non sarebbe divertente. – Aveva un sorriso sadico che faceva paura. Mi agitai con ancora più forza e cominciai ad urlare a squarciagola fino a quando non sentì un forte dolore alla testa e tutto divenne buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Benvenuta su Germa ***


Come vi dicevo all’inizio di questa storia, l’arrivo di un uomo grande e forte non mi ha portata verso il mio “per sempre felici e contenti” ma verso l’inizio dei miei guai. Mi risvegliai con un gran mal di testa, quel bestione non si era fatto nessuno scrupolo a colpirmi per farmi perdere conoscenza. La testa mi scoppiava, doveva avermi colpito proprio forte e avevo male in diversi punti, compresa la mano, il collo e il fianco, mi sentivo tutta un livido. Il cervello si stava rapidamente e dolorosamente riavviando ma non avevo il coraggio di aprire gli occhi e di alzarmi. Sapevo bene che con la luce il mio malessere fisico sarebbe peggiorato, ma non potevo certo restarmene lì in stato catatonico.
 
Iniziavo a chiedermi dove mi trovassi, non sentivo nessun rumore familiare, niente foresta, niente urla disperate, possibile che la devastazione fosse già finita e non fosse rimasto in vita più nessuno? Già stavo male per conto mio, questo pensiero peggiorò la situazione al punto che mi voltai alla meno peggio su di un fianco e vomitai. Avevo un bisogno disperato di svenire ma qualcosa me lo impedì, sentì un pizzico sul braccio e quelle che credo fossero mani che mi spinsero giù. Sentivo delle voci in sottofondo ma non riuscì a metterle subito a fuoco.
 
- Complimenti davvero! – sembrava la voce di una donna. – Quell’idiota non sa proprio contenersi! Guarda come l’ha ridotta! A lui cosa importa, tanto tocca a me rimetterla in sesto. Stavolta mi sente! Sono stanca di dover rimettere a posto i suoi casini! –
 
Sperai vivamente che la scena pietosa di cui stessero parlando non fossi io ma da quello che ricordavo e sentivo dovevo essere proprio io.
 
- Datele una pulita, somministratele queste cose e mettetela in una capsula, se saremo fortunati sarà pronta per la cena. –
 
Furono le ultime parole che ascoltai prima di ripiombare nel buio.
 
Il secondo risveglio fu meno traumatico del primo ma non meno difficile da affrontare. Mi sentivo meglio, la maggior parte dei dolori erano scomparsi, così come la nausea e le vertigini. Aprì lentamente gli occhi e mi guardai intorno senza azzardarmi ad alzarmi. Ero ancora viva? Sembrava di si ma non ne ero molto sicura, la scomparsa improvvisa del dolore non era un buon segno. Mi portai la mano ferita davanti al viso e provai a stringere il pugno, non faceva male e sembrava intera. Il corpo lo avevo ancora, dovevo essere viva, ora bisognava capire perché e dove fossi.
 
Mi trovavo in una camera in mattoni di pietra grigi, su di un letto bianco, l’arredamento era essenziale ma molto ben curato. Non era la mia isola, poco ma sicuro. Marla! Pensai immediatamente a lei e mi fiondai fuori dal letto. Dov’ero? Dov’era lei? Cosa ne era stato della mia isola? Corsi alla finestra e mi affacciai, ci misi una frazione di secondo a capire dove fossi. La consapevolezza fu talmente veloce che lo shock tardò ad arrivare. Ero su una di quelle navi lumaca che avevo visto dalla tomba di mia madre ed eravamo nel bel mezzo dell’oceano chissà dove.
 
Iniziai a respirare a fatica, ero in un mare di guai. Mi tastai la faccia ma ero completamente pulita e vestita. Avevano sostituito i miei abiti sporchi e strappati con una camicetta bianca ed una gonna nera aderente a vita alta e lunga fino al ginocchio. Quei vestiti erano terribilmente fastidiosi e scomodi e le scarpe con il tacco anche peggio! I miei capelli erano puliti e setosi, neri e lucidi. Erano tornati al loro solito aspetto, con la fila al lato e i boccoli sulla lunghezza. Come tortura era davvero sui generis.
 
Mi guardai febbrilmente intorno in cerca del mio zaino ma non ve ne era traccia, lo avevano sequestrato, ci avrei scommesso. La porta si aprì e mi ritrovai davanti una ragazza, alta e snella, con i capelli rosa e le sopracciglia a ricciolo, almeno quella sull’occhio azzurro lasciato libero dal ciuffo. Indossava una lunga camicia bianca aderente, o forse un cortissimo abito, non avrei saputo dirlo, ed aveva tatuato il numero 6 su ciascuna coscia. Mi guardò a braccia incrociate valutando la mia espressione stranita e allarmata.
 
- Vedo che ti sei ripresa finalmente. – mi limitai ad osservarla senza rispondere, non sapevo se fosse pericolosa. – Giusto in tempo, ti stanno aspettando. –
 
- Chi? – chiesi stupita, ero sicura di non conoscere nessuno.
 
- I regnanti del regno di Germa. –
 
- Il regno di Germa? – avevo già sentito quel nome da qualche parte ma non ricordavo dove.
 
- È il regno su cui ti trovi in questo momento. Il re ti ha invitata a cena. –
 
- Ha invitato me? – forse dovevo risentire ancora della botta in testa perché la domanda sembrò stupida anche a me non appena fu uscita dalla mia bocca. Era ovvio che non mi avesse invitata, ero una prigioniera, era un modo carino per dirmi che voleva interrogarmi. Merda!
 
La ragazza dai capelli rosa mi osservò come a chiedersi perché mi trovassi lì.
 
- Mio fratello deve averti colpita più forte di quanto pensassi. – fratello? Questa ragazza era la sorella del tipo dai capelli verdi che mi aveva ridotta in quello stato dopo aver ucciso il soldato. Ero decisamente nei guai fino al collo, quella ragazza era pericolosa. Deglutì e credo che lei mi avesse letto tutto dal viso perché chiuse gli occhi e sbuffò.
 
- Non sono qui per farti del male, sono stata io a rimetterti in sesto. Adesso sbrigati, quelli non sono tipi da far aspettare. –
 
- Cosa mi faranno? –
 
- Dipende dalle risposte che darai alle loro domande. –
 
- Non so niente! –
 
- Non è a me che devi dirlo. – mi indicò la porta. – Adesso sbrigati e se posso darti un consiglio… non farli arrabbiare. Stavolta sono riuscita a rimetterti in sesto, non è detto che la prossima volta sarai così fortunata. –
 
Chiuse la porta alle nostre spalle e mi procedette lungo i corridoi. Nessuna scorta né guardie. Certo, senza i miei congegni restavo solo una ragazza magrolina di 19 anni alta 1.60, assolutamente incapace di attaccare né di difendersi, a stento mi reggevo in piedi su quelle scarpe a dire il vero. Le guardie non sarebbero servite proprio a niente, anche considerando il fatto che la mia accompagnatrice era la sorella di quel colosso che mi aveva catturata. Non potevo scappare, né rifiutarmi in alcun modo di obbedire, non mi restava che seguirla e provare a tenere la bocca quanto più chiusa possibile, però… volevo sapere cosa ne era stato della mia isola e dei suoi abitanti.
 
- Posso farti una domanda? – le chiesi con il tono più sottomesso possibile.
 
- Se proprio non puoi farne a meno. –
 
- Che ne è stato della mia isola? –
 
- I Germa 66 sono stati ingaggiati per raderla al suolo e conquistare i giacimenti di agalmatolite. Siamo famosi perché non falliamo mai una missione. –
 
Abbassai la testa triste, stava tentando di dirmi che della mia isola e dei suoi abitanti non fosse rimasto più nulla. Oh Marla! Mi si spezzò il cuore al suo ricordo, non poteva essere riuscita a scappare da quei demoni, forse se fossi rimasta con lei avrei potuto salvarla.
 
Arrivammo ad una enorme porta con due guardie in uniforme Germa a presidiarla. Alla nostra apparizione la spalancarono per lasciarci entrare salvo poi richiudercela alle spalle. Era evidentemente la sala del trono. Sul fondo, proprio al centro c’era una scalinata che conduceva ad un gigantesco trono sopraelevato con alle spalle un’enorme aquila con inciso sul petto piumato il numero 66. L’uomo seduto sul trono doveva essere il re di quel regno, era enorme e con un’espressione molto severa, incuteva timore. Ai piedi della scala un tavolo rotondo con cinque sedie, tre occupate e due vuote.
 
Vi erano seduti tre giovanotti, sembravano coetanei, uno di oro era il colosso che mi aveva malmenata e trascinata qui, gli altri due non li avevo visti ma supponevo che la voce proveniente dal lumacofono appartenesse ad uno di loro. Uno dei ragazzi aveva i capelli blu con tre lunghi ciuffi pettinati sul lato destro mentre l’altro i capelli rossi, anch’egli con tre ciuffi sul lato destro, ma più corti dell’altro e con uno a coprirgli l’occhio. Tutti loro avevano sopracciglia arricciate verso sinistra. Non ci voleva certo un genio a capire fossero fratelli e, dati i loro abiti, a dedurre fossero i principi di Germa.
 
La ragazza dai capelli rosa mi disse di aspettare lì in piedi, a circa metà strada tra la porta ed il tavolo ed andò a prendere posto accanto ai fratelli. I tre si voltarono nella mia direzione appena feci il mio ingresso in sala con la sorella ed ebbi l’impressione che mi guardassero in modo strano, almeno per qualche attimo, ero veramente a disagio.
 
- Però! Non avrei mai immaginato che sotto tutto quel fango ci fosse una bella ragazza! – il tipo dai capelli verdi mi aveva inchiodato gli occhi addosso contribuendo ad aumentare il mio disagio. Incrociai i miei occhi azzurro ghiaccio con i suoi per appena un secondo, poi li abbassai imbarazzata, volevo tornare a casa mia, mi sentivo trattata come un animale da fiera.
 
- Non è che l’hai trascinata qui solo per il suo aspetto fratello? – suggerì il ragazzo dai capelli blu.
 
- Quando l’ho trovata era talmente impiastricciata di fango che era impossibile anche capire se fosse umana, direi che sono stato fortunato. – rise. Non mi piaceva il modo in cui parlavano di me, ma era meglio tenere la bocca chiusa e continuare a fissare il pavimento.
 
- Direi che al momento non sia molto importante se sia bella oppure brutta, le priorità sono la tua tuta e quei congegni che si trascinava dietro. – alzai lo sguardo allarmata sul ragazzo dai capelli rossi. Sapevo che quello era il vero motivo per cui mi trovavo lì, ma speravo di avere più tempo per inventare una scusa plausibile.
 
- È stato davvero patetico il modo in cui ti sei fatto mettere fuori gioco la tuta. – il ragazzo dai capelli blu rideva e quello dai capelli verdi incrociò le braccia sul petto evidentemente indispettito.
 
- Neanche tu avresti potuto far niente. Non potevo certo immaginare che avesse un dispositivo simile nascosto dietro la schiena. – la mia espressione diventava sempre più allarmata.
 
- Che tu sia un idiota è storia nota, la vera domanda è come faceva ad averlo. – il tizio con i capelli rossi non mi staccava gli occhi di dosso, mi faceva veramente paura. Spostai lo sguardo sulla ragazza in cerca di aiuto ma lei mi stava completamente ignorando, intenta a sorseggiare il vino dal suo calice come se io non fossi affatto presente e non si stesse per niente parlando di me.
 
Non risposi, spostavo solo sguardo tra loro. Il ragazzo dai capelli blu si alzò e mi venne incontro.
 
- Mio fratello Ichiji ti ha fatto una domanda. – lo osservai terrorizzata avvicinarsi a me. Si abbassò appena un po’ per avermi di fronte. – Cos’è? Yonji ti ha colpita talmente forte che non riesci più a parlare? – Fissai gli occhi azzurro ghiaccio nei vetri dei suoi occhialini.
 
- L’ho rimessa completamente a nuovo, è perfettamente in grado di parlare. – la ragazza dai capelli rosa. Traditrice! Non so per quale motivo ma pensavo fosse dalla mia parte. Lo aveva detto senza neanche guardarmi, continuando a fare gli affari suoi senza degnarmi di attenzione. Ma non poteva tenere la bocca chiusa?
 
Il mio sguardo si fece ancora più terrorizzato quando il ragazzo dai capelli blu riportò la sua attenzione dalla sorella a me.
 
- Allora forse è con me che non vuoi parlare. Sai, non mi dispiacerebbe affatto usare le maniere forti. – Sorrideva ed io tremavo.
 
- Niji! – il re lo fece voltare. – Forse questa ragazza non ha ancora capito dove si trova e chi ha davanti. – i principi avevano un sorriso sadico ma neanche quello del re scherzava. Il ragazzo dai capelli blu si spostò appena, in modo da lasciarmi libera la visuale. – Innanzitutto benvenuta nel regno di Germa. Io sono Judje Vinsmoke, sovrano di questo regno. –
 
Un campanello di allarme si accese nella mia mente. Ecco dove avevo sentito nominare il regno di Germa! Quel nome lo conoscevo, mi avevano raccontato di lui, mi avevano messa in guardia da lui. Quell’uomo aveva conosciuto mio padre. Maledizione! Di tutti i posti al mondo in cui potevo finire proprio in questo dannato regno dovevo essere trascinata? Mi morsi il labbro in preda al panico e al disagio.
 
- E questi sono i miei figli, i principi di Germa: Reiju, Ichiji, Niji e Yonji. – Non so cosa fosse peggio, se il fatto che avesse dato ai figli come nome dei numeri o che mancasse il numero 3. – Mio figlio Yonji dice di averti trovata su di un’insignificante isoletta in possesso di materiale decisamente non appropriato a quel luogo. Normalmente la nostra politica non prevede in alcun modo prigionieri e se il problema fosse stato solo il possesso di materiale tecnologico ti avrebbe uccisa e distrutto tutto, ma il problema è che uno di quei congegni è stato capace di distruggere una nostra tuta e questo è davvero imperdonabile. – Parlava con calma ma faceva paura e i principi continuavano a sghignazzare.
 
- La tecnologia Germa è tra le più avanzate al mondo, se qualcuno è in grado di mettere fuori uso le nostre armi solo premendo un bottone significa che c’è qualche problema. – il capobanda era il rosso, non c’erano dubbi. – Non solo hai dimostrato che c’è una falla nella nostra tecnologia, ma che può essere resa inefficace con fin troppa facilità. – tutti gli occhi erano su di me, fatta eccezione per quelli di Reiju.
 
- Io… non so niente… - dissi praticamente in un sussurro. Non potevo confessare ma non ero stupida, mi avrebbero pestata e torturata. Al pensiero del dolore che mi aspettava mi veniva da piangere.
 
- Perché non cominciamo dall’inizio. – suggerì il re. – Come ti chiami? –
 
Lo guardai per un attimo, a questo potevo rispondere, nessuno era al corrente della mia esistenza, il mio nome non significava proprio niente.
 
- Lea, Signore… -
 
- Lea… - dalla sua espressione neanche a lui diceva niente, bene. – Lea come? –
 
- Lea Vincius. – Il cognome di mia madre Catherine, nessuno era al corrente della sua esistenza e del legame con mio padre. Non gli diceva niente, molto molto bene.
 
- Che ci facevi su quell’isola? –
 
- Ci vivevo. – il miglior modo per mentire era mantenersi quanto più vicini possibile alla verità. – Con la donna che mi ha adottato dopo la morte di mia madre. –
 
- E tuo padre? –
 
- Non l’ho mai conosciuto, Signore. –
 
- Yonji dice di averti trovata lontana dal villaggio, cosa ci facevi là? –
 
- Scappavo, Signore. –
 
- Sapevi che un magazzino sarebbe esploso? – mi chiese il rosso. Allora avevano provato a forzarlo ed era saltato in aria, bene, le mie trappole avevano funzionato.
 
- No. – mentì, ma credo che si accorsero dall’espressione allarmata del mio viso che stavo mentendo, ero davvero pessima come bugiarda. Judje assottigliò lo sguardo.
 
- Dove hai preso il congegno con cui hai disattivato la tuta di mio figlio? –
 
- L’ho trovato. – mi conveniva ripetere la stessa storia che avevo propinato al ragazzo dai capelli verdi. – Pensavo fosse un’arma. Volevo difendermi. – non fece nessun commento ma dalla sua espressione non sembrava affatto convinto.
 
- Come hai fatto ad attivarlo? –
 
- Ho premuto i tasti a caso, credo di aver solo avuto fortuna, Signore. –
 
- Mio figlio ha detto che non hai avuto paura della prospettiva di essere pestata e torturata. –
 
- Deve aver saputo che torturi come una femminuccia. – sghignazzò il ragazzo dai capelli blu. – Magari se tentassi io otterremo le informazioni necessarie. –
 
- Non si può confessare ciò che non si conosce! – forse caricai un po’ troppo la frase e lo guardai con un po’ troppo sprezzo perché mi sorrise contento della mia reazione. Non volevo provocarlo e farmi torturare ma iniziavo a stancarmi delle loro pressioni psicologiche, stavano provando a piegarmi con la semplice paura.
 
- Quindi vuoi dirmi che se ti colpissi o ti spezzassi qualche osso non me lo diresti? –
 
- Non so niente. – gli dissi a denti stretti.
 
- Allora perché non proviamo, sono sicuro che ci divertiremmo parecchio. – si era avvicinato ed io in reazione avevo fatto qualche passo all’indietro. Ricordavo bene che scappare fosse totalmente inutile, ancor di più in quel posto.
 
- Io ho un’idea migliore. – propose il rosso sorridendo, il viso appoggiato su una mano chiusa a pugno. Schioccò le dita dell’altra ed entrarono tre uomini nella sala, due vestiti con l’uniforme Germa ed un lungo camice bianco sopra, ed uno vestito con un pantalone grigio scuro ed una maglietta aderente a mezze maniche grigio chiaro. I due uomini con il camice montarono qualcosa addosso al soldato, una specie di fascia.
 
- Quella fascia che i nostri scienziati hanno messo al soldato è fatta con la stessa tecnologia dei collari che i Draghi Celesti usano per i loro schiavi. Ovviamente abbiamo apportato qualche leggera modifica a quella tecnologia. – spiegò il rosso avanzando verso di me mentre il fratello se ne tornava a posto. – A questo particolare modello abbiamo applicato un timer di 10 minuti. C’è un solo modo per disinnescarlo e personalmente impiego 2 minuti e mezzo a disinnescarlo e sono il più veloce. Quindi direi che hai 7 minuti e mezzo per dirmi la verità prima che questo tipo e questa stanza saltino in aria. Noi resisteremo all’esplosione, ma non posso dire lo stesso per te, per lui e per la servitù. –
 
Nella stanza c’erano due cameriere ed il soldato oltre a noi. Il timer aveva iniziato il suo conto alla rovescia.
 
- No, aspetta! Io non so niente! Te lo giuro! –
 
- Se ti avessi creduta non avrei messo in piedi questa dimostrazione, ti pare? –
 
Le due ragazze tremavano e piangevano mentre il soldato non faceva una piega. Non mi importava della mia vita e francamente forse neanche di quella del soldato, ma non era giusto che quelle due povere ragazze morissero a causa mia.
 
- Ti prego! Loro non c’entrano niente. – mi aggrappai alla manica della sua camicia. – Tortura me! –
 
Lui non si scompose, restò con le braccia incrociate a ghignare. – Sono già passati 2 minuti. Allora, mi dici quello che voglio sapere? –
 
- Ti prego! Non so niente! Non prendertela con loro! – i suoi fratelli ghignavano tanto quanto lui, il padre osservava la scena con un’espressione impassibile e la sorella continuava ad ignorare tutto e tutti.
 
- Tic Toc ragazza. – osservavo convulsamente le ragazze disperate, il soldato immobile, i principi che ghignavano impassibili. Cosa dovevo fare? Il tempo intanto continuava a passare e le suppliche non facevano effetto. Mancavano tre minuti e mezzo alla fine del countdown.
 
- Va bene, va bene! Il congegno è mio! L’ho costruito io e sapevo come usarlo! Adesso disinnesca il timer! – gli rivolsi uno sguardo di supplica ancora aggrappata al suo braccio. Allargò il suo sorriso.
 
- Perché dovrei crederti? – che domanda era? Era quello che voleva sentirsi dire, perché ancora non mi credeva? Non credeva che non ne sapessi niente, né che fosse opera mia, cosa voleva sentirsi dire da me.
 
- Ti prego! Non c’è più tempo! Te lo giuro! È mio, l’ho costruito io! La tuta che indossava tuo fratello, emetteva una radiazione, l’ho analizzata ed ho inviato un’onda ad una particolare frequenza che ne ha bruciato tutti i circuiti. Per favore! – Mancavano due minuti e mezzo.
 
- Va bene, mi hai convinto. – si divincolò dalla mia stretta e con mio sommo orrore si diresse verso il tavolo piuttosto che verso il soldato.
 
- Che stai facendo? Ti ho detto quello che volevi sapere! –
 
- Ho detto che so disinnescarlo in due minuti e mezzo, non mi sembra di averti mai detto che lo avrei fatto. – mi sorrise. Razza di bastardo! Il tempo continuava a scorrere.
 
- Manda via le ragazze! –
 
- Loro non vanno da nessuna parte. –
 
- Se resteranno qui moriranno! –
 
- E con questo? – ma come si poteva essere così insensibili?! Continuavano tutti a sghignazzare e ormai mancava un solo minuto.
 
- Dannazione! – corsi verso il congegno e lo esaminai rapidamente, era vero, era la stessa tecnologia usata dai Draghi Celesti, avevano aggiunto solo un timer, sapevo disattivarlo e sapevo farlo in meno di un minuto. Iniziai a trafficare con quel cinturone e ad un secondo dall’esplosione il timer si fermò. Tirai un sospiro di sollievo, avevo salvato la vita a quelle due povere ragazze.
 
- Ve lo avevo detto che era stata opera sua. – il ragazzo dai capelli verdi, davo loro le spalle ma sapevo perfettamente che stessero ghignando soddisfatti. Ero stata una sciocca, ancora una volta, era quella la vera dimostrazione. Salvando le due ragazze avevo dato loro la confessione che volevano.
 
- Però! Ci ha messo meno di un minuto, il tuo record è bello che andato fratellone! – non avevo il coraggio di voltarmi a guardarli, adesso ero davvero nei guai.
 
- Come facevi a sapere come disattivare il cinturone? – il re… mi voltai, lentamente, ma non guardai nessuno di loro, me ne restai in silenzio pentendomi profondamente del mio altruismo. La mia conoscenza nelle mani sbagliate poteva fare grandi danni e quelle erano decisamente le mani più sbagliate che potessero esserci.
 
- Ho la sensazione che non ce lo dirà, padre. – il ragazzo dai capelli verdi.
 
- Non credo importi come faccia a saperlo, l’importante è che abbia un’alquanta sviluppata competenza tecnologica e che da ora sia al servizio dei Germa. – la ragazza con i capelli rosa per la prima volta aveva alzato lo sguardo su di me ed aveva ricevuto in cambio un’espressione piuttosto allarmata. Era tutto sbagliato, l’ultima cosa che dovevo fare era lavorare per loro, avrei vanificato tutti gli sforzi di mia madre, mio padre e Marla di tenermi al sicuro.
 
- Quindi stai suggerendo di rinunciare all’idea di estorcerle le informazioni? – Yonji non sembrava d’accordo.
 
- Non mi sembra che picchiandola tu abbia ottenuto grandi risultati. Credo sia molto più proficuo farla lavorare per noi che mandarla in coma per un pestaggio solo per sapere da chi ha imparato a fare quello che fa. – non so perché ma credo stesse tentando di aiutarmi.
 
- Reiju ha ragione. – Il capo famiglia dei Vinsmoke si stava esprimendo. – Per ora è molto più proficuo usare le sue capacità a nostro vantaggio. Sapremo il resto a tempo debito. – Insomma la mia condanna era solo rimandata a quando non fossi stata più utile.
 
- Aspettate! Io non voglio restare qui! Non ho nessuna intenzione di lavorare per voi! – il rosso si alzò di nuovo e venne nella mia direzione, era parecchio più alto e grosso di me anche se meno del fratello con i capelli verdi.
 
- Non te lo ha chiesto nessuno. –
 
- Ichiji! Non dimenticarti che è un essere umano comune! Si può rompere. – Reiju era scattata in piedi battendo i pugni sul tavolo ed io avevo sgranato gli occhi per la paura.
 
Lui guardò un attimo sua sorella e poi tornò su di me con un gran sorriso. Con un gesto della mano fece segno al soldato con la cinta esplosiva di avvicinarsi e quando fu abbastanza vicino lo trapassò da parte a parte con un pugno. Sgranai gli occhi per il terrore e quando si accostò al mio orecchio per sussurrare fui scossa da un brivido che quasi mi fece piangere. – Non scherzare troppo con noi, non ci saranno sempre Reiju e nostro padre a proteggerti. – Fece cadere il cadavere dell’uomo ai miei piedi e andò a darsi una ripulita sorpassandomi. Mi mancava l’aria.
 
- Vuoi unirti a noi per la cena? – dovevo pensare al fatto che il re mi stesse invitando a cenare con la famiglia reale ma ero talmente sconvolta da non riuscire più nemmeno a sentire la sua voce.
 
- Bhà! Gli esseri umani sono così deboli! – Yonji se ne stava seduto tutto scomposto, si stava divertendo.
 
- Ho l’impressione che stia per dare di stomaco. – Anche Niji sembrava divertirsi parecchio.
 
- Padre forse è meglio che venga scortata in camera sua. – provò a suggerire Reiju.
 
- Sciocchezze! È un onore cenare con la famiglia reale e gli onori non si rifiutano. –
 
Reiju mi fece segno con gli occhi di sedermi ed io mi riscossi abbastanza da obbedire. Mi tremavano tremendamente le gambe rendendomi ancora più difficile muovermi su quelle scarpe. Non toccai quasi niente, la vista di quel soldato che si dissanguava a terra era un deterrente abbastanza forte. Non ero abituata, non avevo mai visto un uomo morire in questo modo e tanta indifferenza per l’accaduto. Loro si comportavano come se non fosse accaduto niente, ridevano e scherzavano tra loro mentre Reiju per la maggiore se ne stava in silenzio a pensare agli affari propri. Quando tornò il rosso ebbi un brivido involontario, mi faceva proprio paura quel ragazzo.
 
- Cos’è? La cena non è di tuo gradimento? Se vuoi mando a chiamare la cuoca? – Niji aveva un’espressione piuttosto sadica ed involontariamente diedi uno sguardo al cadavere a terra, non era una buona idea far venire la cuoca.
 
- No… è buonissimo. – mi tremava la voce ed anche la mano, non riuscivo a tenere le posate, ma mi sforzai di mangiare, un morto per quella sera era sufficiente.
 
Finita la cena mi riaccompagnò Reiju in camera, per fortuna! Se fossi stata scortata da uno dei principi o anche dai soldati o peggio ancora se fossi tornata da sola non so cosa avrei fatto.
 
- È andata bene – disse la ragazza. Bene?! Era morto un uomo, avevano scoperto le mie capacità ed ero prigioniera di una famiglia di psicopatici, se questa era la sua idea di bene non osavo immaginare quale fosse quella di male.
 
- È morto un uomo. – mi sentì di dover puntualizzare.
 
- Ne moriranno altri se non collabori e se proverai a scappare verrai riacciuffata e uccisa. Inoltre hai conosciuto i miei fratelli, non ti conviene farti trovare a vagare da sola per il regno. Se posso darti un consiglio: fa ciò che ti viene chiesto senza protestare o lamentarti e forse li convincerai a mantenerti in vita. E fa in modo da non attirare l’attenzione dei principi, non è piacevole trovarsi nel loro mirino. – Mi lasciò davanti alla porta della mia camera e si voltò per andarsene.
 
- Aspetta! Hai tentato di aiutarmi… -
 
- Meglio che non lo sappia nessuno. In questo posto la pietà e la gentilezza non vengono viste di buon occhio. A proposito: benvenuta su Germa! -  Se ne andò lasciandomi sola in camera mia. Chiusi la porta a doppia mandata e mi raggomitolai sul letto a piangere fino ad addormentarmi.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** L'allenamento del mattino ***


Dormì come un sasso, la giornata era stata così piena di emozioni che piombai in un lungo sonno senza sogni, fino a quando non suonò la “sveglia”. Fu piuttosto traumatico, mai avrei immaginato che in un palazzo reale la levatura venisse annunciata come se stessimo per entrare in guerra. Un suono di trombe improvviso e squillante che non solo mi fece svegliare bruscamente ma mi fece anche cadere dal letto, in preda al panico e con il cuore in gola per lo spavento. Boccheggiai tentando di capire dove mi trovassi quando qualcuno bussò alla mia porta.
 
- Chi è? – chiesi in preda allo spavento e sputando i capelli arruffati che mi erano finiti in bocca mentre dormivo.
 
- Signorina sono la domestica. Il padrone mi manda a dirle che è attesa al campo di allenamento per la colazione. –
 
Quindi non era stato un incubo, certo che non era stato un incubo non avevo sognato niente. Dannazione! Cosa dovevo fare? Non volevo tornare da quei mostri.
 
- Non credo di sentirmi bene. – mentì e lo feci anche molto male.
 
- Il padrone ha detto di riferirle che se ha problemi a raggiungere il campo di addestramento uno dei principi sarà felice di venirla a prendere e scortare personalmente. – Questo era un ricatto bello e buono. Merda!
 
- Ora che ci ripenso mi sento molto meglio. Il tempo di vestirmi e arrivo. –
 
- Molto bene signorina, la aspetterò qui fuori per accompagnarla. –
 
Cavolo! Di sicuro non potevo scappare dalla finestra e poi da quando le colazioni si tenevano ai campi di addestramento? Però in fondo era meglio così, non mi andava di tornare in quella orribile sala visto che avevo ancora davanti agli occhi il cadavere di quell’uomo. Mi tirai su a fatica, mi ero addormentata senza cambiarmi ed indossavo ancora quei fastidiosi abiti, decisamente poco adatti se volevo tentare la fuga. Frugai nell’armadio e praticamente c’era solo roba poco adatta e terribilmente corta e scomoda, rimpiangevo i miei vestiti comuni, larghi e strappati. Non avevo scelta, afferrai l’abitino più comodo che trovai e mi decisi ad indossarlo dopo essermi accuratamente lavata.
 
Era un abito color ghiaccio senza maniche, con una scollatura a barca e abbastanza largo sotto in modo da poter essere libera nei movimenti, in vita portava un nastro azzurro. Per quanto riguardava le scarpe scelsi qualcosa di basso, non mi importava niente della mia altezza, volevo solo poter essere a mio agio se si fosse presentata la possibilità di scappare. Provai a districarmi i capelli e dopo un po’ di lavoro finalmente ero presentabile. Sbloccai la porta e seguì la cameriera per i corridoi e poi all’esterno. Provai a memorizzare quanto più possibile della struttura di quel posto, era pieno di corridoi ma non doveva essere così difficile impararne la piantina. Il vero problema era che ci trovavamo in mezzo al mare. Mi decisi ad affrontare un problema alla volta.
 
Arrivammo al campo di allenamento e poco prima di questo c’era un tavolo rotondo con una tovaglia bianca, erano tutti lì seduti, mancavo solo io e avevo voglia di correre di corsa a rintanarmi nella mia camera.
 
- La signorina Vincius. Dormito bene? – io ero una pessima bugiarda, lo sapevo bene, ma neanche il re mascherava bene la sua falsità.
 
- Benissimo. – mi accomodai a tavola con lo sguardo dei tre principi addosso, avevano le narici dilatate, erano davvero inquietanti.
 
- Sai perché ti ho fatta chiamare? – scommettevo che non era per il piacere della mia compagnia, poco ma sicuro. Lo guardai senza rispondere.
 
- I miei figli si allenano tutte le mattine, ma questa mattina abbiamo un problema. La tuta di Yonji è fuori uso. – ecco, lo sapevo, iniziavamo proprio male. – Mi chiedevo se potessi sistemargliela prima dell’allenamento. – spostai lo sguardo su tutti loro senza rispondere. Ancora una volta Reiju mi stava ignorando e quei tre avevano quell’odioso ghigno stampato in faccia.
 
- Perché io? – se le avevano costruite ero sicura potessero ripararle, cosa voleva veramente da me?
 
- Perché se sei riuscita a disattivarla sono certo che riuscirai a fare in modo che una cosa simile non possa più accadere. – iniziavo a capire dove volesse andare a parare.
 
- Vuole che potenzi la tecnologia Germa eliminandone i punti deboli? –
 
- Allora sei sveglia sul serio oltre che bella. – mi voltai a guardare Yonji.
 
- Si. Per ora potrebbe essere questo il tuo compito. Ovviamente sarai sempre affiancata da uno dei miei figli, onde evitare qualche spiacevole scherzetto. – Non mi piaceva affatto. Non volevo lavorare per loro e non volevo restare sola con uno di quei mostri.
 
- E se mi rifiutassi? – sorrise ma fu il rosso a rispondere.
 
- Allora temo che Yonji resterà senza tuta. – lo guardai interrogativa. Quel tipo era un mostro, lo avevo visto la sera prima con i miei stessi occhi. Cosa aveva in mente?
 
- Credo si aspettasse che le facessimo del male. – Niji, uno peggio dell’altro quei tre.
 
- Come ha detto ieri nostra sorella, sei più utile tutta intera, per cui abbiamo deciso di tentare prima con le buone maniere. – riportai lo sguardo sul rosso, non gli credevo affatto.
 
- Ma se preferisci le cattive basta dirlo, ci vantiamo di saper soddisfare le donne. – credo che Niji avesse letto chiaramente il disgusto sul mio viso perché sia lui che i fratelli scoppiarono a ridere.
 
- Non credo tu sia di suo gradimento fratello. – il ragazzo dai capelli verdi aveva quasi le lacrime agli occhi.
 
- Allora, Lea – Ichiji calcò appena un po’ il timbro sul mio nome. – ti occuperai della tuta di Yonji? –
 
Avevo paura di loro, ma non dovevo cedere. – No. – dissi semplicemente.
 
- Molto bene. – il rosso si alzò ed io chiusi gli occhi istintivamente aspettandomi chissà quale tipo di barbarie da parte sua. Invece si allontanò dalla tavola seguito dai suoi fratelli e da sua sorella. Li osservai confusa mentre impugnavano una lattina che una delle cameriere stava consegnando loro, tutti tranne Yonji. Usando quella lattina diedero inizio ad una trasformazione al termine della quale indossavano delle tute del tutto simili a quella che avevo distrutto. Cosa avevano in mente?
 
- Credo che alla nostra ospite farebbe piacere una dimostrazione della tecnologia Germa. – il re si sbagliava, non mi faceva piacere per niente, avevo visto uno dei suoi figli in azione sulla mia isola e mi era bastato. Tuttavia decisi di non sfidare la sorte e tenere la bocca chiusa.
 
Diedero sfoggio delle capacità che la tuta conferiva loro, davvero un pessimo uso della tecnologia e della scienza. Non riuscivo proprio a capire come si potesse usare la conoscenza per creare armi. Ero impressionata e spaventata dalla brutalità di quella dimostrazione a base di nubi tossiche, calci elettrici e pugni energetici, ma se credeva di piegarmi con la paura aveva fatto male i suoi conti.
 
- Lo so che non sei affatto impressionata, sono abbastanza sicuro che potresti distruggere facilmente anche le loro tute volendolo. – non aveva tutti i torti. – Ma questa dimostrazione aveva un altro scopo. –
 
- Quale? –
 
- Dimostrarti la determinazione dei Germa 66. – non capivo e per me era davvero strano. – Questa mattina Ichiji, Niji e Reiju affronteranno Yonji. – spalancai gli occhi e lo guardai incredula. Non poteva dire sul serio, cioè il ragazzo dai capelli verdi era forte, molto forte, ma non aveva speranze contro tre suoi pari che facevano ricorso alla Raid Suit. – Perché quella faccia? Non sei d’accordo? –
 
- Non ha senso. Non può vincere. –
 
- No, non può. –
 
- E allora perché farli combattere? –
 
- Un vero soldato di Germa non deve temere niente. Il fatto che la sua tuta sia distrutta mi darà la possibilità di valutare quanto può resistere in battaglia senza armi e difese. –
 
- Ma… potrebbe farsi male. –
 
- No. Potrebbe morire. I suoi fratelli sono addestrati a non avere pietà per nessuno. Se sopravvivrà sarà già un grande risultato. –
 
- Non dice sul serio. Non lascerebbe morire uno dei suoi figli. –
 
- Non so che farmene di un figlio debole, getterebbe solo vergogna sul mio nome e sul mio regno. – quell’uomo era senza scrupoli. Mi rifiutavo di credere che potesse davvero lasciar morire suo figlio poi ricordai che all’appello mancava il numero tre.
 
- Dov’è il suo terzo figlio? –
 
- Era debole. – quell’essere mostruoso, aveva intenzione di fare uccidere Yonji.
 
- Non sarà così sciocco da lasciarsi massacrare dai fratelli. –
 
- Non si tirerà indietro, se è questo che pensi. I miei figli non provano paura e considerano un disonore ritirarsi. –
 
Spostai febbrilmente lo sguardo da lui ai suoi figli, stavano per iniziare, non volevo crederci. Per un po’ il ragazzo dai capelli verdi tenne loro testa, ma era meno veloce, meno forte, non poteva volare, era in svantaggio e presto questo svantaggio si trasformò in una serie di colpi incassati con sempre più frequenza e violenza. Non si sarebbero fermati, non c’erano dubbi.
 
- La prego! Li fermi! –
 
- Perché dovrei? –
 
- Lo uccideranno! –
 
- Non credo sia un tuo problema. –
 
- La prego! – mi guardò per un attimo prima di tornare ad osservare impassibile mentre massacravano suo figlio. Quell’idiota dai capelli verdi continuava a ghignare come se non si rendesse conto della gravità della situazione. Balzai in piedi e corsi al confine del campo di addestramento. Anche se mi fossi lanciata lì in mezzo non si sarebbero fermati, avrebbero ucciso anche me. – Va bene! Aggiusterò la sua tuta! Gli dica di smettere! Per favore! – mi guardò, come ad assicurarsi che dicessi sul serio, e a quanto pare la mia espressione preoccupata lo convince perché fermò quei tre demoni.
 
Yonji era a terra, era ridotto molto male. Il messaggio era chiaro: era pronto a sacrificare qualunque cosa per ottenere ciò che voleva, anche i propri figli. Reiju aveva ragione, se non avessi collaborato il numero di morti sarebbe salito vertiginosamente.
 
- Appena in tempo. – il maledettissimo rosso, ma cosa diavolo aveva da sorridere? Suo fratello era a terra mezzo morto, a causa sua, e lui sorrideva. - Non guardarmi così. Quello che è successo è solo colpa tua. Ti avevo avvertita ma non hai voluto ascoltare. – lo guardai ancora più male incurante di quello che avrebbe potuto farmi. Stavano tornando al palazzo.
 
- Dove andate? – non potevano lasciare il fratello lì per terra ridotto in quello stato.
 
- A fare colazione. – mi rispose Niji. – Visto che è ridotto così a causa tua ci penserai tu a rimetterlo in sesto, magari la prossima volta ti passa la voglia di disobbedire. – aveva visto che spostavo lo sguardo da lui al fratello.
 
Andarono via ridendo lasciandomi da sola con Yonji che tentava di rimettersi seduto e continuava a sghignazzare. Chissà cosa ci trovava di divertente quell’idiota?! Mi morsi il labbro e poi mi avvicinai a lui.
 
- Cos’hai da ridere? –
 
- Lo abbiamo capito subito che il tuo punto debole è l’altruismo ma non pensavo di rientrare nella categoria. – non riusciva a tirarsi su, lo avevano ridotto proprio male. Ben gli stava! Così capiva cosa significava essere malmenato da un mostro. Avrei potuto voltargli le spalle e andarmene, in fondo se lo meritava, ma non ci riuscivo, aveva ragione, l’altruismo era la mia debolezza.
 
- Stupido bestione! – era il doppio di me sia in altezza che in larghezza, non potevo trasportarlo dentro di peso, non avevo tutta quella forza. – Cerca di darmi una mano, non ce la faccio a portarti dentro. –
 
- Certo che non ce la fai, sei piuttosto deboluccia. –
 
- Se non stai zitto e la smetti di ghignare ti lascio qui e me ne vado. – avevo preso un po’ di coraggio, combinato così non era pericoloso, potevo togliermi qualche soddisfazione.
 
- Forse la cosa ti stupirà, ma non me ne importa niente. – ero davvero tentata di lasciarlo lì ma mi sentivo in colpa, era ridotto così a causa mia.
 
- A volte fai un’espressione buffa. – mi stava osservando anche se con un solo occhio visto che l’altro era gonfio e coperto di sangue.
 
- Si chiamano sensi di colpa, mai sentito parlarne? – ero sarcastica.
 
- No. – già, chissà perché me lo aspettavo.
 
- Dove devo andare? – non conoscevo il castello, non sapevo dove si trovasse l’ambulatorio. Mi guidò lui e fu davvero un’impresa trascinarlo fin lì, pesava una tonnellata. Ringraziai mentalmente di aver indossato scarpe basse. Il vestito era da buttare così impiastricciato di sangue, poco male, non ero comunque a mio agio vestita così.
 
Arrivati a destinazione lo scaricai su di una sedia, ero a pezzi, dovetti appoggiarmi ad un tavolo a riprendere fiato, tremavo tutta a causa dello sforzo.
 
- È stato veramente uno scherzo piegarti. – non gli risposi, non mi avevano affatto piegata. Iniziai a frugare negli armadietti, conoscevo il corpo umano e la farmacologia e avevo qualche nozione di medicina ma quello non era il mio campo, non sapevo bene cosa fare e la sua faccia era ridotta veramente male, inoltre ero certa che avesse qualcosa di rotto sebbene non si fosse lamentato neanche una volta.
 
Mi tremavano le mani e molto probabilmente lo stavo osservando con un’espressione molto preoccupata perché sbuffò infastidito e mi indicò un armadietto.
 
- C’è una specie di sottile maschera bianca lì dentro, prendila. – obbedì senza sapere cosa stessi facendo. – Mettimela sul viso. – si sporse verso di me inchiodandomi gli occhi azzurri addosso. Non capivo a cosa servisse, so solo che fui molto a disagio. Quando gli applicai la maschera, questa aderì perfettamente al suo volto emanando scariche ed il suo viso tornò ad essere normale. Aveva digrignato un po’ i denti ma per il resto non aveva fatto una piega, io invece ero sconvolta, lo guardavo con tanto d’occhi.
 
- Non sono guarito. Questa nasconde solo il gonfiore. –
 
- Hai bisogno di un medico, credo tu ti sia rotto qualcosa. –
 
- Sto benissimo. Ho solo bisogno di riposare in una capsula Germa per qualche ora. –
 
Lo guardai senza capire, ancora una volta. Questa cosa iniziava ad irritarmi.
 
- Dimentico che vieni da una minuscola ed arretrata isoletta. Anzi è già un mistero come tu sia stata in grado di fare quello che hai fatto. – Bocca ben chiusa, era la mia soluzione ad ogni allusione alle mie capacità.
 
- Perché ti sei fatto pestare in quel modo? –
 
- Perché volevamo che lavorassi per noi. –
 
- Potevano ucciderti. –
 
- Credo di si. – Continuava a ghignare.
 
- Smettila di ridere! –
 
- E per quale motivo? –
 
- Non c’è niente di divertente! Avete distrutto un’isola, ucciso della povera gente innocente ed indifesa, rapito una ragazza, ucciso un soldato, minacciato di far saltare in aria delle cameriere, i tuoi stessi fratelli ti hanno quasi ucciso e tuo padre non ha mosso un dito per fermarli e tu continui a ghignare! – ero arrabbiata e sconvolta, il mio tono di voce era piuttosto alterato e le mie mani non smettevano di tremare.
 
- Non capisco dove sia il problema. – la sua risposta non migliorò certo la mia espressione.
 
- Non puoi dire sul serio. –
 
- Non vedo perché dovrei mentirti. Sia chiaro potrei farlo volendolo, ma non vedo perché dovrei. Sei prevedibile e manipolabile, non c’è bisogno di astuzia o stratagemmi, basta prendere qualcuno, chiunque, e minacciarlo di morte per farti fare qualunque cosa voglia, perché dovrei impegnarmi a mentirti? –
 
- Sei un mostro... lo siete tutti… -
 
Rise, di gusto. – Ti dispiace afferrarmi il braccio e tirare forte? – lo osservai terrorizzata. – No? Fa niente, faccio da solo. – Fece una strana manovra e l’articolazione del braccio andò al suo posto con un click. E lui fece appena una smorfia, niente urla, sembrava non avvertisse il dolore.
 
- Che cosa sei tu? – avevo sentito parlare di superuomini, ma non era questo il caso, quel tipo non sembrava neanche umano.
 
- Che domanda! Sono un principe di Germa. Forse Reiju aveva ragione, ti ho colpita troppo forte. –
 
- Non sei umano. –
 
- No. Non del tutto. – lo guardai, sempre terrorizzata, ma stavolta con un misto di curiosità.
 
- Io e i miei fratelli siamo il risultato di un esperimento Germa, il più riuscito. Nostro padre ha modificato il nostro fattore di linea per privarci dei sentimenti, per renderci delle perfette macchine da guerra e come vedi l’esperimento è riuscito. –
 
- Fattore di linea… - Sapevo di cosa stesse parlando ed ora iniziavo a spiegarmi parecchie cose, la resistenza, la forza fisica, i disturbi comportamentali, erano il frutto degli esperimenti sul fattore di linea. Era tremendamente pericoloso giocare a fare Dio con quella roba.
 
- Sai di cosa sto parlando. – mi stava osservando divertito.
 
- No. - forse risposi troppo in fretta.
 
- Te lo hanno mai detto che menti molto male? –
 
- Non sto mentendo. –
 
- La tua faccia dice esattamente il contrario. Lo sai che si vede quello che pensi? – sgranai gli occhi sbalordita. – Lo stai facendo di nuovo. Questa cosa ti sconvolge. Come fai a saperlo? –
 
Non risposi e corrugai la fronte.
 
- Che ne dici se facciamo così: se ti faccio una domanda mi rispondi onestamente perché tanto lo vedo quando menti. – cambiai espressione e ancora una volta mi lesse in faccia quello che non avevo avuto il coraggio di dire ad alta voce. – Se non vuoi rispondere dillo chiaramente perché anche questo si vede. Riproviamo: sai di cosa sto parlando? –
 
Merda! Inutile mentire a questo punto.
 
- Si… -
 
- Come fai a saperlo? –
 
- Non posso dirtelo. –
 
- Ah! Vedi che così funziona meglio? –
 
- Voglio andare a casa. – mi veniva da piangere, mi sentivo così impotente.
 
- Credo che questo sia fuori discussione. Sei pericolosa nelle mani sbagliate. – vero e le loro erano quelle più sbagliate in assoluto. – Potresti distruggerci e non possiamo permetterlo. Certo ucciderti sarebbe facile ed in questo modo elimineremo anche il problema, ma credo sia molto più interessante ed utile usarti, o almeno così la pensano i miei fratelli. –
 
- Tu preferiresti uccidermi? – Cavolo! Non so quale delle due alternative fosse peggio.
 
- Non lo so. In genere mi piace uccidere, ma forse sarebbe più divertente giocare prima un po’ con te, in fondo sei una bella ragazza. – Mi accostai al muro terrorizzata, sebbene fosse ferito ero piuttosto sicura che avrebbe potuto farmi del male. – Rilassati, ho promesso a mia sorella che non ti avrei più ridotta in quello stato, almeno finché ti comporterai bene. – non era incoraggiante, non era incoraggiante per niente. – Adesso ti dispiace darmi una mano a spogliarmi e mettermi in una capsula? – ero tentata di darmela a gambe. – Mi chiedo cosa farai quando scappando sbatterai contro i miei fratelli… - spalancai gli occhi, maledizione! – Avevo capito che non ti piacessero molto. –
 
Maledetto scimmione! Dovevo cercare di non pensare a cose brutte da fargli mentre lo aiutavo.
 
- Non guardarmi così, sono sicuro che non saresti capace di fare quello che stai pensando, eppure sarebbe interessante vederti fare un tentativo. – Arrossì fino alla punta delle orecchie. Prima o poi ci avrei provato sul serio a far saltare in aria lui e tutto quel dannato regno di maniaci e psicopatici. Però l’informazione sul fattore di linea era interessante, anche perché era ovvio che la conoscenza di chi aveva condotto l’esperimento era approssimativa, aveva fatto parecchi errori ed aveva ottenuto risposte variabili e poco ripetibili. Dovevo capirne di più, dovevo studiare il modo in cui era stato condotto l’esperimento.
 
- A cosa stai pensando? Sei parecchio concentrata. –
 
- A come distruggerti. – abbastanza vero.
 
Rise.
 
- Progetto ambizioso, ma ti svelo un segreto: sono indistruttibile! – questo lo dici tu bestione!
 
Lo aiutai a liberarsi di maglia e pantaloni ma mi rifiutai categoricamente di aiutarlo con la biancheria, se la sarebbe tenuta addosso se non avesse voluto che girassi i tacchi e me ne andassi di lì! Alla fine, lo trascinai alla meno peggio verso una capsula e ce lo misi dentro. Non fu difficile capire di cosa si trattasse e di come farla funzionare. Era una banale capsula riempita con liquido staminale, rigenerava i tessuti molto rapidamente, utile dopo le battaglie, probabilmente era così che mi avevano rimesso in sesto, ma parecchio inquietante se associata all’informazione degli esperimenti sul fattore di linea. Iniziavo a farmi un’idea di cosa diavolo facessero in quel posto e non mi piaceva per niente. Dovevo trovare un modo per scappare e dovevo trovarlo in fretta.
 
Appena si fu addormentato lasciai la stanza diretta alla mia camera. Lo stomaco brontolava ed ero impiastricciata dal sangue di quel ragazzo. Dovevo lavarmi, cambiarmi, cercare qualcosa da mangiare e trovare un modo per andarmene di lì.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Il laboratorio ***


Quando pensai di tornarmene in camera mia avevo leggermente sottovalutato la situazione: mi ero persa. Era prevedibile, non conoscevo ancora quel posto e non mi ero ancora fatta una mappa tridimensionale dei corridoi. E ovviamente non c’era l’ombra di un domestico per poter chiedere dove diavolo mi trovassi. Lo avevano fatto di proposito, ci avrei giurato! Si aspettavano che restassi con lo scimmione, stavano tentando di tenermi d’occhio. Anche Yonji aveva tentato di convincermi a rimanere lì con la minaccia dei suoi fratelli, solo che io ho la testa dura. Però questo mi faceva capire che dopotutto avevano paura di me, o meglio avevano paura che lasciata libera di gironzolare per il palazzo a mio piacimento mi sarei potuta imbattere in qualcosa che non dovevo vedere e fare qualche danno.
 
Ero tentata, ovviamente. Però non ero stupida, non riuscivo neanche a trovare la mia camera, come avrei potuto scappare di lì dopo aver combinato un guaio? Forse non pensavano che sarei scappata… Forse la loro idea non era tanto malvagia, ma di sicuro era una follia farlo così su due piedi, mi serviva tempo per conoscere il posto e scoprire il modo migliore di distruggerli ed io il tempo non lo avevo. Restare lì avrebbe significato farsi estorcere la verità ed essere usata da loro e non era il caso. Il piano restava confermato, dovevo trovare il modo di scappare.
 
Mi affacciai ad una finestra per orientarmi, se fossi riuscita ad individuare il campo di allenamento che avevo visto quella mattina forse sarei riuscita a capire dove andare. Mi stavo sporgendo parecchio e cercavo di ripararmi dal sole con una mano. Il mio baricentro era appena all’interno della finestra. Quando si è alti quanto un Tontatta bisogna pure ingegnarsi. Quel castello era stato costruito a misura di quegli stangoni dei Vinsmoke, non era stato pensato per il mio metro e sessanta.
 
Eccolo! Lo avevo visto! “Dunque… se il campo è lì, allora l’ingresso dovrebbe essere da quella parte e considerando la strada che abbiamo fatto all’andata…” sentì qualcosa toccarmi le spalle ed il cuore mi salì in gola. Mi aggrappai alla finestra per non perdere l’equilibrio ma una mano mi trascinò indietro per fortuna, o sarebbe meglio dire per sfortuna! Un ragazzo dai capelli blu mi guardava con l’irritante ghigno dei Vinsmoke di buon umore ed un’espressione interrogativa.
 
- Attenta. Potresti cadere. -
 
Maledizione! Sperai solo che non fosse bravo a leggere il mio viso quanto il fratello perché in quel momento descriveva solo terrore puro. Mi squadrò da capo a piedi, ero impiastricciata di sangue. A differenza loro non ero brava a leggere i pensieri delle persone dalla loro espressione ma supponevo non fosse niente di buono. Lo so che un libro non si giudica dalla copertina ma con loro credo che la prima impressione fosse più che corretta: psicopatici bastardi e sadici.
 
- Che cosa ci fai qui? –
 
- Mi sono persa… - fifa blu, era il caso proprio di dirlo. Mi guardai intorno nella speranza di vedere qualcuno, chiunque. Lui se ne accorse.
 
- Cerchi qualcuno? –
 
- Io? No! – e invece si. Perché non c’era mai nessuno per i corridoi di quel maledetto palazzo?!
 
- Hai paura? –
 
“Decisamente!”
 
- No… - bugiarda! Bugiarda! Bugiarda!
 
- Dovresti. –
 
“AIUTO!”
 
- Interessante il tuo abbigliamento. – non ne avevo dubbi!
 
- Stavo andando a cambiarmi… -
 
- È di Yonji? – che bastardo! Che aveva da ghignare? Ero imbrattata del sangue di suo fratello, dopo che lui e quegli altri due psicopatici lo avevano pestato e lui ghignava. – Dov’è adesso? –
 
- In una capsula. –
 
- Bene – si avvicinò ed io mi strinsi con le spalle al muro. Se Yonji era stato ridotto in quello stato non osavo immaginare come avrebbe ridotto me. Mi veniva da piangere. Si avvicinò molto, troppo, stavo tremando. – Voglio spiegarti una cosa. Ora sei alle nostre dipendenze, il che significa che dovrai eseguire gli ordini dei membri della famiglia reale, come tutti gli altri e se non lo farai verrai punita. – Non avevo dubbi che fosse esattamente quello che aspettava.
 
- Ho detto che avrei sistemato la tuta di tuo fratello. –
 
- Ichiji e Reiju pensano che sia più semplice farti collaborare se facciamo del male agli altri. Io non sono d’accordo. Credo che sarebbe più proficuo farne a te. –
 
- Solo perché a te non importa degli altri questo non significa che non importi a nessuno. – Forse questo era uno di quei momenti in cui avrei dovuto tenere la bocca chiusa. Allargò il ghigno.
 
- Sono sicuro che dietro questo coniglietto spaurito ci sia ben altro. Vedi io non me la bevo la storia della contadinella che neutralizza la tecnologia Germa, quindi ti terrò gli occhi addosso aspettando che tu faccia un passo falso. – era fastidiosamente vicino, mi dava la nausea.
 
- Se non stai nella pelle all’idea di farmi del male allora perché aspetti? – anche stavolta sarebbe stato meglio star zitta.
 
- Perché sono un soldato ed un soldato esegue sempre gli ordini del suo leader. Ma nel frattempo potrei fantasticare sul momento in cui farai un errore. –
 
- Intendi il momento in cui proverò a scappare o mi rifiuterò di obbedire? –
 
- E chi lo sa… Spero solo che non mi farai attendere troppo. – sentivo il suo fiato sul collo, mi dava i brividi, volevo andare via. Misi le mani davanti per spingerlo via.
 
- Togliti di dosso! –
 
- Che cosa pensi di fare? –
 
- Io non sono un giocattolo da terrorizzare e spaventare a tuo piacimento! – alzai un po’ la voce. Sapevo di aver commesso un errore a spintonarlo e ad alzare la voce.
 
- Ora iniziamo a ragionare. – allargò il ghigno. – Ma vedi, è proprio quello che sei e faresti meglio ad accettarlo. – quel tipo mi indisponeva e terrorizzava al tempo stesso.
 
- Niji. Che stai combinando? – Reiju, una benedizione, anche se in effetti aveva partecipato anche lei al pestaggio di suo fratello, non so quanto in effetti ci fosse da gioirne.
 
- Stavo facendo due chiacchiere con la nuova arrivata, per conoscerci un po’ meglio. –
 
- Non credo che la cosa le interessi. –
 
- Non credo la cosa sia rilevante. –
 
- Ha un ruolo importante, sarebbe il caso che tu e quegli altri due non la faceste a pezzi. –
 
- Non era mia intenzione. Non ancora per lo meno. –
 
- Hai capito cosa intendevo, ci serve lucida. Smettetela di farle a pezzi la psiche. Gli umani sono fragili, dovresti saperlo. –
 
- E tu dovresti sapere che non mi piace quando uno dei miei fratelli o mia sorella mi interrompe mente sto discutendo con la servitù. –
 
- Non fa parte della servitù, mettitelo bene in testa. Nostro padre paga un bello stuolo di donne per farvi divertire. Lasciala stare. Abbiamo bisogno di lei per potenziare la nostra tecnologia. –
 
Niji alzò un braccio e fece un’espressione di divertita resa. Potevo andarmene ma restai lì impalata attaccata al muro.
 
- Ti mostrerò la strada per la tua camera. – mi riscossi e mi sbrigai a raggiungere Reiju, ancora una volta mi aveva protetta. Avevo difficoltà a capire quella ragazza, lo confesso. A volte sembrava completamente disinteressata a chi o cosa la circondasse, altre sembrava crudele proprio come i suoi fratelli, altre avevo la sensazione che mi stesse proteggendo, anche se lo faceva sempre con un certo distacco.
 
- Ci vediamo presto Lea. – lui rise e a me un brivido attraversò la schiena.
 
- Se non sbaglio ti avevo avvisata di non girare da sola per i corridoi. – mi disse lei quando ci fummo allontanati da suo fratello. – Cosa credevi di fare? –
 
- Ecco io… volevo solo andare a cambiarmi. – mi diede un’occhiata, era innegabile che non fossi presentabile. – La prossima volta aspetterò una delle cameriere. –
 
- Non servirebbe. Sono i principi, basterebbe dare ordine alle domestiche di lasciarvi soli. – in effetti non ci avevo pensato.
 
- Quindi cosa dovrei fare? –
 
- Aspettare. Presto saranno distratti da qualcos’altro e ti lasceranno in pace. Sono attratti dalle novità e qui non ce ne sono molte. Ma si stancheranno di te, si stancano sempre alla fine. –
 
- Perché hai attaccato tuo fratello stamattina? – lei mi guardò per qualche attimo.
 
- Perché mi è stato ordinato. –
 
- Ma è tuo fratello! – anche se psicopatico.
 
- E con questo? Gli ordini non si discutono. –
 
- Non ti dispiace neanche un po’ per quello che è successo? –
 
- La pietà non è un sentimento che viene visto di buon occhio qui dentro. Mi sembrava di avertelo detto. –
 
- Anche tu hai subito la modifica del fattore di linea? –
 
- Come fai a sapere del fattore di linea? –
 
- Non siete persone comuni, questo è ovvio. – riprese a camminare.
 
- Io sono l’esperimento zero. Sono stata sottoposta solo a modificazioni fisiche. – quindi la sua psiche non doveva essere compromessa, allora perché si comportava in quel modo?
 
- Di che colore erano i capelli di tua madre? – mi guardò confusa, in effetti era una domanda strana ma avevo una teoria.
 
- Biondi. – come quelli del re.
 
- E del tuo terzo fratello? Quello che non c’è. –
 
- Biondi anche lui. – il padre ha detto che era nato debole, iniziavo a capire. Che gran pasticcio! Non si dovrebbe giocare con il fattore di linea! – Cosa sai che non vuoi dire? –
 
“Un bel po’ di cose, ahimè!”
 
Non risposi, non potevo.
 
- Ti tireranno fuori la verità con la forza, per quanto credi di poter resistere qui dentro? –
 
Mi aggrappai al suo braccio, ero disperata.
 
- Ti prego! Tu sei diversa, lo so! Devi aiutarmi! Io devo andare via di qui! – mi guardò perplessa per qualche attimo poi si divincolò dalla mia stretta.
 
- Non dire mai più cose del genere, mi hai capito? Io non sono diversa, non sono tua amica e non ho intenzione di aiutarti. Non c’è modo di andare via di qui senza permesso. – Caddi in ginocchio e scoppiai a piangere, mi sentivo un topolino intrappolato in un labirinto pieno di tigri. Aveva ragione lei, era solo questione di tempo e poi mi avrebbero tirato di bocca la verità.
 
- Non ti faranno del male. – le dava fastidio il mio atteggiamento, si vedeva.
 
- Non è questo, non mi importa di me. –
 
- Cosa stai proteggendo di tanto importante? – la guardai supplichevole. - Non puoi fuggire ed io non ti aiuterò a farlo, quindi smettila di chiedermelo e fattene una ragione. Se ci proverai ti prenderanno subito e ti faranno cose orribili, quindi non ci provare. – mi oltrepassò per andare via. – Se ciò che stai proteggendo è così importante per te allora inizia a pensare a cosa puoi sacrificare per tenere la bocca chiusa. –
 
- Anche la mia vita. –
 
- È l’unica cosa che non prenderanno. Se davvero vuoi mantenere il tuo segreto ed evitare morti inutili allora sali sulla torre più alta di Germa. Il tuo fragile corpicino umano non resisterà all’impatto. Io al tuo posto farei così. – Se ne andò lasciandomi singhiozzante. Possibile che la mia unica alternativa fosse lanciarmi nel vuoto? Io… non volevo morire, avevo solo 19 anni, non conoscevo niente del mondo e della vita, ma cosa potevo fare? Per tutta la vita mi avevano ripetuto che il mio segreto era quanto di più importante ci fosse, che quello che sapevo e sapevo fare doveva restare nascosto al mondo o ci sarebbe stato il caos, che per nessun motivo dovevo farmi catturare. Perché era successo proprio a me?
 
Mi sfogai piangendo e poi me ne tornai afflitta in camera mia, con gli occhi rossi e umidi e ancora tutta impiastricciata di sangue. Feci una doccia calda, l’acqua che scorre di solito mi aiuta a lavar via anche i pensieri tristi, mi aiuta a pensare. In momenti simili sarei andata sulla tomba di mia madre e avrei cercato una soluzione, ma non l’avrei rivista mai più. Ero in trappola, ma non era giusto salvarmi dalle tigri gettandomi nel vuoto. Ero solo un indifeso topolino ma dovevo batterli con l’astuzia, ero pur sempre una ragazza molto razionale ed intelligente. Sarei stata pronta all’estremo sacrificio se fosse stato necessario, ma non potevo arrendermi senza combattere, tanto la torre più alta non scappava di certo.
 
Mi serviva un piano e molta più calma, ma era difficile non avere paura con quei bestioni così minacciosi e senza cuore. Dovevo sforzarmi di essere calma, fintanto che ero d’aiuto ero intoccabile e questo era un vantaggio, quei tre non potevano farmi niente, la loro unica arma era il terrore psicologico e se smettevo di avere paura loro avrebbero smesso di avere potere su di me. La seconda questione riguardava le mie capacità. Non conoscevo la loro tecnologia, lo ammetto, crescendo su una minuscola e arretrata isoletta non avevo avuto modo di entrare in contatto con l’innovazione del resto del mondo, certo leggevo qualcosa dai giornali, ma non avevo mai visto cose come le loro tute o le capsule o la maschera per il gonfiore, per me era tutto nuovo.
 
Ciò nonostante avevo talento naturale ed un’eccellente educazione, mi basava davvero poco per prendere confidenza con quegli aggeggi, ero certa di poter prendere confidenza con tutta la tecnologia Germa in meno di una settimana. Volevano che migliorassi la loro scienza, potevo farlo, magari fare migliorie e lasciarmi comunque una scappatoia che non fosse visibile al loro team di scienziati. Poi c’era la faccenda della fuga. Non avrei trovato aiuto lì e farlo da sola era complicato, dovevo studiare meglio la zona ed elaborare un piano e per farlo mi serviva libertà di movimento, dovevo avere la possibilità di gironzolare liberamente senza quei gorilla a farmi da guardia, ciò significava conquistarmi la loro fiducia e quindi fare la brava bambina per qualche tempo, accontentarli, fare ciò che mi veniva chiesto senza lamentarmi. Si, potevo farcela e se non ci fossi riuscita avrei preso in considerazione il consiglio di Reiju.
 
Uscì dalla doccia e mi avvolsi un telo intorno al corpo. Con i capelli ancora gocciolanti mi diressi a quel dannato armadio. Quanto odiavo quel genere di abiti! Niji aveva ragione, ero poco più di una contadinella, non vestivo in quel modo, mettevo abiti larghi e strappati, non abitini e tacchi, mi sentivo fuori contesto, ma non importava, avevo deciso di fare buon viso a cattivo gioco ed avrei cominciato dall’abbigliamento. Fermo restante che avrei tentato comunque di procurarmi qualcosa di più adatto a me.
 
Scelsi uno dei tanti abiti attillati, corti e dannatamente scollati presenti in quell’armadio, bianco e nero, e un paio di scarpe con un leggero tacco, non era il caso di osare mettendo trampoli, non dovevo scappare, ma di certo volevo reggermi in piedi. Mi asciugai i capelli con la fila a lato, erano davvero molto belli e lucidi, con i boccoli sotto. Mi sono sempre chiesta se da giovane mio padre avesse avuto i capelli neri come i miei, quelli di mia madre erano castani e da quello che sapevo, adesso i capelli di mio padre dovevano essere tutti grigi se non addirittura bianchi. Mio padre è un po’ in avanti con gli anni, di questo sono certa, abbiamo una forte differenza di età.
 
Lo stomaco mi brontolò forte ricordandomi che non mangiavo niente dalla sera prima. Dovevo uscire dalla stanza. Chiusi gli occhi e respirai, dovevo trovare il coraggio di iniziare la messa in atto del mio piano. Quando mi sentì abbastanza sicura di me aprì la porta ed iniziai a chiamare le cameriere. Ovviamente non c’era nessuno, un dannato castello fantasma! Dovevo ricordarmi di lamentarmi per questa cosa. Iniziai ad avviarmi, ricordavo abbastanza dove fosse la sala del trono, magari lungo la strada avrei incontrato qualcuno che mi indicasse la cucina.
 
Voltai uno degli ultimi angoli prima di raggiungere la sala del trono e mi sembrò di urtare contro un muro. Il muro in questione aveva i capelli verdi e gli occhi azzurri. Persi l’equilibrio, dannate scarpe! Stavo cadendo all’indietro ma lui mi afferrò per un braccio. Aveva un pantalone scuro ed una camicia chiara a maniche corte, una cinta con una fibbia su cui mi sembrò di scorgere il numero 69. Mi guardò perplesso, iniziavo a sentirmi davvero come il buffo animaletto del castello.
 
- Ma cosa combini?! – un’affermazione più che una domanda. Mi tirò su ed io ringraziai mentalmente che non mi avesse lasciato cadere visto che sulla mia isola con si era fatto lo scrupolo. Forse la strigliata di sua sorella era stata efficace.
 
- Ti ringrazio. –
 
- Lo sai che sei davvero imbranata? – ma come si permetteva!
 
- Io non sono imbranata! Sei tu ad essere sbucato fuori dal nulla! –
 
- Io stavo camminando per i fatti mei. Sei tu che non vedi neanche dove metti i piedi. – gonfiai le guance per lo sdegno e lui mi rise in faccia fino a farsi scendere le lacrime. Maleducato e arrogante!
 
- Sei un maleducato! – lo sorpassai rossa come un peperone per la rabbia e l’umiliazione.
 
- Non credevo che un qualunque essere umano potesse essere così divertente. –
 
- Guarda che sei un essere umano anche tu! – mi girai nervosa con le mani sui fianchi.
 
- Si, ma noi non siamo uguali, io non mi rompo così facilmente e non sbatto contro la gente finendo quasi a terra. – sorrideva divertito.
 
- Non è colpa mia se voltato l’angolo mi sono trovata di fronte un armadio a due ante che camminava! –
 
- Guarda che sei tu ad essere terribilmente piccola. – mi batté una mano sulla testa per sottolineare i suoi quasi 30 centimetri di vantaggio e confesso di non essere riuscita a controllarmi, nonostante le buone intenzioni di poco prima persi le staffe e gli diedi un pugno sul petto. Fortuna che ero deboluccia e non avevo colpito forte o mi sarei rotta la mano, quel tipo era di acciaio. Ritirai la mano dolorante e lui scoppiò a ridere di nuovo facendo aumentare ulteriormente il mio malumore. – Però! Che caratterino che hai! –
 
- Stupido gorilla! Se fossi grossa quanto te ti darei una lezione con i fiocchi. –
 
- Non credo proprio. – Si stava asciugando le lacrime.
 
- Forse non ho colpito il punto giusto. – Tirai fuori l’espressione più sadica di cui ero capace e lui rise di nuovo. Lo stava facendo di proposito per farmi inferocire. – Non esiste un punto giusto. – mi strizzò l’occhio ed incrociò le braccia muscolose sul petto altrettanto muscoloso ed io mi voltai e ricominciai a camminare stizzita.
 
- Dove stai andando? –
 
- Non sono affari tuoi! – mi aveva indisposto parecchio.
 
- Io credo di si. – non gli risposi e continuai a camminare ma sapevo che mi stava seguendo. – Niji mi ha detto che vi siete incontrati prima, in corridoio. – Bastardo! Lui ed anche il fratello!
 
- Se pensi di farmi paura suggerendomi la possibilità di incontrare i tuoi fratelli ti sbagli di grosso! –
 
- Certo! Ho notato che non hai paura di niente! – si era portato le braccia dietro la testa, anche spiritoso adesso.
 
- Chiariamo una cosa. – mi fermai davanti a lui. – Io non ho paura di te, né dei tuoi fratelli, quindi smettila di provare a terrorizzarmi usando loro! – alzò le sopracciglia, come se avesse davanti un cucciolo che provasse a far la voce grossa. Lo so, non incutevo minimamente paura. Si abbassò in avanti per avermi di fronte, umiliante.
 
- Buon per te, perché dovrai passare un bel po’ di tempo con noi tre. – fantastico! Davvero fantastico! Tirò su un angolo della bocca, aveva letto dal mio viso il mio disappunto. Mi voltai e ripresi a camminare, non volevo più dargli confidenza.
 
- Lo sai, non sei la prima ad aver paura di noi, ma di sicuro sei la prima che nonostante il terrore continui a risponderci a tono, assolutamente incurante del dislivello fisico e dei ranghi. Quindi mi chiedo: chi sei tu? –
 
- La ragazza che hai malmenato su di una piccola isoletta e poi rapito. –
 
- Se ti avessi “malmenata” ora non staresti scorrazzando per il palazzo, te lo assicuro. – Che faccia tosta!
 
- Vuoi dire che mi sono fatta da male da sola? –
 
- Si. Il più delle ferite e dei lividi te li sei fatti da sola tentando di scappare. La commozione cerebrale invece è opera mia. – mi sorrise compiaciuto.
 
- E ne vai anche fiero? – era assurdo.
 
- Certo. – Non capiva il mio disappunto.
 
- Non ti hanno mai detto che è sbagliato alzare le mani su di una donna? – rise di gusto.
 
- Che sciocchezza! – lo guardai abbastanza disgustata. – Se le donne non si fanno scrupolo ad attaccare non vedo perché io dovrei restarmene fermo ad incassare solo perché è una donna. –
 
- Io non ti avevo fatto niente. –
 
- Mi hai distrutto la tuta e sei scappata, te la sei cercata! –
 
- Tu volevi uccidermi! Cosa dovevo fare? Restare lì e lasciarti fare? – aprì la bocca per controbattere ma poi fu costretto a richiuderla, avevo ragione e lo sapeva anche lui ma ciò nonostante doveva avere l’ultima parola.
 
- Gli ordini erano di non lasciare superstiti. –
 
- E tu esegui tutti gli ordini senza riflettere sul se siano giusti? –
 
- Un bravo soldato non discute gli ordini del leader. – la stessa cosa che aveva detto suo fratello. Questo non dipendeva dal fattore di linea, questo era lavaggio del cervello puro e semplice.
 
- Forse sei solo troppo stupido per pensare con la tua testa. – mi afferrò un braccio, la sua stretta era una morsa di acciaio.
 
- Ehi, stai attenta! Ci sono ordini che non vorresti violassimo. – i miei occhi color ghiaccio incrociarono i suoi azzurri, ero intenzionata a sostenere quello sguardo, non avevo paura delle sue minacce.
 
- Mi stai facendo male. – dissi ad occhi stretti senza distogliere lo sguardo e lui mi lasciò. Il mio stomaco agì di sua volontà nel momento più sbagliato possibile, facendo crollare la mia credibilità di tipa dura. Mi portai la mano allo stomaco per soffocare il rumore e lui mi osservò, la sua espressione belligerante cambiò e mi superò.
 
- Vieni con me. – io non accennai a muovermi. – Da sola ti perderesti di sicuro. Andiamo ti faccio vedere dov’è la cucina. –
 
Ci pensai un attimo, ma la fame ebbe il sopravvento e mi decisi a seguirlo. Nonostante, in fin dei conti, lui fosse stato il solo ad avermi fatto realmente del male, era quello dei tre che mi faceva meno paura. Tutto sommato la sua scorta non mi dispiaceva, sempre meglio che l’avere a che fare con quei due pazzi dei fratelli.
 
Quando arrivammo in cucina sembrarono tutti molto sconcertati, a quanto sembrava non si era mai visto uno dei principi in cucina.
 
- Signorino Yonji. – Si inchinarono tutti e c’era un’atmosfera di terrore in quella cucina. Forse lo stavo sottovalutando, forse avrei dovuto avere paura anche io. – Cosa possiamo fare per lei? –
 
- Abbiamo saltato la colazione. –
 
- Sono mortificata Signorino. La prego ci perdoni. Rimedieremo subito. Ma non doveva disturbarsi a venire fin qui. –
 
- E vorresti dirmi tu cosa devo fare? –
 
- No Signorino, non mi permetterei mai. Chiedo scusa. La prego mi perdoni. – era piegata in avanti e tremava. Era colpa mia, ero stata io a voler venire in cucina. Non era giusto che se la prendesse con loro. Gli afferrai il braccio e lui mi guadò perplesso.
 
- Non è meglio se andiamo in laboratorio per iniziare a dare un’occhiata alla tua tuta? Potremmo mangiare lì appena sarà pronto. – mi guardò per qualche attimo, stava studiando il mio viso ed una volta tanto non avevo intenzione di nascondere niente.
 
- Tu hai paura per loro. Perché? – non capiva. “La pietà qui non è vista di buon occhio” mi aveva detto Reiju., ma io non ce la facevo, non potevo essere come loro.
 
- Adesso ha priorità la tua tuta. – continuava a fissarmi. – Per favore. – tentai di tirare fuori la mia espressione da cucciolo abbandonato e affamato, anche se sapevo che non avrebbe avuto effetto su di lui, ma era un riflesso involontario.
 
- D’accordo. Faremo colazione in laboratorio. Andiamo. – Tirai un sospiro di sollievo. – Ma bada bene. Se farai qualcosa di strano, tornerò qui a pareggiare i conti con loro. Chiaro? – annuì. Sapevo che ne sarebbe stato capace. Lui si avviò davanti e la donna che ci aveva accolto in cucina mi afferrò la mano.
 
- Grazie. – mi disse solo. La ringraziai con un cenno e mi affrettai a seguire quel colosso, non volevo dargli motivi per ripensarci. Gli tenni il broncio fino al laboratorio e non gli rivolsi la parola. Quelle povere donne non avevano fatto niente, non era giusto trattarle in quel modo.
 
- Mi sembri contrariata. – buttò lì lui ed io non risposi. – È per la servitù? – ancora una volta non risposi. – Io proprio non ti capisco. Cosa ti importa di loro? –
 
- Sono persone! –
 
- E con questo? –
 
- Non si trattano così le persone! – sbuffò un ghigno.
 
- Allora dovrebbero imparare qual è il loro posto, non credi? –
 
- Non avevano fatto niente di male e tu stavi per farne a loro. Lo so, te l’ho letto negli occhi. –
 
- E tu lo sai qual è il tuo posto? – si voltò a guardarmi minaccioso, di scatto, ed io istintivamente feci un passo indietro. – Esatto. E faresti bene a non dimenticarlo e a non intrometterti più nelle questioni che riguardano noi e i domestici. È chiaro? – avevo un’espressione tra il triste e l’arrabbiato. Cosa potevo aspettarmi da lui se non il comportamento di un bruto. Si voltò di nuovo a trafficare con la porta. – Se ci fosse stato Niji al posto mio a questo punto saremmo senza domestici, e solo per il tuo intervento. Quindi la prossima volta è meglio se tieni la bocca chiusa. – questa affermazione mi lasciò basita ma non quanto lo spettacolo che mi ritrovai di fronte quando le porte del laboratorio si aprirono.
 
Era meraviglioso! Entrai dentro e mi guardai intorno senza fiato. Non avevo mai visto niente di simile prima. Non avevo mai visto niente a dire il vero. Avevo un piccolo laboratorio sotterraneo che tenevo segreto e che avevo fatto saltare in aria il giorno dell’invasione dei Germa, ma era appena uno scantinato. Invece questo era immenso, su più livelli, pieno di apparecchiature, monitor, cavi, microscopi, provette… Non credevo potesse esistere tanta meraviglia. Lui si appoggiò con la schiena ad un macchinario, le braccia incrociate sul petto, sorrideva fiero della mia reazione.
 
- È la prima volta che vedi un laboratorio? – scossi la testa imbambolata.
 
- Non ne avevo mai visto uno così grande. –
 
- Si, me lo dicono spesso. – ghignava ma io ero talmente abbagliata da tutto quello da non aver neanche fatto caso al doppio senso.
 
Mi avvicinai curiosa ad ogni macchinario, sfiorai le tastiere, i monitor, le provette, era tutto meravigliosamente vero.
 
- Mi sembra ti piaccia. – Si era avvicinato e continuava a sorridere orgoglioso.
 
- È fantastico! – dovetti sforzarmi per riportare lo sguardo su di lui. – È questa la famosa tecnologia Germa? –
 
- Una parte. Ci sono diversi laboratori nel regno. Questo è il mio laboratorio personale. – sgranai gli occhi.
 
- Mi stai dicendo che questo è tutto tuo e che nel regno ce ne sono altri così? – non potevo crederci.
 
- Esatto. Qui puntiamo tutto sulla scienza. –
 
- Tu sai far funzionare questi macchinari? –
 
- Non sono mica uno stupido gorilla! – rise. Lo avevo chiamato spesso così. – Siamo stati istruiti da piccolissimi sia per quanto riguarda le tecniche di combattimento, che i modi reali, che le scienze. Nostro padre ha sempre tenuto molto alla nostra istruzione. –
 
- Sei uno scienziato anche tu? –
 
- Tra le altre cose. – questo si che era sconvolgente.
 
- Non ci credo. – mi guardai di nuovo intorno. Era proprio così che immaginavo il paradiso. – E con tutto questo a tua disposizione non sei riuscito ad eliminare i bug dalla tua tuta? – questo era ancora più assurdo.
 
- A quanto sembra no. Ma ora ci sei tu, è per questo che sei qui. – mi guardò sorridente ed io, mi vergogno un po’ a dirlo, mi sentì come una bambina con di fronte un grosso e formidabile regalo che aspettava solo di essere scartocciato. Volevo vedere quegli strumenti ad uno ad uno e capirli nel dettaglio. Volevo vedere cosa si provava a stare in un vero laboratorio e se il prezzo da pagare era rimettergli a posto la tuta lo avrei pagato volentieri. Non avrei avuto più un’altra occasione come quella nella vita.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** La lega a memoria di forma ***


Non so per quanto tempo rimasi a fissare quella meraviglia, dovevo sembrare proprio ridicola ad emozionarmi così per un laboratorio. Yonji rimase tutto il tempo appoggiato con la schiena ad uno strumento, ad osservarmi sorridente con le braccia incrociate sul petto ma io neanche mi accorgevo più della sua presenza. Le mie fantasie furono interrotte dallo spalancarsi delle porte che mi riportarono bruscamente alla realtà del mio stomaco brontolante.
 
- Signorino Yonji, la colazione è servita. Faccio entrare la domestica? – Era un uomo con l’uniforme dei Germa ed un camice bianco sopra.
 
- Davvero vuoi far colazione qui dentro? – si stava rivolgendo a me. Annuì come una bambina, non volevo assolutamente lasciare quel posto fantastico. Non credo che lui riuscisse a capire il mio entusiasmo, per lui quella era solo una stanza. – Va bene. - sospirò rassegnato e diede ordine di far entrare la domestica.
 
Per quanto mi riguardava potevamo anche mangiare a terra ma lui era pur sempre un principe, non credo che il suggerimento gli sarebbe andato a genio, quindi tenni la bocca chiusa e lasciai che preparassero un tavolino appositamente portato lì per servire la colazione. Tavolo bianco, sedie bianche, tovaglia bianca, laboratorio bianco… in quel posto erano fissati con il bianco. Mi sentivo in imbarazzo, non ero abituata a farmi servire, non sapevo cosa fare, da quando avevo incontrato Niji quella mattina non facevo che sentirmi inadeguata, una paesana in un palazzo reale.
 
Però dovevo ammettere che il laboratorio mi tranquillizzava parecchio, dopotutto, da quando ero arrivata avevo dovuto cenare in presenza di un cadavere e guardare Judge far tranquillamente colazione mentre pestavano Yonji, per non parlare che nei giorni precedenti ero stata incosciente, chiusa in qualche capsula. Quello era il primo pasto “normale” in quel regno ed avevo una fame pazzesca. Il mio stomaco brontolò di nuovo ed io tentai di calmarlo premendovi una mano sopra.
 
- Se hai fame perché non mangi? – stava girando il cucchiaino in una tazza di the e mi fissava aumentando il mio senso di inadeguatezza. – Stai facendo un’espressione strana. Che cosa significa? – Imbarazzo. Significava imbarazzo.
 
- Non sono una nobile. –
 
- Poco ma sicuro. I nobili non girano impiastricciati come lo eri tu quando ti ho incontrata. – Odioso!
 
- Volevo dire che non conosco le vostre buone maniere. –
 
- Buone maniere? – scoppiò a ridere di gusto e si mise a sedere tutto scomposto.
 
- Credevo che i principi ne avessero. – ero piuttosto risentita e offesa, mi prendeva in giro per quello che non sapevo e non era una sensazione familiare.
 
- All’occorrenza. – Tornò a fissarmi ma io non lo guardavo, ero indispettita. – Ce le hanno insegnate ma personalmente le trovo noiose. I miei fratelli e mia sorella sono più portati di me per queste cose. – per forza, lui era un gorilla! – Allora ti decidi a mangiare o faccio portare via tutto? –
 
Avevo fame. Mi decisi ad afferrare un biscotto, era delizioso! Assaggiai il thè ed anche quello era sublime. Forse era colpa della fame o era merito della cuoca, ma quell’assaggio mi fece prendere abbastanza coraggio da sbloccarmi. Anche lui mangiò ma passò buona parte del tempo a fissarmi, anche adesso, si stava tenendo la testa su di una mano chiusa a pugno e mi fissava. Mi metteva a disagio.
 
- Si può sapere perché continui a guardarmi? – mi faceva sentire come un animaletto domestico.
 
- Fai espressioni strane. Alcune non le capisco. –
 
- Smettila! –
 
- Di fare cosa? –
 
- Di continuare a leggermi il viso! –
 
- Bhè tu non parli molto ed io mi annoio a far colazione con una mummia. –
 
- Altro che buone maniere, sei un gran maleducato! – rise.
 
- Te lo avevo detto che non sono molto incline alle buone maniere. Però tu forse confondi le smancerie con le buone maniere. – lo guardai confusa. – Qui nessuno ti farà delle smancerie. Su Germa non esistono la gentilezza, l’altruismo, la bontà e sciocchezze simili. Queste sono cose da deboli. Se ti aspetti gentilezza hai decisamente sbagliato posto. –
 
A volte dimenticavo chi fossero in realtà e dove mi trovassi. È che a vedere lui o Reiju mi sembravano ragazzi normali, un po’ stronzi certo ma tutto sommato normali. Ma le cose non stavano proprio così e non dovevo dimenticarlo.
 
- Ti ho turbata? – non risposi. – Reiju ha ragione, voi umani siete così delicati, bastano poche parole per ferirvi, con una come te forse non sarebbero necessari neanche i miei muscoli e le mie capacità per distruggerti. – continuava a fissarmi ed io arricciai il labbro, mi veniva di nuovo da piangere. Quando avevo visto il laboratorio, per un attimo, avevo smesso di sentirmi sola, ma ora quella brutta sensazione stava tornando.
 
- E allora perché non lo fai?... – glielo stavo suggerendo più che chiedendo.
 
- Perché non sono questi gli ordini. – ecco di nuovo quel ghigno.
 
- E se tu potessi scegliere? – volevo capire se fosse il caso di darmela a gambe quando gli ordini fossero cambiati.
 
- Vuoi sapere se, potendo scegliere, ti farei del male in questo momento? – lo guardai e come sempre il mio sguardo parlava per me. - Tra le tante cose, oltre ad essere un principe di Germa ed uno scienziato sono un mercenario ed un soldato. Il mio compito è fare alle persone quello che ho fatto alla tua isola e di solito non ci sono superstiti, ma non giro per le strade o per i corridoi ad ammazzare gente senza motivo. –
 
- Vuoi dire senza che ti venga ordinato. –
 
- No. Voglio dire che se qualcosa mi interessa sopravvive. – continuava a fissarmi. – E dovresti ringraziarmi per averti portata qui invece di ucciderti. –
 
“È il mio congegno che devo ringraziare e non te, stupido bestione!”
 
Comunque le sue parole sottolineavano la mia posizione in quel palazzo. Per il re ero un mezzo per potenziare le sue armi, per Reiju una palla al piede che avrebbe fatto meglio a gettarsi da una torre, per Niji un giocattolo, e non volevo neanche immaginare in quale modo disgustoso avrebbe voluto giocare con me, e per Yonji un buffo animaletto trovato per strada che fa le facce buffe. E poi c’era Ichiji, il rosso, non ero ancora riuscita a capire per lui cosa rappresentassi e non ero sicura di volerlo sapere. C’era di evidente che per nessuno di loro rappresentassi un essere umano con dei sentimenti ed una propria volontà.
 
Lui mi osservava incuriosito e stavolta ero io a leggere la sua espressione, si stava chiedendo che sentimento stesse mostrando la mia faccia.
 
- Tristezza. – gli dissi e lui sollevò un sopracciglio. – Questa è tristezza. –
 
- Tristezza. – ripetè la parola accentuando la somiglianza ad uno scimmione. – No. Non mi dice niente. –
 
- Non puoi non aver mai provato tristezza in vita tua. –
 
- Mai. –
 
- Non hai mai perso qualcuno a cui volevi bene o non ti sei sentito amato o apprezzato? – rise, come se avessi detto qualcosa di divertente.
 
- Sei divertente. Ma la risposta è no, non ho mai provato tristezza. –
 
- È come la rabbia. La conosci? –
 
- Si, questa la conosco. - 
 
- Ma la rabbia ti infiamma, invece la tristezza ti fa spezzare qualcosa dentro, in senso metaforico. – mi affrettai ad aggiungere, con lui non si sapeva mai.
 
- No, mai provata. – mi sorrise compiaciuto. – Che ne dici adesso di dare un’occhiata alla mia tuta? – era senza speranza. – Se fai la brava magari posso lasciarti usare qualcuno di questi giochini. – indicò le apparecchiature che ci circondavano. – Sempre che per te non siano troppo complessi. –
 
“Troppo complessi un corno!”
 
Sorrise divertito e si alzò mentre io guardavo la tavola in disordine.
 
- Lascia perdere. Se ne occuperanno i domestici, sono stati assunti per questo. Andiamo. -
Posai il tovagliolo e mi decisi a seguirlo. Era più forte di me, mi sentivo come quando da bambina mi portavano alla festa di paese, era tutto terribilmente fantastico, tutto così nuovo eppure tutto così ignoto al tempo stesso. Quel laboratorio era immenso e si sviluppava su tre piani. Raggiungemmo l’ultimo piano, quello adibito allo sviluppo della Raid Suit numero 4.
 
C’erano diverse teche, ciascuna contenente una diversa versione della tuta verde e numerosi scaffali contenenti i diversi accessori.
 
- Questi sono i modelli obsoleti sviluppati nel corso degli anni. – mi spiegò vedendomi affacciare ad una teca. Lo guardai chiedendomi cosa diavolo se ne facesse di tecnologia ormai superata e lui mi lesse la domanda sul viso. – Sono uno a cui non piace buttare le cose. – avevo il naso incollato al vetro per tentare di sbirciare anche il minimo dettaglio del guanto che avevo di fronte. – Guarda che non sono sigillate, puoi prendere quello che vuoi e osservare da vicino.
 
- Davvero? –
 
- Si, ma questi sono modelli vecchi, è inutile sprecare tempo con loro, sarebbe meglio concentrarci su quella che hai distrutto. – si avviò verso una porta ed iniziò a trafficare con un congegno per poterla aprire. – In questa parte del laboratorio si lavora sull’ultima versione della Raid Suit, per cui l’accesso è consentito solo a personale autorizzato. La porta ha un sistema di scansione per cui se non c’è qualcuno autorizzato ad accompagnarti non puoi entrare. Darti l’accesso sarebbe inutile, tanto non arriveresti allo scanner. – mi stava prendendo in giro per la mia statura. L’espressione di risentimento che gli rivolsi lo fece ridere.
 
- Non capisco cosa ci trovi di divertente. –
 
– Mi chiedo come sia possibile essere così microscopici. –
 
- Non sono microscopica! Siete voi Vinsmoke ad essere esageratamente grossi. – suo padre in realtà era davvero un colosso, persino Yonji che rispetto a me somigliava ad un armadio a due ante sembrava essere piccolo se confrontato al padre. – Smettila di prendermi in giro per la mia altezza! – Sapevo bene di essere minuta, era inutile continuare a rinfacciarmelo. E comunque non avrei avuto chance contro di loro neanche se fossi stata il doppio di ciò che ero. Loro erano spaventosamente forti e pericolosi.
 
- Non vedo perché dovrei. Trovo divertente l’espressione che fai quando si parla di quanto sei piccola e fragile. -  Trovava divertente tutto ciò che non lo era.
 
La porta finalmente si aprì, il livello di tecnologia che c’era in quella stanza era a dir poco abbagliante. C’erano diversi uomini Germa in divisa e camice che lavoravano nei vari punti del piccolo laboratorio. Alcuni stavano testando la resistenza della tuta a proiettili e fuoco, altri si stavano occupando di quelle orribili scarpe a propulsione, altri ancora della comparsa e scomparsa della tuta. Dalla dimostrazione della mattina avevo capito che la Raid Suit in realtà era fatta di una lega a memoria di forma che riusciva ad essere incapsulata e che una volta rilasciata si avvolgeva sul corpo dell’utilizzatore riacquistando la forma con cui era stata modellata.
 
Credo che rimasi a bocca aperta perché lui tirò su un angolo della bocca davvero soddisfatto. Dinanzi a noi c’era un enorme tavolo di metallo su cui galleggiava sospesa la tuta che avevo distrutto. Essendo fatta di una lega a memoria di forma, non veniva manipolata direttamente ma attraverso un software olografico. Mi veniva da piangere per l’emozione, quello era decisamente il mio punto debole.
 
- Non ho mai visto una donna così felice per una cosa simile. – non poteva capire, lui era vissuto circondato da questa roba io invece ero stata cresciuta con il mito di tutto questo e con la paura che potessi essere scoperta. – Sei un tipetto un bel pò strano tu. –
 
- Stavolta non posso darti torto. – Non ero affatto come le altre ragazze, poco ma sicuro.
 
- Puoi muoverti liberamente in questo laboratorio, i tecnici sono ai tuoi ordini ma, inutile dirlo, dovrò essere messo al corrente di tutto quello che fai. – mi ero già avvicinata al tavolo e stavo trafficando con i comandi olografici, neanche lo ascoltavo. Misi le mani su di una sfera e questa prese vita consentendomi di spostare ed ingrandire il punto su cui stavo operando.
 
Sebbene ormai inutilizzabile, la tecnologia con cui era realizzata quella Raid Suit era avanzatissima, era stato un vero e proprio miracolo il fatto che avesse un punto debole.
 
- Questa tuta è fantastica! Ha un livello tecnologico impressionante… -
 
- Sono in molti a voler mettere le mani su questa roba. – mi stava fissando, ma non era il solito sguardo curioso, stavolta c’era altro.
 
- Credi che sia qui per rubarvela? –
 
- È così? –
 
- Mi hai trascinata tu qui. Contro la mia volontà tra l’altro. –
 
- Potrebbe essere quello che volevi fin dall’inizio. –
 
- Se non ti fidi di me allora perché sono qui? –
 
- I miei fratelli non si fidano di te. Secondo loro non è credibile la storia di una ragazzina in possesso di questo livello di competenze tecnologiche su di un’isola di contadini e pescatori. –
 
- E chi sarei allora? –
 
- Una spia, senza dubbio. Magari ingaggiata da qualcuno che vuole la nostra tecnologia o da qualcuno che vuole distruggerci, magari potresti far parte dell’Armata Rivoluzionaria o del Governo. –
 
- E tu cosa pensi? – non gli staccavo gli occhi di dosso. La stanza non aveva punti in cui potersi nascondere e l’unica uscita era alle sue spalle. Mi osservò per qualche attimo poi tirò fuori il suo solito sorriso, quello che mostrava quando mi prendeva in giro o quando facevo qualcosa di buffo.
 
- Che nascondi qualcosa, ma non credo tu sia una spia o una Rivoluzionaria. –
 
- E come fai a saperlo? –
 
- Tanto per cominciare le tue competenze sono al pari di quelle Germa, quindi non vedo perché dovresti rischiare la vita per rubare qualcosa che puoi fare da sola. – si mise le mani in tasca e si avvicinò a dove ero, lentamente, mentre io continuavo a fissarlo. – E per finire… perché solo un idiota manderebbe contro i Germa 66 una ragazzina rachitica e terrorizzata. – si era chinato verso di me e sghignazzava.
 
- Scimmione… - borbottai risentita dandogli le spalle, atteggiamento che lo fece scoppiare a ridere.
 
“Aspetta e vedrai chi è la ragazzina rachitica e spaventata!”
 
- Allora credi di poter rimettere in sesto la mia tuta? –
 
- Se ti riferisci a questo catorcio qui sopra, no. Puoi indossarlo se vuoi ma oltre ad essere brutta non ha nessun’altra caratteristica al momento. – ero indispettita e lo ammetto speravo di fargli del male con le mie parole, ma purtroppo ci contavo poco, quel bestione era indistruttibile sotto tutti i punti di vista.
 
- Vacci piano ragazzina, la mia tuta è stupenda. – incrociò le braccia sul petto, emanava orgoglio da tutti i pori.
 
- Certamente. – ero sarcastica, stavo trafficando con l’ingrandimento per esplorare alcuni nano-circuiti, davvero interessanti e decisamente bruciati.
 
- Devo forse ricordarti le condizioni in cui ti ho trovata? –
 
- Intendi libera e spensierata? –
 
- Intendo impiastricciata e logora. – lo guardai male.
 
- Non ero così abitualmente. –
 
- Allora sono stato fortunato. –
 
- Non volevo essere riconosciuta se fossi riuscita a scappare. – stavolta si piegò dalle risate.
 
- Credevi di riuscire a scappare, questa si che è divertente. –
 
“Stronzo!”
 
- Dovevo approfittarne quando sei finito con la faccia nel fango… - borbottavo.
 
- Non ho affatto apprezzato quello scherzetto. – aveva anche il super udito adesso?! – Ma in effetti è così che ti sei salvata la vita. – mi fermai ed alzai lo sguardo su di lui.
 
- Vuoi dirmi che mi avresti uccisa davvero? –
 
- Si. Ti stavo per spezzare il collo. – una freddezza che metteva i brividi. – Ammetto di essere “sensibile” al fascino delle belle ragazze ma ciò non mi ferma certo dall’eseguire gli ordini e tra l’altro non sembravi neanche una ragazza in quel momento. Se non avessi avuto tra le mani quel dispositivo ti avrei spezzato il collo come un fuscello e sarebbe stato così semplice da non essere neanche divertente. – credo che impallidì in quel momento.
 
Da quando ero al palazzo mi era sembrato il meno pericoloso, forse il fatto di essere stato pestato dai fratelli me lo aveva fatto rivalutare, ma era solo un’illusione. Lui era proprio come i suoi fratelli, crudele e senza cuore e terribilmente pericoloso. Mi avrebbe ucciso e per questo non ci avrebbe perso il sonno, non avrebbe avuto il minimo dubbio o rimorso. Ero viva perché ero utile e nel momento in cui avesse deciso che la mia utilità si fosse esaurita l’avrebbe fatta finita con me. Non aveva fatto una piega mentre mi diceva queste cose. Ero una sciocca ingenua, non potevo fidarmi di nessuno, ero sola, circondata dal nemico e non dovevo dimenticarlo.
 
- Si può sapere cosa ti prende adesso? – fece per avvicinarsi ed io indietreggiai d’istinto. Stava diventando logorante entrare e uscire da questo stato di paura. Lui mi osservò e capì di doversi fermare e non provare ad avvicinarsi ulteriormente.
 
- Guarda che non ti faccio niente. – la mia espressione non cambiò, sapevo che ci fosse un “per ora” sottinteso in quella frase.
 
Espirò spazientito e si allontanò di un paio di passi fingendo di appoggiarsi al muro. Lo so che tutto questo era irrazionale, non sarebbero stati un paio di passi a tenermi al sicuro, ero in pericolo, ovunque mi trovassi in quel dannato regno, ma vederlo allontanarsi da me mi fece comunque sentire meglio.
 
- Che ne dici di raccontarmi cosa hai fatto di preciso alla mia tuta sulla tua isola? – lo guardai senza rispondere, ero sicura lo sapesse. – Voglio vedere se ho capito. – non aveva senso ostinarmi a tacere e farlo arrabbiare.
 
- La tua tuta è composta da una lega particolare, una lega a memoria di forma. – iniziai a spiegare ma ero ancora sul chi vive. - Questo significa che viene progettata legandola al codice genetico di chi la indossa ed al suo corpo. Nel momento in cui la tecnologia si stabilizza memorizza la forma di chi l’ha indossata attraverso la sequenza genetica. Riesce ad essere attivata solo da quella precisa sequenza genetica e solo se messa in una determinata posizione che funge da attivatore. Motivo per cui avete bisogno di impugnare le lattine, portarle all’altezza della vita, quindi del baricentro, perché è da lì che si irradiano, e di girare la confezione, perché le particelle all’interno hanno bisogno di avere un’orientazione particolare per essere attivate. -
 
Iniziavo a sentirmi meglio parlando di quelle cose. Forse lo aveva fatto per farmi distrarre.
 
- Questo tipo di tecnologia è formato da minuscole particelle che memorizzano la loro sequenza di aggregazione. Ogni volta che vengono attivate sono capaci di riaggregarsi tra di loro e, nel momento in cui vengono disattivate, di disaggregarsi in un processo che è comunque sempre reversibile. -
 
Da come mi osservava ne deducevo che avevo indovinato, eppure continuavo a notare una nota di curiosità nel suo sguardo.
 
- Queste particelle vibrano ad una determinata lunghezza d’onda, hanno una vibrazione diversa rispetto ad una tuta statica, ma diversa anche rispetto ad un’armatura o ad un congegno elettronico. Hanno una vibrazione tutta loro che è diversa da persona a persona, quindi, con ogni probabilità, la tua tuta vibrerà ad una lunghezza d’onda diversa da quella dei tuoi fratelli o di tua sorella rendendola quindi tua perché fondamentalmente vibra seguendo il tuo codice genetico. –
 
- È così che l’hai inattivata? –
 
- Non ho fatto altro che recepire questa vibrazione, leggerla ed inviare un’onda che mandasse in overload le tue particelle e che quindi le stabilizzasse definitivamente in una semplice tuta. Visto che i circuiti sono dei nano-circuiti costruiti ad hoc per funzionare con una tuta di questo genere, nel momento in cui la Raid Suit ha smesso di vibrare e si è stabilizzata, c’è stato un corto circuito e si sono bruciati tutti i circuiti. Su per giù è quello che è successo, il mio congegno non ha fatto altro che mandarti una leggera onda elettromagnetica con una particolare frequenza. Non è stato molto difficile una volta capito cos’era. In realtà non ero proprio convinta fossero particelle a memoria di forma ma avevo intuito che c’era un qualcosa del genere sotto. –
 
- Quindi sei in grado di aggiustarla? –
 
- No. È diventata una normalissima tuta. –
 
- E cosa consigli di fare? –
 
- Buttarla. –
 
- Buttarla?! E dovrei restare senza tuta? –
 
- No. Dovresti costruirne un’altra. Va bene anche uguale a quella però dovresti inserire uno schermo, una specie di barriera elettromagnetica che consenta di rispedire al mittente le onde che ti vengono inviate. Magari in questo modo avresti fritto il mio congegno piuttosto che la tuta. –
 
-Basterebbe una cosa del genere? –
 
- Bhè si. Per questo problema qui si.-
 
- E per gli altri? –
 
- Bhè non so che altri problemi abbia, non ho mai analizzato nel dettaglio questa tuta. Ha un altissimo livello tecnologico, questo è certo, però non ti so dire così, su due piedi, avrei bisogno di studiarla, smontarla fino all’osso, capirla per bene e cercare i suoi punti deboli. Questo era facile, era immediato, era palese, quasi strano che ci fosse. Lo schermo elettromagnetico è la prima cosa a cui si pensa, per l’amor del cielo! Perché mi guardi così? –
 
- È davvero strano per una contadina sapere tutte queste cose, lo sai? –
 
- Ho studiato. –
 
- Questo lo vedo. Dove? –
 
- Sulla mia isola. – questo potevo dirglielo.
 
- Sulla tua isola?! –
 
- Certo! Libri, hai presente? Libri, giraviti, bulloni… Leggevo, costruivo, montavo, smontavo. –
 
- Lo hai fatto da sola? –
 
- Si. L’ho fatto da sola. – fin dove potevo arrivare a rispondere perché non farlo?! Il miglior modo per mentire era mantenersi vicino alla verità, Marla me lo diceva sempre.
 
- Dove hai preso quei libri? –
 
- Me li hanno regalati. –
 
- Chi? –
 
- Qualcuno che mi voleva bene e che non voleva diventassi una contadinella. – cercavo di sostenere il suo sguardo indagatore.
 
- E non hai intenzione di dirmi chi è, vero? – scossi la testa. – Perché mantieni questo segreto? –
 
- Perché non sarebbe più un segreto se te lo dicessi. –
 
- Lo sai che stai nascondendo l’unica cosa che potrebbe tenerti al sicuro su quest’isola? Davvero al sicuro. –
 
- Potrebbe anche essere il contrario. Non lo sapremo mai. –
 
- Quindi devo dare ordine di ricominciare tutto da capo? – teneva le mani in tasca.
 
- Si, devi dare ordine di ricominciare tutto da capo e questa la smontiamo. Ho bisogno di studiarla. – indicai la Raid Suit distrutta.
 
- E quanto occorrerà per fare tutto questo? –
 
- Un mese. –
 
- Un mese?! Ed io dovrei restare un mese senza la mia tuta? Tu sei impazzita. –
 
- Mettine una vecchia allora. –
 
- Quelle vecchie hanno una tecnologia sorpassata. Ti do una settimana –
 
- Una settimana?! In una settimana non smonto neanche questa. –
 
- Hai disattivato un congegno esplosivo in un minuto. Riuscirai a rifare la tuta in una settimana. –
 
- Si ma al massimo riesco a farla uguale, non posso apportare migliorie in così poco tempo. Posso metterci al massimo lo schermo elettromagnetico. Non faccio i miracoli! –
 
- Cerca di farlo. Hai un’equipe a tua disposizione, un laboratorio super attrezzato, datti da fare. Sei qui per questo, no? –
 
- È impossibile, in una settimana non posso farcela. – Alla fine della settimana mi avrebbero uccisa ed era troppo poco tempo per poter lavorare ed elaborare un piano di fuga.
 
- Anche le tute dei miei fratelli hanno bisogno di qualche miglioria e poi devi passare in rassegna il resto della nostra tecnologia. Non hai solo una settimana di vita, se è questo che ti spaventa. – ma come cavolo faceva a leggermi in quel modo? Era davvero tanto palese la mia paura? – Ti consiglio di non perdere tempo ed iniziare subito. – ribellarmi in quel momento era piuttosto inutile. La cosa migliore era darmi da fare e velocizzarmi quanto più possibile in modo da ritagliarmi del tempo per mettere a punto il piano di fuga. Inoltre, se avessi lavorato bene, probabilmente sarei riuscita anche a conquistarmi un po’ della loro fiducia ed avere libertà di movimento.
 
Mi misi subito a lavoro e ce la misi davvero tutta. Ad essere onesta non fu questo gran sacrificio che pensavo, adoravo quel laboratorio e quello che facevo. Stavo vedendo ed imparando così tanto, mai avrei pensato di poter avere un’occasione simile nella vita. Stavo lavorando a quella tuta già da una settimana e devo dire che fu una settimana piuttosto tranquilla, anche perché non avevo dovuto avere a che fare con una gran parte dei Vinsmoke. Praticamente passavo tutto il mio tempo nel laboratorio di Yonji, tornavo in camera mia solo per cambiarmi, lavarmi e dormire. Ero pur sempre una prigioniera, ma poteva andarmi decisamente peggio, tutto sommato le invisibili catene che portavo non erano male.
 
Yonji si assentava spesso, io non chiedevo e lui non si giustificava, non era difficile capire che si trattasse di affari della famiglia Vinsmoke e allenamenti. Quando era presente mi osservava lavorare o lavorava a sua volta. Spesso anticipava i miei movimenti passandomi qualcosa che mi serviva e che non trovavo, facendomi così capire che mi teneva d’occhio e che sapeva cosa stessi facendo. Spendeva anche parecchio tempo a prendermi in giro e deridermi perché non arrivavo a qualche oggetto o facevo qualche faccia buffa o imprecavo sprofondata in qualche macchinario o inciampavo in qualcosa. Però lo ammetto, come cane da guardia non era male, prese in giro a parte non mi aveva mai fatto del male e non mi aveva minacciata, non consciamente almeno. Ovviamente mi rendevo conto che quella tregua nei miei confronti era solo il risultato degli ordini di suo padre, ma per ora andava bene.
 
Avevo trovato qualche piccolo bug nella Raid Suit e stavo lavorando per potenziarla, in quella settimana avevo lavorato in particolare sulla lega a memoria di forma, avevo eseguito diversi test mentre lui non c’era ed il risultato non era affatto male. Dovevo programmarla con il suo codice genetico, per cui stavo aspettando il suo ritorno già da diverse ore, quel giorno era parecchio in ritardo. Finalmente la porta si aprì ed il bestione fece il suo regale ingresso degnandoci della sua presenza.
 
- Finalmente! Sono ore che ti aspetto! Si può sapere dove eri finito? – mi avvicinai a passo di carica, consapevole che più che minacciosa dovevo sembrare ridicola, tant’è che mi aspettavo una risata in faccia da un momento all’altro e invece restò piuttosto serio e del solito sorriso canzonatorio neppure l’ombra.
 
- Avevo da fare. – non era intenzionato a darmi spiegazioni.
 
- Questo lo avevo capito. – se lui non voleva dirmelo io di certo non volevo saperlo, la mia era stata solo una domanda retorica. – Però qui c’è bisogno di te per andare avanti con la Raid Suit. Poi non ti lamentare se non sarà pronta in tempo. – incrociai le braccia sul petto, meglio che capisse che non doveva prendersela con me se sforavo i tempi.
 
- Hai un’equipe a tua disposizione. Puoi lavorare anche senza di me. –
 
- E dove lo prendo il tuo codice genetico? Dalla tua equipe? – ero sarcastica ed insolente, una cosa pericolosa con qualunque Vinsmoke, fatta eccezione per Yonji, lui mi considerava talmente poco da non trovare irritante ma divertente il mio tono. Un po’ come quando un gattino arruffa il pelo per essere minaccioso, più che paura fa tenerezza, più o meno era lo stesso effetto che avevo sul bestione. Con i suoi fratelli sarebbe stato tutto diverso, se mi fossi azzardata a rispondere in quel modo forse mi avrebbero tagliato la lingua, con loro era meglio tenere la bocca chiusa e aggrapparsi alla vecchia e sana paura.
 
- Vuoi dire che la Raid Suit è pronta? – ritrovò il sorriso.
 
- No. Mancano ancora parecchi dettagli, ma il corpo della tuta è pronto, devo adattarlo a te per completarla. –
 
- Cosa ti serve? –
 
- Qualcosa di tuo, ma suppongo sia abbastanza difficile prendere il tuo sangue. – assottigliai gli occhi fingendo un sadismo che non mi apparteneva e lui allargò il sorriso.
 
- Infatti. Dovrai accontentarti di altro. –
 
- Va bene, allora prenderò un paio di capelli. – In realtà stavo facendo il doppio gioco. Di sicuro mi serviva per la tuta, ma ero intenzionata anche ad analizzare il suo codice genetico per capirci qualcosa sulle modifiche al fattore di linea a cui era stato sottoposto. Ma questo non era necessario che lo sapesse.
 
Lo guardai spazientita a braccia incrociate battendo un piede a terra.
 
- Che c’è? –
 
- Come credi che possa arrivare lì su per tagliarteli? Devi abbassarti. –
 
- Che sei una nana non ci sono dubbi, ma tu le forbici sui miei capelli non le metti. –
 
- Tu comportati bene e non ti raserò a zero. –
 
- Ti prendi troppe libertà lo sai? Forse dovrei usare di più il pugno di ferro con te. –
 
- Hai un taglio orrendo, sono certa di non poter peggiorare la situazione. – assottigliò lo sguardo.
 
- Stai attenta ragazzina, oggi non sono in vena di scherzi. – espirai spazientita e gli porsi le forbici.
 
- Prego, accomodati. – Se voleva farlo da solo non avevo niente in contrario, tanto avrei mentito a prescindere sul quantitativo di capelli necessari. Mi osservò per un po’, riflettendo sulle mie intenzioni ed alla fine espirò rassegnato e si sedette su di una sedia dandomi le spalle.
 
- Spero tu sappia ciò che fai, perché se quando avrai finito sarò rimasto senza capelli i Germa 66 dovranno fare a meno dei tuoi servigi. – mi avvicinai ignorando la minaccia.
 
- Tieni molto a questo taglio? –
 
- No, ma di certo non voglio diventare lo zimbello di Germa. –
 
- Non preoccuparti. Mi servono solo pochi capelli, non ti cambierò il taglio, neanche ti accorgerai della differenza, sebbene io sia convinta che un taglio diverso ti starebbe meglio, a prescindere dalla Raid Suit. –
 
- E cosa suggeriresti? – era sarcastico, non credo degnasse di considerazione consigli di stile provenienti da una che si aggirava sulla propria isola tutta sporca di fango e con abiti laceri.
 
- Fossi in te li accorcerei un po’ e non li terrei tutti tirati all’indietro. –
 
- Dovrei avere il ciuffo come i miei fratelli? –
 
- No. Io li spettinerei. Credo ti starebbero meglio. – Tagliai una minuscola ciocca e la raccolsi in una provetta tappata, era sufficiente per far tutto. – Fatto, sei esattamente lo stesso scimmione di sempre. – gli diedi una pacca sulla spalla per fargli capire che potesse alzarsi. – Devo programmare le microparticelle secondo il tuo fattore di linea, poi modellerò la tuta sul tuo corpo, quindi per un po’ sei libero. – mi bloccò la mano senza voltarsi ed io sbiancai, per un attimo ebbi il terrore che avesse capito cosa stavo tramando.
 
- E tu saresti in grado di sistemarmi i capelli? –
 
- Cosa? – non capivo.
 
- Saresti in grado di sistemarli senza farmi apparire un idiota? –
 
- Credo di si… - continuavo a non capire. Mi lasciò la mano.
 
- Voglio vedere che faccia faranno gli altri quando mi vedranno con il nuovo taglio e la tuta nuova. – sghignazzava divertito ed io ero piuttosto perplessa.
 
- Fai sul serio? –
 
- Certo. – era davvero gasato. – Ma guai a te se combini qualche pasticcio. – ormai mi ero abituata, la maggior parte delle loro frasi terminava con una minaccia nei miei riguardi.
 
Misi la provetta nella tasca del camice, al sicuro, presi un bel respiro e feci del mio meglio per togliergli quell’orribile ciuffo da dietro e dargli un aspetto decente. Glieli accorciai un po’ e glieli spettinai lasciando che qualche ciocca gli coprisse la fronte. Mi misi davanti a lui per fare gli ultimi ritocchi e sperai che non mi uccidesse per il risultato. Stava davvero bene, già era un ben ragazzo di suo, tutti e tre lo erano, ma con i capelli sistemati lo era di più. Lo guardai per qualche attimo godendomi il risultato che avevo ottenuto, adesso sembrava davvero un principe delle favole.
 
- Perché mi stai fissando? Si può sapere che hai combinato? Ti avviso, se sembro un idiota sei morta, completo il lavoro iniziato sulla tua isola. – mi riscossi, era il solito gorilla maleducato.
 
- Ho finito. Guardati allo specchio e se vorrai ammazzarmi mi troverai qui a lavorare alle micro-particelle della Raid Suit. – mi spostai dal suo campo visivo e tornai a lavoro. Lui si alzò, diede uno sguardo a tutte le ciocche verdi che ricoprivano il pavimento e le ne andò senza aggiungere una parola.
 
Tornò un paio d’ore dopo, lo avevo fatto mandare a chiamare per fare la prova della tuta, era il momento per le microparticelle di esercitare la memoria di forma per cui erano state progettate. Già il fatto che non si fosse fatto vivo in tutto quel tempo mi faceva sospettare che non avesse intenzione di uccidermi. Fece il suo ingresso in laboratorio e dovetti confermare la mia prima ipotesi, stava dannatamente meglio con quel taglio, prima sembrava che qualche animale gli avesse leccato i capelli. Si avvicinò al tavolo di lavoro con le mani in tasca senza dire niente e quando fu abbastanza vicino mi interrogò con un’alzata di sopracciglio. Non disse niente ed io non mi azzardai a chiedere cosa ne pensasse del suo nuovo taglio.
 
- Le micro-particelle sono pronte per memorizzare la forma del tuo corpo. –
 
- Questo sarà divertente. – sghignazzò. Non era arrabbiato, buon segno. – Cosa devo fare? –
 
- Spogliati, entra in quel cilindro e resta fermo, al resto ci penso io. –
 
- Questo è davvero interessante. – si stava divertendo. C’erano alcune cose per cui non riusciva proprio ad essere serio.
 
Iniziò a slacciarsi la camicia senza staccarmi gli occhi di dosso, lo sapeva bene che mi dava fastidio essere fissata e che quella situazione mi metteva a disagio e sembrava piuttosto intenzionato ad aumentare il mio disagio quanto più possibile. Lasciò cadere la camicia ed uno dei suoi uomini in camice si affrettò ad afferrarla al volo, poi iniziò a trafficare con la fibbia della cintura e con i pantaloni, sempre senza smettere di guardarmi.
 
- Esattamente cosa devo togliermi? –
 
- Camicia e pantalone andranno benissimo. –
 
- Sei sicura? – sghignazzava del mio imbarazzo ed io mi sentì arrossire.
 
- SI! Sono sicura! – risposi con un po’ troppa veemenza.
 
- Stavo solo chiedendo, non c’è bisogno di agitarsi. – Neanche a dirlo si tirò giù anche la biancheria ed io mi voltai di scatto con le mani sul viso. Le sue risate mi giunsero chiarissime nonostante le orecchie mi pulsassero per l’imbarazzo.
 
- Ti avevo detto che non era necessario togliersi tutto! – lo rimproverai senza voltarmi.
 
- Credo sia meglio se non ci siano ostacoli tra me e la Raid Suit mentre memorizza la forma del mio corpo. – si era avvicinato e la sua voce proveniva proprio dalle mie spalle. Ero tesa come una corda di violino e con le mani ben premute sul volto. Lo sentì ridere e sorpassarmi. Riaprì gli occhi e spostai appena le dita solo quando sentì chiudersi la porta del cilindro. Assicuratami che fosse all’interno tolsi le mani dal viso e mi misi a trafficare con i comandi. Non si vedeva niente, ovviamente, le sue parti basse erano coperte dal dispositivo di emissione delle microparticelle, ma ero ancora terribilmente rossa e non volevo dargli soddisfazione. Già mi stava prendendo abbastanza in giro.
 
Feci partire la sequenza di rilascio delle particelle che iniziarono a ricoprirlo attratte dal suo codice genetico. Usai delle onde elettromagnetiche a frequenza controllata per stabilizzarle sul suo corpo e quando fui soddisfatta del risultato feci memorizzare alle particelle la posizione.
 
- Va bene. Puoi uscire da lì dentro. – il ragazzo obbedì e venne fuori con la sua nuova tuta, ovviamente mancavano ancora guanti, stivali e mantello. – Prova a muoverti un po’, vediamo come te la senti. -
 
Provò a stiracchiarsi e a flettersi per testarla e sembrava soddisfatto.
 
- È più aderente di quella che avevo prima. –
 
- Si, ma a differenza di quella, questa segue meglio i tuoi movimenti, come una seconda pelle. –
 
- Lo hai fatto di proposito a renderla più aderente, non è vero? – ghignava ed io decisi di ignorarlo.
 
- L’ho munita di schermo elettromagnetico, non c’è più probabilità di friggerne i circuiti. È resistente al fuoco, ai proiettili, all’elettricità, alle sostanze corrosive, è un perfetto isolante termico, puoi camminare nel fuoco o nuotare in un lago ghiacciato per alcuni minuti prima di iniziare a risentirne e da ultimo, l’ho dotata di un effetto specchio. –
 
- Un effetto specchio? –
 
- Le micro-particelle possono assorbire i colpi, che siano fisici o energetici. Dopodiché puoi usare l’energia assorbita per rendere più potenti i tuoi colpi. Considerala una specie di serbatoio per potenziare i tuoi attacchi. Inoltre è piuttosto leggera e traspirante, non trovi? – stavolta sorrisi io, avevo fatto un bel lavoro ed era esteticamente meravigliosa, verde, nera ed un verde talmente chiaro da sembrare bianco. Ero davvero soddisfatta e ancora non aveva visto cosa stavo realizzando con guanti, stivali e mantello.
 
- Devo ammetterlo, hai fatto davvero un ottimo lavoro. Non credevo fossi così brava. Già era curioso vedere una donna esperta di tecnologia, ma a questo livello è sorprendente. –
 
- Che vuoi dire? Secondo te le donne non possono essere brave? –
 
- Di solito sono brave a fare altro. – mi sorrise arrogante.
 
- Forse quelle che frequenti tu! Tra l’altro anche tua sorella è una scienziata. –
 
- Reiju è una Vinsmoke, doveva essere perfetta per forza, tutti i Vinsmoke lo sono. Ma tu, una ragazzina proveniente da un’isoletta sperduta, con queste capacità… è sorprendente. Non so chi diavolo tu sia, ma credo sia stata una fortuna per il regno di Germa il fatto che io ti abbia trovata. –
 
“È stata una fortuna solo per voi.”
 
- Puoi toglierti la tuta. –
 
- Come faccio a toglierla? – mi avvicinai a lui.
 
- Dammi il braccio. – lo allungò verso di me ed io gli appuntai un braccialetto, una catenella con le maglie vuote. – Avvicinalo alla fibbia della cintura e la tuta si disaggregherà. – stava per farlo. – Non adesso! – arrossì violentemente. – Non sei vestito! – mi guardò perplesso e poi sorrise arrogante.
 
- E con questo? – niente non c’era verso, avvicinò il bracciale alla cintura e la catena da vuota iniziò a riempirsi a mano a mano che le particelle si spostavano dal suo corpo al suo polso. Mi voltai e mi allontanai a passo svelto mentre lui mi sghignazzava alle spalle.
 
Mi misi a trafficare istericamente con un macchinario per distrarmi e far scemare il rossore. Quando lui entrò nella sala dove mi trovavo ormai era rivestito ed io avevo di nuovo la situazione sotto controllo.
 
- La tua faccia è davvero buffa quando mi spoglio. Si può sapere che problema hai? –
 
- NON SONO AFFARI TUOI! – gli sbraitai contro risentita e di nuovo rossa e lui mi rise in faccia senza ritegno, fino a farsi scendere le lacrime dagli occhi. – SMETTILA! TI HO DETTO DI SMETTERLA! – gli allungai un pugno e lui mi bloccò il polso senza stringere, continuando a ridere e asciugandosi le lacrime con l’altra mano.
 
- Hai la faccia tutta impiastricciata. – non riusciva a smettere di ridere anche se ci stava provando.
 
- Cosa? – mi passai una mano sul viso e si macchiò di nero, dovevo essermi sporcata mentre stavo lavorando poco prima. Mi strofinai il viso per toglierla ma credo che peggiorai solo la situazione perché ricominciò a ridere. –Ho capito, ho capito! Smettila! Vado a lavarmi! – Ritirai il braccio di scatto e mi avviai alla porta, per oggi potevano andarsene al diavolo, lui, la Raid Suit e tutto il dannato regno di Germa!
 
- Buona idea! E renditi presentabile, stasera abbiamo ospiti. – mi bloccai e mi voltai a guardarlo.
 
- Ospiti? E devo esserci anche io? –
 
- Si. Mio padre vuole vantarsi del nuovo acquisto ed in contemporanea non vuole perderti d’occhio. – ovviamente, peccato, poteva essere una buona occasione per andarmene in giro a curiosare. – Stasera a cena avremo un vice-ammiraglio della Marina, quindi cerca di essere all’altezza. –
 
“Marina! No! No! No! No! Tutto ma non la Marina!”
 
Sbiancai come se avessi visto il diavolo in persona.
 
- Che ci fa qui la Marina? Credevo che foste dei criminali. –
 
- Siamo prima di tutto dei reali ed i reali hanno privilegi, non andiamo solo al Reverie, possiamo contare anche sull’appoggio del Governo e, tanto più perché siamo anche dei criminali, è necessario intrattenere buoni rapporti con le forze dell’ordine. – Dovevo immaginarlo! La storia dell’eroe della Marina che nel fumetto si oppone all’esercito Germa era solo una facciata, nella realtà le cose stavano diversamente, i Vinsmoke erano potenti e potere e ricchezza sono in grado di comprare parecchie cose, anche la stessa Marina, per far si che si volti a guardare da un’altra parte.
 
 Ero terrorizzata, ero stata cresciuta con lo spauracchio della Marina, non dovevano trovarmi, non dovevano portarmi via. Non volevo stare con i Germa 66 ma se l’alternativa era in governo non c’era neanche da pensarci su. Qui potevo essere piuttosto “libera” fintanto che mi fossi resa utile, avevo una stanza, bei vestiti, quasi tutto quello che chiedevo. Con la Marina il quadro sarebbe stato ben diverso: mi avrebbero trascinata via ed avrei passato il resto della mia vita in una segreta con ai polsi e alle caviglie manette di agalmatolite, obbligata a lavorare per loro fino al mio ultimo giorno. Mi stavo sentendo male ed anche Yonji poteva vederlo.
 
- Si può sapere cosa ti prende? –
 
- Non posso venire. –
 
- Di che diavolo stai parlando? –
 
- Stasera. Non posso venire. –
 
- Guarda che non te lo ha chiesto nessuno se la cosa ti andasse oppure no. –
 
- Tu non capisci, io non posso venire. Ti prego! – Mi aggrappai al suo braccio, pallida come un fantasma mentre i suoi occhi scandagliavano il mio viso. Non mi importava, poteva tranquillamente leggere tutto il mio terrore.
 
- Tu hai paura di loro. – era piuttosto confuso dalla mia reazione. – Come è possibile che ti spaventino più di noi?! Potrebbe essere la tua occasione per fuggire, convincerli che sei una ragazza tenuta in ostaggio e farti salvare. Perché non vuoi venire? – Non pensavo mi avrebbero salvata, neanche se non fossi stata chi ero, non si sarebbero messi contro i Germa per una qualunque ragazzina. Ma qui era anche peggio perché non ero una qualunque e forse ero un motivo sufficiente per mettersi contro Germa.
 
- Ti prego! Non voglio che mi portino via. Passerò tutta la vita in una cella con le catene di agalmatolite a lavorare per loro. Ti prego non permettere che mi portino via! – Non si scappava dalla Marina, se avevo qualche speranza di scappare dai Vinsmoke di sicuro non ne avrei avuto di scappare da una struttura del governo.
 
- Chi diavolo sei tu? –
 
Lo guardai con uno sguardo di supplica e crollai in ginocchio aggrappata al suo braccio muscoloso, mi veniva da piangere.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Corri coniglietto! ***


- Ti prego… non consegnarmi alla Marina… - mi guardava stralunato. Credo che tutto si aspettasse tranne che una reazione del genere da parte mia.
 
Si divincolò dalla mia stretta lasciandomi a terra, mi diede le spalle, stava riflettendo sul da farsi. Sapevo bene che un Vinsmoke non disobbedisce agli ordini del suo leader, di qualsiasi natura essi siano, quindi se era stato ordinato che presenziassi alla cena mi avrebbe di sicuro trascinata lì, anche letteralmente parlando. Che potevo fare?!
 
- Dammi un motivo valido per cui non dovrei farti trascinare a cena stasera. – mi dava ancora le spalle, ma io alzai gli occhi su di lui. Possibile ci stesse riflettendo sul serio?
 
- Io… te l’ho detto. Se dovessero venire a conoscenza delle mie capacità mi porterebbero via. – si voltò ed il suo sguardo era davvero duro questa volta.
 
- Perché dovrebbero? Solo perché sei una scienziata? Forse non te ne sei accorta ma chiunque in questo regno lo è e non ho mai visto uno del governo prelevare con la forza qualcuno da qui, né tantomeno glielo avremmo lasciato fare. Quindi se non c’è altro verrai. – lo sapeva, sapeva che c’era altro, non riuscivo a nascondergli niente ma non potevo dirglielo, non potevo tirarmi fuori da un impiccio ficcandomi in uno più grosso.
 
Lo guardai sperando che leggesse dal mio viso la risposta, mai come stavolta non volevo essere io a dirlo.
 
- No. Stavolta non te la caverai così, voglio sentirlo. – chiusi gli occhi per la frustrazione. Cosa dovevo fare? Confessare e finire nei guai o non farlo e finirci comunque? Quale era stavolta il male minore? Nessuno mi aveva mai insegnato cosa fare in una situazione simile. Mi avevano sempre detto di tenere la bocca chiusa, il mio segreto era importante e dovevo proteggerlo, ma se non ci fosse stata scelta? Se non ci fosse stato modo per proteggere quel segreto? Se la sola scelta riguardasse a chi confessare?
 
- È per chi sono… - non avevo scelta… la Marina era decisamente peggio dei Vinsmoke.
 
- E chi sei? Sei una ricercata? –
 
- No. Non ancora per lo meno. –
 
- E allora chi diavolo sei? –
 
- Sono figlia di una persona di grande interesse per la Marina e se dovessero scoprirlo non basterebbe la potenza Germa a fermarli, anzi colereste a picco insieme al vostro regno. Non devi permettere che capiscano chi sia e mi portino via. –
 
- Chi è questa persona? –
 
- Non te lo dirò. – scossi la tesa e tentai di sostenere il suo sguardo, le suppliche non avevano attaccato, forse la determinazione e le minacce potevano avere un effetto diverso. – Ma se vuoi che mi prendano e distruggano voi e questo posto solo perché mi rifiuto di parlare fa pure. Io ti ho avvisato, ho la coscienza a posto. – sostenne il mio sguardo per un po’ e la sua espressione non aveva più niente del solito giocherellone, era terribilmente dura e seria, così simile a quella di suo fratello Ichiji, mi dava i brividi ma dovevo resistere.
 
- Sparisci di qui. –
 
- Cosa? –
 
- Non ci senti? Ti ho detto di andartene da questo laboratorio. –
 
- Vuoi dire che sono autorizzata a non prendere parte alla cena? –
 
- Ti suggerisco di non farti trovare in giro né dai nostri, né dai loro. Restatene in camera tua fino a quando non verrò io. –
 
- Davvero? – non potevo crederci!
 
- Sbrigati prima che cambi idea. –
 
- E come farai con tuo padre? Ti ha dato un ordine e credevo non poteste violarli. –
 
- Un bravo soldato non disobbedisce, ma un figlio sa come aggirare gli ordini all’occorrenza. – riecco il suo sorriso arrogante, non ero mai stata così felice di vederlo. Mi rimisi in piedi e gli saltai al collo per abbracciarlo e stampargli un bacio sulla guancia, o almeno ci provai, era come abbracciare un armadio. Mi guardò piuttosto sconcertato, non credo riuscisse a capire la gratitudine che provavo in quel momento.
 
- Che diavolo stai facendo? –
 
- Ti sto ringraziando, scimmione! –
 
- Levati! – mi staccò da dosso con dipinto sul viso un misto tra fastidio e disgusto. In quel momento ebbi la sensazione che non lo avesse mai abbracciato nessuno prima di quel momento. – Non ti azzardare a farlo mai più! –
 
- Scusa. Non pensavo che un grande e potente Vinsmoke fosse terrorizzato dall’abbraccio di una ragazzina. – lo punzecchiai, ero felicissima, per quanto fosse decisamente assurdo essere felici di continuare ad essere schiavi dei Germa 66. Quel bestione non si rendeva conto del favore che mi aveva reso, lontana dal giogo della Marina, il mio piano di fuga da loro si reggeva ancora bene in piedi.
 
- Io non ho paura di niente e queste manifestazioni di debolezza mi danno la nausea. – incrociò le braccia sul petto. – Adesso vattene prima che la scusa di te in una capsula a seguito di un incidente in laboratorio smetta di essere solo una scusa. – gli sorrisi. Sapevo che prima o poi quelle minacce si sarebbero trasformate in realtà ma per ora non lo erano e non potevano riuscire a scalfire il mio buon umore. Ad ogni modo non me lo feci ripetere ancora, inforcai la porta di corsa diretta in camera mia intenzionata a starmene buona buona fino alla fine della cena.
 
Ovviamente fatto un buon proposito non riuscivo mai a portarlo a termine e non era tutta colpa mia. A quanto pare i Vinsmoke erano così presi dai loro obblighi sociali da aver dimenticato che una persona normale ha bisogno di cenare, soprattutto dopo un’impegnativa giornata di lavoro. Resistetti finché potei ma alla fine il brontolio del mio stomaco ebbe la meglio e saltai giù dal letto. Lo so, avevo promesso di non uscire ma sarei sgattaiolata un attimo in cucina per recuperare qualcosa da mettere sotto i denti e sarei risgattaiolata in camera, non se ne sarebbe accorto nessuno.
 
Aprì leggermente la porta e spiai fuori, era tutto tranquillo, tanto per cambiare il corridoio era deserto. Mi decisi ad uscire e mi diressi in cucina, piano piano, senza far rumore, senza attirare l’attenzione di nessuno, bene attenta a guardare dietro gli angoli prima di svoltare, sarebbe stata una tragedia andare a sbattere proprio contro un marine. Arrivai alla cucina senza incontrare nessuno, neanche un’anima viva, tutto quello era davvero strano. Mi aspettavo un gran via vai di domestici e uomini Germa e marine ovunque e invece il palazzo sembrava deserto. Dove diavolo erano finiti tutti quanti?
 
Arrivai davanti alla cucina ed aprì la grande porta di legno. Ringraziai mentalmente che non fosse vuota anche quella, avevo troppa fame per tentare di capire dove fosse la dispensa.
 
- Signorina. – una ragazza mi corse incontro allarmata. – Lei non dovrebbe essere qui. Se il padrone dovesse saperlo si arrabbierebbe. – sembrava spaventata.
 
- Ecco… io avevo un po’ fame e sopra non c’era nessuno… - la ragazza impallidì. – Va tutto bene. – mi affrettai ad aggiungere, sembrava sul punto di scoppiare in lacrime, iniziavo a capire che espressione dovessi avere io con Yonji.
 
- Mi perdoni signorina. – si inginocchiò afferrandomi le mani. – La prego mi perdoni, non eravamo stati avvisati che fosse rimasta qui. La prego abbia pietà di me. – ero decisamente sconcertata da quell’atteggiamento. Tentai di tirarla su, non era proprio il caso di farsi venire un attacco isterico per me.
 
- Non è necessario, te lo assicuro. Non hai fatto niente di male. – non la convinsi di certo, era ancora piuttosto terrorizzata.
 
- Che sta succedendo qui? – una donna grassoccia venne verso di noi attirata dalla confusione e quando mi vide impallidì anche lei.
 
- Misericordia! – si affrettò ad avvicinarsi e a trascinare lontano la ragazza che mi aveva ricevuta. – Ci farai uccidere tutti! – Le disse con terrore.
 
- State calme, non avete niente da temere, non vi farò del male. – non capivo come potessero pensare che potessi fargliene.
 
- Signorina le chiedo scusa, mi assicurerò che questa ragazza venga punita a dovere per quello che ha fatto. –
 
- Oh, per l’amor del cielo, smettetela! Non ha fatto niente di male. Smettetela di comportarvi così. – mi frapposi tra lei e la ragazza che ancora tremava.
 
- Se il Signorino Yonji dovesse scoprire che è dovuta scendere in cucina perché nessuno le ha servito la cena ci ucciderebbe tutti. -  disse la ragazza alle mie spalle.
 
Mi voltai a guardarla, ora capivo, non avevano paura di me, avevano paura di lui e del fatto che potesse far pagare loro la mia disobbedienza.
 
- Non vi farà del male. Non vi preoccupate, non glielo permetterò. E poi non deve mica sapere per forza che sono scesa qui giù. – cercai di sorridere per tranquillizzarle. – Volevo sgranchirmi un po’ le gambe e passare un po’ di tempo con persone normali, se ci sarà da prendersela con qualcuno se la prenderà con me. – non sembravano convinte ma il mio stomaco brontolante le riscosse.
 
- Signorina ma voi state morendo di fame, è intollerabile. Vi faccio preparare subito la cena e ve la farò portare in camera. –
 
- Se non vi dispiace vorrei restare un po’ qui. Andrò via prima che torni, lo prometto. – erano fortemente dubbiose ma non penso si sarebbero azzardate a contraddirmi.
 
- Solo il tempo di cenare però Signorina, poi dovrete tornare nelle vostre stanze o saremo noi a pagarne le conseguenze. –
 
- Promesso. – sorrisi felice e la donna mi fece strada tra le sale della cucina fino al suo cuore pulsante. Il mio ingresso fece mancare il respiro a parecchie persone lì dentro al punto da chiedermi quante volte si fossero trovati dinanzi alla furia dei loro padroni, quante volte le minacce che a me venivano rivolte per loro fossero state tristi realtà.
 
- Salve. – salutai sforzandomi di sorridere sotto l’occhio fisso di tutta la servitù.
 
- Hanno paura. – mi disse la donna.
 
- Non dovete avere paura, non vi farò niente di male e non permetterò che ve ne venga fatto. Sono venuta qui di mia volontà per cui se ci sarà da punire qualcuno quel qualcuno sarò io. Potete stare tranquilli. –
 
- Smettetela di starvene lì imbambolati, razza di debosciati! La signorina ha fame, mettetevi subito al lavoro! – a quanto pare lì sotto chi comandava era la donna che mi aveva scortata in cucina. – Non vorrete dover spiegare al padrone perché la Signorina ha dovuto aspettare?! – immediatamente tutta la cucina si mise a lavoro con grande energia, la paura funzionava piuttosto bene come carburante.
 
- Non c’è bisogno, mi basta un pezzetto di pane. –
 
- Non dica sciocchezze Signorina, non mi sognerei mai di lasciarla cenare solo con un tozzo di pane. –
 
- Ma è tardi, dopo avrete altro lavoro da fare per colpa mia, non è giusto. –
 
- Mi creda, mi ricordo di come l’ultima volta ha fermato il padrone, sono ben lieta di fare questo per lei e non solo perché è il mio lavoro. – poi si rivolse al resto della cucina. – Coraggio ragazzi, diamoci da fare per la Signorina. –
 
- Mi chiamo Lea. – mi presentai gentile. In cucina mi sentivo decisamente di più a mio agio.
 
- Il mio nome è Marta e sono la capo cuoca, sono io a mandare avanti la cucina. –
 
- Allora è a lei che devo fare i complimenti per l’ottima cucina. –
 
- La ringrazio signorina Lea. – magari quella poteva essere una buona occasione per ricavare qualche informazione utile.
 
- Come mai nel palazzo non c’è mai nessuno? – chiesi sedendomi su di un tavolo.
 
- Perché questi sono gli ordini. Il signorino Yonji non sopporta di vedere gente in giro per i corridoi se non strettamente necessario. – aveva preso una scodella ed una frusta, stava sbattendo le uova.
 
- E agli altri Vinsmoke sta bene? –
 
- Nel proprio palazzo ciascuno fa ciò che vuole. – Non credevo di capire e la donna se ne accorse. – Non ha avuto modo di visitare il regno non è vero? – scossi la testa. – Germa è formato da tante navi piattaforma, ciascuna trasportante un pezzo del regno. In tutto il regno ci sono diversi campi di addestramento, depositi, magazzini, laboratori e palazzi. In particolare ciascuno dei principi ha il proprio palazzo con il proprio laboratorio. Lei si trova all’interno del palazzo del signorino Yonji. – ecco perché non avevo incontrato praticamente mai gli altri membri della famiglia reale durante la settimana.
 
- Quindi ora loro non sono qua? – la donna scosse la testa.
 
- No. Sono al palazzo di Judge, è lì che c’è la sala del trono e la sala in cui vengono ricevuti gli ospiti. – era una fortuna, i Vinsmoke si trovavano da un’altra parte del regno in quel momento.
 
- Ci dispiace davvero tanto per quello che le è successo. – mi disse la ragazza che mi aveva accolto in cucina. – Essere prigioniera qui, lontana dalla sua famiglia, deve essere orribile. Ma nonostante ciò è stata abbastanza coraggiosa da tener testa ai padroni. –
 
- Come mai siete qui? Insomma, io non ho scelta, sono prigioniera, ma voi? Perché rimanete in un regno come questo, al servizio di persone orribili come i Vinsmoke? –
 
- Abbiamo famiglia. – mi rispose un tipo che stava trasportando dei sacchi. – I nostri cari si trovano nei regni sotto il controllo dei Germa 66. Lavorando qui garantiamo la loro sicurezza ed il loro sostentamento. –
 
- Allora siete schiavi anche voi. – mi dispiaceva tantissimo.
 
- Non è solo questo il motivo. – mi rispose Marta. – Molti di noi sono rimasti qui per la Signora Sora. –
 
- Chi è? – non l’avevo mai sentita nominare.
 
- Era la moglie del padrone, una donna straordinaria, bella e gentile. –
 
- Era un vero angelo con tutti. – sembravano condividerne tutti la descrizione. 
 
- Era? – chiesi curiosa.
 
- È venuta a mancare diversi anni fa, quando i principi erano ancora piccoli. – un velo di tristezza calò su tutta la cucina. – Se ne è andata troppo presto. –
 
- Perché siete rimasti? –
 
- Per portare avanti le sue ultime volontà. Lei amava profondamente i suoi figli, tutti e 5. – giusto, c’era anche il fratello mancante. – Siamo rimasti per stare vicino ai ragazzi e aiutarli come potevamo, in particolare la signorina Reiju ed il signorino Sanji. – quel nome, il fratello mancante.
 
- Reiju non mi sembra molto diversa dai suoi fratelli. – constatai acida.
 
- Non dovreste essere così dura con lei, è una brava ragazza. – Certo come no. Mi aveva ignorata, aveva pestato suo fratello e mi aveva consigliato di lanciarmi da una torre, proprio un angioletto! – Per lei la vita non è stata facile, soprattutto dopo aver perso sua madre. –
 
- Anche io ho perso mia madre da piccola ma non mi comporto certo come lei. –
 
- Non siete la sola prigioniera di questo regno signorina. La signorina Reiju porta catene ben più pesanti delle vostre. – non capivo questo tentativo di giustificarla. – Era una bambina adorabile, il ritratto di sua madre, almeno fino a quando il padrone non ha iniziato con gli esperimenti. A differenza dei fratelli lei non è stata privata dei sentimenti, ma questo forse è stato ancora peggio perché ha dovuto imparare a sopprimerli per poter sopravvivere in questo posto. –
 
La cucina nel frattempo era immersa in un’attività frenetica.
 
- Quando nacquero i principi per lei le cose diventarono più complicate. Sua madre si ammalò gravemente e suo padre pretendeva da lei l’eccellenza e l’azzeramento sei sentimenti. Quando morì sua madre fu un duro colpo per lei, era la sola che le desse l’amore di cui una bambina normale avesse bisogno, che la capisse, che la incoraggiasse, che la amasse. Non le fu neanche concesso di piangere alla morte di Sora. Si è presa cura come poteva di suo fratello Sanji, cercando di non farsi scoprire dal padrone, ha fatto di tutto per meritarsi l’affetto e la stima dell’unico genitore che le era rimasto e per prendersi cura dei suoi fratelli. –
 
- Che cosa è successo a Sanji? –
 
- Era diverso, era un bambino dolcissimo. Passava un sacco di tempo nelle cucine facendo infuriare suo padre. Lui non era come i suoi fratelli, non era forte come loro, era solo un bambino normale e suo padre lo disprezzava per questo. I suoi fratelli trovavano divertente riempirlo di botte e sua sorella non poteva farci niente sebbene le si spezzasse il cuore. Alla fine si prendeva sempre cura di lui medicando le sue ferite ed asciugandogli le lacrime. Fino a quando ha potuto ha sostituito sua madre. –
 
- E poi cosa accadde? –
 
- Il padrone si vergognava di lui ma non aveva il coraggio di liberarsene essendo comunque suo figlio. Gli fece mettere una maschera di ferro affinché nessuno potesse più riconoscerlo e lo fece gettare nelle segrete. Le urla e i pianti di quel povero bambino erano strazianti e nessuno di noi poteva fare assolutamente niente. È stata una fortuna che sua madre fosse morta prima o le si sarebbe spezzato il cuore. La signorina Reiju era l’unica a portargli da mangiare e a curarlo dopo il passaggio giornaliero dei suoi fratelli. –
 
- Però non è mai intervenuta in sua difesa. – non era cambiata molto, pensava ancora agli affari suoi.
 
- Era solo una bambina. Aveva paura di suo padre e dei suoi tre fratelli. Sapeva di dover passare lì tutta la vita e di essere sola, di non poter contare su nessuno tranne sé stessa ed ha fatto di tutto per sopravvivere. –
 
- Che cosa è successo a quel bambino? –
 
- La signorina Reiju ebbe pietà di lui e finì con l’aiutarlo a scappare. –
 
- Quindi non è morto? –
 
- Lo abbiamo creduto tutti per un bel po’, ma no, è sopravvissuto lontano da questo orribile posto. –
 
- E perché Reiju non è andata con lui se detestava stare qui? – non riuscivo a capirla, aveva avuto la possibilità di andarsene e ricominciare con suo fratello, perché restare e soffrire?
 
- Credo sia rimasta per i suoi fratelli. Sapeva che il signorino Sanji se la sarebbe cavata, che avrebbe vissuto una vita migliore lontano da loro, ma non poteva lasciare gli altri tre gemelli. È rimasta per sua madre, per prendersi cura di loro, perché tutto sommato sono comunque la sua famiglia. Ha sopportato cose inimmaginabili nel corso degli anni, obbedendo al padrone senza mai lamentarsi o ribellarsi e presto o tardi passerà dalla proprietà di suo padre a quella di suo fratello Ichiji. – la osservai confusa.
 
- La corona di questo regno segue la discendenza maschile. La signorina Reiju sarebbe una grande sovrana, ma non ha nessun diritto al trono, andrà al primogenito maschio, il signorino Ichiji ed ho il terrore di immaginare cosa ne sarà di quella povera ragazza quando questo accadrà. –
 
- Cosa vuoi che accada? – rispose un uomo anziano. – La darà in moglie a qualche potente per portare vantaggi al regno di Germa. La signorina è destinata solo a cambiare padrone per far crescere prima il regno di suo padre e poi quello di suo fratello. Spero solo che le capiti un brav’uomo, ne ha passate già di tutti i colori in questo dannato posto, non sarebbe giusto se facesse anche lei la fine di sua madre. –
 
- Perché non si ribella? – mi stavo innervosendo.
 
- Non lo farà mai. Gliel’ho detto signorina, sono anni che è sottoposta a soprusi da parte della sua famiglia, giorno dopo giorno le hanno forgiato le pesanti catene che la tengono bloccata qui. Ormai si è rassegnata al suo destino, crede di non meritare una fine diversa. –
 
“Salta dalla torre più alta di Germa, il tuo fragile corpicino non resisterà all’impatto. Almeno io farei così.”
 
Quella conversazione tutto ad un tratto iniziò ad avere una nuova luce. Solo in quel momento mi resi conto che Reiju più che con me stava parlando a sé stessa. Quel posto era molto più oscuro di quanto avessi immaginato.
 
- Tutte sciocchezze! – la donna batté la scodella sul tavolo facendone schizzare un po’ del contenuto. – La signorina è una brava ragazza e sua madre Sora sarebbe dannata per l’eternità se le cose dovessero andare davvero così! Non ha perso affatto la sua umanità e non si è rassegnata ad una vita senza sentimenti o non avrebbe aiutato suo fratello Sanji quando è tornato su Germa. –
 
- Suo fratello è qui? – la donna tornò a guardarmi, come se per un attimo avesse dimenticato la mia presenza.
 
- Ora non più. È tornato per il suo matrimonio con la figlia di Big Mom, ma ormai è andato via. –
 
- COSA??? Il fratello di Reiju è Sanji Gambanera? Uno degli uomini di Cappello di Paglia? Mi state prendendo in giro. –
 
- Non lo faremmo mai signorina, non scherzeremmo mai sui figli della signora Sora, pace all’anima sua. –
 
- Suo padre ha detto che il figlio mancante era debole, se quella è la sua idea di debole, non oso immaginare cosa siano loro. –
 
- Non li sottovaluti signorina, è gente molto pericolosa, non si conquista la fama che hanno loro senza meritarsela. Non abbassi mai la guardia! –
 
Sapevo avessero ragione ed apprezzai non poco il tentativo di avvisarmi, quella era davvero brava gente. Mi sentì il dovere di ricambiare il favore e non metterli nei guai, quindi mangiai in fretta l’eccellente cena che mi avevano preparato e dopo aver ringraziato ripercorsi la strada che mi avrebbe portata in camera mia. Ero stata così bene che sarei tornata di sicuro nelle cucine a scambiare due chiacchiere con i domestici.
 
Stavo ripensando a tutto quello che mi avevano raccontato sui Vinsmoke, erano ancora un gran mistero, ma ora mi sembrava di conoscerli un po’ di più. Ero talmente immersa nei miei pensieri da non guardare dove stessi mettendo i piedi ed ancora una volta andai a sbattere contro un ragazzo dal corpo di pietra finendo con il sedere a terra. Mi massaggiai la testa convinta di essermi scontrata contro Yonji e pronta ad ascoltare la ramanzina per essermi allontanata dalla mia camera.
 
- Lo sapevo che non eri in una capsula. – impallidì, quella non era la voce di Yonji. Che diavolo ci faceva lui lì e dov’era il bestione proprietario del palazzo? – Non sei mai dove dovresti essere. Ma ad essere onesto credevo di trovarti in camera tua e non in giro per i corridoi. – Non avevo il coraggio di alzare lo sguardo su di lui, forse se non avessi incrociato il suo sguardo me la sarei cavata. Ero a terra, ero in svantaggio ed intorno a me non c’era niente che potessi usare per distrarlo e scappare. Non risposi, fissavo il pavimento cercando di pensare a qualcosa per tirarmi fuori dai guai.
 
- Vuoi dirmi che sei già guarita? Allora non ti ha conciata così male se sei già come nuova. – lo sentivo dalla voce che stava ghignando ed ero certa che lui avvertisse il mio terrore e che lo trovasse divertente.
 
“Yonji dove sei finito?!”
 
Certo sperare nella comparsa di uno di loro era assurdo, ma credo che il ragazzo che mi trovassi dinanzi in quel momento fosse l’unico della famiglia a non farsi scrupoli a farmi del male gratuitamente.
 
“Perché non sono rimasta in camera mia a morire di fame?!”
 
- O mio fratello è una schiappa e non sa più come si usano le mani o ci ha raccontato una frottola. – si inginocchiò e lo stomaco mi si iniziò a serrare in una morsa. – Non ho creduto neanche per un istante alla storiella dell’incidente in laboratorio. Ero sicuro di trovarti qui in ottima salute. – Era molto vicino ed io molto terrorizzata, mi chiesi quanto sarei arrivata lontana se in quel momento avessi fatto uno scatto verso una qualunque stanza.
 
- Dimmi, perché mio fratello ha inventato quella scusa patetica per farti assentare dalla cena? – col cavolo che glielo avrei detto.
 
- Non stavo bene. E tu perché ti sei assentato? – magari avevano finito e Yonji stava arrivando.
 
- Ma allora parli. Ho detto che dovevo andare in bagno, ero curioso di vedere come mai hai rifiutato la nostra compagnia. – sentivo l’allarme di pericolo risuonare nella mia testa. Yonji non sarebbe arrivato, non sarebbe arrivato nessuno e quei corridoi erano deserti, ero spacciata. – Mio fratello lo sa che stai bene? – non gli risposi, non credo gli interessasse davvero quello che avevo da dire. – Perché se al ritorno si aspetta di trovarti in una capsula magari possiamo accontentarlo. – si fece scivolare una ciocca dei miei capelli neri tra le dita ed io d’istinto feci uno scatto ed iniziai a correre. Era stupido pensare di potergli sfuggire, me ne rendevo conto, ma in quel momento volevo solo raggiungere i laboratori e nascondermici dentro.
 
Ovviamente non avevo speranza, mi fu addosso in un attimo e mi ritrovai la sua mano stretta intorno al collo e schiena e testa sbattuti contro il muro. – Se scappi è ancora più divertente coniglietto, peccato tu non possa arrivare lontano. – si stava divertendo parecchio, io decisamente no. – Allora, perché non mi dici cosa ci fai qui? Fa con calma, ho tutto il tempo per tirarti di bocca quello che voglio sapere. –
 
- Ti prego. – stava stringendo la presa sul mio collo ed io gli stavo artigliando il braccio, ma era inutile. – Lasciami. –
 
- Non mi piace chiedere due volte le cose. – io non risposi ed il ghigno sul suo viso divenne drammaticamente largo, si stava mettendo male. – L’hai voluto tu! – tirò indietro il braccio e mi preparai a perdere conoscenza, non c’erano molte chance di rimanere lucida considerando che dietro avevo il muro e davanti il suo pugno.
 
- Ecco dov’eri finito. Ci stavamo chiedendo perché non tornassi più –
 
“Yonji, grazie al cielo.”
 
Il nodo allo stomaco si sciolse un po’ ma le dita di Niji erano ancora ben serrate intorno al mio collo.
 
- Stavo facendo due chiacchiere con la nostra ospite. –
 
- Lo vedo. Sta solo attento a non romperla. –
 
“COSA??? VIENIMI A SALVARE IMMEDIATAMENTE BRUTTO SCIMMIONE CHE NON SEI ALTRO!”
 
- Se si rompe si può aggiustare, è questo il bello degli oggetti. – Niji mi fissava con uno sguardo che mi dava i brividi, nonostante gli occhialini.
 
- Non tutti si riescono ad aggiustare, a volte quando si rompono bisogna buttarli ed io non ho finito di giocarci. –
 
- Io so come romperli, non ci saranno danni permanenti, puoi starne certo. Voglio solo farle alcune domande e se mi risponderà bene forse non le farò niente. –
 
- Credo preferisca farsi ammazzare. –
 
- Capisco perché ti piace giocarci, la sua espressione di terrore è davvero sublime. - poi tornò a rivolgersi a me. - Comunque sono convinto che dopo aver passato un po’ di tempo con me preferirai parlare, ne sono certo. –
 
- Vuoi dire che io non sono convincente? –
 
- A quanto pare no. – Stava stringendo di nuovo.
 
- Il mio turno non è ancora finito. Dovrai aspettare il tuo. – Niji spostò finalmente lo sguardo da me al fratello.
 
- Pensavo che i fratelli condividessero tutto. –
 
- Sai bene che non mi piace condividere le mie cose, soprattutto con te che hai il vizio di rovinare quello su cui metti le mani. –
 
- Dimentico sempre quanto sei avaro. – stavano parlando di me come di un oggetto, ma ero disposta a sorvolare, purché mi lasciasse.
 
Niji si avvicinò al mio orecchio e sentì i brividi di terrore lungo la schiena.
 
- Ringrazia che stasera io abbia degli obblighi sociali coniglietto, tanto presto il turno di Yonji sarà finito e sarai tutta mia, ti prometto che ci divertiremo molto. – Mi lasciò andare ed io me ne restai incollata al muro con gli occhi sbarrati. Aveva ragione, presto o tardi mi sarei dovuta allontanare dall’ala protettiva del bestione.
 
Niji se ne andò ridendo, la discussione tra di noi era solo rimandata. Yonji mi si avvicinò e dopo aver osservato i segni sul mio collo ed il mio stato emotivo sospirò rassegnato.
 
- Dovevo immaginarlo che dicendoti di restartene in camera avresti fatto di tutto tranne che darmi ascolto. –
 
Ero terrorizzata, avevo iniziato a tremare senza neanche accorgermene.
 
- Credo avrebbe fatto poca differenza comunque, non sarebbe stata una porta a tenerlo fuori. Mi dispiace per te ma credo che mio fratello si sia fissato con te e conoscendolo non mollerà la presa tanto facilmente. Andiamo ti riaccompagno in camera. – si avviò ma io non riuscì a staccarmi dalla parete, né a smettere di fissare il vuoto e tremare. Mi strinsi le braccia intorno al corpo e scivolai lungo il muro fino a rannicchiarmi a terra, stavo avendo un attacco di panico in piena regola.
 
Il bestione si fermò e mi osservò sconcertato, non riusciva a capire cosa mi avesse preso.
 
- Si può sapere cosa ti prende adesso? – non risposi, non avrebbe capito, l’avermi salvata per quella volta non cambiava niente, la mia condanna era solo rimandata, non ero al sicuro, lui non poteva esserci sempre, presto o tardi mi sarei ritrovata da sola con Niji e nessuno sarebbe arrivato in mio soccorso. – Senti io non posso rimanere qui, devo tornare alla cena e se non ti alzi ti lascio dove sei e me ne vado. – lo guardai con un’espressione da cane bastonato e lui alzò le sopracciglia impaziente. No, non avrebbe capito, non ci riusciva.
 
Chiusi gli occhi e feci grandi respiri per calmarmi, poi tentati di tirarmi su e con lo sguardo basso cercai di seguirlo.
 
- Per stasera puoi restare in camera mia. In genere queste feste vanno per le lunghe, nostro padre si assicura sempre di offrire agli ospiti ogni genere di divertimento in modo che vadano via di qui soddisfatti. Sarò fuori tutta la notte. Niji non farà irruzione qui, le nostre camere private sono sacre, nessuno di noi ha il permesso di sconfinare in quella degli altri. Quello che succede al suo interno resta al suo interno. – ancora peggio, se suo fratello mi avesse trascinata in camera sua avrebbero finito per trovare solo il mio cadavere.
 
Entrai senza dire una parola lasciando che la porta mi si chiudesse alle spalle. Poteva anche non sembrarlo, visto che le celle erano lussuose e ben arredate, ma quel palazzo era una prigione da cui non era possibile scappare. Caddi in ginocchio, a terra, e scoppiai a piangere nascondendomi il viso tra le mani. Non avevo più nessuna speranza, potevo correre quanto volevo, presto o tardi lui mi avrebbe presa.
 
Mi raggomitolai in un angolo della stanza senza riuscire a chiudere occhio, con le braccia strette intorno alle ginocchia, in apprensione per ogni minimo rumore, chiedendomi quando Niji avesse deciso di far irruzione per iniziare il suo turno. Non avevo paura di morire, cioè ne avevo, ma ero pronta all’eventualità, mi avevano cresciuta facendo in modo che fossi pronta ad affrontarla pur di proteggere il mio segreto, ma lui non aveva intenzione di farla finita con me, no, non sarebbe stato divertente, lui avrebbe voluto giocare. Vedere il terrore dipinto sul mio viso lo esaltava, voleva torturarmi, in tutti i modi che fosse riuscito ad immaginare, ma facendo comunque in modo che poi fossi presentabile, ed avevo visto fin troppo bene che era sufficiente una maschera per coprire il suo passaggio. Non ero pronta a resistergli, non volevo, ma cosa potevo fare?!
 
Era praticamente l’alba quando il proprietario della camera fece il suo ritorno, credo di non averlo mai visto ridotto peggio e non mi riferisco certo a ferite o lividi. Era ubriaco marcio, i capelli ormai corti sconvolti, la camicia tutta storta e allacciata male, per metà nei pantaloni, la fibbia della cintura penzolante e segni di rossetto di colore diverso fino a dove fosse possibile vedere. Della cappa che indossava quando lo avevo incontrato nei corridoi neanche più l’ombra. Entrò senza neanche rendersi conto della mia presenza, rannicchiata in un angolo. Collassò di peso sul letto e ringraziai mentalmente il mio attacco di panico, se mi fossi coricata a questo punto mi avrebbe schiacciata, visto che si era lasciato cadere senza neanche guardare. Se ne stava con un braccio sugli occhi ed una gamba fuori dal letto, con il piede poggiato a terra.
 
- Lo so che sei da qualche parte qui dentro, ma sono troppo fuso per capire dove sei. – non risposi ma mi tirai su, era assurdo vederlo in quello stato, non credevo che con il loro super fisico potessero ubriacarsi in quel modo.
 
- Non ho mai bevuto così tanto in vita mia. – mi avvicinai leggermente continuando a fissarlo in silenzio. – Sai, Niji ci teneva davvero tanto ad averti. – mi bloccai sbarrando gli occhi, così ridotto non poteva proteggermi. – Alla fine l’abbiamo risolta con una sfida, il vincitore ti avrebbe avuta per una settimana extra. – mi si iniziò a ghiacciare il sangue nelle vene. – Abbiamo fatto una gara di bevute, l’ultimo a rimanere in piedi tra noi due ti vinceva. – il terrore iniziò a pervadermi, visto che a raccontare della sfida era un tipo collassato sul letto. – Non hai idea di quanto reggano bene l’alcol i miei fratelli! –
 
- Come è finita? – chiesi quasi in un sussurro ingoiando il groppo che avevo in gola. – Sono sua? – non mi rispondeva, sembrava svenuto. Mi avvicinai e lo afferrai per la camicia provando a scuoterlo ma senza riuscirci. – RISPONDIMI PER L’AMOR DEL CIELO! – scostò il braccio dagli occhi e li strizzò per mettermi a fuoco.
 
- Ringrazia che sono più grosso di lui. – poi si ricoprì gli occhi con il braccio.
 
- Vuoi dire che non devo andare da lui? –
 
- Non per questa settimana, sempre che tu non voglia. – mi resi conto solo in quel momento di aver trattenuto il fiato, avevo un’altra settimana a disposizione per poter scappare, crollai a sedere sul letto, ero esausta. Chiusi gli occhi cercando di metabolizzare la notizia. Mi coprì il viso con le mani e tentai di respirare, poi me le passai tra i capelli e, quando fui sicura di essere abbastanza calma, riportai lo sguardo sul bestione collassato. Lo sapevo che non lo aveva fatto per me, lo aveva fatto per sé stesso, perché lo incuriosivo e divertivo e forse Niji aveva ragione, era stata la sua avarizia, il fastidio di perdere un oggetto che considerava suo a farlo agire in quel modo, però gli ero grata lo stesso. Qualunque fossero le sue motivazioni, mi aveva salvata di nuovo.
 
- Grazie. – gli dissi continuandolo a fissare.
 
- Figurati. – era sarcastico, ma non importava, andava bene così. Dopo un po’ il suo petto iniziò a sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente, si era addormentato, con ancora il braccio sugli occhi. Non stentavo a crederlo dopo tutto quello che aveva bevuto e dopo tutte le donne con cui aveva avuto a che fare, a giudicare dai segni di rossetto. Ero al sicuro e libera dal senso si terrore e di apprensione. La stanchezza mi crollò tutta addosso ed avvertì improvvisamente le conseguenze della notte insonne e della scomoda posizione che avevo tenuto fino a quel momento restandomene rannicchiata a terra.
 
Sentivo gli occhi dannatamente pesanti ma non ci pensavo nemmeno ad uscire di lì, l’ultima cosa che volevo era trovarmi davanti quel sadico di Niji, mezzo ubriaco, con il bestione fuori gioco. Neanche morta! Per fortuna quel letto era enorme, sembrava essere stato concepito per almeno 6 persone e molto probabilmente era così. Mi raggomitolai in un angolino, lontana da lui e mi addormentai.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Gli obblighi sociali ***


Mi aspettavo di essere scossa da orribili incubi e invece non sognai niente. Forse ero troppo esausta anche per sognare. Mi risvegliai esattamente nella stessa posizione raggomitolata in cui mi ero addormentata. Fu già un miracolo rendermi conto che non stessi sbavando e masticando capelli. Ero proprio dove ricordavo, la camera del bestione dai capelli verdi. Sebbene fosse stata la prima volta in assoluto che l’avessi vista, mi sembrava di conoscerne già ogni angolo. C’era un senso di sicurezza lì dentro che non riuscivo a percepire in nessun altro posto di quel maledetto regno. Buffo, se si pensa che il proprietario mi avesse quasi mandata in coma dopo il nostro primo incontro. Solo che da quel momento non aveva mai più alzato le mani su di me, per nessun motivo, sebbene non mancasse di minacciarmi e di ricordarmi quale fosse il mio posto.
 
Ora che mettevo a fuoco ciò che mi circondava, mi rendevo conto che non era dove lo avevo lasciato addormentato quella mattina, l’enorme letto era vuoto, fatta eccezione per me. Allungai lo sguardo oltre le tende che circondavano il letto senza muovermi di un soffio. Non ricordavano fossero state chiuse quando mi ero addormentata. Lo vidi, era in piedi, vicino all’enorme specchio. Le tracce di rossetto erano sparite, i capelli erano di nuovo in ordine e gli abiti freschi e puliti, stava chiudendo gli ultimi bottoni della camicia.
 
- Finalmente ti sei svegliata, pensavo fossi andata in letargo. – aveva percepito che fossi sveglia. Non gli risposi subito, non volevo fargli sentire la mia voce impastata, ma mi tirai su per confermare le sue parole. Dallo specchio poteva intravedere il riflesso della mia silhouette attraverso le tende.
 
- Per quanto ho dormito? – fissavo i muscoli della sua schiena che si contraevano e rilassavano seguendo i suoi movimenti, indossava camice davvero aderenti.
 
- È quasi ora di pranzo. – mi rispose continuando a trafficare con i bottoni.
 
- Come fai ad essere già in piedi dopo quello che ti sei scolato ieri? – quel tipo era assurdo.
 
- Non sono gracilino e delicato come te. – si voltò ghignando. – E poi gli obblighi sociali non sono finiti, quelli della Marina partiranno dopo pranzo. – si passò le dita tra i capelli per sistemarli, sebbene fossero già perfetti.
 
- Credevo partissero questa mattina. –
 
- Quei rammolliti non reggono le feste Vinsmoke. – sorrideva orgoglioso e divertito. Probabilmente era l’unico a trovare divertente una cosa del genere.
 
- Perché non mi hai svegliata? – sembrava sveglio già da un bel pezzo.
 
- Non lo so. Ti ho vista dormire ed ho pensato di non doverti svegliare. –
 
- Ti dispiaceva per me?! – sorrisi, non pensavo che potesse dispiacergli svegliarmi. Si voltò nella mia direzione.
 
- Non essere ridicola. L’ho fatto solo perché non sarebbe servito a niente. – il sorriso era sparito, era parecchio suscettibile circa questo genere di accuse.
 
- Pensavo di dover lavorare alla tua Raid Suit. –
 
- Non oggi. – tornò a guardarsi allo specchio sollevando il mento per osservare bene alcuni punti. Si era sbarbato e stava controllando di non aver tralasciato niente.
 
- È un giorno particolare? – si fermò e si voltò verso di me definitivamente.
 
- C’è il pranzo con quelli della Marina. –
 
- Me ne resterò in laboratorio, senza uscire questa volta, promesso. – l’accesso lì dentro non era consentito ai suoi fratelli, a meno di non sfondare la porta ero al sicuro. Sghignazzò.
 
- Oltre al fatto che non ti credo, forse non mi sono spiegato: verrai anche tu al pranzo. –
 
- COSA? – gattonai verso il bordo del letto e scostai quelle stupide tende pronta a dargli battaglia. – Credevo che ne avessimo già parlato. –
 
- Infatti, ne abbiamo parlato, ti ho dato retta ed è finita male, quindi verrai. –
 
- Non posso venire, lo sai bene! –
 
- Ah davvero?! Lo so?! –
 
- Si! Non fingere di non capire! – ero sul piede di guerra.
 
- Io non fingo un bel niente. Non mi hai dato nessuna motivazione valida. –
 
- Te l’ho data: non puoi permettere che mi catturino! –
 
- Perché? – serrai le labbra e lo guardai malissimo. - Fa come vuoi! Non dirmelo! Tanto verrai, perché se non lo farai ti ci trascinerò io personalmente e tieniti pure il tuo prezioso segreto, tanto ci penserà Niji a fartelo confessare tra una settimana. – gli lanciai un cuscino. Lo stava facendo di proposito, stava usando suo fratello per punirmi per la sera prima.
 
- Sei solo uno stupido gorilla insensibile! Ed io non vado proprio da nessuna parte! – mi sedetti al centro del letto a gambe e braccia incrociate. Ero stufa di essere comandata a bacchetta. Lui si prese la cuscinata senza muovere un muscolo, la sua espressione era diventata dura e tagliente. Si avvicinò a me a grandi falcate e per un attimo temetti che mi avrebbe colpita, che avessi esaurito la sua pazienza, ma si limitò a prendermi di peso come aveva fatto sulla mia isola, come se fossi stata un sacco.
 
Iniziai a scalciare e a prendere a pugni la sua schiena, non poteva trattarmi così. – Lasciami immediatamente, brutto scimmione! Mettimi giù! Tu non puoi trattarmi così! Lasciami! –
 
- Dannata ragazzina! Smettila di ribellarti! – in tutta risposta iniziai ad agitarmi e a colpirlo più forte. Non mi rendevo conto che se avessi fatto una cosa del genere con suo fratello probabilmente a quel punto sarei stata in coma per davvero. Stava perdendo la presa, mi dibattevo come un’anguilla, l’ultima volta aveva dovuto causarmi un trauma cranico per farmi fermare. Stavolta mi sbatté sul letto con forza, era furioso ed io non ero da meno, non mi avrebbe consegnata alla Marina, non glielo avrei permesso! – Sei una stupida! – mi stava ringhiando contro. – Cosa credi di fare? Credi di potermi tenere testa? Credi che quello che vuoi tu conti qualcosa? –
 
In tutta risposta gli allungai un calcio e provai a svignarmela strisciando sul letto ma lui mi afferrò per la caviglia trascinandomi indietro. Lo stavo facendo inferocire, forse non conosceva la paura e la tristezza, ma la rabbia era un sentimento con cui aveva una buona familiarità.
 
- Ti ho trattata bene e questo è quello che ottengo da te. Forse avrei dovuto usare le stesse maniere di Niji, magari ti sarebbero piaciute di più. – Yonji, Niji e Ichiji erano gemelli e sebbene tra loro ci fossero sostanziali differenze si somigliavano davvero tanto e capitava di vedere espressioni o atteggiamenti tipiche di uno di loro sul volto di un altro fratello. Una volta avevo visto fare a Yonji l’espressione seria di suo fratello Ichiji ed ora potevo vedere il sorriso sadico di Niji.
 
D’istinto tentai di allungargli un altro calcio e scappare ma lui mi afferrò di nuovo e mi bloccò tenendomi inchiodata al letto, stringendomi la gola, come aveva fatto la sera precedente suo fratello e come egli stesso aveva fatto al nostro primo incontro. Avevo esagerato, avevo decisamente esagerato, mannaggia a me e alla mia boccaccia maledetta! Cosa mi era saltato in mente? Quello era pur sempre un Vinsmoke! Afferrai il suo braccio, poteva spezzarmi il collo in un attimo.
 
- Sai cosa voleva farti Niji? – potevo immaginarlo. – Dovresti ringraziarmi per non avergli permesso di portarti via. È solo grazie a me se stamattina sono entrato io in questa stanza e non lui. Cosa credi resterebbe di te adesso? –
 
“Una poltiglia probabilmente.”
 
Stava stringendo sui lividi lasciatimi dal fratello per sottolineare il concetto. – Io ti ho vinta e tu farai ciò che ti dico o lascerò che sia lui a piegarti. – spalancai gli occhi in preda al panico, non poteva dire sul serio. – Hai paura? Fai bene ad averne. – la sua espressione era terrificante. – Magari potrei pensarci io stesso a piegarti. – fece scorrere gli occhi su di me e poi mi lasciò bruscamente e si allontanò. Mi portai le mani al collo, avevo scherzato con il fuoco ed avevo finito per bruciarmi. Mi raggomitolai su me stessa tentando di non piangere.
 
- Niji ieri ti ha vista, lo sa che stai bene. – il suo tono era tornato calmo ma era ancora parecchio distaccato, cercava di controllarsi ma era arrabbiato. – Non ho più scuse per disobbedire agli ordini di mio padre. Se non verrai non basterà la porta della mia camera o del laboratorio a tenerli fuori e non ci sarà gara di bevute che potrà tenerti al sicuro da quello che ti faranno. Perciò regolati come meglio credi. –
 
Me ne restavo lì raggomitolata e lo sentì espirare dalla frustrazione e passarsi una mano tra i capelli. – Se solo tu facessi ciò che ti venisse detto non sarebbe necessario tutto questo. Ma a volte sembra che tu lo faccia apposta, che non veda l’ora di correre da mio fratello. –
 
- Come puoi dire una cosa del genere?! È un mostro… ed anche tu non sei da meno. – avevo un tono di voce piagnucoloso.
 
- Non sono il principe delle favole che ti aspettavi. – mi fissava, non lo stavo guardando, ma mi sentivo i suoi occhi addosso. – Qualunque donna si sarebbe venduta l’anima per essere al tuo posto e ricevere le nostre attenzioni. –
 
- Io non sono una qualunque con cui potete giocare e fare quello che volete. –
 
- Lo so. – disse solo. – Non ti porteranno via di qui. I Germa 66 non lo permetteranno. Non importa chi tu sia, al momento sei una nostra proprietà e nessuno sottrae qualcosa ai Vinsmoke e sopravvive per raccontarlo, soprattutto dopo lo scandalo di Big Mom. Nostro padre non perderà la faccia di nuovo. Sarai al sicuro al pranzo. –
 
- E se dovessero riconoscermi? –
 
- Non l’ho ancora visto un Marine più sveglio di noi. – lo sentì sorridere. – Se noi non lo abbiamo capito dubito seriamente che loro ci riescano e poi sei così brava a mentire che li convincerai subito. – mi stava prendendo in giro. La faceva facile lui, non era quello costantemente in percolo.
 
Si avvicinò di nuovo al letto, mi guardava sorridendo questa volta. Alzai lo sguardo su di lui ma non mi mossi. Tese la mano verso di me.
 
- Ti alzi da sola o devo portarti io di peso in camera tua e darti una mano a vestirti. Confesso che non mi dispiacerebbe. – sghignazzava divertito.
 
- Ci vado da sola, grazie. – dissi risentita ignorando la sua mano, non dimenticavo certo che pochi istanti prima era intorno al mio collo.
 
Lui rise portandosi le mani alla vita. Mi diressi alla porta senza guardarlo e la aprì. Mi resi conto che non mi stava seguendo, era tornato davanti allo specchio, stava per mettersi la cappa rossa, ma ciò che era peggio è che mi resi conto di aver paura di uscire di lì dentro da sola. Rimasi bloccata sulla porta. Lui mi stava ignorando, curandosi solo della sua dannata cappa. Mi voltai verso di lui a guardarlo ma senza parlare.
 
- Hai cambiato di nuovo idea sul fatto di venire? –
 
- No. Non avevo mai smesso di pensare che fosse una pessima idea. -
 
- E allora cosa ci fai lì impalata? –
 
- Tu non vieni? –
 
- Dove? – lo stava facendo di proposito, ne ero sicura.
 
- Devo andare a cambiarmi. –
 
- Si, l’ho notato, non sei presentabile. – mi stava facendo innervosire, di nuovo.
 
- Non hai intenzione di accompagnarmi? –
 
- Credevo che quelle come te non gradissero la presenza di… come mi hai chiamato? Ah si, di uno “stupido gorilla insensibile”. – lo guardai male, non volevo attraversare i corridoi da sola, ma lui continuava ad ignorarmi sistemandosi la cappa sulle spalle con un unico movimento elegante, così strano se associato a lui.
 
- E tu come lo definiresti uno come te? Che alza le mani su di una ragazza indifesa e la lascia aggirarsi da sola per i corridoi incurante del fatto che potrebbe imbattersi in suo fratello. –
 
- Lo chiamerei: uomo esasperato e giustamente furioso perché deve avere a che fare con una fastidiosa e petulante rompiscatole, testa dura e ribelle, suo malgrado. –
 
- Cosa vuoi da me? – inutile girarci intorno.
 
- Soddisfazione. – finalmente tornò con lo sguardo su di me, con quel suo sorriso arrogante.
 
- E sarebbe? –
 
- Dimmi quello che voglio sentirmi dire. –
 
- Non ti dirò chi sono. –
 
- Lo so, ed anche se prima o poi lo farai, non è questo quello che intendevo. –
 
- E allora cosa? –
 
- Ammetti di essere una persona irritante e chiedimi di venire con te in camera tua. – mi fissava.
 
- E sarei irritante solo perché non mi sottometto ai vostri soprusi? –
 
- Adesso sei irritante. – allargò il sorriso e si appoggiò ad un mobile, tenendo le braccia incrociate sul petto.
 
“Stronzo!”
 
- Non ti importa che possa imbattermi in Niji? –
 
- A me no, e a te? – sapeva di avere il coltello dalla parte del manico. Non volevo dargli soddisfazione, ma di lividi ne avevo già abbastanza. – Salutamelo se lo incontri. –
 
- E va bene! – ero stizzita da morire, stava solo cercando di darmi una lezione. – Hai vinto! –
 
- Sono tutto orecchie. –
 
- Ti dispiacerebbe accompagnarmi in camera? –
 
- Ora va meglio, ma non ti ho ancora sentita dire che sei irritante. –
 
- Non esagerare. – assottigliai lo sguardo iniziando a valutare l’idea di andare da sola.
 
- E va bene. – si scostò dal mobile. – Tanto lo so che in fondo al cuore che tanto di vanti di avere sai bene di esserlo. – sorrideva arrogante ed io odiavo profondamente dover dipendere da uno come lui.
 
Mi passò accanto per precedermi ed io, mio malgrado, dovetti seguirlo, ma se avessi potuto lo avrei di sicuro fulminato con gli occhi e non era detto che prima o poi non avrei costruito qualcosa per faro sul serio. Mi aveva minacciata, mi aveva fatto del male e mi aveva umiliata, meritava una lezione.
 
Arrivammo davanti alla mia stanza e lui aprì la porta ed entrò senza neanche voltarsi a guardarmi.
 
- Ehi! Dove credi di andare? –
 
- Controllo che mio fratello non ti stia aspettando. –
 
“Dannato regno di Germa e dannati Vinsmoke!”
 
- È assurdo! Io non posso vivere in questo modo! –
 
- Di cosa stai parlando? –
 
- Non è possibile che io debba aver paura di spostarmi da una stanza all’altra e che non sia al sicuro neanche in camera mia. Insomma ho capito che essendo una prigioniera non sono al sicuro per definizione, ma se abbiamo patteggiato la mia incolumità in cambio del mio aiuto non è possibile dover avere paura di aprire la porta della mia stanza e trovarci dentro tuo fratello pronto a conciarmi per le feste per divertimento. –
 
- Capisco la tua perplessità, ma vedi ti sbagli. Tu hai patteggiato la tua vita in cambio del tuo aiuto, nessuno ti ha mai promesso altro. – ghignava.
 
- Guarda che non c’è niente da ridere! – non lo sopportavo veder sghignazzare e prendermi in giro in quel momento, io dicevo sul serio.
 
- Ma io non sto scherzando. Tu sei in gamba ma non sei una nostra pari. Noi siamo principi di Germa e siamo abituati a divertirci con chi non consideriamo al nostro livello, in tutti i modi che riteniamo opportuni. Una come te non può dettare le regole del gioco perché sei solo un giocattolo ma ti rifiuti di capirlo ed accettarlo. –
 
- IO NON SONO UN GIOCATTOLO, SONO UNA PERSONA! – strinsi i pugni, non ne potevo più.
 
- Scusami tanto, “persona”. – il suo tono sarcastico non aiutava di certo. – Non fa differenza la specie a cui appartieni, non sei una reale, non sei neanche una nobile, non sei un nome altisonante della malavita o della pirateria o della Marina, tu non sei nessuno ma ti comporti come se non fosse questa la verità. Ti rifiuti di dirci il tuo vero nome, ma inizio a pensare che forse non sia quello di una contadina. Solo due tipi di persone si rivolgono a noi come fai tu: gli stupidi ed i potenti, tu a quale categoria appartieni? – serrai le labbra ed abbassai lo sguardo, usavano tutto quello che dicevo contro di me. – Lo vuoi un consiglio? Decidi chi vuoi essere, la contadina o la donna dall’identità segreta e regolati, ma se vuoi essere la contadina ti consiglio di iniziare a comportarti di conseguenza. Prendi spunto dalla servitù, visto che ti piace passare del tempo con loro in cucina. – alzai lo sguardo allarmata, come faceva a saperlo?
 
- Pensavi non lo sapessi, che potessi muoverti liberamente per il mio palazzo senza che ne fossi informato? Mi dispiace darti questa brutta notizia, ma io so sempre dove ti trovi. – ero sconvolta. – Non guardarmi così, se non lo avessi saputo non sarei arrivato in tempo. – anche questo era vero, era stata una fortuna che sapesse dove trovarmi. Si sedette su di una poltroncina dando le spalle all’entrata del bagno. – Cerca di sbrigarti, non mi va di arrivare in ritardo e dare l’impressione di uno che non sa smaltire la sbornia. –
 
- Resterai qui? –
 
- Si, non ho voglia di fare avanti e indietro dalla mia camera. – ed io non avevo voglia di veder apparire Niji mentre mi trovavo sotto la doccia, quindi per stavolta non avrei protestato. Me ne andai in bagno e controllato che fosse effettivamente vuoto accostai la porta ed iniziai a svestirmi, avevo un bisogno disperato di una doccia.
 
- Non ti azzardare a sbirciare! – gli intimai dal bagno.
 
- Non ne ho nessuna intenzione. Aspetterò che sia tu a chiedermelo. – non potevo vederlo ma sapevo fin troppo bene che aveva dipinto sul viso il suo sorriso arrogante.
 
- Io non ti chiederò mai niente. – rise della mia risposta.
 
- È bello che tu ne sia convinta, è divertente. –
 
- Non te lo chiederò perché non sono affatto attratta da te. –
 
- È per questo che non riesci a guardarmi quando mi spoglio? Non ti piace quello che vedi? –
 
- Questo è il genere di domande che fa uno scimmione. –
 
- Puoi negarlo quanto vuoi ma non sei la prima donna con cui ho a che fare e so rendermi conto dell’effetto che faccio, e tu non sei affatto indifferente a quello che vedi o non ti darebbe tanto fastidio. Per cui aspetto il momento in cui ammetterai con te stessa di volere che ti guardi. Non sono come mio fratello, mi annoio con donne obbedienti che scodinzolano ai miei piedi e non mi eccito picchiandole e vedendole tremare di paura, preferiscono che siano più intraprendenti e vivaci, mi annoio se sono l’unico a divertirsi, non so se mi capisci. – sghignazzò.
 
- Siete disgustosi! Tutti e tre! – la sua risata arrivò a me fortissima nonostante l’acqua della doccia aperta. Il vapore iniziò ad alzarsi e a saturare la stanza, l’acqua calda che mi avvolgeva e scivolava addosso mi dava una meravigliosa sensazione di benessere. I miei muscoli iniziarono a sciogliersi, ero stata davvero molto tesa ultimamente. Iniziai a rilassarmi, sarei rimasta lì per sempre. – Senti, non puoi parlare con tuo fratello per fare in modo che mi lasci stare? –
 
- Certo che posso parlargli, ma otterrei solo l’effetto contrario, è particolarmente intrigato da ciò che non può avere. Più ti fai desiderare e più si convincerà di volerti. –
 
- E Ichiji? –
 
- Lui non è interessato, credo che tu sia solo una qualunque dal suo punto di vista ed anche se non fosse così è uno che sa controllarsi, mette sempre davanti le priorità, non credo che perderà tempo con te. –
 
- E tu? –
 
- Io non ho bisogno di minacciarti. Farai tutto da sola. –
 
“Certo, come no!”
 
- Ti ho già detto che non sono interessata. –
 
- Tu dici un sacco di cose, e sono vere appena la metà. –
 
- Questo è vero! –
 
- Come vuoi. Non sai che ti perdi. – lo sapevo ma non mi interessava. Ero stata cresciuta con l’idea che il genere maschile fosse da evitare, non che fosse stato difficile dopotutto, avendo davanti l’esempio di mio padre che aveva abbandonato me e mia madre su di un’isola sperduta lavandosene le mani, non avevo proprio voglia di star dietro ai ragazzi. Senza considerare il fatto che sulla mia isola erano tutti così banali, superficiali e terribilmente normali, non sarebbero stati in grado di capire chi fossi, non avrei mai potuto parlare liberamente con loro di ciò che amavo e sapevo fare. Lo scimmione parlava la mia lingua, era vero, ma avrei dovuto perdere la testa per prendere in considerazione uno del genere, solo un folle si sarebbe messo dietro un reale, se poi quel reale era un Vinsmoke ed uno dei Germa 66 doveva essere matto da legare e alquanto masochista.
 
Mio malgrado chiusi l’acqua e mi decisi ad uscire dalla doccia, sarei rimasta volentieri un altro po’ a godermi l’acqua calda ma ero piuttosto sicura che il bestione sarebbe venuto personalmente a trascinarmi fuori se non mi fossi data una mossa. Mi strizzai i capelli e mi avvolsi un telo intorno al corpo. Solo in quel momento mi resi conto, con sommo orrore, che i miei vestiti non erano più dove li avevo lasciati, non erano affatto più nel bagno. Quel maledetto bestione! Il mio viso cambiò radicalmente tinta, tanto per l’imbarazzo che per la rabbia, come si era permesso? Io non avevo notato niente.
 
- DOVE SONO I MIEI VESTITI? – urlai stizzita.
 
- Sul letto. – era straordinariamente calmo. Sbirciai dalla porta socchiusa ed era proprio dove lo avevo lasciato.
 
- COME TI SEI PERMESSO DI SPOSTARLI? –
 
- Non l’ho fatto. Ho scelto una cosa dal tuo armadio e l’ho appoggiata sul letto. Non è il caso che quelli della Marina si interessino ai lividi sul tuo collo e, conoscendoti, avresti indossato di nuovo le stesse cose stropicciate che indossavi prima. –
 
- NON È VERO! –
 
Voltò la testa all’indietro per osservarmi ma ero ancora dietro la porta socchiusa. – Ti dai una mossa. – non risposi e lui espirò spazientito. – Guarda non sei la prima che guardo senza vestiti e francamente non sei neanche la migliore. – Afferrai la prima cosa che mi trovai davanti, spalancai la porta e gliela lanciai dritta in faccia. Era stato in grado di dare un colpo di spugna a tutti gli effetti benefici del bagno caldo facendomi imbarazzare e saltare i nervi al tempo stesso.
 
Non si mosse, né tentò di evitare l’oggetto che gli lanciai, si limitò solo a chiudere gli occhi ed io ne approfittai per dirigermi a passo di carica verso il letto per recuperare il vestito. Se si fosse azzardato ad aprire di nuovo la bocca gli avrei lanciato qualcos’altro e al diavolo le conseguenze. Afferrai il vestito e le scarpe senza neanche guardarli e me ne tornai verso il bagno sbattendo la porta furiosamente, senza degnare lui neanche di uno sguardo. Lo sentì sghignazzare attraverso la porta chiusa.
 
- Stavo solo scherzando, devo dire che non eri niente male. – lui rideva e a me saliva il sangue al cervello, ero talmente rossa che avrebbe potuto tranquillamente uscirmi il fumo dalle orecchie. Controvoglia e con un umore nero mi asciugai i capelli ed indossai il vestito e le vertiginose scarpe ad esso annesse. Lo avevo indossato senza neanche guardare di cosa si trattasse, ormai non ero più libera neanche di vestirmi. Mi osservai allo specchio prima di uscire di lì dentro, era un abito bianco, senza maniche, molto, molto corto e terribilmente aderente, mi avvolgeva come un guanto, compreso il collo, certo, bisognava nascondere la gentilezza dei Vinsmoke. Sia davanti che sulla schiena portava un ampio scollo mettendo in bella vista spalle e decolté. Non sapevo se sentirmi a disagio o terribilmente attraente. Era palese che stessero tentando di sfoggiarmi e volevano che apparissi al meglio, non facevano altro che sottolineare la considerazione che avevano di me, un oggetto, una bambolina da vestire e manovrare a loro piacimento.
 
Uscì dal bagno e mi fermai appena davanti alla porta. Lui svoltò nuovamente la testa all’indietro come aveva fatto poco prima.
 
- Finalmente! Ci hai messo un’eternità per… - quasi cadde dalla sedia. – Accidenti! Non sei niente male sul serio. – non lo guardai, il mio viso esprimeva un misto di rabbia, fastidio, imbarazzo, disgusto e sconforto in quel momento. Si alzò e mi venne incontro ed io me ne restai lì ferma con il viso voltato di profilo e lo sguardo basso. Mi guardò da capo a piedi e poi fece comparire il suo solito sorriso divertito. – Non sembri più neanche così nanerottola, sei quasi ad un’altezza normale. –
 
- Brutto bestione! – al diavolo le conseguenze, gli allungai un pugno. Se Niji era in grado di tirar fuori il terrore da me, Yonji era capace di tirar fuori la mia furia omicida. Peccato lui fosse un colosso d’acciaio ed io un’imbranata su tacchi vertiginosi. Persi l’equilibrio e per poco non finì a terra. Lui scansò quella sottospecie di tristissimo pugno e mi bloccò al volo con un braccio per evitarmi di cadere.
 
- Stai attenta! Sei troppo goffa per certi slanci. – sorrideva, si stava proprio divertendo. Beato lui! Mai e poi mai avrei trovato attraente un tipo irritante come lui! Spinsi con le mani contro il suo petto per allontanarlo, ma provare a spostare uno come lui era come provare a spostare un muro, inutile. Mi osservò per qualche attimo spostando lo sguardo su di me, mi mise davvero a disagio. Era troppo bravo nella lettura del mio viso per non rendersi conto che non apprezzavo quella situazione. Mi lasciò andare con un sospiro rassegnato. – Direi che è ora di andare. Ce la fai a camminare senza ruzzolare a terra o devo portarti in braccio? – aveva ripreso a prendermi in giro.
 
- Ce la faccio. – mi sistemai il cortissimo vestito e mi avviai verso la porta per dimostrare che potevo davvero farcela. Yonji si accomodò la cappa e mi seguì, continuavo a sentirmi i suoi occhi addosso ma tentai di non badarci, tra poco avrei avuto problemi decisamente più seri di un energumeno che mi guardava il sedere.
 
Finalmente arrivammo al palazzo di Judge e tutta l’arroganza e la superbia che avevo tenuto fino a pochi istanti prima era quasi del tutto scomparsa. Iniziavo ad avere paura ed ero davvero tentata di aggrapparmi al braccio muscoloso di Yonji e non mollarlo fino al ritorno al suo palazzo. Avevo rallentato il passo ed iniziato ad impallidire e lui non tardò ad accorgersene.
 
- E adesso che ti prende? – della furia di poco prima neanche l’ombra, avevo lo sguardo da cane bastonato.
 
- Ho paura. – ero tentata di non rispondere ma le parole vennero fuori da sole.
 
- I Germa 66 non conoscono la paura. –
 
- Io non sono una Germa 66. –
 
- Si che lo sei e non puoi metterci in ridicolo, cerca di darti un contegno e comportarti come si deve, questo è un pranzo d’affari per mio padre, se lo metterai in ridicolo te la farà pagare. – questo non mi aiutò per niente.
 
- Senti, perché per una volta non provi a fidarti di quello che ti dico? Non ti succederà niente. Pranzeremo, ti comporterai bene, farai in modo che mio padre possa vantarsi di te e alla fine tornerai in camera tua ad indossare i tuoi orrendi vestiti. –
 
- I miei vestiti non sono orrendi! – sorrise, stava solo tentando di farmi reagire anche se a modo suo. Non aveva molta familiarità con la gentilezza, questo era il suo modo di dimostrare che aveva capito il mio punto di vista, più o meno.
 
Judge aveva fatto allestire il pranzo in terrazza, era una magnifica giornata sul mare e voleva far bella figura con i suoi ospiti in tutto e per tutto. Quando arrivammo erano già tutti lì ed io presi un gran respiro per soffocare l’attacco di panico che sentivo in arrivo. Su quella terrazza c’era tutto quello che mi avevano insegnato a temere ed evitare per tutta la vita.
 
- Finalmente ragazzo. – Judge andava proprio fiero dei suoi rampolli. Io tentavo di stare quanto più vicina possibile a Yonji, stavo cercando di sopprimere il bisogno di nascondermi alle sue spalle e scappare alla prima occasione possibile. – Lasciate che vi presenti la signorina Lea Vincius di cui vi ho parlato ieri. – il bestione dai capelli verdi mi guardò con la coda degli occhi e mi fece segno con la testa di avvicinarmi al padre e al vice-ammiraglio. Dovetti ingoiare il groppo che avevo in gola e prendere un gran bel respiro per sforzarmi di sorridere e avvicinarmi, se avessi fatto un passo falso, mi sarei ritrovata con un po’ più di qualche livido sul collo.
 
- Signorina, è un vero piacere fare la sua conoscenza. – mi baciò la mano e sebbene sorridessi dentro avevo una vera e propria tempesta di emozioni. – Judge non aveva altro che buone parole per lei. –
 
“Certo, come no!”
 
- Sua altezza è troppo gentile. – meglio moderare le parole se non volevo finire male.
 
- Lea. – un brivido lungo la schiena, Niji si stava avvicinando alle mie spalle. Era tutta colpa sua se ora mi trovavo lì. – Vedo che ti sei ripresa benissimo, nessuno direbbe mai che solo ieri eri ridotta quasi in fin di vita. I miracoli della tecnologia Germa. – si avvicinò terribilmente e di nuovo dovetti sopprimere l’impulso di scappare. – Questo vestito ti sta d’incanto, ti fascia il collo in modo delizioso. -
 
“Bastardo! Ti sarebbe piaciuto vedere l’opera d’arte che hai realizzato!”
 
- In effetti state benissimo Signorina, siete un vero splendore. Spero che la situazione non sia stata davvero così grave come dice il principe Niji. –
 
- Era grave di sicuro o non si sarebbe di certo assentata. – lo stava facendo di proposito per mettermi in difficoltà, aspettava un mio passo falso. Ma io sorrisi e cercai di cavarmela come potevo.
 
- È stata solo colpa della mia goffaggine vice-ammiraglio. Mi sono arrampicata su di uno scaffale per prendere un attrezzo che mi serviva e lo scaffale mi si è riverso addosso. – Era vero, era andata effettivamente così il giorno precedente, solo che per mia fortuna era presente Yonji che con una mano aveva afferrato me e con l’altra lo scaffale, senza sforzo alcuno, e quindi non mi ero fatta neanche un graffio, ma questo il vice-ammiraglio non lo sapeva. –
 
- Dovete stare attenta Signorina, se non fosse per la tecnologia Germa a questo punto non sareste qui. –
 
- È vero, sono stata molto fortunata. – infatti avevo dovuto coprirmi il collo per non far capire quanto fossi stata fortunata.
 
Ci accomodammo a tavola ed io mi misi vicino al mio bestione dai capelli verdi, il solo a non darmi i brividi. Ichiji prese posto vicino a suo padre, alla sua destra, mentre tra me e Judge c’era il vice-ammiraglio, piuttosto interessato a continuare la conversazione. Di fronte a me c’era Niji che passò il pranzo ad osservarmi con il solo scopo di mettermi a disagio e tra lui e Yonji sua sorella Reiju.
 
- Judge mi ha detto che è una scienziata. –
 
- I Vinsmoke sono stati molto gentili ad offrirmi un lavoro su Germa. – ricordavo ancora la gentilezza di Yonji al nostro primo incontro, mi aveva comportato un trauma cranico.
 
- È stata una vera fortuna aver scoperto il suo talento. – odioso Niji. Il rosso e Reiju mangiavano e bevevano in silenzio, anzi ebbi l’impressione che fossero vagamente infastiditi da tutte quelle attenzioni nei miei confronti e di tutto quel chiacchiericcio inutile in generale.
 
- Mi hanno raccontato di averla scovata su di un’isoletta, un vero colpo di fortuna davvero. –
 
- È riuscita ad attirare l’attenzione di mio fratello Yonji. –
 
- Io sono un segugio quando si tratta di scovare talenti e belle ragazze. – sghignazzò.
 
- Da quale isola proviene? –
 
- L’isola di Litie. – la mia cara, vecchia, bellissima isola.
 
- Litie? – ci stava pensando. – Non è il posto su cui hanno trovato l’agalmatolite? –
 
- Proprio quello. –
 
- Capisco. – certo che capiva, la Marina si era voltata dall’altra parte quando i potenti di turno facevano il bello ed il cattivo tempo con noi e quando i Vinsmoke ci avevano sterminato. Almeno quella spiacevole conversazione era finita lì. Non mi rivolse più la parola per il resto del pranzo, parlò solo con Judge e con il rosso, scambiando qualche battuta con Yonji e Niji e non mancando di complimentarsi per la festa della sera precedente. Io me ne restai in silenzio, sorridendo all’occorrenza e sforzandomi di essere all’altezza della situazione e di controllare le mie espressioni facciali. Eravamo alla fine del pranzo quando finalmente sembrò ricordarsi della mia presenza.
 
- Quindi la Signorina sta lavorando per potenziare la tecnologia Germa? – chiese al padrone di casa.
 
- È esatto. Ora si sta occupando della Raid Suit di mio figlio Yonji, poi passerà ad occuparsi di quelle degli altri. Per quello che mi è stato raccontato gli upgrade apportati sono strabilianti e li ha ottenuti in una sola settimana. –
 
- Hai fatto un ottimo acquisto Judge, non lasciartela sfuggire. –
 
- Non ne ho nessuna intenzione. – rise imitato dai suoi preziosi eredi. Solo io e Reiju non ci trovavamo proprio niente di divertente.
 
- Non vedo l’ora in cui inizierai a lavorare alla mia tuta. – Niji. – Sono sicuro che ci divertiremo molto a lavorare insieme. – sorrideva e quel sorriso mi causò un brivido involontario che per fortuna sfuggì al vice-ammiraglio ma non a Yonji che fece una cosa che proprio non mi aspettavo: mi afferrò la mano sotto il tavolo e la strinse. Stava cercando di dirmi che dovevo mantenere la calma.
 
- Si occuperà della tua quando avrà finito con la mia, mi sa che dovrai aspettare un’altra settimana. – sorrise come se stesse scherzando.
 
- Non ha importanza, una settimana passa in fretta, posso aspettare. – Yonji rafforzò la stretta e stavolta riuscì a non rabbrividire. Ichiji aveva osservato lo scambio di battute e non sembrava approvarle, non davanti ad un vice-ammiraglio.
 
- L’importante è che il lavoro sia fatto bene e che le tute non mostrino punti deboli, il tempo necessario a realizzarle è solo un dettaglio, un giorno in più o uno in meno non fa nessuna differenza. –
 
- Ben detto ragazzo! Sarai il degno erede di tuo padre. – non era un gran complimento, non dal mio punto di vista almeno. Yonji mi lasciò la mano ed afferrò il bicchiere per proporre un brindisi ai Germa ed io mi unì al coro, mio malgrado.
 
Il pranzo finalmente giunse al suo termine dopo quello che mi sembrò un tempo infinito e ci preparammo a salutare il vice-ammiraglio che si accingeva a ripartire. Yonji aveva avuto ragione, quell’uomo era proprio un tonto, non aveva sospettato niente e se lo aveva fatto non lo aveva dato a vedere ma fu comunque un sollievo vederlo partire.
 
- Figli miei ho avuto un’idea mentre il vice-ammiraglio era con noi. Vi aspetto tra due ore nella sala del trono per discuterne con voi. – poi si rivolse a me. – Signorina Lea, ti faccio i miei complimenti per il tuo comportamento. –
 
“Non l’ho fatto per te!”
 
- Già fratello, come sei riuscito ad ammaestrarla in così poco? Non credevo ci saresti riuscito. –
 
“L’ho fatto per evitare che mi ammaestrassi tu.”
 
- Non sei l’unico a saperci fare fratello. –
 
- Non è merito vostro. Non è così sciocca da farci sfigurare, sapeva cosa le sarebbe capitato se lo avesse fatto. – guardai male il rosso, freddo e distaccato come suo solito.
 
- Qualunque sia la ragione si è comportata come richiesto. – Reiju, era la prima volta che parlava da quando avevamo iniziato il pranzo.
 
- È vero. – Judge era piuttosto soddisfatto per come erano andate le cose. – Potete ritirarvi. Vi aspetto tra due ore per discutere, figli miei. – Reiju mi rivolse un’occhiata prima di andarsene senza battere ciglio, seguita da suo fratello Ichiji. Niji mi passò accanto e si soffermò appena vicino a me.
 
- Mi dispiace doverti fare attendere un’altra settimana, ma non preoccuparti, passerà in fretta. – rabbrividì, quella non era una minaccia, era una promessa. – Ci tenevo a dirti che sei davvero bellissima oggi e non vedo l’ora di restare da solo con te. - Chiusi gli occhi e aspettai che si allontanasse prima di iniziare a seguire Yonji al suo palazzo, lieta che tutto questo fosse finito. Avevo i nervi a pezzi. Arrivammo alla mia stanza, non avevo detto una parola per tutto il tragitto e non avevo sollevato lo sguardo da terra. Ero certa che lui se ne fosse accorto ma non mi aveva detto niente.
 
- Siamo arrivati. Ci vediamo ragazzina. – Fece per andarsene ma io gli afferrai il braccio con entrambe le mani senza alzare lo sguardo da terra. Lui si bloccò ad osservarmi. – Che ti prende? –
 
- Dove andrai adesso? –
 
- In camera mia, vorrei fare un pisolino prima della riunione. Perché? – restai qualche attimo in silenzio, non potevo credere di stare per dirlo ma non volevo restare da sola.
 
- Resta qui. – non sollevai lo sguardo.
 
- Nel corridoio? –
 
- Non voglio restare da sola. –
 
- Se è per Niji non credo che si farà vivo in queste due ore. –
 
- No… è per tutto… non voglio restare sola. – lo guardai, avrebbe di sicuro capito che ero a pezzi.
 
- Io voglio riposare. –
 
- Riposa qui. Non ti darò fastidio. Solo, non voglio essere sola. – ci pensò un po’ su.
 
- Va bene. Un letto vale l’altro. Certo che sei strana tu, prima vuoi che me ne vada, poi vuoi che resti, chi ti capisce è bravo. – lo so che non poteva capire cosa stessi provando, paura, sconforto, sofferenza, frustrazione, rabbia. Forse non sapevo neanche io quale tra queste fosse a prevalere, sapevo solo di non star bene, di star risentendo di tutto quello che era successo e che ancora doveva accadere.
 
Entrò e si tolse la cappa e poi si gettò senza tanti complimenti sul letto con le braccia dietro la testa. Mi osservò mentre mi toglievo le scarpe e mi appollaiavo sulla poltrona.
 
- Il mio letto è decisamente più grande e più comodo del tuo. –
 
- Tu sei il principe, io non sono nessuno. – stavo usando le sue stesse parole.
 
- Non è il solo motivo per cui è più grande. – mi strizzò l’occhio ed io mi strinsi le braccia intorno al corpo. – Te lo avevo detto che sarebbe andato tutto bene. –
 
- Tra una settimana sarò nelle mani di Niji. – stavolta fissai io i miei occhi color ghiaccio su di lui.
 
- Per come stanno adesso le cose si. –
 
- Sul serio non ti importa? –
 
- Dovrebbe? – mi morsi il labbro.
 
- Senti, in una settimana cambiano tante cose. Già non capisco in senso assoluto questa continua paura che provi, ma anche se la capissi non credo sia normale sentirla con una settimana di anticipo. – tornai a guardarlo.
 
- Sento di non avere via di uscita. –
 
- Una ce l’hai. – incrociai gli occhi con i suoi. – Dimmi chi sei. –
 
- Non posso. – avevo un tono disperato.
 
- Hai una settimana per cambiare idea. –
 
- Anche se te lo dicessi non cambierebbe niente, non sarebbe il mio cognome a tenermi lontana da lui. –
 
- Non lo sapremo fino a quando non me lo dirai. –
 
- Non posso. – dissi a bassa voce.
 
- Spero davvero che ne valga la pena tenere questo segreto. –
 
- Non ho altra scelta. –
 
Restammo per un bel pezzo in silenzio, mi bastava davvero la sua presenza per stare meglio, non me ne ero resa conto, ma la notte precedente avevo dormito davvero bene, mi ero sentita al sicuro.
 
- Di cosa vuole parlarvi tuo padre? –
 
- Non ne ho idea. Forse ha qualche missione da affidarci. –
 
- Missione? –
 
- Come quella sulla tua isola. –
 
- Intendi che devi andare via? – ecco l’attacco di panico che non tardava ad arrivare.
 
- Non lo so. Non sono ancora andato alla riunione, come faccio a saperlo?! –  Niente, stavo avendo un attacco di panico. - Ecco che ricominci. Sta calma, non è ancora detto che debba andarmene dal regno. –
 
- E se dovessi? Cosa ne sarà di me? –
 
- Senti non lo so. A volte non c’è una soluzione. Ti rifiuti di rivelare il tuo segreto ma vuoi essere tenuta al sicuro, non si può avere tutto. - Incrociai le braccia su uno dei braccioli e vi nascosi il viso. - Mi inventerò qualcosa. – disse rassegnato ed io alzai la testa per guardarlo. – Basta che non inizi a frignare, non sopporto chi piagnucola, mi dà ai nervi. – Chiuse gli occhi deciso a dormire un po’ ed io me ne restai lì ad osservarlo.
 
- Yonji… - dissi all’improvviso e lui mi rispose con un verso interrogativo. - … grazie. –
 
Lui aprì gli occhi. – Non mi hai chiamato bestione. Facciamo progressi. - E li richiuse sorridendo.
 
- Sarai sempre un bestione. – mi sorrise di nuovo.
 
- Ti suggerisco di approfittarne per riposare anche tu, dovremmo recuperare questa giornata di lavoro. – non gli risposi, me ne restai lì a guardarlo addormentarsi.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Il becher ***


Dovevo essermi addormentata, non me ne ero neanche resa conto, anche se più che addormentarmi dovevo essere entrata in letargo visto che quando riaprì gli occhi era già calata la notte. Mi risvegliai nel mio letto, ma ero sicura di non essermi mossa dalla poltrona. Non vedevo Yonji ma il balcone era aperto, doveva essere andato alla riunione, chissà come era finita, se era finita. Mi si serrò lo stomaco al pensiero che fosse già partito per qualche missione e sentivo il panico aumentare non sapendo quando lo avrei rivisto. Mi passai le mani tra i capelli e mi fiondai giù dal letto, dovevo correre in cucina a chiedere informazioni, li avrei tirati dal letto se necessario, ma dovevo sapere. Non mi importava neanche della possibilità di incontrare Niji, tanto se Yonji non fosse stato più su Germa ero comunque spacciata.
 
Aprì la porta come una furia, scalza e ancora con indosso l’abitino del pranzo e sentì una voce provenire dalle mie spalle.
 
- Si può sapere dove stai andando così di corsa, conciata in quel modo e senza scarpe? – il cuore mi saltò un battito. Mi voltai e lo vidi sotto l’arco della porta del balcone. Sebbene fosse in controluce lo riconobbi subito, la sua sagoma, per quanto somigliante a quella dei fratelli, era inconfondibile. Il sollievo fu talmente tanto che agì senza riflettere, gli corsi incontro e lo abbracciai. – Ma che diavolo ti prende adesso? Tu non sei normale per niente. –
 
- Ho pensato che fossi partito. –
 
- Per chi mi hai preso? Non me ne sarei andato senza avvisarti. Ora perché non ti stacchi di dosso? –
 
- Aspetta. – mi staccai di colpo da lui, ecco di nuovo quella cosa viscida e fredda nello stomaco. – Sei venuto a dirmi che stai per partire? –
 
- Ma cos’è una fissazione la tua? Non vado da nessuna parte. –
 
- Allora come mai sei qui? Non dovevi andare alla riunione? -
 
- È avvenuta ore fa. Sei sicura di sentirti bene? –
 
- Si, credo. Che ci fai qui? –
 
- Ho pensato volessi sapere come fosse andata. – se ne restò in silenzio ad osservarmi ed io lo guardai impaziente.
 
- Allora? Non tenermi sulle spine. –
 
- Non è in programma nessuna missione, almeno per ora. – mi sorrise ed io mi sentì più leggera.
 
- E allora di cosa avete discusso? –
 
- Affari di famiglia. –
 
- E non mi dirai di cosa si tratta? –
 
- Lo farò quando tu mi dirai chi sei. –
 
- Allora credo di non volerlo sapere. – quel posto mi stava facendo un brutto effetto, non credevo di poter essere così felice di vedere il mio sequestratore, stavo perdendo il senno, non c’era altra spiegazione.
 
- Sul serio saresti andata in giro conciata in quel modo? – mi osservai un attimo, in effetti non era un vestito con cui andare in giro tranquillamente.
 
- Non mi sono resa conto di non essermi cambiata. –
 
- Sei crollata sulla poltrona, ti ho messa a letto ma ho immaginato che avresti avuto da ridire se ti avessi svestita. – sghignazzò divertito.
 
- Si che avrei avuto da ridire! Non ti avrei mai più rivolto la parola! –
 
- Che liberazione! La prossima volta allora saprò come fare per farti star zitta. – continuava a sghignazzare e sebbene mi stesse prendendo in giro non riuscì ad arrabbiarmi con lui. Forse mi sbagliavo ma mi sembrava che anche lui fosse felice di non dover partire.
 
- Forse dovrei cambiarmi. – guardai di nuovo il micro-abito che avevo addosso.
 
- Non mi dispiace affatto vedertelo indossare ma forse hai ragione, è meglio non sfidare troppo il mio proverbiale autocontrollo. – incrociò le braccia sul petto come a rimarcare il fatto che si stesse trattenendo e mi fece ridere.
 
- Certo, come no! A giudicare dai segni di rossetto che avevi questa mattina ci sono volute parecchie donne per farti perdere il tuo “proverbiale autocontrollo”. Non mi illudo certo di valere così tanto, vostra altezza. – scimmiottai un inchino sghignazzando. Yonji si lasciava tranquillamente prendere in giro. Non so se lo facesse solo con me o se semplicemente era più alla mano dei suoi fratelli. Di sicuro c’era un limite e lo avevo visto nelle espressioni di terrore della servitù in cucina, ma almeno al momento non sembravo averlo superato.
 
- Non sono un animale, se è questo che cerchi di insinuare. Ma non sono neanche uno stupido, se vengo provocato non mi tiro certo indietro. – Si avvicinò a me ed io lo osservai senza indietreggiare, era davvero un gigante in confronto a me, soprattutto quando ero senza tacchi come in quel momento. Sostenni il suo sguardo. Non potevo dire certo di conoscerlo, ma avevo la sensazione che non mi avrebbe fatto del male. Non so quanto fosse saggio fidarsi di una sensazione con un Vinsmoke.
 
Prese una ciocca dei miei capelli neri e se la fece scivolare tra le dita, poi si abbassò verso di me fino ad essere all’altezza del mio viso, aveva un’espressione molto seria.
 
- Peccato tu non sia in grado di reggere uno come me. – tirò fuori il suo ghigno e scoppiò a ridere. Anche io sorrisi e lo colpì leggermente sul petto muscoloso.
 
- Sei un presuntuoso. – stavo scherzando anche se non troppo.
 
- Non direi. – Si allontanò di nuovo da me di qualche passo ma mi stava ancora abbastanza vicino. – Non avevo così tanti segni di rossetto addosso per puro caso. Sono uno pieno di energie e tu sei molto gracilina, non reggeresti mai uno come me. Non dico che non sarebbe l’esperienza migliore della tua vita, ma non credo potresti farcela. –
 
- Tanto non ho nessuna voglia di saperlo, quindi resterai con questo enorme dubbio. –
 
- Ci perdi solo tu. –
 
- Resta pure di questa convinzione. – avevo aperto l’armadio e stavo frugando al suo interno, non vedevo l’ora di togliermi quello scomodissimo abito.
 
- Se pensassi che ne valesse la pena non credi che avrei fatto già qualcosa a riguardo. –
 
- No. – risposi sfacciatamente passando in rassegna i vestiti.
 
- E cosa ti da questa sicurezza? –
 
- Lo hai detto tu che non ti diverti con chi non partecipa. – lo guardai un attimo e poi tornai a frugare.
 
- Infatti… vuol dire che aspetterò il momento in cui ne varrà la pena. –
 
- Fammi sapere quando arriva. – trovai finalmente una camicia da notte, cosa non avrei dato per un pigiama di un paio di taglie più grandi.
 
Mi diressi verso il bagno e stavolta avrei chiuso a chiave. Mi cambiai. La camicia da notte era di un azzurro chiarissimo e in seta, con le bretelle ed un bello scollo, abbastanza corta. Mi osservai allo specchio e mi sentì ancora più a disagio di quanto lo ero stata qualche attimo prima. Era decisamente meno provocante di quell’attillatissimo abitino ma era… più intima. Era la prima volta che indossavo una camicia da notte, ero sempre stata sul chi vive da quando avevo messo piede sull’isola per cui avevo sempre dormito vestita, non sapendo quando fosse stato necessario scappare. Mi metteva fortemente a disagio il pensiero che potesse vedermi vestita o svestita in quel modo.
 
Mi venne in mente che avrei potuto chiedergli di lasciarmi sola però non riuscivo a formulare la frase, le parole non volevano venir fuori.
 
- È tutto a posto lì dentro? – la sua voce mi fece saltare, non mi ero resa conto di essere così tesa.
 
“Non essere sciocca! Non hai niente da preoccuparti. Non c’è nessun motivo di essere così nervosa, non ti sei vestita così per lui ma solo per andartene a letto, DA SOLA!”
 
Presi un gran respiro, chiusi gli occhi per rallentare il battito e calmare il nervoso ed aprì la porta. Era stupido ma lo guardai, cercavo di interpretare il suo viso, ma non fece una piega e, lo ammetto, la cosa mi deluse un po’.
 
- Finalmente! Non uscivi più da lì dentro. – non gli risposi, mi limitai a guardarlo. – Allora io me ne vado, ci vediamo domani in laboratorio. –
 
- Dove vai? –
 
- Sono rimasto solo per dirti che non sarei partito, immaginavo che avresti tirato giù tutto il castello. Ora che te l’ho detto me ne vado a dormire. –
 
- Aspetta! E se dovesse venire qualcuno? –
 
- Non verrà nessuno e se dovessi sbagliarmi, urla. – si avviò alla porta.
 
- Aspetta! – si voltò a guardarmi interrogativo. Non sapevo cosa dirgli.
 
- Senti, non ho intenzione di passare qui il resto della tua permanenza a dormire sul divano o a vedere te dormirci su. Il mio letto è decisamente più comodo e più grosso, quindi me ne torno in camera mia. – Aveva ragione, non potevo avallare nessuna pretesa su di lui. Tendevo a dimenticare con fin troppa facilità che lui fosse il principe del palazzo ed io la prigioniera, non eravamo amici. Abbassai lo sguardo triste, non avevo intenzione di insistere ulteriormente.
 
Lui sembrò ricordarsi della cappa, l’aveva lasciata su di una poltrona, e tornò verso di me per recuperarla. Si abbassò per prenderla e lo vidi bloccarsi a metà del gesto per poi rialzarsi senza prenderla. Si avvicinò a me e allungò la mano per spostarmi i capelli poi mi passò le dita sul collo, stava ammirando il capolavoro di suo fratello, doveva avere un aspetto decisamente peggiore rispetto a quella mattina. La sua espressione divenne nervosa.
 
- Accidenti a Niji! Rovina sempre tutto! – non mi azzardai a sollevare lo sguardo su di lui, ma lo sentì allontanarsi verso la porta nervosamente, afferrando la cappa lungo il tragitto. – Allora ti sbrighi o hai intenzione di startene lì impalata? – sollevai lo sguardo, non capivo. – Ho detto che il mio letto è migliore del tuo e che non intendo restarmene qui, non ho mai detto che dovessi restare da sola se non vuoi. –
 
- Posso venire con te? –
 
- Per stavolta si, ma non ti abituare, in genere le donne entrano in camera mia per altri motivi, se si dovesse venire a sapere che lascio entrare donne solo per farle dormire diventerei lo zimbello di tutta Germa. – gli sorrisi, questo era il suo modo di essere gentile. Era estremamente in difficoltà con alcuni sentimenti e comportamenti e quello che sembrava un goffo tentativo di gentilezza in realtà era semplice fastidio all’idea che il fratello potesse rovinargli ulteriormente il giocattolo. Iniziava a non importarmi più quale fosse la motivazione. Per quanto mi costasse dirlo ero solo grata di passare la notte con lui, al sicuro.
 
Arrivammo in camera sua e mi sentì il petto finalmente sgombro dal macigno che avevo avuto fino a poco prima.
 
- Bada, non ho nessuna intenzione di dormire sul divano e cederti il letto. – figuriamoci, ma ero talmente contenta che non me ne importava niente. – E assolutamente non voglio che resti tu sul divano, mi innervosisce. –
 
- Dovrei dormire con te? –
 
- O così o te ne torni in camera tua. –
 
- Va bene. – risposi più in fretta di quanto avessi voluto, ma non volevo assolutamente tornare in camera mia. Lui mi guardò come se non si aspettasse quella risposta, quasi stupito dall’assenza di polemiche. – Però solo dormire e basta. – ci tenni a sottolineare. – Se allunghi le mani sarà peggio per te. -  Sorrise.
 
- Sarebbe interessante vedere questa scena, ma sta tranquilla, non allungherò le mani. – me le mostrò a voler sottolineare il concetto. – Ancora non mi credi, ma te l’ho già detto, sarai tu a venire da me. – purché non mi toccasse poteva rimanere della sua convinzione. Lo guardai e lui mi indicò il letto. – Per farti contenta io dormirò da questo lato e tu potrai usare l’altro estremo. Questo letto è concepito per sei persone e per quanto io possa essere grosso, dubito seriamente che riuscirò a sfiorarti. Accomodati pure. – gli rivolsi un’occhiata che significava più o meno “ti tengo d’occhio” e poi mi diressi al lato del letto più lontano dalla porta e mi ficcai sotto le coperte.
 
Lui mi piantò gli occhi addosso, il sorriso arrogante acceso, si stava divertendo parecchio del mio disagio. Gettò la cappa sulla poltrona senza smettere di fissarmi e sorridere. Iniziò a sbottonarsi la camicia.
 
- Che intenzioni hai? –
 
- Posso dirti cosa non ho intenzione di fare: andare a letto vestito. – voltai il viso dall’altro lato e lui si fermò, la camicia era completamente sbottonata, io chiusi gli occhi. – Perché non riesci a guardarmi? –
 
- Non vedo perché dovrei. –
 
- Non vedo neanche perché non dovresti. –
 
- Non sono interessata a queste cose. –
 
- Balle! –
 
- Pensala come vuoi. – mi ostinavo a tenere gli occhi chiusi e la testa voltata.
 
- Dimostrami che non ti interessa. –
 
- Non devo dimostrarti un bel niente. –
 
- Se non vuoi dimostrarmi niente potrei sempre ordinartelo. – sorrideva. – Prometto di tenere la biancheria addosso. –
 
- Lo hai detto anche l’ultima volta. –
 
- No. L’ultima volta lo hai detto tu, non io. – si portò le mani ai fianchi. – Andiamo, accontentami. Io ho fatto tante cose per te di recente, compreso tenerti al sicuro e non toccarti, fa solo questo per me. –
 
- Perché ci tieni tanto? –
 
- Perché voglio capire una cosa. –
 
- Cosa? –
 
- Tu fallo ed io te lo dico. – sospirai e mi sforzai di aprire gli occhi e voltarmi a guardarlo. Sul mio viso poteva leggere tutto il mio fastidio ed il mio disagio. Non so cosa sperasse di vedere nella mia espressione, ma io sapevo esattamente cosa mi aspettassi di vedere, solo che pensarlo era una cosa e guardarlo era un’altra. Yonji, così come i suoi fratelli, era un bellissimo ragazzo e la parte peggiore era che lui lo sapeva bene. Si era solo sbottonato la camicia e già si intravedevano i perfetti addominali e pettorali. Volevo morire! Quella era tortura gratuita. Lui e Niji si somigliavano più di quanto pensassero, erano entrambi sadici e amanti della tortura, solo che in modo diverso.
 
- Può bastare. – mi disse lui sorridendo prima di avvicinarsi al letto.
 
- Cosa? Tutto qui? Avevo capito che non volessi dormire vestito. –
 
- Si, ho cambiato idea. Ho la risposta alla mia domanda. –
 
- Di che stai parlando? – rise.
 
- Affari miei. – si mise a letto e mi diede le spalle.
 
- No aspetta! Avevi detto che se ti avessi guardato me lo avresti detto. –
 
- Te lo avrei detto se mi avessi guardato spogliarmi ma non l’ho fatto, quindi non ti devo niente. – ero indispettita, mi sentivo raggirata. Gli diedi le spalle nervosamente, in qualunque modo andassero le cose mi sentivo come se giocassero con me. Stupida io che gli davo corda e lo aiutavo a prendermi in giro.
 
Alla fine l’effetto tranquillante della sua presenza ebbe la meglio sul mio fastidio e mi addormentai. In realtà passai con lui tutte le notti che seguirono l’incontro con il vice-ammiraglio. Di giorno non faceva che prendermi in giro e scherzare con me, mi afferrava al volo tutte le volte che inciampavo, discuteva con me delle mie idee. Di notte mi lasciava dormire con lui ma neanche una volta si era approfittato di me. Era strano, visto il contesto, ma non mi sentivo così bene da parecchio. Tuttavia il tempo passava, la Raid Suit verde era praticamente ultimata ed il mio tempo stava scadendo. Yonji aveva promesso di inventarsi qualcosa ma io lo sapevo che non c’era niente che potesse fare, presto avrei dovuto lasciare il suo laboratorio e la sua protezione.
 
Lui passava sempre meno tempo con me in laboratorio. La sua posizione lo obbligava ad adempiere ad una serie di obblighi di cui non mi era dato sapere e d'altronde passando tutto il giorno in laboratorio ero completamente distaccata ed isolata dalla realtà. Più la clessidra si svuotava più diventavo agitata, nervosa e distratta, mi capitava sempre più spesso di far cadere oggetti o inciampare o far saltare la corrente. Mancavano due giorni alla fine della settimana ed i miei nervi erano a fior di pelle, urtai un becher di vetro facendolo infrangere al suolo. Lo spavento per il rumore mi fece letteralmente saltare dalla paura.
 
- ACCIDENTI! – sembravo una pazza, tutto il laboratorio mi osservava come se avessi perso qualche rotella. Mi inginocchiai cercando di raccogliere nervosamente il vetro e trattenendo a fatica le lacrime. Non ero riuscita ad elaborare un piano di fuga, non ero mai neanche uscita da quel laboratorio e tra due giorni sarei stata nelle mani di quel sadico bastardo dai capelli blu. Anche il bestione era presente e mi osservava, probabilmente chiedendosi cosa avessi. Si avvicinò a me a braccia incrociate.
 
- Lascia perdere, ci penserà qualcun altro qui dentro. – ma io non lo ascoltavo e continuavo a raccogliere, come se continuare a fare quei movimenti ripetitivi mi impedisse di scoppiare in lacrime.
 
- Ahi! – mi tagliai con un frammento di vetro lasciandolo cadere e stringendomi la mano ferita chiusa a pugno sul petto. Lui si inginocchio spazientito vicino a me.
 
- Sei di una goffaggine epica! Fammi vedere. – mi prese la mano per guardarla. Al centro del palmo avevo un sottile filo rosso che la attraversava ed iniziava a sanguinare. Alcuni dipendenti del laboratorio si affrettarono a comparire con il kit di pronto soccorso terrorizzati dal loro padrone. – Si può sapere che diavolo ti succede? Sei sempre stata un’imbranata ma ultimamente mi sembri addirittura peggiorata. – mi stava disinfettando e fasciando il taglio. Come sempre era incuriosito dalla mia emotività, non riusciva a capirla. Io non gli risposi, ero sicura di scoppiare a piangere se avessi aperto la bocca. Lui sbuffò infastidito dalla mia assenza di risposta e finì di medicarmi prima di tirarsi su e tendermi la mano. – Andiamo, vieni! – Alzai lo sguardo su di lui confusa.
 
- Non ho nessuna intenzione di lasciarti sfasciare il mio laboratorio, in quelle condizioni non puoi lavorare. – gli diedi la mano e mi tirò praticamente su di peso.
 
- Dove andiamo? –
 
- Fuori. – era ovvio che andassimo fuori dal laboratorio. Mi tolsi il camice e lo diedi ad uno dei dipendenti. In reazione alle parole di Yonji alcuni uomini si avvicinarono a noi con dei mantelli pesanti. Lo presi e guardai il bestione mentre indossava il suo, di colore nero.
 
- Fuori dove? – ero parecchio sospettosa.
 
- Non credo tu abbia mai visto il regno di Germa da quando sei arrivata, forse questa è l’occasione per visitarlo. – Continuavo a non capire l’esigenza di indossare mantelli pesanti ma lo assecondai ed indossai il lungo mantello rosso con il cappuccio che mi avevano dato.
 
Uscimmo dal suo palazzo e quello che vidi era assolutamente strabiliante. Il regno era talmente vasto e solido da avermi fatto dimenticare che in realtà si trattasse di una serie di navi collegate tra loro e che quindi fosse sempre in movimento. Ci eravamo spostati nell’arco di questa settimana e come spesso accadeva nel nuovo mondo, il clima era imprevedibile. Il regno di Germa coperto di neve era un vero incanto. Credo che me ne rimasi lì con la bocca aperta come uno stoccafisso visto che lui mi osservava con il suo sorriso compiaciuto.
 
Mi fece visitare tutto il suo regno, per lo più composto da campi di allenamento, enormi spiazzali e palazzi, non sembrava affatto un luogo dove dei bambini avessero potuto crescere. Ma, forse, era perché lui e i suoi fratelli non erano stati dei bambini normali, forse ai principi non è concesso correre, rotolarsi tra l’erba, addormentarsi sotto agli alberi. In quel regno non c’era assolutamente niente ed ora che iniziavo a farci caso, anche gli abitanti erano piuttosto strani. Avevo capito che oltre a loro ci fossero solo soldati e domestici, ma era già da un po’ che avevo la strana sensazione di incontrare sempre le stesse tre o quattro persone.
 
Ad ogni modo la passeggiata fu piuttosto piacevole, mi aveva dato la possibilità di farmi una mappa mentale del regno e mi aveva aiutato a distrarmi dall’inevitabile, non pensavo che il bestione avesse potuto fare un gesto così carino per me. Arrivammo in un grosso prato con alcuni alberi, e tanti fiori, tutto ricoperto di neve, era un posto completamente diverso dal resto del regno. Proprio al centro c’era un enorme monumento di pietra, anch’esso completamente ricoperto di neve che lui ignorò tirando dritto. Io invece mi fermai ad osservarlo, non avevo nessuna fretta di tornare in gabbia.
 
- Che cos’è? – lui si fermò guardandomi interrogativo, come se non capisse a cosa mi riferissi ed io indicai il monumento.
 
- La tomba di mia madre. – non fece neanche una piega, neanche mi stesse dicendo la specie di una pianta. Mi rispose e riprese semplicemente il cammino.
 
- Presentamela. – gli dissi io senza muovermi. Lui tornò a guardarmi perplesso, come se avessi detto un’assurdità.
 
- È morta. –
 
- Lo avevo capito. – non ero pazza se era questo quello che sospettava. – Ma è l’unico membro della famiglia Vinsmoke che ancora non ho conosciuto. – mi avviai verso la tomba. Sulla mia isola parlavo spesso alla tomba di mia madre. Lo so che era irrazionale ma mi piaceva pensare che potesse sentirmi e che in un qualche modo le facesse piacere sapere che io pensassi ancora a lei. Lui mi osservò da lontano senza avvicinarsi, questa era una di quelle volte in cui non mi capiva ed in cui la mia stranezza lo incuriosiva.
 
Nell’avvicinarmi strappai un fiore da cui feci cadere la neve, mi sembrava il minimo portarle un dono, dovevo ringraziare solo lei se il bestione aveva conservato un minimo di umanità, la mia incolumità, ad ora, era solo merito di quella donna. Nell’arco della settimana ero scesa spesso in cucina con la scusa di uno spuntino per fare quattro chiacchiere e i domestici mi avevano raccontato cosa quella donna aveva fatto per i suoi figli, era solo merito suo se la modifica al fattore di linea non era stata completa.
 
Feci un leggero e alquanto goffo inchino davanti alla sua tomba.
 
- Vostra maestà. – credo che il gorilla mi stesse considerando completamente matta. – È un vero piacere fare la vostra conoscenza. Ho sentito tanto parlare di lei. Volevo dirle che tutto il regno continua a nutrire per lei gli stessi sentimenti di affetto e stima. – si, decisamente iniziava a chiedersi se avessi perso qualche rotella. – Volevo solo ringraziarla. Se non fosse stato per Yonji ora non so cosa ne sarebbe di me. E nonostante sia un grosso bestione insensibile, a volte terribilmente arrogante e borioso… sono veramente felice di avere incontrato lui. Deve esserne fiera, nonostante l’educazione ricevuta, non è venuto su male. – per lo meno rispetto agli altri due fratelli che erano a dir poco terrificanti, ma mi dispiaceva dirglielo.
 
Era dietro di me, lo sapevo, non aveva detto niente, ma mi aveva di sicuro ascoltata. Presi il fiore che avevo raccolto e lo posai sopra gli altri innevati. Poi mi voltai per tornare indietro e me lo trovai davanti, immobile, l’espressione più fredda della neve che ci circondava. Era arrabbiato o forse infastidito, non avrei saputo dirlo, so solo che quell’espressione non mi sembrava affatto appropriata al contesto e per un attimo mi fece paura. Avevo agito d’istinto dimenticando che con loro varcare il confine dell’ammissibile era un attimo.
 
- Mi… mi dispiace… - dissi con un filo di voce e osservandolo spaventata. Non volevo farlo inferocire, volevo solo ringraziare sua madre. Mi voltò le spalle e si allontanò di lì senza degnarmi di risposta o considerazione. Che cosa era successo? – Yonji… - raramente usavo il suo nome, ma la serietà del momento lo richiedeva.
 
- Muoviti! – mi rispose con un tono tagliente.
 
- Aspetta. – tentai di raggiungerlo, ma già ero imbranata di mio normalmente, figuriamoci con la neve a terra. – Fermati! – mi stava ignorando continuando a camminare, voleva solo andarsene di lì. Odiavo essere ignorata e trattata così. Non avevo fatto niente di male. Raccattai della neve da terra e gliela lanciai. – Ho detto FERMATI! – lo colpì al collo e mi pentì di quello che avevo fatto nel momento esatto in cui la fredda neve lo toccò. Lui si immobilizzò ed anche io. L’avevo fatta grossa. Non volevo colpirlo, non stavo neanche mirando a lui, volevo solo attirare la sua attenzione perché non riuscivo a tenere il passo.
 
Quando si voltò sbiancai e sperai vivamente che lo spirito di Sora fosse nei paraggi perché nessun altro si sarebbe frapposto tra me e lui. Iniziò ad avvicinarsi ed io iniziai a valutare l’idea di correre. Sarebbe stato inutile, non ero veloce e se anche per qualche strana e inspiegabile ragione fossi riuscita a seminarlo poi dove sarei andata? Chi mi avrebbe difeso? No era inutile. Espirai e poi mi chinai per raccogliere altra neve, ne feci una bella palla e gliela lanciai, lo presi giusto in faccia e scoppiai a ridere. Se dovevo morire almeno mi sarei divertita prima. Si tolse la neve dal viso e mi sorrise.
 
- Ah si? Stanno così le cose? – si chinò per raccogliere un quantitativo assurdo di neve ed io iniziai a scappare.
 
- No aspetta! – se mi avesse presa mi avrebbe fatto del male, aveva una forza smisurata, ma non riuscivo a smettere di ridere. Si stava preparando a lanciare. Mi nascosi dietro una pianta. La palla che lanciò ne staccò la cima ed io finì sbalzata a terra. Non mi feci niente ma la pianta stava per cadermi addosso. Mi coprì la testa con le braccia, come se potesse servire a qualcosa e chiusi gli occhi, non era più divertente. Lui fu molto veloce, per fortuna, e fermò la pianta prima che mi riducesse una poltiglia. La scagliò lontano ma io rimasi lì a terra con le braccia sulla testa, il cappuccio mi era scivolato nella caduta.
 
- Stai bene? – si abbassò per aiutarmi.
 
- Credo di si… - mi tirai su in ginocchio e gli diedi un pugno sul petto. – MA COSA TI È SALTATO IN MENTE? – mi guardò confuso. – Avresti potuto ammazzarmi! Sei il solito scimmione! – feci per alzarmi e andarmene ma lui mi tenne giù.
 
- Dimenticavo quanto sei gracilina. – sorrideva ma io non avevo più nessuna voglia di ridere. Provai a divincolarmi per tirarmi su, potevo farmi seriamente male, se non peggio. Ad un certo punto il suo sguardo tornò ad essere freddo e duro come poco prima.
 
- Devo partire. – un colpo di fucile praticamente. Mi immobilizzai e lo guardai inebetita.
 
- Cosa? –
 
- Devo andare in missione. Parto domani. –
 
- Cosa? – sembravo un disco incantato, ma mi rifiutavo di prendere atto di quella confessione. Lui mi guardò serio, era inutile che lo ripetesse, avevo capito bene. - Dove? –
 
- Ha importanza? – no, non ne aveva.
 
- Per quanto? –
 
- Una settimana. – la settimana che avrei dovuto passare con Niji. La paura e lo shock furono talmente tanti e improvvisi che ebbi un mezzo mancamento, mi accasciai in avanti andando ad impattare contro di lui. Non sapeva cosa fare, era evidente, non credo si aspettasse quella reazione. Mi mise le mani dietro le spalle e mi strinse, un po’ per non farmi finire con la faccia nella neve e un po’ perché… a dire il vero non lo so. Per una persona normale avrei detto che gli dispiaceva, ma non era questo il caso. Strinsi istericamente i lembi del suo mantello come se avessi potuto in qualche modo trattenerlo, come se il suo corpo fosse l’unica cosa che in quel momento mi impedisse di precipitare nel baratro che mi si era aperto dinanzi.
 
- Ti prego… non andare… - un bisbiglio, mentre la mia guancia era premuta contro il suo petto.
 
- Non posso. Non chiedermelo. – chiusi gli occhi per provare a ritrovare la calma ed evitare di vomitare. Era finita. Non c’era più salvezza, non c’era niente che potessi fare se non tornare in laboratorio finire la Raid Suit numero quattro e rassegnarmi alle violenze che avrei dovuto subire dal giorno seguente. Spinsi con le mani contro il suo petto per allontanarlo ma lui sembrava non volermi lasciare, forse temeva ancora che potessi cadere, ma io spinsi con tutte le mie forze e lui sciolse quel ridicolo abbraccio. Mi tirai su e senza guardarlo, con il morale e la psiche a pezzi, gli diedi le spalle e me ne andai, diretta al laboratorio. Lui non mi seguì, ma arrivati a quel punto non me ne importava più niente. Anche se fossi andata a sbattere contro Niji non avrebbe fatto alcuna differenza, quelle poche ore che comunque ci separavano non avrebbero fatto alcuna differenza.
 
Mi calai il cappuccio per coprirmi il viso, mi sentivo esattamente come il becher che avevo fatto cadere poche ore prima in laboratorio, a pezzi. Con lo sguardo basso mi imposi di mettere un piede dietro l’altro senza fermarmi, senza voltarmi, con il volto rigato di lacrime che lasciavo cadere liberamente segnando il percorso che mi avrebbe condotto al laboratorio di Yonji, per l’ultima volta.



 

Ragazzi buona vigilia di Natale, ci ho tenuto a darvi un nuovo cap. da leggere per potervi innanzitutto ringraziare e per potervi fare i miei più sinceri auguri.
Inoltre ci tenevo a ringraziare in maniera particolare Lifia e Nereisi per le loro stupende recensioni, grazie di cuore, sono davvero di incoraggiamento.
A tutti voi grazie e Buon Natale.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** L'ultima notte su Germa ***


Quella sera ultimai la sua tuta, il tempo era scaduto, il giorno successivo l’avrebbe indossata per lasciare il regno… e me. Quella era l’ultima notte che passavo con lui. Me ne tornai alla sua camera senza aspettarlo, avevo bisogno di stare un po’ da sola e riflettere. Mi vorticavano per la testa le parole che Niji mi aveva rivolto al pranzo con il vice-ammiraglio e mi portai le mani al collo, ormai dei lividi che mi aveva lasciato non c’era neanche più l’ombra, sarebbe stato di sicuro contento di riavere la sua tela di nuovo pulita.
 
Mi ero seduta sul letto con le braccia intorno alle ginocchia ed il viso nascosto su esse. Avevo tanta paura. Era un bene che Yonji non ci fosse, non volevo che mi vedesse in quello stato, lui non sopportava i piagnucolii. Niji mi avrebbe piegata o almeno ce l’avrebbe messa tutta per farlo, avrebbe fatto di tutto per ottenere da me tutto ciò che voleva. Non era giusto! Avevo perso tutto, non meritavo quel destino! Strinsi di più le braccia intorno alle gambe come se volessi rimpicciolirmi e sparire e per l’ennesima volta cercai di non piangere. La porta si aprì e fece la sua comparsa sulla soglia il ragazzo dai capelli verdi.
 
Sollevai appena lo sguardo su di lui, non aveva il solito sorriso canzonatorio e allegro. Ebbi quasi la sensazione che non sarebbe voluto tornare lì ad affrontarmi. Quella situazione lo infastidiva palesemente. Chiuse la porta e mi puntò gli occhi addosso senza avvicinarsi.
 
- Hai intenzione di restartene in questo stato fino a quando non partirò? –
 
“Si!”
 
- No. La tua tuta è pronta. – espirò esasperato, sapeva sempre quando mentivo. Si stropicciò il viso con la mano prima di passarsela tra i capelli. Indossava un pantalone scuro con la solita fibbia, la sua preferita ed una maglietta a mezze maniche bianca con il numero 4 nero su una delle maniche. Mi guardò indeciso su cosa fare ed io distolsi lo sguardo. Era irrazionale il mio comportamento, non era colpa sua, lo sapevo, non aveva scelta, non era giusto avercela con lui eppure non potevo fare a meno di sentirmi come se mi avesse tradita. Io mi fidavo di lui, dipendevo da lui in tutto e per tutto e lui mi stava lasciando al mio destino, non era giusto!
 
Si avvicinò al letto e si sedette in modo da avermi di fronte. Non volevo guardarlo.
 
- Senti, non pensi di stare esagerando? Vado via solo per una settimana, non è mica la fine del mondo. – mi voltai a guardarlo risentita.
 
- Da domani sarò nelle mani di Niji per un’intera settimana, senza di te, e ti sembra che stia ESAGERANDO?! –
 
- Cosa? Che diavolo c’entra Niji? – lo guardai come se mi stesse prendendo in giro. – Allora è questo il problema. – mi rise in faccia ed io spalancai gli occhi. Sapevo fosse uno scimmione insensibile ma deridere il mio terrore, la mia preoccupazione e la mia tristezza era insopportabile.
 
“Questo è troppo! Me ne torno in camera mia!”
 
Feci uno scatto nervoso intenzionata a gattonare verso il bordo del letto e a passare l’ultima notte DA SOLA! Lui mi afferrò per la vita continuando a sghignazzare e mi attirò a sé.
 
- Ma dove stai andando adesso? –
 
- IN CAMERA MIA! LASCIAMI! –
 
- Sta buona. – Strinse più forte per tenermi. – Guarda che Niji parte con me, Ichiji e Reiju domani, andiamo tutti e quattro in missione. – sorrideva ed io mi bloccai. Sentì una scossa attraversarmi il cervello per l’impatto della notizia. Voltai il viso quanto più possibile per poterlo guardare e mi trovai ad un soffio dal suo.
 
- Stai dicendo sul serio? – allargò il sorriso.
 
- Sto dicendo sul serio. – ebbi un impeto di gioia, era meraviglioso! Era una fortuna inaspettata, con tutti i Vinsmoke fuori dai piedi sarebbe stata la mia occasione d’oro per scappare. Non solo non dovevo preoccuparmi più di Niji, avevo tutto il tempo e la libertà di movimento per elaborare un piano ed andarmene, era fantastico! Mi voltai di scatto gettandomi al suo collo, lo abbracciai in preda ad una gioia isterica che facevo fatica a controllare. – Ed io che pensavo che ti dispiacesse che me ne andassi. – sorrideva, ma non provò ad allontanarmi come suo solito, anzi ricambiò il mio abbraccio.
 
- Stupido gorilla, tu non capisci niente di sentimenti! – sorrisi a mia volta - Certo che mi dispiace che te ne vai, ma adesso so che non è la fine. – Quello era solo il principio. Però in effetti… quella era davvero l’ultima volta che lo vedevo, dal momento in cui sarebbe partito non lo avrei rivisto mai più e un po’ mi dispiaceva, il mio entusiasmo iniziò a scemare. Lo strinsi di più, in fondo un po’ mi ci ero affezionata, mi aveva protetta durante quelle settimane ed ora ero io quella che stava per tradirlo. Mi sarebbe mancato. Chiusi gli occhi e lo strinsi forte.
 
- Tra una settimana sarò di ritorno. – mi disse in tono calmo. – Potresti approfittarne per finire la tuta di Niji, così sarà più semplice riuscire a tenerti con me. – mi stavo sentendo uno schifo, lui pensava a come proteggermi al suo ritorno ed io stavo pensando a come abbandonarlo, ma dovevo farmi forza, non avrei avuto una seconda occasione e non potevo restare. Appoggiai la testa nell’incavo del suo collo, non ero pronta a guardarlo, non volevo che mi leggesse tutto dal viso. Potevo immaginare benissimo la sua confusione per questo mio cambiamento, ma credo che anche se fosse stato in grado di capire tutta la gamma dei sentimenti umani non avrebbe mai potuto indovinare quello che stavo provando in quel momento.
 
Non mi ero mai avvicinata a lui così tanto e per così tanto tempo, sentivo il suo profumo, non ci avevo mai fatto caso prima, era davvero buono. Buffo come ci si renda conto di ciò che si ha vicino solo quando si è ad un passo dal perderlo. Mi lasciò starmene lì, senza dire niente, senza fare niente, senza rompere l’incanto. Era la prima volta che lo avvertivo, che sentivo davvero la sua presenza. Il suo corpo era caldo ed iniziavo ad avvertire tutti i dettagli della sua umanità, il petto muscoloso che si alzava ed abbassava ritmicamente seguendo il suo respiro, il suo cuore che batteva forte e regolare. Non mi era mai sembrato reale come in quel momento.
 
Non era come nessuno dei ragazzi che avevo conosciuto fino a quel momento e non saprei dire se fosse un male o un bene. Lo sentì sorridere e mi chiesi quale fosse il filo di pensieri che stesse seguendo la sua mente. Gli poggiai la mano destra sul petto proprio sul cuore e lo sentivo battere forte sotto le mie dita.
 
- Cosa c’è di divertente? – chiesi senza muovermi.
 
- Te lo avevo detto che alla fine saresti caduta tra le mie braccia. – sorrisi a mia volta.
 
- Sei un idiota. –
 
- Un idiota che aveva ragione. – fu un attimo, un solo gesto fluido e alquanto inaspettato e mi ritrovai stesa con il suo sorriso sopra di me. Si passò una ciocca dei miei capelli neri tra le dita mentre mi accarezzava il viso. – Sei così dannatamente bella… - tentò di avvicinarsi ed io chiusi gli occhi e gli poggiai la punta delle dita sulle labbra per fermarlo. Tutto questo era sbagliato, non dovevo lasciarmi distrarre, dovevo rimanere lucida. Lui sarebbe partito ed io sarei scappata, quello che stava succedendo non aveva senso. Non dovevo dimenticare che mi aveva rapita e pestata e che ero ancora in suo possesso. Cedere avrebbe reso solo tutto più difficile e per quanto fosse terribilmente attraente era tutto terribilmente sbagliato.
 
Lui rimase fermo, gli occhi azzurri fissi su di me, non diede di matto, non si arrabbiò, restò fermo qualche secondo senza mai smettere di fissarmi, sorridendo, poi mi baciò le dita, il palmo della mano e scese lungo il polso, mi dava i brividi e non gli stessi di Niji, questa non era paura, era altro ed una volta tanto sembravo io a non capire cosa stessi sentendo. Poggiò la mia mano sul cuscino, di fianco alla mia testa e la teneva serrata nella sua. Iniziavo a sentire una gran confusione dentro, come se avessi messo tutti i miei pensieri in una beuta con un agitatore magnetico. Stavo perdendo lucidità, dovevo fermarlo finché ne sarei stata capace o sarebbe stato troppo tardi.
 
Si avvicinò a me finché i nostri visi non si sfiorarono, sentivo la solidità del suo corpo contro il mio, le sue labbra erano ad un soffio dalle mie. Nella mia testa risuonava forte il campanello di allarme. Dovevo fermarlo!
 
“Fermalo!”
 
- Yonji… - non dovevo! Non dovevo! - … ti prego… - dissi praticamente in un sospiro.
 
“Complimenti! Davvero molto convincente!”
 
Lo sentì sorridere ma non si allontanò di un millimetro.
 
“Questo non va bene! Questo non va affatto bene!”
 
Non riuscivo ad articolare una frase di senso compiuto, ma cosa mi stava succedendo?! Dov’era finita tutta la mia tenacia, tutta la mia combattività? Perché non riuscivo a fare altro che restarmene lì a fissare il suo sorriso con il respiro accelerato? Le sue labbra sfiorarono le mie ed un brivido mi scosse. Era troppo tardi.
 
- Yonji… avevi promesso… che… - niente, la mente era completamente sconnessa, non ricordavo neanche più cosa avesse promesso.
 
- Oh, al diavolo! – lo sentì dire prima di poggiare le labbra sulle mie e baciarmi. Nessuno mi aveva mai baciata prima, nessuno si era mai avvicinato a me così tanto, non lo avevo mai permesso. Potevo fermarlo, se glielo avessi chiesto, se lo avessi respinto… solo che non volevo. A dire il vero non sapevo neanche io cosa volevo in quel momento, sapevo di star commettendo un grave errore, mio padre e Marla sarebbero stati molto delusi, mi avevano cresciuta inculcandomi l’idea che fosse sbagliato, con un Vinsmoke poi, un comandante del Germa 66. Mi sentivo in colpa, tremendamente in colpa perché non volevo che si fermasse.
 
Gli portai il braccio libero tremante sulla spalla e poi dietro la nuca e lo sentì sorridere sulle mie labbra prima di baciarmi di nuovo con più foga di prima. Se fino a poco prima avevo avuto i pensieri ingarbugliati, in quel momento la mia mente razionale si era completamente disconnessa lasciando spazio ad una parte di me che non sapevo di avere. Non so se avrei potuto fermarlo, forse sarebbe stato impossibile, ma quando iniziò a baciarmi il collo fui abbastanza sicura di non avere nessuna intenzione di volerlo scoprire. Rabbrividì, era la prima volta che qualcuno mi facesse rabbrividire in quel modo.
 
Accarezzò con il dorso delle dita la tempia, scendendo lungo lo zigomo, la guancia, il collo, lasciando brividi al suo passaggio. Sfiorò con la mano la mia silhouette seguendo il profilo del seno e la curva ad S sella vita e dei fianchi. Il respiro mi era diventato terribilmente irregolare e sentivo il cuore martellarmi nelle orecchie. Fermò la mano proprio dove finiva la camicia da notte e si fermò un attimo ad osservarmi sorridente, da quel momento non si tornava più indietro, ma in fondo lo sapevo che era già troppo tardi. Mi sollevai un po’ e lo baciai, aveva vinto ma non credevo che la sconfitta potesse essere così piacevole.
 
Assaporò la vittoria sulle mie labbra con passione, non era un uomo abituato a trattenersi, ad aspettare, ad essere paziente, era abituato a prendersi ciò che voleva. Si sollevò un po’ per liberarsi della maglietta e mi ritrovai davanti quel fisico perfetto e statuario, credo di non aver mai visto niente di simile in vita mia. Tornò su di me per baciarmi ancora ed io iniziavo ad essere terrorizzata, non osavo toccarlo. Lui se ne rese conto e mi passò una mano dietro la schiena per tirarmi su di scatto, costringendomi così a posargli le mani sulle spalle e sul petto muscoloso. Aveva un fisico straordinario di cui era pienamente consapevole. Sentivo la punta delle dita formicolare dal bisogno di toccarlo, di esplorare ogni centimetro di petto, addominali, spalle, schiena.
 
Lui mi lasciò fare spostando le labbra sul mio corpo, così come le bretelle della camicia da notte, ormai completamente calate lungo le braccia. Aveva fatto uno sforzo, si era trattenuto ancora per darmi tempo, per far sì che non mi facessi prendere dal panico e ci ripensassi perché lui non avrebbe più potuto fermarsi, neanche se glielo avessi chiesto. Ed ora non poteva più trattenersi, lo sentivo dai suoi baci, sempre più aggressivi, dalle sue mani che esploravano e stringevano la mia pelle possessive. Era stato calmo quanto più aveva potuto ma ormai anche il suo di respiro iniziava ad essere accelerato, era al limite, non poteva darmi più tempo.
 
Mi spinse giù bruscamente e si slacciò la sua fibbia preferita per liberarsi di pantaloni ed intimo. Era bellissimo, neanche la statua di un dio sarebbe stata così perfetta. Mi strappò letteralmente la camicia da notte e l’intimo di dosso e non ebbi neanche il tempo di imbarazzarmi, fu un attimo, un solo attimo e sentì esplodere dentro di me la sensazione più intensa che avessi mai provato in vita mia, al limite tra il dolore ed il piacere, talmente intensa da farmi inarcare e strappare un gemito. Neanche nelle mie fantasie più sfrenate avrei mai potuto immaginare cosa si provi in quel momento.
 
Lo stesso gemito scappò anche a lui a riprova del fatto che non ero la sola a provare quelle sensazioni. Iniziò a muoversi, poderose stilettate che mi fecero temere che mi avrebbe fatto a pezzi, poi il dolore iniziò a sparire, il mio corpo iniziava ad abituarsi al suo ed anche lui doveva essersene accorto perché il ritmo cambiò diventando più frenetico e più possente, non lasciava tregua, non lasciava respiro, il cuore mi pulsava nelle orecchie e nel petto, sembrava sul punto di esplodere, la testa mi ronzava, sentivo una sensazione fortissima che si era impadronita di me e che non riuscivo a gestire.
 
Artigliai la sua schiena con tutte le mie forze, ne volevo ancora, sebbene ciò che sentissi fosse devastante. La mia mente era scivolata alla deriva, credevo che quella sensazione potesse farmi impazzire, ma era straordinaria e più si intensificava più ne volevo. Crebbe a tal punto che ad un certo punto la sentì esplodere con una potenza inimmaginabile. Inarcai la schiena ed urlai artigliando lui quanto più forte potessi. Lo sentì gemere in risposta, abbassando la testa. Il super-uomo aveva il fiatone, io mi sentivo invece un uovo strapazzato e sentivo ancora nel ventre l’eco di quell’esplosione di piacere che mi aveva fatto urlare. Lo vidi sorridere prima di sollevare la testa a guardarmi.
 
- Sei ancora tutta intera? –
 
- Non lo so. – avevo il fiatone ed ero ancora scossa da brividi di piacere, speravo solo di non star sbavando.
 
Sbuffò un sorriso e si tolse di dosso. Doveva essere più o meno così andare a letto con una divinità. Boccheggiavo cercando di ritrovare un ritmo normale per cuore e respiro, ero distrutta e… straordinariamente appagata. Mi tremavano le gambe e le braccia per l’intensità di quel rapporto e non ero sicura di riuscire ad alzarmi più, mi sentivo una gelatina informe. Lui si stese al mio fianco e mi attirò a sé cingendomi in un abbraccio, la solidità del suo corpo fu di grande aiuto visto che la mia sembrava inesistente in quel momento.
 
- Per essere una ragazzina gracilina e delicata alle prime armi te la sei cavata bene. – mi canzonò. Normalmente lo avrei colpito o gli avrei risposto a tono ma ero troppo esausta e scombussolata per mettere in opera un pensiero razionale.
 
- Grazie… - mi limitai a rispondere solo questo facendolo ridere.
 
- Posso fare di meglio sai? –
 
Cercai di alzare il viso per fissare sul suo volto compiaciuto due enormi e stralunati occhi sgranati color ghiaccio.
 
- Di meglio?! – la mia espressione lo fece ridere.
 
- Ovviamente. Non ho voluto esagerare. Magari la prossima volta. –
 
- La prossima volta?! – sembravo un’ebete.
 
- Ti ho ridotta peggio di quanto pensassi. – rise parecchio soddisfatto. – È un bene che io stia via una settimana, così potrai riprenderti. – per fortuna ero ancora troppo sconvolta per cui non riuscì a leggere sul mio volto il mio piano di fuga. Non ci sarebbe stata una prossima volta, quella era stata la prima e sarebbe stata anche l’ultima. Appoggiai la testa sul suo petto, volevo solo dormire. – Lo avevo capito che ti piacevo, sai? – gli feci un verso interrogativo, ero troppo stanca per rispondere. – Lo vedevo ogni volta che mi guardavi o mi avvicinavo. – gli risposi con un verso di assenso ma ormai ero più nel mondo dei sogni che in quello della veglia.
 
Mi risvegliai qualche ora dopo, ancora tra le sue braccia, la mente era tornata a funzionarmi lucidamente. Che diavolo avevo fatto?! Era stato straordinario e lo avevo voluto ma come diavolo avevo potuto volerlo?! Santo cielo era un Vinsmoke ed io ero… maledizione! Percepì che mi ero svegliata e mi strinse di più a sé, era piacevole, lo ammettevo, ma proprio quello era il problema. Non poteva funzionare, non c’era nessun modo in cui avrei potuto vivere felice e contenta tra le braccia di uno come lui, un Vinsmoke, un comandante dei Germa 66, un principe, un uomo senza alcuni dei sentimenti che più contano.
 
Avevo sbagliato ma non sarebbe successo mai più perché presto sarei andata via. Ero stata debole perché pensavo di non rivederlo più, perché… mi ci ero affezionata. Ma cose di questo genere peggiorano solo la situazione. Mi voltai di lato per provare a divincolarmi e svignarmela.
 
- Già sveglia? – mi bisbigliò all’orecchio senza ricevere alcuna risposta. – Forse non sono stato bravo quanto credevo. – lo sentì sorridere vicino al mio orecchio ed il contatto con le sue labbra ed il suo respiro mi diedero i brividi. Mi strinse di più a sé e sentì che era piuttosto propenso a fare un altro tentativo, cosa che assolutamente non avrei permesso, primo perché non dovevo assolutamente ripetere quello sbaglio e secondo perché il mio fisico non avrebbe retto ad un secondo round.
 
- Non credo di poter resistere ad un altro giro, era… la mia prima volta… mi serve tempo. – Espirò rassegnato.
 
- E va bene, vuol dire che se ne parlerà al mio ritorno. – si sistemò meglio vicino a me, ma io rimasi immobile. – Non aver paura. Farò in modo che Niji non possa farti del male. –
 
- Come? –
 
- Mi inventerò qualcosa, te lo prometto. – mi baciò la testa. Avrei voluto credergli e restare lì, ma non potevo, dovevo andarmene. Mi voltai verso di lui per guardarlo.
 
- Yonji… - mi rivolse un verso interrogativo. - … mi mancherai. – era vero e più definitiva di quanto lui immaginasse come affermazione.
 
- Anche tu. – Non intendevamo quel sentimento allo stesso modo, ma apprezzavo il tentativo. Mi fece appoggiare sul suo petto cingendomi con un braccio. – Ma ora ho una nuovissima e super tecnologica Raid Suit, vedrai che farò in un lampo e tornerò prestissimo. –
 
“E non troverai nessuno al tuo ritorno…” ero triste, mi dispiaceva sul serio lasciarlo.
 
- Andiamo, non fare quella faccia, resterò qui ancora per qualche ora e non voglio vederti con quell’espressione, non dopo stanotte, potrei pensare che non ti sia piaciuto. – mi sorrise compiaciuto ed io ricambiai.
 
- È vero, resterai ancora per qualche ora, non voglio essere triste. – avrei avuto tutto il tempo poi. Sospirai e mi accoccolai sul suo petto. Ormai il danno era fatto, tanto voleva godermelo fino in fondo.
 
Il tempo passò ad una velocità impressionante, appena un battito di ciglia ed era già ora di prepararsi alla partenza e sentivo di non essere ancora pronta a quel momento, ormai avevo atteso per due settimane l’occasione di scappare, qualche altro minuto non avrebbe cambiato niente. Stavo facendo del mio meglio per nascondere quello che provavo, se avesse intuito i miei piani sarebbe stato un disastro. Sfruttai la necessità di dovermi lavare e vestire per tornarmene in camera mia in modo da lasciargli libera la doccia della sua camera. Quando mi guardai allo specchio avevo un aspetto davvero allarmante. Sembravo una pazza! I capelli erano un groviglio spaventoso ed avevo gli occhi leggermente cerchiati, avevo dormito davvero poco ed ora che lo notavo iniziavo a vedere dei leggeri aloni sulla mia pelle bianca, c’era da aspettarselo che con la sua forza qualche livido me lo lasciasse, il fatto è che non ricordavo minimamente di quando potesse avermeli procurati. Decisi di non pensarci e di procedere con i preparativi.
 
Quando uscì dalla mia camera ero tornata ad essere presentabile, indossavo un bell’abito e sorridevo come un’idiota, era stupido, ma mi sentivo come se avessi dovuto dimostrare qualcosa, come se avessi dovuto convincerlo che ne valevo la pena. Sciocco, stava per andarsene, non lo avrei più rivisto, cosa importava quello che pensava. Chiusi la porta sovrappensiero e quando mi voltai per poco non mi venne un infarto visto che mi ritrovai davanti Niji.
 
- Ti ho spaventata? Ero solo passato a salutarti. –
 
“Che carino!” pensai acidamente.
 
- Tra poco partiremo, sembra lo facciano apposta a tenerci separati, ma non preoccuparti, tornerò quanto prima e sarai tutta mia. – un sorriso disgustoso.
 
“Certo! Come no! Continua a crederci!”
 
Cercai di sorpassarlo ma poggiò la mano contro il muro o sarebbe meglio dire che colpì il muro a poca distanza dal mio viso e dovetti fermarmi per forza.
 
- Hai qualcosa di diverso questa mattina. – osservò lui. – Che cosa ti è successo? – glielo avrei detto solo per vederlo mangiarsi il fegato e dopotutto cosa mi importava, stavo per andarmene, Niji non sarebbe mai più stato un problema mio. Gli sorrisi sfacciata.
 
- Non lo indovini? – la sua espressione cambiò completamente e non fu difficile leggerne le intenzioni. Era furioso ed io terrorizzata e al contempo soddisfatta.
 
“Ti sta bene! Maledetto sadico bastardo!”
 
- Come ha potuto?! Avevamo detto di non romperti. –
 
“Ti sarebbe piaciuto arrivare per primo, mi fai schifo!” sorrisi soddisfatta e questo lo fece infuriare, si preparò a colpirmi, ma una volta tanto ne valeva la pena.
 
- Questo si che è un miracolo! Sei già pronta e non devo aspettare due ore. – Yonji. Guardai Niji con arroganza e sorridendo.
 
“Colpiscimi adesso bastardo, se hai il fegato.”
 
- Oh ci sei anche tu fratello. Guarda che spettacolo la mia nuova tuta! – in effetti era meravigliosa, nera e verde, aderiva perfettamente al suo corpo, gli stivali finalmente non facevano quell’orribile suono quando camminava, in realtà non emettevano nessun suono, ed anche il mantello era stato rinnovato e potenziato. Niji guardò infastidito il fratello per l’ennesima interruzione.
 
- Meravigliosa! – disse acidamente facendo ridere il bestione.
 
- Sarà meglio che andiamo o partiranno senza di noi. –
 
- Ne dubito. – era furioso ed io ero decisamente contenta, mi chiesi come avrebbe reagito se fossi saltata addosso al bestione proprio in quel momento, ma non era il caso di sfidare la sorte in quel modo, mi limitai a provare a sorpassarlo di nuovo per seguire Yonji che si era già avviato. Niji mi afferrò per un braccio.
 
- Riprenderemo il discorso al mio ritorno, e stavolta nessuno ci interromperà più. – strinse fino a farmi male per sottolineare il concetto. Feci una smorfia di dolore e lo guardai male e lui finalmente ritrovò il sorriso. Ebbi un brivido al pensiero di cosa la fantasia gli stesse suggerendo in quel momento. Mi lasciò andare ed io mi affrettai a raggiungere Yonji. Gli occhi di Niji mi perforarono la schiena per tutto il tragitto.
 
Arrivati ad un certo punto il bestione rallentò il passo per permettere a Niji di superarci, ormai eravamo praticamente arrivati a destinazione.
 
- Allora, ascoltami! – iniziò lo scimmione con un tono di voce piuttosto alto in modo che anche il fratello riuscisse a sentirlo. – Quando partiamo, di solito, c’è una specie di parata, quindi io ora vado con i miei fratelli e tu devi raggiungere l’altro estremo dello spiazzo e posizionarti vicino a mio padre… - mentre mi parlava teneva gli occhi inchiodati sul fratello ed io feci altrettanto per capire cosa stesse guardando. Appena chiuse la porta si interruppe e mi afferrò trascinandomi dietro l’angolo, mi sollevò come fossi senza peso, con le spalle contro il muro e mi baciò possessivo, come a rimarcare la proprietà su di me.
 
- Questa è l’ultima occasione per salutarti, dopo non potrò farlo. Ti ha fatto del male? –
 
“Non quanto io ne ho fatto a lui!”
 
Scossi la testa. – No, non mi ha fatto niente. – sorrise e tornò a baciarmi, gli misi le braccia intorno al collo, infilando le mani tra i capelli verdi. Mi baciò con una tale intensità che ebbi quasi la sensazione che volesse tornare in camera, ma i suoi obblighi erano più forti di tutto e alla fine fu costretto a fermarsi appoggiando la fronte contro la mia per frenare l’istinto.
 
- Tornerò presto. – disse solo.
 
- Lo so. – non riuscì a controllare il tono della mia voce, ancora sconvolta da quel bacio e lui si scostò leggermente per guardarmi, aveva capito che qualcosa non andava ma la voce dei suoi fratelli che lo chiamavano lo obbligarono a mettermi giù e lasciarmi andare. Mi seguì con lo sguardo finché poté, poi raggiunse i fratelli.
 
La parata militare per la partenza dei principi a cui fummo tutti “gentilmente” invitati a partecipare cominciò. I militari che non partivano con i loro comandanti erano disposti lungo due file a formare una sorta di corridoio in cui i principi potessero passare, seguiti dall’esercito che li avrebbe accompagnati. Il padre ed io li aspettavamo alla fine del corridoio. Potevo vederli avanzare sorridenti, scherzando tra loro. Portai involontariamente lo sguardo sul ragazzo dai capelli verdi ed incrocia il suo scoprendo che anche lui non mi staccava gli occhi di dosso mentre continuava a scherzare con i suoi fratelli.
 
Il padre li salutò pomposamente con un discorso di incoraggiamento e augurandogli la buona sorte, scoppiava di orgoglio per i suoi ragazzi. Vidi salire il bestione insieme a sua sorella su una delle due navi mentre Niji e Ichiji salivano sull’altra. Restarono a guardare nella nostra direzione finché fu loro possibile. Non pensavo che mi sarebbe dispiaciuto così tanto vederlo andare via, cercai di imprimermi nella mente quell’ultima immagine di lui, sulla gigantesca nave Germa, che si allontanava.
 
- Vostra maestà. – dissi in tono asettico, mi sentivo terribilmente vuota. Judge si voltò verso di me per ascoltarmi, non riuscivo a smettere di fissare il punto in cui lo avevo visto sparire. – Chiedo il permesso di accedere ai laboratori di Niji per iniziare a lavorare alla sua Raid Suit in modo che sia pronta al suo ritorno. –
 
- Devo dirtelo Signorina Lea, mi hai stupito. Sei stata molto collaborativa ed hai ottenuto straordinari risultati. –
 
- La ringrazio, spero di continuare a non deluderla. – la mia voce era atona e priva di emozioni, ma dentro di me stavo scoppiando in lacrime.
 
- Hai il mio permesso per accedere ai laboratori di Niji, ma durante l’assenza dei ragazzi pranzerai e cenerai con me tutti i giorni per aggiornarmi sul tuo lavoro e sui tuoi progressi. –
 
- Come desiderate vostra maestà. Con permesso. – raccolsi tutte le mie forze per restar salda e non crollare e mi congedai avviandomi verso i laboratori di Niji. Avevo elaborato un piano. Durante quella settimana avrei lavorato alla tuta di Niji ed essendo l’elettricità il suo punto forte ne avrei approfittato per realizzare un congegno per testare la sua Raid Suit. Con la scusa di aumentare il voltaggio e l’intensità della corrente generate e sopportate dalla tuta avrei realizzato un congegno che mi avrebbe consentito di mandare il cortocircuito il regno di Germa per un tempo sufficiente a consentirmi di raggiungere una nave, riattivare la corrente e scappare.
 
Avevo un solo tentativo a disposizione, se avessi fallito e mi avessero scoperta mi avrebbero uccisa. Non potevo sbagliare, non stavolta.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Cortocircuito ***


Fu una settimana davvero molto impegnativa, avevo lavorato alla Raid Suit numero due, cenato con il re, tentando di convincerlo della validità del mio lavoro, e costruito il mio congegno. Più di una volta avevo fatto saltare la corrente ed ogni volta il raggio d’azione era un po’ più ampio e la durata del blackout un po’ più lunga della precedente. Doveva essere tutto perfetto, non dovevano esserci errori. Durante il giorno ero completamente concentrata sul lavoro e non riuscivo a pensare ad altro se non alla mia fuga, sebbene non mancassero le volte in cui mi voltavo a cercare qualche attrezzo aspettandomi di trovare un bestione sorridente dai capelli verdi pronto a passarmi ciò che mi serviva. Tuttavia il momento più duro era senza ombra di dubbio la notte, quando restavo sola con i miei pensieri ed iniziavo ad avvertire la sua mancanza, non credevo sarebbe mai successo, non a me, non con lui.
 
Quello che era successo tra noi si era impresso nella mia mente come un marchio ed anche dopo cinque giorni continuava ad essere così vivido da sembrare reale. Mi capitava di sentire le sue labbra sulle mie o di sentire i polpastrelli formicolare per il bisogno di toccarlo. Alcune notti mi ero svegliata di soprassalto in un bagno di sudore e con il respiro corto, con la sensazione che lui fosse lì, sopra di me. Mi sembrava di impazzire, mi sembrava di essere andata in cortocircuito da quella notte. Nella testa continuavano a vorticarmi le sue parole, sarebbe tornato e mi avrebbe tenuto con sé. Mi sentivo una stupida a pensarci, probabilmente per lui era stata una notte come tante altre, probabilmente neanche particolarmente interessante visti gli standard a cui era abituato di solito. Probabilmente mi aveva già sostituita e dimenticata.
 
Uno come lui non era in grado di amare e la cosa più stupida che si potesse fare era innamorarsi di uno così e credere alle sue parole. Mi aveva voluta solo perché non mi aveva avuta ancora, ora le cose erano cambiate, si era tolto lo sfizio e non gli sarebbe importato più niente di me, mi avrebbe dimenticata, gettata via come un giocattolo con cui si era stancato di giocare e per me ci sarebbe stata solo la follia di Niji ad attendermi. No, non potevo vacillare, non potevo avere ripensamenti o esitazioni. Era stato bello ma dovevo sforzarmi di considerare chiuso il capitolo.
 
La tuta di Niji era praticamente ultimata, avevo dato tutti i progetti agli scienziati Germa in modo che la ultimassero loro mentre io mi dedicavo al mio dispositivo. Era il sesto giorno da quando i ragazzi erano partiti ed era arrivato il momento che anche io facessi altrettanto, avrei ultimato il congegno e sarei fuggita quella stessa notte, dirigendomi con la nave in direzione opposta a quella da cui sarebbero rientrati i Vinsmoke. Nessuno avrebbe dubitato visto che con la scusa della tuta di Niji si erano abituati ai continui ed improvvisi blackout.
 
Quando mi svegliai di soprassalto per l’ennesimo sogno in cui il dannato bestione dai capelli verdi mi faceva sua, decisi di averne avuto abbastanza. Scesi dal letto, mi vestì alla meno peggio con abiti comodi e me ne andai in laboratorio. Mancava poco all’alba ed il regno non si era ancora messo in moto, il laboratorio era vuoto e terribilmente tranquillo, il posto ideale dove potersi calmare. Sbadigliai stiracchiandomi e mi misi subito all’opera e come sempre il lavoro ebbe un effetto calmante, ora dovevo solo cercare di mantenere quella calma fino al momento della fuga e soprattutto cercare di non avere ripensamenti.
 
Stavo lavorando già da un bel pezzo quando sentì la porta aprirsi alle mie spalle, la solitudine era finita.
 
- Finalmente! Stamattina ve la siete presa comoda! Dobbiamo finire la tuta in tempo e non posso fare tutto da sola! – ormai comandavo a bacchetta quei poveri uomini che mi temevano quasi quanto i loro padroni. Ovviamente non avevano paura di me ma dei principi, temevano solo che io potessi lamentarmi con loro circa il loro operato. Devo dire che questa situazione mi faceva davvero comodo.
 
- Quando mi hanno detto che eri qui non potevo crederci. – sgranai gli occhi e sbiancai, lasciai cadere l’attrezzo che stavo usando. – Vedo che anche tu sei felice di vedermi, non sai quanto abbia aspettato questo momento. – non riuscivo a respirare. Cosa diavolo ci faceva lui qui?! Sarebbe dovuto tornare il giorno successivo. Mi voltai lentamente e quasi ebbi un mancamento. Niji, sotto l’arco della porta del suo laboratorio, ad occupare l’unica uscita da quella stanza.
 
- Dov’è Yonji? – chiesi con la voce che iniziava a tremare.
 
- In viaggio, non è ancora tornato. – entrò nella stanza ed io indietreggiai fino ad urtare il tavolo olografico alle mie spalle. Era inutile indietreggiare, non avevo via di fuga. – Non preoccuparti, ci penserò io a tenerti compagnia, in fondo abbiamo ancora una conversazione in sospeso noi due. – Chiuse la porta del laboratorio alle sue spalle. Anche se Yonji fosse arrivato, non c’era modo di aprire quella porta senza autorizzazione, non poteva aiutarmi, eravamo solo io e lui in una stanza sigillata.
 
Avanzò nella sala con calma, quasi evitandomi, si vedeva che non aveva nessuna fretta, nessuno lo avrebbe disturbato stavolta. Reincapsulò la sua vecchia tuta tornando a vestire i suoi soliti abiti, pantalone scuro, camicia bianca a maniche lunghe, cravatta allentata blu.
 
- E così sei andata a letto con mio fratello. Dimmi, ti è piaciuto? – non risposi, non avrei fiatato. Mi limitavo a tenergli gli occhi incollati addosso mentre si rimboccava le maniche. Era meno grosso di Yonji e un po’ meno alto ma era comunque molto più alto e forte di me. – Non te ne faccio una colpa sai, sei umana, tendi ad essere imperfetta per natura, tu non sei come noi. – spostai lo sguardo sulla porta chiedendomi che possibilità avessi di raggiungerla, riuscire ad aprirla e scappare. – Cosa c’è? Vuoi già andare via? – intercettò il mio sguardo. – Ma stiamo solo conversando, non ho neanche ancora cominciato a farti delle domande, non abbiamo ancora iniziato a divertirci. – ero piuttosto sicura di non volere iniziare. – Non sei curiosa di scoprire se sono meglio di lui? – ero piuttosto sicura anche di non volerlo sapere.
 
Mi sorrise e mi indicò la porta con un invito, come se volesse darmi il permesso di andarmene, solo che non ero stupida, avrei fatto esattamente il contrario di ciò che mi suggeriva. Mi voltai di scatto cercando di afferrare il guanto della sua nuova Raid Suit, era il momento di testare la potenza della sua scarica elettrica su di un super-uomo. Fu veloce, velocissimo, un vero e proprio lampo, mi afferrò per la testa e spinse giù con forza fino a farmela sbattere contro il tavolo. Continuò a tenermi la testa premuta contro il piano per non farmi muovere. Per fortuna avevo impattato con la guancia o mi avrebbe di sicuro rotto il naso.
 
- Cosa volevi fare? Attaccarmi? Pensi di poter essere in grado di reagire ad uno come me? – premeva con forza la mia testa al tavolo, credevo l’avrebbe fatta esplodere sotto le sue mani. – È divertente che tu lo creda e che ci provi. Mi piacciono molto di più quelle che reagiscono. – Mi lasciò andare la testa, mi faceva davvero male ed ero stordita per l’impatto. – Voglio farti qualche domanda, ma prima di iniziare voglio rivelarti un mio segreto. – Mi afferrò il braccio e me lo torse dietro alla schiena poi si avvicinò al mio orecchio per sussurrarmelo e mi diede i brividi, ma stavolta era terrore, niente a che vedere con quelli che mi dava Yonji.
 
- Mi eccita tantissimo sentire le donne urlare, piangere, supplicare e disperarsi. E spero che tu non mi deluderai. – un po’ per il colpo alla testa e un po’ per la confessione ma mi veniva da vomitare. – E con te mi impegnerò parecchio per rendere l’esperienza indimenticabile. Adesso sei tutta mia e nessuno verrà a salvarti. – quello che era peggio è che aveva ragione, ma mi sarei impegnata a tenere la bocca chiusa, se si aspettava collaborazione da me poteva scordarselo.
 
Mi tirò su senza però lasciarmi andare il braccio, sempre restando dietro di me. Alzarmi così di scatto mi fece girare la testa, mi veniva da vomitare.
 
- Chi sei tu? – serrai le labbra. – Guarda che non rispondendo rendi solo tutto più divertente. – non gli risposi. Mi voltò di scatto e mi diede uno schiaffo talmente forte da spaccarmi il labbro, colpendo lo stesso punto che aveva impattato contro il tavolo. Persi l’equilibrio e dovetti aggrapparmi al tavolo olografico per non cadere. – Vogliamo riprovare? Chi sei tu? – cercai di afferrare qualcosa da poter usare contro di lui, qualsiasi cosa, ma lui mi vide e mi colpì di nuovo, stavolta facendomi finire a terra insieme a quello che c’era sul piano olografico. – Non ho nessuna fretta, prenditela con calma. Posso continuare per tutto il giorno. Allora, chi sei tu? –
 
- Lea… - risposi sputando il sangue che avevo in bocca. – Lea Vincius. – mi arrivò un calcio nello stomaco che mi tolse il fiato.
 
- Riprova. –
 
Cercai di riprendere fiato e sollevarmi sulle braccia. – L… Lea… Lea Vin… - mi arrivò un altro poderoso calcio che mi fece impattare contro il tavolo ribaltato. Iniziavo a sentire male ovunque e mi mancava l’aria. Tossivo in cerca di aria. Lui si accovacciò vicino a me.
 
- Vorrei dirti che mi dispiace a farti tutto questo, ma non è così. – fingeva rammarico, ma ero sicura non avesse quel sentimento nel suo bagaglio di emozioni, mi stava solo prendendo in giro. – Vuoi che cambiamo un po’ domanda mentre pensi a chi sei? – mi portai una mano allo stomaco, mi faceva proprio male.
 
- Tanto non te lo dirò… - avevo il fiato corto. – Puoi picchiarmi fino a farmi perdere conoscenza… ma non l’ho detto a lui… cosa ti fa credere che lo dirò a te? – si accigliò, lo avevo infastidito. Mi colpì di nuovo al viso poi tornò a sorridere.
 
- Perché io sono migliore di lui, in tante cose. – Si rialzò in piedi. – Non ti lascerò andare via di qui senza ottenere quello che voglio da te, tutto quello che voglio da te. Tieni i tuoi segreti quanto vuoi ma alla fine parlerai. –
 
- Tuo padre vi ha ordinato di non “rompermi”. –
 
- Ti ha già rotta Yonji, senza tra l’altro ottenere niente, per lo meno io otterrò qualcosa. – riprese a prendermi a calci, ancora e ancora e ancora, sentivo un dolore fortissimo, non riuscivo a raddrizzarmi, me ne stavo a terra raggomitolata su me stessa. – Perché non ti decidi a urlare?! – non gli avrei dato soddisfazione, ma stavo soffrendo parecchio. Mi afferrò per il collo per tirarmi su e sentì come uno strappo nel fianco che quasi mi fece perdere conoscenza. – Adesso ci penso io. Quando avrò finito con te mi dirai tutto quello che voglio sapere e nel frattempo urlerai parecchio. – Mi sbattè su di una superficie di appoggio in modo che fossi piegata in avanti, con la guancia ferita premuta sulla superficie e lo sentì strapparmi il vestito.
 
- Lasciami! Ti prego! – iniziavo a piangere ed ero tutta un dolore, stavo malissimo.
 
- Lo vedi che inizi già a migliorare? Allora, me lo dici chi sei? – stava trafficando con la fibbia della cintura mentre mi teneva ferma. Iniziai a provare a dibattermi, ma le fitte al fianco mi toglievano il respiro e quasi mi facevano perdere conoscenza. La testa mi ronzava. Provai in tutti i modi a dibattermi ma era impossibile, per fortuna lui era occupato a trafficare con i suoi pantaloni e non si era reso conto che con la punta delle dita ero arrivata al guanto della sua Raid Suit. Fu un’esplosione pazzesca che scaraventò lui attraverso la porta e me a terra, facendo saltare ovunque la corrente. Cercai di rimettermi in piedi come meglio potevo, non riuscivo a restare dritta e mi costava una gran fatica non svenire e non vomitare.
 
Uscì da quel maledetto laboratorio. Il colpo era stato fortissimo, non riuscivo a vedere dove lo avesse sbalzato e non mi importava, dovevo allontanarmi di lì prima che tornasse a prendermi. Niji aveva ragione, avrebbe continuato così anche per giorni, fino a farmi confessare, fino a prendersi tutto quello che voleva, fino a distruggermi completamente e dopo lo scherzetto del guanto sarebbe stato anche peggio. Il mio piano di fuga era saltato, le mie speranze erano saltate, ero a pezzi sia fisicamente che psicologicamente. Ed in quell’istante mi tornò alla mente l’unico consiglio che in quel momento mi sembrasse sensato.
 
Mi sforzai di mettere un piede dietro l’altro per trascinarmi, camminavo piegata con le mani strette sul fianco ed il lato sinistro del volto gonfio e tumefatto, i vestiti strappati e sporchi di sangue. Non mi aveva ancora inseguita, sapeva bene che non potessi scappare e non potessi nascondermi e d’altronde così ridotta dove potevo andare? Mi avrebbe ripresa con calma e trascinata indietro nel suo palazzo per seviziarmi. Per lui era solo un gioco e più avessi avuto la sensazione di averla scampata più si sarebbe divertito nel riacciuffarmi. Si sbagliava, avevo ancora un’alternativa, l’ultima carta da giocare. Fu davvero estenuante trascinarmi a destinazione, più di una volta ero sul punto di perdere conoscenza ma avevo tenuto duro e resistito ed ora ero lì, sulla torre più alta di Germa.
 
Respiravo a fatica ed il dolore mi stava facendo impazzire. Guardai dritto davanti a me, era una bellissima giornata ed il regno era davvero meravigioso da quella prospettiva. Mi trascinai sul bordo, non stavo piangendo, cercavo solo di continuare a respirare. C’era un bel venticello piacevole. Cercai di espirare e calmarmi, solo un passo e sarebbe tutto finito, addio dolore, addio paura, addio segreti, addio tutto, solo pace.
 
- Ma che diavolo ci fai qui sopra? Ti ho vista da lontano che venivi in questa direzione, si può sapere cosa stai combinando? – la voce di Yonji, l’avevo sentita così tante volte nei miei sogni che non sapevo se fosse reale o fosse la mia mente a suggerirmela prima della fine, mi voltai con le lacrime agli occhi o almeno ci provai perché una fitta al fianco mi fece mettere il piede in fallo ed iniziai a precipitare nel vuoto. L’ultima cosa che vidi fu la sua capigliatura verde, corta e spettinata, poi solo il cielo sul regno di Germa. Sembra assurdo, ma chi non ci è passato non lo può sapere, il momento in cui ci si sente più vivi in assoluto è quello in cui si sta per morire. Percepì una fortissima scossa di adrenalina, non la pace e la serenità che mi aspettavo ma solo la pura e semplice voglia di vivere, di vedere ancora una volta quegli occhi azzurri e stringerlo a me. Chiusi gli occhi preparandomi all’impatto, distrutta dalla consapevolezza di non avere più tempo.
 
Sentì un gran rumore dal basso, come se il lastricato di pietre sotto di me si sgretolasse per l’impatto con qualcosa di molto pesante. Il contraccolpo si riverberò in tutte le ossa del mio corpo accentuando il dolore al fianco. Quando aprì gli occhi non stavo morendo, non ero stata io a schiantarmi ma Yonji. Era saltato dietro di me e mi aveva afferrata al volo prima che potessi sfracellarmi al suolo. L’atterraggio formò un cratere sul lastricato, sotto i suoi piedi, dovuto alla violenza dell’impatto.
 
- Ma vuoi stare un po’ più attenta?! Che diavolo ci faceva li su un’imbranata come te? Se non fossi arrivato in tempo saresti… - solo in quel momento si rese conto delle mie condizioni e prese a guardarmi allarmato. – Che cosa ti è successo? – scoppiai a piangere sul suo petto stringendo convulsamente la tuta, tremavo e singhiozzavo. – È stato Niji? – al solo sentirlo nominare mi venne una crisi isterica ed iniziai a tremare senza freno con il viso tumefatto nascosto sul suo petto.
 
Non mi mise giù. Non cercò di calmarmi. Non cercò di scusarsi o giustificarsi. Non disse niente. Solo mi strinse a sé delicatamente, provando a non farmi ulteriormente male e si incamminò. Non vidi la strada, non riuscivo a fermare la crisi che stavo avendo. Mi portò al chiuso, non so dove, ma quando sentì quella voce agghiacciante per poco non mi sentì male. Mi strinsi a lui convulsamente piangendo a dirotto.
 
- Ecco dove eri finita! Ti ringrazio per avermela riportata fratello, mi ha sfasciato mezzo palazzo questa piccola strega. – Yonji cercò di staccarmi da lui ed io ebbi una fortissima crisi isterica, non volevo tornare da quel sadico bastardo, perché non mi aveva lasciata cadere? Il bestione mi poggiò a terra ed io mi rannicchiai contro la parete, incapace di reggermi in piedi e continuando ad essere scossa da tremori. – Finalmente è il mio turno con lei, le insegnerò come si tratta un principe di Germa. – Niji ghignò sadico e Yonji caricò un pugno colpendolo in pieno viso. Il fratello non stava indossando la Raid Suit per cui risentì non poco del possente colpo del ragazzo dai capelli verdi, al punto da sfondare la parete. – Ehi, ma sei impazzito?! – chiese senza rialzarsi, tramortito dal colpo. Yonji non gli rispose, lo guardò arcigno e poi tornò verso di me per prendermi di nuovo tra le braccia, appena mi fu vicino gli strinsi le braccia intorno al collo e affondai il viso sulla sua spalla continuando a piangere.
 
Arrivammo alla sua camera, non ricordo molto di come ci arrivammo tanto ero scossa, ricordo solo un gran via vai di domestici nei corridoi che correvano in ogni direzione. Provò ad appoggiarmi sul letto ma io mi aggrappai a lui irrazionalmente, come se avessi paura che lasciandolo potesse sparire di nuovo e potessi ritrovarmi di nuovo tra le mani di Niji. Mandò tutti via in malo modo dopo aver dato ordine di chiudere le tende in modo che la stanza fosse in penombra. Si sedette sul letto con indosso ancora la sua tuta, continuando a tenermi tra le braccia. Sapeva che avevo bisogno di cure ma non se la sentì di forzarmi, mi lasciò starmene lì aggrappata a lui a sfogarmi, limitandosi solo a stringermi delicatamente e ad accarezzarmi la testa e la schiena all’occorrenza.
 
Non gli piaceva vedere la gente frignare e piagnucolare, lo sapevo bene, ma non potevo farci niente ed apprezzai non poco il fatto che stesse andando contro sé stesso in quel momento. Poco alla volta iniziai a calmarmi e a respirare con calma, ero tutta un dolore e la sfuriata aveva solo peggiorato le fitte al fianco. Quando mi calmai la tuta di Yonji era zuppa di lacrime così come il mio viso. Mi mise una mano sotto il mento per sollevarlo e potermi guardare. Ero uno spettacolo pietoso, lo sentivo sulla mia pelle e lo vedevo riflesso nei suoi occhi. Sopracciglio e labbro inferiore erano spaccati, guancia e tempia escoriate e livide, zigomo spaccato, collo segnato da lividi così come il polso ed il braccio sinistro, i miei vestiti erano strappati e non osavo immaginare come dovesse apparire il mio fianco.
 
Il bestione sfiorò i segni sul mio viso delicatamente ed io chiusi gli occhi e trattenni il fiato, facevano male.
 
- Razza di bastardo! – disse a bassa voce ammirando l’opera d’arte di suo fratello. Era nervoso, lo vedevo bene, faceva una gran fatica ad essere delicato con me. Avrebbe di certo preferito spaccare qualcosa o qualcuno. – Devo curarti. – mi disse mantenendo un tono serio. – Posso appoggiarti un attimo sul letto? – feci con la testa un gesto di assenso e lui mi posò delicatamente, come se stesse maneggiando un vaso scheggiato che rischiava di rompersi.
 
Prese il kit medico che i domestici avevano portato e si mise a trafficare per prendere il disinfettante.
 
- Togliti prima la tuta. – gli dissi in un sussurro fissando il vuoto. – Io posso aspettare. – avevo un tono piatto, come se in quel momento mi trovassi lontana da lì.
 
- No, non puoi. Me la toglierò quando avremo finito. – Alzai lo sguardo su di lui.
 
- Quando ci siamo conosciuti non ti importava. –
 
- Non è la stessa cosa. – era infuriato, ma stava cercando di non dare di matto, aveva capito che ero assolutamente fragile in quel momento e credo volesse evitare un’altra crisi di pianto da parte mia.
 
- Cosa cambia? – guardavo il pavimento sconfortata, mi sentivo talmente vuota da non avere più neanche le lacrime da versare.
 
- IO NON SONO NIJI! – alzò la voce, era furioso. – IO NON TI AVREI MAI FATTO DEL MALE! Io… - alzai gli occhi su di lui e tremai leggermente quando mi urlò contro. – Non volevo alzare la voce. – si passò una mano sulla faccia e sui capelli e poi disattivò la tuta. – Non pensavo sarebbe arrivato prima di me. – non aveva la tristezza nel suo bagaglio di emozioni, per cui mostrava una insofferenza mista a nervoso, ma era tristezza. Gli dispiaceva e non sapeva come fare a dispiacersi. Cercava di provare un sentimento che non aveva idea di come provare. Era in tilt. Gli poggiai una mano sul petto e lo guardai, lui distolse lo sguardo e tornò a trafficare con il kit fino ad estrarre una garza imbevuta di disinfettante, con cui mi pulì i tagli, e la maschera bianca che settimane addietro gli avevo poggiato io sul viso.
 
Si avvicinò a me per farmela indossare ed io lo fermai, volevo che guardasse cosa aveva fatto di me suo fratello, non volevo nascondere tutto dietro ad una maschera. – Non voglio nascondermi. – gli dissi semplicemente. – Non ho fatto niente di cui debba vergognarmi. –
 
- Che cosa ti ha fatto? – mi chiese lui. Forse non voleva saperlo davvero ma credo che il dubbio lo facesse sentire ancora di più come una tigre in gabbia.
 
- Ha tentato di tirarmi fuori la verità e punirmi per quello che avevamo fatto. – non lo guardavo.
 
- Non è stata colpa tua, non hai fatto niente di sbagliato. È solo colpa sua. – mi sollevò il viso e sentì di nuovo pizzicarmi gli occhi. Lui mi abbracciò per evitare che mi mettessi di nuovo a piangere facendomi lamentare per il dolore. Mi piegai e mi portai le mani al fianco appena mi lasciò andare, con il respiro spezzato. – Che cos’hai? – mi premevo le mani al fianco ma il dolore era fortissimo. Persi i sensi.
 
Mi risvegliai non so quanto tempo dopo, ero nel suo letto e lui era lì vicino a me, sebbene stesse da sopra le coperte, si era addormentato tutto scomposto. Mi sentivo decisamente meglio, non avvertivo più il dolore al fianco. Mi tirai su a sedere e mi portai una mano allo zigomo, non c’era più né escoriazione, né gonfiore, né livido, anche il labbro non era più spaccato. Non serviva un genio ad indovinare che doveva avermi messo in una capsula. Chissà perché i nostri primi incontri finivano sempre così.
 
Sentendomi muovere si svegliò stropicciandosi gli occhi con due dita e appoggiò il viso su una mano mettendosi su un lato. – Come ti senti? – mi chiese puntandomi gli occhi addosso.
 
- Meglio. Mi hai messa in una capsula? – chiesi restituendogli lo sguardo.
 
- Eri ridotta male. – si stese sbuffando un sospiro. Gli dispiaceva, esattamente come prima che perdessi conoscenza e ancora aveva problemi a capire cosa succedesse.
 
- Non è colpa tua. – gli puntai gli occhi addosso.
 
- Ti avevo promesso che non ti avrebbe più fatto del male. –
 
- Non potevi evitarlo. –
 
- E invece si! – sbuffò con un qualcosa di simile allo sconforto. – Potevo arrivare prima, potevo convincerti a svelarmi la tua identità… Non lo so! So solo che ti avevo fatto una promessa e non l’ho mantenuta. Che uomo è uno che non è in grado di rispettare la parola data?! –
 
- Che ti importa, sono solo un giocattolo, mi ha danneggiata e tu mi hai aggiustata, tutto risolto, no? – mi guardò male. – Se lo rifarà mi aggiusterai ancora. – ero arrabbiata, gli avevo detto che non era colpa sua ma ero arrabbiata.
 
- Non lo rifarà. –
 
- E chi glielo impedirà? Tu? – ero fuori di me, era stato davvero troppo tutto quello che avevo dovuto sopportare. – Fino a quando? Fino a quando non partirai per la prossima missione? Fino a quando ti stancherai di me? –
 
- Non mi stancherò di te. –
 
- Perché siamo andati a letto insieme? Scommetto che se ci fosse stata un’altra al mio posto non avresti notato la differenza. –
 
- Non è vero! Io volevo te! – si era tirato su a sedere per avermi di fronte, il suo tono era nervoso ma provò a calmarlo. – E ti voglio ancora. – cercai di sostenere il suo sguardo ma non ce la feci e lo distolsi. Lui mi poggiò il dorso delle dita sul mento per farmi voltare a guardarlo. – Niji non ti farà del male, gli ho dato una bella lezione. Non dico che non ci riproverà, ma non glielo permetterò più. – non mi sentivo meglio, non so cosa volessi sentirmi dire da lui, ma non mi sentivo meglio.
 
Il mio piano di fuga era fallito, ero loro prigioniera e quello che era successo era solo l’anticipo di un destino inevitabile.
 
- Perché volevi farlo? – sollevai lo sguardo su di lui riscuotendomi. – Non avevo capito cosa ci facevi sulla torre, ma Reiju mi ha detto che volevi buttarti e farla finita. Perché? – era stata proprio lei a suggerirmelo.
 
- Perché credevo di non avere altra via di uscita. – confessai triste. Quando avevo perso l’equilibrio cadendo mi ero resa conto di non voler morire, di avere ancora tante cose da fare, avevo pensato a lui, al fatto che non avrei più potuto rivederlo e stringerlo. Cominciarono a scendermi le lacrime e strinsi il lenzuolo fino a farmi sbiancare le nocche. Ero quasi morta per proteggere un segreto che mi avevano imposto e sebbene credessi di essere pronta a farlo, il pensiero di lui mi aveva bloccata.
 
- Eri disposta davvero a morire pur di non rivelare chi sei? – lui non aveva paura della morte, stava tentando di capire, si stava impegnando ma erano concetti a lui estranei, tutto quello che mi riguardava lo era per lui. Non riusciva a capirmi e più ci provava più andava in confusione, ma continuava a tentare. Ero disposta davvero? Credevo di si, credevo sarebbe stato semplice e invece non ci ero riuscita perché… gli saltai letteralmente addosso stringendo le braccia intorno al suo collo e singhiozzandogli sul petto. Era stupito, non riuscivo a capire cosa mi prendesse.
 
- Credevo di non rivederti più. – biascicai tra le lacrime. Lui mi guardò stranito per qualche attimo, le mie manifestazioni di emotività lo mettevano sempre a disagio, non sapeva come affrontarle, ma iniziava a capire che in linea di massima un abbraccio risolveva sempre tutto, quindi dopo il primo momento di confusione mi strinse, forte, che quasi mi mancò il respiro, anche se non fossi sicura fosse solo per la sua forza.
 
Quando smisi di piangere mi lasciò andare ed io mi asciugai gli occhi e le guance sul dorso della mano. Non mi riuscì neanche di finire che mi trovai la sua mano dietro la testa e le labbra sulle mie. Non me ne rendevo conto ma mi era mancato proprio tanto. Gli poggiai le mani sul viso per accarezzarlo e ricambiai il suo bacio con parecchio trasporto. Aveva ragione, ne aveva sempre avuta, sarei stata io a cercarlo, sarei stata io a volerlo, ad aver bisogno di lui e non solo per essere protetta, ma perché, ad ora, era stato il motivo che mi aveva trattenuta dal salto nel vuoto. Stavo facendo un altro errore, forse ancora più grave del precedente ed invece che scappare non facevo altro che corrergli incontro.
 
Mi voleva, non c’erano dubbi, me lo aveva detto e me lo stava dimostrando, nonostante non fossi all’altezza delle donne che frequentava di solito, nonostante non avessi nessuna capacità, nonostante fossi una qualunque, nonostante non valessi niente rispetto a lui. Inspiegabilmente mi voleva… ed io volevo lui. I baci si fecero sempre più audaci ed aggressivi, aveva bisogno di me ed io di lui, tanto per il tempo in cui eravamo stati lontani quanto per quello che era successo con Niji. Dopo aver rischiato la morte mi sentivo viva come non mai e con lui quelle sensazioni si amplificavano a dismisura. Sentivo le sue mani cercarmi allo stesso modo delle mie. Non aveva bisogno di trattenersi come aveva dovuto fare la prima volta e non ne aveva neanche intenzione. Mi sfilò rapidamente la camicia da notte e la biancheria mentre provavo a togliergli la maglietta. Mi diedi della stupida a pensare che non avevo voluto guardarlo, era perfetto e le mie dita bramavano il contatto con la sua pelle.
 
Mi spinse giù e mi baciò in modo piuttosto violento prima di prendermi senza troppi preamboli ed in quel momento mi sembrò di impazzire. Lo avevo sognato nelle notti successive al nostro primo incontro, ma averlo lì, solido, caldo, reale, travolgente, era tutta un’altra storia. Fu meno complicato e imbarazzante della volta precedente, anche perché stavolta riuscivo ad ammettere con me stessa ciò che volevo e lui, come al solito, era davvero bravo a leggere i miei pensieri. Fu incredibile e aveva ragione, era capace di fare anche meglio di quanto avesse fatto la prima volta. Se quello non era un dio, ci andava davvero molto vicino. Se la prima volta sentivo di sbagliare per essere andata contro ciò che mi avevano insegnato, stavolta ero sicura di star commettendo il più grande errore della mia vita perché, che fossi disposta ad ammetterlo a me stessa oppure no, mi stavo lentamente ed inesorabilmente innamorando di un Vinsmoke.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** La teoria del caos ***


Me ne stavo tra le braccia di quel bestione dai capelli verdi e Niji sembrava così lontano. Era strano, ma quando stavo con lui non mi sentivo più una prigioniera in un regno straniero, non mi sentivo più come la custode di un importante segreto che avrebbe potuto scatenare il caos nel mondo, mi sentivo solo una ragazza tra le braccia dell’unica persona che riuscisse a fami sentire davvero viva.
 
- Lo sai che stai migliorando? - mi disse lui con un sorrisetto provocatorio.
 
- Scommetto che non sono neanche lontanamente paragonabile alle donne che frequenti di solito. -
 
- No, neanche un po’. - sghignazzò lui ed io lo colpì al fianco.
 
- Non c’è bisogno di essere così onesti, sai? - ero risentita.
 
- Eppure ero convinto che alle donne piacesse sentirsi dire la verità. - continuava a sghignazzare ed io misi il muso. Lui mi strinse a sé e mi diede un bacio prima di tornare a guardarmi con il suo sorrisetto. - Ti trovo interessante proprio perché non sei come le altre. - mi assicurò. - Il resto si può imparare e ti assicuro che non troverai uno migliore di me nel settore che possa darti qualche lezione. - ghignò divertito ed io lo colpì di nuovo, ma mi fece sorridere. - È stata davvero una fortuna che io sia arrivato in tempo o mi sarei perso quello che abbiamo appena fatto e che, tra parentesi, avrei voglia di rifare. - parlava di un tentato suicidio come di una partita a carte.
 
- Ma non ti stanchi mai tu? - chiesi scherzosa.
 
- No. - era davvero stupendo rivedere il suo lato giocherellone, mi era proprio mancato. Prese a baciarmi il collo per sottolineare il suo intento ed io tentai di spingerlo via.
 
- Ma io voglio sapere dove sei stato questa settimana. - gli dissi tentando di distrarlo.
 
- Certo, dopo. - mi rispose, scostando le labbra dalla mia pelle solo per qualche secondo e facendomi inavvertitamente il solletico. Quando mi vide ridere e agitarmi si fermò un attimo a guardarmi confuso.
 
- Che c’è di divertente? - mi chiese curioso sorridendo.
 
- Mi hai fatto il solletico. -
 
- Solletico? - ovvio che non sapesse di cosa stessi parlando, non sentiva il dolore figurarsi il solletico.
 
- Si, hai presente quando sfiori un punto delicato e provochi una sensazione che ti fa venire da ridere. -
 
- Si possono far ridere le persone toccandole? - alzò le sopracciglia come se avessi detto una cosa incredibile e mi fece ridere.
 
- Ma si, ci sono diversi punti sensibili, cambiano da persona a persona e non tutte li hanno. -
 
- E tu ce li hai? - era interessato.
 
- Si, ce li ho. - confessai.
 
- Dove? - chiese lui sadico.
 
- Preferisco dirti chi sono che dove soffro il solletico. - e gli risi in faccia.
 
- Ah davvero? Interessante! Ti dispiace se provo a scoprirlo da solo? - intensificò lo sguardo sadico ed io cercai di svignarmela sghignazzando, si, mi era decisamente mancato. Mi afferrò e ce la mise tutta per indovinare, non che la cosa fosse difficile dopo tutto.
 
- Ti prego, basta! - dissi tra le risate, con le lacrime agli occhi. Lui si stava divertendo un sacco. - Per favore! -
 
- Magari potrei approfittarne e farti confessare chi sei. - disse lui sghignazzando prima di bloccarmi le mani e baciarmi. - Ma non lo farò. Però te lo chiederò comunque con le buone. - divenne serio per un attimo. - Ti prego Lea. - aveva usato il mio nome, non lo faceva praticamente mai. - Dimmi chi sei. Non posso tenerti al sicuro se non me lo dici. - divenni cupa.
 
- Se te lo dicessi sarebbe un disastro. -
 
- Perché non provi a fidarti. -
 
- Di te? Sei un Vinsmoke. - come se questa affermazione spiegasse tutto. - Come potrei fidarmi di un Vinsmoke? - lo guardai negli occhi seria e lui mi lasciò andare per poi alzarsi dal letto e avvicinarsi al balcone. Le tende erano socchiuse ma fuori era giorno, quindi, anche se la stanza era parzialmente in penombra potevo vedere bene il suo corpo nudo e muscoloso. Mi misi a sedere coprendomi con il lenzuolo, senza staccargli gli occhi di dosso. Mi dispiaceva per quello che gli avevo detto, era stato gentile con me e dipendevo da lui, ma non dovevo fidarmi. Avevo sbagliato su tutto, almeno su questo avrei dovuto almeno provare ad essere forte.
 
- Abbiamo incontrato quelli della marina. - mi disse lui scostando appena la tenda con due dita per osservare fuori. - Ci siamo divisi perché dovevamo parlare con diversi esponenti dei loro alti ranghi. - Non smisi di fissarlo. - Dopo la visita del vice-ammiraglio mio padre ci ha convocati per una riunione. - me lo ricordavo, gli avevo chiesto di cosa avessero discusso ma non volle dirmelo. - È stato deciso che Reiju debba sposarsi. -
 
- Cosa? - chiesi io senza smettere di fissarlo, ad occhi sgranati. Lui si voltò verso di me.
 
- Facciamo parecchie cose illegali, abbiamo bisogno che la marina si volti a guardare dall’altro lato. Per ora paghiamo profumate mazzette a quelli del governo. Poi c’è la questione Big Mom. Nostro fratello Sanji e i suoi amici l’hanno fatta infuriare e vuole vederci morti. Presto o tardi ci darà la caccia. Abbiamo già sconfitto i suoi uomini, ma lei è un’altra storia, se dovesse decidere di distruggerci non lo so come andrebbe a finire. Ci serve l’appoggio del governo, ma la Marina non si metterà contro un imperatore, per quanto le nostre mazzette possano essere profumate. - Mi guardò molto seriamente. - Se Reiju sposa un alto ufficiale non dovremmo più preoccuparci. - mi fissava valutando le mie espressioni.
 
- E Reiju lo sa? -
 
- Si. C’era anche lei alla riunione. -
 
- Chi dovrà sposare? -
 
- Non lo so. Uno qualsiasi, non importa. -
 
- E a lei sta bene? -
 
- No. Ma lo farà lo stesso, perché è quello il suo dovere. - mi fermai a riflettere, una volta avevo parlato con i domestici di questa cosa e loro mi avrebbero detto che lei non avrebbe potuto opporsi. “Avrebbe solo cambiato padrone”. Povera Reiju, come poteva essere così senza cuore il suo stesso padre? Ma la cosa non mi stupiva visto quello che aveva fatto al suo terzo figlio e visto che aveva fatto quasi ammazzare il suo quarto figlio davanti ai miei stessi occhi.
 
- È una cosa orribile. - inchiodai i miei occhi nei suoi.
 
- È una cosa normale nelle famiglie reali. Principi e principesse non possono sposarsi liberamente. -
 
- Come può accettare una cosa simile?! Sposare un uomo che neanche conosce solo perché le è stato ordinato, un uomo che non ama. -
 
- Ama? - chiese lui curioso.
 
- Hai sentito bene, AMA! È assurdo sposare qualcuno senza amore, che razza di matrimonio sarebbe?! -
 
- Un matrimonio vantaggioso. -
 
- È la cosa più stupida che abbia mai sentito dire! - mi avvolsi alla meno peggio nel lenzuolo e mi alzai dal letto pronta a dar battaglia con il mio metro e sessanta. - Nessuno accetterebbe una cosa simile! - mi osservò avvicinarmi battagliera, dovevo sembrare ridicola.
 
- Tutti noi sappiamo che presto o tardi verrà anche il nostro turno. -
 
- Vuoi farmi credere che TU sposeresti una donna che non ami? -
 
- Se mi venisse ordinato si. -
 
- Anche se fosse brutta e antipatica e completamente stupida? -
 
- Di sicuro preferirei una bella ragazza con cui divertirmi, ma anche se non fosse così non credo importerebbe. Devo sposarmela, mica andarci a letto. - alzò le spalle ghignando.
 
- Tralasciando il fatto che dovresti farlo, vuoi farmi credere che ti daresti alla castità per il resto della tua vita? -
 
- Dovrei farlo quanto basta per validare il matrimonio e dare eredi al regno. E no, non ho nessuna intenzione di appenderlo al chiodo. Sarei sposato, mica in prigione, troverei dove divertirmi altrove. –
 
- Che schifo! – borbottai voltandogli le spalle per tornare a recuperare i miei vestiti e andarmene in camera mia. Iniziava ad avere più dignità l’essere stuprata da Niji che l’andare volontariamente a letto con Yonji.
 
- Si può sapere cosa ti prende? Dove diavolo pensi di andare? – mi disse interrogativo guardandomi trafficare nervosamente con i vestiti ed avvicinandosi a me.
 
- Via! – gli risposi stizzita.
 
- Vuoi dirmi che cavolo ti prende? – mi tolse di mano la camicia da notte.
 
- Ridammela! – ordinai spazientita ricevendo in cambio un’occhiataccia.
 
- No, se non mi dici che ti prende. –
 
- Che mi prende?! Potrei anche spiegartelo, ma tanto non capiresti perché tu non hai la più pallida idea di cosa siano sentimenti come l’amore, il rispetto e la lealtà. Pensi che le donne siano oggetti intercambiabili che puoi usare e gettare via, ma non è così! Le donne sono persone e le persone provano sentimenti, si affezionano, a volte di innamorano e stanno da schifo quando vengono trattate nel modo schifoso in cui tu intendi trattare la tua futura moglie! – gli strappai di mano la mia camicia da notte lasciandolo interdetto.
 
- Stiamo ancora parlando di una persona ipotetica? – mi chiese confuso.
 
- SI! – lo guardai torvo, ma la vera risposta era no, ovvio che stessi parlando di me, oltre che della sua futura moglie, solo che se era quello il suo modo di ragionare allora questo confermava che ero solo l’intrattenimento del momento, appena avesse trovato un nuovo diversivo ciao ciao e tanti saluti.
 
- Ok, partendo dal fatto che capisco quando menti, non capisco però perché te la prendi così tanto. Anche tu faresti lo stesso. –
 
- Io non farei mai una cosa simile! –
 
- Davvero? – incrociò le braccia sul petto e mi guardò sghignazzando. – Vuoi dirmi che se qualcuno ti ordinasse di sposare uno sconosciuto per proteggere il tuo prezioso segreto non lo faresti? – aprì la bocca per rispondere ma dovetti richiuderla.
 
- Non è la stessa cosa! – risposi piccata sul vivo.
 
- Ah no? –
 
- No! La mia famiglia non mi chiederebbero mai una cosa simile! –
 
- Ti hanno chiesto di buttarti da una torre pur di non parlare. Non mi sembrano grandi esempi dell’amore di cui tanto parli. – lo guardai male. – Fai solo chiacchiere ma non sei tanto diversa da me. Sei rimasta sconvolta quando mio padre ha dato ordine ai miei fratelli di pestarmi per convincerti a lavorare per noi. Anche il tuo ti ha ordinato di ammazzarti piuttosto che parlare ed io sono rimasto lì ad eseguire la volontà di mio padre allo stesso modo in cui tu sei salita su quella torre per saltare. Noi siamo uguali e tu faresti tutto quello che rimproveri a me, esattamente per lo stesso motivo per cui lo farei io. –
 
Sgranai gli occhi senza rispondere.
 
- Se ti venisse ordinato di sposare un vice-ammiraglio pur di non rivelare il tuo segreto, tu lo faresti senza batter ciglio. In effetti una differenza tra me e te c’è. Se mio padre mi ordinasse di sposare una donna che non mi piace mi lamenterei, forse alla fine la sposerei lo stesso perché è il mio dovere ma almeno mi lamenterei, tu invece abbasseresti la testa e obbediresti senza fiatare. Non farmi la morale perché non sei nelle condizioni di poterla fare. La tua gabbia è più stretta della mia e neanche te ne accorgi perché se te ne rendessi almeno conto mi diresti chi sei veramente perché capiresti che sono l’unica persona al mondo che sta veramente cercando di tenerti al sicuro. – si avviò verso il bagno lasciandomi lì, immobile, con la camicia da notte stretta tra le mani e gli occhi sbarrati.
 
Avevo sempre visto tutto dalla prospettiva sbagliata. Mi ero sempre sentita superiore a loro e invece mi ero sbagliata. Non c’era nessuna differenza tra me e loro. Ancora una volta aveva ragione, avrei fatto esattamente tutto quello che avrebbe fatto lui semplicemente perché mi era stato insegnato che dovevo farlo e non perché fosse giusto. Non poteva essere giusto chiedere ad una ragazza di gettarsi da una torre per proteggere il nome di suo padre, un padre che non avevo mai visto, un padre a cui non dovevo niente, un padre che mi avrebbe preferita morta o torturata da uno come Niji pur di non farsi associare a me. Presi fiato e deglutì il groppo che avevo in gola cercando di ignorare il peso viscido e freddo che avevo nello stomaco.
 
Mormorai qualcosa e lui si voltò a guardarmi. – Cosa? – non avevo il coraggio, era contrario a tutto il cumulo di sciocchezze che mi avevano inculcato fino a quel momento.
- Vegapunk… - ripetei a voce un po’ più alta. - … il mio vero nome è Lea… Vegapunk… - mi voltai a guardarlo aspettandomi una sfuriata e lo vidi solo sbarrare gli occhi e restarsene lì a fissarmi a bocca aperta. – Per l’amor di Dio di qualcosa. – mi voltai dall’altro lato con le lacrime agli occhi mentre lui continuava a restarsene fermo come un merluzzo a fissarmi.
 
- Mi stai prendendo in giro? –
 
- Volevi la verità, eccotela. Sono l’unica discendente in vita di Vegapunk, non l’ho mai visto, non so che faccia abbia, non so neanche se gli somiglio, ho comunicato con lui solo tramite lettere attraverso le quali guidava i miei studi. – si passò una mano tra i capelli verdi sconvolto dalla notizia.
 
- Non è possibile… -
 
- Tu sai leggere dal mio viso quando dico la verità. Guardami e dimmi se mento. – cercai di sostenere il suo sguardo e lo vidi mettersi le mani dietro la testa, la notizia lo aveva preso in contropiede, non riusciva a metabolizzarla. Me ne restai lì con lo sguardo basso, gli avevo detto l’unica cosa che non avrei mai dovuto rivelare ad anima viva. Mi sentivo uno schifo, mi sentivo di aver tradito i miei cari e me stessa e lui stava riflettendo sul da farsi. – Yonji… - cercai di sforzarmi di guardarlo. - … Cosa succederà adesso? –
 
- Non lo so. – ammise scuotendo la testa ed iniziando ad avvicinarsi a me. – Pensavo fossi figlia di qualche pirata o di qualche ufficiale della marina, non immaginavo fossi una Vegapunk. – mi guardò da capo a piedi con il lenzuolo avvolto intorno al mio corpo alla bene e meglio e la camicia da notte stretta tra le mani ed iniziò a sghignazzare. – Non ci posso credere, mi sono scopato una Vegapunk. – praticamente si piegò a metà dalle risate, con le lacrime agli occhi facendomi sentire molto risentita.
 
- Si può sapere cosa diavolo c’è di divertente? – mi stavo innervosendo.
 
Sollevò il viso per averlo di fronte al mio imbronciato. – Che vado a letto con una delle persone più importanti del pianeta. – mi ghignò in faccia facendomi ulteriormente infuriare semmai fosse stato possibile. Mi voltai nervosa intenzionata ad andarmene e lui mi sollevò tra le braccia. Iniziai a dibattermi e colpirlo.
 
- Mettimi giù scimmione! – gli intimai stizzita.
 
- Ai tuoi ordini, signorina Vegapunk. – mi poggiò sul letto ed io provai a svignarmela ma lui fu su di me in un lampo impedendomi di allontanarmi.
 
- Che diavolo vuoi? –
 
- Quello che volevo anche prima. – mi disse sghignazzando. – Pensi che il tuo cognome cambi qualcosa tra me e te? – mi disse con un’alzata di sopracciglia. – Anche se confesso di essere intrigato da questa informazione. –
 
- A me è passata la voglia! – gli dissi scorbutica. – Non ti rendi conto di quello che ho fatto dicendoti chi sono? Ho tradito tutti, me stessa, i miei ideali, i miei cari. Non ti rendi conto di cosa significa quello che ti ho rivelato? – mi osservò continuando a sorridere.
 
- Guarda che non sei una persona diversa da quella che eri stamattina, ma mi rendo conto che il tuo nome cambierà parecchie cose. Prima tra tutte Niji, non alzerà mai più le mani su di te, una Vegapunk è troppo preziosa per rischiare di ammazzarla. E probabilmente verrà vietato anche a me di venire a letto con te, quindi ho intenzione di approfittarne finchè posso. –
 
- No! Non puoi dire a nessuno chi sono. Io l’ho detto a te perché… non lo so perché, ma non puoi dirlo a tuo padre e ai tuoi fratelli. Promettimelo. – mi guardò un po’ più seriamente.
 
- Non costringermi a mentirti. – che sciocca, davvero pensavo che lui avrebbe tenuto il mio segreto? – Smettila di preoccuparti. Non cambierà niente. Continuerai a lavorare alle tute e alla tecnologia Germa come stavi già facendo, la sola differenza è che non dovrai più avere paura di Niji e nessuno ti ucciderà quando avrai portato a termine il tuo compito. – lo guardai sconvolta.
 
- Mi avreste uccisa?! –
 
- Non lo so, può darsi. O forse no, sarebbe dipeso da se potevi essere utile. – mi fece inferocire.
 
- Sei un bastardo! – ringhiai a denti spessi. – Spostati immediatamente! Non voglio avere niente a che fare con uno come te! – mi guardò perplesso.
 
- Io che c’entro? Lo sai che non ti avrei fatto del male. –
 
- E come dovrei fare a saperlo? Ma ti sei ascoltato prima? –
 
- Io… - corrugò la fronte, stava cercando attentamente le parole da usare. – mi piace passare del tempo con te, non solo per il sesso, sei divertente e sei intelligente. – si stava impegnando. – E poi sei buffa, sei così piccola eppure cerchi sempre di tenerci testa. Insomma non sei come le altre, le altre mi annoiano subito, non riesco a passarci più di una notte. – mi guardò fisso negli occhi. – Non lo so cosa sia, però io non ti farei del male. – mi calmai un po’ ma restavo sospettosa.
 
- Neanche se ti fosse ordinato? – ci riflettè un po’ su prima di rispondere.
 
- No. Neanche se mi venisse ordinato. – poi tornò a sorridermi. – Ho preso a pugni mio fratello, questo dovrà pur contare qualcosa, no? – Yonji non mi mentiva, poteva farlo e probabilmente mi sarei bevuta tutto quello che mi avesse detto ma non lo faceva, lui mi diceva la verità, tutte le volte in cui poteva. Era vero, non mi avrebbe fatto del male e per lui non ero come le altre, ma questo poteva bastare per fidarmi di lui?
 
- Il mio nome porterà il caos. – lo guardai in cerca di conforto.
 
- Sei tra le braccia di un comandante Germa, non c’è posto più pericoloso… e più sicuro, neanche il caos può toccarti quando sei con me. –
 
- Cosa succederà quando il resto del mondo verrà a sapere della mia esistenza? Verranno di sicuro a cercarmi, cercheranno di portarmi via. – inchiodò gli occhi blu nei miei.
 
- Che ci provino. – sorrise sulle mie labbra prima di fare ciò che entrambi volevamo.
 
Mi presi il resto del giorno di ferie, approfittandone per fare un bel bagno caldo e riprendermi dai due incontri con quel colosso. Avergli detto chi fossi mi aveva alleggerito non poco. Non sapevo cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi ma l’idea che lui fosse lì al mio fianco ad affrontare l’ignoto mi faceva sentire decisamente meglio. Erano passate diverse ore da quando gli avevo fatto la mia confessione e contrariamente a quanto avessi sempre pensato il mondo non era esploso, non era successo un bel niente.
 
Una domestica venne ad avvisarmi che la famiglia reale avrebbe gradito la mia presenza a cena. Cercai di apparire al meglio sistemandomi i capelli e scegliendo un bell’abito che sarebbe potuto piacere al bestione.
 
Aspettai che lui venisse a prendermi per accompagnarmi alla cena ma con mio grande stupore fu mandata una domestica a scortarmi. Quando entrai nella sala da pranzo tutta la famiglia reale era ai propri posti e l’atmosfera sembrava essere davvero molto tesa. Niji sembrava particolarmente contento e Yonji particolarmente furioso, non si voltò neppure a guardarmi quando entrai nella stanza. C’era qualcosa che non andava e quella situazione mi diede letteralmente i brividi, avevo un gran brutto presentimento.
 
- Signorina Lea. – esordì il re. – Prego si accomodi pure. – obbedì prendendo posto tra Yonji e Reiju, con Niji proprio di fronte a me. – Innanzitutto lasci che mi complimenti per il lavoro fatto e che mi scusi per il comportamento un po’ irruento di mio figlio Niji, sono sicuro sia profondamente rammaricato per quanto accaduto. – rivolsi lo sguardo al ragazzo dai capelli blu.
 
Certo, rammaricatissimo, scommetto che non ci dorme la notte!”
 
- Ma penso abbia intuito il motivo per cui è stata convocata qui. – spostai lo sguardo su Yonji, non mi guardava, era piuttosto nervoso. Immaginavo che avrebbe riferito la nostra conversazione. – È stato un vero piacere vedere finalmente svelato il mistero sulla sua identità, signorina Vegapunk. – come sospettavo. – Ho conosciuto personalmente quell’uomo essendo stato suo studente ma non avrei mai immaginato che avesse una figlia, né che potesse essere mia ospite, né che avesse pressappoco l’età dei miei ragazzi. -
 
- Devo essere onesto, non pensavo che Yonji sarebbe riuscito a cavarti di bocca qualcosa. – quel sadico bastardo. – Ma a quanto pare gli devo le mie scuse. – ghignò ed il bestione si irrigidì in risposta.
 
- Avere una Vegapunk nel Germa 66 rappresenta un enorme vantaggio. – il rosso. – Oltre alle competenze tecnologiche che puoi fornirci hai un nome che farà tremare chiunque si verrà a trovare sulla nostra strada. Con te al nostro fianco acquisteremo prestigio e rispetto, porteremo il regno di Germa alla gloria. –
 
- Fino a quando qualcuno della Marina o degli imperatori non verrà qui a reclamarla. – disse Niji continuando a ghignare.
 
- In tal caso non potremmo rifiutarci di consegnare una Vegapunk. – il brutto presentimento che avevo avuto fino a quel momento si intensificò. – Però possiamo rifiutarci di consegnare una Vinsmoke. – concluse il rosso sfoggiando il suo sorrisetto sarcastico. Non capivo dove volesse andare a parare.
 
- In che senso? – chiesi io, anche se non ero sicura di voler conoscere la risposta.
 
- Nel senso che devi diventare una Vinsmoke. – mi voltai a guardare Reiju, ormai ero piuttosto sicura di non volerlo sapere.
 
– Devi sposare uno di noi. – mi disse sorridendo il blu ed io sbiancai.
 
- Cosa? – ero sconvolta.
 
- È il solo modo per poter usare chi sei a nostro vantaggio senza doverti consegnare. –
 
- No io non posso! - Mi voltai a guardare Yonji ma stava evitando di guardarmi. – Non potete dire sul serio! – le loro espressioni mi fecero capire che non erano mai stati più seri di così.
 
- Mi sono offerto volontario. – mi disse Niji ghignando. – Sono sicuro che saremmo una bellissima coppia. – stavo per sentirmi male.
 
- Anche Yonji potrebbe sposarla. – intervenne Reiju. – Tu e Ichiji siete i maggiori, dovreste fare matrimoni di una certa levatura. –
 
- Ma una Vegapunk è di una certa levatura. – rispose lui contento. – E poi è Ichiji quello che deve stare davvero attento ai matrimoni, io e Yonji siamo più flessibili, vero fratellino? – Era per la storia del pugno, ci avrei giurato.
 
- Non ti sposerò mai! – gli sibilai nervosa, non volevo sposare proprio nessuno, ma lui meno che mai.
 
- Ma non mi dire. – mi disse sadico. – Ti sei innamorata di lui. – rise sguaiato e sentì il bestione irrigidirsi di nuovo. – E dimmi, anche lui ricambia questi adorabili sentimenti? –
 
- Non ti sembra di aver dato abbastanza spettacolo? – ringhiò il bestione al fratello.
 
- Cos’è ti ho offeso? –
 
- Fino ad ora mi sembri tu quello che sta facendo carte false per sposarsela. –
 
- Sai ho sentito dire che a letto dia soddisfazioni. –
 
- Ti sarebbe piaciuto saperlo in prima persona, peccato che ti arrivino solo le voci! – Niji si alzò nervoso seguito da Yonji, sembravano intenzionati a prendersi a botte.
 
- Smettetela tutti e due! – ordinò la sorella. – Ichiji in quanto erede non può sposarla quindi toccherà ad uno di voi due. O trovate un accordo o lasciate scegliere a lei. –
 
- Lei? – chiese il blu sorpreso e alquanto disgustato. – Perché dovrebbe avere voce in capitolo? –
 
- Perché sarà anche il suo matrimonio. – Reiju era sul piede di guerra, non l’avevo mai vista così partecipe alla mia difesa. – E visto che non vogliamo problemi sarebbe meglio lasciarla scegliere. -
 
- Proprio perché non vogliamo problemi dovrei essere io a sposarla. –
 
- Cos’è hai paura che non scelga te? – disse il bestione.
 
- Quello che vuole lei non conta, così come quello che tu e lei pensate di provare. – era assolutamente disgustato. – Sei difettato anche tu, proprio come Sanji! – il bestione perse le staffe e spaccò il tavolo, se non si azzuffarono fu solo grazie all’intervento di Reiju che riuscì a separarli.
 
- Fino a quando uno di noi due non la sposerà farai bene a starle alla larga o non me ne importerà niente del fatto che siamo fratelli. – mi afferrò per il polso e mi trascinò via in malo modo, facendomi male, era furioso. Mi lasciò andare bruscamente solo quando arrivammo in camera sua sbattendo la porta talmente forte che ebbi paura la distruggesse. Sembrava una furia, non osavo avvicinarmi o toccarlo.
 
Andò avanti e indietro per sfogare il nervoso, ci volle un po’ prima di riuscire a calmarsi e solo quando ebbe riacquistato il controllo completo venne verso di me e mi abbracciò stretta. – Stai bene? – mi disse tenendomi stretta ma io non gli risposi. – Non volevo che le cose andassero in questo modo. Ma non preoccuparti, farò di tutto per fare in modo che non sia lui a sposarti. –
 
- E dovrei sposare te? – dissi fredda si staccò da me e mi osservò.
 
- Preferisci lui? –
 
- Preferisco poter scegliere! – dissi piccata.
 
- Sai bene che non è possibile. –
 
- Ah no? E chi devo ringraziare per questo? – avevo un tono truce. – Mi fidavo di te e tu hai venduto il mio segreto. Se sono obbligata a sposarmi è solo colpa tua. – ero furiosa, non era giusto. In quel momento uno come Yonji non mi dispiaceva, ma non ero stupida, si sarebbe stancato e mi avrebbe messa da parte per cercare altrove il divertimento, non volevo essere obbligata a sposare uno così.
 
Mi guardò cercando di decifrare la mia espressione.
 
- Prima o poi lo avrebbero capito comunque, era solo questione di tempo e nel frattempo avresti dovuto guardarti le spalle da Niji. –
 
- Ora invece sembra che dovrò sposarmelo, un bel miglioramento, no? –
 
- Non lo permetterò. –
 
- Perché? Che diavolo vuoi da me? Da quando ti ho incontrato mi hai distrutto la vita, che cosa vuoi ancora da me? – ero sul punto di piangere. Lui aprì la bocca per dire qualcosa ma lo fermai. – Anzi no, non voglio saperlo. – mi avviai verso la porta.
 
- Dove vai? –
 
- Non lo so. – gli dissi seriamente. – Voglio solo che mi lasci in pace. – me ne andai senza voltarmi, lasciandolo lì. Sapevo quale era la vera domanda che non avevo il coraggio di fare perché temevo di ascoltare una risposta che in fondo già conoscevo. Alla fine il caos era scoppiato davvero, sebbene non stesse portando devastazione nel mondo ma solo nel mio cuore, e lui non aveva potuto proteggermi, anzi lo aveva alimentato. Per la prima volta dopo tanto tempo avrei passato nuovamente la notte da sola chiedendomi cosa ne sarebbe stato di me da quel punto in avanti.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Disordine entropico ***


Tornai in camera mia sbattendo la porta contro cui appoggiai le spalle. Mi nascosi il viso tra le mani, tutto quello era troppo per me. Meno di un mese fa ero sulla mia isola a trafficare con i miei congegni chiedendomi se esistesse una vita migliore e quale fosse il mio posto nel mondo. Non potevo credere che il mio destino fosse restare su quell’isola dimenticata da Dio a nascondermi e a tenere a freno ciò che ero e potevo fare. Poi all’improvviso, senza un motivo, senza una ragione evidente il mondo che conoscevo era franato e mi ero ritrovata su di una gigantesca piattaforma galleggiante con un sadico bastardo ed un bestione dai capelli verdi, come loro schiava, oscillando giorno dopo giorno tra la paura di ciò che poteva farmi l’uno ed il desiderio di ciò che mi faceva sentire l’altro.
 
Ero terribilmente confusa e arrabbiata. Ce l’avevo con mio padre per aver permesso che tutto questo accadesse, ce l’avevo con mia madre e con Marla per aver incoraggiato il mio genio piuttosto che sopprimerlo e lasciarmi vivere come una ragazza normale, libera e spensierata. Ce l’avevo con me stessa per aver confessato la verità a Yonji e perché… perché avrei dovuto odiarlo e non ci riuscivo, perché nonostante fosse tutta colpa sua non riuscivo a non desiderare di correre da lui e restarmene tra le sue braccia.
 
Avevo paura di essere obbligata a sposare Niji e non solo per quello che avrebbe potuto farmi, ma perché così avrei perso per sempre il mio bestione. Era una reazione esagerata, non era ancora stato deciso a chi sarei andata e Yonji avrebbe fatto di tutto per tenermi con sé, non lo dubitavo, solo che non capivo il perché lo facesse. Non era in grado di amare, me lo aveva detto, non provava paura, né tristezza, semplicemente gli dava fastidio che mi avesse il fratello perché quello che avevamo noi lo faceva stare bene. Ma questo era sufficiente? Poteva bastare?
 
Verso i quindici o sedici anni, quando ero ancora sull’isola di Litie, la mia isola, iniziai a notare che alcuni dei ragazzi del villaggio mi rivolgevano attenzioni diverse da quelle che mi avevano sempre rivolto e sebbene io capissi tante cose, quel comportamento umano non mi era familiare. Chiesi a Marla cosa stava succedendo e lei mi spiegò di questa cosa strana che era l’attrazione tra sessi opposti, la stessa che provano gli animali, un mero bisogno fisico, come la fame, la sete, il sonno, che alcuni esseri umani provano e sentono l’esigenza di soddisfare. Io non la sentivo e mi disse che era un bene, anzi che dovevo aggrapparmi a questa cosa perché il mio destino aveva piani diversi per me e sarebbero stati rovinati se avessi ceduto.
 
Non era un problema per me resistere ad un impulso che neanche provavo e fu allora che Marla mi rivelò il segreto che c’era dietro. A volte questo istinto è controllato da un sentimento e quando ciò accade si è spacciati. Se uno dei due lo prova allora diventa un’esecuzione, solo se lo provano entrambi c’è salvezza. Avevo idealizzato quelle parole senza mai darvi un vero senso, fino a quando non avevo incontrato un ragazzone dai capelli verdi ed il sorriso strafottente che mi aveva sollevata di peso per portarmi via.
 
Non volevo farlo, non volevo lavorare per lui, non volevo socializzare con lui, non volevo andarci a letto, non volevo niente di tutto quello che era successo però era successo e la ragione era una soltanto, che volessi ammetterlo oppure no. Me ne ero innamorata. Marla non avrebbe capito, mio padre non avrebbe capito, sarei stata solo una delusione e questo potevo anche accettarlo se solo fossi stata sicura di poter essere felice, ma si può essere felici con un uomo che non sarà mai in grado di amarti? Senza amore, cosa lo avrebbe tenuto al mio fianco? Per un po’ il desiderio sarebbe bastato, ma presto si sarebbe esaurito e a quel punto cosa ne sarebbe stato di me? A quel punto sarei stata davvero solo una prigioniera in un regno straniero, innamorata di un uomo che con ogni probabilità si sarebbe portato a letto chiunque riuscisse ad accendere la sua fantasia ed il suo interesse.
 
Non dovevo farmi annebbiare il giudizio da quello che provavo per lui, quel matrimonio era sbagliato, se uno solo dei due perde la testa allora non è un matrimonio, è una decapitazione ed io non potevo permetterlo. Allora perché stavo così male all’idea di non essere con lui? Perché non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo?
 
Mi staccai dalla porta diretta al balcone e lo spalancai, avevo bisogno di aria fresca, non sarei riuscita a mettere in ordine il disordine entropico che mi portavo dentro, ma almeno speravo di riuscire a riacquistare l’autocontrollo necessario a farlo smettere di aumentare. Chiusi gli occhi e mi sforzai di respirare. Sentì la porta alle mie spalle aprirsi e quando mi voltai una chioma verde fece il suo ingresso. Lo guardai con sconcerto, non me lo aspettavo, che diavolo ci faceva lì? Avanzò verso il centro della stanza senza dire niente ma tenendomi gli occhi incollati addosso.
 
<< Che ci fai qui? >> gli chiesi sentendo il disordine dentro aumentare e provando a mantenere un tono di voce neutro.
 
<< Non potevo lasciarti andare così. >>
 
<< Ti avevo detto di lasciarmi in pace. >>
 
<< Lo so e lo farò. Però prima devo dirti una cosa, poi se vuoi me ne andrò. Ti prometto comunque che non lascerò che Niji ti sposi, ma non sarà necessario che tu venga a letto con me dopo il matrimonio, se non vuoi. Se non mi vorrai sarai libera di restare nella tua stanza, io non ti toccherò contro la tua volontà. >> Stupido! Non aveva capito niente! Non si rendeva conto che il problema era esattamente il contrario?
 
<< Ora che me lo hai detto puoi anche andartene! >> cercavo di non guardarlo.
 
<< Non era questo che volevo dirti. >> era molto serio e concentrato, come se stesse cercando le parole o stesse tentando di dar un senso a ciò che pensava e sentiva.
 
<< Allora cosa? >>
 
<< Io… lo so che prima o poi avrei dovuto sposarmi, che mi sarebbe stato ordinato, è il mio compito. Non mi sono mai chiesto chi sarebbe stata mia moglie perché non mi importava, l’avrei sposata, ci sarei andato a letto un paio di volte e poi avrei continuato con la mia vita, insomma non sarebbe cambiato poi molto. >> come immaginavo.
 
<< E sei venuto fin qui per dirmelo? Lo sapevo già, potevi risparmiatelo! >> gli diedi le spalle e mi strinsi le braccia intorno al corpo. Lo sentì avvicinarsi.
 
<< Sono venuto qui per dirti che da quando ti conosco non è più semplice accettare il fatto che possa esserci un’altra nel mio letto che non sia tu. Che per la prima volta mi rendo conto che avere accanto una qualunque non è come avere te. >> mi voltai a guardarlo a bocca aperta. << Non capisco bene cosa stia succedendo e non lo so neanche spiegare molto bene. Ho capito che tu hai bisogno di sentirti dire le cose, che pretendi da me qualcosa e volevo almeno provarci a fartelo capire, anche se credo di essere stato un mezzo disastro. >> si passò una mano dietro la testa, evidentemente in difficoltà.
 
<< Pretendo da te una cosa che non sei in grado di darmi. >>
 
<< Sono un principe Germa, posso darti qualunque cosa. >>
 
<< Non quello che ti chiedo io, perché non sei capace di capirlo. >>
 
<< E allora spiegamelo, aiutami a capire. >> cercò di afferrarmi la mano ma io indietreggiai di qualche passo. Non volevo toccarlo, non volevo farmi confondere ulteriormente le idee.
 
<< Non si possono spiegare i sentimenti, o li provi o non li provi. >> distolsi lo sguardo da lui e lo sentì sospirare per la frustrazione.
 
<< Allora parlami dei tuoi, cosa provi per me che vorresti provassi per te. >> era serio, stava davvero tentando di capire. Lo guardai allarmata, non volevo parlargli dei miei sentimenti, volevo solo dimenticarli. Dire quello che sentivo ad alta voce lo avrebbe reso reale ed io non volevo che diventassero tali.
 
<< Inutile dirtelo, le mie parole non avrebbero senso per te. >> mi strinsi le braccia intorno al corpo, cercavo di non andare in pezzi, non osavo guardarlo. << Adesso va via. >>
 
Lui mi guardò per qualche attimo poi si votò per andar via, fece appena qualche passo prima di bloccarsi e tornare a voltarsi. << Non lo so come è fatto l’amore e non posso promettertelo, potrei dirti che ti amo e che ti amerò per sempre ma ti mentirei e non mi va di mentirti. Posso dirti quello di cui sono sicuro e chiederti se può bastarti. >> iniziò lui.
 
<< Sei una grande rottura di scatole, lo sei stata dal primo secondo che ti ho vista, quando hai distrutto la mia tuta e mi hai tenuto testa nonostante sapessi bene che avrei potuto spezzarti il collo. Sei indisponente ed esasperante, sei arrivata qui come una prigioniera ed hai preteso cambiamenti da me. Sei una pessima bugiarda, ma nonostante ciò mi riempi di sciocchezze. Mi hai rifiutato più di una volta e mi hai riempito di insulti solo perché non ti capivo. Mi hai accusato di qualunque cosa possibile sebbene tu facessi esattamente quello per cui mi accusavi. >> lo ascoltavo in silenzio, come dichiarazione di ciò che sentisse per me era decisamente pessima.
 
<< Però sei coraggiosa, hai tenuto testa a Niji arrivando a colpirlo e a distruggergli il laboratorio, hai riso e scherzato con me, hai cenato con me e nonostante tutti i motivi per odiarmi non lo hai fatto, non mi hai allontanato. Sei venuta a letto con me e non perché ti avessi pagata o minacciata o per ottenere qualcosa, solo perché lo volevi. Tutti si rivolgono a me come ad un principe Vinsmoke o ad un comandante dei Germa 66, tu mi hai trattato per l’uomo che sono. >> il tono della conversazione stava decisamente cambiando.
 
<< Mi sono reso conto che a volte mi fai arrabbiare talmente tanto che ti spezzerei il collo, però quando te ne vai la stanza mi sembra vuota, mi sembra quasi manchi qualcosa. Ho sempre avuto il letto pieno eppure se penso che tu non ci sei mi sembra non ci sia nessun altro. Se dovessi scegliere tra sei delle migliori amanti del mondo e te che neanche sai bene cosa fare sceglierei te perché quando ti abbraccio o ti bacio o sono con te mi guardi come se non avessi mai visto altro, come se non volessi nessun altro. Io non lo so cos’è l’amore, è vero, però so che non c’è nessun’altra che vorrei come mia moglie. Non voglio sposarti per salvarti da Niji, sebbene mi dia fastidio l’idea che possa averti, voglio sposarti perché voglio averti al mio fianco, nel mio laboratorio e nel mio letto per il resto di questa vita. Non è quello che volevi sentirti dire, non so neanche se basti, ma se questo ti può bastare a dirmi di si allora lascia che te lo chieda come si deve. >> fece qualche passo verso di me ed io rimasi lì impalata a fissarlo non sapevo cosa fare, non sapevo cosa dire.
 
Mi prese la mano ed il respiro iniziò ad accelerare. << Lea Vegapunk, accetteresti di diventare mia moglie, nonostante io sia uno scimmione insensibile? Non te lo sta chiedendo il principe di Germa, te lo sto chiedendo io. Probabilmente se mi dirai di no ti obbligheranno comunque a sposarmi, ma voglio che tu sappia di avere una scelta, puoi sposare me o il principe Yonji. Sei ancora padrona del tuo destino. >> era sincero, lo vedevo dai suoi occhi. Mi aveva aperto il suo cuore, mi aveva detto quello che sentiva ed io lo fissavo imbambolata. << Pensi di rispondermi qualcosa o vuoi tenermi sulle spine fino al matrimonio? >> mi rivolse un ghigno sarcastico, stavo boccheggiando, ero nel panico.
 
<< Io… ecco… io… >> non sapevo cosa fare.
 
<< Non sei obbligata a dirmi di si. Se non mi vuoi farò comunque in modo da sposarti e non ti toccherò contro la tua volontà, sarà come se non lo fossimo. >> che cosa volevo veramente? Stavo avendo un attacco di panico. Lui mi osservò attentamente e poi sospirò lasciandomi la mano. << Ho capito. Non ti preoccupare, va bene così, forse mi sono sbagliato, dopotutto non capisco bene questi sentimenti. Scusami. >> si voltò per andare via, il cuore mi batteva all’impazzata ed il respiro era decisamente pesante. Stava andando via.
 
<< Ti amo! >> dissi alle sue spalle di getto chiudendo gli occhi, con dentro l’apocalisse in atto ed il respiro pesante. Lui si fermò, voltandosi appena a guardarmi. << Mi sono innamorata di te. Non dovevo ma l’ho fatto. >> continuò a guardarmi, ero in iperventilazione. << Mi può bastare. >> gli dissi inumidendomi le labbra secche, sul punto di scoppiare a piangere.
 
<< Mi sposerai? Nonostante ciò che sono? >>
 
<< Si. >> scossi appena la testa. << Proprio per ciò che sei. >> stavo per piangere.
 
Lui mi sorrise soddisfatto e coprì la distanza tra noi con solo poche falcate, mi strinse in un abbraccio praticamente sollevandomi ed incollando le labbra sulle mie. Mi strinsi a lui stringendogli le braccia dietro al collo, non volevo altro, non desideravo altro. Lo baciai con tutto il trasporto e l’intensità di cui ero capace, come se lo avessi appena ritrovato dopo aver rischiato di perderlo. Mi tirò su poggiandomi su un mobiletto in modo che le mie gambe fossero intorno alla sua vita. Ci volevamo, ci volevamo troppo, avevamo troppa adrenalina in circolo per quanto era successo, non potevamo girarci intorno. Fece risalire una mano lungo la gamba e la coscia tirandomi su il vestito e strappandomi l’intimo in un unico gesto. Trattenni il fiato mentre strappava gli indumenti che considerava d’ostacolo e mi fu dentro, un solo rapido affondo che mi fece sollevare la testa e spingere con le spalle verso il muro contro cui mi teneva per poi piegarmi con la testa sulla sua spalla.
 
Fu molto intenso, lui era instancabile, forte, passionale, bellissimo, perfetto. Mi voleva, mi desiderava e stava facendo in modo che lo sapessi ad ogni spinta, assicurandosi che mi piacesse tutto quello che faceva, che fosse l’esperienza più unica della mia vita. Non sapeva che ogni esperienza con lui era la più unica della mia vita perché era con lui. Mi aveva messa con le spalle al muro in tutti i sensi, costringendomi a dichiararmi, convincendomi a sposarlo e facendomi infine sua in modo letterale oltre che metaforico.
 
Mi aggrappai a lui, alla sua maglietta, tirandola dietro la schiena mentre incalzava il ritmo tenendomi una gamba e spingendomi contro il muro. Non riuscivo a capire più niente, la mia mente era completamente occupata da lui e dalle sensazioni che la solidità del suo corpo mi stavano dando. Volevo aspettare ancora, non volevo finisse così, ma lo desideravo troppo e non riuscì a trattenermi, ero troppo oltre. Spinsi il bacino verso di lui inarcandomi per poi seppellire il viso sulla sua spalla e mordere la sua maglietta per non tirare giù dai letti tutto il regno di Germa.
 
Lui mi lasciò finire con calma rallentando fino a fermarsi. Ansimavo in cerca di ossigeno, avvertendo già il senso di rilassatezza che seguiva sempre la fine di quello che facevamo, solo che lui non aveva finito, lo sentivo, ancora lì, ancora solido, ancora pronto. Sollevai il viso per guardarlo e lo vidi con stampato sul viso un bel sorriso soddisfatto e un po’ arrogante come a suggerire che il meglio doveva ancora venire e come sempre aveva ragione. Riprese a muoversi, con una lentezza disarmante, niente a che vedere con la violenza e la forza di poco prima. Poi iniziai a capire, stava tentando di rendere sensibile un altro punto, continuava a sorridermi, aveva tutta la situazione sotto controllo, mi resi conto di cosa stesse facendo solo quando ripresi ad ansimare.
 
Fu solo allora che mi prese di peso portandomi via dalla parete portandomi verso il letto. Era assurda la sua capacità di manipolarmi e di riuscire a far di me ciò che voleva. Teneva gli occhi fissi nei miei osservando ogni mia minima reazione, studiando ogni minimo respiro ogni smorfia del mio viso, estasiato e soddisfatto. Mi baciò, continuando a muoversi, con lentezza, come una tortura, lasciando che le fiamme si riaccendessero in me e tornassero a divampare, fornendo come comburente le sue stesse labbra. Aspettò che fossi io a reagire spingendo il bacino verso di lui e fu solo a quel punto che si staccò di colpo facendomi inarcare. Mi guardò sadico mentre ansimavo bramandolo.
 
Mi afferrò per i polsi e mi fece voltare dandogli le spalle. Si stese praticamente su di me, come fece a non schiacciarmi non lo so, credo avesse appoggiato il peso sulle braccia anche se in quel momento non è che ci stessi prestando tanta attenzione. Mi spostò i capelli baciandomi il collo e le spalle, non capivo più niente già da un bel pezzo. E di nuovo all’improvviso mi fu dentro, la diversa angolazione cambiò completamente la mia percezione. Artigliai il lenzuolo mentre lui continuava a spostare le labbra sul mio collo ed incalzava il ritmo. Se questo era quello che mi attendeva come Lea Vinsmoke allora forse questo matrimonio non era tanto brutto come mi era sembrato di primo impatto.
 
Finimmo praticamente insieme questa volta. Lui appoggiò il capo sul mio delicatamente, per poi baciarmi di nuovo la spalla, con delicatezza, con il respiro pesante per lo sforzo. Si staccò da me per stendersi e mi attirò a sé poggiandomi un bacio leggero sulla fronte.
 
<< Spero tu non ti sia pentita di avermi detto di sì >> ghignò nella mia direzione. Sentivo il suo cuore battere ad un ritmo accelerato, a quanto sembrava anche i superuomini finivano per stancarsi quando mantenevano i ritmi di una divinità.
 
<< Non ancora, ma posso sempre cambiare idea. >> gli restituì il sorriso.
 
<< Guarda che ti ho osservata prima. Non penso che cambierai idea. >> aveva un ghigno spaventosamente grande e soddisfatto ed io mi sentivo straordinariamente felice.
 
Vorrei poter dire che quello fosse l’epilogo di una meravigliosa favola in cui la fanciulla rapita su di un’isola sperduta si innamora del suo aguzzino e finisce per sposare il suo principe verde, ma come ho detto all’inizio della storia, questo non è quel genere di favola.
 
Iniziavo a prendere confidenza con la mia nuova situazione, gli sguardi tra di noi erano sempre più complici e più di una volta lo avevo scoperto a fissarmi o lui aveva scoperto me. Stavamo continuando con la solita vita su Germa, fatta di lavoro in laboratorio, cene con la sua terrificante famiglia, riunioni e allenamenti a cui lui non poteva mancare e meravigliose notti in cui tutto spariva ad eccezione di noi. Era divertente, ci prendevamo spesso in giro ma mi faceva ridere, ed anche se non aveva idea di cosa stesse facendo aveva trovato un suo modo di amarmi. Mi era capitato di seguire Reiju nei corridoi per andare con lei a verificare qualcosa della sua tuta e sentirmi trascinare d’improvviso dietro qualche angolo per ritrovarmi le sue labbra sulle mie. Una volta aveva usato le sue scarpe a propulsione per comparire davanti ad una finestra mentre passavo, solo per rubarmi un bacio durante gli allenamenti.
 
Sembrava tutto fantastico, sembrava che alla fine tutto fosse destinato ad andare per il verso giusto. Sembrava. Solo ora che non sono più su Germa mi rendo conto di quanto fossi stata felice in quelle settimane che separarono quella notte dal giorno del mio matrimonio e quanto avessi voluto passare con lui il resto della mia inutile, vuota e priva di significato vita.
 
Quello che era iniziato come un incubo aveva finito per diventare una favola e quello che doveva essere l’epilogo di una favola si era rivelato essere l’inizio del vero incubo.
 
Nelle settimane che seguirono quella notte lavorai alle tute di Reiju e Ichiji. Yonji mi lasciava andare nei loro laboratori, sebbene preferisse che restassi al sicuro nel suo. Non avevo avuto a che fare con Niji visto che era il mio bestione a star sistemando le cose con lui. Due settimane dopo lo vidi tornare in camera, mentre me ne stavo allo specchio a spazzolarmi i capelli. Aprì la porta di colpo facendomi trasalire.
 
<< Yonji, mi hai spaventata. >> gli dissi posando la spazzola sul tavolino. Attraversò la stanza a grandi falcate, mi prese tra le braccia e mi baciò con estremo trasporto. << Si può sapere che ti prende? >> non che mi dispiacesse, i suoi baci non mi dispiacevano mai, solo che non capivo il motivo di tutto quel trasporto.
 
<< Finalmente mio padre si è espresso. >> aveva un sorriso spaventosamente largo. << Sarò io a far di te la signora Vinsmoke. >>
 
Lo abbracciai felice. << Sul serio? E Niji? >>
 
<< Cos’è ti dispiace per lui? >> mi punzecchiò.
 
<< Certo che no! Solo mi sembra strano l’abbia presa bene. >>
 
<< Non l’ha presa bene, ma non ha importanza, non alzerebbe mai le mani su mia moglie. >> sentirglielo dire mi fece saltare un battito. Sua moglie. Sua. Era meraviglioso. Gli poggiai un bacio leggero sulle labbra prima di sfiorarle con le dita. Ignara dei problemi che ne sarebbero conseguiti.
 
Il tempo iniziava a stringere, venne fissata una data per l’epico matrimonio tra il quarto principe Vinsmoke ed una misteriosa ragazza il cui nome sarebbe stato svelato il giorno stesso al mondo intero, in modo che Judge potesse reclamare i diritti ed il potere che il mio nome gli avrebbero portato. La cosa non mi piaceva affatto, ma fingevo di non darvi peso, per Yonji. Anche il mio rapporto con Reiju si andò rinsaldando, infatti fu lei a starmi accanto durante la prova dell’abito. Era felice per suo fratello e poi era egoisticamente felice del fatto che il matrimonio di suo fratello avesse la priorità sul suo e che dopo aver inserito una Vegapunk in famiglia forse non sarebbe più stato necessario che lei sposasse un ufficiale.
 
Ormai era tutto pronto e mancavano solo pochi giorni al matrimonio. Erano stati spediti pochissimi inviti, sarebbe stato un matrimonio piuttosto privato anche se l’intenzione di Judge era quello di farlo trasmettere sugli schermi di tutto il mondo, in modo che il mio nome ed il suo venissero uditi da chiunque. Ero all’ultima prova dell’abito e per la prima volta realizzai sul serio cosa sarebbe successo di lì a pochi giorni. Mi chiesi cosa ne avrebbe pensato il mio principe verde vedendomi vestita così avanzare verso di lui, immaginai il momento in cui avrebbe sollevato il velo incrociando i miei occhi con i suoi. Sorrisi, completamente immersa nelle mie fantasie. Mi tolsi il vestito, in quel momento non desideravo altro che tornare da lui e baciarlo, sentire le sue braccia forti circondarmi, sentirmi felice da far schifo.
 
Mi rivestii e mi incamminai per i corridoi con la testa completamente proiettata al momento in cui lo avrei visto. Quello che accadde mi colse alla sprovvista, completamente, perché da quel momento non ci sarebbero più stati momenti felici. Il regno di Germa ebbe uno scossone ed io persi l’equilibrio finendo a terra.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il salvataggio ***


La terra tremò per qualche secondo ma non mi sconvolsi più di tanto, in quel posto succedevano parecchie cose strane. Tra incidenti di laboratorio e violentissimi allenamenti, cose simili erano praticamente all’ordine del giorno. Mi rimisi in piedi ma non riuscii a fare neanche un passo che arrivò un altro scossone e quelle che avevano tutta l’aria di essere delle violente esplosioni. Mi aggrappai al muro per non cadere e cercai di raggiungere la finestra per tentare di capire cosa diavolo stessero combinando i Vinsmoke. Quando finalmente mi affacciai la scena davanti ai miei occhi ebbe lo stesso effetto di un pugno nello stomaco. Il regno di Germa era sotto attacco. Quelli che avevo sentito non erano allenamenti ma bombardamenti, ci stavano attaccando.
 
Mi voltai di corsa diretta alla camera che condividevo con Yonji, dovevo trovarlo, anche se avevo poche speranze di trovarlo lì. Infatti la camera era vuota e continuavo a faticare a restare in piedi. Un altro violento scossone e persi di nuovo l’equilibrio impattando contro un armadio a due ante dai capelli verdi che mi prese al volo.
 
<< Che sta succedendo? >> gli urlai quasi per sovrastare i rumori provenienti dall’esterno.
 
<< Ci stanno attaccando! >> mi sembrava piuttosto ovvio, ma il fatto che il suo primo pensiero fosse stato venirmi a cercare mi riempì il cuore di pura gioia, anche se non erano proprio i sentimenti più adatti alla situazione. Mi aggrappai a lui quando arrivò la scossa successiva e lui mi sollevò di peso, evidentemente convinto che non fossi capace di reggermi da sola.
 
<< Ti porto al sicuro! >> mi urlò. << Qui è pericoloso! >>
 
<< Chi ci sta attaccando? >> mi aveva parlato dei pirati di Big Mom e di quanto spaventassero persino dei mostri quali i Germa 66.
 
<< L’Armata Rivoluzionaria. >> mi rispose semplicemente.
 
<< E che diavolo vogliono da noi? >> ormai mi consideravo già un tutt’uno con lui.
 
<< Ed io che diavolo ne so! Appena li ho visti sono corso da te, non mi sono certo fermato a chiedere informazioni! >> in effetti aveva ragione, non era il momento di prendere il tè insieme, eppure qualcosa non mi tornava.
 
Da quello che sapevo sul loro conto erano un gruppo di rivoluzionari schierati dalla parte dei più deboli contro prepotenze e ingiustizie, anche se i giornali li dipingevano quasi alla stregua di criminali. Che diavolo ci facevano lì?!
 
<< Non dovresti dare una mano ai tuoi fratelli? >> gli chiesi mentre attraversavamo rapidi i corridoi.
 
<< È quello che sto facendo. Metto al sicuro il tesoro più prezioso di Germa. >> mi sorrise. Non era solo una questione personale, ero una Vegapunk, avevo un valore non indifferente, non avrebbero rischiato che venissi uccisa per caso. Ufficialmente il suo compito era proteggermi e sfruttarmi per il tornaconto del regno, ufficiosamente aveva trovato un suo modo di amarmi, riuscendo così a conciliare i bisogni personali con quelli del regno.
 
Arrivammo al suo laboratorio e mi mise a terra. << Cerca qualcosa per difenderti nel caso io dovessi cadere. >> mi disse attivando la tuta che avevo costruito per lui.
 
<< Che significa “cadere”? >> gli chiesi allarmata dall’eventualità che potesse accadergli qualcosa.
 
<< Sta tranquilla, non mi accadrà niente. >> mi diede un bacio sulla fronte. << Resta qui, tornerò presto. >>
 
<< Aspetta! Non puoi lasciarmi qui a chiedermi che ne sarà di te! >> non avevo nessuna intenzione di restarmene lì.
 
<< Ti ho già detto che non mi succederà niente. Concerò quei tipi per le feste e poi tornerò da te. >> non mi aveva affatto tranquillizzata. Mi sollevò di peso facendomi sedere sul tavolo olografico, tutto intorno a noi tremava per la tremenda battaglia che stava avendo luogo lì fuori, ma lui sembrava terribilmente tranquillo. << Lo sai che queste cose mi mettono sempre tanta voglia. >> mi disse infilandosi tra le mie gambe. << Tieniti pronta perché quando tornerò la prima cosa che farò sarà prenderti proprio qui dentro. >> mi diede un bacio profondo che mi lasciò l’amaro in bocca. Quello fu l’ultimo bacio, quello fu l’ultimo abbraccio, quella fu l’ultima volta che incontrai quegli occhi blu, quella fu l’ultima volta che credetti di rivederlo ancora.
 
Si staccò da me lasciando il laboratorio e non appena la porta si chiuse alle sue spalle saltai giù dal tavolo e corsi verso l’uscita. Come immaginavo! Quel bastardo dai capelli verdi mi aveva chiusa dentro! Battei i pugni contro la porta arrabbiata e frustrata.
 
<< Lasciami uscire! Non puoi rinchiudermi qui dentro! Mi hai sentita brutto scimmione? Ehi!!!! >> urlavo e colpivo la porta ma senza successo. Al ritorno avremmo fatto i conti, se pensava di tornare lì dentro alla fine della battaglia, coperto di sangue e polvere per aprirmi le gambe poteva scordarselo! Si sarebbe pentito di avermi rinchiusa lì dentro!
 
Mi misi a rovistare nel laboratorio alla ricerca del necessario per manomettere la serratura elettronica e per cercare qualcosa per potermi proteggere e per potergli fare male al ritorno. Recuperai alcuni attrezzi e mi arrampicai su di uno sgabello per arrivare alla serratura, era a misura di quel dannato colosso. Rimossi il coperchio ed iniziai a trafficare con i fili. Ero a buon punto quando sentì un’altra esplosione che fece tremare il palazzo e mi fece cadere dallo sgabello. Rovinai a terra massaggiandomi il sedere quando vidi la porta diventare incandescente e fondersi pian piano.
 
Sentii il terrore investirmi, il mio bestione non sarebbe mai entrato in quel modo e da quella stanza non c’erano altre uscite, ero in trappola. Mi tirai su e corsi verso il piano olografico, afferrai al volo uno dei guanti modificati di Yonji a cui stavo lavorando e scivolai dietro al tavolo senza neanche guardare chi stesse per entrare. Poggiai la schiena al tavolo cercando di restare immobile e non fare neanche un rumore. Mi coprii la bocca con la mano per non far percepire il mio respiro e mi strinsi il guanto al petto. Rumore di passi che si avvicinavano. Era una sola persona e non era uno dei nostri, conoscevo il suono che facevano gli stivali delle loro uniformi. Si fermò poco lontano dal tavolo e sentii suonare un lumacofono.
 
<< Si?! Dove vuoi che sia?! >> la voce di un uomo, un ragazzo. << Non ancora… Pensavo di sì ma non c’è… eppure è strano, perché chiudere in quel modo una stanza vuota?... >> sbarrai gli occhi e premetti con più forza la mano davanti alla bocca.
 
Yonji… dove sei?”
 
Sentivo una voce femminile continuare a parlare attraverso il lumacofono ma il ragazzo non le stava più rispondendo, aveva ricominciato a muoversi nella stanza.
 
<< Ma insomma! Vuoi rispondere?! SMETTILA DI IGNORARMI! >> la ragazza al lumacofono si stava agitando. Lui semplicemente chiuse la chiamata, senza risponderle ulteriormente. Si fermò di nuovo.
 
<< Oh bhè, sembra non ci sia nessuno. >> aveva un tono piuttosto tranquillo. << Sarà meglio cercare altrove. >> chiusi gli occhi e mi rilassai un po’, non si era accorto di me. << Ciao. >> la voce proveniva dall’alto, da sopra la mia testa. Quando la sollevai quasi mi venne un infarto. Era sul tavolo olografico e mi guardava sorridendo, non il ghigno dei Vinsmoke, un sorriso vero, ma il fatto che fosse sul viso di uno sconosciuto mi spaventò a morte. Ricordavo il primo incontro con Yonji e come fosse finito.
 
Ebbi un attimo di panico, poi mi riscossi e gli puntai contro il guanto della Raid Suit e feci fuoco. Mi aspettavo pressappoco l’effetto che avevo ottenuto con Niji ma le cose non andarono affatto così. Il ragazzo fu rapidissimo e per un istante mi sembrò che il suo corpo si fosse trasformato in una fiammata. Evidentemente lo shock mi stava facendo sragionare. Però aveva neutralizzato il colpo, forse il guanto non funzionava ancora correttamente, in fondo non lo avevo ancora collaudato.
 
<< Ehi, ehi, vacci piano! >> mi disse continuando a sorridermi. << Qualcuno potrebbe farsi male. >> era strano, il suo tono non era affatto minaccioso. Lo guardai perplessa per un attimo e poi gli puntai di nuovo contro il guanto stringendo le labbra.
 
Lui sollevò le mani. << Ti assicuro che non c’è nessun bisogno. >> era di buon umore. << Voglio solo chiederti un’informazione. >> questa poi. Lo guardai perplessa aggrottando leggermente le sopracciglia. << Non conosco bene il regno di Germa e rischio di girare a vuoto, magari puoi essere così gentile da dirmi dove devo andare. >> si quel tipo era decisamente strano. Tesi il braccio con fare minaccioso e lui sollevò di nuovo le braccia. Aveva una faccia di bronzo pazzesca, ma non come quella di Yonji, non c’era nessuna traccia di arroganza, era solo… gentile ed in quel posto era davvero una cosa strana.
 
Aveva i capelli biondi e leggermente ricci, un cilindro con degli occhialini ed un lungo cappotto, sembrava la rivisitazione dei vestiti di un nobile. Dovevo raggiungere la porta e scappare, non mi andava di ripetere la stessa scena già vista con Niji.
 
<< Sto cercando una ragazza. >> spiegò calmo e sorridente senza abbassare le mani. << Non so bene chi sia, in realtà non la conosco, ma mi hanno detto che ha sui 19 anni, capelli neri, occhi azzurri, non molto alta. Un po’ come te. >> mi indicò ed in reazione gli puntai di nuovo contro il guanto. << Calma, calma. Voglio sapere se sai dirmi dove posso trovarla. >>
 
“Ma questo è scemo?!”
 
Ovviamente quel pensiero mi si lesse dal volto.
 
<< Non voglio farle del male. >> aggiunse lui. << Mi manda una persona. >> per un attimo mi chiesi cosa sarebbe successo se gli avessi mentito.
 
<< Si trova nel palazzo lì infondo, sotto la custodia del principe Niji. >> chiunque dei due avesse pestato l’altro non mi sarebbe dispiaciuto.
 
<< Ti ringrazio. >> mi disse lui sorridendomi sollevando appena il cilindro e dirigendosi verso la porta. Non ci potevo credere, quel tipo era un idiota! << Ah a proposito. >> mi disse voltandosi. << Mi chiamo Sabo. >> mi disse con un inchino. Non gli risposi, io a differenza sua non ero stupida. Il lumacofono ricominciò a suonare ma lui lo ignorò aspettando la mia risposta.
 
<< Dovresti rispondere. >> tentai di distrarlo.
 
<< Tu credi? >> sembrava sul serio interessato alla mia opinione, ma neanche mi conosceva. << No, vorranno solo sapere se ho trovato la ragazza. >> non capivo perché mi dicesse quelle cose.
 
<< Digli che non l’hai trovata. >> mi sentivo un’idiota a rispondergli ma mi parlava in un modo tale che era inevitabile.
 
<< Bhè inizierebbero a sgridarmi, meglio se li avviso direttamente quando l’avrò trovata. >> mi sorrise.
 
<< Buona fortuna. >> gli dissi in tono sarcastico abbassando il guanto mentre fuori continuavano a sentirsi urla ed esplosioni.
 
Uscì dalla porta e si guardò intorno prima di riaffacciarsi dentro. << Senti non è che potresti accompagnarmi? Non sono sicuro di saper raggiungere il luogo che mi hai indicato. >>
 
“Ma da dove esce questo tipo?!”
 
<< Come scusa?! >> non era normale per niente.
 
<< Tu vivi qui, no? Sai sicuramente come si raggiunge il posto che mi hai indicato. >> non sarei andata al palazzo di Niji neanche sotto minaccia dello stesso principe dai capelli blu.
 
<< Mi è proibito andare lì. >> mentii. Lui mi osservò qualche attimo riflettendo.
 
<< Ah, capisco. >> mi disse con tono deluso. Era assurdo che si bevesse tutte le mie sciocchezze senza batter ciglio. << Allora credo di dovermela cavare da solo. >> concluse rassegnato.
 
<< Temo proprio di si. >> quasi mi dispiaceva mentirgli.
 
<< Bhè, grazie lo stesso. >> il lumacofono suonò di nuovo ed ancora una volta lo ignorò non accennando a muoversi però, continuava a fissarmi.
 
<< Cosa c’è? >> non mi piaceva per niente.
 
<< Pensavo che non sarebbe molto da gentiluomo lasciarti qui tutta sola. Potrebbe essere pericoloso. Sai c’è una battaglia fuori. >> me lo disse come se non mi fossi resa conto di grida ed esplosioni e delle pareti che tremavano.
 
<< Ti ringrazio del pensiero ma sono perfettamente al sicuro qui. >> ma che diavolo voleva da me?!
 
<< Ma eri chiusa dentro e stavi tentando di scappare. >> indicò la serratura elettrica mezzo smontata.
 
<< Si è attivato il sistema di sicurezza e mi ha chiusa accidentalmente dentro. >> mentii di nuovo.
 
<< Ah ecco, ora si spiega. >> continuava a sorridermi. << Per un attimo ho pensato che tu fossi la prigioniera che Marla mi ha mandato a cercare. >> quel nome, sbarrai un attimo gli occhi.
 
<< Marla? >> non poteva essere la stessa persona, anzi non lo era di sicuro.
 
<< Si. Mi ha detto che la ragazza di cui si prendeva cura era stata rapita dai Germa 66 durante un attacco alla loro isola e che ha bisogno di aiuto. >> continuava ad essere tranquillo e sorridente ma era evidente che mi stesse mentendo. Marla era morta, me lo aveva detto Yonji che non c’erano stati superstiti a parte me.
 
<< La ragazza che cerchi ha detto che non c’erano superstiti sulla sua isola. >> non so perché glielo stavo dicendo, ma che sapesse oppure no della sua dipartita la conosceva comunque.
 
<< Non tutti in effetti, siamo arrivati tardi, ma qualcuno siamo riusciti a portare in salvo. >> mi spiegò lui appoggiandosi allo stipite della porta. << Però non siamo arrivati in tempo per salvare Lea, per lei era troppo tardi, l’avevano già portata via. >>
 
Magari in un altro momento mi avrebbe fatto piacere il salvataggio, ma su quel regno avevo trovato ciò che dava senso alla mia vita e non avevo intenzione di lasciarlo .
 
<< Perché l’Armata rivoluzionaria dovrebbe invadere un regno pericoloso per accontentare un’isolana? >>
 
<< Perché l’isolana in questione fa parte dell’Armata, ed eravamo stati inviati da tuo padre per venirvi a prendere, Lea, ma siamo arrivati tardi. >> sbarrai gli occhi. Sapeva chi ero.
 
<< Quando hai capito chi ero? >>
 
<< Quando ho visto la porta chiusa. >> mi disse sorridendo.
 
<< Non voglio venire con te. Le cose sono cambiate. Non posso andarmene di qui! >> li aveva mandati mio padre, non mi avrebbero fatto del male, ma non volevo andare con loro. << Mi dispiace che siate arrivati fin qui ma dovete andare via. Dite a mio padre che mi dispiace tanto, ma non posso venire. >>
 
<< Non sei al sicuro qui. Quando scopriranno chi sei… >>
 
<< Lo sanno già chi sono! Gliel’ho detto io. >> cercavo di risultare quanto più determinata possibile.
 
<< Gli hai detto che sei una Vegapunk? >>
 
<< Si! >>
 
<< Ah! Questo non me lo aspettavo. >> si grattò la testa. << Bhè non è proprio un bene ma visto come stanno le cose non sarebbe comunque stato un segreto per molto tempo ancora. Tuo padre ha deciso di “riconoscerti”. >>
 
<< Perché ora? Mi ha ignorata per diciannove anni, mi ha detto di ammazzarmi piuttosto che rivelare la nostra parentela ed ora vuole “riconoscermi”?! >> quell’uomo era assurdo.
 
<< Perché sta per scoppiare una guerra, che si combatterà su più fronti e abbiamo bisogno di tutte le forze possibili se vogliamo avere qualche possibilità di vincerla. >> teneva le braccia incrociate sul petto.
 
<< Ma di che diavolo stai parlando? >> stava farneticando.
 
<< È complicato da spiegare e credo che questo non sia neanche il posto adeguato per spiegarti tutto. >> altre esplosioni e grida dall’esterno. << Dovremmo andare, Iva non può creare scompiglio per molto. >>
 
<< Allora non hai capito, io non mi muovo di qui! >> puntai i piedi a terra e lo guardai torvo.
 
<< È la prima volta che qualcuno non vuole essere salvato. >> sembrava piuttosto perplesso.
 
<< Dovevate salvarmi quando mi hanno rapita, adesso è troppo tardi! Non ho più bisogno di essere salvata, sono già stata salvata. >>
 
<< Da chi? >>
 
<< Questi non sono affari tuoi! Porta i miei saluti a mio padre quando lo vedi. >> gli andai incontro per sorpassarlo ed uscire da quella stanza ma lui mi fermò mettendomi un braccio davanti. Sembrava piuttosto combattuto.
 
<< Spostati! >>
 
<< In genere noi non rapiamo la gente… però tu sembri non renderti conto della situazione in cui ti trovi. >>
 
<< Sei tu che non ti rendi conto! Io sono felice qui! Lasciami in pace! >> espirò ed in un solo rapido movimento mi tirò su di peso. << Mettimi subito giù! >> iniziai a dibattermi.
 
<< Credimi, appena ti renderai conto di essere in salvo mi ringrazierai. >>
 
<< Ma che diavolo stai blaterando, sei tu che mi stai rapendo! Mettimi immediatamente giù! >> era di poco più basso di Yonji ma decisamente meno piazzato eppure mi aveva sollevata come fossi una piuma.
 
<< Ti dispiace indicarmi l’uscita? >> mi chiese tranquillo e sorridente.
 
<< Tu devi essere matto! Guarda che mi metto a urlare! >>
 
<< Se potessi evitare sarebbe meglio, i rumori forti mi infastidiscono alquanto, ma se non riesci a farne a meno accomodati.  >>
 
<< Non hai paura dei Germa 66? >>
 
<< No. E tu? >> stavo discutendo con un idiota e gli stavo anche rispondendo. Neanche a nominarli comparvero davanti a noi un nugolo di soldati. << Devono aver sorpassato Iva. Va bene, ci penso io. >> mi mise giù molto delicatamente, non come aveva fatto Yonji. << Ti dispiace aspettarmi qualche secondo? Faccio in un attimo. >> mi sorrise e si voltò verso i soldati. << Ah, dimenticavo, è meglio se ti allontani un po’, i miei poteri sono ancora in rodaggio, non vorrei farti del male inavvertitamente. >> approfittai del consiglio per allontanarmi un po’.
 
Non mi ero sbagliata affatto, il suo corpo era diventato di fuoco ed aveva sbaragliato in un attimo tutti soldati. Tornò verso di me che lo osservavo ad occhi sgranati, completamente paralizzata dallo stupore. << Stai bene? >> mi chiese osservandomi preoccupato per valutare le mie condizioni che, neanche a dirlo, erano perfette.
 
<< Si… certo, sto bene. >> risposi scuotendo il capo per riprendermi.
 
<< Meno male. Dai andiamo. >> di nuovo impuntai i piedi a terra e feci un passo all’indietro. Lui sospirò. << Farai così per tutto il tragitto? >>
 
<< Non verrò! Dovrai trascinarmi! >> ci stava riflettendo.
 
<< Cosa ti hanno fatto! >> esclamò a voce bassa scuotendo la testa prima di ritirarmi su di peso. << Non ti preoccupare, una volta arrivati a casa ti cureremo. >>
 
<< Mettimi giù! Io sono a casa! >> scalciavo come una forsennata, al punto che fu costretto a mettermi a terra. Si passò una mano tra i capelli piuttosto frustrato mentre lo guardavo torvo. Una grande esplosione dall’esterno fece crollare la parete del corridoio in cui ci trovavamo e con mia grande sorpresa lui mi si parò dinanzi per farmi da scudo.
 
<< È pericoloso restare qui! >> mi urlò per soprastare i rumori. << Lascia almeno che ti porti al sicuro! >> un’altra esplosione.
 
<< Falli smettere! >> mi coprì il viso mentre lui continuava a proteggermi.
 
<< Gli ordini sono di fermarsi solo quando sarai stata portata al sicuro. Non si fermeranno fino a quando non sarai salita su una delle nostre navi. >> non mi stava minacciando o ricattando, semplicemente le cose stavano così e lui non poteva farci niente.
 
<< Raderanno al suolo il regno di questo passo! >> altre violente esplosioni ed urla.
 
<< Si. E ci sono già parecchi feriti. Più tempo resterai qui più il numero delle vittime salirà. >>
 
<< Ma è terribile! Voi dovreste essere i buoni! Perché permettete una cosa simile? >> era tutto assurdo.
 
<< Noi combattiamo contro il Governo Mondiale e il Germa è alleato con loro, è nella lista dei nostri nemici. Non si fermeremo fino a quando non sarai con noi. >>
 
<< Perché? >>
 
<< Perché è importante. >>
 
<< Ma perché? >>
 
<< Non credo tocchi a me spiegartelo, ma alla nostra base riceverai tutte le spiegazioni, te lo prometto. Ti diranno perché eri su quell’isola, perché non hai mai visto tuo padre, perché ti ha cresciuta un membro dell’Armata, perché ti sei dovuta nascondere tutta la vita e perché siamo stati mandati a prenderti. Ti prometto che saprai tutto. Ti prego, vieni con me. >> erano domande che mi facevo da tutta una vita e a cui volevo una risposta… ma non abbastanza da lasciare Yonji.
 
<< Non mi interessa. Non vengo con te! >>
 
“Al diavolo loro e mio padre!”
 
Un’altra esplosione, il soffitto stava crollando, mi coprì la testa con le braccia e l’ultima cosa che vidi fu il ragazzo biondo diventare fuoco, poi qualcosa mi colpì alla testa e tutto divenne buio. Non so per quanto tempo restai incosciente, non so cosa accadde da quel momento. L’Armata si era davvero ritirata una volta catturatami? Il regno di Germa era ancora intero? Qualcuno aveva preso a calci quel bastardo di Niji? Le tute avevano funzionato bene? Yonji vedendo l’esplosione si era precipitato a cercarmi? Era arrivato in tempo? Come aveva reagito non trovandomi? Mi stava cercando?
 
Non lo sapevo. Tutto ciò che sapevo è che avevo un gran mal di testa e mi costava fatica aprire gli occhi. Avevo paura di cosa avrei trovato al mio risveglio eppure sapevo bene di non essere più su Germa, sapevo che le voci che stavo ascoltando non erano degli scienziati ma mi erano sconosciute, sapevo che Yonji non era lì con me, che una volta aperti gli occhi non lo avrei trovato al mio fianco a dormire scompostamente.
 
Ancora ad occhi chiusi venne giù una lacrima. Era finita.
 
<< Guardate deve essersi svegliata. >> la voce di una ragazza. << Mi chiedo come abbia potuto permettere che si facesse del male?! Sabo è proprio un incosciente! >>
 
<< Avrà fatto di sicuro del suo meglio. Non era semplice trovarla e portarla via da quel posto. Ma ora è al sicuro e si sta svegliando. >> una voce conosciuta. Marla! Allora era sopravvissuta! Mi sforzai di aprire gli occhi, volevo vederla. << Ehi bambina, come stai? >> Si, era proprio lei. << Ci hai fatti spaventare. Per fortuna stai bene. >> mi asciugò la lacrima scesa e mi sorrise. Avevo avuto quella donna davanti per nove anni e non mi aveva mai detto chi fosse davvero.
 
<< Marla… >> biascicai. << Come… Come fai ad essere viva? >>
 
<< I ragazzi sono arrivati appena in tempo, ma credo che me la sarei cavata lo stesso. Tu piuttosto! Sei la solita testarda incosciente! Ti avevo chiesto di nasconderti! E invece ti vedo trascinata priva di sensi in spalla ad un gorilla dai capelli verdi! >> la solita ramanzina.
 
“Yonji!”
 
<< Dove mi trovo? >> scattai a sedere in preda al panico. << Dove sono i Vinsmoke? >> ma la vera domanda era:
 
“Dov’è Yonji?”
 
<< Stai calma piccola, sei al sicuro adesso, sei su Kamabacca, abbiamo dovuto spostare qui il nostro quartier generale, ma sei al sicuro. È un luogo nascosto e ben protetto, non ti troveranno. >> quelle parole ebbero su di me l’effetto di un pugno allo stomaco e scoppiai a piangere. Marla mi abbracciò. << Immagino quanto sia stata dura per te sopravvivere lì, ma adesso è tutto finito. >> non aveva capito niente. Era stata dura, soprattutto all’inizio ma poi mi ero innamorata ed ora lo avevo perso.
 
Cercai di calmarmi. La testa mi stava scoppiando. Lì non c’era la tecnologia Germa, si erano limitati a fasciarmi la testa e a darmi qualche punto sul lato sinistro della fronte, dove mi aveva colpito il masso.
 
<< Che ne è stato dei Vinsmoke? >> chiesi con lo stomaco ancora aggrovigliato.
 
<< Siamo riusciti a seminarli, anche se non è stato facile. Quando hanno capito quale era il nostro intento hanno provato a fermarci. >>
 
<< Stanno bene? >> ero in ansia e i presenti nella stanza mi osservarono come se fossi impazzita.
 
<< Non lo so. >> mi disse Marla perplessa.
 
<< I Vinsmoke sono ossi duri. >> mi rispose la ragazza col caschetto. << È già stato un miracolo riuscire a seminarli. Ma credo siano ancora tutti interi. >> tirai un sospiro di sollievo e crollai di nuovo contro i cuscini.
 
<< Mi cercheranno. >> lui lo avrebbe fatto, ne ero sicura, non mi avrebbe lasciata andare, non si sarebbe arreso.
 
<< Sta tranquilla bambina, non possono trovarti qui. >> ed era proprio questo il problema. << Sei al sicuro. >> Non volevo essere al sicuro, volevo essere tra le sue braccia a lottare con i suoi baci usando le mie labbra.
 
<< Perché sono qui? >> avevo un tono piuttosto scocciato.
 
<< Perché eri stata rapita. >>
 
<< E a mio padre è venuto in mente dopo oltre un mese che ero stata rapita? >> ero decisamente nervosa.
 
<< Certo che no, ma serviva tempo per organizzarsi, non è una cosa semplice assaltare il regno di Germa. >>
 
<< E nessuno ha pensato di chiedermi se volevo essere salvata? >>
 
<< Ma cosa stai dicendo?! Preferivi restare con quei mostri senz’anima? Chissà cosa avrai dovuto passare in tutto questo tempo? >>
 
<< Non ne hai neanche idea di cosa ho passato. >>
 
<< Bhè adesso è finita. >>
 
<< Voglio tornare indietro. >> dissi con tono piatto.
 
<< Tornare indietro? >>
 
<< Hai capito bene. Vi ringrazio per la premura, ma voglio essere riaccompagnata su Germa. >>
 
<< Lea ti ha dato di volta il cervello? >> anche Marla si stava innervosendo.
 
<< Sabo ha detto che era confusa. >> si intromise la ragazza col caschetto a cui restituì un’occhiataccia.
 
<< Non sono affatto confusa, sono lucidissima e nel periodo che ho trascorso su Germa ho capito tante cose, prima tra tutte che non voglio avere a che fare niente con mio padre visto che era pronto a sacrificare la mia vita pur di non farmi associare a lui. >>
 
<< Tuo padre ha tentato di proteggerti per tutti questi anni. >>
 
<< Ti sbagli! Ha tentato di nascondermi! Ed io mi sono quasi buttata da una torre per tenere nascosto il suo segreto! >> ero furiosa. << Non ho intenzione di avere più niente a che fare con lui! Il suo cognome è una disgrazia, se fosse stato davvero un buon padre avrebbe dovuto evitare di avere contatti con me per tutti questi anni e lasciarmi libera. Per fortuna c’è a chi non interessa come mi chiamo e che mi accetta per quella che sono. >>
 
<< Ma di cosa stai parlando?! >> Marla era furiosa, aveva l’atteggiamento di quando da bambina facevo i capricci.
 
<< Sto parlando di Yonji Vinsmoke, quarto principe di Germa! Lo amo e lui ama me e ci sposeremo. >> guardai la mia tata con uno sguardo di sfida e vidi chiaramente che stava trattenendosi dal tirarmi un ceffone.
 
<< Non sai di cosa stai parlando! Sei una sciocca! I Vinsmoke non sono in grado di amare! Sono stati modificati geneticamente per esserne immuni. Sei solo una credulona, eppure credevo di averti tirata su meglio di così! Lui non ti ama, vuole solo approfittarsi di chi sei! >>
 
<< Tutti vogliono approfittarsi di chi sono! Ma non lui. Lui ha trovato un suo modo di amarmi e ce la sta mettendo tutta per farlo ed io voglio passare il resto della mia vita con lui. >> la vidi infuriarsi.
 
<< Toglitelo dalla testa! Non succederà mai! Non ho passato nove dannati anni su di un’isoletta dimenticata da Dio per farti sposare un principe! Ti ho tenuta al sicuro, facendo in modo che nessuno sapesse di te per poterti riconsegnare all’Armata Rivoluzionaria quando fosse arrivato il momento giusto e così è stato! >>
 
<< Che significa “riconsegnare”? >> la guardavo piuttosto perplessa.
 
<< Te lo spiegheranno loro cosa significa! Il mio compito era proteggerti e far sì che tu imparassi quello che voleva tuo padre e tenerti alla larga dagli uomini in modo che potessi esercitare la funzione per cui sei stata creata. >>disse con una freddezza che non le avevo mai sentito prima.
 
<< Creata? >> che diavolo voleva dire?!
 
<< Non ho un grado sufficientemente alto per darti questa informazione. L’unico consiglio che posso darti è di riposarti e dimenticare questi ultimi mesi perché non c’è nessuna possibilità che tu riveda quel ragazzo, meno che mai che tu possa avere un futuro con lui. Tuo padre ha dei piani precisi per te, li ha da quando sei stata ideata e creata e non manderai tutto in fumo. >> mi voltò le spalle e lasciò la stanza dando ordine che non venissi persa d’occhio e che non fossi lasciata uscire per nessun motivo a meno che l’ordine non fosse arrivato dall’alto.
 
<< Perdonala, siamo tutti sotto pressione ultimamente. Riposati, vedrai che dopo le cose sembreranno meno brutte di quanto in realtà siano. >> la ragazza col caschetto mi sorrise e lasciò anche lei la stanza.
 
Ero sola, ma forse era meglio così. Non volevo vedere nessuno. Non capivo cosa fosse successo, ma le parole di Marla mi avevano turbata non poco. Che cosa aveva voluto dirmi con “ideata” e “creata”. Parlava di me come di un esperimento che come di una persona, che cosa le prendeva? E poi Yonji… non lo avrei più rivisto, non lo avrei stretto mai più, non avrei mai più incrociato quegli occhi azzurri e quel sorrisetto sfacciato. Sprofondai la faccia sul cuscino e piansi tutte le lacrime che avevo addormentandomi con l’immagine di lui nella mente ad accompagnarmi verso il mondo dei sogni.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Il regno di Kamabakka ***


Mi svegliai con la speranza che fosse solo un orribile incubo ma non lo era. Non ero più su Germa, l’Armata Rivoluzionaria mi aveva “salvata”. Me ne stavo raggomitolata a letto, non avevo nessuna voglia di alzarmi, non desideravo vedere nessuno, volevo solo essere lasciata sola. Avevo tentato tante volte di scappare da Germa ma non pensavo che riuscire a lasciare quel posto sarebbe stato così deprimente. Mi avevano portato la colazione ma avevo ignorato tutto e tutti restandomene dov’ero, senza muovermi e senza rispondere a nessuno. Non credevo che l’amore potesse fare così male, non credevo di potermi sentire così sola senza di lui.
Marla non si fece vedere ed era stato un bene, non volevo vederla, non la riconoscevo più, mi sembrava di avere a che fare con un’estranea. Tuttavia a metà mattinata tornò a farsi viva la ragazza col caschetto.
 
<< È permesso? >> chiese gentile lei senza ricevere nessuna risposta da me.
 
Si avvicinò al letto e si sedette alle mie spalle. << Come ti senti? >>
 
“Male! Come dovrei sentirmi?”
 
<< Lo so che è difficile. Chi non ci è passato non può capire. >> diede un’occhiata alla colazione, non l’avevo neanche toccata. << Da bambina sono stata catturata dai Draghi Celesti, non è stato un periodo molto bello. Degli uomini pesce mi portarono via, mi ripulirono, mi diedero un bel vestito. Tutti pensavano fossero dei mostri, ma non era così, io gli volevo bene. >>
 
<< Che ne è stato di loro? >> chiesi senza voltarmi.
 
<< Il mio stesso villaggio li ha venduti, nonostante mi avessero aiutata, nonostante fossi legata a loro. Il capitano perse la vita. >> sorrideva ma sentivo una nota amara nella sua voce. << Chi non ci è passato non può capire. Gli altri non riescono a vedere quello che vedi tu. Lo so che ti manca. Perdere chi si ama è una cosa terribile. Se dovesse capitare a me non so cosa farei. >> mi voltai a guardarla chiedendomi di chi stesse parlando. Represse immediatamente quel velo di tristezza e preoccupazione rivolgendomi un gran sorriso. << È giusto piangere ed essere tristi, ma non bisogna lasciarsi andare, bisogna alzarsi e combattere. >>
 
<< Non voglio combattere. >> le dissi io. << Voglio solo tornare a casa. >>
 
“Voglio tornare da lui…“
 
<< Per quanto mi riguarda potresti andare via anche adesso, ma ci sono delle persone che vogliono parlarti. >>
 
<< Non mi interessa. >>
 
<< Finché non le ascolti non puoi saperlo, magari dopo cambierai idea e se invece volessi ancora andartene ne riparleremo. Però si sono dati tutti un gran da fare per portarti qui, dovresti almeno ascoltare cosa hanno da dire. >> mi accarezzò la spalla. << Potrebbe essere la tua occasione per trovare risposta alle tue domande. >>
 
<< Che ne sai delle mie domande? >>
 
<< So che tutti ne abbiamo. Magari qui qualcuno ha la risposta che cerchi. >> Si alzò dal letto. << Mangia qualcosa e vestiti. Io ti aspetto fuori. >>
 
<< Non hai sentito? Non posso uscire da qui dentro senza ordini che arrivino dall’alto. >>
 
<< È per questo che sono qui. >> mi rivolse un gran sorriso e uscì.
 
Non volevo fare quello che mi aveva detto. Anche se era stata gentile, in quel momento rappresentava il nemico. Però restarmene a letto sarebbe stato inutile. Dovevo parlare con chi comandava in quel posto e convincerli a riconsegnarmi ai Germa 66, possibilmente non a Niji. Misi in bocca qualche cucchiaiata di colazione e aprii l’armadio per vestirmi, era così colorato, terribilmente colorato e… particolare, niente a che vedere con l’eleganza degli abiti dei Vinsmoke.
 
Indossai una cosa qualunque, un pantaloncino ed una maglietta quanto più banali possibili, non ero certo lì per una festa. Scelsi in pratica l’unica cosa verde che trovai, in modo che mi aiutasse a sentirlo un po’ più vicino. Quando uscì dalla stanza la ragazza col caschetto mi osservò delusa per un attimo, probabilmente si stava chiedendo perché con tanti capi a disposizione avevo scelto proprio quello. Tuttavia riacquistò il sorriso in poco più che un attimo, probabilmente decidendo che in fin dei conti non importava come fossi vestita.
 
<< È probabile che gli abitanti dell’isola abbiano da ridire sul tuo vestiario, ma ad essere sincera hanno da ridire su quello di tutti. >> non smetteva mai di sorridere.
 
<< Gli abitanti dell’isola? >> come se mi importasse cosa pensasse quella gente.
 
<< Sono un popolo molto colorato e a primo impatto possono sembrare un po’ sui generis, ma sono davvero molto simpatici e di buon cuore, ci hanno dato un posto dove stare quando non sapevamo dove andare. >> mi guidò attraverso quell’edificio. Era davvero grande, non quanto il castello dei Vinsmoke, ma in quanto a dimensioni si difendeva davvero bene. Era molto colorato e a differenza di quanto era il regno di Germa non sembrava un incrocio tra una caserma ed una prigione.
 
La mia accompagnatrice aveva capelli corti a caschetto tendenti all’arancio e grandi occhi, un fisico a clessidra molto pronunciato ed un cappello rosso con degli occhialini. Sorrideva spesso ed era quasi sempre di buonumore, doveva essere di poco più grande di me.
 
<< Ti farò conoscere la padrona di casa, sta chiedendo di te da quando sei arrivata. >> mi spiegò la ragazza. << È un tipo un po’ particolare ma è molto simpatica vedrai. >> come se fossi lì per fare amicizia. << A proposito, non mi sono presentata ancora, mi chiamo Koala. >> non smetteva un attimo di essere allegra, una cosa che in quelle particolari condizioni mi indisponeva non poco. << Come ti sei trovata su Germa? >>
 
Sollevai le spalle, era difficile da spiegare, era un posto in cui gli estremi riuscivano a convivere con una naturalità disarmante, tanta bellezza e delicatezza quanta violenza, tanta eleganza quanta morte. << È un posto in continua contraddizione. >> le risposi. << C’è bellezza, anche se non sempre è facile riconoscerla. >>
 
<< Tuo padre si è preoccupato molto quando ha saputo che eri stata catturata da loro. >> teneva le mani dietro la schiena mentre avanzava tranquilla.
 
<< Perché ero stata catturata o perché erano stati loro a farlo? >>
 
<< C’è differenza? >>
 
<< Tu che dici? >>
 
Sospirò. << Si ce n’è. >> mi dava la sensazione di sapere di cosa stessi parlando. << Magari il momento in cui potrai chiederlo è più vicino di quanto pensi. >>
 
<< Credo di conoscere già la risposta. >>
 
<< Magari, e dico magari, la questione è molto più complicata di quanto tuo padre ti voglia bene. >>
 
<< Credevo di essere qui perché lo avesse deciso lui. >>
 
Scosse la testa. << Sei qui perché un bel po’ di persone lo hanno deciso un bel po’ di tempo fa. >>
 
<< Non mi importa niente di chi lo abbia deciso o quando, questa è la mia vita e decido io cosa farne, come viverla, dove e con chi! Nessun’altro può azzardarsi a metter bocca! >> iniziavo ad innervosirmi sul serio.
 
<< Noi non crediamo nella coercizione, vogliamo liberare il mondo dai soprusi, nessuno su quest’isola ti obbligherà a fare qualcosa contro la tua volontà, avrai sempre la possibilità di scegliere. >> lei invece era straordinariamente calma.
 
<< E allora perché non mi lasciate andare via? >> parlavano di libertà e poi mi avevano rinchiusa in una stanza.
 
<< Perché per essere veramente liberi di scegliere bisogna conoscere tutta la verità e non solo una parte. Sei stata portata qui affinché potessi sapere finalmente come stanno le cose, solo allora potrai davvero decidere in maniera autonoma cosa fare e se allora vorrai andare via nessuno ti fermerà. >>
 
<< Tu la conosci questa verità? >>
 
Annuì. << Sono uno dei comandanti dell’armata. Si. Mi è stata rivelata. Onestamente speravamo tutti che non arrivasse il giorno in cui avrebbero dovuto mettere al corrente anche te. >> non sembrava una bella cosa.
 
<< Marla lo sapeva? >>
 
<< Si. >>
 
<< E non ha mai pensato di dirmelo in tutti questi anni? >> non potevo crederci.
 
<< Aveva ordine di non farlo, ma nessuno di noi ti avrebbe detto la verità che stai per ascoltare se non obbligato. >> mi stava spaventando.
 
<< Di cosa si tratta? >>
 
<< Te lo dirà Iva, solo lei ha questa autorità. >> tornò a sorridermi, ma mi aveva messo una brutta sensazione addosso.
 
Uscimmo dal palazzo ed il paesaggio che mi si parò di fronte mi lasciò senza parole. Non era sconvolgentemente bello ma sconvolgente lo era di sicuro, era a dir poco surreale. Prati fioriti a perdita d’occhio, nuvole che sembravano fatte di zucchero filato, una costante pioggia di petali rosa, cuori in ogni dove ed un grande arcobaleno che si stagliava nel cielo.
 
Ma dove diavolo siamo?!
 
<< La prima volta che si arriva qui in effetti si resta un po’ stralunati, ma ci si fa presto l’abitudine. >> ridacchiò Koala osservando la mia espressione sconcertata.
 
<< Non sembra affatto la base segreta dell’armata rivoluzionaria, è tutto così… rosa! >>
 
<< Se non lo sembra vuol dire che è perfetta. Chi mai sospetterebbe che ci nascondiamo qui! >> si stava proprio divertendo. << Sbrighiamoci, Iva non tollera chi arriva tardi per il thè. >>
 
Si incamminò ed io ripresi a seguirla. Immaginai la faccia del mio bestione nel vedere quello strano posto, avrebbe storto il naso di sicuro. A quell’immagine mi si strinse il cuore. Mi chiusi in me stessa fino a quando non raggiungemmo il luogo dove questa fantomatica Iva ci stava aspettando. Non prestai attenzione alla strada e non ascoltai neanche una parola dei racconti che Koala mi stava facendo, non facevo altro che vedere nella mia mente l’espressione disgustata di Yonji, così buffa da spezzarmi il cuore.
 
Arrivammo ad uno spiazzo, anche se sarebbe stato meglio definirlo un cerchio di prato attorniato da alberi. Proprio nel mezzo era stato disposto un grande tavolo rotondo con su una tovaglia bianca e molte molte sedie vuote. In tutto contai una dozzina di teiere e molte più tazze, quasi il doppio, oltre a zuccheriere e biscotti e pasticcini di ogni tipo. Sembrava non esserci nessuno a parte me e Koala.
 
<< Per fortuna siamo arrivate in tempo! >> sospirò la ragazza con il caschetto guardandosi intorno.
 
<< Siete in ritardo di ben sette minuti! >> una voce alle nostre spalle piuttosto mascolina. << Per fortuna me lo aspettavo o il thè si sarebbe freddato, non è vero Inazuma? >>
 
Mi voltai trovandomi davanti un uomo alto e di corporatura massiccia, con la faccia squadrata e sproporzionata rispetto al corpo, terminante in un mento a forma di calamaro. I suoi capelli erano viola e s molto folti, acconciati in una pettinatura afro. Aveva delle ciglia davvero molto voluminose e sul petto portava tatuato un teschio con due spade incrociate e ricurve.
 
Indossava un body scollato, guanti e stivali di colore fucsia, un mantello e delle calze fatte a rete e una corona da regina. Aveva un trucco talmente pesante da sembrare una vera e propria maschera. Il suo look eccentrico era completato da un rossetto viola sulle labbra e da una collana bianca.
 
La mia espressione sconcertata attirò la sua attenzione, era palese che mi stessi chiedendo da dove saltava fuori quel tipo mascherato a quel modo.
 
<< Non dirmi che avete fatto tardi perché dovevate prepararvi perché non ti credo tesoro! Anzi vorrei proprio sapere dove ha recuperato questo straccetto che ha addosso? >>
 
<< Lea ti presento il comandante dell’armata rivoluzionaria, nonché regino dell’isola di Kamabakka su cui ci troviamo, Emporio Ivankov. >> disse gentile Koala frapponendosi tra noi.
 
<< Chiamami pure Iva bambina! >> si voltò verso i tipo che l’aveva accompagnata e di cui aveva chiesto il parere pocanzi. << Inazuma ricordami di indagare sulla questione del vestito, la responsabile di tale scempio per gli occhi deve essere assolutamente punita! >>
 
Parli proprio tu! Ma lo vedi come ti sei concertato?!
 
L’uomo che lo accompagnava aveva capelli e vestiti per metà arancioni e per metà bianchi. Sulla fronte e sull'occhio destro si notava una cicatrice a forma di fulmine spuntare dagli occhiali. Teneva un bicchiere di vino in mano mentre l’altra, quella libera, se ne stava tesa orizzontalmente accanto al fianco. Manteneva una posa piuttosto formale, decisamente in contrasto con i modi eccentrici ed impetuosi di Iva.
 
<< Abbiamo cose più urgenti al momento a cui pensare ma appena sarà tutto risolto ti prometto che indagherò a fondo sulla questione. >> rispose il bicolore ostentando la sua classe.
 
<< Un attacco al buon gusto è una questione seria! Cosa penserà Dragon vedendo come mandiamo in giro gli ospiti? >> ribatté il regino dell’isola.
 
<< Non credo che ci farà caso. >> intervenne Koala sempre con la solita gentilezza.
 
<< Perché sono qui? >> li interruppi bruscamente stanca ormai di tutte quelle insulse chiacchiere.
 
<< Per prendere il thè cara. >> Iva mi rispose come se fosse un’ovvietà.
 
<< Intendo perché sono prigioniera su questa isola? >> ero stufa di loro e di quel posto, volevo tornare da Yonji.
 
<< Non sei affatto prigioniera ragazza, sei nostra gradita ospite. >> il suo tono e la sua espressione cambiarono, mi sembrarono tutto ad un tratto più freddi e affilati.
 
<< Non mi risulta che i graditi ospiti vengano obbligati ad esserlo. >> risposi infastidita non potendone più di sentirmi ripetere quella storia.
 
<< Sveglia la ragazza! Ma non potevo aspettarmi di meno da te visto chi è tuo padre. >> quel pazzo mi aveva obbligata a tenere il segreto per tutta la vita quando poi sembravano esserne tutti a conoscenza.
 
<< Qualcuno ha intenzione di dirmi come stanno le cose per poi rispedirmi su Germa? >> arricciai le labbra ed impuntai i piedi a terra, viste le dimensioni dei miei interlocutori sembravo appena una bambina capricciosa.
 
<< Rimandarti su Germa? Oh santo cielo, no! Perché dovremmo farlo? >>
 
<< Allora se non avete intenzione di aiutarmi non abbiamo più niente da dirci! >> voltai sui tacchi intenzionata ad andare alla ricerca di un lumacofono o un gabbiano o un’imbarcazione, di certo non intendevo passare lì neanche un minuto di più.
 
<< Dove hai intenzione di andare? >> mi chiese il padrone di casa.
 
<< Non sono affari che ti riguardano! >>
 
<< Non riuscirai a lasciare l’isola o a mandare messaggi a qualcuno. Questa è la base dell’armata rivoluzionaria, se le comunicazioni con l’esterno fossero così semplici saremmo fregati. >> ridacchiò lui.
 
<< Troverò il modo! >>
 
<< Non lo metto in dubbio. Con la tua testolina lo troverai sicuramente, sei capace di fare questo e molto altro, sei stata creata per fare cose straordinarie. >> mi bloccai diventando di ghiaccio per poi sentire il sangue salirmi alla testa.
 
<< Smettetela di parlare di me come se fossi un dannato esperimento! >> sbraitai tornando a voltarmi verso di loro.
 
<< Hai ragione, è poco carino rivolgersi a te in questo modo, dovevamo essere più delicati, ma addolcirti la pillola non cambierà certo la realtà delle cose. >> diventò terribilmente serio. << Tu sei un esperimento! Secondo tuo padre sei il suo esperimento più riuscito! >>
 
<< Voi e quel vecchio pazzo state farneticando! >> risposi con voce spezzata.
 
<< Vieni a sederti con noi, abbiamo ancora del tempo prima che gli altri comandanti ci raggiungano per la riunione straordinaria. Prometto di spiegarti tutto. >> mi indicò il tavolo.
 
<< Non voglio sapere niente! >> mormorai cercando di non piangere.
 
<< Si che lo vuoi e lo meriti. Devi sapere perché hai vissuto su un’isola dimenticata da Dio, devi sapere cosa sei e perché sei qui. >> mi disse seria Iva.
 
<< Cosa sono? Parlate di me come di un oggetto, come se non fossi una persona… >>
 
<< Sei molto di più bambina. Tu sei la risposta alle nostre preghiere, sei la sola che possa mettere fine alla guerra che sta per scoppiare ed evitare il disastro. >> mi indicò di nuovo il tavolo. << Siediti e lascia che ti spieghiamo. >>
 
Spostai lo sguardo sui presenti. Non potevo negare le sue parole mi avessero colpita e che ci fosse sotto qualcosa di grosso che non riuscivo a capire. Me ne sarei andata da quella dannata isola rosa ma prima avrei ascoltato quello che avevano da dire ed una volta fatto avrei rotto definitivamente i legami con loro e con mio padre.
 
<< D’accordo. Ti ascolto. >> annuii avviandomi verso il grande tavolo. Niente di quello che avrebbero potuto dirmi mi avrebbe fatta desistere dal tornare dal mio Yonji.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3803690