the sound of soul- il suono dell'anima

di vamp91
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** nuovo inizio ***
Capitolo 3: *** fuoco e ghiaccio ***
Capitolo 4: *** il concerto ***
Capitolo 5: *** rimembranze ***
Capitolo 6: *** mi piace come... ***
Capitolo 7: *** inviti ***
Capitolo 8: *** E SE... ***
Capitolo 9: *** Preparativi ***
Capitolo 10: *** L'appuntamento ***
Capitolo 11: *** decisioni ***
Capitolo 12: *** La festa ***
Capitolo 13: *** extra POV Ian ***
Capitolo 14: *** punto morto ***
Capitolo 15: *** salvami ***
Capitolo 16: *** lasciarsi andare ***
Capitolo 17: *** mi farà impazzire ***
Capitolo 18: *** prove movimentate ***
Capitolo 19: *** completarsi ***
Capitolo 20: *** racconti del passato ***
Capitolo 21: *** amarsi un po' ***
Capitolo 22: *** alleanza ***
Capitolo 23: *** compagni, famiglia, mondo ***
Capitolo 24: *** affrontare il presente ***
Capitolo 25: *** Suonare insieme ***
Capitolo 26: *** incomprensioni ***
Capitolo 27: *** qualcosa è cambiato ***
Capitolo 28: *** INFO ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Le mani mi prudevano; volevo picchiarlo, ma avrei peggiorato solo la situazione già precaria. Tuttavia sembrava l’unica soluzione possibile in quel momento. Lo odiavo con tutte le mie forze, per il male che mi aveva fatto, ma soprattutto per il semplice motivo di non mostrare alcun tipo di pentimento. Che infame!
L’avrebbe pagata questa volta, in un modo o nell’altro mi sarei vendicata.
Le mani che mi trattenevano sembravano di ghiaccio sulla mia pelle rovente, eppure mi sentivo confortata nel sentire i suoi pollici fare dei piccoli cerchi concentrici sulle mie braccia, come a volermi acquietare.  
“Stai calma, tigre...” mi sussurrò all’orecchio; e irrimediabilmente le mie labbra si tesero in un sorriso che agli altri apparve più come un ghigno malefico. Facevo paura, lo so, l’avevo imparato da lui. Era un maestro nell’incutere timore.
“Andiamo...” mi sollevò come se pesassi meno di una piuma e si allontanò dal resto del gruppo...
Mi piaceva quando si comportava da maschio dominante, ma in quel momento avrei potuto spaccare la faccia a chiunque. Ero così arrabbiata da vedere rosso.
Adesso tutti avrebbero pensato che ero ancora la ragazzina debole di un tempo.
Idiota! Ero circondata da un branco di idioti.
Prima o poi avrei ottenuto ciò che desideravo da anni...
 

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Capitolo 2
*** nuovo inizio ***


La maledetta sveglia mi scosse da un sonno profondo. La odiavo. Ogni mattina inesorabilmente mi ricordava che dovevo alzarmi e fare le stesse identiche cose del giorno precedente. Lavarmi, vestirmi, truccarmi (seppur a malincuore) e correre a lavoro.
Si, la mia vita era davvero eccitante; ma del resto ero stata io a volerlo. Non potevo accusare nessun’altro a parte me stessa.
Per arrivare in orario fui costretta a correre, per quanto i tacchi a spillo me lo permettessero.
“Già di pessimo umore?”
Il mio collega d’ufficio se ne stava sogghignante appoggiato alla sua scrivania; le braccia incrociate sul petto. Era l’immagine del relax.
“Se tutti fossero come te Chris...” iniziai.
“Il mondo sarebbe un posto migliore” completò lui.
Incapace di trattenermi risi di gusto. Era l’unica persona in grado di farmi sorridere con poche parole, a volte solo con dei gesti o delle espressioni.
Mi piaceva, eravamo subito diventati amici dal primo momento in cui avevo messo piede in quell’ufficio.
“Caffè?” e senza aspettare una risposta mi porse una tazza ancora fumante.
“Io ti amo” Esclamai afferrando la bevanda miracolosa. “ Non ho ancora avuto il tempo di prenderlo stamattina”. Ne bevvi un gran sorso ustionandomi la lingua, ma non mi importava. Era un toccasana per me.
“Dovremmo metterci a lavoro...” disse dubbioso, come se volesse quasi farne a meno.
“Si, ho parecchio da fare oggi”.
Non scherzavo quando dicevo che il mio lavoro era noioso; non dovevo far altro che inserire dati su una stupida tabella, prendere qualche appunto, qualche telefonata; niente di più. Eppure mi trovavo bene, i colleghi erano tutti simpatici, beh a parte una piccola eccezione...
Chris mi risvegliò dai miei vaneggiamenti.
“Senti, che ne diresti di uscire domani sera?”
La cosa non mi sorprese; non era la prima volta che io e lui uscivamo da soli. Sapevo che tra noi vi era una pura e sana amicizia, il che mi faceva sentire a mio agio. Non era un appuntamento nel vero significato del termine.
“Certo!” esclamai entusiasta “ dove andiamo?”
Lui sorrise e mi fece l’occhiolino “è una sorpresa”.
Lo fissai dubbiosa. Non era mai stato un tipo misterioso, anzi spiattellava tutto al primo che gli capitava a tiro.
“Ok...”
“Tranquilla piccolina ti riporterò a casa sana e salva” e scoppiò in una fragorosa risata.
Sapevo che con Chris non avevo di che preoccuparmi. “Almeno dimmi come devo vestirmi!” esclamai. Se mi avesse portata in un ristorante di lusso non avevo la minima intenzione di presentarmi in scarpe da jogging.
“Metti un bel vestitino... Magari quello che avevi la prima volta che sei uscita con noi colleghi, te lo ricordi?”
Rimasi basita.
“Si io lo ricordo, ma mi chiedo come faccia tu a ricordarlo” lo guardai alzando un sopracciglio.
“Ahahahah” rise di gusto “ tesoro sei la mia migliore amica, ma non posso negarti che ho pensato che eri proprio un bel bocconcino” e mi fece l’ occhiolino.
“Sei incorreggibile” ruggì, ma ridevo. Mi era impossibile arrabbiarmi con lui.
“ti do l’indirizzo del posto cosi puoi prendere un taxi”
“perfetto”.
Quella sera in camera non potei far altro che ripensare a quando ero arrivata in città...
Come al solito ero in ritardo, al mio primo giorno di lavoro; la cosa non era tanto rassicurante, né professionale. Ma come al solito avevo avuto uno scontro con la mia...non ricordavo nemmeno a quale numero di sveglia rotta fossi arrivata ormai.
Faceva caldo, la gente camminava per le strade incurante di me che correvo a perdifiato, cercando di non cadere o di rovinarmi il vestito.
L’ufficio era in centro, bello, ma anche difficile da raggiungere in mezzo al traffico cittadino.
Quando arrivai avevo il fiato corto. La receptionist mi aveva guardata alzando un sopraciglio. Di sicuro si stava chiedendo cosa ci facessi lì. Era chiaro che non era il mio ambiente.
“Serve aiuto?” chiese altezzosa.
“Sono Megan Moore, sono nuova, inizio oggi” spiegò.
“Ah, signorina Moore, la stavamo aspettando, prego mi segua. La accompagno all’ufficio del direttore amministrativo”.
Rise al ricordo. Aveva sperato di trovarsi di fronte un tipo anzianotto, stempiato e paffutello, non di certo un bel ragazzo sui 35 anni che per tutto il tempo l’aveva fissata con un sorrisino malizioso. Aveva pensato di aver esagerato col look o il trucco, ma non le sembrava. Solo dopo aveva appreso che si comportava cosi con la maggior parte delle ragazze che passavano dal suo ufficio.
Era stato proprio quando si era sistemata alla sua nuova scrivania che aveva conosciuto il suo collega. Christopher Morgan, Chris per gli amici. Lo precisava sempre. Era stato da subito cordiale e amichevole.
Rise. L’aveva reputato un bel ragazzo, beh lo era davvero. Capelli castani spettinati, occhi castani, molto profondi; un fisico atletico, asciutto, i muscoli gli si intravedevano da sotto la camicia. Alto e slanciato; sicuramente praticava qualche sport.
L’aveva invitata a un’uscita tra colleghi per rompere il ghiaccio e farle fare qualche altra conoscenza.
Ed eccolo li, il famoso vestito.
Si alzò dal letto per andare a prenderlo dall’armadio e poggiarlo sulla sedia.
Corto, decisamente corto. Come aveva fatto a non notarlo prima??
Era nero, con delle borchie lungo i fianchi. In effetti era un look forse un tantino aggressivo, ma a lei piaceva. Reminescenza dei vecchi tempi. Scosse il capo... non voleva pensarci adesso.
Ora doveva solo andare a riposare. Era stata una giornata faticosa, noiosa ma faticosa. 

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Capitolo 3
*** fuoco e ghiaccio ***


Il giorno dopo ero davvero elettrizzata. Non mi concedevo una serata fuori a divertirmi da troppo tempo ormai. Ero diventata come mia madre.
Era andato tutto fin troppo bene! Perché dovevo pensarci proprio adesso? Eppure non potei evitarlo. Non avevo mai avuto un buon rapporto con i miei genitori. Non avevano mai incoraggiato le mie scelte, le mie passioni, i miei sogni. Mi avevano sempre vista come una sognatrice, eternamente con la testa tra le nuvole; solo perché non volevano accettare che un noiosissimo lavoro d’ufficio non faceva per me. “Sei così intelligente” continuavano a ripetermi. “Dovresti smetterla con queste stupidaggini! La musica non ti porterà mai niente di buono. Devi studiare, laurearti e trovare un buon lavoro. Questo è quello che fa una persona responsabile!”
Mio padre... che gentiluomo. A 13 anni aveva distrutto la mia nuovissima chitarra solo perché l’avevo comprata coi miei risparmi. Non dovevo spendere soldi inutili. Per la musica poi.
Mia madre odiava che suonassi ancora più di lui. Non sopportava il mio modo di vestire o di truccarmi. Detestava i miei amici, la mia band. “Quel gruppo di cani randagi con cui ti ostini ad andare in giro” così li definiva.
Odiavo quel mondo pomposo e ipocrita in cui ero costretta a vivere. Per loro avrei dovuto frequentare ricchi rampolli mentre me ne stavo al County Club a sorseggiare Martini. Dovevo mettere in mostra la mercanzia, far buon viso a cattivo gioco, fingere che stessi bene in un ambiente tanto merdoso.
No, non avevo resistito. A 16 anni avevo formato una mia band. I soldi non mi mancavano mai; mia madre credeva che li usassi per comprare vestiti e altra roba inutile, glielo lasciavo credere. Entrambi erano convinti che uscissi con Jack sono pieno di soldi Lewis. In parte era così... o meglio avevo minacciato di rivelare uno dei suoi tanti segretucci se non avesse retto il mio gioco. Cosi mentre i miei erano convinti che passassi le mie giornate con il mio fidanzatino io in realtà me ne stavo con la mia band a provare e riprovare le nostre canzoni.
Non era stato difficile mettere su il gruppo. Io ero la cantante e prima chitarra. Dean... beh lui era la seconda chitarra. Nonostante adesso lo odiassi dovevo ammettere che era proprio bravo. Il bassista era un tipo che avevo scoperto per caso durante una lezione di musica a scuola. Era tostissimo. Infine le tastiere... Marta... Non era brava quanto me, ma non potevo suonare due strumenti contemporaneamente quindi la scelta era ricaduta su di lei.
Non mi piaceva, ma eravamo in democrazia e il resto del gruppo aveva votato lei come miglior candidata.
Avevamo iniziato a fare i nostri primi concerti in qualche pub. Non erano molto soddisfacenti, ma iniziavamo a farci conoscere...
“Signorina? Siamo arrivati”
La voce affabile del tassista mi risvegliò dai miei ricordi.
“Oh, si. Ecco” e gli porsi dei soldi “tenga pure il resto”.
Gli sorrisi. Sembrava una così brava persona. Mi ringraziò fin quando non scesi dal taxi.
Conoscevo quel posto. Non c’ero mai entrata prima, ma ne avevo sentito parlare. Anzi a pensarci bene avevo visto anche dei volantini. Quel locale era solito organizzare concerti per talenti emergenti. Piccole band poco conosciute che speravano di farsi notare e fare carriera. Mi ricordava qualcuno...
Ma perché ero li? Che aveva combinato Chris? Sapeva che da quando avevo smesso di suonare non avevo più nessun tipo di interesse verso queste cose. Gliene avrei dette quattro, ma ora non potevo starmene li fuori da sola ad aspettare come una stupida. Inoltre era pieno di tizi che mi fissavano con lascivia. Maledetto Chris! Perché gli avevo dato retta mettendo quel vestito? Per di più, dove diamine si era cacciato? Io ero già in ritardo di 15 minuti. L’avevo fatto di proposito, ma evidentemente non era servito.
Decisi di entrare, almeno mi sarei potuta sedere e ordinare qualcosa da bere.
Dentro era ancora vuoto, gli addetti alla manutenzione stavano ancora sistemando le attrezzature sul palco. Un tonfo mi colpì al cuore. Non volevo stare lì, non mi piaceva rivivere quelle sensazioni. Guardavo il palco e vedevo me stessa girare irrequieta tra gli strumenti, elettrizzata all’idea che di li a poco mi sarei esibita insieme alla band.
No... era tanto tempo fa. Quella Megan non esiste più. Finalmente i miei genitori erano riusciti nel loro intento. Farmi odiare la musica. E ce l’avevano fatta senza nemmeno sforzarsi...
Mi girai verso il barista “ tequila per favore”.
Forse non era il modo migliore per iniziare la serata, ma ero già furibonda.
Chris non si vedeva ancora. Avrei bevuto qualcos’altro e poi me ne sarei andata. Non avevo intenzione  di chiamarlo, né di arrabbiarmi con lui. Non stavamo insieme poteva anche darmi buca, non mi sarebbe importato.
Non avevo ancora finito di bere il mio terzo cicchetto che la porta sul retro fu spalancata con un calcio. Un tizio alto, tutto muscoli la attraversò. Non riuscivo a vederlo bene in faccia ma credo che dovesse incutere timore perché nessuno osò contestarlo. Più si avvicinava più appariva minaccioso. Il suo look non aiutava di certo. Stivali da motociclista, pantaloni di pelle; stessa cosa per i guanti e il giubbotto.  Si avvicinò al bancone e senza dire nemmeno una parola il barista gli porse una birra. Era evidente che lo conoscesse.
Io me ne stavo seduta per conto mio, indifferente a quello che mi succedeva intorno; continuavo a pensare a quali sensazioni mi provocasse quel posto, quell’atmosfera. Quindi mi stupì quando vidi un’enorme ombra stagliarsi alle mie spalle.
“E tu chi sei?” una voce profonda mi riscosse dai miei sogni a occhi aperti.
L’energumeno che era entrato poco prima mi stava dietro. Sul suo volto un ghigno malefico. La cosa che più mi impressionò però furono i suoi occhi. Sembravano quasi bianchi talmente fossero chiari. Era terrificante e lui lo sapeva. Il suo sorriso si allargò ancora di più quando mi vide deglutire. Non avevo il coraggio di parlare. Era davvero un colosso. I grossi muscoli sembravano voler scoppiare da sotto i vestiti, per non parlare dell’altezza... Ma da dove era uscito questo qui?
Eppure più lo fissavo e più il mio corpo tremava. Non era solo paura, no. Era eccitazione. Da quanto non la provavo?
Lui era perfettamente consapevole dell’effetto che aveva sulle donne e lo sfruttava al massimo. Chi non sarebbe rimasta affascinata da dei capelli corvini, lunghi fino alla schiena e un viso in cui si incastonavano due meravigliosi occhi azzurri?
L’avevo già inquadrato il bastardo.
Sapeva di riuscire a fare colpo su chiunque.
Con una mano girò lo sgabello così che ci ritrovammo uno di fronte all’altro. Il suo sguardo lascivo mi accarezzò dalla testa ai piedi mentre si soffermava sulla scollatura e sulle gambe nude. Ghignò ancora.
“Non sei per niente male...”
Ma chi si credeva di essere?
Il mio caratteraccio venne fuori in meno di un secondo non appena quelle parole uscirono dalla sua bocca.
“Come ti permetti brutto energumeno ignorante che non sei altro?” Ero rossa dalla rabbia; stringevo i pugni e sentivo le unghie conficcarsi nella pelle.
Non c’era fine a quella situazione assurda. Più io mi arrabbiavo più lui sogghignava.
“Sei combattiva... Mi piace...” e mi sfiorò un braccio con un dito.
Fu delicatissimo ma lo sentì solo per pochi secondi. La mia mano l’aveva già allontanato con uno schiaffo. “Non toccarmi, cavernicolo”.
Lui rise. Di gusto questa volta. E nonostante fossi furiosa non potei fare a meno di notare quanto fosse bello sotto le luci soffuse del locale.
Ma che cavolo vai a pensare? Mi diedi mentalmente dell’idiota. I tizi come questo qui portano solo guai. Tu più di tutti dovresti saperlo. Ne hai avuto la prova concreta.
Un’ombra attraversò improvvisamente il mio viso. Anche il tipo se ne accorse e smise immediatamente di ridere. Mi fissava. Non capivo perché continuasse a guardarmi in quel modo. Quegli occhi mi mettevano in soggezione. Mi facevano sentire nuda.
Dov’era Chris? L’avrei ucciso!
“Sembri una bella gattina quando ti arrabbi sai?” Afferrò il mio sgabello e lo tirò con forza verso di se.
“Ma che fai?” urlai divincolandomi.
Era inutile. Quella mossa mi aveva portata dritta tra le sue braccia. Quando si era sbottonato il giubbotto? Sotto era a petto nudo. La mia faccia andò a finire proprio sui suoi pettorali. Sembrava scolpito nel marmo.
“lasciami!” battei i pugni sul suo petto ma servì solo a farmi stringere ancora di più. Che situazione assurda. Cosa voleva questo tizio da me?
“Ian che cavolo combini? Lasciala subito!”
Oddio grazie. La voce di Chris mi diede conforto.
“Stavamo solo scherzando Chris rilassati”. Mi allontanò dal suo petto, ma non sembrava propenso a lasciarmi andare. I suoi occhi si fissarono sui miei. Ghiaccio... sembravano fossero di ghiaccio. Mi gelarono il sangue; mentre dentro di me qualcosa bruciava. Come quando stai troppo tempo con le mani nella neve tanto da sentirle ardere. Ecco io mi sentivo proprio così, gelida e febbricitante allo stesso tempo.  “ ci vediamo micetta”. Disse lascivo, gettando un'ultima occhiata all'altezza del seno. Fece mezzo sorriso, poi girò sui tacchi e si diresse verso il retro dove ancora stavano sistemando le attrezzature. 

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Capitolo 4
*** il concerto ***


Mi girai verso Chris guardandolo in cagnesco. “Dove diavolo ti eri cacciato? Mi hai fatta aspettare qui da sola!” Ero furiosa. Più che altro per tutto il trambusto col tizio vestito di pelle che per il suo effettivo ritardo.
“Scusami” disse passando nervosamente una mano tra i capelli. “Sono dovuto andare a prendere un amico e allora ho fatto tardi”
“Oh, potevi avvisarmi... Non fa niente” Sorrisi. Non era il caso di continuare ad essere arrabbiata. Era arrivato, quello importava.
Nella foga del momento non avevo riflettuto. Lui conosceva il tipo, l’aveva chiamato per nome.
“Come fai a conoscere quell’energumeno?” Chiesi d’istinto.
Chris sorrise. “Non ti ha lasciata indifferente a quanto vedo. Beh non é una novità...”
Gli diedi una gomitata tra le costole, lui  ansimò. “ Ok scusa, stasera sei di pessimo umore; più degli altri giorni”.
“Chissà mai perché”.
“Oh andiamo! Lo so cosa mi hai detto riguardo la musica, ma non riesco a credere che tu voglia abbandonarla per sempre. So quanto ti piaceva. Ho pensato che magari portandoti qui avrei risvegliato in te quel qualcosa che tenti di soffocare...”
Ero senza parole. Chris aveva orchestrato questa sorpresa per me, per convincermi a riprendere a suonare...
“Sei stato davvero molto carino, ma non credo che cambierò idea...”
“Non si sa mai...” sorrise “ e poi sono davvero bravi”.
“Beh... questo é ancora da vedere” risposi al sorriso. Ero sempre stata molto rigida nel dare giudizi. Il fatto che conoscesse la band non avrebbe fatto alcuna differenza.
Continuammo a parlare e a bere al bar mentre intorno a noi i preparativi fervevano e il locale iniziava pian piano a riempirsi. Non mi stupì nel vedere che la stragrande maggioranza del pubblico fosse composta da una fascia di ormoni femminili compresi tra i 18 e i 28 anni.
“Che genere di musica hai detto che fanno?” chiesi curiosa.
“In realtà non l’ho mai detto” sorrise.
Io sbuffai. Doveva ancora tenermi sulle spine? Odiavo le sorprese. Per me erano stupide. Perché dovrebbe essere bello tenere in ansia qualcuno? Non l’avevo mai capito. Comunque non aggiunsi altro, sapevo che non gli avrei cavato niente.
Cosi aspettammo pazientemente che arrivasse finalmente il momento in cui la band fece il suo ingresso sul palco. Un ragazzo alto con dei capelli castani che gli coprivano gli occhi andò a posizionarsi alla batteria; l’altro, a differenza del precedente, era molto smilzo e dinoccolato. Sembrava estraniato da tutto ciò che lo circondava, non aveva nemmeno fatto un cenno per salutare il pubblico. Non mi sorpresi che fosse il bassista. Poi fu la volta di una ragazza. Alta, abbastanza magra; indossava un abito darck-gotik un po’ kitch  per i miei gusti. Aveva un taglio di capelli da vera dura, rasati da un lato e lunghi dall’altro. Sotto i riflessi delle luci potei notare che aveva delle ciocche rosso fuoco.
Beh la tizia non era molto incoraggiante, sembrava la classica finta dura che si concia in quel modo solo per apparire. Dalla posizione che aveva occupato sul palco doveva essere la seconda chitarra. Ok, ne mancava uno.
Stranamente il suo strumento se ne stava appoggiato luccicante e in bella vista al centro del palco, proprio vicino all’asta del microfono.
Quanta scena! Principianti.
Quasi caddi dallo sgabello quando vidi entrare il cantante. Una schiera di oche sovreccitate gridava il suo nome. “Ian! Ian! Ian!”
No, chiunque ma non lui, non può essere...
“Sorpresa?” Chris rideva sotto i baffi, evidentemente era rimasto ad osservare la mia espressione per tutto il tempo.
Com’era possibile che l’energumeno che prima mi aveva importunata fosse il leader di quella band. Non mi sembrava per niente il tipo. Minaccioso si, spaventoso, anche quello, ma un cantante? Non lo credevo possibile.
“Sembri scettica”
“Lo sono infatti”. Ero quasi incapace di formulare una semplice frase. Forse perché all’improvviso il tizio in questione aveva guardato nella mia direzione? Di nuovo quel ghigno sprezzante sul viso. Era davvero odioso. Eppure quando mi fissava diventavo incapace di distogliere lo sguardo, era come se i suoi occhi mi bloccassero in un qualche strano tipo di incantesimo.
Sveglia Megan! Di tizi come lui ne hai incontrati a bizzeffe. Sai benissimo che cosa cercano. Fan sfegatate disposte a fare qualsiasi cosa per loro. Il successo gli da alla testa, diventano sprezzanti verso chiunque; gli importa solo di loro stessi fregandosene dei sentimenti altrui.
Di certo non sarebbe stato un altro numero da aggiungere alla sua già sicuramente lunga, lista delle ragazze portate a letto.
Le luci si abbassarono, lasciando tutti in una soffusa penombra. Vedevo la sua grossa figura stagliarsi al centro del palco, ne distinguevo i contorni. La musica partì, le ragazze urlarono eccitate e finalmente, dopo aver afferrato il microfono, iniziò a cantare.
Le mie dita si strinsero attorno al bicchiere che tenevo in mano... no, quella voce non poteva provenire da quell’individuo. Quasi a volermene dare prova si girò nella mia direzione, fissandomi con lo sguardo più intenso che avessi mai visto.
Si stava facendo beffe di me. In quel momento non mi importò. Era da tanto, troppo tempo che non provavo più queste sensazioni. Le note mi rimbombavano nel cervello mentre il testo della canzone mi entrava dentro l’anima...
Improvvisamente la stanza iniziò a vorticare; tutto si fece confuso.
L’unica cosa ben definita era il palco. Tutto il resto scomparve; c’eravamo solo io, lui e la musica.
La sua voce roca, profonda e sensuale, era qualcosa di indescrivibile. Ne avevo sentite tante, ma mai come quella. Stava risvegliando in me emozioni che avevo deciso di reprimere da tempo.
Le note mi penetrarono fin nelle ossa, facendomi fremere.
Automaticamente le mie dita iniziarono ad andare a ritmo come se suonassero uno strumento immaginario. Lui ovviamente non se ne accorse, ma Chris si. In effetti era più concentrato ad osservare le mie reazioni, piuttosto che godersi il concerto.
Magari era questo quello che aveva in mente quando aveva deciso di portarmi in quel posto.
Ero completamente in balìa delle mie emozioni, come se il cervello si fosse disconnesso dal resto del corpo. Che stavo facendo? Dovevo smetterla. Eppure la mano continuava ad andare a ritmo della musica, indisturbata.
No, avevo rinunciato da parecchio tempo, non ci sarei ricascata. Quella che un tempo era stata la mia passione, la mia stessa esistenza; mi aveva portato via tutto. Ero stata derubata di tutto ciò che di più caro avevo avuto nella vita.
Non le avrei permesso di insinuarsi subdolamente dentro di me.
Mi sforzai per far smettere alle dita di compiere quei movimenti per me così naturali e lasciai scendere il braccio lungo il fianco.
“Io me ne vado...”
“Cosa? No! Perché?” era incredulo.
“Lo sai perché Chris, non posso restare... fa troppo male...”
Lui mi fissò sconfortato. “Perdonami, pensavo che ti avrebbe fatta sentire meglio avvicinarti di nuovo alla musica; ma ho sbagliato tutto”. Era davvero dispiaciuto.
“Ti ringrazio di averlo fatto Chris. Non é stato tanto male all’inizio. Però sarebbe stato meglio andarci con piccole dosi. Così é troppo per me”.
Accennai un sorriso, scesi dallo sgabello e mi sistemai il vestito.
Nel dare una rapida occhiata alla stanza mi resi conto di nuovo che il tizio... Ian, continuava a fissarmi. La sua espressione ora era accigliata, come se si stesse chiedendo come mai mi fossi alzata nel bel mezzo del concerto e stessi andando via.
Di sicuro avrebbe pensato che non era il mio genere di musica. Niente di più sbagliato. Era esattamente il mio genere. Era questo il problema.
“Ti accompagno...”
“oh no, non voglio rovinarti la serata. Quelle ragazze ti fissano da un’ora” indicai un gruppetto che sogghignava guardandolo.
“Ci vediamo lunedì in ufficio” gli diedi un leggero bacio sulla guancia e mi avviai verso l’uscita.
Non fu facile in mezzo a tutta quella folla, ma quando finalmente fui fuori mi sentii sollevata. L’aria fresca mi faceva pensare lucidamente.
Chiusi gli occhi e feci un profondo sospiro.
Decisamente meglio. Potevo capire le buone intenzioni di Chris, ma era stata davvero una tortura. Sapevo anche che il giorno seguente avrei ricevuto un lunghissimo SMS in cui si scusava per tutti i danni che aveva potuto causare con il suo gesto sconsiderato; io avrei passato l’intera giornata a cercare di convincerlo che era tutto ok e che era tutto finito ormai. Stavo bene. Ma in quel momento no, no era ok; anzi sentivo come se un enorme masso mi stesse cadendo addosso cercando di schiacciarmi. Scossi la testa come a voler mandare via i brutti pensieri... Ora non dovevo fare altro che tornare a casa e dimenticare quella serata. 

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Capitolo 5
*** rimembranze ***


Quando entrai nell’appartamento mi sentivo svuotata. L’idea di Chris era stata nobile, ma non aveva considerato le conseguenze che ne sarebbero scaturite.
Sospirai.
Sarebbe stato un lungo week end.
Mi buttai sul letto con addosso ancora i vestiti. Ero esausta. La serata aveva messo a dura prova la mia stabilità, quel bozzo di routine e monotonia in cui mi ero autoimposta di chiudermi.
Ripensai al concerto e automaticamente mi apparve davanti il viso di Ian... Non avrei mai immaginato che potesse avere una voce tanto bella e intrigante. Aveva risvegliato in me tanti ricordi, é vero; ma mi aveva anche provocato una forte eccitazione. Era come se l’intero suo corpo emanasse un’aura di paura, mista a mistero e sensualità. Sicuramente lui ne era al corrente; era consapevole del fatto che potesse avere qualsiasi donna lui avesse desiderato.
Un sorriso amaro spuntò sul mio volto. Non era la prima volta che mi succedeva. In un certo senso Ian mi ricordava molto Dean, il mio ex fidanzato.
Erano entrambi molto cupi e misteriosi; taciturni, sempre sulle loro. Non davano molta importanza alla gente, non ritenevano opportuno tenere conto di come gli altri potevano giudicarli. All’epoca era stato questo a farmi avvicinare a lui. Era diverso da tutti gli altri. Riusciva a scatenare in me mille emozioni soltanto con uno sguardo. Credevo di essere diventata ormai immune a questo genere di cose; ma dopo stasera stavo iniziando a pensare il contrario.
Dean era stato il mio punto di riferimento, la mia ancora di salvezza; colui che mi aveva risvegliato dal limbo in cui vivevo.
L’idea della band era stata sua, seppur lo avesse proposto scherzando. Ma l’ipotesi di formare un gruppo tutto nostro mi era sembrata davvero allettante.
I primi tempi era stato qualcosa di straordinario, indescrivibile. Tutto sembrava perfetto e mai avrei pensato che sarebbe potuto cambiare.
Mi sbagliavo. Dopo il successo iniziale le cose andavano peggiorando sempre di più. I dissapori cominciavano a metterci l’uno contro l’altro e il resto del gruppo ne risentiva molto.
Una lacrima mi attraversò il viso. Perché? Perché sto pensando a tutto questo?
Ancora una volta il viso di Ian mi apparve davanti agli occhi. Ricordai il suo sorriso sprezzante, il suo sguardo lascivo, le sue dita che mi sfioravano, il calore del suo petto quando mi aveva stretta a sé in quel modo cosi rude. Ripensai al suono della sua voce. Era perfetta. Era il tipo di voce per cui un tempo avrei composto testi su testi.
Ma questo ormai non succedeva da anni.
Senza quasi rendermene conto la mia testa ruotò in direzione dell’armadio. Lì, dentro una paio di scatole ormai ricoperte di polvere giacevano la mia tastiera e la chitarra.
Non avevo avuto il coraggio di gettarle via. Erano dei regali che custodivo preziosamente, nonostante non riuscissi più a guardarli.
Me li aveva regalati mia sorella, Josy.
Sembrava essere passata una vita in effetti.
L’unica nota negativa dell’essere lontana da casa era quella di non poter andare a farle visita... sapevo che sarebbe rimasta sola dopo la mia partenza. Ai miei genitori non importava niente di lei.
Com’era già successo durante il concerto, il mio corpo prese l’iniziativa ancor prima che il cervello capisse che cosa stavo facendo. Vidi me stessa attraversare la stanza e afferrare una delle scatole.
La mia prima chitarra. Quanti ricordi erano legati a quell’oggetto.
Stavo ancora imparando quando mia sorella era entrata in camera mia con quella bellissima chitarra elettrica. Avevo saltato di gioia per tutta la stanza, continuando ad abbracciarla e ripeterle quanto le volessi bene.
Le mie dita pizzicarono le corde. Il suono che ne scaturì mi rimbombò nelle orecchie, riecheggiando nella stanza buia e silenziosa. Presa di coraggio iniziai a strimpellare. Le note rispecchiavano il mio umore; erano tristi e malinconiche, ma nulla mi era mai parso così bello come quel momento.
Forse avevo sbagliato ad abbandonare così la mia passione; forse avrei potuto ricominciare a suonare senza sentire quella voragine che mi squarciava il petto ogni volta che lo facevo...
Il week end trascorse in fretta, forse anche troppo.
Il lunedì seguente entrai in ufficio senza farmi notare. Chris era già lì, quel ragazzo era peggio di un orologio svizzero!
“Buongiorno!” urlai alle sue spalle.
Lui trasalì. “Sei impazzita”.
“Ahahahahahahah”  risi di gusto “Ti ho spaventato Chrissy?”
La sua faccia diventò rossa come un peperone “non chiamarmi così”.
“Uhh, qualcuno si é alzato male stamattina. Il week end non é andato come avevi previsto? Qualche fanciulla ti ha forse rifiutato?”
Mi guardò come se avesse voluto fulminarmi.
“Niente di tutto ciò. In realtà ero in pensiero per te”.
Era serio.
“Lo so, sei stato molto chiaro nel tuo SMS di appena un chilometro”, lo schernii.  
“come osi...” e iniziò a farmi il solletico.
Io ridevo, come non facevo ormai da anni. Ero davvero diventata così malinconica?
“Mi sembri di ottimo umore oggi” esclamò.
“Forse perché lo sono”. Sorrisi. “lo devo a te Chris. Credevo che portarmi a quel concerto fosse stata una pessima idea. Ma mi ha fatto bene”.
“Sul serio? Oh, non sai quanto mi faccia sentire sollevato”.
Il suo viso sembrò rilassarsi, finalmente. I suoi occhi si riaccesero e tornarono ad essere quelli sorridenti di sempre.
Gonfiò il petto iniziando a vantarsi della sua brillante trovata.
“Non montarti troppo” lo avvisai, ma continuavo a sorridere. Era bello vederlo così allegro.
“Allora; ora che l’argomento musica non é più un tabu...”
“Si?”
“Che ne pensi della band?” Sembrava davvero curioso del mio responso.
“Non sono male. Dovrebbero lavorare su alcune cose, ma nel complesso sono bravi”; ero stata sincera.
“E di Ian che mi dici?”.
Nel sentirgli pronunciare quel nome il mio corpo si era immediatamente irrigidito. Un leggero calore mi aveva attraversato lo stomaco.
“Beh...Non mi sarei mai aspettata che qualcuno come lui potesse avere quella voce”.
Chris sorrise. “ Te l’avevo detto che saresti rimasta stupita”.
Feci una linguaccia, “ si in effetti mi avevi avvertita”.
Fu in quel momento che la mia lingua si mosse a velocità supersonica prima ancora che me ne rendessi conto.
“Lo conosci da molto?”
Lui mi guardò come a dirmi «ti ho beccata», ma rispose comunque.
“Siamo amici sin dal liceo. Io sono negato per la musica, ma li guardavo esercitarsi nel garage dei genitori di Jeff quasi tutti i pomeriggi”.
La mia espressione interrogativa lo portò a spiegarmi.
“Jeff é il batterista del gruppo. L’avrai notato al concerto”.
“oh, certo si. E gli altri?”
“Alan, il basista... in realtà non so perché continui a stare nella band. Voglio dire é molto bravo, ma non gli é mai importato nulla di quello che succedeva. A lui non interessa se il gruppo riuscirà ad avere successo. A volte mi sembra che stia con loro solo per fargli un favore”.
La cosa mi lasciò perplessa. Mai sentita una cosa del genere.
“E la ragazza invece?” Ero curiosa di saperne di più sulla tipa.
“Ah si, Katy” lo vidi scuotere la testa.
“Non ti piace?”
“Non proprio... é un po’ una piantagrane. Combina sempre qualche casino che gli altri poi devono risolvere. Però é un’amica leale; farebbe di tutto per i membri della band. Soprattutto per Ian...”
Oh-Oh... qualcosa mi diceva che forse tra i due ci fosse del tenero. La cosa mi infastidì, e non poco.
“Stanno insieme?” ancora una volta maledissi la mia boccaccia.
Chris mi piantò addosso uno sguardo indagatore. Aveva capito tutto, maledizione!
“no...” rispose “Katy é cotta di lui da tanto ormai, ma per Ian lei é solo un’amica e membro della band. Non c’é mai stato niente tra loro”.
Quindi Ian non si faceva tutto ciò che respirava. Beh, era un inizio. Ma forse aveva rinunciato per il semplice motivo che rapporti del genere all’interno di un gruppo potevano avere risvolti negativi. Io ne ero l’esempio vivente.
“Possiamo andare a sentirli ancora la prossima volta che si esibiscono”. Propose.
“Perché no” risposi sorridendo.
Almeno avrei potuto gustarmi appieno il concerto.
“Mi piace questa nuova te..” esclamò Chris lasciandomi per un attimo a bocca aperta. Poi sorrisi di rimando.
“Sai, piace anche a me”.
E tornammo a occuparci del nostro lavoro. 

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Capitolo 6
*** mi piace come... ***


Il resto della mattinata sembrò volare via come se niente fosse. Mi sentivo finalmente di nuovo me stessa; o almeno sembravo essere sulla buona strada.
Anche Chris se ne accorse e non fece che scherzare con me per tutto il giorno. Alcuni colleghi ci fissavano scuotendo la testa, ma a noi non importava.
Ne fu così entusiasta che durante la pausa pranzo mi portò in un ristorante lì vicino.
“Tranquilla, offro io”.
Era davvero sorprendente.
Avevo dimenticato come fosse sentirsi così leggeri.
Se ci pensavo bene il merito del mio buon umore doveva andare al concerto a cui avevo assistito, e in particolare a una certa persona (non osavo pensare nemmeno al suo nome) che mi aveva spinta, pur senza saperlo, a ricominciare a suonare.
Era come se la sua voce mi avesse risvegliata da un sonno profondo, in cui nemmeno io mi ero resa conto di essere.
Sospirai.
Non capivo perché finivo sempre per pensare a lui. Avevo potuto osservalo per pochi istanti ma erano bastati per imprimermi in testa la sua figura.
Ricordavo ogni minimo dettaglio che lo riguardasse.
I lunghi capelli neri, che mi avevano solleticato le braccia nude quando mi aveva stretta a sé; il viso, così duro all’apparenza, ma capace di mostrare fino alla più piccola espressione. Il cipiglio sempre altezzoso, sfrontato e arrogante che aveva scatenato la mia ira, ma che allo stesso tempo mi aveva infiammata fino al midollo.
Le sopraciglia, su cui facevano bella mostra dei piercing, incastonavano due straordinari zaffiri.
La linea del naso... le labbra così sensuali; sembrava quasi che dicessero «baciami».
E poi beh, che dire del suo corpo? Era un ammasso di muscoli e virilità. Nessuna al mondo sarebbe mai potuta essergli indifferente.
La mano di Chris che sventolava davanti al mio viso mi fece tornare alla realtà.
“Terra chiama Megan. Mi sentite?”
Era il solito mattacchione.
“Cosa ?”
Io, dal canto mio, ero su un’altra dimensione; quella dove Ian mi stringeva mentre assaporavo le sue labbra...
Chissà che faccia da ebete dovevo avere proprio in quel momento. Da quando fantasticavo così a occhi aperti?
“Ma sta bene?”
Oddio adesso sentivo pure la sua voce. Ero conciata proprio male.
“E chi lo sa!”
Chris stava rispondendo? Allora non me lo ero immaginata. Ruotai leggermente il busto alla mia destra, ritrovandomi la faccia all’altezza della sua cintura.
Cristo! Non può essere vero...
Pian piano sollevai il viso, percorrendo il suo intero corpo. Si stagliava su di me come una montagna; sul volto il solito ghigno beffardo.
Deglutì. Mi metteva in agitazione. Le mani iniziarono a sudare come mai prima, il battito accelerò, così come il calore tra le gambe.
Che ci fa qui?
“Che ci fai qui?” ecco ancora una volta la mia bocca aveva dato vita ai miei pensieri prima ancora che me ne accorgessi.
Il suo ghigno si allargò ancora.
“Non sei contenta di vedermi?” mi beffeggiò.
“Nemmeno un po’”.  Cercai di tenergli testa, ma sapevo che era una causa persa in partenza.
“Io credo di si. Scommetto che stavi pensando a me mentre eri così assorta”.
“Io credo che tu sia troppo arrogante”.
Fece mezzo sorriso.
Era impressionante. Alla luce del giorno appariva ancora più grosso. Si imbottiva di steroidi per caso? O era solo frutto della mia fervida immaginazione?
“Vado a pagare il conto”  disse Chris alzandosi.
Oh no! Ti prego non lasciarmi da sola con lui! Non ho mai il controllo sul mio corpo quando é nei paraggi.
Ovviamente le mie preghiere non furono ascoltate; anzi lo vidi ridere mentre si avvicinava al bancone. Aveva capito che mi sentivo a disagio, ma mi aveva comunque abbandonata.
Senza nemmeno chiedere il permesso fece strisciare la sedia sul parquet e me lo ritrovai di fronte. Poggiò i gomiti sul tavolo, portandosi i dorsi delle mani sotto il mento. Mi guardava come se fossi nuda, con quei suoi bellissimi occhi di ghiaccio.
“Non sei niente male in tenuta da ufficio” decretò alla fine.
Ah. Dovevo sentirmi lusingata?
“Sarebbe un complimento?”
Lui non rispose. Non lo faceva mai in effetti.
“Anche se ti preferisco con un look più aggressivo”. Ghignò.
Sicuramente si stava riferendo al mio abbigliamento durante il concerto.
“Non devo certo piacere a te” risposi altezzosa.
Il modo in cui mi irritava così facilmente era qualcosa di assurdo. Nessuno ci era mai riuscito con una tale velocità.
“La micetta ha tirato fuori le unghie...”
Lo guardai fulminandolo. Poteva anche essere bello e provocante; ma non sopportavo gli stronzi.
Ero pronta a dirgliene quattro, quando successero tre cose contemporaneamente...
Ian distese la lunga gamba sotto il tavolo andando a posizionarla proprio tra le mie; il mio corpo si irrigidì in meno di mezzo secondo, provocandomi brividi incontrollabili e il suo sguardo lussurioso mi inchiodò alla sedia, gelandomi.
Non riuscivo a muovermi. Per quanto nella mia testa mi stessi ripetendo urlando che dovevo fare qualcosa, mi risultava impossibile.
Il bastardo se ne accorse e mosse ancora di più la gamba, facendola strusciare tra le mie...
Dio, non sarei mai uscita viva da quella situazione.
Lo sentivo sfregare sulle mie gambe, salendo sempre di più. Era un tale godimento... stava quasi per arrivare al ginocchio quando riuscì a scuotermi e fare l’unica cosa possibile che fossi riuscita a pensare in un millesimo di lucidità: strinsi le gambe come se fossero una morsa, sperando di fargli male.
Il gesto fermò la sua corsa, ma non ebbe l’effetto che speravo. Ovviamente non avevo nessuna possibilità contro il suo ammasso di muscoli. La sua espressione rimase impassibile.
“Bella mossa...” borbottò.
Stavo per ribattere quando fummo interrotti.
“Signore...”
Un tizio con uno sguardo severo era spuntato al lato del tavolo guardando dritto in faccia Ian.
“Si?”
Lui invece non mostrò un briciolo di interesse e mantenne gli occhi su di me.
“Se non é qui per il pranzo la pregherei di lasciare il ristorante”.
Mi parve davvero strano che gli stesse chiedendo di andarsene, ma guardandolo bene capivo il perché.
Osservando Ian avevo sempre provato eccitazione e lussuria, così come  tutto il resto dell’universo femminile; non mi ero però mai soffermata abbastanza sull’effetto che potesse avere sugli uomini.
Non era più vestito interamente di pelle, ma incuteva comunque un certo timore. Sembrava che portasse sulla testa un’insegna luminosa con scritto PERICOLO a caratteri cubitali.
Qualsiasi uomo che se lo ritrovava nei paraggi lo avrebbe considerato una minaccia, uno che porta solo guai.
“Qual’é il problema?” ruggì minaccioso.
Il tizio fece un passo indietro, intimorito; poi si schiarì la gola e fece per rispondere.
Decisi che era ora di prendere il mano la situazione, prima che le cose peggiorassero.
“Il signore é con me, siamo vecchi amici, mi ha vista dalla vetrina e si é fermato a salutare”.
Sorrisi affabile.
“Che ne dici di accompagnarmi a lavoro? La mia pausa pranzo é quasi finita, non vorrei arrivare in ritardo”.
Lo guardai in cagnesco, pregando che per una volta mi ascoltasse reggendomi il gioco.
Lui ritrasse le gambe e si alzò lentamente in piedi. Era davvero enorme. Aveva sovrastato il tizio, che adesso lo guardava a bocca aperta.
“Come potrei rifiutare un invito da una così bella donna” rispose di rimando.
Ok, continuava a prendermi in giro. Avrei tanto voluto tirargli un pugno, ma sicuramente mi sarei rotta una mano nel farlo.
Così mi limitai a sorridere e ringraziare il signore, dirigendomi verso l’uscita.
Sentivo il suo sguardo addosso; avrei voluto prendere la borsa e coprirmi il sedere. Sapevo che mi stava fissando mentre camminavo.
Ero rossa dalla vergogna.
Chris ci vide uscire uno dopo l’altro e ne sembrò divertito.
“Cos’é successo?” chiese sorridendo.
“Con te faccio i conti dopo! Adesso andiamo, siamo in ritardo”.
Cercai di ignorare Ian, ma da megalomane quale era non lo accettò.
“Te ne vai così? Senza nemmeno salutarmi? Mi spezzi il cuore”; per enfatizzare la frase si portò platealmente una mano sul petto, stringendo la camicia come se stesse soffrendo.
“Sopravviverai”.
Stavolta fui io a ghignare.
Vittoria!
Per una frazione di secondo lo vidi sbalordito, ma poi la sua espressione tornò quella di sempre.
Si sporse pericolosamente verso di me, la bocca mi sfiorò l’orecchio. Sentivo i suoi capelli solleticarmi il collo e quasi senza accorgermene tirai un lungo sospiro, facendo penetrare il loro dolce profumo nelle mie narici e imprimendolo nella memoria.  Poi lo sentì sussurrare con lascivia “ mi piace come ancheggi...”
Il mio viso diventò paonazzo. Ancora una volta non riuscì a rispondere.
Lui sorrise soddisfatto. Si era preso la sua rivincita.
Allontanò il viso dal mio, guardò il suo amico  disse a voce alta: “Ci vediamo... Chris”.
Si voltò e andò via lasciandomi impietrita come una deficiente. 

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Capitolo 7
*** inviti ***


Quando rientrammo in ufficio andai dritta alla mia scrivania, senza degnare di uno sguardo il mio collega.
“Si può sapere che ti prende?” Chiese Chris serio.
“Mi hai lasciata da sola con quello scimmione!” risposi quasi urlando.
“Non mi pare ti sia successo qualcosa” osservò con tranquillità.
Il mio viso si fece paonazzo. “Tu dici?”
“Non capisco perché te la prendi tanto. Ian si é comportato bene”. Fece spallucce.
Io ero incredula. “ Ti aspettavi forse che scoppiasse qualche rissa?”
Sorrise. “ Beh, con lui non si sa mai...”
Lo guardai in cagnesco.
“Sai...” continuò “ Quello sguardo é uguale al suo...” e se ne andò.
Rimasi di sasso, incapace di ribattere.
Tornando a casa quella sera ripensai alla situazione assurda in cui mi ero ritrovata.
Era chiaro che quel ragazzo era un portatore di guai. Era egocentrico, egoista, pomposo... e tanti altri aggettivi che non osavo proferire.
Persone come lui erano da tenere a distanza e con cui non si dovrebbe avere mai a che fare.
Ma io sembravo portare una targhetta addosso che attirasse proprio questo tipo di individui. Dopo Dean non avevo voluto nessun’altra relazione e mi era andata bene così. Adesso non mi sentivo ancora pronta ad affrontare di nuovo quelle emozioni.
Con uno come Ian per giunta? Lui era il tipo da una notte e via, quello che prima ti lusinga coi complimenti, ti fa toccare il cielo con un dito e poi dopo aver raggiunto il proprio scopo se ne va mentre ancora tu dormi lasciando un biglietto sul comodino con su scritto qualcosa del genere... «è stato bellissimo, ci sentiamo».
No, decisamente non volevo essere una delle tante. Non ero il tipo da andare a letto con una persona senza poi subirne le conseguenze.
Mi piaceva che ci fosse intimità e sentimento.
Eppure quando mi stava vicino il mio corpo prendeva fuoco. Non avrei voluto far altro che saltargli addosso e non lasciarlo andare mai più.
«Si chiama attrazione», dissi a me stessa. «Non c’é nulla di romantico in questo, stai fantasticando su qualcosa che non esiste. Per lui non sei altro che un giocattolo. Se riuscisse ad averti dopo ti butterebbe via».
Così avevo deciso di non pensare più a lui; in qualche modo gli ero grata per avermi riportato a suonare, ma non ci sarebbe stato niente di più.
Nonostante la lunga giornata mi sentivo particolarmente ispirata e così buttai giù qualche frase.
Non mi era mai stato difficile farlo in effetti.
Oltre ad aver fondato la band ero quella che si occupava dei testi delle canzoni. A Dean spettava il compito degli arrangiamenti. Era bravo in quello. Il modo in cui suonava la chitarra era un qualcosa che pochi possedevano. Era come se fosse un’estensione del suo braccio. Gli veniva naturale, come respirare.
Chissà se la gente si ricordava ancora di noi...
Ma non c’era nessun noi, non più almeno. La mia vita adesso era del tutto diversa; e in fondo mi andava bene così.
Il suono del mio cellulare mi riscosse dai pensieri.
Un SMS da Zoe : «Aperitivo al solito bar alle 20. Non fare tardi. Baci Zoe».
Uff, non ne avevo proprio voglia.
Però magari mi farebbe bene uscire con lei e parlare un po’ tra ragazze...
Così mi sistemai alla meglio e andai all’appuntamento.
“Era ora!” disse Zoe allargando le braccia.
“Lo so, sono in ritardo...” mi scusai.
“Non fa niente, ti perdono. Ovviamente il primo giro lo offri tu” e rise.
L’atmosfera era calda e accogliente come al solito. Era uno dei pochi bar della zona in cui mi trovavo davvero a mio agio.
“Allora, hai qualche novità da raccontarmi? Qualche nuovo incontro bollente?” chiesi sedendomi al nostro solito tavolo.
“Beh, sono uscita con questo tizio la settimana scorsa...” iniziò.
Alzai gli occhi al cielo. Con lei era sempre così. Non era una ragazza facile, solo che si infatuava facilmente di qualsiasi uomo si mostrasse gentile nei suoi confronti.
“Come si chiama stavolta?”
“Sam, é un professore” sorrise soddisfatta.
“Uhhhh...” non sapevo cos’altro rispondere. Per fortuna l’arrivo del cameriere mi salvò dall’imbarazzo.
“Salve ragazze. Cosa vi porto?”
“Ciao Dylan” risposi “ iniziamo con un giro di gin tonic, grazie”.
“Figurati Megan... arrivano subito”
Ero assorta nei miei pensieri quindi non mi ero accorta che Zoe mi fissava.
“Che c’è?”
“Quello lì ti mangia con gli occhi...” rispose. “In effetti é un bel bocconcino, non trovi?”
“Stai scherzando?” Ero incredula.
Lei alzò un sopraciglio. “Perché?”
“Dylan é solo un conoscente, non capisco perché hai detto una cosa del genere”.
“Beh, non credo ci sia qualcosa di male. Lui é carino, tu sei carina... di cosa ti stupisci?” imbronciò il labbro come una bimba.
Rimasi sulle mie, riflettendo. Andavo in quel bar da quando mi ero trasferita. L’avevo trovato da subito accogliente e abbastanza riservato. Un posto dove poter fare colazione o prendere una sbronza senza che nessuno ti importunasse.
Da subito avevo fatto amicizia con Dylan, ma il nostro rapporto si limitava a un saluto cordiale e qualche sorriso innocente. Non l’avevo mai considerato in quell’altro senso. Istintivamente lo guardai.
Era alto..., sotto la divisa gli si intravedevano i muscoli ma non in modo esagerato. Portava i capelli castani leggermente lunghi, appena sopra le spalle. La sua carnagione appena più scura della media. Gli occhi di un verde brillante. Non era affatto male, dovevo ammetterlo.
«Ma non é Ian»
Avrei voluto picchiarmi nel momento stesso in cui quel pensiero mi sfiorò la mente.
Maledizione! Com’era possibile che facessi già dei paragoni con lui? Dovevo togliermelo dalla testa.
In quel preciso istante Dylan portò i nostri drink e io lo guardai quasi a volergli chiedere se Zoe avesse ragione. Non ce ne fu bisogno. Anche lui mi guardò, sorridendomi, e in un attimo le sue guance si colorarono di un leggero rosso.
“Che ti avevo detto?” osservò Zoe battendo le mani e saltellando sulla sedia.
Ero ancora incredula quando la vidi alzarsi. “Dove vai?”
“Ordino qualcosa. Se bevo senza mangiare rischio la sbronza al secondo giro” mi fece l’occhiolino e andò verso il bancone.
Io me ne rimasi li, persa nei miei pensieri. C’era voluta Zoe per farmi aprire gli occhi sul fatto che non fossi indifferente a un ragazzo. Ero proprio fuori allenamento. Del resto non ero brava in queste cose. Non più almeno. Impressionante come fossi cambiata nel giro di poco tempo.
“Fatto!”
Zoe si sedette di nuovo di fronte a me mentre Dylan la seguiva con un vassoio.
“Scusa aspettiamo altre persone?” chiesi dubbiosa.
“Certo che no. Perché?”
“Chi la mangia tutta questa roba?” la guardai storto.
“Noi naturalmente” sorrise “Grazie Dylan”
“Figurati...”
Esitò, il vassoio vuoto tra le mani. “Megan posso parlarti un momento?”
Quasi  mi strozzai col mio drink.
“C-certo” balbettai alzandomi.
Zoe rise. «Traditrice» pensai. Era chiaro che aveva detto qualcosa a Dylan; l’ordinare cibo era stata solo una scusa.
Lo seguì verso la porta sul retro. Fece un sospiro e poi si voltò verso di me.
“Non so da dove cominciare...” disse nervoso. “Io... é da un po’ che volevo chiedertelo...Ecco tu mi piaci Megan, mi sei piaciuta dalla prima volta che ti ho vista”. Fece una pausa passando nervosamente una mano fra i capelli. “Ti andrebbe se uscissimo insieme qualche volta? Potremmo andare al cinema o a cena. Scegli tu”.
Stavo per dire che era davvero carino ma che non me la sentivo di uscire con qualcuno. Poi ripensai alla mia vita. Avevo Chris e Zoe; entrambi buoni amici; ma a parte loro ero completamente sola.
Con Ian non c’era assolutamente nessuna speranza. Che poi, chi volevo prendere in giro? Aveva mostrato interesse per me come si fa come un nuovo giocattolo. In qualsiasi momento si sarebbe potuto stancare e buttarmi. Per lui non sarebbe cambiato nulla, mentre io ne avrei sofferto. Non faceva che provocarmi e stuzzicarmi. Ma niente di più.
Così risposi: “Si, credo che non sia una cattiva idea” e sorrisi.
Lui si rilassò all’istante e un sorriso genuino apparve sul suo volto.
“Davvero?” chiese incredulo.
“Certo”.  Era davvero carino.
“Allora che ne dici se ci scambiamo i numeri? Così é più facile organizzarci”.
Annuì prendendo dalla tasca il mio cellulare. Un istante dopo fu richiamato dal proprietario. Era comunque in orario di lavoro.
“Adesso vai prima che ti licenzino per colpa mia”
Lui sorrise e tornò al bancone.
Quando anch’io tornai da Zoe lei mi fissò sorridendo sotto i baffi.
“Sta zitta” dissi scherzando.
La serata passò così, tra sorrisi e chiacchiere. Mi sentivo stranamente allegra.
Entrando in casa sentì addosso l’intero peso della giornata. Fui stupita uscendo dalla doccia di sentire il mio cellulare emettere un beep.  Erano le 2 del mattino. Chi poteva mai essere? Chris forse? Rimasi stupita quando visualizzai.
“Scusa l’ora ma non ho resistito. Ho appena staccato dal lavoro e ci tenevo a darti la buonanotte. Sogni d’oro Megan”
Sorrisi.
Dylan sembrava un ragazzo davvero magnifico.
Chissà, magari la vita mi stava conducendo a una svolta inaspettata. 

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Capitolo 8
*** E SE... ***


Il giorno dopo mi sentivo stranamente rilassata. Accettare l’invito di Dylan sembrava sempre più una buona idea.
Un ragazzo del genere poteva dare quella stabilità e serenità che un tipo come Ian non avrebbe mai potuto trasmettere.
Eppure...
No, non dovevo pensare a lui. Mi attraeva, é vero, ma niente di più. Dovevo darci un taglio con le storie problematiche.
Pausa pranzo... oggi non ho  proprio voglia di andare al ristorante. Decido di viziarmi un po’ prendendo un caffè e un muffin da starbucks. Persa nei miei pensieri non mi accorsi di una figura alle mie spalle.
“Ehilà”.
Il sorriso amichevole che ha Dylan sul volto ne fa spuntare automaticamente uno sul mio.
“Non ti sto seguendo giuro” dice scherzando alzando le mani in segno di scuse.
Io rido.
“Sta tranquillo, non ti denuncerò... questa volta”.
Lui sembra rilassarsi vedendomi stare al gioco.
“Come mai qui?” chiedo bevendo un sorso del mio caffè.
“Avevo la mattina libera oggi e sono venuto a fare una passeggiata in centro. E tu?”
“Sono in pausa, tra poco devo tornare al lavoro” finisco guardando il mio orologio.
“È tutto qui il tuo pranzo?” mi guarda con rimprovero. “Non mi sembri il tipo che tiene d’occhio le calorie”.
Non sapevo se sentirmi lusingata o offendermi.
“Dovrebbe essere un complimento?”
Forse ero stata troppo acida. Lui cambiò espressione, capendo di aver fatto una gaffe.
“Oh, no; non volevo offenderti. È solo che sei perfetta così come sei non hai bisogno di stare attenta a ciò che mangi...”
Era in chiara agitazione, si arrampicava sugli specchi cercando una scappatoia dal guaio in cui si era cacciato con le proprie mani.
Scoppiai a ridere. “Sto scherzando Dylan, rilassati”.
Lui tirò un sospiro di sollievo. “Per un attimo ho pensato il peggio”. Poi sorrise.
“Volevo chiamarti oggi... la prossima settimana stacco nel pomeriggio, così volevo chiederti se ti andava di fare qualcosa insieme”.
“Perché no, si ok” risposi di getto.
“Ottimo” esclamò.
Era davvero euforico glielo si leggeva negli occhi.
“Allora ti scrivo per i dettagli...”
Non lo feci finire...
“Perfetto! Scusami ma devo scappare sono in ritardissimo...” afferrai  in fretta le mie cose e lo salutai mentre correvo via.
“Ciao!”
Forse ero sembrata maleducata, ma non potevo rischiare di rientrare dopo la fine della pausa pranzo.
Più tardi, dopo essermi rilassata, ripensai a tutta la conversazione.
Era parecchio nervoso mentre mi chiedeva di uscire, come se ancora si aspettasse un mio rifiuto. La sua timidezza mi inteneriva. Chissà... sarei riuscita ad andare d’accordo con un tipo del genere?
“Qualcuno é sulle nuvole...”
La voce di Chris mi riscosse dai miei pensieri.
“Oh, scusami, non mi ero accorta che fossi qui”
“Si, l’ho notato. Tutto bene?”
Si appoggiò contro la mia scrivania incrociando le braccia al petto.
“Si, certo”
Ero in dubbio. Non sapevo se dire o meno del mio appuntamento con Dylan. Lui infondo era amico di Ian.
Ma perché me ne preoccupavo poi? Di certo non dovevo rendere conto a lui...
“Beh, conosci Dylan?”
“Il ragazzo che lavora al bar dove fai sempre colazione?” chiese.
“Si esatto”.
“Si, lo conosco... un po’”. Mi fissò...
“Ecco... mi ha chiesto di uscire” confessai.
Chris sgranò gli occhi dalla sorpresa “Ma é fantastico!” Sembrava molto più felice di me...
“Dimmi che hai accettato”.
“Si”.
“Ottimo, non sai quanto mi faccia piacere saperlo”.
“Perché?” ero confusa.
“Tesoro, da quando sei qui non sei mai uscita con nessuno... mi preoccupo per te, tutto qui”.
Le sue parole mi colpirono dritta al cuore. Mi voleva bene e si preoccupava che io non rimanessi sola.
“Ma sono uscita con qualcuno...”
Lui alzò un sopracciglio. “Le bravate da sbronza non contano”.
Risi. Aveva ragione in fondo.
“Sul serio piccola, dopo quello stronzo del tuo ex non hai più voluto provare ad avere un rapporto stabile. Non voglio che degli eventi passati compromettano la tua vita futura”.
Avevo le lacrime agli occhi. Sapevo che teneva a me, ma non avrei mai immaginato che il mio modo di comportarmi lo portasse a preoccuparsi tanto.
“Scusami, a volte sono davvero egoista”.
“Non dire stupidaggini” esclamò fingendosi offeso. “Sei sensibile e questo ti porta a chiuderti in te stessa quando hai una delusione. L’hai fatto con la musica e anche coi ragazzi. Ma adesso stai dimostrando che forse sei pronta a riprovarci. A riprendere in mano la tua vita”.
Risi. “Da quando sei così’ profondo?”
“Cosaaaaaa? Lo sono sempre stato!”.
Continuai a ridere, felice di avere un amico così sincero.
Tornando a casa quella sera non facevo altro che rimuginare...
Le parole del mio amico mi avevano colpita più di quanto avrei creduto possibile. Forse perché in fondo non avevo mai avuto amici così. I membri della band dicevano che eravamo una famiglia, ma col senno di poi mi ero resa conto che non lo eravamo mai stati. Ognuno pensava a sé stesso e nient’altro. Lo avevano dimostrato bene Dean e Marta...Non si erano fatti nessuno scrupolo a mettersi contro di me, tradirmi e ferirmi...
Da quel giorno una parte di me era morta. L’avevo nascosta agli occhi degli altri, lasciando apparire quel che rimaneva; un involucro vuoto e spento.
Il tempo mi aveva aiutata a rimarginare parte delle mie ferite, ma avevo dovuto mettere un oceano tra me e loro per sentirmi vagamente al sicuro dal dolore che minacciava di attanagliarmi quando meno me l’aspettassi.
Zoe era stata la prima ragazza che avevo conosciuto dopo il mio trasferimento. Era sempre allegra e sorridente. Sembrava che niente potesse fermarla.
Si godeva la vita a pieno.
Proprio quello che io non ero più in grado di fare...
 
E se Chris avesse ragione? Potrei essere in grado di riprendere pieno possesso della mia vita...
E se Dylan fosse davvero l’uomo capace di rendermi felice? Non vorrei pentirmene un giorno.
E se in tutto questo tempo avessi continuato a seguire i miei sogni sarei dove sono adesso?
E se... troppi se...no, meglio non pensare ai se...

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Capitolo 9
*** Preparativi ***


La settimana passò abbastanza in fretta e senza nessun avvenimento particolare. Ovviamente Zoe volle che le ripetessi all’ infinito tutto quello che io e Dylan ci eravamo detti durante il nostro incontro casuale in caffetteria.
“I dettagli sono importanti” aveva detto, “devi ripetere esattamente quello di cui avete parlato senza omettere nulla”.
Inutile dirle che era stata una conversazione veloce e normalissima. Non aveva voluto sentire ragioni.
Per qualche strano motivo sia lei che Chris erano entrambi euforici e nervosi per il mio appuntamento; non facevano che darmi consigli o chiedermi cosa avrei indossato.
Mi sentivo come le fanciulle di una qualche epoca antica in cui la madre cercava di spiegare alla figlia quanto fosse importante per l’intera famiglia che riuscisse ad accalappiare un buon partito.
La cosa mi faceva sorridere non poco.
Erano sempre molto apprensivi nei miei confronti, quasi come mamma chioccia con i suoi pulcini.
Il loro tenermi costantemente impegnata mi distraeva dai miei stessi pensieri, impedendomi di rimuginare come era mio solito fare.
“Hai deciso cosa indossare?”
La sera prima del fatidico appuntamento... Zoe mi teneva attaccata al telefono riempiendomi di domande.
“Non ancora...”
Il fatto che non sapessi dove mi avrebbe portata non mi aiutava per niente.
Avrei dovuto trovare qualcosa di elegante, sexy ma non troppo e nel caso pure comodo.
Era un vero inferno.
“Cosa? Ma uscite domani!”
“Si, Zoe, lo so anch’io che usciamo domani”.
Alzai gli occhi; ero esausta.
“Senti é tardi e sono parecchio stanca; al lavoro oggi é stato un inferno. Vorrei andare a letto”.
“Mmmmh, d’accordo ma se domani mattina non avrai deciso andremo a fare shopping e non accetto un no come risposta”.
“Andata...ci sentiamo domani allora. Ciao”
“Notte”.
Mi lasciai cadere all’indietro sul letto, esausta.
Non volevo darlo a vedere ma ero agitata. Non uscivo seriamente con qualcuno da moltissimo tempo.
Risi nervosamente. Sembravo una ragazzina in piena crisi adolescenziale alle prese con il suo primo appuntamento.
Abbracciai il cuscino gridandoci sopra per attutire il suono. Da quando mi ero rammollita fino a quel punto?
Continuai a pensare ai più improbabili scenari fino a quando non mi addormentai.
Il mattino seguente fui svegliata dal suono insistente del campanello.
Le 7! Chi mai poteva essere a quell’ora?
Fui assalita da uno strano presentimento.
“Svegliaaa”
Non appena aprì la porta fui investita dalla voce squillante di Zoe.
“Ti odio” mormorai ancora ad occhi chiusi.
Lei rise per niente offesa.
“Smettila di blaterare e vai a vestirti, abbiamo un sacco di cose da fare oggi”.
“Da quando ti sei auto-promossa a mia assistente?”
“Semplicemente perché tu non sei in grado di occuparti di questa faccenda da sola”.
Cercai di ribattere ma fu tutto inutile; così feci quello che diceva e uscimmo di casa in fretta e furia.
Non so cosa avevo fatto di male nella mia vita per dover subire la tortura che mi inflisse per l’intera giornata; ma ero sicura che se non mi avesse uccisa lei alla fine sarei morta durante l’appuntamento.
Mi portò in giro per tutti i negozi del centro, costringendomi a provare vestiti su vestiti. Cercava di impormi i suoi gusti, ma su questo ero intransigente.
Per il pranzo decidemmo di fermarci al ristorante vicino il mio ufficio. Mi si strinse il cuore. Era il posto dove avevo incontrato Ian; lo stesso posto dove mi aveva lasciata senza parole mentre faceva apprezzamenti sul mio corpo.
“Qualcosa non va?” chiese Zoe osservandomi.
Scossi la testa “Pensavo che prenderò il vestito che abbiamo visto nell’ultimo negozio”.
Lei sembrò sorpresa “sul serio?”
“Ti sembra eccessivo?”
“No no. Ma non mi aspettavo scegliessi qualcosa di così appariscente. Con quello ti mangerà con gli occhi”.
“Ma dai...”
Qualche ora dopo non facevo altro che guardarmi allo specchio. Forse avevo davvero esagerato. Era un vestito bellissimo però, dovevo ammetterlo.
Era nero, con delle borchie lungo tutti i lati del corpetto. La scollatura era abbastanza pronunciata, ma quel tanto da non apparire volgare; dietro invece...la schiena era lasciata completamente nuda se no per due laccetti incrociati tra loro. L’abito continuava poi fino alle caviglie con uno chiffon semitrasparente che lasciava intravedere la linea delle gambe.
Quando finalmente fui pronta iniziai a camminare avanti e indietro per la camera, tesa come una corda di violino.
Dovevo fare qualcosa per distrarmi giusto il tempo dell’attesa.
Così, senza quasi rendermene conto, presi il mio block notes e iniziai a scrivere. Non avevo nessuna idea in testa. Sembrava essere passato un secolo da quando avevo scritto la mia ultima canzone. Eppure le parole iniziarono a sgorgare; la penna scivolava sulla pagina bianca, come se fosse dotata di vita propria.
“Sogno le tue labbra, i tuoi occhi gelidi infiammano la mia anima... ma tu mi hai allontanata e io non ho più niente.
Dove sei? Ho bisogno del tuo calore, aiutami...”
Prima ancora di capire di chi parlasse la canzone ero già con la chitarra tra le mani, pronta a cercare di comporre una melodia che si adattasse a quel testo, seppur incompleto, che avevo appena scritto.
Avevo rinunciato alla musica per anni e adesso sembravo quasi posseduta, il mio corpo non mi ubbidiva, la ragione era offuscata, come se avesse lasciato spazio soltanto all’istintività e ai sentimenti che mi tormentavano.
Volevo buttare tutto fuori e lo stavo facendo a mio modo, cantando, suonando e scrivendo.
Per me significava liberarmi di un macigno che da troppo tempo mi tenevo dentro.
Finalmente riuscivo a suonare senza avvertire quel peso sul cuore; quel soffocare che mi impediva di fare quello che avevo sempre amato.
Sapevo qual’era stata la situazione che aveva scatenato in me questo nuovo modo di vedere le cose; anzi sapevo chi era la persona che ne era stata la causa.
Che io lo volessi o meno, la mia mente mi riportava inesorabilmente a lui.
In men che non si dica rivedevo il suo corpo muscoloso, il suo volto, i suoi occhi capaci di gelarti il sangue nelle vene o di infiammartelo.
Perché adesso?
Stavo per uscire con un ragazzo fantastico; perché lui doveva intrufolarsi così nella mia testa?
Una parte di me aveva fantasticato che l’appuntamento fosse con lui.
Lo immaginavo aspettarmi sotto casa con quel suo sorriso beffardo mentre mi squadrava dalla testa ai piedi leccandosi le labbra e ghignando con quel suo modo di fare arrogante.
Gli avrei detto che era uno stronzo pervertito, ma avrei sorriso, euforica di provocargli quelle sensazioni.
Avevo immaginato me stessa salire in macchina, e lui, incapace di resistere ancora, baciarmi intensamente.
Scossi la testa, dandomi dell’idiota. Erano solo fantasie e nient’altro.
Ian non era il tipo di andare ad un appuntamento con una donna; di portarla in giro, di farle dei complimenti o di essere galante.
No, lui era il tipo che sceglieva la fortunata tra le sue fans alla fine dei concerti, provocando l’invidia delle altre.
Stavo proprio esagerando. Per fortuna il campanello mi risvegliò dal mio rimuginare.
Feci un lungo respiro e aprì la porta.
“Ciao...” sorrisi.
“Wow...” Dylan aveva gli occhi spalancati e faceva fatica ad esprimersi.
“Tutto bene?” chiesi preoccupata.
“Si...ecco, non mi aspettavo... questo...” e mi indicò dalla testa ai piedi.
“Non va bene? Non sapevo dove saremmo andati così ho messo questo vestito, ma se credi sia inappropriato posso cambiarmi, non é un problema”
Mi ero appena girata per andare in camera quando mi sentì afferrare per un braccio.
“Non intendevo questo. Il vestito é  perfetto; é solo che non me lo aspettavo. Sei così bella che mi hai spiazzato”. Il suo sguardo si fece serio, la sua insicurezza era del tutto svanita. In quel momento mi ricordò Ian quando mi guardava intensamente coi suoi occhi lussuriosi.
Un brivido mi corse lungo la schiena e inevitabilmente arrossì.
“Sei gentile..” biascicai. “Allora prendo la giacca”
Lui sorrise continuando a tenere il suo sguardo su di me; sembrava perforarmi.
Forse l’avevo giudicato troppo in fretta. Forse c’era molto più di quello che appariva e la cosa non mi dispiaceva per niente.
“Allora dove andiamo?” chiesi euforica salendo in macchina.
“Vedrai...”
E ingranò la marcia facendo mezzo sorriso che mi tolse il fiato. 

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Capitolo 10
*** L'appuntamento ***


“Scusa se te lo ripeto, ma sei davvero bellissima”. Dylan mi lanciava qualche occhiata mentre guidava nel traffico serale.
“Grazie” risposi ancora una volta sorridendo.
Guardavo fuori dal finestrino, scervellandomi per trovare qualche argomento di conversazione. Ma era inutile. Ero completamente bloccata.
Mi sentivo un po’ a disagio, ma sapevo che era del tutto normale. La mia unica speranza era che la serata prendesse una piega migliore.
Quando finalmente arrivammo al ristorante, Dylan si precipitò ad aprirmi lo sportello. La cosa mi fece un po’ piacere; ormai non lo faceva quasi nessuno.
Il ristorante era davvero elegante, il che mi fece sentire sollevata; avevo scelto il vestito adatto.
Mentre il cameriere ci accompagnava al tavolo, sentii un improvviso senso di dejà vu. Vedevo me stessa sedermi in un posto chic come quello, obbligata dai miei a fingere di essere quello che non eravamo... una famiglia.
Deglutì, cercando di far sparire il nodo che sentivo in gola.
“Tutto bene?” chiese Dylan “ sei un po’ pallida”.
“Sto bene” risposi subito “Ho avuto così tanto da fare ultimamente... devo essermi affaticata un po’” sorrisi cercando di mascherare il nervosismo.
“Forse era meglio rimandare la serata allora”
“Ma no! Che dici” la mia mano cercò la sua per rassicurarlo.
Ma Dylan lo interpretò come un gesto diverso da quello che era e strinse la mia mano a sua volta, illuminandosi. Abbozzando un leggero sorriso la tirai via delicatamente. Non volevo che interpretasse male il mio gesto facendosi da subito delle illusioni.
La cena fu abbastanza tranquilla e trascorse senza nessun imbarazzo particolare. Non parlammo moltissimo. Gli argomenti che facevamo finivano sempre e la conversazione non riusciva mai fluida. Tuttavia più il tempo passava più mi rendevo conto che tra me e lui non avrebbe mai potuto esserci niente di più che una amicizia.
Era un tipo molto calmo, sulle sue. Aveva un cuore gentile ed era sempre pronto verso gli altri. Tutto l’opposto di qualcun’altro... no non dovevo fare paragoni.
Quando uscimmo dal ristorante Dylan fece un’altra strada, il che mi fece capire che la serata non era ancora finita. Ma dove voleva portarmi conciata in quel modo? La sua mano destra lasciò il volante, incerta se avvicinarsi alla mia. Senza pensarci ritirai la mia e le strinsi tra loro sulle gambe. Era stato un gesto involontario. Non avevo voluto che mi toccasse, non mi andava di lasciarglielo fare.
Lo vidi tornare con la mano sul volante e stringerlo leggermente. Capivo cosa provava. Si dava dello stupido per non essere stato più risoluto nel fare quello che gli andava in quel momento.
Fu allora che il mio cellulare squillò, come se volesse togliermi da quel momento imbarazzante. Chris? Sapeva che ero all’appuntamento, non avrebbe mai chiamato senza un buon motivo.
“Pronto, Chris?”
“Lei é Megan?” chiese una voce femminile molto formale.
“Si sono io. Ma chi parla?” cominciavo ad agitarmi.
“Sono l’infermiera dell’ospedale, il suo numero era il primo nelle chiamate rapide”
“È successo qualcosa al mio amico? Chris sta bene?”
“Il suo amico ha avuto un incidente, dovrà passare la notte qui, ha qualche ferita ma non é grave”.
“La ringrazio, arrivo subito”. Riagganciai fissando il vuoto, incapace di muovermi. Anche questo mi sembrava un dejà vu.
“Megan stai bene? Cos’é successo?”
Mi ero del tutto dimenticata di Dylan.
“Era l’ospedale; Chris ha avuto un incidente. Devo andarci subito”
Lui stava per dire qualcosa ma il mio sguardo lo zittì.
Quando arrivai chiesi in fretta dove si trovasse senza nemmeno aspettare che Dylan parcheggiasse.
Spalancai la porta della stanza senza bussare.
“Chris!” urlai correndo verso il letto.
“Cazzo! Tu che ci fai qui?” era incredulo.
“Mi ha chiamata una delle infermiere, sono corsa appena ho saputo. Cos’é successo?”
“Ok, ok.. che ne dici di calmarti?”
In quel momento sentii una risatina. Mi girai di scatto, gelando. Lì, in piedi accanto alla finestra c’era Ian, con il solito ghigno di scherno sulle labbra.
“Ciao piccoletta” disse squadrandomi dalla testa ai piedi.
Il mio corpo si infiammò in meno di un secondo sotto il suo sguardo lussurioso.
“Che ci fa lui qui?” chiesi stizzita.
“Non sei felice di vedermi?” ribatté lui.
“Per niente!”
Rise. Sapeva che mentivo. Cercai di ignorarlo e mi concentrai su Chris.
“Allora?”
“Non é successo niente di grave. Dei tizi ubriachi mi hanno infastidito, una parola tira l’altra e mi sono ritrovato a dovermi difendere. Erano di più quindi mi hanno conciato per le feste, ma poi é arrivato Ian e quei due sono scappati dopo averle prese”.
Mi girai a guardalo. Aveva fatto a botte eppure non aveva un graffio.
“Ci sono cresciuto in mezzo a queste cose tesoro”.
Sembrava leggermi sempre nel pensiero.
“Quindi ti ho rovinato la serata, avevo detto alle infermiere di non chiamare nessuno. Mi dispiace tanto”
“Stai tranquillo, non hai rovinato niente. E poi tu sei più importante di qualsiasi altro ragazzo” gli feci l’occhiolino.
Dietro di me sentivo due occhi perforarmi la schiena. Chissà cosa stava pensando in quel momento.
“Vado a parlare con il dottore”mi alzai andando dritta verso la porta.
Il medico mi rassicurò sulle condizioni di Chris, il che servì a calmarmi.
Feci un lungo sospiro e chiusi gli occhi.
“Megan?” Dylan si dirigeva verso di me “ allora come sta?”
“Ha un leggero trauma cranico e qualche escoriazione. Lo tengono qui stanotte, per sicurezza”.
“Beh, é una fortuna che non sia nulla di grave”mi sorrise gentile.
In quel momento Ian uscì dalla stanza e fissò lo sguardo su di noi. Alzò un sopracciglio e ghignò impercettibilmente; solo io me ne accorsi. Non disse nulla però. Lo vidi dirigersi verso un altro corridoio; chissà dove andava.
“Allora che vuoi fare? Io ho il turno tra qualche ora e devo prima cambiarmi. Torni con me?” sembrava sperarci.
“Preferisco restare qui ancora un po’; prenderò un taxi. Grazie della serata Dylan, sono stata bene”.
“Beh, mi fa piacere...” era indeciso, come se aspettasse che io gli dessi un qualche tipo di segnale. Ma non successe nulla.
“Allora ciao...” mormorò allontanandosi a testa bassa.
Sospirai. Forse accettare l’appuntamento non era stata una buona idea.
In quel momento Ian mi apparve davanti porgendomi una tazza fumante.
“É per me?” chiesi stupita.
“Sembri averne bisogno” il suo viso era serio.
“Grazie” nel momento in cui l’afferrai le nostre dita si toccarono e il mio corpo fu scosso da una scarica di brividi. Sperai non se ne fosse accorto.
Chiusi gli occhi, inspirando l’aroma del caffè appena fatto, poi ne bevvi una lunga sorsata.
“É  molto buono”
“Davvero?” Non mi diede il tempo di rispondere.
Afferrò la tazza dalle mie mani e bevve anche lui.
“Si hai ragione, é davvero buono” sorrise mentre me lo offriva di nuovo. Io esitai. Da quando eravamo così in confidenza?
“Che c’è? Non dirmi che sei una di quelle che si schifa a bere dalla stessa tazza”ghignò.
Mi stava provocando di proposito. Bene, non avrei ceduto.
Gliela strappai dalle mani, guardandolo negli occhi mentre bevevo.
“Ehi, l’hai finito tutto!” replicò.
“Vorrei esserne dispiaciuta, ma mentirei”
Era incredibile il modo in cui reagivo alle sue provocazioni. Eppure mi sentivo sempre me stessa quando ero con Ian.
Rientrammo in camera, chiacchierando del più e del meno con Chris. Ero decisa a passare lì la notte ma lui si oppose categoricamente.
“Torna a casa, io sto bene”
“ok... devo comunque chiamare un taxi”.
Ian mi strappò il telefono dalle mani.
“Ma che fai?”
“Ho la macchina, ti accompagno io”.
Ero davvero incredula.
“Mi sembra una buona idea Megan, é più sicuro”.
“V- va bene” mi lasciai convincere.
Gli diedi un bacio sulla guancia prima di uscire. Quando salimmo in auto mi resi davvero conto di essere da sola con Ian in uno spazio ristretto.
“Quindi il tuo appuntamento é andato male”.
Lo guardai.  “No, non direi. Cosa te ne importa?”
“Credevo non ti piacessero i tipi ordinari. Chissà che noia. Riesco a vederlo... in preda al panico mentre cerca di trovare qualcosa di cui parlare” ghignò.
Come cavolo ci riusciva ogni volta?
“Ti sbagli” sussurrai.
“Certo...”
Sapeva fin troppo bene di avere ragione.
“Quello é un’idiota; però su una cosa dovrei ringraziarlo”
“Sarebbe a dire?” alzai un sopracciglio.
“Se non fossi uscita con lui non ti avrei mai vista con questo vestito...” si era avvicinato pericolosamente al mio viso pur continuando a tener d’occhio la strada. “Sei davvero eccitante vestita così”
Il suo tono languido mi fece rabbrividire. I miei occhi si incatenarono ai suoi. Lo immaginai mentre fermava la macchina per poi baciarmi... sentire le sue mani percorrere il mio corpo... ma non accadde nulla di tutto ciò. Continuò a guidare, pur consapevole di aver colto nel segno. Era un cacciatore e io ero alla sua mercé.
Quando arrivò davanti casa mia scese anche lui, accompagnandomi alla porta.
“Grazie del passaggio..” feci per entrare ma il suo braccio muscoloso mi bloccò la strada.
“Non mi inviti a salire? Mi devi un caffè” fece il suo solito sorriso ammaliatore.
“Ian...” iniziai “ sappiamo entrambi che io non sono niente per te; nel momento in cui ti avrò dato quello che vuoi tu te ne andrai, perché non sarò niente di più che l’ennesima conquista da aggiungere alla tua lista. Quindi no, non ti inviterò a entrare perché io merito di più. Buonanotte... e grazie ancora”.
Rimase li a fissarmi senza spiccicare una parola mentre io mi chiudevo la porta alle spalle. Mi lasciai scivolare sul pavimento. Il mio corpo avrebbe voluto spalancare quella porta e saltargli addosso ma dentro di me sapevo di aver fatto la scelta giusta.
Feci una lunga doccia, per lavare via tutta la tensione accumulata, poi esausta mi misi a letto. Quella serata era durata fin troppo.

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Capitolo 11
*** decisioni ***


I giorni passavano in fretta, forse anche troppo. Non avevo più contattato Dylan dopo il nostro appuntamento. Cosa avrei potuto dirgli? Sei un bravo ragazzo ma non provo nulla per te? Sembravano tutte frasi fatte. Lui non aveva chiamato, probabilmente aspettava che fossi io a farlo. Mi trovavo in una posizione scomoda; adesso evitavo anche il bar dove lavorava.- Te la sei cercata – mi dissi sospirando.
Chris era stato dimesso dall’ospedale quasi subito, sebbene avesse ancora qualche ammaccatura.
Di Ian non avevo nessuna notizia. Io non chiedevo nulla e Chris non lo menzionava nemmeno.
Per quanto mi attraesse fisicamente avevo fatto prevalere la mia dignità. Non avevo la minima intenzione di essere usata da lui per poi far si che mi buttasse via come un calzino vecchio.
Zoe invece non era stata discreta quanto Chris, ma da un tipo come lei c’era da aspettarselo.
Mi fece mille domande riguardo l’appuntamento, dandomi della stupida più di una volta. Non faceva altro che ripetere quanto Dylan fosse un bravo ragazzo e che era pazzo di me.
Peccato che stare con lui non mi provocava nessuna emozione particolare.
Per quanto detestassi ammetterlo era con Ian che la vera me stessa veniva fuori.
Era stato subito dopo il suo concerto che avevo di nuovo stretto la chitarra tra le mani; lui mi aveva emozionata, toccato l’anima con la sua musica e la sua passionalità per tutto ciò che faceva.
Tutto il suo essere trasudava desiderio e impeto.
Su molti aspetti mi ricordava Dean; forse era anche per questo che cercavo di tenerlo a distanza. Erano troppo simili. Essere tradita mi era già bastato una volta, non lo avrei permesso una seconda.
Ma entrambi possedevano quel magnetismo in grado di far colpo senza nemmeno rendersene conto. Sicuri di sé, autoritari, capaci di prendersi qualsiasi cosa desiderassero, anche con la forza. Il che li rendeva pericolosi.
L’esperienza mi aveva insegnato a non provocare i tipi come loro, o almeno a non esagerare. Era meglio mettere le cose in chiaro, prima di farsi male sul serio.
Per questo ero stata diretta con Ian.
Dopo una settimana passata a rimuginare decisi che era il caso di affrontare Dylan. Un taglio netto gli avrebbe fatto meno male.
Quel pomeriggio lo aspettai sul retro del locale fino alla fine del turno. Quando uscì dalla porta sembrò molto sorpreso. Io abbozzai un sorriso di cortesia.
“Ciao” dissi staccandomi dal muro dove mi ero appoggiata.
“Ehi... allora non ti hanno rapita gli alieni”
Non ci voleva di certo un genio per capire che lo stavo evitando.
“Così pare... posso parlarti?”
“Certo...”
Avevo provato e riprovato quella conversazione mille volte, ma era comunque dura.
“È stato bello uscire insieme, anche se c’è stato quell’imprevisto. Ma Dylan... sento di doverti dire che non penso possa funzionare tra noi...”
Lui fece un sorriso amaro “mi aspettavo che dicessi così” si avvicinò “ ti ho quasi forzata ad accettare il mio invito”.
“Tu non mi hai costretta a fare nulla, é solo che mi conosco e se non scatta da subito qualcosa per me é impossibile far nascere dei sentimenti”.
Si dondolò sui talloni indeciso se chiedere o meno; poi disse: “c’è qualcun’altro?”
Scossi la testa “no, non c’è nessuno”. Non era del tutto la verità, ma Ian era da evitare, a prescindere da quanto potessi esserne attratta.
“Che mi dici del tipo in ospedale?”
“Chris? Stai scherzando? È il mio migliore amico!” Che gli passava per la testa?!
“Non lui... so che é come un fratello per te. Intendevo quello che ho visto uscire dalla stanza. Il tizio metal tutto muscoli”.
Oh merda... ero fregata. Cercai di mantenere la calma e avvicinarmi il più possibile alla verità.
“Ian? So che é un amico di Chris, l’ho incontrato qualche volta, ma non lo conosco per niente”. Nulla di più vero; Ian era stato indecifrabile sin dall’inizio. Non rispondeva mai alle domande, anzi le sviava cambiando argomento o chiedendo qualcos’altro. Era un libro chiuso; sigillato.
“Dal modo in cui ti guardava si direbbe che gli interessi. mi ha quasi ringhiato in faccia”. Allora anche lui si era accorto del suo ghigno. Certo, Dylan non era uno stupido, anzi era un buon osservatore.
Abbassai la testa, fissando per un momento la punta delle mie scarpe.
“Anche se avesse qualche sorta di interesse per me conosco bene i tipi come lui e non portano nulla di buono. Non rifarò lo stesso errore”. Smisi di parlare. Avevo detto fin troppo. Dylan mi guardava come a voler chiedere a cosa mi riferissi, curioso di sapere qualcosa sul mio ex che tanto mi aveva ferita.
“Meglio di no, non mi va” risposi prima ancora che aprisse bocca.
“Ora devo andare. Ti chiedo ancora scusa”. Lo salutai con un cenno della mano e mi avviai.
“Ehi Megan” chiamò. Mi girai guardandolo. Sul suo volto apparve un sorriso genuino. “Adesso puoi anche smetterla di evitare di venire al bar, non ce n’é alcun motivo. Passa quando vuoi, ok?”
“Va bene”. Il quel momento mi sentii molto più leggera.
Tornando a casa capii di aver fatto la scelta giusta decidendo di affrontare Dylan.
Questa esperienza mi aveva aiutata a capire che non ero ancora pronta per uscire con qualcuno. Decisi che era meglio dedicarmi a me stessa e alle cose che amavo.
Mai come in quel momento la musica mi era sembrata un’amica leale capace di confortarmi senza chiedere nulla.
Al lavoro del resto era sempre una noia mortale; ma almeno avevo Chris che riusciva a tirarmi su. Quella settimana era parecchio su di giri, più del solito in effetti. Stava organizzando un mega party per il suo compleanno.
“Chris rilassati, manca ancora un mese!” dissi esasperata.
“Ancora?” urlò “ vuoi dire che manca SOLO un mese! Sai quanto tempo e fatica ci vogliono per organizzare una festa perfetta?”
Non risposi... non mi ascoltava in ogni caso.
Era bello vederlo affannarsi per qualcosa che per me non aveva alcun valore ormai.
“Sarà fantastico!” lo sentii vantarsi al telefono qualche giorno dopo “ci sarà anche una band dal vivo”.
Il mio campanello d’allarme si fece sentire, avevo un brutto presentimento.
Quando riattaccò provai a saperne di più “band dal vivo eh... sarà mica...” lasciai la frase in sospeso.
“Chi vuoi che sia? Il gruppo di Ian naturalmente”
“Lo immaginavo; del resto é un tuo amico”.
“Ferma lì!” mi ordinò girandomi intorno “qui c’è qualcosa che mi puzza”.
Alzai un sopracciglio “non ho idea di cosa tu stia parlando...” e me ne andai.
A Chris non avevo raccontato quello che ci eravamo detti con Ian la sera dell’incidente. Era meglio così, altrimenti ci avrebbe ricamato sopra fin troppo.
“Dimmi la verità... è successo qualcosa fra vuoi due... qualcosa di cui ti vergogni e che vuoi tenere segreto”.
Quasi mi strozzai. Eravamo in pausa pranzo al solito chioschetto, quindi attirai parecchia attenzione mentre cercavo di non soffocare.
“Sei impazzito o cosa?”
“Per niente”
“Perché mai hai chiesto una cosa del genere allora?”
“Ho le mie ragioni...” rispose vagamente.
“Tu e i tuoi misteri...” borbottai cercando di ricompormi.
“Guarda guarda...” osservò lui fissando lo sguardo alle mie spalle.
“Che c’è?” chiesi confusa.
“Ehilà Ian! Capiti proprio al momento giusto” Chris sorrise.
Io gelai sul posto; poi mi ricomposi “ se è uno scherzo non é divertente”.
“Lo scricciolo sembra di cattivo umore” tuonò lui.
Oh cavolo. Allora era davvero dietro di me. Era la prima volta che ci rincontravamo dopo quella sera in cui gli avevo chiuso la porta in faccia...
Mi feci coraggio e mi girai guardandolo dritto negli occhi. Provai a far emergere tutto l’odio e il rancore che avevo provato in passato e colpii nel segno. Il suo sorriso svanì e mi fissò per un minuto interminabile. Aveva letto tutto quello che da troppo tempo mi portavo dentro.
“La mia pausa é finita” osservai gelida “ torno in ufficio”.
Entrambi non dissero una parola, ma si fissarono; uno stupito, l’altro incredulo.
“Decisamente mi puzza” borbottò Chris.
Forse ero stata troppo dura, ma ormai avevo preso la mia decisione. Ian non era salutare per me, quindi l’avrei evitato a tutti i costi.
Perché ero consapevole del fatto che sarebbe stato facile amarlo, fin troppo. Il difficile invece era non innamorarsi di lui.
Per questo avevo deciso di avere il minor numero possibile di contatti con lui.
Le settimane passavano e il giorno della festa si avvicinava rapidamente.
Dal canto mio ormai avevo preso la mia decisione, quindi il fatto di poter incontrare Ian non mi provocava nessuna reazione particolare. Ci saremmo incrociati alla festa, era inevitabile. L’avrei salutato per pura cortesia e nulla di più.
La sera del fatidico compleanno raggiunsi Chris prima di tutti gli altri invitati.
Inutile dire che la casa era immersa nel caos.
“Stai calmo” gli ordinai costringendolo a sedersi. “Andrà tutto bene, vedrai. Non c’è motivo di agitarsi”.
Non ebbi il tempo di finire la frase che sentimmo Ian arrivare.
“Ehi, grand’uomo! Buon compleanno!” gli diede una pacca sulle spalle sorridendo, poi i suoi occhi si fissarono su di me. Questa volta non mi ero vestita in modo eccessivo, tuttavia mi guardava come se fossi stata nuda.
Fu in quel preciso istante che mi resi conto di avere un altro sguardo addosso.
La chitarrista si era accorta delle occhiate di Ian e adesso mi fissava con ostilità.
Ci mancava anche questa! Ricordavo che Chris mi aveva accennato dell’infatuazione della ragazza per il leader del gruppo.
Quindi io ero automaticamente etichettata come nemica.
Ian sembrò non accorgersene. Strano, avevo da sempre pensato che fosse molto attento alle reazioni delle persone intorno a lui.
“Ehi, Megan” mi salutò. Era forse la prima volta che gli sentivo pronunciare il mio nome. Anche Chris se ne accorse ed esclamò: “ che fine hanno fatto scricciolo, gattina e tutti gli altri nomignoli che le hai affibbiato?”
Trattenni il fiato, mentre l’altra ragazza diventava rossa di rabbia. Dal suo modo di reagire era chiaro che Ian non si comportasse così di solito, il che mi faceva passare per qualcuno di diverso dal resto delle persone che in generr lo circondavano.
Chris a volte era proprio un idiota... o forse no visto il sorrisetto che aveva sulle labbra. Che l’avesse fatto di proposito?
Ian d’altro canto sviò la domanda; si guardò intorno prima di chiedere dove avrebbero dovuto sistemarsi.
Chris indicò il palco che aveva fatto allestire per loro, poi mi presentò al resto della band. Inutile dire che la ragazza evitò di stringermi la mano come avevano fatto gli altri due. Si limitò soltanto a incenerirmi con lo sguardo.
Non avevo di certo paura di lei, quindi ricambiai l’occhiata per farle capire che nessuno riusciva a intimidirmi; tanto meno che una tipa punk, tatuata che faceva di tutto per mostrarsi come la dura della situazione.
Non aveva la minima idea che quello era lo stesso ambiente da cui anch’io provenivo.

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Capitolo 12
*** La festa ***


Qualche ora più tardi la festa entrò nel vivo. Chris aveva davvero superato se stesso questa volta. Dagli addobbi alla musica al cibo; niente era stato lasciato al caso. Adesso riuscivo a capire il nervosismo mostrato nell’ultimo mese. Di sicuro non era stato semplice organizzare qualcosa del genere.
Gli invitati sembravo divertirsi moltissimo, ballavano e ridevano senza freni.
Io ero l’accompagnatrice di Chris, se così potevo essere definita. Ad inizio festa aveva stabilito che dovevo essere la sua compagna per tutta la serata. Forse gli facevo pena ad essere lì senza un uomo accanto... Aveva provato a presentarmi diversi ragazzi, ma io avevo glissato sempre in un modo o nell’altro.
Ero già stata chiara con lui, avevo detto che non mi sentivo pronta per frequentare qualcuno, ma come al solito non mi dava retta.
“una vodka liscia per favore” ordinai al barman.
“Dammi una birra”.
Mi girai al suono della voce. Ian se ne stava appoggiato coi gomiti al bancone aspettando la sua ordinazione.
“Ecco a voi”.
“Allora ti diverti?” chiese afferrando la bottiglia.
“Abbastanza” cercavo sempre di essere il più fredda possibile.
“Ti ho forse offesa?” chiese improvvisamente.
Rimasi spiazzata; non era il genere di domanda che mi sarei aspettata da lui.
“Scusami?” cercai di guadagnare tempo.
“Ti ho forse offesa in qualche modo?” ripeté ruotando il busto nella mia direzione. Mi fissava come se avesse voluto leggermi l’anima.
“No, non direi...”  non mi fece finire
“allora perché ti comporti in questo modo?” era più serio che mai.
“lo sai perché...” borbottai bevendo una grossa sorsata del mio drink. La vodka mi bruciò la gola, un dolore piacevole.
“Credevo lo volessi anche tu ecco perché ho detto quelle cose. Lo vedo come mi guardi, come il tuo corpo reagisce quando ti sono vicino...” e come a volerne dar prova fece scivolare un dito dalla spalla giù fino al mio polso. Il mio corpo reagì più che mai, con violenza; rabbrividii. Aveva lasciato una scia infuocata li dove mi aveva toccata.
“Vedi?” accennò un sorriso, diverso dagli altri che avevo visto fino a quel momento.
Non riuscivo a interpretarlo; sembrava di vittoria, superiorità, ma anche rassegnazione. Più lo conoscevo e più mi appariva indecifrabile.
Tirai indietro il braccio e lo guardai a mia volta; avrei voluto perdermi in quegli occhi blu, ma non potevo, non a quel prezzo.
“Si, non posso negare che tu abbia ragione; ma io ho le mie idee, i miei principi...”
Ian rise di gusto. “Mi stai dicendo che non lo fai perché sei troppo pudica?!”
Adesso mi prendeva in giro... di bene in meglio.
“Non é quello. Conosco i tipi come te e non voglio averci niente a che fare” forse avevo detto troppo. Smise di ridere e i suoi occhi diventarono fuoco.
“I tipi come me... e dimmi che tipo sarei?”
Stavolta fui io ad animarmi “Uno che ferisce le persone; uno a cui importa soltanto di se stesso, che non riesce mai a legarsi a qualcuno e che lo butta via dopo aver avuto ciò che vuole. Dimmi che mi sbaglio Ian; dimmelo e ti darò quello che vuoi stasera stessa” lo sfidai.
Strinse i denti talmente forte che avevo la sensazione gli si sarebbero spezzati da un momento all’altro, ma non disse nulla; non poteva. Sapeva benissimo che avevo ragione. Rimase lì, a cercare una risposta da darmi, fin quando la chitarrista non si presentò al bancone.
“Ian muoviti dobbiamo suonare”. Mi fissò con odio e poi afferrandolo per un braccio lo trascinò verso il palco.
Continuai a starmene al bancone a bere, mentre li vedevo armeggiare con gli strumenti e preparasi all’esibizione.
Chissà come sarebbe stato sentirlo di nuovo cantare... mi avrebbe suscitato le stesse emozioni della prima volta? Non mi restava altro che scoprirlo.
Le luci si abbassarono e tutti gli invitati iniziarono a battere le mani e a incitare la band. La chitarra di Ian rombò come il motore di un auto impazzita prima che tutti gli altri gli si accodassero. Quando iniziò a cantare mi resi conto che c’era qualcosa di diverso. La voce era sempre la stessa, profonda, roca e sensuale; tuttavia sentivo che qualcosa era cambiato. Sembrava molto più minacciosa, furiosa...piena di rabbia.
Suonava con un tale impeto che il resto del gruppo faceva fatica a stargli dietro. Era rozzo, rude; grezzo. Sembrava un musicista alle prime armi. Nessuno si accorse di questi particolari, anzi la folla sembrava caricarsi ogni qualvolta Ian accelerasse il ritmo.
Fingevo di non notare gli sguardi di rabbia che mi lanciava, ma in realtà non me ne era sfuggito nemmeno uno. Era chiaro che fosse furioso per la nostra piccola discussione. Prima che suonassero le ultime note della canzone, mi alzai dirigendomi in camera di Chris. Ero stanca... delle sue occhiate, dei suoi giochetti, delle sue parole... ero stanca di tutto. Volevo solo chiudere gli occhi e non pensare più a niente.
Ma non potevo abbandonare Chris, non proprio in quel momento. In fin dei conti era il suo compleanno. Così feci un lungo sospiro e tornai tra la folla.
“Ehi dove ti eri cacciata?” Chris mi si avvicinò barcollando un po’.
“Qualcuno ha esagerato con l’alcol o sbaglio?” chiesi afferrandolo per un braccio.
“Sto benissimo” e mi diede un leggero bacio sulla guancia. “Hai notato che il nostro amico si comporta come se volesse uccidere tutti i presenti?”
Feci finta di non capire. “A chi ti riferisci?”
Mi guardò alzando un sopracciglio “sai benissimo di chi parlo”
“Non é affar mio. Ti ho già detto che non mi importa niente di lui”.
“Ok, ok...”
Forse Ian era un buon amico, ma non si poteva di certo dire che fosse lo stesso nei confronti delle ragazze. Era uno stronzo di proporzioni epiche; per giunta voleva sempre aver ragione su tutto e si impuntava come un bambino se qualcuno dimostrava il contrario. Era chiaro che ce l’avesse con me perché l’avevo zittito; eppure non faceva nulla per rimediare alla situazione. Se ne stava lì, in disparte; trucidando con lo sguardo chiunque gli rivolgesse la parola. Magari si aspettava perfino delle scuse da me... assurdo!
Mai come in quel momento mi ero chiesta come facesse ad attrarmi un tipo del genere. Forse perché aveva un carattere a cui ero abituata.
Ad ogni modo in quel momento se si fosse avvicinato a me l’avrei sicuramente schiaffeggiato.
Si, mi attraeva fisicamente, ma non significava nulla. Che ne era dell’affetto, della stima e del rispetto reciproco? Queste cose lui non le avrebbe mai capite.
La festa continuava senza che nessuno dei presenti accennasse a voler smettere di divertirsi.
Io avevo messo una pietra sopra a tutta la situazione e me la stavo godendo alla grande. Ballavo e ridevo insieme a Chris ignorando gli sguardi di tutti.
“Fermiamoci” implorai dopo mezz’ora annaspando verso il bar.
“Agli ordini” rispose lui ridendo.
“Devo ammetterlo, non credevo mi sarei divertita così tanto”.
“Te l’avevo detto!” urlò Chris alzando le braccia.
Io risi.
“Qualcuno ha fatto colpo...” borbottò dopo qualche secondo.
“Eh?” ero confusa. Di cosa parlava? La risposta arrivò subito dopo.
“Ciao... Megan, giusto?”
Il batterista del gruppo si era seduto accanto a me e mi sorrideva.
“Ehm, si...”
“Sono Jeff, ci hanno presentati prima..”
“Jeff, giusto. Scusa, sono una frana con i nomi” mi giustificai.
“Ha ragione” si intromise Chris “per imparare il mio nome ci ha messo una settimana” finì il suo drink poi disse “torno in pista” e ci lasciò da soli.
“Ti va di bere qualcosa con me?” chiese speranzoso.
“Perché no”. In fondo non facevamo nulla di male.
Ordinammo due birre e continuammo a parlare del più e del meno.
“Come hai conosciuto Ian?”
“Per puro caso direi... Chris mi ha portato a un vostro concerto, ma prima che iniziasse ci siamo scontrati”.
Jeff rise, come a voler dire – tipico di Ian –
“E tu invece? Che mi dici, come lo conosci?” chiesi curiosa.
“Beh diciamo che lo conosco da sempre. Sai abbiamo frequentato lo stesso liceo, avevamo entrambi la passione per la musica e così abbiamo messo su la band”.
“Capisco... e che altro fai oltre che suonare la batteria? Tra l’altro te la cavi molto bene”.
Sorrise “Grazie... beh lavoro in un negozio di musica; non credo che riuscirei a fare altro”.
“Ti capisco...” per un momento mi persi nei ricordi. Sapevo bene cosa significava vivere per la musica.
“Mi chiedevo...”
La sua voce mi riscosse “Si?”
“Se ti andrebbe di rifarlo qualche volta... che so bere qualcosa insieme... chiacchierare...”
Wow. In tanti anni non avevo mai rimediato un appuntamento; ora avevo l’imbarazzo della scelta.
“Io...non so...”
“Tranquilla non é niente di impegnativo... solo quattro chiacchiere e un drink quando hai voglia. Come adesso” sorrise cercando di convincermi.
“Però non aspettarti altro” intimai puntandogli un dito contro. Lui rise e io lo seguì.
Ci scambiammo i numeri, ma nonostante ciò mi promise che avrebbe aspettato che fossi io a contattarlo per primo. Così da non avere nessuna pressione. Se non altro era premuroso.
Poi lui tornò dalla band e io andai alla toilette. Mi sciacquai il viso guardandomi allo specchio. Cosa diavolo stava succedendo? Prima Dylan, poi Ian, adesso Jeff. Da quando ero così popolare?
Uscendo in corridoio ero ancora persa nei miei pensieri quindi non mi accorsi di essere totalmente al buio.
Sentii una braccio afferrarmi saldamente e trascinarmi in un angolo. Qualcuno mi stava costringendo a stare contro il muro, le mani stringevano i miei polsi, così forte da farmi male.
“Lasciami o mi metto a urlare” lo minacciai. In questi casi era meglio mantenere i nervi saldi e non mostrare paura, anche se dentro di me tremavo.
“Ti sei divertita con Jeff?”
Quella voce... “Ian, idiota, lasciami andare” ordinai.
Ora non avevo più paura, ero furiosa.
“Perché dovrei? Mi piace questa posizione...”
Sentivo il suo corpo muscoloso premere contro il mio; una delle sue gambe si infilò tra le mie divaricandole.
“Cosa pensi di fare?” chiesi quasi urlando.
“Non lo so...” sembrava confuso “Ti ho vista ridere con Jeff e mi sono arrabbiato... non mi piace vederti sorridere cosi con qualcun’altro...”
La sua presa si allentò un po’... non sembrava più nemmeno lui. Dov’era il tizio sicuro di sé, sbruffone ed egocentrico?
Feci per liberarmi ma Ian parve tornare quello di prima. Si avvicinò al mio collo e inspirò. “Dio, hai un profumo fantastico...” i suoi occhi mi guardarono come mai prima; pieni di lussuria. Rabbrividii; per quanto avessi deciso di evitarlo il mio corpo dimostrava tutto il contrario. Quella situazione avrebbe terrorizzato qualunque altra ragazza che fosse stata al mio posto. Ma io no, non avevo paura. Provavo solo una forte, potentissima attrazione verso l’energumeno che mi sovrastava costringendomi a restare immobile.
“Ti voglio...” mormorò lasciando una scia di baci dal collo in giù.
“Ian...” mormorai. Stavo perdendo tutta la mia determinazione. Ero in trappola, non sapevo come e se ne sarei uscita.
“So che lo vuoi anche tu...” Le sue labbra premettero forte sulle mie cercando di aprirle con la lingua, mentre la sua mano, quella libera, cominciò a percorrere la mia gamba, sollevando il vestito e solleticandomi la pelle.
No! Non doveva succedere. Non glielo avrei permesso, non in questo modo così squallido.
“Lasciami! Lasciami!” urlai cercando di allontanarlo.
Ma era troppo forte, non riuscivo a smuoverlo nemmeno di un centimetro.
Fu in quel momento che mi arresi. Avrebbe potuto fare tutto quello che voleva; forse dopo mi avrebbe lasciata in pace.
Non volevo che le cose finissero così; si, desideravo Ian e avevo fantasticato su di lui dal primo momento in cui l’avevo conosciuto, ma allo stesso tempo volevo di più; qualcosa che lui non avrebbe saputo darmi. L’amore.
Chiusi gli occhi, rimasi in silenzio e smisi di lottare.
Ian se ne accorse, bloccandosi. Sentivo il suo respiro sulla faccia. Sapeva di alcol; probabilmente aveva bevuto troppo.
Poi la sua presa si allentò e delle dita calde toccarono le mie guance. Aprii gli occhi per capire cosa stava succedendo.
Mi ritrovai il suo viso appiccicato al mio. Cercava di scrutare qualcosa che non riuscivo a comprendere, mentre con il pollice mi asciugava la guancia.
“Mi dispiace...” sussurrò “Non so cosa mi sia preso”.
La mia ira scomparve e per un brevissimo istante mi intenerì. Poi inspirai abbassando la testa; non riuscivo a guardarlo in faccia.
“Lasciami andare Ian...” la mia voce era roca, flebile...
Lui mollò la presa, mentre io senza dire una parola mi allontanai. Un attimo prima di chiudermi in camera mi girai a guardarlo... se ne stava ancora nella stessa posizione, la testa bassa; poi il suo pugno si scontro con il muro così forte che provai dolore per lui.
Rimasi immobile per quella che mi sembrò un’eternità, e poi piansi; piansi tutta la rabbia che avevo trattenuto fino a quel momento. Sapevo che Ian non sarebbe mai andato oltre senza il mio consenso; voleva solo provocarmi e dimostrare che lui aveva ragione. Me ne aveva dato una prova la sua reazione dopo che mi aveva lasciata andare.
“Maledizione” urlai. Perché doveva piacermi un tipo del genere? Perché nonostante mi avesse quasi costretta non ne ero per niente spaventata?
Forse era proprio quel quasi; Il sapere che non l’avrebbe mai fatto davvero.
C’ero già troppo dentro; ormai non era più semplice attrazione. Mi strinsi il vestito all’altezza del cuore. Faceva male. Lo volevo così come mi voleva lui; ma allo stesso tempo desideravo molto di più. Volevo che lui mi amasse.
Ero fregata... stavo commettendo lo stesso errore. Mi stavo innamorando di qualcuno che non avrei mai dovuto amare.
Ci misi un po’ a calmarmi. Camminavo avanti e indietro inquieta fin quando non vidi la custodia di una chitarra appoggiata al muro. Mi guardai intorno, quella era la camera del fratello maggiore di Chris. Lui viaggiava molto per lavoro e raramente stava a casa, per di più non era in buoni rapporti con il fratello.
La presi tra le mani, poi mi ricordai che sul retro della casa c’era uno splendido gazebo in giardino. Nascosto, appartato. Proprio quello che mi ci voleva.
Uscii dalla camera stando attenta a non farmi vedere da nessuno.
L’aria fresca mi aiutò a schiarirmi le idee, mentre mi sedevo sul dondolo appoggiando la chitarra sulle gambe. Iniziai a strimpellare a casaccio, fino a che, senza capire quando di preciso, cominciai a suonare le note della canzone che avevo scritto pensando a Ian.
Le mie labbra si mossero da sole, accompagnando il dolce suono della chitarra.
Incredibile come pensare a Ian mentre suonavo e cantavo mi rilassasse totalmente dopo quello che era successo.
- Sei un caso disperato – pensai sdraiandomi e guardando le stelle. Chissà magari qualcosa sarebbe cambiato...
Un fruscio mi riscosse dai miei sogni ad occhi aperti “Chi c’è!” urlai girandomi, mi era sembrato di vedere un’ombra; ma ero completamente sola.
Mi alzai... era ora di rientrare. 

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Capitolo 13
*** extra POV Ian ***


Tornato a casa chiusi la porta con troppa violenza. Mi facevo schifo da solo. Cosa diavolo mi era passato per la testa spingendola al muro contro la sua volontà?
Stavolta avevo davvero esagerato.
Quella ragazza mi faceva impazzire senza che se ne rendesse conto.
Mi tolsi i vestiti con rabbia e fissai il mio riflesso nello specchio. Non riuscivo a calmare tutte le emozioni che mi turbinavano dentro. Se solo avessi avuto più autocontrollo! I miei occhi bruciavano di rabbia e frustrazione. Per un momento non mi ero dimostrato migliore di quello stronzo di mio padre. Dicono che la mela non cada mai troppo lontano dall’albero. Ne ero forse la prova?
Ma poi perché mi importava tanto di quello che lei pensava di me? Non capivo...
Sdraiandomi sul letto ripensai alla prima volta che l’avevo vista. Se ne stava seduta al bar, a bere tequila; le gambe accavallate e un vestito succinto. Mi aveva tolto il fiato. Era bella, e già questo mi bastava, ma avevo potuto appurare che aveva anche un caratterino molto stuzzicante; cercava sempre di darmi una lezione e di avere l’ultima parola. Riusciva a provocarmi anche solo con uno sguardo. Il mio corpo si era mosso senza che me ne rendessi conto; l’avevo strattonata così che mi finisse addosso. Il suo corpo era caldo e morbido, i suoi capelli profumavano di buono. Era la personificazione della lussuria. Vedevo i miei occhi riflessi nei suoi e mi ero stupito di leggervi così tanto desiderio.
Avevo continuato a tenerla d’occhio anche mentre salivo sul palco. Sembrava stupita nel sentirmi cantare, ma anche ammaliata; di sicuro non si aspettava di vedere me. Mi era sembrato anche di notare la sua mano seguire il ritmo della mia chitarra, ma forse era stata solo la mia immaginazione. Avevo intenzione di trattenerla dopo il concerto e magari stuzzicarla per vederla arrossire mentre si arrabbiava, ma lei se n’era andata prima della fine... chissà perché.
Il fatto che fosse amica di Chris, però, mi dava delle occasioni in più per incontrarla. Ogni qualvolta  la vedessi il mio corpo reagiva come mai prima. Era sempre nei miei pensieri; mi chiedevo cosa stesse facendo, con chi fosse...
Senza rendermene conto avevo quasi smesso di passare le notti con altre donne; tutto a un tratto non provavo più lo stesso interesse. Certo, c’erano volte in cui non potevo farne a meno, ma succedeva sempre la stessa cosa...vedevo lei, chiamavo il suo nome... alle altre non importava e io non ci davo peso. Attribuivo la cosa al fatto che volessi semplicemente portarmela a letto.
La desideravo come non mai; quindi cercavo sempre di stuzzicarla più che potevo, come la volta al ristorante.
Che fosse con un vestito succinto o in tenuta da ufficio era sempre uno schianto. Anzi quel look un po’ castigato mi faceva avere delle fantasie alquanto spinte.
Chissà come sarebbe stato farla salire sulla sua scrivania e sbottonarle la camicetta.
Il mio corpo fremeva dalla voglia e non avevo resistito.
Approfittando dell’assenza di Chris avevo infilato la mia gamba tra le sue sotto il tavolo. Era calda come mai nessun’altra donna. La sentivo tremare via via che arrossiva mentre cercavo di salire...ma poi mi aveva bloccato. E questo mi eccitava ancora di più. Era tutt’altro che docile; anzi lottava con tutte le sue forze. Ma con me non aveva scampo.
Di nuovo immaginai di buttarla sul letto immobilizzandola, mentre lei cercava invano di liberarsi.
Avrei voluto domarla; volevo e ci sarei riuscito.
Uscendo dal ristorante l’avevo fatta camminare per prima di proposito. Aveva un culo fantastico; ma la cosa ancora più eccitante era il suo imbarazzo nel sapere che la fissavo e di conseguenza il cercare di coprirsi con la borsa.
Anche quella volta l’avevo provocata; cercavo in tutti i modi di farle capire che la volevo... dio se volevo farmela!
Sognavo quei lunghi capelli rossi cadere come una cascata sul mio petto e quella sua pelle di porcellana mischiarsi con la mia.
I giorni in cui non riuscivo a incontrarla mi rendevano sempre più intrattabile. Ricordavo la conversazione origliata tra i membri della band durante le prove.
“Che gli prende?” aveva chiesto Jeff indicandomi con il mento “fa più paura del solito; prima per poco non mi picchiava...”
“Chi lo sa..” aveva risposto Katy.
“Magari ha litigato con qualcuna delle sue amichette...”
Jeff non c’era andato molto lontano.
Parlando con Chris infatti, avevo saputo che Megan aveva accettato un appuntamento, il che mi aveva reso furioso.
L’avrebbe baciato? Ci sarebbe andata a letto dopo la prima uscita? Le domande mi avevano tormentato.
Non riuscivo a sopportare che qualcun’altro la toccasse. Ma perché? Perché mi conoscevo bene. Ero possessivo, egocentrico ed egoista. Se desideravo qualcosa me la prendevo a tutti i costi, per poi liberarmene una volta stancatomi.
Le donne per me erano solo un passatempo e un modo per scaricarmi. Avevo decine di ragazze senza nessuno scrupolo, pronte a passare una notte con me. Eppure io volevo lei; la volevo solo per me. Sapevo che non era per via di qualche sentimento nobile, ma per il semplice motivo che l’avevo considerata di mia proprietà nel momento in cui l’avevo vista. Il che significava che lei avrebbe dovuto soddisfare le mie voglie ogni volta che mi andava. Niente di più che un oggetto... ecco come vedevo le donne.
Il fatto di sapere che lei non avrebbe mai accettato un rapporto del genere, mi spronava sempre più affinché cedesse.
L’occasione mi si era presentata quando Chris era stato ricoverato in ospedale.
Sorrisi mettendo le mani dietro la testa...
Quella sera lei era al suo appuntamento, per cui ero abbastanza teso. La rissa coi tipi che lo avevano pestato era stata provvidenziale; mi aveva aiutato a scaricarmi.
Ovviamente la mia felicità... nonché erezione...era salita alle stelle quando si era presentata come una furia nella stanza d’ospedale.
La guardavo come un cacciatore fissa la sua preda; mi ero sentito bruciare dalla voglia di toccarla. Il vestito che indossava quella sera era qualcosa di illegale...
E poi avevo visto il tizio in corridoio... era lui? Banale, ordinario, noioso... questo era quello che trasmetteva.
Un ghigno di vittoria aveva attraversato il mio volto nell’attimo in cui avevo capito di non aver niente da temere da quel tipo. Lo avrebbe scaricato in men che non si dica.
Sembrava stanca, tesa; mi era venuto spontaneo portarle del caffè. Quello scambio di battute era stato diverso dal solito. Avevo fatto lo spaccone sfidandola a bere dalla stessa tazza; aveva esitato per un brevissimo momento, ma lei non si tirava mai indietro. Sembravamo una coppia che si prendeva in giro.
Mentre la accompagnavo a casa avevo sentito il desiderio aumentare sempre di più. Il quel piccolo spazio dell’auto il suo profumo era più intenso che mai.
Era sexy da morire con quel vestito.
Lei mi aveva guardato e nei suoi occhi avevo visto quello stesso desiderio che la attanagliava. Sperava che facessi la prima mossa. Volevo resistere fino a casa sua; in fondo ormai era mia.
Ma poi, invece, aveva reagito in maniera inaspettata.
“Non mi inviti a entrare?” avevo chiesto pensando di avere la vittoria in pugno. Invece mi aveva rifiutato, facendomi capire di non essere quel tipo di persona e sbattendomi la porta in faccia.
Lei e il suo maledetto orgoglio! Non voleva ammettere che anche lei desiderasse la stessa cosa.
Il mio ego ne aveva risentito parecchio; il che mi aveva spinto a smettere di provarci. Al mondo c’erano tante altre ragazze; non avevo bisogno di lei.
Così per un po’ ero tornato quello di sempre. Anzi, peggio. Sfogavo la mia frustrazione con la musica, l’alcol e il sesso. Sembrava funzionasse.
Fino a quando non l’avevo rivista per caso durante una delle loro pause pranzo. Era la prima volta che ci incontravamo dopo il suo rifiuto ed ero stato indeciso sul come trattarla; ma poi aveva prevalso la volontà di punzecchiarla, come sempre.
Quello che mi aveva spiazzato invece, era stata la sua reazione; fredda, distaccata; nemmeno mi aveva guardato in faccia.
Sembrava decisa a non avere più niente a che fare con me.
Chris ovviamente se n’era accorto e mi aveva fatto delle domande, che io avevo prontamente evitato cambiando discorso.
Il suo viso freddo e seccato mi era apparso davanti tutte le volte che ripensavo a lei.
Sapevo che l’avrei rivista alla festa di compleanno di Chris. Che cosa sarebbe successo? Mi avrebbe ignorato ancora?
Volevo che mi notasse, volevo che mi guardasse come io facevo con lei.
Ma aveva continuato ad ignorarmi.
L’avevo fissata troppo intensamente, tanto da non rendermi conto, per la prima volta, di quello che mi succedeva intorno.
Katy l’aveva incenerita con lo sguardo; probabilmente aveva capito che mi interessava.
Mi alzai dal letto di scatto tornando alla realtà.
Sospirai.
Ero riuscito a trattenermi per quasi tutta la sera, ma poi aveva parlato in quel modo così insolente. Aveva ragione, certo, e questo mi dava ancora di più sui nervi. Mi aveva zittito.
Salendo sul palco ero cieco di rabbia; avrei voluto distruggere qualsiasi cosa intorno a me. Non aveva nemmeno aspettato che finissi di cantare. Sembrava scocciata, quasi nauseata dalla mia presenza. L’avevo persa di vista per un po’, ma quando era tornata sembrava essere di nuovo allegra e spensierata mentre se la godeva ballando con Chris sotto gli sguardi di altri ragazzi.
Ma la goccia che aveva fatto traboccare il vaso era stato vederla chiacchierare con Jeff. Quell’idiota non aveva perso tempo. Le mani mi prudevano; ero così incazzato che vedevo rosso.
Così quando si erano separati l’avevo seguita, aspettando in un angolo che uscisse dalla toilette.
Di lì in poi tutto era degenerato.
Il mio corpo non rispondeva più e nonostante sapessi di star facendo qualcosa di sbagliato non riuscivo a fermarmi.
Ripensai a come l’avessi bloccata al muro e a tutte le emozioni che avevo provato quando la mia bocca si era poggiata sulla sua. Calda, dolce... ne avevo subito voluto di più. Cercavo di aprirle le labbra con la lingua mentre la mia mano le sollevava il vestito, percorrendo quella pelle liscia e morbidissima.
“Ti voglio” avevo detto con una voce gutturale.
Sembrava essersi convinta, ma poi aveva provato a spingermi via con tutte le sue forze. “Lasciami” aveva implorato.
L’animale dentro di me ruggiva, spingeva per uscire fuori, vicinissimo ad ottenere ciò che voleva.
Fu nell’istante in cui mi ero del tutto lasciato andare che lei aveva smesso di divincolarsi. Cosa stava succedendo?
L’avevo guardata in viso, solo per vedere le lacrime scivolarle sulla faccia.
In quel momento la realtà mi era piombata addosso, schiacciandomi. Lei non voleva... non in quell’angolo buio, come una sgualdrina qualunque che mi sarei fatto in qualsiasi altra occasione.
Ecco cosa vedeva lei in me. Mi feci schifo per essere un tale bastardo.
Con le dita avevo asciugato le sue guance, pregando che mi perdonasse. “Mi dispiace” avevo detto “non so cosa mi sia preso”.
Lei aveva abbassato lo sguardo prima di sussurrare qualcosa. “Lasciami andare Ian...”
A stento l’avevo sentita...
Dio, che cosa avevo fatto?
Mi ero allontanato di scatto e lei era scappata.
Non ricordavo per quanto tempo ero rimasto in quella posizione, fissando il vuoto; avevo solo tirato un pugno al muro così forte da farmi male. Ma andava bene; era quello che meritavo. Avevo dato per scontato che fosse una poco di buono; che facesse la santarellina solo per stuzzicare gli uomini, invece era davvero una brava ragazza. Ripensandoci Chris mi aveva detto di avere un’amica che aveva sofferto molto a causa di qualcuno simile a me. Come avevo fatto a non capire che si riferisse a lei? Aveva detto di conoscere bene i tipi come me...
Idiota! Avevo rovinato tutto. Adesso avrebbe davvero avuto paura di me.
Morivo dalla voglia di correre da lei; di chiederle di perdonarmi, ma sarebbe stato peggio. Adesso doveva elaborare tutto quello che era successo, senza interferenze da parte mia.
Più che riuscire a portarmela a letto, in quell’istante desiderai vederla di nuovo sorridere spensierata; volevo piacerle, farle capire che lei stava cambiando il mio essere senza che me ne rendessi conto. Nessuna c’era mai riuscita. Volevo renderla felice, ma soprattutto non l’avrei più forzata in nessun modo.
Quella donna stava scaldando a poco a poco il mio cuore ghiacciato, facendomi provare emozioni umane che mai avrei creduto di avere.
 
 
Spero che questo capitolo dal punto di vista di Ian vi sia piaciuto e che vi abbia fatto capire un po’ i suoi pensieri e sentimenti. Grazie a tutti voi che leggete la mia storia. Se avete suggerimenti e se la storia vi piace scrivetemi pure delle recensioni. 

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Capitolo 14
*** punto morto ***


Nei giorni seguenti avevo subito degli interrogatori da parte di Chris. Voleva sapere cos’era successo di tanto grave da farmi lasciare la festa senza salutarlo.
Come al solito non avevo raccontato nulla riguardo a Ian e al nostro piccolo “incidente”. Avevo deciso di metterci definitivamente una pietra sopra. Sebbene non fosse arrivato fino in fondo, Ian era imprevedibile e non aveva freni. In poche parole era pericoloso averci a che fare. Quindi lo avrei trattato come qualsiasi altra persona, tenendolo alla larga e soprattutto cercando di non restare mai sola con lui.
Avevo analizzato a mente lucida l’accaduto, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo ad aver paura di lui. Forse qualcosa non andava in me. Mi attraeva in un modo mai provato prima.
- Devi togliertelo dalla testa!- avevo ordinato a me stessa; ma per quanto ci provassi ripensavo alle sue labbra sulle mie. Erano morbidissime e sapevano leggermente di alcol. Avevo fantasticato diverse volte su come sarebbe stato essere baciata da Ian, ma la realtà mi aveva spiazzata. Avere consapevolezza del suo corpo robusto, caldo che premeva contro di me era tutt’altra cosa. La mia mente era andata oltre; mi ero chiesta come sarebbe stato se lo avessi lasciato fare... di sicuro sarebbe stato intenso, come ci si aspetterebbe da un tipo del genere. Rivedevo il suo petto nudo, sentivo il suo respiro sulla pelle e la sua voce roca dirmi che mi voleva.
Ma più di tutto immaginavo come sarebbe stato stare insieme a lui, condividere le nostre vite; il che mi faceva capire che ormai non era solo semplice attrazione, ma che provavo qualcosa di più.
Forse era proprio questo il mio problema più grande. Avrei voluto che mi vedesse diversamente dalle altre ragazze; volevo essere speciale, tanto da averlo tutto per me. Ma sapevo già che una cosa del genere era impossibile. Una persona non può cambiare da un giorno all’altro e io non ero disposta ad essere di nuovo presa in giro.
Mi trovavo a un punto morto. Anche se fossi uscita con qualcun’altro sapevo che avrei sempre fatto il confronto con Ian.
Quindi l’unica soluzione che ero riuscita a trovare era quella di starmene da sola, evitare gli appuntamenti e di non avere a che fare con qualsiasi cosa riguardasse Ian.
Ovviamente il fatto che Chris fosse un suo amico mi rendeva il compito più difficile, perciò decisi di dirgli una mezza verità.
“Ok... ti dirò perché sono andata via...” dissi sospirando dopo una settimana di domande senza tregua.
Lui fece un gran sorriso e si portò una mano all’orecchio. “Ti ascolto”.
“A quanto pare Ian é interessato a me”
Chris mi guardò alzando un sopracciglio. “ Dimmi qualcosa che già non so”.
Esitai; non volevo che litigassero per causa mia.
“Durante la festa mi ha fatto capire chiaramente cosa vorrebbe da me... mi ha ricordato tantissimo Dean...” sospirai cercando di impietosirlo. Sembrò funzionare.
“Sai bene com’é fatto Ian, non vuole di certo un rapporto stabile e per quanto possa essere attratta da lui questo suo lato non mi piace, mi fa rivivere esperienze che vorrei dimenticare..”
Chris rimase in silenzio, riflettendo su ciò che avevo rivelato. “Capisco come ti senti; il suo comportamento disinteressato ti ferisce e ti fa ricordare eventi spiacevoli...”
“Esatto. Non voglio essere il giocattolo di nessuno...”
“Ian... ha fatto qualcosa di male?”
Alzai gli occhi di scatto.
“Perché se é così lo ammazzo quello stronzo!” disse stringendo il pugno.
 Chris lo conosceva meglio di chiunque altro, non c’erano dubbi.
“No”, mi affrettai a mentire “Non ha fatto nulla di che; mi ha punzecchiato come al solito ma nient’altro. Il fatto é che volevo dirtelo così da farti evitare di farci incontrare...”
Sapevo che ritrovarci sempre con Ian durante le pause pranzo non era pura casualità ma un piano escogitato da Chris affinché noi potessimo parlare.
“Ricevuto” disse serio. “ E per quanto riguarda Jeff? Non hai nulla da dire?” di nuovo il suo tono diventò allegro.
“Beh ci siamo scambiati i numeri... insomma ha insistito” borbottai.
“Lo chiamerai?”
“Non lo so, del resto fa parte della band ed é anche amico di Ian... magari non é una buona idea”.
“A me sembrano solo scuse... Sei tu a dover decidere, né io né nessun’altro abbiamo il diritto di intrometterci nella tua vita”.
“Quando parli così sei così saggio...” lo presi in giro, alleggerendo la conversazione.
Chris sorrise, ero proprio fortunata ad aver trovato un amico del genere.
Ero ancora indecisa sul da farsi, quindi mi stupii molto quando il mio telefono squillò quel pomeriggio.
“Megan? Sono Jeff!”
Ah...
“So di aver promesso che avrei aspettato una tua chiamata, ma non ho resistito” lo sentì sorridere.
“Chissà perché la cosa non mi stupisce” risposi. Ma non ne ero arrabbiata o infastidita, sembrava un bravo ragazzo.
“Beh ho aspettato un’intera settimana in fondo. Avrei voluto chiamarti il giorno dopo la festa, ma non sarei stato credibile” sembrava un po’ in imbarazzo. Era davvero carino.
“Ti va di berci un caffè?”
Rimasi in silenzio. Ero combattuta... che cosa dovevo fare?
“Megan?”
“Ci sono” risposi scuotendomi. “Ecco io... non so se sia una buona idea...”
“Senza impegno, ricordi?” sorrise ancora “Solo due chiacchiere; e per dimostrarti che non é un appuntamento verrò in tuta da jogging”
Scoppiai a ridere, non riuscivo a immaginarlo con quei vestiti. “Me lo prometti?” lo provocai.
“Beh, non sono un tipo sportivo, quindi non ho una tuta da jogging, ma se ti fa sentire più a tuo agio posso comprarne una” ovviamente scherzava, ma stetti al gioco.
“ Oh dio no, sai che imbarazzo prendere un caffè con un tipo conciato in quel modo!”
“Allora vada per qualcosa di più ordinario. Che ne dici di trovarci da starbucks tra un’ora?”
“Ci sto”. Mi piaceva Jeff, mi faceva sentire allegra e spensierata.
“A dopo allora. Sarò quello in tuta da jogging”.
Chiusi la chiamata mentre ancora ridevo.
E addio l’idea di non avere appuntamenti! Alzai gli occhi, certo che ero proprio pessima.
-Ma non é un appuntamento- pensai mentre indossavo i jeans.
Jeff sarebbe potuto diventare un buon amico come Chris in fondo, ma non lo avrei mai saputo se non lo frequentavo.
45 minuti dopo mi dirigevo correndo verso il bar. Sapevo di non essere ancora in ritardo, ma dovevo sbrigarmi. Quell’invito non mi aveva messo addosso la stessa pressione di quello con Dylan; forse perché non avevo nessuna aspettativa.
Jeff se ne stava davanti la porta, le mani in tasca. Aveva legato i capelli in un codino lasciando sciolti quelli più lunghi. Sembrava molto diverso dalla festa, più carino. Forse voleva apparire come se non avesse fatto caso a ciò che indossava, ma si vedeva che aveva curato molto il suo look.
Non appena mi vide si aprì in un gran sorriso e mi salutò con la mano.
“Ce l’hai fatta” disse avvicinandosi.
“Giusto in tempo” risposi riprendendo fiato.
Proprio in quel momento mi passarono accanto due ragazze meno che diciottenni e le senti sussurrare “Che figo!... dici che é il suo ragazzo?”
“Molto probabile...”
Mi irrigidii un po’, ma forse era così che apparivamo agli occhi della gente. Lui aveva notato la mia espressione quindi cercò di dire qualcosa per alleggerire la tensione.
“Scusa ma al negozio avevano finito le tute da jogging”
Sorrisi; era bravo a mettere a proprio agio la gente. “Che peccato...”
Anche lui si aprì in un sorriso genuino; per quanto mi costasse ammetterlo Jeff era proprio un bel ragazzo. Perché la cosa mi sembrava così strana? Mi ero focalizzata troppo su Ian, ignorando che anche questo altro membro della band fosse bello e carismatico. Guardandolo con gli occhi di una sconosciuta sapevo bene che cosa vedessero in lui. Un ragazzo sui 27 anni, alto, muscoloso ma non in modo esagerato; lunghi capelli castani legati in maniera tale da sembrare un po’ ribelle, ma non trasandato.
-E con un bel sedere- pensai osservandolo mentre andavamo al tavolo.
Se poi ci aggiungevamo anche il fatto che era un musicista, allora era logico immaginare che avesse anche lui una schiera di donne che gli andavano dietro.
Jeff non sembrava curarsi degli sguardi delle ragazze e si focalizzò su di me. “Va bene qui?” chiese indicando un tavolo laterale. Era appartato tanto da poter discutere senza che altri potessero sentire, ma allo stesso tempo non era isolato.
“Perfetto” e lo era davvero. Odiavo stare al centro dell’attenzione.
Dopo aver ordinato i caffè Jeff iniziò.
“Suppongo che la mia chiamata ti abbia un po’ scombussolata..”
“Beh, mi ha sorpresa, ma un po’ mi aspettavo che non avresti mantenuto la promessa”.
“Ci ho provato” si scusò alzando le mani.
Risi.
“Hai un bel sorriso” osservò. I suoi occhi mi scrutavano come a voler carpire qualcosa di nascosto.
“Grazie...” ero un po’ in imbarazzo. Diceva che non era un appuntamento ma magari ci sperava.
“Come ho fatto a non accorgermi di te che litigavi con Ian al concerto?” chiese “scommetto che gli hai tenuto testa”.
“beh, abbastanza...” non volevo parlare di lui.
“Ha chiesto a Chris che cosa aveva la sua amica per lasciare la sala prima che finissimo... quindi si riferiva a di te..”
Sapevo che Ian si era accorto della mia fuga dal locale, ma non pensavo che avesse chiesto a Chris di me alla fine.
“Il suo ego non ha retto il fatto che non mi piacesse la sua musica magari...” ironizzai.
“Così mi ferisci... ricordati che sono un membro della band” sorrideva mentre lo diceva.
“Scherzavo, in realtà non siete per niente male” ed era davvero così. Come gruppo sembravano molto uniti; Ian poi era un chitarrista e un cantante eccezionale. La sua voce era qualcosa di straordinario.
“Avete molte fan comunque”.
“Si, ma non so se sia per la nostra musica o per il nostro aspetto. Insomma Ian rimorchia tantissimo con questa storia del bel cantante tenebroso”.
Già... lo sospettavo. Una fitta al cuore mi fece mancare il respiro per un secondo; sperai che Jeff non se ne accorgesse.
“E tu?” chiesi per distrarlo “anche tu hai molte fan?”
Fece mezzo sorriso, come a voler dire  – si, ma non è colpa mia –
“Qualcuna...”
“Ti ho messo in imbarazzo?” chiesi sorpresa.
“No, no. Non sono il tipo che si imbarazza per queste cose. Mi chiedevo soltanto quanti ammiratori avessi tu”
Mi guardò così intensamente che sembrò perforarmi da parte a parte.
“Nessuno...” borbottai.
“Non ci credo. Una bella ragazza come te che non ha qualcuno dietro...” era davvero interessato. Di certo non potevo parlargli di Ian.
“Beh, si un tipo c’era... siamo usciti una volta ma non ha funzionato...” non volevo entrare nei dettagli, non era giusto nei confronti di Dylan.
“Capisco...” era pensieroso. Chissà cosa gli passava per la testa.
“Forse non avevi le giuste intenzioni per far si che funzionasse..?”
Era un’ottima domanda; anzi aveva fatto centro.
“Forse...” dissi sorseggiando il mio caffè “Diciamo che sono stata convinta ad accettare, cioè lui è un bravo ragazzo ma non mi sentivo ancora pronta”
Perché mi stavo lasciando andare così con lui? Certo non stavo rivelando nulla di così personale, ma stavo comunque parlando della mia vita sentimentale.
“Brutte esperienze?” adesso sembrava dispiaciuto.
“Chi non le ha” risposi “basta saperne uscire però...”
“E non rifare gli stessi errori” aggiunse lui.
Si, questo era un ottimo consiglio.
Restammo a chiacchierare per tutto il pomeriggio, fin quando non mi accorsi che si era fatto buio.
“Accidenti, é davvero tardi” dissi alzandomi di scatto.
“Scusa, ti ho trattenuta troppo, avrai degli impegni...”
“No, nessun impegno”. Risposi cercando il portafogli nella borsa.
Jeff mi afferrò il polso bloccandomi. “So che non é un vero appuntamento, ma mi sentirei un verme se non ti pagassi il caffè. Concedimi almeno questo”.
“va bene...” mi aveva spiazzata. Questo ragazzo che sul palco diventava una furia adesso si dimostrava dolce e gentile. Mai giudicare un libro dalla copertina... Beh, ad eccezione di qualcuno... no, non dovevo pensare a lui.
“Sono stata bene oggi” dissi uscendo dal bar.
“Sono contento, anche per me é lo stesso”.
Mi fissava, ma non dava segno di volersene andare.
“Senti non prenderlo come qualcosa con un secondo fine, ma vorrei accompagnarti a casa; fa freddo ed é già buio, non vorrei incappassi in qualche problema...”
Esitai, non sapendo cosa rispondere.
“sono in buona fede” esclamò facendo un sorriso angelico.
“Ok... forse é meglio, la sera non mi piace andare in giro da sola”.
Jeff sorrise e si incamminò accanto a me. Continuammo a parlare ridendo per qualsiasi cosa. Mi sentivo stranamente sollevata in sua presenza. Non dovevo stare in guardia così come quando ero con Ian, né mi sentivo in imbarazzo come quando ero uscita con Dylan.
“Ho la moto qui dietro...”
“Questa è tua?” chiesi elettrizzata. Mi erano sempre piaciute le moto.
“Si, la mia piccolina...” la accarezzò con delicatezza.
“Ora capisco perché non hai una ragazza... sanno che non possono competere...” risi.
“Hai indovinato”. Jeff mi porse il casco e mise in moto. Era da tanto tempo che non ci salivo, ma il rombo del motore fu qualcosa di familiare.
Mentre sfrecciava per le strade della città mi soffermai a ripensare alla giornata. La mia indecisione iniziale aveva lasciato subito il posto alla spensieratezza.
Questo ragazzo era stato davvero una sorprendente rivelazione.
Mi aveva fatto dimenticare i problemi e le preoccupazioni, facendomi sentire più me stessa e a mio agio.
“Tu vivi qui?” chiese spegnendo il motore.
“Si” risposi togliendomi il casco.
“l’affitto ti costerà una fortuna” esclamò.
Un nodo in gola mi impedii per un attimo di rispondere, ma mi ripresi in fretta “ avevo qualcosa da parte, quindi non é un problema”.
Jeff sorrise, ma non chiese altro. Gliene fui davvero grata. Ecco un altro dei suoi pregi, non era impiccione. Sapeva ascoltare, ma non curiosava mai negli affari degli altri.
“Allora vado... grazie ancora per oggi”
“Non aspettare troppo a richiamarmi” esclamò. Sorrise e poi sparì dietro l’angolo.
Mi sentivo davvero bene; come una dodicenne alla prima cotta. Entrai in casa sorridendo come un ebete. Presi il cellulare per avvertire Chris, ma mi bloccai. Sullo schermo appariva l’icona di un messaggio. Numero sconosciuto. Chi mai poteva essere?
Lo aprii esitando.
“Sono Ian”... il mio cuore smise di battere. Ian? Come aveva fatto ad avere il mio numero?
“CHRIS!” urlai furiosa. Ma ormai il danno era fatto. Continuai a leggere.
“So che probabilmente non vorrai più avere a che fare con me, ma vorrei incontrarti. Speravo fossi libera oggi ma va bene qualsiasi altro giorno. Chiamami, o mandami un SMS... insomma fatti viva. Ciao”.
Mi accasciai sul letto, senza forze. Avevo appena passato un bellissimo pomeriggio, cominciando a credere di poter dimenticare Ian, quando ecco che spuntava fuori. Che cosa aveva in mente adesso? Perché voleva incontrarmi?
Forse avrei dovuto dargli un’occasione. In fondo non mi aveva fatto del male. Ma a che pro? La cosa mi preoccupava parecchio. E se mi avesse portata in qualche posto isolato? Se non si fosse ancora arreso? Sembrava davvero dispiaciuto alla festa, ma chi poteva mai saperlo?
Non avrei risposto. Era meglio così.
Quella sera sotto le coperte rilessi quel maledetto messaggio decine di volte prima di addormentarmi esausta. 

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Capitolo 15
*** salvami ***


“Ian...” ansimai. Il suo corpo nudo premeva contro il mio, quasi schiacciandomi.
Non ricordavo come fossimo finiti in questa situazione, ma sapevo di volere che non smettesse.
Lui continuava a percorrere il mio corpo con le sue grandi mani, mentre la sua bocca lasciava baci infuocati sulla mia pelle.
Ero in preda a una sorta di bramosia, ne volevo di più, sempre di più.
 Le mie dita percorsero quelle ampie spalle, per poi ancorarsi alla sua schiena.
Ian sembrò gradire mentre emetteva un grugnito, e continuò a baciarmi con più impeto.
Mi sentivo bruciare dal desiderio. I suoi occhi glaciali adesso brillavano di una luce mai vista prima. Era mio, solo mio...
Aprii gli occhi di scatto, svegliandomi in un lago di sudore. Che cosa avevo appena sognato?
- Non é possibile – sussurrai passando le dita tra i capelli, cercando di districarli. Sembrava così reale... riuscivo ancora a sentire il calore di Ian su di me.
Nascosi il viso tra le mani... ero davvero andata oltre qualsiasi limite.
Sapevo che quel sogno era dovuto alla mia attrazione per lui, ma anche agli eventi che lo riguardavano; non per ultimo il messaggio che aveva lasciato. Avevo perso il conto di quante volte lo avessi riletto.
Ancora una volta riflettei sulla possibilità di rispondere; ma finivo sempre per lasciar perdere.
Avrei voluto confidarmi con Chris, ma poi avrei dovuto spiegare perché fossi così restia a incontrarlo.
Zoe era fuori questione; per quanto le volessi bene era troppo impicciona; di sicuro mi avrebbe spinta ad andare, sminuendo l’accaduto.
Dovevo soltanto fingere che quell’ SMS non fosse mai arrivato.
Il giorno seguente raccontai del mio non-appuntamento- a Chris. Sembrava entusiasta nel sentirmi dire quanto mi fossi sentita a mio agio con Jeff.
“Smettila” ordinai “ non é come pensi”.
“Certo, assolutamente” mi beffeggiò.
“Seriamente Chris... è stato un pomeriggio piacevole, credo che lo richiamerò”.
“Beh, é già un passo avanti” sorrise “potremmo andare ad una delle prove della band qualche volta...”
“Assolutamente no!” quasi urlai “ci sono mille motivi per non farlo”.
“Dimmene uno...”
“Beh, è vero che ho ripreso a suonare, ma non significa che voglia immergermi nell’atmosfera che c’è durante le prove”.
“Si, hai ragione...”
“E poi c’è Ian, non mi va di incontrarlo e allo stesso tempo mostrarmi amichevole con Jeff”.
“Non sei un po’ troppo sensibile nei confronti di Ian? Insomma ti preoccupi troppo di come possa prenderla o di come possa reagire”.
“Sono così con tutti...” cercai di giustificarmi.
“Sarà, a me sembra che tu abbia un occhio di riguardo per lui...”
“Ma no, davvero...”
Chris ovviamente aveva ragione; ero io che non potevo ammetterlo.
Era palese che mi comportassi in modo diverso nei suoi confronti. Ian mi piaceva, e questo era un dato di fatto; ma allo stesso tempo mi preoccupava.
Il suo carattere e i suoi modi mi avevano frenata fin dall’inizio.
- Non mentire – pensai – sai bene che la cosa va ben oltre la semplice attrazione –
Ed era vero. Per quanto cercassi di soffocare quella vocina interiore, sapevo che aveva ragione.
Ecco un altro dei tanti motivi per cui non potevo incontrare Ian; quando ero con lui facevo fatica a restare lucida.
Sospirai.
“Qualcuno è pensieroso...”
Alzai gli occhi dal mio caffè. Dylan mi guardava abbozzando un sorriso.
Come un automa mi ero diretta al solito bar dopo il lavoro per schiarirmi le idee.
“Giusto un po’” sorrisi.
“Me ne vuoi parlare?” chiese.
“Non devi lavorare?” mi guardai intorno. Non volevo fosse richiamato per colpa mia.
“Sono in pausa... su, sputa il rospo”
Potevo davvero confidarmi con lui?
“Fammi indovinare...” prese fiato “riguarda il metallaro dell’altra volta”
Lo guardai in preda all’ansia “Come fai a saperlo?”
Dylan scoppiò in una sonora risata “era davvero evidente. Ricordo la tua faccia quando cercavi di auto-convincerti che non ci fosse nulla tra voi”.
“Ma davvero non c’è niente...” borbottai.
“Però vi piacete...”
Feci una smorfia “trattandosi di Ian si può interpretare con un semplice – portarmi a letto-”
“Ah, ecco perché sei combattuta”.
“Lui mi piace... me ne sono resa conto solo adesso, ma questo suo modo di fare mi spaventa. Non voglio soffrire a causa sua. Ecco perché l’ho allontanato. Ma poi se ne esce con quell’ SMS!”
Raccontai tutto a Dylan, comprese le mie vere emozioni; lui ascoltò in silenzio senza interrompermi.
“È chiaro che ti sei inn...” lo bloccai quasi urlando “Non dire quella parola!”
Lui sorrise “anche se non la dico la realtà non cambia..”
“Ma se non lo ammetto posso fingere che non sia vero...” la mia teoria era un po’ contorta, ma mi dava una via di fuga.
“Io dico che dovresti affrontare i tuoi sentimenti”.
Lo incenerì con lo sguardo “sei peggio della mia coscienza”.
Dylan rise di gusto “Beh, la mia pausa é quasi finita...” disse guardando l’orologio.
“Oh, mi dispiace” mi scusai “ ti ho rubato troppo tempo”.
“Naa, stai tranquilla, mi ha fatto piacere. Fammi sapere come andrà, ok?”
Lo ringraziai e tornai a casa.
Dylan mi aveva fatto capire che ignorare il problema non lo avrebbe risolto.
Non facevo altro che rimuginarci sopra; quindi sobbalzai quando il mio telefono squillò per avvertirmi che era arrivato un messaggio.
Jeff...
“Sabato sera suoniamo al solito pub, spero ci sarai ;)”
“Cazzo!” esclamai. E adesso? Se non fossi andata Jeff si sarebbe insospettito, ma andandoci Ian avrebbe visto il mio essere in confidenza con Jeff. Merda, che guaio.
Forse avrei potuto dire di essere malata... ma non era una scusa molto originale.
Sospirai; non avevo altra scelta. Forse Ian avrebbe lasciato perdere. In fondo non si era mai esposto davanti ai membri della band. Avrei fatto un salto, giusto per farmi vedere e poi sarei andata via prima che finisse fingendo un imprevisto. In questo modo avrei evitato qualsiasi contatto sia con Ian che con Jeff.
Quando proposi l’uscita Chris ne fu entusiasta.
“Jeff sarà contentissimo” tuonò al telefono.
“Smettila” lo imbeccai.
La fatidica sera del concerto ero nervosa, molto più di quanto lo fossi mai stata. Non sapevo cosa aspettarmi e la cosa mi turbava parecchio. Arrivando al pub sperai di non incappare in qualcuno di mia conoscenza. Decisi quindi di aspettare nel vicolo accanto per non essere vista. Faceva abbastanza freddo; mi stringevo nel cappotto cercando di trattenere più calore possibile.
“Ehilà”
Mi girai verso la voce; un tizio robusto sui 35 anni mi si stagliò di fronte, bloccandomi la strada.
Rabbrividì. Possibile che attirassi tutti questi guai?
“Sei da sola?”
Continuava a parlare avanzando verso di me, mentre io contemporaneamente indietreggiavo cercando con gli occhi una via di fuga.
“I miei amici sono dentro. Mi lasci passare...”
La sua mano mi spinse contro il muro, bloccandomi. Questa volta non era come con Ian; adesso avevo paura di essere davvero spacciata e che potesse succedermi qualcosa di male.
“Secondo me invece sei tutta sola... perché non ci divertiamo un po’?”
Sentivo il suo alito fetido sul viso darmi il voltastomaco. Non potevo esitare, dovevo reagire e in fretta. Feci un bel respiro, concentrai tutta la forza che avevo e gli tirai una ginocchiata tra le gambe.
Lui mollò la presa per qualche secondo, dandomi il tempo di svicolarmi. Cercai di correre via, mentre stava piegato per il colpo ricevuto; ma fu più veloce di me. Mi strattonandomi.
Urlai dal dolore.
“Brutta troia!” tuonò in preda alla rabbia.
Era tutto inutile, ormai non potevo fare più nulla.
Chiusi gli occhi, ripetendo nella mia mente come un mantra: - Salvami, salvami!-  Non sapevo nemmeno a chi mi stessi rivolgendo.
Fu in quel momento che sentii uno spostamento d’aria intorno a me, e il peso che mi schiacciava scomparve.
Aprii gli occhi giusto in tempo per vedere il mio aggressore essere scaraventato a terra prima di ricevere una scarica di calci e pugni.
Mi lasciai scivolare lungo il muro tappandomi le orecchie; poi a poco a poco il rumore si attutì.
Un’ombra mi coprì la visuale. “Stai bene?”
Oddio... alzai la testa per guardarlo in faccia. Non ero mai stata più contenta di vederlo come in quel momento.
Mi sollevò di peso; ero una bambola nelle sue mani. Gli lanciai le braccia al collo, affondando il viso nel suo petto muscoloso. Il suo odore familiare mi fece calmare un po’.
“Shhh... é tutto ok, tranquilla piccola”.
“Ian...” singhiozzai. Non riuscivo a parlare.
“Lo so” sussurrò accarezzandomi la testa. “Sono qui”.
Mi tenne in quella posizione per un bel po’, poi pian piano mi allontanai.
I suoi occhi blu mi scrutavano, preoccupati. Le sopracciglia aggrottate. Sentivo le sue mani sui miei fianchi, pronte a sorreggermi se ce ne fosse stato bisogno.
“Ti ho sporcato tutta la camicia...”borbottai indicandola.
Lui abbozzò quel sorriso che mi aveva sempre fatto battere il cuore; questa volta però non contagiò gli occhi, che rimasero seri. Era chiaro che stesse trattenendo la rabbia. “Non fa niente”.
Lo guardavo, rendendomi conto di quanto ormai fossi presa da lui.
“Il concerto!” esclamai tornando lucida per un momento “farai tardi”.
“Ah, giusto... non lo sai ancora” disse.
“Che cosa?”
“Katy ne ha combinata un’altra delle sue. Non riusciamo a rintracciarla. Abbiamo sperato fino all’ultimo che si facesse viva, ma alla fine abbiamo dovuto annullare il concerto”.
“Oh...peccato” non sapevo che cos’altro dire.
“Su, andiamo. Ti accompagno a casa”.
Non obbiettai. Si tolse il giubbotto di pelle e me lo poggiò sulle spalle.
“Ian così ti prenderai un accidente” dissi cercando di ridarglielo; ma lui mi bloccò.
“Sto benissimo, non preoccuparti” mi sorrise dolcemente. Sembrava del tutto un’altra persona.
“Allora va bene”. Me lo strinsi ancora di più addosso cercando di riscaldarmi, inutilmente. Inspirai affondando il naso nell’indumento, stupendomi di quanto fosse impregnato dal suo odore.
Mi fece strada fino alla sua auto, aprendo la portiera e aiutandomi a salire.
Il tragitto verso casa fu silenzioso, tuttavia non c’era imbarazzo. Ian mi stava dando il mio spazio; sapeva che facevo difficoltà a parlare.
Poi il mio telefono squillò rompendo la tranquillità dell’abitacolo.
“Chris” risposi.
“Finalmente, pensavo ti avessero rapita” scherzò ridendo.
“Non proprio”
“Il concerto é stato annullato”
“Davvero? Che peccato; stavo giusto uscendo di casa...” mentii “sarà per la prossima volta allora”.
Lo salutai prima di riattaccare. Guardai ancora lo schermo solo per accorgermi che sul display appariva l’icona di un messaggio. Sapevo già chi era. Jeff mi avvertiva di quello che ormai sapevo da un po’. Digitai in fretta una risposta poi lo spensi. Non volevo sentire nessuno.
“Ti va un caffè?” chiesi quando parcheggiò sotto casa. “È il minimo che posso fare vista la situazione...”
Ian mi guardò, non lo avevo mai visto così serio prima di allora. “Fammi strada...”
Mi seguì fino al pianerottolo, aspettando pazientemente che aprissi la porta; ma le mie mani non ne volevano proprio sapere di smettere di tremare.
“Faccio io” disse mentre faceva scivolare via le chiavi dalle mie dita.
Vederlo oltrepassare la soglia mi fece uno strano effetto.
“La cucina è li a destra... ti spiace se intanto mi do una sistemata?”
“Fa pure...”
Si diresse al frigo e prese una birra. Era così strano vederlo a proprio agio in un posto che non fosse casa sua, eppure mi dava la sensazione di sicurezza. Se qualcuno avesse fatto irruzione in casa in quel momento non avrei avuto nessuna paura.
Entrando in bagno chiusi a chiave la porta, mi tolsi i vestiti e mi infilai sotto l’acqua bollente; cercando di lavare via la brutta esperienza della serata.
Non so per quanto rimasi sotto la doccia, ma sapevo che era arrivato il momento di affrontare tutto. Infilai dei leggins e una t-shirt, i capelli erano ancora umidi. Non avevo voglia di asciugarli.
Tornai verso la cucina; c’era molto di cui parlare. 

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Capitolo 16
*** lasciarsi andare ***


“Posso averne una?” chiesi indicando la bottiglia.
Ian si girò verso di me, guardandomi dalla testa ai piedi ma non disse nulla. Si limitò soltanto a porgermi la sua birra.
Io l’afferrai, così come avevo fatto con la tazza di caffè all’ospedale e sotto il suo sguardo quasi incredulo presi una bella sorsata.
“Dovresti mangiare qualcosa...” disse poi “ non ti fa bene bere a stomaco vuoto”.
“su quella mensola ci sono dei volantini; prendine uno e ordina quello che preferisci”.
Mi lasciai cadere sullo sgabello, esausta.
Ian mi ignorò e si diresse verso il frigo. “Come fai a non morire di fame? Qui é praticamente vuoto”.
Nonostante questo tirò fuori dei pomodori e qualche foglia di insalata. “Hai del pane?”
“Dovrebbe essercene un po’ lì” indicai un punto della cucina.
Era tutto così surreale; sembrava uno dei miei sogni, da un momento all’altro pensavo mi sarei svegliata.
Guardavo Ian prepararmi lo spuntino; quell’omone vestito di pelle, con le maniche della camicia arrotolate sui grossi bicipiti, mentre apriva il barattolo della maionese.
Non appena finì mise il piatto davanti a me.
“mangia” ordinò.
Lo fissai sedersi di fronte a me e addentare il suo sandwich.
Feci lo stesso, con meno foga.
Stavamo in silenzio; nella mia mente cercavo un argomento con cui iniziare la conversazione, ma per quanto ci provassi non ci riuscivo.
“Cosa diavolo ci facevi in quel vicolo?” chiese di colpo lui facendomi quasi strozzare. Non risposi, non potevo.
“Non dirmi che eri lì per evitare me” alzò un sopracciglio.
Mi schiarii la voce “non proprio...”
Mi fissava aspettando che mi spiegassi.
“Non sapevo come affrontarti dopo quello che é successo, e quel tuo messaggio non mi ha di certo facilitato le cose”.
“Volevo solo scusarmi di persona. Non sai quanto mi é costato mandarti quell’SMS, ero molto combattuto”.
“Diciamo che con stasera abbiamo pareggiato i conti” tagliai corto io.
“Mi sta bene”.
L’atmosfera si alleggerì un po’ e io mi rilassai.
“Mi dispiace” disse fissandomi. Il suo sguardo di ghiaccio sembrava perforarmi.
“Dimentichiamo tutto”
Volevo farlo davvero. Volevo lasciarmi tutto alle spalle.
“Peccato per il concerto” dissi.
“Fa niente...”
“Davvero?” alzai un sopracciglio. Se lo conoscevo un po’ quella non era la reazione giusta.
“Per niente. Ero incazzato da matti quando abbiamo dovuto annullare. Jeff non è riuscito a farmi ragionare; per questo ero nel vicolo. Di solito non c’è nessuno e volevo calmarmi un po’”
“È stata una fortuna allora” dissi rabbrividendo.
Ian mi guardava; un misto di rabbia, tristezza, dolore e odio. Sembrava del tutto un’altra persona.
“Mi piace questo tuo lato” mi scappò. Non appena lo dissi me ne pentii subito. Mi morsi il labbro inferiore così forte da farlo quasi sanguinare.
Ian sorrise passandosi una mano tra i lunghi capelli corvini. “Non dirlo a nessuno. Diciamo che ne sei a conoscenza soltanto tu”.  E mi fece l’occhiolino.
Sorrisi anche io. “Tranquillo non ti distruggerò la reputazione da duro”.Questa cosa mi faceva sentire importante, speciale. Avevamo un segreto tutto nostro.  
Parlammo del più e del meno, sorvolando sull’episodio avvenuto quella sera. Mi faceva sentire meglio il fatto che lui si sforzasse di capire quello che provavo.
“Cosa farai riguardo la chitarrista?”
“Non lo so proprio... ovviamente non sta soltanto a me decidere, ma così non possiamo andare avanti...” sospirò “Katy è brava e ha molta passione, ma il suo modo di comportarsi non fa bene alla band. Non riesce a tenere separati il lavoro dalla vita privata...”
Battei gli occhi ripetutamente.
“Quindi è a causa tua che non si è presentata stasera?!” avevo tirato a indovinare, ma a giudicare dalla sua espressione avevo fatto centro.
“Qualche sera fa ce ne stavamo tutti insieme a bere a casa mia; Jeff non faceva altro che punzecchiarci sul fatto che dovevamo trovarci una ragazza. Ero stanco di sentirlo, così mi sono chiuso in camera a strimpellare con la chitarra. Non so come sia successo in effetti; so solo che Katy è entrata e mi si é buttata addosso cercando di convincermi ad andare a letto con lei. L’ho respinta e lei è andata su tutte le furie... ha tirato in ballo anche te...” mi guardò per un momento, poi continuò “era abbastanza arrabbiata, ma non pensavo ci facesse perdere la serata così”.
Quindi la ragazza punk aveva notato l’interesse di Ian nei miei confronti; certo non era a conoscenza di tutto quello che era successo, ma in fin dei conti era meglio così; non volevo dover guardarmi costantemente le spalle.
“Non so da che tipo di relazione siete legati voi ragazzi, ma forse dovreste considerare l’idea di trovare qualcun’altro”.
Sapevo cosa dicevo, avevo passato anch’io qualcosa del genere, solo che avevo ignorato i segnali.
Storse il muso, era evidente che l’idea non lo allettasse “Vedremo”.
“Si, é una cosa che va valutata per bene. Cerca di parlarle sinceramente, ma senza sovrastarla; se ho capito un po’ il suo carattere non le piace ricevere ordini o minacce. Siete amici, ricordale del vostro legame d’affetto e l’amore per la musica”.
Ian mi guardava sbalordito, come se provenissi da un altro pianeta.
“Che c’è?” chiesi mordendo il panino.
“Mi stupisci ogni volta...”
“Spero in meglio”
“Non ne hai nemmeno idea...”
Non mi toglieva gli occhi di dosso e il mio corpo iniziò a percepirlo. Avevo caldo, le mani sudate... D’un tratto realizzai di essere da sola in casa con Ian, l’uomo che mi ossessionava giorno e notte.
Il mio cervello sembrava essersi spento, perché sentii il mio corpo alzarsi e dirigersi verso di lui. Gli accarezzai la fronte, infilando la mano tra i suoi capelli. Erano così lisci da scivolare senza fatica tra le mie dita. Dio quanto era bello! I miei occhi si erano fissati sulle sue labbra, così invitanti. Ricordai cosa avevo provato quando le nostre bocche si erano scontrate alla festa.
Mi abbassai all’altezza del suo viso premendo le mie labbra contro le sue. Erano così calde e morbide... Di lì in poi ebbi una visione sfocata di ciò che stava succedendo. Ian mi afferrò per i fianchi attirandomi a sé, i nostri bacini si scontrarono mentre la sua lingua si attorcigliava alla mia facendomi mancare il respiro. Sentivo un calore partire dal basso e risalire lungo tutto il corpo, mentre faceva dei cerchi concentrici coi fianchi contro il mio basso ventre.  
“ti senti bene?” chiese ansimando “La tua faccia é tutta arrossata...” e come a volerne dare prova mi toccò la fronte.
“Cazzo, scotti!” osservò alzandosi.
“Non é niente” cercai di tranquillizzarlo. “Non smettere...” ansimai.
“Non fare la gran donna” rispose.
Ecco, era entrato in modalità protezione. E tanti saluti al resto. Proprio quando avevo deciso di lasciarmi andare.
“Ti porto a letto...” disse prendendomi tra le braccia.
Ad ogni contatto con il suo corpo diventavo sempre più impaziente. Lo volevo, più dell’aria stessa.
Ancorai le braccia attorno al suo collo, mentre gli lasciavo tanti piccoli baci dall’orecchio fino alla spalla. Ormai avevo superato il limite; lo volevo a tutti i costi. Non mi importava delle conseguenze; ero stanca di dovermi sempre trattenere.
“Fa l’amore con me” dissi mentre mi poggiava delicatamente sul letto. Ian era combattuto; vedevo il suo sguardo infuocato percorrere tutto il mio corpo con lussuria, le sue mani indugiare sui miei vestiti. Non so come faceva a trattenersi. Così feci la prima mossa e mi tolsi la t-shirt restando in reggiseno.
Mi fu addosso in mezzo secondo le sue mani iniziarono a percorrere tutto il mio corpo mentre mi baciava e mordeva dappertutto. Si strattonò la camicia, senza prendersi la briga di sbottonarla. Il suo petto nudo era davvero stupendo; con le mani percorsi i suoi pettorali, scendendo pian piano sempre più giù.
Di nuovo mi sovrastò, divorandomi come se fosse una belva affamata.
La mia mente era annebbiata, non riuscivo a pensare a nulla se non al piacere che stavo provando in quel momento.
Avevo caldo, troppo... sentivo il respiro sempre più affaticato “Ian... non respiro...” fu l’ultima cosa che ricordavo prima di perdere i sensi.
“Ah....” annaspai toccandomi la fronte. Aprii leggermente gli occhi, ma li richiusi subito. La luce del sole che entrava dalla finestra mi accecava.
Mi guardai intorno, confusa su dove mi trovassi. Ero a casa mia... era già un buon inizio. Ah si, mi aveva riaccompagnata Ian, ricordai. Mi aveva anche preparato un sandwich... e poi? Cos’era successo? Non riuscivo a ricordare...
Guardai sotto le coperte solo per ritrovarmi nuda dalla vita in su. Che cavolo era successo?
In quel momento ebbi la consapevolezza di non essere da sola nel letto. Girandomi velocemente quello che vidi mi fece rimanere a bocca aperta.
Accanto a me, in tutto il suo splendore, Ian dormiva beato, con solo dei boxer addosso. Cosa significava? Perché non riuscivo a ricordare quello che era accaduto la sera prima? Davvero eravamo finiti a letto insieme?
Intanto continuavo a fissarlo; era l’unico momento in cui potevo farlo palesemente senza dovermi vergognare.
Non avevo mai visto niente di più bello; aveva un corpo semplicemente perfetto.
Mi leccai le labbra quasi senza rendermene conto.
Cosa dovevo fare? Svegliarlo? O aspettare e fari finta di dormire fin quando non se ne fosse andato?
In ogni caso sarebbe stato imbarazzante. Non avevo ancora deciso quando lo sentii muoversi, istintivamente chiusi gli occhi.
si era seduto sul letto passandomi la mano tra i capelli... i suoi non erano messi meglio dei miei... sembravano reduci da una notte movimentata.
Arrossii.
Una mano mi si piazzò sulla fronte “Almeno non hai più la febbre gattina...” sussurrò. Poi percorse con le dita i miei occhi, il profilo del mio naso, giù fino alle labbra. Era così delicato da essere quasi impercettibile.
Era una dolcezza che mai avevo sperimentato. Mi si strinse il cuore; ormai non potevo più negare i miei sentimenti.
Rimase a guardarmi per un po’ prima di alzarsi e recuperare i suoi vestiti; poi senza fare rumore se ne andò.
E adesso? Che cosa sarebbe successo? Ma soprattutto, cosa avevamo fatto la notte precedente?
Per quanto fosse imbarazzante sapevo che avrei dovuto affrontare la cosa con lui in un modo o nell’altro.
Lentamente mi alzai anch’io. Non avrei dovuto sentirmi diversa dopo aver passato la notte con lui? Ma il mio corpo non aveva niente di diverso dal solito...mi guardai allo specchio. Avevo segni rossi lungo tutto il collo e il seno... ricordai vagamente di essere stata morsa più volte da Ian... Immediatamente diventai paonazza.
Era così imbarazzante...
Ero talmente persa nei pensieri tanto da quasi non accorgermi della porta che veniva aperta e poi richiusa. Mi infilai in fretta la t-shirt e corsi fuori.
Mi bloccai sul posto
“Ti sei svegliata...” Ian mi sorrise. Se ne stava all’entrata, in una mano teneva la scatola con due caffè mentre nell’altra stringeva un pacchettino.
“Credevo fossi andato via” sussurrai avvicinandomi.
“Non mi sembrava giusto sparire in quel modo...” disse abbozzando un sorriso. Lo guardai incredula.
“Che c’è?” chiese.
“Sei davvero tu? Quasi non ti riconosco... questo tuo modo di fare mi spiazza un po’”
“Preferisci quando mi comporto da stronzo?” alzò un sopracciglio.
“No... insomma... tu sei tu.. ecco” non riuscivo a trovare le parole giuste per fargli capire che non era costretto a comportarsi bene solo perché avevo avuto una brutta esperienza. “Non devi sforzarti”.
“Non lo faccio. Mi andava di portarti la colazione e l’ho fatto. Tutto qui”
“Ok...”
“Il caffè si raffredda...” ne prese uno e me lo porse.
“Grazie”.
Bevvi in silenzio, la testa bassa. Non riuscivo a guardarlo in faccia.
“Non essere così imbarazzata” disse dopo un po’ “Non é successo niente di cui tu debba pentirti” accennò un sorriso amaro.
“No io... é solo che non riesco a ricordare ma... comunque non mi sarei pentita... ma che sto dicendo!”
Stavolta Ian rise di gusto “Beh, mi fa piacere sentirtelo dire. Certo, non è stato facile convincerti a non saltarmi addosso, ma alla fine sei crollata per il febbrone da cavallo che avevi”.
Diventai paonazza “Ti sono saltata addosso?” ripetei balbettando.
“Più o meno...” sorrise, i suoi occhi mi scrutavano come se rivivessero la notte passata “non é stato facile trattenermi; ma immaginavo che avresti avuto la memoria annebbiata dal momento che non stavi bene. Se mai deciderai di voler venire a letto con me vorrei che lo facessi lucidamente, nel pieno delle tue facoltà. Sappi che non ti costringerò mai più a fare qualcosa che tu non voglia davvero”.
Era il discorso più lungo che gli avessi mai sentito fare. Era così diverso da quando l’avevo conosciuto e soprattutto dalla sera in cui mi aveva quasi costretta a dargli quello che voleva... forse quell’episodio gli aveva aperto gli occhi? In ogni caso questa nuova versione mi piaceva particolarmente.
“Lo so, ti ho stupita” finalmente rividi quel ghigno di superiorità che tanto mi piaceva.
“Megan...” continuò “ esci con me”.
Il caffè mi andò di traverso facendomi tossire “come ti viene in mente di dire una cosa del genere così dal nulla?” chiesi cercando di riprendermi.
“Sono serio... esci con me” non faceva che tenermi gli occhi puntati addosso, non riuscivo a reggere quello sguardo carico di aspettative. Ma potevo davvero fidarmi?
“Non devi rispondermi subito... pensaci su, ok? Adesso vado...”
Prese il giubbotto e mi accarezzò la guancia. “Non farmi aspettare troppo però” disse prima di andare via.
Il suo dito aveva lasciato una scia infuocata lì dove mi aveva sfiorata. 

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Capitolo 17
*** mi farà impazzire ***


Continuai a fissare la porta d’ingresso per chissà quanto tempo. Non era tutto un assurdo sogno, vero?
Dio, stavo impazzendo!
Mi aveva davvero chiesto di uscire con lui? Sbattei le palpebre diverse volte...magari l’avevo solo immaginato... no, impossibile.
Ian era stato chiaro, forse anche troppo.
La domanda adesso era: potevo davvero credergli?
Se avesse voluto portarmi solo a letto avrebbe potuto farlo benissimo la notte precedente; invece si era preso cura di me.
Ma poteva una persona come lui cambiare così drasticamente il suo modo di pensare?
Ero davvero in conflitto con me stessa.
Sembrava quasi che il mio desiderio di apparire speciale ai suoi occhi si stesse finalmente avverando.
Mi strinsi la testa fra le mani – rifletti Megan!- mi ordinai – sta calma e rifletti-.
Ripensai all’unica vera storia che avessi avuto nella mia vita. Dean mi apparve davanti agli occhi nell’ultimo ricordo che avevo di lui. Rideva di me, del mio dolore; schernendomi insieme a quella che pensavo fosse mia amica.
Li avevo sempre visti come due persone simili tra loro, ma adesso mi rendevo conto di aver sbagliato.
Per quanto Ian potesse comportarsi da stronzo, si era sempre dimostrato leale nei confronti dei suoi amici; Dean invece pensava soltanto al suo tornaconto, ignorando i sentimenti altrui.
Col senno di poi avevo capito che aveva preso da me quello che gli serviva, tenendomi buona con la scusa dei sentimenti.
Mi ci era voluto un po’ per capire che il suo non era amore nei miei confronti, ma possessività. Mi vedeva come un oggetto di sua proprietà, ragione per cui nessuno doveva toccarmi; ma non disdegnava di trascurarmi o trattarmi male.
Il suo atteggiamento era cambiato a poco a poco, facendolo diventare sempre più egoista. Era stato uno dei momenti più orribili della mia vita. Non avevo nessun supporto quando avevo più bisogno di lui. Non facevo altro che piangere e disperarmi, chiedendomi che cosa avessi di sbagliato.
Un sorriso amaro spuntò sul mio viso.
Non ero stata io quella in torto... il mio unico errore era stato quello di amarlo troppo.
Dopo Dean avevo rinunciato a tutto; la mia intera esistenza si era annullata.
Con il passare degli anni mi ero ripresa abbastanza bene, anche se ero cambiata a tal punto da abbandonare la musica, arrivando ad odiarla.
Che scemenza!
Ancora una volta era stato Ian, seppur inconsapevolmente, a farmi ricordare di quanto mi facesse star bene suonare...
“Sei più strana del solito” mi fece notare Chris quel lunedì mattina in ufficio.
Alzai un sopracciglio “perché?” chiesi confusa.
“Non avevi detto di non voler più avere a che fare con Ian?”
Iniziai a sudare freddo “Si...” balbettai.
“Allora perché mi scrive invitandoci alle prove a casa sua?”
Merda... “Beh, non lo so...”ero in un bel guaio.
“Perché non inizi col raccontarmi la verità, per esempio” era curioso, ma anche un po’ deluso. Lo capivo; come amico si sentiva escluso.
Così raccontai dell’aggressione e di come Ian mi avesse salvata... “E questo è tutto” conclusi.
Chris mi fissava a bocca aperta. Più che comprensibile.
“Ma tu stai bene? Insomma quel tizio non ti ha fatto niente, vero?” era davvero preoccupato.
Scossi la testa “No, Ian é arrivato giusto in tempo”.
“Wow! Lui che ti chiede di uscire... è la prima volta che fa una cosa del genere”.
“Vuoi dire che non ha mai avuto una ragazza?” ero incredula.
“No, non ha mai considerato le donne in quel senso”.
“Non so che fare...” confessai.
“Oh, si che lo sai...” incalzò.
“Hai una luce folle negli occhi” dissi indietreggiando.
“Perché sono così eccitato! Non ci posso credere!” urlò in preda all’euforia.
Sorrisi. In fondo anche io ero più felice del solito.
Quel pomeriggio inviai un SMS a Ian.
“Hai chiesto a Chris di portarmi alle prove di proposito, vero?”.
La risposta non tardò ad arrivare. Le mani mi tremavano un po’ mentre sbloccavo il telefono.
“Chissà... allora, verrai?” Sorrisi di fronte alla sua impazienza.
“Chissà” ripetei imitandolo.
“Questo tuo modo di tenermi testa mi fa venir voglia di correre da te...”
Il mio battito accelerò ripensando ai suoi baci, al suo corpo nudo nel mio letto; al suo sguardo infuocato che mi perforava...
“Magari prima o poi te lo chiederò io...” era inutile; non riuscivo a smettere di stuzzicarlo.
Aspettai qualche minuto, ma non arrivò nessuna risposta. Forse aveva da fare...
Avevo appena finito di pensarlo che il telefono iniziò a suonare. Parlò non appena schiacciai il pulsante.
“Piccoletta... stai giocando col fuoco” la sua voce roca e bassa mi provocò brividi su tutto il corpo.
“Mi conosci, sai che mi piace stuzzicarti...” risposi sorridendo.
Mi chiese del lavoro e di tante altre stupidaggini, mentre io lo misi al corrente di quello che avevo raccontato a Chris.
Non avevo mai parlato tanto in vita mia; il tempo passava senza che me ne rendessi conto.
“Ci vediamo domani allora” disse qualche ora dopo prima di riattaccare.
“Buona notte Ian” il suo nome mi uscì fuori quasi in un sussurro.
Strinsi il telefono sul petto, arrossendo. Alla fine avevo accettato. Saremmo usciti nel pomeriggio, era la cosa migliore. Volevo andarci piano e non bruciare le tappe; anche se la vedevo dura.
Mi aveva chiesto di vestirmi casual, quindi aveva già qualcosa in mente. Dove mi avrebbe portata?
Il giorno dopo ero davvero elettrizzata. Avevo optato per jeans e canotta, e una giacchetta nel caso avessi freddo.
Quando arrivò Ian sorrise. Aveva il mio stesso abbigliamento.
“Stai bene vestita così” disse scrutandomi dalla testa ai piedi.
Arrossii “anche tu”.
Il tragitto in auto fu piacevole.
“Dove andiamo?” chiesi curiosa.
“Vedrai...” un ghigno comparve sul suo volto, ma non me ne preoccupai.
Non appena parcheggiò vidi il cartello all’ingresso.
“Paintball?” chiesi alzando un sopracciglio. La cosa mi incuriosiva parecchio.
“Hai mai provato?”
“No, ma sono curiosa”
“Ottimo allora” mise una mano sulla mia schiena, spingendomi leggermente verso l’entrata.
Inutile dire che fu un vero e proprio divertimento. Ian era veramente bravo e da solo aveva fatto fuori metà degli avversari. Io d’altro canto, cercavo di non farmi beccare e di non essergli d’intralcio.
“Sei stata brava” disse alla fine.
“Abbiamo perso...” dissi mettendo il broncio.
Scoppiò a ridere prima di afferrarmi le guance “Dio... sei sexy anche tutta ricoperta di vernice”.
La mia faccia diventò porpora, perché lui iniziò a ridere ancora più forte.
“Non prendermi in giro...” dissi fingendomi offesa.
Mi sentivo finalmente libera da qualsiasi angoscia avessi avuto fino a quel momento; ed era tutto merito suo. Stavo tornando a vivere.
Al ritorno si fermò a un McDrive; nessuno dei due voleva mettere piede fuori dalla macchina ricoperto di vernice.
“Certo che mangi tanto” osservò quando afferrai il secondo hamburger.
“Scusa...”
“Non scusarti, non ho detto che non mi piaccia”.
Ian sembrava del tutto un’altra persona. Sotto quella sua dura corazza fatta di cinismo e stronzaggine si nascondeva una persona dal cuore buono e gentile.
Forse era davvero arrivato il momento di vivere di nuovo come una persona normale.
“Grazie per oggi” dissi non appena parcheggiò sotto casa.
“È stato un piacere” sorrise.
Non riuscii a resistere. Gli presi il viso fra le mani e poggiai le mie labbra sulle sue. Subito la situazione si ribaltò. Fui io quella intrappolata da lui. Le nostre lingue si attorcigliavano, mentre il respiro diventava sempre più affannato.
“È meglio se vai...” sussurrò “ Non resisterò ancora per molto...”
I suoi occhi brillavano di desiderio.
“Va bene...”
Non appena chiusi la portiera sfrecciò via. Potevo immaginare quanto si stesse sforzando per resistere alla voglia di continuare quello che avevamo iniziato.
Entrai in casa con la testa fra le nuvole. Non riuscivo a credere a quello che mi stava succedendo.
Mi sentivo leggera come mai prima.
Presa dall’euforia tirai fuori la chitarra e iniziai a strimpellare le note di una nuova canzone.
Non avevo avuto occasione di parlare a Ian del pomeriggio passato con Jeff; in fondo era stata solo un’uscita amichevole. Ma avrei fatto meglio a dirglielo, per evitare qualsiasi fraintendimento.
Avrei chiarito tutto la prossima volta che ci fossimo visti.
Nel frattempo chiamai Jeff. Certe cose andavano fatte subito.
“Wow” esclamò non appena rispose “è un grande evento ricevere una tua chiamata. È successo qualcosa?”
Feci un sorriso forzato “ Beh, preferisco parlarti piuttosto che mandare un messaggio”.
“Oh oh. Allora è davvero successo qualcosa”.
“Ecco... sai qualcuno mi ha chiesto di uscire... qualcuno che mi interessa da un po’ di tempo. Ci tenevo a dirti che mi sono divertita quella volta con te, ma non vorrei essere fraintesa. Per cui...”
“Dovremmo restare amici, capito” finì lui la mia frase.
Dal suo tono di voce si intuiva che ne era dispiaciuto.
“Mi dispiace” cercai di scusarmi.
“E di cosa? Era un’uscita senza impegno, no?”
Non mi lasciò rispondere e in un sussurro disse: “ Chissà se é chi penso io...”
Ero davvero dispiaciuta per Jeff; mi sentivo un verme. Ma che altro avrei potuto fare?
Quando riattaccai ero molto combattuta. Ero convinta di aver fatto la cosa giusta però.
Andai a letto ripensando all’uscita con Ian...
Mi ero quasi addormentata quando il telefono vibrò.
“Dormi?”
Un semplicissimo SMS bastava a farmi battere il cuore.
“Non ancora” mentii. Improvvisamente sentii l’irrefrenabile voglia di sentire la sua voce, così presi l’iniziativa e lo chiamai.
“Dovevo mancarti davvero tanto se hai deciso di chiamare a quest’ora” sussurrò appena accettata la chiamata.
“Ti dispiace?” chiesi.
“Per niente. La tua voce é ancora più eccitante quando sei mezza addormentata”.
“Ian!” lo rimproverai. Ero rossa come un peperone.
“Dio...adoro quando pronunci il mio nome”.
Quest’uomo mi avrebbe fatta impazzire, ne ero certa. Nessuno era mai riuscito a provocarmi certe emozioni così come faceva lui.
“Sei riuscito a parlare con Katy?” chiesi curiosa.
“No, non vuole sentir ragioni. Credo sia andata da qualche sua amica fuori città. È un problema... ci sta facendo perdere parecchi ingaggi”.
Ero molto dispiaciuta per loro, ma non c’era molto che potessi fare se non supportarlo.
“Vedrai che tornerà presto. Tu non aggredirla”.
“Ci proverò... Allora, che ne dici di dormire adesso?”
“Non ancora...” borbottai rigirandomi nel letto.
Ian sorrise; era chiaro ne fosse felice.
Percepii un fruscio come se si stesse muovendo, poi silenzio; fin quando non sentii il suono della sua chitarra, seguito dalla sua voce.
Ian stava cantando per me. Non fu difficile riconoscere la canzone. Era Don’t cry dei Guns N’ Roses, ma la stava suonando come se fosse una ninna nanna. Mi commossi. La sua voce roca e calda era come un dolce abbraccio. Mi dava la sensazione di averlo accanto.
Pian piano gli occhi mi si chiusero. “Grazie” biascicai prima di sprofondare tra le braccia di Morfeo.
Il mattino seguente mi alzai di colpo. Era tardi, lo sapevo senza nemmeno guardare l’ora. Il telefono! Che fine aveva fatto?
Lanciai in aria i cuscini e le coperte, finché non lo ritrovai incastrato fra le lenzuola.
Mi ero addormentata mentre ascoltavo Ian? Che imbarazzo!
Il cellulare era del tutto scarico, tanto da non accendersi nemmeno; l’avrei caricato in ufficio.
“Qualcuno é in ritardo” sogghignò Chris quando mi vide correre per il corridoio.
“Sta zitto!” lo imbeccai “Ho dimenticato di mettere il telefono in carica quindi la sveglia non ha funzionato”.
“Strano... di solito non sei così sbadata”.
“Beh, mi sono addormentata mentre parlavo con...” mi bloccai di colpo.
“Con...?”
“Togliti quel sorriso compiaciuto dalla faccia” intimai.
“Ok, ok...”
Quando arrivai alla mia scrivania mi rilassai un po’. Collegai il caricabatterie aspettando che si accendesse. Come pensavo c’era un messaggio, semplice, ma pieno di dolcezza. “Buona notte piccoletta, ci vediamo nei tuoi sogni”.
Il mio cuore si strinse dall’emozione.
Quest’uomo mi avrebbe davvero fatta impazzire...

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Capitolo 18
*** prove movimentate ***


“Ma dai! Dici sul serio?” ridacchiai.
Me ne stavo sul letto a rigirarmi come ormai praticamente ogni sera, mentre parlavo con Ian. Nemmeno ricordavo che cosa facessi prima di prendere questa abitudine.
“Ti giuro...”
Risi di gusto. “Tu sei tutto matto!”
Da quando avevo deciso di frequentarlo mi ero sentita più viva che mai; non serviva niente di speciale, bastava lui.
Era incredibile come una sola persona potesse cambiare lo stato d’animo di un’altra.
Ian era un toccasana per la mia anima. Certo, lui aveva cambiato atteggiamento, per lo meno con me; era grazie a questo che avevo deciso di dargli una possibilità.
Ormai erano passati alcuni giorni dal nostro pomeriggio insieme; non ci eravamo più rivisti, ma ci sentivamo tutte le sere. Parlavamo del più e del meno, ridendo e scherzando; e quando il sonno finalmente mi prendeva lui cantava per me.
La dolcezza che dimostrava nei miei confronti mi spiazzava ogni volta.
“Jeff é depresso da alcuni giorni, mi sa che qualcuna l’ha scaricato. Sembrava su di giri fino a qualche settimana fa... vallo a capire..” osservò.
Presi un lungo respiro; era il momento adatto, o adesso o mai più.
“A proposito di questo, c’è qualcosa di cui dovrei parlarti... ecco...” la sua voce mi interruppe.
“Scusa piccola suonano alla porta, mi sa che sono i ragazzi. Ne parliamo domani... verrai alle prove, no?” chiese di fretta.
“Si, credo di si”.
“Perfetto... non vedo l’ora di rivedere il tuo bel faccino” sussurrò rauco.
Il mio corpo fu attraversato da un brivido di piacere. Dio, come diamine ci riusciva?
“Va bene... Notte Ian”. La voce mi uscì flebile.
“Notte bambolina”.
Chiusi la chiamata continuando a fissare il telefono. Alla fine non avevo potuto dirglielo. Sapevo che Jeff ci era rimasto male, ma non pensavo lo facesse notare così palesemente. Poteva diventare un guaio. Ian avrebbe potuto fraintendere la situazione, o immaginare che ci fosse stato qualcosa fra me e lui.
Il giorno seguente aspettai che Chris finisse con alcuni documenti. Io non avevo idea di dove abitasse Ian; in oltre aveva invitato entrambi alle prove. Non so quanto sarebbero state produttive dal momento che Katy non si era ancora rifatta viva.
Quella ragazza non la capivo per niente. Si, era innamorata di Ian, ma nel momento in cui aveva deciso di intraprendere la carriera di musicista con lui avrebbe dovuto separare le due cose. Non era facile, lo sapevo bene; ma lei non era sola. Aveva il supporto di tutta la band e nonostante il suo comportamento nessuno l’aveva ancora cacciata via.
La casa di Ian era nella zona di espansione della città. C’erano molti palazzi nuovi, mentre altri erano vecchi in via di ristrutturazione. Fra qualche anno gli affitti sarebbero lievitati un bel po’. Non era una cattiva idea fare un investimento in un appartamento nelle vicinanze.
Quando Chris suonò il campanello Ian ci venne ad accogliere. “Ehi piccola” mi salutò abbozzando il suo solito sorriso sghembo che tanto mi faceva battere il cuore.
“Ciao...” ci fissammo negli occhi, mentre la mia faccia diventava sempre più rossa.
“Ci sono anch’io eh!” esclamò Chris fingendosi offeso; poi attraversò l’entrata senza nemmeno aspettare di essere invitato.
La casa di Ian era enorme. C’era un ampio salone collegato alla cucina. Era davvero magnifica. I mattoni a vista, le mensole di legno grezzo e le lampade nude le conferivano un aspetto molto minimal ma caldo.
“Allora?” chiese curioso.
“Non è niente male...” risposi.
“Ne sembri stupita” ghignò.
“Un po’... mi aspettavo più una caverna” scherzai guardandolo.
“Come osi piccola impertinente” mi afferrò per i fianchi facendomi sbattere contro il suo petto muscoloso.
Chris guardava incredulo il nostro scambio di battute.
“Chiudi la bocca amico o ti si riempirà di mosche” lo beffeggiò Ian.
Io sorrisi, un po’ imbarazzata e un po’ felice per il modo di comportarsi anche davanti ai suoi amici. Significava che non si vergognava di farsi vedere così con me.
“I ragazzi arriveranno tra poco. Intanto andiamo giù”.
Ci fece strada verso la cantina...si fa per dire. Era una sala prove vera e propria. C’erano tutti gli strumenti usati dalla band, casse, amplificatori, microfoni e tutto il resto. In un angolo c’era perfino un pianoforte. Wow era il tempio della musica. Una forte emozione mi strinse il petto. Era qualcosa che non riuscivo a quantificare né a spiegare. Il mio animo fu pervaso da mille sensazioni tutte insieme.
Rivedevo me stessa durante il periodo in cui suonare era l’essenza della mia stessa vita.
“Tutto ok?” chiese Ian vedendomi persa nei pensieri.
“Si, sto bene...”
Sorrise e iniziò a controllare gli strumenti.
“Stai davvero bene?” mi sussurrò Chris all’orecchio. Era preoccupato che la cosa potesse farmi stare male. Ma ormai l’angoscia era quasi del tutto sparita.
Qualche minuto dopo arrivarono gli altri. Jeff sembrò molto sorpreso nel vedermi lì.
Si bloccò per un momento sulle scale, gli occhi leggermente spalancati; prima di riprendere il controllo.
“Ciao... Come mai qui?”
“Ian ci ha invitati” rispose Chris al mio posto. Adoravo questo ragazzo, era il mio salvatore!
“È un problema?” domandò Ian guardandoli. Alan, il bassista, alzò le spalle indifferente; Jeff invece esitò giusto un secondo. “no...certo che no”.
Era diffidente; la situazione era ambigua, il che lo rendeva leggermente agitato.
“Allora possiamo iniziare”.
Io e Chris ci sedemmo in disparte, ascoltando come si riscaldava ognuno di loro sul proprio strumento. Non ero sorpresa di come cambiassero espressione quando si concentravano.
Dopo un po’ presero a suonare una delle loro canzoni. Era diversa; la musica era stata scritta basandosi su due chitarre e non una. Chiaramente si aveva l’impressione che mancasse qualcosa.
La voce di Ian era sempre stupenda; roca e bassa al punto giusto. Riusciva a toccare la parte più nascosta del mio animo...
“Niente da fare!” esclamò interrompendosi. Era nervoso, era palese.
“Non funziona senza l’altra chitarra! Dannazione!”
“Katy non si é ancora fatta viva?” chiese Jeff.
“Continua a non rispondere. Ammetto di essere anche un po’ preoccupato. Ma così non possiamo andare avanti. Abbiamo perso tre concerti questa settimana”.
Era davvero furioso. Lo capivo bene; per lui non era un gioco, un passatempo. La musica per lui era la sua vita stessa.
Sospirò. “Facciamo una pausa...”
Ad uno ad uno salirono tutti le scale probabilmente per andare a prendere qualcosa da bere. Jeff rimase per ultimo fingendo di sistemare la batteria.
“Ehi Megan” mi chiamò mentre poggiavo il piede sul primo gradino.
La voce di Jeff mi risvegliò dai miei pensieri. Lo raggiunsi, sapendo già cosa avrebbe voluto sapere.
“Dì un po’... il ragazzo a cui ti riferivi era Ian, vero?”
Mi fissava, quasi sperando non fosse così.
“Si... é vero”. La mia voce uscì calma, posata. Non avevo nulla di cui vergognarmi.
Fece un sorriso amaro. “L’avevo immaginato...”
“La cosa ti crea dei problemi?” chiesi curiosa.
“No, mi dispiace soltanto...”
“Perché?”
“Perché tu mi piaci davvero. Mi sei piaciuta dalla prima volta che ti ho vista” esclamò di getto.
“Cosa cazzo stai dicendo?”
La voce di Ian riecheggiò per tutta la stanza. Si avvicinò a grandi falcate, sembrava un toro alla carica.
Istintivamente mi misi tra lui e Jeff, sperando di poterlo calmare.
“Cos’é questa storia Jeff?” ringhiò. “ Non dirmi che é Megan la ragazza per cui stavi una merda!”
“Si, é così. Speravo che potessi piacergli. In fondo siamo stati bene quella volta, l’hai detto anche tu” rispose indicandomi.
Ian mi fissò “A cosa diavolo si riferisce?” era furioso.
“Jeff, potresti lasciarci soli?”
Lui mi guardò incredulo.
“Lasciaci soli” intimai lanciandogli un’occhiataccia. Abbassò la testa e salì le scale.
Mi girai verso Ian stringendogli le mani.
“È successo dopo la festa... mi ha chiesto di prendere un caffè insieme in modo amichevole. Sapeva che non volevo nessun appuntamento e io ero sconvolta per quello che era successo con te. Volevo sentirmi normale per una volta e dimenticare quell’episodio. Ma non é successo nulla tra me e lui. Te lo giuro”.
Lo fissavo con lo sguardo carico di scuse. Mi sentivo in colpa, pur sapendo di non aver fatto niente di male.
“Quindi... non é successo nulla?” balbettò ancora in preda alla rabbia.
“No... niente di niente. Abbiamo solo preso un caffè e chiacchierato da Starbucks. Alla fine mi ha riaccompagnata perché era buio e io non me la sentivo di tornare da sola. Questo é tutto”.
Stringeva così tanto il pugno da mettere in tensione le vene del braccio, fino ai muscoli della spalla.
“Non ti ha toccata? Non ha provato a baciarti?” chiese prendendomi il viso tra le mani, facendomi indietreggiare verso il pianoforte.
Era rude, ma me lo aspettavo. “No”.
La sua bocca piombò sulla mia, aprendola con forza. Con una mano mi circondò la vita, sollevandomi e facendomi sedere sul pianoforte; mentre l’altra mano mi stringeva leggermente il collo. Era un animale, che marchiava il proprio territorio.
La mia mente era totalmente annebbiata e in preda al piacere assoluto. Per quanto fosse un po’ violento non faceva che eccitarmi ancora di più.
“Ian...” ansimai quando si abbassò a baciarmi il seno “Gli altri sono di sopra...”
Alzò lo sguardo verso di me; i suoi occhi di ghiaccio erano scuri dal desiderio, come un predatore quando punta la propria preda.
Poi tornò sul seno, facendomi emettere un piccolo gridolino.
“Così ti ricorderai a chi appartieni” disse ghignando.
Mi fissai lì dove si era soffermato. Aveva lasciato un piccolo segno rosso e gonfio.
Diventai paonazza. “Sei diventato matto? Così lo vedranno tutti!”
“Così tutti sapranno che sei mia...”
Infilai la mano tra i suoi capelli stringendoli con forza “Mi sta bene...” e lo baciai di nuovo.
Quando entrambi tornammo di sopra gli altri finsero di non notare nulla di strano; anche se lo sguardo di Chris luccicava dal desiderio di scoprire tutti i dettagli.
Ian si era calmato, anche se qualche volta lanciava delle occhiate truci a Jeff, che se ne stava in un angolo a testa bassa a giocherellare con le bacchette.
“Direi che dovremmo prendere in considerazione l’idea di cercare un altro chitarrista” disse Ian guardando gli altri due della band.
“Sono d’accordo” si introdusse Jeff “Non possiamo continuare a perdere ingaggi così. Perderemo anche la nostra credibilità con chi ci propone i concerti”.
“Si, Jeff ha ragione. Stiamo perdendo la fiducia di chi ci ha assunti. Così finiremo per non avere più nessuna offerta”. Continuò Ian.
Fu in quel momento che sentii per la prima volta un discorso intero pronunciato da Alan. “Perché non lo chiedi alla tua amichetta che ti sta seduta accanto? Non é niente male con la chitarra. Ha anche una bella voce”.
Mi gelai sul posto. Come faceva a saperlo? Non avevo mai suonato fuori dal mio appartamento. Che fosse venuto a conoscenza del mio passato? No, era impossibile. Tutti mi fissarono. Jeff e Ian increduli, Chris sconvolto quasi quanto me.
“Che dici Alan...” cercò di aiutarmi Chris.
“Non coprirla amico... sai bene a cosa mi riferisco” mi guardò con un mezzo sorriso sul volto. “Ti ho vista alla sua festa che strimpellavi in giardino... Non avevo capito che eri tu all’inizio, era troppo buio. Poi ti ho riconosciuta. Mi hai sorpreso davvero quando hai iniziato a cantare... Sia la musica che il testo della canzone erano tue, vero?”
Merda, era proprio un bel guaio.
“Megan...” stava per iniziare Ian, ma lo bloccai.
Improvvisamente tornai ad essere quella di qualche anno fa, fredda e indifferente; i miei occhi si spensero perdendo ogni espressività.
“Allora eri tu l’ombra che ho visto quella sera... Non importa. Non tornerò a suonare”. Mi alzai andando a recuperare la mia borsa.
“Aspetta un momento” Ian si era alzato seguendomi “perché non me lo hai detto?”
“Non ho ritenuto di dovertelo dire. É qualcosa che non mi piace ricordare”.
“Però quella volta hai suonato!”
Mi girai di scatto incastrando i miei occhi nei suoi “quella sera ero un po’ sconvolta e per quanto il mio rapporto con la musica sia contorto l’ho trovata la mia unica consolazione in quel momento”.
Gli altri non capivano di cosa stessi parlando, ma Chris non intendeva passarci sopra.
“A cosa si riferisce, Ian?” chiese fissandolo. “Perché Megan era sconvolta? Ora che ci penso se n’è andata senza nemmeno salutarmi quella sera. È successo qualcosa per caso? E tu cosa c’entri?”
“Non é successo niente di che... abbiamo avuto una discussione pesante, ecco tutto...”
Per quanto in quel momento fossi fuori di me non avevo intenzione di rivelare quello che era successo quella sera. Gli altri avrebbero frainteso.
“Io me ne vado...”
“Aspetta” Ian mi afferrò il polso.
“Ti prometto che un giorno ti racconterò tutto, ma per adesso ho bisogno di restare sola, per favore...”
Lentamente la sua mano mi lasciò andare.
Aprii la porta e andai via senza guardarmi indietro. 

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Capitolo 19
*** completarsi ***


Tornando a casa mi sentivo più confusa che mai. Ian era rimasto ferito, glielo avevo letto dritto negli occhi; ma nonostante tutto mi aveva lasciata andare senza fare storie.
Prima o poi avrei dovuto spiegargli ogni cosa, ne ero consapevole. Ma non era ancora il momento.
Chissà se in quel momento stesse facendo delle domande a Chris... no, non era da lui. Sapevo che avrebbe chiesto direttamente a me.
Assistere alle prove o strimpellare a casa non era la stessa cosa che esibirsi davanti a una platea di gente. Avevo rinunciato a quelle sensazioni da parecchio tempo e non ero disposta a riprovarci.
Qualche ora dopo il mio telefono squillò.
“Pronto Chris” risposi.
“Ehi, stai bene?” chiese apprensivo.
“Si, tutto ok. Ian come sta?” nonostante tutto ero in pensiero per lui.
“Mi ha fatto qualche domanda; era parecchio nervoso in effetti, ma poi ha lasciato perdere. So che per te non è un argomento facile, ma prima lo affronti e meglio sarà per entrambi. Ian é una testa calda, ma ci tiene davvero a te, oggi me ne sono reso conto. Perciò non lasciarlo nel dubbio, non lo merita”.
Sapevo che aveva ragione, del resto anch’io la pensavo come lui.
“Lo chiamerò domani, per adesso voglio starmene da sola”.
“Va bene...”
Ci salutammo e poi andai a letto. Era strano, ma mi mancava qualcosa. Non riuscivo a prendere sonno, non senza Ian, le nostre risate e la sua voce che cantava per farmi addormentare.
Non so per quanto tempo mi rigirai nel letto prima di poter finalmente dormire.
Quella notte, per la prima volta dopo tanti anni, sognai il periodo della mia vita più felice che avessi mai avuto...
Aprii gli occhi fissando il soffitto, ricordavo tutto nei minimi dettagli.
Era l’estate dei miei 16 anni e mi sentivo più felice che mai. Finalmente potevo tornare a casa dopo mesi passati al campus della prestigiosa scuola privata che i miei mi avevano costretta a frequentare. L’avevo odiata fin dal primo giorno.
Avevo rivisto mia sorella dopo molto tempo; era l’unica che riusciva a capirmi e la sola che alimentava i miei sogni. Era stata lei a farmi prendere lezioni private di musica e di canto fin da piccola, nonostante i nostri genitori non acconsentissero. Ma lei li aveva convinti che avrei potuto sfoggiare le mie doti artistiche a qualche serata mondana.
Mi aveva regalato la mia prima chitarra che ancora custodivo come il più prezioso dei gioielli.
Una lacrima mi rigò il volto, ma mi affrettai ad asciugarla. Josy non avrebbe mai voluto che piangessi per lei.
All’epoca stavo attraversando una fase di ribellione; non facevo altro che girare per locali, cercando di togliermi di dosso la sensazione di essere una “figlia di papà”.
Era stato durante una di quelle serate che lo avevo visto per la prima volta. Dean.
Si era avvicinato quasi subito; era alto, robusto e con uno sguardo in grado di incenerire il mondo. Ricordai di essere stata scossa da un brivido mentre mi si piazzava davanti e mi chiedeva il mio nome. Sembrava un predatore, con quegli occhi da felino che mi scrutavano così come si fissa una preda poco prima di azzannarla. Mi aveva attratta dal primo momento, tuttavia dopo una breve conversazione lo avevo salutato senza lasciargli nemmeno il mio numero.
All’epoca tendevo ad essere molto teatrale, per cui ero convinta che se fossimo stati destinati ci saremmo comunque incontrati ancora per caso.
Non successe nulla per più di due settimane; ma non mi importava. In quel momento ero interessata soltanto alla musica. Cercavo di farmi conoscere cantando e suonando durante delle serate per principianti.
Fu in una di quelle occasioni che rividi Dean, ritrovandolo tra il pubblico durante una mia esibizione. Anche lui ne era rimasto sorpreso, ma allo stesso tempo ne era stato felice. Mi disse che anche lui era un chitarrista e che sognava di mettere su una sua band.
Da quel giorno in poi diventammo inseparabili...avvicinandoci sempre più...
Mi diedi un leggero schiaffo cercando di tornare al presente. A che cavolo stavo pensando? Stavo proprio uscendo fuori di testa.
Guardai il display del telefono... nessuna chiamata, nessun messaggio. Ian mi stava dando il mio spazio, rispettando la mia scelta.
Gli avrei telefonato tornando dal lavoro quella sera.
La giornata fu tranquilla, o forse ero io quella che non badava a cosa mi succedeva intorno. Svolgevo il mio lavoro come un automa, programmata a fare le stesse cose giorno dopo giorno.
La mia mente però era altrove. Ripensavo a quello strano sogno \ ricordo, a Ian e a come potesse sentirsi il quel momento.
Mi mancava terribilmente. Questa breve lontananza mi aveva fatto capire quanto già fossi dipendente dalla sua presenza.
Quando finalmente uscì dall’ufficio chiamai un taxi e senza nemmeno pensarci due volte diedi l’indirizzo di casa sua.
Volevo vederlo e chiarire, non ce la facevo più ad aspettare.
“Ian” chiamai suonando ripetutamente il campanello. Ma nessuno venne ad aprire.
Non avevo considerato che potesse essere fuori. Tornai a casa, non c’era altro da fare; delusa più che mai.
Provai anche a chiamarlo durante il tragitto, ma il suo cellulare era irraggiungibile. Che fosse successo qualcosa? Possibile che avesse deciso di evitarmi? Il mio cuore accelerò i battiti, rendendomi ansiosa.
Salì le scale a testa bassa; mi sentivo le gambe pesanti; fin quando non notai un paio di anfibi sul pianerottolo.
Lentamente sollevai lo sguardo, le lacrime che minacciavano di uscire.
“Ian” sussurrai avvicinandomi. “Sono appena stata a casa tua...”
“Ah... abbiamo avuto la stessa idea” disse abbozzando un sorriso. Non sapeva come comportarsi, glielo si leggeva in faccia.
“Su, entra” lo invitai aprendo la porta.
Mi seguì in cucina sedendosi al bancone.
“Mi dispiace per quello che é successo ieri” disse fissandomi. “Non dovevo impicciarmi dei tuoi affari”.
Scossi la testa “non si tratta di quello... è solo che sono ricordi molto dolorosi di cui non parlo con facilità”.
“Capisco...”
“Prima o poi te ne avrei parlato... ma non pensavo succedesse così. Sono sicura che Alan l’abbia fatto in buona fede; ha visto un punto di svolta per la vostra situazione e l’ ha colto...”
“Già... e a proposito ti porge le sue scuse”.
Sorrisi “le accetto volentieri”.
Restammo in silenzio per un po’; era la prima volta che nessuno dei due non sapesse cosa dire.
“Megan...”
Era raro sentirlo pronunciare il mio nome.
“volevo dirti che non sei obbligata a raccontarmi del tuo passato adesso; insomma anche io ho i miei segreti... quindi parlamene quando ti sentirai pronta... ok?”
Quest’uomo era il mio angelo, pronto a confortarmi quando più ne avevo bisogno.
Annuii senza distogliere lo sguardo dal suo.
“Che ne dici di andare a fare un giro?” chiese sfiorandomi la guancia.
“Si, è quello che ci vuole”.
Girovagammo in macchina senza una meta precisa per un bel po’; sapevo solo di essere con lui, e questo mi bastava.
Ero stanca di starmene per conto mio, non volevo più sentirmi sola. Ian era la persona a cui avevo deciso di aprire di nuovo il mio cuore...
“Non mi va di tornare a casa stanotte” buttai lì di colpo.
Ian mi guardò un attimo, perdendo la sua solita calma per pochi secondi.
“Portami a casa tua” esclamai fissandolo dritto negli occhi.
“Sei sicura?” chiese “sai che poi non potrò fermarmi...”
“Lo so...”
“Va bene allora”.
Avevo dato retta alla ragione per fin troppo tempo; adesso volevo lasciarmi andare.
Ian parcheggiò nel vialetto e mi fece strada; aprì la porta e accese le luci.
“Vuoi qualcosa da bere?” chiese togliendosi il giubbotto di pelle e lanciandolo sullo sgabello.
“Una birra andrà bene” risposi imitandolo.
Si diresse al frigo e ne prese due, le aprì per poi porgermene una.
Bevvi una lunga sorsata, mentre i nostri sguardi si incatenavano.
Mi sentivo sicura di me come mai prima, mentre con passo lento andavo a sedermi sul divano.
Lui mi seguì senza mai togliermi gli occhi di dosso.
Bevvi ancora prima di poggiare la bottiglia e inginocchiarmi per arrivare alla sua stessa altezza. Infilai entrambe le mani tra i suoi capelli e lo baciai.
La sua bocca era calda come sempre; le nostre lingue si attorcigliarono immediatamente mentre con le mani vagava su tutto il mio corpo.
Mi sollevò posizionandomi a cavalcioni su di lui. La mia mente iniziò ad annebbiarsi, perdendo sempre più lucidità. I suoi baci infuocati e le sue mani mi provocavano un piacere indescrivibile. Sentivo il suo corpo muscoloso irrigidirsi sotto di me; teso come una corda di violino.
Senza rendermene conto mi ritrovai senza camicetta; le sue labbra sul mio collo a lasciare baci e piccoli morsi. Stringevo la sua nuca come a volerlo sentire ancora più vicino a me.
“Piccola...” ansimò sfiorandomi lo sterno “non riesco più a trattenermi”.
“Allora non farlo...” sussurrai mordendogli il lobo dell’orecchio.
Un ringhio gutturale uscì dalla sua gola e nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono lessi tutto il desiderio che gli ardeva dentro.
Era come un animale in gabbia che ruggiva per uscire fuori.
Tremai dal piacere pregustando quello che sarebbe seguito.
Mi sollevò senza nessuna fatica; le mani a stringermi il sedere mentre gli allacciavo le gambe ai fianchi, continuando a baciarlo.
Attraversò il corridoio senza neanche accendere le luci e diede un calcio alla porta che doveva essere quella della sua camera da letto.
Mi poggiò sul materasso, calciò via gli stivali e con entrambe le mani si tolse la t-shirt, dandomi una perfetta vista sul suo petto muscoloso.
Istintivamente mi leccai le labbra. Era mio... Solo mio.
Come una belva affamata si gettò su di me, le sue mani vagavano sulle mie gambe, sollevandomi la gonna.
Ero in completa estasi.
Cercò di sbottonarla, ma nessuno dei due aveva così tanta pazienza da fare le cose per bene. La tirò talmente forte da far saltare via il bottone prima di sfilarla via.
Io lo fissavo, incapace di formulare un qualsiasi pensiero logico. Sentivo solo il suo calore, la sua bocca, le sue mani, il suo corpo premere contro il mio.
“Sei stupenda...” sussurrò mentre passava la lingua intorno al mio ombelico.
“Ian” esclamai strattonandolo per i capelli. Non riuscivo più ad aspettare, così gli sbottonai i jeans e li tirai giù.
L’avevo già visto nudo, ma adesso appariva ancora più maestoso.
Mentre si sistemava sopra di me mi guardò negli occhi e con una mano mi accarezzò dolcemente il viso.
“Se c’è qualcosa che non va o se ti faccio male dimmelo subito, ok?”
“Si” ansimai. Incredibile come potesse essere così dolce in quella situazione.
Il mio busto e la mia testa si inarcarono istintivamente, mentre ancoravo le unghie alla sua schiena. Probabilmente gli avrei lasciato i segni, ma in quel momento non me ne importava.
Ian era rude, selvaggio; ma anche delicato e attento ad ogni movimento che faceva, come se avesse avuto paura di rompermi.
Lo strinsi in un lungo abbraccio, per fargli capire che era tutto ok, sperando di non doverlo lasciare mai. Lo amavo più dell’aria stessa...
Il mattino seguente aprii gli occhi mentre qualcosa mi solleticava.
Ero sdraiata a pancia in giù e Ian mi accarezzava la schiena dall’alto verso il basso.
Abbozzai un sorriso “Buongiorno”.
“Altroché se lo é” esclamò lui soddisfatto.
Arrossì di colpo nascondendo il viso tra i cuscini e tirando le lenzuola fin sotto il mento.
“Non coprirti...” sussurrò serio “sei bellissima”.
L’intensità con cui lo disse mi toccò l’anima. Abbozzai un sorriso, incapace di rispondere.
“Che cosa mi hai fatto piccola streghetta dai capelli rossi?” domandò attorcigliandosi una ciocca dei miei capelli tra le dita. “Non faccio altro che pensarti”.
“Succede anche a me” risposi accarezzandogli il viso.
Ian socchiuse gli occhi e fece un respiro profondo, poi li incatenò ai miei “ti amo” disse senza distogliere lo sguardo.
Rimasi di sasso dallo stupore; mai mi sarei aspettata una confessione del genere da lui.
Gli afferrai il viso tra le mani mentre calde lacrime mi rigavano le guance “ti amo, stronzo” dissi ripensando a tutto quello che avevo passato a causa del suo carattere che tanto mi aveva attratto fin dal primo incontro.
Ian rise di gusto stringendomi a sé; ero una bambolina alla mercé di un gigante.
Inspirai a fondo, imprimendo il suo odore nella mia mente. Al mondo non c’era profumo migliore del suo.
“Hai fame? Vuoi fare colazione?” chiese. In quel momento ricordai... “che ore sono? Devo andare a lavoro!” mi alzai di colpo cercando di recuperare i vestiti sparsi in giro per la stanza.
Ian rise “torna qui, ci ho pensato io...”
“Come?” chiesi bloccandomi.
“Ho chiamato Chris poco fa, ti copre lui per oggi”.
“Ma come farà a...” non mi fece finire la frase.
“Ha detto che ci pensava lui, quindi fidati, no?”
Non avevo idea di come avrebbe fatto; non volevo nemmeno causargli problemi, così gli inviai un SMS.
“Come farai a coprirmi?”
Aspettai la risposta che arrivò velocemente.
“Dirò che sei a casa con un febbrone da cavallo, ovviamente io dovrò farti da infermiere per cui oggi me ne starò comodamente a casa tua”.
Sorrisi digitando un nuovo messaggio.
“Sicuro che non ti metterai nei guai?”
“Sta tranquilla, solo non farti vedere in giro per oggi, altrimenti salta tutto”.
“Ricevuto, grazie”.
“Mi devi un favore” rispose con un emoticon che faceva l’occhiolino.
“Tutto sistemato” dissi rivolgendomi a Ian.
“Ottimo. Ora torna qui” disse allargando le braccia.
Sorrisi gettandomi su di lui, che mi abbracciò stringendomi al suo petto.
Ero in paradiso; finalmente mi sentivo completa.

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Capitolo 20
*** racconti del passato ***


Ian mi riaccompagnò a casa a tarda sera. Era come svegliarsi da un bellissimo sogno. Avevamo passato tutta la mattina a letto, beandoci l’uno del calore dell’altro; poi, con mio grande stupore, mi aveva preparato il pranzo.
Faticavo ancora ad abituarmi a questo suo lato dolce e affettuoso, tanto da restarne affascinata come se fosse la prima volta.
Mi ero del tutto sbagliata nel giudicare il suo carattere. Si; era orgoglioso, sicuro di sé e anche possessivo, ma ormai avevo capito che questo suo modo di comportarsi era una corazza, una barriera che aveva eretto per proteggersi e non essere ferito da niente e nessuno. Quei pochi che però lo conoscevano bene e a cui lui concedeva la sua fiducia, sapevano che Ian era la persona più leale e sincera che potesse esistere, pronto a sacrificare tutto se stesso e con tanto amore da donare a chi lo avrebbe accettato sul serio.
Mi sentivo veramente fortunata ad aver ricevuto questo onore; perché in un solo giorno mi aveva trattata come nessuno mai. Si era dimostrato comprensivo, evitando di fare la benché minima pressione riguardo il mio passato.
Finalmente sentivo di potermi di nuovo lasciare andare e godermi tutto quello che mi ero persa fino a quel momento.
Quando andai verso il frigo trovai un post-it di Chris: “Domani non mi scappi. Voglio sapere tutto!”
Sospirai. Era inevitabile; in fondo gli dovevo un favore.
Il mattino seguente mi sentivo allegra e piena di energie; me ne andavo in giro per la casa saltellando e canticchiando mentre mi preparavo per andare a lavoro.
Mi appariva tutto più luminoso...
“Eccola” esclamò Chris vedendomi arrivare.
Istintivamente mi aprii in un gran sorriso, incapace di trattenere l’entusiasmo.
“Wow, sei radiosa... Ian ci sa proprio fare eh” osservò dandomi delle leggere gomitate sul braccio.
Io diventai paonazza ripensando a tutto quello che era successo il giorno prima.
“Sono così felice per te!” disse abbracciandomi “te lo meriti”.
“Grazie davvero Chris. Ancora non mi sembra vero”.
Parlammo per un bel po’ di tutto, sorridendo davanti allo stupore di Chris quando raccontavo di certi comportamenti di Ian.
“È lui” dissi mostrando il telefono “viene da me dopo il lavoro”.
“Non perdete tempo eh” disse con un sorrisetto.
Alzai le spalle. In realtà volevo raccontargli il motivo per cui avevo smesso di suonare, ma ero ancora un po’ indecisa.
Dovevo smetterla di pianificare; Ian mi aveva concesso tutto il tempo che mi serviva il che mi faceva sentire molto più tranquilla.
Quando suonò il campanello erano già le sette passate.
“Ciao” lo salutai sorridendo. Lui mi afferrò, sollevandomi, per poi darmi un bacio. “Tutto ok piccola?” chiese chiudendo la porta con il piede.
“Si...” incredibile come la mia loquacità andasse a quel paese quando ero con lui...
“Hai avuto problemi a lavoro?”
“No, Chris é stato molto convincente” risposi.
“Non avevo dubbi” sorrise. “Più tardi devo incontrare dei tizi... possibili chitarristi per la band...”
“Oh, capisco. Beh spero che ne troviate uno bravo al più presto”.
“Già”.
Ian era giù di morale, si notava subito. Questa storia di sostituire Katy non gli andava bene per niente.
“Non mi piace...” disse dando conferma ai miei pensieri.
“Si, posso immaginare” risposi sfiorandogli la mano; Ian mi sorrise “Il fatto é che sin dall’inizio siamo sempre stati insieme noi tre, Alan si é aggiunto dopo. Jeff e Katy li conosco da una vita...”
Ascoltai in silenzio. Finalmente Ian si stava aprendo con me raccontandomi della sua vita.
“Non sono nato in una famiglia normale...se così si può dire... Mia madre non é mai stata un buon esempio; si legava sempre a persone sbagliate, finendo sempre nello stesso modo, pestata e senza il becco di un quattrino”. Sospirò. “Forse perché era ancora una ragazzina quando é rimasta incinta... lei non ne parlava mai, solo quando era davvero sbronza tirava fuori la storia di come mio padre l’avesse violentata e di come dopo avesse scoperto di aspettare un bambino...” Mi coprii la bocca con le mani “Oh mio dio” sussurrai. Ricordavo quello che avevo provato quando quel tizio mi aveva intrappolata nel vicolo. E pensare che sua madre non era stata salvata da nessuno... “All’inizio abitavamo coi miei nonni; il vecchio era uno stronzo alcolizzato che non faceva altro che picchiare lei e mia nonna, lamentandosi del fatto che non c’erano abbastanza soldi. Mia madre mi portò via da quella casa quando avevo circa 4 anni.
Le cose non sono migliorate dopo; sono cresciuto con una sfilza di patrigni di passaggio, uno peggio dell’altro...”
I miei occhi si riempirono di lacrime... aveva avuto così tante difficoltà sin da quando era nato.
“Quello dei tempi delle medie non era tanto male però” continuò “mi pare si chiamasse Mark, é stato lui a insegnarmi a suonare la chitarra.
È stata la prima volta in cui ho provato davvero interesse per qualcosa. Così mi diedi da fare trovando un lavoretto part-time, e con i soldi che guadagnavo iniziai prima a prendere lezioni private e poi li usai per comprare una chitarra tutta mia. Ero davvero felice di avere finalmente un hobby capace di appassionarmi. Mi era sempre piaciuta la musica e l’ascoltavo ogni volta che ne avevo l’occasione, così iniziò a balenarmi per la testa l’idea di formare una band. Ne parlai con Jeff, che all’epoca suonava già la batteria. Ci riunivamo dopo le lezioni a casa sua per esercitarci. Katy si unì dopo... aveva una cotta per me, o per lo meno era quello che diceva Chris...” mi guardò di sottecchi abbozzando un ghigno. “così si convinse a prendere lezioni anche lei e a unirsi alla band”
“Quindi più che per la musica sta nel gruppo a causa tua...” non ero molto d’accordo.
“Forse all’inizio” rispose pensieroso “ ma credo che già da un po’ di tempo lei ami davvero molto quello che fa; in oltre noi siamo praticamente la sua famiglia...”
“Se così fosse adesso sarebbe qui e non vi metterebbe nei guai” obbiettai.
“Sento del risentimento in queste parole... non sei stata forse tu a dirmi di essere comprensivo con lei?” sghignazzò.
“Si, ma ormai é da un po’ che manca... non vi sta di certo rendendo le cose facili... Capisco che siete uniti da una forte amicizia, ma qui state mettendo a rischio il lavoro di una vita... certe occasioni non capitano due volte Ian. Ora siete conosciuti a livello locale, ma nulla vi impedisce di organizzare un tour per il Paese o magari incidere un disco... quindi dovete decidere per bene cosa fare...”
Avevo parlato col cuore in mano, perché ci tenevo alla band e al loro futuro.
Riguardo Katy, fin dalla prima volta avevo avuto l’impressione che facesse soltanto finta di essere dura, quando invece scappava via alla prima difficoltà o perché il ragazzo di cui era innamorata non la ricambiava.
Ian nel frattempo continuava a fissare un punto davanti a sé, lo sguardo perso chissà dove... sapeva che avevo ragione, ma faticava a elaborarlo.
Feci un gran respiro prima di parlare di nuovo.
“A proposito...”
“Si?”
“Credo che tu debba sapere perché ho reagito in quel modo l’altro giorno dopo le prove quando Alan ha detto di avermi sentita suonare...”
“Piccola non sei obbligata a raccontarmi tutto adesso solo perché io ti ho raccontato del mio passato...”
Lo interruppi “ma io sento di doverlo fare...” chiusi gli occhi e presi un altro lungo respiro, poi iniziai.
“Sono nata in una famiglia benestante... diciamo pure ricca... i miei genitori, per quanto possa definirli tali, non mi hanno mai fatto mancare nulla, tranne la cosa più importante di tutte, l’affetto. Non facevano altro che continuare le loro vite, ignorando me e qualsiasi cosa mi riguardasse. Ho chiamato mamma la mia tata... solo per farti capire quanto tempo passassero con me...” abbozzai un sorriso “con il tempo ho capito che quello non era il mondo a cui volevo appartenere. Li guardavo, solo per vedere ipocrisia e falsità. Molte volte mi sono chiesta perché avessero messo al mondo dei figli se poi non erano in grado di darci affetto. Poi ho capito che loro ci consideravano come degli oggetti, da mettere in mostra non appena se ne presentava l’occasione. In  pubblico dovevamo sempre apparire impeccabili, non era tollerato nessun tipo di errore.
Mia sorella maggiore, Josy, era l’unica in grado di farmi sentire amata. È stata lei a convincerli che farmi prendere lezioni di canto e di musica sarebbe stata una buona idea, così da potermi esporre come un trofeo e potersi vantare. Era la persona più buona che potesse esistere al mondo.  Non l’ho mai vista arrabbiata né tantomeno litigare con qualcuno. I miei ovviamente ne approfittavano, sapendola così ubbidiente...” Una lacrima mi rigò il volto. Ian l’asciugò con la punta delle dita.
“Josy mi comprò la mia prima chitarra... è il mio tesoro più grande... a 14 anni decisero che dovevo frequentare una prestigiosa scuola privata, che forse avrebbe smussato il mio carattere ribelle; così mi mandarono via di casa, liberandosi di un grosso problema. Tornavo solo per le vacanze e le pause estive”.
Ian mi guardava senza dire una parola; non riuscivo a decifrare la sua espressione.
“Fu durante le vacanze estive dei miei 16 anni che cambiarono un po’ di cose... odiavo sempre di più i miei genitori e il loro stupido mondo; non facevo altro che contraddirli e oppormi al loro modo di vivere”.
Raccontai delle serate trascorse nei locali a suonare e del mio primo incontro con Dean. Vidi Ian storcere il naso non appena lo nominai. Non lo conosceva ma già provava astio per quello che un tempo era stato il mio ragazzo.
“Dean é stato la mia ancora di salvezza” dissi “mi capiva, anche se veniva da una famiglia molto povera aveva avuto anche lui problemi con i suoi genitori che non approvavano quello che faceva. Se n’era andato di casa non appena compiuti 18 anni e non li aveva più rivisti. Mi appoggiava in tutto ciò che facevo e condivideva i miei sogni. L’idea di formare una band é stata sua... all’inizio lo aveva proposto per gioco, ma io ci credevo davvero. Così ci abbiamo provato. All’inizio non è stato facile, ma ci aiutavamo a vicenda. Lui era sempre gentile con me, si preoccupava... diciamo che é stato quasi automatico mettersi insieme. È stato il primo ragazzo che abbia mai amato...per me era tutto”. Feci un sorriso amaro mentre Ian stringeva i pugni, cercando di apparire il più calmo possibile.
“Pian piano le cose sono migliorate; abbiamo iniziato a fare dei concerti, la gente ci riconosceva. Dean era un chitarrista fantastico; quando saliva sul palco riusciva a incantare il pubblico irradiando ovunque il suo carisma.
È stata la stessa sensazione che mi hai dato tu quando ti ho visto suonare per la prima volta. Mi siete apparsi subito molto simili...”
“Ma davvero?” chiese alzando un sopracciglio.
“Egoista, egocentrico, sicuro di sé, possessivo...” elencai con le dita “ma tu sei diverso da lui; l’ho capito la sera della festa. Ho visto i tuoi occhi, eri davvero dispiaciuto per avermi ferita...”
Abbassò la testa, sfiorandomi le mani con le sue “ho ricordato mia madre e di come mi abbia avuto... mi sono sentito come quel verme che l’ha costretta a quelle sofferenze...”
“No, tu non sei minimamente come lui!” esclamai stringendole forte “Sapevo che non mi avresti mai fatto del male”.
Abbozzai un sorriso prima di continuare il racconto “A Dean non importava di ferirmi, ne ho avuto una prova quando hanno permesso alla nuova arrivata di avere voce in capitolo sui miei testi...”
Abbassai la testa fissandomi i piedi. Quello era il pezzo del racconto che più odiavo.
“Avevo più o meno 19 anni. Mi ero iscritta all’università, ma la frequentavo di rado. Nonostante i diverbi e le incomprensioni crescenti la band continuava ad esistere.
Non stavo attraversando però un periodo felice; Dean era sempre più distante, diventando via via più cattivo nei miei confronti. Non era più il ragazzo di cui mi ero innamorata. Mi vedeva più come un oggetto che possedeva, nient’altro. Ma non riuscivo a lasciarlo... forse perché dentro di me speravo che si trattasse solo di un breve periodo o perché non volevo avere altri problemi con la band...
Qualche mese dopo mia sorella Josy...” mi bloccai, incapace di continuare.
Ian mi prese tra le braccia cercando di confortarmi “ va bene così, non serve dirmi tutto adesso...” sussurrò.
“No, devi sapere... mia sorella non aveva mai obbiettato alle imposizioni dei miei genitori, anche se nessuno mai aveva capito quanto questo la facesse soffrire” singhiozzai “mi ha scritto una lettera...” ormai le lacrime scendevano copiose “prima di tagliarsi le vene...”
“Cazzo!” Ian era sconvolto da quella rivelazione.
“Solo dopo abbiamo scoperto che era malata e che ce lo aveva tenuto nascosto. Aveva un tumore al cervello... era solo questione di tempo prima che perdesse se stessa. Credo che se ne sia voluta andare mentre era ancora nel pieno delle sue facoltà mentali...” Abbozzai un sorriso triste “scusa, so che é una rivelazione un po’...” non mi lasciò finire.
“Non dirlo nemmeno” esclamò.
Mi aggrappai alla sua maglietta, stringendolo a me. Non volevo ricordare quello che avevo dovuto sopportare in quel periodo.
Piansi per un bel po’ prima di riuscire a riprendere il racconto.
“Dopo la morte di Josy lasciai perdere qualsiasi cosa, mi chiusi in me stessa. Ma nel mio essere egoista un po’ ero felice perché Dean sembrava essere tornato quello di un tempo. Mi riempiva di attenzioni e mi rassicurava riguardo alla band. Diceva di avere tutto sotto controllo; io mi fidavo.
Quando finalmente mi sentii pronta di tornare dalle persone che consideravo la mia famiglia a tutti gli effetti ebbi un’altra sonora batosta. Dean aveva definitivamente preso le redini del gruppo, escludendomi del tutto. Si erano pian piano appropriati della mia musica e di tutti i testi che avevo composto fino a quel momento. Ero stata così ingenua... Così li accusai di avermi esclusa, ma loro ovviamente diedero a me la colpa per avergli causato grossi problemi.
Il colpo finale lo ricevetti dallo stesso Dean in persona... Non avevo mai dato peso al fatto che da un po’ di tempo non mi invitasse più a casa sua... ero sconvolta per tutto quello che era successo, volevo vederlo; così andai senza avvertirlo, in fondo avevo ancora una copia delle sue chiavi.
Li trovai a letto insieme, lui e Shane... la pianista che tanto aveva voluto nella band... non riuscivo a crederci. Mi fissavano entrambi con un’espressione di scherno sul viso. Dean era glaciale mentre mi diceva che non mi aveva mai amata, ma che ci aveva provato con me solo per una soddisfazione personale... mi spezzò il cuore.”
Guardai Ian, il suo viso era rigido, mentre cercava di trattenere la rabbia. I suoi occhi bruciavano di odio verso quello che una volta era stato la persona più importante della mia vita. “Bastardo” tuonò a denti stretti.
“Decisi di abbandonare tutto, di allontanarmi il più possibile... ovviamente dovevo indirizzare il mio rancore verso qualcosa. Così diedi la colpa alla musica, che mi aveva portato via tutto... smisi di suonare e di cantare, buttai via tutto ciò che la riguardava, conservando solo quella chitarra che mi ricordava Josy.
La sera in cui ci siamo incontrati la prima volta ero lì perché Chris mi ha convinta a venire con l’inganno... ero nervosa, non sapevo come avrei reagito dopo così tanto tempo”.
“Sembravi in trance, come se fossi su un altro pianeta...” osservò lui sfiorandomi la guancia. “Allora non mi sono sbagliato... stavi davvero muovendo la mano come se stessi suonando una chitarra...”
“già... il mio corpo ha reagito istintivamente; sono andata via prima perché avevo troppe emozioni contrastanti. Ma quella sera, dopo tanti anni, la tua voce e la tua passione mi hanno spinta a suonare di nuovo. È stato grazie a te.” Gli regalai un gran sorriso. “Sei stato tu a renderlo possibile, senza nemmeno saperlo mi hai dato la forza per ricominciare...”
“Davvero?” era stupito, di certo non si aspettava questa confessione.
“Si” lo afferrai per la t-shirt e lo baciai.
“Allora sei sulla buona strada...” sussurrò.
Mi bloccai, allontanandomi “forse, ma non voglio suonare in pubblico. Non me la sento”.
“Ok, allora che ne diresti di un compromesso?” propose.
“Che tipo di compromesso?” chiesi dubbiosa.
“Vieni alle prove e prendi il posto di Katy solo per un po’, nel frattempo io continuerò a cercare un chitarrista come abbiamo stabilito; che ne pensi?”
“Ma avrai sempre lo stesso problema per i concerti” osservai.
“Beh, vedremo. Per il momento abbiamo preso una pausa; ho detto di avere un’infiammazione alla gola per cui niente esibizioni per adesso...” sorrise. Aveva pianificato tutto nei minimi dettagli.
“Non lo so...” risposi titubante. La cosa non mi convinceva poi molto. Potevo davvero tornare a tenere in mano uno strumento mentre altra gente mi stava a guardare? O meglio, volevo davvero tornare a far parte, seppur non ufficialmente, di un altro gruppo? Ero pronta a rivivere quelle sensazioni? Sarei stata bene o sarei sprofondata di nuovo nel baratro?
Ma in fondo provare non mi costava nulla; potevo interrompere in qualsiasi momento...
“Va bene, ci proverò” dissi guardandolo negli occhi. “Ma non ti assicuro nulla”
Ian si aprì in un gran sorriso, felice della sua vittoria.
Mi strinse al petto; era caldo, mi faceva sentire protetta e al sicuro.
“Accidenti, é tardissimo” disse poi guardando l’orologio. “devo andare...” mi guardò serio “starai bene da sola?”
“Tranquillo” sorrisi accarezzandogli il braccio. “Grazie di avermi raccontato del tuo passato” disse prima di darmi un lungo bacio. Abbozzò il solito ghigno soddisfatto quando lo attirai ancora una volta verso di me.
“Se continui così dovrò restare qui...”sussurrò.
Il mio corpo fu percorso da un brivido, ma seppur a malincuore, dovetti lasciarlo andare. “Vattene prima che cambi idea” e finsi di spingerlo via.
Lo accompagnai alla porta, salutandolo con la mano finché non sparì scendendo le scale.
Quindi ci stavo davvero riprovando... in fondo la musica aveva segnato la mia intera vita, e per uno strano scherzo del destino ero finita per innamorarmi di nuovo di un musicista.
Andai in camera a recuperare la mia chitarra. Se dovevo suonare con la band avrei fatto bene a imparare i testi delle loro canzoni come si deve; non volevo di certo sfigurare.
Così passai il resto della serata a strimpellare, godendomi quel senso di pace che non provavo ormai da molto tempo.
“Ehi Josy...” sussurrai “guardami”.
Sorrisi mentre calde lacrime mi rigavano il viso.

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Capitolo 21
*** amarsi un po' ***


La mia vita monotona e noiosa ormai era solo un vago ricordo. La mia intera esistenza era stata stravolta del tutto da quando avevo conosciuto quell’energumeno che adesso era il mio ragazzo.
Sembravano passati secoli dal nostro primo incontro, la sera del suo concerto, quando avevo giurato che mai mi sarei lasciata coinvolgere di nuovo da un tipo come lui. E invece eccomi a scendere le scale della sua cantina, pronta a riprendere in mano uno strumento. Che cosa sarebbe successo? Era una domanda alla quale non ero riuscita a dare una risposta. Sapevo soltanto che l’inquietudine che provavo non era solo dovuta alla paura, ma anche all’impazienza. Quindi non era una cosa del tutto negativa.
“Ehilà” mi salutò Alan vedendomi arrivare. Quel giorno era stranamente allegro. Jeff invece mi lanciò solo uno sguardo veloce, facendo un cenno con la testa. Era chiaro che la delusione non gli era ancora passata; ma adesso c’era anche un misto di imbarazzo e soggezione. Forse Ian gli aveva detto qualcos’altro? Ne dubitavo, e comunque io non ne ero al corrente...
“Ciao ragazzi” dissi abbozzando un sorriso.
Ian strinse la mia mano e si mise al centro della stanza in modo tate da avere gli altri due membri della band di fronte.
“Bene, ora che ci siamo tutti vorrei proporvi un’idea... qualche giorno fa ho chiesto a Megan di aiutarci dato che non abbiamo ancora trovato un altro chitarrista.”
Entrambi i ragazzi mi guardarono sorpresi.
“Hai cambiato idea?” chiese Alan entusiasta.
“Diciamo di si” risposi stringendomi nelle spalle.
“Si, ecco ha accettato solo per quanto riguarda le prove... così noi non smetteremo di esercitarci anche se per adesso i concerti sono annullati. Sapete tutti che mi sono inventato la balla di avere un’infiammazione alla gola. Questo ci farà guadagnare un po’ di tempo per cercare un sostituto di Katy. Voi che ne dite?” li guardò entrambi uno ad uno.
“Per me é assolutamente si” esclamò Alan entusiasta.
“Jeff?” Ian alzò un sopracciglio fissandolo.
“Beh, direi di fare una prova e poi darò una risposta”
“Ci sto” risposi decisa. Guardai Ian che sembrava avere un’espressione cupa sul volto.
“Tutto bene?” chiesi sfiorandogli un braccio.
“Si, è solo che mi infastidisce un po’ che sia stato Alan il primo a sentirti suonare”. Mise il broncio così come avrebbe fatto un bambino. Non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere.
“Sei così adorabile” dissi abbracciandolo mentre ancora ero scossa dalle risate.
“Ehi donna” esclamò “non prenderti gioco di me o te ne pentirai” ; ma anche la sua espressione era divertita.
Dopo qualche minuto era tutto pronto... ci sistemammo ognuno al proprio posto e mentre gli altri iniziavano a riscaldarsi, vidi la mia stessa mano tremare poco prima di impugnare la chitarra. Chiusi gli occhi e feci un lungo respiro. Quando li riaprì notai Ian fissarmi mentre mi chiedeva se ero pronta. Feci cenno di si... Jeff diede il tempo e le mie dita, quasi come ad avere vita propria, pizzicarono le corde della chitarra. Il suono degli altri strumenti mi inondò; e via via che il ritmo aumentava mi sentivo pervadere da un calore da tempo dimenticato.  
Le paure sparirono di colpo, così come i dubbi e le insicurezze che da molto tempo mi trascinavo dietro in un fardello che mi aveva quasi schiacciata. Ero di nuovo io!
Chiusi gli occhi, lasciando che la calda voce di Ian mi guidasse. Sentivo le note scorrere lungo tutto il mio corpo come fossero pura elettricità. Più andavamo avanti e più riprendevo dimestichezza nel tenere il tempo con gli altri strumenti. I ragazzi se ne accorsero, iniziando anche loro ad aumentare il ritmo. Jeff batteva sulla batteria come un forsennato, raramente l’avevo visto così preso, mentre Alan, stranamente, non mostrava più quella sua solita espressione vuota e distante, ma al contrario si notava quanto fosse concentrato.
Ian cantava con una passionalità stravolgente, era come se con quel suo modo di fare mi esprimesse tutto il suo amore. Mi guardava, penetrandomi con quel suo sguardo di ghiaccio in grado di sciogliermi.
“WOW” urlò Jeff appena dopo aver fatto l’ultimo passaggio di batteria. “È stato incredibile!”
“Grande” sorrise Alan dandomi il cinque.
Sorrisi, girandomi verso il mio ragazzo.
Stranamente non aveva ancora detto una parola.
“Allora?” chiesi incuriosita.
Lui continuò a non parlare; si avvicinò soltanto, prendendo il mio viso tra le mani prima di darmi un lungo ed appassionato bacio.
I suoi occhi bruciavano di una luce diversa dal solito, come se mi stesse vedendo per la prima volta.
“Continui a stupirmi” sussurrò.
“Perché non ci canti qualcosa?” propose Alan interrompendoci.
“Si, facci sentire una tua canzone” si unì Jeff.
“Va bene...” risposi. Il più ormai era fatto del resto.
Afferrai nuovamente la chitarra mentre gli altri andavano a sedersi di fronte a me.
“Che pubblico modesto...” sussurrai al microfono strappando un sorriso a tutti.
“Ma... vi prometto che sarà indimenticabile...” feci l’occhiolino in direzione di Ian. Lui ghignò leccandosi le labbra.
La musica che avevo scritto era rude e grezza, così come era il mio animo nel momento in cui l’avevo composta. La chitarra elettrica tuonò e sembrò far tremare le intere fondamenta. Il suono sembrava un fiume in piena mentre poggiavo la bocca sul microfono.
“Ho incontrato i tuoi occhi in una notte infuocata;
il tuo sguardo di ghiaccio mi ha bruciata;
vorrei stare con te, ma tu sei lontano anni luce.
Voglio un tuo bacio. Mi senti?
Ma ho paura di farmi male.
Tienimi stretta, e non lasciarmi andare...”
Cantai con il cuore, come non avevo mai fatto prima; perché in quella canzone avevo riversato tutto ciò che Ian mi aveva fatto provare dal primo momento in cui i miei occhi si erano incrociati con i suoi: paura, attrazione, indecisione, dubbio; e poi rabbia, frustrazione e infine gratitudine e ... amore.
Aprii gli occhi nel momento in cui suonai l’ultima nota.
Se ne stavano tutti in silenzio, ognuno con un’espressione diversa.
Jeff stupefatta, Alan compiaciuta, Ian... indecifrabile.
“Lo so, va un po’ oltre il vostro genere; é proprio Heavy Metal... ma si può arrangiare benissimo in base al vostro stile.
“Invece é bella proprio perché ha questo sound” rispose Ian.
“Assomiglia a qualcosa... un genere di una qualche band...” Jeff aveva pensato ad alta voce.
Iniziai a sudare freddo. Per quanto avessi dato vita ai miei sentimenti, ero io che avevo scritto le canzoni del mio vecchio gruppo, quindi era chiaro che anche questa avesse una melodia simile.
“Dici? Non saprei...” borbottai cercando di cambiare argomento.
Ma a Ian questo mio tentativo non sfuggì; mi fissò alzando un sopracciglio, ma rimase in silenzio.
La tensione che provavo si allentò quando Alan propose di continuare con le prove, ricevendo l’approvazione di tutti.
Qualche ora più tardi mi sentivo le dita intorpidite e le braccia stanche.
“Direi che può bastare per oggi” disse Ian. Lo ringraziai mentalmente.
“Siamo stati grandi” osservò Jeff entusiasta. Il suo imbarazzo iniziale sembrava essersi disciolto.
Continuarono a parlare senza interruzione sia sulle scale che lungo il corridoio. Più li osservavo e più iniziavo a voler bene a questo strambo gruppo che mi stava intorno.
“Ci vediamo ragazzi” li salutai accompagnandoli alla porta. Ian teneva il suo grosso braccio sulle mie spalle.
Entrambi si voltarono abbozzando un sorriso; fu impercettibile, ma sul viso di Jeff  mi sembrò di notare un velo di tristezza. Che l’avessi soltanto immaginato?
Non ebbi il tempo di rifletterci a lungo perché Ian mi afferrò da dietro, abbracciandomi. Mi copriva completamente con il suo metro e novanta di altezza e la sua stazza muscolosa. “ é andata bene” disse appoggiando il mento sulla mia testa.
“Direi proprio di si”.
“Pensavo...” iniziò.
“Si?” mi aveva incuriosita.
“Devo portarti il prima possibile a fare shopping” continuò serio.
“Eh?” mi girai di colpo sbattendo il naso contro il suo petto duro come il marmo. Sollevai la testa, cercando di guardarlo in faccia “Perché?”
Lui abbassò il viso in un’espressione dolce “ così avrai dei cambi quando resterai qui a dormire senza dover tornare a casa”.
Rimasi stupita. Con quanta facilità riusciva a dire una cosa del genere?!
“Va bene” balbettai incapace di aggiungere altro.
Ero io o stavamo facendo dei passi in avanti nella nostra relazione? Insomma non era una convivenza vera e propria ma ci si avvicinava parecchio. Ed era stato lui a proporla. Non negavo che la cosa mi facesse immensamente piacere.
“Ottimo. Domani é sabato, sei libera, giusto?” feci cenno di si e lui sorrise “allora é deciso”.
Lo abbracciai, beandomi di quel dolce tepore che riusciva a scaldarmi l’anima. Non avrei mai ringraziato abbastanza per averlo nella mia vita.
“Ora... che ne dici se ti porto a letto?” non aspettò nemmeno che rispondessi, ma in fondo non ce n’era bisogno. La dolcezza di prima aveva lasciato il posto alla lussuria, glielo si vedeva chiaramente in faccia. Quella sua espressione da animale selvatico mi faceva rabbrividire tutte le volte. Mi abbassò la spallina lasciando una scia infuocata di baci lungo tutto il mio collo.
Come diamine ci riusciva? Era davvero un maestro nel sedurre. Improvvisamente mi incupii. Era ovvio che fosse bravo, a differenza mia aveva avuto centinaia di donne nel corso degli anni...
“Che succede?” chiese fermandosi.
“Pensavo... che hai molta esperienza... avrai perso il conto delle donne con cui sei andato a letto” biascicai.
“Piccola... se potessi le cancellerei tutte” rispose serio “ma non posso... se avessi saputo che avrei avuto la fortuna di stare con te avrei evitato” era davvero dispiaciuto.
“Lo so, in fondo non potevi sapere cosa sarebbe successo o come sarebbe andata tra noi”
“Posso assicurarti però che sei l’unica per cui abbia mai provato qualcosa”.
Sorrisi. Sapevo già che era così.
“A volte ho paura che il mio caratteraccio ti possa far scappare via” confessò “non lo sopporterei”.
Lo strinsi a me. Dio, quanto lo amavo! Lo baciai, prima delicatamente, poi con sempre più intensità; aggrappandomi alle sue spalle mi sentii mancare la terra sotto i piedi quando mi sollevò per portarmi in camera.
Quella notte fu più dolce che mai mentre mi spogliava con meticolosità. Era come se mi stesse analizzando per memorizzare ogni minimo dettaglio che mi riguardasse.
Accarezzai la sua schiena muscolosa, godendomi quel calore che aumentava sempre di più.
Poi di colpo le mie dita si bloccarono. “Che cos’hai qui?” chiesi cercando di guardare.
“Non é nulla...” borbottò.
“Dimmelo” insistetti.
Ian sospirò contro il mio collo, solleticandomi la pelle con le labbra.
“Ti ho già raccontato di non aver avuto un’infanzia facile. Gli uomini di mia madre non erano delle belle persone... avevo intorno ai 16 anni quando il coglione di turno, durante una delle sue sbronze colossali, ha afferrato un coltello cercando di colpire mia madre... ero piccolo, ma ero già più alto e grosso di lei; così mi sono messo in mezzo per proteggerla, ed ecco qui. 20 punti e tre settimane in ospedale”.
Le lacrime iniziarono a rigarmi il viso “potevi morire...”sussurrai.
“Naaa, ho la pelle dura”.
Lo abbracciai forte prima di baciare lì dove la lama aveva lacerato la carne.
“Non so che farei se ti succedesse qualcosa” dissi guardandolo.
Ian abbozzò un tenero sorriso “non mi succederà nulla piccola, te lo prometto”.
E ricominciammo da dove ci eravamo interrotti.
Quella notte non riuscì a dormire bene; continuavo a fare uno strano sogno.
Scappavo urlando da qualcuno, poi inciampavo, ma le braccia di Ian mi afferravano. Gli sorridevo, ma il suo sguardo era vuoto, assente. Lo vedevo accasciarsi al suolo. Cercavo di scuoterlo, ma non rispondeva... mi fissavo le mani, ricoperte di sangue prima di urlare in preda al terrore...
Aprii gli occhi; il respiro affannato.  Mi guardai intorno per un attimo, realizzando che mi trovavo a casa di Ian.
Lui dormiva beato accanto a me, un suo braccio era intorno alla mia vita, quasi schiacciandomi, ma non mi importava. Sorrisi teneramente osservandolo. Quando dormiva il suo viso era completamente rilassato... non c’era nessuna traccia di quella espressione da duro che assumeva sempre.
Era davvero bello ed era tutto mio... Quel corpo massiccio che da solo occupava interamente la metà del letto, in realtà nascondeva un animo gentile. Se ripensavo a quanto fosse stato rude con me all’inizio... Avevo pensato che fosse la persona più odiosa del mondo. Accarezzai la sua schiena dal basso verso l’alto, fino ad arrivare al viso. Percorsi leggermente le palpebre, il naso e il profilo delle labbra; per un momento ripensai che anche lui l’aveva fatto con me quando pensava che dormissi.
La sua mano mi bloccò di colpo; poi spalancò gli occhi inchiodandomi con quel suo sguardo di ghiaccio.
Senza rendermene conto mi tirò a se, facendomi ruotare e ritrovandomi sotto di lui. Il suo intero corpo mi sovrastava, mentre le grosse braccia muscolose facevano leva sul materasso affinché non mi schiacciasse. I lunghi capelli di Ian scendevano morbidi e delicati come una cascata ai lati delle spalle, chiudendomi la visuale. Era come se ci fosse una tenda che separava noi dal resto del mondo.
Era così sexy... istintivamente sentii le mie guance diventare rosse.
“a cosa stai pensando piccola donna perversa?” chiese accorgendosene e iniziando a farmi il solletico.
Quel ghigno di sfida sul suo viso lasciava intendere che non avrebbe ceduto.
Io non facevo altro che ridere e contorcermi mentre gli urlavo di smetterla.
“Ok, ok te lo dico!”
Si interruppe di colpo aspettando una mia risposta.
“Ecco, pensavo a quanto fossi eccitante...” ero rossa come un peperone, tuttavia sostenni il suo sguardo.
“Mai quanto te”
Era strano, ma avevo la sensazione di conoscerlo da sempre, come se ci fossimo già incontrati... con lui mi sentivo in pace.
“Dovremmo alzarci” sussurrai qualche ora dopo accoccolandomi ancora di più al suo petto caldo. Ero consapevole che le mie parole erano in contrasto con i miei gesti.
“Più facile a dirsi che a farsi...” rispose mentre giocava con una ciocca dei miei capelli.
Sorrisi e seppur a malincuore mi allontanai da lui.
Forse era meglio se facevo io la doccia per prima, in fondo era quella a cui serviva più tempo per prepararsi. Ma come al solito Ian riusciva a sorprendermi sempre.
Avevo appena iniziato a insaponarmi quando la porta della doccia si aprì “Così risparmiamo tempo” ghignò lasciando che l’acqua gli scivolasse addosso.
Non riuscivo a muovermi, il mio cervello era del tutto fuori controllo. Lo guardavo prendere il bagnoschiuma e iniziare a lavarsi, ma era come se vedessi la scena di un film...
Ian non badò al mio stato di shock, anzi mi attirò a sé, prima di inginocchiarsi e iniziare a leccare intorno al mio ombelico e poi sempre più giù. Gli afferrai i capelli, stringendoli nella mano; non sapevo se gli stessi facendo male, ma non riuscivo a controllarmi, era come se fossi in preda a degli spasmi...
Lui non se ne curò, anzi aumentò il ritmo fin quando non  sentii le mie gambe cedere...
Ghignò, pieno di soddisfazione mentre mi aiutava a finire di lavarmi.
Un’ora e mezza dopo eravamo finalmente pronti per la nostra giornata di shopping.
Pensandoci bene non avevo mai chiesto a Ian cosa facesse per vivere. Chris mi aveva detto che era nel commercio, ma non sapevo cosa nello specifico.
“Ian” dissi mentre mi infilavo le scarpe “ma che lavoro fai di preciso?”
“Hai presente il negozio di dischi dove lavora Jeff?” chiese.
“Si, lo conosco”
“Beh, quello é mio” disse con non-chalance.
“Cosa? Davvero?” ero incredula.
“Si. In oltre a parte dischi vendiamo anche strumenti musicali, pezzi di ricambio... trattiamo anche merce usata; l’anno scorso abbiamo deciso di affittare il locale accanto e ampliarci vendendo videogiochi e consolle. È stato un successo”.
“Capisco...”
“Sta tranquilla, i soldi non mi mancano se è questo che ti preoccupa” scherzò.
“Ero solo curiosa” risposi alzando le spalle con tranquillità.
“A proposito di questo...” iniziò “casa tua é in un quartiere da ricconi, con il tuo stipendio arrivi a mala pena a pagare l’affitto...”
Sapevo dove voleva arrivare...
“Si, ecco... mia sorella Josy... lei era a capo di una grossa azienda. Quando é morta é venuto fuori che aveva lasciato tutti i suoi beni a me, comprese varie azioni che fruttano un bel po’....per cui posso permettermi il mio appartamento senza nessun tipo di problema. Sapeva che non avrei mai accettato di lavorare per mio padre, né tanto meno di accettare i suoi soldi. volevo essere indipendente, ma questo la preoccupava... Aveva paura che non potessi vivere per sempre seguendo il sogno di essere una musicista così mi ha creato un’assicurazione, se così si può dire”
Abbassai la testa. Avrei dato via ogni singolo centesimo pur di riavere indietro mia sorella; ma sapevo che non era possibile...
“Ha pensato proprio a tutto eh” dissi cercando di sorridere.
Ian mi strinse a sé senza dire una parola, non ce n’era bisogno. In quel momento le sue braccia furono in grado di evitare che il dolore mi lacerasse completamente.
“Basta con queste storie tristi” esclamai subito dopo “sappi mio caro che hai commesso un gravissimo errore a propormi questa giornata di shopping”.
“Si, comincio a capirlo...credo di essermi cacciato in un gigantesco guaio...”
“Peggio per te. Su, andiamo” lo trascinai fuori fingendo di non aver notato il suo sorriso. Era sollevato del fatto che avessi messo da parte i cattivi pensieri. Non immaginava nemmeno che la maggior parte del merito fosse suo.
Il centro commerciale non era molto distante, avremmo anche potuto raggiungerlo a piedi e fare una bella passeggiata, ma avevo bisogno di parecchie cose se davvero dovevo restare a casa di Ian.
Mentre camminavamo guardando le vetrine e chiacchierando cercavo di non dar peso alle occhiate che ci lanciavano i passanti.
Chissà come apparivamo agli occhi degli altri. Un gigante vestito interamente di pelle, con l’espressione da duro, i capelli scuri lunghi fino alla schiena e due occhi capaci di incenerire con un solo sguardo che teneva per mano quella che al suo fianco appariva come un folletto dai capelli rossi.
Guardavo le nostre dita intrecciate, sorridendo come un’ebete, mentre nell’altra mano Ian trasportava qualsiasi cosa io decidessi di comprare.
“Perché sei voluto entrare?” chiesi poco dopo. Eravamo nel negozio di intimo ed io ero rossa dalla testa ai piedi.
“Beh, non mi dispiace dare un’occhiatina a cosa scegli” il suo ghigno arrogante mi faceva capire che nonostante stessimo insieme non aveva perso il vizio di imbarazzarmi e di prendermi in giro.
“Stronzo” borbottai fingendomi offesa.
“È questo che ti piace di me...”
Feci finta di non sentire mentre mi guardavo intorno. Non volevo scegliere qualcosa di troppo vistoso; volevo essere provocante, ma in modo naturale.
Ovviamente Ian non si lasciò sfuggire l’occasione e chiese alla commessa il completino più sexy che avessero. Si misero pure a discutere sul colore, come se fosse la cosa più normale al mondo.
“Non metterò mai quella roba” mi impuntai dopo essere usciti dal negozio.
“Non l’hai nemmeno vista” replicò.
“L’hai scelta tu, il che mi basta. Razza di pervertito”.
Si abbassò per arrivare alla mia altezza prima di sussurrarmi qualcosa all’orecchio “questo tuo modo di essere pudica mi arrapa ancora di più...” e mi mordicchiò il lobo.
Il mio corpo reagì nella frazione di un secondo; un calore scaturì dal basso ventre per poi esplodere dappertutto. lo desideravo con ogni fibra del mio essere. In quell’istante fu come tornare indietro nel tempo, a quando mi punzecchiava per provocarmi. Ero felice che questo suo aspetto, nonostante la dolcezza che mi dimostrava, fosse sempre presente.
Questa volta avrei risposto alla sua provocazione; e con suo grande stupore lo avvicinai a me afferrandolo per il giubbotto e costringendolo ad abbassarsi; poi in punta di piedi lo baciai, incurante della gente che ci osservava chi sghignazzando e chi borbottando.
Quando finalmente lo lasciai andare Ian aveva le fiamme negli occhi “lo shopping finisce qui” sussurrò con voce roca.
Abbozzai un mezzo sorriso, vittoriosa; mentre mi trascinava via.
“Sei troppo lenta!” osservò quando arrivammo nel parcheggio e senza darmi il tempo di reagire mi circondò la vita con un braccio prima di caricarmi sulla spalla come fossi un sacco di patate.
“Ian. Riesco ancora a camminare da sola!” tuonai.
“Sta ferma o finirai col sedere per terra” disse ridendo.
“Sei un sadico” borbottai smettendo di lottare.
“Non immagini quanto...” sussurrò ghignando. Chissà cosa mi aspettava una volta tornati a casa...
A volte dimenticavo il suo carattere impetuoso e istintivo; eppure era proprio quando abbassavo la guardia che quel suo modo di essere rispuntava fuori.
Finalmente mi stavo godendo un po’ di felicità... dopo tutto il tempo passato da sola mi risultava quasi surreale sapere di poter contare su di un’altra persona.
Come avevo fatto a resistergli così a lungo? Non riuscivo a trovare una risposta; sapevo soltanto che niente e nessuno me lo avrebbero mai portato via.

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Capitolo 22
*** alleanza ***


Tra il lavoro, Ian, e le prove della band ormai non avevo più un attimo di respiro. Passavo più tempo a casa del mio ragazzo che nella mia, ma mi andava benissimo così.
Avevo raggiunto uno stadio di tranquillità che mi faceva essere più allegra che mai.
Finalmente stavo tornando quella di un tempo; la ragazza sfrontata che non aveva paura di niente e nessuno.
Suonare con il gruppo di Ian mi aveva fatto capire che bastava trovare un punto di incontro ed essere collaborativi per far funzionare le cose.
La mia esperienza passata, invece, mi aveva insegnato tutt’altro, dandomi un cattivo esempio. All’inizio io, Dean e gli altri ragazzi eravamo sempre sulla stessa lunghezza d’onda, ma poi le cose erano precipitate. Il colpo di grazia l’avevamo ricevuto con l’entrata nel gruppo di Shane.
Era brava, non lo avevo mai messo in dubbio; ma non era la mia prima scelta tra gli altri candidati. Tuttavia la maggioranza aveva votato per lei, quindi mi ero dovuta adattare. Il suo carattere e i suoi modi però non mi erano mai andati a genio.
Voleva sempre essere un passo avanti agli altri; era arrogante e prepotente, soprattutto nei miei confronti. Cercava sempre di mettersi in luce sminuendo me. Non per ultimo mi ero accorta fin da subito che aveva messo gli occhi sul mio ragazzo comportandosi da gatta morta. Era una persona normalissima, di aspetto comune, ma i suoi modi e i suoi atteggiamenti, nonché il suo modo di vestire, facevano si che gli uomini le andassero dietro.
Credevo che Dean avesse più cervello; forse era stato questo il mio problema, l’avevo idealizzato troppo. Nel momento in cui si era rivelato per quello che era realmente, il mio mondo si era sgretolato, era andato in frantumi, gettandomi nel panico più totale.
Ma questi tre ragazzi erano fuori dal comune. Erano legati tra loro da qualcosa di più del semplice amore per la musica; erano uniti da un’amicizia profonda che durava da anni. Nessuno di loro sarebbe mai stato in grado di tradire gli altri.
Perfino Alan, che sembrava privo di una qualsivoglia emozione, adesso dimostrava un amore e una passione sconsiderata per quello che faceva.
L’unica nota dolente era Katy. Ormai tutti erano preoccupati per lei. Non si era più fatta viva da quando aveva discusso con Ian.
“Merda!” tuonò una sera gettando il telefono sul letto “perché non risponde!”
Vederlo così preoccupato mi tormentava. Sapevo bene che la considerava come una sorella e se ne sentiva responsabile; ma cosa avrei potuto fare per smuoverla affinché si rifacesse viva?
Ci rimuginai su per tutta la notte; poi ebbi un’idea. Non ero certa che avrebbe funzionato, ma dovevo fare almeno un tentativo.
“Mi serve il tuo aiuto” dissi rivolta a Chris la mattina dopo.
“Sono tutto orecchi” rispose avvicinando la sua poltrona alla mia. Era davvero incuriosito.
“Tu hai il numero di Katy, giusto?”
“Beh si, in fondo la conosco dal liceo. Che ci vuoi fare?” adesso era confuso.
“Io nulla... tu piuttosto dovresti chiamarla, e tra una chiacchiera e l’altra buttare lì che è stata sostituita senza troppi fronzoli; che gli altri hanno cercato di contattarla soltanto per metterla al corrente...”
“Ah, capisco. Vuoi provocarla...” osservò compiaciuto.
“Esattamente! Se ho capito il suo carattere questa cosa la manderà in bestia e tornerà per dirne quattro a tutti”.
“Non male ragazza... Devo ricordarmi che non è un bene averti come nemica...”
Feci mezzo sorriso, fiera di me.
“Dio mio...”
“Cosa?” chiesi incuriosita.
“Hai appena fatto un ghigno diabolico alla Ian”
“Ma di che parli?” lo presi in giro dandogli una gomitata. “Mi raccomando però, non dirle niente di noi due...”
“Vuoi tenerglielo nascosto? Perché?” Chris non ne capiva il motivo.
“Saperlo così potrebbe ferirla e farle decidere di non farsi viva. È meglio farglielo sapere una volta tornata, anche perché ho intenzione di farmi una bella chiacchierata con Katy”. Era il momento di affrontarla faccia a faccia.
“Allora terrò la bocca chiusa riguardo voi due piccioncini...”
“Te ne sono grata...”
Decidemmo di chiamarla durante la pausa pranzo, così da usare la scusa di dover tornare a lavoro se la situazione fosse degenerata. Io mi sistemai in un angolino, in silenzio.
Dopo molteplici squilli finalmente rispose.
“Ehilà Kat” la salutò allegro come sempre, mentre inseriva il vivavoce.
“Chris... ti hanno costretto loro a chiamarmi?” la voce di Katy era bassa e la faceva sembrare ancora più cupa.
“Se ti riferisci ai membri della tua ex band, no, ti sbagli”.
Certo che era proprio un attore nato; riusciva a mantenere la calma benissimo. Chiunque gli avrebbe creduto.
“Ex band?” ripeté lei alzando un po’ la voce. Iniziava ad agitarsi.
“Già. So che i ragazzi hanno provato a contattarti molte volte, ma dato che non hai mai risposto ho deciso di fare un tentativo. Adesso loro sono molto impegnati con le prove; ci stanno dando dentro e la nuova chitarrista ha avuto subito successo. Al pubblico piace molto...”
“Cosa? Nuova chitarrista?” rispose alzando ancora di più la voce. “Che cazzo di storia é questa?”
“Ne sei così sorpresa? Si, avete cominciato insieme, ma davvero pensavi che avrebbero permesso che la band si sciogliesse? Che Ian e gli altri ragazzi si arrendessero? Hanno dovuto adeguarsi, e devo dire che vanno forte...”
“Chi? Chi è questa tizia che ha preso il mio posto?”
Sapeva che i membri del gruppo erano molto esigenti, e che quindi non avrebbero mai accettato il primo che capitava; per cui la rabbia adesso iniziava a lasciare il posto alla paura.
“La conosci” continuò Chris “è la mia amica, Megan; l’hai vista alla mia festa di compleanno...”
“Quella tipa? Quella che sembra una cagna in calore?”
Alzai un sopracciglio, leggermente irritata.
“Occhio a come parli Katy... Megan è una mia collega e cara amica. In più ha risolto i problemi che tu hai causato al gruppo, sostituendoti in quattro e quattr’otto”.
“Scommetto che Ian se l’è fatta, o Jeff... o magari perfino Alan; anche lui sembrava incuriosito quando l’ha conosciuta... sbavavano tutti per la stronza”.
“Anche se così fosse sai bene che i ragazzi non farebbero mai entrare qualcuno nella band se non é un bravo musicista. Io volevo solo avvertirti per evitarti una delusione quando tornerai. Ora devo tornare a lavoro, la mia pausa é finita. Stammi bene Kat” e riattaccò senza darle il tempo di ribattere.
“Sei stato grande!” urlai saltellando.
Chris sorrise. “Non mi stupirei se facesse irruzione a casa di Ian stasera stessa” rispose pensieroso.
“Spero proprio di no”.
Il resto della giornata passò veloce, non facevo altro che pensare a come avrei dovuto affrontarla, a cosa avrei dovuto dirle...
“Sei un po’ distratta o sbaglio?” mi chiese Ian quella sera mentre prendeva una birra dal frigo.
“Dici?”
“Non hai quasi spiccicato parola da quando sei tornata” disse.
“Non è nulla, solo un po’ di lavoro arretrato”.
“Ah si” si diresse verso di me avvicinando la mano alla mia bocca “assaggia”.
Presi quello che mi porgeva leccandogli involontariamente il dito. “ Mmmm, che buono!”
Ian mi fu addosso in meno di un secondo, baciandomi in modo brusco.
“Qualcosa brucia...” sussurrai ansimando.
“Merda!” esclamò andando a spegnere i fornelli.
Sorrisi. Era surreale vedere quell’omone con addosso solo i pantaloni di pelle preparare la cena.
Un’ora più tardi ero soddisfatta di essermi riempita la pancia. “Era tutto squisito” esclamai.
“Domani tocca a te” disse guardandomi truce.
“Eh? Ma io non so cucinare!” esclamai imbronciandomi.
“Ragione in più per provare, altrimenti non imparerai mai”.
“Da quando sei così saggio” borbottai.
“Sempre stato, ragazzina” ghignò vittorioso mentre gli facevo una linguaccia.
Ad occhi esterni questa strana convivenza sarebbe potuta apparire precipitosa, ma io mi ero sentita sin da subito a mio agio, come se l’avessimo fatto da sempre.
Non dissi nulla del piano che avevo architettato con l’aiuto di Chris; chissà perché, ma avevo la sensazione che presto ci sarebbe stata una svolta.
Provai anche a mettermi nei panni di Katy; non sapevo cosa si provasse ad amare una persona per tanti anni senza essere ricambiata... non avrei mai resistito tanto quanto lei, non era nel mio essere.
Di certo aveva sofferto molto, erano vicini ma allo stesso tempo lontanissimi. Era costretta a vederlo passare da una donna all’altra senza poter avanzare nessuna pretesa. Era chiaro che fosse un tormento.
Erano passati già due giorni dalla telefonata, ma di Katy nemmeno l’ombra. Forse il mio piano non era infallibile come pensavo...
Quel pomeriggio anche Chris si unì a noi per le prove; era curioso di sentirci suonare insieme.
Aveva le lacrime agli occhi mentre mi guardava impugnare la chitarra... sembrava mamma chioccia coi suoi pulcini.
Eravamo tutti troppo presi per renderci conto che qualcuno ci osservava dalle scale.
Fu Jeff a vederla per primo.
“Katy!” urlò gettando in aria le bacchette e alzandosi.
Tutti ci fermammo per guardare in quella direzione.
Lei era immobile, le labbra serrate, lo sguardo serio; mentre le dita stringevano il corrimano di legno. Erano così rigide che sembrava volessero spezzarlo.
Finalmente... la resa dei conti.
“Che cazzo ci fa quella qui?” sputò fuori incenerendomi con lo sguardo mentre si avvicinava a grandi falcate.
Ian mi fece subito scudo col suo corpo, posizionandosi davanti a me e togliendomi la visuale.
“Sta calma Katy” le disse con tono serio. “Megan non c’entra nulla”.
“Lo sapevo... te la sbatti!”
Ian fece per ribattere, ma lo bloccai prima che potesse dire qualcosa di troppo spiacevole. Si girò a guardarmi confuso mentre poggiavo la mano sul suo braccio facendomi avanti. “Basta così Ian, credo che tocchi a me parlare adesso”.
Il mio sguardo vagò su tutti gli altri. “Potreste lasciarci sole?”
“Nemmeno per sogno” rispose svelto Ian.
“Invece lo pretendo” ribattei fissandolo innervosita. “Aspettate di sopra... tutti” sottolineai.
Lentamente salirono uno ad uno le scale; solo Ian esitava. Alzai un sopracciglio facendo un cenno con la testa indicando il piano di sopra. Aspettò ancora, prima di, a malincuore, raggiungere gli altri.
Il mio sguardo tornò su Katy che appariva confusa e ferita.
“Non ho mai detto nulla di male su di te; per quanto ti conosca poco, ti ho sempre rispettata e apprezzata come musicista. Ma non posso accettare che tu mi manchi di rispetto”.
Mi guardò stringendo i denti.
“So che in questo momento vorresti vedermi morta...”
“Hai proprio ragione” mi interruppe.
“...ma non puoi dare la colpa a me per averti sostituita. Sai in che guaio li hai cacciati? E soprattutto sai quanto si siano preoccupati per te?”
“Non mi sono sembrati tanto in pena...”
“Invece si. Hanno dovuto annullare tutti i concerti; da quando sei sparita hanno perso un sacco di ingaggi. Ian si é inventato la balla di avere un’infiammazione alla gola in modo tale da guadagnare un po’ di tempo”.
Katy mi guardò confusa “ma Chris ha detto...”
“Chiedo scusa...” la bloccai “ho chiesto io a Chris di dirti quelle cose. Erano tutti in pensiero per te, non riuscivano a contattarti, ne se stavi bene. Così ho preso l’iniziativa. Non ci siamo mai esibiti, ho solo preso il tuo posto per le prove fino al tuo ritorno” abbozzai un sorriso.
“Io non volevo farlo... ho smesso di suonare da quando ho lasciato la mia vecchia band. Se pensi faccia male vedere il ragazzo che ami non ricambiarti e stare con altre donne, pensa a quanto faccia soffrire scoprire il proprio fidanzato a letto con la pianista del gruppo...” sospirai. “Non dico queste cose per impietosirti, ma per farti capire che tutti noi abbiamo delle ferite...”
Katy sembrò più calma, quindi continuai “non ho mai pensato di sostituirti, quindi ti chiedo di non avercela con me. Non sto dicendo che dobbiamo essere amiche, ma almeno di essere alleate...per loro” indicai il piano di sopra.
Abbassò la testa, fissandosi le scarpe “Ma Ian... tu gli piaci, me ne sono accorta subito dalla prima volta. Anche poco fa... ti ha difesa senza pensarci due volte. Non è da lui, non l’ha mai fatto con nessuna”.
“Sarò sincera con te” risposi “ io e Ian stiamo insieme più o meno da quando sei andata via. Anch’io all’inizio lo evitavo perché pensavo che volesse solo portarmi a letto, ma mi ha dimostrato di provare davvero dei sentimenti per me.
La cosa mi spaventava un po’ sai; avevo paura di soffrire di nuovo. Non ho avuto nessun’altra storia dopo il mio ex; ma con Ian ho sentito di dover provare...”
“Quindi state insieme...”ripeté “in fondo non ho mai avuto speranze con lui, mi ha sempre vista come una sorella...” fece un sorriso amaro.
“Mi dispiace” sussurrai “ so quanto tu stia soffrendo”.
“Non importa...” mi guardò “sai pensavo fossi la classica troietta senza cervello, invece non sei tanto male”.
Sorrisi “anche tu sei meglio di quanto mi aspettassi”.
Quando tornammo di sopra eravamo entrambe serene.
Ian mi si avvicinò come a voler controllare che fossi tutta intera.
“Tranquillo, la tua ragazza ha le palle; non é così delicata come credi”.
Io risi, notando l’espressione dei presenti.
“Tutto sistemato comunque” dissi “Katy torna ufficialmente nella band”.
Le reazioni però non furono buone quanto mi aspettassi.
“Siamo contenti di riavere Katy” iniziò Alan “ma vorrei anche che Megan continuasse a suonare con noi”. Gli altri annuirono.
“Ragazzi eravamo d’accordo che l’avrei sostituita solo per le prove fino a quando non fosse tornata”.
“E poi ci sono già due chitarre...” intervenne Katy.
“Beh, potreste introdurre le tastiere” propose Chris “Megan suona anche il piano”.
Lo fulminai con lo sguardo.
“Che c’è?” chiese ingenuamente.
“Questo è perfetto!” esclamò di nuovo Alan.
Ian mi guardava pensieroso, poi disse: “la decisione è tua”.
Lui sapeva bene che cosa mi frenasse.
“Datemi un po’ di tempo per pensarci, ok?”
“Tutto quello che vuoi” rispose.
Katy lo guardò, stupita delle attenzioni che mi rivolgeva. Era una cosa strana, fuori dal normale per lei.
Adesso comunque dovevo pensare sul serio alla faccenda. Fare concerti era molto diverso dal provare in uno scantinato con gli amici. Ma avevo già provato a me stessa che non potevo fare a meno della musica.
Dovevo esorcizzare i miei demoni e per farlo avrei dovuto affrontarli di petto. Basta scappare.
“Va bene” risposi fissandoli “da domani inizia il duro lavoro però”.
“Si, hai ragione” mi appoggiò Ian “dobbiamo inserire le tastiere nelle nostre canzoni e provarle fino a quando non saranno perfette”.
“Direi che questo compito spetta a me” dissi “ inizierò subito a provare e ve le farò sentire pezzo per pezzo”
“Ottimo” esclamò Jeff elettrizzato dal nuovo progetto.
Anch’io ero su di giri per questa nuova sfida... ero pronta!

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Capitolo 23
*** compagni, famiglia, mondo ***


“Dovremmo alzarci” sussurrai sfiorandogli le labbra con le dita. Era domenica e non avevamo fatto altro che stare a letto accoccolati per buona parte della mattina.
“Si, dovremmo” mi fece eco Ian stringendo le braccia intorno ai miei fianchi e affondando il naso tra il mio collo e la clavicola.
“Dovrei anche passare da casa mia a prendere delle cose”. Sospirai, non ne avevo proprio voglia.
“Che palle!” rispose lui dando voce ai miei pensieri. “Vieni a vivere qui, così non dovrai più fare avanti e indietro”.
Mi immobilizzai, spalancando gli occhi; incapace di emettere un qualsiasi tipo di suono”.
“Che c’é?” chiese Ian inchiodandomi col suo solito sguardo penetrante. “In fondo passi già più tempo qui che da te”.
“Si, é vero...” biascicai.
“Allora qual’é il problema?” chiese sollevandosi sui gomiti.
“Non pensi sia un po’ troppo affrettato?” cercai di soppesare bene le parole per esprimermi al meglio. Non volevo ammetterlo ma la cosa mi faceva anche un po’ paura.
Lui alzò un sopracciglio. Come al solito non l’aveva bevuta. “Cos’è che ti spaventa tanto?”
Deglutii; come diavolo faceva a leggermi dentro così bene?
Abbassai la testa incapace di reggere il suo sguardo “potresti stancarti di me o non amarmi più allo stesso modo. Ti abituerai alla mia presenza e ti allontanerai”.
“Mettiamo in chiaro una cosa” disse serio “io non sono il tuo ex. Se ho deciso di stare con te è perché mi piaci da morire e mi fai star bene. Non ti dice niente il fatto che tu sia la mia prima ragazza? Ti sembra normale per un ragazzo di 27 anni? Come può anche passarti per la testa che io mi possa stancare dell’unica donna che ha stravolto la mia intera esistenza?”
I suoi occhi blu fiammeggiavano più che mai; mi aveva appena fatto una dichiarazione d’amore in piena regola, eppure sembrava furioso. Sapevo il motivo; in qualche modo le mie parole lo avevano ferito... adesso mi sentivo terribilmente in colpa per aver messo in dubbio i suoi sentimenti.
“Hai ragione, scusami” sussurrai.
Il suo viso si addolcì di colpo “ non scusarti” disse comprensivo “ so cosa hai dovuto passare e capisco le tue paure, ma allo stesso tempo vorrei farti capire che non succederà mai la stessa cosa”.
Mi tuffai tra le sue braccia, stringendomi al suo petto nudo. Era caldo, forte; quando gli stavo così vicina mi faceva sentire in grado di conquistare il mondo intero.
“Ci penserò...” dissi sollevando la testa per guardarlo negli occhi.
Ian mi strinse ancora di più, lasciando scivolare le sue grandi mani lungo tutto il mio corpo nudo. Era incredibile il modo in cui mi faceva sentire solo sfiorandomi. I suoi baci si fecero via via più impetuosi mentre mi sollevava di peso per spostarmi sopra di lui.
I miei capelli gli scesero sul petto come una cascata di fuoco, prima che ci infilasse dentro le dita per stringerli leggermente.
Lo desideravo con ogni fibra del mio essere pensai mentre iniziavo a muovermi sempre con più foga sopra di lui. Lo amavo tanto da sentire quasi male al petto. Le mie unghie si ancorarono ai suoi pettorali mentre venivamo colti entrambi dagli spasmi...
Quando entrai a casa mia quel pomeriggio non feci altro che ripensare alla proposta di Ian. In fondo non c’era nulla di male nel farlo, no? Anche se stavamo insieme da pochissimo eravamo entrambi adulti e in grado di prendere le nostre decisioni senza dover aver paura del parere degli altri.
Chissà come avrebbero reagito però... più di tutti era Katy che mi dava da pensare. Non volevo ferirla ulteriormente sbattendole in faccia quanto fossi felice.
Ma in fondo sembrava se ne stesse facendo una ragione...
Ero in combutta con me stessa. Da un lato volevo correre da Ian; ormai non riuscivo nemmeno a immaginare di passare le notti da sola senza di lui; dall’altro le mie insicurezze mi facevano titubare.
Un SMS mi riscosse da questi pensieri.
“Spero che ti abbiano rapita gli alieni perché se non é così sappi che ti ucciderò alla prima occasione”. Zoe... era arrabbiata e ne aveva tutti i motivi. L’avevo praticamente tagliata fuori.
Decisi di chiamarla.
“Allora sei viva!” trillò subito dopo il primo squillo.
“Scusa... so di essere sparita per un po’, ma sono successe così tante cose...” mi bloccò “ Appunto per quello avresti dovuto contattarmi prima, ragazza ingrata”.
“Su, non essere arrabbiata” cercai di calmarla “ volevo proprio chiederti se eri libera per un caffè”.
Accettò subito; sapevo che era troppo curiosa delle novità per tenermi il muso.
Le diedi appuntamento da Starbucks quel pomeriggio stesso.
“Ehi” la chiamai facendole cenno con la mano quando entrò al caffè.
“Sono ancora arrabbiata con te” disse stizzita.
Io sorrisi “come stai?”.
“Non c’è male” rispose sedendosi “Tu piuttosto; che combini?” mi squadrò dalla testa ai piedi, cambiando via via espressione.
“Sembri diversa... meno cupa”. Spalancò la bocca prima di esclamare “ Oh mio dio vai finalmente a letto con qualcuno!”
“Sei impazzita!” la zittii arrossendo. Le persone intorno a noi ci stavano fissando incuriosite dal trambusto.
“Chi è? Lo conosco? È sexy? Ma certo, deve esserlo per forza...” partì a raffica senza nemmeno darmi il tempo di rispondere. Aspettai che finisse di blaterare prima di placare la sua curiosità.
Raccontai tutto fin dall’inizio; dalla primissima volta in cui io e Ian ci eravamo incontrati, fino ad arrivare alla proposta di quella mattina.
“È fantastico!” esclamò entusiasta. “Sembra la trama di un romanzo rosa! Perché queste cose non capitano mai a me! Non vedo l’ora di incontrare questo fustacchione”.
Forse non era poi una buona idea lasciare che succedesse...
“Dirai di si, vero?” continuò.
“Devo pensarci” risposi.
“Tu sei tutta matta! Non è una cosa da poco che sia stato lui a voler fare il grande passo; quel tipo é pazzo di te, non lo capisci?”
“Questo lo so, ma...”
Non mi lasciò finire.
“Niente ma! Non ti lascerò rovinarti la vita solo perché hai paura. Non te lo permetterò”.
La guardai. Per quanto Zoe fosse svampita e potesse apparire superficiale era sempre in grado di aiutarmi, facendomi capire i miei errori.
Così quando tornai da Ian ero decisa più che mai. Dovevo seguire il mio cuore e mettere da parte le indecisioni.
Sapevo che non era in casa, per cui ebbi il tempo necessario per prepararmi per bene tutto il discorso.
“Per caso è esplosa una bomba nucleare qui o cosa?” chiese lui quando rientrò. Ero seduta sul pavimento circondata da penne e fogli vari.
“Divertente” risposi. “Sto cercando di portarmi avanti”.
Fra due giorni infatti avremmo dovuto provare alcuni dei loro pezzi con l’aggiunta delle tastiere.
“Andrà alla grande, vedrai” cercò di tranquillizzarmi sedendosi accanto a me, iniziando a leggere la musica e a canticchiarla. “ Niente male, ragazza!” esclamò.
“Lo dici come se non te lo aspettavi” borbottai stringendo gli occhi “Cos’è, non ti fidi di me per caso?”
“No, no”. Rispose alzando le mani “questo arricchirà ancora di più il nostro sound”.
“Riguardo all’altra cosa...” iniziai.
“Si?” Ian era impaziente.
Il mio bel discorso andò a farsi benedire; in quel momento non ricordavo nemmeno una parola; quindi decisi di improvvisare.
“Dovrai aiutarmi col trasloco, altrimenti non ce la farò mai” lo guardai abbozzando un sorriso.
Lui mi sollevò facendomi girare mentre rispondeva. “Tutto quello che vuoi piccola”.
Lo strinsi ancora di più, cercando di contenere la mia felicità. Non riuscivo ancora a credere che stesse succedendo proprio a me.
“Sono un po’ preoccupata per Katy però” sussurrai qualche ora più tardi mentre infilavo una delle sue t-shirt. “Si sta ancora adattando a tutto quello che é successo...”
“Lo so” rispose lui “voglio bene a Katy, ma non posso reprimermi solo per paura di ferirla. Capirà, vedrai”. Mi guardò accarezzandomi la guancia mentre mi accoccolavo sul suo petto. “Però forse sarebbe meglio se fossi tu a dirglielo... chiamala domani per un caffè; così se dovesse prenderla male almeno non potrà dare di matto in un posto pubblico”.
Ian mi squadrò dalla testa ai piedi “ sei una piccola diavoletta calcolatrice, lo sai?”.
“Sono solo previdente” risposti stizzita.
Nonostante condividessi il pensiero di Ian ero davvero preoccupata per Katy. Non capivo a pieno il motivo di questa strana empatia che provavo nei suoi confronti, ma stavo imparando a conoscerla e ad apprezzarla.
“La chiamerò” disse mettendo le mani dietro la testa.
Il mattino seguente non facevo altro che controllare il cellulare. Aspettavo un qualche tipo di segno da parte di Ian, o un SMS di allarme se mai Katy avesse reagito male decidendo di venire a uccidermi. Ma non successe nulla e la cosa mi rendeva ancora più irrequieta.
Aspettavo con ansia la pausa pranzo quando avrei finalmente potuto contattarlo.
“Ma che ti prende? È tutta la mattina che ti agiti sulla sedia” osservò Chris.
“Non è niente...” risposi. Risultai poco credibile perfino a  me stessa, ma lui non replicò.
Mezz’ora più tardi sfrecciai fuori con in mano il cellulare; Ian rispose quasi subito.
“Sono felice di notare che funzioni ancora” dissi ironica.
“Scusa piccola, ma non ho avuto un attimo di respiro oggi. Abbiamo avuto dei problemi con degli ordini e serviva il mio aiuto”.
“Oh, capisco... Beh, allora mi racconterai tutto dopo”.
“Contaci. Ci vediamo a casa”.
Sorrisi. “Mi piace come suona”.
Lo sentii sorridere. “A stasera”.
Ian sembrava tranquillo, il che stava a significare che l’incontro con Katy non era andato male, o quantomeno non era stato del tutto una catastrofe.
Nonostante fossi più tranquilla fremevo dalla voglia di sapere cos’era successo.
“Hai fatto più in fretta del solito” osservò Ian quella sera vedendomi rientrare.
“Chris mi ha dato un passaggio” risposi togliendomi i tacchi e lasciando cappotto e borsa all’ingresso.
“Allora?” chiesi incuriosita.
“Qualcuno é impaziente o sbaglio” sghignazzò.
“Proprio così. Su racconta”.
Fece spallucce; “non c’è molto da dire in effetti. L’ho chiamata invitandola per un caffè; appena arrivata mi ha chiesto subito di sputare il rospo e spiegare il mio strano comportamento”.
“E...” lo incitai a continuare.
“Ho detto semplicemente di averti chiesto di venire a vivere con me, che hai voluto del tempo per rifletterci e che alla fine hai risposto di si. Le ho anche detto che eri preoccupata di ferirla e che non volevi che soffrisse ancora di più”.
“Oh, capisco”.
“Mentirei se dicessi che la cosa non l’abbia turbata, ma lei é forte; se ne farà una ragione... e poi ho la vaga sensazione che tu le stia simpatica”. Sorrise spostando una ciocca dei miei capelli sistemandola dietro l’orecchio.
“Meno male. Pensa cosa mi avrebbe potuto fare se le stavo antipatica!” Ian scoppiò in una sonora risata mentre andava a prendere la chitarra acustica e iniziava a strimpellare qualche nota.
Sorrisi a mia volta nel vederlo così rilassato.
L’indomani ero tesa come una corda di violino, mentre cercavo inutilmente di calmarmi pigiando un po’ a casaccio i tasti del pianoforte del seminterrato.
“Dovremmo spostarlo di sopra, che ne dici?” mi chiese indicandolo.
“Magari! È da un po’ che pensavo di comprarne uno a coda per il mio salone...” risposi sovrappensiero.
 Ian mi si avvicinò stringendomi da dietro e sussurrando al mio orecchio “adesso è questa casa tua...”
Diventai paonazza quando mi mordicchiò l’orecchio mentre mi spingeva contro il piano.
“Che fai? Gli altri stanno per arrivare!” obbiettai quando mi alzò di peso facendomi sedere sul bordo per poi spogliarmi. Rimasi lì, in biancheria mentre mi guardava famelico leccandosi le labbra.
“Abbiamo tempo...” gli uscì fuori come un rantolo, non diverso dal verso di una belva feroce.
Ma non fece in tempo a finire la frase che sentimmo dei passi al piano di sopra. Quando c’erano le prove i ragazzi usavano la chiave di riserva che Ian lasciava fuori nascosta in un angolino.
“Dicevi?” esclamai alzandomi di scatto.
“Continueremo dopo...” il suo tono non lasciò spazio a nessun dubbio. Fremetti di desiderio al solo pensiero, mentre cercavo di ricompormi. Fu quasi inutile... il mio vestito era finito chissà dove e non avevo il tempo per cercarlo.
“Metti questa” Ian se ne stava a petto nudo porgendomi la sua camicia. L’afferrai senza pensarci due volte abbottonandola giusto in tempo prima di veder spuntare sulle scale Alan seguito da tutti gli altri.
Nessuno di loro fece alcun tipo di commento notando il mio abbigliamento strambo e l’espressione beffarda di Ian. Katy mi sorrise con occhi tristi, mentre mi scusavo correndo a cambiarmi.
Era come se le avessimo sbattuto in faccia di proposito che ce la spassavamo... che idiota che ero!
Quando tornai di sotto erano tutti occupati ognuno con il proprio strumento. Ian era al centro della stanza ad accordare la sua chitarra; sembrava così diverso da quando l’avevo conosciuto, adesso era quasi... umano.
Quasi, per l’appunto. Perché quando mi fissava con quel suo sguardo glaciale e ardente allo stesso tempo lo classificavo alla stregua di un essere ultraterreno. Mi avvicinai per porgergli una t-shirt.
Anche Katy era china sulla sua chitarra.
Jeff appariva quello di sempre; forse aveva compreso la mia situazione sentimentale, ed era tornato ad essere il ragazzo spensierato che avevo conosciuto. Alan non faceva che ronzarmi intorno come un cagnolino in cerca di attenzioni.
Battei le palpebre. Per un attimo mi tornò in mente la conversazione tra Chris e Katy... lei aveva detto che in qualche modo anche Alan sembrava preso da me... ma non mi dava affatto quell’impressione. Sicuramente si era sbagliata.
Erano tutti in attesa di avere la nuova musica con le mie aggiunte.
“Sono riuscita a sistemarne solo un paio” dissi dandogli i fogli. “Spero siano buone”.
“Niente male” esclamò Jeff “direi di iniziare!”
La mia tastiera era stata posizionata alla destra di Ian, mentre Katy stava a sinistra.
“Pronta?” mi chiese guardandomi con un gran sorriso.
Annuii, nonostante avessi le dita leggermente irrigidite.
La musica partì in un crescendo di note, sempre più impetuose. Li guardai uno ad uno suonare i propri strumenti con una passione che solo poche volte avevo visto. Erano entusiasti. Iniziai a rilassarmi anch’io e a prestare più attenzione alla musica. Le mie tastiere davano più profondità alla voce di Ian, rendendola ancora più irresistibile e sensuale. Era un caleidoscopio di emozioni che entravano dentro raggiungendo la parte più recondita dell’animo.
“Super!” urlò Jeff entusiasta dopo aver suonato l’ultima nota. Ne fui felice, ma io volevo anche il parere di Katy.
“Che ne pensi?” chiesi guardandola.
“Credo possa andare. Sei riuscita a combinare bene le tastiere con la nostra musica; il sound è migliorato, ha più corpo. Hai fatto un buon lavoro”.
I ragazzi rimasero stupiti di fronte al monologo dell’amica; Katy era una di poche parole, lo sapevano tutti.
In più non mostrava più il solito astio nei miei confronti. Era un evento quasi da festeggiare.
“Continua così Megan e sfonderemo al primo live!” esultò Alan raggiante.
“Datemi un po’ di tempo, purtroppo ho tanto lavoro in ufficio, per cui ci vorrà qualche giorno...”
“Non c’è fretta” si introdusse Ian “ ricordati che sono ancora in convalescenza”.
Gli sorrisi; era proprio una volpe. Quel suo piccolo espediente ci aveva dato il tempo di risolvere i problemi che si erano creati, permettendoci anche di riorganizzarci.
Suonammo a lungo quelle due nuove canzoni, fino a quando non fummo perfettamente in sincrono.
Ian era entusiasta, glielo si leggeva chiaramente sul volto. Anche Katy ne sembrava soddisfatta mentre pizzicava le corde della sua chitarra.
Io mi sentivo più viva che mai. Quel buco nello stomaco che sentivo ogni volta che mi riavvicinavo alla musica ormai era sparito del tutto.
Pian piano, inconsapevolmente, avevo finalmente realizzato che questi individui che a persone esterne potevano risultare strani o anche pericolosi, erano diventati i miei compagni, la mia famiglia; in poche parole parte del mio mondo.
Quando finalmente ci fermammo eravamo tutti doloranti, ma soddisfatti.
“Muoio di fame!” esclamò Jeff dando voce al brontolio del suo stomaco.
Gli altri risero, ma eravamo tutti nella stessa posizione.
“Ordiniamo qualcosa” proposi “sono troppo stanca per uscire”.
“Cinese?” Alan non aspettò nemmeno una risposta sfrecciando su per le scale in un lampo.
Katy sospirò “Sono stanca del cinese. Ordino della pizza”.
“Buona idea” rispose Jeff ed entrambi si diressero al piano di sopra.
“Che fai?” chiese Ian vedendomi prendere il cellulare.
“Chiamo Chris; sai che lagna se scopre che non lo abbiamo invitato!” risposi.
“Cavolo, è vero. Non farebbe che lamentarsi” sbuffò raggiungendo gli altri.
Io risi; ormai lo conoscevamo fin troppo bene.
Dirigendomi al salone mi resi conto che la casa, di solito silenziosa, adesso era più animata che mai. Il brusio delle voci che si sovrapponevano fra loro mi rilassava.
“Metto su un po’ di musica” disse Alan mentre Ian mi si avvicinava.
“C’è abbastanza birra? Non vorrei rimanere a secco”.
“Quella è l’unica cosa che non manca mai” risposi prendendolo in giro. Ovviamente le sue battute taglienti non si fecero attendere.
“Ditemi se non sembrano una vecchia coppia sposata!”
Entrambi ci voltammo. Eravamo così presi dal nostro battibecco da non esserci accorti dell’arrivo di Chris.
Lo salutai con un gran sorriso, prima di correre alla porta e ritirare la cena; anche Katy venne ad aiutarmi.
“Si mangia!” urlai reggendo le buste tra le mani.
“Alan ma quanta roba hai ordinato!” lo rimproverò.
“Tranquilla, non l’hai ancora vista mangiare” rispose Ian indicandomi col mento “quella lì è un pozzo senza fondo” e rise.
“Ehi!” feci finta di offendermi gonfiando le guance.
“Non arrabbiarti Megan, in fondo ha ragione” si introdusse Chris.
“Cos’è vi siete coalizzati contro di me voi due!”
Gli altri risero mentre fingevo di strangolarlo.
La serata passò così tra chiacchiere e risate, mentre tutti condividevano aneddoti e situazioni divertenti successe in passato.
Il primo a crollare fu Alan, del resto non aveva un fisico robusto quanto gli altri.
“È andato!” esclamò Jeff ridendo.
“Mi sa che ha bevuto troppo” dissi a Ian “è meglio lasciarlo dormire qui stanotte. Anzi restate tutti; è troppo tardi per tornare a casa e poi avete bevuto parecchio” proposi.
 “Non è male come idea...” sbadigliò Chris che senza aspettare occupò l’altro divano.
“A voi due tocca dormire nella camera degli ospiti” dissi guardando Jeff e Ian.
“Ok...” rispose lui a malincuore “ma occhio a dove metti le mani, non vorrei che mi scambi per una ragazza dai lunghi capelli mentre dormi” lo minacciò puntandogli contro il dito.
Scoppiai a ridere incapace di trattenermi mentre immaginavo la scena.
“Io e Katy dormiremo nell’altra stanza”.
Mentre lei andava in bagno corsi a cambiare le lenzuola, cercando di sistemare un po’ la camera.
“Non devi preoccuparti per me” sussurrò entrando qualche minuto dopo “ non sono una bambina”.
“Lo so” risposi “è che tu mi piaci Katy e questo mi fa sentire ancora di più un verme”.
Lei sorrise mentre si infilava sotto le coperte. Avevano il profumo di Ian? Chissà...
Guardandola senza tutto quel trucco mi resi conto di quanto fosse bella.
“È strano, ma anche io sento che mi piaci; ecco perché non riesco ad odiarti” spiegò “ e poi Ian sembra del tutto un’altra persona; lo conosco da tanto tempo e posso dire di non averlo mai visto così...”
Una lacrima solitaria mi rigò il volto. Oltre ad esserne innamorata, Katy era anche la sua migliore amica, per cui capivo il suo stato d’animo. Era divisa in due; da una parte la gioia di saperlo felice, dall’altra la tristezza per non essere lei la fortunata ad occupare un posto speciale nel suo cuore.
Chiacchierammo a lungo; mi chiese del mio ex e della band, e per quanto ciò facesse riaffiorare vecchie ferite, fui felice del suo interesse.
In un modo insolito e del tutto inaspettato eravamo diventate compagne, ognuna con le proprie esperienze dolorose da condividere.
“Mia madre era una tossica” disse di colpo dopo una lunga pausa “si faceva anche mentre era incinta... è un miracolo che io sia nata senza alcuna complicazione.
Pensava più a farsi che a mettere del cibo in tavola; così sono cresciuta nella miseria più assoluta per qualche anno, fino a quando i servizi sociali non mi hanno portata via. Ma ero una bambina problematica” mimò le virgolette con le dita “per cui nessuno mi teneva mai a lungo e passavo da una famiglia all’altra in continuazione.
Ian lo conoscevo da sempre, almeno per quello che ne so... non ricordo nemmeno come l’ho conosciuto, ero fin troppo piccola. È stato il mio punto di riferimento; mi ha impedito di affondare, facendomi avvicinare alla musica... in pratica gli devo tutto”.
Adesso capivo ancora di più quanto le fosse stato semplice innamorarsi di lui; era il suo salvatore.
Per un po’ ripiombammo nel silenzio, ognuna persa nei propri pensieri. “Ti ama davvero” sussurrò. Poi Katy iniziò a canticchiare tra le labbra, cullandomi lentamente fino a che non mi addormentai, troppo stanca per rispondere. 

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Capitolo 24
*** affrontare il presente ***


Il giorno dopo mi svegliai piena di entusiasmo, nonché con un gran mal di testa.
La serata si era conclusa nel migliore dei modi, dandomi la possibilità di avvicinarmi a Katy un altro po’.
Ovviamente eravamo tutti abbastanza provati dal post sbornia; tutti tranne uno.
“Come fai a essere così in forma?” chiesi a Ian mentre cercavo di coprire le occhiaie con il correttore.
“Principiante” ribatté lui sghignazzando “quella di ieri non era nulla in confronto alle sbronze colossali che ho preso in passato”.
“Ah si eh” incrociai le braccia al petto alzando un sopracciglio “e ovviamente le donne erano incluse nel pacchetto durante queste seratine, vero?”
Distolse lo sguardo, consapevole di essere stato beccato. “Ormai non faccio più quel genere di cose...”
Lasciai perdere; era inutile ripensare al passato.
“Se hai finito di prepararti ti accompagno a lavoro” disse poco dopo mentre si infilava gli stivali da motociclista.
“Si... anzi se non mi do una mossa farò tardi”. Finii in fretta di vestirmi e lo raggiunsi.
“Grazie del passaggio” dissi 15 minuti dopo scendendo dall’auto.
Ian sorrise beffardo “a più tardi...”
Lo guardai sfrecciare via confusa. Cos’era quel ghigno quando lo avevo salutato? Quando pensavo finalmente di riuscire a comprenderlo ecco che tornava a essere misterioso. Sollevai le spalle, avrei chiarito una volta a casa. Adesso dovevo davvero sbrigarmi.
“Buongiorno splendore!” Salutai Chris che si reggeva la testa tra le mani “Oggi sei davvero radioso” lo presi in giro.
“Piantala! Non tollero nessuno, men che meno che te e il tuo ragazzo...”
Scoppiai in una sonora risata “Nessuno di noi ti ha obbligato a bere così tanto, sai. Hai fatto tutto da solo”.
Mi lanciò un’occhiata truce provocandomi ancora di più altre risate.
Qualche ora più tardi fui distolta dal mio lavoro da un brusìo in fondo al corridoio.
“Che succede?” mi chiesi tra me e me. Chris alzò le spalle, la sua solita curiosità oggi era ridotta al minimo.
Fu in quel momento che capii il motivo di quel trambusto. Il nostro capo reparto stava attraversando il corridoio con una persona davvero insolita considerato il luogo. Rimasi a bocca aperta, incapace di far uscire dalle mie labbra la benché minima parola. Lui mi sorrise, anzi sghignazzò, probabilmente davanti alla mia espressione da ebete, prima di entrare nell’ufficio del capo.
I bisbigli aumentarono... “Chi é? Lo conosci? Che ci faceva col capo?”
Mi ero persa qualcosa?
“Che ci fa Ian qui?” chiese Chris arrivando alle mie spalle. Io sobbalzai.
“Gesù... non farlo mai più!” lo rimproverai.
“Non è colpa mia se ti sei incantata a fissare le chiappe del tuo ragazzo”.
Lo fulminai con lo sguardo “come siamo scurrili. Il dopo sbornia non ti é ancora passato?”
“La testa mi sta esplodendo” e come a volerne dare prova si portò le mani alle tempie.
Alzai gli occhi sbuffando, era peggio di un bambino.
Decisi di rimettermi a lavoro; forse era meglio non far capire agli altri che lo conoscevo o che avevamo un determinato tipo di rapporto.
“ho sempre immaginato che eri sexy alla tua scrivania, ma la realtà batte tutte le miei fantasie”.
La voce calda di Ian che mi sussurrava all’orecchio mi fece sobbalzare.
“Che ci fai qui?” chiesi agitandomi.
Si leccò le labbra squadrandomi dalla testa ai piedi.
“Dio... se solo fossimo soli... Non c’è un ufficio dove possiamo chiuderci?”
Continuava a fantasticare, facendomi arrossire. “Smettila”
I suoi occhi fiammeggiavano mentre accarezzava con lo sguardo il mio corpo dal basso verso l’alto.
“Ian!” l ripresi.
Lui si riscosse da quei pensieri poco casti e mi degnò di risposta.
“Il caporeparto ci ha contattati per fare un ordine, ma quando si tratta di pc per uffici é meglio prima dare un’occhiata. Così mi ha dato appuntamento, ed eccomi qua” aprì le braccia mostrandosi in tutto il suo splendore.
“Oh... e com’é andata?” ormai facevo fatica anche a mettere in fila due parole di senso compiuto.
“Tutto ok, ho già chiamato Jeff in negozio. Ora posso tornare a fantasticare su di te, nuda, con solo addosso quei tacchi?” si leccò le labbra, come un predatore quando punta la sua preda.
Arrossii di colpo mentre cercavo di formulare una battuta di risposta. Ma il mio cervello era andato, era da tutt’altra parte...
“Sei davvero...”
Fui interrotta da qualcuno proprio mentre il mio colorito tornava quasi normale.
Amanda e Becky se ne stavano accanto alla mia scrivania fissando Ian, mentre si leccavano le labbra. Sapevo cosa stavano guardando. Quel giorno indossava una camicia bianca, che metteva ancora di più in risalto il suo fisico scolpito, jeans scuri attillati e i soliti stivali da motociclista. Sembrava in tutto e per tutto una rockstar, con i lunghi capelli neri che scendevano giù sulla schiena e quei meravigliosi occhi blu tanto espressivi quanto spaventosi.
“Tu sei Ian, giusto?” iniziò a blaterare “ ti ho sentito spesso suonare e ci tenevo a dirti che sei davvero bravissimo, ti ho anche lasciato il mio numero una volta, ma non mi hai mai contattata...se vuoi posso dartelo adesso, sono sempre disponibile per te...”
La fissai alzando un sopracciglio. Dio mio... sapevo che era una facile, ma non così tanto...
Ian la zittì alzando una mano proprio davanti al suo viso “non so chi ti credi di essere, ma stavo parlando con la mia ragazza; il che ti rende scortese oltre che fastidiosa. Dovresti scusarti per averci interrotto”.
La fissò con quel suo sguardo di ghiaccio così intensamente da farla indietreggiare; era come se volesse ucciderla solamente guardandola.
“Tu e Megan state insieme?” si intromise l’altra con aria scettica e stizzita.
“La cosa ti crea forse dei problemi?”
Anche lei indietreggiò davanti alle fiamme che sembravano venir fuori dai suoi occhi.
Ormai l’intero ufficio stava assistendo alla scena. Brian si avvicinò, guardandolo dall’alto in basso. Per quanto fosse chiaramente in svantaggio rispetto a Ian, gli si piazzò di fronte, come a volerlo sfidare. “Non ti sembra di esagerare amico?”
I muscoli di Ian si tesero; strinse i pugni... ormai era al limite. Bastava un’altra sola parola detta male e sarebbe successo l’irreparabile. Era meglio intervenire prima che la cosa sfuggisse di mano. Ma fu Chris, ancora una volta, ad aiutarmi.
“Ehi, Ian!” tuonò dandogli una pacca sulla schiena “ che ci fai qui amico?” era palese che cercasse di alleggerire la tensione che si era creata. Le sue dita premevano sulla spalla, mentre cercava di trattenerlo. “Dai andiamo, ti offro un caffè. Megan, tu non vieni?” chiese, implorando aiuto con lo sguardo.
“Ma certo, mi serve proprio un caffè” risposi svelta.
Ian si rilassò, così che Chris lasciasse la presa, poi mi avvolse il braccio intorno alle spalle, prima di dare un’ultima occhiataccia intorno.
Nessuno osava guardarlo in viso o dire qualcosa. Mi ero così abituata a vederlo tranquillo da dimenticare quanto in realtà fosse suscettibile e capace di incutere timore. Ormai sapevo bene che Ian aveva un carattere buono e gentile; ma lo teneva ben nascosto sotto quella immagine da duro che si era costruito negli anni. Per di più il suo aspetto e il modo di vestire non addolcivano di certo l’immagine generale che ne veniva fuori alla fine.
Sapevo che da quel momento in poi sarei stata la fonte dei pettegolezzi dell’intero ufficio, ma in quell’istante, sotto le forti braccia di Ian non me ne preoccupai minimamente.
“dovresti provare a rilassarti un po’” disse Chris una volta dentro l’ascensore.
Ian lo fulminò con lo sguardo “Odio i tipi come quelli...”
“Anche a noi non stanno simpatici” risposi, “ma non è un buon motivo per ammazzarli”.
Chris sghignazzò mentre lo incenerivo con lo sguardo.
“Ok, ci andrò piano...” non ne sembrava del tutto convinto però.
Quando tornai in ufficio, così come avevo sospettato, tutti gli occhi erano puntati su di me.
Amanda mi fu subito accanto “non sapevo ti piacessero i cavernicoli...”
“Ti ha dato un colpo in testa e trascinato nella sua tana?” le fece eco Becky. Entrambe risero sguaiatamente.
Le fissai; non gliela avrei fatta passare liscia.
“Strano; ho visto come lo fissavate e come vi ci siete fiondate addosso... come delle cagne in calore... Com’era Amanda? Ah si... Ti ho lasciato il numero una volta ma non mi hai mai contattata” cercai di imitare la sua voce stridula.
“Volete farmi credere che non siete interessate? Non fatemi ridere. L’invidia vi sta uccidendo. Ora se volete scusarmi ho del lavoro da fare”
Mi assicurai di parlare ad alta voce così che tutti potessero sentire la nostra conversazione.
Poi, avvicinandomi a entrambe sussurrai “dovreste vederlo a letto... è qualcosa di indescrivibile”.
Forse ero stata troppo infantile, ma niente era più appagante delle loro facce in quel preciso momento.
Le lasciai lì, incapaci di ribattere. Chris rideva a crepapelle e quando gli passai accanto sollevò la mano “sei stata grande!” esclamò mentre battevo il cinque.
Sorrisi, sedendomi alla scrivania. Nel momento in cui avevano detto quelle cattiverie su di Ian dentro di me era scattato qualcosa... Non che Ian avesse bisogno di essere protetto, certo; ma era stato più forte di me.
Nessuno osò più riferirsi all’accaduto e la mia giornata passò tranquilla.
Quella sera tornando a casa li trovai tutti lì.
“Avete intenzione di replicare la sbornia di ieri?” chiesi ironica. “No, no” rispose Alan tenendosi lo stomaco. A quanto pare aveva avuto una pessima giornata.
“Ci hanno contattati per un ingaggio!” urlò Ian sollevandomi da terra e facendomi girare. “apriremo il concerto di un gruppo in tour”.
“Che gruppo?” chiesi curiosa.
“Non lo so, non ricordo il nome. Una delle tante band per cui le adolescenti sbavano. Ragazzini che fanno musica pop... il punto è che gli organizzatori hanno chiamato noi, capisci?”
Sorrisi entusiasta “è fantastico!” risposi “quando sarà?”
“Tra dieci giorni. La città non è lontana, noleggeremo un furgone per portare tutta la roba...”
“La mia bambina però non viene...” si intromise Jeff.
“Ah ti prego non ricominciare...”
“di che parla?” chiesi confusa.
“Hanno detto che per motivi di tempo dovrà suonare la batteria che monteranno loro”.
“Ah...” ora capivo.
“Dai, Jeff non te la prendere” lo consolò Alan dandogli delle leggere pacche sulla spalla.
Katy se ne stava in silenzio in un angolo, le braccia incrociate...
“Tutto ok?” le chiesi avvicinandomi.
“si, certo. È solo che abbiamo provato solo due canzoni fin’ora e dobbiamo averne almeno quattro per l’apertura; ce la faremo?”
Sorrisi “ certo che si! Avevo già iniziato con le altre; entro qualche giorno saranno pronte, così potremo dedicarci tranquillamente alle prove”.
“Grande!” tuonarono tutti in coro.
“Forse è meglio darmi malata un paio di giorni” sussurrai quella sera a Ian mentre lo guardavo preparare la cena.
“Puoi farlo? Non avrai problemi?”
Storsi il naso. “In teoria potrei, ma il mio superiore non lo vedrebbe di buon occhio...”
“Allora è meglio evitare. Ci lavoreremo insieme la sera, sta tranquilla”.
Gli sorrisi, felice di quelle sue premure.
“Vieni qui piccoletta. Non ho dimenticato che a causa tua ho dovuto dormire con Jeff!” mi prese di peso sedendomi sul bancone.
Le sue grandi mani tirarono via velocemente i miei vestiti, lasciandomi completamente nuda .
“Hai intenzione di guardarmi ancora a lungo?” chiesi alzando un sopracciglio.
“Passerei ore a guardarti, ma poi non potrei fare questo...” le sue dita si infilarono tra le cosce, toccandomi con voracità. Il piacere mi invase facendomi contorcere. Le mie unghie si ancorarono alle sue spalle nude. Quando si era spogliato?!
La mia mano strinse i suoi capelli quasi a volerli strappare, mentre mi muovevo in sincrono con lui.
Ormai ero andata... lo volevo ad ogni costo, così gli abbassai i boxer. Ma Ian quella sera non era dello stesso parere. Era chiaro che volesse dettare lui le regole del gioco... era rude, impaziente mentre mi girava facendomi divaricare le gambe. Per un attimo sentii solo il suono affannato dei nostri respiri, mentre aspettavo che facesse la sua mossa. Lo desideravo e Ian sembrava godere della mia voglia, guardandomi muovere i fianchi cercando di provocarlo.
Ero sicura che col senno di poi avrei ripensato a questa cosa arrossendo e vergognandomene, ma adesso, in quel preciso istante mi sentivo il fuoco ardere nelle vene. Non volevo altro che Ian dentro di me. Come un istinto primordiale.
E lui sembrò percepire il mio bisogno. Mi afferrò i capelli, tirando così tanto da costringermi a piegare indietro la testa e mi penetrò in un unico, brusco colpo. Annaspai per un momento, cercando di far adattare il mio corpo mentre sobbalzavo a ogni spinta. Evidentemente fino a quel momento si era sempre trattenuto, perché non eravamo mai arrivati a questo livello.
L’altra mano mi teneva stretta per il collo, come a volermi soffocare. Sentivo il suo bacino sbattere contro i miei fianchi via via che i colpi si facevano sempre più intensi e veloci. Urlai nel momento in cui il mio corpo fu preso dagli spasmi.
Ero esausta e appagata, ma Ian non era dello stesso avviso. Ancora una volta mi sollevò di peso mentre si sedeva sulla sedia portandomi sopra di lui.
“Muoviti piccola” gli uscì rauco dalle labbra. Dio, sembrava un animale in gabbia.
Non me lo lasciai ripetere due volte mentre iniziavo a fare su e giù. La sua bocca andò ai miei capezzoli, stringendoli tra i denti e succhiandoli. Ero fuori di me, non riuscivo a capire più che cosa stesse succedendo o cosa stessi facendo. Le sue mani affondarono sui miei fianchi, dando il ritmo alle spinte. Un fuoco mi invase quando ancora, per l’ennesima volta sentii arrivare l’orgasmo.
“Non ancora... non ancora...” ripeteva Ian ormai anche lui in preda al puro istinto animale. “te lo dirò io...” tirò di nuovo i miei capelli così forte da farmi inarcare quasi del tutto all’indietro. In quella posizione lo sentivo muoversi dentro di me ancora più a fondo. L’altra mano andò a stimolare il clitoride.
“Ian... non resisto...” lo supplicai.
Ma non mi ascoltava. Il suo corpo muscoloso, madido di sudore non faceva che eccitarmi ancora di più... il suono dei suoi colpi mi rimbombava nelle orecchie...
“Vieni con me” tuonò infine e in quel momento il mio corpo fu come invaso da una potente esplosione. Iniziai a urlare, ma mi tappò la bocca con la mano. “Se non la smetti di strillare così tra poco i vicini manderanno la polizia” ghignò mentre cercava di regolare il respiro affannato.
Io continuavo a starmene sopra di lui, incapace di muovermi; il mio corpo ormai non rispondeva più ai miei comandi. Ero a corto di qualsiasi energia.
“Dio piccola...” sussurrò accarezzandomi i capelli. Io non avevo il coraggio nemmeno di guardarlo in faccia. “Starei così all’infinito” mi uscii dalle labbra.
“A chi lo dici...” borbottò lui.
Un’ora dopo eravamo entrambi seduti a tavola, a gustare la cena, continuando a chiacchierare del concerto imminente. Ian era eccitato come non mai all’idea di questa nuova opportunità che gli si era palesata davanti e non faceva altro che proporre idee riguardo la serata. Non lo avevo mai sentito parlare così e con tanto fervore e la cosa mi faceva sorridere.
Dentro di me tuttavia, si faceva strada un sentimento strano, una sensazione di paura mista a preoccupazione. Avrei davvero suonato di nuovo davanti a tanta gente? Sarei stata in grado di contenere le mie emozioni o avrei rovinato tutto?
Il giorno dopo durante le prove ero più tesa che mai; gli altri non se ne accorgevano, troppo elettrizzati a chiacchierare tra loro.
“Tutto ok? Sei un po’ pallida...” Katy si avvicinò fissandomi.
“Sto bene...” risposi con poca convinzione “è solo che sta diventando tutto più reale, ogni giorno che passa” biascicai.
Lei rise, poggiandomi una mano sulla spalla “ smettila di rimuginarci su... il passato è passato. Adesso devi goderti il presente”.
La sua forza d’animo continuava a stupirmi sempre di più. Riusciva ad adattarsi alle situazioni senza abbattersi. La ammiravo per questo.
I giorni passavano inesorabili uno dietro l’altro e sia io che Ian restavamo svegli fino a tardi per arrangiare le canzoni e provare il sound.
Entrambi cominciavamo a risentirne, per quanto lui affermasse di non essere stanco.
Continuava a sostenermi e a farmi forza quando mi ritrovavo a voler gettare tutto all’aria perché non riuscivo a conciliare le tastiere con alcune canzoni.
Lui invece cercava di vedere le cose da una prospettiva differente, incoraggiando anche me.
Quando finalmente completammo il lavoro, erano passati quasi sette giorni.
“Mi dispiace averci messo così tanto ragazzi” mi scusai.
Ian mi accarezzò teneramente la guancia “ non scusarti; sappiamo tutti quanto ci hai lavorato su”.
Poi guardò gli altri. “Abbiamo quattro giorni prima del concerto, il che significa che proveremo ogni giorno fino a notte fonda fin quando non suoneremo tutte le canzoni in modo perfetto. Diamoci dentro!”
I ragazzi lanciarono un urlo di incoraggiamento prima di sistemarci ognuno al proprio posto.
Feci un lungo sospiro. Avrei affrontato il presente a testa alta.

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Capitolo 25
*** Suonare insieme ***


“Questa era perfetta!” esclamò Alan alla fine. Tutti annuimmo soddisfatti. Eravamo esausti e provati come non mai ma finalmente soddisfatti di essere riusciti a suonare in modo impeccabile ogni nuovo singolo arrangiamento.
Il tempo stringeva inesorabile e il giorno del concerto era ormai alle porte.
“Bene ragazzi, ci siamo. Domani è la gran sera” disse Ian una volta riunitici tutti in cucina per una birra. “Abbiamo fatto del nostro meglio, sono fiero di ognuno di voi”.
“Così mi fai commuovere” scherzò Jeff fingendo di asciugarsi le lacrime.
Gli altri risero.
“Smettila idiota!” lo rimproverò Katy con un mezzo sorriso.
La tensione adesso era palpabile; per quanto loro fossero abituati ad esibirsi in pubblico, non gli si era mai presentata una occasione del genere.
Io, d’altro canto, cercavo di non pensare all’imminente esibizione, concentrandomi soltanto su quanto stessi bene quando suonavo uno strumento.
Ian cercava di mantenere la calma, ma potevo notare comunque un leggero nervosismo trapelare dai suoi gesti.
“Andate a riposarvi e non fate niente di scalmanato stanotte, domani ci aspetta una lunga giornata”.
Dopo che ebbero finito la loro birra ci salutarono e andarono via tutti insieme.
“Adesso puoi rilassarti un po’, mister ho tutto sotto controllo” lo beffeggiai.
Ian mi guardò truce, ma non rispose con nessuna battutina.
Non l’avevo mai visto così serio da quando lo conoscevo.
“Dai, andrà bene” cercai di auto-convincermi “dobbiamo solo fingere di essere alle prove, come qualsiasi altra volta”.
Fece un lungo respiro. “Si, hai ragione. Mi sto comportando come un poppante, non è da me”.
Sorrise, tornando quello di sempre.
Il mattino seguente ci ritrovammo tutti per un’ultima prova generale, prima di caricare il furgone e partire alla volta del nostro primo concerto insieme.
Chris ci avrebbe raggiunti nel pomeriggio, nonostante tutti gli avessimo assicurato di poter viaggiare nel furgone con noi, lui non aveva voluto sentir ragioni, dicendo che lui non faceva parte della cerchia e che noi avevamo bisogno dei nostri spazi da “band”.
Un po’ lo capivo e gli ero grata per il suo modo di saper fare un passo indietro in certe situazioni. Non che non lo volessimo con noi, ma dovevamo restare concentrati il più possibile e quei momenti erano sacri.
Quando arrivammo Jeff esclamò un grande e sonoro “Cazzo!”
Io risi.
“Jeff cerca di contenerti” lo rimproverò Katy dandogli una gomitata nelle costole.
“Ahi!”
“Smettetela tutti e due”
La tensione era davvero altissima, anche gli altri ormai la avvertivano tanto quanto me.
“Vado a parlare con gli organizzatori” disse Ian lanciandomi un’ultima occhiata prima di darci le spalle.
Io sorrisi incapace di spiccicare una qualsivoglia parola. Cavolo, da quando ero diventata così pappamolle? Non era di certo il primo concerto in cui mi esibivo; per quanto potessi avere un po’ di ansia da palcoscenico, sapevo benissimo come dominarla e su cosa concentrarmi affinché sparisse.
“Allora, come ti senti?” chiesi a Katy sedendomi vicino a lei.
“Un po’ come tutti gli altri credo” abbozzò un sorriso.
“Si, ti capisco. Anch’io prima del mio primo concerto stavo così... anzi credo di aver vomitato; in effetti non ricordo molto bene”.
La mia confessione fece l’effetto desiderato, facendola ridere di gusto.
“La perfetta Megan che vomita prima del suo concerto, avrei voluto vederti”.
“Sono tutto tranne che perfetta...” borbottai.
“Beh, é questo che ci rende unici no? L’essere imperfetti. Ma in fondo ti odiavo anche per questo. Quando ti ho vista la prima volta é stato a un nostro concerto. Già da allora Ian era stato attratto da te. In quel caso ti avevo presa per la solita troietta di turno, ma devo ammettere che ho pensato anche che fossi davvero carina” abbozzò un sorriso. “Poi ti ho incontrata alla festa di compleanno di Chris e il mio odio é cresciuto ancora di più perché oltre che essere bella ho capito che avevi anche un cervello”.
Ascoltavo la confessione di Katy senza riuscire ad aprire bocca. Davvero aveva questa alta opinione di me?
“Seppur a malincuore dentro di me sapevo già di non avere nessuna speranza con Ian... non dopo il modo in cui ti guardava...”
Sospirò, come se ripensare a tutto questo la facesse soffrire ancora di più. In effetti ormai non vi facevo più caso, ma per Katy doveva ancora essere parecchio dura, dal momento in cui non era passato così tanto tempo da tutti questi eventi.
Io ci avevo messo anni a metabolizzare i traumi che avevo subito e tuttavia non ne ero uscita mai del tutto. Non che le due cose fossero sullo stesso piano, ma la sofferenza che per una persona può apparire insignificante, magari per un’altra risulta vitale.
“Sai...” continuò a testa bassa “una parte di me è stata contenta nel vedervi allontanare... Non sapevo bene cosa fosse successo fra voi due, ma godevo del tuo dolore. Sono stata stupida e immatura, e... ti chiedo scusa”.
Mi guardò con gli occhi carichi di rammarico.
“Non devi scusarti. Non ne hai alcun motivo. A me tu sei piaciuta subito, si, insomma per lo meno non mi stavi antipatica”. Abbozzai un sorriso. “Dimentichiamo tutto”. Poggiai una mano sul suo braccio cercando di rassicurarla.
“Guarda, guarda...” la voce di Jeff ci fece voltare verso di lui.
“Non si vede uno spettacolo del genere tutti i giorni! Chi si aspettava che Katy avesse sentimenti umani” e rise di gusto. Era palese che volesse alleggerire la tensione.
“Ah, sta zitto idiota” lo imbeccò lei e prese a rincorrerlo.
Li osservai correre a destra e sinistra fin quando Katy non lo beccò fingendo di picchiarlo.
“Che combinano quei due?” Chiese Ian arrivando e poggiando il suo braccio muscoloso sulle mie spalle.
“Consolidano il loro rapporto di amicizia” scherzai ancora divertita.
Lui alzò un sopracciglio, ma non disse nulla.
Un’ora più tardi eravamo tutti insieme seduti accanto al furgone a chiacchierare ancora una volta su come si sarebbe svolta la serata.
“Ah, Megan” mi chiamò Katy “ti ho portato qualche vestito da mettere, dopo vediamo come ti vanno”.
“I miei non vanno bene?” chiesi ingenuamente.
“Non per una band come la nostra... sei molto, come dire...” Alan cercò le parole adatte.
“Troppo santarellina, ecco” tagliò corto Katy.
Mi guardai. In effetti indossavo dei banalissimi jeans e una t-shirt. Non avevo nemmeno pensato al trucco ne a qualsiasi altra cosa.
“Tranquilla, ci penso io” continuò lei facendo l’occhiolino.
“Non credi sia eccessivo?”
Eravamo nel furgone e Katy mi aveva appena dimostrato cosa intendesse per look aggressivo.
“Più che dei pantaloncini questi sono delle culotte!” esclamai girandomi di schiena.
“Sciocchezze, sei perfetta!”
Non ne ero del tutto convinta.
Mi aveva dato un semplicissimo giubbino di pelle nero corto, abbottonato per metà, in modo da lasciar intravedere il reggiseno rosso. Le calze a rete a vita alta uscivano dai pantaloncini che in pratica non coprivano un bel niente. Ai piedi infine mi aveva messo dei tacchi borchiati che davano le vertigini soltanto a guardarli.
Per il trucco aveva optato per dei colori scuri, tra il nero e il grigio in modo tale da far risaltare i miei occhi verdi e un rossetto rosso fuoco sulle labbra.
“Cavolo” esclamai guardandomi allo specchio “sei davvero brava. Non mi aspettavo una cosa del genere; avevo paura di assomigliare a un pagliaccio e invece...”
“Invece sei una strafiga” finì lei la mia frase.
Abbozzai un sorriso.
“Li stenderai tutti”
La guardai. Nemmeno Katy scherzava con il look. Lei aveva optato per dei pantaloni di pelle aderentissimi, stivali da motociclista e una canotta sbrindellata.
“Sei pronta?” chiese sorridendo.
Annuii, incapace di rispondere.
Quando uscimmo dal furgone sentimmo soltanto i fischi di apprezzamento dei ragazzi.
“Accidenti” borbottò Jeff “state benissimo”.
Vidi Ian fissarlo con rabbia per mezzo secondo, prima di tornare su di me con occhi languidi. “Wow, sei da sballo gattina”.
Risi nervosamente mentre mi attirava contro il suo petto muscoloso. Erano secoli che non mi chiamava in quel modo. Sembravamo essere tornati all’inizio, quando ancora lui si comportava da stronzo e io non me lo filavo.
Mi diede un lungo e appassionato bacio prima di rivolgersi agli altri. “Si comincia ragazzi!”
Ci incamminammo verso il palco; le risate si affievolirono via via che ci avvicinavamo. Ognuno di noi stava cercando di dominare l’ansia e la paura a modo proprio.
“Caspita” esclamò Alan guardandosi intorno stupefatto. Per me non era nulla di nuovo; avevo già suonato in posti del genere, ma per loro... era la prima volta in assoluto.
“Megan, so che forse sei la più agitata tra tutti noi, ma puoi dirci qualcosa? In fondo hai già avuto questo tipo di esperienza...”
Abbozzai un sorriso annuendo. “Si, le nostre ansie derivano da motivi diversi. Posso solo dirvi di suonare così come avete sempre fatto. Non fatevi intimorire dal fatto che questo sia un posto diverso dal solito. Pensate soltanto che voi state suonando la vostra musica; state facendo quello per cu state lavorando da una vita; che state suonando per voi stessi e per i vostri fan. Pensate a questo e vi sembrerà del tutto normale, come una banalissima giornata in sala prove”.
Il mio discorso di incoraggiamento sembrò allentare un pochino la pressione che aleggiava sui loro volti.
Adesso però toccava a me farlo.
Ian mi afferrò per le spalle, abbassando il suo viso alla mia altezza e inchiodando i suoi occhi nei miei.
“Andrà tutto bene piccola, me lo sento. Sarai fantastica. Non pensare a nulla, ma se ti dovesse prendere il panico concentrati su di me, ok?”
“Ok” gli legai le braccia al collo, baciandolo intensamente.
Quando i tecnici dietro le quinte ci diedero il via ci sistemammo ognuno ai nostri posti, pronti ad entrare in scena.
Chiusi gli occhi facendo dei respiri lunghi e profondi... “Andrà bene”; era quello che continuavo a ripetermi.
Quando ci chiamarono sul palco sentii le gambe pesantissime, come se fossi stata inchiodata al pavimento. Eppure una parte di me non stava più nella pelle all’idea di potersi esibire di nuovo.
Le urla di acclamazione mentre attraversavamo il palco per posizionarci ai nostri posti mi riportarono indietro nel tempo...
Mi azzardai ad alzare lo sguardo sulla folla. Accidenti, erano anni che non assistevo a uno spettacolo del genere.
Le mie dita fremevano; non sapevo bene se per l’entusiasmo o la tensione.
Ian entrò subito dopo tutti noi. Sorrise beffardo, come sempre, mentre con la mano faceva un saluto. Inutile dirlo, era nato per stare sotto i riflettori. Era perfettamente a suo agio. Fissò il pubblico, soffermandosi su alcune fan che urlavano il suo nome; facendo l’occhiolino.
Abbozzai un sorriso anch’io guardando gli altri che avevano la mia stessa espressione. In qualche modo avevano capito che, per quanto fosse un evento più grande di quello a cui di solito erano abituati, non c’era nulla di diverso dall’esibirsi nei locali.
Jeff diede il tempo con le bacchette e la musica partì. Non mi rendevo  nemmeno conto delle mie dita che leggere sembravano volare sui tasti. Successe tutto esattamente come la prima volta che li avevo sentiti. La voce di Ian mi stava catturando, facendomi vagare nei più reconditi angoli della mia mente. Il suo carisma mi affascinava; era come se fossi posseduta dalla musica. Le mie mani si muovevano veloci in perfetto sincrono con il resto del gruppo. Sembrava quasi una magia. Suonammo così ben 5 canzoni di fila, mentre il pubblico non faceva altro che urlare il nostro nome.
Le luci intermittenti mi abbagliavano, ma non gli davo troppo peso, concentrandomi invece sulla musica chiusi gli occhi lasciandomi guidare dalla meravigliosa voce di Ian. Pian piano si facevano spazio altri pensieri, ricordi che credevo dimenticati. Ad ogni nota mi ritrovavo sempre di più immersa nel mio passato. Il cuore perse un battito, il respiro si fece affannato, le mani sudavano. Iniziai a vedere la faccia di Dean... No, non doveva succedere, non adesso. Il panico mi pervase mentre cercai inutilmente di riprendere il controllo.
Poi, così com’era arrivata, la paura scompare. Questa non era la mia vecchia band! Questi erano i miei amici, il mio ragazzo... la mia famiglia e io non potevo abbandonarli o deluderli.
Spalancai gli occhi guardando in direzione di Ian. Ed eccolo lì, stava continuando a cantare come se nulla fosse, ma di sottecchi mi teneva d’occhio. Era preoccupato, lo si vedeva da come teneva il corpo rigido.
Feci  un lungo respiro e sorrisi istintivamente. Non volevo metterlo in agitazione ancora di più. Le mie mani volarono sulla tastiera e tutti gli altri si accorsero del mio cambiamento, adattandosi al mio ritmo. Ian sorrise beffardo mentre iniziava a cantare con più vigore.
Finalmente avevo superato le mie paure e potevo  godermi questo incredibile momento.
Restammo immobili quando l’ultima nota riecheggiò nell’aria, mentre il pubblico iniziava a urlare a squarciagola il nostro nome chiedendo il bis. Forse avevano dimenticato che noi eravamo solo il gruppo di apertura.
“Grazie a tutti” urlò Ian e senza rendermene conto mi attirò a se afferrandomi per il braccio, mentre con l’altro stringeva ancora l’asta del microfono.
Il suo petto muscoloso era madido di sudore, ma non mi importava. Lo abbracciai mentre si chinava su di me dandomi un lungo bacio appassionato.
“Ti amo” sussurrò al mio orecchio prima di girarsi ancora una volta verso la folla e dare un ultimo saluto.
“Siamo stati pazzeschi!” Urlò Jeff nel backstage poco dopo.
Erano  tutti entusiasti, io compresa. La paura che avevo all’inizio era scomparsa del tutto nel momento in cui mi ero resa conto che era Ian a cantare. La sua voce era qualcosa di indescrivibile.
“Piccola sei stata magnifica!” urlò lui prendendomi tra le braccia per poi iniziare a baciarmi intensamente.
“Ehm... ragazzi magari è meglio se vi prendete una stanza...”
Mi guardai intorno rendendomi conto di non  essere soli. “Scusate” sussurrai diventando paonazza.
“Non ti preoccupare, è giusto festeggiare” rispose Katy con un sorriso.
Il viaggio di ritorno lo trascorremmo  tutto a parlare del concerto e di ogni singola emozione che ognuno di noi aveva provato.
“Dobbiamo festeggiare” esclamò Chris.
“Il fatto che ti abbiamo concesso di stare sul furgone non ti rende il leader del gruppo” lo beffeggiò Katy.
“Acida” rispose lui, ma entrambi sorrisero.
“Andiamo in qualche pub, ho bisogno di roba forte” esclamò Jeff legandosi i capelli.
Due ore e 3 bottiglie di tequila dopo eravamo tutti troppo sbronzi anche solo per alzarci dal tavolo. Tutti tranne Alan. La sua recente disavventura con l’alcol lo aveva fatto desistere dallo sbronzarsi, ragione per cui decise di riaccompagnare ognuno di noi a casa con il furgone.
“Ciaooo” lo salutai urlando dal vialetto mentre cercavo di non cadere a terra sotto il peso di Ian. “Tesoro, so che sei stanco, ma non riesco a reggerti, quindi cerca di collaborare” .
Ian iniziò a baciarmi, le sue mani percorsero il mio corpo in modo quasi furioso. Per un attimo mi sembrò di tornare alla festa di compleanno di Chris. Solo che stavolta non avevo nessuna ragione per rifiutarlo.
Il mattino seguente mi svegliai di colpo, quasi con un sussulto.
Spalancai gli occhi cercando di capire dove mi trovavo. Scostai l’enorme braccio che mi circondava la vita mentre cercavo di ricordare.
La sera prima avevamo bevuto parecchio... Alan ci aveva riportati a casa... e poi il nulla.
Mi alzai barcollando. Che cosa diavolo era successo? I miei vestiti e quelli di Ian erano tutti sparsi sul pavimento... niente di strano, non era mica la prima volta che andavamo a letto insieme, ma non riuscivo a ricordare. Nella mia testa c’era solo un grande, enorme buco nero.
Alzai le spalle, non avevo motivo di preoccuparmi.
“Megan” biascicò Ian con una voce molto bassa e rauca.
Non risposi nemmeno. Con passo malfermo mi diressi di nuovo verso il letto, buttandomi quasi sopra Ian, che come se nulla fosse mi strinse in un abbraccio prima di riaddormentarci entrambi. 

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Capitolo 26
*** incomprensioni ***


“Ehi, straniera!” mi salutò una settimana dopo Chris bloccandomi all’uscita dell’ascensore.
“Ciao!” risposi affannata “è successo qualcosa?”
“Dimmelo tu, ormai per parlarti devo prendere un appuntamento col tuo fidanzato”.
Sembrava un po’ offeso.
“Mi dispiace, ma tra il lavoro, le prove e tutto il resto non ho più un momento libero”.
Lui sembrò addolcirsi. “Mi sembra di capire che dopo la vostra straordinaria performance all’apertura del concerto hanno iniziato a contattarvi per suonare in diversi locali della città giusto?”
“Si, ecco perché siamo così presi. Sono locali seri, non i soliti pub di quartiere, per cui tutti noi ci stiamo impegnando molto. Nessuno vuole fare una cattiva impressione”.
“Capisco... beh, allora...”
Non lo lasciai finire. “Chris, ti prometto che è solo per questo periodo; nessuno di noi si è dimenticato di te o ti ha messo da parte, chiaro?”
“Lo so, è che sono un po’ geloso... avrei voluto far parte del giro anch’io” sorrise.
Non sapevo cosa rispondere. Era chiaro che si sentisse escluso e abbandonato, ma era pur vero che adesso provavamo ogni qualvolta avessimo un buco libero. Non c’era proprio posto in questo momento per il divertimento. Tuttavia vederlo con quell’espressione abbattuta sul volto mi fece ripensare a tutte le volte che lui si era fatto in quattro per me. C’era sempre stato da quando l’avevo conosciuto; ora era il mio turno di non abbandonarlo. Quindi decisi su due piedi. “Che ne dici di uscire stasera?”
“Non hai le prove coi ragazzi?”
“Oh, beh... non muore mica nessuno se saltiamo una sera” sorrisi mentre gli poggiavo un braccio sulla spalla. “Stasera facciamo baldoria amico mio!”
Quando comunicai la notizia agli altri Ian fu il primo ad essere felice di staccare un po’ la spina.
“Allora dove si va?” chiese Jeff sgranchendosi le gambe.
Lo fissai. “Veramente è da un po’ che io e Chris non usciamo più da soli, credo gli manchi un po’ stare insieme e chiacchierare come facevamo prima....”
“Cavolo siamo appena stati scaricati” rispose Jeff.
“No, non sei proprio invitato, è diverso” disse Alan.
“Scusate ragazzi, ma mi ha fermata in ufficio e sembrava davvero giù di morale. Chris ha fatto tanto per me da quando sono arrivata qui; è stato il primo amico che ho avuto”.
“Non devi giustificarti con noi piccola” Ian sorrise. “Vi farà bene starvene un po’ per conto vostro”.
“Grazie.” Ricambiai il sorriso. “E voi che farete?”
“Oh, beh credo che ce ne staremo qui a berci qualche birra”.
“Parla per te” gli fece eco Katy. “Non ho intenzione di passare la mia serata libera tra di voi energumeni, perciò me ne andrò in qualche posto carino sperando di rimorchiare” e mi fece l’occhiolino.
Risi notando la sua espressione. “Ehi Katy dobbiamo andare a fare shopping qualche volta. Ho la sensazione che mi divertirò”.
Non vedevo l’ora di osservare le reazioni delle commesse di fronte al suo look punk-rock.
Più tardi mi stavo preparando per la mia uscita, quando fui interrotta dal mio ragazzo.
“Sei troppo bella per uscire senza di me” disse fissandomi intensamente poggiato a braccia incrociate contro la parete.
Mi guardai allo specchio. Il mio abbigliamento non era nulla di speciale. Un semplice vestito nero né troppo scollato, né troppo corto.
Non avevo ecceduto nemmeno con il trucco. Era strano, ma non ero più uscita con gli amici da quando stavo con Ian; in un certo senso mi sentivo anche un po’ in colpa. Non che stessi facendo qualcosa di male, certo. Ma lasciarlo da solo a casa mentre io andavo in qualche bar a divertirmi mi faceva sentire un po’ un verme.
“Sicura che non vuoi che venga? Posso sedermi in disparte a bere una birra, non vi disturberò”.
Feci di no con la testa “non credo sia il caso. Chris si sentirebbe a disagio, come se avessimo bisogno di una guardia del corpo. È solo per stasera, ok? Andrà tutto bene”.
Gli allacciai le braccia al collo, sollevandomi sulle punte nonostante avessi i tacchi, per poterlo baciare.
“Come vuoi. Ma se ti serve qualcosa chiamami, ok?”
“Certo” sorrisi e continuai il mio bacio.
“Adesso vattene prima che ti strappi il vestito di dosso” disse dandomi una pacca sul sedere mentre mi staccavo da lui per andare a prendere la borsa.
Dieci minuti più tardi ero in auto con Chris. Era strano, mi sentivo un po’ in imbarazzo. La conversazione non decollava ed entrambi eravamo un po’ nervosi.
“Oh ma dai accidenti!” esclamò poco dopo di punto in bianco. “Siamo amici da anni ormai e non abbiamo mai avuto momenti imbarazzanti tra noi. Ti ho anche vista nuda santo cielo!”
Lo fissai, quasi incredula di quella sua strana reazione; poi scoppiai in una fragorosa risata.
“Cavolo se mi sei mancato Chris!”
E così superammo quella fase, iniziando finalmente a goderci la serata.
Quattro martini più tardi eravamo entrambi brilli e allegri come non mai.
“Su andiamo a ballare!” Mi incitò Chris trascinandomi giù dallo sgabello.
“Aspetta solo un momento, mando un SMS a Ian, vuole sapere dove siamo” Dissi mentre scrivevo.
Dopo averlo inviato lo raggiunsi sulla pista. Mi sentivo davvero bene mentre ballavo e ridevo in compagnia del mio migliore amico. Da quando avevo conosciuto Ian, anzi da quando avevo iniziato a uscire con Ian, avevo un po’ lasciato perdere tutto il resto del mondo. Mi aveva presa completamente, fino a farmi diventare il tipo di persona che trascura tutto il resto solo per stare col suo uomo.
Avevo dimenticato di come mi sentissi spensierata in compagnia di Chris. Mentalmente promisi a me stessa che non mi sarei più comportata in quel modo.
Mi riscossi dai miei pensieri quando andai a sbattere contro qualcuno che prontamente mi afferrò evitandomi una figuraccia.
“Scusa, non ti avevo visto” biascicai ancora confusa. Ero finita addosso a un ragazzo, poteva avere all’incirca la mia età, ma era molto più alto e robusto. Cercai di scostarmi ma le sue mani non accennavano a lasciarmi andare. Iniziai a sudare freddo. Intorno a noi nessuno sembrava accorgersi di quello che stava succedendo e la cosa mi inquietò un po’. Le luci intermittenti non davano molto spazio per capire la situazione e l’alcol non aiutava.  Avrebbe potuto benissimo trascinarmi via a forza senza che nessuno se ne rendesse conto.
Il tipo fece un sorriso storto, a metà tra un ghigno e una smorfia, mentre mi guardava dalla testa ai piedi.
“Sei da sola? Che ne dici di bere qualcosa con me e i miei amici?” chiese facendo presa sul mio braccio.
“No grazie, sono qui con qualcuno” come a volerne dare prova Chris arrivò proprio in quel momento.
 “Ehi tu, lasciala andare”. Ordinò, ma il ragazzo non accennava a farlo.
“Vuoi che ti prenda a pugni per caso? Ti ho detto di lasciarla andare!”
Chris iniziava a innervosirsi e anche gli altri tizi intorno a noi. Era chiaro che fossero in vantaggio numerico, ma questo non sembrava preoccupare o intimorire il mio amico.
Iniziai a sudare freddo. Come cavolo saremmo usciti da questa situazione? Non volevo che Chris si facesse male a causa mia. In quel momento desiderai aver accettato la proposta di Ian di accompagnarci. Ero sicura che tutto questo non sarebbe successo se ci fosse stato anche lui.
Cercai di pensare in fretta a una soluzione. “Se bevo qualcosa con voi poi ci lascerete in pace?”
“Certo” rispose il tipo subito. Era chiaro che stesse mentendo, ma almeno avrei guadagnato tempo. Mi voltai verso Chris e mimai qualcosa con le labbra in modo che solo lui potesse capirmi; poi mi girai e li seguii.
Me ne stavo seduta tra loro, stringendomi il più possibile affinché non mi sfiorassero, mentre fingevo di sorseggiare il mio drink.
Dentro di me contavo i secondi pregando che il tempo passasse in fretta.
“Ehi bella, non stare lì impalata, su andiamo a ballare!”
Senza nemmeno aspettare una mia risposta mi tirò a se, iniziando a strusciarsi in modo volgare contro di me. Avevo la nausea. Credevo fosse uno schifo, ma il peggio doveva ancora venire. Stringendomi come in una morsa mi bloccò qualsiasi movimento, mentre iniziava a dirigersi sulle mie labbra. Non volevo che mi baciasse, non doveva succedere!
No! Ti prego no! Continuavo a urlare nella mia testa, mentre mi dimenavo inutilmente. Avrei avuto di sicuro dei grossi lividi sulle braccia, ma in quel momento mi importava soltanto che non riuscisse nel suo intento. I suoi amici intorno a noi ridevano, incitandolo ancora di più.
Fu in quel momento che sentii un fruscio, un movimento d’aria sfiorarmi l’orecchio; prima di vedere un grosso pugno schiantarsi sulla faccia del tipo che mi aveva immobilizzata.
Andò a finire addosso ad altri due prima di cadere sul pavimento.
Ian mi strinse nascondendomi il viso sul suo petto. Era caldo e... sicuro. Tuttavia lo sentivo tremare. Era fuori di sé dalla rabbia; lo capivo senza aver bisogno di guardarlo in faccia. L’unica cosa che lo tratteneva dall’ammazzare quei tipi ero io. Fin quando fossi stata tra lui e loro si sarebbe trattenuto. Così mi aggrappai alla sua t-shirt come se stessi annegando e lui fosse l’unico sostegno nei paraggi.
“Se ti azzardi un’altra volta a toccare la mia ragazza giuro che ti ammazzo brutto stronzo!”
Urlò così forte da far girare finalmente le persone che erano intorno a noi.
“Provaci! Noi siamo in cinque e tu uno solo!”
Il tizio lo stava provocando, ignaro del pericolo. Ian fece per scostarmi, ma io non mollai. “Lascialo stare Ian” cercai di farlo ragionare “é solo un ragazzino viziato, non ne vale la pena”.
Ma lui non accennava a lasciar correre. I suoi occhi erano iniettati di sangue, il suo respiro accelerato, i pugni così stretti tanto da tremare.
Fu in quel momento che successe una cosa inaspettata. Vidi il ragazzo contorcersi dal dolore mentre ascoltavo una voce familiare.
“Bene bene. Ti tengo proprio per le palle amico!”
Katy era sbucata fuori dal nulla afferrando i gioielli del tipo che ora rantolava cercando di farle mollare la presa.
“Dimmi, non è piacevole, giusto? Adesso sai come si è sentita la mia amica mentre la costringevi a starti vicino. Vi conviene sparire idioti se non vuoi che te le strappi!”
Lo mollò, non prima di tirargli un calcio sul sedere.
Guardai inerme la scena mentre mi accorgevo che anche Jeff si era unito nello spintonare via gli amici del ragazzo che rantolava allontanandosi.
“Siete arrivati giusto in tempo” disse Chris dando una pacca a Ian; ma lui non rispondeva. Lo sentivo ancora tremare; che stava succedendo?
“Ian...” cercai di parlare ma il suo tono di voce mi fece ammutolire.
“Questa è l’ultima volta che esci senza di me!” tuonò.
Rimasi perplessa per mezzo secondo, poi sentii montare la rabbia dentro di me. Poggiando i palmi sul suo petto mi diedi una forte spinta, scostandomi da lui per poterlo guardare in faccia. “Cosa cavolo vuoi dire?”
“Hai capito. Non è sicuro per te uscire da sola, finisci sempre in qualche casino!” ruggì furioso.
Quelle parole mi ferirono dritte al cuore. Non avrei mai dimenticato che era stato lui a salvarmi in quel vicolo la notte in cui il nostro rapporto era cambiato.
“Senti da che pulpito!” lo incenerii con lo sguardo. “Il primo da cui avrei dovuto essere salvata eri proprio tu! O forse ti fa comodo dimenticare quello che non ti piace”.
“Megan cos’è questa storia?”
Chris era entrato nella modalità protettore, quindi non gliene fregava un bel niente di tutto il resto.
“Questo non è il momento per tirare fuori quella storia” rispose a denti stretti.
“Solo perché non ti fa comodo! Non sei il mio carceriere Ian, non puoi pretendere che rinunci o cambi la mia vita solo perché ti preoccupi che possa succedermi qualcosa”. Lo fissai, sperando che capisse, ma nei suoi occhi non vedevo la minima traccia di comprensione. Sospirai, era inutile continuare.
“Io me ne vado. Non aspettarmi stanotte, torno a casa mia”.
“Ti accompagno io” la voce di Katy non mi era mai sembrata più rassicurante come in quel momento.
“Ok”.
“Aspetta” mi bloccò stringendomi un polso. “Non puoi fare così. Parliamo fuori”.
Mi trascinò via sotto lo sguardo degli altri.
“Non andartene” esclamò una volta sul retro. La sua espressione mi spezzava il cuore, ma non potevo cedere e permettergli di trattarmi come una marionetta.
“Ho bisogno di stare da sola” risposi evitando di guardarlo negli occhi. “Non ti permetto di darmi ordini, sono la tua ragazza, non il tuo burattino”.
“Sai che non ragiono quando si tratta di te” osservò.
“Lo so... ma anche io ho bisogno dei miei spazi”.
Mi sentivo un verme; mi aveva appena salvato, per l’ennesima volta, eppure lo trattavo male. Ma Ian mi conosceva bene, fin dal primo giorno in cui ci eravamo incontrati aveva capito che non ero una persona a cui si potevano dare degli ordini o imporre che cosa fare o non fare. Non avevo mai permesso a nessuno, né ai miei genitori, né ai fidanzati di cambiare il mio modo di essere.
“Hai sempre saputo quanto io detesti le imposizioni, ma ne hai fatta una senza battere ciglio”
Finalmente lo guardai “Adesso voglio stare da sola, forse è meglio anche per te, così puoi ripensare a tutto e magari capire il mio comportamento”.
La faccia di Ian passò dal rimorso alla rabbia in un millesimo di secondo “fai come meglio credi” tuonò “sono stanco di queste cazzate. Sono stato paziente, ho cercato di accontentarti in tutti i modi possibili. Mi hai fatto diventare uno zerbino cazzo e ora ti comporti così? Sai quante donne mi hanno cercato in tutti questi mesi? Ma io ho rifiutato perché sapevo che ti avrei fatta soffrire; e questo è il tuo comportamento?”
“Io avrei fatto cosa? Sei stato tu a cambiare, di certo non te l’ho imposto io! O vuoi dire che hai fatto tutto questo solo perché era l’unico modo in cui potevi avermi? Beh del resto l’hai appena ammesso. Tu non hai smesso di essere quello che eri, l’hai solo accantonato. Un uomo che ama la sua ragazza non penserebbe mai queste cose! Io non ho mai pensato ad altri uomini perché sono innamorata di te e mi basta, ma evidentemente non è lo stesso per te, altrimenti non faresti questi discorsi.” Continuai senza aspettare nemmeno una risposta. “Se è così che la pensi forse non dovremmo stare insieme, se io ti faccio essere quello che non sei non hai motivo di stare ancora con me. Torna quello che eri un tempo se è questo quello che vuoi. Puoi tornare a farti tutte le donne del mondo se ciò ti fa sentire meglio. Abbiamo chiuso”.
Feci per andarmene, poi mi voltai a guardarlo “Ti credevo davvero una persona migliore, ma sei uguale a tutti gli altri”.
Tornai dentro il locale per avvertire gli altri e chiedere a Chris di accompagnarmi.
Non volevo tornare con Katy, sapevo che avrebbe cercato di difendere Ian in ogni modo.
Quindi era davvero questo che pensava? Si era imposto di cambiare solo per accontentare me. In realtà era qualcosa che lui non desiderava. Beh, meglio tardi che mai. Stavolta non avrei commesso lo stesso errore, ne mi sarei tormentata. Sapevo di aver ragione ad essere arrabbiata. Mi aveva di nuovo ferita col suo stupido comportamento, ma non avrei ceduto.
Quella notte il mio appartamento mi sembrò più gelido che mai. Erano mesi che non vi mettevo più piede, ma nonostante tutto lo trovai un rifugio sicuro.
Spensi il telefono prima di rintanarmi sotto le coperte. La serata era stata un vero disastro e in quel momento non vedevo nessuna possibile soluzione per tutta la faccenda.
Calde lacrime silenziose mi rigarono il volto mentre le parole di Ian mi rimbombavano nella testa.
Ma si poteva essere più stupidi di me? Come avevo potuto credere che un tipo come lui potesse cambiare così su due piedi. A volte il desiderio di ottenere qualcosa nasconde tutto il resto rendendo ciechi. Era proprio quello che era successo a me. Avevo desiderato con tutta me stessa che Ian potesse cambiare, che potesse amarmi da non vedere che era tutta una mera illusione.
Mi addormentai stringendo il cuscino, bagnato dalle mie lacrime.
 
 
 
(Ciao a tutti ragazzi, eccomi tornata con un nuovo capitolo! Spero continuerete a seguirmi e a recensire. Dalla prossima settimana tornerò finalmente in ferie in Italia per due settimane, quindi non avrò il tempo di pubblicare, ma la storia non verrà interrotta. Grazie a tutti)

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Capitolo 27
*** qualcosa è cambiato ***


Il mattino seguente mi sentivo come in preda al jet lag. La mia testa non voleva saperne di smettere di girare; ma stranamente, avevo le idee molto chiare.
Avevo pianto tutta la notte e questo mi era bastato; adesso era il momento di passare all’azione. Non mi sarei fatta prendere dallo sconforto due volte di seguito.
Quando arrivai a casa di Ian qualche ora più tardi decisi di bussare, ma non venne nessuno ad aprire. Così decisi di usare la chiave che lui stesso aveva fatto fare apposta per me. Mi guardai velocemente in giro, ma di Ian non c’era nessuna traccia; anche il letto era immacolato, il che stava a significare che la notte precedente non era tornato a casa. Per un momento mi chiesi dove fosse e se stesse bene, ma poi mi ripresi dandomi della stupida.
Iniziai a sistemare la mia roba in dei grossi scatoloni che lasciai all’ingresso.
“Megan?”
La voce di Alan mi fece sobbalzare.
“Oh dio” esclamai poggiando una mano sul cuore “non farlo mai più” intimai.
“Scusami, ma ero così sorpreso di vederti... che ci fai con quelli?” chiese indicando le scatole.
“Non è ovvio?” risposi stizzita “porto via la mia roba”.
“Dai, sono sicuro che Ian non volesse dire quelle cose ieri sera... era solo arrabbiato. Tutti sappiamo di quanto sia irascibile”.
“Quindi hai sentito...”
“Già. Stavo uscendo per controllare che fosse tutto ok e ho ascoltato la vostra lite. Non credo che dicesse sul serio”.
“Non ha importanza” risposi “lui non è qui adesso e io sono stanca di dover subire ogni volta. Se fosse stato importa si sarebbe precipitato a casa mia o avrebbe almeno chiamato. Ma non l’ha fatto”.
Se davanti a me ci fosse stato Ian e non Alan, allora forse avrei potuto cercare di chiarire.
“Che ci fai qui comunque?” chiesi poi confusa.
“Tra poco ci sarebbero le prove...” rispose lasciando la frase  in sospeso.
“Giusto... beh più tardi sarò a casa se volete passare, adesso vado; manderò qualcuno a prendere gli scatoloni.
Lo abbracciai forte prima di andare via, trattenendo a stento i singhiozzi.
Quel pomeriggio si presentarono tutti alla mia porta; beh, tutti tranne uno.
“Megan cerca di ripensarci” mi supplicò Alan “finalmente le cose stavano andando bene”.
“lo so, e mi dispiace; ma credo sia la cosa migliore da fare”. Li guardai ad uno ad uno soffermandomi su Katy “Strano che tu non abbia nulla da dire” osservai.
“Cosa vuoi che dica? Ian si è comportato da stronzo immaturo, ma è comunque mio amico”.
“Lo so, non volevo mica che ti schierassi dalla mia parte... ma cerca di capire i miei motivi, tu più di chiunque altro sai perché devo farlo...” lasciai in sospeso la frase, sapeva bene a cosa mi riferivo.
“Quindi finisce qui?” chiese Alan.
“Si” fu tutto ciò che mi veniva in mente. “Avete un po’ di tempo prima del prossimo concerto, potete trovare un sostituto o tornare al numero originale”.
Guardai Jeff. Se ne stava in piedi rivolto alla grande finestra che affacciava sul parco, dandoci le spalle. Sebbene non lo vedessi in faccia sapevo che era furioso. Lo si notava da come teneva rigide le spalle e dai pugni serrati. Eppure non emise un singolo suono.
“lui cosa ne dice?” chiesi tornando a guardare gli altri.
“Ian? Non si fa vivo dall’altra sera...”
Sospirai, ma non dissi altro.
Quando andarono via mi sentii più sola che mai. Lo stress mi stava uccidendo. Avevo pochissimo appetito e quelle poche volte in cui riuscivo a mandar giù qualcosa lo rigettavo subito dopo.
I giorni iniziarono a passare, prima lentamente, poi sempre più veloce, fino quasi a confondersi.
“Hai un aspetto orribile” osservò Chris in ufficio.
Non avevo uno specchio con me, ma sapevo a cosa si riferiva. Il mio viso era diventato di un colore smorto, pallido e le occhiaie non facevano che mettere in risalto il mio colorito malaticcio.
“Dico sul serio Megan, guardati! Sei anche dimagrita!” continuò “dovresti farti visitare da un dottore”.
“Forse dovrei” risposi quasi meccanicamente. In realtà non lo stavo ascoltando.
“Credi che sia un gioco?” tuonò “ne va della tua salute”.
Lo fissai, risvegliandomi dal mio coma. “ Hai ragione, andrò da un medico”.
Non volevo contraddirlo, non ne avevo la forza. E poi con un po’ di fortuna magari mi avrebbe dato qualcosa che mi evitasse di vomitare tutte le mattine.
Mi ero ormai abbandonata a me stessa, lasciando che tutto mi scivolasse addosso, facendomi trasportare dalla corrente. Non aveva senso per me provare a dimenticare o ignorare l’accaduto; al contrario avevo deciso di abbracciare il dolore.
Doveva servirmi da monito per aver creduto ancora una volta di poter essere amata da qualcuno per cui era ignoto il concetto stesso di amore.
Avevo messo tutta me stessa nella relazione con Ian, convincendomi che forse era la volta buona in cui le cose potessero andare diversamente dal passato.
Non facevo che pensare a questo mentre aspettavo l’esito dei miei esami. La voce del medico mi riportò alla realtà.
“Signorina? Può seguirmi? C’è qualcosa di cui dobbiamo parlare”.
Mi accigliai ma gli andai dietro.
“Prego” indicò la poltrona invitandomi a sedermi.
“Qualcosa non va?” chiesi cercando di rimanere calma.
“Beh, signoria, non so se ne avesse il sospetto ma... dalle analisi risulta che lei aspetta un bambino”.
Lo guardai incredula, poi dopo un breve momento risposi “No, non è possibile. Prendo la pillola regolarmente e sono sicura di non averla mai saltata...”
“La pillola non sempre è efficace al 100%” mi interruppe “ ci sono casi in cui non funziona come dovrebbe”.
“Io... io” non sapevo cosa dire, ero del tutto sconvolta. Avevo attribuito i miei problemi fisici allo stress subìto, nulla mi avrebbe mai fatto pensare  a una gravidanza. Se avessi avuto questa notizia un paio di settimane prima ne sarei stata felicissima, e anche Ian. Ma adesso? Cosa avrei dovuto fare? Qual’era la scelta migliore?
“Se decide di non volere questa gravidanza dobbiamo subito fissare un appuntamento, purtroppo non abbiamo molto margine di tempo. Più si aspetta più diventa rischioso”.
Abortire? Potevo davvero considerare questa decisione?
“Se decide di continuare ma non vuole tenerlo può sempre darlo in adozione. L’ospedale offre questo servizio in modo anonimo...”
“No” lo bloccai. Non avrei mai fatto del male al mio bambino in nessun modo. Avevo appena avuto la notizia, ma già sentivo di amare il piccolo esserino che cresceva dentro di me. L’avrei protetto a qualsiasi costo.
“Credo proprio che terrò il bambino” dissi con decisione.
“Se posso chiederle... il padre...”mi guardò senza finire la frase.
“Al momento si trova all’estero per lavoro, ma sono sicura che sarà felicissimo della notizia” mentii spudoratamente.
Rimasi lì a chiedere informazioni per altri 15 minuti buoni, poi mi fece un’ecografia.
“Ecco qui la foto” disse poco dopo “ per il momento è tutto nella norma, ma ovviamente dovrà tornare regolarmente per dei controlli”.
Sulla strada di casa non facevo che rimuginare sul da farsi. Avrei dovuto dirlo a Ian? Del resto lui era il padre e quindi ne aveva il diritto tanto quanto me. Stava a lui poi decidere se far parte o meno della vita di suo figlio. Il problema era come dirglielo. Dopo la lite non ci eravamo né visti né parlati...
Una cosa era certa, per il momento dovevo tenere la notizia per me. Per quanto volessi bene a Chris non ero sicura di potermi fidare su questa faccenda.
“Il dottore dice che è solo stress, mi ha dato delle vitamine per rimettermi in sesto” mentii il giorno dopo.
Chris tirò un sospiro di sollievo. “bene, per fortuna non è nulla di serio”.
Passarono altre due settimane e di Ian nemmeno l’ombra. Ero consapevole del fatto che lui non si sarebbe mai esposto per primo, ma in fondo un po’ ci avevo sperato. Più aspettavo e più mi logoravo, così decisi di andare al solito pub. Avrei aspettato in un angolo fino alla fine del concerto e poi lo avrei affrontato.
Già, era un piano infallibile. Cosa poteva andare storto?
Il locale quella sera era più affollato del solito. Evidentemente ormai il gruppo godeva di un’ottima fama.
“Credi che Ian verrà a bere qualcosa con noi dopo?” chiese una.
“Non ci giurerei, so che ha una ragazza” rispose un’altra.
“Che peccato...”
Dentro di me tirai un sospiro di sollievo. Forse non tutto era perduto. Il concerto Iniziò subito dopo e per tutto il tempo cercai di godermelo.
“Ian è davvero fantastico!” urlarono alla fine.
“Lo so e dovreste vederlo a letto, è una vera furia...”
Mi si gelò il sangue nelle vene.
“Come fai a saperlo, ci sei stata?” chiesero in coro le due oche curiose.
“Ovvio, è successo qualche giorno fa, mi ha portata a casa sua. Mi hanno sempre detto che non ci porta mai nessuna, ma evidentemente io sono speciale, perché sono rimasta li tutta la notte”.
Era palese che non aspettasse altro che vantarsene con chiunque le fosse capitato a tiro.
Improvvisamente fui assalita dai conati di vomito, ma mi sforzai per tenerli giù. Ormai era tutto finito. Non solo era stato con un’altra, ma l’aveva fatto a casa sua, nello stesso letto in cui fino a poche settimane fa noi avevamo dormito e fatto l’amore. Era imperdonabile. All’improvviso dirgli del bambino mi sembrò la cosa più sbagliata al mondo. Non volevo più avere niente a che fare con lui. Così mi alzai, decisa ad andarmene, ma fu un errore. In quel momento Ian alzò gli occhi dalla sua chitarra e come se fossero state due calamite, i nostri sguardi si incrociarono.
Il suo viso, che prima appariva indecifrabile, freddo e duro come quando ci eravamo conosciuti, per un attimo si abbandonò allo stupore, facendo trapelare le sue emozioni. Saltò giù dal palco, iniziando a sgomitare per raggiungermi.
Io però fui più veloce, uscendo dal locale quasi correndo e chiamando in fretta un taxi.
“Megan”
Il suono della sua voce mi pietrificò.
“Perché sei qui?”chiese. era una mia impressione o c’era una lieve speranza nel tono della sua voce?
“Volevo dirti qualcosa di persona, ma ho cambiato idea” feci per salire in auto ma mi afferrò la mano.
“Aspetta”
Per un momento dimenticai tutto il dolore abbandonandomi a quel tocco familiare. Poi tornai in me “Ho smesso di aspettare Ian” risposi fredda. “Ho solo un’ultima domanda da farti” lo guardai “ hai davvero portato un’altra a casa tua? Ci hai davvero fatto sesso? Sul letto dove abbiamo passato intere ore?”
Lui rimase paralizzato, incapace di emettere alcun suono. Era chiaro che non si aspettasse una domanda del genere.
Le mie labbra si sollevarono in un sorriso amaro.
“Non pensavo potessi essere così crudele; non dopo averti raccontato di come Dean mi abbia tradita. Deve essere una beffa del destino. Due volte allo stesso identico modo”
“No” rantolò lui.
“Non te ne faccio una colpa. Sapevo fin dall’inizio in cosa mi stavo andando a cacciare. Ho messo a tacere il buon senso per dare ascolto al mio stupido cuore, ma mi rendo conto di aver sbagliato. Tu sei così, non possiamo farci nulla”.
Mi divincolai dalla sua presa scansando la sua mano “non avvicinarti mai più a me”.
Il mio sguardo non lasciava nessun margine di scelta. Quella sera mi aveva spezzato il cuore definitivamente, e questa consapevolezza mi dava maggiore forza nel voler proteggere il piccolo esserino che cresceva nel mio ventre.
Lo lasciai lì, immobile e con lo sguardo vuoto.
Quando scesi dal taxi mi ero ormai ricomposta, seppur fossi sicura di avere gli occhi rossi e gonfi a causa del pianto; ma mai avrei immaginato di trovare Jeff seduto sui gradini del mio palazzo.
“Che ci fai qui?” chiesi incredula.
“Vi ho visti litigare” fu l’unica cosa che rispose.
Sospirai “Sto bene”.
“Davvero?” si avvicinò lentamente, sul volto un’espressione indecifrabile. Non lo avevo mai visto così serio, era sempre stato allegro e col sorriso sulle labbra.
“Perché sei qui?” ripetei.
“Davvero non lo sai?” rispose lui accarezzandomi le guance “Non respingermi...” sussurrò infilando il naso tra i miei capelli. “Credevo mi fosse passata, ma non é così. Muoio dalla voglia di picchiarlo per ciò che ti ha fatto...”
“No, la faccenda non ti riguarda” dissi fissandolo.
Anche lui era bello; lo avevo pensato dal primo momento. In più si era dimostrato sempre disponibile e gentile.
“Vorrei essermi innamorata di te” confessai scoppiando in lacrime “sarebbe stato molto meglio”.
“Shhh” mi confortò cullandomi tra le braccia.
Cos’era questo improvviso senso di calore che provavo?
“Ti accompagno su” disse mentre io annuivo.
“Entra” lo invitai una volta arrivati.
Jeff non se lo fece ripetere due volte. Forse stavo sbagliando o forse volevo ferire Ian come lui aveva fatto con me, ma in quel momento sapevo soltanto di non voler rimanere da sola.

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Capitolo 28
*** INFO ***


Salve a tutti ragazzi so di essere sparita per un po' di tempo, ma se qualcuno legge ancora la mia storia ci tengo a informarvi che ho ripreso a scrivere e che cercherò di pubblicare regolarmente i nuovi capitoli. Grazie mille! P.S. per chi é in pari con i capitoli, cosa ne pensate di una possibile relazione con Jeff? Fatemi sapere :)

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