Gli Eletti

di PiscesNoAphrodite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gli Eletti ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ***



Capitolo 1
*** Gli Eletti ***



Avvertimenti: la storia presenta significative divergenze dal canone, situazioni e personaggi rispecchiano l'headcanon dell'autrice. Grazie infinite per il vostro interesse, in ogni caso.


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Gli Eletti

 

 

I

 

Misty/Eris

 

Si diceva che le spoglie dei Santi permanessero intatte...

 

Un bagliore dorato sbrecciò la fredda pietra del sarcofago, aprendo un varco e insinuandosi negli anfratti dell'interno angusto, infiltrandosi tra le pieghe del sudario.

Riusciva a scorgere se stesso, come se contemplasse la propria immagine in uno specchio, fino al momento in cui l'anima non si congiunse all'involucro di carne. Luce. La stessa luce che percepiva attraverso le palpebre chiuse, calda, avvolgente, pervadeva il suo corpo inerte risanando e sigillando le ferite, ridestandolo dal sonno imbalsamato della morte. La coscienza si era destata lentamente dalla condizione di non esistenza, dalla vacuità di cui è costituito il non essere; dal torpore innaturale del sonno privo di sogni che l'aveva precipitato nel limbo della quiete senza pensieri. Un flusso di ricordi aveva attraversato la sua mente, fulmineo, come il sibilo di una freccia a fendere il vento. Gli fremettero le palpebre e dischiuse gli occhi umidi di lacrime. Era l'inizio dello scorrere del Tempo.

L'aura l'avvolgeva col suo dolce abbraccio, inondando di luce iridata il mausoleo e le bianche colonne di marmo circostanti. Una lieve brezza sfiorava il suo volto e percepì che l'aria stessa profumava di fiori; ed ebbe l'impressione di destarsi in una dimensione ultraterrena – era, forse, l'Elisio, di cui aveva sentito parlare? E vide una giovane donna avvinta da quel bagliore sfolgorante, la cui mano poggiava, lieve, sulla sua fronte. Doveva essere la Dèa, o meglio, la persona nella quale lei si era incarnata...

 

***

 

Era un episodio ricorrente rivivere in sogno l'evento della rinascita, mi rigirai su di un fianco con quelle immagini così vivide nella mente, e socchiusi gli occhi per evitare la luce del sole che illuminava la stanza filtrando attraverso la tenda; mi attardai per qualche istante, affondando pigramente la guancia sul lato asciutto del cuscino. Faceva sempre così caldo, il caldo a volte rendeva le notti insonni e spesso mi addormentavo quando era ora di svegliarsi.

Il primo pensiero rivolto a colei che mi aveva riportato in vita non fu di gratitudine bensì perplessità, in quanto in quella esile figura di donna non avevo ravvisato l'immagine idealizzata che mi ero figurato. Era solo una fanciulla dall'aspetto gentile ma, allo stesso tempo, così poco autorevole. Lo sfarzo dei gioielli tempestati di diamanti che indossava - ovvero la torque d'oro, l'alta fascia che le cingeva la vita - e lo scettro in pugno, contrapposto ai tratti ordinari del volto la rendeva ancora più insignificante. Non poteva essere Athena, almeno, non poteva esserlo nel mio, singolare, immaginario da esteta. Mi voltai fissando il soffitto, ancora assorto in quei pensieri, rammentando di non avere nemmeno ringraziato la Dèa in quel frangente; mi ero atteggiato con distacco in sua presenza come se quel gesto amorevole mi fosse dovuto, levandomi con noncuranza, seminudo e col sudario avvolto intorno alle spalle. Ma adesso desideravo, volevo ammirarla ancora una volta. Dirle grazie. Nemmeno la morte sembrava aver prodotto un cambiamento nel mio essere...

Al Santuario la vita procedeva regolarmente, come se tutte le battaglie e la devastazione che ne era conseguita non fossero mai avvenute. Finalmente regnava la pace, e avevo la sensazione che sarebbe durata a lungo. Malgrado aleggiasse una parvenza di serenità il mio animo era inquieto: troppi brutti ricordi, rimpianti e rancore, mi affliggevano e chissà che gli altri Santi non stessero vivendo lo stesso tormento...

In realtà non m'importava molto dei presunti patemi altrui, l'amor proprio prevaleva su qualsiasi altro interesse e sotto quell'aspetto non sembravo affatto diverso sebbene m'impegnassi in una sorta di cambiamento. Forse, la morte mi aveva reso più consapevole ma non meno individualista.

La mia figura era sublime, l'ammiravo riflessa nello specchio, sedotto da quella perfezione che, sì, doveva essere un dono degli dèi, o forse ero io stesso di discendenza divina; non vi erano difetti o macchie che deturpassero quel candore. Eppure temevo di scorgere le ferite che erano state cagione di umiliazione e di morte. Scostai i capelli dalla fronte col timore di ritrovare un solco profondo. La lambii con le dita ma la pelle era bianca e intatta; parimenti sul mio corpo, che sfiorai quasi temessi di scalfire un'opera d'arte. Era come svegliarsi da un incubo, ogni volta; trassi un sospiro di sollievo sebbene non ne provassi poiché altre ferite, impresse nell'animo, sembravano persistere. Sapevo di non essere invulnerabile, quell'irreale chimera era svanita da tempo, ormai relegata nel novero delle tante illusioni.

I miei occhi blu erano profondi ma in essi non vi era bastante saggezza, mi sentivo insicuro e insoddisfatto. Per la prima volta realizzavo che l'avvenenza non era tutto, non sarebbe valsa a elevarmi dinanzi ai miei pari se non insignito di altri meriti e, forse, non sarebbero valsi nemmeno il mio sapere, la dialettica e l'abilità nel destreggiarmi con le parole. Mi imposi di riscuotermi da quei deliranti pensieri, distogliendo l'attenzione a malincuore dall'immagine riflessa nello specchio; e indossai la solita uniforme, così grezza e dozzinale, che nella sua semplicità aveva il pregio di esaltare la mia efebica bellezza.

Mezzogiorno era passato da un pezzo ed era una giornata libera dalle solite incombenze che gravavano sulle nostre vite di Santi devoti ad Athena. Dischiusi le imposte, dopo aver scostato il velo sottile della tenda. Amavo contemplare la visuale su quel tratto di macchia in prossimità della costa, che si scorgeva dalla finestra, e dove ogni sera spuntava il barbagianni – un fantasmino candido, con gli occhi di ossidiana – appollaiato sul ramo di un pino marittimo.

Estrassi una rosa dal recipiente di vetro, cingendone delicatamente lo stelo tra le dita per annusarla, ma essa non emanava più alcun odore e la corolla di serici petali si distaccò dal calice spargendosi sullo scrittoio. Dovevo rinnovare l'acqua nel vaso dei fiori, che era torbida e maleodorante, e sostituire le rose appassite, vederle avvizzire mi infondeva un senso di tristezza poiché in esse coglievo un rimando alla caducità del tempo...

Richiusi la porta alle mie spalle affacciandomi sul giardino per recuperare alcune rose fresche, e mentre armeggiavo con le cesoie per reciderne alcune, mi soffermai ad ammirare i narcisi; qualcuno si era adoperato al fine di curarli in mia assenza, forse la mano gentile di un'ancella.

Era una giornata d'inizio Estate del 1990, luminosa, soleggiata e avevo ancora un po' di tempo libero prima della convocazione, realizzai volgendo lo sguardo in direzione dell'Acropoli. Non amavo le cerimonie ufficiali, tanto meno in certe particolari contingenze.

Celato tra la fitta vegetazione, che adombrava la parte posteriore della casa, c'era un sentiero che serpeggiava fino al mare mi ci avventurai ma poco dopo avvertii una presenza aliena alle mie spalle, mi fermai emettendo però un sospiro di circostanza, non era mia intenzione esternare insofferenza verso un probabile interlocutore. Volevo semplicemente stare solo, almeno per un po'.

“Lacerta Misty" disse una voce, "oggi non eri presente al refettorio, come mai?” Mi voltai e con sorpresa la riconobbi, era Marin. Le parole che avrei proferito istintivamente nei suoi confronti mi morirono in gola, sul nascere.

Indugiai, scrutandola, forse con un punta d'irriverenza come se la vedessi per la prima volta. Lei indossava le Vestigia d'Argento, ma la mia attenzione ricadde sulle linee sinuose del suo corpo; la vita sottile, le gambe affusolate ed eleganti... Le riservai un altro sguardo, per poi sperare che da esso non trapelasse quello stupore che si sarebbe potuto fraintendere. La morte non era giunta per tutti allo stesso momento, e per qualcuno non era giunta affatto! Già, il tempo si era fermato solo per alcuni di noi, c'era chi aveva avuto l'opportunità di evolversi, crescere – non solo fisicamente – acquisire il settimo senso. Io, invece, ero rimasto tale e quale ad allora: un adolescente... Un debole Santo d'Argento ricordato per l'ingloriosa fine e inferiore persino a uno di Bronzo. Strinsi i pugni reprimendo rancore e collera, e forse anche le lacrime. Abbassai lo sguardo.

“Misty”, ripeté lei posandomi una mano sulla spalla. “Mi dispiace” disse sembrandomi sincera, evincendolo dal tono sommesso della voce, sebbene non potessi constatarlo dai tratti di un volto celato dietro l'inespressività della maschera. “Perché ti stai scusando con me?” Le chiesi con finta noncuranza, in modo che si spiegasse meglio.

“Per il tradimento... suppongo che lo smacco sia ancora vivo nella tua memoria. Asterion e gli altri hanno accettato le mie scuse.”

Cercai virtualmente il suo sguardo, ed elevando il mio con dignità proferii: “Hai agito con l'inganno, non è possibile perdonare un affronto del genere da un parigrado. Lo hai fatto per proteggere il tuo discepolo, me ne rendo conto ora, col senno di poi. Riesco a comprenderti ma non a giustificarti, e non so se riuscirò a dimenticare. Quel vile tradimento ha distrutto il mio orgoglio: un disonore che mi sono portato nella tomba! Conoscevi la verità e non hai fatto nulla, nemmeno un tentativo che avrebbe mutato il corso degli eventi. Si sarebbero risparmiate molte vite, inclusa la mia... Non nego che sia lecito offrire una seconda possibilità a chi desidera fare ammenda e riavvicinarsi” le dissi, “ma ho bisogno di tempo.” Scostai con garbo la sua mano dalla mia spalla, perché quel contatto ravvicinato m'indisponeva e trasudava ipocrisia oltre a suscitare il disgusto.

“Non avresti capito, nessuno di voi sarebbe stato in grado di comprendere. Eravate sotto l'influenza di Arles... Seiya ne ha passate tante, anche lui." Marin fece una pausa e poi riprese: "Nonostante tutto... io saprò aspettare: tutti meritiamo una seconda opportunità.”

“Ognuno di noi ha la sua parte di sofferenza, in questo mondo.” Sondai il suo sguardo, determinato a carpirlo e a trafiggerlo anche attraverso la maschera che l'occultava. Non aggiunsi altro: l'atmosfera era già tesa così, Marin si voltò e andò via. La mia risposta era stata eloquente.

Mi inoltrai attraverso il sentiero. Quella conversazione aveva insinuato un'ombra sul presente, riesumando il passato; quel passato che non era morto e sepolto ma ben desto nei miei ricordi. Come i nodi che vengono al pettine, come le dispute irrisolte. In fondo la morte è oblio, assenza di ricordi. Quiete... Sospirai con rassegnazione. Socchiusi gli occhi abbandonandomi alla dolcezza dei profumi che la flora disperdeva nell'aria salmastra, l'odore delle bacche di ginepro era pungente e solleticava l'olfatto. Il mare Egeo, sempre più prossimo, faceva capolino attraverso le fronde e gli aghi dei pini allineati lungo il cammino in discesa e la sabbia fine, punteggiata dal luccichio dei cristalli di sale e dai gigli selvatici. La bellezza del mare mi faceva apprezzare di essere vivo. Valeva la pena di vivere solo per ammirare la distesa d'acqua cristallina speculare alla magnificenza del cielo, nel quale riuscivo a scorgere la pallida sagoma della falce lunare contrapposta al disco del sole. Avevo l'abitudine di passeggiare sul bagnasciuga, soffermarmi ad ascoltare lo sciabordio delle acque; osservavo le onde infrangersi sugli scogli, ed era un modo per mitigare l'ansia e alleviare la tristezza. Ma il tempo scorreva in fretta, troppo velocemente per assaporare appieno quel poco di libertà che mi ero concesso...

Quanti anni erano trascorsi dall'ultima volta che avevo varcato quella soglia? In realtà non molti, fu un lasso di tempo relativamente breve che però a me parve un'eternità. L'aula principale del Tredicesimo Tempio permaneva inalterata, maestosa e solenne, sebbene percepissi il vago sentore di un mutamento. L'atmosfera non era più tetra e opprimente. Non predominava l'oscurità che celava l'inganno, ma luce, quella emanata dai bracieri e dalle lampade a olio, il chiarore che aveva facoltà di svelare ogni anfratto celato alla vista: le candide pareti di marmo, le slanciate colonne corinzie a cingerne il vasto perimetro. Un'architettura splendida dalla sobria eleganza, il cui interno auliva di essenze profumate e d'incenso. Ma ne percepivo anche il freddo che, intrappolato perennemente tra le mura millenarie, s'infiltrava sotto le vesti. Mi soffermai per un momento a riflettere sul passato, raggiunsi poi la mia postazione, da lì potevo osservare i volti di tutti i presenti: conosciuti e non con i quali scambiai un saluto formale, invece con le vecchie conoscenze abbozzai un lieve sorriso. Era presente anche Kiki, quel moccioso terribile che aveva creduto d'impressionarmi con la telecinesi: il discepolo del Santo di Aries era cresciuto, eravamo quasi coetanei.

Tra i presenti vi erano anche altri che non avrei desiderato incontrare: Seiya era semplicemente reo di aver ferito il mio orgoglio, a ragione, e non a torto, ma quanto era difficile ammetterlo... Mi aveva deriso per il mio aspetto... E adesso, quello sbruffone, poteva anche vantarsi di aver indossato le Sacre Vestigia del Sagittario. Ma erano rimasugli della vita precedente, e non aveva senso rivangare sempre il passato alla stregua di un aratro che svelle e ribalta le zolle.

Eravamo finalmente riuniti, gli ottantotto Santi erano disposti ai rispettivi lati liberi dell'ampia aula, secondo una scala gerarchica non proprio consona, a mio avviso, irrispettosa di quanto noi tutti avevamo dato per lei, per Saori Kido alias Athena, che occupava il prestigioso soglio accanto al Gran Sacerdote. Mi limitai a pensarlo, senza dare a vedere la mia insofferenza, il mio disappunto, per ciò che reputavo una palese ingiustizia da parte di colei per la quale avevamo versato il nostro sangue. Se, in precedenza, desideravo ringraziarla; dopo averla rivista in un tale frangente i miei sentimenti si fecero avversi, ed era una sensazione che volevo reprimere con tutto me stesso perché temevo che, in qualche modo, mi si sarebbe ritorta contro...

La mia Casta era considerata alla stregua di un mero accessorio, ad accompagnare le due alte autorità del Santuario non vi erano niente di meno che loro, quei cinque Santi di Bronzo, i suoi protetti. In secondo piano spiccavano, in virtù dell'imponenza delle loro splendide armature, i Santi d'Oro; a breve distanza presenziavano i restanti membri della Casta di Bronzo; infine vi eravamo noi, i Santi d'Argento. Distolsi lo sguardo, indispettito dalla stucchevole scenetta in cui l'insulsa Dèa dispensava i suoi pupilli di lodi, decantando le memorabili imprese degli eroi. Ascoltai pazientemente il sermone, allo sfinimento, secondo il quale anche uno come Cassios, che non era nemmeno in grado di elevare il cosmo, veniva elogiato per essersi immolato salvando la vita al ronzino affinché la sua amata Shaina non si struggesse dal dolore. Patetico. Malgrado ciò, non avevo niente da obiettare in merito all'entità del suo nobile gesto, ma...

Nei nostri confronti neanche una stiracchiata menzione alla missione compiuta nella battaglia contro Ade, il Signore degli Inferi. Una sparuta comparsa, una commedia dove, aggrappati a uno scampolo di vita, non avevamo avuto niente da perdere.

“Non mi rappresentate, Saori Kido” esordii laconico, avanzando di pochi passi oltre la linea immaginaria che mi avrebbe posto alla mercé di tutti gli sguardi. Scese il silenzio. Un intollerabile silenzio che nessuno osava infrangere, in virtù del quale ogni banale rumore veniva amplificato risuonando nell'ampia volta a cassettoni della sala: dal semplice fruscìo delle vesti al tintinnio metallico della corazza.

“Santo di Lacerta che cosa vorresti insinuare con quest'affermazione?” Avevo sentito dire da qualche parte che Dohko, il maestro di Shiryu, fosse stato un vegliardo pedante, e continuava a distinguersi per eccesso di zelo nonostante fosse ringiovanito. Egli aveva preso la parola in modo pacato, e mi resi conto che il mio non era un buon esordio per ingraziarmi la benevolenza del successore di Shion; il vero Gran Sacerdote che aveva esercitato l'autorità al Santuario, prima della fatidica notte degli inganni, il cui spirito, ora, presumevo dimorasse nell'Elisio – tra i beati – quale prescelto dagli Dèi.

“Semplicemente quello che avete udito" ribadii, "Saori Kido non mi rappresenta.” I sentimenti avevano prevaricato letteralmente la ragione e non potevo più nascondere la mano dopo aver scagliato il sasso. Il volto di Athena era impassibile: come scolpito nel marmo o plasmato nella cera, sembrava palesare tutta la sua indifferenza. Le mie parole non sortirono alcun effetto su di lei. Sebbene, in quei brevi istanti, riuscissi a cogliere sgomento e disapprovazione sul volto di molti Santi; evidentemente, la mia sincerità li aveva turbati. Forse, in quel coacervo di falsità, la schiettezza infondeva sconcerto. Dohko si levò dal proprio scranno, sapevo che mi stava fissando, riuscivo a cogliere il suo disappunto ancorché non potessi scorgere l'espressione del volto celato dalla maschera.

“È molto grave quello che affermi” soggiunse. La sua calma serafica inibiva il mio coraggio; avevo le estremità degli arti fredde e avvertivo una sensazione di malessere che mi fece vacillare sulle mie stesse gambe. E, malgrado la palese contrarietà di colui il quale era stato designato per essere il rappresentante di Athena, seppi ritrovare il mio ardire: le motivazioni che m'inducevano a esprimermi con disincanto nei confronti di quel sistema erano molto più forti.

“Non credo sia un fatto così grave affermare la verità" dissi con tutta calma, volgendo un'occhiata in direzione di Athena. "Dovrei mostrare riconoscenza verso chi non ha manifestato il minimo di considerazione nei confronti di coloro che hanno versato il proprio sangue?" Chiesi poi scrutando il mio interlocutore. "Verso colei che si ostina a incensare i suoi protetti, ignorando tutti gli altri? Guardate i membri della mia Casta, non sono, forse, da sempre, relegati in secondo piano; è questa la gratitudine che riservate a chi è stato impiegato in battaglia, condannato a un destino inesorabile?” Dopo quelle parole si levò un mormorio di stupore nella sala. “E costui?” Additai Saga, ormai in preda a un'enfasi incontrollata. L'odiavo, era stato la causa di tutto. Ancora lo ricordavo avvinghiato al trono come un rapace alla preda, quando mi aveva ingannato, anzi ci aveva ingannati tutti e non m'importava un accidente che fosse stato suo fratello Kanon a innescare quella follia. “Non meriterebbe nemmeno d'indossare le Sacre Vestigia d'Oro!”

Il custode della Terza Casa contrasse le labbra in una smorfia di dolore e mi riservò un labile sguardo, non di biasimo ma intriso di amorevole comprensione e privo di astio per le mie parole sprezzanti, nel quale però riuscivo a cogliere una silente ammissione di colpevolezza.

“Il Santo di Gemini ha ottenuto il perdono di Athena, oltre che il mio" disse il Gran Sacerdote in tono plateale, prima di aggiungere: "Oseresti mettere in discussione l'autorevolezza e la bontà delle nostre decisioni? Con quale coraggio osi rivolgerti, in questi termini, nei confronti di chi ha evocato il tuo spirito dal Cocito?! Non ritieni, dunque, un atto d'amore la rinascita?”

“Athena lo ha fatto per infoltire le sue schiere in previsione di altre battaglie, e non per amore o per premiare la nostra devozione” ribattei.

“Taci, lingua biforcuta. Tu, cosa potresti vantare, eroiche gesta, o arroganza?" Non attese risposta e continuò a inveire: "Adduci prosaiche argomentazioni; ti reputi migliore di chi accusi e credi di dimostrarlo con questa sceneggiata, ma se rivendichi il rispetto, rammenta che sei tu per primo tenuto a doverne, e dopo, forse, l'otterrai” concluse con tono perentorio.

Le mie affermazioni ebbero l'effetto di fare infuriare la seconda carica del Santuario, ed era lungi dalle mie previsioni che la discussione degenerasse in quel modo. Quelle insinuazioni erano crudeli, offensive, sferzanti; in pratica quell'uomo mi stava umiliando e riuscivo anche a cogliere il disprezzo nelle sommesse risa di scherno di alcuni Santi e soldati semplici. Come osavano? Avrei desiderato scomparire... Era davvero questa l'opinione del Gran Sacerdote nei miei riguardi? Veramente essa rispecchiava il pensiero di ognuno? Non potevo crederci, non poteva essere vero.

In verità, sì, non avevo compiuto imprese memorabili che mi rendessero meritevole di un qualsiasi riconoscimento. Ogni volta che ricordavo lo scontro – poco edificante – con Seiya la mia autostima vacillava, e forse avrei fatto meglio a tacere: ecco a cosa pensavano i presenti, avevo finalmente intuito cosa suscitasse tanta ilarità; ma non giustificavo quell'atteggiamento irriverente, ero pur sempre un Santo d'Argento! Riscoprire la propria immagine ridimensionata, distante da quei sogni di grandezza tanto vagheggiati, faceva molto male. Era la triste realtà con cui dovevo scontrarmi e della quale avevo già avuto sentore, ma ero conscio che non sarei mai riuscito ad accettarla.

Mi salì un improvviso calore al volto, temevo di cedere alle emozioni, il più banale cedimento sarebbe stato interpretato come un segno di debolezza e non dovevo permetterlo. Una mia innocente considerazione sul ruolo di Saori Kido – ahimè, non riuscivo a ravvisare la divina Athena nello scialbo sembiante di quella fanciulla – era sfociata in una diatriba insostenibile, ma non potevo compiere un passo indietro e sfuggirvi per codardia. No, avevo ragione e l'avrei dimostrato!

La mia attenzione ricadde sul lato opposto della sala, incontrai lo sguardo del mio mentore, il più avvenente degli ottantotto Santi, e i suoi occhi turchesi - come sempre - rilucevano come diamanti su quel volto perfetto, i capelli erano sciolti sulle spalle e spuntavano in morbide ciocche da sotto l'elmo dorato.

Aphrodite sembrava a disagio ma il suo volto era impassibile, quegli occhi trasparenti scrutavano dentro i miei con la brama di desumerne l'insondabile, forse si vergognava di me. Avanzò di un passo, come persuaso dalla necessità d'intervenire, e chissà se avrebbe infierito con altre accuse o sostenuto la mia causa, ma Shura di Capricorn lo trattenne per un braccio.

Non mi importava un granché quale fosse l'opinione di Aphrodite: in passato essa aveva influito molto perché ciò a cui anelavo era l'approvazione di quella persona, unitamente a una parte di gloria; avevo bisogno di tutto questo al fine di gratificare il mio ego. Ma non nell'attuale frangente, in cui nulla, o chicchessia, avrebbe potuto far crollare le mie certezze. Anzi, parte del mio rancore era riservato anche a lui – a quell'esempio di rettitudine e perfezione – che mi aveva esortato a considerare equa la menzogna alla quale mi ero assuefatto e, prima o poi, gli avrei sbattuto in faccia quello che pensavo.

“Hai detto che Saori Kido non ti rappresenta. Bene, sarai sollevato dal tuo incarico fino a quando io non lo riterrò opportuno. Le Sacre Vestigia rimarranno in custodia al Tredicesimo Tempio, a disposizione di Athena; sempre che lei non decida di assegnarle a un nuovo aspirante possessore. Inoltre, ti esonero dal partecipare alla cerimonia in onore della rinascita dei Santi, che si terrà qui, questa sera. La tua presenza non è gradita.”

Stavo sudando, la vista si oscurò per un breve istante e fu solo la forza di volontà a impedirmi di rovinare a terra. Ascoltai quella sentenza, incredulo, quelle aspre parole mi ferirono come stilettate nel cuore; era così deleterio esporre con sincerità il proprio pensiero, al di là della facciata d'ipocrisia, o del falso compiacimento e dei sorrisi? Probabilmente sì. Sfilai la mia tiara d'argento lasciandola cadere. Prendetevi l'armatura, non so che farmene.

Il diadema urtò il pavimento scalfendo il marmo: con quel gesto inconsulto diedi il peggio di me. Con la coda dell'occhio notai i soldati che sarebbero intervenuti per rivalersi sul mio palese atto d'insubordinazione, in virtù della semplice osservanza di regole che vigevano al Santuario, ma Dohko li dissuase con un semplice gesto e m'intimò di raccogliere l'oggetto. La sua voce era severa, inespressiva, in essa era insita una velata minaccia.

Asterion si avvicinò a me. “Ti prego, fa come dice, raccoglila, in nome della nostra amicizia” mi sussurrò a un orecchio. Esitai, era il folle orgoglio a impedirmi di obbedire all'ordine impartito dal Sommo. I miei parigrado temevano per l'esito delle mie azioni, sentivo che volevano proteggermi, potevo desumerlo dall'apprensione che trapelava dai loro volti. Fecero quadrato intorno a me e uno di loro, Algol, mi suggerì: “Obbedisci, non ostinarti in una causa persa in partenza.” E infine ascoltai il suo saggio consiglio. Mi piegai, raccolsi il diadema ponendolo nuovamente sul capo, e volgendo le spalle agli astanti poi mi allontanai in silenzio, tanto altri commenti sarebbero stati polemici e compromettenti. Affondai gli incisivi nel labbro inferiore, al punto di farvi scaturire una goccia di sangue e ne percepii sulla lingua il sapore metallico che io disgustavo.

 

***

II

 

La gemma verde smeraldo

 

Saori aveva osservato, tristemente, il giovane che si era chinato per raccogliere il diadema; e non fu solo il suo sguardo a essere catturato dalla grazia di quella creatura: Misty uno dei suoi Santi, uno di quelli che viveva ai margini del sistema che glorificava i prescelti, come vittima sacrificabile in balìa della volontà degli Dèi. Così traviato da umane debolezze, tali, da sminuirne l'effettivo valore e renderlo inviso presso coloro che non lo stimavano alla stregua dei suoi parigrado. La donna serrò l'impugnatura dello scettro con forza, ed era un modo per allentare la tensione e reprimere quel sentimento compassionevole che si fece largo nel suo animo: non erano stati solo i cinque eroi a combattere sotto l'egida di Athena, era risaputo, e ora più che mai l'evidenza veniva rimarcata dalle sfrontate asserzioni di quel Santo.

Misty guadagnò la stazione eretta per poi scoccarle un'occhiata altezzosa dalla quale non scaturiva alcuna emozione e con cui indugiò per qualche istante a fissarla, fu solo il suo volto, divenuto pallido all'improvviso, a tradire un disagio interiore. Per la seconda volta Dohko fu costretto a intimargli di lasciare quel luogo. Uno stupido arrogante, pensarono alcuni. Misty ricollocò la tiara sul capo con una favilla vittoriosa che balenò negli occhi cerulei, simulò un inchino di circostanza raggiungendo l'uscita a testa alta, senza fretta; come se l'ultimatum non lo tangesse e desiderasse ostentare la propria grazia indiscussa affinché tutti l'ammirassero. Percorse la guida cremisi, lieve, e quella superficie attutiva il rumore dei suoi passi ma non il fragore metallico delle Sacre Vestigia che proteggevano in parte il suo corpo, né il fruscìo del manto – un vezzo – che accompagnava il suo portamento orgoglioso. Atteggiamento che sortì l'effetto di rinfocolare l'astio del Gran Sacerdote: che diamine gli avrà insegnato il suo maestro se questi sono i risultati? È così che ci si rapporta dinanzi ai superiori!? Pensò Dohko rivolgendo il proprio sguardo accigliato verso Aphrodite.

Il Santo d'Argento si eclissò, infine, scomparendo al di là della soglia principale del Tempio, sotto gli sguardi attoniti e il mormorio di sdegno dei molti presenti. Voleva forse sfidarli o sbeffeggiarli?

La giovane Dèa si scompose, corrugò la fronte, e una ruga d'espressione comparve sulla pelle di porcellana, una lacrima solcò il volto eburneo dapprima impassibile: “Riesco a immedesimarmi in quell'animo tormentato” esordì sommessamente, rivolgendosi a Dohko.

“Con tutto il dovuto rispetto, ma siete in vena di scherzi? Vi ha rinnegato e non dovreste soprassedere a un atto così grave. Dal canto mio, sono stato fin troppo clemente nei suoi confronti, perché Misty meriterebbe di essere messo al bando da questa comunità per le accuse insensate, e proferite con superbia." Fece una pausa e, scrutando il volto della dea, poi aggiunse: "Fortuna sua, che oggi è un giorno di festa...” Affermò infine il Gran Sacerdote guadagnando la sua posizione sullo scranno, mentre i Santi di Bronzo si approssimarono alla loro musa per confortarla.

“Non permetterò che quell'insolente rovini questo momento di gioia, gliela farò pagare.” Intervenne all'improvviso uno di loro.

“Rilassati, Santo di Pegasus” ammonì Saori con irritazione, richiamando all'ordine il suo pupillo, ricomponendosi e ritrovando il proprio contegno imperturbabile.

“I Santi sono reduci da terribili esperienze dalle quali sono stati segnati profondamente. E ora, vi consiglio di passare oltre” aggiunse, impugnando saldamente lo scettro ed elevando verso i presenti il suo sguardo d'ametista.

 ~

Misty depose l'ultimo elemento che componeva le Sacre Vestigia nell'ala del Tempio adibita al ricovero delle armature, rimanendo con i semplici indumenti sottostanti: gli diede un ultimo sguardo dopo averne lambito la superficie con un dito, indugiando sulla propria immagine in essa riflessa, sul riverbero di luci e colori che vi si proiettavano come in uno specchio. Si sentiva leggero, come libero da un fardello, come all'epoca in cui era un semplice apprendista, sebbene un simile epilogo coincidesse con un senso di fallimento. Non provava rammarico per il gesto avventato che gli avrebbe precluso qualsiasi opportunità di carriera, ma delusione, dovuta allo sgretolarsi dei valori in cui credeva.

Decise di allontanarsi dal Tredicesimo Tempio, e scese la scalinata eludendo il sentiero dove giacevano le magnifiche rose di Aphrodite. Si soffermò per qualche breve istante sulla terrazza, sporgendosi dalla balaustra edificata sulla roccia a strapiombo, scrutò l'orizzonte e il cielo turchino; poi rivolse lo sguardo sul mare la cui spuma imbiancava gli scogli, insinuandosi tra i calanchi. Si lasciò lambire il volto da quel dolce alito di vento - che risuonava dello stridio di due rapaci i quali avevano nidificato in qualche anfratto roccioso - e chiuse gli occhi: le sclere erano tanto asciutte da bruciare, e lui così algido da riscoprirsi incapace di versare una sola lacrima.

Sarebbe bastato un passo falso per precipitare e sfracellarsi contro le rocce della falesia. Darsi la morte così da tornare indietro? Dove non persistono ricordi, livore, invidia e rimpianti? Stava davvero pensando di gettare via quel dono meraviglioso che gli era stato elargito con tanta generosità? Davvero non desiderava più vedere sorgere il sole?

Misty spalancò gli occhi e indietreggiò allontanandosi dal dirupo, sconvolto da quel folle orrore, da quelle immagini cruente di rovina e di morte, e ritornò sui propri passi dirigendosi verso le scale. Le percorse a passo spedito come se volesse dimenticare quel luogo, cancellarlo dalla memoria senza più soffermarsi a rimuginare; sapeva che i restanti Templi erano vuoti perché tutti i Santi di Athena erano riuniti a consesso e, proprio come quando era bambino, non desiderava incontrare nessuno nei momenti peggiori. Era un percorso ripido lungo il quale egli badò bene a non incespicare tra i gradini bianchi consunti dall'usura del tempo. Le rovine, invece, erano da ripristinare a testimonianza della devastazione avvenuta nel corso dell'ultima Guerra Sacra, che si era svolta tra i solenni monumenti dalle colonne di pietra, i quali ancora si ergevano sotto il sole cocente.

Finalmente comparve la valle e si soffermò, prima d'imboccare il viale che si dipartiva oltre la Prima Casa; inspirando profondamente, credendo di allentare la tensione che ormai era al suo culmine. Nemmeno l'aria, che spirava attraverso i filari di cipressi, leniva quell'angoscia che l'attanagliava, e non era niente di simile né alla collera e neanche alla rassegnazione. La maschera era caduta, a scapito dello strenuo tentativo di celarsi dietro di essa, svelando impietosamente il vero sé. L'Arena sorgeva a pochi passi, e la si poteva scorgere in tutta la sua austera imponenza svoltando dalla casa di Aries; imboccò il sentiero lastricato che conduceva all'ingresso dell'Anfiteatro quasi per istinto.

Era strano, quasi surreale, il silenzio che pervadeva quel luogo quando non riecheggiavano le grida concitate e le imprecazioni dei Santi che lo affollavano ogni giorno durante gli allenamenti; era silente quasi rispecchiasse, in quel momento, il vuoto incolmabile che albergava nella sua stessa anima. Quelle mura erano come libri di pietra, memori delle epoche trascorse, e chissà quante storie non raccontate si celavano in esse. Misty s'incamminò varcando la soglia oltre l'arco e le colonne antistanti, attraversando i settori, come aveva fatto innumerevoli volte; e giunse presso l'emiciclo superiore occupando un posto all'ombra del portico colonnato che ne coronava il perimetro, e dal quale si poteva ammirare l'Arena vuota, o il cielo terso nel quale si rincorrevano le nubi candide.

Riflettere, ora, sulle conseguenze delle proprie azioni non aveva senso, era più utile assumersi la responsabilità del gesto che aveva commesso; appoggiò i gomiti sulle ginocchia e il mento sulle mani, abbassando le palpebre.

La solitudine era ciò di cui necessitava in quel frangente. E tuttavia non riusciva a stornare il turbine dei pensieri che lo sconvolgeva...

Quanto tempo aveva passato rimuginando a occhi chiusi, o con lo sguardo vacuo intento a sondare l'intangibile, cercando di trovare improbabili risposte ai quesiti che lo tormentavano? Forse, appena il tempo utile affinché l'adunanza dei Santi si sciogliesse in vista dei festeggiamenti previsti per la sera. Era il tipico giorno in cui nessuno si sarebbe recato nell'Arena, e ciò costituiva una delle ragioni per la quale Misty si stesse intrattenendo in quel luogo...

Gemini... No. Non può essere. Perché è qui? Si levò in piedi, impallidendo come un cencio lavato in presenza del Santo, torreggiante, di fronte a lui. I raggi del sole s'infrangevano sulla corazza esaltandone lo splendore, sottolineando altresì le nobili fattezze di quel volto integerrimo.

“Non ho percepito la tua aura...”

“Saprai che si può anche occultare. In quanto a te: sei troppo preso dai tuoi pensieri, ed essi gravano in modo tale da non esserti accorto del mio sopraggiungere. È stata la presenza del tuo cosmo a condurmi qui” disse il Santo, estendendo la mano chiusa a pugno verso il ragazzo più giovane; per poi aprirla, mostrando l'oggetto nascosto nel palmo. “Questo è tuo, è lo smeraldo che era incastonato nel diadema. L'ho recuperato dal pavimento.”

“Ormai non mi appartiene più. Consegnalo a Mu di Aries, è lui che ha il compito di riparare le armature” rispose Misty, e le sue iridi chiare rilucevano all'ombra delle lunghe ciglia come se riflettessero un baluginare di fiamme.

“Sei arrogante. Una caratteristica che non sempre paga, malgrado si possano celare in essa buone intenzioni; e quest'oggi ti è costata molto” ammise Saga, senza peli sulla lingua.

Senti chi parla d'arroganza... Misty lo fissò impietrito, con gli occhi sbarrati davanti ai quali scorrevano frammenti di torbidi trascorsi: terrore, orrore, attrazione e repulsione; era come risucchiato nel vortice delle reminiscenze di un passato inconfessabile. Non l'avevo confidato nemmeno al mio amico più caro, neanche Aphrodite sapeva... Il Dio della Guerra, il sopruso, l'ingiustizia celata dietro una parvenza di equità. Quella stanza sfarzosa, con i drappi scuri che velavano le mura come un sipario approntato a intrappolare segreti, e io fissavo, smarrivo lo sguardo in quei veli come in un oscuro mare in cui annegare con l'anima disgiunta dal corpo. Mi concentravo sull'espressione enigmatica delle sculture che si stagliavano come silenti e impassibili spettatori, indugiavo con lo sguardo sulle venature del marmo... mentre lacrime silenziose scendevano lungo il mio viso. Era giusto, doveva essere così, non era lecito cercare spiegazioni altrove perché quella era la volontà degli Dèi, spietati e sanguinari, noi siamo solo vittime alla loro mercé. Si riscosse da quei pensieri con un sussulto d'orgoglio e un battito delle ciglia, respingendo con violenza il proprio interlocutore, strappandogli la gemma di mano senza dire una parola.

“So a cosa stai pensando, ma... Il dèmone non esiste più” disse Saga di Gemini, e il suo sguardo confermava la sincerità di quelle parole così pure e semplici. Il Santo d'Argento non proferì parola a riguardo, si limitò a fissare l'altro in quegli occhi limpidi: eh sì, era uno sguardo rassicurante, così diverso da quello pervaso da cieca follia che emergeva dai suoi ricordi più reconditi.

È sincero, sembra sincero, si è redento, pensò, e tuttavia non riusciva ancora a comprendere le motivazioni di chi aveva accordato il perdono all'uomo che aveva quasi distrutto il Santuario con una guerra civile.
Misty poi sospirò, badando di mantenersi a distanza, scostando i capelli dal volto imperlato di sudore e modulando il respiro al fine di dissimulare gli ansiti d'angoscia. Indietreggiò, in preda al timore improvviso di doversi scontrare con gli altri. Troppo tardi, poiché un Santo di Bronzo e un altro Santo, ma d'Oro, che avevano assistito alla conversazione da lontano, gli si pararono davanti. Uno dei due, quello con l'armatura d'oro, era Aphrodite... L'ultima persona che avrebbe desiderato incontrare.

“Il Gran Sacerdote Dohko avrebbe dovuto rispedirti al tuo paese, anche se, probabilmente, non sapresti dove andare senza una dimora e una famiglia che ti attenda... Sei solo un invidioso perché non puoi vantare alcun merito, ed è questa la ragione per cui, quest'oggi, hai rivendicato attenzioni per altri che, in realtà, vorresti per te stesso.” Accuse che Aphrodite di Pisces avanzò, impettito, con la solita irritante tranquillità; le labbra serrate in un ghigno sprezzante e uno sguardo altrettanto gelido.

Sì, forse hai ragione, forse è davvero così, pensò di riflesso Misty, il più giovane dell'altro, sondando repentino nei meandri della propria mente, senza rinunciare per questo a ribattere; e, le sue, si rivelarono insinuazioni altrettanto taglienti che esulavano dall'usuale deferenza verso un esponente di rango superiore.

“E tu sei un leccapiedi” disse con un'aria di sfida che inibì il suo superiore che si accigliò, perplesso e indignato. “Quando il vento era favorevole abbracciavi l'ideale di forza come sinonimo di Giustizia, ed esaltavi quest'individuo malvagio che, a tuo dire, l'incarnava come l'unico degno di essere perseguito. Adesso ti reputi devoto a quella debole fanciulla soltanto perché lei siede sul trono dorato e impugna lo scettro, sei un ipocrita!” Esclamò alla fine pungolandolo nel vivo. Già, ipocrisia. Quella svenevole ipocrisia era lo scudo dietro il quale il Santo della Dodicesima Casa era solito trincerarsi.

Misty avrebbe pure continuato con le sue invettive ma non ci riuscì e soffocò un gemito di dolore quando si ritrovò a giacere a ridosso del gradone destinato ad accogliere gli spettatori, contro il quale era stato scaraventato; lo spigolo di pietra gli si era conficcato nelle carni fino alle ossa, e sul suo corpo perfetto sarebbero comparsi sicuramente dei lividi.

“Quella debole fanciulla, è Athena! E stai attento a come parli di lei in mia presenza, signorina.” Seiya si era intromesso inaspettatamente nel discorso, e altrettanto inattesa era stata la sua reazione violenta e impulsiva, poiché Saori Kido non rappresentava soltanto la divina Athena per lui, ma qualcosa di più.

Uno sguardo sghembo, di sottecchi, gli fu riservato dal Santo d'Argento celando con esso anche i propri pensieri. Quel verme schifoso ha osato toccarmi. Probabilmente è l'unico argomento che conosce per farsi valere. Mi ha affibbiato nuovamente quell'odioso epiteto e Aphrodite ha taciuto... non ha replicato, perché? E perché avrebbe dovuto intervenire per difendermi? Sono uno stupido. Si disse, scostando una ciocca dei lunghi capelli biondi che ricadeva davanti agli occhi e ravviandola dietro l'orecchio, maledicendosi per l'incapacità di reagire e ribattere adeguatamente alla provocazione; ed era un déjà-vu che riviveva a distanza di tempo e lo sconvolgeva, annullando la considerazione ormai precaria che aveva di se stesso, vanificando gli sforzi per confutare la dolorosa realtà.

“Non infierirò su un damerino senza armatura, femminuccia”, sentenziò lapidario Seiya.

Smidollato, e adesso che farai? Andrai a piangere sulla spalla dei tuoi pari che hanno il coraggio di sostenerti? Aphrodite corrugò le sopracciglia, si era ripromesso di tacere e di non intromettersi, non avrebbe disatteso quei buoni propositi e non provò alcun rimorso per quel pensiero intriso del suo peggior disprezzo.

“Lasciatelo stare.” S'interpose Saga tra loro, temendo per il peggio.

Misty si portò una mano alla fronte per contrastare un capogiro e, in virtù di uno sguardo distratto, rilevò la presenza dei Santi che erano sopraggiunti in quel momento. Temeva la reazione di alcuni: ora che si trovava faccia a faccia con loro in un luogo diverso dalle Stanze del Gran Sacerdote. Si rese conto, in pochi istanti, di quanto fossero devoti a quella fragile fanciulla: non vedeva dei volti ma soltanto uno stuolo di maschere dalle disparate espressioni nella cui varietà non si contemplava il sentimento della comprensione. Era davvero così ingenuo, presuntuoso o vile, da confidare nella tolleranza? E in quei volti si palesava un connubio di sprezzante ironia e desiderio di rivalersi; i bronzi erano quelli che avrebbero optato per la violenza, ma alcuni Santi d'Oro si espressero con semplice sorriso di compatimento. Volarono accuse, epiteti, ingiurie più taglienti del filo di una spada; che si quietarono solo nel momento in cui Death Mask minacciò di scaraventare tutti nell'Ade, ammiccando Misty in segno di complicità.

Death Mask di Cancer era l'unico per il quale egli realizzò di provare un po' di simpatia. Il cerchio si allargò e i Santi, pian piano, si dileguarono come a voler sancire una tregua.

Il Santo di Perseus raggiunse il compagno d'arme, leggermente in ritardo, permettendogli subito di afferrarsi al suo braccio al fine di aiutarlo a rimettersi in piedi. Il ragazzo gli mormorò qualche parola gentile all'orecchio per ringraziarlo, ma poi se ne andò da solo verso la via di casa.

 ~

Misty realizzò di essersi assopito per qualche ora quando: al risveglio vide la luce ambrata del tramonto lambire dolcemente le pareti della stanza. Si sollevò. Aveva le ciglia appiccicate, le guance erano umide e sulle labbra poteva percepire il gusto salato delle lacrime. Il capo gli doleva in modo insopportabile con la sensazione di avere la mente ottenebrata da un'improvvisa amnesia; ma poco dopo gli sovvennero gli avvenimenti che l'avevano gettato in quello stato di prostrazione. Lui, che da sempre aveva desiderato innalzarsi e dare sfoggio delle proprie virtù, era caduto così in basso.

Doveva farsi coraggio, non sarebbe sfuggito alla realtà barricandosi in eterno tra quelle mura. Aveva ancora lo smeraldo del diadema stretto in pugno, si alzò dal letto per riporlo in un luogo sicuro e prese una lucerna per facilitarsi le cose. Trovava irritante l'obbligo di doversi adeguare a uno stile di vita come nel VI secolo a.C., nell'epoca moderna del 1990 d.C., ma era uno dei tanti precetti che scandivano la vita in quel remoto angolo di Atene.

Uscire a respirare un po' d'aria fresca gli avrebbe recato un blando beneficio, schiarito le idee; e risolse di ritornare in spiaggia incoraggiato dalla consapevolezza di non incontrare anima viva, lungo il cammino, in una serata di celebrazioni. Era una magra consolazione.

La distesa ondulata del mare catturava il riflesso argenteo della luna, che campeggiava nel buio come una fulgida stella; Misty si avvicinò alla riva, chinandosi per raccogliere un po' d'acqua nel cavo delle mani e bagnarsi il viso: era fresca e gli diede immediato sollievo. Da quella posizione volse lo sguardo a ritroso, sullo sfondo, e nel suo campo visivo si stagliò l'altura sulla quale dominava l'Acropoli. La via che conduceva al Tredicesimo Tempio, e i Templi stessi, erano illuminati a giorno dai fuochi dei bracieri e delle fiaccole che si profilavano contro il cielo notturno. Era una visione suggestiva.

Ma una presenza inattesa s'insinuò strisciando tra le ombre, giungendo di soppiatto alle sue spalle per poi annunciarsi, prendendogli dolcemente il volto tra le mani.

“Perché sei qui?! Tu non dovresti essere...” gli domandò Misty, in un connubio di ritrosia e stupore. L'altro non rispose nulla e lo zittì portandosi quasi a lambire le labbra rosee del giovane con le proprie.

 ~

Si udiva ancora il frinire dei grilli mentre l'ultima falena danzava attratta da un flebile lume; l'aurora dissipava lentamente il velo d'oscurità che ammantava la valle sacra, e la tenue luce cesellava le fattezze di un angelo dormiente, alla guisa del bulino con cui lo scultore plasma i dettagli della propria opera infondendovi la massima cura. E quella creatura divina la si poteva soltanto ammirare, senza contaminarla col tocco impuro delle mani, se non suggellando con lui una sorta di tacito patto in cui lo scambio vicendevole incontrava le esigenze di entrambi i contraenti: quelle di colui che rivendicava il privilegio del possesso di un oggetto dal valore inestimabile; e il desiderio di chi reclamava per sé tutte le attenzioni e il bisogno di sentirsi amato, senza tuttavia concedere amore in cambio... E, così, gli aveva concesso di bearsi del sublime: di tastare la consistenza dei fili d'oro dei capelli tra le dita, di saggiare il sapore del sale sulle ciglia e sul volto accaldato, di sciogliere i legami delle vesti e lambirgli la pelle diafana con le labbra avide...

Gli aveva donato la sua essenza più pura, al di là del mero scambio di effusioni; e ora dormiva, sereno, il lieve movimento degli occhi sotto le palpebre testimoniava che stesse ancora sognando, le labbra erano atteggiate in un vago sorriso. L'altro avrebbe desiderato immortalare nella pietra la bellezza del suo Narciso, e qualche volta, con la stessa complicità del ragazzo, era riuscito nel suo intento. Prestarsi a quel diletto divertiva il più bello tra i due, che si compiaceva di essere venerato come un semidio, benché fosse un gioco pericoloso contemplare il simulacro di Medusa in rilievo sullo scudo...

 

***

III

 

Aphrodite

 

Non avevo l'abitudine di oziare a letto nemmeno in quei giorni in cui potevo permettermelo; mi recai fuori dal Tempio molto presto, prima del sorgere del sole, per godere un poco di quell'aria fresca che sarebbe divenuta torrida in tarda mattinata. Ma in realtà non era questo il motivo della mia inquietudine, e continuavo a domandarmi le ragioni di tanta stupidità e leggerezza: come si poteva gettare tutto alle ortiche in quel modo? Pensai alla cerimonia celebrata la sera precedente, al momento in cui non avevo nulla da festeggiare ed ero assorto, con lo sguardo fisso sul cratere in cui si mescevano le bevande e dal quale i miei pari attingevano il vino...

 

Søren il tuo calice è vuoto" pronunciò la voce del Santo della Quarta Casa, che m'indusse a destarmi bruscamente da quell'inerzia congiunta a noia, ma lo fulminai con uno sguardo, nella vana speranza d'indurlo a tacere e non proferire sproloqui: “Il vino accomuna gli uomini alle bestie” sentenziai, rispondendogli a tono.

Tuttavia abbozzai una parvenza di sorriso. La nostra poteva considerarsi più di una stretta amicizia. Cosa poteva esserci di più gratificante? Conquistare e vincere... Levai il calice e scrutai le fattezze del mio commensale attraverso il vetro opaco, avanti di porgerglielo.

In quanti pensiamo quello che ha detto Lacerta senza avere però gli attributi per dirlo?” Esordì lui, lasciandomi senza parole.

 

Quell'affermazione così audace mi aveva fatto sorgere un dubbio sulla bontà dei nostri intenti, sull'autenticità delle nostre azioni; e Death Mask, nonostante il passato turbolento, era una persona autentica di quelle che ostentano la forza con i deboli e, senza artifici, vile ritrosia verso i loro pari o superiori. Un'osservazione di questo tenore, da parte sua, era significativa. Ma ero troppo indignato per il comportamento di Misty nei riguardi di Athena e di Dohko; no, non l'avrei perdonato, nemmeno ponderando le ragioni del suo gesto a mente fredda. Mi appoggiai di spalle contro al fusto di una colonna volgendo lo sguardo sulla valle addormentata, ancora avvolta dalla foschia notturna, e all'orizzonte mi sembrava di scorgere le ultime stelle: amavo vederle brillare nel buio, di un bagliore così mite e distante che, a differenza della luce diurna, non aveva facoltà di celare gli altri fuochi. Dovevo sempre preoccuparmi per gli altri quando avrei potuto beneficiare tranquillamente del mio status privilegiato, in quell'epoca di ritrovata armonia, proprio come ai tempi della mia investitura. Rimpiangevo il cinismo di allora e mi doleva ammetterlo. Forse, partecipare agli allenamenti mi avrebbe aiutato a distendermi, ma ero combattuto e, infine, il lato introverso della mia personalità prevalse.

Avevo le mani e gli avambracci cosparsi di graffi, come ogni volta in cui mi accingevo a svolgere quel lavoro, ma le piante mi ripagavano con la bellezza e la dolcezza del loro profumo. Portai un fiore sotto il naso inspirando la sua fragranza. Ero soddisfatto. Impiegare il mio tempo in qualche attività che mi piaceva era gratificante; rammentai di aver consumato un pranzo frugale ed era già quasi ora di cena. Mi sciacquai le mani sotto l'acqua corrente della fontana, ravviando poi un ciuffo di capelli con la mano umida prima di andare a mettere qualcosa sotto ai denti.

“Posso passare?” Udii a un tratto in una richiesta quasi esitante. Dannazione, non desideravo vedere quella persona, non in quel raro momento di pace e tranquillità. Egli si palesò varcando la soglia dell'architrave che si affacciava sul mio giardino: la sagoma esile ed elegante, celata all'ombra delle colonne, divenne più nitida alla luce del tramonto che lambiva i suoi capelli d'oro che incorniciavano l'ovale delicato, dallo sguardo languido e acquoso. Lo guardai fisso in quegli occhi tersi soffermandomi sul volto ora così innocente... e infantile: “Dove devi andare?” domandai aspramente.

“Al Tredicesimo” rispose asciutto l'altro.

“Non mi risulta tu sia stato convocato, al contrario, credo che saresti un visitatore indesiderato” soggiunsi con la medesima inflessione di voce. Ma subito dopo mi sforzai di essere gentile constatando la sua aria dimessa e fragile. Mi sovvennero quei piccoli sauri che sovente sorprendevo ritemprarsi al sole, immobili sulle pietre roventi, i cui battiti del cuore si scorgevano susseguirsi rapidamente attraverso l'esile strato di pelle squamosa. Creature subdole e indifese al tempo stesso: lucertole.

Non volevo ammetterlo ma provai compassione ed ero anche curioso di sapere dove fosse finita tutta la sua sicurezza, tuttavia stetti in silenzio e lui tergiversò a sua volta, mostrandomi una gemma sul palmo della mano. La riconobbi all'istante, la pietra preziosa si era staccata dal diadema facente parte della sua armatura. L'afferrai, ammirandone la consistenza in controluce: “Non preoccuparti la consegnerò io a chi di dovere, adesso puoi andare.”

Il ragazzo non replicò e mi voltò le spalle nell'atto di allontanarsi. Non seppi cosa mi prese in quel momento ma lo richiamai per nome ed egli indugiò.

“Hai molto tempo libero in questo periodo, giusto?” gli chiesi. Esitò nel rispondermi evitando di guardarmi dritto negli occhi, ma poi si decise a dire qualcosa.

“Sì, non ho praticamente nulla da fare, ho passato tutte le consegne a Shaina.”

“Quella bisbetica” replicai sorridendo, ben consapevole che vi fosse un fondo di verità nella mia affermazione. Misty non accennò nemmeno un timido sorriso, il suo sguardo era imperturbabile: freddo come il ghiaccio e, allo stesso tempo, quell'espressione sembrava esaltare la sua algida bellezza. Ciò m'indusse quasi ad adottare una linea più morbida nei suoi confronti e, forse, era proprio quello il motivo per cui non desideravo affrontarlo, al di là delle sue bravate... Mi sorprendevo nel riscoprirmi così altruista, un aspetto davvero inusitato del mio carattere.

“Allora starai qui con me e mi aiuterai a sbrigare le mie faccende se ne avrò bisogno oppure mi terrai semplicemente compagnia” conclusi a dispetto della mia volontà.

Misty assentì, com'era solito fare quando non aveva validi argomenti da esporre, così sedette sulla panchina in attesa; io presi posto al suo fianco e mi limitai a osservarlo. Sembrava così immerso nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso sulla ciocca di capelli biondi avvolta tra le dita bianche e sottili. Sospirai, incerto, non ero sicuro di voler interrompere quella sorta di meditazione.

“Eri convinto che ti dessero una medaglia?” Spezzai quel pesante silenzio con sarcasmo. Finalmente si riscosse e mi degnò di uno sguardo, ma sembrava non avesse parole adeguate per controbattere: il suo mutismo era disarmante.

“Ci sono i predestinati, gli eletti, Misty. Bisogna farsene una ragione. Noi non rientriamo nella categoria dei prescelti e dobbiamo accontentarci delle briciole di quella gloria, come astri che brillano di luce riflessa.” Non sapevo quanto le mie parole suonassero consolatorie, e seppur pervase da impietoso realismo, ebbero l'effetto di scuoterlo da quel torpore. Dischiuse le labbra per mormorare qualcosa e infine, trovò il coraggio di esporre il pensiero che si agitava nella sua mente:

“Tu conoscevi il suo segreto, perché l'hai custodito e hai avallato l'inganno come una verità assoluta?”

“Hai mai amato qualcuno, come avresti fatto con i genitori che non hai mai conosciuto?” replicai alla sua domanda con un'altra domanda, benché fossi certo di conoscere la risposta. E quel mio presumere mi indusse a irrigidire nuovamente la mia posizione nei suoi confronti. Sì, ero prevenuto. Misty dischiuse le labbra nell'intento di rispondermi ma io lo anticipai.

“Risponderò io per te: e la risposta è no. Perché hai un cuore di pietra e non sei in grado di amare nessuno.” O forse, mi dissi un attimo dopo, ero io a essere così insensibile da ignorare quali fossero i suoi veri sentimenti. Le mie parole inibirono ogni sua possibile risposta ed egli continuò a tacere pervicacemente, come se avesse le labbra cucite e celandomi il suo sguardo.

“Saga era una figura di riferimento importante, per tutti, e non fu difficile assecondarlo anche nella follia. Era anche forte, incarnava quell'ideale alla perfezione e nessun altro avrebbe potuto eguagliare la sua forza alla guida del Santuario. Sì, è vero, nemmeno io riuscivo ad accettare che la Dèa della Giustizia avesse l'aspetto di una bambina o di una delicata fanciulla: chi sembra debole non può arrogarsi l'onere di proteggere nessuno e, generalmente, non è in grado di esercitare l'autorità. Questa fu la convinzione che mi spinse a credere di sostenere la causa giusta, che portai avanti fino all'ultimo nonostante avessi visto cadere i miei compagni uno a uno. Furono quelle morti ad aprirmi poi gli occhi, ma era troppo tardi e dovevo prestare fedeltà al mio giuramento, a costo di lasciarci la vita io stesso.”

Era come se in quella confidenza avessi profuso tutta la mia energia, ma parlarne con qualcuno ebbe un effetto liberatorio. Ero stanco, mi abbandonai appoggiandomi contro lo schienale della panchina di pietra, sospirando e, ancora, Misty non disse nulla e mi domandavo a cosa stesse pensando. Mi voltai verso di lui e notai qualcosa luccicare tra le sue folte ciglia, così gli dissi:

“Dovresti scusarti con Saori. Credo che si aggiusterebbe tutto, poiché le tue perplessità attuali sono state anche le nostre... " Poi però, soppesando il suo sguardo aggiunsi: "Ma credo che non lo farai.” Mi levai in piedi volgendogli le spalle al fine d'ignorarlo, m'innervosiva e non potevo fare nulla se non affrontare quella sua tristezza con distacco. Ciò che lo turbava non era affare mio e in un certo senso se l'era cercato.

 ~

Era ancora un bambino ai miei occhi, quel fratellino che non avevo mai avuto. Il mio letto non era abbastanza grande per tutti e due e lui credeva di abbracciare il cuscino. Riuscii a non svegliarlo sgusciando da sotto il suo corpo, e non potei esimermi dal soffermarmi a guardarlo anche solo per pochi istanti. Allontanai una ciocca di lunghi capelli dal volto d'alabastro ravviandola dietro l'orecchio, per poi posargli un lieve bacio sulla guancia. Il suo incarnato pallido auliva di un profumo dolce e salino, così affine alle mie rose e all'aria salmastra del mare. Le vesti che indossava erano chiare e il bagliore mattutino che illuminava la stanza gli conferiva un'aura di etereo splendore. Quella stanza mi era sempre sembrata un po' troppo sobria e impersonale. L'unico vezzo era lo specchio dorato che rimandava, ogni giorno, l'immagine di cui andavo fiero, senza mai lasciarmi sfuggire una singola parola di apprezzamento, a differenza di lui...

Mi sovvenne il momento doloroso in cui avevo ricomposto il suo corpo, quando gli deposi una rosa sul petto prima che sigillassero il sarcofago; e adesso era qui, insieme a me, grazie al gesto magnanimo della Dèa... Ma scacciai quei pensieri e lo lasciai solo. Vi erano troppe incombenze ad attendermi quel giorno, inclusa una convocazione al Tredicesimo di cui non conoscevo le ragioni; ma non credevo che Misty c'entrasse qualcosa, anzi, lo escludevo. Gli avevo dato un incarico da svolgere, avrebbe dovuto occuparsi del giardino in mia assenza; in quanto era l'unica persona cui potevo delegare l'onere di badare alle mie rose: le conosceva ed esse conoscevano lui. Avrei istruito le ancelle affinché gli servissero qualcosa per colazione e poi per pranzo come facevano con me d'abitudine. Il mio ruolo di Custode della Dodicesima Casa m'impediva di partecipare alla vita sociale secondo le usanze comuni.

 

Non che rimpiangessi il passato, anche se per esso provavo immenso rammarico e vergogna, ma era così strano vedere un'altra persona all'infuori di Saga ricoprire la carica di Gran Sacerdote. Mi guardai intorno riservando un poco della mia scarsa attenzione ai commilitoni allineati e compunti, maestosi e catafratti nelle loro armature scintillanti, sebbene alcuni sfoggiassero una postura ben poco regale. Mu, colui che aveva sempre tenuto le parti dei giusti in sordina, viveva senza infamia e senza lode, e quando lo vidi era quasi prossimo allo sbadiglio. Cancer masticava lo stelo di una spiga di grano con la solita aria strafottente, il valoroso Aiolia si sorreggeva a ridosso di una colonna e ciondolava stancamente per effetto dell'inedia, o era la tresca amorosa con la Sacerdotessa dell'Aquila ad averlo stremato? Mi chiesi mentre rischiai di lasciarmi sfuggire un sorrisetto malizioso e mi morsi il labbro in extremis. Per Zeus! C'era anche suo fratello Aiolos... A lui non riuscivo a guardarlo negli occhi, era aberrante quella sensazione che provavo ripensando alle nefandezze commesse nella vita precedente, e chissà se un giorno sarei riuscito a liberarmi dai sensi di colpa che mi perseguitavano.

Che cosa doveva comunicare il Sommo per convocare la Casta dei Santi d'Oro al completo? Forse, l'incombere di un nuovo conflitto? Non ne ero così sicuro poiché non aleggiava la tipica tensione che precede una guerra e non ne avevo avuto sentore, era tutto così idilliaco e tranquillo ma non potevo escluderlo a priori prima di averne avuto conferma.

Saori Kido era assente, me ne avvidi subito dopo il mio ingresso nella sala, e quel particolare m'indirizzò verso altri pensieri. La dèa non si rendeva spesso partecipe della vita al Santuario, e non vedevo quella scelta di buon occhio sebbene fossi consapevole che, prima di essere Athena, Saori Kido era una donna, e tutti sapevamo che avrebbe vigilato su di noi da lungi. Non avrebbe dimorato in questo luogo a lungo – lo aveva annunciato – ma sarebbe tornata alla Fondazione in Giappone, e non da sola. Non riuscivo a comprendere i favoritismi ai Santi di Bronzo – malgrado la loro parte rilevante nella vicenda – sebbene dovessi farmene una ragione... Ero più che convinto che anche gli altri non condividessero quella scelta benché se ne potessero comprendere le ovvie motivazioni, ed era consigliabile mantenere il riserbo ossia tacere e ingoiare il proprio malanimo. Misty lo stava imparando a sue spese. E io, poco a poco, stavo riuscendo a entrare nell'ottica del suo gesto malgrado qualcosa non mi fosse ben chiaro; dovevo ancora capire se egli aveva agito mosso dall'amor proprio o per un intento più nobile, e le parole di Death Mask mi avevano aperto gli occhi a tale proposito.

Finalmente Dohko diede un cenno d'inizio al discorso e i miei pari si destarono all’improvviso dal torpore che concerne l'attesa.

“Santi di Athena siete qui riuniti, quest'oggi, affinché sappiate che le Sacre Vestigia di Libra reclamano un nuovo possessore dopo tanto tempo, e la Settima Casa avrà finalmente un Custode. A giorni sarà celebrata una cerimonia d'investitura con cui designerò il mio successore.”

Shiryu, pensai. Non avevo alcun dubbio che si riferisse a lui. Amarezza, fui sopraffatto da profonda amarezza... E perché poi avrei dovuto sentirmi amareggiato? Era una decisione equa, condivisibile, Shiryu era un successore più che degno; lo spirito di abnegazione e le sue imprese eroiche lo rendevano del tutto meritevole di un titolo indiscusso. Eppure... fremetti, mi punsi con la spina della rosa che rigiravo nervosamente tra le dita: ahi, mi succhiai il sangue che fuoriuscì dalla punta del dito.

“Cos'hai? Sei nervoso?” Shura si rese subito conto del mio stato d'animo, e non poteva essere altrimenti, ci capivamo al volo: su di me e i miei tre compagni sembravano gravare i vergognosi trascorsi e indirettamente eravamo dei reietti, nonostante il perdono accordato dalla dèa. Guardai Shura negli occhi e fu allora che sbottai.

“Perdonatemi Eccellenza, ci sarebbe un altro candidato. Un'altra persona nata sotto il segno di Libra alla quale permettere di concorrere per il conseguimento del titolo.”

“E sarebbe?”

“Mi sorprende apprendere che voi ignoriate l'identità degli altri Santi nati sotto quella costellazione...” Non seppi nascondere la pungente ironia espressa in quelle parole, ma fui attento a non perdere il controllo poiché con esso avrei perso anche credibilità. Non mi riconoscevo, dov'era finita la mia diplomazia, la mia abilità a dissimulare malcontento evitando di espormi in prima persona?

“Non la ignoro ma, illuminaci... Santo di Pisces: quali sarebbero le imprese rimarchevoli nelle quali egli si è distinto?” Alla domanda del Sommo seguirono alcune risate, i miei pari si erano destati dal tedio mortale che li avvinceva, l'argomento aveva stuzzicato il loro interesse. L'atteggiamento di alcuni m'irritò: rilevai sopracciglia inarcate su sguardi stupefatti e inebetiti, labbra che si contorcevano in sorrisi beffardi, da Milo e Kanon me lo sarei aspettato, ma da altri...

“L'armatura reclama il possessore anche in virtù della costellazione di appartenenza” affermai sicuro di me.

“Esattamente” convenne Saga. “Sarebbe opportuno concedere la possibilità anche ad altri candidati di segno corrispondente, al di là delle credenziali acquisite sul campo” puntualizzò il Santo della Terza Casa non senza sorprendermi per il suo intervento inatteso, non aveva perso l'autorevolezza che lo contraddistingueva quando era insignito del ruolo di Gran Sacerdote. E i suoi occhi erano limpidi e sinceri, così com'erano stati quando ero solo un piccolo apprendista.

“Non è sufficiente. La persona a cui vi riferite non ha alcun diritto di concorrere per le Vestigia d'Oro. Viltà e vanità sono fattori incompatibili con questo ruolo" affermò Dohko.

Se è così, allora, molti di coloro che le indossano dovrebbero esserne privi a cagione di vizi ben più gravi! Pensai senza avere il coraggio di esprimere la mia opinione, e mi resi conto di quanto il mio discepolo avesse ragione nel considerarmi un ipocrita: ero un pavido ipocrita che si adattava a tutte le situazioni, in virtù dell'ambiguità e uscendone sempre indenne.

Viltà e vanità: quelle accuse nei confronti di Misty mi fecero infuriare, erano solo preconcetti legati al suo temperamento, al modo in cui egli era solito porsi nei confronti degli altri. Lo conoscevo bene Misty, e lui valeva di più, molto più di quanto loro pensassero:

“Perdonate ancora una volta la mia insistenza ma stiamo parlando di un Santo d'Argento! Se facessimo riferimento alla scala gerarchica, egli sarebbe più in diritto di conseguire le auree Vestigia di quanto non lo sia un Santo di Bronzo.”

“Pisces, cerca di essere ragionevole invece di sostenere tesi prive di logica. La decisione è già stata presa e credo sia giusta per i motivi che ho indicato” concluse il Sommo, con la solita flemma e irritante pedanteria.

“Certamente, non è mia intenzione contraddirvi ma vorrei solo ribadire che si sta sottostimando un Santo d'Argento in base all'indole, e dall'indole di una persona si evince poco o nulla." Era l'ultimo tentativo e sapevo di non potermi sbilanciare troppo con le parole per codardia, o per opportunismo – ma erano indizi che qualcuno, se avesse voluto, avrebbe potuto cogliere e ponderare. Avevo parlato troppo, decisamente troppo per il mio temperamento. Mi sentivo demotivato, svuotato, e non aveva alcun senso persistere nell'arringa che non avrebbe portato a nulla. Desistetti. Shura e Death Mask mi rivolsero uno sguardo dal quale si evinceva avessero compreso le mie intenzioni.

“Hai detto la tua, Aphrodite, e va bene, ma questo non potrà rimescolare le carte in tavola.”

 

La riunione era terminata e avrei potuto immergermi nella tranquillità della mia dimora. Dovermi intrattenere con altri, seppur miei parigrado, m’indisponeva e in una giornata così inconcludente a maggior ragione. Mi aspettavo di essere investito dal consueto bagliore accecante, uscendo dal Tredicesimo Tempio, ma i miei occhi sensibili si adattarono dolcemente al passaggio alla luce. Il tempo stava cambiando. Scrutai il cielo che si era incupito. Percorsi la scalinata e, giunto sul ballatoio della Dodicesima Casa, imboccai il portico colonnato adiacente che mi avrebbe condotto al giardino. Quando vi giunsi, Misty era ancora lì e rimase voltato di spalle a contemplare lo scenario che si stagliava sul versante affacciato sul mare. Sembrava godersi l'impeto del vento, che poi era il suo elemento naturale, ignorando il rumore dei miei passi come se non mi avesse sentito arrivare, cosa improbabile dato il fragore inconfondibile dell'armatura e l'emanazione del cosmo che non avevo celato. Forse non aveva voglia di parlare ed era un bene, in quanto io stesso ero così demoralizzato dopo quello che avevo appena udito sul suo conto.

Ben venga la mia ipocrisia, la mia abilità a simulare falsi sentimenti... Non avrei faticato a nascondergli che era stato menzionato nella discussione... Mi avvicinai con discrezione osservando i serici fili dei suoi capelli fluttuare nell’aria, si voltò, probabilmente era sovrappensiero e mi rivolse appena un cenno di saluto. Gli sollevai il mento indugiando con lo sguardo sulle sue iridi chiare – le quali rivaleggiavano con il blu profondo del mare che si stagliava sullo sfondo – e lo ringraziai per il lavoro svolto. Lo invitai a sedersi sul solito sedile di pietra esortandolo ad aspettarmi. Ritornai dopo essermi liberato dall'armatura. Mi voltai chinandomi verso il cespuglio di rose bianche, per lambirne la corolla con le dita, attratto dal loro profumo.

“Sei tu a dominare il vento?”

“No, non è opera mia, non sono io a dominare le correnti atmosferiche questa volta.”

“D'accordo” risposi, conciso, e il mio sguardo ricadde sulle mani che poggiava intrecciate in grembo; la pelle candida era percorsa da graffi sanguinanti. Nulla di strano, non avrei dovuto sorprendermi perché ciò era quanto accadeva ogni volta che mi dedicavo alla cura delle piante. Ma... lui, non riuscivo a credere che sfoggiasse quelle ferite con tanta disinvoltura, sapevo quanto fosse legato al concetto di perfezione che l'ossessionava.

Forse, Misty seppe cogliere il pensiero che celavo dietro l'imbarazzante silenzio, e mi sorrise con uno sguardo divertito: “Ciò che ho fatto per te non l'avrei fatto per nessun altro.”

Non risposi nulla e mi limitai a versare qualcosa da bere, anche lui stette in silenzio dopo essersi soffermato a osservare le nubi scure che si addensavano nel cielo – ma quanto limone sta strizzando in quella tazza di tè senza zucchero?

“Come si raggiunge il settimo senso?” esordì poi, con quella domanda che suonava inopportuna. Mi prese alla sprovvista perché si trattava di un quesito che non si risolveva con botta e risposta. Sospirai in silenzio stringendomi nelle spalle.

“Non c'è un modo: lo si raggiunge e basta” gli dissi, consapevole di quanto la mia risposta non fosse soddisfacente.

“E come?” m'interrogò con l'ingenuità di un bambino.

“In realtà, senza saperlo, tu lo possiedi già.”

Misty trasalì, perplesso, guardandomi come se fossi impazzito: “Se fosse vero le cose sarebbero andate diversamente quella volta in Giappone con Seiya.”

“No, per due motivi: intanto tu non combattevi sotto l'egida di Athena ed eri convinto del contrario; poi, a causa dell'eccessiva fiducia in te stesso, ti sei impedito di affrontare l'avversario al massimo del tuo potenziale” soggiunsi e Misty posò la tazza sul tavolo fissandomi con un'espressione consapevole.

“Adesso, dimmi, sei ancora così sicuro di te stesso come allora?”

“Non più tanto, ma tu sei l'unico a saperlo.”

“È naturale, e avendo acquisito tale consapevolezza le cose oggi andrebbero in modo diverso.”

“Ne sei certo?”

“Sì, lo sono. E non sono menzogne proferite al fine di farti ritrovare il sorriso” risposi e lui non replicò. Era probabile che credesse alle mie parole. Portò la tazza alle labbra e bevve ancora un sorso di tè, per poi riporla sulla superficie di pietra del tavolo.

“Adesso dovrei andare” disse.

“Dove?”

“A casa. Mi sono intrattenuto troppo qui e il Dodicesimo Tempio non è il luogo adatto a me, non è il mio posto.”

“Da quando tutta questa umiltà?”

“Non si tratta di umiltà, è la realtà dei fatti” affermò.

“Aspetta!” Evocai una rosa con il cosmo, bianca e profumata come quelle che sbocciavano nel giardino, e gliela porsi. Egli ne cinse il gambo tra le dita, la annusò per poi collocarla tra i boccoli dorati come faceva spesso da bambino.

“Grazie, Søren” disse scoccandomi un labile sguardo, non si era mai rivolto a me chiamandomi col mio vero nome. Non seppi trattenerlo quando mi voltò le spalle per allontanarsi... Non ebbi il coraggio di fermarlo.

Il Sommo mi aveva fatto di nuovo chiamare a distanza di poche settimane e, anche questa volta, non avevo la più pallida idea di cosa avesse da dirmi. Presidiavo il Tempio come ogni giorno e questa nuova convocazione turbò la mia tranquillità.

Contemplai il cielo sgombro da nubi contro il quale si profilavano le sagome maestose dei Templi. Il candore della pietra e dei marmi contendeva come di consueto con lo sfondo, quando questo era sereno. Mi distrassi volgendo lo sguardo a seguire le evoluzioni di alcuni uccelli – cercando di individuarne la specie – ma l'immagine s'impresse sulla retina in forma di macchie scure, e dovetti abbassare gli occhi a causa di una fitta lancinante alle tempie. Spesso dimenticavo di avere occhi tanto sensibili e quel bagliore mi fece sgorgare le lacrime.

Mi voltai per intraprendere il percorso in salita, appuntando il mantello con la fibbia, innumerevoli dubbi e interrogativi balenavano nella mia mente irrequieta e non riuscivo ad arginare quel flusso di pensieri. Quando arrivai sulla soglia del Tredicesimo Tempio i servi avevano già dischiuso i battenti. La frescura, all'interno, mi diede sollievo, poiché bardato nelle Sacre Vestigia grondavo di sudore. L'afa estiva era davvero insostenibile ed ero convinto che non mi sarei mai adattato a quel clima estremo. Mi avviai quasi stancamente a percorrere il considerevole spazio che collegava l'ingresso al Tempio con il soglio riservato alle autorità, m'imposi di mantenere un contegno decoroso, malgrado la debolezza. Il Gran Sacerdote mi attendeva seduto sul proprio scranno, e quando giunsi presso di lui, dopo essermi prostrato in segno di deferenza, mi esortò a rialzarmi e ad attendere. Feci vagare lo sguardo, deconcentrato, a sondare l'ambiente circostante, con il solo fine d'ingannare l'attesa. Non desideravo esternare perplessità e malcelato timore.

Vi fu ancora silenzio, fino al momento in cui non fece capolino – da un accesso secondario e retrostante il periptero – la dèa, o la donna, preceduta da un'emanazione benevola e potente. Gli indumenti candidi e il luccichio dei gioielli mi esortarono a socchiudere le palpebre.

Eravamo soltanto noi tre, eccetto i servitori che se ne stavano in disparte e un paio di ancelle che accompagnavano Saori Kido.

Avevo il cuore in gola, non era da me sentirmi così nervoso, né rammentavo di aver provato un simile disagio prima d'ora. La tensione si affievolì solo quando la donna si avvicinò a me: mi fissò ed ebbi la sensazione di essere nudo e inerme dinanzi a lei. Sentii le ciglia inumidirsi poiché gli occhi si erano velati di lacrime. Malgrado ciò mi stavo riscuotendo dal malore che stava per sopraggiungere.

Le labbra ben disegnate della fanciulla si schiusero distendendosi in un sorriso:

“Non dovrà scusarsi con me” disse. “Dovrei essere io a fare ammenda nei vostri confronti: nei riguardi dei Santi, tutti. Mi sono dimostrata debole e parziale. Ho riflettuto molto dopo quell'episodio... e nessuno è responsabile di nulla se non il destino stesso. Tutti siamo vittime ma non vi sono carnefici e né eletti.”

Il Sommo rimosse la maschera che solitamente gli celava il volto ed era molto più rassicurante vederlo così: corrugò le folte sopracciglia rossicce, aggrottò la fronte, e mi osservò con quegli occhi verdi, così acuti da brillare come smeraldi sul volto nobile e affabile. Non potei esimermi dal ricambiare quello sguardo, rimanendo a bocca aperta per lo stupore.

“Ho ponderato in merito alle tue considerazioni, Custode della Dodicesima Casa. E sono giunto alla conclusione che nelle tue parole vi era discernimento. Pertanto, io e Athena, abbiamo convenuto che sia lecito ammettere il tuo discepolo nella rosa dei candidati che concorreranno per le Sacre Vestigia d'Oro di Libra. In tal modo gli sarà data quell'opportunità che il destino sembrava avergli precluso.”

“Sarai tu a informare il Santo di Lacerta affinché si prepari ad affrontare questa nuova prova” soggiunse Athena.

Ero consapevole della gioia che Misty non avrebbe, mai e poi mai, fatto trapelare dal volto o dalle sue parole nel momento in cui avrebbe appreso una simile notizia. Un'ambizione che reputava irrealizzabile anche nelle più rosee previsioni, un sogno vago e distante di cui una volta soltanto aveva fatto menzione nei suoi discorsi. Annuii in risposta, riscuotendomi da quei pensieri. Non avevo parole adeguate per esprimere la mia gratitudine nei confronti delle persone che, io per primo, avevo considerato ingrate.

“Va bene ” replicai, senza palesare i miei sentimenti...

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


 

 

Gli Eletti, capitolo II

 

 

 

IV

 

 

Il messaggio

 

 

Le parole di Aphrodite mi sono state di conforto, dovrebbero esserlo state semplicemente perché è stato lui a pronunciarle... eppure, l'inquietudine non mi aveva dato tregua.

L'episodio di quel giorno ha portato un cambiamento significativo alle mie abitudini. Non ho più ricevuto ragguagli in merito al mio status, non so se questa condizione si protrarrà a lungo, ma temo di non attribuirgli la dovuta importanza. Ho perso ogni interesse per il futuro e ciò mi atterrisce, mi sconvolge.

Queste giornate inoperose e inconcludenti, sono terribilmente lunghe, e le attività alle quali ho scelto di dedicarmi spero che riusciranno a colmare il vuoto. Catalogare i libri alla biblioteca del Santuario è una scusa per trascorrere buona parte del tempo in solitudine, senza l'assillo dei parigrado che continuano a domandarmi, con insistenza, quando e come sarò riabilitato.

Ricordo bene la disposizione interna dell'edificio, l'avevo visitato in varie occasioni per consultare dei testi quando ero un semplice apprendista. Non sembra molto diverso da allora: la sala principale è ampia e luminosa, grazie alla luce che viene filtrata dai lucernari disposti nella volta a cupola, l'aula è ancora adorna di eleganti statue e - esattamente come ricordavo - cinta da colonne ioniche che si trovano adiacenti ad altre sale dove sono custodite un numero spropositato di opere, che spaziano dalle più recenti alle più antiche. Sono uscito un attimo fuori, curioso di vedere se vi fossero state apportate modifiche: sul retro si affaccia il solito giardino, dove avevo l'abitudine di appartarmi a leggere, il cui perimetro rettangolare è circoscritto da colonne rosate e, al centro del quale, è situata una vasca di pietra destinata alla raccolta dell'acqua piovana. Non è cambiato niente, soprattutto il fatto che si tratti di un posto tranquillo, e la tranquillità è ciò che più desidero in questo momento.


Era concentrato su lettere e numeri da assegnare ai vari testi, un lavoro noioso all'apparenza, ma che aveva il pregio di esorcizzare molti pensieri negativi. Al termine del quale avrebbe provveduto a reperire un qualsiasi libro per sé, da leggere la sera prima di addormentarsi, purché non trattasse il tema della mitologia classica e affini. Stava affrontando un periodo in cui provava un'avversione naturale per argomenti e luoghi che l'avevano sempre affascinato, ma non poteva lasciare la valle sacra di sua iniziativa allo scopo d'intraprendere un viaggio, sebbene lo desiderasse ardentemente.

Quella parvenza di quiete fu interrotta da una richiesta che suonò pretenziosa alle orecchie di chi non era incline a dispensare favori e chiacchiere, in un momento cruciale della giornata e, tanto più, se formulata dall'algido Camus.

Se posso trovare un testo in breve tempo? Come no! Il Santo d'Argento si voltò, levandosi dalla scrivania e dalle carte su cui era chino, incrociando lo sguardo di Aquarius che sostava al di là del bancone. Non potevano dirsi amici, non vi era nulla ad accomunarli se non, forse, un'egoistica propensione a salvaguardare i propri interessi personali. Malgrado ciò avevano l'abitudine di conversare in madrelingua quelle rare volte che s'incontravano. Je prendrai le temps nécessaire, pas moins, gli aveva risposto indispettito, dopo aver preso visione del tagliando sul quale era specificato il titolo dell'opera prescelta.


Camus non ricordava di essersi imbattuto in una persona più indisponente – forse, non lo era stato nemmeno Milo, nei suoi momenti peggiori. Misty non aveva smussato il tratto della personalità che lo caratterizzava da quando era un bambino, dall'epoca in cui gli aveva impartito lezioni di Greco. Riconobbe che una tale sfacciataggine sarebbe giovata a quel sentimentale di Hyoga... E, tutto sommato, stentava a tollerarla rivolta verso se stesso, concluse Camus scrutando in quello sguardo gelido quasi quanto il proprio, penetrandolo come con l'apice acuminato di una lancia. Misty scomparve dalla sua vista e fece ritorno dopo un lasso di tempo che non poteva definirsi breve: cosa che aveva già dato a intendere con la scortese premessa iniziale. Aveva con sé il volume richiesto, lo depose sul bancone e non pronunciò una sillaba.

“Ti vedo adatto a questo ruolo" lo schernì Camus, "molto meglio che nelle vesti di Santo di Athena” continuò, per provocarlo, in risposta ai suoi modi sgarbati.

Sortez Camus, sei stato servito. Adesso puoi togliere il disturbo” rispose l'altro di rimando, assottigliando lo sguardo per volgerlo al soffitto dorato con malcelato fastidio.

Era troppo, troppo sfrontata quella replica per lasciarla passare sotto silenzio. Camus avrebbe voluto reagire e fare rapporto ma, in quel momento, prese il libro senza spiccicare una parola, il buon senso lo aveva dissuaso dall'intraprendere una contesa per futili motivi – per quanto si potessero considerare banali. Lui, no, non era affatto privo di difetti per ergersi a giudice...


Misty l'osservò allontanarsi, in silenzio, assorto nei propri pensieri. E, dal canto suo, riconobbe di essersi rivolto in modo brusco nei confronti dell'unico connazionale presente al Santuario, ma non si era pentito più di tanto. Un'ondata di rancore verso quel luogo, incluse le persone che vi risiedevano, sembrava investirlo ripensando al proprio vissuto. Abbassò lo sguardo sul registro dove annotava le cessioni e i caratteri svolazzanti sulla carta parvero animarsi fluttuandogli davanti agli occhi azzurri.

Si era attardato oltre il necessario, senza accorgersi dell'orario segnato dalla meridiana, e non poteva continuare a disertare il luogo dove si pranzava in comunione con i parigrado e i membri delle altre caste. Prese con sé il libro che aveva già adocchiato e si diresse all'esterno della biblioteca. Nella sala adiacente, i servitori, le ancelle e pochi altri, non lo degnarono di uno sguardo. Era stato così facile perdere la fiducia e il rispetto delle persone, quanto sarebbe stato arduo riconquistarli. Andare contro il sistema per una buona causa, nella quale valorizzare il proprio ruolo e quello dei suoi pari, a suo avviso sottovalutati, non lo aveva innalzato né nobilitato bensì messo in cattiva luce. Dunque cos'erano bene e male, giustizia e iniquità, se si riducevano a meri concetti distinti da un confine così labile? Egli ripensò, lungo il tragitto, alle parole confortanti che Aphrodite aveva avuto per lui: lo faceva ogni qualvolta gli balenassero cattivi pensieri. Sebbene ciò non bastasse a fugare tutti i dubbi, perlomeno riusciva ad attenuare un poco quel velo di malinconia che incupiva il suo sguardo e gli ottenebrava la mente, come le nubi che, diradandosi, svelano il cielo terso.

 ~

Il refettorio era gremito di gente e la maggior parte non notò la sua presenza. Tranne qualcuno che l'aveva adocchiato puntandogli il dito contro con aria di scherno. Si approssimò al tavolo principale per servirsi, selezionando le vivande desiderate e riponendole nel vassoio fingendo di non vedere nessuno, con somma delusione di chi si stava divertendo alle sue spalle. Si premurò di guadagnare la solita posizione appartata e, guardandosi intorno, scorse i propri commilitoni sopraggiungere. Finalmente, si disse sospirando. Poteva dirsi al sicuro e al riparo dagli attaccabrighe. Aveva qualcuno dalla sua parte su cui poter contare.

“Questa situazione si sta protraendo troppo a lungo, e deve finire.”

“A cosa ti riferisci, Babel?” Misty distolse l'attenzione dal cibo nelle terraglie. Non era del tutto ignaro del positivo ascendente che esercitava sui parigrado. Era una dote innata, grazie alla quale alcuni – molti – pendevano letteralmente dalle sue labbra.

“A Shaina, quella donna è incapace di stare al comando.”

A quelle parole il Santo si voltò, anche se perplesso, appositamente per incrociare lo sguardo di alcuni presenti, tentando di scandagliare i loro animi. Ancorché si sentisse lusingato dall'idea di essere insostituibile: “La verità è che vi dà fastidio stare agli ordini di una donna. Ma Shaina è molto efficiente, lo è molto più di me.”

“Efficiente quanto insopportabile!”

“Asterion, per favore... La realtà è che io vi ho trattato, sempre, in modo troppo amichevole” soggiunse, dopo aver notato la presenza dell'amazzone con la quale si scambiò un cenno furtivo a distanza. Lei sedeva al fondo della sala, accanto a Marin, ed entrambi non avrebbero potuto udire quei discorsi – tantomeno leggere sulle labbra, dalla posizione in cui si trovavano. Ciò lo rasserenò, sebbene intuisse che Shaina fosse a conoscenza delle dicerie che la riguardavano. Chiuse gli occhi e reclinò il capo in avanti, per un breve istante, cingendosi le tempie doloranti.

“È un incapace. Con lei al comando regnano il caos e la discordia.”

“Dovrete farci l'abitudine, perché il futuro è un'incognita. E adesso, abbiate la compiacenza di lasciarmi mangiare in pace, senza costringermi ad ascoltare le vostre chiacchiere oziose” concluse, temporeggiando prima di portare alle labbra un boccone, temendo che gli andasse di traverso a causa di quei discorsi farneticanti. Era quasi al limite della sopportazione. Aveva sperimentato la mentalità misogina del Santuario, in passato, ed essa aveva turbato la sua infanzia; ricordava di essere stato un bambino sensibile ed era convinto che la leggerezza delle persone con cui aveva dovuto imbattersi l'avesse indotto a perdere quella sensibilità. Di conseguenza provava una sincera ammirazione verso le poche amazzoni del Santuario, costrette a celare il volto dietro una maschera d'argento: spesso dotate di uno strenuo coraggio, superiori rispetto ad alcuni uomini, ma tenute in scarsa considerazione.

Shaina sarà presto la vostra unica guida perché io ho deciso così, sentenziò Misty tra sé e sé. Quella non era una situazione provvisoria ma una scelta che aveva meditato a lungo, ancor prima di essere destituito dal suo incarico.

Fu l'ultimo ad alzarsi da tavola, in compagnia di Asterion.

“Verrai ad assistere alle esercitazioni, quest'oggi?”

“No, non metterò piede nell'Arena, non prima di aver riguadagnato il mio status" sospirò, ravviandosi la chioma fulva. Una scusa, e un gesto superficiale con i quali celava malumore e insofferenza dinanzi alla prospettiva dell'ennesima giornata vuota. Si sentiva del tutto privo d'interessi e spirito d'iniziativa, ma confidava nell'onestà di Asterion, che per abitudine evitava di avvalersi del proprio dono e non si azzardava a sondare nella sua mente.

“Ti capisco. Trovo tutto questo... surreale.”

“Eppure...” il pensiero che stava per formulare rimase in sospeso, incompleto, non espresso a causa della comparsa di una terza persona. Un messo gli consegnò un plico sigillato, porgendoglielo con deferenza. Soppesò l'involucro senza dargli troppa importanza, inserendolo tra le pagine del libro che aveva davanti.

“Saranno buone nuove?”

“Non posso saperlo, Asterion. Almeno finché non deciderò di aprirlo. E ti confesso che ciò non suscita la mia curiosità.”

“Come puoi dire che non t'interessa, soprattutto nella situazione in cui ti trovi... ?”

“Gli darò un'occhiata più tardi, e poi ti farò sapere” concluse Misty per accontentarlo, manifestando un blando sorriso sulle labbra. “A dopo.”

Era impaziente di uscire da quel luogo troppo affollato nel quale rischiava di fare spiacevoli incontri. Le maldicenze sul conto altrui, che aveva dovuto ascoltare suo malgrado, lo avevano infastidito a sufficienza.

 ~

Tutto a un tratto perse l'equilibrio, barcollando, ma riuscì a sostenersi per tempo aggrappandosi al bordo della vasca; scorgendo il proprio riflesso – congiunto al bagliore abbacinante del sole – sulla superficie cristallina increspata da cerchi concentrici. Indugiò, prendendo un respiro, serrando le palpebre, per poi risollevare lo sguardo: i contorni delle forme circostanti gli parvero indefiniti, tremolanti, come avviluppati da una vaga foschia. Si accostò al rubinetto della fontana per bere un sorso d'acqua e inumidirsi i polsi, dopodiché recuperò il libro che aveva deposto su un gradino. A volte non si capacitava di essere redivivo, in quella dimensione reale, ma aveva l'impressione di non aver abbandonato del tutto il regno delle ombre – come se persistesse a vegetare in una parvenza di sogno...

Dopo una breve sosta s'incamminò giungendo sul versante antistante la piazza principale, all'imbocco del vicolo silenzioso, che l'avrebbe condotto nei pressi della sua abitazione. Al riparo dai raggi diretti del sole, trovò qualche attimo di tregua dalle proprie incalzanti riflessioni. Fino a quando non percepì un cosmo ben noto: e una figura di donna, aggraziata, flessuosa e agile come una gazzella, lo raggiunse accorrendo al suo fianco con fare circospetto. Shaina...

“Posso accompagnarti?” esordì lei, e lui annuì. “Volevo solo ringraziarti per la considerazione che dimostri di avere nei miei confronti” riprese a dire Shaina.

“Non mi devi nulla" le rispose il ragazzo, procedendo con lentezza e continuando a fissare il percorso innanzi a sé.

“Ma vorrei darti un consiglio, se posso” soggiunse lui. Così rallentò l'andatura e, sospirando in silenzio, si fermò per sedersi su un basso muretto di pietra e, cominciando a massaggiarsi le tempie, disse: “Distogli la mente da ciò che ti causa sofferenza.”

Shaina era sorpresa, non ricordava che il compagno d'arme fosse dotato di empatia o, perlomeno – se lo era – aveva celato molto bene le sue qualità negli anni passati. E lei, in effetti, continuava a soffrire. Ma era un dolore composto che non credeva riuscisse a trapelare dal proprio essere, almeno, non così tanto al punto che Misty, o altri, lo notassero. E come aveva fatto lui a rendersene conto, così preso dalle proprie vicissitudini? Forse, perché quello che stava passando lo rendeva suscettibile ai problemi altrui?

“Dimentica chi ti ha trattato con sussiego, perché non merita il tuo interesse” Il Santo d'Argento la riscosse bruscamente da quel rimuginare.

“Tu sai, chi?!”

“Lo sappiamo tutti, mia cara.”

“Ci siamo riconciliati tempo fa" gli confidò lei sviando prontamente il discorso, dissuasa da una sorta di pentimento per essere incappata nel rischio di lasciarsi andare a confidenze private. “Anche se, immagino tu abbia delle buone ragioni per odiarlo. Ti tratta sempre con sufficienza, persino l'ultima volta ti ha insultato. Come se lui potesse vantare attributi da vero uomo” insinuò Shaina, alludendo alla stessa persona.

“Invece io non lo odio. Non mi è simpatico, tutto qui... ormai non faccio più caso a certe sciocchezze. Una volta, Asterion mi ha consigliato di riservare le mie attenzioni a chi mi attribuisce la dovuta importanza” mentì, fingendo di non dare troppo peso ad affermazioni che ne ledevano l'autostima, e che concorrevano ad alimentare un rancore mai sopito.

“E con questo, cosa vorresti dire?”

“Nulla, Shaina. È che hai sprecato le energie dietro alla persona sbagliata, sminuendo le tue doti di amazzone agli occhi degli altri, quando invece potevi dedicarti a chi ne era davvero degno” replicò lui, distratto da altri pensieri che balenarono all'improvviso nella sua mente.

Chissà com'è il suo viso? Qualcosa mi dice che dev'essere molto bella... Le sue iridi azzurre erano come polle d'acqua limpida: la fissò con intensità, col proposito di catturarne anima e sguardo sebbene fosse celato. E, nonostante ciò, aveva la sensazione che lei stesse piangendo. Intuì di averla messa in imbarazzo, e chinò il capo di riflesso verso le proprie le mani che giacevano in grembo – concentrandosi su qualcos'altro. Lei lo osservava attraverso la maschera, che in alcuni momenti era come una benedizione, un salvifico ausilio atto a celare le proprie emozioni. E non gli era mai sembrato così bello – un emissario degli dèi tra gli uomini, oppure lo stesso dio Apollo che si celava dietro una falsa identità. A dire il vero non aveva mai contemplato il mondo che la circondava, con attenzione, perché fuorviata dall'unico pensiero e obiettivo che le stava avvelenando l'esistenza: Seiya di Pegasus...

Protese una mano verso di lui con un movimento del tutto involontario, come a voler saggiare la morbidezza di quei boccoli biondi, ma la ritrasse d'istinto, non vista. E, in quel mentre, Misty materializzò una rosa gialla, screziata d'arancio, per poi rivolgersi di nuovo alla Sacerdotessa dell'Ofiuco porgendole il fiore profumato che cingeva con delicatezza tra le dita affusolate.

“Prendila. Deponila sulla tomba del nobile Cassios.” Detto questo si alzò in piedi e fece per allontanarsi.

Misty! Lo richiamò lei, attraverso il cosmo, ma lui proseguì imperterrito col chiaro intento di sfuggirle. Strinse il libro contro al petto, e camminando dimenticò del piego inserito tra quelle pagine, smarrendo lo sguardo oltre il sentiero di pietra e ciottoli bianchi: forse, noi Santi d'Argento, siamo nati sotto il segno di una cattiva stella.

 ~

Misty percorse quei pochi gradini in salita, che conducevano al piano rialzato sul quale si affacciava il piccolo giardino fiorito. Giunse a varcare la soglia di casa e si sedette allo scrittoio: lontano da occhi indiscreti spezzò il sigillo e dispiegò l'involto per leggere il messaggio, rasserenandosi nel momento in cui apprese il nome del mittente.

 

Ciao, Misty. Sarò breve e conciso in questa missiva. Ho avuto modo di discutere col Gran Sacerdote e con la nostra divina Athena e posso rivelarti, con piacere, che dalla conversazione è emerso il rammarico di Saori Kido in merito ai pregiudizi espressi nei tuoi confronti.

Ti ha riconosciuto, non solo il pieno diritto di essere reintegrato nelle tue mansioni di Santo d'Argento, bensì quello di concorrere per il possesso delle Sacre Vestigia di Libra. Come tu ben sai, la Settima Casa è vacante così come lo è la rispettiva armatura. Presumo che riceverai in breve tempo una convocazione ufficiale da parte di entrambi o da uno di loro.

 

Un caro saluto,

 

Søren.

 

Quel tono confidenziale, usato dal Santo di Pisces, gli strappò un sorriso. Aphrodite non era il tipo da convenevoli e lusinghe, ma con lui non era stato sempre così freddo e scostante come voleva sembrare. Misty rilesse alcune volte il testo del messaggio per sincerarsi di non essersi sbagliato, senza celare stupore per quel passo indietro che sapeva tanto della stessa falsità che aborriva. Sfilò una rosa dal solito vaso di vetro, accostandone poi i petali vellutati tra il naso e le labbra per saggiarne il dolce profumo e la rigirò tra le dita, dondolandosi mentre sulla sedia, sopraffatto da pensieri malevoli. Era titubante ma, al contempo, la consapevolezza di vedere riconosciute le proprie ragioni lo inorgogliva. In passato non avrebbe esitato a cogliere una simile opportunità, quale veicolo per assurgere alla tanto bramata gloria. Si figurò per un istante bardato nelle vestigia d'oro: l'armatura di Libra, la più potente tra tutte, l'emblema dell'equilibrio... Ma fu una sorta di volo pindarico – un po' come il volo di Icaro, il quale precipitò per aver avuto l'ardire di essersi avvicinato troppo al sole. Un fugace entusiasmo che si spense all'istante, ancor prima ch'egli avesse il tempo di trastullarsi in vagheggiamenti più audaci. Non erano le stesse circostanze di allora e, in un certo senso, anche lui non era più lo stesso. Nascose il volto tra le mani. Avrei bisogno di quella sicurezza, proprio adesso che non so più chi sono. Non riuscirei a sopportare una nuova sconfitta per mano di un Santo di Bronzo. No, non sarei in grado di affrontare e superare la prova, e diventerei lo zimbello di tutto il Grande Tempio, più di quanto non lo sia ora.

Lasciò la lettera sullo scrittoio e si rivolse verso la finestra, distratto dallo sbattere dei battenti sospinti da un'improvvisa folata di vento. Udì il cinguettio degli uccelli, ricordandosi di recuperare del pane secco che aveva conservato sul fondo di un cassetto per sbriciolarlo sul davanzale. I piccoli pennuti gradivano quelle attenzioni quotidiane. Si soffermò poi davanti allo specchio dopo avervi scorto di sfuggita il proprio riflesso. S'inumidì le labbra asciutte, scostando una ciocca di capelli per asciugarsi il sudore dalla fronte col dorso della mano... un viaggio, si disse, mi piacerebbe intraprendere un viaggio e lasciare questo posto per qualche tempo.

Indugiò un momento, poi sorrise e convenne che l'unica fuga consentita – lungi da quel microcosmo avulso dal mondo – poteva essere una sortita fino al villaggio di Rodorio. Non restava che attendere una missione o un permesso speciale. Quindi si voltò indietro e, senza ripensamenti, prese la lettera accostandola alla fiamma di una candela. La carta bruciò lentamente fino a ridursi in cenere. Era di pessimo umore. Uscì di casa sbattendo la porta e s'incamminò lungo il sentiero che conduceva al mare; nubi cariche di pioggia si stavano addensando all'orizzonte trasportate dal vento, che stormiva tra le foglie e gli arbusti delle piante aromatiche spargendone l'odore caratteristico. Pioveva in rare occasioni durante l'Estate e, quando arrivava, la pioggia era provvidenziale: dava sollievo dalla calura e sembrava lavare via la tristezza.

Egli contemplò la distesa marina, perdendosi nel moto ipnotico delle onde, beandosi della quiete che precedeva l'impeto del temporale che a breve avrebbe infuriato, incurante del pericolo che si celava nel baluginare dei fulmini che guizzavano nel cielo plumbeo carico di elettricità. Stava iniziando finalmente a piovere, prima il rovescio crebbe d'intensità per poi protrarsi, scemare nuovamente, e cessare. Gli indumenti e i capelli erano fradici, e rivoli d'acqua scorrevano a confondersi con le lacrime. Continuava a guardare il mare, ancora inquieto, le cui acque scuotevano i miseri natanti dei pescatori attraccati al molo. Dal giorno in cui aveva riaperto gli occhi non vi si era più avventurato per nuotare, quasi il contatto con l'acqua rievocasse un passato che rifuggiva con tutto se stesso, - ma era assai improbabile che gli antichi trascorsi si dissolvessero come una bolla di sapone...

I ricordi sono parte di noi stessi, sono parte della nostra storia ancorché tristi e ingloriosi, con tutto il loro carico di amarezza e rimpianti.

“Che cosa fai?” Il rumore di alcuni passi sulle tavole sconnesse della banchina spezzò l'incantesimo.

“Niente, avevo caldo e ho deciso di rinfrescarmi sotto la pioggia. Mi hai seguito?”

“No, ormai credo di conoscere le tue abitudini, sei abbastanza prevedibile. Cosa c'è scritto nel messaggio? Se posso saperlo.”

“L'ho distrutto.”

“Sei uscito di senno!? Stai scherzando, vero?” Asterion si preoccupava sempre per lui, molto più di quanto non desse a vedere. “Ariele, rispondi.”

Udendo quel nome, il ragazzo biondo si voltò di scatto, sbigottito, fissando l'altro in quegli occhi scuri e penetranti, soffermandosi a contemplare il bel volto, ingentilito dalla tiara che gli cingeva il capo con eleganza.

“Sì, Ariele. Non fingere d'ignorare il tuo vero nome. Ho sentito il tuo maestro chiamarti così, qualche volta.”

Ariele... Quel nome: che lo costringeva a compiere un viaggio a ritroso nei recessi della memoria... passato e presente. Si smarrì nel dedalo dei propri pensieri contorti e incoerenti e si lasciò trasportare da questi, quasi vaneggiando, fino al momento in cui qualcosa non lo destò bruscamente, suo malgrado. Si toccò il viso, il lato sinistro bruciava come il fuoco. Il suo pari aveva osato colpirlo, per la prima volta da quando si conoscevano. Lo fissò con gli occhi vitrei, con uno sguardo vacuo privo di qualsiasi espressività:

“Non farlo mai più.” Poche parole, dure, eloquenti.

“Perdonami se ho letto nei tuoi pensieri ed essi hanno provocato la mia reazione, sono stato impulsivo. Ma la rinuncia è la più grande sconfitta. E tu sai a cosa mi riferisco" Il Santo di Canes Venatici voleva porre rimedio al proprio gesto sconsiderato, provò ad avvicinarsi, ma l'altro respinse il tentativo di approccio con indignazione, in risposta a quello che riteneva essere un grave affronto.

“Mi hanno trattato come spazzatura e adesso pretendono di rimediare. Che cosa dovrei fare, strisciare ai loro piedi e ringraziarli? Non darò loro la soddisfazione" Misty fremette dall'ira, che tuttavia non sortì l'effetto di trasfigurare i tratti del suo volto angelico, poiché latente dietro la maschera di presunta superiorità morale. Ma serrò i pugni, con tale foga da ferirsi il palmo delle mani con le unghie. Asterion lo scrollò per le spalle con l'intento d'indurlo a ragionare e a non commettere un altro grossolano errore dettato dall'orgoglio: dall'amor proprio, che l'aveva già trascinato in un guaio. Fu in quel momento che la tensione tra loro si sciolse.

“Non è questo il motivo principale del tuo rifiuto, c'è qualcos'altro. Perché ti ostini a negare?”

“Smettila, Asterion! Non leggere nella mia mente, abbi rispetto.”

“Se è questo che vuoi... ma poi non dovrai rimpiangere scelte che si riveleranno sbagliate.”

 

***

 

È curioso vedere come questi Santi di Bronzo si siano evoluti, come siano maturati. Ricordo ancora quando mi trovai faccia a faccia con i Santi di Pegasus e di Andromeda, e saggiai il potere e la motivazione di quest'ultimo che si batté con spirito di abnegazione per la causa giusta. Ed eccoli, adesso, sotto i nostri sguardi.

“Sei troppo pensieroso negli ultimi tempi, mi preoccupi" proruppe Death Mask, in tono quasi canzonatorio. Aphrodite esitò per qualche istante prima di rispondere. Era ancora intento a seguire l'andamento delle esercitazioni che si svolgevano nell'Arena, che la pioggia torrenziale aveva ridotto a una poltiglia fangosa. Si destò in un secondo tempo dalle proprie elucubrazioni mentali per rivolgersi al Custode del Quarto Tempio che stazionava a braccia conserte accanto a lui.

“Niente d'importante. Anzi, no...” affermò, staccando con i denti un petalo della rosa stretta tra le dita, per poi soffiarlo via guardando con la coda dell'occhio il Santo di Cancer. “Cosa ne pensi del fatto che avremo un inquilino alla Settima Casa?”

“Me ne sbatto.”

Lo svedese sorrise osservando l'altro grattarsi il mento. Le esternazioni colorite del compagno d'arme lo divertivano, solitamente. “Non ti è proprio andato giù lo scontro con Shiryu, vero? E nemmeno che il maestro dei Cinque Picchi ti abbia dato dello stolto, quella volta...”

“Non voglio ritrovarmelo ancora tra i piedi. È già troppo doverli sopportare così, quei mocciosi di bronzo.”

“Non sono più, tanto mocciosi.”

“Sta' zitto, non ricordarmelo.”

Aphrodite gli prese il mento senza troppa delicatezza, quasi conficcandogli le unghie nella carne, e bisbigliò qualcosa al suo orecchio.

“Ma sei serio o mi stai prendendo in giro!?” replicò l'altro, senza trattenere il proprio stupore dopo aver udito una sorta di pettegolezzo.

“Sono serissimo. E tu sei pregato di non tenere la bocca chiusa", affermò Pisces.

...

 

Death Mask deve aver già spifferato tutto, a giudicare dalle espressioni interrogative stampate su quei volti; sembra divertirsi, e magari molto compiaciuto per aver creato scompiglio. Sono curioso, è giunto il momento di andare a sincerarmi con le mie orecchie di come abbiano preso la notizia. Direi che di primo acchito, sembrerebbe non molto bene.

Aphrodite si alzò in piedi stiracchiandosi, assaporando la brezza frizzante che spirava ad alleviare l'afa opprimente e che gli scompigliava i lunghi capelli. Quindi scese, fino a giungere a poche gradinate dalla spianata di sabbia su cui erano radunati gli altri. E, come supponeva, osservò concitazione e malcontento dilagare tra gli astanti. Come? Queste anime pie non accettano che la possibilità di ottenere una promozione sia estesa anche ad altri Santi? Dov'è finita la tanto decantata umiltà? Il timore di vedere sminuiti alcuni privilegi, a volte, fa emergere la nostra reale natura non tanto candida come vorremo far credere... Quando ci pestano i piedi siamo più propensi a dare il peggio di noi stessi!

La discussione stava assumendo una connotazione pesante e Aphrodite non sapeva fino a che punto avrebbe potuto resistere senza prendervi parte. Il Santo d'Oro si era appartato a distanza ravvicinata dal gruppetto di persone che stavano discutendo, e, talvolta, sfoggiava uno sguardo complice che vagava fino a incontrare quello del Santo di Cancer. Si era posto con riservatezza e con la compostezza che gli era usuale, ma con l'orecchio ben teso ad ascoltare la conversazione alla quale avevano preso parte i Santi di Bronzo, compresi coloro che erano stati sempre all'ombra di chi primeggiava, quasi a pavoneggiarsi per meriti non propri – un po' come quel tale: il maggiordomo di milady. Persone che dovrebbero avere il buon senso di tacere... Ma l'argomento trattato sembrava coinvolgerli, quasi avessero loro stessi qualcosa da perdere. Pochi altri, tra i Santi d'Oro, se ne stavano defilati come se la cosa non li riguardasse direttamente, ma ascoltavano incuriositi, senza proferire verbo.

“E con quale criterio, il Sommo e Athena avrebbero preso questa decisione?”

“Col criterio che si conviene ad autorità superiori... ma se non sei d'accordo puoi andare a protestare al Tredicesimo Tempio.” Death Mask rise sarcastico, con la tipica espressione malevola dipinta sul volto a conferirgli un fascino perverso. “Sempre se avranno voglia di ascoltarti.” E si divertì a pungolare i Santi di Bronzo, gustandosi la loro reazione stizzita.

“E cosa avrebbe fatto lui per arrivare così in alto, in breve tempo, e conseguire un tale diritto? Non è buono a nulla se non a compiacersi di se stesso, lo sanno tutti.”

Quell'affermazione infervorò gli animi di alcuni presenti. Aphrodite si destò dal torpore in cui languiva: quelle parole lo avevano scosso come il tocco di un ferro arroventato dritto al costato, così si fece avanti, sebbene non fosse nelle sue corde prendere le parti di qualcuno per quanto quella persona gli stesse a cuore.

“Tu, non saresti quello riflessivo? Colui che stai tacciando d'inettitudine, si è pentito per gli errori passati e vanta gli stessi vostri diritti, incluso quello di assurgere a una Casta superiore.”

Il Santo d'Oro aveva calamitato l'attenzione su di sé, e scese il silenzio; Shiryu, al quale erano state rivolte quelle parole, tacque realizzando di aver esagerato. A disagio per il commento sfuggitogli in un accesso di rara incredulità e disappunto – che sembrava smentire il suo proverbiale discernimento – per ciò che considerava una mancanza di rispetto intollerabile. Come se si volesse premiare chi non aveva mai fatto niente, a scapito di chi aveva dovuto affrontare inenarrabili sacrifici, orrori e traversie. Inconcepibile.

Aveva agito d'impulso, ispirato da quel senso di giustizia per il quale aveva lottato strenuamente, ed erano state, sì, parole pesanti che contraddicevano la sua pacatezza, ma erano state scaturite dal profondo del cuore. Aphrodite, a suo modo, gli era solidale ma, dalla sua, adduceva delle ragioni.

I soliti, investiti da una sorta di dignità – quasi fossero al di sopra delle parti – erano Hyoga e Shun. Questi alzò timidamente la testa rivolgendosi all'antico rivale, incontrando quegli occhi turchesi che rilucevano come gemme d'inusitata bellezza.

Pisces si era voltato verso il Santo di Andromeda, poiché Shun aveva pronunciato il suo nome, imbarazzato per la mancanza di tatto dei suoi compagni. Sembrava aver rimosso che il Santo della Dodicesima Casa si fosse reso responsabile della morte del suo mentore. A giudicare dai tratti distesi del volto non emergeva alcun risentimento. Ed era così, quel che era stato era dovuto alle circostanze: all'ironia della sorte che aveva voluto i Santi devoti alla stessa dèa schierati in fazioni contrapposte. Era il passato, un'altra vita...

“Shun, spero tu non abbia in serbo altre sciocchezze che mi farebbero ricredere anche sul tuo conto.”

Il ragazzo scosse il capo, e dai suoi modi pacati si evinceva l'imbarazzo provato a causa delle esternazioni poco gentili proferite da alcuni. Aphrodite seppe coglierne la sincerità e lo rassicurò con una carezza tra i capelli.

Seiya strinse i pugni, e Shiryu si precipitò a trattenerlo affinché non si lasciasse andare a gesti inconsulti: “Aspetta. È stato il mio maestro a decidere di accordare la fiducia a quel Santo, e non può essere un errore!”

Nonostante Shiryu lo stesse inducendo a riflettere, Seiya non riusciva a comprendere quella scelta e la presa di posizione per ciò che lui considerava: difendere l'indifendibile. Non nutriva alcuna simpatia per Misty e, ancor meno, stima, sebbene avesse provato un sentito dispiacere per la sua morte. Ancorché fosse stata una sensazione fugace, svanita in fretta all'avvicendarsi di altri nemici e di altre battaglie. Come se la vita umana si riducesse a una questione di scarso valore... Non capiva, pur riconoscendo che il Santo d'Argento doveva essersi, in qualche modo, ravveduto in punto di morte – che potesse cambiare – e che il cambiamento sarebbe potuto avvenire anche grazie alla possibilità concessagli. Continuava a incaponirsi sulle proprie convinzioni: sembrava che, in virtù d'indiscusse prodezze, si sentisse in diritto d'innalzarsi al di sopra di tutto e di tutti. Era una fiera e insana cocciutaggine che gl'impediva di vedere e valutare il mondo attorno a sé per come realmente appariva, senza preconcetti. Accusava gli altri di arroganza senza rendersi conto di esserlo lui stesso, e forse in misura superiore.

“È assurdo, con tutto quello che abbiamo passato, accettare una simile burla! Shiryu è l'unico degno successore di Dohko.”

“Non sarai tu a deciderlo né io. Fosti tu a dirmi che di rose avrei dovuto addobbarmi la casa... Sei ancora pieno di te, Seiya di Pegasus. Faresti meglio a calmarti, e indirizzare le energie verso fini più utili, invece di digrignare i denti invano. Ti dirò di più: sarebbe un bene se tu e Misty provaste a riconciliarvi tralasciando gli antichi dissapori.” Il Santo d'Oro aveva colto del rancore dietro parole e azioni che sembravano mosse da buoni sentimenti. Rilasciò la rosa che cingeva tra le dita, lasciandola cadere al suolo – campeggiando sulla sabbia come una sinistra macchia di sangue. Quindi ripiegò, sottintendendo con il gesto il proprio disappunto.

“Misty è...”

Quelle parole lo indussero a voltarsi.

“È... un codardo” ammise uno dei bronzi minori, al quale stava sfuggendo il turpiloquio.

“Le persone cambiano. Nessuno rimane uguale a se stesso, prendetene atto e non ve ne pentirete.” Aphrodite non perse le staffe, benché certo che dietro quell'appellativo se ne celassero altri, di gran lunga più offensivi e volgari.

 

***

 

V

 

 

Conflitto interiore

 

 

I cardini del portale d'ingresso stridettero a una leggera pressione sui battenti decorati, era già aperto, come se vi fosse qualcuno ad attenderlo. Misty avanzò, avvolto dalla semioscurità serale che permeava l'interno del Tempio, inframezzata dal tenue bagliore di lampade e bracieri. Si spinse verso il centro, ma volgendo lo sguardo innanzi a sé non vide nessuno occupare il seggio più eminente, né rilevò alcuna presenza in quel luogo a prima vista deserto. La sua attenzione fu catturata dagli specchi incorniciati di cui era adorna la sala: la disposizione era la stessa di un tempo non molto distante. Non resistette alla tentazione di darsi uno sguardo: e scorse il riflesso di una sagoma evanescente – da lontano – ammaliante, in antitesi alle brutture di questo mondo. Ma fu un futile trastullarsi dal quale si riscosse in fretta.

Sostava a metà distanza tra l'ingresso e lo scranno del Gran Sacerdote e, in quel mentre, gli sovvennero alcuni ricordi. In particolare le parole sprezzanti che gli erano state rivolte in quel luogo; quelle insinuazioni degradanti risuonavano nella sua mente come un mantra, ma non lo avrebbero distolto dalle priorità in programma per quel giorno.

“Prego, vieni pure avanti" disse una voce. Misty trasalì, udendo l'esortazione inattesa del Sommo, il quale comparve da un accesso secondario occultato dai drappi cremisi e le colonne. Si augurava che l'uomo non l'avesse sorpreso a specchiarsi, nel frangente in cui credeva di non essere visto. Dohko era privo della maschera in quell'occasione, tuttavia il suo giovane volto era ben noto a tutti. Questi lo invitò cortesemente a genuflettersi in sua presenza, dato che il Santo sembrava aver ignorato il protocollo e quella mancanza, infatti, non era che l'effetto di un fluire incessante di pensieri.

“Sei autorizzato a riprendere possesso dello scrigno contenente le Sacre Vestigia d'Argento” affermò l'uomo, trafiggendolo con un'occhiata poco conciliante, per poi dargli le spalle. “Ma c'è dell'altro. Una questione riguardo alla quale sei già stato informato” soggiunse, con algida indifferenza, continuando a passeggiare avanti e indietro nella sala, con le mani infilate nelle ampie maniche dei paramenti e lo sguardo rivolto in direzione opposta al proprio interlocutore.

“Sì, so a cosa vi riferite, ma io non posso...”

“Non spetta a te decidere, il tuo compito è solo quello di adempiere a ciò che ti viene richiesto. E ogni direttiva proveniente dall'alto, è da considerarsi un ordine. Dovresti saperlo" rettificò poi il Sommo, con la solita aria di rimprovero.

“Ne sono al corrente. Ma non credo di essere all'altezza...” sospirò Misty, e poi prese coraggio. “Siete stato voi a screditarmi. A ricordarmi qual è il mio effettivo valore.” Aveva concluso la frase con un velato risentimento. Come posso concorrere per le Sacre Vestigia di Libra se sono così inetto? Non vedete l'ora di vedermi sprofondare ancora più in basso?! Sì, è così: sempre più in basso, per compiacere il desiderio di una divinità vendicativa che si fregia di falsa misericordia al fine di celare il suo reale intento. Si morse il labbro, al fine di stroncare quel pensiero molto prossimo a concretizzarsi in parole.

“Sì, è vero, l'ho pensato e lo penso tuttora. Sarei un ipocrita se non lo confermassi in queste circostanze. Ma una persona più magnanima di me, alla quale mancasti di rispetto, sostiene che in questo m'inganno. E... anche qualcun altro ritiene tu abbia delle qualità. Ho lasciato credere a entrambi che concordassi in parte con la loro idea e, invece, a modo mio, dissento.”

Il Santo d'Argento sgranò gli occhi e poi abbassò lo sguardo per rivolgerlo al tappeto scarlatto sul quale era inginocchiato. Era consapevole di non brillare per simpatia, ma aveva sperato di non udire una tale conferma a considerazioni espresse sul proprio conto, che s'illudeva fossero smentite proprio dall'autorità stessa che le aveva pronunciate. Si aspettava un altro tipo di accoglienza. Invece, il Sommo non aveva fatto che avvalorare quella tesi con malcelata ostilità e con parole intrise di brutale schiettezza, le quali bruciavano come il sale sulle ferite aperte.

“Tuttavia, Saori Kido non pretende le tue scuse. Non ritiene necessario che tu debba scusarti, nonostante l'abbia tacciata d'iniquità, in pubblico. È un nobile gesto, non ti pare?”

Il silenzio fu un chiaro segnale di assenso da parte di Misty, che approfittò del momento in cui l'uomo era voltato di spalle per ricomporsi. Smarrì lo sguardo vacuo oltre le lunghe ombre proiettate dalle colonne nella vastità della sala, in quell'occasione, scarsamente illuminata.

“Sei in grado di riconoscere gli errori, malgrado il tuo orgoglio?”

“Non sono all'altezza di contendere per l'armatura di Libra” tergiversò lui di proposito, perché non aveva nessuna intenzione di sminuirsi più di quanto già non fosse.

“Questa non è un'ammissione di colpa. Credi di avere a che fare con uno sprovveduto?”

“Ebbene sì, ho sbagliato", cedette infine, dal momento che non aveva altra scelta. Se è questo che vi aggrada sentire. Non era quello che pensava, non era stato sincero, ma aveva risposto nonostante un nodo gli stringesse la gola; convinto che di peggio non sarebbe potuto accadere dopo quell'esperienza. Sapeva di essere ritratto come un vanesio: superficiale, vuoto e insensibile; forse immedesimandosi e rafforzando, a livello inconscio, quelle caratteristiche. Tuttavia, quella disistima palesemente ostentata, priva di un qualsivoglia – edulcorato – velo d'ipocrisia, era stato il colpo più duro mai ricevuto. Una pugnalata al cuore, una ferita profonda che forse non avrebbe mai smesso di sanguinare... Tu non sei nessuno, non vali niente.

“So bene che... se fosse stato per voi non avrei avuto questa possibilità.”

“Forse no. Molto probabilmente, no” replicò Dohko con fermezza, voltandosi determinato a sondare – finalmente – in quegli occhi languidi dai quali riuscì a estrapolare qualcosa di più profondo oltre alla consueta e irritante alterigia. Non te l'avrei concessa quest'opportunità, benché non scorga alcun male in fondo al tuo cuore, e i piatti della bilancia siano in perfetto equilibrio senza propendere né da un lato né dall'altro, si disse.

“Per questa ragione è giusto che l'armatura di Libra vada al vostro allievo Shiryu" insisté Misty. Il suo volto avvampò d'ira e delusione, sebbene dal tono contenuto della voce non trapelassero tali sentimenti.

“Ti stai attribuendo troppa importanza, Ariele.” Dohko lo zittì ancora una volta, ma da quelle parole trasparì una certa tolleranza, e forse compassione mai provata prima d'ora nei suoi confronti. Come se dall'alto della propria indiscussa saggezza, avesse scorto qualcosa dapprima sfuggitogli. “Ti chiami Ariele, non è vero?”

“Sì, è il mio vero nome. Misty è un soprannome acquisito, correlato ai poteri sulle correnti atmosferiche.”

Il Sommo annuì. “Lasciamo che siano le Sacre Vestigia a stabilire chi sia degno d'indossarle” concluse infine.

 

Misty si ritrovò al di fuori dal Tempio quasi senza connettere dove fosse, poggiando le spalle contro al portale ormai chiuso, anzi no, vi si era letteralmente addossato come se fosse incapace di sorreggersi con le proprie gambe. Si portò una mano alla gola, dilatando lo scollo rettangolare della veste come se qualcosa l'opprimesse impedendogli di respirare. Purtroppo era obbligato a passare dalla Dodicesima Casa, e s'interrogava sul modo in cui nascondere il proprio stato d'animo. Non era così abile a fingere con Aphrodite. Sto pagando il fio per la mia crudeltà, in questa nuova vita...

Da quell'altura si poteva ammirare lo splendido scorcio sul Mare Egeo. Si smarrì in quella visione – in quei colori saturi – quasi anelando di possedere un paio d'ali per librarsi in volo e fuggire, per unirsi alle bianche sagome dei gabbiani che punteggiavano lo sfondo in lontananza. Un fugace sguardo corse, poi, alle volute di fumo che si levavano dai bracieri fino a velare il luccichio delle prime stelle, e verso la ripida scalinata cosparsa di rose scarlatte che conduceva al livello sottostante.

Aphrodite... no, non doveva sapere cosa si erano detti lui e il Sommo: e in quel frangente non si preoccupava di dargli una delusione bensì di veder sminuito il proprio ego. Ebbe l'impressione di compiere uno sforzo immane ma riuscì a ricomporsi, ingoiando lacrime che sgorgavano a dispetto della volontà. E tuttavia sarebbe stato saggio – da parte sua – accettare che, prima o poi, si è costretti a piangere per tutte le volte che non lo si è fatto.

Sospirò, prima di giungere nei pressi dell'atrio a colonne del Dodicesimo. Il maestro era lì ad attenderlo, sorridente, e quell'aura di tranquillità valorizzava la sua delicata bellezza, lo abbracciò: “A quando il torneo e la cerimonia d'investitura?”

“A data da destinarsi.”

La stretta con cui Aphrodite lo aveva avvinto a sé ebbe l'effetto di trarlo in imbarazzo: era in disordine, forse come non lo era mai stato. Temeva che potesse subodorare qualcosa, ma il custode della Dodicesima Casa era di buon umore, e la serenità è un balsamo in grado di fuorviare le menti più argute.

“Non ti fermi? Nemmeno per un po'?”

“Non posso, Aphrodite. Non volermene, laggiù mi stanno aspettando, ma se proprio insisti resterò giusto il tempo di bere un bicchiere d'acqua, ho una gran sete.” Gli rispose, ricambiando quel sorriso radioso, sebbene il suo fosse mesto. Aphrodite non seppe scorgere il disagio celato dietro una pacata condiscendenza, era consapevole che Misty non avesse l'abitudine di condividere le proprie emozioni a prescindere che si trattasse di gioia o dolore.

“Come desideri” concluse senza vessarlo con la propria insistenza.

 ~

Il diadema gli cingeva la fronte come un'alta corona, impreziosito dalle pietre incastonate ai lati e al centro. L'armatura d'argento constava di pochi elementi preposti alla protezione del corpo, e sembrava più un vezzoso ornamento atto a valorizzare la sua esile figura piuttosto che proteggerla; il mantello ricadeva lungo le spalle volteggiando per effetto del movimento. Catalizzava ogni sguardo e ne era compiaciuto ma non amava frequentare quel luogo e tale avversione era nota presso alcuni. Tutto sommato gli risultò più semplice degnare i presenti della sua presenza nuovamente insignito del proprio titolo.

Quel giorno vi erano rappresentanti di quasi tutte le caste a prendere parte agli allenamenti, eccetto alcuni Santi d'Oro, incluso Aphrodite. Aggirò l'Arena dove individuò i pupilli di Saori confabulare. Non gli fu difficile immaginare chi fosse oggetto delle loro chiacchiere e si mosse, opportunamente, in direzione degli spalti. La notizia era trapelata, non si parlava d'altro al Santuario, ed era un continuo mormorare che si quietava solo al suo passaggio. Riservò uno svogliato cenno di saluto in ottemperanza all'etichetta, anziché indotto da un sentimento spontaneo o a titolo d'amicizia. Non aveva mai avuto amici che potessero definirsi tali in quella cerchia, tranne un paio di eccezioni.

Raggiunse la solita posizione in un punto elevato della struttura. Non si sarebbe mescolato alla feccia che lo aveva maltrattato, per principio. Sedette, scostando il mantello da una parte. Era consapevole di brillare come una stella, la cui luce era così intensa da porre in ombra gli altri astri. Desiderava riabilitare la sua immagine, mondarla dal fango che gli avevano gettato addosso.

Rifletteva, accompagnando con lo sguardo le movenze dei Santi che si destreggiavano nell'Arena: rifuggendo un confronto con loro, seppur amichevole. Preferiva mantenere le distanze beandosi del silenzio, poiché nella sua mente inquieta si agitavano già una moltitudine di pensieri.

“Ciao, Misty. Non puoi pensare di superare la prova stando con le mani in mano.”

“Algol?!” Il Santo di Perseus lo aveva sorpreso alle spalle e sedette accanto a lui catturando una ciocca di capelli dorati tra le dita, malgrado sapesse quanto quell'atteggiamento, confidenziale e non autorizzato, lo infastidisse. “Ancora con questa storia? Saprò cosa devo fare... E toglimi le mani di dosso, non sopporto quest'adulazione ai limiti del patetico.” Si limitò ad aggiungere Misty, scoccandogli un'occhiata torva.

“Sei uno stupido. Lo sai bene che sarebbe un'occasione di riscatto, daresti lustro a tutta la Casta. Non essere sempre così egoista.” Alle parole sfrontate di Algol, Misty arrossì dal nervoso ma seppe dominare le proprie emozioni e sondò, determinato , in quegli occhi grigi, magnetici. Ciò non intimidì l'insolente che si portò la ciocca di capelli del suo pari vicino alle narici per inalare il profumo.

“Se io sono un egoista, voi siete degli opportunisti" sbottò Misty.

“Non fare sempre di testa tua.”

“Basta. Non mi va di ascoltare le tue chiacchiere.” Si schermì con palese insofferenza. “A meno che tu non voglia raccontarmi qualcosa di più riguardo al mito di Perseo e Medusa. La nostra dèa non sembrerebbe un modello di virtù: l'aver trasformato una delle tre Gorgoni più belle in una creatura mostruosa, per vendetta, non le fa onore. Una richiesta subdola che Algol avrebbe potuto assimilare a malizia, ma che – in realtà – non corrispondeva a nulla di tutto ciò, se non a semplice curiosità con cui Misty desiderava distrarsi dalle proprie preoccupazioni.

“Gli dèi sono iracondi e non disdegnano di rivalersi sulla pelle dei mortali. Sono detentori dei peggiori difetti, dei quali accusano essere affetta la progenie umana" replicò il Santo di Perseus con uno sguardo obliquo e un ironico – strafottente – sorriso di circostanza. Dopodiché si alzò invitando il più giovane a seguirlo.

Entrambi si levarono dalle gradinate, scendendo verso il settore inferiore, e rimasero in silenzio per alcuni brevi istanti. Misty procedeva alle spalle di Algol osservando lo scudo agganciato al dorso dell'armatura e celato dietro alla folta chioma del Santo. Il simulacro della Gorgone era quieto e dormiente, il suo sguardo letale e demoniaco languiva sotto le palpebre.

“Non doveva finire così" sviò l'attenzione dall'oggetto e volse un'occhiata di rammarico alle persone che occupavano l'Arena, nel momento in cui vi si stavano approssimando, inducendo l'altro a voltarsi.

“Così, come?”

“Con questo astio.”

“Non è colpa tua né nostra. Te lo ripeto: la responsabilità è degli dèi che si sollazzano a piacimento con il fato degli uomini" rispose Algol, senza dissimulare risentimento. Parole che indussero Misty a riflettere.

“Tu hai un buon motivo perché io raccolga questa sfida. Degli interessi, quali una vendetta. E pretenderesti che io risolva le tue dispute personali? Sei un illuso se lo credi.”

“Più che rivalsa è una questione d'onore. Non ha senso parlare di nemesi, di questi tempi.” Lo mise a tacere Algol, smontando le sue illazioni.

“Shiryu?”

“Avevo la vittoria in pugno.”

“Ma Athena è stata la sua luce nelle tenebre... la dèa, che avrebbe dovuto essere di tutti, è stata parziale.” Misty chinò il capo dopo aver infierito con parole che sembravano confermare come non riuscisse a trovare pace dal proprio rancore – a prescindere dalla volontà. “La tua è stata una disfatta onorevole, e non come la mia.”

“Non è stata l'inettitudine a causare la tua sconfitta. Ma... questo.” Perseus afferrò un lembo del mantello che Misty indossava, per strapparlo via con decisione. “Vanità" esordì con aria di scherno impressa sul volto spavaldo e, in quel frangente, avvertì l'energia del compagno d'arme, congiunta all'aura argentea che l'avvolse all'istante.

“Non userai il tuo cosmo contro di me, lo so. Perché sai benissimo che ho ragione.” Si tutelò, senza tuttavia mostrarsi troppo allarmato.

“Io sono me stesso, non posso cambiare!”

“Sì che puoi, se vuoi.” Algol gettò il mantello di Misty a terra come se fosse uno straccio liso. “Questa volta ti batterai con la benedizione della dèa, e sarà diverso.”

Il ragazzo biondo si chinò per raccogliere il mantello, scrollandolo dalla polvere e riposizionandolo intorno alle spalle. Allungò il passo, precedendo l'altro, intenzionato a porre fine a quella sterile conversazione.

“Ho ragione di pensare che sei un idiota. Sei consapevole di non poterti sottrarre al destino che ti attende, e snobbi l'aiuto che potrei darti con le mie conoscenze.”

“A cosa alludi?” domandò Misty, voltandosi, dopo aver udito le parole, infarcite con un insulto, alle sue spalle – non tanto perché detestava sentirsi dare dello stupido da chi reputava inferiore a lui, ma perché confuso da un'esternazione di cui al momento non riusciva a cogliere il nesso...

~

 

La barriera d'aria si era rivelata un mezzo sempre molto efficace ma lui non si era più preoccupato di perfezionarla – quasi come a volerne accettare i limiti.

In un breve intermezzo di tempo alcuni pensieri si frapposero tra l'azione e la concentrazione... Quel Santo di Bronzo che ha affrontato Algol era così devoto ai propri ideali, al punto di accecarsi con le sue stesse mani pur di conseguirli. E io? Lo avrei fatto per salvare i miei parigrado?

Si lambiccò la mente, seguendo con lo sguardo la mossa del compagno d'arme, che lo sovrastò con un balzo, ma fu incapace di prevederne gli effetti in rapida successione. Fu avvolto dalle spire di numerosi serpenti: una selva di rettili, li udì sibilare e ne avvertì la stretta al punto di essere sopraffatto da orrore e ribrezzo. Era un'illusione terribile e concreta come solo la realtà poteva esserlo. Un dolore sordo, il buio, il nulla. L'offensiva inattesa di Algol, celata dietro uno stratagemma illusorio, lo aveva schiantato contro la parete della falesia ai piedi della quale cadde in deliquio.

Il Santo di Perseus realizzò l'errore di valutazione commesso da Misty, non aveva preso in considerazione l'ipotesi di un incidente durante lo svolgersi di un'ordinaria sessione di allenamento. Accorse in suo aiuto.

Morto!? Algol ebbe un sussulto al pensiero di doversi imbattere nell'eventualità più infausta, constatando lo stato d'incoscienza del suo pari. I capelli sparsi sulla sabbia incorniciavano l'incarnato dal pallore innaturale, solcato da un sinistro rigagnolo di sangue che sgorgava da un lato della bocca. Un volto la cui espressione serena era la stessa di chi è immerso in un sonno profondo senza essere afflitto da alcun pensiero, sia esso cagione di allegria o di tristezza. E tuttavia il sonno è quella condizione della coscienza che viaggia pari passo con la morte, ed è alla morte così affine grazie alla pace inconsapevole che infonde. Sonno e morte.

Ma un'impercettibile fremito delle palpebre avrebbe preceduto il battito di ciglia; così come il respiro flebile e un lieve movimento delle dita suggeriva che in realtà Misty fosse vivo.

Algol fu restio a toccarlo, come persuaso dal timore di profanare una reliquia o d'infrangere un raro suppellettile di cristallo... Lo trattenne per qualche secondo tra le braccia, fino al momento in cui non riprese conoscenza dischiudendo gli occhi e tossendo un fiotto di sangue. Quella sofferenza riportò Misty a una realtà dai contorni ben definiti e lo esortò al silenzio per un arco di tempo che parve dilatarsi all'infinito; durante il quale si alienò fissando il vuoto – come se col pensiero peregrinasse verso lidi sconosciuti.

“Tutto bene?” Il Santo di Perseus rimosse il sangue, che gli imbrattava la pelle candida, con un brandello di stoffa strappato dalla casacca indossata.

“Credo di sì, nonostante abbia avuto la sensazione di sputare le viscere.” Misty si era riscosso da quella sorta di straniamento, evitando di far trasparire la propria perplessità. “Forse, qualche costola incrinata, nient'altro.”

Era turbato dallo scoprirsi così vulnerabile a causa di una semplice distrazione. Non si era mai sentito così inadeguato ma non lo avrebbe confidato ad Algol, e si limitò a languire col capo adagiato tra le braccia dell'amico poiché aveva l’impressione che le forze lo stessero abbandonando.

Chiuse gli occhi, il bagliore del sole lo infastidiva sebbene fossero le prime luci dell'alba e l'astro diurno non sovrastava ancora il punto più alto del cielo. Gli recava comunque conforto dal gelo che sembrava pervaderlo: ho freddo e siamo in piena Estate... Il freddo della morte. Quella percezione lo atterriva come se stesse rivivendo tutto ciò che l'aveva condotto sull'orlo del baratro, a varcare la lugubre soglia che delimita il passaggio tra questa e l'altra dimensione e, infine, era precipitato nell'abisso. Benché fosse consapevole che non sarebbe morto, non per così poco. Si lasciò cullare dal suono della risacca, delle onde che s'infrangevano sulla battigia, dal garrire stridulo dei gabbiani che sembrava riprodurre una parvenza di malinconica melodia.

“Non fingere compassione, non ne abbiamo mai avuta per nessuno ed è per questo che sulle nostre azioni ricade la legge del contrappasso" disse.

“Sei così arrogante da avere la presunzione di sentenziare anche per gli altri” replicò il Santo di Perseus, che non aveva colto il significato racchiuso in quelle parole.

“E tu sei sempre stato crudele, hai levato lo scudo contro ignari apprendisti, incurante persino del disprezzo di Aiolia. L'ho saputo, sai?” Gli ricordò Misty con sfrontata franchezza. Quantunque parlare gli costasse fatica. Il semplice atto di respirare era doloroso e si portò una mano all'altezza del cuore per contrastare quella sensazione sgradevole.

“Disertori, vorrai dire! Non farmi ridere, sono gli stessi dèi che veneriamo a dimostrarsi malvagi, per cosa avrei dovuto farmi degli scrupoli? Aiolia era dipinto come un traditore a quell'epoca, non aveva voce in capitolo... E nei tuoi confronti nutro stima.” Si giustificò Algol, con un tentativo maldestro di sviare il discorso. Anch'egli dava l'impressione di non essersi del tutto redento e, se di redenzione si potesse parlare, un pentimento non aveva comunque facoltà di cancellare i ricordi. Le esperienze della vita precedente avevano lasciato non pochi strascichi in quegli animi.

“I Santi d'Argento hanno combattuto per vendicare la tua morte.”

“Mi hanno riferito anche questo" confermò Misty, destatosi in virtù del soffio della brezza salata e schiudendo gli occhi velati. Ero l'orgoglio del Santuario... Stima...

“Va meglio, adesso?” Aveva udito la domanda di Algol, ma indugiò un poco prima di rispondere. Nemmeno lui era sicuro di cosa stesse provando in realtà: un fastidio, un dolore puntorio che si intensificava nell'atto della respirazione. Aveva saggiato di nuovo quell'esperienza della quale - secondo Seiya - bisognava andare fieri. Lo scudo d'aria si era dimostrato inefficace e ciò era inaccettabile, oltre che preoccupante.

“Sì, mi ero distratto. Non avevo realizzato ti fossi avvalso dello Ra's Al Ghul Gorgonio" annuì minimizzando il problema.

“Non dovresti abbassare la guardia, le distrazioni sono spesso fatali. Dovresti sforzarti di bruciare il cosmo con determinazione ed essere più motivato. Shiryu è un avversario temibile, il suo colpo ha sfondato il mio scudo e il pettorale dell'armatura giungendo fino al cuore" affermò Algol, con un tono brusco e assai poco conciliante. Soppesò nuovamente quel volto nobile e delicato... ma, questa volta, non ebbe il coraggio di sfiorarlo per detergere le gocce di sudore gelido, come dissuaso da una sorta di rispetto reverenziale. Gli indumenti erano sporchi di sabbia e di sangue, ma non avrebbe scommesso che Misty – realizzando di trovarsi in quelle condizioni – sarebbe corso a lavarsi nell'acqua del mare, pur conoscendo i suoi vezzi.

Era sconcertato dalla mancanza di entusiasmo e passione che traspariva dalle sue azioni, da ogni singola parola proferita; senza comprendere che, forse, il compagno d'armi stesse vivendo un conflitto interiore. Non riusciva a nascondere la propria preoccupazione.

Lo prese in braccio con l'impressione di accollarsi un leggero fardello, quasi fosse senza peso: lo trasportò deponendolo poi su un anfratto di spiaggia, all'ombra della scogliera, affinché riposasse. Poi si allontanò, guadagnando la posizione più elevata sulle rocce, e sedette a contemplare il mare lasciandosi trasportare dai propri pensieri. Ne abbiamo avuto abbastanza per oggi...

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


 

Gli Eletti, capitolo III

 

 

VI

 

Equilibrio

 

La luce del sole penetrava tra gli interstizi degli elementi architettonici illuminando l'interno dell'edificio, lambendo volute e intarsi sulla superficie aurea della corazza. Le Sacre Vestigia lo avevano scelto aderendo, elemento dopo elemento, alla sua figura sottile, apparentemente fragile, eppure forte. Le falde del manto, adagiato sulle spalle del Santo, fendevano gentilmente l'aria. Indossò l'elmo sopra la cascata di boccoli biondi e si volse a ritroso, raggiungendo l'esterno con lento incedere.

All'orizzonte, oltre il peristilio di bianche colonne che delimitava il perimetro poligonale del Tempio, il chiarore del giorno investiva il culmine delle architetture sacre e la valle. Ma lo sfondo che si stagliava oltre quei picchi dorati virava in tonalità sempre più vaghe, diradandosi fino a divenire tale a bruma lattiginosa, incolore. Simile ai margini inconsistenti di un sogno...

 ~

Aprì gli occhi e in essi si rifletté l'azzurro del cielo soprastante la distesa di sabbia sulla quale giaceva.
I sogni sono desideri avulsi dalla realtà.
Granelli di sabbia si erano insinuati nelle vesti e tra i capelli aggrovigliati, provò a sollevarsi sui gomiti sebbene il dolore inibisse i movimenti. Strinse i denti e si soffermò a scrutare il paesaggio intorno a sé: il cielo sgombro da nubi che si congiungeva all'orizzonte con le placide acque del mare. Stesso odore pungente, stessa aria impregnata di salsedine densa di umidità che preannunciava una giornata particolarmente afosa.
Devo essermi addormentato, Algol dov'è finito?

Non scorse traccia del compagno d'armi e stette ancora un po' fermo ad aspettare, ma la desolazione del luogo e la consapevolezza di essere sporco e malconcio lo persuase di tentare a rimettersi in piedi. Esitò giusto il tempo di chiudere gli occhi ed emettere un sospiro, ma qualcuno gli tese una mano – qualcuno che non si aspettava d'incontrare.
Seiya?!


Rifiutò l'offerta d'aiuto, contrariato dal gesto di cui stentava a comprendere il significato. Non era semplice diffidenza perché quel verme di Seiya sembrava sincero; per indole non era persona incline a mentire e, per quanto non lo sopportasse, era un pregio che bisognava riconoscergli, seppur inficiato da mille altri difetti.

“Fa' come vuoi" Il Santo di Bronzo aggrottò le folte sopracciglia grattandosi il capo – non troppo stupito dal rifiuto che in qualche modo si aspettava – sotto lo sguardo indagatore dell'altro che, a sorpresa, gli afferrò la mano per rimettersi in piedi. Era imbarazzante quel raffronto. Misty ricordava un ragazzetto spocchioso di bassa statura e adesso, trovandoselo di fronte, per l'ennesima volta, gli sembrava più alto. Non quanto lui ma comunque più alto e maturo di quanto non fosse mai stato. Lo esaminò dalla testa ai piedi col solito piglio altezzoso ma Seiya si mostrò tranquillo, tenendo a freno il proprio istinto e la lingua, come logica conseguenza di aver rimuginato a lungo dopo la ramanzina fattagli da Aphrodite.

“Vuoi che ti accompagni?”

“No, grazie. Ma se dovessi incontrare Algol, lungo il cammino, riferiscigli che sono andato a casa. Almeno in questo modo ti sarai reso utile" replicò il Santo d'Argento con un sorrisetto di scherno stampato sulle labbra e l'autorità di chi stesse impartendo un ordine. Seiya si accigliò, indispettito, ma stavolta prevalse il buon senso.

 ~

Misty versò l'ultima brocca d'acqua nella vasca e, sebbene non fosse del tutto colma, era più che sufficiente per lavarsi. Svolse le bende intorno alle mani e agli avambracci e si spogliò dalle vesti che allontanò da sé con un piede. Indumenti che avrebbe gettato via.

Adagiò il capo sul bordo e il piacevole contatto con l'acqua lo indusse quasi ad assopirsi, ma si limitò ad abbassare le palpebre senza cedere alla tentazione di abbandonarsi completamente. Era una giornata che sembrava essere iniziata in modo strano...

Il dolore poco a poco si attenuò ma sentimenti più cupi, come il turbamento e la paura, stentavano a dissiparsi. Doveva imporsi di cambiare atteggiamento, anche per riconoscenza nei confronti di chi riponeva fiducia in lui – Aphrodite, su tutti. Le palpebre si fecero più pesanti e scivolò di poco più in basso fino a quando l'acqua non gli sfiorò il collo inducendolo ad aprire gli occhi, per poi socchiuderli, riluttante a sostenere l'intensità improvvisa della luce diurna che irrompeva nell'ambiente. Occhi sensibili come la pelle bianchissima appena arrossata dal sole.

Questa volta rifuggì lo specchio. Recuperò degli indumenti di ricambio e si rivestì, sistemando i capelli umidi che ricadevano sul volto dalla grazia quasi muliebre. Quella parvenza di benessere fu breve, stava iniziando di nuovo a sudare: quando si immergeva in acqua troppo fredda per rinfrescarsi, uscendone, otteneva l'effetto contrario. Quando imparerò?

Si riscosse dai pensieri dopo aver udito bussare alla porta d'ingresso nella stanza adiacente ma, prima di andare a sincerarsi chi fosse, tirò la tenda sull'apertura che collegava i due locali distinti.

Asterion...
Si soffermò per un momento a contemplare la sua presenza per nulla sgradita. Lo invitò a entrare e scostò una sedia dal tavolo, prese una caraffa d'acqua con due bicchieri di vetro e sedette a sua volta. Il commilitone gradì la cortesia poiché le temperature estive in Grecia erano intollerabili.

“Hai visto Algol? Stamane mi ha abbandonato sulla spiaggia ed è scomparso, ne sai qualcosa?”

“A dire la verità, sì. Sembrava irritato e sono venuto qui a riferirtelo. Secondo lui non stai affrontando le cose con lo spirito giusto... ma cosa te lo dico a fare?” Gli riferì Asterion, dopo essersi sfilato il diadema che gli cingeva la fronte e averlo riposto sul tavolo, come se il fresco racchiuso tra quelle mura gli recasse un po' di sollievo. Sospirò guardandosi intorno, uno scandagliare discreto volto a studiare tratti di una personalità singolare. Tra pochi oggetti e scarni arredi lignei, disposti con cura meticolosa, vi erano persino tende decorate alla finestra, in tinta con la tovaglia... il vaso con le rose. Dettagli che, se non fosse stato accorto, gli avrebbero strappato una risata e si portò per tempo una mano davanti alla bocca. Molte cose in quella stanza denotavano buon gusto ed erano riflesso di un perfezionismo portato agli estremi, seppur con pochi mezzi.
Chissà cosa non vedremo alla Settima Casa se mai ottenesse l'investitura, si disse Asterion, che confidava nelle doti di Misty, seppur con qualche riserva, ma si sentiva in colpa per dubbi che equiparava a slealtà in un rapporto d'amicizia disinteressato.

“Infatti, tu sai cosa penso a riguardo" esordì Misty, spezzando il silenzio. Non sospettava su cosa vertessero quelle riflessioni, benché fronteggiasse con occhi attenti il proprio interlocutore avvolgendo un ricciolo di capelli tra le dita.

“Mi sono ripromesso di farmi gli affari miei, ricordi? Non voglio rovinare la nostra amicizia.”

“Saggia decisione. Cambiando discorso - e già che sei qui - vorrei chiederti un favore.”

“Chiedi pure, nei limiti del possibile vedrò di accontentarti.”

“Tempo fa avevo preso un libro in prestito dalla biblioteca, il primo tomo di una serie, potresti restituirlo al mio posto?” Misty si alzò per raggiungere lo scaffale situato a pochi passi.

“Certo, chissà cosa mi ero immaginato. Ma... scusa, non potresti consegnarlo tu stesso?” ribatté Asterion, col tono di chi stesse contestando il capriccio di un bambino viziato. Poi si pentì per quella risposta avventata, un po' scortese, ispirata dalla brutta abitudine di farsi servire che il parigrado non aveva mai perso.

“Non credo che oggi uscirò di casa" puntualizzò quest'ultimo, dopo essersi asciugato il sudore dal volto arrossato con un fazzoletto.

“Non preoccuparti è un malessere passeggero, soffro il caldo, mi indispone.” Detto questo, Misty recuperò il libro dallo scaffale, deponendolo sul tavolo.
Asterion soppesò il volume e, dopo aver letto l'intestazione in sovraccoperta, si lasciò sfuggire quella risata inopportuna dapprima repressa con molto tatto.

“Dovresti leggerlo invece, e fare un viaggio di fantasia" sbottò Misty, corrucciato, quasi risentito per come i suoi gusti non incontrassero quelli dell'altro.

“Come se ritornare dall'aldilà non fosse già surreale abbastanza. Sei ancora un bambino.” Asterion si prese la libertà di schernirlo con affetto perché sapeva di essere annoverato tra i pochi individui dai quali Misty avrebbe accettato un atteggiamento del genere.

“Già, peccato che non ci sovvenga alcun ricordo dell'oltretomba, se non la sensazione di un banale risveglio.”

Asterion non rispose, ignorando la reazione piccata e il libro accanto a sé, incuriosito da una statuetta che riproduceva le fattezze di una civetta, il rapace sacro ad Athena. Studiò l'oggetto in silenzio.

“L'ho reperita in un mercatino a Rodorio – tra le cianfrusaglie, in una cesta – poco tempo fa. Se ti piace puoi prenderla.”

Asterion scosse il capo e ripose la civetta dove l'aveva trovata. Il suo interesse si rivolse al commilitone e prese a fissarlo con insistenza, tanto da indurlo a distogliere quello sguardo sempre così altero e caparbio.
Cosa mi sta succedendo? Trasalì, riscuotendosi sollecito dalla distrazione, e riprese la tiara per collocarla sul capo, si era fatto tardi e anche lui aveva delle consegne da rispettare.

 

***

 

“Shura, occupati del bagaglio a mano, per favore.” Aphrodite istruì il Santo della Decima Casa nel momento in cui giunsero – scortati da servitori – a imboccare la strada principale che serpeggiava tra gli edifici che sorgevano nella valle sacra. “Abbi pazienza. Arrivati a Rodorio saremo accompagnati all'aeroporto di Atene.”

“Non mi sto lamentando, sta' tranquillo.” Lo rassicurò Capricorn il quale, come al solito, si era offerto di seguirlo senza battere ciglio.

Durante il tragitto incrociarono altre persone alle quali non parve per nulla inconsueto vedere due Santi in abiti civili – che, con tutta certezza, si stavano recando in missione nel mondo esterno.

Uno di questi, nella fretta, si scontrò con Pisces scusandosi per la svista ma quest'ultimo – costatando di chi si trattasse – fu folgorato da una repentina intuizione e lo richiamò.

“Avevi qualcosa da dirmi, Asterion?”

“No, mi stavo dirigendo verso la biblioteca e sono in ritardo.”

“Capisco... ma forse, incontri che sembrerebbero casuali potrebbero riservarci delle sorprese.”

“Se la metti così. In altre circostanze non ti avrei mai informato. Ma se il destino ha voluto che ci incontrassimo proprio in questo frangente, allora, parlerò.”

Aphrodite fece un cenno a Shura, che si era fermato poco distante, esortandolo ad attendere ancora qualche minuto. Potevano permetterselo dato che si erano mossi con largo anticipo. Dopodiché si appartò col Santo di Canes Venatici per apprendere cosa avesse da dirgli.

“Dovresti conferire col tuo discepolo.”

Pisces inarcò un sopracciglio, senza interrompere l'interlocutore, cercando riparo all'ombra sotto la chioma verdeggiante di un leccio.

“Dubito che riuscirà a conseguire l'investitura...”

“E con quale ardire proferisci quest'insinuazione?” replicò con molta tranquillità, ponendosi a braccia conserte con le spalle rivolte al massiccio tronco della pianta. “Cosa te lo fa pensare?”

“So che può sembrare assurdo, ma non è un timore infondato. È troppo insicuro, non è motivato abbastanza per avere successo.”

Il Custode della Dodicesima Casa si soffermò a riflettere. “Lo avresti letto nella sua mente?” Proruppe con una sonora risata. “E cosa vuoi che me ne importi. Misty non è più un bambino" esordì serenamente, ma con autorevolezza che trasparì da un'occhiata ferma e penetrante. L'altro ricambiò lo sguardo e le sue iridi scure parvero brillare; le labbra gli si incresparono in una smorfia di disapprovazione.

”Non crucciarti, lascia che Misty si assuma le proprie responsabilità come si conviene a un Santo del suo rango.”

Quella risposta lasciò Asterion esterrefatto, convinto di aver fatto una figura barbina.

“Non ci sarò a supportarlo, stavolta dovrà cavarsela da solo e non può che giovargli, stanne certo. Il Sommo mi ha concesso una vacanza, mi assenterò per qualche settimana col pretesto di sbrigare alcune formalità burocratiche in patria" esplicitò Pisces, portandosi il dito indice sulle labbra, nel dubbio se celare un sorriso divertito che avrebbe indispettito il Santo d'Argento. “Chi si diletta a leggere Le Cronache di Narnia?” Gli domandò, puntando in quello sguardo sfrontato con i suoi occhi turchesi.

Asterion realizzò, a un tratto, che Pisces avesse letto di sfuggita il titolo del libro che si portava appresso: “Non io, di sicuro" replicò a disagio.

 ~

Odio viaggiare, il solo pensiero della trafila che mi attende inibisce il mio entusiasmo.

Il velivolo accenna a muoversi percorrendo la pista con lentezza esasperante. Non so perché ma tutte le delucidazioni inerenti la sicurezza, che precedono il volo, mi trasmettono ansia. A me? Un Santo di Athena. È strano che un viaggio insignificante mi impensierisca e forse ciò è dovuto al fatto che, nell'ultimo periodo della mia vita, quello precedente alla rinascita, non ho fatto che presidiare il mio Tempio. Sempre piantonato nell'Atrio o nel roseto. Dohko ha avuto pietà di me ma credendo di farmi un favore mi ha distolto da quelle abitudini rassicuranti. Per fortuna c'è Shura ad accompagnarmi in questo breve esodo, sembra così tranquillo e l'idea di decollare non lo tange. Beato lui. Che il piego con le modalità da attuare in situazioni d'emergenza rimanga pure nella tasca elastica sul retro del sedile anteriore. Non voglio pensarci.

Sta accelerando, mi sento compresso contro lo schienale. Finalmente stiamo prendendo quota e il velivolo sembra innalzarsi gradualmente, infatti riesco ancora a scorgere il paesaggio sottostante...

Adesso, sopra la coltre di nubi, il cielo è così terso da essere sfolgorante – sono costretto ad abbassare la tendina del finestrino, che al momento della partenza ci hanno raccomandato di tenere sollevata – è curioso immaginare come a un certo punto s'interrompa e d'un tratto compaia l'oscurità, lo spazio siderale. Si dice che l'Universo sia infinito, in continua espansione, o che forse finisca proprio laddove l'ingegno umano non possa giungere. Chissà qual è la sua forma: se piatto, sferico, o a sella... se ai confini si contemplino altri mondi. Se vi siano dimensioni parallele e sia possibile effettuare un salto temporale. Probabilmente sì, se si pensa alle costellazioni, agli astri, che dal suolo percepiamo in loco come erano disposti qualche milione di anni fa e, attualmente, non sono più nella posizione in cui li vediamo...

“Ti vedo provato. Vuoi un caffè?” Gli domandò Shura con invidiabile tranquillità.

“No, ti ringrazio. Quei beveroni che propinano non sono il mio forte" rispose, reclinando il capo sul poggiatesta. Non dopo aver assaporato quello di Death Mask, si disse.

“Qual è il programma?” Capricorn insisté nel tentativo di scuoterlo da un'apparente apatia. Poteva intuire quali pensieri si agitassero nella sua mente, soprattutto dopo la conversazione con quel Santo d'Argento, ma evitò di affrontare il discorso e sapeva quanto Aphrodite apprezzasse la sua discrezione. Si erano detti tutto senza parlare...

“La zona più antica di Stoccolma è caratteristica, per via delle architetture tipiche e gli edifici di interesse storico come il Municipio e il Gyllene Salen, che si trova al suo interno. Ma, in seguito, preferirei ripiegare su qualcosa di più naturalistico, magari una gita che comprenda i principali arcipelaghi dell'isola" replicò Pisces, rivolgendogli uno sguardo di sottecchi, rimboccandosi le maniche e allentando il colletto della camicia.

“Scelta dettata dalla tua indole introversa?” domandò l'altro, mettendo da parte la rivista che stava sfogliando.

Senti chi parla...

“Sì e no. Il capoluogo, specialmente la sera, è pieno di vita, dai ritmi quasi mondani. Se preferisci potremo optare per quella scelta e soffermarci qualche giorno in più.” Sul suo volto comparve un leggero sorriso che alleviò il disagio dovuto a preoccupazioni non esplicitate. “Non ho problemi, sebbene rifugga la confusione. Sai, mi sono assuefatto – col passare del tempo – a un certo stile di vita e non disdegno il silenzio delle foreste.”

“Per me non fa alcuna differenza, credimi. Sono felice di approfittare dell'occasione per visitare altri luoghi che non siano il Santuario.”

Aphrodite annuì volgendo lo sguardo all'esterno dove si poteva scorgere il blu del cielo, baluginante attraverso la tendina abbassata a metà.

Forse ho sbagliato tutto. Forse la mera ambizione si è convertita in un ostacolo insormontabile. Sono preoccupato, sebbene riponga assoluta fiducia nelle sue capacità. In lui vedo, sì, grazia, ma anche forza – volontà di assurgere a qualcosa di più grande che valichi i confini serrati della predestinazione. Sono convinto che ci creda ancora.

Predestinazione... vincolo indissolubile, che può rivelarsi una benedizione o una condanna. Ma è possibile scioglierlo? Non mi è dato saperlo. Nel Medioevo cristiano volersi innalzare dalla propria condizione era impensabile, nemmeno ai nobili era concesso di compiere il processo inverso. A ognuno competeva un ruolo ben preciso nella società: per estrazione sociale, per discendenza diretta. Una sorta di gerarchia imposta da Dio. È, forse, un concetto che abbraccia ogni fede? Sembrerebbe di sì, ma è possibile svincolarsi da esso o siamo legati al destino in modo irreversibile? Si arrovellò, realizzando un origami con un volantino pubblicitario.

 

***

 

Era una notte limpida, nella quale si potevano scorgere miriadi di stelle, e illuminata dalla luna crescente il cui bagliore velava le forme circostanti avvolgendole come un sudario. Tali condizioni erano favorevoli al vaticinio degli astri, a trovare una risposta a diversi quesiti. Dohko sospirò, scrutando nei meandri del cielo costellato di stelle, e trovò la conferma di una pace duratura. Gli Dèi persistevano in un vago disinteresse per i problemi che affliggevano i mortali. Un atteggiamento non insolito che, in qualche modo, lo rassicurava predisponendo l'animo alla tranquillità.

Si ritirò dal luogo inaccessibile e privilegiato, dal quale poteva effettuare le osservazioni, e giunse sullo spiazzo dove si ergeva la statua crisoelefantina di Athena. Infine ripiegò all'interno, al di là dei drappi cremisi che ondeggiavano tra le colonne; dileguandosi, avvolto nelle ombre del portico a colonne che immetteva nel silenzio dell'area più recondita.

 

***

 

Non ci sarebbe motivo per stare di guardia in un periodo di pace – sebbene la Terra sia sempre in fermento e la contesa tra i popoli incessante. I Templi dovrebbero essere vuoti e i Santi, preposti a presiederli, dovrebbero essere in qualche angolo remoto del mondo a vivere la propria vita come persone comuni. Già una volta è stato così, ma adesso ci si tiene sempre all'erta come se l'idillio non fosse destinato a durare in eterno, perché? Forse è bene non farsi cogliere impreparati, forse è semplicemente per questa ragione. Chi lo sa?

Sedette su un frammento di pietra, su ciò che rimaneva di un capitello ionico. Non c'era nulla di cui preoccuparsi, la brezza che spirava tra i cipressi e le rovine antiche era gradevole. L'amazzone dell'Ofiuco sostava poco più in là, pensierosa, con lo sguardo forse orientato nella stessa direzione, sul paesaggio che si delineava tra le ombre e il chiaro di luna. La maschera d'argento sul volto sfavillava di quella stessa luce irreale che rimbalzava sugli elementi convessi della spartana armatura, e le conferiva un fascino sovrannaturale. Avevano conversato poco prima, per ingannare il tempo: una conversazione sulle maschere, e non quelle virtuali di cui le genti si avvalgono per mentire o per dissimulare il falso sé – , ma maschere magiche che si adattano al volto come una seconda pelle, attraverso le quali si può mangiare, vedere e respirare. Oggetti forgiati ai tempi del Mito, che si conformano al volto di chi li indossa proprio come le armature dei Santi che si adattano al possessore... non lo sapevo. Quante cose ancora non conosco.

Misty la osservava da lungi e, a un tratto, lei si voltò un istante come se quei pensieri ne avessero richiamato l'attenzione. Erano in sintonia e, per qualche strano motivo, Shaina preferiva intrattenersi a parlare con lui piuttosto che con altri.

Algol sopraggiunse dal sentiero solitario che si diramava tra le arcane vestigia e gli alberi secolari. Si soffermò bisbigliando qualcosa alla Sacerdotessa dell'Ofiuco – uno sbrigativo scambio in cui si contemplavano direttive da osservare – e poi lei si congedò, imboccando la stessa strada in direzione contraria.


“Sei imbambolato. Ti piace quella donna?”

“Non mi lascia indifferente...”

“Hai buon gusto ed è un'osservazione che non fa una piega, ma tu sei un esteta" realizzò Perseus, sfilandogli la tiara d'argento e percorrendo con l'indice il contorno del suo volto.
L'altro non reagì al fine di impedirglielo, non desiderava turbare quella tranquillità che da tempo anelava. Non gli impedì di sedersi al suo fianco e non si distolse nemmeno dalla beatitudine che gli infondeva l'essere assorto, immerso nell'oscurità notturna intorno a sé.

“Sono passati giorni e giorni ma non hai concluso nulla di buono, hai intenzione di continuare così?”

“No. Domani vorrei riprendere con gli allenamenti. È controproducente ostinarsi in un atteggiamento rinunciatario, devo andare fino in fondo nel bene e nel male. Ho riflettuto e ho deciso di seguire i vostri consigli, dopotutto non siete così stupidi come sembrate” rise.

“Hai ritrovato te stesso?”

“Non sono mai cambiato" rispose Misty riprendendo il diadema dalle sue mani. Soppesò l'oggetto che riluceva del bagliore lunare: era un manufatto dal valore incommensurabile, decorato e impreziosito da uno smeraldo ricavato dalla fusione di metalli magici preesistenti agli albori del mondo. Lo adagiò sul capo come a voler sopperire all'irrispettosa leggerezza con cui il suo pari vi si era rapportato. Si allontanò da lui, approssimandosi sul versante opposto ai piedi dell'Acropoli. A volte quella sfrontatezza volgare lo infastidiva benché, in realtà, non si fosse mai preoccupato delle opinioni altrui; di come giudicassero le sue relazioni interpersonali e da cosa fossero determinate, se lo considerassero un diverso. Ricevere apprezzamenti lo gratificava e li accettava di buon grado da chiunque provenissero, uomini o donne – giusto o sconveniente che fosse...

 ~

Risalì il viottolo che dalla spiaggia conduceva alla dimessa abitazione, inspirando l'aria salmastra densa dal sentore acre, tipico della vegetazione autoctona. Pervaso da una gioia che non ricordava di aver sperimentato nell'ultimo periodo. La ronda notturna sembrava essere stata interminabile e le esercitazioni che ne erano seguite, all'alba, erano state proficue. Non era così sicuro di aver ritrovato la fiducia di un tempo ma l'umore era migliorato.

Dopo aver mangiato qualcosa bevve un sorso d'acqua e depose il bicchiere sul fondo del lavello di pietra; prese fiato, concedendosi qualche istante di tregua, per poi accingersi a uscire di casa. Imboccò il vicolo che immetteva nella piazza principale dirigendosi verso la strada lastricata in direzione dell'Acropoli. La percorse sotto il sole a picco, che sovrastava il cielo all'ora di punta, quando nemmeno l'ombra di un cipresso si allungava sul sentiero.

Giunto al bivio non svoltò nelle vicinanze dell'Arena dove si stavano svolgendo le consuete attività agonistiche né verso la Prima Casa – presidiata da Mu di Aries – dalla quale si accedeva alla rampa per i Templi. Ma scelse di percorrere il tragitto accidentato che si inoltrava nella boscaglia, inerpicandosi lungo la china ascendente ai livelli superiori del monte. Una strada che aveva percorso sovente, anni addietro, per raggiungere la Dodicesima Casa evitando così il percorso principale – ma, quel giorno, il Tempio di Pisces non era la sua meta. Voglio vedere il Totem, si prefisse.

Procedendo a passo tranquillo non impiegò molto tempo per giungere a destinazione, assorto nei propri pensieri e rinfrancato dalla piacevole tranquillità: dal refolo di vento che sibilava tra le fronde della fitta vegetazione, dal frinire delle cicale, o dallo sgattaiolare improvviso di qualche animale selvatico. Sbucò attraverso un varco naturale aperto nell'intreccio dei rovi. Il sentiero lo aveva guidato nei pressi del pronao della Settima Casa, e avrebbe, così, potuto saggiarne l'imponenza di persona. L'architettura sacra ad appannaggio dei Santi sembrava rimarcare il netto divario tra le Caste.

Il Tempio dal perimetro poligonale si ergeva davanti ai suoi occhi e si soffermò ad ammirarlo, estasiato. Non che non avesse mai messo piede in un edificio del genere prima di allora, ma il pensiero che, forse, avrebbe avuto la possibilità di presidiarlo fu sufficiente a infondergli un certo entusiasmo. Non voleva quasi ammettere di ritenersi degno. Ma avrebbe dovuto avere l'accortezza di non varcare la soglia di un Tempio incustodito e cedette alla tentazione, come determinato ad appropriarsene con un gesto simbolico – ma avrebbe avuto anche il coraggio di toccare le Sacre Vestigia custodite al suo interno?

Si avventurò all'interno della struttura disabitata da decenni, pervasa da un'atmosfera di sinistro abbandono. Lo scandire dei passi vi risuonava tetro, flebili raggi di sole filtravano tra gli elementi architettonici – proprio come ricordava di aver visto in sogno – ma non producevano luce né calore a sufficienza. Non percepì alcuna energia né riuscì a trovare la sacra armatura come si aspettava; solo il vento che si addentrava negli ampi spazi tra le colonne, il porticato e le aule, soffiando in quel vuoto perenne.

“Tu non dovresti essere qui, non ne hai facoltà." La voce del Sommo, pacata e autorevole, risuonò nella lugubre penombra del Tempio. Era comparso dall'oscurità nella quale rifulsero le due gemme incastonate nella maschera. La indossava in quell'occasione, assieme al copricapo, che riproduceva sulla sommità le fattezze di una creatura mitologica, come completamento ai paramenti. Quella mise conferiva un carattere inquietante alla figura del Gran Sacerdote, a prescindere da chi fosse la persona deputata a ricoprire quel ruolo.

“Volevo solo vederlo...” Misty sgranò gli occhi dalle pupille dilatate e l'imbarazzo trasparì dal volto pallido. Desiderava giustificarsi sebbene dubitasse delle proprie capacità persuasive che – in quel frangente – non avrebbero sortito l'effetto sperato.

“Vedere cosa? Ariele.”

“Il Totem" rispose il Santo d'Argento, in tutta sincerità.

“È un privilegio che non ti spetta e non ti è concesso contemplarlo, a meno che non sia pubblicamente esposto. Avevi forse intenzione di appropriartene indebitamente?” Il Sommo alzò la voce, dubitava che nella precedente asserzione risiedesse un fondo di verità. Dubitava della buona fede dell'interlocutore in quel momento cruciale.

Quest'ultimo si schermì, sopraffatto dal timore di non riuscire a sostenere l'accusa: “Non avete il diritto di parlarmi così" disse, incurante delle norme che prescrivevano deferenza nel relazionarsi con autorità superiori; e come atto di estrema difesa all'ostilità, apertamente manifesta, che non sarebbe riuscito a contrastare altrimenti.

“Perché non dovrei averne il diritto? Sentiamo.”

Un fulgore abbacinante fendette l'oscurità. Un'ondata di pura energia lo travolse scagliandolo a ridosso di una colonna come se avesse ricevuto uno schiaffo in pieno volto. Misty si portò una mano laddove era fuoriuscito del sangue, lo aveva percepito scorrere, dopo averne saggiato il sapore e vincendo il disgusto che la vista del fluido scarlatto gli provocava da sempre, come retaggio di un'ignota fobia ancestrale.
Ma il mentore di Shiryu non aveva mosso un dito.
È stato il suo cosmo, realizzò, frastornato e perplesso. Non riusciva a credere che quell'individuo sarebbe arrivato a tanto.

“Mi avete frainteso" replicò con semplici parole che sottintendevano il suo stato d'animo.

“C'era da aspettarselo, i tuoi riflessi sono inesistenti. Nullità. Avrei dovuto osare di più, ma sarebbe stato un abuso di potere. Insulso, imbecille arrogante... sappi che domani, nel primo pomeriggio, avrà luogo il torneo che decreterà il possessore delle Sacre Vestigia di Libra. Avrei inviato un messo per informarti ma colgo l'occasione per farlo personalmente, data la tua sgradita presenza" esordì il Sommo Sacerdote con parole mirate a ferire. Si stava trattenendo ma gli avrebbe impartito volentieri una severa lezione: lo trovava presuntuoso e insolente... quante volte aveva pensato che non fosse nemmeno degno del titolo di Santo d'Argento, che chissà come – in virtù di quale scherzo del destino – avesse conseguito.

Misty asciugò col dorso della mano il taglio superficiale che si era aperto sul labbro inferiore, senza più argomentare né alzare lo sguardo velato da lunghe ciglia. Fece per allontanarsi, scomparire, nel tentativo di assemblare pezzi della propria dignità infranta.
In quel preciso istante sbollì la collera che aveva sopraffatto la ragione e Dohko ebbe l'impressione di rinsavire.


Ho l'aspetto di un giovane nel fiore degli anni, ma dentro sono ancora quel vecchio bicentenario che pretende di giudicare quelli che non la pensano come lui. Ho perso la pazienza commettendo un sopruso, ho reagito fuorviato dall'autorità che rappresento, ed ero talmente accecato dall'ira che avrei potuto davvero fargli del male. Quest'oggi i piatti della bilancia non si sono mantenuti sulla retta dell'equilibrio, ma uno di essi si è inclinato dal lato della Forza prevaricando la Giustizia. Me ne rammarico. Non ho voluto ascoltarlo. L'ho giudicato in forza dei miei preconcetti. Dopo questo episodio avrebbe, sì, ragione di considerarmi prevenuto. Ahimè. Vorrei fare ammenda ma adesso è troppo tardi, mi auguro soltanto che quanto è accaduto tra queste mura non comprometta la sua prestazione nella sfida di domani, non potrei perdonarmelo. Cosa penserebbe Shiryu di un maestro stolto a tal punto?

Rimosse la maschera e il copricapo, passandosi una mano tra i capelli, avvilito.

Era stata una strana coincidenza quella di averlo incontrato in quel luogo, oppure il frutto di un caso fortuito. Fermo restando che quell'imprevisto aveva svelato a Dohko un aspetto di sé che disconosceva. Languiva nella convinzione della rettitudine espressa e insita in ogni sua scelta, ma il fatto di aver presidiato all'inviolabilità del Sigillo di Athena per duecentoquarantatre anni non lo esentava dal commettere errori umani, e si era appena reso conto di averne commesso uno madornale. Guadagnò l'uscita, sbucando alla luce del sole che si rifletteva sull'ampio spiazzale di pietra, dalle cui spaccature irrompevano le erbacce. Un luogo su cui gravava un tetro silenzio che riecheggiava, paradossale, del clamore delle battaglie, degli avvenimenti delle epoche passate. Da troppo tempo dimenticato, a sé stante.

Si incamminò verso i livelli superiori, percorrendo il sentiero di scale pervaso da una quiete che ispirava la meditazione. Quando finalmente giunse a varcare il pronao del Tempio principale, eluse la Sala delle Udienze per dirigersi nelle stanze private. Si liberò dai pesanti paramenti che indossava per assolvere al proprio ruolo formale, e rimase con il costume tradizionale cinese, tipico dell'etnia di origine e simile a quello indossato da Shiryu.

Il Totem...Il malinteso che aveva avuto con Misty lo spinse a recarsi nel naos dove erano custodite le Sacre Vestigia. In quel recondito silenzio, nell'oscurità smorzata dal flebile lume dei bracieri, rifulgeva il Totem in tutto il suo splendore. Emanava un'aura di potenza, brillava avvolto da sprazzi luminosi guizzanti sulla superficie aurea. Era indubbiamente vivo e reclamava il possessore. Dohko non poteva negare a se stesso di aver riconosciuto nel discepolo Shiryu – assennato, docile e rispettoso – il possessore ideale, quasi lo fosse per diritto di nascita e non per diritto acquisito. Riconobbe di essere di parte e ciò non collimava col valore della Giustizia: doveva confutare quell'iniqua propensione poiché non rispecchiava il senso insito in detta simbologia.

Sfiorò le Sacre Vestigia che gli erano appartenute e che aveva onorato con le proprie imprese, percepì il flusso di energia racchiuso nel nobile manufatto. Fu rassicurato dalla conferma che sarebbe stata l'armatura a sancire il verdetto – non lui – e non vi sarebbe stata alternativa più equa.

 ~

Dohko ha ragione. Non dovevo essere lì, mi sono lasciato trascinare dalla curiosità.

Misty chiuse la porta di casa alle spalle, senza preoccuparsi di girare la chiave nella toppa della serratura, dopo essersi guardato intorno con circospezione; temendo che qualcuno dei suoi pari potesse sopraggiungere all'improvviso, turbando quell'amaro momento di riflessione in cui riusciva soltanto a incolpare se stesso. Sedette su una sedia rigirando tra le dita quella figurina zoomorfa, appena sbozzata, dagli occhi grandi ed espressivi, il becco ricurvo come un unico artiglio. Sembrava sorridergli...

Sarebbe stato più facile atteggiarsi a vittima come si era ostinato a fare in passato – convincersene – al solo scopo di alleviare il peso sulla coscienza. Ma non si sarebbe pianto addosso per il semplice motivo che qualcuno di così influente si fosse preso la libertà di insultarlo – non era la prima volta che accadeva, ed era doloroso – ma non avrebbe rimuginato sulla legittimità di quelle parole umilianti. Avrebbe sondato nel proprio animo trovando la forza necessaria per far fronte ad avversità reali o presunte, gli darò modo di ricredersi. Se lo era ripromesso ma adesso era stanco, sentiva il corpo fragile vacillare sotto il peso delle incombenze e degli eventi.

Inspirò silenziosamente, lambendo con la lingua la ferita sul labbro. Il sangue si era rappreso, il taglio si era cicatrizzato in breve tempo. Allo specchio trovò la rassicurazione che cercava e finalmente poté distendersi affondando la testa sul cuscino. La prova che si sarebbe svolta il giorno seguente lo esentava da altri compiti.

La malinconia dovuta a motivi che raramente esplicitava non costituiva un deterrente, bensì un incentivo per qualcuno... Malgrado si sentisse triste, non gli aveva impedito di avvicinarsi lasciandosi sorprendere mentre languiva nel dormiveglia in cui si era abbandonato. Non respinse la persona che desiderava avere accanto a sé, che non avrebbe fatto domande, e della quale – nel subconscio – aveva invocato la presenza. Se l'era chiesto spesso, ma non era amore né affetto: poteva essere simbiosi, attrazione, o reciproca stima. Poteva essere tutte quelle cose insieme o nessuna di esse... Ma gli balenò un improvviso ripensamento in virtù del quale si sottrasse con garbo a quelle attenzioni. Esitando, con lo sguardo assonnato, fino a riscuotersi da dubbi e freni inibitori; lasciando che l'altro insinuasse deliberatamente quelle stesse mani sotto gli indumenti per rimuoverli come un superfluo impedimento – percorrendo un sentiero di perfezione ideale.

Non era stato un sogno, non aveva l'abitudine di coricarsi senza vestiti. Si svegliò con i capelli appiccicati al volto e si avvolse col lenzuolo che aveva scalzato istintivamente dal materasso. Non c'era nessun altro in casa e l'unico rumore che udì, nel silenzio, fu il tintinnio melodioso del piccolo sonaglio a tubolari metallici, oscillante al soffio della brezza mattutina, che spirava attraverso la finestra socchiusa recando con sé l'odore resinoso dei pini.

Sedette sul letto, ravviando i capelli fulvi con entrambe le mani, e si attardò con l'impressione di avere la mente svuotata nonostante fosse reduce da un sonno ristoratore. Si avvicinò allo specchio, per poi raggiungere l'altra stanza nella quale notò la tavola imbandita. Qualcuno gli aveva preparato un'abbondante colazione in previsione di ciò che doveva affrontare, era un pensiero gentile e Algol non sembrava dotato di tale sensibilità, ma chi poteva aver avuto l'idea se non lui?

Sulla sedia era riposto un involucro contenente qualcosa. Si apprestò a scartarlo e trovò degli indumenti all'interno: l'uniforme di addestramento e vari accessori di cuoio preposti alla protezione di alcune parti del corpo, con iscrizioni in arabo incise. L'emblema di Medusa campeggiava in rilievo sul lato esterno del bracciale.
Presumo che dovrò indossarli quest'oggi, al torneo, si disse, con un blando sorriso pervaso da scarso entusiasmo.

Svoltò l'angolo di casa imboccando la solita stradina celata tra gli alberi che lo avrebbe condotto alla spiaggia. La sabbia non scottava ancora a quell'ora del mattino e cristalli di sale luccicavano al sole, il cielo era limpido e luminoso, parimenti la distesa marina su cui si specchiava. Ciò che prediligeva di quel luogo, unitamente a incomparabile bellezza, era che non fosse frequentato dalle genti – troppo spesso affaccendate nella quotidianità – che popolavano il Santuario. Conservava la sacralità dei siti incontaminati, evocava reminiscenze di un antico passato impresso nell'erosione delle rocce e scandito dal rumoreggiare dei flutti.

Passeggiava sulla riva sopraffatto, dopo tanto tempo, dal desiderio di inoltrarsi in quelle acque, sebbene i ricordi che affioravano dalla memoria fossero sconfortanti: il mare connesso alla rimembranza di fatalità quali disfatta e morte. Non doveva illudersi ma forse quel giorno la speranza – che faceva breccia come un raggio di sole, uno spiraglio tra le nuvole – gli consentì di ponderare gli avvenimenti antecedenti la rinascita con occhi diversi.


***

 

È stato un soggiorno piacevole in Svezia, ma credo che ormai la mia vera casa sia qui, al Santuario. È stato piacevole consumare l'ultima frukost a base di uova con salsa al caviale; pane di segale con salame e formaggio, yogurt e caffè, prima dell'imbarco. Non mi sono dimenticato degli amici e ho qui per loro dei piccoli souvenir, ma la giornata è stata più lunga del previsto e provvederò domani a consegnare i regali. Si è fatto tardi, il sole sta tramontando all'orizzonte e di Stoccolma rimpiango soprattutto il clima.

Gli ultimi sprazzi di luce lambivano di sfumature rossastre la valle sacra e i Templi svettanti ai livelli superiori dell'Acropoli, gli acroteri riflettevano gli ultimi raggi di sole. Tuttavia, sebbene stesse per calare la sera, si avvertiva un'insolita concitazione nell'aria e l'andirivieni di gente – tipico delle ore diurne – sembrava persistere quando avrebbe dovuto attenuarsi. Vi era uno strano brusio, confusione.

Dev'essere successo qualcosa.

I due Santi d'Oro si scambiarono un'occhiata giungendo nei pressi della Prima Casa e Aphrodite ebbe un'intuizione: il torneo, oggi deve essersi svolto il torneo. Ripiegò per dirigersi verso l'Anfiteatro, ma quando vi pervenne dovette apprendere da alcuni soldati che l'evento era ormai terminato e nessuno dei due contendenti aveva ottenuto l'investitura. L'edificio si era quasi svuotato, il baldacchino allestito per ospitare le autorità era stato dismesso, ma brillavano ancora i fuochi delle torce e nei bracieri. Stava sudando, ma riuscì a mantenere un contegno adeguato. Il Santo di Capricorn condivideva le sue perplessità, entrambi stentavano a comprendere quali fossero state le esatte dinamiche dell'avvenimento, e si espressero con sguardi interrogativi.

Aphrodite corse verso gli spalti per raggiungere gli ultimi Santi di Bronzo rimasti e riuscì a fermare Shun per tempo, questi si premurò di informarlo sull'accaduto, pronunciandosi a riguardo, prima di fargli aprire bocca. Sembrava che Shiryu, stando alla sua versione, avesse riportato delle ferite: il suo colpo aveva rimbalzato contro lo scudo d'aria – incrinandolo – ma per fortuna era rimasto incolume. Si era rialzato quando avrebbero dovuto portarlo via in lettiga.
Infatti lo scudo d'aria ha due funzioni: difensiva e offensiva, si disse Aphrodite, le cui labbra si incurvarono in un incontenibile sorriso di soddisfazione che si sforzò di dissimulare.

“Il Sommo ha ritenuto opportuno sospendere la sfida, temendo per il peggio.” Quella rivelazione smorzò il fugace entusiasmo di Aphrodite che si era soffermato ad ascoltare senza interrompere, quasi trattenendo il fiato, con un vuoto nello stomaco. Ascoltò tutto quello che Shun aveva da dirgli, senza parole adatte per controbattere perché aveva smarrito ogni velleità di replica. Aprì alcuni bottoni della camicia, si sentiva soffocare e desiderava anzitutto cambiarsi d'abito.

“A quanto pare il torneo si è risolto con un bel... nulla di fatto" concluse Shura cercando di minimizzare l'assurdità dell'accaduto, dopo aver colto l'imminente malessere del suo amico.

“Che cosa!?”

“Il peggio per entrambi.”

“Cosa vorresti dire, Santo di Andromeda?” Pisces impallidì e rivoli di sudore gli scivolarono lungo le tempie.

“Che le loro forze si equivalgono.”

“Il mio discepolo? Dov'è in questo momento?”

“Non preoccuparti, sta bene, non ha riportato conseguenze gravi.” Shun cercò di infondergli tranquillità, in quanto aveva percepito molta apprensione sotto una scorza di apparente distacco.

“Ho capito, ma dove si trova adesso?”

“Vai al Tredicesimo Tempio.” Gli suggerì il Santo di Andromeda.

Aphrodite sospirò, avrebbe voluto correre a perdifiato per sincerarsi che il discepolo stesse bene ma la sua indole razionale prevalse sui sentimentalismi. Si soffermò a riflettere e Shura era ancora al suo fianco, si stava dimostrando un amico premuroso anche in quel frangente. Se ne compiaceva, malgrado il suo principale rammarico fosse quello di non essere stato presente e, purtroppo, avrebbe potuto raccogliere informazioni solo da terzi. Si accinse a percorrere il cammino verso il Tempio principale, domandandosi se – senza una convocazione ufficiale – la Sala delle Udienze sarebbe stata aperta per lui. Si chiedeva perché Misty fosse stato trattenuto in quel luogo, ma poi si impose di mettere a tacere quel turbinio di pensieri deliranti che gli frullavano nella mente: solo giunto a destinazione avrebbe conosciuto la verità.

 ~

Schiuse la porta, una massiccia porta di ebano intarsiata a temi naturalistici e figure antropomorfe. Era la prima volta che metteva piede in una delle numerose stanze situate nell'ala privata del Tredicesimo Tempio, e fu colpito dall'atmosfera solenne che caratterizzava quel luogo. Ma fu un labile soffermarsi sugli arredi della camera, rischiarata da una fioca luce che brillava nella sera.

Si accostò al letto dove giaceva il ragazzo rivestito di una tunica bianca, impreziosita dalla passamaneria che contornava il collo e le maniche. Era immerso in un sonno profondo e all'apparenza non recava alcun segno dello scontro avvenuto – probabilmente grazie all'ausilio dello scudo d'aria – eccetto un alone bluastro sotto agli occhi. Una fasciatura gli cingeva la fronte e spuntava da sotto la frangia come se avesse subito un trauma proprio in quel punto: all'altezza in cui nella sua barriera doveva essersi aperto uno spiraglio, come una smagliatura in un tessuto.

Aphrodite gli prese la mano gelida, col palmo umido di sudore. Intrecciò le dita alle sue. La strinse e poi sciolse la stretta per accostare le dita al volto del dormiente, facendole scivolare dal contorno ovale fin sulle labbra dischiuse e asciutte. Le inumidì con un fazzoletto imbibito d'acqua e lui, finalmente, diede un cenno di vita destandosi dal pesante torpore: Misty aprì gli occhi, poco a poco, svelando due iridi azzurre simili a cristalli nonostante la midriasi.

Sbatté le ciglia, dopo aver messo a fuoco l'immagine di Aphrodite, articolando qualche parola – frasi sconclusionate che assemblate acquisivano una propria logica – in cui gli domandava chi fosse; affermando di non aver mai ammirato un volto così simile al proprio, per poi menzionare uno specchio. Quindi tacque, riprendendo fiato: “Vedi? Quello specchio che c'è laggiù" indicò con un dito. Aphrodite si voltò per costatare la presenza dello specchio barocco appeso alla parete, in fondo alla stanza, e lo assecondò. Le congetture avanzate poc'anzi presero forma. Si era rattristato ma convenne di non esternare sgomento davanti a lui.

“Non ha importanza. Non è importante che tu ricordi la mia identità. Ci sarà tempo per ricordare, ogni cosa a suo tempo.”

“Non capisco.”

“Non preoccuparti, dormi adesso, riposati. Si sistemerà tutto, te lo prometto" disse, passandogli una mano tra i capelli.

Uscì dalla camera dopo aver spento la lampada e tirato la tenda davanti alla finestra. Una falce affilata, velata da nubi, spiccava nel crepuscolo e si riuscivano a scorgere solo le stelle più brillanti. Attraversò il lungo corridoio – la cui vastità lo indusse a volgere più volte uno sguardo cauto a ritroso – e raggiunse il porticato esterno. Poi imboccò un altro corridoio percorso da imponenti colonne che gettavano ombre sul pavimento levigato, la cui ultima porzione si affacciò sullo scalone che scendeva al piano inferiore. Un brivido gli percorse la spina dorsale, quella sera spirava un'aria fredda. Aphrodite si aggrappò al corrimano di marmo, sebbene l'illuminazione fosse sufficiente – coadiuvata dal bagliore lunare che faceva capolino da qualche finestra – tanto da riuscire a discernere, nella penombra spettrale, l'espressione sibillina plasmata sui volti delle statue che si alternavano lungo il cammino. Se non fosse stato per il senso dell'orientamento si sarebbe smarrito in quell'edificio che sembrava essere stato concepito come un intricato labirinto al solo fine di disorientare i visitatori. Giunse quindi sull'ingresso secondario che immetteva nella Sala delle Udienze, e che avrebbe dovuto attraversare per raggiungere l'uscita principale.

“Pisces.” La voce del Sommo, udita alle spalle, lo esortò ad arrestarsi. “Hai qualche minuto?”

Aphrodite assentì, sebbene gli suonasse come una domanda superflua: certo che sì, cos'altro avrebbe dovuto fare se non il piantone alla Dodicesima Casa? Era irritato, non aveva voglia di intavolare una conversazione, ma quello era il Gran Sacerdote, la seconda carica a presiedere il Santuario dopo Athena.

Dohko lo invitò a entrare in quella che sembrava una biblioteca privata, a giudicare dalla mole di manoscritti che ospitava riposti in appositi ripiani incassati alle pareti. Era un luogo sfarzoso, arredato con cura, e addirittura ridondante ai suoi occhi di esteta. La poltrona dove fu invitato a sedersi era rivestita di velluto cremisi, adorna di decori in stile rococò che riprendevano le cornici dorate degli specchi e gli altri elementi d'arredo; e tutto ciò si armonizzava alla perfezione con reperti di epoca classica. Si trattava di una scelta dovuta al gusto dei predecessori. L'attuale Gran Sacerdote gli sembrava una persona alquanto modesta e di poche pretese, quell'opulenza non gli si confaceva e probabilmente si era dovuto adattare. Pisces rivolse lo sguardo all'uomo voltato di spalle, assorto a contemplare lo scenario che si profilava dinanzi alla finestra aperta sulla terrazza, dalla quale proveniva il profumo delle azalee giapponesi: un modo per prendere del tempo e raccogliere le idee. Ne percepì il disagio congiunto a tristezza, ma pazientò attendendo che questi si decidesse a parlare.

“Lo avevo sottovalutato.”

Aphrodite fece una breve pausa: “È risaputo che Misty non si distingua per amorevole affabilità.”

“Non starò a raccontarti tutto quello che è successo, immagino ti abbiano già informato” Dohko aveva cambiato argomento e la loro conversazione fu interrotta da un'ancella, che si annunciò recando un vassoio con una teiera e delle tazze decorate.

“Sì, mi hanno accennato come si sono svolti i fatti" riprese Pisces, nel momento in cui furono nuovamente soli.

“Per adesso rimarrà tutto invariato, le Sacre Vestigia permarranno tra queste mura. L'investitura è rinviata. La contesa tra i due Santi si è risolta in parità e, in teoria, avrebbero entrambi facoltà di essere designati quali miei legittimi successori; ma sappiamo che questo non è attuabile. Quindi dovrò essere io a valutare, sulla base di parametri in cui non si contempli la forza, e operare una scelta. Ma non ora.”

“Non mi ha riconosciuto, non ricorda più nulla...” osservò Aphrodite dopo aver scostato la tazza dalle labbra, accingendosi a riporla sul tavolo.

“Sì, lo abbiamo constatato al suo risveglio. Non può essere lasciato solo poiché ha rimosso i ricordi antecedenti l'episodio e forse non sarebbe in grado di badare a se stesso, ma è perfettamente abile ad apprenderne e memorizzarne di nuovi. È stato a causa dell'impatto...” replicò Dohko, costernato. “Dovremo pazientare, attendere che recuperi, non posso quantificare il tempo di cui avrà bisogno, ma potrà soggiornare qui; alla Dodicesima Casa o dove sceglierà di stare, e voi tutti lo guiderete nel percorso aiutandolo a ricordare" ravviò i capelli e fissò il proprio interlocutore.
Pisces fu incapace di sostenerne lo sguardo e con la scusa di sorseggiare il tè, deglutendo a fatica, si concentrò sul filetto d'oro che bordava l'orlo della tazza.

“Perché tutto questo riguardo nei confronti di un Santo di rango intermedio?” Ebbe il coraggio di domandare, alzando gli occhi celesti e soffermandosi a contemplare la grazia di figure danzanti ricamate sull'arazzo che tappezzava una parete.

“Non c'è una ragione specifica... ritengo sia giusto, ha messo in difficoltà il mio allievo ed è stata una dimostrazione di abilità" temporeggiò il Sommo, tradendo un certo imbarazzo, e dopo si schiarì la voce. “Non credevo sarebbe stato in grado di farlo. Ero sicuro che Shiryu avesse la vittoria garantita e mi sbagliavo."

E presumo vi sentiate responsabile per questo, lo avete osteggiato a causa della sua presunta arroganza, l'arroganza di chi ha il fegato di sbattere la verità in faccia a discapito dell'ipocrisia – perché, in realtà, non avete mai perdonato il suo ardire e vi siete legato al dito l'episodio in cui ha sbugiardato Saori. E, dulcis in fundo, perché pensate che il suo sembiante lo releghi all'inettitudine... conosco questa solfa.

Aphrodite depose la tazza sul vassoio in un modo sgraziato che non gli era proprio, senza avere il coraggio di alzare lo sguardo.

“L'amnesia è un problema complesso: i ricordi – che sono patrimonio di ogni individuo – potrebbero riaffiorare domattina, dopo mesi, anni, o essere svaniti per sempre...”

“Il pessimismo non ha mai giovato a nessuno e non apporterà miglioramenti alla sua condizione” osservò Dohko, il quale aveva dedotto dal suo atteggiamento una certa disillusione, e si rapportò di conseguenza, sebbene fosse consapevole che il Custode della Dodicesima Casa non si sarebbe lasciato zittire in quel modo.

“Farò tutto ciò che è in mio potere per aiutarlo ma adesso, con il vostro permesso, desidererei rientrare al mio Tempio rimasto incustodito da qualche tempo.”

“Certamente. Spero tu abbia beneficiato del breve periodo di assenza.”

Aphrodite fece un cenno affermativo col capo: la possibilità di congedarsi in quel momento topico, in cui era consapevole di non riuscire più a mantenersi neutrale – temendo di sbottare da un momento all'altro – lo rasserenò. Necessitava di rimanere da solo a riflettere, di ritrovare la tranquillità che gli avrebbe permesso di riordinare i pensieri.

Il rientro al Grande Tempio non era stato dei migliori, infauste concatenazioni di eventi avevano compromesso la sua serenità ancorché non vi fosse coinvolto in prima persona; forse si era adeguato a una calma piatta che, aveva presunto, presto o tardi, sarebbe cessata. Così era stato.

Le rose risplendevano al suo passaggio. Quel chiarore inondava d'argento i marmi rendendo la notte meno cupa e spettrale, dissipando le ombre che confondevano la mente e incupivano il cuore.

Aphrodite fece il suo ingresso alla Dodicesima Casa, aveva dapprima ordinato alla servitù di disfare i bagagli e preparargli un bagno. Le sue indicazioni non erano state disattese: il bordo della piscina riluceva di flebili lumi emanati da ceri e candelieri che proiettavano ombre contro le mura della sala. Le stesse luci si riflettevano sul suo corpo statuario e sui capelli tingendoli di riflessi dorati. Si immerse nella vasca, appagato da un tepore avvolgente che gli avrebbe conciliato il sonno meglio di qualsiasi bevanda o intruglio a effetto rilassante. Non sapeva in che modo agire, e soprattutto come aiutare la persona che aveva scoperto essergli più cara di quanto avesse mai immaginato.

Il mattino seguente si alzò all'alba per recarsi nel roseto dove era solito consumare una colazione leggera. Aveva in mente qualcosa poiché la notte gli aveva portato consiglio: non aveva dimenticato le abitudini del suo allievo, o almeno, gli sembrava di ricordare le consuetudini che ricorrevano in una vita precedente troncata anzitempo. Chissà se Misty le avesse mantenute, alla stregua di un rituale consolidato, anche dopo la rinascita? Non restava che recarsi nella valle sacra per scoprirlo. Si trattava di recuperare degli oggetti che avrebbero avuto la funzione di tessere preposte a completare un mosaico e guidarlo nel difficile compito di riesumare i ricordi...

 

***

 

Si raggomitolò tra le lenzuola e fu il chiarore del giorno a destarlo dal sonno ipnotico. Fece un tentativo di adattarsi alla luminosità preponderante, ponendosi una mano sul volto per proteggersi dalla luce troppo intensa: gli occhi lacrimavano e le tempie pulsavano incessantemente; tuttavia la sofferenza non gli impedì di rievocare i volti delle persone che lo avevano soccorso – ma da che cosa? Da un incidente? Non riusciva a darsi una spiegazione, per quanto si sforzasse di sondare nei vacui anfratti della propria mente in cerca di un appiglio. Gli sovvenne la stanza nella quale era rinvenuto, ed era la stessa in cui si trovava attualmente. E quel volto d'angelo, quella persona che gli aveva parlato con gentilezza accarezzandogli i capelli... così simile a lui, era per caso suo fratello?

Da uno spiraglio aperto tra le dita della mano osservò una rosa rossa deposta sul comodino. Protese il braccio in avanti con uno sforzo e riuscì a cingerne il gambo tra pollice e indice, la accostò al volto inalandone il dolce profumo – senza comprendere perché lo stesse facendo – risolvendo di restare sdraiato a letto. L'equilibrio era precario, il pavimento sembrava vorticare al di sotto insieme alle pareti della stanza, e la nausea gli provocava conati di vomito a momenti alterni. Si rigirò sul fianco, ripiegandosi su se stesso, con gli occhi chiusi e la rosa stretta tra le dita.

Cingere una rosa era una semplice azione che aveva ripetuto infinite volte, eppure non gli sovveniva niente del recente passato, e non sarebbe stato sufficiente un gesto banale a rievocarlo. Persisteva un vuoto aberrante, una lavagna dalla quale erano stati cancellati tutti i ricordi con un deciso colpo di spugna.

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


 

 

Gli Eletti, capitolo IV

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VII

 

Sogni che non si avverano...

 

Aphrodite aveva temuto di smarrirsi nel dedalo di corridoi che si dipanava in quell'area circoscritta del Tredicesimo Tempio, invece trovò senza difficoltà la stanza nella quale il discepolo soggiornava. Era una giornata di sole e le ombre che avevano aleggiato nottetempo nel suo cuore sembravano essersi dissipate alla luce di nuove consapevolezze...


Misty stava ancora dormendo, raggomitolato tra le lenzuola disfatte, con i capelli sparsi sul cuscino imbrattato dalla terra dell'Arena. Si era riaddormentato dopo essersi ridestato più volte nel corso di una notte inquieta.
Aphrodite gli sfiorò la chioma scarmigliata, scostando quei fili d'oro dal volto imperlato dal sudore che aveva sciolto grumi di polvere. Lo ripulì dalle striature rossastre che solcavano la pelle chiara - l'incarnato era più pallido del solito in contrasto con le labbra violacee, il respiro era silenzioso, quasi impercettibile – sedette accanto a lui attendendo con pazienza che aprisse gli occhi.

Al risveglio, le pupille reagirono allo stimolo luminoso, restringendosi, ed era un segno favorevole.

Misty si soffermò disorientato a studiare le fattezze della persona di fronte a lui, permanendo in un lungo, interminabile, silenzio come se stesse rimuginando tra sé e sé. In un secondo momento schiuse le labbra nel tentativo di mormorare qualche cosa: un qualcosa esitante sulla punta della lingua e che infine sfuggì, strascicato, come l'agognato responso a un enigma insoluto.

“A... Aphrodite. Tu sei Aphrodite.”
Aphrodite di Pisces, udendo il proprio nome, stirò le labbra sottili in un sorriso e fu un sorriso lieve, strappato a forza, ma liberatorio.

“Che cosa ci faccio in questo letto? Dovrei essere in Giappone.” Parole pronunciate a fatica, quasi meccanicamente. “Ho una missione da compiere contro i traditori" insisté Misty, rimuovendo la fasciatura che gli cingeva la fronte.

Aphrodite sondò in quegli occhi tristi e vacui con uno sguardo carico di compassione, ponendogli il dito indice sulle labbra. Trasse conforto, ma non entusiasmo, dalla certezza che le sue condizioni fossero meno critiche di quel che aveva presagito. Lo aveva dedotto da quell'affermazione lucida e delirante al tempo stesso e, grazie agli dèi, non avrebbe dovuto imbattersi in una persona adulta dall'età mentale di un bambino: Misty sembrava aver smarrito solo recenti, seppur significativi, ricordi della sua breve vita.

Aphrodite ne approfittò. Risolse di essere schietto a tale proposito, di una schiettezza disarmante: “In realtà, hai già adempiuto a quell'incarico, qualche anno fa" scostò l'ultima ciocca dal volto del discepolo, con delicatezza, e sospirò. “Siamo stati uccisi da coloro che reputavamo nemici; e adesso ci è stata concessa facoltà di dimorare nuovamente sulla Terra, in virtù della benevolenza di Athena.”

Sì, detto così, poteva sembrare brutale e incomprensibile. Pisces era stato categorico, risoluto, dopotutto era così che Misty lo ricordava a quel punto di svolta della propria esistenza, non rammollito e accomodante. Gli stava sciorinando in faccia parole crude, sopraffatto dall'urgenza di fare chiarezza. Poco importava tutto il resto.

Sapeva che Misty avrebbe avuto modo di assuefarsi al drastico cambiamento, che poteva protrarsi per un breve lasso di tempo oppure permanere irreversibile, quindi tanto vale parlare chiaro e subito. Doveva togliersi quel tarlo dalla testa, doveva metterlo in condizione di affrontare il problema.

L'altro rimase muto, con gli occhi sbarrati e la bocca semiaperta: “Dunque, sarei redivivo?” Era sbiancato. “Vorresti farmi credere che Arles, in realtà, sia un impostore e che ci siamo imbattuti in un folle, confidando nelle sue menzogne?” Prese un respiro. “Che un Santo di Casta inferiore – di cui non ricordo né il volto né il nome – mi avrebbe sconfitto e ucciso? Quella feccia di traditori che mi è stato ordinato di perseguire, in verità, sarebbero degli eroi!? È una follia!”

“Infatti avrai modo di scoprirlo tu stesso. Nessuno sta forzando i tempi, ti sto solo mettendo al corrente dei fatti che non ricordi. Non potrei mai ingannarti raccontando delle bugie.” Aphrodite gli cinse un braccio intorno alle spalle affinché riuscisse a sollevarsi; facendogli presente come – anche lui – avesse faticato ad accettare la realtà. Era consapevole che lo sdegno iniziale sarebbe passato cedendo il posto a inevitabile rassegnazione. E, come se tutto ciò non fosse abbastanza, fu sollecito anche a rivelargli perché si trovasse in quel luogo e in quello stato confusionale.

“Sto vivendo un incubo. Non posso crederci" rispose il discepolo, quasi incespicando nelle parole, dopo aver deglutito un sorso d'acqua.

“In realtà la vicenda presenta degli aspetti più sfumati, dei retroscena che non conosci e dovrai assimilare gradualmente: sforzarti di ricordare attraverso la visione di luoghi, oggetti, persone. Perdonami se sono stato schietto ma non conosco un modo migliore di...” accostò le labbra alla fronte umida per lambirla con un bacio, e poi lo strinse forte a sé per fargli percepire il suo affetto, la sua vicinanza. Misty celò il volto nell'incavo tra il collo e la spalla del suo mentore, poteva inalare l'effluvio di rose che promanava da quella chioma morbida e setosa, si sentiva patetico. Fu costretto ad abbandonarsi, tremante, tra le sue braccia forti a cagione delle vertigini.

“Devo avere un aspetto terribile.”

“Sei bellissimo.” Aphrodite lo esortò a distendersi facendogli adagiare la testa sul cuscino.
Aveva le palpebre nuovamente serrate nell'incredulità, alla ricerca della serenità smarrita, desiderava sprofondare nell'oblio del sonno per ritrovarla ma sapeva che non avrebbe trovato requie.

 

Le trame del destino sono imperscrutabili... si stava adeguando all'idea di non corrispondere all'immagine idealizzata che ha di se stesso... e ora, forse, dovrà ripercorrere lo stesso cammino a ritroso, irto dei medesimi ostacoli.

 

***

 

Era passato solo qualche giorno dal momento in cui aveva preso coscienza della realtà, spingendosi a vagare oltre i confini della stanza che lo ospitava e quel luogo non gli era del tutto estraneo. Le altre stanze, i corridoi, i propilei - che racchiudevano verdi oasi di pace - le terme... evocavano episodi della sua vita fin troppo recenti che risalivano al periodo vissuto sotto l'egemonia di Arles e che, alla luce di un'altra verità, avrebbe desiderato cancellare reputandoli blasfemi e immorali.

Aveva appreso che Saga, il Santo di Gemini, nonostante i crimini commessi – seppur ispirati dalla follia – fosse stato riabilitato come Custode della Terza Casa dopo la rinascita. Era un concetto di Giustizia incomprensibile... ma che senso aveva lambiccarsi la mente allo stillicidio? Sospirò, barcollando, ponendosi all'ombra delle colonne che cingevano il porticato esterno il quale si affacciava sul giardino di piante ornamentali. Aveva il volto umido di lacrime e un brivido lo scosse a causa del contrasto di luce e temperatura. Affondò le dita tra i capelli, l'emicrania persisteva con insistenza a causa dei postumi ma anche per i troppi pensieri che sottraevano tempo al riposo.

Una presenza lo riscosse dal patimento interiore: il Sommo gli aveva posto una mano sulla spalla invitandolo a seguirlo. Misty rilassò i muscoli contratti, aveva percepito l'aura benevola traendo immediato beneficio, quasi vi fosse racchiuso in essa un potere taumaturgico. Levò gli occhi chiari volgendoli verso la persona che aveva appreso essere l'attuale Gran Sacerdote: incontrò il suo sguardo per un istante e gli parve di naufragare in quegli occhi limpidi come acque smeraldine. Era autorevole ma non ispirava terrore, rispecchiava un'indole dai nobili intenti: non vi era ombra di lussuria, concupiscenza, malvagità che invece aveva ravvisato negli occhi iniettati di sangue del suo folle predecessore.
L'anziano maestro dei Cinque Picchi – la figura leggendaria, di cui aveva sentito parlare solo in vaghi accenni – aveva assunto le sembianze del giovane ora dinanzi a lui.

E a me sarebbe stata concessa l'opportunità di concorrere per diventare suo successore? Si domandò, incredulo, accingendosi a seguirlo.
Era stato a un passo dal conquistare il diritto di indossare le Sacre Vestigia d'Oro di Libra... così gli aveva raccontato Aphrodite. È incredibile. Serrò il pugno prendendo coscienza del proprio fallimento; non rammentava nulla dei fatti intercorsi e non osava porre domande, nonostante il Sommo sembrasse così disponibile e di sicuro non gli avrebbe negato una spiegazione. Era così saggio e lungimirante da infondergli bastante sicurezza.

“Ho saputo che ti piace leggere" affermò Dohko, dopo aver indugiato sulla soglia di una stanza ampia e luminosa caratterizzata da un elegante connubio di stili, ma soprattutto fornita di numerosi testi di vario genere. “Puoi trascorrere il tuo tempo anche qui, se lo desideri.”

Dalla terrazza si vedeva il mare estendersi placido all'orizzonte. Quando non era propenso a immergersi nella lettura si soffermava spesso a contemplarlo – inebriandosi del sentore di quell'aria tersa – nella speranza di risvegliare ricordi che purtroppo non sovvenivano. Solo frustrazione. Serrò il bicchiere nella mano e si riscosse dai pensieri impallidendo alla vista del proprio sangue: il volto angelico divenne bianco come calce, frammenti di vetro gli si erano conficcati nel palmo.

Rinvenne nel letto della solita stanza, con la mano dolorante e fasciata, scorgendo la sagoma del maestro rivolta verso la finestra. I capelli fluttuavano al soffio di un debole alito di vento, Aphrodite si girò verso di lui: il volto in ombra, contrapposto alla sorgente luminosa che baluginava alle sue spalle.

“La tua sensibilità alla vista del sangue dovrebbe far emergere qualcosa" esordì, ma Misty scosse il capo per esprimere il proprio dissenso.

“Accanto a te c'è una scatola, aprila e dai un'occhiata agli oggetti che ti appartengono. Potrebbero esserti d'aiuto" suggerì.

Misty aprì la scatola riconoscendo cose che ricordava, collegandole ad azioni compiute abitualmente – come le conchiglie che era solito raccogliere sulla spiaggia – e rovistò recuperando un altro oggetto che gli sembrava del tutto sconosciuto. La piccola civetta che lasciava residui di gesso sulle mani, di sicuro reperita nel periodo posteriore e collegata ad avvenimenti recenti. Infine vi era il diario, si soffermò ad annusare l'odore delle pagine, lo sfogliò e osservò l'alternarsi di fogli bianchi che coincidevano con l'epoca successiva alla missione in Giappone: le ultime righe risalivano ai giorni precedenti la data fatidica del tre/quattro ottobre dell'anno 1986. Apprese di non aver annotato più nulla dopo la rinascita, se non brevi pensieri tracciati ogni tanto, i quali rispecchiavano i suoi sbalzi di umore.

“Non scoraggiarti vedrai che la memoria tornerà, forse, quando meno te l'aspetti.” Pisces gli prese il mento per poi sfiorargli le labbra screpolate con il pollice, e la guancia col dorso delle dita.

~

Si impegnava a condurre una vita normale, si sforzava di abituarsi alla nuova condizione malgrado stentasse ad accettare la realtà e il risvolto beffardo che avevano preso gli eventi. Ciò non collimava con quelle che un tempo erano state le aspettative grandiose sul proprio futuro, sul proprio essere, e rispetto agli altri. Aveva ripreso a frequentare i luoghi abituali sebbene fosse esonerato dallo svolgere i soliti compiti, almeno fino a quando non si sarebbe del tutto ristabilito. Non riusciva a intrattenersi troppo a lungo insieme con altri Santi - che si trattasse dei parigrado o meno - e accampava sempre scuse che suonavano come pretesti improbabili. Soprattutto dopo aver incontrato e stretto la mano, suo malgrado, a colui che gli avevano riferito essere stato il suo principale antagonista. Un giapponese che aveva bollato in fretta come una persona rozza e del tutto privo di carisma. Eppure si diceva si fosse reso fautore di incredibili imprese, così come i suoi compagni: degli insulsi Santi di Bronzo. Ricoperti di lodi immeritate e sopravvalutati...

Stava riemergendo l'invidia nei riguardi dei pupilli della Dèa e l'astio verso Athena stessa: la divinità spesso assente. Lo stesso risentimento spudorato - scandito ad alta voce, e che aveva suscitato l'indignazione del Gran Sacerdote nei suoi confronti - emerso in occasione dell'episodio spiacevole di cui si era reso protagonista e del quale non rammentava nulla. Asterion aveva provveduto a rendergli noti i dettagli della prodezza...

Misty si domandava dove avesse trovato il coraggio di esporsi a un rischio del genere: allora non era così codardo come riteneva di essere nel profondo dell'animo. Una debolezza, la viltà, parallela al timore che qualcosa potesse deturpare il suo aspetto...

Sì, era una situazione difficile da accettare ma non impossibile da comprendere. Algol e gli altri erano riusciti a inculcargli quel concetto poco a poco. Tuttavia Misty preferiva trascorrere buona parte delle giornate in riva al mare; non riusciva a soggiornare neanche a casa perché sosteneva che quell'ambiente gli infondeva malinconia. Nemmeno la misera striscia di giardino dove sbocciavano i narcisi e le rose gli recava conforto. Preferiva la stanza ridondante, ma asettica al contempo, al Tredicesimo Tempio, dove era servito e riverito, essendone alquanto compiaciuto. Preferiva la compagnia di Aphrodite e, nell'ultimo periodo, tollerava a stento la supponenza di Perseus.

Quest'ultimo lo aveva raggiunto, dopo averlo incalzato a lungo in un tratto di spiaggia, col proposito di ricucire il rapporto che, per ironia della sorte, Misty aveva rimosso dai ricordi. Lo sorprese nei pressi delle formazioni rocciose che generavano cavità, insenature, grotte tra lembi di sabbia asciutta e tratti sommersi dalle acque cristalline che si addentravano negli anfratti; cogliendolo in un momento di rara spensieratezza nel quale non era intento a sondare nella memoria per far luce sui propri trascorsi.

Misty si accigliò in sua presenza: “Non siamo mai stati amici.”
Ma l'altro sigillò con impeto audace quelle labbra con le proprie, mettendolo a tacere, allo scopo di indurlo a ricordare.
Il più giovane spalancò gli occhi e il cuore gli sussultò nel petto, come incapace di comprendere le ragioni del gesto sconsiderato, irragionevole, privo di senso, che gli aveva provocato il disgusto. Tuttavia qualcosa sembrava inibire l'istinto di ritrarsi come se – inconsciamente – ambisse ad abbandonarsi alla mercé del Santo e indugiò rivivendo una sorta di incomprensibile déjà-vu. I due si studiarono per un po' con sguardi che sembravano riflettere lo sfavillio di un fuoco inesistente...

Infine Algol si ritrovò a massaggiarsi la mandibola dolorante, dopo aver sputato sangue. Misty lo aveva respinto e colpito con tutte le forze, atterrandolo, benché avesse avuto l'accortezza di non avvalersi del cosmo. Lo ricoprì di insulti, intimandogli di non provare mai più a toccarlo, e si strofinò la bocca col dorso della mano: “Sei un demonio, di nome e di fatto!” sbraitò.

Algol realizzò che, sì, quello era proprio il ragazzo presuntuoso di sempre, e sfoggiò una parvenza di sorriso che non coinvolse i muscoli orbicolari degli occhi: “Non eri dello stesso avviso l'ultima volta.” Sapeva molto bene che solo qualcuno avrebbe potuto tenere testa a quel moccioso arrogante e quel qualcuno era lui. Si rialzò, non si sarebbe fatto calpestare così. Avanti che l'altro riuscisse a schermirsi lo aveva già afferrato per i polsi - percepì ossa e articolazioni scrosciare mentre gli contorceva un braccio dietro alla schiena - costringendolo a piegarsi dal dolore. Misty risolse all'improvviso di desistere poiché privo di forze, prono a terra, con l'acqua che gli lambiva il volto. Non riusciva a capacitarsi di una tale mancanza di rispetto da parte di uno che considerava un sottoposto.
Algol intuì l'inevitabile cedimento ma prese anche atto della gravità del proprio gesto, che cosa sto facendo? Devo essere impazzito... e si riebbe dalla collera che aveva sopraffatto la ragione.

“Scusa... scusami. Perdonami" biascicò imbarazzato, pentito, dopo il sollecito ripensamento.

Perseus aveva anticipato i tempi confidando erroneamente in qualcosa che non sarebbe tornato uguale a prima o forse sì, ma non così in fretta.
La sua controparte, nel frattempo, sgusciò via, ansante e furente, dopo essersi liberato dalla stretta ferrea. Risolse di lasciarlo solo, sebbene intuisse che sarebbe stato difficile rimediare a una mancanza di tatto così grave.

 ~

Perché? Perché l'angoscia di non ricordare? E se quel bastardo avesse ragione?!

Possibile che ci fosse qualcosa tra loro? Un sentimento che esulava dalla stretta amicizia, e nessuno se ne fosse mai accorto? O chi sapeva fingesse di non sapere, per riserbo o indifferenza. I polsi erano segnati dall'impronta rossastra delle dita: mi avrebbe spezzato un braccio se avesse voluto. Perché Algol aveva insistito tanto a reclamare ciò che suonava come un'assurda pretesa? Misty inorridì al pensiero che dietro la sua tracotanza potesse celarsi un fondo di verità e, al tempo stesso, lo sospettava poiché ne era attratto, come se il desiderio incontenibile divampasse dentro di sé con la stessa veemenza con cui si sforzava di reprimerlo. Si sentiva impuro al solo pensiero ed ebbe l'impulso di denudarsi e immergersi in mare – come d'abitudine – per mondare il proprio corpo e la propria anima, ma esitò ritraendo il piede che aveva immerso in acqua. Indietreggiò temendo che qualcuno potesse sorprenderlo. Si guardò intorno, assalito dal timore mai provato prima d'ora di essere visto. Strano. Era sempre stato così fiero della propria immagine al punto di rasentare l'esibizionismo. Perché si stava trattenendo, perché quell'insolita inibizione? Infine fu persuaso di astenersi dal farsi il bagno. Si inginocchiò con l'acqua a lambirgli le vesti, osservò le conchiglie spuntare, semi sommerse dalla rena, e ne estrasse una passando le dita sulle sporgenze aguzze della superficie calcarea, accostandola all'orecchio. Si concentrò sui suoni circostanti, sul rotolare costante delle onde, facendo vagare i propri pensieri in libertà. Con lo sguardo indugiò sulle coperture assolate dei Templi che dominavano l'Acropoli.

Gli sovvenne l'immagine del maestro, così colto e affascinante; gli sembrava di vederlo e udire le sue allusioni ambigue nei momenti in cui lo aveva sorpreso a discorrere disinvolto col Santo di Cancer. Tra loro ci sarebbe potuto essere tutto o niente: più di un legame sotteso o semplice cameratismo, nulla di strano o inconsueto. Non si era mai soffermato a riflettere sull'argomento perché non gli interessava; così come ad altri sarebbe potuto non interessare se lui e Algol avessero una relazione occasionale, e non perché non ne fossero al corrente. Ecco la risposta... dunque, perché avrebbe dovuto farsene un cruccio? Di cosa si stava preoccupando? La sua ritrosia era dovuta all'incertezza, al dubbio...

 

“Misty?”

Shaina...

“Cos'è successo?” Lei avrebbe preferito non formulare la domanda indiscreta ma vedendolo così assorto, con lo sguardo assente e la conchiglia accostata all'orecchio, non poté esimersi.

“Dovresti essere tu a spiegarmi cosa ci fai in spiaggia, non hai niente da fare oggi?” insinuò l'altro senza modificare la propria postura, come se parlasse al vento.

“Le nostre mansioni si svolgono a fasi alterne, ho organizzato il lavoro in modo da ritagliare un po' di tempo libero per ciascuno – e oggi mi sono concessa una pausa – ma forse non ricordi. Già, non puoi ricordare perché ciò è avvenuto molto di recente...”

“Quindi, non sarei più io il leader dei Santi d'Argento? Ecco un altro particolare che emerge.” Si voltò finalmente, assottigliando lo sguardo.

Shaina fece un cenno affermativo, recepì la sua perplessità e anche una sorta di velata amarezza. Non aveva notato avesse le gote arrossate e i capelli arruffati. Strano perché di solito era quasi impeccabile. Si piegò sulle ginocchia e scostò fili di capelli che il vento aveva insinuato tra le labbra del suo pari, sfiorandogli il volto angelico con una carezza.

“È tutto a posto?”

“Non capisco perché non dovrebbe esserlo" mentì lui, prendendole la mano con deferenza per poi allontanarla dalla sua persona, dopo aver dapprima indugiato a contemplare la propria immagine riflessa sulla maschera indossata dell’amazzone. Si estraniò lasciandosi trasportare dai pensieri, i quali fluivano impetuosi senza che riuscisse ad arginarli. Non ho il coraggio di domandarle che tipo di rapporto intercorresse tra me e quella canaglia, non oso farlo. Temo la risposta perché credo di conoscerla... Quante cose sono successe in breve tempo, quante cose che temo di scoprire.

“Ho capito, preferisci stare solo. Sei stato gentile nell'ultimo periodo e ci tenevo a ringraziarti... Se hai bisogno di qualunque cosa puoi contare sul mio aiuto" rispose Shaina alzandosi in piedi e lui assentì senza replicare, rivolgendole uno sguardo triste per poi distoglierlo e smarrirlo all'orizzonte.

~

I passi echeggiarono nelle vuote e ampie volte del Tempio, Aphrodite ne attraversò le aule, quindi oltrepassò l'atrio per continuare la ronda all'esterno, lungo il perimetro delimitato dal peristilio. Alzò gli occhi al cielo percorrendo l'intera altezza della colonna rastremata scorgendovi in un pertugio, all'apice, un nido di uccelli dal quale svolazzò qualche filopiuma bianca. Ecco da dove proveniva quel tubare. Sbuffò annoiato, materializzando una rosa tra le pallide dita, la ronda era una consuetudine ma non una necessità. La luce del sole si rifranse sulla superficie dell'armatura. Coprì gli occhi indietreggiando all'ombra dei pilastri e, al riparo, riuscì a intravedere la sagoma del discepolo avvicinarsi alla rampa mediante la quale si accedeva alla Dodicesima Casa.

“Buongiorno" esordì Aphrodite, laconico, aggrottando le sopracciglia sottili e ben delineate, ma l'altro non si espresse se non con un cenno sfuggente. Misty sembrava imbarazzato, aveva recepito un intento poco conciliante in quel saluto forzato, che sottintendeva rimprovero. Difficilmente si sbagliava perché, spesso, semplici intuizioni confermavano i suoi sospetti.

“Se pensi di sederti e mangiare al mio tavolo, in quello stato, ti stai sbagliando. La tua negligenza è un affronto alla sacralità di questo luogo. Vai a lavarti per favore. Troverai anche degli abiti. Cambiati e poi condivideremo la cena.” Misty avvolse una ciocca di capelli attorno al dito e si soffermò a guardarla, scettico; sì, c'erano granelli di sabbia, ma quella reazione parve un tantino esagerata persino a lui che era un perfezionista. Distolse lo sguardo e si inoltrò, infine, all'interno delle mura, nel momento in cui il Santo d'Oro acconsentì a lasciare libero il passaggio.

~

Non è proprio come quella di casa mia...

 

A volte non era così svantaggioso assecondare le pretese di Aphrodite. Quel posto non era poi così male e la vasca era una vera e propria piscina di marmo con tanto di orpelli e statue ammiccanti: non male, si disse languendovi, assorto, quasi ignorando l'indolenzimento al polso e alla spalla. Osservò lo specchio d'acqua in cui si riflettevano le sagome dei simulacri e le colonne che si alternavano attorno al quadrilatero. Ebbe la sensazione di galleggiare in una realtà sospesa congiunta da un tratto di unione intangibile che la assimilava alla dimensione onirica, o forse era solo la sua mente a divagare. Persuaso dalla necessità di svincolarsi da legami troppo stretti, che lo avvinghiavano alla sofferenza come artigli rapaci, chiuse e riaprì gli occhi. Si figurò delle immagini, al posto degli elementi decorativi che si specchiavano sulla superficie dell'acqua. Gli si annebbiò la vista, sbatté le palpebre, e alcune scene balenarono più nitide nella mente. Si diede un pizzicotto e provò dolore. Non stava sognando a occhi aperti...

Marin la sacerdotessa dell'Aquila, Seiya di Pegasus... La missione in Giappone.

Ravviò i capelli e chiuse gli occhi, ma le immagini scorrevano vivide come fotogrammi e non dovette sforzarsi di decifrarne il significato, decodificare quegli stimoli per darsi delle risposte che sorgevano spontanee.

Ero stato vittima di una macchinazione perché Seiya era vivo e vegeto: era comparso di fronte a me e lo avevo minacciato, intimandogli che l'inganno di Marin le sarebbe costato la vita. Marin, quella...

Riesco a ricordare il frangente in cui lo avevo affrontato e quando, nel corso della sfida, avevo avuto la meglio. Mi credevo nettamente superiore, sono sempre stato elogiato grazie alle mie doti e per la capacità di eludere ogni attacco. Il mio corpo non era mai stato scalfito... Era appagante riuscire a determinare il controllo sugli elementi e mi dava un senso di onnipotenza.

Confidavo nella mia forza, tanto da non impiegarne a sufficienza contro un avversario che reputavo feccia insignificante. Lo avevo creduto morto. E su questo schermo d'acqua rivivo le mie inutili velleità, il mio essere vacuo.

Mi ero spogliato dell'armatura per lavare il sangue del mio nemico. Lui si era rialzato, deridendomi, ma avevo finto d'ignorarlo risolvendo di affrontarlo. Superiore, mi sentivo superiore, volevo concludere: l'avrei finito in pochi istanti, e poi mi sarei goduto gli elogi del Sommo Sacerdote - e forse un riconoscimento maggiore - com'era giusto che fosse. Che stupido sono stato a non domandarmi le ragioni di quell'incredibile resistenza. Avevo sentito dire che il cosmo del Santo di Pegasus fosse eccezionale, ma perché sono stato così cieco da non attribuirgli la giusta importanza? Ah, se lo avessi fatto! Magari avrei avuto la meglio. È stato un terribile errore di valutazione il mio.

Al contrattacco avevo vacillato, lui era riuscito a penetrare le mie difese e, incredulo, mi ero scoperto incapace di reagire. Il suo colpo mi aveva investito facendomi arretrare scavando un solco nella sabbia: non era un colpo letale, eppure mi sentivo strano e sapevo che qualcosa doveva essermisi spezzato dentro. Non potevo credere che chi combattesse senza ideali, in cambio dell'adempimento di una promessa – quale ritrovare la sorella – disponesse di una tale forza. Stavo combattendo contro chi era reo di aver violato le leggi del Santuario; per la mia dèa, e lei mi stava voltando le spalle! Non capivo, qual era la Giustizia? Dov'era?

Non mi capacitavo che ciò potesse accadere, limitandomi a celare i miei timori dietro un sarcastico sorriso. Acquisire quella terribile consapevolezza aveva inibito la mia volontà di reagire; infranto le mie certezze, e fatto crollare tutte le convinzioni come un edificio privo di fondamenta.

Stavo facendo pace col passato, ed eccolo riaffiorare a tormentarmi. Sta tornando la memoria, non immaginavo fosse così terribile rivivere ciò che è stato; ma perché!?

Ero rimasto paralizzato dall'orrore e il mio avversario ne aveva approfittato sorprendendomi alle spalle. Non riuscirò mai a perdonarlo a causa del colpo basso, e se oggi riesco a riconoscere il suo valore non riuscirò comunque ad accettare la sua slealtà. Credo di odiarlo. Mi aveva toccato con le sue mani sporche, sollevandomi di peso da terra...

Infine, eravamo precipitati entrambi in mare, non vedevo più nulla... L'impatto era stato così rovinoso da non rendermi conto di aver smarrito il diadema tra i flutti - nel momento in cui avevo provato un dolore lancinante nel punto in cui avrebbe dovuto proteggermi. Ricordo quella sensazione, è indescrivibile...

Sapevo che era finita, ogni velleità di resistenza mi aveva abbandonato e non restava che l'orgoglio. Ero riuscito a guadagnare la terraferma con un ultimo sforzo estenuante; la vista mi si stava offuscando, era una giornata di sole ma un velo di tenebra era calato davanti agli occhi: non vedevo più nulla malgrado potessi percepire il sangue sgorgare dalla ferita aperta – ed era caldo, viscoso. Ero crollato, con le ossa rotte, rimanendo cosciente fino al momento in cui l'acutezza dei sensi non si era affievolita. Infiniti istanti. Avevo così compreso che la morte stava sopraggiungendo. No! Volevo vivere...

Scorse i dettagli dell'ambiente circostante ondeggiare attraverso una cortina di cristallo, sbatté le ciglia. Aveva rievocato momenti dolorosi che sembravano essere stati sepolti nell'oblio, latenti nell'animo, riaprendo una vecchia ferita che la rassegnazione aveva in parte lenito. Sospirò, soffocando un singulto, con la certezza che altri ricordi sarebbero emersi in breve tempo, sebbene prevalesse una gran confusione e frotte di immagini iniziavano ad accavallarsi nella mente.

~

Aphrodite gli riservò uno sguardo compiaciuto: “Quella tunica azzurra con le greche dorate è sempre stata tra i miei indumenti preferiti, ma non l'ho indossata spesso. A te dona moltissimo, si armonizza al colore dei tuoi occhi.”

“Davvero? È la prima cosa che ho trovato" replicò Misty, tradendo falsa modestia. “Sì... credo che tu abbia ragione" soggiunse poi, sedendosi di fronte a lui. Notò le posate disposte secondo un certo ordine, adeguate al tipo di portate che sarebbero seguite, e con quanta cura fosse stata allestita la tavola ricoperta da una candida tovaglia – semplice, ma impreziosita da un bordo di raso. Sapeva che Aphrodite prestasse attenzione ai dettagli anche quando era solo, e lui non era da considerarsi un ospite illustre.

Stava scendendo la sera e si udiva solo il frinire dei grilli e il sinistro chiurlare di un barbagianni che sbirciava tra le fronde con l'occhietto presbite. Aphrodite spezzò il silenzio dopo aver emesso un sospiro: “Hai tardato, avevo pensato che stessi male. Ancora qualche minuto e sarei venuto a controllare.”

“No, è che non mi sono reso conto del tempo trascorso" chiarì il discepolo, allungando una mano verso il calice di cristallo.

“È vuoto" osservò Aphrodite, cogliendo la sua sbadataggine – forse è immerso in qualche sua riflessione – e provvide a riempirlo mescendovi acqua e vino. Dopodiché vi fu ancora silenzio tra i due, un silenzio che sottintendeva molti interrogativi da parte del più giovane , il quale, combattuto tra varie incertezze, non sapeva se dire la verità.

Dovrei togliermi questo peso angosciante, mi aiuterebbe a star meglio... ma preferisco non confidarmi. Questa situazione potrebbe tornare vantaggiosa... Sono un viscido, un essere abominevole che vuole approfittare delle circostanze per il proprio tornaconto. Ma perché dovrei sentirmi in colpa? Sono solo confuso, questa condizione mi sta esasperando... e loro sembrano tutti così gentili nei miei confronti, anche chi non lo è mai stato. Che branco di ipocriti, quasi si compiacessero della mia sofferenza. In realtà è come se fossi morto una seconda volta... rimuginò, mentre, pian piano, altri ricordi stavano affiorando.

“Ariele, a cosa stai pensando?” Pisces lo interrogò, notando lo sguardo smarrito nel quale si riflettevano le fiamme tremolanti delle candele.

“A niente sono solo stanco, sì, sono stanco" rispose lui, sbattendo le palpebre come destatosi da un momentaneo torpore.

“Non è affatto strano nella tua condizione. Puoi congedarti in qualsiasi momento.”

“Oh, no. Sono lieto di restare. È molto piacevole la tua compagnia e tutto il resto.”

“Come per me lo è la tua.”

Aphrodite infilzò un boccone con la forchetta accostandoglielo alle labbra.

“Cos'è?”

Saganaki, un delizioso antipasto.”

~

Misty giunse nella propria stanza, al ritorno dalla serata trascorsa in piacevole compagnia. Aveva meditato, tra un boccone e l'altro, indeciso se permanere ancora in quel luogo o ritornare a casa. I ricordi stavano affiorando a tratti, sfocati e confusi. Si accostò alla finestra, al buio, e la aprì. Nel cielo, dapprima sereno, si era addensata una fitta coltre nubi che occultava il luccichio delle stelle; un vento improvviso agitò le fronde degli alberi e i ramoscelli che si protendevano verso l'alto, come scarne dita di una mano. Vedeva i cespugli più bassi e i fili d'erba ondeggiare entro il fazzoletto di terra, nella corte attorniata da imponenti colonne. L'oscurità acuiva i sensi e ciò che, in un primo momento, faticava a distinguere svelava contorni molto più definiti; ed era chiaro, così come il significato acquisito dalle immagini che si sovrapponevano nella mente.

Una goccia rimbalzò sul davanzale; un'altra, e poi un'altra ancora... L'aria si rinfrescò, impregnata dell'effluvio che si sprigionava dal manto erboso. Chiuse gli occhi facendosi lambire il volto dagli spruzzi di pioggia.

Non devo temere i ricordi...

Era un grande giorno sebbene avessi paura, paura di andare incontro all'ennesimo fallimento.

Adesso capisco le scelte fatte, le comprendo solo dopo aver ricordato lo scontro con Seiya: quell'episodio ha ridimensionato il mio ego. Non sono invincibile, no, non lo sono mai stato ma, nonostante tutto, mi sembra di non aver perso il rispetto dei miei pari...

I miei pari... Algol. Con quale faccia potrò rivolgergli ancora la parola? Come ho fatto a non rendermi conto subito di come stessero le cose, dopo aver constatato che gli indumenti da me indossati al torneo appartengono a lui? Come ho potuto non collegare che fosse stato lui a cedermeli a titolo di buon auspicio? Ma questo non è così importante al momento... Ciò che mi sconvolge è l'aver sprecato un'occasione: aver avuto la conferma che i sogni non si avverano... Già, i sogni si concretizzano solo nel contesto irreale delle fiction, nei romanzi... nella realtà potrebbe accadere ma temo sia molto improbabile se non si ha talento... o fortuna, o entrambi.

Era una giornata splendida: avevo riposto tutte le speranze nell'obiettivo la cui realizzazione mi avrebbe restituito la fiducia in me stesso, proprio come un tempo. L'Anfiteatro era gremito, si trattava di un evento significativo. Avevo gli occhi puntati addosso, ma non avevo provato imbarazzo essendo consapevole del mio splendido aspetto; nessuno poteva rivaleggiare con me. Non ero dello stesso avviso per quanto concernesse la forza, dubitavo delle mie capacità, e quei dubbi erano divenuti schiaccianti alla comparsa del mio avversario. D'un tratto mi erano sovvenute le voci che avevo udito sul suo conto: che avesse raggiunto l'ottavo senso grazie alle traversie affrontate. Sapevo che i presenti ne fossero a conoscenza, come ero al corrente del fatto che mi considerassero poco più di un incapace. Avevo osservato quel Santo dai capelli neri e dai lineamenti orientali, sembrava molto saggio, morigerato, quasi avesse ereditato il discernimento del suo maestro. Aveva un aspetto fiero e dall'espressione si evinceva consapevolezza del proprio valore. Il mio opposto – avevano pensato probabilmente tutti gli altri, che tifavano sbracciandosi per lui – e forse avevano ragione, sembrava una battaglia persa in partenza. Il cuore batteva all'impazzata come fosse in procinto di esplodere da un momento all'altro. Il mio volto doveva aver assunto un colorito paonazzo. Avevo caldo, molto caldo, ma le mani erano gelide. Avrei voluto abbandonare l'Arena: mi mancava il respiro, mi era sovvenuta la paura di morire e avevo soffocato un urlo silenzioso in gola. Avevo scrutato i volti delle persone che sedevano sulle gradinate, nelle prime file, e le loro fattezze sembravano aver assunto caratteristiche grottesche, bestiali. Mi deridevano, vomitavano insulti... ma non potevo arrendermi e dovevo affrontare l'avversario; dovevo farlo per l'unica persona a cui credevo - e credo - di voler bene. Impormelo, per zittire i demoni interiori e per dimostrare a tutti coloro che mi disprezzavano di essersi sbagliati. Elevarmi al rango di Santo d'Oro.

Il mio sguardo era corso di nuovo verso la folla assiepata sugli spalti; verso la tribuna che ospitava il baldacchino velato da drappi immacolati, approntato per accogliere le alte cariche del Santuario. Il trono, le insegne svolazzanti issate su aste dorate, i fuochi, i Santi di ogni rango bardati nelle rispettive armature; era un tripudio di oro e di fiamme. Una visione incastonata nel solenne scenario dell'Anfiteatro. Saori Kido era assente ma la cosa non mi sorprendeva affatto né mi turbava.

Il Sommo aveva dato inizio al torneo dopo un lungo preambolo che aveva avuto l'effetto di sfiancarmi; avevo guardato in quella direzione come per lanciargli una tacita sfida. Non potevo dimenticare le ultime parole che mi aveva rivolto, benché mi fossi ripromesso di non lasciarmi influenzare, di non dargli peso. Era molto difficile perché esse, non ferivano soltanto, ma erano degradanti e mi privavano della dignità di Santo di Athena...

Bene, avevo pensato. Ora toccava a me dimostrare che i loro giudizi fossero infondati, ma fin dalle prime battute avevo intuito che non sarebbe stato facile. L'avversario era determinato quanto me, ed erano stati i suoi sacrifici ad aver forgiato quella tempra. Non avrei ingaggiato un duello corpo a corpo, non lo avrei fatto, se lo poteva scordare! Dovevo affidarmi alle tecniche di velocità, se non volevo soccombere alla sua forza, e i suoi attacchi avevano fama di essere incredibilmente potenti. Aveva avuto la meglio su Algol, Shura, e Death Mask non potevo sottostimarlo, non mi era concesso.

Shiryu mi fronteggiava e, con sorpresa, potevo constatare che non trapelava disprezzo dal suo atteggiamento, sembrava davvero molto saggio. Quel rispetto da parte sua implicava quanto mi dovessi impegnare al fine di meritarlo e, al contempo, mi rasserenava. Aveva sferrato un attacco che avevo scansato spiccando un balzo. Avvolto in una spirale di vento, ero atterrato al lato opposto dell'arena, consapevole di aver sorpreso i miei detrattori...

Non c'era più nulla, non notavo più la folla che gremiva gli spalti, non udivo alcun incitamento, nessuna invettiva. I suoni erano ovattati e finalmente mi ero reso immune da qualsiasi distrazione. Vidi guizzare un riflesso nelle gemme cremisi incastonate sulla maschera del Gran Sacerdote, ma ero stato sollecito a distogliere l'attenzione da tutto ciò che non doveva frapporsi tra me e Shiryu né voci né sguardi.

Aveva sferrato un altro colpo; un’informe scia luminosa aveva assunto le sembianze illusorie di un drago che avevo schivato, atterrando ancora in piedi sul terreno arido.

Non avevo perso la concentrazione ed era stato saggio, in quanto il mio avversario aveva in serbo un'altra offensiva. Non voleva darmi tregua. Aspirava a quel titolo quanto me, e avevo risolto di non aver abbastanza fiato nei polmoni per riuscire a stornare l'attacco senza ergere la barriera – dovevo essere rapido per contrastarlo. Avevo evocato il cosmo, per quanto poco fosse consentito, elevando lo scudo d'aria pervaso dall'aura sprigionatasi in virtù della mia energia.

La barriera aveva vibrato attutendo la collisione, quasi non si trattasse di un semplice muro d'aria, purtroppo l'effetto era stato di breve durata e avevo dovuto reagire per dimostrare che la mia tecnica non fosse fondata solo sulla difesa. Mi avrebbero tacciato di viltà se avessi perseguito quella tattica.

Il vortice d'aria lo aveva travolto sbalzandolo via. Shiryu si era schiantato poco distante, sotto gli sguardi attoniti degli spettatori. Ero riuscito a cogliere, con una fugace occhiata, il loro stupore.

Quale forza d'animo lo animava? Nonostante avesse accusato il colpo – lo avevo visto vomitare sangue e mi ero voltato, infastidito da quella scena disturbante – non aveva esitato a rimettersi in piedi. E solo in quel momento mi ero reso conto di come il nostro duello fosse stato silenzioso, non ci eravamo scambiati una parola. Seiya, al contrario, era uno sbruffone e apriva la bocca a sproposito per proferire insulti.

Ero esausto, col fiato corto, avevo profuso molta energia ed ero prossimo a esaurirla quando le circostanze ne richiedevano ancora. Ma lui dove trovava tutta quella forza? Probabilmente dentro di sé, a prescindere dall'ottavo senso.

Avevo osservato le nubi sopraggiungere a velare il cielo e la loro comparsa era stata provvidenziale perché il sole accecante non dava tregua ai miei occhi stanchi.

Shiryu si era apprestato a sferrare il suo attacco decisivo che si sarebbe rivelato potentissimo, pur senza il totale ausilio del cosmo. Avevo innalzato la barriera concentrandovi tutta l'energia di cui potessi disporre. Il Rozan Shoryuha si era infranto contro lo scudo che avevo percepito vibrare, incrinarsi, quasi fosse fatto di vetro...

Avevo provato una strana sensazione di stordimento, erano venute meno la resistenza e la concentrazione, a dispetto della volontà di perseverare fino allo stremo. Lo scudo si era infranto, o almeno, avevo avuto l'impressione che la resistenza fosse stata vinta e, in un fugace istante, avevo visto il Santo di Bronzo riverso a terra. Credevo di aver avuto la meglio, ma avevo avvertito, subito dopo, un dolore improvviso alla testa; il colpo avversario doveva avermi raggiunto senza che me ne accorgessi. Avevo vacillato, piegandomi carponi, l'equilibrio era venuto meno ma avevo avuto la prontezza di alzare gli occhi vedendo Shiryu levarsi in piedi. Era lui ad aver vinto mentre io crollavo col viso nella polvere?

Perché le Sacre Vestigia non sono state assegnate a lui? Aphrodite mi ha detto che il Sommo ha liquidato la faccenda affermando che le nostre forze si equivalgono, che pur disponendo di tecniche differenti non siamo dissimili. Ma Shiryu si era rimesso in piedi quando io ero ormai fuori gioco. Non ha senso questa decisione e, per correttezza, Dohko avrebbe dovuto assegnare l'armatura di Libra al suo allievo. Sembra una farsa. C'è un'incongruenza in tutto questo che non riesco a giustificare. No, forse è solo una mia idea sbagliata, come al solito, perché devo sempre pensare male, perché sempre tutta questa negatività?

 

***

 

Il Grande Tempio era altresì un apparato burocratico, un'organizzazione in piena regola, e ciò implicava impegno e dedizione al fine di connettere tutti gli ingranaggi di un meccanismo così complesso e farlo funzionare. Io sono un tipo più pratico, si disse Dohko, sistemando in apposite cartelle i documenti riposti sulla scrivania. In effetti non era solito trascorrere molto tempo nella biblioteca benché si impegnasse ad assolvere al proprio incarico nel migliore dei modi, adempiendo alle mansioni di sua competenza; era molto concentrato, attento a non commettere errori. Malgrado ciò percepì una debole aura e si alzò, notando l'ombra di qualcuno che indugiava sulla soglia della sala. Quindi scorse il ragazzo dal volto delicato, incorniciato da capelli fulvi che ricadevano oltre le spalle. Una figura eterea lambita dalla luce mattutina che faceva capolino dai finestroni.

“Forse, non è il momento.” Si annunciò Misty soffermandosi tra gli stipiti della porta a due battenti. “Siete impegnato?” domandò, osservando il Sommo che indossava una casacca e pantaloni di raso abbinati a calzature singolari simili a ballerine. Era quanto mai bizzarro vederlo privo dei paramenti sacerdotali e sembrava ancora più giovane di quanto non fosse in realtà.

“Non mi dai fastidio, puoi sederti se vuoi e magari darmi una mano a sistemare questo disastro.”

Il Santo d'Argento annuì, prendendo posto dinanzi alla scrivania. Inarcò un sopracciglio pensando a come barcamenarsi in tutto quel disordine.

“Permettete?” esordì Misty, e l'altro alzò gli occhi incrociando quel suo sguardo dal quale trapelò una velata impertinenza.

“Mi è giunta voce di quanto tu sia metodico e preciso. Questa è una buona occasione per dimostrarlo. Bisogna suddividere i fascicoli in ordine cronologico" rispose Dohko, cedendogli il posto. Misty annuì e stirò le labbra rosee, accennando un sorriso a sua volta, con il solito ricciolo di capelli avvolto tra le dita.

“Sì, devo ammettere che te la cavi bene in questo genere di cose" riconobbe Dohko, dopo aver constatato come il lavoro fosse stato svolto celermente e con efficienza. Versò del tè in una tazza in sovrappiù sul vassoio. “È un po' freddo ma immagino tu lo gradisca ugualmente.”

“Sì, certo. Non fa differenza, purché sia senza zucchero" replicò Misty, cedendo il posto che occupava dietro la scrivania prima di servirsi. “Volete dire che me la cavo meglio in questo, piuttosto che...” Il pensiero che gli era balenato in mente sfuggì a discapito della sua volontà.

“No, non fraintendermi. Era un elogio che non sottintendeva allusioni di alcun tipo.”

“Grazie." Misty guardò verso la finestra, al fine di mettere ordine nei pensieri, celando una sorta d'incredulità; e dopo si fece coraggio rivolgendo gli occhi cerulei verso l'interlocutore, quasi trattenendo il fiato prima di parlare.

“Ecco, io, sarei qui per chiedervi di... poter lasciare il Tredicesimo Tempio" soggiunse, chiarendo finalmente il motivo di quella visita.

“Non ti trovi bene?”

“No, al contrario, ma ho nostalgia della valle sacra.”

“Senza contare che farvi ritorno potrebbe aiutarti a recuperare i ricordi. Dico bene?”

“Ehm, esatto. Sì, intendevo quello.” Misty si aggrappò a quel pretesto, impaziente di lasciare il luogo dove dimorava l'individuo che non si era mai premurato di nascondergli il proprio disprezzo. Tentennò, osservando le volute dorate che incorniciavano gli specchi, e poi, di nuovo, l'orlo della propria camicia.

“Certamente, ti capisco benissimo. Ormai mi ero abituato alla tua presenza sei una persona gradevole, non solo esteticamente, e oggi ho scoperto un'altra delle tue qualità.”

“Con permesso" tagliò corto il Santo d'Argento, alzandosi dalla sedia e scostandola dietro di sé.

“Fermati" soggiunse Dohko, raggiungendolo mentre si dirigeva verso la porta, e lo trattenne con garbo per un braccio. “Dovrai attendere questa sera per raccogliere le tue cose e fare ritorno a casa. Nel pomeriggio ci sarà una riunione riservata ai Santi di ogni Casta, nel corso della quale farò un annuncio.”

“Vi riferite all'assegnazione delle Sacre Vestigia d'Oro?”
Dohko trasalì udendo quella domanda a bruciapelo che non si aspettava.

“Sì, esporrò il risultato della mia decisione" ammise poi, imperturbabile, ovviando all'inconveniente di essersi lasciato prendere alla sprovvista.

Non dovevano essere le Sacre Vestigia a scegliere il possessore? si disse Misty, facendo attenzione a non esternare la propria perplessità, ma limitandosi ad annuire docilmente con un moto dello sguardo...



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Capitolo 5
*** Capitolo V ***


 

 

Gli Eletti, capitolo V

 

 

VIII

 

La scelta

 

Che strano effetto indossare l'armatura dopo tutto questo tempo, ma è solo una formalità alla quale ognuno di noi è tenuto ad aderire. Mi sento strano, quasi fuori posto. La Sala delle Udienze è sempre stata un luogo freddo, asettico, nonostante la solennità promani da ogni singolo elemento strutturale e decorativo. Dovrebbe essermi familiare eppure mi sento un estraneo. L'ipocrisia che impera in quest'ambiente è intollerabile, e tuttavia debbo fingere, accondiscendere all'adulazione dei Santi, delle genti che popolano il Santuario. Sono tutti presenti e chissà cosa stanno pensando. È curioso appurare come le circostanze abbiano indotto le persone a cambiare il loro modo di rapportarsi nei miei confronti, sebbene abbia constatato che alcuni sono davvero leali.

Ho un cerchio alla testa, il diadema d'argento sembra essersi fatto troppo pesante... mi sento a disagio, stento a sorreggermi sulle gambe troppo a lungo fermo nella stessa posizione; non mi sono ancora ristabilito del tutto. Ho come la sensazione di vacillare in bilico su una corda tesa, come un funambolo maldestro. Sarà l'inquietudine: avverto tutti gli sguardi su di me, ma qualcosa mi mette in guardia dal cedere ai facili entusiasmi poiché l'essere osservati non è sempre sinonimo di buone intenzioni o approvazione da parte di chi guarda.

C'è troppo silenzio in aula, non si ode alcun mormorio. Non oso rivolgere un altro sguardo a quel Santo di Bronzo: ha insistito affinché gli stringessi la mano e mi rendo conto solo ora di come la mia si sia abbandonata, molle e appiccicaticcia, nella sua. Inetto che sono... anche in siffatte banalità riesco a distinguermi.

 ~

Il Sommo si presentò all'udienza sbucando dal solito accesso secondario occultato dai drappi cremisi. Era bardato nei paramenti, col volto coperto dalla maschera, e indossava il copricapo aureo investito dal riflesso di una flebile illuminazione. Il fruscio delle vesti e della cappa ondeggiante fu l'unico rumore a udirsi nel silenzio che pervadeva l'ambiente. Guadagnò lo scranno con la risolutezza che lo contraddistingueva, e si rivolse ai presenti con l'usuale formula prevista per gli annunci ufficiali. Richiamò poi i diretti interessati al suo cospetto, ed entrambi si allinearono ai due lati opposti della guida rossa, uno di fronte all'altro.

Dohko indugiò, prolungando quell'attimo di raccoglimento come nell'atto di organizzare i propri pensieri al fine di trovare parole adatte a ciò che voleva esprimere. Lo sguardo acuto – dietro la maschera – vagò, soffermandosi, per assicurarsi che nessuno mancasse all'appello; e dopo si posò sui due Santi: di Bronzo e d'Argento. Indossavano le rispettive armature come imponeva la regola. Uno contrapposto all'altro e contrastanti nell'aspetto.

“Ho dovuto rinviare la decisione a oggi, ed è stato un ritardo dovuto a circostanze sfavorevoli che tutti conoscete. Un periodo di cui ho approfittato per ponderare la scelta che concerne la designazione del mio successore.” Dohko rimosse la maschera, riponendola su di una mensola a lato del seggio dorato, e deglutì un sorso d'acqua dal calice che un'ancella gli aveva sporto su di un vassoio. In realtà non aveva sete, ma il suo era un gesto retorico che rientrava nelle consuetudini della formalità, funzionale alla necessità di prendere del tempo volto a trovare le parole giuste, appropriate. Non che gli importasse di come uno degli aspiranti avrebbe preso la notizia, era una sensibilità ben lungi da quel ruolo e dal proprio essere, tuttavia bisognava comunicarla nel miglior modo possibile. Maturare la scelta gli era risultato meno complicato del previsto, dopo aver valutato tutti gli elementi e le varianti a disposizione. Egli sospirò: non un muscolo contratto sul volto serafico su cui spiccavano due occhi profondi e attenti. Dohko non era solito trincerarsi dietro una maschera inespressiva e, sebbene ciò costituisse un'inadempienza al protocollo, era di sicuro un gesto apprezzabile, utile a testare la trasparenza delle sue decisioni e, forse, non del tutto lasciato al caso.

“Dalla sfida è emerso che le vostre tecniche, benché differenti, si bilanciano quasi in perfetto equilibrio. Sicché mi è parso inutile formulare un giudizio in cui si contempli la forza. Ho tenuto conto del fatto che Shiryu combattesse avvantaggiato dall'ottavo senso, mentre il suo antagonista – sebbene di rango superiore – disponesse a malapena del sesto a cagione delle mancate esperienze. Quindi, quantunque ai vostri occhi Shiryu fosse risultato vincitore, in realtà, non avrebbe avuto la meglio se l'avversario fosse stato di pari livello. E ho temuto per l'incolumità di entrambi.” I suoi occhi di giada si posarono per un istante sull'allievo, tradendo amorevole affetto, per poi indugiare sul di lui – non più – sfidante; scrutandolo come se volesse scandagliare nel profondo di quella mente insondabile. Distolse poi l'attenzione, resosi conto di averlo messo in imbarazzo.

“In verità avevo, già da molto tempo, ben chiaro in mente chi sarebbe stato il mio successore ideale, ma ho voluto concedere una possibilità anche al Santo di Lacerta... ” precisò, incontrando di nuovo quello sguardo.

Misty trasalì udendo tali parole, e i suoi occhi azzurri brillarono – vitrei – per poi eclissarsi dietro un battito di palpebre. Un nodo in gola. Un respiro profondo per infondersi una tranquillità inesistente... Sembrava un giudizio giusto, una conclusione plausibile che non lasciava spazio a diverse interpretazioni.

La sua disquisizione sancisce una verità sacrosanta, si disse Misty, abbassando lo sguardo sul pavimento di marmo levigato a specchio. Poteva quasi scorgervi la delusione impressa sul suo volto, congiunta allo sfolgorio degli elementi che componevano la corazza d'argento; la quale si accese per un istante, avvolta dall'intensità dell'aura sprigionatasi in virtù dei suoi sentimenti. Onorerò la mia... la costellazione che attualmente rappresento, si ripromise.

“Quindi, a prescindere dal diritto conseguito da entrambi di ereditare le Sacre Vestigia – in forza della prova data sull'Arena – , la mia scelta verterà sulla somma di esperienze acquisite nel corso delle relative imprese...” soggiunse Dohko.

Quali imprese? Io non ne ho compiute... il mio nome non è contemplato nella lista dei prescelti, lo so bene, si ripeté Misty, tra sé e sé, sospirando. Doveva essere forte benché avesse già pronosticato il verdetto figurandoselo più volte.

“Le Sacre Vestigia di Libra appartengono a Shiryu del Drago, di diritto, un diritto acquisito sul campo di numerose battaglie. Tra sette giorni si terrà la cerimonia d'investitura durante la quale a te, Shiryu, sarà consegnato lo scrigno, nonché potrai prendere dimora alla Settima Casa" concluse il Gran Sacerdote.

Un tacito assenso, uno sguardo sfuggente, e il Santo d'Argento si levò in piedi, indietreggiando, lasciando che gli altri si congratulassero col vincitore. Il peso dell'armatura divenne insostenibile per le sue membra stanche; avrebbe desiderato eclissarsi, liberarsi da quel fardello, svanire nel nulla, ma l'etichetta lo vincolava a rimanere in quel luogo a vivere l'incubo dei convenevoli e dei languidi sorrisi, delle false frasi di circostanza – melliflue. Non gli recavano conforto le parole di incoraggiamento che qualcuno stava spendendo per lui.

“Dovresti essere orgoglioso di te stesso, la dimostrazione di abilità che desti quel giorno ti ha riscattato dalle tue mancanze.”
Alzò la testa rivolgendo la propria attenzione verso la figura che lo sovrastava con la propria regale imponenza – quegli occhi profondi e sinceri: Saga...

“Ti ringrazio per la tua gentilezza" rispose al proprio interlocutore, diffidente, guardandosi intorno per dissimulare il proprio smarrimento, assorbito da altre preoccupazioni. Il suo maestro aveva mantenuto le distanze. Aphrodite lo aveva ignorato, lo stava ignorando – forse di proposito, e conversava imperterrito con i Santi della Quarta e Decima Casa.

“Sono sincero. Volevo congratularmi con te malgrado l'esito sfavorevole" continuò Saga.

“Grazie... e scusami, ma ero distratto.” Misty abbassò gli occhi sfilando il diadema che gli cingeva la fronte sudata, perché non riusciva a sostenere l'intensità di quello sguardo né il peso di tali parole. Si sottrasse a quell'accenno di conversazione, sfuggendovi, come avrebbero fatto granelli di sabbia tra le dita. Saga di Gemini lo osservò allontanarsi e scosse il capo, non poteva che intuire lo stato d'animo in cui versava e forse lui era la persona che meglio avrebbe potuto comprenderlo.

Si era generata confusione e i Santi avevano rotto le righe, l'atmosfera solenne aveva ceduto il passo al giubilo per il festeggiato. Era una buona occasione per sgattaiolare in sordina ma i parigrado erano riusciti ad avvicinarlo.

“Favoritismi. Sono solo favoritismi.”

“Asterion, non ho bisogno di essere consolato. Non ho bisogno che qualcuno trovi una giustificazione al mio fallimento.” Misty ammiccò con un mezzo sorriso stampato sul volto d'angelo, tranquillo, ponendo una mano sulla spalla del suo pari per rassicurarlo. E poi si voltò con disinvolta noncuranza adocchiando l'uscita secondaria.

“Non è da te accondiscendere a una decisione del genere senza reagire, ed è probabile che ciò sia dovuto al fatto che non ricordi nulla.”

L'altro sviò lo sguardo come volesse impedirgli di leggervi dentro: “E perché, Asterion? Il Sommo non mi ha sminuito con le sue parole, si è limitato a esporre l'esatto svolgimento dei fatti – testimoni tutti i presenti, e nessuno ha obiettato. A cosa mi servirebbe ricordare?”

“Non ti capisco, sei strano.”

“Non c'è niente da capire" rispose Misty, indietreggiando ancora, scambiandosi un'occhiataccia con Algol di Perseus – non si erano ancora parlati dall'ultima volta. Ancora un passo indietro ed era fatta: si fiondò dietro ai tendaggi e si dileguò all'ombra delle colonne percorrendo lo scalone di gran carriera.

 ~

Era nuovamente solo in quella stanza semibuia, ripiegò il mantello, si spogliò dell'armatura deponendo i singoli elementi nello scrigno, con deferenza, e lambì la superficie metallica con le labbra. Avrebbe incaricato un servitore di trasportarlo fino a valle poiché gli mancavano le forze. Si accostò alla parete, scivolando a sedere con le braccia avvolte attorno alle ginocchia, il capo chino. L'oscurità era così rassicurante, affine alla pace interiore che finalmente aveva ritrovato. Non bisognava più lottare per qualcosa o confidare in effimere illusioni. Gli impegni della vita quotidiana lo avrebbero assorbito, tutto sarebbe tornato alla normalità...

~

Aprì gli occhi, inglobato dal buio perenne, destatosi nel bel mezzo di un sogno che aveva obliato, e privo della cognizione dello spazio e del tempo. Ma si riebbe, realizzando che, sì, quella era la sua stanza, rivolta a Nord, dalla cui finestra si poteva ammirare la pineta che conduceva alla spiaggia. Era notte fonda ed era nel suo letto. Si girò sul fianco avvolgendosi nel lenzuolo.

Si risvegliò quando il sole era già alto e dischiuse gli occhi a fatica, avrebbe desiderato restare a dormire ma si era ripromesso di contrastare quella deleteria indolenza. Il tempo di rimettersi in sesto, recuperare la solita uniforme, e attardarsi a contemplare il proprio riflesso allo specchio: gli occhi blu – lapislazzuli – intrisi di malinconia e segnati da quel velo di stanchezza che accentuava il pallore del volto. Misty languiva nell'apatia come le rose appassite nel vaso dall'acqua torbida.

Lo stridere dei cardini della porta d'ingresso lo indusse a prendere coscienza della realtà, e si accinse controvoglia a dare una parvenza di benvenuto all'ospite inatteso. Rimase interdetto, non si aspettava una visita da quella persona, ma si riscosse con un battito delle ciglia per non dare a vedere la propria perplessità.

“Non hai perso l'abitudine di lasciarla aperta, vedo.”

“Sono un Santo di Athena, Aphrodite. Non vedo cosa dovrei temere" sbuffò, seccato.

“Oh ma nulla, infatti. Se non... che qualcuno violi la tua privacy quando tu non voglia, come ho fatto io adesso" esordì Aphrodite, irrompendo all'interno dell'abitazione con sfrontata disinvoltura, spargendo il consueto effluvio di rose. E fu in quel frangente che Misty vide il suo mentore recare un libro sotto il braccio. Si grattò il capo mentre l'altro si voltò, riponendo il testo, che avrebbe dovuto catturare la sua attenzione, sul tavolo.

“Ti dice nulla?”

Il principe Caspian... Misty spalancò gli occhi accorgendosi di aver lasciato trasparire il proprio stupore. Prese fiato, dopo aver vacillato e perso l'equilibrio, e si portò una mano al volto, con la sensazione di aver perso l'udito dalla parte dove era stato colpito a tradimento. “Che significa?” protestò.

“È il tuo turno di giustificarti.” Gli intimò Aphrodite con calma serafica, in quanto sembrava aver riversato tutta la tensione e la collera nella forza del proprio braccio. Provò un repentino pentimento a causa del gesto impulsivo – la violenza era un argomento che non gli apparteneva, ma sentirsi sbeffeggiato feriva il suo orgoglio, soprattutto se l'oltraggio proveniva da un Santo di rango inferiore.

“Sei davvero caduto in basso non ti riconosco, questo comportamento triviale, da osteria, non ti si confà. Non conosco quel libro e non capisco a cosa alludi.”

“Avendo già letto il primo volume sarebbe bene passare al secondo... chi credi di ingannare, per chi mi hai preso? Per un idiota, forse? I miei sospetti erano fondati, credi che non abbia notato la tua espressione alla vista del libro. Quando ti è tornata la memoria, da quanto tempo?”

“Non ti riguarda.”

“E invece, sì. Non uscirò da qui fino a quando non mi avrai dato una spiegazione, e dovrà essere convincente.”

“Se credi di estorcerla con la forza non otterrai nulla, rassegnati.” Udendo quella risposta Aphrodite impallidì e corrugò le sopracciglia; la fronte fu solcata, a un tratto, da linee orizzontali. Si chinò, sedendo a terra accanto a Misty, incapace di argomentare.

“Potrei confermare che fai bene a non fidarti perché ho sempre sfruttato gli altri per raggiungere i miei obiettivi, per esaltare me stesso. Non posso considerarmi una persona altruista. Ed è improbabile che un individuo così meschino possa cambiare, giusto? Vi compiacete tutti di voler affermare la vostra superiorità, e con ogni mezzo, a quanto pare” affermò Misty, dopo essersi inumidito le labbra con la lingua, e scoccandogli uno sguardo tagliente.

A chi si riferisce? Aphrodite sussultò dopo aver ponderato sul nesso di quell'affermazione, ma non ebbe il tempo di riflettere che altre parole lo travolsero come un fiume in piena.

“La memoria è tornata solo da qualche giorno, se questo può tranquillizzarti. Vuoi sapere perché l'ho tenuto nascosto? È semplice, sai?” continuò il discepolo, guardando nel vuoto e cogliendo il rammarico di chi non era più così tanto sicuro di voler sapere la verità. “L'ho fatto per capire chi fosse davvero sincero nei miei confronti, in un contesto che difetta di tale virtù” disse alzandosi in piedi.

Il Santo d'Oro si morse il labbro inferiore e strappò un filo di troppo che spuntava dal tessuto della tunica che indossava.

“Adesso che sei a conoscenza della verità puoi farne cosa vuoi, spiattellarla in giro se lo desideri. Io non ho più nulla da perdere. Né sogni né desideri da realizzare.” Misty si accostò allo specchio, scorgendo con orrore il vasto livido che stava fiorendo sulla guancia e deturpava la pelle bianca.

“È solo il divario gerarchico che mi trattiene dal ricambiare quest'affronto con gli interessi. Dimentica la mia esistenza" soggiunse, stringendo il pugno fino a far sbiancare le nocche, pur mantenendo il contegno misurato che lo contraddistingueva.

Aphrodite si levò in piedi a sua volta e gli girò le spalle, celando il proprio sconforto dietro un silenzio esaustivo carico di dolore e rimpianto. Richiuse la porta dietro di sé.

~

Si era ripromesso di tornare alle vecchie abitudini come se nulla fosse accaduto, avrebbe accantonato quella spiacevole parentesi della sua vita per ricominciare daccapo un'altra volta; sebbene quella non fosse la giornata ideale per attuare i buoni propositi. Non era cominciata bene.

Le persone coinvolte nelle attività agonistiche non avevano notato la sua presenza nella cavea. Misty aveva attraversato i settori al primo livello, guardandosi intorno, per poi incamminarsi in prossimità dell'emiciclo superiore dal quale avrebbe potuto seguire lo svolgimento delle esercitazioni senza dover interagire con gli altri. Le bende avvolte intorno alle mani e agli avambracci erano un accessorio del tutto superfluo. In questo non era cambiato, né sembrava avesse intenzione di farlo; i suoi pari conoscevano quelle abitudini ed evitavano di porgli domande a riguardo. Asterion, infine, riuscì a individuare la sua figura sottile defilata in un canto e, a distanza, gli rivolse un cenno di saluto; cosicché anche i Santi che si stavano affrontando nell'Arena notarono la sua presenza. Misty ricambiò la cortesia suo malgrado, anch'egli con un semplice cenno della mano, stirando appena le labbra in un sorriso forzato. Rivolse poi lo sguardo all'imponente sagoma dell'Anfiteatro, coronata dal loggiato che si stagliava contro il cielo terso.

“Stamane ho visto Pisces provenire da casa tua, sembrava abbastanza turbato.”

“Abbiamo avuto una discussione dalla quale sono emerse alcune divergenze, ma niente di irrisolvibile" spiegò Misty alzandosi in piedi, glissando sull'episodio. Era distratto dalla presenza di Algol che aveva scorto nell'Arena, insieme con gli altri. I suoi pensieri si rivolsero a lui pur senza darlo a intendere, aveva progettato di nascondere ancora per qualche tempo il fatto di aver recuperato la memoria. Sentiva il bisogno di starsene un po' in pace – riflettere – , non necessariamente rinnegare il recente passato. Sempre se... Aphrodite non avesse intenzione di spifferare tutto.

Solo una discussione?” esordì Asterion guardando il suo volto. Avrebbe voluto sfiorargli la guancia con la mano ma la nobile aura che, da sempre, accompagnava il suo pari lo persuase a mantenere un rispettoso distacco. Si limitò a contemplarne le fattezze sebbene la macchia bluastra, che campeggiava su quel candore di giglio, ne alterasse la perfezione.

“A volte pecca di impulsività, bisogna comprenderlo" rispose l'altro, sarcastico, aumentando il passo fino a giungere sul terrazzo per poi rallentare l'andatura, limitandosi a passeggiare entro il deambulatorio. Aveva sperato che la presenza di Asterion non attirasse qualcun altro da quelle parti, invece Algol li aveva già quasi raggiunti procedendo verso quello spazio riservato agli spettatori in piedi – vuoto in quel momento – che si poteva percorrere agevolmente in lungo e in largo. A quel punto Misty si aggrappò alla speranza che Asterion non si defilasse lasciandolo solo con l'incomoda presenza; ma il Santo di Canes Venatici aveva subodorato qualcosa, a modo suo, realizzando che forse entrambi avessero la necessità di scambiarsi due chiacchiere in privato.

Misty si rassegnò così a dover affrontare Algol da solo: impassibile, le mani sui fianchi, ma lo scrutò di sottecchi. “Cosa vuoi?” domandò anticipandolo, sapendo di averlo messo a disagio perché conscio del fascino esercitato su di lui – e su ognuno di loro.

“Congratularmi con te" ribatté l'altro, prontamente, con la solita boria che scaturiva dagli occhi grigi, arguti.

Zeus... anche tu! E per cosa!” esclamò Misty, e poi si voltò guardando in direzione delle persone che contendevano nell'Arena. Ravviò i capelli fingendo interesse per ciò che vedeva, al fine di distogliere l'attenzione del proprio interlocutore dalla sua persona.

“Per aver ingaggiato un duello dignitoso col mio antico rivale" incalzò Algol, imperterrito.

“Dignitoso?”

“Così è stato.”

Un momento di silenzio intercorse tra i due, un attimo in cui Misty si estraniò, assorto in un monologo interiore dal quale emersero alcune conclusioni che poi espresse a voce alta: “Peccato... mi dispiace di non essere riuscito a dar lustro alla nostra bistrattata Casta. Non sono riuscito a personificarmi nella tua nemesi.” Gli scoccò un'occhiata ferina e Algol, d'un tratto, smarrì la sua baldanza, in quanto tale affermazione gli ricordò stralci di un loro diverbio.

“Sei allibito, Perseus?” Il Santo di Lacerta non esitò a istigarlo. Inarcò le sopracciglia abbozzando un sorrisetto di sufficienza. “E non t'inganni" confermò, volgendo lo sguardo a terra, dopo essersi fatto serio all'improvviso.

“Tu ricordi la conversazione intrapresa in quel frangente?” Algol arricciò le labbra cambiando espressione.

“Non solo quella, e dovrei porgerti le scuse per come ti ho trattato in seguito.”

“Beh, io non sono stato da meno se è per questo.”

“È acqua passata, ormai" concluse Misty accostando la schiena a una colonna.

“Comunque insisto a volermi complimentare con te, avresti meritato il titolo.”

“La posta in gioco era troppo alta, ma ho tentato. Tutto sommato non me ne rammarico e mi accontento della mia posizione attuale, desidero ricoprirla al meglio.”

“Non lo avresti detto una volta.”

“Sono successe troppe cose, in breve tempo, che non so... mi hanno indotto ad accettare – non passivamente, intendiamoci – il mio ruolo. Per predestinazione o quant'altro, e non mi resta che onorarlo. Solo in questo modo potrò dar lustro alla nostra Casta.” Si lasciò scivolare fino a terra, accoccolandosi, per contemplare lo scorcio di cielo che faceva capolino tra le arcate a tutto sesto. “Vedi, Algol. In realtà non è necessario mostrare ciò che non siamo al fine di essere stimati. Non è l'essere ricoperto d'Oro e conseguire uno status più elevato a decretare il mio valore, o rendermi una persona migliore, ma ben altro. Forse non è stato tutto vano, forse questa storia varrà a far sì che gli altri riconoscano le mie qualità – a prescindere dall'esito della contesa. È ciò a cui maggiormente aspiro oggi.”

 

***

 

È una creatura fragile, lo è sempre stato... il suo cuore è puro, ed è sincero. È colpa mia, sono stato io ad averlo invischiato in quel pasticcio, gli dissi che possedeva il settimo senso, instillai false illusioni nella sua mente. L'ho trascinato in un confronto dal quale non sarebbe potuto uscire vincitore per una semplice questione di logica e predestinazione: Dohko lo sapeva e aveva ragione, ma io sono stato testardo e presuntuoso. Sapere che Misty ha dato del suo meglio non è servito a compensare la mia delusione. Perché sì, Aphrodite, ti sei sempre preoccupato solo delle apparenze...

Se il mio allievo avesse ottenuto le Sacre Vestigia d'Oro ne avrei beneficiato di riflesso, avrebbe dato lustro anche alla mia immagine, ed è questo ad aver scatenato la mia reazione – non c'entra il fatto che mi abbia nascosto di aver recuperato i ricordi. Questa è la verità. Sono un mostro. Il marciume che si cela dietro una facciata di brillante rettitudine.

Si fermò dinanzi alla Settima Casa, assicurando la spilla sul mantello avvolto intorno alle spalle, approfittandone per sfilarsi i calzari e rimuovere un sassolino che si era introdotto all'interno. I pensieri che irrompevano a sconvolgere la sua serenità smisero di fluire ininterrottamente. Silenzio. Non si era reso conto della velocità con cui aveva intrapreso il cammino e ora sentiva le tempie pulsare e il cuore scoppiare nel petto. Si era seduto all'ombra di una quercia, su un blocco di marmo, prendendo fiato, e aveva preso a osservare, senza volerlo, i preparativi che fervevano per rendere accogliente quella dimora; un cospicuo numero di servitori e ancelle si stava adoperando a quello scopo. L'edificio sacro aveva un aspetto singolare che differiva dalle consuetudini del luogo; sarebbe stato un Tempio come tutti gli altri, caratterizzato da elementi compatibili con l'architettura classica, se non fosse stato per quella sorta di cupola dalla copertura a spiovente che rimandava a uno stile tipico della cultura orientale...

Aphrodite si destò da quel rimuginare a occhi aperti. Aveva sondato nel proprio animo riscoprendo un altro se stesso: il mio alter ego, sentenziò prendendosi la testa tra le mani per poi riscuotersi, levandosi da quel monolite. Si avviò verso i livelli superiori, stavolta attenendosi a una lenta andatura in modo che la brezza asciugasse il sudore filtrando attraverso gli indumenti. L'aria gonfiava l'ampio mantello di cotone scompigliandogli i capelli. Si fermò volgendosi indietro, non aveva mai notato quanto fosse ripida la scalinata che si snodava alle sue spalle; la quale lambiva – serpeggiando – i Templi arroccati sulle pendici a strapiombo del monte. Fu colto dalle vertigini e si empì i polmoni d'aria incamminandosi nuovamente. Oltrepassò l'Ottava e la Nona Casa, infine giunse sulla soglia della Decima. Si scambiò un cenno formale con Capricorn, il quale gli consentì il libero accesso. Ma Aphrodite e Shura non erano solo commilitoni bensì buoni amici, e quest'ultimo si avvide che qualcosa turbava il Custode del Tempio di Pisces; tuttavia non intendeva chiedergli perché avesse deciso di avventurarsi fino a valle per ritornare così abbattuto.

“Hai fretta?”

“No, perché me lo domandi? Lo sai benissimo che – salvo diverse disposizioni o impegni quotidiani – le nostre giornate sono poco intense. È un periodo di pace e mi auguro che duri a lungo" rispose Pisces emettendo un sospiro. Scostò i capelli dal volto sudato e sganciò la spilla appuntata alla stoffa del manto facendolo scivolare lungo le spalle, sedendosi su un gradino della rampa.

Shura prese posto al suo fianco, con i gomiti sulle ginocchia e il mento appoggiato sulla mano. Non disse nulla e si limitò a contemplare lo scorcio sulla vallata verdeggiante; il cielo color cobalto velato da qualche candida nube sospinta dal vento...

“È per Misty?” esordì poco dopo, soffiando sul ciuffo di capelli neri – come ali di corvo – che gli solleticava la fronte.

“No, è a causa di me stesso" replicò lo svedese abbassando gli occhi, lasciando vagare lo sguardo lungo i gradini di pietra sottostanti.

“Non credo tu abbia sbagliato. Hai agito umanamente, le tue intenzioni erano buone...”

“Credo di non averlo fatto per lui, ma a causa della mia vanagloria.”

“Non penso. Ecco, la verità è che ti senti turbato per l'insuccesso del tuo allievo... e credi di esserne responsabile.”

“Avrei dovuto intuire che non ce l'avrebbe fatta, era scontato che Shiryu non fosse un avversario alla sua portata... eppure mi ero auto convinto del contrario. Come se fosse tutto un gioco.” Aphrodite si strinse nelle spalle.

“Ascolta... se Dohko avesse ritenuto la tua proposta una follia non avrebbe acconsentito alla sfida. Se lo ha fatto è perché si poteva fare. Lui stesso sostiene che lo scontro si sia risolto in parità. In merito alle Sacre vestigia d'Oro, non ha fatto che maturare la sua scelta decisiva semplicemente per una questione di giustizia nei confronti di Shiryu.”

Aphrodite tacque riflettendo sulla considerazione appena udita, ma si astenne dal replicare lasciando che il suo pari – quel giorno stranamente loquace – concludesse il discorso.

“Forse hai preteso l'impossibile dal tuo discepolo. Hai preteso molto da lui, come sei sempre stato troppo esigente verso te stesso.”

“Sono un idiota.”

“La perfezione non è di questo mondo. Gli avvenimenti del passato ne sono la prova più eclatante. E se hai commesso una mancanza puoi sempre riparare, se hai offeso qualcuno puoi sempre scusarti con lui" replicò Shura, avvicinandosi alla verità come se fosse stato in grado di sondare nei meandri della sua mente.

Aphrodite materializzò una rosa rigirando lo stelo tra le dita esili: “Quando un vaso si rompe puoi provare a rimettere insieme i cocci, ma la forma ottenuta non sarà mai più come quella originale. Temo che non ci sia rimedio questa volta" disse annusando il dolce profumo del fiore... gli occhi stretti a fessura.

 

***

 

IX

 

Epilogo

 

In altri tempi avrebbe rifuggito l'avvento di quel giorno come un calice amaro. Sospirò senza rimpianti, aveva forse riscoperto se stesso? Riesumando quella piccola parte umile e razionale del proprio sé che languiva quiescente nell'animo? Si soffermò poco prima di raggiungere la rampa di scale che si inerpicava, dalla Prima Casa, su per il monte; e sistemò il mantello che ricadeva lungo le spalle, privo di pieghe antiestetiche, scivolando sull'armatura d'argento lambita dai raggi del sole. Misty sapeva che quella parvenza di serenità non sarebbe durata a lungo; si conosceva, aveva appreso – mediante le proprie disavventure – di non essere così perfetto, ma invidioso, fragile ed emotivo. Tuttavia sarebbe sopravvissuto allo smacco, le Sacre Vestigia d'Oro sarebbero state assegnate a un altro Santo ma lui ne era uscito a testa alta, se lo ripeteva all'infinito per convincersene.

Non pensava di essere in ritardo ma, fatto ingresso al Tredicesimo Tempio, vide già buona parte dei convenuti. Ravviò una ciocca di capelli, ricaduta sul volto pallido che avvampò a causa di un colpo di calore improvviso. Forse non si era reso conto di aver percorso il tragitto a passo sostenuto, sopraffatto dall'ansia inconsapevole. Gli indumenti a contatto con la pelle erano fradici di sudore e, malgrado ciò, si ricompose, allineandosi accanto ai suoi pari nella postazione loro riservata. La presenza delle persone che gli erano state più vicine nei momenti bui lo rasserenò.

Guardò verso il lato opposto della sala dove stazionavano i Santi d'Oro: figure imponenti che si stagliavano nella penombra – smorzata appena dalla debole illuminazione. Aphrodite era tra loro: la chioma fluente gli ricadeva lungo le spalle e le Sacre Vestigia di Pisces sembravano disegnate appositamente per lui, a giudicare dalla grazia con cui valorizzavano la sua figura. Come al solito si distingueva, ma Misty si voltò dall'altra parte. Non aveva nessuna intenzione di rimangiarsi la parola data e tra i due sarebbe intercorso un rapporto puramente formale, nulla di più.

Abbassò un poco lo sguardo sui piedi, calzati in stivali e schinieri d'argento; sul pavimento di marmo che rimandava il riflesso delle immagini soprastanti. Uno sguardo che, subito dopo, vagò volgendosi a contemplare il fondo della sala le cui mura erano rivestite da drappi sanguigni, davanti ai quali si stagliavano i due seggi riservati al Gran Sacerdote e ad Athena.

Al centro dell'aula si ergeva un basamento su cui era deposto un oggetto cubico celato da un drappo di velluto.

L'odore d'incenso era intenso e gli solleticava il naso, Misty trattenne a stento uno starnuto asciugandosi una lacrima.

Mancava qualcuno all'appello ed erano i cinque eroi, i Santi di Bronzo. Se ne avvide solo nel momento in cui fecero la loro comparsa dal portale principale, come meteore nella solenne semioscurità. Possibile che fosse talmente assorto da non essersi accorto della mancanza di Shiryu? Quest'ultimo comparve subito dopo e fu accolto da applausi scroscianti – congiunto alla sua apparizione – si palesò anche Dohko, seguito da Athena. Saori Kido si ripresentava dopo una lunga assenza... vestita di candida purezza, adorna d'oro: uno sguardo risoluto spiccava sull'incarnato alabastrino di fanciulla.

Misty chinò il capo senza volerlo, quella presenza lo aveva messo in imbarazzo. È bella... si disse dopo aver osservato per la prima volta la persona, anziché i gioielli che indossava. Una giovane donna, fragile all’apparenza, ma con un'enorme responsabilità sulle spalle. Come ho potuto non pensarci prima? Ero troppo preso dalla smania di protagonismo... lei mi ha perdonato senza pretendere alcuna scusa. Non posso guardarla, mi vergogno; Saori Kido è Athena, la vera Athena.

“Hai la testa tra le nuvole?”

“No, Asterion. Ero sovrappensiero.” L'orgoglio gli impedì di svelare quale fosse l'oggetto delle sue riflessioni. Si destò, elevando il capo per prestare la giusta attenzione alle persone che stavano dando inizio alla cerimonia d'investitura.

Il Sommo si approssimò al basamento dove era riposto lo scrigno e rimosse il drappo che lo ricopriva. Finalmente, chi non lo aveva mai visto poteva ammirarlo. Misty sgranò gli occhi, sbalordito, lui era tra quelli che non l'avevano mai contemplato.

“Shiryu, vieni qui.”, disse Dohko. “Le Sacre Vestigia che hai già onorato in passato non esiteranno a riconoscere il legittimo possessore.”

In risposta vi fu silenzio, il brusio si era quietato all'istante per consentire a Shiryu di entrare in sintonia col simulacro della costellazione di appartenenza. Il Santo di Bronzo annuì dirigendosi verso l'altare che era stato approntato per l'occasione, e mormorò qualche parola in segno di rispetto.

...

Le Sacre Vestigia sembravano prive della scintilla divina che albergava in esse, come se fossero costituite da una lega senza valore. Shiryu mantenne la calma proverbiale, e altrettanto fece il suo maestro il quale, perplesso, si grattò il mento. Bisogna pazientare, si disse. Potevano sussistere infinite ragioni per cui l'armatura non riconoscesse subito il possessore. Lo scrigno era freddo come il marmo, non emanava alcuno sprazzo di luminosità. Dohko ritrasse la mano dopo averlo toccato, e iniziò a passeggiare – adagio – un po' per alleviare la tensione, dopo aver riposto in un canto la clamide che gravava sulle spalle poiché stava sudando sotto i paramenti.

“È comprensibile che tu sia teso, Shiryu. Ma devi essere paziente.” Si era rivolto al discepolo. “Non innervosirti.” Lo esortò a mantenere i nervi saldi, ancora una volta.

Lo scrigno non dava segni di vita. Dohko rilevò la stessa apprensione anche sui volti, esterrefatti, dei Santi di Bronzo, e una comprensibile perplessità in tutti gli altri. Si propose di attendere prima di sciogliere l'adunanza, avendo constatato che le loro aspettative sarebbero state deluse. Si era spazientito anche lui ma non doveva darlo a vedere. Sondò in quei volti e i suoi occhi profondi si posarono sul giovane Santo d'Argento; ma sorvolò senza indugiare oltre, voltandosi per ripercorrere il perimetro dell'area con placida tranquillità. L'attesa si stava prolungando, spasmodica, e sembrava davvero preludere a un esito inconcludente.

Shiryu fu sul punto di percuotere l'ammasso di ferraglia inerte, ma sfoggiò un contegno imperturbabile malgrado avesse i pugni serrati allo spasimo. Aleggiò ancora silenzio, fino al momento in cui la presa di posizione del Sommo non infranse l'atmosfera sospesa, alquanto bizzarra e surreale. Aveva preso una decisione sofferta: un tentativo, un'opzione alternativa in extremis, poiché l'armatura non poteva restare vacante ancora a lungo.

“Lacerta" proruppe, sbucando da dietro una colonna del peristilio a braccia conserte. “Togliti l'armatura.”

Misty esitò, spalancando gli occhi e fissandolo come se stesse farneticando.

“Non farmi perdere la pazienza anche tu, e fa' come ti ho detto.”

Shiryu aggrottò le sopracciglia scure, serrando le labbra sottili in una smorfia di disappunto; molti, in quel frangente, espressero la medesima contrarietà che si palesò dai loro volti o da un sommesso imprecare tra i denti. Il Gran Sacerdote esortò il consesso dei Santi al silenzio, era ormai irremovibile e non sarebbe tornato sui propri passi. Misty, da parte sua, avendo udito la precedente imposizione, avanzò di qualche passo - oltre la linea demarcata dalla presenza dei commilitoni - e guadagnò lo spazio necessario per effettuare l'operazione. Il volto gli si imporporò, imperlandosi di sudore. Non si sentiva affatto tranquillo ma sfilò dapprima il diadema per poi procedere, con lentezza, a rimuovere ogni singolo elemento dell'armatura: i bracciali, il pettorale, la fascia metallica che gli cingeva la vita, e via dicendo. Sapeva che quella flemma avrebbe infastidito il Gran Sacerdote, già spazientito, ma non si lasciò influenzare dalla sua malcelata insofferenza. Il colore rosa degli indumenti sottostanti sembrava risaltare senza la protezione dell'armatura, particolarità che indusse qualcuno a sorridere...

Dohko soprassedette ignorando il particolare che aveva suscitato l'ilarità degli altri, facendogli cenno di avvicinarsi in prossimità dello scrigno; al che voltò le spalle ai presenti per raggiungere il proprio seggio e occuparlo. Prese un respiro rimuovendo il copricapo aureo e deponendolo con cura sulla solita mensola. Quel ragazzo non è concentrato, chissà dove ha la testa... dedusse tamburellando con le dita sul bracciolo del trono.

Misty incontrò il suo sguardo e lo fissò come se ne avesse captato i pensieri più reconditi, ma in realtà era più preso dai propri timori, quasi il momento dell'ennesima prova avesse l'effetto di deprimerlo anziché rallegrarlo. Provò a concentrarsi, abbassò le palpebre per poi riaprire gli occhi cerulei e sondare tra le scanalature dello scrigno, contemplando le incisioni che ne riproducevano la simbologia sacra. Rapito, estasiato da tanto splendore.

Il manufatto baluginò percorso da un guizzo di vita, da una luce in grado di fendere l'oscurità più profonda. E non fu solo Misty a percepire il fulgore che si era sprigionato dall'oggetto di forma cubica: lame di luce si proiettarono a raggiera investendo di chiarore immacolato ogni anfratto occultato alla vista; lui stesso ne fu avvolto senza subirne l'abbaglio, bensì pervaso da una serenità ineffabile e da un calore tale da contrapporsi al gelo che gli induriva il cuore. Dai singoli lati dello scrigno si era aperto uno spiraglio e il suo contenuto si animò come permeato da pura energia, le varie parti si scomposero per ricomporsi dopo aver aderito singolarmente alle membra del Santo.

Un brusio sovrastò il silenzio sacrale per poi zittirsi in un istante. Il bagliore si attenuò svelando agli occhi dei Santi il loro compagno bardato d'oro...

“Sei stato scelto" sentenziò Dohko. “Le Sacre Vestigia di Libra hanno scelto il possessore. Sono certo che saprai onorarle, in quanto consapevole della responsabilità che grava su chi custodisce le dodici armi di cui l'armatura è dotata" dichiarò con voce stentorea. Gioiva, composto, poiché le Sacre Vestigia non potevano più dirsi vacanti, ma non poteva definirsi del tutto entusiasta. Allungò una mano riprendendo il copricapo, senza abbandonare il proprio soglio. Indugiò lasciando che l'impeto dei pensieri lo travolgesse per qualche istante: l'affetto per l’allievo non aveva impedito al destino di seguire il suo corso, quel fato al quale sembrava aver voluto anteporre i suoi desideri. Già, i suoi desideri... perché in cuor suo aveva anelato che Shiryu ereditasse l'armatura di Libra, scavalcando la volontà del simulacro stesso e dando per scontato il risultato. Di conseguenza aveva infranto una promessa: gli sovvenne la promessa fatta a Misty – in merito a una scelta che avrebbe dovuto essere imparziale.

Saori fu la prima persona a infrangere il silenzio che seguì all'episodio, scostò i capelli dalle spalle, depose lo scettro tempestato di diamanti e si levò dal proprio scranno. Si udì solo il fruscio degli abiti, e il tintinnio degli ornamenti bagnati dalla tenue luce che rischiarava la sala; il lento incedere dei suoi passi.

La dèa raggiunse il Santo reduce dall'inattesa investitura: lo scrutò con la consapevolezza che l'epilogo, per molti insolito e inaspettato, non fosse casuale. Misty si smarrì in quello sguardo condiscendente, avrebbe proferito frasi fatte e di circostanza ma esse gli morirono sulle labbra e indugiò con gli occhi languidi, inebetito. Furono istanti di esitazione fino al momento in cui la donna non protese le mani a cingere quelle del Santo, il quale si prostrò davanti a lei. La fanciulla gli sfilò l'elmo dorato, lasciando ricadere i boccoli biondi sulle spalle, al fine di posargli un bacio sulla fronte. Fu Saori a dissipare i dubbi dei convenuti: i Santi non avevano memoria della risolutezza che trasparì dal suo gesto.

“Le esperienze non abbracciano soltanto un percorso di rinunce materiali, e avversità per quanto concerne la sfera fisica, ma sono anche di natura spirituale" esordì rivolgendosi ai presenti. “Il tuo è stato un cammino di crescita interiore che ti ha reso degno dello status acquisito quest'oggi" soggiunse, porgendo nuovamente l'elmo al Santo di Libra.

Misty sbatté le palpebre, gli sfuggì una lacrima di commozione che gli rigò le guance; ma si riebbe dall'emozione volgendosi per sondare le singole espressioni degli astanti – consapevole che le parole della dèa non avrebbero dato luogo a contestazioni.

Era gratificante vedere la sconfitta sui volti di chi lo aveva sminuito, umiliato, il loro imbarazzo; scorgere il sembiante del proprio mentore trasfigurato dalla costernazione gli infondeva un insano piacere – forse era una cattiveria, ma non si doleva di ciò nel frangente in cui sembrava essersi riscattato dalle proprie vicissitudini. Avrebbe pagato per vedere la faccia di Marin, e si rallegrava nel porsi con orgoglio dinanzi agli ex parigrado. A dispetto del risvolto preso dalla vicenda, Dohko gli parve stranamente sereno, l'intervento di Athena l'aveva tolto d'impiccio.

Con la coda dell'occhio scandagliò alla ricerca della propria immagine riflessa dagli specchi sullo sfondo, ma la Sala delle Udienze era poco illuminata e non era il momento di abbandonarsi alla vanità. Si limitò a tacere, una sorta di accettazione in risposta all'incredibile epilogo della vicenda. Stette ad ascoltare le ultime parole del Sommo, il quale – laconico come non mai – sembrava non volersi sbilanciare con le lodi. Ciò lo indusse a riscuotersi dalle fantasie, dai sogni a occhi aperti, e ritornò con i piedi per terra con la triste parvenza di una vittoria a metà per la quale non riusciva a gioire di piena soddisfazione.

“Dal momento che le sorti delle Sacre Vestigia sono state decretate dichiaro sciolto il consesso; la serata potrà proseguire con i festeggiamenti...” concluse Dohko.

~

Aveva da tempo appreso come l'oscurità notturna fosse rassicurante, di come aprisse le porte alla disamina obiettiva dei singoli pensieri; sciogliesse i dubbi e lenisse l'inquietudine.

Misty avvolse una ciocca di capelli intorno al dito, aveva un dolce profumo, il profumo di fiori di cui era impregnata l'aria. In tutto il Tempio si spargeva l'essenza dei narcisi – una particolarità che avrebbe dovuto farlo sentire a casa ma, in verità, chissà quando sarebbe riuscito ad assuefarsi al cambiamento; all'idea di essere assurto a un livello superiore, anche in termini di responsabilità. Ciò lo intimoriva, facendo leva sulle sue insicurezze più profonde, ma poi osservò il Totem di Libra esposto nel naos, e sulla superficie brillò una scintilla di luce all'unisono con quegli interrogativi. Misty accennò un sorriso: questo dovrebbe rassicurarmi.

Si diresse all'esterno, sul terrazzo, nelle immediate vicinanze della rampa di accesso al Tempio, per contemplare la volta celeste punteggiata di stelle e individuò la mite luce degli astri che delineavano il simbolo della sua costellazione. Appoggiò le mani sulla balaustra di marmo e chiuse gli occhi, concentrandosi sui rumori notturni, inspirando l'aria fresca.

Un odore familiare e alcuni passi lo sottrassero alle proprie riflessioni. Affondò gli incisivi nel labbro inferiore, trattenendo il primo insulto che gli passò per la mente e, tutto sommato, soffocò il risentimento subito dopo aver scorto il volto etereo del suo mentore. Non proferì parola aspettando che fosse lui a prendere l'iniziativa.

Aphrodite si soffermò a breve distanza, con gli occhi fissi, a contemplare il fanciullo efebico la cui fronte era ancora cinta di alloro.

“Nessuno avrebbe scommesso una dracma su di me... La vita ci proietta verso scenari inaspettati, ma molto probabilmente le cose non cambieranno; forse non cambierà la percezione che molti hanno di me, ma non importa" esordì Misty, riprendendo la ciocca di capelli tra le dita, ed era un gesto infantile che riproponeva in modo compulsivo quasi senza rendersene conto. “Non so se sentirmi felice, non so se è questo che desidero realmente.” Si confidò, accostandogli le labbra all'orecchio, ma Aphrodite gli afferrò il polso con dolcezza.

“Hai avuto la conferma di esserne degno, non dovresti più nutrire dubbi. Non conta quello che pensano gli altri." Gli rispose, posando di nuovo lo sguardo sulla sua figura aggraziata, rivestita dal velo della tunica bianca, cinta da una fascia intrecciata di fili d'oro. Aveva intuito che il discepolo avesse messo da parte ogni rancore nei suoi confronti evitando di menzionare il diverbio avvenuto tra loro, quel malinteso che li aveva indotti ad allontanarsi.

“Sai Søren, ho come la sensazione che quando si ottiene ciò che si è desiderato a lungo ci si sente svuotati. Privi di ogni altra ambizione, forse insoddisfatti, è così?”

“E tu cosa vorresti realmente?”

“Non lo so... mi sono sempre e solo preoccupato di ergermi su un piedistallo.”

“Dunque, vuoi solo apparire?”

“L'apparenza è solo mera gratificazione personale, ma in realtà mi sento vuoto.”

“Non sei vuoto sei solo confuso, intimorito dalle alte aspettative che gli altri hanno su di te, ma non temere perché imparerai a soddisfarle per te stesso e a essere felice.” Gli prese poi il volto tra le mani, sfiorandogli le labbra con un bacio: una sorta di omaggio feudale che non recava in sé alcuna malizia. Misty seppe cogliere la cortesia insita nel gesto e non si ritrasse... tacque e lo lasciò parlare.

“Hai meritato ogni cosa, devi solo convincertene." Lo rassicurò Aphrodite.

 

 

 

 

 

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