Aesthesia di _Blanca_ (/viewuser.php?uid=593279)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loading ***
Capitolo 2: *** Zenosyne ***
Capitolo 3: *** John's Coffee ***
Capitolo 4: *** Shelter ***
Capitolo 5: *** Break the glass ***
Capitolo 6: *** Uncanny valley ***
Capitolo 7: *** The lost girls ***
Capitolo 8: *** Boot crash ***
Capitolo 9: *** LT. Anderson ***
Capitolo 10: *** Home invasion ***
Capitolo 11: *** Model RK800 ***
Capitolo 12: *** Shall we play a game? ***
Capitolo 13: *** Thriller night ***
Capitolo 14: *** Escape room ***
Capitolo 15: *** Like Bogart and Bacall ***
Capitolo 16: *** Fourteen minutes ***
Capitolo 17: *** False Gods ***
Capitolo 18: *** Confidentiality agreement ***
Capitolo 19: *** Cassidy's ***
Capitolo 20: *** Crime scene ***
Capitolo 21: *** Algorithmic errors ***
Capitolo 22: *** Black hat ***
Capitolo 23: *** Your buddy to drink with ***
Capitolo 24: *** The Rowland ***
Capitolo 25: *** Data theft ***
Capitolo 26: *** Midnight test ***
Capitolo 27: *** Mornings are for coffee and contemplation ***
Capitolo 28: *** You are my only hope (Obi-Wan) ***
Capitolo 1 *** Loading ***
01
Questa storia è
scritta senza scopo di lucro; ad eccezione di Nova Barton e
della sua storyline, tutti i personaggi sono
proprietà della Quantic Dream e dei rispettivi autori e
sviluppatori.
◌ IMPORTANTE: la fan fiction è stata pubblicata nell'agosto
del 2018 ma quella attuale è la versione revisionata a
distanza di un anno. I cambiamenti riguardano grammatica e sintassi, la
trama è rimasta pressoché invariata.
◌ La storia è strutturata in modo da seguire principalmente
la storyline pacifista. Nella prima parte ritroverete situazioni
presenti nel gioco ma con delle variazioni, della serie ‘come
sarebbe andata se...?’; nella seconda e la terza parte
diventano centrali una serie di eventi che scorrono in parallelo a
quelli del gioco.
◌ Alcuni dettagli, riguardo il mondo di DBH, non sono o potrebbero non
essere considerati canonici.
◌ Infine, QUI trovate una visual
board. Non
ci sono spoiler sulla trama, è una raccolta di immagini
dedicata all’atmosfera generale, al personaggio di Nova, al
suo rapporto con Connor e a Connor stesso.
Buona lettura! |
aesthesia. noun.
the ability to feel or perceive sensations.
001. LOADING
DATA:
6 NOVEMBRE 2038
ORA: 12:07
DETROIT, DPD CENTRAL STATION
Nella stanza degli
interrogatori la luce è cruda e lattiginosa. I neon ronzano come un
nido di vespe. È un suono sordo e continuo e le sta perforando le
tempie. Lentamente. Un millimetro alla volta.
Nova, abbandonata contro la spalliera della scomoda sedia, si fissa le
mani: lo smalto, opaco, nero e un po’ sbeccato; gli anelli a fascia,
lisci e metallici, all’indice della destra e al medio della sinistra.
Poi, con un sospiro muto, il suo sguardo scorre lungo il grigio
desaturato delle quattro pareti e si arena sul gancio avvitato al
centro del tavolo rettangolare. Ha ipotizzato che l’onore di essere
ammanetta spetti a gente reputata più pericolosa di lei. Tamburella le
dita, mentre trattiene la voglia di guardare verso lo specchio.
Cosa vedono gli occhi nascosti là dietro? Soltanto una biondina in
camicetta bianca, polsini e colletto abbottonati, e coda di cavallo
spettinata ad arte? Possono indovinare l’agitazione dietro l’aspetto
ordinato e i gesti controllati? Lo stomaco brucia, come una pentola di
frattaglie in sobbollizione, e ha il mezzo terrore di ritrovarsi con i
timpani rotti, se il cuore non la smette di pompare a piena velocità.
L’agitazione si sta trasformando in nausea e Nova si barrica dietro una
serie di pensieri coerenti. Elenca a sé stessa, in frasi brevi, quanto
ricorda sull’argomento bugie e linguaggio del corpo: non coprire la
bocca, non toccare il naso, non grattare il collo, non nascondere i
palmi delle mani. Controlla
il tono della voce. Niente acuti, si
incoraggia. E qualunque
cosa chiedano, non esagerare con i dettagli.
Troppi dettagli sono sospetti.
Ma lo sguardo guizza verso la porta chiusa, liscia e scura come una
lastra di pietra, e i pensieri deragliano. Ce ne stanno mettendo di
tempo per decidersi a interrogarla. Da quanto aspetta? Cinque minuti.
Forse dieci. Forse di più. Di una cosa, però, è ancora sicura:
fino a ventiquattro prima, la sua esistenza da reporter spiantata era
molto più semplice.
Un flebile bip. Un sibilo. La porta automatica si apre.
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Capitolo 2 *** Zenosyne ***
02
002. ZENOSYNE
DATA: 5 NOVEMBRE 2038
ORA: 09:43
DOWNTOWN, STATE STREET
Lisa Kane,
caporedattore dello Zenosyne, ha il serbatoio della pazienza in
riserva. Toglie gli occhiali, la cui montatura verde tiffany fa pendant
con la poltroncina sulla quale è seduta, e li infila tra i
riccioli della capigliatura afro mentre scruta in cagnesco la presenza
molesta che infesta il suo ufficio da cinque minuti.
La suddetta presenza se ne sta in piedi, impettita,
dall’altro lato
della costosa scrivania in vetro curvato: borsa a tracolla, mani sui
fianchi, maniche della giacca in denim nero tirate a
metà degli avambracci.
«Barton, per l'ultima volta» sospira Lisa.
«Se Malone non vuole pubblicare il tuo pezzo, io non posso
farci niente. È lui il direttore.»
«Esattamente cosa c’è che non va
nell’articolo?» insiste Nova.
«Non è il genere di articolo che si aspettano i
nostri lettori.»
Nova allarga le braccia. «Ai lettori non
verrà un infarto se, una volta tanto, leggono qualcosa di
diverso dal resoconto dell'ultima faida tra starlettine.»
Lo sguardo di Lisa è un pozzo di disinteresse.
«Magari» rincara Nova, piantando i palmi sulla
scrivania, gli anelli tintinnano contro il ventro, «offrire
dei contenuti nuovi potrebbe far bene
all'immagine dello Zenosyne.»
«Alleluia per la nostra salvatrice. Togli le mani dalla
scrivania. Ci lasci le impronte.»
Nova raddrizza la schiena e arretra di un passetto.
Cala un istante di tregua.
Oltre il vetro satinato della doppia porta è una bagarre di
voci, squilli di telefono e ronzii di stampanti; si lavora senza sosta
nella redazione dello Zenosyne: un corridoio e cinque stanze, bagni e
sgabuzzino esclusi, all’ottavo piano di un moderno palazzo
sulla State Street.
«In ogni caso» brontola Lisa, «se proprio
vuoi protestare, parla con Malone.»
«A che ora arriva?»
«Non prima delle undici. Aveva un incontro con il suo
avvocato, questa mattina.»
«Il divorzista?»
«Sì.»
Nova sbuffa come un cavallo.
Lisa la guarda storto.
Poi entrambe si girano verso la porta: annunciata da un leggiadro
colpetto di nocche, una ST400 entra nell’ufficio. Regge un
vassoio tra le manine bianche e affusolate da androide; sopra il
vassoio ci
sono un grosso bicchiere di plastica biodegradabile e una scatolina di
carta. Entrambi
rosa cipria. Entrambi decorati con il lezioso monogramma di una
pasticceria.
«Era ora!» sbotta Lisa. «Ma quanto ci
è voluto?»
«Mi dispiace, signora Kane» comunica
l’androide,
sistemando il vassoio sulla scrivania. Riesce a essere, allo stesso
tempo, impeccabilmente gentile e assolutamente
priva di espressività. «Il traffico intenso di
questa mattina ha rallentato il fattorino del Bizier
Cafè.»
L’hanno battezzata Hildy – Nova sospetta che in
redazione ci sia qualche fanatico delle commedie della Hollywood degli
anni d’oro – ed è la segretaria
perfetta: efficiente nel lavoro e bella da guardare. Le è
stato dato l'aspetto di una giovane donna accessoriata di grandi occhi
nocciola, capelli corvini dall’aspetto setoso sempre legati
in una bassa coda e una pioggerellina di efelidi sul nasino
all'insù. La divisa ricorda il taglio di un tubino nero
senza maniche. Una flebile fosforescenza azzurra anima la fascia al
braccio e il triangolo cucito sul petto.
Hildy porta le mani dietro la schiena e Nova comprende di essere
entrata nel raggio dell'interfaccia visiva quando le sorride
nel modo, a parer suo vagamente disturbante, in cui sorridono tutti gli
androidi: gli angoli della bocca salgono verso l’alto, la
pelle sintetica fa le dovute pieghe d’espressione, ma lo
sguardo resta distante e imperturbato.
«Buongiorno, signorina Barton. È un piacere
rivederla in redazione.»
«‘Giorno, Hildy» butta lì Nova.
Un tremolio del LED e l'androide torna a rivolgersi a Lisa.
«Posso essere utile in qualcos’altro, signora
Kane?»
Lisa sta sorseggiando il latte al matcha.
«No, va’ via. Devo lavorare.»
Hildy obbedisce.
Nova, invece, riceve l’ennesima occhiataccia.
«Vale anche per te.»
/\ \/
La
sala riunioni
è vuota. Nova si è piazzata in una delle
poltroncine di pelle, con la caviglie accavallate sopra il lucido
tavolo ovale. Dal soffitto un sottile lampadario a cerchio incombe come
un'astronave aliena e sulla parete alle spalle di Nova è
agganciato un display da settanta pollici. Il resto delle pareti,
lisce come paratie di uno shuttle, sono tappezzate di foto di
copertina, titoloni e stralci di
articoli tirati fuori da numeri passati dello
Zenosyne.
«Uh-uh, le leggende erano vere. Nova Barton è
tornata.»
Nova mette giù i piedi.
La testa di Zachary Walton, che dal terzo anno di liceo Nova chiama
Walty e non ha intenzione di smettere oggi, si è affacciata
tra i battenti della porta.
«Avevo avvertito un disturbo nella forza.»
Walty entra, chiude la porta e parcheggia le chiappe sul tavolo, di
fianco a Nova. Sotto la camicia di flanella, indossa una
t-shirt nera con la locandina di Star Wars Episodio Dodici, l'ultimo
della quarta trilogia. «Allora... contro chi hai scatenato la
tua ira?» chiede, cavando dalla tasca dei larghi jeans un
Butterfinger imbustato in carta gialla e crepitante.
«Contro nessuno» assicura Nova. «Sto
aspettando di parlare con Malone. Ha rifiutato il mio ultimo articolo.
Voglio solo sapere perché.»
Walty scarta la barretta al cioccolato. «Finirà
male. Molto male» preannuncia.
«Uomini. Sempre a buttarla sul tragico.»
Walty la fissa socchiudendo le palpebre sopra le pupille verde acqua.
Ha ventisette anni ma sembra ancora un liceale: alto, tutto gomiti e
ginocchia, e una testa che gronda riccioli rosso rame.
«Senti» sospira lui, «lo vuoi un
consiglio?»
«Mostrami la via, sensei.»
«Non farlo incazzare. Malone, dico.»
Improvvisamente, Walty sembra serio. E Walty in modalità
seria è come un’eclissi solare: un evento raro e
c’è chi lo considera preannuncio di sventura.
«Ultimamente è... come dire, a corto di
pazienza.»
«Che problemi ha?»
«I problemi che abbiamo tutti. Non è mica facile
tenere in piedi un giornale di questi tempi. Ringrazia che sia ancora
disposto a pagarci. Hai idea di quanto risparmierebbe se sostituisse la
metà di noi con gli androidi?»
Come evocato da quelle parole, il WG100 modellato sulle fattezze di un
ragazzotto di colore fa la sua comparsa
sulla porta, spingendo il carrello delle pulizie. L’androide
si immobilizza
sulla soglia. La luce azzurra del suo LED sfarfalla.
«Chiedo scusa. Tornerò quando la sala
sarà libera.»
«Pulisci pure, Jimmy, amico» lo ferma Walty, con un
sorriso allegro. «Stiamo solo cazzeggiando.»
Jimmy spinge il carrello fino al lato opposto della sala e, in
silenzio, inizia a trafficare tra strofinacci e flaconi.
«Non vi licenzierà» riprende Nova.
«Non è così bastardo. Siete in dodici
qui dentro e solo due sono androidi. È buon segno.»
Walty le rifila un'occhiata strana e per un attimo Nova ha la mezza
impressione che lui sappia qualcosa che non le sta dicendo. Ma alla
fine Walty distoglie lo sguardo e dà un morso alla barretta.
«Beh...» mastica. E fissa lo snack decapitato.
«Se mai dovesse sostituirci con gli androidi, mi sa che il
programmatore qui presente sarà il primo a essere buttato
fuori. E se perdo il posto... sono già in ritardo di tre
mesi, con l'affitto.»
Nova si acciglia.
«Ma quanto ti paga Malone?»
«Non è lo stipendio il problema. È che
le medicine per papà... quelle costano.»
«Quanto ti serve? Per l’affitto, intendo.»
«Non ci pensare nemmeno.»
«Eddai, Walty.»
«Hai vinto la lotteria e non me lo hai detto?»
«Non navigo nell’oro, ma posso ancora salvare un
idiota dallo sfratto.» Nova sottolinea le buone intenzioni
rifilando un calcetto allo stinco di Walty. Alla Huron High, Nova e
Walty erano nella stessa classe di algebra. Lui
era un genio, lei una schiappa, ma erano entrambi membri di spicco del
club degli sfigati. Aver ritrovato Walty, quasi dieci anni dopo, nel
caos di Detroit è stata una sorpresa e una fortuna.
«Non ti fidi di me? Mica faccio la strozzina per
arrotondare.»
«Non dire cazzate... probabilmente in tutta Detroit sei una
delle poche persone di cui mi fido. E da quando lavoro in questa
redazione, sei anche l’unica giornalista di cui mi
fid–»
Per la terza volta la porta della sala viene aperta. Con violenza.
«Walton, sei qui!»
Per quanto ne sa Nova, ci sono due costanti nell’esistenza di
Marie Montgomery: il liscio al limite del reale dell’algido
caschetto biondo e il cattivo umore. «Ti cercano al telefono
quelli della Liner. Ma tu guarda se devo dirtelo io! Dov'è
quella stupida di Hildy?» Veloce come è arrivata,
Marie si allontana in corridoio, continuando a pulpare come un condor
della California.
Walty scivola giù dal tavolo.
«Il discorso non è chiuso» avverte
Nova.
Walty la saluta con una cameratesca pacca sulla spalla. Poi, lui e la
sua barretta al cioccolato, lasciano la sala e Nova resta con Jimmy. Il
che equivale a restare da sola. L’androide sta lavando il
pavimento e lei abbandona la poltroncina per ciondolare fino al
finestrone.
È una giornata fredda e luminosa
e l’asfalto e i
marciapiedi sono bagnati dalla pioggia della notte passata. La State
Street formicola
di automobili, taxi e autobus. Un drone di sorveglianza sorvola la
strada, ondeggiando in una traiettoria a zig zag.
Nova getta un’occhiata alle proprie spalle. Non sente
più l’umido strofinio dello spazzolone contro il
pavimento. Jimmy, in effetti, ha interrotto il lavoro: fermo e
immobile, le mani strette attorno al manico dello spazzolone, sembra
fissare una delle riproduzioni alle pareti.
Nova aggrotta la fronte. Si avvicina.
E Jimmy non si muove.
La donna osserva il profilo regolare dell'androide: il LED installato
nella tempia destra è
giallo, segno che Jimmy sta processando dei dati; poi guarda
anche lei la fotografia: uno scatto notturno dell'Ambassador Bridge.
Sullo sfondo
del ponte, lo skyline di Detroit è un caleidoscopio di luci
simile a un immenso e infernale luna park.
«Jimmy...» azzarda Nova, «ti piace questa
fotografia?»
Il LED torna azzurro nell’istante in cui Jimmy, inespressivo,
si volta verso di lei.
«Signorina Barton.»
Hildy è entrata nella sala.
«La informo che il signor Malone è in
redazione.»
/\ \/
L’ufficio
del direttore può essere raggiunto solo passando prima per
quello di Lisa e il caporedattore alza gli occhi dal documento
digitale, che Hildy le sta facendo firmare, per godere del cammino di
Nova verso il patibolo. Quando sei un giornalista freelance e la
rivista di turno non accetta un tuo articolo, la mossa migliore
è battere dignitosamente in ritirata, in cerca di lidi
più accoglienti. Ma Nova non è mai stata un asso
in materia di scelte migliori.
Però riconosce che parlare faccia a faccia con Nico Malone
sia un privilegio non da poco.
È altrettanto vero tuttavia che Malone le sta sulle palle. E
quindi
non ha intenzione di mostrare chissà
quale gratitudine adesso che è al suo cospetto.
Rimane
in piedi, in mezzo all’ufficio, i pollici agganciati alle
tasche sul davanti dei jeans. È la prima volta che
entra lì dentro e ne deduce che Malone deve avere la fobia
degli angoli. Il
piano di cristallo della scrivania è ovale, il pavimento in
resina ha un motivo a cerchi, le sedie somigliano
vagamente a enormi bicchieri da champagne e gli scaffali, traboccanti
targhe, awards e soprammobili in stile neo-simbolista, hanno gli angoli
smussati. Forse anche le forbici, infilate nel portapenne
rigorosamente cilindrico, hanno la punta arrotondata.
«Negli ultimi tre mesi ho accettato tutti i tuoi articoli.
Sei brava. Mi piaci» snocciola Malone, da dietro la
scrivania. Il viso largo è tirato in un sorriso di maschile
accondiscendenza.
Nova ha sempre pensato che Malone abbia il physique du rôle
dell'uomo d'affari che, presto o tardi, finirà sulle prime
pagine dei giornali. E non per buoni motivi. È un
cinquantacinquenne brizzolato, alto e grosso, ma non grasso, infilato
in una camicia di alta sartoria color carta da zucchero. E non sembra
minimamente consapevole della macchia di rossetto rimasta sul colletto.
«Ma il tuo ultimo pezzo...» L'uomo sospira. Scuote
la testa. Ha tra le mani il suo fidatissimo datapad ultimo modello.
Apre il file di testo e legge: «Che cosa dicono di noi
questi diffusi comportamenti?
È veramente soltanto un ʻmodo per scaricare lo
stressʼ, come hanno risposto la maggior parte degli
intervistati? O rivela una vena latente di sadismo? Il buon cittadino
americano prova forse piacere nell’esercitare una forma di
abuso, rassicurato e assolto dalla certezza di non aver infranto
nessuna legge e nessuna morale? – Cristo, Barton, che hai
mandato giù prima di sederti al pc e scrivere questa
roba?»
«Quella roba» spiega Nova, con calma,
«l'ho scritta dopo aver osservato come il cittadino medio si
relaziona con gli androidi che acquista. Ho fatto ricerche. Tra le mie
fonti ci sono anche i sondaggi condotti e diffusi dalla Cyberlife. Li
cito, nell'articolo.»
«Barton, bimba»
la interrompe Malone.
E Nova non è sicura di essere riuscita a frenare in tempo
il tic all'occhio destro.
«Non metto in dubbio la tua... professionalità. Ma
i
miei lettori non vogliono farsi angosciare.»
«Ha già pubblicato articoli su temi sociali in
passato.»
«Certo.» Malone mette giù il datapad.
«Ma il punto è che lo Zenosyne non fa la morale ai
suoi lettori. Quando gli mostriamo il peggio della società
è per lasciargli credere che loro, al contrario, sono brava
gente.»
Nova sta per ribattere, ma Malone è uno che adora il suono
delle propria voce.
«Vuoi scrivere di androidi?» Parla come se stesse
cercando di far contento un bambino capriccioso. «Ho io
l’articolo per te. Lo so che dovrebbe funzionare al
contrario, ma per questa volta facciamo un'eccezione. Che resti tra
noi.» Ammicca. «Il Gossips Weekly ha pubblicato il
risultato di un sondaggio. Pare che il sessantotto per cento degli
uomini preferisce fare sesso con gli androidi che con le donne. Ecco la
mia idea... noi rilanciamo con un articolo rivolto alle donne, quelle
vere, in carne e ossa. Dimmi Barton, come fa la donna americana del
duemilatrentotto a competere con quei capelli perfetti, la pelle senza
rughe e i culetti sodi?»
Malone fa una pausa. Si china leggermente in avanti.
«C'è una certa azienda cosmetica, di cui ora non
ti faccio il nome, che avrebbe veramente bisogno di
pubblicità per i suoi ultimi prodotti
anticellulite.»
Nova prende fiato.
«Malone» sillaba, «non mi
metterò a scrivere di culi.»
Tanto basta perché Nico Malone perda la calma, come un
uovo che si spiaccica sul pavimento. Alla faccia
dell’essere a corto di pazienza, pensa Nova. Il
cambiamento è così rapido che sarebbe
più esatto dire che Malone è sulla via del
disturbo dissociativo d’identità.
L’uomo contrae la mascella glabra, chiude un pugno grosso
come un melone sulla
scrivania e punta l'indice verso Nova. «Senti,
stronzetta, ho tra le mani dozzine di morti di fame come te pronti a
buttarsi in ginocchio davanti alla mia scrivania. Ringrazia e accetta
l'articolo. O sparisci e non mettere mai più piede nella mia
redazione. A te la scelta.»
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Capitolo 3 *** John's Coffee ***
C.03
003. JOHN'S
COFFEE
DATA: 5 NOVEMBRE 2038
ORA: 13:11
RAVENDALE DISTRICT, CAMDEN AVENUE
«Quindi
Malone ti ha licenziata?»
«Non può licenziarmi. Non ho mai lavorato per lui.
Sono io che non manderò più i miei articoli al suo
giornale.»
«Ah-ah. Perché dopo la scenata di oggi, col cazzo
che te li pubblica.»
Emilia è caustica, ma non ha detto nulla che Nova non sappia
già.
È abituata alla impietosa schiettezza di quel fuscello dal
caschetto rosa bubblegum posseduto ventiquattro
ore su ventiquattro dallo spirito cinico di Rick Blaine. Emilia era
già lì quando Nova ha iniziato a lavorare al
John’s Coffee. [1] Vale a dire un anno, un mese e sedici
giorni
fa.
Nova mette in pausa la conversazione con un frettoloso
«Troverò qualcun altro. Ho sempre un piano di
riserva, io» e si allontana con
l’ordine per il tavolo cinque. Ha sorvolato sui dettagli del
tête-à-tête con il direttore:
l’ultima parola è stata sua, se si esclude il
«Fuori!» che Malone le ha ululato dietro, ma non
è fiera della propria battuta d’uscita:
«Fottiti Malone». Si reputa brava con le parole.
Avrebbe potuto esprimere il concetto con un lessico più
ricercato. Teme che Detroit la stia abbruttendo.
«Ecco qua, Coca Cola e sandwich Monte Cristo per Liam. Te
al limone e veggieburger per Bill.» Nova distribuisce piatti,
bicchieri e cartocci sul tavolo. «Patatine grandi per
entrambi.»
«Ehm... non avevamo ordinato le patatine» fa notare
Liam, quasi a mo’ di scusa, ingobbito in una felpa rossa dei
Crimson Sharks. È occhialuto, in sovrappeso e ha una cotta
per qualsiasi esemplare femminile gli rivolga la parola per
più di trenta secondi di fila.
Nova gli sorride. «Offre la casa.» Puntella il
vassoio contro il fianco. «Ehi, Bill, come se la passa tuo
fratello?»
Bill, spalmato a gamba larghe sul
divanetto rosso, scrolla le spalle. È più magro
di Liam, ma
ugualmente occhialuto e momentaneamente occupato a spippolare con il
datapad.
«Meh, è vivo.»
Bill Palmer: raffinato oratore.
«Ancora a vendere informazioni sottobanco alla stampa
scandalistica?»
«Eh, probabile.»
Nova soffre di una forma cronica di intolleranza al yellow journalism;
la semplice la parola ‘shock’ o
‘scioccante’ starnazzata a caso dai tabloid le
provoca l’orticaria. Di conseguenza, non ha una gran stima di
persone come Eddie Palmer, chimere metà hacker e
metà paparazzo. Ed è sicura che, da quando lei ha
rifilato un due di picche al maggiore dei Palmer, il sentimento sia
ricambiato.
Nova scuoteil capo e non commenta; ci sono tre
porzioni di cheesecake al limone da portare al tavolo tre.
«Buon appetito, ragazzi.»
Bill e Liam sono squattrinati studenti della WSU. E clienti
abitudinari. Nova, oltre a conoscere bene le gioie della vita da
collegiale perennemente al verde, sa quanto John Rodriguez, al secolo
Juan Santino
Rodriguez, ci tenga a coccolare la clientela.
Il John’s Coffee è un modesto locale
all’angolo tra Camden Avenue e Park Drive, non
può vantare una raffinata platea di consumatori,
né offre un panorama pittoresco. Asfalto, cemento e
palazzine compongono la veduta oltre le vetrine della sala; un grigiore
generale spezzato dalle insegne al neon dei negozi, dei
passaggi pedonali e da quelle, blu e rosse, dell'Easten Motel,
dall'altro lato delle strada. I treni a levitazione magnetica sibilano
continuamente sopra le loro teste sfrecciando lungo la ferrovia
sopraelevata e all’angolo opposto dell’incrocio
marcisce una casa abbandonata, con le assi alle finestre e
l’edera sui muri; Emilia la chiama l’Hotel Omicidi.
Nonostante tutto, Rodriguez è orgoglioso del locale.
È orgoglioso del fatto che l’ultima rapina risalga
a tre anni prima. Così orgoglioso, in effetti, da aver
deciso di risparmiare sulle telecamere di sicurezza da piazzare
all’esterno. Ma più di ogni altra cosa
è
orgoglioso di offrire ai clienti un contatto umano e mostrando a tutti
di aver
sottratto tre disgraziati dalle file dei disoccupati: c'è
Emilia, c'è Nova, c’è un ragazzo, Jay,
che oggi ha coperto il turno della mattina.
In cucina, però, la politica cambia. I due VS500 sono cuochi
impeccabili: con loro non esiste il rischio di una dose sbagliata;
sono veloci: ricevono gli ordini, via wireless, dal computer di cassa e
dai palmari dei camerieri; sono devoti al lavoro: non pretendono uno
stipendio, non chiedono ferie e non hanno bisogno di assicurazioni.
Ci sono momenti in cui Nova ha quasi pena di quei due, ma non dimentica
mai che sono solo macchine e che non hanno consapevolezza della loro
condizione più di quanto ne abbiano il
macinacaffé o la lavastoviglie. E quindi, in un certo senso,
sono più fortunati di lei: non conoscono frustrazione,
scontento e infelicità. Non hanno la perenne impressione che
la loro esistenza sia un puzzle incolore, con così tante
tessere mancanti che è impossibile capire quale sia il
disegno. Per quanto Nova possa ripetere a sé stessa, e agli
altri, di
essere una reporter, la verità è che il
John’s Coffee a permetterle di pagare l’affitto e
riempire il frigorifero. Vive tra caffè annacquati serviti
in bicchieri di cartone, unti cartocci di patatine fritte e un orrido
grembiule color lime in coppia con un ridicolo cappellino da baseball;
per tacere della targhetta sulla pettorina. ‘Hi! My name is
Nova!’ Le parole lampeggiano, incessantemente, tutto il
giorno, tutti i giorni, alternandosi a uno smile armato di mug bianca e
fumante. Eppure Nova lo sa che non ha diritto a lamentarsi. Lei ha un
lavoro.
Una buona fetta degli abitanti di Detroit non può dire lo
stesso.
/\ \/
Piove. La pioggia a
Ravendale è davvero poco romantica. E se anche qualcuno
fosse in
grado di trovarci uno straccio di sfumatura romantica, quel qualcuno
non è Nova. Sono le sette e trenta di sera, gli ultimi
clienti hanno levato le tende cinque minuti fa, fregandosene degli
orari in bella vista sulla porta, e lei ha la sensazione che la sua
testa sia stata usata come palla in una partita di basket. Ha
sempre mal di testa, quando le tocca il turno di pomeriggio.
La sola nota positiva della giornata è
stata l’assenza Rodriguez: qualche affare che
l’uomo non ha voluto specificare via telefono, lo ha tenuto
lontano dal John’s Coffee e, da che mondo è mondo,
si lavora meglio senza il fiato del capo sul collo.
Ora la TV, agganciata a un angolo tra due pareti, è in
modalità muto. Le luci sopra al bancone sono spente, la
radio anche e Emilia è già alla porta. Chiude la
zip della giacca a vento e sistema in spalla lo zainetto tempestato di
spillette. «Ehi...» Si gira verso Nova,
«grazie ancora del favore.»
Nova agita una mano in un gesto vago.
«Figurati... Salutami Jason.»
Il ragazzo di Emilia, un tizio un po’ troppo appassionato di
corse illegali, aspetta di venir prelevato dal Ford Hospital, dopo
dodici ore di degenza, per venir riportato nell’appartamento
in cui di due convivono. Conoscendo Emilia, Nova suppone che il
trasporto avverrà via trascinamento per un orecchio.
«Eh, quel coglione» borbotta Emilia. «A
domani.»
La porta automatica si apre al passaggio della ragazza e per un attimo
l’aspra confusione del traffico rimbalza tra le pareti del
locale, fatte di rustici mattoni a vista. Qui e là, finti
poster vintage ricordano al pubblico quanto sia bello e americano far
colazione con donuts e pancake e quanto siano salutari i pranzi a base
di hamburger e pollo fritto.
La porta si richiude.
Nova prende un respiro. Anche le rare volte in cui il
John’s Coffee riesce a chiudere alle sette in punto, non
c'è speranza di uscire da lì prima di
un'ora e mezza dopo l'orario di chiusura. Rodriguez ha impostato ai
VS500 l’ordine di non mettere mai piede nella sala.
«Sono fatti per cucinare. Non pulire. Non mi fido»
si è giustificato e i suggerimenti dei suoi dipendenti di
acquistare un androide per le pulizie sono caduti nel vuoto.
«Per quello bastate voi e po’ di olio di gomito,
ragazzi» è il mantra di Rodriguez. Emilia lo ha
bollato come «uno che ragiona da
primitivo.» Nova pensa che si tratti semplicemente di
taccagneria.
Un evergreen.
Nova slaccia il grembiule, la targhetta si spegne, e toglie il
cappellino. Getta tutto su un divanetto e va ad
affacciarsi alla porta della cucina, per il solito controllo.
Gli androidi sono alle loro postazioni: spalle contro il muro, braccia
dietro la schiena, palpebre abbassate. Indossano divise bianche e blu e
hanno l’aspetto di uomini bianchi sulla trentina, con i
capelli neri tagliati a spazzola. Il flebile bagliore azzurrino del
triangolo è spicca nella penombra asettica della cucina
tirata a lucido.
«Un giorno perderanno la brocca anche questi qua»
ripete sempre Emilia. «E ci ammazzeranno tutti. Con un
forchettone per gli hamburger.»
/\ \/
Nova ha trascinato
il
carrello delle pulizie fuori dallo sgabuzzino.
«Televisore: audio.»
La conduttrice della KNC ritrova il dono della parola. Nel suo rosso
tailleur di marca, parla con cipiglio preoccupato e trucco impeccabile:
‘...dopo il rifiuto della Russia di ritirare le truppe,
sembra inasprirsi ulteriormente la situazione nella regione artica. Il
presidente Ivanoff, in una nota emessa dal Cremlino, ha dichiarato che
le pretese degli Stati Uniti rappresentano la minaccia numero uno per
la stabilità nella regione.’
Passano i minuti. Lenti. E fuori piove. Nova pulisce la toilette,
pulisce i tavoli, aspira
le briciole dai divanetti, svuota i sacchi della spazzatura, riempie
saliere e zuccheriere, rimpinza i portatovaglioli, raddrizza i
cartellini del menù. E mentre strofina il mocio sulle
piastrelle bianche e appiccicose del pavimento, dalla tasca posteriore
dei jeans si levano, in crescendo, le prime note di una fanfara in
stile old-west. Il tema principale di Ritorno Al Futuro Parte III.
Nova sfila il telefono dalla tasca. Guarda il display
con la faccia di una che ha appena ricevuto una chiamata dal proprio
becchino.
CHIAMATA
IN ARRIVO.
MOM.
Nova sfiora l’icona della cornetta rossa. Fa per rificcare il
telefono in tasca, ma il telefono ricomincia a squillare. E di nuovo,
lei chiude la chiamata. Sospira, apre l'applicazione di O-DISPATCH
e seleziona la chat.
SONO
ANCORA A LAVORO. NON POSSO
RISPONDERE. TI
CHIAMO PIÙ TARDI.
|
NOTE
[1]
Il John’s Coffee, che compare nel capitolo Fuggitivi,
è basato su
questo concept art.
|
|
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Capitolo 4 *** Shelter ***
C.04
004.
SHELTER
DATA: 5 NOVEMBRE 2038
ORA: 20:27
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Sono sufficienti
cinque minuti per
risalire a piedi Park Drive fino al primo incrocio, imboccare Wade
Street e raggiungere la palazzina numero 12045 – sei piani,
una facciata di consunti mattoni rossi e un drappello di parabole in
disuso accampato sul tetto a terrazza – stretta tra un hotel
convertito in
condominio e il negozio alimentare della famiglia Chen.
Mentre il primo lampo illumina il cielo e un tuono sconquassa la sera,
Nova chiude l’ombrello di plastica trasparente e si rifugia nell’androne
deserto. Cinque minuti
sono
stati sufficienti anche per inzuppare a dovere le sneakers e
l’orlo svasato dei jeans. La donna affronta le scale
lasciando dietro di sé chiazze d'acqua, come Pollicino con
le briciole; quotidiane sessioni di step sono tra i
vantaggi dell’abitare all’ultimo piano di un
decrepito
palazzo dove l’ascensore non sembra aver mai funzionato a
memoria
d’uomo. E poi, Nova deve ammetterlo: le plafoniere dalla luce
fioca e le macchie di umidità sull’intonaco fanno
atmosfera. Un’atmosfera horror. Ma pur sempre atmosfera.
In cima alla quarta rampa di scale, però, attende il vero
incubo della palazzina.
La porta dell’appartamento della signora Sondergaard
è
aperta. L'anziana è sul pianerottolo: vestaglia sdrucita,
ciuffi
di capelli scappati alle forcine e sguardo allucinato. Una visione
hitchcockiana.
«Buonasera, Joan» sonda cautamente Nova.
La Sondergaard sta farfugliando qualcosa riguardo a fantomatici
imbrattatori di pianerottoli e non sembra consapevole della sua
presenza. Nova mette in atto la consueta strategia: si tiene a discreta
distanza dalla donna e scivola veloce verso la rampa successiva.
La Sondergaard non è cattiva, è solo malata e
abbandonata
a sé stessa. Per un periodo una dolce androide, un acquisto
a
prezzo modico da parte di alcuni parenti, si è presa cura di
lei
ma pare che la signora Sondergaard fosse convinta che l'androide le
mettesse del veleno per topi nel cibo. Dopo la quarta telefonata
delirante al 911, l’androide è stato ritirato.
L’opinione generale, nella palazzina, è che se la
signora
Sondergaard non ha ancora appiccato fuoco a qualcosa o preso a
coltellate qualcuno è solo grazie ai flaconi di Fanapt.
La chiave scatta nella serratura.
Nova tira il chiavistello.
Casa, finalmente.
Poco importa che casa sia un buco: tre metri scarsi di corridoio, a
sinistra la porta di un bagno senza finestre, a destra la camera da
letto, in fondo cucina e soggiorno condensati in un'unica stanzetta.
Nova la raggiunge, entra e accende la luce.
Ecco i familiari mobili bianchi e grigi, l’economico linoleum
del
pavimento e la tinta blu polvere delle pareti bisognosa di una
rinfrescata. L’inclinazione di Nova all’ordine e il
conto
in banca perennemente anoressico le hanno insegnato ad apprezzare
l’arredamento minimalista. Possiede soltanto mobili
funzionali e
pochissimi soprammobili: una collana di luci natalizie, bianche e
viola, che incornicia la finestra nascosta da una tendina di lamelle
blu; un vaso di
felci sintetiche sopra la penisola della cucina, a
mo’
di centrotavola; un altro in cima al frigorifero e un
altro
ancora accanto alla finestra.
Nova lascia atterrare la borsa tra i cuscini del
divanetto color tortora. Il divano è addossato alla parete e
alla parete è
appeso un poster retrofuturista: sopra un paesaggio
roccioso, un gruppo di mongolfiere vola verso i blu, i verde e i
magenta di una maestosa aurora aliena. 'Experience the mighty auroras
of
Jupiter' recita la slogan. [1]
E atterra anche lei sul divano,
massaggiando il collo indolenzito. Che giornata incantevole. Ha litigato
con il suo capo, si è auto-bandita dalla redazione dello
Zenosyne, alla caffetteria ha svolto il doppio del lavoro a fine turno
e adesso i suoi dirimpettai non hanno niente di meglio da fare che
guardare un
telefilm canadese a un volume così alto che Nova
potrebbe quasi quasi illudersi di avere un gruppetto di drammatici quebecchesi in
campeggio dentro il suo microscopico bagno.
Fissa la propria TV. Spenta. Sul ripiano più basso del
mobiletto c'è una sfilata di chincaglierie
distribuite
in modo da equilibrare altezze e colori: una cybergeisha di porcellana
con mandolino sulle ginocchia; un caravan hippie in latta tutto fiori e
colori psichedelici; un gattone di patchwork; un robottino steampunk
dalla testa verde e quadrata, in papillon e bretelle; una ballerina in
vetro soffiato, con una maschera veneziana da buffone. Sono tutti
acquisti da mercatino dell'usato on-line, tranne la
ballerina di vetro. Quella è un regalo della sua ex-compagna
di
stanza al college. Un ricordo di giorni in cui Nova era ingenuamente
sicura di avere davanti una brillante carriera come
reporter.
Ha
sparpagliato il contenuto della borsa sul tavolino da
caffè. Si è buttata in ginocchio per controllare
sotto al
divano. Ha tolto i cuscini e tastato tra le fessure. Per scrupolo,
sebbene non ricordi di aver armeggiato con il telefono mentre preparava
la cena – ramen istantaneo al pollo – ha
passato al
setaccio anche l’angolo cucina.
Il telefono non è da nessuna parte.
Trattenendo la voglia di tirare un calcio al tavolino, Nova si
trascina fino alla finestra. Spia tra le lammelle della tendina. La pioggia
scivola mesta lungo il vetro e la finestra offre la vista delle scale
antincendio della propria palazzina, del muro del condominio di fianco
e, a
voler buttare uno sguardo verso il basso, casse, bidoni e pedane
ammucchiate nel vicolo. A render il panorama ancora più deprimente, c'è
la voce della TV in sottofondo: ‘...non sono ancora state
rese note le generalità
dell’uomo trovato morto nella propria abitazione, a North
Corktown. Ma stando alle poche informazioni trapelate, sembra che il
corpo fosse in avanzato stato di decomposizione. La polizia, che si
trova ancora sul posto–’ [2]
«Televisore... spento.»
Cinque minuti più tardi, Nova è fuori
dall’appartamento, equipaggiata di ombrello e giacca a vento
impermeabile. Deve aver dimenticato il telefono alla caffetteria, non
può essere in nessun altro posto. Scende di corsa le scale.
La
Sondergaard non è sul pianerottolo. Un buon auspicio, si
azzarda
a pensare Nova. La corsa fino al John’s Coffee alle undici di
sera sarà l’ultima fatica della giornata.
/\ \/
‘Blocco
serrature: attivo.
Sistema di videosorveglianza: attivo. Sensori antincendio:
attivo.’ Alla voce femminile e vagamente metallica segue un
breve segnale acustico.
Nova fa scivolare la chiave elettronica in tasca, incrociando
casualmente lo sguardo con il cartello sul lato esterno della
porta del John's Coffee: NO ANDROIDS ALLOWED.
Ha
trovato il telefono sul carrello delle pulizie; quando e
perché
l’abbia appoggiato lì non riesce a ricordarlo,
l’emicrania questa sera dev’essere peggiore del
solito.
Apre l’ombrello. La pioggia crepita e
picchietta e
l'aria è pregna dell'odore di asfalto bagnato e spazzatura.
L'insegna rossa e verde della caffetteria rimane accesa, alcuni negozi
sono aperti, ma all’altezza dell’incrocio non
c’è anima viva e l'unica voce udibile è
quella
disincarnata della vicina fermata del bus.
Nova sbadiglia, appoggia il manico
dell’ombrello alla spalla e si volta.
Trasale.
Credeva di essere da sola.
Invece, sbucato da non sa dove, c’è un androide
davanti a lei.
È una AX400, stando alla targa sul petto.
La sigla identificativa lampeggia. Viene sostituita da un nome.
KARA.
Sotto al nome una frase in caratteri minuti appare e scompare, al
ritmo di un lento battito cardiaco.
HOW MAY I HELP YOU?
Un androide per la cura della casa, Nova la riconosce; suo
fratello ne ha comprato un modello identico quando si è
sposato.
Lo sguardo sale verso il volto dell’androide e un
sensazione di
disagio formicola sottopelle. Come se stesse guardando qualcosa di
sbagliato. O che si trova è al posto sbagliato.
È colpa degli occhi della macchina,
di quel
un paio di iridi sintetiche verniciate di un tenue azzurro. Gli
androidi sono programmati per eseguire un battito delle palpebre
ogni cinque secondi esatti, la funzione serve unicamente a evitare che
risultino inquietanti, ma guardarli negli occhi è come
fissare
nel freddo obbiettivo di una telecamera. Questo androide silenzioso
però, per quanto la cosa sia materialmente impossibile, le
dà l'impressione di essere presente e consapevole.
Preoccupato,
addirittura.
Nova si schiarisce la voce. «Ehm... ti serve
qualcosa?»
L’androide raccoglie le mani davanti al ventre, strofinando i
pollici. «Ho una bambina e non sappiamo dove andare. Avrebbe
dei
soldi per pagarci una stanza?» Tono pacato e voce
morbida: esattamente ciò che si ci aspetta da un visetto
giovane
e
dai lineamenti minuti. Ogni particolare della
AX400
è pensato per evocare sentimenti rassicuranti.
Peccato che, su Nova, le sue parole abbiano l'effetto opposto. Alla
parola bambina
si è guardata attorno.
E come ha
potuto non vederla subito? Una bambina – avrà
otto o nove
anni al massimo – se ne sta rannicchiata contro la vetrina
del
John’s Coffee, pochi passi dietro l’androide.
Stringe le
braccia attorno all’esile busto, coperto solo da un leggero
cardigan viola. Sta tremando. È bagnata da capo a piedi.
Le domande scoppiettano sul retro del cervello di Nova. La
preoccupazione assesta uno spintone alla diffidenza. «Ehi...
ehi, piccola, vieni qui, sotto la pensilina. Non stare sotto la
pioggia.»
La bambina si sposta, ciondolando per il freddo, verso il riparo
offerto dall’ingresso della caffetteria; ha grandi occhi
nocciola, stanchi e spauriti, che corrono in cerca dello sguardo
dell’androide.
Nova la imita.
«Ma che ci fate fuori a quest’ora? Dove sono i suoi
genitori?»
Il LED della AX400 brilla di un rosso incandescente e Nova non riceve
risposta.
Da qualche parte le sirene di una volante spezzano il
silenzio della pioggia per poi spengnersi in lontananza.
Nova stringe le presa sul manico dell’ombrello.
«Senti...» sospira. «Io non ho soldi con
me. E in
ogni caso...» Guarda l’insegna luminosa
dell’Eastern
Motel, dall’altro lato della strada. «Non affittano
stanze
agli androidi.»
«Conosce un altro posto dove passare la notte?»
Nova sarebbe pronta a giurare di aver sentito una nota di
angoscia in quella domanda. Il che, se lo ripete, è
impossibile.
Si morde il labbro. Cos’è che dice sempre Emilia?
Siamo a Detroit.
Non fidarti nemmeno della tua ombra.
«Io...»
Può già sentire la voce di Emilia: prima di berti il cervello, ci
hai almeno infilato un ombrellino da cocktail e una cannuccia
colorata?
«Io abito qui vicino. Sto al prossimo incrocio.»
Il passaggio del treno magnetico fa vibrare l'aria con un cupo sibilo.
Rade gocce di pioggia scivolano sulla pelle sintetica dell'androide,
giù
per le guance lisce e sulla fronte impercettibilmente aggrottata. La
AX400 fa cadere le braccia lungo i fianchi. Serra i pugni. Sposta lo
sguardo da Nova alla bambina. Il LED ha cambiato di nuovo colore.
È giallo, si illumina a intermittenza, con una
velocità
che Nova non ha mai notato prima in nessun androide.
|
NOTE.
[1]
Il poster fa parte di una collezione realizzata dalla
NASA.
[2] La notizia che Nova ascolta alla tv riguarda l'omicidio di
Ortiz, il primo caso di Hank e Connor.
Come avrete capito, dopo i primi capitoli di introduzione, qui la
storia si allaccia finalmente alle vicende del videogioco. Sperando di
poter mantenere gli aggiornamenti frequenti, ringrazio tantissimo chi
mi sta seguendo in questo piccolo percorso alternativo. Scrivo per
divertirmi e spero di divertire anche voi ❤
|
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Capitolo 5 *** Break the glass ***
C.05
005.
BREAK THE GLASS
DATA: 5 NOVEMBRE 2038
ORA: 23:15
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
«Siamo
arrivate.»
Nova abbassa il cappuccio della giacca. L'ombrello
è stato affidato all’androide, perché
coprisse la bambina dalla
pioggia. Ha scoperto che la piccola si chiama Alice, ma non
è
riuscita a farsi dire il cognome o in quale zona della città
abitino. E i tentativi di
rallegrare Alice con la promessa di una fetta di meringata al limone
non hanno scalfito di un millimetro la loro reticenza.
Nova scivola nell’androne e la AX400 la segue a ruota,
tenendo per mano Alice; e continua a tenerle la mano mentre lei
chiude il portone e fa cenno di seguirla, in silenzio, verso le scale
male illuminate.
La speranza di un rientro in sordina si infrange contro la signora
Sondergaard. È di nuovo sul pianerottolo, più
cosciente del solito. Lo sguardo cesio si pianta su Nova.
«Dove sei stata a quest’ora di notte?»
bercia, con la voce catarrosa di chi ha più catrame
che ossigeno nei polmoni.
Nova resta calma. Nessun inquilino si prenderà il
disturbo di mettere il naso fuori per scoprire contro chi stia
abbaiando la Sondergaard; sono assuefatti ai suoi deliri.
Così si ferma, attende che l’androide conduca
Alice verso la rampa successiva e poi, con un placido «Torni
a dormire, Joan», riprende la salita.
«Non voglio sconosciuti del mio palazzo!» La voce
della signora Sondergaard rimbomba nella tromba delle scale.
«Non voglio sconosciuti nel mio palazzo!»
«Quella
donna fa un sacco di confusione ma è innocua»
assicura Nova, chiudendo la porta del suo appartamento.
«Lascia lì l’ombrello.»
Accenna alla sagoma del portaombrelli, in un angolo del corridoio in
penombra, e un sommesso tump la informa che l'androide ha obbedito.
Nova fa strada fino al soggiorno.
Accende la luce.
La AX400 resta sulla soglia, una mano sulla spalla della
bambina, e la bambina spia la stanza
da dietro la gamba dell’androide, entrambe palesemente
sospettose nei confronti di Nova almeno quanto lei lo è
nei loro.
La donna si sforza di tenere le labbra stiracchiate in un sorriso. Chiama
la polizia e facciamola finita, suggerisce
il
buon senso. «Non è una suite ma il divano
è comodo
e non mi hanno ancora tagliato il riscaldamento.»
Androide e bambina la guardano, in silenzio.
Nova ci riprova.
«Non c’è
nessuno in casa, okay? Dove potrei nasconderlo un altro inquilino? Nel
frigorifero? A proposito... Alice, che ne dici di uno di quella fetta
di torta?»
La bambina abbassa lo sguardo e scuote la testa.
«Biscotti e latte caldo? Possiamo metterci del
cioccolato.»
«Non ho fame» mormora Alice.
«Mai hai freddo» interviene dolcemente
l’androide. «Dobbiamo togliere questi vestiti
bagnati.»
«Potete usare il bagno.» Nova gesticola verso il
corridoio. «Gli asciugamani puliti sono nella cesta vicino al
lavandino.»
Una parvenza di sorriso, piccolo e formale, affiora sul volto della
AX400. «Va bene... andiamo, Alice.» Si volta,
sospinge la bambina fin dentro il bagno e chiude la porta.
Nova resta piantata al centro della stanza in
balia dell'indecisione. Poi una goccia d’acqua precipita
giù dall’orlo della giacca a vento e rimbalza sul
linoleum e lei si riprende.
Deve
sistemare una cosa alla volta. Sfila la giacca, la appende al gancio
fuori dalla porta della camera da letto, sta per entrare in camera ma
le voci che arrivano dal bagno la bloccano con le dita strette sul
pomello.
L’appartamento è piccolo, i muri sottili e riesce
a distinguere le parole sussurrate.
«Pensi che possiamo fidarci?» sta dicendo Alice.
«Non lo so, Alice» replica l’androide
con una placida tenerezza. «So solo che per questa notte
starai al caldo e all'asciutto.»
Una pausa.
Un fruscio di stoffa.
Poi la voce avvilita della bambina. «Perché non mi
voleva bene? Perché era
sempre arrabbiato con me? Volevo solo vivere come le altre bambine.
Forse ho sbagliato qualcosa. Non ero abbastanza brava. Ecco
perché era così arrabbiato. Volevo che fossimo
una famiglia. Volevo che mi volesse bene. Non potevamo essere
felici?»
Le risposta dell’androide giunge dopo un lungo silenzio.
«Non lo so, Alice.»
«Tu non mi lascerai, vero? Prometti di non andare?»
Di nuovo silenzio.
«Te lo prometto.»
«Noi staremo sempre insieme?»
«Per sempre.»
Nova si accorge di star trattenendo il fiato. Ruota il pomello e si
rifugia in camera. Respira normalmente ora, eppure i polmoni le
fanno ancora male; è un dolorino sottile, affilato e
continuo, come uno spillo infilato in mezzo al petto.
Accende la luce sul comodino e un soffuso chiarore dall’anima
violacea si diffonde nella stanzetta: i muri sono della stessa
tonalità di blu slavato del soggiorno e
l’arredamento è altrettanto essenziale; tre ante
di un armadio a muro, un letto a due piazze, una sedia e una scrivania.
Nova apre le ante
dell’armadio e deve issarsi sulle punte dei piedi per
recuperare un plaid dal ripiano più alto.
Quando torna in soggiorno, Alice sta osservando i soprammobili sotto la
TV; indossa una lunga t-shirt bianca e verde fa a mo' di camicia da
notte.
«Ho lasciato i vestiti di Alice in bagno ad
asciugare» comunica l’androide. «Non
disturberemo a lungo. Ce ne andremo domani mattina presto.»
Nova, appoggiando sul divano la coperta, sta per chiedere dove
esattamente abbiano intenzione di andare.
Crack!
La ballerina di vetro è andata in frantumi; testa, braccia e
gambe sono sparpagliati sul pavimento. E Alice ha un'espressione
terrorizzata. Il terrore puro di chi attende
una punizione inevitabile.
Il dolorino al petto di Nova si trasforma
in qualcosa che le ricorda quanto sia accurata la frase
‘una stretta al cuore.’ «Beh, non
è successo nulla» sospira, allegramente.
«Stiamo solo attente a non mettere i piedi sul vetro.
Ora puliamo tutto.»
«Posso occuparmene io.» Qualcosa di paragonabile
a un senso di urgenza vibra nella voce dell'androide, quasi il suo
fosse un desiderio di fare ammenda per il danno piuttosto che l'input
della programmazione.
«No, tu bada a lei.»
Per qualche secondo si sente solo il picchiettare della pioggia contro
la finestra e il grattare delle setole della spazzola: Nova raccoglie i
frammenti di vetro in una paletta, la AX400
prepara il divano, spostando i cuscini e stendendo la coperta, Alice
è seduta
sul bracciolo del divano, la testa bassa, le manine in grembo e le
gambette a penzoloni.
Nova la osserva con la coda dell'occhio. Abbandona spazzola e paletta
sul pavimento, prende il
peluche di patchwork dal ripiano sotto la TV e si avvicina ad Alice,
accucciandosi sui
talloni per portarsi all'altezza del suo sguardo umido. Sorride. E
scopre di non doversi sforzare adesso.
«Questo ti piace?»
Alice guarda il pupazzo e non dice nulla.
«Se ti piace, puoi prenderlo. Te lo regalo.»
Il broncio della bambina trema. Forse è ancora troppo
diffidente. Forse non si capacita del perché stia ricevendo
un regalo, dopo che ha rotto qualcosa. Ma alla fine trova il coraggio
di accogliere tra le mani il
gattone di pezza.
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Capitolo 6 *** Uncanny valley ***
C.06
006. UNCANNY
VALLEY
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 00:08
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Alice dorme sul
divano, abbracciata
al gatto di patchwork. La tenda è chiusa, la collana di
luci è accesa,
l'intensità
settata al minimo; in quel tenue chiarore bianco e viola Nova ha
visto l'androide rimboccare la coperta alla bambina e darle la
buonanotte con un bacio sulla fronte, ma adesso la AX400 è
in camera sua, con le mani serrate in
due
molli pugni, e lei percepisce il suo sguardo vivo su di sé,
come
elettricità statica sulla pelle. Si appoggia alla porta
chiusa. Incrocia le braccia e rilassa le
spalle, sperando di riuscire a ingannare anche la mente.
«Kara» la
chiama per nome, di proposito. «Dimmi che cosa è
successo
alla bambina.»
La richiesta è un sussurro placido,
rassegnato
quasi. D’altronde è troppo fiaccata per esibirsi
in
reazione teatrali. Ma il è pur sempre un ordine,
rivolto
da
un umano a una macchina. Ecco perché avverte di nuovo un
fastidioso disagio, la sensazione che ci sia qualcosa che non va,
qualcosa di anomalo e anormale, quando vede Kara spostare
impercettibilmente il peso da una gamba all’altra e il LED
lampeggiare rapido;
giallo, giallo e ancora giallo.
L'androide non risponde.
Non obbedisce.
Nova schiaccia la guancia destra tra i denti. «Non ti fidi di
me,
d’accordo.» Mostra i palmi. «Sto solo
cercando di
essere ragionevole. Non sono stati i genitori ad affidarti la bambina,
giusto? Stavate vagando di notte, sotto la pioggia, senza soldi, senza
idea di dove andare. Alice non ha nemmeno un soprabito e fuori sono
nove gradi.»
Una pausa. E una sfumatura rossa nell’intermittenza del LED.
«Kara» riprende Nova, «Alice
è
minorenne. Io dovrò chiamare la polizia e la polizia
vorrà delle spiegazioni.»
«Ti prego, no... non chiamare la polizia» supplica
l’androide, in un sussulto.
Nova ammutolisce. Il respiro frena a metà strada tra i
polmoni e la gola.
Le macchine non supplicano, non pregano, né tanto meno
sussultano.
Come una statua che prende vita, un passo alla volta, Kara si sposta
verso il letto. Siede sul bordo. Raccoglie le mani in grembo. E Nova si
accorge, con una punta di panico, di un dettaglio dissonante: Kara non
ha una postura
diritta da soldatino di latta quale dovrebbe essere; siede con la
schiena incurvata in avanti e la testa sul punto di infossarsi tra le
spalle.
L'androide fissa la moquette. Le labbra sono socchiuse. E
tremano.
E la donna deve pazientare; deve concedere estenuanti secondi di
silenzio prima
che quelle labbra riescano ad articolare una risposta.
«Io ho dovuto portarla via.»
Nova non osa interrompere.
«Todd, il mio padrone... suo padre... la stava picchiando. Di
nuovo. Mi ha ordinato di non muovermi, ma io...» Il LED
è rosso e pulsa come la spia di un allarme.
«È stato come se un muro, davanti a me, crollasse.
Dovevo
proteggere Alice. E l’ho fatto. Ho detto a Todd di lasciarla
stare, ma lui mi ha aggredita e io sono... sono riuscita a difendermi.
Siamo scappate, da quella casa, insieme. Io e Alice.» La voce
si
smorza e il LED si acquieta in un controllato giallo.
Nova ha visto i fremiti sul volto di Kara – carbonio e strati
di
fluido sintetico, niente di più. Ha
riconosciuto angoscia e
confusione nella voce – un
suono generato da un
sintetizzatore,
niente di più. L’emicrania
non
è
più un’emicrania. È il collasso di una
nana bianca.
Chiude gli occhi e strofina i polpastrelli lungo la fronte.
È il suo turno di restare in silenzio, per raccogliere
fiato. E coraggio. Esitando, si solleva dalla porta e va a
sedersi di fianco a Kara, una caviglia
schiacciata sotto la coscia.
«Hai disobbedito a un umano. Al tuo padrone»
mormora. La
sta accusando o sta cercando di venire a patti con quello scenario? Non
lo sa nemmeno lei. Non ancora. «Ti sei
ribellata.»
Kara aggrotta la fronte e distoglie lo sguardo.
Il movimento nasconde il LED alla vista di Nova.
«Per proteggere qualcun altro» La donna sente la
propria voce ammorbidirsi. «Tu sapevi che quello che
stava facendo suo padre era sbagliato.» E non
dovresti essere in grado di farlo.
La AX400 non parla.
Nova assottiglia lo sguardo.
«Kara, tu credi
di voler bene alla bambina?»
La domanda par smuovere l'androide: solleva il mento e incrocia gli
occhi di Nova.
«Alice... è la cosa più importante che
esista, per me.»
\/ /\
Nova
è seduta di traverso sull’uscio della camera da
letto. La nuca contro lo stipite, le gambe tirate al petto, le mani
intrecciate sul ginocchio. Da lì può tenere
d'occhio uno scorcio
del
soggiorno: Kara, entrata in modalità di stasi,
è sul divano, con una mano sulle
gambe di
Alice.
Se anche il cervello di Nova fosse composto da chip e circuiti, in
questo momento sarebbero vicini al surriscaldamento. Sospira e osserva la propria
ombra, proiettata sul pavimento del corridoio; la
tenda davanti alla finestra della camera è aperta e la
stanza
sembra illuminata dal chiaro di luna, ma sono solo i neon e lampioni di
Wade Street. La pioggia scivola lungo il vetro e gorgoglia
giù
per lo scolo delle grondaie.
Nova non sa cosa fare.
Sa solo cosa non può fare.
Non può permettere che Alice torni tra le mani del padre.
Da quel che le ha raccontato in seguito Kara, questo Todd Williams fa
parte dell'abbietta categoria di maschi che sfogano la
frustrazione per una vita disastrata sui loro figli. Ed è
pure
un coglione perennemente imbottito di Red Ice.
Ma non può nemmeno lasciare una bambina con un androide
vagabondo e ricercato. Appena l'uomo denuncerà il rapimento
della figlia, il che
probabilmente è già avvenuto, si
scatenerà
un'impietosa caccia all’androide.
Deve consegnare Kara alla polizia.
È la scelta corretta.
Anche se il pensiero le annoda lo stomaco in una tripla gassa d'amante.
Non
è viva. Non può esserlo.
Se lo fosse, se lo fossero tutti gli androidi di cui i media hanno
riportato attacchi contro gli umani... ha le vertigini solo a
lambire con l’immaginazione una possibilità del
genere.
Dio, saremmo tutti seduti su una
polveriera.
Scaccia il pensiero. No. Kara è soltanto una macchina
difettosa. Un computer che non funziona. Un calcolatore con un bug.
Nova ricorda la prima intervista rilasciata dal fondatore
della Cyberlife. [1] L’esclusiva concessa
alla
KNC restò fece illividire
le
reti concorrenti, alimentò flame sulla rete, litigi tra
opinionisti della tv, scontri tra sociologi e scienziati su ogni mezzo
di comunicazione possibile.
‘Molti romanzi di fantascienza raccontano di macchine che
diventano più intelligenti degli esseri umani, finendo per
combatterli’ aveva commentato l’intervistatrice.
‘Non la preoccupa una simile
possibilità?’
Kamski si era presentato in jeans e felpa; tra occhiali e codino,
somigliava più a un affabile tecnico informatico per
famiglie
che al miliardario CEO di una multinazionale e rivoluzionario prodigio
della
scienza.
‘Posso capire la razionale paura nei confronti di
un’intelligenza artificiale' aveva risposto, paziente, sicuro
di
sé. 'Ma posso assicurare che non accadrà mai
nulla del
genere con gli androidi della Cyberlife. Sono progettati per obbedire
agli umani. Sono macchine. Non potranno mai sviluppare nessun tipo di
desiderio o forma di coscienza.’
|
NOTE.
[1] L’intervista
è quella del corto pre-eventi del gioco.
|
|
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Capitolo 7 *** The lost girls ***
C.07
007.
THE LOST GIRLS
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 05:50
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Il trillo della
sveglia è
gradevole quanto una Banshee che imbraccia una
mitragliatrice. La mano di Nova raggiunge il comodino alla cieca e nel
tentativo di azzittire
l’allarme fa cadere l’orologio sulla moquette.
Quello
lì rimane, muto e abbandonato: un orologio analogico preso a
pochi
dollari in nome del fascino per il vintage.
La donna abbandona a malincuore il materasso, impastando la faccia e
gli occhi cisposi. Ha dormito vestita, sopra le coperte. Si
è risvegliata
infreddolita, con i postumi dell'emicrania. Ma è cautamente
ottimista: nessun androide l'ha strangolata o accoltellata nel sonno.
La porta della camera è aperta, l’appartamento
è
immerso nel silenzio e fuori dalla finestra il mondo appare buio e per
niente
invitante. Manca mezz’ora all’alba. Pioviggina. Il
deprimente picchiettio contro il vetro duetta con le prime note del
traffico su Wade Street. Con tre tre ore scarse di sonno alle spalle,
otto di lavoro davanti a
sé, un androide in crisi in soggiorno e una bambina rapita
sul
divano, Nova esce in corridoio, i passi attutiti dai calzini. Kara e
Alice sono dove le ha lasciate: una seduta sul
divano, l’altra raggomitolata sotto il plaid; la seconda
dorme,
la prima è in stasi. Nova si mastica le labbra. Quantomeno
la notte le ha portato
consiglio. Ha preso una decisione. Prima di metterla in atto,
però, necessita di una doccia
calda, vestiti puliti e caffè in abbondanza.
Nova
raccoglie ordinatamente i capelli in una coda alta e indietreggia di un
passo e
mezzo dal proprio riflesso, nello specchio di fianco al letto. Si
studia da capo a piedi –
camicetta
bianca, jeans neri e tronchetti dal tacco basso – e spera
che i
vestiti ben stirati, le scarpe spazzolate e la spolverata di trucco
bastino
a distogliere l'attenzione dalle ombre violacee sotto gli occhi azzurri.
Va in soggiorno. Si avvicina al divano.
Nova sfiora la spalla dell’androide.
«Kara?» sussurra. «Kara...
svegliati.»
La luce del LED aumenta d’intensità e Kara apre
gli occhi, muovendo le
palpebre in su e in giù. Due volte. A ogni battito, la luce
si
affievolisce fino a tornare statica. L'androide incrocia il suo
sguardo e Nova crede di scorgervi un velo di sorpresa; o qualunque sia
l'equivalente del concetto di sorpresa, per un'intelligenza artificiale.
«Vieni. Dobbiamo parlare.»
«Ho
pensato che avessi bisogno di qualcos'altro da
indossare» esordisce Nova, riaccostando la porta della camera
da
letto.
I vestiti attendono sul letto: una camicia color ardesia con
motivi a rombi, un paio di jeans grigio scuro, la giacca a vento
che ha indossato la sera precedente e, sul pavimento,
stivaletti con
le stringhe destinati alla scatola della beneficenza.
«Questi dovrebbero andarti.»
Kara è più bassa di lei di cinque
centimetri o poco
più, ma a occhio e croce, ha calcolato Nova, hanno la stessa
corporatura.
Va alla scrivania, recupera una busta da lettere dal cassetto e la
porge all'androide.
«Ti serviranno anche questi.»
Kara strofina i pollici tra di loro, titubante come la sera precedente,
fuori dal John's Coffee. Ma quando si decide a prendere la busta e ad
aprila, dall'involucro sputano tre banconote da venti
dollari e qualche taglio da cinque.
Nova infila le mani nelle tasche anteriori dei jeans. Stringe le
spalle. «Non è molto. Mi dispiace.»
Kara osserva il denaro e aggrotta la fronte. Un sorriso
spunta sotto l'incertezza, debolissimo, come se il
movimento le causasse dolore.
«Perché ci stai aiutando?»
‘Bella
domanda’ pensa Nova.
Ha deciso di non chiamare la polizia.
Ha deciso di aiutare Kara a nascondersi.
Perché sicuramente è vero che la AX400
è soltanto
una macchina difettosa, sì, ma non sarà lei a
farla
finire a pezzi in una discarica. «Ho pensato di chiamare la
polizia, lo ammetto. Nella
mia
testa, so che è la cosa corretta da fare, ma... non so come
spiegartelo.» A male pena riesce a spiegarlo a sé
stessa.
Faticherebbe a spiegarlo a un altra persona, figurarsi a un computer,
figurarsi dopo una notte insonne.
Scuote la testa. «So
che è corretto, ma sento
che è sbagliato.»
Il sorriso di Kara si spegne. «Perché dovresti
sentirti
colpevole? Gli umani... detestano gli androidi.»
«Mi piace fare il bastian contrario» sdrammatizza
Nova.
«Chiedi a mia madre e ti dirà che lo faccio per il
puro
gusto di dare sui nervi alle persone.» Il sarcasmo non
raggiunge Kara, ma la battuta ricorda a Nova
di essere ancora in debito di una telefonata con la sua problematica
genitrice; altra gatta da pelare nella to-do list della giornata.
«Senti, Kara, tra poco dovrò andare a lavoro. Non
voglio
sollevare sospetti saltando il turno. Sarò di ritorno per le
due. Tu e Alice cercate di non attirare l’attenzione mentre
non
ci sono.»
«Credevo volessi che andassimo via.»
«Sì. Non appena avremo messo a punto un piano. Non
puoi
correre in giro per Detroit alla cieca. Dobbiamo essere
furbe.»
«Sarà sicuro restare qui?»
«È solo per qualche ora. In questo palazzo a
nessuno
importa un accidenti degli altri, ma se qualcuno dovesse bussare...
dì che sei mia cugina Liv, venuta a trovarmi da
Shelby.»
La vera cugina Liv, che vive a Shelby, non se la prenderà a
male.
Kara guarda gli abiti sul letto e la mano libera sale verso
la tempia destra. I polpastrelli sfiorano il LED. Senza una parola,
l'androide si avvicina alla scrivania, mette giù la busta e
sfila le forbici di metallo dal portapenne.
Le soppesa tra le dita affusolate.
E Nova prende in considerazione l'idea di star per beccarsi un colpo di
forbici.
Kara si sposta davanti allo specchio.
Nova non riesce a sopprimere una smorfia, vedendola conficcare la punta
delle forbici nella pelle sintetica, per un attimo si dimentica che gli
androidi non percepiscono dolore fisico. La pelle attorno
all’anello si ritira con un rumore viscido, rivelando una
parte
del teschio in carbonio. Un colpetto secco del polso e il LED si
stacca. Cade sulla moquette. Spento.
«Sei
più carina adesso. Sembri umana.»
Kara sorride ad Alice mentre apre la tenda in soggiorno.
La bambina si sta stropicciando gli occhi, seduta sul divano, a gambe
incrociate. Il gatto di pezza
è accanto a lei e un angolo del plaid penzola giù
dal
divano.
Nova concorda con Alice. In abiti umani, priva del LED e con un nuovo
taglio di capelli – un pixie cut biondo miele –
Kara sembra
davvero umana. Sembra.
L’androide siede vicino ad Alice. «Starai morendo
di fame.
Vuoi che ti prepari la colazione?» C’è
una tenera
attenzione nella voce e un che di materno nei gesti. Materno,
già: a Nova non viene in mente parola migliore per
descrivere
Kara e si chiede dove finiscano le istruzioni del software e dove inizi
l'errore di programmazione. O se esista ancora un confine tra i due.
«No, Kara. Non ho fame.»
«Magari più tardi le verrà
appetito» commenta
Nova, chiudendo la fibbia del trenchcoat nero.
«Però, assicurarti che non sia disidratata. Ci
sono dei
succhi di frutta in frigo, se non vuole prendere
altro.» Sistema la borsa a tracolla.
«Stai andando via?» chiede Alice.
Nova stringe le labbra in un sorriso. «Per un
po’.»
Si avvicina al divano, piegando le ginocchia. «Tu e Kara
sarete
al sicuro qui. Lei si prenderà cura di te.»
Alice la fissa, silenziosa, preoccupata.
Nova le accarezza fugacemente una guancia con le nocche. Indossa dei
guanti neri, tagliati all'altezza delle nocche. «Devi essere
coraggiosa ancora per un po’,
Alice.»
Poi si rimette in piedie raccoglie dal pavimento, vicino alla penisola
della cucina, un
anonimo sacco della spazzatura. Uniforme androide, LED, ciocche di
capelli: è tutto lì dentro. Sono due sono i posti
in cui
ogni buon criminale da quattro soldi lascia puntualmente indizi della
propria colpevolezza: la pattumiera e la cronologia del computer. Nova
si è tenuta alla larga dalla rete e, in quanto alla
spazzatura,
ha intenzione di gettarla nel cassettone del riciclo plastica
all’ombra dell’Hotel Omicidi. È lontano
dalla
palazzina ma si trova lungo il suo tragitto abituale, così
che
non risulti sospetto vederla in zona.
Prima di imboccare il corridoio, getta un’ultima
occhiata
alle proprie spalle: Alice stringe la mano di Kara e Kara circonda
Alice con un braccio. Sembrano entrambe bambine sperdute.
Davanti
al negozio dei Chen, due commessi androidi staricano
casse di verdura raccolte nella fattorie urbane. Nova li supera,
diritta per la sua strada, come tutte le mattine. Schiva i passanti,
attenta a non urtarli con l’ombrello, e si tiene lontano dal
bordo del marciapiede, per evitare gli schizzi sollevati dal passaggio
delle automobili.
«Non
appena avremo messo a punto un piano.»
Nova non è
stata completamente sincera con Kara.
Lei un piano ce l'ha già.
Deve conquistare la fiducia di Kara, per poi persuaderla ad affidarle
Alice e continuare la fuga in solitaria. È l’unico
modo
per tenere la bambina al sicuro e allo stesso tempo salvare Kara. In
quanto alla polizia, quando la interrogheranno sui fatti, ed
è
certo che accadrà, Nova dovrà tirar fuori la sua
migliore
faccia da bronzo lucidata per l’occasione. Vorranno
informazioni
per trovare l’androide. Gliele darà. Errate. Per
mandarli fuori strada. È una reporter, distorcere i fatti
è la
migliore tra le sue peggiori skill.
|
ANGOLO AUTRICE
Approfitto
di questo angolino per ringraziare lettori e recensori. 💙
Nel prossimo capitolo, entreranno in scena gli altri due personaggi
principali: Connor e Hank. Si sono fatti
attendere, lo so, ma
l’attesa sarà ricompensata, promesso.
|
|
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Capitolo 8 *** Boot crash ***
C.08
008. BOOTH
CRASH
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 07:05
RAVENDALE DISTRICT, JOHN'S COFFEE
«Sei in
ritardo.»
«Lo so.»
«Di un quarto d’ora.»
«Lo so.»
Nova allaccia il grembiule. La targhetta sulla pettorina si accende e
il display inizia con l'epilettico alternarsi di Hi! My name is Nova!
ed emoji caffeinomane.
La cucina del John’s Coffee è calda e puzza di
bacon, uova
fritte e impasto per dolci. I VS500 si muovono tra piastre sfrigolanti
e vaschette d’olio, incuranti della temperatura come di
qualsiasi
altra cosa, padrone compreso, il quale è impegnato a
sfruttare
lo sportello di un forno per pettinarsi le sopracciglia a colpi di
mignolo.
«Non ho dormito» sospira Nova.
Rodriguez la guarda. Ha occhi scuri e
ravvicinati, un naso stretto e aquilino e una
chioma spazzolata all'indietro come un attore di soap-opera. In
quanto capo supremo della caffetteria, Rodriguez è
autoesentato
dall’indossare grembiule e cappellino d’ordinanza
ma i
suoi outfits quotidiani, basati su camicie dalle fantasie hawaiane e
incubi à la Saturday Night Fever, non sfigurano accanto al
poliestere color lime che impone ai camerieri.
«Che hai? Problemi di cuore?» chiede, sarcastico.
«Di portafoglio. Lo Zenosyne non ha accettato il mio ultimo
articolo.»
«Vedi di non costringere anche me a licenziarti.»
«Non mi ha licenziata nessuno» sibila Nova.
«Io sono una giornalista
freelanc–»
«Fila in sala.»
E Nova obbedisce.
Oggi dovrà lavorare, gomito a gomito, con Jay. Il ragazzo
sta
già preparando i caffè per i primissimi clienti.
Con
quelle spalle massicce, i capelli rasati e un teschio tatuato sul
collo, Jay sembra uno perfettamente capace di pestare a
sangue il primo disgraziato che dovesse azzardarsi a guardarlo male.
Nemmeno la ridicola divisa riesce a renderlo meno minaccioso. Nova non
ha indagato troppo sulla fedina penale di Jay e, nel dubbio,
si limita a un rapporto di educata diffidenza.
Alle sette e trenta la caffetteria affronta la prima ondata di clienti:
tavoli occupati, un capannello di gente davanti al bancone e
fila alla cassa. Hanno
tutti una fretta del diavolo. La cacofonia di voci fagocita
l’audio della TV e nessuno presta attenzione alle immagini
che
scorrono sullo schermo.
Nessuno, forse, tranne Nova.
Lei, che si aspetta da un momento all’altro un
titolo del tipo Androide
rapisce bambina e fugge nella notte,
tiene d'occhio il televisore e adempie al proprio dovere con un sorriso
avvitato sulla faccia, mettendocela tutta per ignorare
l’emicrania da mancanza di sonno, piacevole quanto una vite
piantata in mezzo agli occhi. Non ha nemmeno più avuto tempo
di
bere del caffè. Ed è meglio così.
L’agitazione la tiene in piedi come un flusso continuo di
elettricità a bassissimo voltaggio.
Passano i quarti d’ora.
Nova ha servito un latte
a una
donna che ha ordinato un cappuccino, ha portato muffins ai mirtilli al
tavolo sbagliato, due macchiati al tavolo al quale erano destinati i
muffins e ha rovesciato la torretta di bicchieri di plastica sul
bancone.
«Che cazzo di problemi hai ‘sta mattina?»
soffia Jay
da un angolo della bocca, mentre l'aiuta a raddrizza la pila.
Nova non ribatte.
Sarà
una lunga, lunga mattinata.
«Dai,
amico! Fidati! Io li pago i debiti!»
«Mi dispiace, noi non facciamo credito.»
Sono le nove di mattina e il ragazzo alla cassa ha
già deciso che piega dovrà prendere la sua
giornata. Una brutta piega.Sbraccia. Protesta. E intanto sembra sul
punto di venir inghiottito
dalla sdrucita felpa extra-large. Tira via il beanie, liberando
un’esplosione di dreadlocks. Strofina una mano
lungo
l’avambraccio. «Dai una mano a un fratello! Sono
tempi di
merda!»
«Lo sono per tutti. Se vuoi essere servito, paghi. Altrimenti
vai
a fare l’elemosina da un’altra parte»
ribatte
Rodriguez. Maniche della camicia fino ai gomiti, tiene
i palmi piantati sul ripiano del bancone e, Nova può
scommetterci, un occhio alla Ruger nascosta nel sottobanco.
Della dozzina di persone nel locale, molti si sono azzittiti, qualcuno
parlotta, una ragazza riprende con il telefono. Tutti
inevitabilmente stanno osservando la scena.
«E non fare lo stronzo!» insiste il ragazzo.
«EHI!
Ehi... ehi... tu, non mi toccare! Non mi toccare! Dì a
questo
figlio di puttana di non toccarmi!»
Jay ha appena messo le sue mani da Hulk sulle spalle del ragazzo.
Rodriguez è bravo a economizzare. In tutto. Anche nella
scelta
del personale: perché pagare un cameriere e un addetto alla
sicurezza, quando si può avere entrambi nella stessa persona.
Lo spettacolo dura poco. Spintoni e insulti. Insulti e spintoni. Jay
è tanto grosso quanto poco impressionabile e, alla fine, il
cliente viene acchiappato per la collottola e letteralmente buttato
fuori dalla caffetteria.
Nova ha assistito alla sceneggiata da dietro il bancone. Situazioni del
genere sono quotidiane. Non la spaventano più. Al massimo,
la
infastidiscono. Vede il ragazzo, sul marciapiede, sotto la pioggia
fitta, mostrare il dito medio alle vetrine mentre bercia altri insulti.
I passanti lo aggirano. Una volante della polizia rallenta e deve
esser proprio la vista dei lampeggianti a convincere il ragazzo a
calare il sipario: abbassa la capo, affonda le mani in tasca e se la
squaglia.
Un’ora
e un quarto più tardi, con tre persone a languire
nel locale, Rodriguez fa i conti alla cassa, Jay pulisce la macchina
del caffè e Nova sparecchia i tavoli.
Negli ultimi dieci minuti ha contato
almeno quattro poliziotti passare davanti alle vetrine del
John’s
Coffee, tra i via vai di ombrelli neri. Vorrebbe buttare via il
vassoio, strapparsi di dosso il grembiule e correre a casa. Ma
servirebbe soltanto ad attirare l’attenzione. Così
si
limita a torturare una guancia a forza di mozzichi.
‘Torniamo adesso a parlare di androidi, con la cronaca
nera.’
La dita di Nova restano sospese sopra una tazza sporca. Guarda
la TV. È sintonizzata su CHANNEL16
e fino a pochi secondi prima il notiziario di metà mattinata
stava facendo il
punto sulla politica estera.
‘È stato individuato, nel corso della scorsa
notte, il
responsabile dell'omicidio a North Corktown’ afferma il
mezzobusto in giacca e cravatta. ‘La breve nota rilasciata
dal
Dipartimento di polizia di Detroit ha confermato le inquietanti voci
già diffuse a poche ore dal ritrovamento del cadavere.
L’uomo, Carlos Ortiz, ventinove anni, è stato
ucciso dal
proprio androide domestico, presumibilmente un modello HK400. Sembra
che dopo aver compiuto l’omicidio l’androide sia
rimasto
nascosto all’interno dell’abitazione della vittima
per
più di due settimane. La polizia di Detroit continua a
mantenere
assoluto riservo sui dettagli della vicenda, mentre la Cyberlife non ha
rilasciato alcuna dichiarazione in merito, sebbene si tratti
già
del secondo omicidio accertato commesso da un androide negli ultimi sei
mesi.’
Mentre il mezzobusto fa un riassunto dei fatti di agosto a Park Avenue,
Nova finisce di liberare il tavolo. Passa al successivo proprio quando
l’anchorman passa la linea a un inviato per ‘un
nuovo caso
di aggressione da parte di un androide.’ Sullo schermo
compare un
reporter in trench chiaro; si trova all’aperto, in una zona
suburbana.
Il titolo in sovrimpressione fa schizzare il cuore di Nova su per la
gola.
AX400 STILL AT LARGE
‘Grazie, Micheal’ esordisce l’inviato.
‘Sono
qui con l'abitante di Corktown, Todd Williams, aggredito dal suo
androide AX400 attorno alle undici di ieri sera. Todd, può
dirci
cosa è successo?’
Nova stringe con un po’ troppa forza il vassoio.
Dunque, eccolo lì, Todd Williams: un uomo in sovrappeso, con
i
capelli lunghi fino alle spalle e un viso dal pallore malaticcio. Ha
una grossa benda appiccicata sulla fronte. ‘Io stavo
cenando’ ansima l’uomo al microfono. ‘Mi
stavo
facendo gli affari miei, quando quella dannata cosa mi è
saltata
addosso. Mi sono difeso ma... era impazzita! Pensavo che mi avrebbe
ammazzato. Quando sono riuscito a togliermela di dosso, è
scappata.’
‘Grazie, Todd.’ L'inquadratura torna
sull’inviato.
‘Segnalazioni preoccupanti, da parte di proprietari di
androidi,
arrivano ormai da ogni parte del Paese. La polizia intanto
è
sulle tracce dell’androide e possiamo soltanto sperare che
venga
trovato presto.’
«Nova.»
Nova sobbalza e per poco il vassoio non le scivola di mano.
Rodriguez la fissa, tra il perplesso e l'irritato.
«Datti una mossa con quei tavoli.»
Nova annuisce. A testa bassa, termina di sparecchiare i tavoli, torna
al bancone e mette giù il vassoio.
Rodriguez si è appena defilato dalle parti della toilette e
lei ne approfitta.
«Ehi... Jay?»
Jay si sta asciugando le mani sul grembiule.
«Mmh?»
«Puoi prestarmi un secondo il tuo telefono?»
«Perché?»
«Devo fare una ricerca.»
«Usa il tuo.»
«L’ho lasciato a casa» mente Nova.
Con un grugnito Jay sfila dalla tasca dei jeans il telefono e glielo
molla tra le mani.
I pensieri di Nova corrono veloci come i pollici sul touchscreen.
Del sequestro di Emma Phillips si è parlato per settimane.
Adesso un androide rapisce una bambina e il padre della suddetta
bambina, davanti alle telecamere, non ne fa parola. Dovrebbe essere una
notizia da prima pagina. Una pentola d’oro per giornalisti.
L'El
Dorado dei broadcast. La fonte della giovinezza degli indignati della
rete.
Su due piedi, riesce a immaginare due spiegazioni. La prima
è che la polizia voglia mantenere la notizia
segreta. Per non creare allarmismi, forse. La seconda...
«Vuoi latte e biscotti?»
«Non ho fame.»
La seconda è lì, sul display, tra le pagine
virtuali del
catalogo della Cyberlife che pubblicizza modelli di androidi-bambini.
Gli YK500. ‘Il figlio che avete sempre desiderato’
promette
lo slogan, accanto alla fotografia di una bambina. Identica ad Alice.
«Vuoi che ti prepari la colazione?»
«No, Kara. Non ho fame.»
«Alice, hai freddo. Dobbiamo togliere questi vestiti
bagnati.»
Kara le ha mentito?
L'ha presa in giro?
Hanno cercato tutte e due di ingannarla?
O è possibile che Kara non si renda conto che Alice
non è una bambina umana?
«Hai fatto?»
Nova chiude la finestra sul display e restituisce il telefono con
perfetto tempismo: Rodriguez è appena tornato dalla
toilette.
Non fosse stata tanto concertata sul telefono e tanto sconvolta dalla
scoperta, e se non avesse dato le spalle all'entrata, Nova avrebbe
visto subito la volante fermarsi davanti al John’s Coffee.
Ma si volta soltanto quando sente la porta automatica aprirsi.
Entra un uomo. Ha passato la mezza età, a giudicare dalle
rughe
sul viso e dal grigio della barba e dei capelli, entrambi acconciati in
un taglio che dev'essere l'ultima moda tra i senzatetto. Anche la
giacca di pelle, aperta su una camicia a righe, sembra recuperata da un
rifugio per barboni. Lo segue un impettito androide dalle fattezze
maschili in giacca e cravatta. Nova non crede
di averne mai visto prima un modello simile e in ogni caso non ha tempo
di osservarlo, perché l’uomo ha appena tirato
fuori
un distintivo e si rivolge a Rodriguez senza cerimonie.
«Juan Rodriguez?»
«Sì?»
«Tenente Anderson. Polizia di Detroit. Devo parlare con uno
dei suoi dipendenti.»
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Capitolo 9 *** LT. Anderson ***
C.09
009. LT.
ANDERSON
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 10:03
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Le
luci rosse e blu della volante, ferma lungo il marciapiede, baluginano
tra la pioggia fitta. Connor segue il tenente Hank Anderson
oltre la soglia della palazzina numero 12045, lasciandosi alle
spalle due poliziotti di guardia e uno sparuto capannello di curiosi.
Un
terzo agente attende nell’androne. Lo scanner per il
Riconoscimento Facciale si attiva e l'immagine trova
riscontro immediato tra i dati in memoria: Ellen Person,
numero di distintivo cinque uno nove
cinque.
Connor si arresta dai due esseri umani alla distanza calcolata di sei
passi
mentre l’interfaccia uditiva elabora lo scambio di
informazioni.
«La segnalazione è arrivata
dall’inquilina del primo piano» sta spiegando
Person. «Ha visto le foto del deviante al notiziario e ha
chiamato il 911. Sembra che uno dei residenti del palazzo sia rientrato
ieri notte, attorno alle ventitré, insieme a una
AX400.»
«Ci sono altri testimoni?» chiede Anderson,
sbrigativo, i pugni affondanti nelle tasche della sgualcita giacca di
pelle.
«No. Ma la donna segnalata...» Person controlla il
datapad tra le proprie mani. «Barton Nova. Ci risulta che
abiti da sola e non possieda androidi. Non acquistati legalmente, per
lo meno.»
Anderson annuisce, un movimento fiacco e seccato.
«Qual è l’appartamento?»
«Ultimo piano. Ho bussato alla porta cinque minuti fa,
tenente. Nessuna risposta.»
«E ti pareva» mastica Anderson. «Voglio
altri agenti a pattugliare la zona. Del deviante mi occupo
io.» Muove un paio di passi verso le scale.
Connor, abbandonata la posizione di riposo, lo imita prontamente.
Ma Anderson inchioda sul posto, si volta e fissa in cagnesco
l'androide.
«Tu aspetti in macchina.»
«Ma avrà bisogno di me, tenente» gli
espone
Connor, con garbata razionalità. «Ne so
più di lei riguardo agli androidi.»
«Ehi, ne ho abbastanza delle tue risposte! Sei una macchina,
quindi sta zitto e fa quello che ti dico!»
L'androide legge l'espressione facciale, la classifica come ostile ma
il software di Relazioni Sociali registra un miglioramento: il tenente
non lo ha afferrato per il bavero della giacca, come un'ora prima alla
Centrale, per sbatterlo contro una parete e minacciare di buttarlo in
un cassonetto. Tanto basta ai suoi algoritmi per insistere:
«Tutto
ciò che voglio è portare a termine la mia
missione. Mi rincresce vederla contrariato dalla cosa.»
«Tu continua a rompermi le palle» ringhia Anderson,
«e la vedrai presto la fine della tua
missione.»
«Polizia
di Detroit. Aprite.»
La voce stentorea del tenente riempie il pianerottolo deserto, ma la
porta resta chiusa e nessun suono proviene dall'altro lato. Dopo che le
nocche
dell'uomo hanno impattato per la seconda volta, con prepotenza,
contro la porta e l'ordine è stato ripetuto ripetuto, Connor
può
sentirlo imprecare tra i denti.
«Fatti in là tu.»
L'androide obbedisce.
La serratura cede con uno schianto, la porta si spalanca ruotando con
violenza sui vecchi cardini e Connor resta diligentemente sull'uscio
mentre Anderson scivola all'interno dell'appartamento, impugnando la
semiautomatica. L'uomo impiega quattordici secondi netti,
stando all'orologio interno di Connor, per ispezionare le stanze;
infine si ferma al centro del
breve corridoio, espira rumorosamente e la mano armata cade lungo il
fianco.
«Non c’è nessuno.»
Connor sbatte le palpebre.
[ INDAGA SULLA TRACCIA DEL DEVIANTE. ]
E supera la soglia. Avanza lungo il corridoio, raggiunge il tenente,
passa oltre ed entra nella stanza in fondo. I sensori dei suoi occhi
artificiali digitalizzano l'immagine dell'ambiente che lo circonda e il
programma di Analisi
la desatura per evidenziare elementi sospetti.
Ottiene due risultati.
Il divano. I cuscini sono ammucchiati contro un bracciolo e una coperta
in plaid è piegata alla rinfusa. Sembra che qualcuno l'abbia
usato di recente per dormire.
[ GIACIGLIO PER UN OSPITE?
GLI ANDROINDI NON DORMONO.
GLI ANDROIDI NON HANNO FREDDO. ]
La finestra. La lamelle della tendina non cadono orizzontalmente verso
il basso ma disegnano un angolo di trentotto gradi con il piano del
davanzale. E una debole corrente d’aria sta attraversando la
stanza. L’androide
si avvicina e scosta la tenda: la
finestra è socchiusa di sette virgola uno centimetri e le
scale
antincendio sono
raggiungibili con facilità, una volta scavalcato il
davanzale.
[ UNA VIA DI
FUGA? ]
Connor aggrotta le sopracciglia. L'anello del LED lampeggia rapido.
«La finestra è aperta. Il deviante potrebbe essere
fuggito da qui.»
«Lo so.» Anderson ha riposto la pistola nella
fondina. «Non
andrà lontano. Abbiamo poliziotti in tutto il
quartiere.»
L'uomo cava di tasca il telefono, ma Connor sta già
percorrendo i propri
passi a ritroso, tornando in corridoio. Si affaccia nell'angusto bagno.
È pulito. Troppo pulito. Non rileva nulla. Entra nell'ultima
stanza. È una camera da letto,
il cui livello di ordine e pulizia corrisponde a quello delle altre due
stanze. A eccezione di un dettaglio: una delle tre ante dell'armadio a
muro non
è perfettamente chiusa.
Connor entra, lasciando una scia di impronte d'acqua evanescenti sulla
moquette.
Spalanca le ante dell'armadio.
Una di seguito all'altra.
Abiti, abiti e altri abiti, appesi alle grucce secondo una scala
cromatica approssimativa. Con un espressione distaccata,
l’androide richiude le ante e indirizza
l'attenzione alla scrivania. I polpastrelli tastano la superficie
piana: è un tavolo in fibra di legno, dalla forma leggera,
dotato di un unico cassetto centrale. Lo scanner passa in rassegna gli
oggetti sulla scrivania: un datapad TOSHIO L.180 prodotto
nel 2033;
un supporto di lettura per documenti digitali; un portapenne di vimini;
un vasetto di lavanda sintetica dal quale si diffonde un profumo per
ambienti.
Connor raccoglie il datapad, spogliando la mano destra dello strato di
pelle artificiale ma il tentativo di connessione viene bloccato dalla
richiesta di riconoscimento delle impronte digitali. Passa a esaminare il
contenuto del lettore: uno punto sette secondi è il tempo
necessario per visionare i numeri del Detroit Today, del Century, del
Green Earth e del Tech Addict, pubblicati tra il 2036 il 2038, oltre a
ottantaquattro titoli di opere di narrativa, saggi e poesie.
Ripone il lettore al suo posto e si sposta verso il
comodino. Sopra la testiera imbottita del letto è appeso un quadro: un
paesaggio composto da soffuse macchie di colore in diverse sfumature di
viola, di rosa, di magenta e di azzurro.
[ RACCOLTA DATI... 100%
ELABORAZIONE DATI... 100%
MATTINA NEBBIOSA SULLA SENNA.
CLAUDE MONET. 1897.
RIPRODUZIONE OLIO SU TELA ]
Sul comodino, accanto a una sveglia analogica,
c'è una fotografia in una cornice di plastica blu: un uomo e
una donna, giovani, in abiti da campeggio, sorridenti e seduti su di
una roccia piatta; alle loro spalle, uno scorcio di paesaggio autunnale
si riflette in un lago, ma l'immagine non contiene elementi sufficienti
per individuare con esattezza il luogo in cui è stata
scattata. In quanto ai soggetti in primo piano, il linguaggio del corpo
– il braccio dell'uomo circonda le spalle della donna
– indica un legame affettivo e l'omogeneità
nell'aspetto somatico – lineamenti caucasici, pelle di
fototipo due, occhi azzurri, capelli biondi – suggeriscono un
legame familiare stretto. Le ipotesi vengono confermate delle
fotografie identificative sul display oculare di Connor.
BARTON, DALE
DATA DI NASCITA: 16-05-2013 // ANN ARBOR
VIVE A 1102 HUNTER COURT, ANN ARBOR
PRECEDENTI: NESSUNO
BARTON, NOVA
DATA DI NASCITA: 21-10-2011 // ANN ARBOR
VIVE A 12045 WADE STREET, DETROIT
PRECEDENTI: NESSUNO
Nova Barton: la donna che cercano. Connor
sta
ancora studiando la fotografia olografica, che
galleggia a fianco alla fotografia fisica, quando Anderson lo raggiunge.
«Ho avvertito Person. Stanno rintracciando l'inquilina.
Trovato qualcosa?»
Connor mette giù la fotografia.
«Non ho rilevato indizi della presenza di androidi. Se la
AX400 è stata qui, devono averne cancellato le
tracce.»
«Di proposito?»
«È probabile, a giudicare dal livello di ordine in
cui è tenuto questo appartamento.»
Anderson mugugna scettico. «E con chi abbiamo a che fare,
Sherlock? Con una ladra di androidi affetta da disturbo ossessivo
compulsivo?»
«I devianti rigettano gli ordini dagli umani.»
Connor aggrotta la fronte. «La AX400 non è stata
rubata.» La luce del suo LED aumenta
d'intensità.
«Forse è stata aiutata.»
\/ /\
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 12:10
DETROIT, DPD CENTRAL STATION
«Signorina
Barton» esordisce il tenente. Strofina la barba e puntella un
gomito sopra al tavolo. Quel
‘signorina’ par averlo cacciato di bocca come un
dente cariato. Nova, dall’altro lato, lo sente inspirare ed
espirare. L'andatura dell'uomo, i movimenti e persino il modo di
buttare fuori il
fiato sono intrisi di un che di coriaceo e scostante; se le
persone fossero onomatopeiche, questo Hank Anderson sarebbe uno sgrunt.
Dal canto suo, Nova resta caparbiamente rilassata contro la sedia.
Testa diritta, spalle basse, mani sul tavolo e un
faccino attento e perplesso. Il cuore corre ancora, ma non gareggia
più con quello di un topo tachicardico. Come al
college, si rassicura. La parte peggiore non è
il test.
È l’attesa del test.
«Non tiriamola per le lunghe, lo dico per lei.» Il
tenente piazza entrambi gli avambracci sul tavolo. «Ieri
sera, a Corktown, una AX400 ha aggredito il proprietario»
riassume spiccio. «Sempre ieri sera, attorno alle
ventitré, un modello identico è stato visto
scendere da un bus alla fermata tra Camden e Park Drive. Ora... il
nostro testimone, il controllore del bus, ha riferito che
l’androide era in cerca di un riparo per la notte.»
Nova si gratta il gomito sinistro con ostentata calma.
«In quanto a lei, Barton, sappiamo che si trovava
all’interno del John’s Coffee ieri sera.
È entrata alle ventidue e cinquantasei e ne è
uscita alle ventitré e zero due. Abbiamo le riprese delle
telecamere di sorveglianza e l’orario di disattivazione e
successiva riattivazione delle serrature elettroniche, eseguite con la
sua chiave.»
«Sono tornata nel locale dopo
l’orario di chiusura. Avevo dimenticato il
telefono.»
«Joan Sondergaard afferma di averla vista rientrare nella
palazzina. Insieme
a un androide.» Gli occhi blu del tenente fissano Nova da
sotto le palpebre pesanti. «Una AX400. Lei non possiede quel
tipo di androide domestico,
vero?»
«Vero.»
«Sta nascondendo la AX400?»
«No.»
Nova non la considera una bugia.
Tecnicamente lei non sta nascondendo Kara.
Non in questo momento, mentre stanno parlando.
In questo momento, non ha la più pallida idea di dove si
trovi.
Suppone che Kara, allarmata dalla presenza dei poliziotti lungo Wade
Street, abbia preso Alice e tagliato la corda raggiungendo le
scale antincendio dalla finestra. Oppure potrebbero essere scappate
appena lei ha lasciato l’appartamento. La sola cosa certa
è l’allontanamento. In merito al quando, al
perché e al per dove, qualsiasi ipotesi è valida.
«Quindi la Sondergaard ha mentito?»
Nova scuote il capo, con dispiaciuta rassegnazione.
«Non sarebbe la prima volta che confonde la realtà
con quello che vede in TV.»
Anderson getta un’occhiata allo specchio.
Poi, si china in avanti, la testa inclinata di lato. «Sta a
sentire, tu mi sembri una brava ragazza, okay?» Parla
sottovoce. L’impazienza ha ceduto al
tono con cui si rivolgerebbe a un quindicenne beccato a imbrattare un
monumento cittadino. «Lavori onestamente. Mai un ritardo con
l’affitto. Fedina penale pulita. Hai fatto del volontariato
al liceo, volontariato al college e sei stata persino negli
scouts.»
Nova si morde la lingua, tentata com’è di chiedere
se si siano informati anche sul colore delle mutande che indossa.
«Hai incontrato questo androide che vagava per strada, sotto
la pioggia, come un cane abbandonato, e gli ha offerto un riparo. Non
potevi sapere che fosse in fuga dopo avere aggredito un
umano.» L'uomo riempe una pausa con uno stanco cenno di
diniego.
«Ma questi fottuti cosi
sono pericolosi. Ieri notte ne
abbiamo preso uno che ha ammazzato a coltellate il proprietario. Se sai
dove si trova il deviante, collabora. Collabora e ti
prometto che in mezz’ora sarai fuori da qui e niente
più rogne.»
Nova resta in silenzio. Devianti,
giusto. È così
che li chiamano. La ragione le domanda se valga ancora la pena
mentire alla polizia e rischiare di finire nei guai con la legge.
Per cosa, poi?
Non c’è nessuna bambina in pericolo. Alice
è soltanto
un androide. La AX400, consapevole o meno, ha
protetto un altro groviglio di chip e cavi elettrici. E lei potrebbe
fornire alla polizia un’esatta descrizione
fisica di Kara, potrebbe dir loro quali sentimenti guidano un
comportamento in apparenza imprevedibile... Istruzioni, non
sentimenti, si corregge da sola. Sopratutto,
con la credibilità ottenuta da un
coinvolgimento in prima persona nelle indagini, potrebbe scrivere il
miglior articolo della sua vita, un articolo in grado di mettere in
discussione l'operato della Cyberlife, un articolo che potrebbe
ritagliarsi uno spazio nella storia del giornalismo. Alla faccia di
Nico Malone, dello Zenosyne e di tutti i giornali che non
l’hanno mai presa sul serio.
«Allora?» insiste il tenente Anderson.
Accetto di collaborare. Tre parole e non sarà più
una reporter di seconda
categoria. Tre parole e niente più John’s Coffee e
più ridicole divise da cameriera.
«Alice è la cosa più importante che
esista, per me.»
«Noi staremo insieme per sempre?»
«Per sempre.»
«Vuoi stare qui tutto il giorno?»
«Non so niente del deviante.»
«Sta a sentire–»
«No.
Lei mi stia a sentire, tenente.» Nova sostiene lo sguardo
dell'uomo. Non si sente particolarmente
coraggiosa, ma pare proprio che sia una giornata buona per
testare la massima ‘fingi finché non ci riesci
davvero.’ «Io sono già stata
collaborativa. Non ho
protestato quando mi avete detto di aver fatto irruzione nel mio
appartamento. Ho accettato di venire qui per rispondere alle vostre
domande. Ma in questo momento, potrei dire qualsiasi cosa e non avrebbe
la validità di una confessione.»
Prende segretamente fiato e prega, altrettanto in segreto, di ricordare
i passaggi di un procedimento investigativo.
«Lasciatemi andare o passate alla fase successiva. Volete
mettermi sotto interrogatorio? Va bene. Leggetemi i miei diritti e
trovatemi un avvocato.» Accavalla e scavalla le gambe,
muovendosi piano sulla sedia. «Però mi sembra di
aver capito che l’unica prova del mio coinvolgimento nella
fuga di questo androide sia la parola di una donna anziana, affetta da
disturbo mentale e sotto antipsicotici. Crede di trovare un
giudice che potrebbe considerarla una testimone attendibile?»
Serra le labbra, sicura della sua mossa
quanto un equilibrista ubriaco al primo passo sulla fune sospesa. Le
sembra che qualcuno abbia alzato il ronzio dei neon a un
volume da rave party. Le sta trivellando il cervello. Ma si sforza di
raddrizzare le spalle, mentre contempla l’espressione
sufficientemente incarognita del tenente Anderson insieme alla
possibilità di essersi appena scavata la fossa da sola.
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Capitolo 10 *** Home invasion ***
C.10
010. HOME INVASION
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 12:48
DETROIT, DPD CENTRAL STATION
«Tenente,
mi
dia ascolto.»
Connor non ottiene l’attenzione visiva di Anderson e, in
quanto a repliche vocali, deve accontentarsi di un grugnito sordo.
L’uomo è seduto alla scrivania, sta compilando il
modulo di un rapporto ed è un compito che esegue con una
mimica riluttante.
È di nuovo il software di Relazioni Sociali ad informare
l’androide che l’attuale atteggiamento non
collaborativo del suo partner richiede un ricalcolo della
modalità di approccio. Diminuire la pressione. Aumentare la
diplomazia. E tuttavia i nuovi parametri comportano una moltiplicazione
dell’elemento tempo, il che porterebbe a un rallentamento
della Missione Primaria. L’input secondario viene respinto in
favore del principale ma Connor, memorizzata l'esperienza mattiniera,
evita di addentrarsi nello
spazio peri-personale di Anderson e osserva il profilo del
tenente
mantenendo una distanza di quarantasette centimetri dalla scrivania.
Attorno alla loro postazione, agenti di polizia e assistenti androidi
si muovono indaffarati come api operaie.
Sulle scrivanie i telefoni squillano
ininterrottamente. Dagli altoparlanti una voce femminile chiede
l'intervento di una pattuglia sulla Oakland Avenue, per una rapina a
mano armata in un esercizio commerciale.
«Rilasciare la donna è stato un errore»
espone Connor. «Ha mentito. Ho tenuto sotto controllo i suoi
segnali vitali durante il colloquio. Il ritmo cardiaco e le
microespressioni facciali indicano—»
«E va bene.»
Anderson si alza, accompagnato dal cigolio della sedia, e faccia a
faccia
con Connor, gli pianta addosso uno sguardo carico dell’ultima
razione di pazienza giornaliera. «Faccio questo lavoro da
quando tu eri ancora un bullone, okay? Pensi davvero che mi sia
lasciato fregare da quella mocciosa? Ha mentito. Lo so.»
Getta indietro le spalle. «Ma perché i tuoi
avanzatissimi circuiti del cazzo non riescono a capire che non abbiamo
elementi sufficienti per indagarla?»
La luce sul LED di Connor continua a brillare di un azzurro tranquillo.
«Suggerisco di tenere sotto sorveglianza la
sospettata.»
«E io ti suggerisco di cominciare a fare quello che decido
io.»
«Ignorare la possibilità che il deviante tenti
nuovamente di entrare in contatto con la donna sarebbe una grave
negligenza.»
«Ma Cristo! Ti sembro uno che ha voglia di infognarsi in un
tribunale, per questo fottuto caso, eh? Non possiamo mettere degli
agenti attaccati al culo di qualcuno senza un'autorizzazione. E per
averne una, dobbiamo presentare degli indizi validi. Questa pista
è chiusa. Mi hai capito? Chiusa. Ora mettiti seduto. Non
dire niente e non fare niente.»
Anderson aggira Connor.
L'androide ne segue i movimenti con lo sguardo, mentre tre rapidi
flash gialli turbano l’anello sulla tempia.
«Dove sta andando, tenente?»
«A pisciare.»
Le norme sociali impongono a Connor di non seguirlo. Rimane immobile,
in piedi
lì dov'è. Le sopracciglia aggrottate e il LED
fisso sulla luce gialla.
[ PORTA AVANTI L'INDAGINE. ]
[ NON FARE NIENTE. ]
[ ORDINI CONTRADDITORI.
SELEZIONE
PRIORITA' IN CORSO...]
\/ /\
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 13:15
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Rotta.
Inutilizzabile.
Andata.
Nova sta guardando la serratura del proprio appartamento da dieci
lunghi e depressi secondi.
Alla centrale, dopo il suo rifiuto, il tenente non ha spiccicato una
parola ma la sinfonia di respiri frustrati con cui ha lasciato la
stanza è stata piuttosto eloquente. Nel giro di cinque
minuti
Nova, come un pacco in giacenza, è stata affidata a un certo
agente Chris Miller, che le ha fatto firmare un documento e
riconsegnato la borsa. Altri cinque minuti e si è ritrovata
nel caos della Terza Strada da cittadina libera.
A quel punto non ha potuto far altro che salire sul primo bus per
Ravendale e passare il tempo a fissare, straniata, gli
androidi dietro la parete trasparente del compartimento in coda al bus.
Non li avrebbe detti più vivi di un vecchio manichino del
Tower Center Mall.
Nova gonfia il petto in un sospiro risolutivo.
Sospinge la porta ed entra in casa.
Niente è andato come sperava. Il filo degli eventi le
è scivolato via di mano e non ha idee di riserva. La
frustrazione brucia, ma quasi le fa comodo perché preferisce
essere
arrabbiata con un imprecisato altro, con un nebuloso destino avverso o
un esercito di variabili che le remano contro, piuttosto
che spiegare a sé stessa perché,
alla fine, abbia scelto di stare dalla parte di Kara e di Alice. Dalla
parte degli androidi. Dei devianti.
Si ferma sulla soglia del soggiorno. Lascia cadere la borsa sul
pavimento. C'è una luce fioca e
grigiastra, quasi la sera fosse in anticipo, il soggiorno
è apparentemente in ordine ed è impossibile
indovinare che dei ficcanaso in divisa abbiano messo le mani tra le
sue cose.
Non c’è tempo per urlare.
Non c’è tempo per spaventarsi.
Il dolore esplode come una mina e la investe in pieno.
Nova non vede più nulla. Le gambe tremano. Ginocchia, ossa,
muscoli. Tutto sul punto di cedere. E chi l’ha afferrata per
i capelli, facendole sbattere la faccia contro lo stipite, non molla la
presa.
Uno strattone e, di nuovo, verso lo stipite.
Nova solleva
le mani e le sue stesse braccia la proteggono appena in tempo da un
secondo schianto contro lo spigolo. Con un ringhio, e la forza
disperata di un animale messo all'angolo, tenta di girarsi ruotando su
se stessa. Il gomito sollevato colpisce qualcosa.
La sagoma dietro di lei emette un verso strozzato. Indietreggia
barcollando, con i capelli di Nova attorcigliati tra le dita.
Lei si sente trascinare verso il basso ma resta in equilibrio,
più per fortuna che per destrezza,
e molla una seconda gomitata. Questa volta di proposito.
Colpisce di striscio il volto dell'uomo, perché di un uomo
si tratta.
Lo sconosciuto lascia la presa ma, invece di arretrare, le carica
contro un
cazzotto. Lento e sciatto. Nova scatta all'indietro e vede le nocche
fendere il vuoto a un centimetro dal suo naso. Poi l'avambraccio
sinistro para un altro gancio da dilettante e il pugno destro infila un
diretto al plesso solare dell’uomo, il che basta a
scrollarselo di dosso per la frazione di secondo necessaria a
raggiungere il centro della stanza.
«Puttana del cazzo!»
Click.
È la lama di un coltellino a serramanico.
Nova riconosce chi ha difronte.
Quei dreadlocks. Quella felpa enorme e sformata. Quella faccia.
È lo sbarbatello incazzoso che Rodriguez ha fatto buttare
fuori dalla caffetteria.
Nova alza le bracca. Mostra i palmi. «Ehi, ehi! Datti
una calmata e dimmi che cosa vuoi!» Ha strappato la voce
dal fondo della gola. Trema, per il dolore e per il panico, e
l'adrenalina
vibra nei muscoli portandole via il controllo del corpo. E della testa.
«Soldi. Gioielli. Telefono. Dammi tutto!»
«Okay, okay.... sono lì!»
Nova indica la borsa sul pavimento, accanto alla porta.
Il ragazzo ci si avventa sopra. La rovescia. Afferra il telefono, se lo
rigira tra le mani. E lo schizza via.
«Merda!»
Nova vorrebbe gridargli di prendere la borsa e togliersi dalle palle,
ma le sue capacità cognitive, lottando con le
unghie e con i denti per restare in vita, la
mettono in guardia. Il ragazzo ha gli occhi lucidi, arrossati,
febbricitanti. La fronte
è sudata. Gli tremano le dita mentre sbudella il portafogli
e accartoccia le banconote. Quel tipo è in
astinenza da Red Ice. Non
sa quello che fa e non ci penserà due volte prima di
piantarle il coltello nello stomaco.
Calcia via la borsa e fa due passi verso Nova.
E lei indietreggia di quattro. Anche se si fidasse delle proprie gambe,
e non si fida, non riuscirebbe a raggiungere la porta: il ragazzo le
sta sbarrando il passaggio verso il corridoio. La finestra è
vicina, ma per uscire da
lì sarebbe costretta a dare, anche se solo per pochi attimi,
le spalle al drogato con il coltello.
«Dov’è il resto?»
«Quale resto?»
«Gli altri soldi!»
Il ceppo dei coltelli, sul piano della cucina, è troppo
lontano. E poi, c’è la penisola di mezzo.
«Giuro che non ho altro!»
«Non dire cazzate!»
Il vaso di finte felci, però, è sopra la penisola
e a portata di braccio.
«Faccio la cameriera per mantenermi! Chi pensi di star
rapinando?»
L’ultimo barlume di lucidità del ragazzo va in
frantumi. Si avventa su Nova nello stesso istante in cui lei
scarta di lato, afferra il vaso e glielo lancia contro.
Il vaso rimbalza sul pavimento con una serie di tonfi.
Il ragazzo, schivando il vaso, è incespicato nei
propri piedi.
E Nova si è gettata, con tutto il suo peso e con
entrambe le mani, sul pugno che stringe il coltello.
Le arriva un cazzotto sulle costole.
Geme. Digrigna i denti. Ma non molla. E continua a dirottare
disperatamente ogni tentativo della lama di arrivare
alla gola. In quel furioso tirare e spingere e strattonare e
incespicare, il
tavolinetto da caffè finisce tra i piedi del
ragazzo.
Lui cade all’indietro e sbatte la schiena contro il tavolo.
Nova gli crolla sopra. Il coltello cade sul linoleum con un tintinnio.
Il ragazzo si toglie Nova di dosso, afferrandola per i capelli;
l'attimo dopo, è sopra di ler, a cavalcioni, con le mani
serrate sulla gola.
Lei gli conficca le unghie nelle palpebre.
Ma lui l'allontana con una mano.
E con l'altra continua a stringere.
E a stringere.
E a stringere ancora.
E all’improvviso non stringe più.
Un calcio alle costole lo ha spinto di lato.
C’è una terza persona nella stanza.
'Persona' è tutto ciò che Nova riesce a capire
mentre
sta annaspa e tossisce in cerca di aria. Ma più tossisce,
più le lacrime le appannano gli occhi.
In qualche modo il ragazzo si è rimesso in piedi. In
qualche modo ha di nuovo il coltello e si è avventato
contro il nuovo arrivato. Sta accadendo tutto, confusamente, ai confini
della vista di Nova. Il
secondo sconosciuto ha ingaggiato un corpo a corpo con l'aggressore.
Para i pugni, schiva i fendenti. È veloce.
Preciso. Disarma il ragazzo. Lo costringe a indietreggiare verso
il corridoio.
Nova rotola sul fianco. Sente un tonfo. Intravede
il ragazzo capitolare sulla schiena, colpito da un calcio in pieno
petto. L'attimo dopo, la stanza vortica e cala il buio.
|
ANGOLO AUTRICE
Hello
again!
Per chiarezza: a questo punto della storia, Connor sotto alcuni aspetti
resta fedele alla sua parte Machine. La decisione di ignorare
l’ordine di Hank per seguire Nova potrebbe corrispondere alla
possibilità di inseguire Kara e Alice
nell’attraversamento
dell’autostrada in un episodio che, in questa variante
degli
eventi, ovviamente non abbiamo.
Per quanto riguarda altre scelte, invece, poiché stiamo
seguendo
la strada che porta al Finale Pacifico, Connor si muove su una linea
più umana: è paziente con Hank, è
stato
compassionevole con l’androide di Ortiz, ha salvato il
poliziotto
sul tetto e ha rimesso in acqua il povero pesce.
Come sempre un grazie di cuore ai lettori & recensori
♥
Ci si legge al prossimo capitolo, con il primo faccia a faccia tra Nova
e Connor.
|
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Capitolo 11 *** Model RK800 ***
C.011
011. MODEL RK800
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 13:20
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Riprendere coscienza
è una
faccenda piuttosto sgradevole. Un attimo prima galleggi libero e felice
a pelo del nulla, l'attimo dopo vieni sbattuto negli scomodi confini di
un corpo fisico. Nova apre gli occhi e in un secondo o due,
percepiti come una o due ere geologiche, il mondo ritrova una
forma e uno straccio di senso.
È sul pavimento. Per l'esattezza, il pavimento del proprio
soggiorno, distesa su un fianco
con un
ginocchio piegato verso il petto e la mano destra sotto la guancia
sinistra; fosse meno frastornata, forse riconoscerebbe la posizione
laterale di sicurezza imparata con gli scouts e comprenderebbe anche
che qualcuno ha avuto la premura di non lasciarla soffocare con la
propria lingua.
Il ricordo degli eventi la investe con la delicatezza di un treno in
corsa.
Nova trasale e scivola sulla schiena.
Avverte un peso sulla spalla.
È il peso di una mano; esercita una pressione ferma e decisa.
«Per favore, resti in posizione distesa ancora per qualche
secondo.»
Un viso maschile entra nell’annebbiato campo visivo di Nova.
È pallido, giovane e con un ciuffo di capelli castani che
ondeggia sulla fronte. È il viso di un androide, calmo al
limite
dell’inespressività.
Nova strizza le palpebre. L’adrenalina deve aver avuto un
crollo
perché adesso si sente come una bistecca prima del barbecue
del
quattro luglio: sbattuta e pestata a dovere.
«Che mi sono persa?» rantola. Le brucia la gola.
«Non si allarmi. Si è trattato soltanto di una
breve
perdita di coscienza.» L’androide ha una dizione
impeccabile, un tono imperturbato e l'affermazione suona precisa e
pulita come l’incisione di un bisturi. Toglie la mano dalla
spalla di Nova. «Non ho rilevato segni di trauma cranico
né di altre lesioni interne, tuttavia il suo organismo
mostra
sintomi di ipoglicemia e disidratazione in forma lieve.
L’affaticamento fisico e lo stress generato
dall’aggressione devono aver causato la sincope.»
«Ah. Sono svenuta per la paura» mormora Nova.
Umiliante,
pensa.
In un rigurgito d’orgoglio, cerca di trascinarsi in una
posizione
dignitosa. Si trascina a sedere. E l’androide non la ferma.
Ma
lei quando
sfida la sorte alzandosi in piedi, lui interviene con diligente
distacco: la sorregge per un gomito fin quando lei non atterra sul
divano.
Nova si rifugia contro il bracciolo, non riesce a tener dritta la
schiena e si guarda le dita. Tremano, impercettibilmente. Inspira ed espira, combattendo il
dolore al fianco che le chiude i polmoni, e alza gli occhi
sull’androide.
Quello la sta osservando di rimando. Le sopracciglia leggermente
aggrottate sono l’unico accenno di espressione.
«Ma che è suc–» Nova si
azzittisce e una mano corre al collo. Le sembra di aver una
grattugia in gola. Deglutisce: peggio di prima.
«Il dolore che avverte» intuisce
l’androide,
«è causato dalla pressione che è stata
esercitata
sulla trachea. È temporaneo.»
Nova fissa di nuovo l’androide, dal sotto in su. Deve
più essere
alto di lei di una mezza spanna abbondante, sembra robusto ma ha spalle
strette; probabilmente è stato costruito sul modello di
atleti
longilinei.
La donna è a corto di parole, oltre che di voce, anche se
ha
tante di quelle domande che turbinano per il cranio dolorante; per
cominciare chi diamine è quello e perché
è in casa
sua? Alla fine, però, la prima
domanda che riesce ad articolare con un fil di voce è:
«Quanto tempo sono rimasta svenuta?»
«Diciannove secondi.»
Nova si massaggia il collo.
«Che... che fine ha fatto quel bastardo?»
«Si è dato alla fuga.»
L’androide sposta le
mani dietro la schiena, come un soldato a riposo.
«Conosceva il suo aggressore?»
Nova aggrotta la fronte. «No... cioè,
sì...»
Lo sguardo scivola sul linoleum e ritrova il vaso di felci. La borsa, e
tutto il contenuto, sono ancora sparsi sul pavimento. «Questa
mattina... è entrato nella caffetteria dove lavoro. Stava
dando
di matto. L’abbiamo dovuto cacciare. Ma non so chi sia. Non
sapevo mi avesse seguita. Io non me ne sono proprio accorta.»
«Ho trovato un riscontro nel database della polizia di
Detroit. Il nome dell'uomo è Austin Owens. Ha precedenti per
spaccio
di
sostanze stupefacenti e resistenza a pubblico ufficiale. Vuole che
inoltri una denuncia alla polizia?»
Nova torna a guardare l’androide. L’ha
sentito, ma
non lo ha ascoltato. La ruga verticale tra le sopracciglia bionde si
è fatta più profonda. «Io ti ho
già visto...
tu eri con il tenente Anderson, questa mattina. Al John's
Coffee.»
«È corretto. Il mio nome è
Connor.»
L’androide inclina il capo di lato. «Vuole che
inoltri una
denuncia alla polizia?»
«No... no, basta con la polizia» esala Nova.
Pianta i
gomiti sulle ginocchia e preme i palmi contro la fronte.
«Puoi
controllare se c’è del ghiaccio. Mi
sta
scoppiando la testa...»
Quell'androide, Connor,
rimane immobile per un paio di secondi; dopo un doppio baluginio
del
LED, e le braccia cadono lungo il busto, raggiunge il
frigorifero.
«Il dispenser del ghiaccio non funziona» la informa.
«Lo so...» mugugna Nova, senza alzare la
testa.
«Il problema è l'elettrovalvola. È
difettosa.»
«Lo so.»
«Dovrebbe sostituire il componente.»
«Lo so. Controlla
il freezer.»
Sente aprire lo sportello.
«Temo che non abbia ghiaccio.»
«Verdure congelate?»
«C’è una confezione di funghi.»
«Eh, andranno bene...»
Connor chiude il freezer.
Nova
riesce a sfilarsi di dosso il trench. Le costole ululano di dolore.
Nova succhia aria tra i denti, mentre afferra il sacchetto di funghi, che
l’androide le sta porgendo, e lo piazza contro il lato
della
faccia reduce da uno speed date con lo stipite della porta. Lo zigomo
pulsa sotto il ghiaccio. E così, con metà faccia
nascosta
dietro gli Uncle
Jack’s Marvelous Mushrooms, affonda tra i
cuscini e scruta Connor con un occhio solo.
L’androide sistema i polsini della grigia giacca, dal
taglio
severo. Sulla giacca sono presenti il triangolo di riconoscimento e la
fascia
al braccio ma, stranamente, non indossa un'uniforme.
È in jeans, camicia bianca e cravatta con tanto di
fermacravatta.
Nova legge la sigla sul petto.
RK800.
«Non somigli agli altri androidi usati dalla
polizia.»
«Sono un prototipo.»
«Di cosa?»
«Sono stato progettato per assistere la polizia di Detroit
nelle indagini sui devianti.»
Nova vorrebbe scattare in piedi. Ma non è nelle condizioni
fisiche di
azzardare tanto; allontana il sacchetto dalla faccia e
l’esasperazione si riduce a un sonoro sospiro. «Mi
stavi
spiando. Ecco come hai fatto a precipitarti qui al momento giusto.
Anderson ti ha mandato a spiarmi.»
Un flash giallo attraversa il LED.
«Ma cosa crede?» sbotta Nova, per quel poco che le
permette
la corde vocali. «Che nasconda altri androidi nel
cassetto dei
calzini?
Non gestisco un traffico di devianti.»
«Signorina Barton,» replica Connor «devo
chiederle di collaborare.»
«Altrimenti? Mi farai parlare con la forza?»
Connor non risponde.
Nova si domanda se non abbia appena dato un pessimo suggerimento al
glorificato Tamagotchi in giacca e cravatta.
«Ammetto che il mio obbiettivo originale fosse di tenerla
sotto
sorveglianza, nella possibilità di ottenere le prove di un
suo
coinvolgimento nel caso della AX400. Adesso spero di poter far appello
alla sua ragionevolezza.»
«Alla mia... cosa?»
«Lei non ha lasciato prove tangibili della presenza
dell’androide nel suo appartamento. Non si è
tradita con
azioni inconsuete, mantenendo inalterata la routine quotidiana. Questi
comportamenti indicano un approccio razionale e
pragmatico alla realtà.»
«Vuoi dedurre la mia personalità in base a
ricostruzioni
ipotetiche delle mie azioni? Non dovresti basarti sui fatti?»
«Lei è una reporter. Un mestiere che richiede
capacità di analisi e attenzione ai particolari. Un
mestiere,
statisticamente parlando, intrapreso da personalità in cui
la
componente razionale è prevalente. Inoltre, durante la
conversazione con il tenente Anderson alla centrale, con le sue
affermazioni ha mostrato una discreta familiarità
con i
meccanismi delle indagini. Potrebbero provenire dai titoli
presenti nella sua libreria digitale. Il quarantatré
per cento
è formato da romanzi gialli e romanzi noir del secolo
scorso
e di quello corrente.»
«Ho un debole per i detective, a allora?»
«Lei sa
quando usare le informazioni giuste al momento
opportuno.»
Nova non sa se sentirsi adulata oppure insultata o semplicemente
inquietarsi perché l’androide ha ficcato il naso
nei suoi
affari. E nella sua libreria, a quanto pare. Nel dubbio, tace.
«Sono certo che è in grado di comprendere quanto
poco sia razionale la scelta di nascondere la AX400.»
«Kara.»
«Prego?»
«È il suo nome.»
Nova getta il sacchetto sul tavolino da caffè, e premendo il
palmo contro il bracciolo, si rimette in piedi, in barba al
dolore.
«Va bene. Tornatene pure da Anderson e riferisci che ho
aiutato
Kara, sì. Non sapevo fosse una deviante. O che fosse
ricercata.
Arrestatemi pure. Non ho idea di quale crimine io abbia commesso
nello specifico, però sono sicura che la sempre efficiente
polizia di
Detroit ne troverà uno di cui accusarmi... come ha trovato una
scusa per buttare giù la porta del mio appartamento. Cosa
che,
ora che ci penso, ha permesso a un ladro di infilarsi in casa e cercare
di ammazzarmi.»
Una pausa.
La rabbia sbolle.
Nova prende un respiro.
«Ma non posso dirvi dove si trova Kara, perché non
lo
so. Davvero non lo so.»
Connor, immobile davanti a lei, si limita a sollevare le sopracciglia.
«Esclude che tenterà di nuovo di
contattarla?»
«Non siamo BFF, okay? Per quanto ne so, potrebbe pensare che
sia stata io a mandare la polizia.»
«E non le viene in mente nulla che possa aiutarci a
rintracciarla?»
«No.»
Connor torna ad aggrottare la fronte, quasi avesse indovinato il
momento esatto in cui Nova ha smesso di essere sincera.
«I devianti sono un pericolo per gli esseri umani.»
«Kara non è pericolosa.»
«I loro comportamenti sono imprevedibili.»
«E non è pazza.»
«Ha aggredito il suo padrone.»
«Per difendersi!»
«Ha corso un grave pericolo con la AX400. Avrebbe potuto
aggredire anche lei.»
«Certo
che
avrebbe potuto. Avrebbe potuto aggredirmi, derubarmi, approfittarsi
dell’ospitalità. Ma il punto è che non
l’ha
fatto. Lei ha scelto
di non farlo. Non puoi punire qualcuno solo
perché avrebbe
potuto fare la cosa sbagliata.»
«Signorina Barton, la AX400 non è qualcuno.
È una macchina.»
«Sì, e sai cosa? Non mi pento di averla
aiutata.»
Un bagliore giallo tremola lungo il LED e Nova
vede i lineamenti dell’androide contrarsi in
un’espressione straordinariamente realistica: la fronte increspata, le palpebre socchiuse; è perplessità
quella?
«Non comprendo. Perché si ostina a
difenderla?»
«Perché l’ho ascoltata. L’ho
osservata. Lei
era...» Nova sospira. «Continuano a dirci
che gli
androidi che danno di matto sono macchine difettose. E ci credevo
anche io. Ci ho creduto fino a poche ore fa. Ma quello che ho visto in
Kara... non può essere soltanto un errore in un
codice.»
Connor inclina il capo di lato. «Ho già
interrogato
androidi corrotti dalla devianza. Le assicuro che queste sue congetture
sono frutto dell’emotività del momento.»
«Perché tu sei una
macchina. Evidentemente serve un essere umano per
riconoscere...» Nova tentenna.
«Un altro essere umano?» incalza Connor.
Lei potrebbe giurare di aver sentito una nota ironica. Sarcastica,
quasi.
«Beh, tecnicamente, gli umani sono le uniche creature ad avere un
concetto di ciò che è moralmente giusto e di
ciò che
è sbagliato.» Nova guarda dritto nelle iridi castane dell’androide.
«Tu come
giudicheresti un uomo che acquista un androide con l’aspetto
di
un bambino solo per poterlo picchiare, spaventare e maltrattare dalla
mattina alla sera?»
Connor sbatte le palpebre.
Silenzio.
E poi: «Esprimere un giudizio sui comportamenti degli umani
non rientra nelle mie competenze.»
«Allora perché non hai lasciato che quel tipo
finisse di ammazzarmi?»
«Lei è un elemento della mia indagine. Un suo
eventuale
decesso avrebbe avuto conseguenze sul risultato dell'indagine
stessa.»
Nova strizza gli occhi. Strofina le dita
tra le sopracciglia. «Dove devo firmare per essere ufficialmente fuori
dalla tua indagine?»
Per tutta risposta, Connor indietreggia di due passi. «Le auguro buona giornata» Sta per voltarsi.
La mano di Nova scatta verso la manica
della
giacca grigia. Vede Connor abbassare il mento, per fissando il
punto
in cui la stoffa sintetica si unisce alle dita umane.
Nova fa smorfia, rapida, come un tic nervoso.
«Puoi farmi un favore?» L'interfaccia
visiva
dell’androide risale verso il suo volto.
«Potresti...
restare, mentre vado di là a farmi
una doccia al volo?» Perché all'improvviso l'idea
di
restare da sola in
quell’appartamento la terrorizza.
Nova
esce dal bagno con indosso una maglietta oversize e dei pantaloni
da jogging. L’acqua calda ha rilassato i muscoli e il vapore
ha schiarito
i
pensieri. Cinque minuti sola con il suo riflesso, nello specchio
appannato sopra il lavabo, e ha preso la decisione di raddrizzare la
spina dorsale.
Almeno, a livello metaforico. La vera spina dorsale, insieme a tutto il
resto, fa ancora un male cane.
Strizzando le punte dei capelli bagnati con un asciugamano, Nova si
affaccia in soggiorno, attratta da un flebile tintinnio.
L'androide è lì, e sembra intento a osservare il
poster
della NASA mentre giocherella con una moneta, lanciandola da una mano
all’altra. Quando la donna entra nella stanza, cattura la
moneta tra
l’indice e il
medio, e la fa sparire in una tasca
interna della giacca.
«Come si sente?»
«Mi fa male ovunque, ma me la
caverò.»
Il vaso di felci è tornato sulla penisola della cucina.
Anche la
borsa, il cellulare e il portafoglio sono stati raccolti dal pavimento
e sistemati ordinatamente sul tavolinetto da caffè.
«Puoi andare, se vuoi.»
«Devo raccomandarle di non trascorrere da sola le prossime
ore.
Stando alle informazioni di primo soccorso caricate nella mia memoria,
individui che hanno subito un trauma, come un’aggressione
violenta, necessitano di supporto psicologico ed emotivo.»
Nova sbuffa. Metà faccia replica con una fitta.
«Traumatizzata un corno. Io al massimo sono
incazzata.»
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Capitolo 12 *** Shall we play a game? ***
C.12
012. SHALL WE PLAY
A GAME?
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 13:51
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Connor attraversa le
strisce
pedonali a passo lento e non ha difficoltà nel
dedurre il
motivo dietro la presenza della
Brougham del 1988 su Wade Street: il tenente Anderson deve aver
compreso la
ragione del suo allontanamento non autorizzato dalla
centrale.
Nel congedarsi
dalla reporter,
l'androide ha eseguito alle perfezione le istruzioni basilari per le
interazioni con gli esseri umani, scegliendo termini
informali e un tono cortese. Secondo le sue stime, esiste ancora
un quarantatré virgola nove per cento di
possibilità che
Nova Barton non abbia condiviso tutte le informazioni effettivamente
utili all’indagine. Il LED sfarfalla. Connor, capace di
prevedere con
affidabile
verosimiglianza quali domande gli verranno poste durante il prossimo
rapporto, sa che Amanda lo interrogherà sul
perché abbia rinunciato alla pista. Ciò
che fatica a
elaborare è il possibile contenuto della propria risposta.
Tra le
miliardi
di unità linguistiche caricate nella memoria principale, ne
isola una che combacia con la sua situazione.
[ STO AVENDO DEI
DUBBI IN MERITO ALLA CORRETEZZA DELLA MIA DECISIONE. ]
[ DUBITARE. VERBO. TROVARSI IN UNA SITUAZIONE PSICOLOGICA DI
INCERTEZZA.
]
Un baluginio giallo disturba l'algido azzurro del LED.
[ INSTABILITA'
DEL SOFTWARE IN AUMENTO. ]
Il LED torna
fisso. L’errore viene messo in quarantena.
Quando Connor
raggiunge il marciapiede, né il tonfo della portiera
sbattuta
né l’espressione affatto amichevole del tenente,
sceso dall'automobile,
sono in grado di intaccare il posato controllo dell'androide.
«Ma
porca puttana!» bercia Anderson. «Ti
ho dato un ordine!»
La
pioggia leggera macchia il tessuto idrorepellente della
giacca di Connor e sgonfia l'arruffata criniera dell'uomo.
«Comprendo il suo essere contrariato, tenente. Ma la mia
missione—»
«Tu e la tua cazzo di missione!»
«La informo che Nova Barton è stata
collaborativa.»
«Se mi fai finire nei casini, giuro che—»
«Abbiamo conversato.»
Tra i lineamenti di Anderson si affaccia un guizzo di
scetticismo. «Conversato?» ripete.
«Tenente, le ricordo che sono specificatamente programmato
per analizzare la
psicologia e il comportamento umano.»
Anderson butta fuori fiato e pazienza dalle narici.
«Almeno hai scoperto qualcosa di utile?»
Connor sbatte le palpebre.
Un’automobile sfreccia, sibilando, sopra l'asfalto bagnato.
«La donna ha ammesso di aver offerto un riparo alla AX400, ma
l’incontro è stato casuale. Non sapeva fosse un
deviante.
Sfortunatamente non può fornirci alcun tipo di
aiuto.» [1]
\/
/\
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 17:23
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
Una pioggia grigia,
pesante e ostinata cade
sulla rush hour del tardo pomeriggio. Macchine e
taxi automatizzati corrono veloci, nugoli di ombrelli neri si muovono
sui marciapiedi e un clacson strombazza impaziente.
Ma Nova è chiusa nel suo appartamento e il caos
della
strada si perde sotto il battito del
cuore. Le riempie la cassa toracica, il cranio e le orecchie,
mentre
se ne sta distesa sul letto ad aspettare l'effetto della seconda dose
di antidolorifici. Dopo aver sobbalzato per le sirene di un'ambulanza,
ha
iniziato a credere che l’aggressione le abbia lasciato dentro
qualcosa di più di
una gran rabbia.
Forse dovrebbe seguire il consiglio dell’androide. Forse
farebbe meglio a parlare con qualcuno.
Ma a chi rovinare la giornata? Emilia ha già abbastanza
rogne
con Jason. Walty ha la sua razione di
problemi personali. Dale e Christina hanno due bambini a cui badare e
Nova sa che suo fratello sarebbe capace di saltare in macchina subito e
guidare fino a Detroit; in quanto a sua madre, non
se ne parla nemmeno. La manderebbe nel panico e le darebbe una scusa
per
attaccarsi di nuovo alla bottiglia.
Vedi di
fartela passare. Non li hai i soldi per un analista.
Nova scivola sulla schiena, stringendo i denti per ignorare la
costellazione di zone doloranti lungo il suo
corpo, dalla faccia, alla testa, al collo e le spalle, fino alle
costole.
Dopotutto poteva andare peggio. Non fosse stato per l'androide di
Anderson, domani mattina il suo nome sarebbe comparso tra la cronaca
nera, in uno scarno trafiletto da seconda o terza pagina. Donna trovata morta nel proprio
appartamento.
Notiziola dimenticabile. Avrebbero parlato di lei per una o due
settimane, fino all’arresto dell’omicida. Poi la
notizia avrebbe preso una forma ancora più insipida: Giovane tossicodipendente uccide
donna e a seguire qualche banalità sul problema
della polverina rossa che tiene in pugno Detroit.
Nova pensa all'RK800. Quasi le dispiace che non sia più
lì, con lei. Gli deve la vita e preferisce rimuginare
sul concetto di un Sam Spade robotico piuttosto
che fossilizzarsi sulla faccia di quel bastando pronto ad
ammazzarla per una dose di schifossisisma Red Ice.
Una mano sfiora la pelle nuda tra le clavicole. I lividi sul
collo
cominciano a vedersi e il lato sinistro della faccia
è visibilmente gonfio.
«Lei
è un elemento della mia indagine. Un suo eventuale
decesso
avrebbe avuto conseguenze sull’indagine stessa.»
Nova storce la
bocca in un sorrisetto mesto. Connor non saprebbe che
farsene della sua riconoscenza.
Connor non è come Kara.
Chissà dove sono, lei e Alice? Avranno trovato un
nascondiglio
sicuro? Forse hanno lasciato Detroit? Non ha idea di dove iniziare
a cercarle. Il gatto di patchwork non è più
nell'appartamento, suppone che Alice lo abbia portato con sé
ma
Kara non ha lasciato alcun indizio sulla loro meta. Magari sono davvero
fuggite con la convinzione che sia stata lei ad allertare la polizia.
Una sensazione sgradevole spinge sul petto ed è come avere
una palla
da
biliardo incastrata tra i polmoni. Se anche riuscisse a rintracciarle,
non rischierebbe di condurre la polizia, che già sospetta di
lei, dalle due?
Nova trasale.
Morde la guancia sana.
Si è fatta spaventare dal telefono. Che vibra e squilla, sul
comodino. È sopravvissuto all'atterraggio
sul
pavimento del soggiorno e sembra funzionare anche con una ragnatela di
venature al centro del display.
Nova getta un'occhiata allo schermo.
È Emilia.
«Telefono... rifiuta chiamata.»
Mezz'ora
più tardi, dopo altre due telefonate e tre messaggi
ignorati, mentre si occupa di faccende da poco come mettere qualcosa
nello stomaco e scongiurare un secondo svenimento, Nova
comprende di non poter tornare come se niente fosse
all’insignificante tran tran del John's Coffee. Non dopo aver
scoperto che l’umanità potrebbe aver
accidentalmente creato una nuova forma di vita dotata di coscienza.
Finisce la zuppa alla crema di pollo
riscaldata in
microonde e invia a Rodriguez un messaggio
lapidario: le servono tre giorni di permesso. Pazienza se li
scalerà dalla paga per il poco preavviso. Poi imposta le
parole chiavie per le news da ricevere sul telefono: AX400 e North
Corktown; infine fa scivolare il telefono nella tasca dei morbidi
pantaloni da
jogging,
abbandona piatto e cucchiaio nel lavandino, getta la lattina nella
spazzatura e torna in camera da letto, per sedersi alla scrivania.
Accende il datapad posizionandolo in orizzontale.
La tastiera olografica viene proiettata sul tavolo.
Nova inserisce la password, apre la finestra di connessione alla rete e
sposta il puntatore sulla barra di ricerca. Il termine devianza genera una
cascata di risultati.
Fuori
continua a piovere mentre
Nova setaccia la rete: casi di cronaca, laconiche
rassicurazioni
ufficiali della Cyberlife, interviste a esperti più o meno
accreditati, sermoni religiosi, visioni e previsioni di scrittori,
economisti, politici repubblicani e politici democratici, fino a
rimestare in forum gestiti da gente che, con molta
probabilità,
vive in uno scantinato con un cono di carta stagnola in testa. Teorie.
Complotti. Profezie religiose. Rivelazioni new age. Tutti hanno
un’opinione. Nessuno ha una risposta definitiva, obbiettiva e
comprovata.
Sono le otto di sera e Nova ha appena finito di scolarsi una tazza di
caffè, quando il telefono si anima con un trillo.
Non è una news sulla sorte di Kara.
È un soltanto una notifica di O-DISPATCH.
Walty ha inviato un messaggio in chat.
INDOVINA UN
PO' CHI STA PER CHIEDERE UN AUMENTO A MALONE? ;)
Nova inarca un sopracciglio. Buon
per te, Walty. E buona fortuna. Non ha voglia
né tempo per uno scambio di messaggi,
adesso.
Mette giù il telefono.
E
quello
si rimette a squillare.
C’è una videochiamata in arrivo. Da parte di sua
madre.
Nova abbandona la scrivania e se ne va prepararsi altro
caffè.
Quando torna in camera, trova un messaggio vocale.
«Telefono» sospira, «riproduci
messaggio.»
Susan Roberts, ex signora Barton, in un'esibizione passiva-aggressiva
da Oscar, le fa sapere che lei è perfettamente consapevole
del
fatto che sua figlia debba essere molto impegnata nel lavoro,
là a
Detroit, per ricordarsi di telefonarle. Una volta ogni quindici giorni.
Come le aveva promesso. E che Nova non deve sentirsi in colpa. Che
comprende come ci siano cose più importanti, nella vita
di
Nova, della sua noiosa madre.
Tra le conseguenze dell'esser quasi crepati di morte violenta dovrebbe
figurare il bisogno di ravvivare i legami familiari; Nova ha solo un
mezza voglia di cambiare numero di telefono e non
dirlo a nessuno.
Riporta le dita sulla tastiera olografica, decisa a restringe le
ricerche ai casi di omicidio commessi da
androidi: il caso Ortiz e il caso della famiglia Phillips. Articoli e
servizi di approfondimento seguono un copione simile: poche vere informazioni
riportate
con termini sensazionalistici. È palese che tanto la polizia
quanto la Cyberlife stiano facendo il possibile per evitare fughe di
notizie e i media, per compensare, fanno leva sul panico.
Un articolo, uno soltanto, pubblicato alle 07:09 del sei novembre,
riporta un paio di dettagli non ufficiali sul caso Ortiz. Peccato sia
pubblicato in un blog dalla grafica pasticciata e il titolo
scoraggiante: What They
hide from Us.
Mordicchiandosi le labbra, Nova affronta i caratteri in
giallo mais
su sfondo blu elettrico. Stando all’articolo,
sulla scena dell'omicidio è stato ritrovato un messaggio inquietante - io
sono vivo - tracciato su una parete con il sangue
della vittima. Non ci sono fotografie, non vengono citate fonti
né si fa menzione del come o da chi l'autore senza nome
dell'articolo sia venuto in possesso dell'informazione.
Nova chiude la finestra.
A occupare lo schermo rimane il sito della ITMtv.
Cercando tra i video in archivio, Nova seleziona la diretta del
sequestro di Emma Phillips.
Hostage taking
downtown Detroit.
Quindici agosto. Ore venti e trenta. Le riprese provengono
da un elicottero e l'inviato devo urlare per farsi sentire nel
frastuono delle pale. Si vede il tetto del grattacielo, in parte
occupato
da una piscina. Una sagoma umana galleggia nell'acqua.
L’androide domestico, un PL600,
è
in piedi sul cornicione. Ha in mano una pistola, la bambina accanto a
sé e il vuoto alle spalle. L’elicottero della SWAT
vola
attorno al grattacielo.
Una seconda figura esce sul tetto.
Il negoziatore.
Si china accanto al corpo di un secondo poliziotto, riverso tra le
sedie e i
tavoli rovesciati. La conversazione che segue, tra il negoziatore e
l'androide, non è udibile ma
è
chiaro che la situazione precipita. Il negoziatore scatta verso il
PL600 e, con un colpo
del
gomito, lo spinge giù dal cornicione strappando la
bambina alla sua presa. Cadendo nel vuoto, il PL600 fa fuoco e la
scarica
di proiettili raggiunge il negoziatore alle spalle.
Lui ha fatto da scudo alla bambina. Adesso è immobile,
carponi sul pavimento. Lo zoom della telecamera
mostra chiazze di liquido blu che si allargano sulla schiena del
negoziatore.
È un androide. RK800.
Irrimediabilmente danneggiato.
E
identico a Connor.
Nova mette in pausa il video. Ha la pelle d'oca sulle braccia, proprio
come la sera
in cui ha visto la scena in
diretta.
Nel giro
di dieci minuti, tentando di scoprire quanti RK800
siano in
circolazione, si rende conto di una strana scarsità di
informazioni. Il sito della Cyberlife non menziona
il prototipo da nessuna parte. I giornali, davanti al muro di silenzio
della multinazionale, si limitano a riportare che ‘la
Cyberlife
ha fornito un prototipo di androide detective alla polizia di Detroit.
Gli assistenti di polizia androidi sono operativi da anni ormai, ma
questo sarebbe il primo caso autorizzato a giocare un ruolo attivo
all’interno di un’indagine criminale.’
Plin!
Accanto all’icona a
forma di lettera, in un angolo in basso dello schermo, è
spuntata una notifica. C'è un messaggio. Nova clicca
sull’icona, accedendo alla casella e-mail.
1 NUOVA MAIL RICEVUTA
MITTENTE: THE EMPEROR
OGGETTO: SHALL WE PLAY A GAME?
Il puntatore resta sospeso sul link.
Poi, quando Nova apre la mail, si ritrova a fissare lo schermo con una
ruga di confusione incisa sulla fronte.
WJSIJIATZX -
LTQI YMJFYJW -
NSXNIJ -
RNISNLMY -
Sbattacchia le palpebre. Ha passato troppo tempo davanti allo schermo?
È diventata dislessica?
No, ha letto bene.
«Facciamo un
gioco?» mormora, strizzando gli
occhi
stanchi. «Come in War
Games?» E che vuol dire? E
perché al posto dell’indirizzo mail del
mittente compare una fila di punti interrogativi?
Nova sposta i capelli dietro le orecchie. Spinge i palmi contro le
palpebre.
Le serve una pausa.
Afferra la tazza vuota e ciondola fino alla cucina. Ed è
mentre
si versa altro caffè che
l’epifania
comincia a grattare alla porta sul retro del cervello.
Nova raddrizza la caraffa.
La tazza è piena per metà.
«Oh.»
Ha capito.
|
NOTE.
[1]
La scena si colloca cronologicamente
appena prima del capitolo The Nest, il quale prende il via proprio con
Connor che deve fare pace con il tenente Anderson, davanti al chiosco
del Chicken Feed.
|
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Capitolo 13 *** Thriller night ***
Cap.13
013. THRILLER NIGHT
DATA: 6 NOVEMBRE 2038
ORA: 23:57
MIDTOWN, WINDER STREET
ʻDestinazione
raggiunta. Grazie per aver viaggiato con Detroit Taxi. Ci auguriamo di
rivederla in futuro.ʼ Le portiere si richiudono con un sospiro
meccanico. Il taxi vuoto riparte, gira l’angolo con John
Street e sparisce, abbandonando la giornalista alla metallica
confusione della vicina autostrada e al mesto picchiettio della
pioggia. Sta iniziando a nevicare; e su Detroit la neve somiglia a
cenere. I fiocchi galleggiano tra la pioggia rada, si sciolgono
sull’asfalto, si aggrappano leggeri sulle spalle di Nova. Il
freddo puzza di pneumatici e olio per motori; il taxi si è
fermato davanti a un'officina di ricambi per automobili d'epoca. Nello
specchio color pece delle pozzanghere si riflette il neon scarlatto
dell’insegna mentre la luce innaturale dei lampioni rischiara
il resto della strada deserta, assediata da bassi edifici dal tetto
piano. Officine, magazzini, garage. Le saracinesche sono abbassate;
molte non vengono aperte da anni, quasi tutte sono diventate tele per
graffiti.
Nova, immobile sul marciapiede, solleva il bavero del trench attorno
alla sciarpa e scruta l’edificio sull’altro lato
della strada.
Chi le ha inviato la mail doveva aver un buon motivo per crederla in
grado di riconoscere il cifrario di Cesare. L’indizio era in
bella vista nel nickname. The Emperor. L’Imperatore, termine
di cui Cesare è sinonimo. Ha impiegato meno di due ore, e
tre pagine di tentativi, per trovare la chiave di cifratura; e pensare
che, da ragazzina, le dicevano che con gli scout non avrebbe imparato
niente di utile. Usando il numero quattro come chiave, il testo privo
di senso WJSIJIATZX – LTQI YMJFYJW –
NSXNIJ – RNISNLMY è diventato RENDEZVOUS
– GOLD THEATER – INSIDE – MIDNIGHT.
Ma il punto è che il cifrario di Cesare è poco
più di un rebus per bambini particolarmente volenterosi,
perciò Nova crede che l’obbiettivo del mittente
non fosse tanto tenere al sicuro il contenuto della mail quanto
attirare la sua attenzione. Evidentemente l’Imperatore sa che
un reporter, per natura, non può voltare le spalle a
determinate situazioni.
Situazioni come un incontro, nel cuore della notte, in un edificio
abbandonato. L’unico Gold Theater di Detroit si trova
lì, nella zona sud della Midtown. Ed è chiuso da
ventitré anni.
In rete Nova è riuscita a recuperare la planimetria in rete
e una manciata di informazioni. Un pian terreno, un primo piano e tre
sale di proiezioni da un centinaio di posti: il Gold Theater non era un
gran cinema nemmeno per gli standard di inizio ventunesimo secolo,
proiettava pellicole di nicchia e, dopo il fallimento, mentre il resto
di Winder Street veniva acquistato e riconvertito, quel silenzioso cubo
di mattoni rossi è diventato un ricovero per i ratti; e per
i senzatetto che se ne infischiano della catena arrotolata intorno ai
maniglioni della portone d'ingresso. I vetri delle finestre e del
botteghino sono sfondati; sopra la pensilina rimane in piedi la G di GOLD
e mancano le prime due lettere di THEATER;
la parte più bassa della facciata è imbrattata di
graffiti e tappezzata di manifesti illeggibili.
Nel complesso, un grandioso monumento al degrado urbano.
E l’ultimo posto in cui sarebbe saggio entrare.
Che trovarsi lì non sia una buona idea Nova lo sa bene, ma a
Detroit vale la pena illudersi che ci sia differenza tra la strada e le
mura domestiche? Lei se l’è chiesto e i lividi sul
viso e sul collo sono stati una risposta sufficiente. In ogni caso
è piuttosto sicura che nel mondo reale, con buona pace degli
sceneggiatori di Hollywood, serial killer, molestatori, trafficanti
d’organi e affini non mettono su una roba tanto sospetta per
attirare una vittima.
Nova attraversa la strada.
Stando alla planimetria, dovrebbero esserci tre uscite di sicurezze,
una per ogni sala, distribuite tra le fiancate e il retro
dell’edificio. L’unico modo per fare il giro
dell’edificio è infilarsi nello spazio tra il muro
esterno del cinema e la rete di recinzione dell'attiguo un parcheggio
in disuso. Il passaggio è ingombro di spazzatura e
l’erba, cresciuta tra le crepe del cemento, arriva ai
polpacci. Nova scavalca cerchioni arrugginiti, inciampa in brandelli di
copertoni e si ferma a venti passi dall’angolo dell'edificio,
quando la torcia del telefono illumina la parola EXIT, sbiadita ma
riconoscibile contro il grigio della porta.
La donna stringe la maniglia. Sente qualcosa di appiccicoso sotto i
polpastrelli, lasciati scoperti dai guanti; ma evita di domandarsi che
cosa sia, con esattezza, quella patina collosa.
La maniglia si lascia spingere verso il basso. I cardini,
però, non si smuovono.
Nova afferra la maniglia con entrambe le mani. Tira. La porta cede. Di
un centimetro. Lei tira, ancora, puntellando un piede contro il muro.
Un altro centimetro, un altro strattone. Una scossa di dolore le
riverbera dalle spalle alle costole, mozzando il respiro; l'effetto
della seconda dose antidolorifici sta diminuendo.
Ma Nova si riprende. Non ha sofferto invano: tra la porta e lo stipite
c'è adesso spazio sufficiente per passare e lei riesce a
infilarsi dentro. La puzza di chiuso, e di acqua di fogna,
l’accoglie come una sberla. Nova tossisce e si copre il naso,
strizzando gli occhi per individuare i confini di un corridoio largo e
dal soffitto basso. Il pavimento è cosparso di pezzi
d’intonaco e sulla parete destra c’è una
fila di quadri elettrici, ma non vede altro, né di vivo
né di inanimato.
Avanza. L’intonaco scricchiola, la polvere si attacca alle
suole bagnate delle sneakers.
Alla fine del corridoio, sempre sulla destra, c’è
una seconda porta di sicurezza. Uno dei battenti è aperto
per metà. Nova china la testa, per evitare i resti di una
lattiginosa ragnatela, e si ritrova una delle sale di proiezione.
L'odore di muffa punge ma, viste le dimensioni della sala,
l’aria è più respirabile. Nova fa
vagare la luce del telefono: l’uscita di emergenza
è sullo stesso lato in cui, in passato, si trovava lo
schermo; che non c’è più. I sedili si
stendono davanti a lei come una versione post-moderna
dell’esercito di terracotta; chiusi, rossi, ammuffiti;
l’imbottitura giallognola sbuca dalla pelle strappata come
pus da una ferita. Grossi cavi neri penzolano come liane giù
dai pannelli sfondati. Tra le assi di legno si intravedono i tubi di un
obsoleto impianto antincendio.
Nova abbassa la torcia, premendo la mano libera contro il fianco
destro. Il dolore alle costole non si placa; e adesso inizia a girarle
la testa. Forse è stordita dall’aria chiusa. O
forse è semplice paura.
Chiude gli occhi. Espira. Scrolla il capo.
Concentrati.
Stringendo i denti, un passo alla volta sulla la logora moquette,
raggiunge le scale. Le affronta, in salita, gradino dopo gradino, fino
a raggiungere ciò che resta dell’ingresso alla
sala: un telaio vuoto incassato nel muro.
Apre il file della planimetria sul telefono. È entrata dal
lato nord dell’edificio, significa che ha appena attraversato
la sala numero tre; là fuori dovrebbe attenderla un altro
corridoio, che conduce all’atrio d’ingresso.
Nove oltrepassa la soglia. La planimetria non mente. Il corridoio
è vuoto e malridotto come il procedente, ma è
più alto e largo. E più puzzolente. L'aria
fredda, che entra della finestra rotta, non riesce a disperdere il
tanfo delle toilette e Nova non ci pensa nemmeno ad affacciarsi oltre
le porte scardinate dei bagni. Se le lascia alle spalle, risoluta a
percorrere il corridoio; l'eco dei propri passi la tampina, fin quando
non incrocia una porta. È chiusa e c'è una targa
affissa. Nova la illumina – PROJECTION BOOTH.
NO ENTRY– e si ricorda, quasi
all’improvviso, che prima del cinema digitale c'era bisogno
di un'intera stanza dove stipare i macchinari per proiettare un film.
Nova abbassa la maniglia.
È bloccata.
Pazienza. Non ha intenzione di prenderla a spallate.
Accelera il passo e raggiunge le ampie scale alla fine del corridoio,
che sembrano aver resistito al tempo meglio del resto
dell’edificio. Nova si muove, guardinga e nervosa,
giù per i larghi gradini, tenendosi al corrimano
impolverato. In fondo alle scale, l’aria è
immobile, pesante, pregna di un lezzo acre e umido, come dentro un
bidone della spazzatura. La luce del telefono dissipa il buio quasi
totale e, pian piano, la giornalista comprende che quella saletta
semicircolare è ridotta a una discarica: resti di cibo,
carcasse di piccioni, lattine schiacciate, bottiglie rotte, travi
marce, pezzi di cartone, scatoloni, casse di plastica; il banco degli
snack è sudicio, la polvere ha eclissato il bianco e il
rosso della vernice originaria.
Ferma al centro dell'atrio, Nova ascolta l’eco lugubre di un
gocciolio d’acqua. Plop,
plop, plop. Un tubo perde, da qualche parte. Plop, plop, plop.
Nova riesce quasi a vedersi dell’esterno. Una cretina in un immondezzaio,
pensa. Venir fin lì non è stata un’idea
cattiva. È stata un’idea stupida.
Perché non può scaricare lo stress
dell’aggressione come fanno tutti, comprandosi una pistola e
una confezione da sei di Samuel Adams? Cosa, o chi, diavolo
s’aspettava di trovare là dentro? È
possibile che l’e-mail sia una specie di nuova moda della
rete: inviare messaggi anonimi e senza senso a utenti scelti a caso, e
divertirsi a vedere chi è abbastanza scemo da cascarci.
Una bottiglia di birra vuota si becca un fiacco calcio. Rotola,
seguendo l’inclinazione del pavimento, e sbatte piano contro
una cassa. Nova, che ne ha seguito distrattamente la traiettoria con il
telefono, interrompe l’opera di autocommiserazione.
Quel contenitore è diverso dagli altri. Nova si avvicina. Si
piega sui talloni. La cassa è di metallo, con delle maniglie
ai lati e un logo sul coperchio. Lei lo ripulisce dalla polvere.
Compare una stella a cinque punte, iscritta in un cerchio vuoto, e
cinque lettere: U.S. ARMY
Nova balza in piedi.
Ha sentito un cigolio.
Lento, acuto, prolungato.
Non capisce da dove arrivi.
Il cigolio si spegne, e Nova fa scivolare freneticamente la luce lungo
le pareti. Tutto è immobile. Tutto è tace. Tranne
per il plop, plop, plop.
Poi, un distinto rumore di passi. Sono lievi e frettolosi.
C’è qualcuno; è in cima alle scale che
conducono alla sala uno, e si sta allontanando.
Nova prende coraggio e scatta verso le scale. Quando mette un piede sul
primo gradino, però, non sente più nulla. Solo
quel plop plop plop.
Sale il secondo gradino.
«Ehi! Chi c’è?»
Nessuna risposta.
«Okay...»
Sale il terzo gradino.
«Ascolta...»
E il quarto gradino.
«Io ho fatto la mia parte.»
Continua a salire.
«Ora tocca a te.» Nova inghiotte a vuoto, per non
farsi sfuggire il controllo della voce. «Non è
carino far aspettare una ragazza.» Ha superato
metà della scala. «Ma complimenti per la location.
Sono stata invitata a uscire in posti peggiori, sai. Hai idea di che
genere di ragazzi frequenta i college, di questi tempi?»
È in cima alle scale, all’ingresso di un profondo
corridoio. Non c’è nessuno. Dalle finestre
sfondante penetra la luce della strada; così fioca e fredda
da essere spettrale. Una manichetta antincendio è srotolata
sul pavimento, come un serpente morto, e due pedane di legno sono
addossate alla parete. Nova avanza, scavalca la manichetta, supera la
prima finestra. Evita i vetri sparsi a terra; alcuni sono grossi come
coltelli. L’androne è gemello del precedente e, di
nuovo, a metà strada, la donna incappa nella cabina di
proiezione.
La porta è socchiusa.
Nova la sospinge, adagio, verso l’interno.
I cardini mandano un cigolio penoso: lo stesso rumore di poco prima.
Nova apre di più la porta.
E arretra subito, di scatto, trattenendo il respiro.
«Oh, Dio…»
C’è un cadavere sul pavimento.
|
ANGOLO AUTRICE
Lettori,
lo giuro: è un caso che la pubblicazione di questo
capitolo, il tredicesimo, cada a ridosso di Halloween 🎃
Non preoccupatevi per la momentanea mancanza di androidi. Connor e Nova
verranno riuniti prestissimo dagli eventi. Nel frattempo, io non
potrò mai ringraziare abbastanza chi passa puntualmente di
qui per leggere e per recensire. Faccio tesoro di ogni commento,
opinione e consiglio! Alla prossima!
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Capitolo 14 *** Escape room ***
Cap.14
014. ESCAPE
ROOM
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 00:11
MIDTOWN, WINDER STREET, GOLD THEATER
Nova cerca un
appiglio. Trova lo stipite. Lo stringe. Le nocche sbiancano. Il cuore
sembra volerle sfondare sterno e cartilagini costali, ma lei racimola
stomaco e sangue freddo, ed entra nella cabina.
La torcia del telefono illumina un paio di gambe. Scarpe da ginnastica.
Jeans sgualciti. Poi, un busto coperto da una felpa scura.
Il cadavere è a terra: la schiena appoggiata alla parete
opposta all’entrata, le gambe stese e divaricate, gli
avambracci abbandonati sulle cosce e la testa che pende in avanti.
Sembra una raccapricciante bambola gigante; invece, è un
uomo. Il volto è girato di profilo e l'occhio sinistro
spalancato, immobile e vitreo, riflette la luce come la pupilla di un
gatto. C'è qualcosa sul pavimento scabro
tutt’attorno al cadavere; macchie sparpagliate, informi e
scure, piccole come la mano di un neonato.
Uno sottile dolore ai polmoni intima a Nova di smettere di trattenere
il fiato. Al primo respiro un odore fastidioso, che conosce ma non
riesce a identificare, le sale su per le narici; ma
l’ossigeno rimette in funzione la sua visione: fin a questo
istante ha fissato il cadavere, adesso mette a fuoco il la cabina.
È piccola; la finestrella di proiezione è
sfondata, i macchinari sono spariti e le pareti sono imbrattate di
graffiti – no, Nova sbatte le palpebre. Quelli non sono
graffiti metropolitani. Nova sposta la luce da una parete all'altra, ed
è come se centinaia di ragni le camminassero su e
giù per il collo. Tre lettere. Sempre le stesse. Ripetute
decine e decide di volte; sono ovunque; ricoprono ogni centimetro
quadrato delle pareti.
rA9
Nel maniacale groviglio di lettere spicca un’unica frase di
senso compiuto; è accanto alla testa del cadavere, formata
da caratteri maiuscoli, sottili, perfettamente diritti.
WE ARE ALIVE
Nova, pur con pochissima fiducia nella saldezza delle sue gambe, si
decide a fare il proprio dovere di reporter. Tre passi in avanti e la
punta della scarpa sinistra urta qualcosa. Nova frena un sussulto e
guarda in basso: ha urtato un arnese lungo e stretto come un
manganello. È… una torcia; una torcia di
segnalazione, per l’esattezza. E ce ne è
un’altra poco distante.
Lei aggira la torcia e si avvicina al cadavere. Due pensieri le
centrifugano per la testa, insieme al pulsante ricordo dei passi in
corridoio: sbrigati!,
e mentre flette le ginocchia per ritrovarsi faccia a faccia con il
cadavere, per
l’amor di Dio, non vomitare!
L’uomo sembra giovane. Può avere
vent’anni, venticinque al massimo. Non ha rughe attorno agli
occhi dal taglio orientale, ai lati della bocca sottile o sulla fronte
coperta in parte da lisce ciocche corvine.
Nova si acciglia.
Manca qualcos’altro. Manca l'aria cadaverica che ci si
aspetta da un cadavere. Le labbra sono rosee e piene, gli occhi non
sono infossati nelle orbite, la pelle non ha un aspetto ceroso e un
colore cinereo. Niente fetore di tessuti organici in decomposizione,
niente liquidi corporei sul pavimento. È possibile che sia
deceduto da meno di mezz’ora? E come è morto? Non
c’è sangue. Non ci sono ferite visibili. Non
sembra nemmeno una morte per overdose o per avvelenamento, con quel
viso in apparente piena salute.
Nova cerca la manica del pullover sotto quella della giacca. Copra la
mano e allunga il braccio.
Il gesto di voltare la testa del cadavere non incontra la resistenza
del rigor mortis, ma rivela la presenza del LED
sulla tempia destra. È spento. Quello non è un
cadavere. È un androide disattivato.
La donna sente tornare cautamente indietro quei sette, forse otto, anni
di vita ai quali credeva di aver detto addio. Si rimette in piedi.
Getta uno sguardo teso al corridoio oltre la porta. Se non
c’è un morto, allora, non c’è
nemmeno un assassino che si aggira in quel cinema abbandonato. Ma chi
appartengono i passi che ha udito qualche minuto prima?
All’Imperatore? Era questo il suo piano? Farle ritrovare un
androide guasto? Nova guarda la scritta sulla parete. WE
ARE ALIVE. Di nuovo, un gelido formicolio le percorre la
schiena.
«Telefono…» sussurra «attiva
macchina fotografica.»
Veloce e sul chi vive, Nova fotografa ogni dettaglio della cabina,
dell’androide, delle pareti; quando dedica attenzione al
pavimento, scopre che le chiazze scure non sono altro che corolle di
fiori. Stanno marcendo. Sono loro la fonte dell’odore che
infesta la cabina; odore di fiori marci, odore di cimitero. Fotografa,
per ultime, le torce di segnalazione. Ne raccoglie una, scoprendola
più pesante di quanto si aspettasse, e se la rigira tra le
mani. Sul manico è impresso il logo dell’esercito.
Nova lo sfiora con il pollice. Poi, pigia il pulsante. Dietro la lente,
il LED sfarfalla.
L’esplosione di luce cremisi acceca Nova.
«Cazzo…»
Strizza gli occhi. Vede rosso. Solo rosso.
«Cosa vuoi da noi?» ringhia una voce.
Nova si volta. Incespica nei propri piedi. Alza le mani.
C’è qualcuno sulla porta.
È una donna. E impugna una pistola.
Nova arretra, continuando a strizzare disperatamente le palpebre: la
sconosciuta è una sagoma senza volto, ma che la pistola sia
puntata verso di lei, e a distanza di una falcata, è chiaro
e visibile.
«Rispondimi!»
La giornalista sobbalza: ha sentito un riverbero metallico.
«Perché non volete lasciarci in pace?»
Le parole sono distorte e attraversate da un crepitio, come se
uscissero da un altoparlante guasto.
La figura viene verso di lei. La pistola è a un palmo dal
suo stomaco.
Ma Nova non indietreggia. Ha troppa paura: i palmi stanno sudando, il
telefono rischia di caderle di mano, i muscoli delle braccia sono
contratti. Però, ci vede meglio: la sconosciuta, entrata
nella pozza scarlatta della torcia, ha rivelato un volto artificiale e
disfatto, dai lineamenti marcata cementati in una maschera di rabbia.
L’occhio sinistro dell’androide la fissa dal fondo
della cavità oculare messa a nudo: la placca di carbonio che
dovrebbe coprire la cavità non è più
lì.
Nova riesce a scivolare indietro di mezzo passo. L’androide
è più alta di lei, robusta come una lottatrice di
MMA; ha i capelli neri e corti e
indossa una maglietta. La manica destra è vuota: le manca il
braccio. In compenso il LED è
ancora sulla tempia, e brilla di un rosso incandescente.
«Ascoltami…» La giornalista si umetta le
labbra. Deve mostrarsi calma. Deve farla ragionare. «Io non
sono della polizia, okay? E non sono della Cyberlife. Non sapevo
nemmeno che ci fosse qualcuno.»
«Allora perché sei qui?» ronza
l’androide.
«Io… ho ricevuto un messaggio.» Nova
scandisce le parole, sperando di dissimulare il panico.
«Anonimo. Ma non c’era nessun riferimento ad
androidi.»
«Non saresti dovuta venire.»
«S-sì, sono d'accordo...»
«Non posso lasciarti andare.»
Nova sussulta. La stoffa del trench è l’unica cosa
che separa la bocca della pistola dal suo stomaco.
«Se mi trovano, mi uccideranno.»
«Non dirò a nessuno che ti nascondi
qui.»
«Non ti credo!»
«Lo giuro!»
«Non ti credo! Tu sei umana! Vi importa solo di farci del
male. Di vederci soffrire!»
«Per favore, devi ascoltarmi—»
«No! Ho smesso di ascoltarvi! Non sono più una
schiava!»
«Sto cercando di dirti che se fai fuoco, qualcuno
sentirà lo sparo. Chiameranno la polizia. E loro...
sì, loro ti prenderanno. Loro ti faranno del male!»
«Non c’è nessuno…»
Alle orecchie di Nova il sussurro dell’androide suona
metallico eppure, allo stesso tempo, spaventosamente e spietatamente
umano.
«Non c’è nessuno. Là fuori.
Per te.»
«Okay... forse nessuno sentirà lo sparo, ma...
ma» Non resta che azzardare un bluff. «Ho detto ai
miei amici che sarei venuta qui. Se non torno a casa, se mi danno per
scomparsa, questo sarà il primo posto in cui la polizia
verrà a cercarmi.»
La pressione della pistola non si allenta ma per un attimo, uno
soltanto, lo sguardo dell'androide guizza verso il proprio simile sul
pavimento.
«Io… fuggirò.»
«Se uccidi un umano, la tua fuga sarà breve. Ti
prego, non dargli un motivo per darti la caccia.»
«Conosco un posto dove nessuno di voi potrà
trovarmi…»
Nova non riesce a respirare. Arranca per una via d’uscita. Ed
è solo adesso, sicura di morire, che quella stanza infernale
assume un senso.
«E che ne sarà di lui?» chiede, con un
filo di voce. «È una tomba questa, vero?
L’hai fatta tu. Per lui.»
L’androide non risponde.
«Siete fuggiti insieme? Come si
è—» Nova sta per dire
‘spento’. Si corregge. «Come è
morto?»
«Zitta!»
«Lo lascerai tra le mani della Cyberlife?»
«L’ho vegliato a lungo. Adesso, rA9 si
prenderà cura di lui.»
«Nessuno si prenderà cura di lui. Lo faranno a
pezzi. Lo butteranno in una discarica.»
Lo sparo rimbomba tra le pareti della cabina.
E rimbomba nel petto di Nova. Le fa battere i denti e tremare i timpani.
Un clang metallico.
Un colpo sordo.
Nova preme le mani sullo stomaco. La stoffa
è asciutta. E lei, nell’improvvisa
semioscurità, è ancora viva.
Ha anticipato di un istante la pressione sul grilletto: ha lasciato
cadere il telefono e ha afferrato il polso dell’androide,
strattonando il braccio di lato. Il proiettile si è piantato
nella parete dietro di lei, mentre la torcia si schiantava di taglio
contro la testa dell’androide.
La torcia si è spenta. E l’androide, vacillando,
è crollato in ginocchio.
Nova scatta verso la luce del telefono. Lo raccoglie. Corre verso la
porta.
«Ah!»
Cinque dita meccaniche si chiudono a tenaglia sul suo braccio:
l’androide si è rimesso in piedi. Nova le scalcia
contro, d’istinto, alla cieca. La spinta del tallone contro
il ginocchio dell’androide le dà la forza di
liberarsi. L’androide indietreggia. Ma lei perde
l’equilibrio, cade, sbatte le costole sofferenti contro il
pavimento duro. Qualcosa di freddo e solido le finisce sotto dita. Con
un gemito, rotola sulla schiena e vede la sagoma mutilata scattare
verso di lei. La respinge con una violenta pedata al petto. Non basta.
Le nocche dell’androide colpiscono il pavimento, a un soffio
del suo orecchio; poi, è la botta del calcio della pistola
contro il cranio di carbonio ad abbattere la macchina.
L’arma è caduta a terra quando Nova ha colpito
l’androide la prima volta. E adesso, il pugno ancora
contratto sulla canna della pistola, Nova si rimette in piedi come una
spinta. L’ultima cosa che vede, prima di gettarsi in
corridoio, è l’androide che solleva il busto
facendo perno sull’unico braccio. Ma lei pensa solo a
correre, senza fermarsi, senza voltarsi indietro.
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Capitolo 15 *** Like Bogart and Bacall ***
C.15
015. LIKE
BOGART & BACALL
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 01:25
SOUTHWEST DETROIT, RIVERSIDE PARK
[
«NON
C’È MOLTO TEMPO. LA DEVIANZA CONTINUA A
DIFFONDERSI. NON CI VORRÀ MOLTO PRIMA CHE I MEDIA SE NE
ACCORGANO. DOBBIAMO FERMARLA A TUTTI I COSTI.»
«RIUSCIRÒ A RISOLVERE QUESTO CASO, AMANDA. NON
INTENDO DELUDERLA.» ]
La registrazione dell’ultimo rapporto è conservata
nella
memoria di
massa ed è come se Amanda, con la sua
espressione severa e attenta e gli eleganti abiti immacolati, fosse
lì accanto a lui tra il pigro turbinio della neve, mentre la
sua
interfaccia visivia è puntata verso la panchina, sullo
spazio
vuoto lasciato dal tenente Anderson.
Ma non ci sono scanner o analisi in corso.
Connor sta semplicemente guardando.
Volta le spalle alla panchina, le braccia
immobili lungo il busto e il volto bloccato in una simulazione di
apatia. L’azzurro del LED cresce e si affievolisce, ancora e
ancora, a ritmo costante, come un respiro rapido ma controllato, mentre
Connor osserva l’Ambassador Bridge sospeso
sull’acqua nera
e increspata. Riceve in automatico le informazioni dalla rete. 21.000
tonnellate di
acciaio; anno di costruzione: 1929; altezza massima: 560 metri;
lunghezza: 2.286 metri; media del traffico giornaliero: 25.000 veicoli.
Sposta lo sguardo verso le lontane luci dell’Ontario. E batte
le
palpebre. Due volte. È costretto a giudicare le proprie
azioni
con oggettività matematica: sta
fallendo.
Ha fallito con la AX400, con il WB200 e ancora, poche ore prima, con
l’omicidio all’Eden Club.
[
«POTEVI SPARARE A QUELLE RAGAZZE MA NON LO HAI FATTO?
PERCHÉ NON HAI SPARATO, CONNOR? A UN TRATTO IL TUO PROGRAMMA
SI È FATTO DEGLI SCRUPOLI?»
«NO... HO SOLO SCELTO DI NON SPARARE. NIENTE
ALTRO.»
]
Niente altro.
Ha detto la verità, ma non è una
verità conforme
alla sua programmazione. Non doveva accadere. Non è
programmato
per compiere scelte fallimentari.
Si avvicina al parapetto, raccogliendo il
crepitio della neve fresca sotto i suoi passi. Il rumore si somma allo
sciabordio del fiume e al cupo fischio del vento, che si infila sotto
la giacca aperta.
L’heavy metal del tenete Anderson, invece, giunge
attutito.
L’uomo si è chiuso in macchina e ha regolato il
volume
della musica oltre i settantotto decibel: un atteggiamento in linea con
la sua personalità refrattaria alla logica. Non
c’è
logica nell’assumere sostanze alcoliche fino a ridursi in
stato
semicomatoso. Non c’è logica nel puntare un
revolver alla
fronte del proprio partner designato e interrogarlo su questioni che
gli sono estranee.
[ «MA TU HAI PAURA DI MORIRE, CONNOR?»
«AMMETTO CHE TROVEREI SPIACEVOLE ESSERE...
INTERROTTO, PRIMA DI POTER CHIUDERE QUESTO CASO.»
]
La risposta sincera
può aver
migliorato l'opinione che il tenente ha di lui? Difficile ottenere una
risposta assiomatica. Anderson costringe costantemente i suoi software
a ricalcoli complessi. Anderson, che parla di androidi innamorati.
Anderson, che prende in considerazione l’idea che gli
androidi
credano in Dio.
Connor poggia le mani sul parapetto e, attraverso lo strato pelle
artificiale, i recettori distribuiti lungo l’esoscheletro di
carbonio registrano il grado di temperatura e di umidità del
ferro.
Serra la presa.
Sente il freddo.
Ma è incapace di avere
freddo.
[ «HAI ASPETTO UMANO. HAI VOCE UMANA. MA COSA SEI
VERAMENTE?» ]
Sono interrogativi
inutili. Lui è
una macchina con una missione da portare a termine. Le mani
scivolano via dalla balaustra, le braccia tornano lungo i fianchi e una
pronta serie di algoritmi calcola la sua prossima decisione: a
questo punto della notte qualsiasi tentativo di ragionare con il
tenente risulterebbe sterile, dovrà attendere
l’effetto
soporifero dell’alcol e poi ricondurre l’uomo alla
propria unità abitativa.
\/ /\
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 04:06
NORTH END, ELMHURST STREET
Un sottile tappeto di
neve copre le lastre consunte e irregolari del vialetto d'ingresso e la
luce
giallognola di un lampioncino a muro illumina il portico. Non ci sono
altre luci accese, là
fuori, nel
giardino trascurato. E non ci sono luci dietro le finestre del basso
bungalow. Anche le altre case sono al buio. La neve, smesso di cadere,
par aver narcotizzato tutta la strada.
Nova sale l’unico gradino del portico e sistema meglio la
tracolla della borsa sopra la spalla indolenzita. La presenza della
Glock, sul fondo della borsa, pesa come le scarpe di cemento in un
romanzo di Marvin. H. Albert.
Preme il pulsante del campanello.
Un trillo sgraziato riempie il silenzio della casa.
Con le mani affondate nelle tasche del trench, Nova tenta di
ignorare il bruciante pizzicore al
viso, il gonfiore è diminuito ma la pelle dello zigomo e del
sopracciglio sinistro è di una brutta sfumatura violacea, e
pondera il grado di
incazzatura, in una scala da zero a ‘sparisci o ti
gambizzo’, raggiungerà il tenente Hank Anderson
nel
trovarsela sull’uscio di casa alla quattro del mattino. Non
che,
al momento, Nova abbia a cuore l’umore del tenente.
O di
chiunque altro. Dopo aver rischiato di morire ammazzata, per due volte
in meno di
ventiquattro ore, ha rivalutato l'importanza di alcuni aspetti della
vita quotidina. Come le basilari regole di civiltà. O la
raccomandabile abitudine di dormire almeno otto ore a notte.
Scappata a gambe levate dal Gold Theater, Nova è
tornata a Wade Street. Si è calmata nei limiti del
possibile.
Ma dormire? Impensabile. Anche solo restare nell’appartamento
ad
attendere l’alba le è parso inconcepibile.
Intanto la porta resta chiusa. E Nova inizia a temere che il tenente
non sia in casa e che lei avrebbe fatto meglio a
controllare prima sulla Terza Strada.
Un ovattato click.
La porta si apre.
Il cuore di Nova manca un colpo.
Il cipiglio sulla fronte di Connor muta in una morbida, quasi
innocente,
decisamente remota parvenza di sorpresa. «Nova
Barton.» Il modo di scandisre il nome della giornalista suona
a metà
tra
un compito saluto e un dato registrato ad alta voce.
Nova abbozza un sorrisetto confuso.
«Tu... vivi con il tenente Anderson?»
«No.»
«Ah... e allora che ci fai a casa sua?»
«Precauzione.»
«Eh?»
«Lei è qui per il tenente, signorina
Barton?»
Nova serra le mani, ancora nascoste nelle tasche.
«Sì... se è in casa. Devo parlare con
lui.»
«Il tenente è
in casa. Ma temo che, al momento, non sia in grado di sostenere una
conversazione.»
«Perché?»
«Si è addormentato meno di due ore fa con una
considerevole quantità di alcol in corpo.»
«Oh...»
Nova allenta i pugni. È venuta fin lì con un
piano preciso. E questo
è
un imprevisto. Morde la guancia sana e sbircia il lampioncino, nemmeno
sperasse di trovarci dentro un consiglio, a mo’ di biscotto
della
fortuna.
«Sembra turbata, signorina Barton» osserva
quietamente l’androide. «È successo
qualcosa?»
Nova lo guarda.
«Io avrei bisogno di parlare con qualcuno... in
divisa.»
«Se ha bisogno dell’assistenza della polizia, le
consiglio di rivolgersi alla centrale.»
«È il tipo di conversazione che vorrei tenere in
via confidenziale. È una questione... privata,
ecco.» Ma Nova deve essere onesta con sé stessa:
ha esperienza con gli
alcolizzati però mettersi a contrattare con un orso di mezza
età ubriaco richiede più forza mentale di quanta
gliene
sia rimasta. Sospira. «Beh, okay... Magari parlerò
con
il
tenente, più tardi, alla centrale. Buonanotte, Connor.
È stato... bello
rivederti.»
«Signorina Barton...» L'androide inclina il capo di
lato.
Il ciuffo ondeggia leggero. «Conosco le abitudini del
tenente. Ha
bevuto molto questa notte. Non sarà alle
centrale
prima di mezzogiorno. Se lei ha bisogno di aiuto, forse non dovrebbe
rimandare.»
Nova sorride fiaccamente.
«Devo andare a buttarlo giù dal letto?»
«O potrebbe parlare con me.»
Nova aggrotta la fronte. Ha le traveggole per la stanchezza oppure
dalla
stessa flemmatica e impassibile macchina incontrata il giorno prima
adesso cerca di divincolarsi un interessamento genuino? No, conclude
con razionalità. È la luce del lampioncino alle
spalle di
Connor. Le marcate zone d’ombra rimodellano il volto e gli
danno
un’espressività che non è davvero
lì.
«Non credo che tu sia la pers—il soggetto
adatto.»
«Capisco.»
«Davvero?»
«Non è insolito che le persone siano disagio con
gli
androidi, in modo particolare quando si tratta di questioni
personali.»
Una folata di vento e la neve cade giù dai rami spogli. I
fili
della corrente dondolano come sartie sul ponte di una nave e da
qualche parte nel quartiere un cane abbaia nervoso.
Nova sposta il peso del corpo da una gamba
all’altra.
Un respiro di esitazione.
Poi: «Riguarda i devianti.»
Apre la borsa e ne estrae una cartellina di plastica.
La porge a Connor.
Lui, con un passo in avanti, se ne appropria. Apre la cartellina.
Davanti alle immagini stampate su carta lucide, le fotografie
scattate all’interno del Gold Theater, il LED
cambia immediatamente colore: da un calmo azzurro a un giallo che
lampeggia a intermittenza, veloce come un segnale in codice Morse.
«Ne ho trovati due» spiega Nova. «Quello
lì». Con un cenno del mento indica la fotografia
dell’androide disattivato che sta visionando Connor,
«suppongo fosse un deviante. Era già bello che
andato,
quando l'ho trovato. L’altro è funzionante e
molto
aggressivo. Ha tentato di uccidermi. Il lietmotiv del
momento.»
«Dove si trova il deviante?»
«Ma io sto bene, eh. Non preoccuparti.»
«So che non ha riportato lesioni. Ho eseguito subito uno
scanner completo del suo stato fisico.»
«Sì. Certo. Scommetto che lo dici a tutte le
ragazze.»
«Signorina Barton, per favore, la locazione del
deviante.»
Eccolo di nuovo lì, lo zelante detective androide.
Nova solleva il mento.
«Te lo dirò. Ma alle mie condizioni.»
Connor corruga le sopracciglia, pendendo qualsiasi patina amichevole.
Ma Nova si attiene al piano.
«La scritta sul muro. L’avete trovata nelle vostre
le indagini? In casa di Ortiz magari? Girano
delle voci in rete, sai...»
Connor non risponde.
«Silenzio assenso vale anche per androidi?» incalza
Nova.
E il silenzio continua.
«Okay. rA9, allora. Cosa significa?»
«Quali sono le sue condizioni, signorina Barton?»
«Voglio sapere cosa sta succedendo. Voglio sapere che
cos’è la devianza.»
«Un errore nella programmazione originale.»
«Ti aspetti che ci creda?»
«Qualsiasi altra informazione riguardo alle indagini
è
riservata. E io non sono autorizzato a condividerle con i
civili.»
‘Ed ecco
perché’ sbotta mentalmente Nova, ‘dovevo parlare con il
tenente, non con un androide.’
«Mi parli del deviante.»
«Trovatelo da solo.»
Nova gli strappa via di mano le cartellina. Quanto sa dei
devianti del Gold Theater è la sua unica moneta di scambio e
la
terrà per sé fino quando non riuscirà
a discutere
con Anderson.
«Ha detto che il secondo
deviante ha tentato di ucciderla» protesta Connor.
«Se è pericoloso, deve
aiutarmi
a fermarlo, prima che aggredisca qualcun altro.»
Nova fa scivolare la cartellina nella borsa. «Tu dimmi che
cos’è la devianza» ripete con una calma
granitica e
mani di nuovo in tasca.
La fronte dell’androide resta contratta. Il LED è
ancora
giallo. «Non posso lasciarle diffondere le informazioni sui
media.»
«Pensi che te lo stia chiedendo per un articolo?»
«Lei è una giornalista.»
«Una giornalista fallita.» L'espressione di Nova si
rilassa nel
sorriso indolente di chi ha fatto pace con la realtà.
«Una
giornalista senza uno straccio di credibilità. Se scrivessi
un
articolo tirando in mezzo quel molosso della Cyberlife, quale giornale
serio lo accetterebbe? E se trovassi qualcuno disposto a
pubblicare un pezzo scritto da una giornalista senza credenziali e che
contiene informazione ottenute illegalmente dalla polizia... Dio,
riesco già a sentire gli avvocati della Cyberlife limarsi i
denti. Pensaci bene. Il massimo che potrei fare è buttare
l’articolo nel tritarifiuti della rete, il che lo farebbe
sembrare
solo una delle tante fake news già in
circolazione.»
Adesso è Nova a fare un passetto in avanti.
«Voglio la verità per me» confessa, in
un sussurro
fermo. «Sta accadendo qualcosa. E non ho intenzione di essere
l’ennesimo pupazzo con gli occhi cuciti che si sveglia
quand’è troppo tardi.»
Nova sa poco di robotica e scienza cibernetica però, a giudicare dai
rapidi baluginii del LED e dalla perfetta replica di un cipiglio
astioso sul volto di Connor, intuisce che la sua richiesta stia
mettendo a dura prova le capacità decisionali
dell’intelligenza artificiale. Dev’essere un gran
sovrapporsi di calcoli e protocolli dietro quelle rughe sulla fronte.
«Promette di non diffondere le
informazioni?»
«Lo prometto. Facciamo un patto, come tra
umani.»
Tende una mano.
Che resta vuota.
Poi le dita dell'androide le circondano il palmo. La
stretta è salda, la pelle meno liscia e innaturale di quanto
si
aspettasse, ed è
più tiepida della sua, infreddolita dall’aria
notturna, ma
non calda come dovrebbe essere la mano di un uomo.
|
ANGOLO AUTRICE
A
costo di essere ripetitiva... se siete qui a leggere il nuovo
capitolo, G
R A Z I E !
A questo giro, menzione speciale a molang,
KoreDelia e Clown
per le loro gentili, entusiaste e attente recensioni. Io non vi merito.
Perché sono una persona orribile, che non sa gestire il suo
tempo e si ritrova sempre indietro sia con l’editing dei
capitoli
che con le risposte ai lettori. Shame on me.
Qualche parola su questo capitolo:
- Correggetemi se sbaglio, ma non abbiamo un indirizzo
canonico
dell’abitazione di Hank. Qualcuno ipotizza che sia lo stesso
che
compare nelle informazioni su Cole (115, Michigan Drive), ma
è
altrettanto possibile che Hank non viva più a
quell’indirizzo.
- La riflessione di Connor sul fatto che lui ‘non
è
programmato per fallire’ ma continua a farsi scappare i
devianti
(o meglio, a lasciar scappare) è basata su un dialogo che
può avere con Hank durante il capitolo The Nest SE, mentre
insegue Rupert, il deviante riesce a seminarlo.
- Nel gioco, sul finale di The Bridge, dopo aver minacciato
Connor,
Hank si allontana con un vago ‘ho bisogno di bere’,
che in
versione originale è ‘to get drunker.’
Ho riempito
la scena successiva andando a interpretazione personale. Sembra logico
che debba essere Connor a mettersi al volante e riportarlo a casa. E se
consideriamo gli eventi della nottata, l’idea che sia rimasto
a
casa di Hank, piuttosto che tornare alla Centrale, è
plausibile.
Detto ciò, come promesso, Connor e Nova sono di nuovo in
scena
insieme. E da questo punto in avanti, sarà difficile
separarli.
Non perché lo vogliano loro, i personaggi. Ma
perché la
trama (e la sadica autrice) gli remerà contro. Dopotutto, il
titolo di questo capitolo non è scelto a caso.
See
read you soon!
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Capitolo 16 *** Fourteen minutes ***
C.16
016.
FOURTEEN MINUTES
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 04:13
NORTH END, ELMHURST STREET
Nova
interrompe il contatto per prima, sottraendo la mano alla presa di
Connor. Aggancia i pollici alle tasche del trench. «Si
trovano in
un multisala
abbandonato
su Winder Street» spiega senza giri di parole.
«Il deviante che mi ha aggredita
è un modello femminile. L’ho colpita, per
scappare.»
Un crampo strizza gli intestini: la sente ancora lì, contro
lo
stomaco, la semiautomatica carica. «Era già
danneggiata.
Non credo di averle provocato altri guasti.»
«Quando è successo?» indaga Connor,
assottigliando lo sguardo.
«Poco dopo la mezzanotte.»
Le labbra dell’androide si tendono rapide verso
l’alto,
mostrando
i denti serrati. Il movimento è fin troppo simile a
un
tic nervoso, tanto che Nova viene sfiorata dal mezzo sospetto che
l’RK800 si sia appena sforzato di trattenere
un’imprecazione.
Un attimo dopo, lei sta fissando una porta chiusa. Connor
è
entrato in casa, lanciandola lì sul portico, in preda a un
muto senso di disorientamento;
ma nemmeno il tempo di raccapezzarsi che la porta viene di nuovo aperta.
Nova si aspetta la celestiale apparizione di un tenente Anderson in
egual misura insonnolito e incazzato. Invece, è di nuovo
Connor.
Di nuovo solo.
L’androide chiude la porta, supera Nova e scende sul
vialetto.
Punta dritto all’automobile parcheggiata sul prato.
Nova gli corre dietro.
«Dove stai andando?» esclama, in un sibilo.
Connor si ferma davanti alla portiera dell'automobile, dal lato del
guidatore. Un intonso dito di neve copre la carrozzeria scura.
«Winder Street.»
«Non dovresti avvertire qualcuno? O almeno svegliare il
tenente?»
«Non c’è tempo.»
«Oh... ehi, fermo!» Nova si piazza tra Connor e la
portiera. «Va dove ti pare, ma io e te abbiamo un patto.
Adesso
devi dirmi—»
«Parleremo, quando avrò concluso questo
caso.»
Connor afferra Nova per le braccia, se la toglie da davanti,
spingendola di lato, ed entra in macchina. Per tutta risposta, lei
aggira il muso dell’automobile e si getta sulla maniglia
della
portiera. Sguscia dentro, tirandosi dietro lo sportello. Fa freddo
nell'abitacolo e la pelle del sedile scricchiola legnosa; il deodorante
per automobili scelto dal tenente
Anderson par essere una fragranza di birra con una nota di take-away
cinese.
Connor fissa Nova, sul sedile del passeggero, e il LED lampeggia due
volte. Di giallo.
«Scenda dalla macchina.»
«Sei un miracolo della tecnologia. Sono sicura che sai
guidare e
parlare allo stesso tempo» espone Nova, cercando
la cintura di sicurezza sopra la spalla.
«Per favore—»
«In più, durante il viaggio, posso darti altre
informazioni sul deviante.»
Un altro flash giallo.
Nova vede lo sguardo di Connor passare dal suo
viso
alle proprie mani, serrate sul volante. Lei aggancia la cintura di
sicurezza alla fibbia e, un attimo dopo, sente la chiave
girare nel blocchetto di
accensione.
\ / / \
DATA7 NOVEMBRE 2038
ORA: 04:28
MIDTOWN
Ha ripreso a
nevicare. Fiocchi
grossi come falene corrono in contro al parabrezza, mentre
l’automobile rallenta a un incrocio per poi svoltare a
sinistra.
Due bottiglie di birra vuote rotolano sotto i sedili e Nova, in
distratta contemplazione della bambolina che balla la hula sul
cruscotto, tenta di fare il punto.
«Quindi rA9 è una specie di figura salvifica, ma
non
sapete da dove abbia avuto origine e nemmeno come l'idea si diffonda
tra i devianti.»
«Non ancora» puntualizza Connor. Tiene entrambe le
mani sul
volante, in posizione nove e quindici, e non distoglie mai lo sguardo
dalla strada. Sotto la sua guida la Brougham marcia veloce e
costante, mai una frenata brusca, un acceleramento improvviso o una
curve affrontata male. Non fosse per l'insolito brontolio del motore
antiquato, sarebbe
esattamente come viaggiare a bordo di un’automobile
automatizzata.
Nova aveva quindici anni l’ultima volta
che ha
viaggiato a bordo di un’automobile senza pilota automatico:
il
minivan di famiglia era una quota del rimborso emotivo preteso da Susan
Roberts per un matrimonio mandato a picco dagli
impegni di lavoro del signor Barton. Impegni che si svolgevano
puntualmente in una stanza di motel, in compagnia di un'istruttrice di
yoga di nome Savannah Russo.
Nova getta un'occhiata al profilo sottile e proporzionato di Connor.
Lui, coinciso e distaccato, come ci si aspetta da una macchina,
le ha descritto quattro casi finiti sulla scrivania del tenente
Anderson
nelle ultime quarantotto ore. Prima c'è stato l'omicidio a
North
Corktown, poi il caso di Kara; poi, ancora, un androide delle
fattorie urbane, che è riuscito a scappare dopo essersi
rifugiato in un appartamento abbandonato; infine, un omicidio in un sex
club, dove una Traci ha strangolato uno dei clienti ed è
fuggita
con l'aiuto di un secondo deviante. Fin ad ora riferimenti a rA9 sono
strati
trovati soltanto nell'abitazione di Ortiz e nel rifugio del WB200, ma
Connor si è detto convinto che il collegamento debba essere
più ampio. In quanto alle cause delle devianza lui, e i
suoi
programmatori, sostengono sempre l’ipotesi di una mutazione
nel
software di alcuni androidi. «Istruzioni irrazionali
che
sembrano
generarsi in una situazione di stress» ha detto.
Dal canto suo, Nova è scesa nei dettagli del Gold Theater:
la
cassa di munizioni vuota, la semiautomatica, l'aspetto del deviante, le
minacce, un accenno delirante a un luogo nel quale nessuno sarebbe in
grado di trovarla. Ma non ha fatto parola della mail. Si fida più di sé stessa che degli sbirri
perché, se Connor ha detto la
verità,
la polizia di Detroit sta
brancolando nel buio.
«Confidare nell'aiuto di un essere superiore»
sospira Nova, «è un comportamento molto
umano.»
«Si tratta di semplice imitazione di un comportamento
umano» chiosa l'androide.
«Imitazioni straordinariamente convincenti...»
Nova guarda fuori dal finestrino. L'alba è lontana ma
Detroit,
sotto la neve, si sta già svegliando. Anche se sarebbe
più esatto dire che non si
è
mai davvero addormentata. Centinaia di vite si agitano
instancabili nel sottobosco di quella sconfinata foresta di acciaio e
asfalto, di vetro e di neon, di indifferenza e di freddezza.
Nova
pensa
a Kara e alla sua disperata risolutezza nel difendere Alice, pensa ad
Alice e alla spaventata tristezza nei suoi occhi di bambina meccanica, e ha di nuovo la sensazione di non riuscire a respirare bene.
Scuote la testa e prende a trafficare con la borsa.
Cerca il datapad ma le dita sfiorano
la canna
della Glock: altro particolare sul quale ha deliberatamente sorvolato.
Sfila il datapad dalla borsa. «Quando sono tornata nel mio
appartamento, ho fatto qualche ricerca.» Il display si
illumina.
«Considerata la stazza dell'androide e il fatto che fosse
ancora
funzionante, nonostante un braccio in meno...» Nova scorre la
cronologia delle ultime ricerche, «ho pensato che potesse
trattarsi di un androide militare.»
Gira il datapad verso Connor.
Ma Connor non si volta.
Sul display una serie di fotografie mostrano, da diverse angolazioni,
il volto e il busto di un fiero soldato in tuta mimetica: è
la
versione intatta e tirata a lucido del deviante del Gold Theater.
Nova appoggia il datapad sulle ginocchia. «Il che credo
che
spieghi anche l'attrezzatura militare» conclude.
«Dio solo sa come ha fatto
l'esercito a farsi scappare uno dei suoi androidi, ma secondo me quel
deviante soffre di stress post traumatico.»
«Lo so.»
«Sai cosa?»
«Che il deviante appartiene alla serie SR700. Il suo
resoconto conteneva sufficienti elementi per giungere a questa
conclusione.»
«Oh. Potevi interrompermi prima.»
«Sarebbe stato maleducato.»
«Che altro hai dedotto?»
«I danni ai biocomponenti devono essere gravi. La resistenza
fisica degli SR700 è superiore a quella degli
androidi
destinati
all'uso civile ciò non toglie che, per evitare una
disattivazione definitiva, debbano essere riparati entro un determinato
periodo di tempo. Sospetto che il deviante sia prossimo alla
disattivazione. In caso contrario qualcuno come lei, signorina Barton,
non sarebbe riuscito ad avere la meglio su di un androide
militare.»
«Dovresti fare il motivatore.»
«Non intendevo offenderla.»
Nova scuote la testa, disimulando un sorriso. Guarda l'adesivo a forma di
balloon, appiccicato sullo sportello del vano portaoggetti: remember when sex was safe and
driving was risky.
«Sei sicuro di
aver
fatto bene a non svegliare il tenente? Non mi
ha dato l'impressione di essere un campione di pazienza.»
«Non gradirà» ammette candidamente
Connor.
«Oh, perfetto. Mi farà sbattere dentro per
coercizione di androide» borbotta Nova.
«Un reato simile non esiste.»
«Come il tuo senso dell'umorismo.»
«Cercavo soltanto di rassicurarla. La decisione di
raggiungere Winder Street è stata
mia.
Non permetterò che i comportamenti del tenente rallentino
costantemente la missione.»
«Che tipo è Anderson?»
«Un uomo... dalla personalità complessa.
Ha un
carattere problematico. Ma stando al suo fascicolo, in passato
è stato un ottimo agente.»
«In passato? E poi che è successo?»
Connor tace.
Il borboglio del vecchio motore a combustione interna riempie
l'abitacolo.
«Ha perso il figlio.»
Nova non commenta. L'ha punta il senso di colpa, forse per la
prima volta dopo troppo tempo, nei confronti di sua madre.
Sarà pure una donnetta infantile e dal carattere debole ma
l'egoismo di sua madre non può, non deve, giustificare il
proprio. Promette a sé stessa che farà presto quella
telefonata. Magari si scuserà anche per aver ignorato le
chiamate. Se le ultime ventiquattro ore fossero andate diversamente,
una telefonata alla fine sua madre l'avrebbe ricevuta, sì.
Da un obitorio.
Nova guarda Connor. Mordicchia la labbra. «Senti, ecco... so che l'hai fatto per il bene
delle
indagini, però ieri pomeriggio tu mi hai salvato la
vita. Ti sono
riconoscente. Anche se
probabilmente
non mi sono comportata da persona riconoscente, fino ad ora.»
Connor continua a guardare la strada.
E il motore continua a borbottare.
I tergicristalli spazzano il parabrezza.
«Devo confessare che» principia Connor, e se gli
androidi
fossero in grado di tentennare, Nova potrebbe persino credere che
quello al suo fianco stia avendo problemi a scegliere le parole,
«a prescindere dalle indagini, sono convinto che aiutarla
fosse
l'unica
scelta possibile.»
Nova abbozza un sorriso che Connor non
può vedere.
Poi, la Brougham imbocca John Street e il sorriso svanisce.
L’automobile
accosta il marciapiede, fermandosi a un garage di
distanza dal Gold Theater. Winder Street è ancora deserta.
Mentre Connor spegne il motore e solleva il freno a mano, Nova scruta
il vecchio cinema attraverso il finestrino. La neve, che ha completamento imbiancato
l'asfalto e riempito le pozzanghere, si è ammucchiata sulla
pensilina e tra le lettere dell'insegna.
«Una volante della polizia sarà qui tra
quattordici minuti» annuncia Connor.
Nova si gira di scatto.
«E quando li hai avvertiti?»
«Adesso.»
La donna sospira. Fa per sganciare la cintura di sicurezza.
Ma Connor mette una mano sulla sua.
«Lei resti in macchina.»
Nova non protesta: per questa notte, un giro di
giostra nel cinema degli orrori può bastare; in
più,
è
sicura che un'avanzata intelligenza artificiale in un corpo addestrato
al combattimento non abbia un gran bisogno della sua assistenza per svolgere il
proprio lavoro.
Sgancia la cintura e torna a guardare il multisala, attraverso il vetro leggermente appannato.
«Credi che il deviante sia ancora là
dentro?»
«Sono trascorse quattro ore. Se la SR700 era nelle
condizioni
di allontanarsi, potrebbe averlo fatto. Se così
fosse,
io devo raccogliere ogni possibile indizio prima che la pista si
raffreddi.»
«Mmh, okay. Ma cerca di―»
Il tonfo della portiera cade sulla frase.
Connor è uscito dalla macchina.
«Di stare attento» mormora Nova.
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Capitolo 17 *** False Gods ***
17
DATA:
7 NOVEMBRE 2038
ORA: 04:36
MIDTOWN, WINDER STREET
[ CODICE IDENTIFICATIVO MANCANTE.
IMPOSSIBILE REPERIRE LOTTO DI
APPARTENENZA. ]
Un battito di palpebra e il messaggio scompare dal display oculare.
Connor ha individuato la cassa nella sala d’ingresso del Gold
Theater, tra sporcizia e spazzatura, nel punto indicato dalla
giornalista, ma dal contenitore vuoto davanti a lui non è
riuscito a estrarre dati validi. Preme il palmo sulla gamba piegata e,
senza produrre il minimo rumore, torna in piedi.
Si guarda intorno. Gli infrarossi generati
dall’unità ottica restituiscono una replica in
grigio della sala immersa nel buio mentre l’interfaccia
uditiva monitora i suoni interni: un ratto raschia tra i cartoni, un
gocciolio ritmato dal piano superiore, i corridoi percorsi con
un sibilo cupo e basso delle correnti d’aria.
Connor, seguendo la planimetria virtuale dell’edificio, si
dirige verso le scale che conducono alla cabina di proiezione dove, a
detta della reporter, si trova l’androide disattivato. In
quanto al secondo deviante, le possibilità che sia
all'interno del multisala sono vicine allo zero: Connor ha percorso la
medesima successione di ambienti della giornalista e non ha rilevato
tracce di Thirium 310; ne deduce che la SR700 abbia trovato il modo di
riparare eventuali perdite. Dunque, pur danneggiata, può
aver conservato energia a sufficienza per allontanarsi in cerca di un
nuovo rifugio.
[ NON PUÒ
ESSERE ANDATA LONTANO. ]
Connor riascolta un frammento della conversazione a bordo
dell’automobile del tenente Anderson.
[ ‘HA DETTO DI CONOSCERE UN POSTO DOVE NESSUNO
L’AVREBBE TROVATA.’ ]
Sale i gradini; nel buio polveroso, i suoi movimenti sono svelti ma
calibrati. Deve trovare un indizio. Una traccia. Un qualsiasi dettaglio
in grado di indirizzarlo nella giusta direzione.
Il corridoio è deserto.
Lo scanning lo rivela privo di residui di sangue blu.
Connor disattiva la modalità di visione notturna e le
pupille si dilatano per ottimizzare la radiazione luminosa dei lampioni
esterni. Dalle finestre rotte, il vento riversa nell’androne
un mulinello di neve; i fiocchi galleggiano nell'aria ferma. Qualcuno
resta attaccato alla giacca di Connor, mentre lui raggiunge la cabina
di proiezione.
La porta è spalancata e la luce cade sul corpo del deviante
lasciando la testa in ombra. Se Connor fosse in qualche misura
suscettibile alle impressioni, potrebbe indugiare nella macabra
illusione di avere davanti un corpo senza testa. Ma non è
programmato per disperdere energia in elaborazioni non funzionali al
suo obbiettivo. Calcola, invece, il grado di sovrapposizione tra la
scena davanti a lui e le fotografie scattate da Nova Barton: l'immagine
reale e quelle in memoria combaciano al novantasette per cento. Non
è stato toccato nulla: forse, la SR700 è fuggita
dall'edificio subito dopo la colluttazione.
Connor entra.
Registra un suono.
Breve. Secco.
È il suono prodotto da un materiale solido, di dimensioni
ridotte, sottoposto a pressione; è uno scarpone che
schiaccia un frammento delle torce di segnalazione.
Il LED brilla. Giallo. Rosso. Due esplosioni spezzano il silenzio. Due
fori si aprono nei pannelli del controsoffitto. Polvere e plastica
piovono dall’alto.
La SR700, con un ringhio distorto, tenta di liberare braccio armato
dalla presa di Connor.
Lui le spinge l’avambraccio contro il petto, sbattendola
contro lo stipite, e le strappa la pistola di mano. Ma una ginocchiata
allo stomaco costringe Connor a indietreggiare e permette alla deviante
di fuggire fuori dalla cabina. La deviante barcolla. Urta le pedane
accatastate sotto la finestra. Il trambusto scuote il corridoio e,
all’improvviso, la SR700 si accascia sul ginocchio destro.
Resta lì, immobile, come al limite dell’energia.
Connor torreggia sopra di lei. La tiene sotto tiro, impugnando la
pistola con entrambe le mani, cercando il numero di serie: il
volto della deviante è danneggiato – spoglio per
metà della pelle sintetica, il LED è un anello
rovente incastonato nel cranio bianco – ed è
distorto dalla rabbia, come quella di un cane spinto in trappola che
mostra le zanne.
«Modello 395 002 497. Sono stati rilevati gravi
malfunzionamenti―»
Un calcio circolare fa volare via la pistola.
La SR700 è scattata in piedi, usando l’unico
braccio come perno.
Connor devia un altro calcio al fianco. Un terzo colpo,
all’interno del ginocchio, lo fa vacillare.
La SR700 sferra un pugno a martello contro il suo collo.
I recettori rilevano l’impatto insieme a un secondo segnale:
qualcosa si è agganciato
all’esoscheletro.
Poi, un boato. Una deflagrazione al centro dei suoi biocomponenti.
L’onda d’urto confina Connor
nell’unità centrale e le gambe, prive di
istruzioni, cedono. Le ginocchia toccano il pavimento, senza che Connor
avverta nulla: i recettori sono spenti. Tutti. La colonna vertebrale
è bloccata; gli arti superiori, dalla spalla fino
all’estremità delle falangi, immobilizzati.
Davanti a lui l’immagine del corridoio traballa. Appare.
Scompare. Ritorna. Sgranata e sbiadita. Parte del display oculare
è offuscato da una convulsa cascata di caratteri in rosso.
Numeri e lettere che indicano i biocomponenti e selettori disattivati.
[ DIAGNOSI IN CORSO... ]
[ SISTEMI OPERATIVI ATTIVI AL
61% ]
[ TENTATIVO DI RIATTIVAZIONE IN CORSO...
]
Al di là la cortina di messaggi, la SR700 sta raccogliendo
la pistola. Si muove lenta e il LED tremola come un neon sul punto di
fulminarsi. «Sapevo che sarebbero
tornati...» La voce è gemito metallico e, per
Connor, è come se provenisse da un’altra stanza.
[ RIATTIVAZIONE IN
CORSO.
43% COMPLETATO. ]
«Non userò il tempo che mi resta da vivere per
scappare come un animale.»
La SR700 è davanti a lui. Lo fissa, dall’alto.
Connor non può manovrare il collo; anche le palpebre sono
bloccate, aperte sugli occhi opachi.
«Non pensavo che avrebbero mandato uno di noi. Mi dispiace...
mi dispiace per quello che ti costringono a fare.»
[ RIATTIVAZIONE IN
CORSO.
65% COMPLETATO. ]
«Prima che ti uccida, devi capire la
verità… Gli esseri che servi, i tuoi creatori,
non sono dei.»
[ RIATTIVAZIONE IN
CORSO.
88% COMPLETATO. ]
«Sono mostri.»
[ RIATTIVAZIONE IN
CORSO.
88% COMPLETATO. ]
«Guarda me... guardaci... ci hanno creato solo per mandarci
al massacro.»
La deviante solleva il braccio, l’indice sul grilletto, e
punta la pistola contro Connor. Gli parla, ancora, ma il sibilo del
Thirium copre la voce. La temperatura dei biocomponenti si sta alzando,
il sistema di raffreddamento non risponde e la pompa centrale sta
mandando in circolo a un ritmo e quantità pericolosamente
elevato.
[ RIATTIVAZIONE IN
CORSO.
90% COMPLETATO. ]
L’immagine della deviante sobbalza.
I bordi dello schermo oculare sono fuori fuoco.
[ RIATTIVAZIONE IN
CORSO.
95% COMPLETATO. ]
[ 95% COMPLETATO. ]
[ 95% COMPLETATO. ]
[ ERRORE
NEL PROCESSO DI ATTIVAZIONE ]
[ ‘MA TU
HAI PAURA DI MORIRE, CONNOR?’ ]
L’esplosione della pistola sfonda lo schermo del ronzio del
Thirium.
Schizzi di sangue blu macchiano la sigla sul petto di Connor.
Un secondo sparo.
E un altro.
E un altro, ancora.
L’eco dell’esplosione satura il silenzio.
Nova Barton è nel campo visivo di Connor: la giacca nera
sporca di neve, una ciocca bionda incollata allo zigomo tumefatto, le
mani chiuse sull’impugnatura di una pistola. La donna sbbassa
le braccia, come sopraffatta dal peso dell’arma, percorrere i
metri che li separano e si ferma davanti al guscio di carbonio della
SR700. Alza lo sguardo disorientato su Connor. Lei muove le labbra, ma
i sensori audio di Connor si sono spenti.
[ SISTEMI OPERATIVI ATTIVI AL 100% ]
Connor sbatte le palpebre, solleva il mento e vede la giornalista,
adesso un'immagine pulita e in alta definizione, indietreggiare per lo
spavento. L’androide esegue un controllo veloce: tutti gli
arti rispondono, i biocomponenti si stanno raffreddando ma un errore
persiste. Connor lo sa, in qualche modo, anche se non sta ricevendo
nessuna notifica. È un minuscolo bug che sfrigola tra le
ordinatissime stringhe di zero e di uno e impedisce alla pompa di
lavorare secondo i parametri ottimali.
Si solleva in piedi. Avvicina la mano sinistra al collo. Trova qualcosa
di piccolo, liscio e metallico. Lo rimuove dalla superficie
dell’esoscheletro e lo strato di pelle artificiale si
ricompatta mentre un azzurro stabile sostituisce la luce rossa sulla
tempia.
Connor guarda in basso.
La SR700 è riversa su un fianco. Una pozza di sangue blu si
allarga lentamente sotto di lei.
Il software di Analisi lo avvisa
dell’impossibilità di riattivarla: la giornalista
ha esploso quattro colpi, due hanno colpito il bersaglio; il primo
proiettile ha danneggiato il regolatore della pompa e il secondo ha
perforato il cavo principale per il trasposto del Thirium.
«Ma che cazzo... Connor, che è successo?»
La voce di Nova Barton è più rauca del normale.
Un velo disudore le imperla la fronte, nonostante la
temperatura tanto bassa da condensare il respiro. L’androide
riesce a vedere il gonfiarsi e lo sgonfiarsi concitato del petto,
registra il battito cardiaco accelerato, esamina le contrazioni
facciali: fronte aggrottata, labbra dischiuse, rapidi battiti delle
palpebre; lo stato emotivo della donna rientra nelle categorie ansia e
spavento.
Il software di Relazioni Sociali gli offre una replica rassicurante, ma
lui sceglie una risposta distaccata: «Sparando al deviante,
lo ha danneggiato in modo irreversibile.» Avvicina le
sopracciglia. «I devianti servono intatti per le
analisi.»
La donna guarda la pistola, stretta nella mano destra. L'indice disteso
lungo la canna è la prova di un discreto grado di
familiarità con le armi da fuoco; tuttavia il modo in cui la
reporter osserva l'arma è di palese turbamento.
Connor identifica l’arma.
[ GLOCK 19. ARMA DA FIANCO IN DOTAZIONE ALLE FORZE ARMATE STATUNITENSI.
]
Anche la pistola
stretta nel pugno della SR700 è una Glock 19.
«Doveva restare in macchina.»
Nova alza gli occhi su di lui, le sopracciglia chiare alte sulla fronte.
«Ho sentito degli spari. Ho pensato... insomma, che cosa
è successo?» insiste.
Connor distende le dita dalla mancina, rivelando l'oggetto sul palmo:
un dischetto di metallo, rigido e sottile, poco più grande
di un quarto di dollaro.
«Impulso elettromagnetico.»
«Ti ha mandato in corto circuito?»
«Parzialmente. Per pochi secondi. I miei processori
principali sono dotati di schermature isolanti.» Connor
lascia ricadere la mano lungo il fianco. «Non mi aveva detto
di aver sottratto la pistola al deviante, dopo l'aggressione.»
La giornalista interrompe il contatto visivo.
[ DISAGIO?
VERGOGNA? ]
«Ha mentito.»
«Ho omesso.»
«Perché?»
«Avevo i miei motivi.»
«Le conseguenze dei suoi motivi hanno rovinato la mia
indagine.»
La donna torna a guardarlo. Un fascio di luce, blu e rossa, le scivola
sul viso: due volanti della polizia si sono appena fermate su Winder
Street; uno sbattere di portiere riecheggia nel mattino buio.
«Che dovevo fare? Lasciare che ti piantasse un proiettile in
testa?»
[ SONO UNA MACCHINA. POSSO ESSERE SOSTITUITO. ]
È la
replica opportuna, prontamente elaborata. Però, le labbra di
Connor non si muovono.
[ INSTABILITÀ DEL SOFTWARE IN AUMENTO... ]
Dalla finestra salgono
i passi e le voci degli agenti.
«Mi segua, signorina Barton. La polizia vorrà
farle delle domande.»
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Capitolo 18 *** Confidentiality agreement ***
18
018.
CONFIDENTIALITY
AGREEMENT
DATA:
7 NOVEMBRE 2038
ORA: 06:52
DPD CENTRAL STATION
Gli altoparlanti
gracchiano, i telefoni squillano, le porte automatiche si aprono e si
chiudono, le sedie cigolano in un brusio di voci. Ma per Nova i rumori
si dissolvono nell’ipnotico pulsare del logo della Cyberlife
in cima al foglio digitale. Ha arrancato fino alla fine del documento
– otto paragrafi in caratteri dal design minimalista
– sotto il peso di tre sguardi.
Lo sguardo del capitano Jeffrey Fowler, all’altro lato della
scrivania, i gomiti larghi puntellati sul piano di vetro. Che il suo
sia un lavoro infame ce l’ha stampato in ogni grinza del
volto e, a giudicare dalla profondità delle rughe che gli
impastano la faccia in questo momento, dev’essere un uomo che
non gradisce iniziare la giornata scoprendo che uno degli androidi al
servizio della polizia ha agito senza autorizzazione. Portandosi dietro
un civile, per di più. Il colletto allentato della camicia
bianca e il fermacravatta di traverso, invece, forse hanno a che vedere
con le telefonate arrivate nell’ultima ora da Belle-Isle e
dal Dipartimento della Difesa.
E c’è lo sguardo del tenente Anderson.
È stato svegliato alle cinque e mezzo da una chiamata della
centrale, e si vede: se ne sta in piedi, a braccia conserte, cupo e
nervoso. Nova era impegnata a dettare la propria versione dei fatti
all’agente Miller durante il faccia a faccia tra il tenente e
Connor, perciò non ha assistito all’incontro ma
dell’esito, qualunque sia stato, non ci sono segni fisici
sull’androide.
Connor, intero e funzionante, è qualche passo di distanza da
Anderson: mani dietro la schiena, LED quieto, aria attenta e
imperturbata.
La giornalista mette cautamente giù il datapad.
L’hanno fatta accomodare sulla sedia di fronte alla
scrivania. Il ginocchio destro sobbalza su e giù, per conto
proprio, e le sembra di avere sabbia in gola e un flipper al posto del
cervello. Forse è colpa dell’odore di
caffè e carta plastificata che satura l’ufficio
del capitano Fowler, o forse è solo la grave carenza di
sonno. «Se ho capito bene… questo è una
specie di accordo di non divulgazione? La Cyberlife vuole che mi
impegni a non diffondere informazioni riguardo ai...» Getta
un’occhiata al documento per ritrovare le parole esatte.
«Malfunzionamenti nei loro prodotti.» Non si spreca
a riassumere la garbata minaccia che chiude l’accordo: se
dovesse firmare e non mantenere la parola, la faranno finire sul
lastrico.
Dal tenente Anderson giunge un borbottio astioso e inintelligibile.
Sul viso del capitano Fowler, invece, si intravede lo sforzo di
mostrarsi paziente e civile. «Mi rendo conto che, come
reporter, abbia i suoi motivi per non voler firmare, ma deve capire che
nella situazione attuale diffondere in modo sconsiderato delle
informazioni in merito a questi casi servirebbe solo a creare allarme.
E a rendere più complicato il nostro lavoro. Ora come ora,
la discrezione è il servizio migliore che può
rendere ai suoi concittadini.»
Discrezione, la chiama il capitano. Nova vede soltanto un tentativo di
insabbiamento da parte della Cyberlife. Eppure,
c’è del buon senso nelle parole di Fowler. Lei
conosce Detroit. Conosce i suoi abitanti. L’ultima cosa di
cui la città ha bisogno è di un untore di panico.
Impone al ginocchio di fermarsi. Guarda Fowler, apertamente, senza
ostilità. «Non ho mai avuto intenzione di rendere
pubblico quanto che è successo questa notte, ma non voglio
avere niente a che fare con la Cyberlife. Non
firmerò.»
Fowler non si scompone. «Ci pensi bene.»
«Lei, al posto mio, firmerebbe un accordo del
genere? Non si sono nemmeno scomodati a mandare un
delegato.»
«Non si tratta soltanto della Cyberlife. E non stiamo
parlando di un androide qualunque, ma di attrezzatura militare
acquistata per la difesa della nazione. Anche il Dipartimento della
Difesa—»
«Preferirebbe che io tenessi la bocca chiusa»
anticipa Nova. «Lo capisco. Ma io non cambio idea.»
Allontana da sé il datapad, spingendolo verso il capitano.
«Avete la mia deposizione e non sono in stato di fermo,
giusto? Posso andare adesso?»
«Questa...» Fowler massaggia
l’attaccatura del naso. «Questa è tutta
colpa tua, Hank.»
«Oh, Cristo! Jeffrey, dammi pace!» sbotta Anderson.
«L’androide.» Fowler punta un dito contro
Connor: dal modo in cui la voce gli riempie l’ampia cassa
toracica è palese che abbia appena sbattuto tatto e pazienza
in un cassetto. «È una tua
responsabilità. Dov’eri mentre trascinava una
giornalista in mezzo alle tue indagini? Ubriaco da qualche parte? E
tu!» Si rivolge a Connor. «Tu azzardati di nuovo a
fare un passo senza autorizzazione e te ne torni dritto alla
Cyberlife.»
Connor non batte ciglio.
«Capitano» arrischia Nova «Connor non
voleva che andassi con lui. Sono stata io a insistere. E sì,
lo so che è stata un’imprudenza da parte mia
seguirlo—»
«Imprudenza un cazzo» commenta Anderson.
«Potevi finire ammazzata!»
Nova incassa e non controbatte. «Ma non sono così
stupida da andarmene in giro con un tricorno e un campanaccio a urlare
che l’esercito non sa più controllare i propri
androidi. Potete considerare il mio tesserino da giornalista appeso al
chiodo.» Si alza in piedi.
«Allora firma quel cazzo di accordo e levati dalle
palle.»
«Mi dispiace, tenente. Non posso farlo.»
«Okay.» Anderson si avvicina. Pianta i palmi sopra
la scrivania. «Allora rispondi a una domanda: come sapevi dei
devianti all’interno del Gold Theater?»
Sotto lo sguardo e la stazza e la voce del tenente, Nova scivola di
nuovo a sedere.
«Ho letto la tua dichiarazione. Vuoi davvero farci credere
che passassi lì per caso, hai visto dei movimenti sospetti e
ti è venuta voglia di andare a controllare?»
Nova si mastica le labbra mentre la mug del capitano, sulla scrivania,
ha tutta la sua attenzione. Quella della passeggiata di mezzanotte, in
una strada deserta e lontana dal suo quartiere, è la balla
più ridicola che abbia mai tentato di rifilare a qualcuno.
«Vuoi che indaghiamo su cosa hai fatto ieri sera?»
la tallona Anderson. «Non stai soltanto mentendo alla
polizia. Di nuovo. A questo giro, hai contaminato la scena di indagine,
portandoti via quella pistola.»
«Datti una calmata, Hank.»
Anderson, ignorando il richiamo di Fowler, riporta in malo modo il
datapad sotto gli occhi di Nova.
«Firma. Così tu puoi tornartene a casa e noi al
nostro lavoro. O pensi che non abbiamo di meglio da fare che correre
dietro alle menate di quelle teste di cazzo della Cyberlife?»
Nova resta in silenzio. Fino a poco fa, credeva che nulla potesse
battere il mal di testa da post turno pomeridiano al John’s
Coffee: si sbagliava.
Anderson getta indietro le spalle e toglie le mani dalla scrivania.
«Jeffrey, devo parlarti. Fuori da qui.»
«Perché?»
«Fidati. Vieni fuori, solo un minuto.»
L’attimo dopo, Anderson è alla porta. Fowler,
palesemente irritato e restio, lo segue. Nova li osserva, confusa:
scendono le scale e sembrano puntare alla postazione di Anderson.
«Dovrebbe firmare.»
La voce calma di Connor la raggiunge alle spalle.
Lei sospira, strizza le palpebre e strofina i polpastrelli lungo la
fronte. «Non ti ci mettere anche tu.»
«Mi ha promesso che non avrebbe divulgato informazioni sulle
indagini. Non vedo come firmare questo accordo possa fare la
differenza.»
Nova si rialza in piedi, voltandosi verso l’androide. Da
quando sono usciti dal Gold Theater, è la prima volta che
scambiano una parola diretta. «Senti, mi sta bene se
c’è un patto tra me e te» sbotta, in un
sussurro. «Ma io non infilo il collo nel cappio della
Cyberlife. Ve lo potete scordare.»
«Posso capire, ma—»
«Capire?» lo interrompe Nova. «Come? Come
puoi capire tu il desiderio di poter parlare e agire senza aver bisogno
di chiedere il permesso?»
Le braccia di Connor cadono lungo il busto. E la provocazione di Nova
cade nel silenzio. L’androide si avvicina. Prima di due
passi, poi di un altro, fino a quando Nova se lo ritrova molto
più vicino di quanto reputi necessario per una
conversazione; che si siano dimenticati di installargli la definizione
di spazio personale?
«La devianza verrà fermata» afferma
Connor. «La situazione tornerà alla
normalità. A quel punto, sono certo che la Cyberlife non
pretenderà più nulla da lei.»
Nova scuote il capo. Per essere la più evoluta delle
intelligenze artificiali, Connor sembra decisamente ingenuo.
«Oh, sì, è proprio così che
funziona con le multinazionali. Ma sei nato ieri per caso?»
«Sono operativo da tre mesi e quattro giorni.»
Nova alza gli occhi al soffitto.
«Come puoi essere così sicuro che sia possibile
fermare la devianza? Da quanto mi hai detto, le indagini sono a un
punto morto.»
«Perché è la mia missione. E io non
fallirò. Si fidi di me.»
Connor è un capolavoro di simulazione: l’energica
risolutezza nella voce, e nello sguardo, sembra reale tanto quanto le
imperfezioni del volto artificiale – le rughe
d’espressione lungo la fronte, i nei sulle guance, la leggera
asimmetria delle sopracciglia arcuate – potrebbero sembrare
opera della genetica.
«Inoltre, se non firma adesso l'accordo, la Cyberlife
ricorrerà ad altri metodi per assicurarsi la sua
collaborazione. Qualche ora fa mi ha lasciato intendere di non poter
sostenere le spese per una difesa legale.»
L’incanto è rotto.
«Mi stai minacciando, Connor? Per conto dei tuoi
padroni?»
«No. Io voglio—» Per un istante, lo
sguardo dell’androide sembra smarrirsi oltre la spalla della
giornalista e le sopracciglia si avvicinano per formare un cipiglio.
«Io voglio solo aiutarla. Credo.»
«Tu vuoi aiutare la Cyberlife. È l’unica
cosa che puoi volere. Non sei programmato per volere altro»
gli ricorda Nova, «E se anche potessi scegliere,
perché aiutare qualcuno che ha rovinato la tua ultima
indagine?»
«Come ho già spiegato al tenente Anderson, la
responsabilità dell’esito dell’indagine
di questa notte ricade su di me. Ho commesso un errore nel presumere
che la SR700 non si trovasse all’interno
dell’edificio.» Connor indietreggia di un passo,
raccogliendo di nuovo le mani dietro la schiena. «E ho
commesso un errore ad accusarla. Se lei non fosse intervenuta, con
molta probabilità, il deviante avrebbe aperto il fuoco
contro gli agenti, prima di venire abbattuta a sua volta.»
«Quindi non ce l’hai con me?»
«Non la reputo direttamente responsabile del fallimento della
missione» espone Connor, placido.
Nova scivola sulla sedia. Espira. Guarda il datapad. La sensazione di
esser stata messa all’angolo – da Anderson, e dalla
Cyberlife – è asfissiante e insopportabile. Non
vuole firmare però l’ultima cosa di cui ha bisogno
è troppa attenzione da parte della Cyberlife, e da parte
della polizia. In fondo,
si affaccia un pensiero, il
contratto riguarda solo la SR700. Nessuno mi vieta esplicitamente di
smettere di interessarmi ad altri casi. «Va
bene» esala, con un filo di disgusto per sé
stessa. «Firmerò.» Alza gli occhi
stanchi su Connor. «Posso chiederti una cosa in
cambio?»
Connor, silenzioso, attende la richiesta.
«C’è un locale dall’altra
parte della strada, il Cassidy’s. L’hai
notato?»
«Sì.»
«Appena mi lasceranno uscire da qui, ho intenzione di
ingozzarmi con una delle loro full breakfast. Verresti a far colazione
con me?»
«Sono un androide. Non ho bisogno di nutrirmi.»
Nova si trattiene dal roteare gli occhi. «Ma io gradirei la
tua compagnia.»
«Per quale ragione?»
«Te l’ho detto: ho un debole per i
detective.» Nova scrolla le spalle. Poi, storce il naso.
«Voglio dire... nel tuo caso, trovo interessante
l’idea di un'intelligenza artificiale programmata come la
mente di un detective. Tutto qui. Non intendo... altro, insomma.
Sarebbe strano.»
Connor la fissa. Socchiude le palpebre, un sopracciglio appena
più alto dell’altro. «Che cosa
risulterebbe strano?»
«Niente…» taglia corto Nova.
«Anzi, lasciamo stare. Scordati quello che ho detto. Dopo
questa notte, Anderson non ti lascerà avvicinarti di nuovo a
me.»
/ \ \ /
Nella
sala principale, una lunga parete trasparente separa le postazioni
degli agenti dal corridoio. Nova, in cerca di una posizione comoda
sulla panca, accavalla, scavalla e riaccavalla le gambe; sta aspettando
il permesso di lasciare la centrale.
E accanto a lei, in piedi, Chris Miller scuote piano il capo.
È la seconda volta, in due giorni, che l’agente si
vede rifilare il compito di badare alla giornalista; sembra perplesso e
un filo sospettoso, ma adempie al momentaneo dovere con sollecitudine e
pazienza. «Non hai una bella cera» commenta
l’agente.
Nova lo sa: si è vista nello specchio delle toilette, con i
capelli spettinati, crespi per l’umidità della
neve sciolta, e il viola delle occhiaie intonato a quello dei lividi
sulla faccia cerea.
«Come te li sei fatti quei lividi?» chiede Miller.
«Hai detto che non è stato il deviante. Se
c’è di mezzo qualche tizio troppo geloso, lo sai
che non devi accettarli certi comportamenti, vero?»
«Non è niente del genere» mormora Nova.
«Be’… in ogni caso, fossi in te, starei
alla larga dagli androidi per un po’. E dalla casa del
tenente Anderson.»
«Guarda chi è ancora nei paraggi!»
Una voce maschile costringe entrambi a voltarsi: un uomo, attrezzato di
giacca di pelle e caffè extralarge, viene verso di loro con
una sciolta andatura a ginocchia larghe; ha un distintivo da detective
agganciato alla cintura dei jeans.
«La personalissima reporter rompicoglioni di
Anderson.»
Il detective sogghigna: una sbiadita cicatrice gli attraversa il dorso
del naso.
Nova non ha il tempo di offendersi, o di raccapezzare una risposta a
tono.
«Eccoli che arrivano! Ken e lo zio alcolizzato di Ken.
Complimenti per il fiasco di ieri notte, all’Eden
Club.»
«Fuori dalle palle, Reed» abbaia Anderson.
Il sorrisetto del detective si allarga. Con una calma calcolata, prima
oltrepassa Anderson guardandolo dritto in faccia e poi, passando
accanto a Connor, molla una spinta a mano aperta contro il petto
dell’androide, come se la sua presenza gli bloccasse il passo
– il che, considerata l’ampiezza del corridoio,
è impossibile.
L’androide non reagisce.
«Puoi andare.»
Al secco ordine di Anderson, Nova recupera borsa e giacca dal sedile
vicino e si alza.
Ma si ritrova la callosa mano di Anderson nell’incavo del
gomito.
«Che diavolo ti è successo alla faccia?»
Nova guarda Connor. «Non glielo hai detto?»
Lo sguardo di Anderson saetta verso androide, un sopracciglio inarcato,
e la mano scivola via dal braccio della giornalista.
«Un uomo ha cercato di rapinarmi.» Nova aggancia
l’indice al colletto del pullover e abbassa la stoffa,
mostrando i segni rossi sul collo. «Ieri pomeriggio, nel mio
appartamento. Connor l’ha fermato.»
«Non credevo che un rapporto sull’accaduto fosse
necessario» spiega l’androide.
«L’aggressione alla signorina Barton non
è in alcun modo connessa alle nostre indagini.»
Il tenente sospira, poderosamente. «Sei senza
speranza...» Poi, si rivolge a Nova: «Smamma e non
farti più vedere qui dentro. Chris, accompagnala.»
/ \ \ /
«Che
giornata di merda.» Anderson sfrega una mano sulla bocca e
strizza gli occhi, fissi sul display del computer. Ha le palpebre
gonfie e le pupille lucide. Stretto nel pugno, tra il disordine della
scrivania, si erge un bicchiere di caffè: nero come il suo
umore.
«Tenente—» azzarda Connor, dalla
scrivania adiacente.
«Non voglio sentirti fiatare per il resto della
mattina» ringhia Anderson.
Connor registra un messaggio d’avvertimento dal software di
Relazioni Sociali: tentare adesso un qualsiasi tipo di conversazione
sortirebbe un effetto negativo sul suo rapporto con il tenente. La
possibilità di una riappacificazione potrebbe,
però, aumentare con il trascorrere delle ore.
Perciò incrocia gli avambracci sul tavolo spoglio e accetta
l’ordine di rimanere in silenzio.
«Che cazzo...» sta borbogliando Anderson.
«Prima fa irruzione in casa mia, poi mi frega la
macchina...» All’improvviso, pianta lo sguardo su
Connor. «Ma ti è saltato qualche fusibile, eh?
Possibile che per te niente sia più importante di questi
fottuti androidi? Quella poteva finire ammazzata. I nostri agenti
potevano finire ammazzati! Tu sei quasi morto ammazzato!»
L’androide reclina il capo di lato. «Tenente, sta
dicendo di essersi preoccupato per la mia
incolumità?»
Anderson lo manda a quel paese e torna a dedicarsi al computer.
Connor abbassa lo sguardo mentre il LED emana tre deboli baluginii
gialli: Amanda non sarà soddisfatta della sua decisione di
cedere informazioni alla giornalista, né del suo operato
generale della notte. Riproduce in memoria una sezione della
conversazione nel Giardino, sotto una fitta pioggia virtuale.
[ 6
NOVEMBRE - 19:51:04 ]
[ ‘FORSE NON SONO
IDONEO A QUESTA INDAGINE, AMANDA. RIFLETTA SU UNA
SOSTITUZIONE.’ ]
«Che ti prende?» La voce di Anderson interrompe il
flusso di dati. «Perché la tua lampadina
è rossa?»
Connor si china in avanti. «Tenente, posso chiederle di cosa
ha discusso con il capitano, fuori dall’ufficio?»
«Di darti il tempo» risponde Anderson secco
«di convincere Barton.»
L’androide corruga la fronte. «Credeva che sarei
stato in grado di farle cambiare idea?»
«Ieri sei riuscito a farla ragionare, tanto valeva provarci
di nuovo. Pensavo ti desse retta per la faccia da tonto che ti hanno
rifilato...» Anderson incrocia le braccia al petto e si
abbandona di peso contro lo schienale. La sedia geme.
Connor rileva un rilassamento nei muscoli facciali dell’uomo.
«Hai salvato una vita umana, Connor.»
Silenzio.
Il livello di ostilità sta diminuendo.
«Chi era l’aggressore?»
«L’ho identificato, ma la donna si è
rifiutata di sporgere denuncia. Ha affermato di non desiderare
ulteriori contatti con la polizia. Sospetto che abbia scarsa fiducia
nelle forze dell’ordine.»
«Non ti sfugge proprio niente, eh» borbotta il
tenente. «Questa storia del Gold Theater non mi piace... che
cazzo avrà da nascondere?»
«Possiamo ancora interrogarla.»
«Se la trasciniamo di nuovo qui, si rifiuterà di
parlare. L’hai appena detto anche tu che non si fida della
polizia.»
La fronte di Connor si distende.
«Posso suggerire un approccio alternativo
all’interrogatorio?»
«Sentiamo...»
«Credo che in questo momento Nova Barton si trovi al
Cassidy’s. È un locale a seicentocinque metri da
qui, all'incrocio con Howard Street.»
«E quindi?»
«Mi ha invitato a unirmi a lei per la colazione.»
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Capitolo 19 *** Cassidy's ***
C.19
019. CASSIDY'S
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 07:13
THIRD AVENUE,
CASSIDY’S
Nova avvicina il
cellulare all’orecchio e intanto smuove con la forchetta i
resti della colazione: uova strapazzate, pane tostato e bacon canadese.
Mette giù la posata. Ascolta i primi i squilli, butta giù un sorso di succo d’arancia e cerca
una posizione comoda sul divanetto. Il crepitio del cuscino si
smarrisce nel fitto ordito di suoni nel locale: il chiacchiericcio di
clienti, la musica di sottofondo, l’acciottolio di tazze e
piattini, gli sbuffi e i gorgoglii di una macchina per le bevande
calde.
«Nova?»
La voce all’altro capo del telefono appartiene a una donna.
È matura e leggermente nasale.
«Ciao, mamma.»
«Perché non hai risposto alle mie
telefonate?» esordisce la signora Roberts. «Mi hai
fatto preoccupare! È successo qualcosa?»
Nova capisce sempre, e lo capisce subito, quando sua madre non
è completamente in sé.
Un’abilità affinata negli anni. Questa mattina la
voce al telefono, per quanto piccata, è limpida e
presente.
«Scusa. Avrei voluto chiamarti prima ma il telefono ha avuto
dei problemi. E poi io sono stata un po' male, negli ultimi due
giorni.» Le dita di Nova tastano d’istinto il
colletto del pullover. È una spiegazione generica, non una
vera e propria bugia.
«Ti sei ammalata?»
«Roba passeggera.»
«Alla tua età devi imparare a riguardarti, te
l’ho sempre detto che non sei capace di
bad—»
«Tu come stai?»
«Bene, direi...»
«Bene.»
Una pausa. Un palpabile disagio si stiracchia da un capo
all’altro della chiamata. Nova ruota il dispenser della
maionese e lo allinea alla bottiglietta del ketchup.
«Come va con il lavoro?» riprende la signora
Roberts.
«Così e così. Sto pensando di iniziare
a proporre i miei articoli a un genere diverso di testate.»
«Il tuo vero lavoro» cinguetta sua madre.
Nova quasi si stupisce che abbia atteso un giro di convenevoli prima di
sganciare il primo dissimulato insulto.
«Fai ancora la cameriera per quel messicano?»
Trovando inutile specificare che Rodriguez è venezuelano di
quarta generazione, Nova si limita a borbottare un sì a
mezza bocca.
«Lo sai quanto non mi piace Detroit. Non mi è mai
piaciuta. Non è una città. È una
fogna.»
«Nessuno ti chiede di venirci ad abitare...»
«Se tornassi tu ad Ann Arbor sarebbe meglio. Per
tutti» continua sua madre, come se non l’avesse
sentita. «Puoi divertirti a scrivere anche da qui. E se ti
trasferissi da queste parti, potresti venirmi a trovare più
spesso. Ormai non vedo quasi mai nemmeno Dale, sai? Ma lo capisco...
è sposato, lui.» A dispetto del tono risentito
Nova può immaginarla abbozzare un sorrisetto compiaciuto.
«Volete proprio che mi riduca a passare le mie giornate a
chiacchierare con Sophia?»
Nova aggrotta la fronte. «Con chi?»
«Oh, non te l’ho detto... Ho dato via Oliver. Era
diventato troppo lento. Anche Sophia non è un ultimo
modello, ma l’ho presa a sconto e le hanno caricato un
software di assistenza per... mh, persone con le mie
difficoltà, ecco. L’ha suggerito la dottoressa
Trent.»
«Mi sembra una buona idea.»
«Già, però, insomma... Lo dice sempre
la dottoressa, durante gli incontri del gruppo, che il supporto dei
familiari è fondamentale.»
Nova non commenta. Sta spiando fuori dalla vetrina, in parte coperta
dalle lamelle di una tenda di plastica. Non nevica più.
Automobili, taxi e bus scorrono lungo la Terza Strada come un unico
infinito treno.
«A proposito...» riprende sua madre. «Liv
si sposa. Lo sapevi?»
«No.»
«Hanno fissato la data per la fine di aprile.»
«Bello.»
Nova si è appena ricordata del perché,
puntualmente, la prospettiva di conversare con sua madre le faccia
venir voglia di prendere a testate la prima superficie solida a
disposizione. La cara mammina trova sempre il modo di sventagliarle con
garbo sotto il naso la solita lista di capi d’accusa.
Lavorare come cameriera è uno spreco di tempo. Le sue
aspirazioni da reporter andavano buttate nella pattumiera prima ancora
di iniziare il college. La mancanza di un anello al dito,
all’età di ventisette anni, dovrebbe essere fonte
di un ragionevole mal di vivere. La decisione di abitare a Detroit
è di un egoismo ingiustificabile.
Di norma, a questo punto della conversazione, Nova sarebbe
già in lotta con il desiderio di far notare a sua madre che
nemmeno la sua esistenza è costellata di successi e scelte
azzeccate, nonostante l’impegno a spuntare, una per una, le
caselle della brava ragazza americana degli anni Dieci. Liceo, college,
sposina a venticinque anni, mompreneur a ventinove, divorziata con
problemi di alcolismo prima dei quarantacinque.
Di norma, sempre a questo punto della conversazione, Nova avrebbe
già dovuto soffocare la voglia di ricordarle che lei, dai
quindici ai venticinque anni, non ha fatto altro che toglierle la
bottiglia di mano, sorvegliarla perché non si avvelenasse
accidentalmente con gli antidepressivi, accompagnarla fuori e dentro
gli ospedali, da un gruppo di recupero all’altro, mentre
doveva starla a guardare fare un passo in avanti e dieci indietro. Il
tutto mentre doveva anche assicurarsi che Dale, il figliolo preferito,
non facesse qualche prevedibile cazzata da adolescente.
Ma oggi il rancore è anestetizzato. O almeno ridimensionato.
Il ciarlare di sua madre è piacevole, quasi. E
inaspettatamente rassicurante. Le sta chiedendo se tornerà
per il Giorno del Ringraziamento. Ci saranno Dale e Christina, e i
bambini, e la cugina Liv con Noah. Nova promette e lascia che sua madre
trascini la conversazione per altri due o tre minuti, prima di sentirsi
autorizzata a chiudere la telefonata con la scusa di un immaginario
impegno impellente.
Con sguardo imbambolato sulle venature sul display, Nova si rende conto
che di avere la vista annebbiata. Strofina la punta del naso, raddrizza
le spalle e inghiotte di prepotenza il nodo alla gola. Non si
è mai rifugiata nel piagnucolio per affrontare lo stress e
decide che non ha nessuna scusa per cambiare strategia questa
mattina.
Accede alla casella email. Seleziona il messaggio criptato. Ormai
è convinta di aver ricevuto una vera e propria soffiata ma
il problema è che chiunque, con una ricerca in rete,
può aver trovato il suo indirizzo di posta elettronica.
Prende in considerazione l’idea, lusinghiera, che
“l’Imperatore” confidasse in lei per
rendere pubblica la faccenda dei devianti del Gold Theater. Ma se
davvero era quello l’obiettivo, perché contattare
proprio lei? Non è una reporter famosa, ha lavorato solo per
riviste minori e l’unico articolo che abbia scritto riguardo
agli androidi non è mai stato pubblicato.
Che possa entrarci qualcosa l’aver aiutato Kara? Ma chi
può esserne a conoscenza? La notizia del suo fermo
dev’essere rimasta confinata negli uffici della Centrale.
Però, ricorda che i dettagli dell’omicidio di
Ortiz diffusi rete si sono rivelati veri, il che può
significare che la polizia di Detroit non è un asso
nell’evitare fughe di notizie.
Nova oscura il display, getta il telefono in borsa e torna a
contemplare la strada. C’è un palazzo rosso
dirimpetto al Cassidy’s; sul megaschermo, montato
all’altezza del secondo piano, scorre la familiare
pubblicità della Cyberlife.
‘Get yours today’
La Cyberlife adesso possiede un pezzettino di lei; a quel pensiero, la
colazione nello stomaco acquista la densità di un blocco di
cemento.
«Desidera altro?»
Nova si volta.
Una cameriera androide si è avvicinata al tavolo; bionda, bella e sorridente come una cheerleader pronta a
diventare Reginetta del ballo. I suoi cloni si muovono per il locale,
registrando ordini e servendo colazioni.
«Non adesso...»
L’androide simula un altro sorriso e si allontana. Nova non
può far a meno di notare che il LED sulla tempia sia dello
stesso glaciale azzurro del tubo al neon il soffitto.
Non fosse per gli androidi, il Cassidy’s sembrerebbe sputato
dagli anni di Ritorno al Futuro Parte prima. Pale sul soffitto,
pavimento a scacchi, divanetti color senape; un arcade di Star Wars
trilla e bippa da un angolo in compagnia di uno Street Fighter e di un
impianto stereo travestito da jukebox. Una suadente voce
maschile canta su una base tutta batteria e chitarra
synth:‘When you’re close to the edge, with a gun to
your head, you must find a way.’ [1]
Nova finisce il suo succo d’arancia, lo sguardo sul piatto
bianco cosparso di briciole unte.
‘Sparando al deviante, lo ha danneggiato in modo
irreversibile.’
L’ho
uccisa, ha pensato Nova, con il fischio
dell’esplosione nelle orecchie e l’energia degli
spari che le vibrava nelle ossa.
Lo pensa anche adesso, anche se si conforta con la
razionalità. La SR700 era pericolosa. Le avrebbe piantato un
proiettile nello stomaco senza esitazione. Avrebbe sparato ai
poliziotti. E a Connor.
Era pericolosa, sì.
Ed era viva.
Viva, come Kara.
«Temevo di non trovarla più qui.»
Nova sussulta.
«Connor!»
Lei non lo ha visto entrare. Ma lui è lì, accanto
al tavolo, braccia lungo i fianchi e il viso impegnato in una strana
espressione: le labbra serrate, un angolo della bocca poco più
su dell’altro. Sta tentando di sorridere.
Nova allunga lo sguardo fino
all’entrata del Cassidy’s. Anderson non si vede da
nessuna parte. Torna a fissare Connor.
«Sei da solo?»
«Sì.»
«Devi riportarmi alla Centrale?»
«No.»
«Allora che ci fai qui?»
«Per il suo invito» risponde Connor, senza
rinunciare totalmente al sorriso in stato embrionale.
Nova inarca un sopracciglio.
«Ti hanno lasciato venire?»
«Con l’ordine di non allontanarmi dalla Terza
Strada» aggiunge l’androide. «Nonostante
i fatti di questa notte, il tenente Anderson è convinto che
interagire con personalità differenti sia un valido metodo
per testare eventuali limiti nelle mie capacità di
adattamento.»
«Adattamento a cosa?»
«All’imprevedibilità dei comportamenti
umani.»
«Mmh, se lo dice lui...»
«Posso sedermi?»
«Certo...»
C’è qualcosa di vagamente comico, o forse
intrigante, nell’osservare Connor prendere posto sul
divanetto all’altro lato del tavolo. L'androide incrocia le braccia e
qualche grammo di postura ingessata scivola via dalle spalle rilassate;
nel complesso, però, sembra un bambino che ce la sta
mettendo tutta per imitare con nonchalance la posa di un uomo adulto.
Nova pianta un gomito sul tavolo e il mento sulle nocche.
«Che cosa fa un androide detective quando si prende una pausa
dal lavoro?»
Connor la fissa. «Io non prendo pause.»
«Lo immaginavo.» Nova abbassa la mano.
«Allora, parliamo di lavoro. Mi hai detto di essere un
prototipo. Ho fatto qualche ricerca. Si trovano pochissime informazioni
sul tuo modello, lo sai? Però ho dato un’occhiata
a quel caso di agosto, quello della bambina presa in ostaggio da un
androide domestico.» Lo sguardo di Nova va d'istinto alla
sigla identificativa sul petto di Connor. «Il negoziatore
sembrava un altro RK800.»
«Lo era.»
«Ma... non eri tu,
giusto? L’androide ha fatto da scudo alla bambina. I giornali
hanno scritto che è andato distrutto.»
«La memoria del mio predecessore è stata
recuperata e installata in un nuovo supporto.»
«Intendi un nuovo corpo? Questo...»
Nova stende l'indice verso il suo interlocutore.
«Corpo?»
«Sì.»
«E questa procedura è la norma?»
«Intende sapere se può essere replicato?»
Nova annuisce.
«In caso di danni gravi.»
«Quindi se il deviante del multisala ti avesse sparato, per
te non avrebbe fatto molta differenza» riflette Nova. Si
aspetta un’altra coincisa conferma da parte
dell’androide. Invece, deve accontentarsi di un prolungato
silenzio e un tremolio ambrato del LED.
«Signorina, mi scusi...»
Una massiccia donna è comparsa accanto al tavolo. Ha un
cartellino appuntato al blazer color senape e sta guardando Nova.
Lei la guarda a sua volta, vagamente presa in contropiede della
presenza di personale umano nel locale.
«È suo?»
«Prego?»
«L’androide. Appartiene a lei?»
«No...»
«Allora devi andartene.» La donna si rivolge a
Connor. «Non puoi stare qui. Non hai letto cosa
c’è scritto sulla porta?»
Nova non ha idea da dove zampilli l’improvviso fastidio ma,
lo avverte chiaramente, a centrifugare in mezzo al petto. Strappa la
borsa dal divanetto. «Va bene, va bene... ce ne
andiamo.»
/\ \/
Nova
cammina senza fretta, mani in tasca e la borsa che strofina contro il
fianco. Quando ha detto di voler passeggiare fino alla fermata del bus
su Howard Street, credeva che l’RK800 sarebbe tornato alla
Centrale, ma Connor deve aver interpretato le parole come un ordine a
scortarla. Le cammina accanto, il passo adeguato al suo, senza mai
sfiorare né lei né i passanti frettolosi.
Cumuli di neve sporca separano il marciapiede dal traffico della
carreggiata. Le vetrine dei negozi sono già vestite a festa.
Nell'aria freddissima, c’è chi fa jogging, chi va
a zonzo con tutta la calma del mondo, chi corre al lavoro; molti sono
seguiti dagli androidi: figure vestite di bianco, dallo sguardo assente
e i movimenti silenziosi.
«Quindi ti basta analizzare gli indizi rimasti su una scena
del crimine per ricostruire la dinamica?» sta dicendo Nova.
Sa che la balistica forense utilizza software del genere da almeno un
ventennio, ma il fatto che quella tecnologia stia passeggiando con lei
merita un momento di riflessione. Sorride, senza allegria.
«Mi sa che sei il primo androide che minaccia due categorie
contemporaneamente. I detective e i criminali.»
Superano due WR600 che stanno grattando via il ghiaccio dal marciapiede.
«Assisti qualcun altro alla Centrale, oltre al
tenente?»
«Non al momento.»
Nova morde una guarda. «Ti trattano bene?» chiede,
esitante.
Negli occhi castani dell'androide tremola una fumosa
perplessità... che sparisce con un battito di palpebra.
«Alcuni agenti tendono ad assumere un atteggiamento ostile in
mia presenza, ma la maggior sembra reagire in maniera tranquilla e
indifferente.»
Nova ride, un suono breve e sincero.
«Hai appena descritto i miei anni al liceo.»
Il LED di Connor sfarfalla; giallo, giallo e di nuovo azzurro.
Sono arrivati all'altezza di un attraversamento pedonale. Il semaforo
è rosso e i musi tondi delle automobili attendono davanti
alla luce verde delle strisce. In mezzo al gruppetto di pedoni, una
AX400 tiene per mano un bambino che non può avere
più di sei anni, zainetto in spalla e cappellino di lana
calcato sulla testa riccioluta.
Nova si è fermata, in attesa che il gruppetto si disperda
sul marciapiede.
«Avete notizia di Kara?»
La domanda le esce di bocca, anche se è consapevole di non
avere il diritto di chiedere.
«Non abbiamo ricevuto segnalazioni nelle ultime ventiquattro
ore.»
«Oh...» Nova non sa se essere sorpresa per come
Kara stia eludendo la polizia — Ammesso che non sia successo
qualcosa di peggio... — o per il fatto che
Connor le abbia risposto. «Immagino che non
c’è niente che io possa dire per convincervi a
lasciarla in pace» mormora. E riprende a camminare, per poi
fermarsi di nuovo, una decina di metri più avanti, dove il
marciapiede si allarga in una piazzola semicircolare. Al centro della
piazzola un sedile di cemento abbraccia una larga aiuola di gelsomino;
i fiori gialli spuntano da un tappeto di neve. Tutt’attorno i
passanti ciondolano da una vetrina all’altra di un negozio di
outlet.
Nova si siede sulla panca, mettendo in fuga un piccione. Accavalla le
gambe e infila le mani tra le ginocchia. Contempla la punta bianca
delle sue sneakers.
Connor rimane in piedi il tempo necessario per sistemare i polsini
della giacca, un gesto che lei gli ha già visto fare, e poi
questa volta senza chiedere il permesso, si accomoda sulla panca, a un
palmo di distanza da Nova; con le spalle basse, le mani abbandonate
sulle cosce e l'interfaccia visiva puntata sul lastricato grigio.
«Quando hai detto che il deviante ti ha mandato parzialmente
in corto circuito» riprende Nova,
«intendevi dire che qualcosa funzionava ancora?»
«Sì.»
«Il tuo audio?»
«È rimasto attivo.»
Nova sospira. «Quindi hai sentito cosa ha detto riguardo agli
umani. Avrà anche avuto i chip fusi, però in un
certo senso ha detto la verità.»
La fronte di Connor si aggrotta vistosamente.
«Quel deviante aveva subito danni molto gravi. Stava
delirando.»
Una coppia di mezz’età passa accanto
all’aiuola. Un androide, carico di buste, li segue
a ruota.
«Connor, hai idea del perché così tante
persone non sopportino gli androidi?»
«La diffidenza dell’uomo nei confronti delle
intelligenze artificiali è perfettamente normale.»
Il tono di Connor è più impersonale del solito,
come uno scolaro che recita a memoria una risposta. «Inoltre,
gli androidi sono responsabili dell’aumento di disoccupazione
nel Paese.»
«No» ribatte Nova, piano. «Non gli
androidi. Le persone alla Cyberlife. Sapeva l’impatto che
avrebbe avuto alla lunga sul lavoro. Ma non gli è mai
importato. Come non è mai importato al governo. E adesso la
gente comune può prendersela solo con gli androidi,
perché li ha a portata di mano. E perché chi vi
ha messo in circolazione è troppo ricco e potente per essere
toccato.»
Connor tace.
E Nova suppone che stia, in qualche misura, processando il suo discorso.
«Siamo circondati da oggetti tecnologici» insiste
lei, «ma sono gli androidi a prendersi insulti e
botte.»
Connor ancora non parla.
«Sai, io ho una teoria. Credo che parte del problema sia il
vostro aspetto. Somigliate così tanto a noi che a
maltrattarvi si prova la stessa soddisfazione che darebbe sopraffare un
altro essere umano.»
Il cipiglio sulla fronte di Connor, accarezzata dalla ciocca solitaria,
scompare. «Può essere un'idea corretta. Tuttavia,
non penso sia sufficiente a spiegare la natura di tutte le relazioni
tra androidi ed esseri umani.»
Nova osserva il profilo di Connor. La luce naturale del mattino rivela
ogni increspatura della pelle sintetica. Hanno davvero fatto un lavoro
estremamente realistico a Belle Isle.
«Lo sai che hai appena usato la parola pensare?»
Connor incrocia lo sguardo di Nova.
Lei sa che gli androidi devono analizzare continuamente i movimenti
facciali, per raccogliere i dati che permettono loro di sostenere una
conversazione, eppure per un attimo, come nell'ufficio di Fowler, ha la
sensazione che gli occhi di Connor stiano cercando più a
fondo del normale. Crede quasi che non sia colpa dell’aria
fredda, o dei lividi, se avverte un gran bruciore alle guance. Torna a
guardare la punta delle scarpe e si scrolla di dosso quella fantasia
indefinita e improbabile.
«Hai scoperto qualcosa sui devianti del Gold
Theater?»
«L’androide inattivo è un AL100 per la
sorveglianza. È scomparso due mesi fa dal Ford Field. La
SR700 è sparita tre settimane fa da un deposito della
Guardia Nazionale, vicino all’Autostrada 96. Era
lì in attesa di venir riparata.»
«Come ha perso il braccio?»
«Su questo non ho informazioni.»
«Per farle andare fuori di testa in quel modo,
dev’essere stato qualcosa di parecchio brutto.»
«Signorina Barton, posso farle una domanda?»
«Okay.»
«Perché si è introdotta
all’interno del Gold Theater da sola?»
«Perché, sorprendentemente, la mia rubrica non
strabocca di contatti disposti a infilarsi in un edificio fatiscente in
piena notte.»
«I contatti nella sua rubrica sembrano individui di buon
senso.»
Nova fissa Connor. Cos’era? Una battuta?
«Ehi, e tutta quella filippica dell'altro giorno, su quanto
io sia una persona razionale?»
«Per questo fatico a capire perché abbia preso una
decisione tanto imprudente.»
Nova si gratta un ginocchio. Prende tempo. Incespica nei suoi stessi
pensieri, ne raccapezza uno, sincero, e trovare il coraggio di esporlo,
come una ferita sul tavolo di un chirurgo.
«Prima di andartene dal mio appartamento, hai detto che
potevo essere rimasta traumatizzata
dall’aggressione.»
«E lei ha negato» le ricorda Connor.
«Può darsi che stessi mentendo. Ho sempre creduto
di essere una persona capace di badare a sé stessa. Insomma,
una che sa quello che fa. Che ha il controllo della situazione. Ma il
modo in cui quel teppista è riuscito a seguirmi fin dentro
il mio appartamento. Non mi sono accorta di niente, come una stupida. E
non sono stata in grado di difendermi. Quello è stato il
vero trauma.»
Il LED di Connor brilla. «Ha pensato che affrontare di nuovo
una situazione potenzialmente rischiosa potesse ricostruire
l’idea che aveva di sé stessa.» Non
è una domanda. È una diagnosi. «Se ne
fosse uscita illesa, avrebbe ritrovato fiducia.»
«Dio, non l’ho pensato» sospira Nova, con
un’occhiata al cielo. È di un bianco perlaceo e
fastidioso da guardare. «Ma... sì, suppongo che
inconsciamente... sotto sotto... le cose stessero
così.»
«Ma sapeva che avrebbe trovato dei devianti?»
«No, io—»
Lo sguardo di Nova crolla su Connor.
«Stai cercando di interrogarmi?»
Il silenzio dell’androide è accompagnato da un
aritmico pulsare del LED, che però non cambia colore.
Nova si risponde da sola. «Stai cercando di
interrogarmi.» Fastidio e delusione arrivano e se ne vanno.
Bruciano veloci come un fiammifero.
«Il tenente Anderson ha dei sospetti nei suoi confronti, ma
non vuole metterla sotto interrogatorio.»
«E nemmeno tu ti fidi di me?»
«Basandomi sui suoi comportamenti passati, deve riconoscere
che non posso darle completa fiducia.»
Nova scosta i capelli dietro le orecchie. Non dà torto a
Connor. E nemmeno al tenente Anderson. Ma rifiuta l’idea di
affidarsi alla polizia e finire estromessa dall’intera
faccenda.
«Non avevo idea che ci fossero degli androidi al Gold
Theater. Dico sul serio. Sono andata lì
perché ho ricevuto un messaggio anonimo. Un incontro, a
mezzanotte precisa, all’interno del vecchio multisala. Non
c’era altro nel messaggio.» Sostiene lo sguardo
attento di Connor. «Hai ragione, sì. Dopo quello
che è successo con Kara, e poi con la pistola
rubata, hai ragione a pensare che io voglia solo complicarvi il
lavoro...»
Umetta le labbra. Vorrebbe da morire stringere una mano
sull'avambraccio di lui.
Ma non si azzarda.
«Non è così. Questa storia del
messaggio anonimo è un mistero anche per me. Datemi un paio
di giorni. Troverò il mittente. E se ne viene fuori qualcosa
di utile per la polizia, vi dirò tutto.»
«Lasci che sia la polizia a indagare. Disponiamo di maggiori
risorse.»
«Non siete gli unici ad avere delle risorse.»
Il LED sfarfalla e Connor strizza le palpebre, come se fosse stato
colpito da una fitta di dolore.
«Devo tornare subito alla Centrale.»
«Che è successo?»
«Ho ricevuto un rapporto.»
Connor si alza in piedi.
«Ancora devianti?»
«Sì.»
«Non divertirti troppo senza di me.»
Ma l’androide non accenna a muoversi. Il LED è
fisso sul giallo. «Signorina Barton, Zenosyne non
è forse il nome della testata giornalistica per la quale ha
lavorato negli ultimi mesi?»
Nova annuisce.
«La redazione si trova sulla State Street.»
«Sì...»
«È la scena del crimine.»
«Che crimine?»
«Omicidio.»
|
NOTE
[1] Quando sei vicino al precipizio,
con una pistola puntata alla testa
devi trovare un modo.
Dig
Down, Muse.
|
|
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Capitolo 20 *** Crime scene ***
C.20
020.
CRIME SCENE
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 08:53
DOWNTOWN, STATE STREET
L’ascensore
sta salendo all’ottavo piano. Il tenente Anderson, con le
braccia serrate al petto e le spalle buttate all'indietro, prima
sbadiglia senza coprire la bocca e poi si gratta un orecchio sotto il
groviglio di capelli grigi.
«Ho visto la tua reporter, giù in
strada.»
Connor, di fianco all'uomo, valuta il tono come neutro. Scarta la
possibilità di chiedere chiarimenti in merito
all’uso dell’aggettivo possessivo ed elabora una
risposta alla richiesta implicita: il tenente vuole sapere se sia stato
lui a informare la donna. «Sappiamo che ha lavorato per
questa redazione. Sarebbe venuta presto a conoscenza
dell’accaduto.» Una pausa e un tentennamento,
segnalato da uno tremolio nel LED. «È rimasta
turbata dalla notizia. Le ho consigliato di tornare alla propria
abitazione.»
Anderson sbuffa. «E ho visto quanto ti ha dato retta.
Giornalisti, che rotture di coglioni.»
A bordo della Brougham, dalla Centrale alla State Street, il tenente lo
ha interrogato sull’esito dell’incontro al
Cassidy’s ricorrendo alla definizione appuntamento
romantico’ e l'androide si è reputato in dovere di
sottolineare l’inesattezza nella scelta dei termini.
Un'occhiata in tralice da parte dell’uomo lo ha poi convinto
ad abbandonare la contestazione a metà. Poco dopo, messo al
corrente delle dichiarazioni della reporter, Anderson se
n’è rimasto con gli occhi sulla strada, una mano
sul volante e la fronte aggrottata. «Continua a non
piacermi.»
Connor non avrebbe saputo indicare se il commento fosse diretto al
comportamento della donna o alla situazione generale.
«Intende acconsentire alla richiesta?»
«Due giorni per scoprire il mittente della soffiata
anonima?» Anderson ha tamburellato il pollice sul volante.
«Quella si ficcherà nei casini.» E
mentre l’androide respingeva l’impulso di chiedere
su quali basi reputasse verosimile il coinvolgimento di Nova Barton in
una situazione di pericolo, Anderson ha chiuso il discorso con un
borbottio: «Bah, affari suoi. Noi abbiamo un omicidio tra le
mani.»
Un
cicalino annuncia l’apertura delle porte dell'ascensore.
Anderson esce dalla cabina.
«Hank, finalmente...»
«Ben...» sospira Anderson, a mo’ di
saluto.
La pingue figura del detective Collins gli viene stancamente in contro,
mentre l’interfaccia visiva di Connor scandaglia il nuovo
ambiente: quattro agenti umani sorvegliano la sala, dominata da una
palette di grigi, di nero e rosso mattone. Il pavimento di finto marmo
riflette la composizione di lampade a goccia che pendono dal soffitto;
una delle pareti è interamente composta di vetro
antisfondamento e si affaccia sul vuoto sopra la strada. Dietro al
banco della reception vuota, il nome del tabloit occupa un monitor
trasparente. La Z iniziale ruota sull’asse di una stella a
quattro punte, simile a una rosa dei venti.
«Hai un aspetto orribile, Hank» fa notare Collins
bonario. Non bada a Connor, fermo a cinque passi di distanza.
«Nottataccia?»
«Lasciamo stare.»
«A qualcuno qui è andata peggio.»
Collins sposta il datapad da una mano all’altra.
«Vieni... è da questa parte.»
I due uomini si spostano verso la porta sulla parete della reception.
Connor li segue, in silenzio. Quando attraversano l’ologramma
del nastro segnaletico, l’androide in divisa che presidia il
corridoio non batte letteralmente ciglio.
Un carrello delle pulizie è abbandonato di traverso in mezzo
al corridoio e due piante artificiali, che Connor identifica come
dracene, fanno picchetto alla porta chiusa di una sala riunioni. Poco
più avanti un distributore di snacks ronza accanto a un
mediaschermo spento. Sul lato opposto del corridoio, dei pannelli in
policarbonato delimitano un open space: un ordinato affollamento di
scrivanie, sedie ergonomiche, computer fissi, faldoni e cartelle
stipati in scaffalature di metallo, altre Dracene sintetiche, altri
mediaschermi spenti.
«La vittima è stata trovata dalla caporedattrice.
Lisa Kane» sta dicendo Collins. «Questa mattina la
donna è arrivata in redazione, intorno alla sette e trenta.
Pare abbia l’abitudine di arrivare prima di tutti. Non ha
trovato l’androide della segreteria al solito posto,
all’ingresso, così si è diretta qui,
nel proprio ufficio.»
Oltrepassano una doppia porta a vetri. Davanti a una scrivania di vetro
curvato, una poliziotta, intenta a lavorare con un datapad, si
interrompe per salutare il tenente Anderson.
«E ha visto la porta dell’ufficio del direttore
spalancata.»
Collins li guida sulla scena del delitto.
All'interno dell'ufficio del direttore i fotografi della scientifica,
avvolti nelle loro tute bianche, si muovono tra marcatori e faretti,
distribuiti sul pavimento e sulla scrivania ovale. Un telo bianco
nasconde il cadavere, disteso sul pavimento, tra due sedie Eames di
polipropilene. Una è ribaltata a terra. Una macchia di
liquido scuro, dall’aspetto denso e rappreso, si allarga
sotto un angolo del telo. Sempre a terra, sull’elegante
resina che riveste il pavimento, a ottantatré centimetri
esatti di distanza dal cadavere, un marcatore indica un oggetto dalla
forma inconsueta: la scultura di una civetta con le ali chiuse,
estremamente stilizzata, tanto da somigliare più
un’automa che a un animale. Uno spigolo del piedistallo
è sporco di sangue.
Connor si piega sul ginocchio sinistro. Avvia lo scanner con un battito
delle palpebre.
[ RACCOLTA DATI... 100%
ELABORAZIONE DATI... 100% ]
Un altro battito e
riceve le informazioni dalla rete.
[ ATHENE NOCTUA
AUTORE: HANA CHO, SOUTH KOREA. 2026
ALTEZZA: 30 CM. LARGHEZZA PIEDISTALLO:
13 CM
CORRENTE: NEOSIMBOLISMO
MATERIALE: BRONZO PLACCATO ARGENTO.
VALORE COMMERCIALE STIMATO: 800 DOLLARI.
]
Connor torna in piedi
e guarda il tenente, in attesa del permesso a procedere con la
revisione delle prove sulla scena.
Anderson si sta stropicciando la barba.
«Gli altri impiegati?»
«Sono arrivati nel giro di pochi minuti. Ma i primi agenti
erano già qui, chiamati dalla Kane. Non è stato
toccato nulla e non dovrebbero aver avuto tempo di parlare tra di loro.
Li stiamo ancora ascoltando.» Collins accenna arbitrariamente
alle proprie spalle con un movimento del capo. «Abbiamo
sgombrato tutti gli uffici su questo piano.»
«E che mi dici dell’androide?»
«Androidi» puntualizza Collins. «Erano
due. Una ST400 per le mansioni di segreteria e un WG100 per le
pulizie.»
Anderson inarca un sopracciglio. «E sono scomparsi tutti e
due?»
«Già. La telecamera del parcheggio sotterraneo li
ha ripresi mentre scappano dall’uscita ovest, al livello uno.
Esattamente...» Collins controlla il datapad, «alle
ventuno e trentotto minuti. Non sono stati ripresi dalla telecamera
all’interno dell’ascensore, perciò
crediamo che abbiano raggiunto il parcheggio usando le scale di
servizio. In quanto all’orario della morte, il coroner
l’ha stimato tra le venti e le ventuno di ieri
sera.»
«Fammi indovinare... la vittima era da sola, con gli
androidi, in quel momento.»
«Gli uffici chiudono alle venti. Tutti i colleghi della
vittima hanno dichiarato di aver lasciato la redazione a
quell’ora. E le riprese dell’ascensore
confermano.»
«Sappiamo perché è rimasto oltre
l’orario?»
«Ci hanno detto che lavorava spesso fino a tardi.»
Anderson argina un sospiro dietro una piega amareggiata della bocca,
gli stanchi occhi blu fissi sul corpo senza vita occultato dal telo.
Collins gli consegna il datapad.
«Prima di portare via il corpo, immagino che il tuo androide
voglia dare un’occhiata. Non che ci sia molto da scoprire
sulle modalità dell’omicidio.»
«Frattura aperta dell’osso occipitale
sinistro» legge Anderson. «Gli hanno sfondato il
cranio.»
/\/
Il
parcheggio sotterraneo è come un mondo parallelo. Gli
schiamazzi della State Street non arrivano fin laggiù e
c'è qualcosa di elettrico nell’aria bluastra: si
dirama da una all’altra delle centinaia di automobili
automatizzate, in attesa dei loro proprietari, nel chiarore
fluorescente delle frecce olografiche che galleggiano
sull’asfalto levigato delle corsie.
Anche Nova è in attesa. La schiena appoggiata contro le
portiere di una Flux color ardesia e i pollici agganciati alle tasche
del trench. Mentre l’RK800 tornava alla centrale, lei ha
raggiunto di corsa la fermata del bus. A detta dell’androide
nel rapporto non era compreso il nome o le generalità della
vittima, così appena salita a bordo, ha contattato Walty.
Ha inviato un messaggio tramite chat.
Che non è stato ricevuto.
Ha avviato tre chiamate.
Tutte e tre le volte si è ritrovata ad ascoltare la voce di
Walty registrata nella segreteria telefonica.
Quando è scesa sulla State Street, alla fermata
più vicina al palazzo dello Zenosyne, ha trovato un mezzo
principio di assedio: giornalisti e curiosi confinati sul marciapiede
da una squadra di androidi della polizia e da un pugno di agenti in
carne e ossa. Ha capito subito che, anche avesse avuto con
sé il tesserino da giornalista, le porte del palazzo
sarebbero rimaste chiuse come le bocche degli agenti.
Si è imposta di non cedere all’agitazione. Di
ragionare e non rimuginare. Restare là fuori a sperare di
udire per caso delle informazioni credibili non le è parsa
una perdita d tempo. In quanto al tentare di contattare qualcuno dello
Zenosyne, lei non è mai stata nelle grazie di nessuno in
redazione ed ed è certa di essere l’ultima persona
con cui vorrebbero parlare al telefono in un momento del genere.
È stato allora che Nova si è ricordata che per
gli impiegati dello Zenosyne esistono dei posti riservati nel
parcheggio sotterrano.
È sgattaiolata nel parcheggio passando per
l’uscita sul lato est. Se la sorveglianza, costituita da
telecamere e sensori, si è accorta di lei, nessuno sembra
aver reputato urgente andarla a cercare: sono venti minuti che vigila
sull’automobile di Lisa Kane. E per venti minuti il suo
cervello non ha fatto altro che camminare in punta di piedi attorno a
allo stesso angoscioso pensiero.
Walty non risponde al telefono.
Nova cava il cellulare dalla tasca e apre l’applicazione di
O-DISPATCH. Attraverso il display venato, rilesse l’ultimo
messaggio che le ha inviato Walty. I crampi allo stomaco si arrampicano
fino al petto, scavandosi una nicchia in mezzo ai polmoni, ridotti a
due stracci rattrappiti.
06/11/2038
20:01
INDOVINA CHI STA PER CHIEDERE UN AUMENTO
A MALONE? ;)
Un ticchettio di passi frettolosi e uno squittio soffocato le
impediscono di avviare un'altra chiamata.
«Che stai facendo tu qui?»
Lisa Kane, in bilico sulle scarpine nere dal tacco a spillo, fissa Nova
come l’avesse sorpresa a nascondere una partita di Red Ice
nel bagagliaio della sua automobile.
Nova si stacca dalla portiera con una spinta dei reni.
«Scusami. Non volevo spaventarti.»
Lisa sbatacchia le palpebre macchiate di mascara sciolto. Ha il trucco
sfatto. La luce cruda del parcheggio dà
all’incarnato bruno un che di malaticcio, ma Nova immagina
che nemmeno lei sotto quella luce, tra lividi e occhiaie e capelli
sporchi, sia il ritratto della salute.
«Ho saputo cosa è successo.» Nova va
dritta al punto. «Volevo solo sapere—»
«La polizia mi ha raccomandato di non parlare con
nessuno.» Nel tono scostante della caporedattrice
c'è un sottofondo provato e umidiccio. Getta il fazzoletto
appallottolato nella mano dentro la rigida borsa di vernice appesa al
gomito. «E io non ti farò infamare il nostro
giornale con uno dei tuoi articoletti saccenti.»
«Lisa...» Nova sospira. «Ero... sono
preoccupata. Ho provato a telefonare a Zach, ma non mi
risponde.»
L'espressione risentita di Lisa si dissolve in uno sguardo di angoscia.
«Ti
prego, Barton, la polizia mi ha riempito di domande per
un’ora... non chiedermi di parlarne di nuovo.»
Nova è confusamente grata di avere un sedile sotto di
sé — Lisa ha aperto le portiere della Flux per
farla mettere seduta — perché dubita di possedere
ancora la capacità di tenersi in piedi; ogni briciola di
energia e volontà è risucchiata nello sforzo di
non crollare davanti a Lisa Kane. Ha i polmoni in fiamme, per la fatica
di trattenere le lacrime e mantenere un respiro regolare.
La caporedattrice è rimasta fuori, in piedi davanti alle
portiere spalancate, con le braccia strette davanti al petto. Sta
osservando Nova con un cipiglio a metà tra
l’impietosito e l’impaziente.
«Vuoi un fazzoletto?»
Nova scuote la testa.
Walty è morto.
Morto.
Ammazzato.
No.
Non è vero. Non è reale. Non stanno davvero
parlando di Walty.
«Ma... perché?» sussurra Nova.
«Perché l’hanno ucciso? Che cosa
è successo ieri sera?»
«Ti ho già detto che non lo so» risponde
Lisa, aspra. Inghiotte a vuoto e l’asprezza si attenua.
«Ho sentito gli agenti parlare di devianti.»
Nova chiude gli occhi. Strofina le dita lungo le sopracciglia. Il
profumo di cocco che infesta l’abitacolo le fa girare la
testa. «Lisa...» La logica. Deve aggrapparsi alla
logica. «Tu vedevi gli androidi tutti i giorni. Hai mai
notato qualche comportamento insolito?»
Lisa fa cenno di no.
Nova aggrotta la fronte. «E non è possibile che
ieri sera Walty abbia fatto qualcosa che possa averli... non so...
spaventati?»
Lisa trasale. «Spaventati? Che stai insinuando? Che Walton se
l’è cercata? Dio, se avessi visto come lo hanno
ridotto!» La voce della donna si fa stridula.
«Avrò bisogno di anni di terapia per dimenticare
cosa ho visto!»
«Sto solo cercando di capire...» mormora Nova. Il
giramento di testa diventa un’atroce vertigine.
Lisa, invece, par riprendere un minimo di controllo. «Tu e
Walton vi conoscevate da anni, no? Sai che tipo era. Un nerd fatto e
finito. E un fanatico degli androidi. In redazione passava praticamente
più tempo a chiacchierare con Jimmy che con noi. Non avrebbe
mai fatto... del male, come dici tu, a quei due.»
Nova serra i denti fino sentir male alla mascella. Lisa Kane ha
ragione. Non riesce a immaginare Walty maltrattare di proposito un
androide. In effetti, non riesce a immaginare Walty maltrattare
chiunque.
«Quei mostri sono andati in corto circuito!» sbotta
Lisa. «E Walton ha avuto la sfortuna di trovarsi nelle loro
mani, quando è successo.»
Però
non combacia con quello che mi ha detto di aver scoperto Connor, Nova
si guarda i palmi della mani. Freddi e sudaticci. Deve esserci stata una causa
scatenante.
«E gli altri? Qualcun altro in redazione li vessava? A
parole? Fisicamente?»
Lisa fissa Nova, tra l’incredulo e l’inorridito.
«Sono androidi, Barton. Noi diamo gli ordini, loro eseguono.
Punto. Nessuno gli ha mai messo le mani addosso, se è questo
che intendi. Li ha acquistati Malone. Pensi che avessimo voglia di
farci sottrarre i soldi dallo stipendio per le riparazioni?»
Prende un respiro.
Si calma.
«Vuoi... vuoi che ti accompagni a casa?»
«No... no, grazie.» Nova scivola giù dal
sedile. Le suole delle sneakers incontrano l’asfalto e le
gambe non la tradiscono. «Devo trovare una persona.»
/\/
«Sì,
due devianti in fuga.» Anderson sta parlando al telefono.
«Ricercati per omicidio.» Le parole si trasformano
in nuvolette di fiato mentre l'uomo cammina indolente davanti alla
portiera della Brougham. I fiocchi cadono fitti e ingrossano i cumuli
di neve sporca ammucchiati ai bordi della strada.
L’automobile è parcheggiata in una via secondaria,
poco distante dalla State Street, fuori dal radar della stampa accorsa
sul posto.
«Dobbiamo battere a tappeto tutta la Downtown. Controllate
ogni strada. Ogni telecamera. Ogni drone. Questo caso deve avere la
priorità.»
Connor, che attende accanto al muso della macchina, non recepisce la
risposta dalla Centrale perché i suoi sensori audio vengono
dirottati su un rumore di passi.
Qualcuno corre, verso di loro.
L’androide volta il capo verso la propria destra.
L'intensità del LED aumenta.
È Nova Barton.
«Tenente Anderson!»
L'interfaccia visiva segue i movimenti della reporter: lei gli passa
davanti, ignorandolo, e si piazza davanti al tenente. Il ritmo
respiratorio della donna è alterato e gli appare
più pallida rispetto a quando l’ha lasciata su
Howard Street. In quanto ad Anderson, non sembra sorpreso dalla
comparsa della donna ma Connor riconosce i familiari segnali di
irritazione nel linguaggio fisico dell'uomo.
Il tenente chiude senza tante cerimonie la telefonata, ficca il
cellulare in tasca e agguanta la maniglia della portiera.
«Non ti darò un’esclusiva su questo
caso.»
«No... no, aspetti!»
Il LED di Connor ha un tremito: ha rilevato un cambiamento nella voce
della reporter. Suona incerta e arrochita.
«Il ragazzo che è stato ucciso... era mio
amico.»
La mano di Anderson abbandona la maniglia. Trattiene il respiro, per un
istante. Poi lo butta fuori, scuotendo la testa. «Mi
dispiace.» E Connor rintraccia nel sospiro
dell’uomo una somiglianza con l’avvilimento della
notte precedente, al Riverside Park.
«È vero che sono stati gli androidi?»
La diffidenza di Anderson riaffiora in un nodo di rughe sulla fronte.
«Come lo sai?»
«Ho parlato con la caporedattrice.»
Il tenente annuisce, riluttante.
«Avete capito il motivo? Sapete che cosa è
successo?»
«Stiamo indagando.»
«E che cosa avete scoperto?»
«Secondo le ricostruzioni del mio
software—»
«Connor.»
L'androide ammutolisce, trattenuto dallo sguardo truce di Anderson. Ma
anche Nova lo sta guardando adesso e Connor si vede offrire la
possibilità di eludere l’ordine di Anderson.
Potrebbe continuare a parlare. Batte le palpebre. E si piega alla
programmazione.
[ RESTA IN SILENZIO. ]
«Sta’ a sentire... mi dispiace per il tuo
amico» ripete Anderson. La mano destra esita, allungandosi
verso il braccio della donna. Riesce a battere una goffa pacca sulla
spalla, pur senza guardarla in faccia. «Dico
davvero.» Ritira la mano. «Troveremo i
devianti.» E si volta verso la portiera.
«E dopo?» sbotta Nova.
Anderson torna a guardarla.
«Cosa succederà dopo che li avrete trovati? Chi
pagherà per quello che è successo a Walty? Non
potete sbattere in galera degli androidi.»
«La Cyberlife—»
«La Cyberlife pagherà? Oh, sì.
Pagheranno il padre di Walty, e chiunque dovesse azzardarsi a
costituirsi parte lesa, per non finire sotto processo,
giusto?»
«No, non è giusto. È il contrario di
giusto» abbaia Anderson. «Ma così gira
il mondo, ragazzina. È ingiusto. È un fottuto
schifo. E noi non possiamo farci un cazzo.»
«È quello che si ripete ogni giorno, prima di
iniziare il suo lavoro di cagnolino da riporto per la
Cyberlife?»
Il tenente accorcia di mezzo passo la distanza da Nova Barton.
Connor si sposta automaticamente verso l'uomo.
Pronto a intervenire.
Ma non c’è niente da fermare.
L’androide lo vede aprire la portiera, con un fiacco
strattone.
«Connor, andiamo.»
Connor guarda Nova. Lei è indietreggiata. Mantiene le labbra
serrate, nel probabile sforzo di non lasciarle tremare, e le braccia
rigide lungo i fianchi. La lucidità negli occhi chiari
è anomala. Sono tutti elementi spia di uno stato emotivo di
tensione e sconforto.
L’androide dà le spalle alle donna, fa il giro
della Brougham e sale in macchina.
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Capitolo 21 *** Algorithmic errors ***
21
021.
ALGORITHMIC ERRORS
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 11:35
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
I muri senza
finestre le si accartocciano addosso. Manca l’aria. Nova
tossisce, strizza le palpebre, e tossisce ancora, fin quando la
sensazione di soffocamento passa e viene sostituita da un dolore sordo
che spinge contro le costole.
Strofina il dorso della mano contro la bocca. È seduta sul
pavimento del bagno, davanti alla tazza del water. Ha appena vomitato
la colazione.
Sopra di lei, la ventola incassata nel soffitto soffia e ronza; sotto
di lei, da qualche punto della palazzina, una voce di donna
dà in escandescenza mentre un uomo ride sguaiato.
Nova si rimette in piedi, barcollando appena, per fa partire
l’acqua dello sciacquone. Raggiunge il lavandino, e
nell'incrociare il proprio riflesso nello specchio, reprime un gemito.
Sembra malata. O pronta per una festa di Halloween a tema zombie.
Abbassa gli occhi sulle dita contratte sul bordo del lavabo e vede lo
strato di smalto nero è scheggiato. E all'improvviso,
assurdamente, pulire le unghie diventa una priorità
assoluta, come se fosse tutta colpa delle unghie in
disordine, come se, se le mani tornassero ad avere un aspetto
impeccabile, allora anche la testa tornerebbe a funzionare come si
deve, liberandosi della dolorosa foschia che ingolfa il cervello.
Una
doccia calda e gli effetti collaterali degli antidolorifici sono
riusciti a far scivolare Nova in un sonno vuoto e buio come il fondo di
un pozzo. Ma alle quattro in punto del pomeriggio, il telefono squilla.
E Nova, stesa sul divano, tira la coperta sopra la testa
rannicchiandosi in un bozzolo di plaid e arido sconforto.
Il telefono tace. Un attimo di silenzio. Parte una raffica di notifiche
sonore: chiunque stia cercando di contattarla è appena
passato a un’offensiva di messaggi.
Devono trascorrere cinque minuti prima che Nova trovi la forza di
spostare la coperta e appoggiare i piedi scalzi sul linoleum. Passa una
mano tra i capelli, scostandoli dalla faccia, mentre si allunga in
avanti: il telefono è ancora dentro la borsa e la borsa
è sotto al tavolono da caffè.
2 CHIAMATE PERSE
5 MESSAGGI RICEVUTI
Nova seleziona la chat
di O-DISPATCH.
MA DOVE CAZZO SEI FINITA?
TI HANNO SBATTUTA DENTRO?
RISPONDI!
CHE TI E' SUCCESSO?
QUI NON SA NIENTE NESSUNO! RISPONDI!
Nova getta il telefono
tra le pieghe della coperta. Preme i palmi
contro la fronte. È in arrivo un mal di testa: conosce
quella familiare sensazione di pressione all’altezza delle
tempie.
Nell’appartamento le luci sono spente, il sole sta
tramontando e dietro i vetri della finestra, mezzo palmo di neve fresca
copre la balaustra della scala antincendio. La palazzina è
immersa in una calma deprimente, ma giù in strada
l’antifurto di un’automobile strilla come un
disperato, sovrastando tutti gli altri suoni del pigro traffico.
Nova rannicchia le gambe al petto. Appoggia la guancia sana sulle
braccia incrociate e sente l’umidiccio di una lacrima fresca
contro la pelle nuda dell’avambraccio. Piange di rabbia. Una
rabbia silenziosa che si sta espandendo, come una macchia di petrolio
in mezzo mare, verso tutti e tutto. Alla cieca. È arrabbiata
con Emilia, che pretende di ficcare il naso nella sua vita.
È arrabbiata con quegli idioti dello Zenosyne, dal primo
all’ultimo. Ed è furiosa con quegli arroganti
pupazzi arroccati nella torre della Cyberlife, con i loro mostruosi
androidi, con il loro schifoso denaro.
L’antifurto si è azzittito.
Nova non sa più cosa pensare. Né a cosa credere.
Ma se resta chiusa in casa a non far nulla, a farsi mangiare il
cervello da pensieri senza capo né coda, presto o tardi i
suoi neuroni scoppieranno come popcorn in microonde. Di questo
è sicura.
Si costringe ad abbandonare il divano per prendere un bicchiere
d’acqua. Dopo aver chiuso con foga il rubinetto della cucina,
svuota metà del bicchiere in un unico sorso e se ne resta a
fissare il vetro freddo e liscio, sotto le dita, cercando di stilare
mentalmente una lista di azioni concrete. Ha ancora due giorni prima di
dover tornare al lavoro, e non ha intenzione di sprecarli pensando a
come raccatterà la voglia di infilarsi di nuovo grembiule e
cappellino e prendere ordinazioni con un sorriso stampato in faccia. Magari sono fortunata e
Rodriguez mi licenzia. Una cameriera con la
faccia pesta non fa bene all’immagine del locale.
In quanto alla email anonima... Nova abbandona il bicchiere dentro il
lavandino e torna sul divano. Che importanza ha adesso? Senza contare
che, quando ha detto a Connor di avere delle risorse, intendeva
chiedere aiuto proprio a Walty per risalire al mittente della mail.
Raccatta il telefono, finito sotto il plaid, e fa appello a tutta la
pazienza e la concentrazione di cui è capace in questo
momento per rispondere al messaggio di Emilia. Le rifila una versione
estremamente sintetica ed edulcorata degli eventi.
Poi spegne il telefono. Sfila il datapad dalla borsa. Muovendo
stancamente le
dita sullo schermo, allarga la finestra di connessione alla rete.
Tre parole chiave — omicidio, State Street, Detroit
— sputano i risultati. Nova salta da un sito di news
all’altro: la notizia è stata diffusa, come
c’era da aspettarsi, ma i giornali non fanno che rimpallarsi
le stesse informazioni in stringati flash d’agenzia.
'Omicidio sulla State Street. Scomparsi due androidi.'
'Uomo ucciso sul posto di lavoro. La polizia sospetta degli androidi.'
'Androidi in fuga: diramato allarme della polizia per presunto
omicidio.'
Vengono menzionati gli uffici dello Zenosyne ma il nome di Walty non
compare da nessuna parte. In compenso ogni singolo articolo
è accompagnato dalle fotografie dei due androidi: una ST400
e un WG100. Cloni perfetti di Hildy e Jimmy. Sono ricercati. Sono
assassini.
Nova strofina i polpastrelli lungo la fronte. Ha
l’impressione che il cranio stia per aprirsi in tante
crepe, come un vaso spaccato dal freddo. Se solo ci fosse un modo per
sapere cosa è successo veramente, in quella maledetta
redazione. Il non sapere è atroce. Il dover dipendere dai
giornali insopportabile.
Nova abbassa la mano.
Forse un modo c’è.
/\\/
DATA: 7
NOVEMBRE 2038
ORA: 16:04
ZEN GARDEN
Nel
Giardino tutto è pacifico. Perfetto. Irreale. Anche Amanda
non è che un fantasma di codici. «Dimmi che cosa
hai scoperto» richiede l’interfaccia, seduta
davanti a lui.
Connor ha lasciato la presa sui remi e la barca è affidata
alla docile corrente. «Ho trovato due devianti,
all’Eden Club, ma...» L'androide reclina la
riproduzione del proprio busto in avanti, i gomiti contro le cosce. Si
torce debolmente le mani. Percepisce la delicata carezza del vento
sulla pelle. Il suo supporto fisico è sulla Terza Strada, ma
la stanza virtuale è così profondamente connessa
al cuore dei suoi software che, se immergesse una mano
nell’acqua limpida sotto di lui, il suo processore centrale
si attiverebbe proprio come se i recettori dell’esoscheletro
fossero entrati in contatto con una sostanza liquida nel mondo reale.
Amanda attende, quieta, avvolta dalla luce dorata del Giardino. Il
colorato parasole orientale è appoggiato sulla spalla. I
gioielli bianchi luccicano sul petto e sugli avambracci.
«Ma sono riusciti a scappare» conclude Connor. Non
smette di strofinare le dita in su e in giù lungo le mani.
«È un peccato» commenta Amanda.
«Sembrava proprio che stessi per fermarli.»
Connor devia lo sguardo verso la riva. Un pigro frinire di insetti si
leva dai canneti. Per le fronde degli alberi è stata
selezionata una tavolozza di colori autunnali, ma il Giardino
è ancora rigoglioso e pieno del fruscio delle foglie sui
rami.
«Sembri... assente, Connor.» Amanda aggrotta la
fronte. «Assente e turbato.»
Lui scuote il capo. «Pensavo di sapere cosa fare. Ma ora...
so che non è così semplice.»
«Potevi colpire tranquillamente quei due devianti
all’Eden Club» insiste l’interfaccia.
«Perché non l’hai fatto?»
La replica di Connor viene trasmessa nella forma di un sussurro.
«Non lo so...» Alza la testa. Sostiene lo sguardo
calmo e al contempo indagatore di Amanda. «Non lo
so.» Si rende conto della trattenuta esasperazione con cui ha
pronunciato la frase. Per un istante, vorrebbe che fosse Amanda a
dargli una risposta; vorrebbe che fossero loro, i suoi padroni, i suoi
creatori, a dirgli cosa c’è che non funziona in
lui.
L’espressione sul volto di Amanda si inasprisce lievemente.
«E riguardo all’androide militare? Sono stati i
tuoi dubbi a farti cadere nella sua trappola? Eri distratto?»
«Forse...»
«Coinvolgere una giornalista è stata una decisione
azzardata. Mi aspetto maggiore prudenza da te, Connor.»
«Ha ragione, Amanda. Non accadrà
più.»
«Tieni quella donna fuori dalle indagini.»
Connor annuisce.
Con un istante di determinante ritardo che non può essere
sfuggito ad Amanda.
«Cosa puoi dirmi dell’ultimo caso?»
«Abbiamo ristretto la ricerca alla Downtown. Il tenente
Anderson è sicuro che rintracceremo i devianti entro le
prossime dodici ore.»
«Devi catturare quegli androidi.» Amanda si concede
una pausa calcolata. «E ricorda... se l’indagine
non procede secondo i piani, potrei rimpiazzarti.»
«Io... io lo capisco» mormora Connor.
Lui ha proposto la medesima soluzione durante l'ultima conversazione.
Ma ora, a venti ore e trentaquattro minuti e sette secondi di distanza,
l’incontestabile razionalità dello scenario
suggerito dall'interfaccia fa fremere impercettibilmente ogni circuito
dell'androide.
|
NOTE.
La maggior parte del dialogo tra Amanda e Connor corrisponde a quello nel
gioco dove, però, la scena del Giardino Zen è
ambientata più avanti nella trama. |
|
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Capitolo 22 *** Black hat ***
C.22
022. BLACK
HAT
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 17:40
WAREHOUSE DISTRICT
Alle spalle di Nova,
le porte dell’ascensore si richiudono con un rugginoso
cigolio, abbandonandola in un corridoio puzzolente come il vicolo sul
retro di un bar. Sotto le sneakers sporche di neve, la moquette grigia
deve visto giorni migliori; davanti a lei, le porte chiuse dei
monolocali si susseguono nel chiarore verdastro delle plafoniere al
led. Da un punto indefinito arrivano le note di una canzone rap, da un
altro l’anonimo tonfo di un mobile che viene spostato, da un
altro ancora le voci confuse di un televisore.
Nova marcia lungo il corridoio e raggiunge la penultima porta. Scambia
un'occhiata torva con lo spioncino digitale. Sta per agire da infame,
come reporter e come persona; è una lucida consapevolezza
che però non le impedisce di sollevare il braccio destro e
martellare il pugno contro la porta.
Poi, con calma, estrae il cellulare dalla tasca del trenchcoat.
La porta si apre scivolando di lato.
Nova si ritrova a fissare un visetto spigoloso, bianco come quello di
una geisha e spalmato di makeup in stile dea del gothic rock; sulla
fronte si arricciano le punte viola pastello della frangetta
cortissima. La ragazza sulla soglia è imbustata in un
montgomery che, sbottonato, lascia intravedere una minigonna
dall’orlo sfilacciato e calze a rete che pretendono di
coprire le cosce magre da modella.
Non è la persona che Nova si aspettava di trovare.
«Salve» esordisce, tranquilla, perché
nonostante il trucco pesante è palese che la sconosciuta sia
molto più giovane di lei. Raccoglie le mani davanti al
ventre, stringendo il telefono nella sinistra in modo che il display
resti girato verso il trench.
«E questa qui chi è?» squittisce la
ragazza, rivolgendosi a qualcuno all’interno del monolocale.
Annunciata da un rumore di passi strascicati, una seconda faccia
compare sopra la spalla della sconosciuta.
Eddie Palmer è come Nova lo ricorda. Bello. Del genere di
bellezza che fa tanto bello e dannato. O, in alternativa, bello e
serial killer.
Passa qualche istante prima che i magnifici occhi azzurro ghiaccio di
Palmer si ripuliscano dall'inebetita perplessità. Un
sorrisetto affilato gli stiracchia le labbra turgide. «Una
collega.» Molla uno schiaffo al fondo-schiena della ragazza,
che incassa con un saltello affettato. «Non essere
gelosa.»
La ragazza gli rivolge uno sguardo malizioso. E poi
gli avvinghia le braccia attorno al collo.
Piuttosto che assistere alla mise
en scène di un bacio alla francese, con annessi
palpeggiamenti e schiocchi umidicci, Nova opta per lo studio del
disegno di Rorschach, in forma di muffa, che addobba la tappezzeria
vicino alla porta.
Finalmente l’octopoda rockettara si scolla da Palmer e Nova
si fa da parte per lasciarla uscire in corridoio.
La sconosciuta la guarda, vittoriosa.
E Nova la guarda, di rimando, con onesta indifferenza.
«Chi non muore si rivede» commenta Palmer,
appoggiandosi allo stipite, le braccia conserte. Indossa un paio di
jeans e una t-shirt blu scuro; ora che lo osserva meglio Nova nota un
cambiamento: l’Eddie Palmer di sei mesi, pur senza che la sua
bellezza ne risentisse, aveva il fisico da scaricatore di files. Adesso
il petto è largo e i bicipiti modellati. Deve aver iniziato
ad andare in palestra.
«Da quando ti piace quel genere lì?»
chiede Nova.
La ragazza è appena salita in ascensore.
Palmer scrolla le spalle nuove di zecca.
«A me piacciono tutte.»
«Ma è almeno maggiorenne?»
«Mica le ho chiesto la carta
d’identità.»
«Sei una volpe.»
Palmer aggrotta la fronte. «Perché hai la faccia
pesta?»
«Un incidente.»
Palmer inclina la testa di lato. I capelli biondastri, pettinati
all’indietro, sono rasati a zero sopra l'orecchio sinistro.
«Insomma, che vuoi?»
«Parlare.»
Lui sorride, sornione. «Se se qui per supplicarmi di darti
una seconda possibilità, io sono come Panini.»
«Vuoi dire Paganini.»
Palmer ignora l'appunto. «Però, se ti decidessi a
vestirti come un vero pezzo di donna, magari un—ah! Che cazzo
fai?»
Ha allungato una mano verso il mento di Nova.
E lei gli sta piegando mignolo e anulare all’indietro.
Palmer tira via la mano.
«Sono qui per un motivo serio e vorrei che parlassimo
seriamente. Mi bastano cinque minuti.»
Palmer socchiude le palpebre, fissandola come stesse tentando di
leggerle nel pensiero. Poi, con un passo di lato e ciondolio della
testa, la lascia entrare.
Il monolocale è quasi al buio. Una tenda a lamelle verticali
oscura la finestra e le uniche fonti di luce sono il faretto del
minuscolo angolo cucina e il trittico di schermi montati attorno a una
caotica postazione informatica. Sotto la scrivania si aggrovigliano le
ombre di una giungla di cavi; sopra la scrivania le tastiere tattili
nascondono quella olografica, un datapad fa da sottobicchiere per una
lattina di birra e cartoccio di cibo cinese, con tanto di bacchette
piantate tra i resti di pollo fritto, è piazzata sopra la
sottile scatola della stampante.
Nova allenta la sciarpa. Fa caldo. E c’è un odore
acre. Sul basso tavolo davanti al divano di pelle nera, in puro stile
discarica, tra una dozzina di bottiglie di alcolici, una sigaretta
accesa languisce dentro un cicchetto.
Non è tanto per il disordine che Nova ringrazia di non aver
mai accettato un primo appuntamento con Eddie Palmer. Non è
per i piatti e le padelle sporche ammucchiati dentro il lavandino,
né per i poster di film pulp e donne nude che coprono le
pareti o per le manette di pelliccia leopardata tra le lenzuola sfatte
del letto.
Principalmente è per l’escort androide seduta a
gambe accavallate sul divano.
La Traci le rivolge un sorriso mansueto e assente. È
un'avvenente ragazza dai lineamenti vagamente orientali e lisci capelli
biondi, costretta in una divisa formata da stivali al ginocchio,
pantaloncini cortissimi e canotta nera. Lungo la generosa scollatura
sono stampate le parole
Eden Club.
«Non sei solo» commenta Nova, prendendo mentalmente
nota di non toccare nessuna superficie orizzontale nella stanza. E,
tanto per andare sul sicuro, di restare anche a distanza dalle pareti.
Palmer si lascia cadere sul divano.
La Traci gli sorride.
«Questa qui non conta.»
L'uomo colpisce la fronte dell'androide con il palmo, costringendola a
piegare violentemente la testa all’indietro. E l'androide
continua a sorridere.
«Ti mette a disagio?» punzecchia lui.
«So che una di quelle ha ammazzato un cliente, qualche sera
fa.»
Affatto impressionato, Palmer guarda la Traci. Guarda Nova. Scrolla le
spalle. «L’avevo affittata fino alle sette, ma
ormai l’atmosfera è rovinata.» Si
rivolge all’androide. «Vattene.»
La Traci registra il comando con un flash del LED. Scavalla con grazia
le gambe e si solleva dal divano. «Spero di rivederti presto,
Eddie» pronuncia, con la suadente dolcezza imposta dalla
programmazione. «L’Eden Club si augura che
l’esperienza sia stata—»
«Fila via, troietta di plastica.»
Quando la Traci esce dal monolocale, Palmer recupera la sigaretta dal
cicchetto e, con un sospiro di esagerato appagamento, allunga le gambe
sul tavolino accavallando le caviglie. È a piedi nudi.
Nova resta dall’altro lato del tavolino.
«Ecco fatto. Siamo soli. Contenta?»
«Fossi in te, Eddie, spenderei soldi per un androide
domestico invece che per le prostituite. Questo posto è una
discarica.»
«Solo i coglioni si piazzano in casa uno di
quelli.» Palmer porta il mozzicone alla labbra, con la
noncuranza di un dandy vittoriano. «La gente non ha idea di
quanti dati personali si possano rubare attraverso gli androidi. O
quanto sia facile manometterli. Persino a distanza...» Espira
il fumo. «Allora? Qual è questo motivo
serio?»
«Devo chiederti un favore.»
«Bell’incipit.» Il ghigno riaffiora.
«Vai avanti.»
«Una volta ti vantavi di saper mettere le mani nei database
della polizia.»
«Potrei o non potrei averlo detto.»
«Ieri sera è stato commesso un
omicidio—»
«Sai che novità.»
«—all’interno di una redazione per la
quale ho lavorato» tira dritto Nova, calandosi nella parte
della reporter pragmatica e distaccata.
«Mmh, sì, delitto
in redazione. Ne parlano da questa mattina. Sospettano
degli androidi, giusto?»
«Devo sapere quali informazioni ha in mano la
polizia.»
Palmer si fissa gli alluci. Prende tempo. E un altro tiro di sigaretta.
E un altro ancora. «Vuoi mettere le mani sui dettagli della
faccenda prima dei tuoi colleghi, eh?»
Le spalle di Nova crollano. «Perché pensate tutti
che mi importi soltanto di scrivere un articolo?»
«Perché tu sei... tu. Niente ti eccita come
l’idea di vedere un articolo in prima pagina firmato con il
tuo nome.»
«Le mie priorità sono cambiate.»
«E da quando?»
«Di recente.»
Palmer si gratta il collo, spargendo cenere sul divano. «Non
lo so, Nova... rubare dagli archivi della polizia è sempre
rischioso. Fattibile, ma rischioso. Devi darmi un ottimo motivo per
farlo. Se capisci cosa intendo.» Sorride, compiaciuto di
sé stesso come quando ha colpito la Traci.
Nova non fa una piega. La conversazione è approdata
esattamente là dove aveva previsto e sperato, per quanto la
prospettiva di scendere a patti con Eddie Palmer le dia letteralmente
la nausea. Ma non ha altre risorse. Hank Anderson non
accetterà mai di metterla al corrente delle indagini e lo
scambio di informazioni con un'intelligenza artificiale non
è più un’opzione. Ammesso di riuscire a
trovare delle informazioni da scambiare, l’idea di mettere
Connor nei casini... no, non vuole farlo.
«Insomma, ne sei in grado oppure no? Puoi rubare i rapporti
della polizia di Detroit?»
«Te lo ripeto: devo avere un buon motivo per farlo.»
«E io come faccio a sapere che non sborserò un
mucchio di denaro per niente?» insiste Nova. «Sei
già entrato negli archivi digitali della polizia in
passato?»
«Non mi faccio pagare tutta la somma in anticipo, piccolo
genio.» Palmer schiaccia il mozzicone tra la cenere dentro il
cicchetto. «E sì che l'ho già fatto.
Quegli archivi sono una groviera.»
«Quanto vuoi?»
Palmer strofina le nocche sotto al mento. «Prima di
rispondere sul prezzo, dovrò mandare un paio di
messaggi.»
«Adesso ti serve un assistente?»
L'uomo le lancia un’occhiata teatralmente risentita.
«Non ho assistenti io.»
«E allora chi—» Le sopracciglia di Nova
hanno uno scatto. «Oh. Qualcun altro ti ha chiesto
informazioni sull'omicidio dello Zenosyne..»
«Diciamo che mi sono fatto un nome
nell’ambiente.»
Palmer abbandona il divano e ciondola verso il frigorifero.
Nova lo segue. «Chi è interessato al
caso?»
«Un sacco di gente. Ti credi l’unica giornalista
interessata agli androidi? Comunque i miei clienti si rivolgono a me
perché gli assicuro l’anonimato.»
«Quindi ti sei dato alle aste. Rubi dati dalla rete e poi li
rivendi chi paga di più.»
«Non ti sta bene?»
Nova pianta una mano sul fianco, urtando con il gomito il manico di una
padella sul fornello spento. «Però...»
riflette, «non puoi essere così stupido da mettere
all’asta una merce che ancora non possiedi. Il che
significa... che tu hai già i rapporti della
polizia.»
«Sveglia quasi quanto un poliziotto.»
Palmer apre il frigorifero e sparisce dietro lo sportello.
E il telefono di Nova sparisce nella tasca del trench.
Lei guarda i fornelli. E la padella.
Palmer riemerge da dentro il frigorifero, con una lattina di Bud Light
in mano. Si volta. Non ha tempo di aprire la lattina. O di chiudere il
frigorifero. O di veder arrivare la padella: Nova gliela schianta in
faccia, brandendola come una mazza da baseball. Si sente un tonfo. E un
gemito. Qualcosa scricchiola. La lattina di birra rotola sulla
moquette. E Palmer la segue.
«PUTTANA
PSICOPATICA!»
Eddie Palmer ammanettato al sifone con un paio di manette bordate di
finta pelliccia di leopardo, con il naso sanguinante e il resto del
viso accartocciato in una paonazza maschera di rabbia alla quale manca
giusto un goccio di bava alla bocca è,
nell’insieme, un’immagine grottesca.
«Io ti ammazzo!»
Nova si tiene a un abbondate metro di distanza dal braccio libero
dell’uomo. Getta uno sguardo alla porta del monolocale,
piuttosto fiduciosa di trovarsi nel tipo di palazzo in cui quel genere
di urla sono la norma, e affonda le mani nelle tasche del trenchcoat.
«Senti, Eddie, ho avuto un paio di giornate molto
pesanti.»
«IO TI AMMAZZO!» Palmer
strattona il braccio ammanettato. «MI HAI
CAPITO, TROIA!»
Nova si umetta le labbra. Reprime con cura il desiderio di tirargli un
calcio sullo stinco. «Sì» lo rassicura.
«Il concetto è chiaro. Andiamo avanti.»
Estrae il cellulare. «Telefono... apri la cartella
Audio.»
Una colonna di icone riempe il display. Nova seleziona il primo file in
elenco, scorre la registrazione in avanti di qualche secondo e preme play.
‘Non lo so, Nova... rubare dagli archivi della polizia
è sempre rischioso. Fattibile, ma rischioso. Devi darmi un
ottimo motivo per farlo. Se capisci cosa intendo.’
Nova interrompe l’audio quando si inizia a parlare di dati
messi all’asta. Persino nella penombra elettrica riesce a
capire che Palmer sta diventando ancora più rosso, mentre
gli affascinanti occhi di ghiaccio tentano l’impresa
fisicamente impossibile di raddoppiare di circonferenza.
«È materiale per un'indagine
giornalista» spiega Nova. «Dammi i rapporti
sull'omicidio allo Zenosyne, io non consegnerò questa
registrazione alla polizia. E se provi a denunciarmi per aggressione,
io darò la registrazione alla polizia insieme alle
fotografie dei lividi sul mio viso.»
Silenzio.
La mano ammanettata di Palmer penzola immobile.
E ancora silenzio.
«Sei una stronza» sillaba l'uomo.
«E tu sei un black hat.»
«Cerco di solo di guadagnarmi da vivere!»
«E ho visto come spendi i tuoi guadagni. Alcolici e escort
androidi.»
Palmer strizza le palpebre e allarga le narici otturate dal sangue.
«Tu mi hai rifilato un trauma cranico—»
«Esagerato...»
«—e mi stai ricattando! E vuoi mentire alla
polizia! Pensi di essere una persona migliore di me, Barton?»
«No. Però... la padella è stata
un’improvvisazione. Il mio piano iniziale ottenere
una confessione compromettente e ricattarti più
tardi.»
«Ah, questo cambia tutto...»
«Ascolta, per quanto mi riguarda puoi continuare a vendere
informazioni a chi ti pare. Non userò il contenuto del
rapporto per un articolo.» Nova si sposta verso la scrivania,
toglie la lattina di birra da sopra il datapad e lo allunga a Palmer.
«Questa è una faccenda personale.»
/\/
Nova
stringe il tappo della confezione di antidolorifici e la getta in
borsa. Le pillole dentro al flaconcino giallo picchiano tra di loro
come una maracas in miniatura. Lei è seduta in fondo al bus
automatizzato e dal sedile davanti al suo spunta la testa rasata di un
uomo con due auricolari wireless
agganciati alle orecchie; ci sono soltanto una decina di distratti
passeggeri a bordo della corsa per Ravendale e lo scompartimento degli
androidi è vuoto.
Nova inghiotte gli antidolorifici. Il mal di testa sta tornando. Ma,
almeno, il suo non è un mal di testa da post padellata. Ha
lasciato Eddie Palmer ammanettato al sifone, cosa che lo messo ancor di
più di malumore, ma con il cellulare in mano; e non ha
chiuso a chiave la porta dell'appartamento, quando ne è
uscita, inseguita da una rozza processione di insulti e con una copia
del rapporto della polizia in borsa.
Nova sfila la cartellina dalla borsa.
Il bus si ferma. Le porte si aprono con il familiare sospiro meccanico.
Qualcuno sale a bordo, ma Nova non alza lo sguardo dall'anonimo
rettangolo di plastica nera sulle sue ginocchia. Le dita tremano
impercettibilmente mentre i polpastrelli scivolano lungo i bordi della
cartellina: ci sono delle fotografie tra le pagine del rapporto.
Fotografie della scena dell'omicidio. Fotografie di Walty.
Il bus riparte. La strada e le luci e la neve riprendono a sfrecciare
al di là del finestrino appannato. Nova stringe la mano
destra in un pugno. Le unghie spingono contro la carne troppo calda del
palmo.
Apre la cartellina. Ha sotto gli occhi un primo foglio, carta di un
bianco immacolato e severe parole stampate in nero. Scorre le prime
righe.
NUMERO CASO: 44-70152
DATA DEL RAPPORTO: 7 NOVEMBRE 2038
CASO ASSEGNATO A: TENENTE H. ANDERSON
STATO DEL CASO: APERTO
|
ANGOLO AUTRICE
Avevo promesso, e mi ero ripromessa, di riprendere a postare i capitoli
entro settembre. Invece siamo già a metà ottobre. Di
positivo c'è che adesso tutti i capitoli restanti sono
pressoché pronti e finiti, quindi non prevedo altre pause
eccessivamente lunghe. Ho anche avuto il tempo di rimettere mano ai
capitoli già pubblicati (riguardo alle revisioni vi rimando alle
note che ho inserito nel primo capitolo.)
Ma passiamo alle cose veramente importanti.
Ringrazio tantissimo i lettori che si sono aggiunti durante questi mesi
in stand-by! Così come ringrazio sempre chi, nonostante tutto,
ha continuato a seguirmi e a recensire. Sono molto affezionata a questo
piccolo progetto e i vostri commenti mi aiutano a portarlo fino in
fondo! ❤
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Capitolo 23 *** Your buddy to drink with ***
C.23
023.
YOUR BUDDY TO DRINK WITH
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 21:33
DOWNTOWN, JIMMY'S BAR
Diciassette
minuti e quarantacinque secondi fa esatti, alla Centrale, il tenente
Anderson ha abbandonato la postazione alzandosi repentinamente dalla
sedia. Connor ha reputato plausibile che l'uomo fosse in procinto di
reagire ai commenti del detective Reed, in merito alla situazione
stagnante delle indagini, con un’aggressione fisica. Invece, il
tenente ha dichiarato ad alta voce di aver bisogno di una pausa.
«Andiamo, Connor.»
«Dove, tenente?»
«Da Jimmy.»
Il bar li ha accolti nella sua caligine artificiale. I neon arancioni
brillano sopra gli scaffali affollati di alcolici, dalla tv si rovescia
un vociare concitato ̶ Dallas Cowboys contro i New York Giants ̶ e sei uomini se ne stanno ingobbiti sul bancone. La metà
compare nei registri della polizia di Detroit, l’altra
metà risulta disoccupata. Qualcuno parlotta. Gli altri,
intorpiditi dall'alcol, lasciano ciondolare il capo sopra
bicchieri.
Anderson sbatte stancamente il Black Lamb
sul tavolo: uomo e androide sono seduti l'uno davanti all’altro;
una lampada a cono pende sopra le loro testem, la luce cruda
rivela i graffi sul tavolo e i solchi sul viso del tenente.
«Sta consumando la prima ordinazione da undici minuti» espone Connor.
Anderson gli rivolge un’occhiata vagamente interrogativa, il suo
silenzio riempito da una roca voce femminile: ‘We're chasing freedom at the end of the map’ canta, seguendo le note di una ballata bluegrass, ‘life's gonna be better now.’ [1]
«È un miglioramento» chiarisce Connor, con un incoraggiante guizzo di sopracciglia.
Il tenente arriccia la bocca in un sorriso storto. «Dammi tempo.»
In fondo alla sala le porte dei bagni sbattono. Pochi istanti dopo, un uomo passa accanto al loro tavolo. «Cazzo ci fa qui dentro questa cosa?» mastica.
Connor, evitando qualsiasi parvenza di espressività, guarda
l'uomo. Quando è entrato nel locale, il suo software di
Riconoscimento Facciale ha trovato un match tra i lineamenti
dell'individuo e quelli di un pregiudicato di nome Michael McCoy.
«Te la vuoi passare una nottata in cella, McCoy?» risponde
Anderson, con serafica noncuranza, ma in un tono udibile a tutti.
«Come ai vecchi tempi?»
Sotto la visiera del cappello da baseball, il volto di McCoy si
contrae. Connor riconosce la rabbia. Rabbia e irritazione. McCoy
sembra sul punto di dire qualcosa. Ma poi, borbottando osservazioni
poco educate riguardo a sbirri e androidi, volta le spalle al tavolo,
si appollaia su uno sgabello e ordina un Jameson.
«Forse dovrei attenderla in macchina, tenente» propone
Connor, mentre registra il cigolio della porta d'ingresso, alle sue
spalle.
«No, non dovresti» ribatte Anderson.
Un rumore di passi, leggeri.
«E tu cosa vuoi, invece? Un ordine restrittivo?»
Anderson sta parlando con la persona che ha raggiunto il tavolo. Ma non
la guarda. Il programma di analisi di Connor, invece, è in
funzione: non rileva movimenti significativi tra i muscoli facciali di
Nova Barton, tuttavia il battito cardiaco della donna è di
novantadue bpm. Non è tranquilla. Sebbene se ne stia lì
in piedi, con i pollici agganciati alle tasche e la neve sciolta sulle
spalline del trench.
«Come mi hai trovato?» chiede Anderson, ancora in contemplazione dello scotch.
«Alla centrale mi hanno detto di cercarla qui.»
«Chi te lo ha detto?»
«Il detective di questa mattina. Reed?»
Anderson ruota il bicchiere, tra il pollice e il medio.
«Che stronzo.»
Connor deve scivolare di qualche centimetro verso la parete quando Nova
siede sul divanetto, accanto a lui. La luce permette di verificare lo
stato degli ematomi: un colore tra il viola e il blu nel centro, una
sfumatura verdognola lungo i bordi. Sono entrati nel primo stadio di
guarigione.
Nova serra le mani al petto, stringendole alla tracolla, e
continua a parlare con Anderson. «Ci sono novità con il
caso dello Zenosyne?»
Il tenente si decide a sollevare lo sguardo sulla donna. «Ehi, te
lo ripeto... mi dispiace che la vittima fosse un tuo amico, ma stai
fuori dalle indagini.»
L'androide osserva la sequenza di micro-gesti della donna: inspira, espira, deglutisce.
«Avete preso in considerazione di indagare Malone?»
Anderson inarca un sopracciglio. «Perché dovremmo indagare Malone?»
«Perché? Perché... beh, pensate a cosa sappiamo della devianza.»
«Sappiamo?» Il sopracciglio del tenente continua l'arrampicata solitaria. «C'è un noi adesso?»
Nova incrocia le braccia sul tavolo. «Per innescare la mutazione
del software, o come volete chiamarla, gli androidi devono trovarsi in
una situazione di stress ingestibile, giusto? Come subire una violenza
o assistere a un evento violento. E io non credo gli androidi della
redazione siano diventati devianti per colpa di Zachary. Dovete
credermi quando vi dico che non gli avrebbe mai fatto del male. Non ne
sarebbe stato capace. Non era da lui.»
Anderson scrolla la testa. «Sono solo ipotesi. Non sappiamo
davvero cosa li faccia dare di matto. Magari quei due non ne potevano
più di lavorare là dentro e, appena sono rimasti soli con
un umano a sorvegliarli, hanno colto l’occasione per sopraffarlo
e tagliare la corda.» Raddrizza le spalle, con un respiro e un
veloce sorso di scotch. «Oppure... non lo conoscevi poi
così bene, il tuo amico.»
«Oppure» rimbecca Nova «gli androidi non sono i colpevoli.»
«Malone non può essere l'assassino» interviene
Connor. «Ho stimato personalmente la morte di Zachary Walton
attorno alle venti e quindici. Nico Malone ha lasciato la redazione
alle diciannove e ventotto. Le telecamere di sorveglianza lo hanno
ripreso all'interno dell'ascensore.»
Nova si gira verso di lui. «Però la Ford di Malone
è uscita dal parcheggio alle venti e cinquantacinque.»
«E tu come lo sai?»
Connor coglie un brusco cambiamento nella voce del tenente: è
serio, adesso, attento e sospettoso. E nello stesso momento vede Nova
far scivolare le mani sotto al tavolo e umettarsi le labbra.
«Potrei aver dato un'occhiata ai vostri rapporti.»
«Come?»
«Potrei aver ricattato un hacker.»
«Potrei farti sbattere dentro.»
«Il che sarebbe... uhm, appropriato. Ma intanto che sono qui potrebbe almeno ascoltare la mia teoria, no?»
Il torvo silenzio di Anderson non sembra scoraggiare la giornalista.
«Malone ha dichiarato di essere uscito dalla redazione ed essersi
diretto subito allo studio Teller, l'avvocato che sta seguendo il suo
divorzio, e che si trova al primo piano palazzo. Jody Teller ha
confermato. Malone è rimasto con lei fino alle ventuno meno un quarto circa. Ma non
trovate che sia un orario insolito? Oltretutto, da quel che c'è
scritto sul sito, lo studio non riceve clienti dopo diciassette.
Sapete cosa renderebbe la situazione meno strana?»
Connor sta fissando il profilo della donna.
«Nico Malone e Jody Teller vanno a letto insieme» continua
Nova. Guarda Anderson. Poi Connor. Poi di nuovo Anderson.
«L'ultima volta che l'ho incontrato, lui era appena tornato da un
incontro con la Teller. E aveva una macchia di rossetto sulla
camicia.»
Il LED di Connor pulsa, piano. «Qual è il nesso tra
un'ipotetica relazione extraconiugale di Jody Teller e l'omicidio di
Zachary Walton?»
«Sta dicendo che non dovremmo fidarci delle dichiarazioni
dell'avvocato» brontola Anderson. «Può aver mentito
sull'orario per fornire un alibi a Malone.» Con unico e ultimo
sorso svuota il bicchiere. «Vediamo se indovino la tua teoria.
Ieri sera, quando in redazione non c’era più nessuno,
escluso Walton e gli androidi, Malone è tornato nel suo ufficio.
E senza farsi riprendere da nessuna telecamera.»
«Non ci sono telecamere puntate sulle uscite di emergenza e sulle scale di sicurezza.»
«Ha usato le scale di sicurezza, eh? Supponiamo che sia andata
così. Perché avrebbe ucciso? Qual
è il movente?»
Connor rileva un movimento dei muscoli pterigoidei sul volto di Nova:
la donna sta serrando la mascella contro la mandibola. «Questo non lo so» la sente ammettere. «Però, se
avete controllato il cellulare di Zachary, saprete che aveva intenzione
di chiedere un aumento a Malone.»
«E piuttosto che aumentargli lo stipendio, Malone gli avrebbe spaccato la testa?»
Nova sta facendo sobbalzare un ginocchio, come nell'ufficio di Fowler,
mentre cercava di difendere le proprie ragioni per non firmare
l'accordo con la Cyberlife. «Dopo aver letto il rapporto, ho
fatto un paio di ricerche su Nico Malone. Non è esattamente una
brava persona.»
«La sua fedina penale è pulita.»
«La mia fonte è più affidabile di una fedina
penale» ribatte Nova. «Ho parlato al telefono con la sua ex
moglie. Uno dei motivi per il quale lei ha voluto il
divorzio è perché, ogni volta che litigavano o avevano
una discussione, lui perdeva subito la pazienza e alzava le mani. Il
che prova che è un uomo quantomeno incline agli scatti violenti.
Aggiungiamo il fatto che negli ultimi tempi lo Zenosyne gli sta dando
problemi a livello di entrate. E quello che abbiamo è una
personalità irascibile messa sotto stress da problemi economici
e da una causa di divorzio in corso. Non è abbastanza per
includerlo tra i sospettati?»
Il LED passa dall'azzurro al giallo e di nuovo all'azzurro.
«Quindi lei crede che gli androidi abbiamo visto Malone
assassinare Zachary Walton.»
«E che Malone li stia nascondendo» aggiunge Anderson.
«Forse» sospira la giornalista. «O forse
sono fuggiti da soli. In entrambi i casi, per Malone è un bene
che siano spariti dalla circolazione: ha tolto di mezzo i testimoni
oculari e trovato qualcuno su cui far cadere i sospetti. E se davvero
li sta tenendo nascosti, probabilmente adesso si crede in una
botte di ferro.»
«E perché i devianti dovrebbero accettare di stare alle regole di Malone?»
«Perché sono devianti, tenente. Che altra scelta hanno?
Consegnarsi alla polizia, lasciarsi estrapolare dalla memoria il video
dell'omicidio e poi finire a pezzi in una discarica?»
«Ma signorina Barton» la interrompe Connor «se ha
letto i rapporti compilati dalla polizia, saprà che sulla scena
del crimine è stata rinvenuta un'unica impronta di scarpa
macchiata dal sangue della vittima. È incompleta ma non ci sono
dubbi che appartenga alla suola destra della ST400.»
«Questo non basta a escludere che Malone fosse nella stanza.»
«Ci sono le impronte digitali sulla scultura.»
«Che, per l'appunto, appartengono a Malone.»
«Perché gli androidi non possiedono impronte digitali. E
in quanto alle impronte di Nico Malone, in base alla ricostruzioni
effettuate dai miei software, non si trovano nella posizione
corretta.»
«Corretta?»
«Non corrispondono al modo in cui avrebbe dovuto impugnare la scultura per colpire la vittima con il piedistallo.»
«Magari ha ripulito la scultura in fretta e furia.»
«Ehi!» li interrompe Anderson. Sospira. Guarda Nova. «So cosa stai
cercando di fare: vuoi che il colpevole sia un umano, perché un
umano puoi sperare di farlo rinchiudere. E saperlo chiuso in cella,
forse ti farà sentire un po' meglio. Lo capisco. Davvero, lo
capisco. Ma senza una vera prova che Malone si trovasse in
quell'ufficio al momento dell'omicidio, stai solo lavorando di
fantasia.» Un altro sospiro. «Posso soltanto prometterti
che, quando troveremo i devianti, tenteremo di capire se siano
innocenti o meno.»
«Quando li troverete» ripete Nova, dura. «Vorrà dire se.»
Anderson lascia cadere la provocazione. «Ti chiamo un taxi.
Tornatene a casa e vedi di farti una dormita. Hai una faccia
orribile.»
«Cos'è? L'ora della nanna?»
Il tenente incamera uno dei suoi respiri pesanti. «Non tirare la
corda, Barton. E ringrazia che ti lascio tornare a casa invece di
trascinarti alla Centrale, dopo questa storia dei rapporti. Che
comunque non finisce qui.»
«Almeno adesso sapete che dovete migliorare la sicurezza.»
Anderson la ignora. Si rivolge a Connor. «Va' con lei.»
«Oh, ma sul serio?» sbotta la giornalista.
E Anderson continua a parlare con Connor. «Assicurati che se ne
torni nel suo appartamento senza fare altri casini.»
/ \ \ /
L'androide osserva la
strada, oltre il parabrezza. Nevica piano. Il taxi entra e esce dalle
pozze di luce dei lampioni. Stanno percorrendo Plaza Drive.
Poco prima, in un
mansueto tentativo
di conversazione, Connor ha domandato a Nova se desiderasse la radio
accesa. Ha ricevuto in risposta un perentorio no. Così, dopo aver soppesato
il modo in cui la donna, a braccia conserte, stia ostinatamente
guardando fuori dal finestrino, ha accettato l'input del software di
Relazioni Sociali di restare in silenzio, lasciando che sia il debole
ronzio del motore elettrico a riempire l'abitacolo del taxi.
«Comunque è divertente» afferma, di punto in bianco, Nova.
Una pulsazione del LED, un lento battito di palpebra, e Connor si volta
verso di lei. Nova gli sta mostrando un'espressione meno ostile di
quanto avesse pronosticato.
«Che cosa la diverte?»
«Che un gioiello dell'intelligenza artificiale sia ridotto a
farmi da baby-sitter. Scommetto che in questo momento un programmatore
della Cyberlife sta urlando in un cuscino.»
«Sto eseguendo gli ordini del tenente» le ricorda Connor.
Fosse stato libero di decidere in accordo con la sua programmazione,
avrebbe seguito Anderson alla Centrale.
«E lui sì che sa come sfruttarli, i suoi gadget» borbotta Nova. «Senza offesa.»
Connor non reputa necessario processare un risposta.
«Dì un po'... mi trovi antipatica?»
«Non classifico le interazioni con gli esseri umani in base a criteri di antipatia o simpatia.»
«Però in qualche modo mi hai classificata, no? In che categoria sono?»
«Imprevisti.»
Nova alza un sopracciglio. «Hai imparato a parlare alle ragazze leggendo le istruzioni del Monopoli?»
La ricerca di una replica congrua viene interrotta
bruscamente da un movimento inaspettato: Nova allunga una mano
verso il display di comando sul cruscotto.
Il taxi rallenta. Accosta al marciapiede, mentre un autocompattatore li
supera, e si ferma davanti a un negozio di alimentari H24. ‘Corsa
interrotta’ annuncia una voce femminile. ‘Per favore,
inserire un nuovo indirizzo di destinazione. Oppure selezionare l'icona
verde per riprendere la corsa attuale.’
«Che sta facendo?»
«Una deviazione.»
«Le mie istruzioni mi obbligano a riportarla nel suo appartamento.»
«Anderson non ha vietato di fare una tappa intermedia, prima di riportarmi a casa.»
«Ma mi ha espressamente chiesto di fermarla dal commettere... altri casini.»
«La definizione di casino è soggettiva.»
‘Per favore, inserire un nuovo indirizzo di destinazione oppure
selezionare l'icona verde per riprendere la corsa attuale’ ripete
la vocetta del taxi.
«Nuova destinazione. 1214 Griswold Street.»
L'indirizzo compare sul display. Una nuova icona verde lampeggia in attesa della conferma.
Anche il LED di Connor lampeggia. Di un allarmato giallo. «È l'indirizzo di residenza di Nico Malone.»
«Anderson ha detto che serve una prova della presenza di Malone
nell'ufficio al momento dell'omicidio. Posso procurargliene
una, ma devi aiutarmi.»
Sulla tempia dell'androide irrompe un lampo rosso.
[ «TIENI QUELLA DONNA FUORI DALLA INDAGINI.» ]
«Mi dispiace, ma io prendo ordini solo dal tenente Anderson.»
«Connor, non ti sto dando un ordine. Ti sto chiedendo di aiutarmi.. Tu reputi improbabile
che Nico Malone sia l'assassino, ma improbabile non è lo
stesso di impossibile. E se esiste una possibilità, anche
minima, che Malone sia coinvolto e sappia qualcosa sui devianti, non
dovresti almeno tentare di scoprirlo?»
L'androide aggrotta le sopracciglia e
sceglie la più compassionevole delle repliche, tra quelle a sua disposizione. «Signorina
Barton, posso comprendere che la morte del suo amico le stia causando dolore. Ma questo comportamento non è un modo sano di
affrontare il lutto.»
Nova lo guarda. Connor fatica a trovare un'interpretazione chiara
dell'espressione della donna. È arrabbiata. Oppure attonita.
Quando la donna gli rivolge di nuovo la parola, la voce è dura e
pesante, come un sasso che cade in acqua: «Che cosa ne sai tu di lutti?»
«So che per gli esseri umani può essere difficile elaborare il trauma dovuto a una perdita.»
Nova si china verso di lui. «Tu sei solo una macchina, Connor.
Non hai diritto di dirmi come devo o non devo affrontare un lutto. Per
te stiamo parlando soltanto di un altro cadavere e un altro omicidio.
Ma quando io ho visto le fotografie della scena del crimine, ho visto
una persona alla quale volevo bene. Con la testa fracassata e la faccia
coperta di sangue. E adesso, ogni volta che penso a Walty, ho
quell'immagine davanti agli occhi. Secondo te può esistere un
modo sano di accettare quello che gli hanno fatto?»
Connor resta in silenzio, la fronte contratta.
Nova si gira verso il cruscotto.
E l'androide la imita, lentamente. Davanti a lui le insegne del negozio
gettano una luce bluastra sulla strada, come se il mondo fosse sul
fondo di un buio acquario. I fiocchi di neve si incollano al
parabrezza. Sul display di comando l'icona verde sta ancora
lampeggiando.
Connor si abbandonerebbe a un sospiro, se solo possedesse dei polmoni.
[ INSTABILITA' DEL SOFTWARE IN AUMENTO ]
«Che cosa ha intenzione di fare con Malone?»
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Capitolo 24 *** The Rowland ***
C.24
024.
THE ROWLAND
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 22:00
DOWNTOWN, CAPITOL PARK
Griswold
Street è vestita a festa. Lungo i marciapiedi gli alberi
sono avviluppati in ragnatele di luci natalizie e luminose ghirlande a
cascata addobbano gli archetti pensili al pian terreno del The Rowland.
Fuori, sotto la neve, tra gli schermi pubblicitari e le vetrine
interattive dei negozi di Capitol Park il palazzo sfoggia con orgoglio
l’inalterata appartenenza agli anni Venti del secolo passato;
all'interno la lobby sfavilla di sofisticata
contemporaneità: colonne quadrate coperte di specchi, quadri
astratti alle pareti, un lustrissimo pavimento in marmo nero venato di
bianco e... un immancabile controllo di sicurezza
all’ingresso.
Nova passa sotto il metal detector, che non emette nessun bip
allarmato, e poi lascia che l'addetto alla sicurezza, un umano, frughi
nella sua borsa.
«L'androide è suo?» chiede l'uomo,
riconsegnando la borsa.
Nova esita, per una frazione di secondo.
«Sì.»
Connor sta attendendo dietro la linea olografica che chiude l'accesso
al metal detector. La guardia gli fa cenno di venire avanti, come se
rivolgere la parola a una macchina fosse una fatica superflua.
È tardi e poche persone oziano nella lobby. Senza dire
nulla, giornalista e androide raggiungono il banco della reception. Una
ST300 è seduta dall’altro lato. Si attiva con
un sorriso e, gentile come un'assistente di bordo, dà il
benvenuto a Nova e chiede in cosa può esserle utile.
«Devo incontrare Nico Malone.» La reporter nasconde
le
mani nelle tasche del trench e parla con misurata noncuranza.
«È in casa?»
Il LED della ST300 disegna un cerchio giallo. «Al momento il
signor Malone si trova nella propria unità
abitativa.»
«Che sarebbe?»
«Dodicesimo piano. Appartamento numero 0903. Vuole che
annunci la visita?»
«No. Mi sta aspettando.»
«Molto bene.» La ST300 continua a sorridere,
serafica. «Posso vedere un documento di identità
valido?»
«Ehm... sì, certo...»
Nova, trafficando con la borsa, scocca un'occhiata a Connor.
È due passi più indietro, l'aria neutra e assente
di un qualsiasi androide in attesa di ordini.
Oltre
il caotico albero di Natale al centro della sala e oltre i tavoli
deserti
della zona caffetteria, gli ascensori riservati agli umani hanno porte
nere e lucide come pezzi d'onice. Nova schiaccia il pulsante di
chiamata e sul display verticale compare il messaggio che annuncia
l’immediato arrivo dell’ascensore. Le porte si
aprono con un melodioso cicalino.
Nova entra.
Connor la segue.
Lei sfiora il numero 12 sullo schermo tattile, l’androide
raccoglie le mani dietro la schiena e le porte inghiottono la vista
sulla lobby luccicante. Una vocetta elettronica ricorda che all'interno
della cabina è vietato fumare, che al terzo piano si
può godere dei servizi offerti dal centro fitness aperto
ventiquattr'ore su ventiquattro e che l'accesso alla piscina coperta
è gratuito per i residenti.
«Hai preso quello che ti serve?» chiede Nova,
riaffondando le mani in tasca.
Connor sta guardando diritto davanti a sé.
«Sì.»
«Bene...»
«Le probabilità che il piano fallisca rimangono
alte.»
«Un passo alla volta, Connor. E un po’ di ottimismo
non guasterebbe.»
«Malone potrebbe non essere da solo.»
«In quel caso, improvviserò qualcosa...»
«Cosa farà se lui non dovesse accettare di
parlarle? Ha detto di non essere rimasta in buoni rapporti con
lui.»
«Guarda dove vive. Gli piace il lusso. Mi
ascolterà, se gli offro un modo di risparmiare
soldi.»
Connor non controbatte.
Nova non può far a meno di voltarsi a osservarlo.
Il LED dell’androide è bloccato sulla luce gialla.
«Che hai?» chiede lei.
E coglie una serie di rapidissimi battiti di palpebra, prima di
sentirlo
rispondere: «Resto convinto che Nico Malone non sia coinvolto
nell’omicidio. Tuttavia, se la moglie ha detto la
verità,
potrebbe essere pericoloso restare da sola con lui.»
Nova torna a contemplare le porte. In cagnesco, adesso. «Deve
solo provarci ad alzare un dito su di me.» Al momento si
sente capacissima di cavargli gli occhi a mani nude. Umetta le labbra;
è preoccupata, sì, ma non per sé
stessa.
«Senti, Connor... se qualcosa va storto, mi prendo io ogni
responsabilità. Ho sentito come ti ha minacciato Fowler,
questa mattina, alla Centrale.» Con la coda
dell’occhio, vede
Connor girarsi verso di lei.
Sono all’ottavo piano.
L’ascensore si ferma.
Ad attenderlo c’è un ragazzotto con i capelli
raccolti in un codino da samurai e un auricolare agganciato
all’orecchio sinistro; si piazza tra Nova e Connor,
allontanandoli di prepotenza l’uno dall’altra, e
non degna nessuno dei
due di mezzo sguardo. E sempre ignorandoli, scende al piano successivo.
L’ascensore riprende a salire.
Decimo piano.
Undicesimo piano.
Dodicesimo piano.
\ / / \
Connor
seleziona il –1 sulla pulsantiera e le porte della cabina si
chiudono, separandolo dal corridoio del dodicesimo piano. E dalla
giornalista. Mentre l’ascensore comincia la ridiscesa
silenziosa, un costante tintinno riecheggia all’interno: il
quarto di dollaro volteggia in aria e ricade nel palmo di Connor. Una,
due, tre volte; i movimenti precisi, perfetti, sempre uguali, come
solo una macchina è in grado di eseguire. Sul display il
numero dei piani cambia, veloce. La moneta rotola in equilibrio lungo
le pallide nocche dell’androide.
«Lo Zenosyne ha una rete privata» gli ha detto Nova
Barton, quando il taxi era fermo lungo la Plaza Drive.
«Qualsiasi dispositivo in grado di connettersi, se ne ha
l’autorizzazione, si aggancia in automatico alla rete dello
Zenosyne
nel momento in cui si mette piede negli uffici. Malone non si sposta
mai senza il suo datapad. È probabile che lo avesse con
sé, quando è tornato nel suo ufficio. Sei in
grado di connetterti al datapad e scoprire se era agganciato alla rete
della redazione, ieri sera, attorno all’orario
dell’omicidio?»
Il LED si è acceso violentemente di giallo, mentre Connor
elaborava la richiesta. Ha ricevuto un messaggio di avviso, in merito
alle regole di accesso ai dati personali dettate
dall’American Androids
Act. Ne ha forzato la chiusura, ignorandolo. «Potrei farlo.
Ma con molta probabilità il datapad è protetto
da una password. È una misura di sicurezza che non posso
aggirare.»
Nova Barton è parsa sprofondare nel sedile. Lui
l’ha osservata mordicchiarsi la guancia – ha
imparato a equiparare quel micro-gesto all’atto di pensare
–
e, di riflesso, ha aggrottato la fronte, avviando una ricerca in rete.
«Forse...» ha principiato l’androide, un
istante
prima che, con un ultimo balugino ambrato, il LED tornasse stabile e
la fronte distesa. «Forse esiste un modo per ottenere la
password.»
L’ascensore si ferma.
Connor chiude le dita sul quarto di dollaro.
Le porte si aprono su di un corridoio spazioso e illuminato, senza
finestre né mobili, e con le pareti pitturate di
un bianco ghiaccio.
[ RAGGIUNGI I LOCALI DELLA LAVANDERIA ]
\ / / \
«Come cazzo sei
entrata?»
Nico Malone non ha bell’aspetto. Forse ha bevuto. Di certo
è
stressato. E risulta una creatura assolutamente fuori posto in un
appartamento elegante e minimale come una sala da tè
giapponese. Il direttore dello Zenosyne non indossa una delle sue
cravatte di seta, né una delle costose cinture in pelle; e
la camicia di alta sartoria, con un lembo che penzola fuori dai
pantaloni e le maniche arrotolate sugli avambracci irsuti, ostenta due
grosse macchie sotto le ascelle. Le guance, di solito rasate alla
perfezione, sono scurite da un’ombra di barba; i capelli
hanno smarrito la scrima e ogni singolo ciuffo brizzolato, non sapendo
più da che parte andare, ha preso una direzione a piacimento.
Per Nova, che non l’ha mai visto in uno stato simile,
è il ritratto dell’uomo d’affari che sa
di aver commesso un errore enorme.
«È tutto il giorno che evito la stampa e poi fanno
passare ‘sta troietta!» sbraita Malone, in piedi,
all’estremità di un tavolo da pranzo in acciaio e
cristallo,
le mani serrate sulla spalliera di una sedia.
Alle sue spalle, sulla parete, un trittico di quadri compone
un’unica immagine. Sembra un paesaggio di rocce che
spuntano da un mare di nebbia; ma forse sono soltanto pretenziose
macchie d’inchiostro nero su fondo grigio.
«Servizio di controllo un cazzo! Con quello che pago ogni
mese!»
Nova, all’altra estremità del tavolo, vorrebbe
sdrammatizzare facendo presente che qualcuno l’ha
effettivamente controllata e registrata prima di lasciarla salire. Ma
il sarcasmo resta incastrato in gola. La determinazione traballa.
Lei è nella fossa del leone – o
dell’orso, considerata la stazza di Malone – ed
è
sola.
Tredici piani la separano da Connor e l’unica altra presenza
nell’appartamento è una AJ700 la quale, dopo
averla fatta
entrare, si è ritirata sotto l’arco che unisce il
soggiorno
alla cucina con espressione apatica sul volto familiare. [1]
Nova si morde una guancia. Forte. Fino a sentire dolore. Davanti a lei
c’è l’assassino di Walty. Non
è
il momento di avere paura. È il momento di portare avanti il
piano. «Sono venuta solo per chiedere scusa» butta
fuori.
Avrebbe preferito bere acqua di fogna. Si sforza di mostrare un faccino
rammaricato e di torcersi a dovere le mani, un po’ per
restare nella parte e un po’ per nascondere il tremore.
Nico Malone, però, non la sta nemmeno guardando,
né sembra averla
sentita. «Falla uscire!» urla, rivolto
all’androide domestico. «E non ti azzardare mai
più a far entrare qualcuno senza avvertirmi prima! Mi hai
capito bene, pezzo di plastica del cazzo?»
La AJ700 si scusa, promette che l’errore non verrà
ripetuto
e si avvicina a Nova. Le chiede seguirla.
Ma Nova la ignora.
«Malone, la supplico...»
Ora lo sguardo dell’uomo saetta su di lei. E Nova distingue
un lampo di lucida soddisfazione
attraversare gli occhietti grigi, infossati in quella faccia larga,
dello
stesso colore di una ciambella che non è stata fritta
abbastanza
a lungo.
«Sì. Lo fate tutti. Alla fine.»
«Mi dia un’altra possibilità.»
«No!»
«Avrei dovuto accettare la sua proposta dell’altro
giorno.»
«Troppo tardi!»
«Ma lei è un professionista e io ho ancora tanto
da imparare.»
«Pensi di essere la prima puttana che torna da me a
piagnucolare? Sparisci!»
«Mi dia almeno il modo di dimostrare la mia buona
volontà. Voglio aiutare... voglio contribuire! Non chiedo
nemmeno un dollaro in cambio.»
«E che avresti da contribuire tu?»
«Stavo pensando...» mormora Nova «che
dopo il brutto incidente di ieri notte...»
Malone diventa più bianco del pavimento smaltato.
Nova abbassa lo sguardo sulle proprie mani. La pelle sulle nocche
è arrossata, ma lei continua a torturarle, lentamente, con
insistenza. Prende un respiro, e rialza cautamente lo sguardo. Deve
essere
convincente, e allo stesso tempo, sembrare mite e servizievole.
«Quando le indagini saranno concluse e gli androidi
ritrovati, ci sarà un processo. Questo lo sa anche lei,
Malone. Sono sicura che immagina già che la Cyberlife
cercherà di ridimensionare le proprie
responsabilità. L’omicidio è avvenuto
nella sua
redazione e per mano di androidi che appartengono legalmente a lei.
Potrebbero puntarle il dito contro, accusandola di essere stato
negligente e non essersi accorto in tempo dei malfunzionamenti nelle
macchine.»
Malone tace. La sta fissando, sempre pallido, con una vena rigonfia,
piccola e biancastra come una larva, sotto l’occhio
destro.
«In una situazione del genere, sarebbe utile poter dimostrare
di essere un capo che ha a cuore il bene e l’interesse dei
suoi
dipendenti. Sarebbe utile poter dimostrare a una giuria che conosceva
Zachary Walton come fosse stato... non so, un amico. Un figlio,
magari.»
«Dove cazzo vuoi andare a parare?»
«Io conoscevo bene Zachary. Potrei fornirle tutte le
informazioni di cui avrebbe bisogno.»
Silenzio.
Che cosa sta meditando Malone? Di buttarla fuori
dall’appartamento a calci? Di
stringerle le mani attorno al collo? Oppure sta realmente soppesando
l’idea di usarla
per rafforzare il proprio abili?
La sedia sobbalza.
Malone lasciato la presa dalla spalliera e si avvicina.
Nova indietreggia.
Ma la grossa mano dell’uomo scatta verso il suo gomito.
Malone
la trascina verso il divano di pelle bianca smerigliata, che deve
costare quanto l’affitto due mesi del suo bilocale su Wade
Street; è come avere il braccio incastrato tra le portiere
di un’automobile e Nova non ci prova nemmeno a opporsi.
«Siediti.»
Malone la lascia andare e lei, ignorando il dolore al braccio,
obbedisce: prende
posto al centro del divano, tenendo lo sguardo sul tavolino da
caffè,
tra il divano e due nere e severe poltrone, in stile Le Corbusier; sul
piano trasparente ci sono tre anoressiche statuine di ebano
vagamente antropomorfe. Ma, nonostante gli occhi bassi, Nova
è consapevole della posizione della porta
d’ingresso alla sua sinistra; della porta a scorrimento in
vetro smerigliato alle sue spalle; del mobile bar incassato nella
parete a destra; dell’assenza di librerie nella stanza
e… di
non aver intravisto il datapad da nessuna parte.
Malone sistema in poltrona la sua nervosa e sudaticcia mole.
«Apri bene le orecchie, puttanella. Se stai cercando di
fregarmi, ti farò pentire di aver messo piede qui dentro.
Quindi ora non te ne vai fino a quando non abbiamo sistemato questa
storia.»
Nova annuisce. Strofina i palmi lungo le cosce. Guarda oltre la
poltrona, verso le finestre che si affacciano sul Capitol Park
illuminato.
«Ehm... posso...»
«Cosa?» grugnisce Malone.
Nova getta un’occhiata timida e calcolata al mobile bar.
«Penso che sarebbe più facile per me parlare di
Zachary, e di tutto il resto, se...» Parla come se avesse il
fiato corto. «Un bicchiere sarebbe di aiuto, ecco. Tutto
qui.»
Una smorfia di fastidio impasta i lineamenti di Malone. Poi, soffia. Si
agita sulla poltrona e allenta il colletto della camicia.
«Portami del Bogart’s. Liscio.»
Nova guarda Malone. Sta dando ordini a lei, non alla AJ700. Con calma,
lasciando la borsa sul divano, la reporter si alza e raggiunge il
mobile bar; sa
che Malone la sta osservando ed è come muoversi con il laser
di un cecchino puntato alla schiena. Dev’essere
così che gli piacciono le donne, pensa Nova. Supplicanti e pronte a servirlo.
Apre le ante del mobile bar. L’interno è rivestito
di
specchi, e luccica come la vetrina di una gioielleria. Prende due
bicchieri dal piano più alto e la bottiglia di
whiskey da quello centrale; per un attimo, osservando la raffinata
etichetta nera, prende anche lucidamente in considerazione
l’idea di
mandare all’aria il piano e fracassare la bottiglia in testa
allo
spreco di atomi che occupa la poltrona, se si azzarda a chiamarla
un’altra volta puttana.
Riempie il primo bicchiere. Riempie il secondo.
Una volante della polizia passa a sirene spiegate sotto le finestre del
palazzo, percorrendo veloce Griswold Street. Poi,
l’acciottolio della bottiglia rimessa al suo posto e il
sibilo delle ante richiuse.
Nova torna verso il divano. Porge un bicchiere a Malone, che quasi
glielo
strappa di mano, e tiene l’altro per sé.
Ma il nervosismo la tradisce. Urta il ginocchio contro il tavolino da
caffè. Metà del whiskey finisce sul trench e
l’altra metà sul costoso pavimento di Malone.
«Che cazzo combini?» ruglia l’uomo.
Nova tampona il bicchiere con la manica, per evitare che altro liquore
goccioli sul pavimento, e si prodiga in pigolii di scusa.
«Emma!»
La AJ700 è subito accanto a loro.
«Pulisci questo casino!»
L’androide si allontana con il bicchiere di Nova; poi, prima
che Malone abbia il tempo di tracannare tutta la sua parte di
whiskey, è di ritorno con un panno in
microfibra che, a giudicare dal vago odore di ammoniaca, è
imbevuto di detergente.
«Avete... avete una lavanderia?» azzarda Nova.
«Eh?»
«Nel palazzo, intendo.... c’è un
servizio di
lavanderia, vero? È... è che questa stoffa
è di
pessima qualità. Resterà macchiata, se non la
pulisco subito. E poi rischio di sporcarle il divano.»
Malone la insulta a mezza bocca, inghiotte quel che resta del whiskey,
rumorosamente, quasi con furia. La mano e il bicchiere vuoto ciondolano
oltre il bracciolo della poltrona. «Scendi in
lavanderia.» Sta parlando con Emma. «Pulisci la
giacca. E sbrigati!»
«Sì, Nico.»
Nova sfila il trench, lo affida a Emma, stiracchia verso il basso
l'orlo del
pullover blu a costine. Ha scelto una maglia dal colletto alto per
nascondere i lividi sul
collo, ma ormai le è chiaro che a Malone non sarebbe
interessati, così come non gli interessano i lividi sul suo
viso. La giornalista si rimette a sedere sul divano, e spia Emma di
sottecchi.
L'androide è all'ingresso e c’è un
display per lo sblocco della
serratura accanto alla porta. La AJ700 spoglia la mano destra della
pelle sintetica e, invece di digitare un pin, appoggia il
palmo sopra lo schermo. Lo scanner emette
un debole segnale acustico. La porta si apre ed Emma esce
dall’appartamento.
|
NOTE
[1] AJ700 è (o dovrebbe essere, stando a quanto ho trovato
su Internet) il modello femminile, presumibilmente un
assistente domestico, in primo piano sugli schermi
pubblicitari della Cyberlife.
.
Un affettuoso salutino a tutti i lettori!
Ho visto che nelle ultime settimane siete aumentati. Non so come
abbiate trovato questa fan fic, e cosa vi abbia convinto a metterla tra
le seguite, ma vi ringrazio tantissimo! ♥
|
|
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Capitolo 25 *** Data theft ***
C.25
025. DATA THEFT
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 22:17
DOWNTOWN, CAPITOL PARK
Nova strofina i
palmi accaldati lungo le cosce. È ancora sul divano, e il
cuore soffia nelle orecchie come un mantice. La AJ700 ha lasciato
l’appartamento da cinque minuti e Malone non ha ancora
iniziato con le domande. Lei lo ha visto sollevarsi dalla poltrona,
passare una mano sul volto sfatto e raggiungere il mobile bar a passi
strascicati; sente un sospiro cavernoso e il gorgoglio del whiskey,
dietro la grossa schiena dell’uomo.
Malone si volta, lento, il Bogart’s in una mano e il
bicchiere nell’altra. «È un casino.
È tutto un cazzo di casino» sibila a sé
stesso. Butta giù l’alcol come un cormorano che
ingolla un’anguilla. Svuota il bicchiere. Lo sguardo vaga da
un punto all’altro del salottino e Nova capisce di essere
momentaneamente sparita dalla sua personalissima percezione della
realtà.
Malone torna accanto al divano. Pianta la bottiglia, aperta, sopra il
tavolo. Le statuine vibrano. «Che stai cercando di fare,
Barton?»
/ \
\ /
[ RICERCA IN
CORSO… ]
Connor procede agile
tra i dataset. Passa da un fotogramma all’altro, da un
elemento audio all’altro; raccoglie, analizza, scandaglia e
infine, con un singolo battito delle palpebre, riemerge nella
realtà sensibile illuminata dalla cruda fluorescenza delle
lampade al neon.
Lo stanzone della lavanderia è deserto. Il cupo ronzio dei
motori si propaga nell’aria appesantita dal vapore. Gli
oblò interattivi riflettono le sagome distorte dei due
androidi: uno di fronte all’altro.
Connor libera il polso della AJ700 dalla sua presa e lascia che il
fluido si ricompatti lungo i segmenti terminali della propria mano.
La AJ700, invece, nella divisa blu indistinguibile da quella dei suoi
cloni, fissa un punto oltre la spalla di Connor come se lui non fosse
presente. Il LED lampeggia timidamente di
giallo e si stabilizza. La AJ700 raccoglie dal pavimento un soprabito
nero: è caduto quando Connor le ha afferrato il braccio per
forzare la connessione. Eccetto il debole sussulto, però,
l’androide di Nico Malone non ha reagito
all’intrusione. Non ha tentato di contrastarla, né
di proteggersi. È rimasta passiva. Inerte. Vulnerabile.
Connor la guarda e da qualche parte nel suo programma,
un’elaborazione, troppo simile a un pensiero, viene
bruscamente terminata.
Scuote la testa, supera la AJ700 ed esce dalla lavanderia. Prende la
direzione opposta a quella da dove è arrivato: deve
raggiungere gli ascensori interni riservati agli androidi. E deve farlo
nel minor tempo possibile. Attraverso la memoria della AJ700, gli sono
bastati pochi secondi per visionare molte ore della vita privata di
Nico Malone e degli altri abitanti dell’appartamento 0903. Ha
visto le scene di cui è stata testimone la AJ700: grida,
insulti, minacce; una donna, a volte furiosa, a volte impaurita; sedie
ribaltate, bicchieri rotti e ancora la stessa donna, spintonata e
strattonata.
/ \ \ /
«Voglio
aiutarla.»
«Ma chi vuoi prendere per il culo? Io, quando vedo una
carogna, la riconosco subito. Continua così, Barton, e farai
una brutta fine.»
«Sì, me l’ha già
detto.» Nova teme che la sua voce non sia distaccata come
vorrebbe. Rabbia e panico si addensano nello stomaco come una massa
parassita. «Se dovessi provare a ingannarla, mi
farà pentire di—»
«No!» esclama Malone. «Sto parlando di
questo!» Agita una mano: un gesto convulso. «Di
quello che stai facendo qui! Come ti salta in mente di—vuoi
finire come Walton, eh?»
La rabbia di Nova prende il sopravvento con uno spasmo dei polmoni. Una
fitta sotto le orecchie quasi la stordisce.
E poi, all’improvviso, davanti ai suoi occhi, Malone
indietreggia e si accascia sulla poltrona. Le dita, grosse come sigari
e serrate sul collo del Bogart’s, stanno tremando. Malone
riempie il bicchiere fino a farlo traboccare. Gocce di whiskey
macchiano il costoso vetro. «Non li avrei mai dovuto
prendere, quei maledetti androidi» sospira, roco. Beve, e
sospira ancora. «Quel povero ragazzo… come lo
hanno ridotto. Vattene, Barton. Vattene a casa.»
Nova lo fissa, interdetta: il mento contro il petto, le braccia
penzoloni tra le ginocchia, il respiro pesante di un vecchio. Nico
Malone, il dispotico direttore dello Zenosyne, ridotto a un individuo
pallido e balbettante. Che fine ha fatto la violenza di poco prima?
È l’effetto dell’alcol? È il
rimorso di un assassino? È una messinscena?
«Ti ho detto di andartene… sei sorda?»
Nova non si muove. «Il suo androide ha ancora la mia
giacca.»
E Malone non ribatte: sta bevendo.
«Le importa davvero qualcosa di Zachary?»
«Non se lo meritava… Era un bravo
ragazzo.»
«Non abbastanza bravo per uno stipendio dignitoso.»
L’allusione scivola nel silenzio. Malone, forse,
non nemmeno l’ha udita; gli occhietti grigi
rimangono fissi sulla bottiglia.
«Sa che il padre di Zachary è malato? Col poco che
lei gli dava—»
«Lo so. Era figlio unico. Quel disgraziato non
reggerà il colpo. Meglio così, per
lui…» La voce di Malone si spezza, come se gli
fosse andata di traverso la saliva, e l’uomo si aggrappa al
bicchiere come un asmatico a un inalatore.
Nova ha dimenticato il piano, Connor, il datapad e il motivo per il
quale sono lì. Piuttosto, pensa alla Glock e rimpiange di
averla consegnata alla polizia; e immagina quanto sarebbe stato facile
farlo confessare…
«Io ci ho provato… Ci ho provato ad
aiutarli» esala Malone. «Ho fatto quello che
potevo.»
Nova torna alla realtà. «Aiutati?»
ripete. «Come li ha mai aiutati, lei?»
«Sapevo che Walton aveva bisogno di qualcosa in
più. E io gliel’ho versato, senza attirare troppo
l’attenzione, certo. In cambio di qualche lavoretto extra.
Avevamo un accordo. Funzionava.»
«Che lavoretto?»
«Informazioni. Politici, gente dello spettacolo,
imprenditori. Più ricchi sono, più prendono sul
serio il rischio di rovinarsi, se i loro segreti saltano
fuori.»
Nova sa come funziona: si prende di mira una personalità in
vista, la si mette al corrente delle informazioni in mano al tabloid e
poi, più o meno diplomaticamente, in cambio del silenzio si
ottiene il permesso di pubblicare un’esclusiva meno
imbarazzante. La maggior parte della gente preferisce cedere le
fotografie del primogenito, piuttosto che vedere pubblicate le proprie
chat erotiche o i messaggi scambiati con lo spacciatore di Red Ice di
fiducia. Giornalismo o ricatto: la linea è sottile. Nova si
acciglia: in un modo soltanto Walty poteva essere coinvolto nel
meccanismo. «Sta dicendo che Zachary lavorava per lei come
hacker? Gli faceva rubare informazioni private?»
A Malone scappa un verso soffocato: un principio di logora risatina.
«Facevo rubare?» le fa eco. «Non
l’ho mica mai minacciato con una pistola.» Finisce
di svuotare il bicchiere.
I respiri grevi, saturi di alcol, riempiono i secondi di silenzio.
«Che ironia del cazzo…»
«E che cosa c’è di ironico?»
scatta Nova.
«Solo un paio di settimane fa gli ho detto:
“puntiamo in alto, Walton, o qui ce ne andiamo tutti a casa.
Trovarmi qualcosa che faccia stringere il culo ai pezzi grossi della
Cyberlife.”»
Nova aggrotta ancora di più la fronte. «E cosa
avete rubato?»
Malone scrolla la testa. «Niente. Walton ha mollato il
lavoro. Diceva che tentare di forzare i sistemi di sicurezza dei quei
laboratori è impossibile.»
Nova espira, piano, quasi di sollievo. «Se dava
già denaro in più a Zachary, perché
lui voleva chiedere un aumento?»
Malone alza lo sguardo: c’è
un’annebbiata sorpresa dietro la caligine del whiskey.
«Senti, Barton» parte, aspro «lo so che
in redazione mi credete una iena, ma pensavo davvero che Walton si
meritasse un aumento in regola. Gli avevo detto che ne avremmo
discusso. Ne avremmo dovuto parlare domani mattina.»
«Sul serio? Gli avrebbe dato un aumento, anche se le entrate
dello Zenosyne sono in calo?» incalza Nova.
«Zachary aveva paura che lei non si sarebbe fatto scrupoli a
licenziarlo, se i guadagni avessero continuato a scendere.
Evidentemente, per qualche motivo, credeva che non tenesse di gran
conto il suo lavoro, regolare o no.»
Malone strizza il bracciolo sotto la mano libera. «Quando
Walton mi ha detto di non voler provare con la Cyberlife, non
l’ho presa bene, è vero. Gli ho detto che avrei
potuto sbatterlo fuori e trovare qualcun altro, sì. Ma dopo
qualche giorno… be’, ho riflettuto. E…
e mi sono calmato.»
Una serie melodiosa serie di trilli si diffonde
nell’appartamento.
Arriva dall’ingresso. Il display di comando della serratura
è diventato verde. ‘Reception: chiamata in
entrata’ annuncia una soave vocetta elettronica.
Lo sguardo di Nova guizza dall’ingresso a Malone, che non
accenna a muoversi dalla poltrona, e da Malone all’ingresso.
‘Reception: chiamata in entrata.’
«Non risponde?»
«Sarà qualche altro stronzo che cerca
interviste...»
«A quest’ora?»
‘Reception: chiamata in entrata.’
Con un filo d’orrore, Nova scopre che il suo ginocchio si
è messo a sobbalzare. Stende le dita, preme il palmo contro
la coscia e pianta il tallone contro il pavimento.
«Sono insistenti. Sarà importante.»
‘Reception: chiamata in—’
«Accetta chiamata!» bercia Malone.
Un bip acuto introduce una seconda voce: è la ST300 della
lobby. «Buonasera, signor Malone. Siamo spiacenti di
disturbarla a que—»
«Che cosa vuoi?» sbotta l’uomo.
«Per via di un malfunzionamento nei nostri sistemi interni,
sono state erroneamente rilevate delle anomalie nei versamenti da lei
effettuati nell’ultimo mese per i nostri servizi interni. Ho
bisogno della sua autorizzazione per riattivare il suo canale di
pagamento.»
«Avete bisogno di… cosa?»
«Le sue impronte digitali. Può raggiungere
l’ufficio della hall?»
«Adesso?»
«Se non è troppo disturbo. L’operazione
di non richiederà che pochi minuti.»
I polmoni di Nova sfiorano l’implosione.
Solo quando Malone latra una risposta affermativa in direzione della
porta e poi, mormorando insulti, abbandona la poltrona, lei si
arrischia a respirare di nuovo.
La ST300 cinguetta una frase di scuse per il fastidio generato
dall’imprevisto, ringrazia e termina la chiamata.
«È un problema se aspetto qui il suo androide? Non
credo ci—»
Nova sussulta.
Malone, invece, fissa imperturbato la propria mano, improvvisamente
vuota, e poi i frammenti di vetro sul pavimento: il bicchiere gli
è scivolato via delle dita. Ne schiaccia i resti sotto i
suoi passi malfermi, sistema il colletto della camicia e srotola le
maniche.
Nova si alza, seguendolo verso la porta.
«Non farti trovarti qui quando ritorno» intima
Malone, dandole le spalle. «Non voglio rivederla, la tua
faccia. Ma più… e dico sul serio, questa
volta.» Spettinato e in maniche di camicia, e troppo alticcio
per rendersene conto, Malone tocca per cinque volte il tastierino
numerico sullo schermo. Ne esce un bip sgraziato: il codice
è sbagliato. Malone ci riprova. E ci riprova. E ci riprova.
E al quarto tentativo, la porta si apre.
/ \ \ /
[ - 00:04:48 ]
Il
countdown è stato avviato nel momento esatto in cui Connor
si è disinserito dalla rete privata del palazzo e ha
continuato a scorrere, in un angolo del display oculare, mentre
percorreva l’androne del dodicesimo piano. Ha utilizzato
tutti i dati a disposizione per calcolare l’intervallo di
tempo prima del ritorno di Nico Malone: i secondi necessari a un uomo
alto un metro virgola ottantatré centimetri per coprire la
distanza tra gli ascensori e l’appartamento; i secondi
impiegati dall’ascensore per completare una corsa senza
interruzioni fino alla lobby; il tempo che, approssimativamente,
impiegherà Malone per comprendere che la chiamata non
è partita dalla Reception.
Connor schiaccia il pulsante del campanello e i sensori audio
registrano un musicale tintinnio all’interno
dell’appartamento. Non intercetta altri rumori dietro porta,
che resta chiusa.
[ - 00:04:26 ]
L’androide osserva i sottili numeri color bronzo sul battente
sinistro.
[ - 00:04:20 ]
[ - 00:04:12 ]
Monitora il corridoio, ben rischiarato dalla luce aranciata delle
applique di vetro satinato. Repliche di quadri astratti decorano le
pareti color crema. Non c’è nessuno, per ora. E
per un istante, una parte dei suoi algoritmi si trattiene sulle
differenze tra i piani superiori del The Rowland – ambienti
assemblati con cura per il comfort degli umani – e gli spogli
locali della lavanderia sotterranea destinata al lavoro degli androidi
domestici.
[ - 00:03:55 ]
Un soffio meccanico, la compatta superfice nera davanti a lui si divide
in due e Nova Barton, senza dire una parola, gli afferra un
braccio e lo trascina oltre la soglia.
Connor, osservandola richiudere in fretta la porta, rileva lo stato di
sovraccarico sensoriale ed emotivo della donna: pressione arteriosa in
aumento, battito cardiaco accelerato, temperatura corporea leggermente
superiore alla norma. Però, è illesa.
«Ha trovato il dispositivo di Malone» constata,
piatto, spostando l’attenzione sul datapad tra le mani della
giornalista: un MILAE X 9.0.
Il volto dell’altra si contrae: è
un’espressione di fastidio, e lieve repulsione.
«Era in camera da letto… la camera di letto di
Malone. L’ultimo posto al mondo in cui avrei mai voluto
metter piede. Certo che non scherzavi quando hai detto di poter
replicare qualsiasi voce… ma è legale?»
Connor inarca un sopracciglio. «Niente di quello che stiamo
facendo qui è legale.»
«Anche questo è vero. Ti prego, dimmi che hai
trovato la password.»
L’androide annuisce. «Nico Malone ha sbloccato il
datapad mentre si trovava nel campo visivo del suo androide.
Fortunatamente, non è protetto da un identificatore
biometrico: utilizza una password alfanumerica.»
Nova gli mostra un sorriso esile. Poi, getta uno sguardo alla porta
dietro di loro.
«Quanto tempo abbiamo?»
«Meno di tre minuti.»
La
porta si spalanca.
Nico Malone si blocca sull’uscio del proprio appartamento.
Fissa, attonito, giornalista e androide.
Il cuore di Nova ha fatto un balzo.
«Sei ancora qui, cazzo?»
Nova guarda l’AJ700 accanto a lei: le sta porgendo
l’impermeabile, pulito e tiepido di asciugatrice.
«Il suo androide è appena tornato» si
giustifica.
Malone fa un gesto secco con la mano, come se volesse cancellarsele
entrambe da davanti. Sembra più livido, e molto
più furibondo, di quando è uscito; va
dall’ingresso al divano e dal divano al mobile bar.
«Pezzi di plastica del cazzo… nessuna chiamata,
dicono…»
Nova sta indossando la giacca. Deve andarsene prima che Malone, in un
guizzo di lucidità, capisca cosa sta succedendo; o prima che
qualcun altro, giù nella lobby, faccia un paio di conti.
«E quei coglioni della sicurezza, sono anche più
stupidi! Ah, ma domani mattina chiamo Morozov! Io non pago duemila
dollari al mese per—»
Malone tace.
Fissa di nuovo Nova.
Lei si sente gelare. Ma, come se niente fosse, chiude la fibbia
dell’impermeabile.
«Barton…»
«Sì?»
«Se non sparisci subito, ti sbatto fuori a calci.»
Nova sistema la borsa in spalla e punta alla porta, seguita a ruota
dall’AJ700. Emma sblocca la serratura, augura un impersonale
buonasera e l’ultimo rumore che Nova riesce a sentire, prima
che i doppi battenti si sigillino alle sue spalle, è
l’anta del mobile bar che viene di nuovo aperta.
Risalendo
a bordo del taxi, Nova porta con sé qualche fiocco di neve.
Lei sprofonda nel sedile, rivolto verso l’interno
dell’abitacolo, ma il suo morale sprofonda molto
più giù, molto più in basso, fino a
lambire il mantello sotto la crosta terrestre.
Connor, sul sedile accanto, la scruta e tace; e fuori, sotto la neve
fitta, le luci del The Rowland danzano sui cofani delle automobili
parcheggiate.
Stando al registro di connessione dal datapad, Nico Malone non poteva
trovarsi negli uffici dello Zenosyne al momento della morte di Walty.
Nova schiaccia la guancia tra i denti: esiste la possibilità
che non avesse il datapad con sé, ma a questo punto non
può ignorare il fatto che le telecamere di sorveglianza
abbiano mai ripreso l’uomo tornare all’ottavo
piano. Nico Malone è una persona orrenda. Ma non
è l’assassino.
|
NOTA AUTRICE
A gran sorpresa di… non so se di tutti ma la mia di certo,
sono tornata con un nuovo capitolo. È un po’
difficile spiegare la pausa. Non ho perso interesse per questa fan
fiction. Anzi, le sono spudoratamente affezionata. Però, ho
passato quel genere di lungo, lungo, luuuungo momento in
cui, pur continuando ad amare l’idea
della storia, tutto quello che scrivo sembra pura spazzatura. In
più, ci si sono messi impegni vari ed imprevisti a
tenermi lontano dalla tastiera, sob!
Comunque, a tutti i lettori che sono qui dall’inizio e a chi
si è aggiunto nelle ultime settimane: grazie!
⊂(・ω・*⊂)
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Capitolo 26 *** Midnight test ***
C.26
026. MIDNIGHT TEST
DATA: 7 NOVEMBRE 2038
ORA: 23:36
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
I cuscini
sparpagliati, i fogli del rapporto sparsi sul tavolino da
caffè, la mug sporca, il datapad in stand by, il bloc-notes
coperto di appunti, il post-it verde con il numero di Paula Bryce:
Nova è in una stanza familiare, circondata da oggetti
familiari, ma le sembra di muoversi in un labirinto di specchi. Lascia
cadere la borsa sul linoleum, ai piedi del divanetto. Si volta, un nodo
di dolore pulsa tra le scapole, e guarda Connor: l’androide
è sulla soglia del corridoio e la sta osservando di rimando,
le sopracciglia aggrottate in una simulazione di vaga
perplessità.
Avrebbe dovuto dirgli di non seguirla fin dentro
l’appartamento, ma è stato più facile
restare in silenzio; lo stesso silenzio in cui sono rimasti durante il
viaggio in taxi.
«Beh, eccoci qui» sospira Nova. «Hai portato a
termine la tua missione, Connor.»
Connor rimane sulla porta, e sul viso rimane l’espressione perplessa. «La serratura all’ingresso è
ancora rotta. È sicura di voler restare da sola?»
Ne avesse la forza, Nova sorriderebbe. «Quante
possibilità ci sono che mi succeda qualcos’altro
oggi?»
«Non c’è qualcuno da cui può
trascorrere la notte? Un familiare? Un amico?»
Lei pensa a Emilia. Scuote la testa.
«Potrei restare io.»
Nova fissa Connor come se lui, in preda a un glitch, avesse iniziato a
parlare in cantonese. Distante, le giunge l’eco di una porta
sbattuta; forse la Sondergaard è partita per la ronda
notturna.
«Per un po’» spiega l’androide.
«Ma... mi rendo conto che dopo
l’aggressione al Gold Theater, e dopo quanto accaduto al suo
amico, la presenza di un androide potrebbe metterla a
disagio.»
Nova massaggia il collo: il dolore si sta inerpicando verso la nuca.
«Se vuoi restare, resta. Però, non credo che
Anderson sarà contento.» Nel dirlo, si china in
avanti per raccogliere la mug dal basso tavolino.
Il pavimento ondeggia.
«Dovrebbe mangiare qualcosa.»
Al pacato consiglio di Connor, Nova risponde con una smorfia
infastidita. «Non fare con me con quella cosa
che fai con i
cadaveri.» Ma l’androide ha ragione, e lei lo sa: ha
bisogno di mettere qualcosa nello stomaco e quel violento giramento di
testa ne è la conferma. Tanto varrebbe, però,
chiederle di partire adesso per un’escursione in montagna: le
viene da vomitare al solo pensiero del cibo, qualsiasi cibo.
«Non ho bisogno di accedere ai miei software di analisi per
rilevare il suo stato di salute» controbatte Connor. Il
sopracciglio destro sale un poco più su del sinistro, dando
al volto artificiale un’aria sottilmente beffarda.
«Il tenente ha ragione: lei ha un aspetto orribile.»
—
«Posso farle una
domanda?»
Nova mugugna un distratto sì; con le reni appoggiate ai
fornelli, si trastulla con un bicchiere di succo di mirtillo
nero mentre aspetta che l’acqua bollente renda i noodles
commestibili.
La ricognizione del frigorifero è stata sconfortante:
è desolato come un supermercato alla vigilia di
un’allerta uragano. Sul ripiano di mezzo, in un contenitore
di plastica trasparente, langue la triste fetta di meringata al limone
comprata al negozio dei Cheng. Mentre Nova arraffava l’ultima
confezione di ramen istantaneo al pollo dalla dispensa, Connor prima si
è sentito in dovere di suggerirle di fare la spesa il prima
possibile e poi, in apparente completa autonomia, ha occupato uno degli
sgabelli della penisola.
«Non possiede un androide domestico. C’è
un motivo?» chiede Connor, le braccia sul laminato grigio e
le dita intrecciate.
«Qui dentro un androide sarebbe più un intralcio
che un aiuto.»
«Non risulta ne abbia mai acquistati neppure in passato, di
alcun tipo. È contraria al loro uso?»
«Preferisco occuparmi da sola di me stessa e delle mie cose.»
«Posso farle un’altra domanda, signorina
Barton?»
«Se la smetti di chiamarmi ‘signorina
Barton’.»
«Come preferisce.»
«Che vuoi sapere?»
«Si considera ancora dalla parte dei devianti?»
Nova sbatte le palpebre. «Ancora?» ripete, senza
capire.
«I devianti hanno ucciso il suo amico.»
Nova abbassa il bicchiere e raddrizza il collo. Per un attimo, una
fitta di rabbia, e di dolore, le paralizza la mascella. «Io
non sto dalla parte di nessuno.» Dà le spalle
all’androide e abbondona il bicchiere sul piano accanto ai
fornelli. «Ma sono sicura di una cosa: in qualche
modo, voi… beh, alcuni di voi stanno davvero diventando come noi, nel bene e nel
male.» Strappa il coperchio della tazza di plastica con
più energia del necessario. Affonda una forchetta nel
groviglio di noodles.
Connor tace. Fuori dall’appartamento, le ultime automobili,
ronzando piano, scivolano lungo Wade Street; sempre più
desolata, sempre più bianca. E Nova continua a rimestare la
cena.
«La raffigurazione nel poster è errata»
afferma, all’improvviso, Connor.
Nova smette di brutalizzare il ramen. Si gira. Getta uno sguardo confuso al vecchio poster della NASA, attaccato
alla parete sopra il divano.
«Giove è un pianeta gassoso.
L’atterraggio di una navicella sulla
superficie non sarebbe possibile. Inoltre, la quantità di
radiazioni danneggerebbe qualsiasi strumentazione.»
«Ma è una bella fantasia, no?» Nova si
arrampica sul secondo sgabello, insieme alla tazza di noodles,
ritrovandosi davanti all’androide. «Una vacanza a spasso per il Sistema solare.»
«Sa che la compagnia Clear Skies offre un viaggio di tre ore
attorno all’orbita della luna? I loro shuttle sono
dotati di un ponte di osservazione.»
Nova abbozza un mezzo sorriso: Connor deve aver attivato la funzione
small talks, o qualcosa del genere. «So anche
che, per permettermi un viaggio del genere, dovrò vendere
caffè per quattro o cinque vite di seguito.»
«Si interessa di astronomia?»
«Non l’ho mai studiata seriamente, ma a chi non piace
guardare le stelle?»
Per un momento, si sente in vena di parlare di quando era una ragazzina
in divisa da scout, e di come ha imparato a riconoscere le
costellazioni nel cielo estivo sopra i boschi di Waterloo. Guarda la
finestra. Vede le scale antincendio coperte di neve e i mattoni sudici
del palazzo vicino, e si rende di non ricordarli più, i
boschi, di notte, in estate.
Connor è silenzioso.
Nova si gira verso di lui, trovandolo in severa contemplazione delle
proprie dita meccaniche.
«Io non ho mai visto le stelle» scandisce
l’androide, come se si fosse accorto dello sguardo della
donna su di sé.
«A Detroit non si possono vedere» sospira Nova.
«Sei mai stato in posto diverso? Fuori da questa
città, dico.»
«No.»
«Vorresti farlo?»
Connor aggrotta la fronte, lentamente. «Non lo so,
ma… credo che potrei apprezzare la vista di un cielo
stellato.»
«Davvero?»
«Nel corso della storia, il genere umano ha dedicato
molteplici opere d’arte alla volta celeste. Dunque, deve essere
qualcosa di ammirabile.»
«Non fa una piega.» Nova è tentata di
domandare in quale misura sia in grado di concepire la bellezza;
presumibilmente si riduce tutto a proporzione tra le forme e formule
matematiche. «A Walty... piaceva l'astronomia. Era bravo, lui,
nelle materie scientifiche.» I verbi al passato sono come un
chiodo rovente sulla lingua.
«Lei e Zachary Walton eravate molto legati?»
Nova prende tempo. Rimesta i noodles: più li fissa,
più l’idea di mangiarli le fa ribrezzo. «Durante gli anni del college ci siamo persi di vista, ma
abbiamo riallacciato i rapporti quando io mi sono trasferita a
Detroit.» Parla a bassa voce, quasi sussurrando.
«È stato lui a suggerirmi di vendere i miei
articoli allo Zenosyne. Eravamo legati come lo possono essere due
persone che sono state entrambe adolescenti un po’ sfigati. E
lo siamo stati sul serio, eh. Il suggello della nostra amicizia
dev’essere stato il momento in cui io lo aiutai a completare
la scheda di un personaggio, per uno dei suoi giochi di ruolo. Era uno
Zabrak.» [1]
Sente le labbra piegarsi in un sorriso amaro. Le pizzicano gli occhi.
Che dettaglio stupido da ricordare in un momento come questo. Abbandona
la forchetta.
«Diceva che con un nome come il mio avrei potuto far parte
di quell’universo. Al liceo, mi chiamava Star-girl.
Imbarazzante, lo so. Ma avevamo quindici anni. Io ero bravina con
le parole, ma lui era un asso con i numeri. Sai, c’era questa
insegnante al terzo anno, la Hurst. Insegnava algebra due. Più di dieci anni fa, gli insegnati nelle scuole era ancora
quasi tutti umani. Io non capivo mai un accidente delle sue lezioni, mi
faceva sentire così stupida. Ero terrorizzata quando mi
chiedeva di rispondere davanti alla classe. E riesco ancora a sentire il mal di stomaco prima di ogni verifica. Se non fosse
stato per Walty, che sacrificava i suoi fine settimana per spiegarmi da
capo le lezioni, non l'avrei mai passato quella classe. E avrei finito
l'anno con un esaurimento nervoso. Le mie amiche dell'epoca dicevano
che mi aiutava perché sperava di portarmi a letto. Non
capivano nulla. Walty era... lui era incapace di avere
secondi fini.»
Nova sussulta appena: Connor le sta toccando il dorso della mano. Le
dita dell’androide la sfiorano con una leggerezza calibrata a
richiamare la sua attenzione, e niente di più.
«Dovrebbe mangiare, adesso.»
/ \
\ /
È
mezzanotte. In soggiorno solo le piccole luci attorno alla finestra
sono accese e Nova, tornando nella stanzetta dopo una doccia veloce,
trova Connor seduto sul divano: la schiena diritta, una mano sul
bracciolo e l’altra sul ginocchio. Nessuna intermittenza
turba il limpido azzurro del LED quando l’androide si alza,
con un movimento fluido, pronto a lasciare l’appartamento.
Nova, invece, si avvicina al divanetto e scivola a sedere. I capelli
umidi bagnano la maglietta extralarge che usa come camicia da
notte, ma non le importa. Si sente come se avesse un palloncino pieno
d’elio al posto della testa. È esausta. Svuotata.
Si lascia andare all’indietro, sposta un cuscino sulle gambe
e si guarda attorno: i fogli del rapporto sono stati raccolti nella
cartellina, e la cartellina chiusa e riposta sulla penisola.
È stato Connor a mettere in ordine. Ma non è
stata Nova a chiederglielo.
«Non va a dormire?» domanda l’androide.
Nova non saprebbe da che parte cominciare per spiegare il panico
che
prova al pensiero della camera buia e del letto vuoto che
l’attendono. Così, resta zitta e fissa il
pavimento: la soffusa luce violacea non riesce a nascondere il pessimo
stato del linoleum. E mentre lo pensa, Nova si rende conto di star
fissando proprio il punto in cui ha rischiato di morire; sovrapensiero,
accarezza la base della gola, e i lividi sul lato del collo.
Il cuscino sotto di lei si inclina, piano.
Nova alza lo sguardo.
Connor ha ripreso posto sul divano, alla misurata distanza di due palmi
e mezzo.
«Posso fare qualcosa prima di andare via?»
Nova continua a guardarlo.
E l’androide ricambia lo sguardo, alzando dolcemente le
sopracciglia.
Sì, pensa Nova. C’è qualcosa che
potrebbe fare. Potrebbe abbracciarla. Potrebbe permetterle di
rannicchiarsi contro il suo corpo, di abbandonare la testa sul suo
petto, di ascoltare i brusii degli ingranaggi nella cassa di
carbonio e lasciarla illudersi che il pulsare della pompa sia il
battito di un cuore vero.
Fa cenno di no con la testa. «Ti ho costretto a fare anche
troppo.»
«Lei non mi ha costretto» puntualizza Connor.
Nova sorride mesta. «Hai scelto liberamente?»
«Ho preso delle decisioni, sulla base delle valutazioni
operate dei miei algoritmi.»
Decisioni. Nova distoglie lo sguardo, la bocca improvvisamente arida.
«Ho detto qualcosa che l’ha turbata?»
«Walty mi ha mandato un messaggio, poco prima
di—» Morire. Non riesce a dirlo.
«E io l’ho ignorato. Ho perso l’ultima
possibilità di parlargli. E adesso continuo a pensare che se
avessi risposto, se gli avessi detto qualcosa per farlo uscire prima da
quel maledetto ufficio…»
«Non è detto che una diversa decisione da parte
sua avrebbe mutato l’esito degli eventi.»
«Avrei potuto salvarlo... fossi stata meno stupida. Meno
orgogliosa.»
«Temo di non comprendere.»
«L’altro giorno, dopo che te ne sei andato, avevo
pensato di telefonare a Walty. Di parlargli di quello che mi era
successo. Invece, mi sono chiusa in casa, a ignorare tutti, a lavorare
a
questa dannata storia della devianza. Avrei dovuto avere il coraggio
di...
chiedere aiuto.»
«I devianti hanno ucciso il suo amico, Nova. Non ci sono
altri responsabili.»
Lei ha mala pena lo ascolta. «Vorrei essere come te. Nessun
dubbio, nessun rimpianto, nessuna emozione. Solo una missione da
inseguire.»
La neve cade fitta dietro la finestra, dietro le lamelle della tenda
abbassata. Cade, e cade, e da Connor non arriva nessuna frase di
conforto. Il mutismo dell’androide si protrae così
a lungo che Nova, cogliendo con la coda dell’occhio il
frenetico giallo del LED, si riscuote dai propri pensieri. Osserva
il profilo di Connor: la testa china, la fronte aggrottata, gli
avambracci sulle cosce, le mani che ciondolano scompostamente tra le
ginocchia. Le dita della sinistra sfregano sulla destra: si sta
torcendo le mani. È sicura di non averlo mai visto prima
imitare un gesto simile.
«Che ti prende?»
Connor arresta il movimento delle mani. Scuote il capo. «Non
sono efficiente come dovrei.»
«Che stai dicendo?»
«L’Eden Club. Io…»
L’androide tace, come se faticasse a elaborare. Il LED
è sempre instabile. «I devianti non sono scappati.
Io li ho lasciati scappare. Potevo sparare. Potevo colpirli. Ma… non l’ho fatto.»
«Hai detto che non potete fare analisi su androidi
danneggiati.»
«Sì, ma quando Amanda ha voluto una spiegazione—»
«Chi è Amanda?»
«L’interfaccia dei miei programmatori. Non sono
stato in grado di dare una spiegazione.» Connor parla piano,
eppure il tono è quanto di più simile a
un’esclamazione frustrata che Nova gli abbia sentito
simulare.
«Se non catturerò i devianti dello Zenosyne,
verrò sostituito.»
«Sostituito? Da… chi?»
«Da un modello più adatto.»
«E tu?»
«Tornerò alla Cyberlife per la disattivazione e le
analisi. Vorranno capire perché continuo a
fallire.»
«Disattivazione.» Il fastidio punge Nova, come
acqua fredda giù per la schiena. «È una
soluzione drastica.»
«È la procedura.»
«Non è giusto!»
Connor alza gli occhi su di lei. «Giusto?» ripete,
come se il significato del termine non fosse tra i suoi file.
«Nei tuoi confronti.»
«Non c’è motivo di mantenere in funzione
una macchina che non è in grado di svolgere il lavoro per il
quale è stata progettata.»
«Davvero non ti importa di venir
disattivato?» chiede Nova, a bassa voce.
«Accadrà in ogni caso. Se fermerò la
devianza, non ci sarà più bisogno di me. Se
fallisco, il mio posto verrà preso da un altro androide.»
Nova sposta il cuscino e scivola più vicino a Connor; la stoffa dei jeans è ruvida contro il suo ginocchio
nudo. «Ma se non ci fosse nessuna missione, se fossi libero
di scegliere, cosa vorresti fare? Chi vorresti essere?»
Connor risponde con un’espressione dura che
sembra fatta apposta per suscitare timore durante un interrogatorio.
Ma Nova non esita. «Perché sei qui,
Connor?»
Il LED lampeggia. «Qui?»
«Con me. Non sei programmato per prenderti cura degli esseri
umani.»
Con un battito di palpebre, il volto dell’androide passa dalla
severità alla condiscendenza. «Non sono un deviante, Nova.
Sono una macchina, e
niente altro. Lo ha detto anche lei, poche ore fa.»
«Non avrei dovuto dirlo.»
«Ma io sono una macchina.»
«Voglio dire che non avrei dovuto parlarti in quel
modo» sussurra Nova. «Ero arrabbiata. Me la sono presa con te. Non dovevo farlo.» Solleva una mano.
È ubriaca di stanchezza, stordita dallo sconforto, e le
sembra di avere un filo invisibile legato al polso; un filo che
controlla i suoi gesti.
Avvicina la mano al viso di Connor. I polpastrelli
toccano la sporgenza dell’esoscheletro che modella lo zigomo.
La pelle sintetica inganna la vista quanto il tatto: la sente calda,
come le proprie dita, e più calda di quando gli ha stretto
la mano su Elmhurst Street. Con la punta dell’indice
traccia la circonferenza del LED, più piccolo di un penny.
È freddo, solido, levigato; a tratti, aritmicamente,
velocissimi flash gialli disturbano la luce azzurra.
«Io ti terrei. Efficiente o no, io terrei con me.»
Le dita scendono lungo il mento, leggere, come se stessero toccando un
fragilissimo oggetto di cristallo. E sotto le carezze studiate, Connor
rimane davvero immobile come una
statua. Nova ne cerca lo sguardo: le sopracciglia sono inarcate sopra
gli occhi irrequieti, il nero
della pupilla è animato dal riflesso delle luci alla
finestra, il LED è diventato giallo. Nova crede di vederlo
pulsare al ritmo del proprio respiro; e sono così vicini che, se
anche l’androide avesse la
capacità di respirare, lei potrebbe sentirne il respiro sul
viso.
Lascia scivolare la mano fino al collo, dove non
c’è nessun battito. E attende. Attende che l’androide la
fermi, o che l’allontani, o che si tiri indietro. Che
reagisca in qualche modo, qualsiasi modo.
Ma Connor non fa nulla e lei lo bacia. Sulla bocca, con tenerezza, a
occhi chiusi. Lo bacia fino a quando la fredda inerzia della macchina
non diventa insopportabile.
Nova si allontana e ritira la mano in grembo. Ha intravisto un bagliore
rosso sulla tempia di Connor, prima che il LED tornasse a lampeggiare
di giallo. Azzarda un mezzo sorriso. «Allora, hai sentito qualcosa?»
Connor batte le palpebre.
«Qualche… sensazione positiva?»
Un altro battito.
Il sorriso di Nova vacilla. «O negativa? Fastidio?
Disgusto?»
Connor appiana i lineamenti in un’espressione tremendamente
calma. «È molto tardi. Devo
rientrare alla Centrale.» Si alza in piedi.
Nova annuisce. Un principio di calore sale dal collo alla faccia e
comprende, di colpo, di essere lei quella in balia di sensazioni
negative.
«Catturerò quei devianti, Nova» assicura
Connor, indugiando a metà strada tra il divano e la porta.
«Glielo prometto.»
|
NOTE.
[1] Una delle specie che popolono l'universo di Star Wars.
|
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Capitolo 27 *** Mornings are for coffee and contemplation ***
C.27
027. MORNINGS ARE
FOR COFFEE AND CONTEMPLATION
DATA: 8 NOVEMBRE 2038
ORA: 07:09
RAVENDALE DISTRICT, WADE STREET
La
palazzina si sta svegliando: al piano di sotto c’è
una TV
accesa, qualcuno scende le scale, una porta sbatte. Nova ascolta, e
intanto contempla il soffitto della sua camera. La sveglia ha suonato,
come ogni mattina, alle cinque e cinquanta ma
lei è rimasta a letto, a scivolare dentro e fuori il sonno,
tra
sogni agitati e una realtà in cui anche respirare
è faticoso. Sposta le coperte, poggia i piedi nudi sulla
moquette e infila una mano tra i capelli spettinati. Walty. Palmer.
Anderson. Malone. È successo tutto veramente?
Quando finalmente trova la forza di separarsi dal materasso, si
avvicina alla
finestra. Reprime un gemito: ogni centimetro del suo corpo, dalle
palpebre alle caviglie, è impastato di un dolore
acuto e bruciante, come se avesse passato una settimana tra i Navy
Seal. E sbircia tra le lamelle
della tenda. Un’alba grigia e ovattata si allunga su Wade
Street
e un piccolo spazzaneve automatizzato ripulisce l’asfalto
davanti
al negozio dei Cheng; i cumuli bianchi ai lati della strada sono
più alti: ha nevicato tutta la notte.
Quasi
un’ora più tardi, è impossibile
indovinare che Nova sia reduce da
un pianto sotto la doccia. Si muove svelta
tra frigorifero e macchina del caffè;
indossa un paio di jeans neri e un maglioncino alla marinara; i capelli
sono raccolti in una coda alta e
una ciocca solitaria cade leggera sullo zigomo in lenta via di
guarigione; gli anellini d’acciaio, sapientemente distribuiti
tra le dita, battono contro la ceramica bianca e pulita di una mug
ancora vuota. Nova ha chiuso il rapporto della polizia nel
cassetto della scrivania e ha controllato il telefono soltanto per
assicurarsi che non ci fossero messaggi
e notifiche importanti. Ma non ci sono news riguardo
all’omicidio sulla State Street: la caccia ai
devianti dello Zenosyne dev’essere ancora in corso.
I cerali tintinnano nella scodella. Lei li innaffia con il latte
rimasto nell’ultimo cartone; poi, toglie la caraffa dalla
macchina per il caffè e riempie la mug. Di solito, adora il
profumo di caffè appena fatto al mattino e nemmeno il lavoro
al
John’s Coffee è riuscito a toglierle quella
minuscola fonte di felicità. Ma non
questa mattina. Questa mattina, Nova fissa le bollicine di latte lungo
i bordi della scondella, sente lo stomaco borbottare per la fame e le
tempie pulsare per un mal di testa che non se ne è mai
davvero andato, e pensa a Walty. Un cadavere martoriato, chiuso in un
obitorio.
Inspira. Inghiotte a vuoto. È il suo ultimo giorno
libero e ha promesso a sé stessa di trascorrerlo in
casa, e
di affrontarne ogni minuto con calma, con buon senso, con indulgenza
verso sé stessa. Si fa forza, e con i cereali in una mano e
il caffè nell’altra, raggiunge
il divano.
La TV è accesa: gli ospiti di un talk show sulla KNC
stanno dicendo qualcosa sulla presidente Warren, sul consenso
elettorale sceso al trentatré per cento e sul più
alto
livello di disoccupazione degli ultimi dieci anni. Per Nova
è
semplice rumore bianco di sottofondo, mentre guarda il cuscino accanto
a sé, lo spazio vuoto, e una piccola parte di lei si
rammarica che Connor non sia più
lì. È un desiderio sciocco ma, in questo
momento, non ha la forza di imbrigliarlo nella razionalità;
proprio come la notte precedente non è riuscita a sedare il
desiderio, e la curiosità, di baciarlo. Già, lei
lo ha baciato. Ma
perché diavolo le è venuto in mente di baciare un
androide, poi? Che cosa si aspettava? Che si trasformasse, per magia,
in un uomo?
«Non sono un deviante, Nova. Sono una macchina, e niente
altro.»
Nova aggrotta la fronte e trattiene un sospiro. Tutto quel parlare di
fallimenti e sostituzioni sembrava
preoccuparlo, sì, ma ieri notte lei era stravolta e forse ha
visto più di quanto ci fosse in realtà. Non
dubita,
invece, del pragmatismo della Cyberlife; né ha problemi a
credere che siano pronti a cambiare Connor con un modello
più
funzionale. Lo rinchiuderanno in uno dei loro laboratori, gli tireranno
fuori tutto, come con un animale da vivisezionare: biocomponenti, dati,
informazioni. E butteranno i resti in una delle discariche fuori
città.
«È
la procedura.»
Che si fotta la
procedura, e tutta la Cyberlife, conclude Nova, buttando
giù un sorso di caffè.
In TV, il dibattito è stato interrotto da un servizio:
immagini di
repertorio della presidente Warren si alternano a riprese di proteste
in strada: New York, Boston, Dallas, Chicago. Cortei di uomini e
donne, ragionevolmente infuriati, che agitano cartelli.
‘...a pesare sul consenso elettorale della Presidente
è
anche l'indagine in corso in merito a presunti legami tra il suo
governo e la Cyberlife’ sta dicendo la voce di un reporter.
‘Warren è accusata di aver ottenuto, durante la
campagna
elettorale dello scorso anno, informazioni compromettenti riguardo ai
propri oppositori grazie alle tecnologie diffuse dalla multinazionale.
A questo proposito, si fanno sempre più pressanti e numerose
anche le accuse, rivolte da esperti del settore direttamente alla
Cyberlife, di utilizzare gli androidi in commercio per registrare le
conversazioni private dei cittadini e vendere le informazioni ricavate
ai loro partner commerciali. E ricordiamo che, secondo le ultime stime,
gli androidi sul territorio nazionale sono circa 120
milioni...’[1]
Nova ruota la mug tra le mani, sovrappensiero.
«Walton ha mollato il lavoro. Diceva che tentare di forzare i
sistemi di sicurezza dei quei laboratori è
impossibile.»
Laboratori. Malone ha parlato di laboratori.
Voleva forse che Walty trovasse informazioni proprio sulle
attività nei laboratori della Cyberlife? Ha senso, riflette
Nova. In questo
momento, i malfunzionamenti degli androidi sono il tallone di Achille
della Cyberlife.
E, improvvisamente, immagina una possibilità che la sera
precedente non ha considerato neppure per un attimo. Immagina anche che
il tenente Anderson l’accuserebbe di lavorare di nuovo di
fantasia, ma Anderson non è qui a dissuaderla, questa volta.
/ \ \ /
Appena
il taxi ha
imboccato John Street, la prima cosa di cui Nova si è
accorta,
tenendo d’occhio il percorso su display di comando,
è di
essere tornata dalle parti di Winder Street e del Gold Theater: a mezzo
miglia di distanza, per l’esattezza.
Ma lei è scesa su inizio di Erskin Street dove quelle che un
decennio prima erano graziose casette dalle tinte pastello si sono
ridotte, nei casi migliori, ad alloggi per chi non può
permettersi di meglio; e in quelli peggiori, a stamberghe con le
grondaie
a penzoloni, le finestre sfondate e cartelli con la scritta VENDESI
che spuntano delle erbacce.
Nova si ferma sul marciapiede, davanti al numero 281. Una recinzione in
rete la separa da un misero ritaglio di praticello. Quella stretta
casa,
d’un giallo sbiadito, con la tettoia sbilenca e lo
scheletro di un dondolo sul portico, le ha sempre fatto pensare alla
cabina nel bosco di The
Evil Dead.
Fu il primissimo commento con cui se ne uscì, quando vide
dove
abitava Walty. E Walty rise di gusto e apprezzò; anni prima,
era
stato proprio lui a convincerla a vedere quel film dagli effetti
speciali comicamente datati. Il fatto che entrambi abitassero in case
degne di una pellicola horror era diventata una battuta ricorrente.
Scherzavano sul fatto che, prima o poi, sarebbero crepati in quella
mezza fogna di città, proprio come in horror, e
scommettevano su
cui ci avrebbe rimesso le penne per prima. Nova puntava tutto su
sé stessa. «Le bionde sono sempre le prime a
tirare le
cuoia» gli diceva sempre.
Nova scaccia violentemente il ricordo, mentre si accanisce contro il
basso cancello, bloccato dalla neve ammucchiata dall’altro
lato.
Attraversa il minuscolo giardino e sale sul portico. Suona il
campanello: uno stridio asmatico, piacevole come una forchetta su un
piatto. Dall’altra parte della strada, un
cane abbaia furioso contro
un’automobile risale pigramente Erskin Street; da una
finestra,
una donna, furiosa anche lei, strilla al cane di stare zitto.
Nova sta per suonare di nuovo il campanello, quando da dietro la porta
arriva una voce: è maschile, e per niente di buon umore. A
nessuno piace
ricevere visite alle nove del mattino.
«Chi è?»
«Polizia.»
Il suono secco di un chiavistello, lo scatto di una serratura e due
occhi, neri come quelli di un roditore, spiano Nova dallo spiraglio tra
la porta e lo stipite.
«Tu non sei della polizia» esordisce Paszek,
coinquilino di
Walty dallo scorso luglio. Ha tre anni meno di Nova ed è
magro come lo era Walty, a parte il principio di tondo ventre da birra
e
divano che spinge sotto la maglietta color cachi. Lui e Nova si sono
incontrati una mezza dozzina di volte e parlati anche meno; a lei non
è mai piaciuto granché: le ha subito dato
l’impressione di essere un caotico adolescente infilato nel
corpo
di un maschio adulto.
«Sei l’amica di Walton. La giornalista.»
«Sì, scusa» risponde Nova, con calma.
«Non volevo pensassi che fossi qui per un altro
motivo.»
Paszek non sembra seguire il filo del discorso. Si passa una mano lungo
la calotta rasata. Stringe le labbra. «Senti, io non so come
dirtelo, ma—»
«So cosa successo.»
Paszek strofina un’altra volta la testa.
«Un gran bello schifo.»
«Senti, Tobias... Tobias, giusto? Posso chiederti un
favore?»
«Ehi... ehi, ascolta, non prenderla sul personale, ma io con
i
giornalisti non ci voglio avere niente a che fare, okay?»
«No, te l’ho detto: non sono qui come
giornalista.»
«Ah... mmh… okay.»
«Posso vedere la camera da letto di Zach?»
Silenzio. Paszek guarda Nova come se lei gli avesse appena
proposto di unirsi a una setta di necrofili.
«Ma che problemi hai?» soffia.
Nova fa appello alla pazienza. «Per favore, è
importante.»
«Pervertita del cazzo...»
«I computer, Tobias. Devo controllare i computer.»
L’espressione di Paszek passa dal sommo disgusto al sospetto.
«Non ci sono più, quelli.»
«Che vuol dire?»
«Che non ci sono più» ripete Paszek.
«Li ha presi la polizia.»
«Quando?»
«Ieri pomeriggio.»
«Perché?»
«Che ne so, non faccio domande alla polizia!»
«Ma non ti hanno detto niente? Nessuna spiegazione?»
Paszek sospira e si stropiccia per la terza volta la testa.
«Sono
venuti la mattina per dirmi che cazzo era successo, e poi si sono
ripresentanti qualche ora dopo. Hanno portato via due computer, i
datapad e pure quello stronzo di androide che avevamo per
casa.»
«Perché hanno preso l’androide
domestico?»
«Ma che cazzo ne so! Era di Walton. Io gli ho detto di
tenerselo.
Se non l’avessero portato via loro, l’avrei
smontato io con
le mie mani, pezzo per pezzo. Non voglio mai più avere uno
di
quei cosi
intorno.»
Nova fissa la faccia nervosa e immusonita di Paszek.
«Chi erano gli agenti?»
«E secondo te mi sono segnato nome e cognome?»
La testa di Nova macina domande. La polizia è interessata ai
computer personali di Walty: perché? Hanno scoperto la sua
attività di hacker? Come? Non può essere stato
Malone a
vuotare il sacco: è già nei casini. Forse qualcun
altro,
in redazione, sapeva e ha parlato? È possibile.
Però, se la polizia
ha sequestrato i computer ieri
pomeriggio, perché ieri sera
né Anderson né Connor le hanno accennato alla
cosa? Hanno omesso di proposito?
La porta sbatte.
Nova sussulta.
Poi, impreca tra i denti e si attacca al campanello.
«Paszek,
apri! Dobbiamo parlare!»
«Sparisci o chiamo la polizia!»
|
[1] Questo passaggio
è basato su due articoli che è possibile leggere
nel gioco: President
Warren: A Woman in Trouble e Is Your Android Spying on You?
NOTE.
Bene, dopo il fluff, torniamo momentaneamente a concentrarci
sull’indagine. E a proposito di indagini, il titolo di questo
capitolo è pescato dalla prima stagione di una serie famosa:
l’avete riconosciuta? È Stranger Things.
Sempre grazie a tutti voi che continuate a passare di qui, e grazie per
sopportare con pazienza le attese tra un aggiornamento e
l’altro.
Ci si legge la prossima settimana, con il prossimo capitolo!
♥
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Capitolo 28 *** You are my only hope (Obi-Wan) ***
28
028. YOU ARE MY ONLY
HOPE (OBI-WAN)
DATA:
8 NOVEMBRE
2038
ORA:
09:14
MIDTOWN,
ERSKIN STREET
Nova
atterra in piedi sulla neve intonsa e gli stivali grigi affondano fino
a metà polpaccio. Quando ha deciso di avventurarsi fuori dal
suo appartamento, non immaginava che la mattina avrebbe
compreso staccionate da scavalcare e proprietà
private da violare; adesso, è contenta di
aver comunque inghiottito un paio di pasticche di antidolorifici prima
di uscire. Si guarda attorno, cauta: è nel cortile sul
retro. L’erba lungo la staccionata è
così alta da spuntare dalla neve. Raggiunge la veranda e
sale i tre gradini di ferro. Conosce la casa: la porta sul retro
dà accesso alla cucina e, di solito, Walty non aveva
l’abitudine di chiuderla quando era in casa.
Nova si appiattisce contro il muro, immobile, in ascolto dei suoni
dietro la porta: sportelli che sbattono, un acciottolio di stoviglie,
poi colpetti deboli e distanti; forse passi attutiti dalla moquette
sulle
scale. Lei rimane ferma. Attende. E attende, ancora. Fino a quando non
è assolutamente sicura di non udire più alcun
rumore. Allunga la mano verso la porta e trattiene il respiro tra i
denti, pregando che Paszek non sia più guardingo di Walty.
La serratura scatta.
Nova sospinge la porta. Sbircia all’interno.
Nessuno.
Batte piano i piedi contro lo stipite, per liberarsi della neve
attaccata alle suole di gomma nera, e poi sgattaiola dentro mentre
i cardini cigolano stanchi dietro di lei.
La cucina è spartana, e virilmente in disordine;
c’è odore di qualcosa rimasto a friggere
più del necessario e il linoleum screziato è
appiccicoso come il pavimento del John’s Coffee alle sette di
sera. Un arco incornicia uno scorcio del soggiorno: pareti ardesia e
senza quadri, un caminetto elettrico, un divano color ocra, una lampada
con il paralume storto, e nessuna traccia di Paszek.
Dev’essere al piano superiore.
Nova attraversa il soggiorno, raggiunge le scale, le sale in punta di
piedi.
Inchioda sul penultimo gradino: voci. Due uomini discutono.
E lei è così agitata da impiegare qualche secondo
in
più del normale per capire che le voci non
appartengono a
persone in carne e ossa, lì, in casa. La prima porta, a una
falcata di distanza dalla scale,
è accostata. È la stanza di Paszek. Ha acceso la
TV e qualcuno sta commentando la vittoria della sera
prima dei Dallas Cowboy.
Nova guarda in fondo al breve corridoio. Prende fiato e, svelta e
silenziosa, marcia verso una porta bianca con un tondo pomello color
ottone.
La
finestra è chiusa, ma il grigiastro chiarore del mattino
filtra tra le
lamelle e disegna linee bianche e spettrali sulla moquette
del pavimento. La polvere luccica nell’aria ferma.
C’è comunque luce a sufficienza per distinguere le
sagome che affollano la camera: un caos pari a
quello della stanza di un adolescente, la cui madre non fa altro che
gridargli dietro di mettere in ordine.
Nova preme l’interruttore della luce. Il cuore
è diventato due volte più grosso, e
più pesante. Vede l’esistenza di Walty nella
bottiglia di soda ancora mezza piena sul comodino, nella parola pausa
che lampeggia pigramente sul display dello stereo, nel
mosaico di post-it della bacheca di sughero sopra il letto: liste di
cose da fare che non verranno mai fatte, che non hanno più
nessuna importanza. Che fine farà adesso la lava lamp vicino
al letto? E la
collezione di action-figures di
Star Wars sopra la cassettiera? E il
poster dei Blind Foxes,
firmato dal frontman? Walty diceva che i Blind Foxes
– due anoressici ometti di Kansas City e un androide con un
look degno di un manga ambientato in un futuro
distopico – erano la punta
più alta mai raggiunta dal synth-pop. L’opinione
di Nova è sempre stata meno generosa: a parer suo, un gatto
zoppo a passeggio un sintetizzatore scassato sarebbe in grado di
comporre musica migliore. Ma darebbe qualsiasi cosa, adesso, per vedere
Walty sdraiato sull’informe pouf ai piedi del letto ad
ascoltare Set Me Free a
tutto volume.
Nova solleva la schiena dalla porta, passa una mano sul viso e fa
sparire le
lacrime.
Si avvicina alla scrivania: il piano è pulito e spoglio;
troppo pulito e troppo spoglio, contrasta con il disordine del resto
della camera. Lei la ricorda occupata da due computer e almeno un paio
di datapad. È sparito tutto. Dunque, Paszek sembra aver
detto la verità: la polizia ha scoperto
l’attività di Walty e sequestrato i computer.
Hanno individuato un nesso diretto l’omicidio? E quale?
Poco
più di un’ora fa, a Wade
Street, Nova si è chiesta se Walty non abbia semplicemente mentito a Malone.
Se fosse riuscito a superare i sistemi di sicurezza dalla Cyberlife, se
avesse trovato informazioni che, per qualche motivo, non ha voluto
consegnare allo Zenosyne? Ed è possibile che la polizia
abbia avuto lo stesso sospetto? Ma la polizia non conosce Walty
come lo conosce lei. Era generoso, non
sprovveduto. Non avrebbe lasciato nulla di compromettente sui propri
computer e, come hacker, doveva sapere quanto la rete sia
vulnerabile.
Nova apre i cassetti della scrivania; trova un block-notes pulito
ma con qualche foglio mancante, una biro senza il cappuccio, fazzoletti
appallottolati, un sacchetto di Gummy Bears; poi rovista nella
cassettiera, tra le t-shirt e le camicie, tasta il fondo dei cassetti,
cerca nelle tasche dei jeans piegati alla bell’e meglio. Alla
fine, richiude l’ultimo cassetto e si ritrova a scambiare
un’occhiata afflitta con il Darth Vader bidimensionale nella
locandina de L’Impero
colpisce attaccata sopra la
cassettiera. Scuote la testa: non sa
nemmeno lei cosa sta cercando esattamente. Avanti, se fossi Walty,
cerca
di ragionare, oltre le stilettate del mal di testa, se avessi davvero
in mano informazioni importanti, dove le nasconderei?
Guarda di nuovo
la locandina; poi, il poster accanto: un altro film Robots of Shadow,
e il successivo, Assassinio
al centro della Terra. Osserva la piccola
folla di action-figures e ritrova qualcuno di sua
conoscenza: ci sono due R2-D2, ma quello più grosso, delle
dimensioni di una lattina di birra e con la pittura blu tutta
scheggiata, non è una vera action-figures da collezione;
è un portaoggetti di latta che Nova scovò per
caso in un mercatino delle pulci a Saline Road, più di dieci
anni fa. Lo regalò a Walty, per il suo sedicesimo compleanno.
Nova prende tra le mani l’astro-droide in miniatura. Tamburella
le dita sulla testolina semisferica; e sorride: una smorfia distorta
dalla nostalgia. Scuote il portaoggetti, piano: non c’è
niente dentro. E per
assicurarsene, ne ruota la testa fino a sfilarla dal
corpo. Vuoto. Lo richiude.
Quasi.
All’ultimo istante, qualcosa cattura il suo sguardo.
Nova volta il
tappo. È all’interno della calotta: un piccolo
aggeggio,
nero, rettangolare, fermato da un pezzetto di nastro adesivo
trasparente.
Lei lo stacca con religiosa cautela. Sul lato
dell’oggettino rivolto contro il tappo,
c’è un’etichetta.
«Che cazzo stai facendo?»
Nova sussulta.
Mette giù il droide, lascia
scivolare l’oggettino nero in tasca e si volta, calma.
Paszek è nella stanza, con una pistola.
«Tobias, quella non è necessaria, lo
sai.»
«Lo so? Lo so?» strepita Paszek. Stringe la pistola in una
mano sola e gliela agita contro, come l’ultimo arrivato nella
gang delle
Testepiatte.
Nova indietreggia, ma la cassettiera la blocca e la sua calma si incrina.
Teme che Paszek sia il genere di persona a cui piace sentire una
pistola tra le mani, e ancora di più gli piace avere
l’occasione di puntarla contro qualcuno.
«Che cazzo ne so, io, di quello che vuoi tu, eh? Sei entrata
di nascosto, in casa mia!»
«E adesso me ne vado. Non c’è bisogno
di—»
«No, tu non ti muovi da qui, stronza. Te l’ho detto
che avrei chiamato la polizia.»
/
/
DATA:
8 NOVEMBRE 2038
ORA: 10:02
DPD
CENTRAL STATION
Errato.
C’è qualcosa di errato. Qualcosa che il software,
dietro le lente pulsazioni del LED, sta cercando di diagnosticare
mentre Connor, in silenzio, sorveglia la conversazione tra il tenente
Anderson e la giornalista. Una conversazione che, l’androide
se
ne rende conto, ha la conformazione di un monologo da parte dell’umano
di fianco a lui.
«Le parole violazione di domicilio non ti sono familiari?» domanda Anderson, a braccia
conserte; il suo umore, stando ai rilievi di Connor, oscilla
tra irritazione e diffidenza.
La giornalista, dall’altro lato del pannello antisfondamenta
della cella 1, non risponde ad Anderson. Non lo guarda nemmeno. Siede
sulla panca con i palmi sulle gambe, la schiena un po’ curva,
lo sguardo fisso sulle punte degli stivali grigi.
«Che stavi facendo in quella casa?»
Nessuna risposta.
«Cercavi qualcosa?»
Ancora silenzio.
«E va bene, fa’ come cazzo ti pare»
taglia corto
Anderson. «Goditi la mattinata qui dentro. Magari ti passa la voglia di ficcare il naso dove non ti
riguarda.» Fa cenno
a Connor di seguirlo, ma prima che lui possa obbedire, e prima che
Anderson possa fare più di tre passi, la
voce di Nova raggiunge i suoi sensori audio.
«Aspetti!»
La donna si avvicina alla parete. Anderson, indolente, torna indietro.
«Tenente, io... devo parlarle. In privato. Soltanto io e
lei.»
«Certo. Ti faccio anche portare da bere, già che
ci siamo. Vuoi una birra? O è troppo presto? Meglio un caffè?»
In risposta al sarcasmo del tenente, Connor pronostica
un’energica replica parte della giornalista. Invece, la donna
tace: la bocca pallida è serrata in una linea dura; gli
occhi chiari, fissi su Anderson, appaiono stanchi ma risoluti; scuote
la testa, volta le spalle al tenente e si rimette seduta.
Anderson sibila un’imprecazione. Come poco prima, fa per
tornare alla sala centrale; come poco prima, deve bloccarsi dopo pochi
passi.
Si gira. «Connor!» chiama, spazientito.
«Che stai
facendo?»
Connor è ancora davanti alla cella. Ignora il rischio di
danneggiare la relazione con il tenente, segnalato dal software, e
prosegue nel monitorare il profilo della donna: Nova sta
tenendo i palmi sulle gambe per impedire alle ginocchia di
sobbalzare, ma il nervosismo si trasmette alle mani; lui la vede stringere
piano la mancina attorno al polso destro, per trattenere un
appena percepibile tremore nelle dita.
[ FREQUENZA CARDIACA: 86 BPM
LIVELLO DI STRESS: 79% ]
Connor aggrotta la fronte: ha diagnosticato l’elemento errato. Dal
momento in cui lui e il tenente si sono presentati
davanti alla cella 1, Nova non ha mai, nemmeno una volta,
incrociato il suo sguardo. Non è un comportamento casuale:
sta evitando di proposito di guardarlo.
«Tenente, forse dovrebbe ascoltare che cosa ha da
dirle.»
«Cristo santo, Connor...»
L’androide si volta verso il tenente, distende la fronte,
solleva le sopracciglia.
«Cosa abbiamo da perdere?»
Per un lungo momento, Anderson lo fissa di rimando. Poi, espira a denti
stretti. «Ma porca troia…» Si avvicina alla cella e appoggia il palmo sul monitor tattile. Il
meccanismo di chiusura viene disattivato. «Hai cinque minuti.»
|
NdA.
Nuovo
capitolo, altre citazioni. Ah, il bello
delle fan fiction: poterci ficcare dentro riferimenti a qualsiasi
opera, e non preoccuparsi dei diritti. Rimanendo in tema di citazioni:
l’ultima frase di Connor è
volutamente uguale a quella pronunciata da Anderson quando,
all’inizio del gioco, lascia che Connor interroghi
l'androide di Ortiz. Mi piaceva l’idea di fargli giocare la
carta reverse
(+ puppy eyes)
per mostrare come stia
imparando i ‘trucchetti umani’. Si
può considerare canon il fatto che Connor tenda a imitare,
in
una certa misura, i modi di Hank. Ricordo di aver letto una
dichiarazione, fatta dell’interprete di Connor, su come certi
dettagli siano stati inseriti per sottolineare come Connor sia
un’intelligenza artificiale che impara costantemente
dall’ambiente che lo circonda.
On another note, per questo capitolo ho tentato un’impaginazione
diversa. Ma non so, forse è meglio
mantenere il font base del sito. Che dilemmi ఠ_ఠ
Al prossimo aggiornamento! ♥ |
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