La principessa e il drago

di Leolinda
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fior di Spiana e Bianco Latte ***
Capitolo 2: *** 1 ***
Capitolo 3: *** 2 ***
Capitolo 4: *** 3 ***
Capitolo 5: *** 4 ***
Capitolo 6: *** 5 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 7 ***



Capitolo 1
*** Fior di Spiana e Bianco Latte ***


Fior di Spina camminava per quelle terre bruciate mentre la fullicine le riempiva i polmoni e dietro di sé crescevano ancore le fiamme e le grida. La tosse e quei suoni strazianti la accompagnarono finché non fu abbastanza distante da sentire il suono di un ruscello e l'aria pulita intorno a sé. Ma la memoria persisteva a ricordarle cosa fosse accaduto pochi minuti prima. Mentre lei era tranquillamente distesa a terra e una creatura mostruosa attaccava il suo villaggio, ricordò il passi affrettati dei cavalieri che fuggirono mentre lei fecce la cosa più insensata che una ragazza potesse fare. Afferrò la spada dall'impugnatura di drago di suo fratello e l'armatura per poi coprire il ruolo che non erano riusciti a prendere quei poveri ragazzi, ma le carte in tavola cambiarono quando uscita dalla piccola casa le fiamme iniziarono a prendere anche lei... Appena il luccichio dell'acqua arrivò alla sua vista la ragazza si fiondò sulla riva e iniziò a rinfrescarsi e pulirsi dalla furiggine che le avevano riempito il viso e l'armatura. L'armatura che un tempo era immacolata e scintillante ora era segnava da tagli e solchi che suo fratello avrebbe guardato con orrore. Fior di Spina ricordava quando vide il corpo inerte e pallido di suo fratello, che una volta era bello e forte ora, invece,  aveva il volto segnato da una profonda bruciatura e una smorfia di dolore che le faceva venire i conati di vomito ogni volta che la guardava, ora giaceva in quella fossa e ricordò quando fu lei a doverla ricoprire con il terriccio fresco e cupo. Cupo come l'anima di chi l'aveva ucciso, come il vuoto che aveva lasciato dentro di sé. Si pulí le braccia e le mani ricordando ancora chi aveva preoccupato le bruciature e i tagli su di essi, le cicatrici erano segni rossi sulla sua pelle pallida e i ricordi erano impronte nere nella sua mente. La creatura non aveva lasciato tregua neanche ad un centimetro del suo misero corpo e quando stancamente fecce cadere in avanti la testa, sporchi capelli castani le coprirono il volto. Quando si voltò poco dopo vedeva ancora le fiamme mangiare la sua casa, il suo paese, la sua vecchia vita. Ritornò a guardare lo specchio d'acqua e in quel momento apprese quale sarebbe stato il suo fatidico passo avanti. Sì alzò, e senza voltarsi, si avviò verso la sua distribuzione o la sua vendetta. *** Bianco Latte era sicura che neanche quel giorno qualcuno l'avrebbe salvata. Osservava le terre bruciate intorno alla sua torre da così tanto tempo che oramai conosceva qualsiasi crepa o masso che lo formava. Odiava il non poter vedere al di là di quelle terre dalla sua piccola finestra. La sua mano sfiorò la sua scapola per poi avvicinarsi al centro della schiena dove avrebbe trovato un solco che le causava una fitta di dolore ad ogni movimento. Ormai si conosceva, sapeva che se avesse fatto lo stesso movimento ma dall'altra parte avrebbe trovato un altra ferita, parallela alla prima ma leggermente inclinata verso l'esterno. Come due tagli gemelli. Stufa di quel paesaggio sempre uguale la ragazza dai capelli corvini si avvicinò ad una vecchia scrivania dove c'era un vecchio specchio sporco e si guardò. L'unica cosa che vedeva cambiare in quel piccolo mondo era il suo viso, leggiadro, raffinato, gli occhi azzurri che nascondevano una vicenda terribile. Provò a sorridere a quella lastra di vetro ma l'unica cosa che vide fu una parentesi sbilenca sul suo volto. Sospirò. E lentamente si avviò ad un'altra attività per distrarsi da quel inferno che era.

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Capitolo 2
*** 1 ***


Fior di Spina continuò la sua lunga marcia, mentre i suoi passi andavano avanti i suoi pensieri correvano a ritroso. Da bambina non era mai stata una brava figlia, dura esserlo quando i tuoi genitori sono stati completamente assenti, l'unico punto di riferimento era l'uomo che aveva imparato a chiamare fratello. E mentre le bambine della sua età correvano per i campi fioriti lei spiava il fratello nella stalla mentre si allenava con la spada, ricordava come il luccichio di quell'arma tanto  elegante e pericolosa  la affascinasse. Osservava i muscoli del ragazzo che si tendevano ogni volta che fendeva l'aria  con essa e come ricadeva rigida sulla carne morbida del suo avversario.  Era cosciente che se il fratello l'avesse scoperta spiarlo quell'arma avrebbe colpito anche lei lasciandole segni rossi sulla sua pelle pallida. La terra difronte  a se non era mai stata così nera, gli occhi ormai bruciavano ad ogni battito di ciglia e i piedi le pesavo ad ogni passo, l'armatura le fregava le spalle e la schiena lasciando segni di vesciche e rossori che ad ogni su e giù della corazza le ricordavano del motivo della sua condanna.  La prima volta che suo fratello decise di darle in mano un'arma invece di usarla contro di lei  fu un giorno d'inverno, fiocchi di nevi flaccidi cadevano dal cielo nei prati ormai già ricoperta dalle  nevicate precedenti. Il freddo si era insinuato nelle case e l'unico modo per scaldarsi, se si era privi di buona legna per il fuoco o di qualcuno con cui fare l'amore,  era quello di allenarsi. E suo fratello aveva pensato ingenuamente che se non fosse stata capace di cucinare almeno si sarebbe difesa quando lui sarebbe partito per la guerra quella stessa primavera.  Una guerra che non avrebbe mai combattuto dato il tragico incidente che ci fu con i scioglimento della neve e l'arrivo dei primi fili d'erba. Prima che la grande guerra arrivasse  a sud della loro terra un gruppo di disertori giunsero davanti allo stipide della porta della sala degli allenamenti. Dove ragazzi stanchi stavano depositando le loro armi e fu li che la tragedia ebbe atto. Uomini in armatura nera con gli occhi folli sguainarono le loro spade e senza preavviso entrarono in quella piccola stanza per compiere la loro strage. I desertori vennero impiccati la notte stessa mentre 7 tombe venivano coperte da della terra fredda. Fior di Spina ricordava che quella notte e forse anche quelle mille dopo  aveva pianto come non aveva mai pianto prima. Piangeva abbracciata a ciò che restava del suo ultimo famigliare in vita e la corazza rifletteva la sua tristezza. Come se non avesse altro modo per agrapparsi alla vita. Ogni tanto si stupiva da sola nel svegliarsi abbracciata all'armatura sentendo una leggera pressione umida dove le lacrime e il suo respiro avevano creato umidità su di essa. Fior di Spina osservava il paesaggio desolato difronte a sé, e se credeva che la sua anima fosse vuota si ricredere abbena vedeva quella pianura bruciata. Ricordava di leggende che narravano di quel macabro territorio e di ciò che si celavano dentro. Un castello abbandonato di qui l'unica memoria era una torre sgangherata  erano stretta sorveglianza di un drago famelico, si narra che all'interno di quella mura si trovi la creatura più bella e mostruosa che il mondo avesse mai visto e solo la sua morte avrebbe posto fine alla distruzione, ma sapeva che quella era solo una leggenda perché sentiva il mormorio di mille altre nella zona. Una principessa rinchiusa al suo interno, un tesoro di inestimabile valore. Alcuni narratori sussuravano di un pianeta ultraterreno dove pace e amore regnano. Solo di una cosa Fior di Spina era certa, qualsiasi cosa ci fosse in quella torre l'avrebbe portata ad un futuro migliore... O alla morte. Mentre Fior di Spiana pestava detriti e terra bruciata Bianco Latte contemplava il suo riflesso nello specchio, non perché fosse vanitosa, ma perché la stupiva  come il suo volto cambiasse in fretta. In quegli anni di prigionia non aveva avuta la possibilità di ammirare molti volti sconosciuti al suo. La maggior arte degli intrepidi che si avvicinavano al castello bruciavano o venivano mangiati dal mostro che non voleva che si avvicinassero a lei. E i cadaveri che vedeva dall'alto portavano elmi dorati o di seconda mano che servivano a proteggerli, invano, dalle avversità. Anche quella notte qualcuno aveva provato ad avvicinarsi a lei, credendo che il buio l'avrebbe protetto ma venne il drago, che uscì dai meandri più bui e sporchi del suo essere e prima ancora che la principessa potesse svegliarsi l'uomo morì bruciato. Quella mattina, mentre ammirava  l'ultimo morto della sua lista, Bianco Latte posò una mano sul suo riflesso cosciente che nessuno l'avrebbe mai toccata così. E con un nodo in gola lasciò una lacrima solcarli il viso sapendo che nessuno l'avrebbe asciugata

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Capitolo 3
*** 2 ***


Fior di Spina aveva provato a chiudere occhio, ma in quella terra desolata qualcosa continuava a sussurarle di andare avanti, che la morte era sempre ad un sospiro dietro di lei, che i sassi nelle scarpe l'avrebbero condotta ad una agonia lenta e dolorosa. Continuò a camminare senza badare troppo alle grida dei piedi sofferenti, delle vesciche che le aveva provocato l'armatura e delle gocce di sudore che le bagnavano il viso. E lei non si lamento e continuò la sua processione silenziosamente. Quel giorno il fato volle che il suo destino cambiasse e mentre continuava a camminare puntando verso l'ignoto una piccola carovana di giovani cavalieri si avvicinò a lei. E senza riconoscere la sua natura femminile coperta dall'elmo la invitarono a sedersi accanto a loro constatando che la loro meta era la stessa. Fior di Spiana sorrise lievemente mentre il carro proseguì per la sua strada e i baldi giovani cantavano canzoni di guerra e pensavano alla loro futura moglie. La giovane ragazza osservava la polvere che le ruote del carro e gli zoccoli del cavallo sollevavano salutando quella terra che poco prima la stava portando al patibolo. Provò piacere quando costatato che ora poteva far passare dell' aria tra gli spifferi dell'armature, in  modo che la sua pelle potesse respirare e smettere di contemplare il suo peso. I piedi martellava ricordandole costantemente delle fatiche subite eppure Fior di Spina non potete far altro che sospirare e sentire l'aria pungente e arida entrarle nei polmoni. I cavalieri le passarono una tazza contenendo un liquido caldo e frizzante che lei gusto avidamente, godendo, come non faceva da giorni. Il viaggio proseguì così pacciosamente che sembrava diretta verso un luogo paradisiaco invece che alla morte.   Fior di Spina udì le conversazioni degli uomini e strette a sé l'elsa della sua spada udendo cosa avrebbero voluto fare all'ipotetica dolce fanciulla che avrebbero salvato a breve. Lei benedisse il fatto che nessuno aveva notato le sue fattezze poco maschili e che nessuno volle parlare con lei, forse, notando qualcosa di macabro e da evitare nella sua corazza bruciata e sbeccata e nel suo silenzio pensieroso e distante. Lasciò che la conversazione gli scivolasse adosso mentre una strana stanchezza si prese possesso di lei. E mentre chiuse gli occhi le fiamme degli incubi l'avvolsero. *** Bianco Latte sentiva l'odore del sangue e della carne bruciata fino alla sua finestra e trattenendo un conato osservò l'orizzonte lasciando perdere quel odore troppo famigliare e stupita notò una piccola nuvola di polvere avvicinarsi sulla terra scarlatta. Nessuno era così sciocco da avvicinarsi tanto rumorosamente e visibilmente alla sua fortezza diroccata, eppure qualcosa la lasciava ammirata da quel gesto. Per un attimo lasciò perdere le cicatrici sul suo corpo, i capelli corvini tanto diversi dalla sua pelle pallida è immagino chi potesse salvarla. Ma una verità tanto violenta come uno schiaffo la colpì e ritornò ad osservare la sua camera spoglia. Sospirò, e una leggera nuvola calda uscì dai suoi polmoni e con un ultimo sguardo al carro e alla terra bruciata si preparò per la battaglia.

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Capitolo 4
*** 3 ***


Il carro arrivò difronte al confine del ormai distrutto castello e lì venne nascosto dietro un masso. Alcuni cavalieri cammufarono il veicolo con rami d'albero e terra, mentre altri si impegnarono a legare i cavalli in modo che  non scapassero in loro assenza. Fior di Spina pensò che non fosse una pessima idea ma appena scese dal mezzo e guardò il nascondiglio pensò che anche un cieco l'avrebbe notato. Una massa informe di verde era notabile anche da migliaia e migliaia in quella terra arida e scura, forse i cavalieri speravamo in nemici ciechi o troppo sciocchi da notarlo ma fatto sta che la ragazza pensò che sarebbe stato più facile nascondere un elefante in un pagliaio. Terminata l'operazione il gruppo si divise ognuno provando la propria tecnica infallibile. La ragazza credette di essere ormai sola quando un uomo di vecchia età le strinse una spalla facendole provare un brivido lungo la schiena. -Non farti prendere dalla paura o dallo sconforto, nessuno di loro arriverà alla torre. La voce dell'uomo era serena come se sapesse a cosa stesse andando incontro. Fior di Spina non seppe cosa rispondere temendo che la sua voce avesse graffiato la sua gola e sarebbe uscita vuota e rauca per via del troppo silenzio e la secchezza. L'uomo non aggiunse altro se non una pacca veloce sulla spalla per poi avviarsi verso il piccolo ponte di legno che lo portò a svanire allo sguardo di lei. Fior di Spina lo lasciò andare mente udiva un cambiamenti nell'aria, e quando alzò lievemente l'elmo per vederci meglio e comprendere cosa stesse accadendo vide un ombra sopra di loro. L'ombra era più grande di una montagna, scura come la notte più buia e spaventosa come l'incubo più temuto. Alzando lo sguardo vide ciò che più temeva, un drago dalle possente ali volava sopra le loro teste e mentre uccideva già qualche povero soldato che provava a ferirlo con delle lancia Fior di Spina restò immobile. Sembrava una pietra di marmo mentre la sua mano si strinse di più al manico della spada lasciandole le nocche bianche e facendole sentire il rilievo che mostrava le fattezze di un drago, che tempo prima venne forgiato da un fabbro. -Il Drago è un animale potente. Forte come mille uomini spietato come il diavolo. Queste parole le risuonarono nella mente con lo stesso tono rude e forte del fabbro. E con la medesima forza di un martello sul incudine decise di affrontare il suo destino. Superato il ponte in rovina superò le mure che la lasciarono senza fiato. Benché quel luogo fosse abbandonato da anni e memore di mille battaglie, le pareti che reggevano con fattiva il soffitto erano decorati con drappi maestosi e nei punti più favorevoli si intravedevano ancora degli affreschi degni di tale nome. Fior di Spina osservò per un attimo quei colori scintillanti che non vedeva da ere e quando l'urlo di un'altra cavaliere caduto le fecce tremare le gambe si chiede per quale motivo fosse lì. Fu felice che quel luogo silente e magico fosse il quadro della sua morte e a spada tratta andò verso il centro del castello alla ricerca del drago. La prima cosa che vide del mostro fu la coda, non aveva mai visto un tale essere da così vicino ma restò stupita del vedere come le squame  sembravano gemme preziose incastrate nella sua carne nera. Restò ad osservarlo muoversi sinuosamente mentre con un soffio di fuoco fecce tremare il castello. Fior di Spina sentì un urlo prevenire dall'alto e quando alzò il viso vide una torre, la più alta del castello, una luce lampeggiava all'interno e qualcosa li disse che era lì il suo tesoro. La ragazza iniziò a correre superando un grande salone ormai distrutto alla ricerca di qualche strada per giungere al piano superiore, intorno a lei sentiva ancora qualche disperato combattimento accompagnati da rovine e morti. Quando da lontano vide una scala mal messa decise che quella sarebbe stata la sua meta, con una scatto superò lo scheletro di un morto e sentendo già il suono del suo passo nei gradini non udì la fatidica realtà. Il drago si era mosso talmente velocemente e silenziosamente che ora il suo muso era davanti a lei. Fior di Spina si fermò, il fiato le bruciava nella gola e l'elmo non aiutava. Per un secondo la bestia e la ragazza si osservarono, gli occhi di lui erano ramati e sembravano che una tempesta di fuoco infuriase al suo interno. La ragazza restò ipnotizata ma appena vide il drago muovere la mandibola fecce un salto di lato usando una colonna come riparo della fiamma che il drago aveva creato. L'elmo di ferro le bruciava la faccia e il braccio era stato colpito creando una sensazione di carne stappata nella piccola area. Sentiva la morte come un fiato sul collo e con il braccio sano decise di togliersi l'elmo, l'area non era più sana ma almeno ora poteva respirare senza l'odore del ferro in bocca. Fecce un sospiro profondo mentre i capelli le ricadevano sulle spalle e il drago creò un'altra fiamma che la fecce tremare. Una lacrima fresca le solco le guance calde mentre raccolse le forze che le restarono per prendere la sua spada e colpire il drago. Il mostro stentò un'altra fiamma ma appena vide i capelli lisci e castani di lei, la sua pelle rosata e il suo viso femminile restò immobile. Quando Fior di Spina vide la scena pensò di essere pazza e con un movimento del polso lanciò la spada in modo che si conficcasse in uno dei suoi occhi, il drago con una inusuale tranquillità si mosse all'indietro e la spada cadde tra di loro. Restarono ad osservarsi, Fior di Spina aveva il fiatone, il drago la guardava come un adulto guarderebbe un bambino che ha indossato i vestiti del padre, troppo grandi e buffi nel suo corpicino esile. -Cosa vuoi? L'urlo della ragazza era disperato, un urlo roco e stridulo che usciva dalla sua gola graffiata. Il drago non rispose, ed inclinò leggermente la testa come a volerla studiare meglio. Un altro urlo disperato risuonò nel castello, uscito come una pantera dalla gabbia troppo stretta del torace di Fior di Spina. Poi svenne, sfinita e per il troppo calore che aveva emanato il drago.

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Capitolo 5
*** 4 ***


Buio. Aglæca continua a percepire  quello stato di perdizione mentre la sua memoria cercava di assemblare gli ultimi fatti. Il buio che sentiva aveva lo stesso odore di bruciato e polvere che sentii la notte che perse il suo villaggio. Il buio che percepiva al tatto ero lo stesso di quando si svegliava nel bel mezzo della notte e l'unica cosa a consolarla erano le lenzuola sporche sotto si se. Ero lo stesso buio che l'accompagnava quando, ancora prima di aprire gli occhi, sentiva la pelle sfiorata da una leggera brezza e il sole che le scottava il volto dalla finestra lasciata aperta. Lasciò che quello stato di trance l'avvolse completamente sperando che la morte venisse a prendere anche lei. Ma quando uno scricchiolio sconosciuto e un odore di rosa la destarono non poté fare a meno di notare che quelle sensazioni tanto distante non erano mai state così vicine. Lentamente strinse la mano intorno ad una stoffa sotto di lei che era piacevolmente morbida e profumata, l'odore l'avvolse così intensamente che il suo corpo stanco ne chiedeva di più. Sospirò delicatamente e si accorse che l'area putrefatta e bruciata aveva ceduto il posto ad un'atmosfera più pulita e mentre i suoi occhi si aprirono lentamente si accorse di aver fatto un sospiro più pesante, avida di poter sentire ancora quello stato di lindo nei suoi polmoni. Gli occhi si aprirono mostrando un tetto sconosciuto con delle arcate di legno scolpito, appena le palpebre si chiusero stancamente, un altro  scricchiolio e un secondo respiro attirarono l'attenzione della ragazza. I suoi occhi si spalancarono comprendendo che si trovava in un luogo sconosciuto, iniziò a guardarsi in giro senza muovere la testa e quando vide che non c'era niente di pericoloso i suoi occhi si spensero una seconda volta maledicendo quello sforzo inutile. Rise. La seconda cosa che riuscì a percepire completamente fu una risata dolce e innocente. Aprì gli occhi una seconda volta, questa volta con più decisone e con meno stanchezza, il soffitto sopra di sé era sempre lo stesso, dimostrazione che ciò che aveva appena vissuto non fosse un sogno o uno scherzo della sua mente. Voltò la testa verso quel suono nuovo e in quel momento si rese conto che la sua testa era appoggiata ad un cuscino che emanava un profumo di rosa che si perdeva ad ogni movimento. Quando vide la figura difronte a se si rese sempre  conto della sua situazione. Era adagiata su di un letto candido che contrastava con la stanza rotonda che conteneva un misero armadio di legno decorato con fiori dipinto da mano esperta ed una scrivania che oltre a qualche libro aveva un grande specchio da cui riuscì a vedere il suo riflesso sdraiato e stanco. Voleva restare qualche secondo ad ammirare il suo riflesso per capire in che condizioni pietose fosse ma il movimento di un panno bianco la destó dai suoi pensieri. La luce entrava da una finestra dall'altra parte della piccola stanza che ora veniva coperta da un corpo magro e pallido, Aglæca non osò fare rumore mentre la figura di volse verso di lei sorridendole. -Finalmente ti sei svegliata. La voce di lei era candida e leggera come la sua risata. Il volto di Aglæca si arrossì leggermente cosciente del fatto che se anche lei avesse pronunciato parola sarebbe uscita una voce spessa e rovinata. La sconosciuta non sembrò disturbata da questo atteggiamento, appoggiò il libro che stava leggendo sullo stipite della finestra e sorride dolcemente, quando la vide meglio la ragazza si accorse come tutto in lei contrastasse, la bocca rosso fuoco contrastava con la pelle pallida che a sua volta contrastavano con i capelli neri come la notte e, come se qualcuno avesse preso due gocce di mare profondo i suoi occhi azzurri la studiarono. L'estranea si sedette a bordo del letto, in quel momento Aglæca si accorse della semplicità del suo vestito bianco e della trasparenza della stoffa, un'altra vampata di rossore ricoprì le sue guance bruciate e un'altra risata produsse la sconosciuta da quella reazione improvvisa. -Io sono Snædis. Snædis non smise di osservarla e così fecce Aglæca, cercando di evitare le sue gambe pallide che venivano coperto solo a metà, e le braccia nude che si erano avvicinate troppo secondo il suo parere. In quel momento Aglæca si diede della stupida e osservando la ragazza dritta negli occhi si presentò con voce rauca e rotta. Snædis la guardò in modo strano che fecce perdere un respiro ad Aglæca, la prima prese lentamente qualcosa dal pianerottolo vicino. -Tieni, bevi un po' di questo. Ti farà stare meglio. La ragazza le porse una piccola ciotola di legno con all'interno uno strano liquido arancione che rifletteva la luce del sole. Aglæca si sedette nascondendo una smorfia di dolore e  prese la ciotola sfiorando delicatamente le dita di lei e in quel momento si maledisse per i suoi pensieri. Osservò il liquido e lo bevette avidamente senza badare allo sguardo di Snædis che la studiava incuriosita come avrebbe voluto fare lei.

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Capitolo 6
*** 5 ***


Dopo che Aglæca terminò la sua bevanda si pulì la bocca con il braccio nudo e Snædis rise a questo gesto impacciato. - Che c'è? Perché ridi? Aglæca la guardò torvo, odiava quando le persone ridevano di lei. Eppure quella risata innocente le ricordava i giorni d'estate quando correva a caccia di farfalle. Snædis fermò la sua risata vedendo quello stuardo bruto su di lei che la imbarazzava. -Scusa... E solo che... È la prima volta che vedo qualcuno fare così. Si scusò lei sorridendo. -Sei chiusa in una torre, quanta gente avrai visto ? Snædis si incupì, abbassando il suo sguardo verso il tessuto bianco che teneva tra le dita. Aglæca si accorse del suo errore e maledisse il suo cinicismo. - Scusa non volevo. -Se non volevi non l'avresti fatto. Snædis alzò il suo sguardo mutato che colpi come un pugno in faccia l'altra ragazza che trattene il fiato. Gli occhi un tempo celesti avevano prese delle sfumature più accese, Aglæca ricordava quel medesimo colore negli occhi di qualcun'altro, ma al momento la sua memoria sembrava troppo spaventata per ricordare. Snædis vide il volto di lei mutare dallo stupore, al terrore e in fine alla curiosità. Appena si accorse del suo errore si alzò dal letto con le mani pallide che le coprivano il viso, si voltò verso la finestra e restò immobile facendo uscire un filo di voce dalle sue labbra. -Non guardare... Scusa... Aglæca restò stupita e osservò la schiena della ragazza dato che era l'unica cose che le permetteva di vedere. I capelli neri cadevano setosi sulle spalle pallide facendo risaltare le cicatrici e ancora di più due tagli profondi che non sembravo ancora rimarginati. -Cosa ti sei fatta? La ragazza sul letto maledisse ancora di più la sua curiosità non appena le mani dell'altra ragazza si spostarono dal suo volto alle sue spalle, creando un abbraccio goffo per coprirsi le cicatrici. - Niente. Sospirò. -Quello non è niente Snædis. Il nome pronunciato da lei provocò un leggero brivido ad entrambe. Aglæca scosse la testa allontanando la sensazione e si alzò dal letto. Una fitta di dolore la percosse dalla palma dei piedi scalzi alle punta delle orecchie, zitti un gemito di dolore e si avvicinò a lei tenendosi stretta senza badare alle continue fitte che la scossero. I suoi movimenti non passarono inosservati al gracile corpo di Snædis che si voltò di colpo verso di lei. - Che diamine stai facendo? Torna a letto, non stai ancora bene. Aglæca sorrise, non era abituata a tutte quelle attenzioni che ora le sembrava così buffe e assurde. -Lo notato. Ma neache tu... Aglæca provò ad appoggiarsi sul muro ma scivolò a terra, prima ancora che potesse toccare il suole le braccia di Snædis l'avevano salvata e appoggiata sul letto, mostrando una forza che sembrava innaturale per la sua corporatura. -Tu sei pazza. Disse preoccupata sedendosi  accanto a lei, non badando più alle sue cicatrici e osservando la sua paziente che fecce un sospiro di sollievo senza accorgersene. -Sai, non sei la prima che me lo dice. -Buono a sapersi, ora sdraiati. -Ma sto bene. -Zitta e sdraiati. Snædis la spinse lievemente dalla spalle e colpì un punto dolente in modo che l'altra si sdraiasse senza altre proteste. Aglæca fece una smorfia di dolore ma lasciò che la sua schiena aderisse con i cuscini e il materasso producendoli un leggero sospiro di solievo, ma la sua curiosità non si era ancora attenuata. -Siamo ancora nella torre vero? E dov'è il drago? Quella volta Aglæca non si morse la lingua, era avida di sapere dove si trovasse e da dove arrivasse quella misteriosa ragazza, e mentre altre mille domande si affolarono nella sua mente i suoi occhi restarono puntati su quello celesti di lei, che tremarono leggermente sotto quella pressione. All'ultima parola Snædis contorse il volto in un espressione di disgusto e odio, sapeva bene cosa provava per quella creatura ma poterne parlarne con un'altra persona sembrava un sogno diventato realtà. Oppure un incubo. Si guardarono per un secondo interminabile e nessuna delle due osava abbassare lo sguardo.  Poi Snædis iniziò a parlare facendo uscire parole imprigionate dalle sue labbra rosse. -Si. Per il castello. Aglæca la guardò confusa finché Snædis non interruppe il contatto voltandosi verso la finestra che mostrava un mondo rossiccio ed estraneo a quella piccola stanza. -E tu ti fidi a stare qui tutta sola? La ragazza sbarrò gli occhi incredula delle sue parole mentre un sorriso tirato si mostrava sulle labbra di Snædis. -Ormai sono abituata. Aglæca osservò la giovane per qualche istante, le sembrava un usignolo che sognava solo di volare via, ma la sua gabbia era più forte delle sue fragili ossa. Le veniva l'impulso di abbracciarla, dirle che sarebbe scappata con lei, che avrebbero ucciso il drago insieme, che tutto sarebbe andato bene. Ma il ricordo del fuoco sulla pelle era più forte, il suono delle case che crollavano rimbombavano ancora nella sua mente quando chiudeva gli occhi, l'alito pungente del drago bruciava ancora i suoi polmoni. Lei la guardò per un altro istante, lo sguardo perso nel vuoto di Snædis non poteva sembrare più distante. Mentre un forte suono si diffuse per il castello.

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Capitolo 7
*** 7 ***


Le ore correvano veloci nella piccola torre. Aglæca guariva in fretta anche se una forte tosse la scuoteva dalle viscere. Sprovviste di un secondo giaciglio e dopo numerose discussioni, le due ragazze decisero di dormire nello stesso letto, schiena contro schiena, cercando di non rubare troppo spazio all'altra. Le notti erano silenziosi tra un colpo di tosse e qualche sussurro. Il drago, per il momento, non era ancora tornato, e ciò rendeva felici entrambe le ragazze. Il mondo al di fuori della terra mutava di rado, in modo quasi impercettibile. Ma nessuno lo notò, entrambe troppo impegnate nel entrare una nel mondo dell'altra. Snædis mostrava mondi fantastici dove uomo e animale viveva in armonia , la magia non portava distruzione, l'odio e l'invidia erano parole che rimanevano incastrate solo nei libri. Ogni volta che la ragazza pallida parlava di questo mondo la mora vedeva ciò di qui lei parlava, come se lei stessa avesse vissuto quelle cose e sentito quell'amore. I gesti della narratrice erano pieni di luce mentre i suoi occhi scuri si illuminavano ricordando terre lontane. La finestra, e il mondo così crudelmente reale che celava dietro di sé, venivano sostituiti da mondi incantato mentre quei luoghi tetri venivano nascosti momentanea nel luogo più buio della mente. Quando arrivava il turno di Aglæca di parlare del suo mondo lei scuoteva la testa timorosa di distruggere la compana di vetro che si era creata intorno a loro con tali magie, ricordando le terre bruciate e i corpi straziati nascondeva le lacrime dietro un sorriso e chiedeva a Snædis di non fermare le sue storie. Quella calma sembrava surreale agli occhi di entrambe le ragazze. Una, talmente abituata alla solitudine non riusciva a credere ancora alla ragazza che le stava davanti ogni giorno, temendo che potesse svanire all'alba come un sogno. L'altra era abituata alle urla, al dolore al continuo pulsare delle ferite. Spesso durante i sogni più agitati si svegliava urlando ricoperta da un velo di sudore, e quando si accorgeva della presenza dell'altra ragazza che delicatamente le metteva una mano sulla spalla e abbozzava un sorriso addormentato, si accorgeva che quel mondo non era poi così male. In quelle notti tormentati si stupiva nel immaginare la ragazza che l'abbracciava  per fare scacciare via i brutto sogni. Lei stessa si trovava a scuotere la testa e tornare a dormire con il soffice peso della mano di lei sul braccio. Poi, gli incubi, svanivano. La routine non era mai la stesa e questa cosa non infastidiva nessuno. *** Quella mattina il sole illuminò di un rosso intenso la piccola stanza, stupendo una Aglæca bagnata di sudore e con la bocca spalancata per un urlo silenzioso, questa volta fu diverso, le sue ossa tremavano e il respiro accelerava e neache il comune gesto di Snædis di sfiorarle la spalla la calmò. -Va tutto bene, era solo un incubo. Sussurrava  cercando di calmarla. Ma lei sembrava non sentire mentre nelle sue orecchie rimbombava ancora il suono della battaglia che aveva sognato. Gli occhi spalancati difronte a se sembrava vedere cose che non c'erano mentre Snædis si avvicinava lentamente a lei. -Hey, ascolta la mia voce. Andrà tutto bene. Prendendole per le braccia la volto delicatamente verso di lei per poi abbracciarla. -Va tutto bene. Le sussurrò all'orecchio. Il battito cardiaco di Aglæca rallentò seguendo quello tranquillo della ragazza che la stava abbracciando. La mora batte due volte le palpebre di fila come se si fosse appena resa conto di dove si trovasse. -Scusa... Ti ho svegliato. Borbottò desolata. -Fa niente, tanto ormai è mattina. Snædis sorrise leggermente e Aglæca si accorse di questo cambiamento impercettibile dal movimento delle  labbra sulla sua guancia. Nessuna delle due volle sciogliere quel abbraccio un po' impacciato. -Dovremmo preparare la colazione. -Può aspettare. Rimasero così, studiandosi in un modo nuovo. Entrambe ignare dell'arrivo di nuovi soldati. Poche ore dopo l'abbraccio si era sciolto ma qualcosa tra loro era rimasto legato in modo impermeabile, i movimenti si erano fatti più fluidi, gli sguardi si cercavano come farfalle attratte dalla luce della loro stella, i loro corpi si sfioravano più spesso per poi allontanarsi intimoriti per poi ritornare curiosi nel toccarsi.  Quando un carro raggiunse l'orizzonte  qualcosa si ruppe.  -Stanno arrivando.  Sussurrò Snædis fermando i suoi movimenti, gli occhi sbarrati e tutti i muscoli tesi mentre udiva qualcosa che solo lei percepiva.  Aglæca si avvicinò a lei preoccupata non avendola mai vista in quelle condizioni,  infatti il volto sereno di lei era ora era tirato e preoccupato.  -Chi? ci siamo solo noi.  -No, tu non...  La ragazza indietreggiò preoccupata e si diresse verso la finestra seguita a ruota da Aglæca.  E solo allora vide anche lei il carro  che si avvicinava alzando una leggera nuvola di polvere.  -Coma hai..? Snædis si voltò di colpo trovandosi ad un dito di distanza da lei.  -Devi andartene. Proclamò autoritaria. Aglæca rimase di sasso, per un attimo il fiato le si strozzo in gola e temette di cadere a terra per le forze mancate. -Cos... no, io non ti lascio sola.  -Devi, ti farai solo male stando con me.  Snædis la spinse all'indietro ma l'unico risultato fu che barcollò semplicemente all'indietro sfiorando il letto.  - vattene finché sei in tempo. Iniziò a colpire il suo petto con pugni sperando che se ne andasse, Aglæca restò immobile lasciando che ogni colpo si assorbisse mentre l'unica cosa che distruggeva era dentro di lei.  -VATTENE! strillò lei mentre una lacrima le solcava il viso pallido, Aglæca la guardò per minuti interminabile quando delicatamente le prese i polsi per fermare quella raffica di pugni che le avrebbero lasciato un leggero livido la mattina successiva. - Io non ti lascio.  Snædis alzò lo sguardo verso di lei che la superava di pochi centimetri mentre delle lacrime silenti le coprivano il viso. in quel momento il suo sguardo azzurro inizio  a prendere delle sfumature dorate e solo allora Aglæca comprese.  -Io sono un mostro, non avrei dovuto portarti qua.  Disse Snædis abbassando lo sguardo. Aglæca mollò la presa, le mise le mani sotto il mento per guardarla in volto e le asciugò le lacrime -Tu sei bellissima, non un mostro. - Tu mi odierai.  -Non potrei mai odiarti.  Per un attimo quel barlume dorato prese anche gli occhi di Aglæca che fecce risplendere la stanza, Snædis abbasso le mani continuando a guardarla come se l'oro le avesse incatenate insieme. -Scusami...  Le parole di Snædis venerò bloccate dal suono di soldati che entravano nelle mura, e fu in quel momento che il drago comparve. 

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Capitolo 8
*** 7 ***


- ti perdono. Sussurrò Aglaeca a qualcuno che non c'era più. La battaglia fu veloce e spietata. Aglæca restò a guardare lo spettacolo dalla finestra mentre la testa continuava a girarle da quello che vedeva e di cosa aveva appena visto. Continuava a pensare che non fosse possibile, che quella era tutta una sua immaginazione, forse solo un sogno. Si pizzicò il braccio ma l'unica cosa che ricevette fu una scossa e la consapevolezza che tutto quello era reale. Successe tutto molto velocemente. Troppo velocemente. L'attimo prima Snædis la guardava preoccupata l'attimo dopo quello che vedeva erano solo scaglie di drago e due occhi che sembravano terribilmente dispiaciuti. Mentre la guerra continuava sotto la torre lei si sedette sul letto cercando ancora di capire cosa fosse appena successo. I minuti passavano interminabili, le ore erano segnate da urla di uomini e odore di fuoco. Il silenzio arrivò come era arrivato il primo raggio di sole, veloce e solitario una brezza mattutina si posò sul viso chino della ragazza che continuava a guardare il pavimento incredula del mondo che la circondava. I piedi nudi di Snædis lentamente  comparvero nel suo campo visivo, le scaglie erano svanite, ora una pelle pallida faceva riflettere la luce del sole. Aglæca alzò lo sguardo di colpo osservando il corpo di lei che temeva non poter più vedere. Si alzò di colpo e si avvicinò a lei con la lentezza di chi ha paura di essere mangiato da una tigre ma all'ultimo si fiondo sul suo corpo per abbracciarla e sentirla sua. -ti perdono, ti perdono. Sussurò al suo orecchio mentre lacrime incontrollate bagnavano la sua schiena ferita. Senza staccare le sue mani dal suo corpo si staccò per guardarla negli occhi. -Ti perdono. Il pollice di Aglæca asciugò la lacrima della ragazza che le stava solcando la guancia per poi avvicinare il suo viso al suo e baciarla come se fosse l'ultima cosa al mondo. Snædis restò stupita da quel bacio inaspettato, le braccia che erano rimaste molle lungo il suo corpo si animarono avvinghiando la ragazza e avvicinandola a se, le sue labbra si muovevano fameliche su quelle di lei, i loro respiro divennero uno solo, i loro cuori correvano all'unisono. Le loro mano si avvicinavano ancora di più, facendo unire i loro corpi mentre i loro baci non si separavano cercandosi e studiandosi. Le mani di Aglæca corsero sotto la maglia di lei, sfiorando le cicatrici gemelle, l'unico ricordo del drago che aveva portato tanto terrore, una mano iniziò a correre lungo la colonna vertebrale, solcando le vertebre come un marinaio in un mare sconosciuto, Snædis tremava sotto il suo tocco leggero come una corda di violino, mentre le sue mani continuavano a studiare il suo gracile corpo. La bocca di quest'ultima si era abbassata dall'angola della bocca di lei si era avvicinata alla sua spalla creando un percorso di baci umidi lungo il suo collo, mentre dalla  bocca di Aglæca uscivano leggeri ansimi. La paura, il terrore, l'odio erano svaniti quando i loro corpi caddero abbracciati tra le lenzuola del letto, lasciando una scia di baci, amore e sentimento. *** La leggenda narra che ora quella torre non ci sia più, demolita da un incendio durato tre giorni e quattro notti. Si narra che il drago sia morto tra le sue stesse fiamme e che solo due giovani figure siano scappate da quello sterminio. Lasciando dietro di sé il ricordo di due passati oscuri.

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