Il Braccialetto

di ShunLi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Braccialetto ***
Capitolo 2: *** Le cafè de les artistes ***
Capitolo 3: *** Tom ***
Capitolo 4: *** La nostra unica occasione ***
Capitolo 5: *** Tre ore ***
Capitolo 6: *** Non mi lasciare ***
Capitolo 7: *** Io sono il tuo Guardiano ***
Capitolo 8: *** Premonizioni ***
Capitolo 9: *** Seth ***
Capitolo 10: *** Petali di Ciliegio ***
Capitolo 11: *** Fili intrecciati e Specchi ***



Capitolo 1
*** Il Braccialetto ***


La mattina si risvegliò come nulla fosse, nel grigiore mattutino di quella domenica un pò spaesata, come spaesato era il suo cervello. Così non badando al disordine che aveva sopra il letto e nella sua stanza, si puntellò sui piedi e Clarissa si mise in piedi. Si stiracchiò come un gatto e sbadigliò con forza, cacciando così il primo velo di sonno dai suoi occhi. Scendere e preparare il caffè sarebbe stata la seconda cosa utile per lei e l'intera giornata. Scese le scale controllando i passi, quasi come a contare i gradini che lasciava dietro di sè. Vide alcune lame di luce proiettarsi sul pavimento. Calcolò quindi che l'orario era fra le 7 mezze o le otto e quando controllò l'orario all'orologio della cucina, sorrise. Erano le 8.

Il gatto Tama-chan si presentò alla padrona, facendo le fusa e arricciando la coda alla caviglia nuda di Clarissa. "Buongiorno piccola peste." Salutò la ragazza all'animale domestico. Così versò del latte fresco nella sua ciotola, sperando di non ritrovarsela in mezzo ai piedi mentre trafficava con il caffè.
L'odore del caffè le riempì le narici e si sentì non solo meglio, ma anche più sveglia. Il che le portò a riflettere su alcuni pensieri avuti la notte. No, non erano pensieri, era un sogno. Pian piano tutte le immagini, prima sbiadite, si misero a fuoco.
"Grazie per avermi offerto il caffè" Disse lei. Lui si mise la mano al petto. Era davvero un bel ragazzo con la fronte ampia, i capelli ricciolini, i bellissimi occhi verdi. Alto e magro, ma dall'aria tanto forte e le mani vigorose.
Lui disse qualcosa ma Clarissa ricordava bene che non aveva capito. Poi dopo le si era avvicinato e gli aveva dato un braccialetto, con un sacco di ciondoli rossi, tra le cui forme Clarissa aveva riconosciuto dei cuoricini.
Clarissa si sedette ad un piccolo tavolo, portando la tazza del caffè alle labbra e si guardò il polso.
"Oh mio Dio."
Il braccialetto era lì, i ciondoli rossi con i cuori di varie dimensioni, che tintinnavano con un suono allegro. La bocca di Clarissa si aprì,  senza che emettesse alcun suono. Tama-chan si avvicinò, miagolando.
Quella era la domenica più strana che le fosse mai capitata.

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Capitolo 2
*** Le cafè de les artistes ***


Lo studiò,  lo osservò, lo fotografò per  cercare su internet un qualsiasi indizio che le potesse indicare quale braccialetto fosse,  perchè ce l'aveva lei, forse l'aveva acquistato e se n'era dimenticata? A lei nemmeno piacevano i ciondoli!
Il caffè era stato dimenticato sul tavolo e il casino sul letto era rimasto com'era. Tama-chan era assopita nella cesta vicino alla scrivania di Clarissa. E quest'ultima continuava a pensare che avrebbe dovuto starsene a dormire ancora, a sognare quel fantastico ragazzo. Non pensava di ritrovarsi con il braccialetto. Sembrava composto a mano, infatti gli anelli che univano i cuori alla catenella, erano tutti storti. I cuori erano diversi tra loro, come se fossero stati accuratamente selezionati, e nella loro innaturale accozzaglia, erano comunque piacevoli da ammirare.
Lei, Clarissa, che di bigiotteria non era una gran fan, aveva 25 anni e preferiva gli anelli ai braccialetti, i jeans alle gonne ampie,  i libri ai cellulari, il dolce al salato. Viveva da sola in un piccolo loft al centro di una cittadina che era a metà tra un paese dall'aspetto vittoriano e un paesello con pochi ma buoni abitanti. La sua vita finora non era stato nulla di eclatante. Storie d'amore un pò incerte, molti conoscenti ma pochi amici, un cellulare che non squillava, lo sguardo dietro ad un paio di occhiali. Era la santa per alcuni, una dispettosa per altri. In molti l'adoravano ma gli altri la disprezzavano. Così la sua vita, fra gli alti e bassi della società odierna, era arrivata ad un picco massimo, per poi scivolare giù sempre più. Un abisso senza possibilità di vedere e toccare, chiamare aiuto o farsi notare. L'unica cosa che fece fu aspettare. E quell'attesa pian piano, condita da buona volontà e tanta, tanta testardaggine, si stava rivelando l'arma migliore che possedeva. Così si accorse che non era più nell'abisso scuro, ma a metà strada tra la luce e le tenebre. E per il momento, le piaceva restare lì. In bilico, come doveva sempre essere. Una cosa triste, ma rincuorante. Meglio sapere che puoi fallire, invece di riuscire al primo tentativo. Così puoi riprovarci e non meglio, ma altre cento volte più consapevole.

"Non ho trovato nulla." Sospirò stancamente, riprendendo il bracciale tra le mani. Erano le dieci adesso e gli uccellini cinguettavano felici appollaiati sui rami lì vicini. Era straordinario come quel sogno, poteva essere vero grazie a quell'oggetto. Riuscire a far materializzare gli oggetti poteva essere una potere che aveva e che non aveva mai saputo usare? Clarissa credeva molto nella magia, ma era assurdo, del tutto innaturale. All'improvviso il telefono squillò. Le note di Someone like you di Adele risuonò per tutta la stanza. Solo che Clarissa aveva dimenticato dove fosse suddetto cellulare. "Dannato telefono..." Si disse, mentre lo recuperava dalla fodera del cuscino.
La voce squillante dell'amica la fece diventare momentaneamente sorda.
"Era ora che rispondessi!"
"Scusa, avevo il telefono nel cuscino."
"Nel cosa?"
"Tra le federe del cuscino Sid! Dio mio, stai dormendo pure tu?"
"Nono, sono assolutamente sveglia!" Disse Sidney, fissando il suo fidanzato accanto a lei. Dormiva iperterrito, russando lievemente. "Allora come stai?"
"Un pò sconvolta, ma per il resto sto bene." Rispose Clarissa, dando una rapida occhiata al bracciale. Parlarne o no? Sid era scettica riguardo ai sogni, così fece a meno di accennare a qualsiasi cosa legato ad esso.
"Hai preso un pò di caffè? Ti sento irritata..."
"No, purtroppo non l'ho preso..." Si ricordò della tazza abbandonata al suo Destino. Una brodaglia raffreddata.
"Bene, perchè hanno aperto un nuovo bar e ho pensato che forse ti piacerebbe andare all'inaugurazione stas-"
"Stasera? Ma perchè non ci andiamo subito?" Un altra passione di Clarissa erano i Bar. Ma non i semplici bar da 'prendi il caffè, scottati la lingua e poi fuggi' ma i Bar della serie 'Benvenuti e accomodatevi, qui facciamo il miglior caffè mai assaggiato prima'
"Sapevo che me l'avresti detto." Disse Sid, ridendo. Il suo fidanzato si mise a pancia in giù.
"Allora dov'è questo bar?"
"Si trova proprio di fronte la tua palazzina."
La faccia sorpresa di Clarissa non scomparve fino a quando non si mise il cappotto, si assicurò che la ciotola della gatta fosse piena, prese le chiavi e scese giù. Sid l'aspettava sotto il portone.
"Ce l'avevi proprio sotto il tuo naso e non l'hai mai notato?"
"Ti ricordo che sotto il mio naso ho spesso dei libri."
"Che ti isolano fin troppo mia cara. Eccolo, è quello il locale."
Dalla facciata di color grigio perla, la porta del locale sembrava intagliata da una vera e propria quercia. I rami e le foglie intarsiate e dipinte d'oro erano di una bellezza disarmante. Le lanterne appese fuori a mò di colonnina, che stavano a destra e a sinistra erano eleganti, fascinose, degne di un locale vittoriano, e non guastavano con l'ambiente circostante. Il nome del locale, poi, era tutto un dire.
"Le cafè de les artistes. Davvero originale. Conosci il proprietario?" Domandò Clarissa, mettendo le mani in tasca. Faceva un freddo cane per essere una domenica con un sole accecante.
"Si! Ed è anche molto carino. Per te andrebbe anche bene, direi."
"Diresti? Si vede che dopo 12 anni di amicizia non mi conosci affatto!" Rise la ragazza, facendosi beffa della loro più che naturale confidenza, un rapporto di sorelle che di semplici amiche con cui condividere i compiti e i diari.
"Ridi ridi, dopo che l'avrai osservato bene, voglio proprio vedere se mi riderai ancora in faccia..."
"Okay va bene, andiamo a conoscere questo "artista" Disse Clarissa, ironizzando sul nome.

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Capitolo 3
*** Tom ***


Il locale era grande, spazioso, con divani bianchi dalla forma morbida ed elegante. Il banco era illuminato da luci nascoste e le mensole dove erano poggiate tutte le bottiglie per i cocktail erano incassate nel muro, dando anche là l'illusione di essere sospese. La particolarità del locale era dato appunto da un angolo che sembrava davvero un posto adibito agli artisti: tele incomplete, lenzuola macchiate raccolte in un angolo, pennelli e grandi latte con pittura sparse sul pavimento, una grande lavagna dove lasciare il passaggio della propria presenza e infine, il proprietario. Sembrava facesse parte dell'arredamento. Clarissa non ne rimase particolarmente attratta perchè sembrava effemminato. E tanto anche.
Sid si avvicinò al ragazzo, salutandolo con sincero affetto e congratulandosi per il locale.
"Oh Sid, non sai quanto fatica mi è costato tutto questo!" Disse il proprietario, lamentandosi come una femminuccia. "Ero in bancarotta, capisci? Nessuno mi voleva dare la licenza, nessuno che mi rivolgeva più la parola, ero disperato!" Si coprì il viso con la mano, in modo teatrale. Clarissa fissò il soffitto e Sid gli sorrise.
"Non ti preoccupare stella, ormai il tuo sogno è realizzato no?"
"Si, ma senza Tom non ci sarei riuscito!"
"Tom? Chi è?"
"Il barista mia cara! Tesoro, senza quel ragazzo benedetto avrei detto addio a tutto questo... Non ci sono baristi abbastanza capaci in questo paesino così piccolo e originale, così troppo occupati a leggere o fumare sigari oppure a fare le belle statuine alla banchina..."
"Ma tesoro, tu sai che "esperienza" hanno quelli del porticciolo?" Domandò Sid, sempre più coinvolta nel racconto dell'amico. Clarissa si sedette al bancone, senza aspettare l'invito di nessuno. Vide che il depuratore era acceso e si versò un bicchiere d'acqua. E dire che si aspettava di assaggiare un bel caffè con panna.
"Signorina tutto bene?" Domandò una voce.
Clarissa si girò e vide un ragazzo che lucidava i nuovi bicchieri. Per poco l'acqua non le andò di traverso. Non fece in tempo a rispondere che Sid e il proprietario irruppero nella piccola bolla che Clarissa si era creata, per godersi la vista di quel ragazzo. Quindi si ritrovò davanti una tazzina di caffè totalmente assente di quello che era il vero amore per la preparazione di una bevanda tipica. Sid si complimentò ancora con colui che aveva chiamato Fran, e si recarono al divanetto rosso alla sinistra della sala. Clarissa rimase ammutolita dalla velocità dell'evento. Il ragazzo non si era mosso. Lei aveva ancora il bicchiere in mano, la bocca semi aperta, uno strano ronzio nelle orecchie.
"Sei tu Tom?" Chiese finalmente Clarissa.
"Si sono io." Sorrise Tom a trentadue denti.
Era lui. Il ragazzo del sogno.
Capelli ricciolini, e il colore dei suoi occhi erano più intensi di quanto ricordava. Un atmosfera vellutata li avvolgeva. Il profumo del caffè bruciato però rovinava il tutto. Clarissa sospirò stancamente.
"Ti vedo irritata. Stanca?"
Clarissa fece un mezzo sorriso. "Si, un pò..." Si mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio, aspettando una reazione dell'altro. Tom prese la tazzina con il caffè non toccato.
"Adesso ti faccio io un bel caffè."
"Oh, gra-grazie..."
Subito dopo, Clarissa ammirò i gesti di Tom. Potevano essere del tutto casuali, maldestri, poco precisi e molto rozzi. Invece le mani vigorose di Tom fecero un lavoro più che impeccabile. Prima mise sul banco una tazzina pulita, poi si mise all'opera alla macchinetta. Sbattè il braccio per togliere la posa e fece una battuta. Una piccola porzione di caffè macinato cadde nel braccio e Tom aggiunse con un cucchiaino una punta di caffè in più. "Per farlo più cremoso." Disse il ragazzo, come se avesse letto nei pensieri della stupita Clarissa.
Poi Tom mise il braccio in posizione, schiacciò il pulsante, mise la tazzina e il liquido marrone cominciò a fuoriuscire dal piccolo beccuccio. L'aroma della bevanda si diffuse in modo tenue ma potente. Il caffè era così.
"Ecco a te." Disse Tom, posando la tazzina sul piattino candido. Clarissa guardò la bevanda. Era bellissima soltanto a vederla. Con un mezzo sorriso prese la bustina dello zucchero, la versò e cominciò a girare. E lo bevve.
Si innamorò di quel caffè.
E anche di Tom.

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Capitolo 4
*** La nostra unica occasione ***


Mentre si avviavano per il centro, il sapore del caffè che Clarissa aveva assaggiato non era andato via. Era buono si, così buono da darle delle vorticate alla testa, ma il pensiero di Tom le faceva venire le vertigini. Tutto ciò che aveva sognato e vissuto non poteva essere reale. Forse Tom era una sua allucinazione.
"Clarissa, ma mi senti?" Sid interruppe il filo dei suoi pensieri.
"Eh?"
"Eh un corno, a cosa pensi?" Sid divenne leggermente alterata.
Clarissa piegò la testa, cercando di trovare le parole giuste. Ma non ne aveva. Si negava persino di formulare qualche frase di senso compiuto. Quello che aveva visto era troppo.
"Non mi sento bene." Riuscì a dire.
"Ma il caffè che ti ha fatto Fran era buono, si?"
"Era bruciato. Nel frattempo che tu e il proprietario spettegolavate, Tom mi ha fatto un altro caffè." Disse tutto d'un fiato. Non era lei a parlare, ne era certa. La sua coscienza stava per realizzare qualcosa.
"Davvero? Io Tom non l'ho visto..."
"Era dietro al bancone, lucidava dei bicchieri."
"Baby te lo sarai immaginato. Perchè Fran mi ha detto chiaramente che Tom entrava in servizio nel pomeriggio."
Clarissa guardò la sua amica, con un punta di disperazione nello sguardo. "Stai, stai dicendo sul serio?"
"Se vuoi ritorniamo a chiedere. Comunque io ti ho visto bere dalla tazzina che Fran ti ha preparato."
"No..." Sospirò la ragazza. I suoi lunghi capelli le coprirono il viso e si coprì la mano con la bocca, come per trattenere dei singulti.
"Va bene Clarissa, è evidente che non stai bene. Andiamo a casa?"
Clarissa annuì.

Quando Tama-chan sentì la chiave girare nella toppa, si avviò spedita per salutare la sua padrona, facendo le fusa e arricciando la coda alla sua caviglia. Clarissa sorrise e procedette piano, per non calpestare la coda della gatta. Era mezzoggiorno e di fame, la ragazza non ne aveva. Quindi procedette verso la sua stanza, spogliandosi poco alla volta delle sue vesti, rimanendo solo in canotta e culotte, si mise sotto le coperte e attese che il sonno prendesse il sopravvento. Ma dopo mezz'ora, un ora, tre ore, nulla. Si tolse le coperte. Si sedette, cercando di riflettere. Tom non era reale. Aveva avuto una conversazione immaginaria? Come poteva spiegarsi il tutto? Lo sguardo si posò sul braccialetto posato sul comodino. Si alzò e lo prese tra le mani, studiandolo ancora. Si accorse che mancava un cuore. Era come se qualcuno l'aveva staccato di proposito. Esaminò la stanza per guardare se il pezzo rosso fosse finito da qualche parte, forse Tama-chan ci aveva giocato. Ma nulla, in casa non c'era niente. Quindi, ancora dubbiosa (e ossessionata), si rivestì si portò il bracciale in tasca e andò al bar, trovandolo chiuso. "Merda!" L'imprecazione fu percepita anche dai piccioni, che volarono sopra la sua testa. Quel pomeriggio stava diventando la peggior giornata della sua vita.
"Il locale apre stasera." Annunciò la voce di Tom. Per poco a Clarissa non venne un attacco di cuore.
"Sei tu!" Clarissa si portò la mano al petto, profondamente agitata.
"Tutto bene?"
"Si... No! Volevo, volevo vederti!"
"Bhè, la tua sincerità mi colpisce." Rispose Tom, in una voce completamente vellutata.
"Non sono qui per quel motivo, se ti sta chiedendo perchè sia così turbata."
"Ahah! Stavo nutrendo dei dubbi a riguardo, ci conosciamo appena. Ma è evidente che vuoi chiedermi altro, non è così?"
Tom incrociò le braccia, poggiando la spalla al muretto. Clarissa si avvolse di più nel cappotto e tirò fuori dalla tasca il braccialetto. Lo porse a Tom.
"E' tuo questo?"
Tom se lo rigirò tra le mani, sorridendo in modo malinconico.
"Si è mio. Come l'hai trovato?"
"Ti sembrera assurdo ma me l'hai dato tu. Ieri notte, in uno dei miei sogni."
"Capisco... E scommetto che ci siamo anche baciati, non è così?"
"Veramente, io... Non, non..."
"No, non me lo dire, altrimenti mi rovino la sorpresa."
Clarissa spalancò gli occhi "Quindi tu...?"
"Si, nonostante la tua logica di pensiero è sempre inconscia e non la dimostri a tutti, ci sei arrivata. Io sono a metà strada tra realtà e immaginazione. Questo braccialetto rappresenta le nostre possibilità di vederci.  Erano cinque. Ne hai già utilizzata una. E questa è la seconda. Ti ho scelta perchè sono stanco di apparire e scomparire. Se non trovi il modo di rendermi reale io scomparirò, per sempre. Altrimenti resterò bloccato in questa trance di mezzo che non mi permette di invecchiare e continuerò a cercare, cercare..." Tom strinse il braccialetto. "E' una fottuta maledizione. Ogni volta che ho la possibilità di tornare, la ragazza che ho scelto non riesce mai a..." E si bloccò. Guardò Clarissa, rendendole il bracciale. "Ti prego, poni fine a questa cosa!" E si mise a ridere. Clarissa era sempre più confusa, ma almeno aveva capito che pazza non era. Quello instabile sembrava Tom e le sembrava perfetto, con lo sguardo corrucciato e gli occhi lucidi di un emozione che Clarissa non conosceva. Chissà cosa aveva dovuto passare per arrivare sin nel 2010 ed essere forse rifiutato da altre ragazze prima di lei. E lei? Perchè aveva scelto proprio lei?
"Tom... Perchè hai scelto me?"
Tom si passò la mano tra i capelli e si accese una sigaretta.
"Perchè sei sempre stata tu."
"Io... Cosa?"
"Tu sei la reincarnazione di tutte quelle che non sono riuscite a riportarmi indietro. Questa è la mia -la nostra- unica chance."
Un sacco di sentimenti bruciavano nel petto di Clarissa. Allora quel singulto provato prima con Sid non era casuale? Si portò di nuovo la mano alla bocca per soffocarne un altro.
"Ricorderai pian piano." Le disse Tom, poggiando una mano sulla sua spalla. All'improvviso però Tom si ritrovò abbracciato dalla ragazza. Tom affondò il naso tra i suoi capelli.
Era bello sentirsi di nuovo a casa.

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Capitolo 5
*** Tre ore ***


Il pomeriggio sembrava essersi fermato: tenendo stretto quel braccialetto, Clarissa aveva (voleva in realtà) l'impressione di allungare il tempo a disposizione con Tom. Doveva fare sicuramente delle cose o una cosa precisa per non farselo più sfuggire: Tom in tre ore gli aveva raccontato tutto di loro, delle loro cattive abitudini insieme, in quali epoche si erano rivisti, gli aveva raccontato degli usi e dei costumi delle belle dame del '500, del gatto egiziano a cui Clarissa aveva visto scappare dal palazzo, l'istante in cui Tom era riuscito persino a fermare il tempo pur di evitare che Clarissa cadesse da una rupe nel XV° secolo... Clarissa ascoltava rapita: non era possibile tutto questo, si ripeteva mentalmente, ma in qualche modo, qui, ora nel 2010, si stavano riconoscendo, ridendo, stavano vivendo i loro momenti perduti. Tom era così bello da osservare, che Clarissa sarebbe rimasta ferma ore ed ore, pur di ricordare la minima e piccola espressione su quel viso serafino. Tom da parte sua, toccava il viso di Clarissa più di quanto uno sconosciuto poteva permettersi. Ma in fondo non era uno sconosciuto, aveva compiuto quei gesti, milioni di volte, in tutte le epoche in cui erano vissuti, vivevano per quelle carezze. E oggi sembrava così naturale, del tutto casuale, come se in fondo, non fossero passati altri anni inutili ad aspettare. Mentre  Tom arricciava con le dita alcune ciocche di capelli della ragazza, lei si era poggiata alla sua spalla.
"Ricordi questo gesto?"
"In qualche modo si. Mi fa scendere un fuoco nello stomaco."
Tom rise. "E' la prima volta che te lo sento dire."
"Perchè è la prima volta che vivo questa cosa. Almeno credo." Clarissa si toccò lo stomaco. E si accorse dell'orario. Erano quasi le otto di sera, ciò significava che Tom doveva affrettarsi per il lavoro. Infatti il ragazzo si alzò dalla panchina.
"Devi proprio andare? Come faremo a non sprecare le altre occasioni?" E la ragazza fece tintinnare il bracciale tra le dita.
"Vieni al bar con me." E Tom gli tese la mano. "Potrai stare dietro al banco con me, senza che il proprietario dica nulla. Ti va?"
"Guarda che io cocktail non ne so proprio fare, ti avverto."
Tom rise.

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Capitolo 6
*** Non mi lasciare ***


La luce soffusa del locale irradiava aria bohemienne, in tutti i sensi. Ogni invitato aveva un accessorio o un vestito che ricordava quell'epoca. Il proprietario, che Sid non smetteva di coprire di complimenti, era anche lui fasciato in qualcosa che Clarissa non seppe definire: sapeva solo che aveva una frivolosa camicia piena di piume e dei guanti dall'aria feticista.
"Tom, amore! Alcuni mi hanno fatto dei complimenti per i stupendi cocktail che hai preparato! CONTINUA COSì E TI AUMENTO LO STIPENDIO OHOHOHOHOHO!!"
Clarissa non sapeva se ridere o piangere e Tom, impegnato a mixare frutta e ghiaccio, sorrideva e versava liquidi colorati nei bicchieri luccicanti.
Clarissa si sentiva piccolissima dietro il bancone. Tom era bravissimo, elegante e gentile. Si ricordò di quanto gli aveva raccontato (delle sue precedenti vita) e di quanto rozza era diventata nel tempo: come poteva piacere ancora a Tom? Magari quello di comportarsi come un aggraziata fanciulla era ciò che le era rimasto dalle sue vite precedenti. Sarebbe stata capace di riconquistarsi Tom come una volta? Tom si sarebbe innamorata della nuova Clarissa? All'improvviso la musica si affievolì e le orecchie della ragazza cominciarono a fischiare: evidentemente era rimasta troppo a lungo ad ascoltare la musica jazz che proveniva dalla cassa vicina. Ma l'intensità del fischio diveniva sempre più forte. Clarissa fece segno a Tom che andava alla toilette per rinfrescarsi un pò e Tom insistette per accompagnarla. Clarissa non riuscì a contrabbattere, e si ritrovò in bagno con Tom.
"Sto bene, ho solo bisogno di..." Clarissa non riusciva a sentire più le sue stesse parole.
"Clarissa, dimmi che stai bene." Tom la prese per le spalle, chiaramente preoccupato. Clarissa potè solo annuire, ma non sapeva cosa fare con quel fastidioso problema.
"Non mi lasciare." Disse, nonostante la sua momentanea sordità e Tom annuì, sorridendo.
"Lo sai che non mi perdonerei mai se dovessi farlo."
E quella frase scatenò qualcosa in Clarissa che la fece tornare indietro nel tempo.
Ora non erano più nell'antibagno specchiato, ma in un giardino ricolmo di rose e gardenie. Clarissa era vestita con un suntuoso abito rosso, i capelli semi raccolti in un acconciatura del XV° secolo, i guanti e l'aria primaverile (pura e vera) di un Inghilterra (forse) che non aveva mai visto. Tom era dinnanzi a lei con un favoloso completo gessato, un bastone in mano e una bombetta nera e lucida.
"Non mi lasciare." Ripetè.
"Lo sai che non mi perdonerei mai se dovessi farlo." E Tom gli porse un piccolo gioiello, un cuoricino impreziosito di diamanti, che si aggiunse al bracciale.

"Il momento perduto di quel giorno, ora, è stato aggiunto a quello del presente. Non solo la storia si è ripetuta ma, anche il doloroso ricordo di quell'infausto giorno è stato cancellato. Ora, tempo, riprendi a scorrere."

"Clarissa? Clarissa?"
"Tom?"
"Torniamo al banco? Stai bene ora?"
"Credo di si..."
"Ti prego di non farmi più allarmare così."
"Mi dispiace. La musica era troppo alta. Non sentivo più nulla."
Tom la guardò, accarezzandole il viso. Aveva una voglia matta di baciarla, ma non lo fece, non era pronto per un passo così azzardato.
"Grazie Tom." Disse lei, prendendo il ragazzo per mano. Ritornarono nella sala principale, avvolti dall'atmosfera bohemienne del locale.

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Capitolo 7
*** Io sono il tuo Guardiano ***


Clarissa non sapeva spiegarsi cosa fosse accaduto in quell'istante in cui si era ritrovata nel XV° secolo, ma una certezza pendeva di certo dal suo bracciale. La consistenza di quel pezzo le dava conferma che qualcosa era cambiato. I cuori ora erano 4, ma l'ultimo aggiuntosi era di consistenza diversa, di un altra fattura. Di certo rappresentava qualcosa, ma solo Tom poteva dargli una risposta. Quando se lo vide sottocasa, ne fu entusiasta. Era vestito con jeans e un maglioncino nero. Clarissa era più o meno vestita allo stesso modo, ma freddolosa com'era, cappello e sciarpa, non mancavano mai. Decisero di parlare dell'accaduto in una pasticceria, seduti davanti ad una fetta di torta con il caramello.
"Una volta in Egitto chiedesti di un dolce al miele talmente buono, che al tuo gatto venne la carie." Ricordò Tom.
"Povera bestiola." Rispose Clarissa sconcertata.
"Ma non è detto che venga a te."
"Stai zitto, è la prima volta che ordino questa bomba, Sid mi ha detto che ne vale la pena..."
"Allora mangiamo." Tom era entusiasta di osservare Clarissa mangiare, dopo tanto tempo. La ragazza era decisamente golosa, questo lo ricordava bene. Quindi tra chiacchere e caramello, Tom fece scivolare un pacchettino sul tavolo.
"Cos'è?" Domandò Clarissa, con la bocca che gustava un altra forchettata di torta al caramello.
"Una cosa che ti piacerà sicuramente."
Quando Tom faceva il misterioso, Clarissa aveva il vago sentore che si trattasse di uno dei tanti ricordi che voleva e non voleva recuperare. Non ne era mai certa. Quindi afferrò il pacchettino. Era di color avorio, sottile, ma consunto e molto vecchio. Sembrava fosse stato conservato sotto la sabbia. Espose questo suo dubbio a Tom e quando quest'ultimo annuì, la curiosità di Clarissa crebbe inesorabile.
"Stai dicendo sul serio?"
"Ho delle conoscenze in Egitto che hanno scavato nel preciso luogo in cui tu, mia principessa Reale, alloggiavi con la tua famiglia."
"Non è possibile..."
"Cosa aspetti allora, aprilo."
Senza indugiare, la ragazza aprì delicatamente il pacchetto. Rimase un pochino delusa quando vide che era solo un pezzo di pergamena che rivelava il disegno di un gatto. Accanto però, c'erano una serie di simboli. La scrittura incerta di chi li aveva eseguiti sembravano quelli di un bambino.
"E'... E' carino."
"Non ti aspettavi una cosa simile, vero?"
La delusione le si leggeva chiara in viso.
"Bhè, credevo fosse un gioiello o qualcosa di simile. Il disegno del gatto presumo sia del mio gatto, ma la scrittura vicino è chiaramente leggibile. Mi fa pensare che l'inchiostro sia diverso." L'acume di Clarissa, era, come sempre, un abilità spettacolare.
"Non riesco a leggere... Penso di ricordare qualcosa ma non saprei con certezza. Lo puoi leggere per favore?"
Tom prese la pergamena e la lesse.

"Io sono il tuo Guardiano. In questa e in tutte le altre vite che verranno. Per sempre."

Clarissa rimase ad ascoltare. Ebbe l'impressione di aver visto dell'oro luccicare alle spalle di Tom, quindi chiuse e riaprì gli occhi e quell'alone sparì. Non era pronta a far riaffiorare dalla sua mente un altro flashback. Anche se questo era di minima importanza, sicuramente gli altri erano di portata molto più dolorosa. Perdere Tom nelle precedenti vite era stato sicuramente uno strazio per entrambi le loro anime. Non era pronta ad un altra spaccatura nella loro ultima possibilità.

"Il messaggio si riferisce a te o al gatto?" Chiese Clarissa, bevendo poi l'ultimo goccio di cappuccino.
Tom la imitò e rise, ma non sembrava volesse risponderle. Fece un cenno vago e Clarissa non insistette, così una volta pagato e usciti dalla pasticceria, i due si accorsero che alla loro alle calcagna vi era un gatto. Un felino a dir poco bellissimo, con il pelo folto e un portamento un pò troppo altezzoso. Non sembrava però uno di quei gatti completamente secchi e seducenti delle iconografie egiziane, ma aveva l'aspetto di un piccolo leone.
Quando arrivarono a casa, il gatto si appostò davanti al portone, come una piccola statua ferma ad attendere ordini.
"Sembra una sfinge."
"Non ti posso dare torto. E' bellissimo non trovi?" Esclamò Tom, entusiasta. Clarissa guardò Tom e poi di nuovo il gatto.
"L'hai evocato tu?"
"Come?" La sua faccia sembrava del tutto innocente.
"Non mi inganni con la tua aria da santarellino! L'hai evocato con quella pergamena!" Disse la ragazza, ricordando delle parole solenni su quel pezzo di papiro.
"Come fai a dirlo?" Tom nascondeva delle risate sotto i baffi. Ormai era evidente. Non sapeva come, ma Clarissa riconosceva quando Tom diceva una bugia.
Lo scrutò ancora con gli occhi sospettosi e irritati "Tu eri un mago! Al tempo in cui noi ci beavamo dell'aria del deserto e dell'acqua del Nilo, tu eri un mago! Hai evocato quel gatto allo stesso modo in cui hai letto la formula al locale e..."
"E dov'è il problema?"
"Non lo dovevi fare, credo."
"Ma nessuno se ne accorto. Cosa c'è di male nell'evocare una vecchia conoscenza, che ti conosce meglio di chiunque altro?" Tom aveva ragione, ma Clarissa aveva altre ragioni per cui essere arrabbiata.
"Una vecchia conoscenza."
"Si."
"E la tenevo sempre con me, questa vecchia conoscenza."
"Si."
"E adesso cosa farò con Tama-chan? Non ha mai socializzato con altri gatti... E sarà un altra bocca da sfamare! Come diavolo farò a mantenere due gatti?"
Mentre Clarissa apriva la porta dell'appartamento, Tama-chan si presentava alla sua padrona, attorcigliando la coda alla sua caviglia.
"Curioso..."
"E' il suo modo di darmi il benvenuto. Non me lo farà più appena scoprirà di avere un suo simile che si aggira intorno alla casa."
Clarissa si tolse il cappotto e si sedette sulla poltrona. Aspettò che Tom facesse lo stesso. Si guardarono per un paio di minuti, che sembravano, come sempre, interminabili.
"Come hai fatto a ricordarti che ero un mago?"
La ragazza sorrise davanti ad un Tom sempre più inaspettato dagli eventi. Sapeva che doveva fare una buona parte della missione per poter restare accanto a Clarissa, ma quest'ultima procedeva a grandi passi verso il compimento di questa strana avventura.
"Ho visto dell'oro che risplendeva alle tue spalle."
"Ti era mai capitato?"
"No... A dire il vero si... Ma non ho visto dell'oro la prima volta."
Tom rimase perplesso. Visto che ormai erano in argomento, Clarissa pensò che non aveva più senso nascondere quel dettaglio accaduto precendemente.
"Quella sera che eravamo al locale e sono dovuta andare in bagno, ho avuto come un flashback. E sembrava reale, ho visto te in bombetta e completo nero in un giardino di rose, che ti facevo promettere di non lasciarmi. E dopo, quando sono tornata indietro, al bracciale è comparso questo." E prese il braccialetto dalla tasca, "Ma cosa..?"
Clarissa si accorse che adesso il bracciale aveva un nuovo ciondolo, ma di forma diversa. Un gatto stilizzato d'argento con la forumla incisa sul dorso.
"Questo non me l'aspettavo." Disse Tom. -Nemmeno io- Pensò Clarissa, poi guardò Tom e di nuovo il gatto d'argento. Si accorse che Tama-chan non era nella cesta. Dei miagolii di gatti in calore giunse alle sue orecchie.
Tama-chan aveva fatto amicizia con il nuovo arrivato.

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Capitolo 8
*** Premonizioni ***


"Tom? Dove sei?"
Clarissa osservò l'ambiente in cui si trovava. Un oscuro meandro in chissà quale posto sperduto nel mondo ora le sovrastava la testa. Era coperta da una veste bianca, con uno strano vessillo sugli avambracci, sul petto, sulla linea della lunga gonna.
"Tom?" Chiamò di nuovo, ma la sua voce echeggiò in tutti gli angoli, in tutte le fessure; ma di Tom, pareva non ci fosse traccia. Così cominciò ad immergersi nelle spire di oscurità che si propagavano dinnanzi a lei. Alcune voci lontane, bisbigliate nei secoli per spaventare e avvertire in chissà quale lingua qualsiasi sconosciuto che toccava e sfiorava quelle mura, erano preghiere poco importanti per Clarissa. Le sentiva si, e ne era spaventata certo, ma doveva proseguire. Tom l'aveva ritrovata per mezzo di un sogno e il legame si rafforzava grazie a dei flashback che riuscivano a rivivere insieme. Ma aveva l'impressione che quello che stava vivendo e vedendo, non faceva parte delle loro vita. Ora l'oscurità venne sostituita ad una sottile coltre di nebbia. Clarissa intravedeva delle ombre, delle sagome dalla forma che apparentemente sembrava umana. Forse tra quelle avrebbe riconosciuto Tom.
Decise comunque di non chiamare il suo nome, non riusciva ad immaginare a come avrebbe reagito se quelle forme indefinite avrebbero preso vita.
Il suo passo, prima incerto, era rimasto cauto fino a quando Clarissa non incappò su uno straccio sul pavimento, sporco e umido. Lo spinse con il piede, per metterlo in una visuale migliore, e si accorse che lo straccio era coperto da più strati. Strato dopo strato, Clarissa alla fine scoprì che dentro c'era il braccialetto. Con un solo cuore.  La ragazza smise di pensare.
"Oh mio dio."

Quel senso di spavento le fece aprire gli occhi. Il suo respiro era irregolare e il cuore martellava pesantemente in petto. Si accorse che era a casa, nel suo letto. Il gatto egiziano e Tama-chan si dividevano la cesta e dormivano tutti e due senza difficoltà.
Clarissa accese l'abat-jour e guardò il braccialetto, per avere conferma che il suo era solo stato un sogno. Non osava toccarlo. Era troppo intimorita da qualcosa.
Il monile era come l'aveva lasciato la sera prima, con un gatto stilizzato e un cuore consistente in mezzo ad altri tre rossi ed anonimi.
Si asciugò il sudore dalla fronte e si mise di nuovo sotto le coperte.
Cosa significava quel sogno, non lo sapeva, ma solo di una cosa Clarissa era pienamente convinta: che i suoi sogni erano più reali di quanto lo erano in passato. E quel sogno non era un bell'evento.

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Capitolo 9
*** Seth ***


Pioveva.
Il suo istinto l'aveva tradita di nuovo. Quella domenica, che si annunciava al mondo con un bel cielo limpido, si rivelò invece come il peggior dei nubifragi mai visti. La pioggia di solito le metteva nostalgia, forse anche allegria. Guardare le gocce che facevano a gara sul vetro freddo era divertente, tifando per quella più piccola che si incontrava le altre sorelle gocce, crescendo in diametro e che arrivava prima alla meta. Ma oggi Clarissa non era in vena di fare tifi e di sentirsi nostalgica. La pioggia le dava particolarmente fastidio, oggi.
Decise di non mangiare nulla, nè di bere il suo consueto caffè. Temporeggiò con la moka sulla cucina e poi decise che era meglio fare qualcosa di utile, come prendersi cura di se stessa. Una cosa che fu quasi impossibile, dato che Tama-chan e gatto-leone le stavano addosso in continuazione. Gatto-Leone... Adesso che ci rifletteva quel gatto così Regale non aveva ancora un nome. Se se ne fosse ricordata, lo avrebbe nominato con lo stesso appellativo che aveva nella sua vita precedente. Clarissa guardò il gatto, quest'ultimo guardò Clarissa. Si sforzò di concentrare il suo sguardo nelle iridi feline di quel meraviglioso essere, in cerca di un indizio, un frammento della sua memoria...
"Sei un micione complicato tu, non è vero?"
Per tutto risposta il gatto-leone miagolò. E poco dopo il citofono suonò.
"Aprimi, sono io." Annunciò Tom.
Clarissa scivolò con i piedi sul pavimento per arrivare alla porta, l'aprì e poi si guardò allo specchio. Il suo aspetto era accettabile.
"Che pioggia!" Disse Tom, fermo sulla soglia. Clarissa gli tolse di mano l'ombrello zuppo e lo invitò ad entrare. Quando la ragazza infilò l'ombrello nell'apposito contenitore, Tom la prese per i fianchi e la baciò. Dopo parecchio tempo, desiderava farlo. Clarissa si sentì presa alla sprovvista, ma subito rispose al bacio. Si rese conto che, nonostante fosse la prima volta, conosceva quelle labbra. Morbide, calde e assolutamente irresistibili.
Quando si separarono, i due si fissarono.
"Perchè l'hai fatto?"
"Volevo rendere la tua giornata un pò più allegra."
"Bhè, sappi che ci sei riuscito."
"Eheh. Desideravo farlo da parecchio..." Sospirò Tom, leccandosi le labbra. Clarissa trovò quel gesto molto sexy. Se Tom l'avesse fatto di nuovo, Clarissa era pronta a mangiarsele, quelle labbra di ciliegia.
"Questa che stiamo vivendo mi sembra la tipica scena del marito che torna a casa e la moglie lo accoglie amorevolemente."
"Mi sembra adatto al contesto. E mi ci rispecchio, infatti credo che dovremo farlo più spesso, in un prossimo futuro. Tu che ne dici?"
Clarissa arrossì. "P-per me va bene..." Si coprì la bocca con la mano, voltando il suo sguardo altrove e si ricordò del sogno.
"Che ne dici allora di rifarl.."
"A proposito del prossimo futuro." Disse allora Clarissa, coprendo con l'altra mano la bocca di Tom. "Ho fatto un sogno stanotte. Un sogno molto strano."
Tom diventò serio e si tolse la sciarpa e la giacca. Chiuse la porta dell'appartamento e si recarono nel salone. "Dimmi tutto."
Dopo aver spiegato a Tom della strana veste e luogo, il bracciale da un solo cuore, delle figure indefinite nella nebbia, Tom piombò in un silenzio di riflessione.
"Cosa potrebbe significare secondo te?" Chiese Clarissa. Continuava a stringere la mascella dal nervosismo.
Tom si alzò e bevve un pò di succo di frutta da una bottiglia che trovò in una credenza. Clarissa lo guardava con impaziente trepidazione.
"Non hai mai avuto un evento così nelle tue vite precedenti?"
"Non che io ricordi. E comunque c'era il braccialetto, oggetto che ho cominciato a sognare solo un mese fa."
Tom annuì. Forse Clarissa si era data la risposta poco prima, quando si era riferita ad un prossimo futuro. Ora che lui riusciva a stare accanto a lei, significava che i suoi sogni si avveravano più in fretta e buoni o cattivi che fossero. Tom inoltre non era affatto intimorito dall'ambiente, ma dalla presenza di un solo cuore: significava quindi che Tom aveva cessato di esistere? Che la loro ulltima possibilità era dipesa da delle figure in lontananza?
"Tom?"
"Non ti preoccupare, troveremo una soluzione."
La pioggia era diventata più forte e la luce era quasi svanita del tutto, nonostante fossero le 10 del mattino. Clarissa era su una poltrona con le ginocchia al petto. Tom aveva preso dal nulla un diario, che stava consultando con pazienza e ogni tanto coccolava i gatti che lo disturbavano in continuazione e senza che Tom ne fosse irritato.
Clarissa lo ammirò con sguardo furtivo. Poteva perdere una persona così meravigliosa?  I suoi sogni facevano schifo. Non era giusto che Tom passasse la Domenica chino su un diario per risolvere qualcosa che forse non sarebbe mai avventuo. Dovevano recuperare il tempo perduto no?
Si alzò dalla poltrona e Tama-chan si allontanò, tranne il gatto-leone, che per la prima volta si fece coccolare da Clarissa.
"Ma guarda un pò... Fino a ieri non ti avvicinavi nemmeno."
"Hai detto qualcosa?" Disse Tom, alzandosi gli occhiali. Clarissa carezzò i suoi capelli scuri.
"No, niente di importante..."
Il gatto-leone alzò la coda, fece le fusa. Sembrava felice.
"Seth."
"Finalmente ti sei ricordata il suo nome." Disse Tom, senza distogliere lo sguardo dal diario. Clarissa cacciò una lacrima che cadeva giù dalla sua guancia. "Mi ci è voluto un pò."

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Capitolo 10
*** Petali di Ciliegio ***


Dato che sono senza ispirazione, farò la storia dalla prospettiva di lui. In fondo non è solo lei che deve fare tutto il lavoro c:
Clarissa e Tom comunque sono due creature in cui credo moltissimo. Nonostante la piega che ho dato alla storia, ci tengo che abbiano spessore e un carattere forte e sostanziale. Non mi sento sicura nell'aggiungere qualche side character di supporto perchè è complicato seguirne già due, figuriamoci degli altri, come al solito, li terrei solo da parte.
Spero che questo cambio di prospettiva sia piacevole e soprattutto mi porti alla conclusione della storia. E mi auguro che vi piaccia c:

Guardava i petali di ciliegio con aria distratta, buffa, completamente assorta. Non credevo che si perdesse così facilmente in quella pioggia, mi fu difficile trovarla. Ma alla fine mi immedesimai nei suoi panni, e sapendo farlo benissimo, la ritrovai seduta sotto l'albero più grande, là dove si sentiva maestosa, anche era a gambe incrociate come una Dea indiana a godere di quei petali fini e delicati.
"Sono stupendi!"
"A molti accecano la vista."
"Per via di tutto questo rosa? Io credo che dovrebbero annullare anche tutti gli altri i sensi, allora. Nessun essere umano dovrebbe privarsi di questo spettacolo."
Mi sedetti accanto a lei, e mi accorsi che eravamo come circondati. Gli alberi erano vistosi e imponenti e la pioggia di petali non cessava. La brezza primaverile ci accarezzava e così chiedetti a Clarissa se voleva ballare.
"E dove?"
"In quello spiazzo laggiù."
Ma non ottenni risposta finchè lei non mi confessò che non sapeva ballare granchè.
"Dovrai solo seguirmi."
"E se ti pesto i piedi?"
"Allora te li pesterò pure io."
Lei fece una faccia indignata, ma rise subito dopo "E va bene, mi hai convinto... Andiamo!" E mi diede la mano.

Mentre ci dondolavamo e azzardavamo a qualche piroetta, mi ritornò in mente un periodo che avevo cancellato... Cina. Un palazzo rosso, un vestito con spalline trasparenti. Oro e rosso che si univano e drappeggiavano delle tende in un gazebo, musica di una lira e di un flauto unite insieme. Lei, che doveva unirsi ad un altro uomo. Io, semplice soldato reale. E alla fine del ballo, lei mi aveva donato un pegno, la pesca d'oro, una piccola pesca con inciso il suo nome. La doveva donare al suo promesso sposo e invece...
"Se dovessi sposarmi, vorrei farlo qui e subito. Con te, non con altri."
"Io direi, mia regina, che avete semplicemente buon gusto."
E un altro peso dal petto mi fu tolto, e un altro cuore al suo braccialetto aggiunto.

"Se dovessi sposarmi, mi piacerebbe celebrare la cerimonia qui."
"I tuoi gusti semplici sono di grande effetto."
Lei mi rispose con un gran sorriso.

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Capitolo 11
*** Fili intrecciati e Specchi ***


Era una notte davvero sfarzosa.
C'erano dei brillii e dei riverberi di ogni colore che accendeva la candida luna su quel dipinto nero che era la notte. La musica all'improvviso riempì il vuoto di ogni angolo di strada, di ogni bottega chiusa, di ogni pezzo di Venezia dove l'acqua non l'aveva ancora toccata. Le maschere, che dapprima restavano sospese in fila, si mossero al ritmo di quelle leggiadre note romantiche, un pò azzardate, come azzardato era il loro comportamento. Nascoste sotto quelle mentite spoglie, non potevi riconoscere chi ci fosse dietro quelle maschere colorate, di piume, di glitter e di finta sfarzosità e cosa aveva intenzione di fare. Indossare una maschera porta tanti privilegi, ma fino a quando possono durare? La realtà ti obbliga a portare una delle tue tante maschere e di conseguenza reagisci, vivi, parli, ridi, piangi.
Quella sera Tom, invece di inseguire le belle gonnelle alzate delle cortigiane a passeggio per la piazza, si avvicinò ad una bettola poco illuminata. Dentro ci abitava una pazza, quella che chiamavano strega, deviata, Demone. Ma per Tom quella povera ragazza coperta di stracci era solo un orfana incompresa, bellissima, con occhi di ghiaccio e lunghissimi capelli neri. La ragazza finora aveva tirato avanti con la piccola pensione del padre calzolaio, un pezzo di pane nascosto sotto il letto e tanti gatti. Così tanti gatti che i Veneziani, nonostante la passione che avevano per i felini, si tenevano ben lontani da loro, credendo che la pazza della bettola li avesse posseduti o avvelenati. Tom si arrampicò su per il tettuccio pericolante, facendo attenzione ad ogni passo. Una volta trovato il buco che la ragazza aveva fatto di proposito nel tetto, Tom si inginocchiò, sperando di trovarvi la ragazza. In effetti, lei era proprio lì. Per la prima volta dopo tanto tempo lei aveva il viso e i piedi puliti, un candido vestito. I capelli erano anche corti, non vi era più la scura zazzera che di solito si portava appresso. Tom rimase sconcertato. Gli piaceva quella scia nera e adesso sembrava più piccola e meno sciatta del solito. Decise di entrare nella stanza, che si componeva di un solo letto, un vecchio camino, tante scatole, una libreria piena di scarpe antiche e impolverate, un lavamani scheggiato con lo specchio annerito dal tempo, un tappeto consumato, i tanti rinomati gatti ammassati addormentati in una grande cesta e la ragazza, raccolta in un angolo della stanza ad intrecciare vecchie pagliuzze per farne delle scarpe.

"Uno, due, trecentomila fili.
Quattro, cinque, sei e quell'ultima dove va?
Sette otto nove, la scarpa finita sarà
Dieci e ricomincia, i fili di nuovo intrecciare dovrà."

La cantilena che la ragazza aveva intonato era una vecchia litania dei calzolai veneziani e Tom sorrise. Erano anni che non la si sentiva più cantare. E la ragazza cantava benissimo.
"Ciao uomo mascherato." Disse la ragazza, che si era accorta di Tom.
"Buonasera a te Madonna. Cosa intrecci?"
"Nuove scarpe per l'estate. Ho trovato un sacco di fili di paglia lungo il cammino, oggi."
Il suo tono era tranquillo, sereno. Sorrideva più del solito. Tom ne era affascinato.
"Vedo che sei felice."
"Lo sono perchè mi hanno detto che dovrò esserlo, d'ora in poi."
"Chi ha detto a te tale novella?"
"Il tizio che si è preso cura di me, ma solo questo pomeriggio. Ha provveduto ai miei capelli e alle mie vesti.. Anche al mio viso, anche se ho provveduto da sola a lavarmelo, così come i piedi. Odio quando mi toccano il viso e i piedi."
"Posso domandarti chi era questo gentiluomo?" La curiosità di Tom divenne sospetto. A meno che non volesse la ragazza come schiava, era impossibile che un totale sconosciuto si avvicinasse a lei.
"Mi ha dato anche un nuovo nome sai?"
"Ma tu non l'avevi un nome?"
La ragazza fece di no con la testa. "Quando mia madre mi mise al mondo, si dimenticò di me. Mio padre era troppo occupato per fissare le suole alle scarpe, così durante la mia infanzia e adolescenza non venivo chiamata affatto. Ero io a propormi alla gente, ma tutti mi allontanavano comunque per il mio aspetto e per la mia... Bhe lo sai no? Io sono la pazza della bettola."
"Ma adesso non lo sei più."
Lei sospirò. Si alzò dalla sua posizione rannicchiata e Tom fece lo stesso. La seguì con lo sguardo mentre lei si avvicinava ad un gatto blu che le arricciava la coda alla caviglia. La luna illuminava la sua figura esile.
"Il mio nome è Clarissa. Non sarò più la pazza della bettola."
"Clarissa..." Un tonfo al cuore, un battito in più, un emozione che si apre come uno squarcio dentro al petto. Tom non si era mai sentito così. Quel nome gli si era insinuato con tanta forza nelle carni, che non voleva più farne a meno.
"Quell'uomo poi è sparito. Non so chi fosse o cosa fosse. Magari era un fantasma, chissà. E tu uomo mascherato che mi vieni in visita ogni settimana, sei pure tu un fantasma? Ultimamente ho pensato tanto a te..."
"Non sono un fantasma. Il mio nome è Tom."
Si avvicinò a lei con la stessa cadenza di un gatto.

"Tu sei davvero bello. Come puoi voler una come me?"
"Ma tu ti sei mai vista allo specchio?"
"Allo... Cosa?"
"Non sai cosa sia uno specchio?"
Ammutolita dalla vergogna, Clarissa fece cenno di no con la testa. Tom, preso dalla tenerezza, condusse per mano la ragazza davanti allo specchio annerito. Trovò uno straccio e lo pulì con un gesto. La superfice si schiarì e Clarissa ne fu spaventata, gli sembrava di aver visto un altro viso dall'altra parte di quello specchio.
"Non temere, era solo il mio riflesso."
"Riflesso?"
"La tua stessa immagine. Lo specchio è una superfice che cattura il tuo aspetto e ti ci puoi rimirare per guardarti al mattino, quando sei dubbioso di te stesso e anche per altri scopi. Vieni, non sei curiosa di vederti?"
"Vedermi... Come?"
"Una volta lì davanti lo capirai."
Tom prese di nuovo per mano Clarissa. Stavolta la sua presa era forte. Aveva timore di quello specchio e di ciò che vi avrebbe trovato. Quindi prima vide il viso di Tom e poi il suo. Rimase di sasso. Occhi bianchi come la neve d'inverno, capelli scuri come la notte. Il viso era piccolo, rotondo. La sua bocca era aperta per la sorpresa. Tese in avanti la mano per toccare se stessa, ma la ritrasse, il freddo di quello specchio sembrava lava che ribolliva dal profondo della Terra.
"Quella... Sono io?"
Tom si mise dietro di lei, abbracciandola stretta.
"La cosa più meravigliosa di questo mondo."


E mentre la festa delle maschere impazzava, un nuovo amore nasceva.

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