1987

di daphtrvnks_
(/viewuser.php?uid=650816)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4. ***
Capitolo 5: *** 5. ***
Capitolo 6: *** 6. ***



Capitolo 1
*** 1. ***


Sarà che visti così sembravamo dei coglioni e forse lo eravamo davvero con quelle biciclette mezze scassate e piene di ruggine.
La catenella di quella di Jungkook cadeva continuamente lasciandolo sempre indietro rispetto agli altri.
Quella rubata al panettiere di Yoongi era la più veloce di tutti, partiva sfrontata calpestando l'erba ed alzando la terra e poi dietro di lui la banda di idioti, così impaurita del domani ma determinata ad affrontare la vita giorno per giorno e beh, se in quel momento avreste chiesto loro cosa fosse la felicità non vi avrebbero saputo rispondere.
Sì, pensandoci bene neanche io avrei saputo rispondere a quella domanda perché alla fine si stava così, sospesi, liberi di nuotare nelle incertezze ma lontani dai problemi e dalla tranquillità.


Eravamo giovani, bambini ribelli cresciuti troppo in fretta con centimetri di cielo sotto i piedi.


Ricordo bene la monotonia di quel tempo; le partite a basket la notte nella piazza attenti a non farsi scoprire dalle vecchie pettegole, le caramelle rubate sempre nello stesso negozio dall'insegna senza lettere e i pranzi a sacco.
Perdevamo il nostro tempo saltando le lezioni, dei disgraziati portati via dal vento e dalle giornate di primavera, sospinti come i petali dei fiori di ciliegio in giro per le campagne a star stesi tra le lunghe distese di grano dorato.

Eravamo davvero dei coglioni ma è inutile che resti qui a ripeterlo, dunque partirò dall'inizio, con una delle solite sgangherate a scappar via dalle cazzate di quel menefreghista di Min Yoongi, sarà stato il 1987 o giù di lì, sì giusto, faceva caldo ed era luglio...

-Dannazione, ci ha visti! Ci ha visti!- 

La luce del sole pomeridiano filtrava violento tra i poster attaccati alla porta in vetro del supermarket, un gioco dai colori aranciati che illuminava dolce il viso del giovane dai capelli menta, il quale in fretta buttava nel suo zaino tutte le caramelle che trovava.
Due gli stavano dietro nascondendolo appena essendo più alti, altri invece facevano da guardia nella corsia attenti a non far passare nessuno.
Non appena gli occhi furenti del proprietario li intercettarono se la filarono a gambe levate tra le risa sommesse mentre le minacce di quel vecchio poveraccio svanirono coperte dal rumore delle ruote sull'asfalto, sempre più veloce e col cuore a battere nei timpani.

-Ci è andata bene stavolta!- 

La voce squillante di Hoseok risvegliò tutti dallo stato di euforia che li aveva colti, l'adrenalina la sentivano nel sangue e scorreva furba annebbiando la mente e lasciandoli senza lucidità.

-Ci va sempre bene, stupido. - 

Un pezzo di caramella gli pendeva dalle labbra piene di zucchero, il sapore era aspro ma sembrava non accorgersene e la sua espressione rimaneva immutata, quasi annoiata. 

-Insomma, quello si fa fregare sotto il naso... fa quasi pena. - 

Eppure lo sapevano, Taehyung stesso lo aveva notato, quel vecchio poveraccio li lasciava fare perché sapeva fossero solo dei ragazzini e lui ormai le caramelle le metteva lì apposta per loro.
Sempre le stesse. 

-Chi arriva per ultimo è un pappamolle! - 

Jimin interruppe il discorso.
Pronunciò la frase di rito che dava il via ad una delle gare più belle di tutti i secoli, no, di tutti i tempi.
Il primo posto era ambito da tutti e sette e si sforzavano, buttavano via tutte le loro energie bruciando il cemento delle strade isolate e fiammeggianti, afose.
Trovavano sollievo accarezzati dalle raffiche per la velocità, i capelli di Jimin si mischiavano all'arancio del sole e risplendevano, tirati poi indietro mentre lui stringeva con forza le mani sui manubri della bici del padre, messa a nuovo ma comunque troppo antica per i suoi gusti. 

Namjoon gli stava dietro, nonostante fosse uno tra i più grandi non riusciva ad andare avanti, le dita sudavano mentre faceva suonare il campanellino e sviava tra le varie buche o sassolini, spinto in avanti con un gran sorriso mentre due tenere fossette gli incorniciavano le guance.
La bici verde petrolio aveva le ruote consumate ma non si era mai degnato di cambiarle e mai l'avrebbe fatto. 

Sulla sua destra Seokjin che non pativa lo sforzo, in piedi poiché la bici risultava troppo bassa e lui diceva di starci scomodo. Il maggiore, aveva finito la scuola e lavorava nel ristorante di famiglia in cui faceva il cameriere, non si era mai lamentato, tutt'altro, raccontava spesso di come a volte fregasse qualcosa dai piatti per mangiarla senza farsi scoprire. 

E dietro Taehyung dai crini d'oro, un principe agli occhi di tutte le ragazze della classe ma a lui non ne interessava nemmeno una.
Stava con la bocca socchiusa mentre tentava invano di superare quei due colossi e rivolgeva sguardi al più piccolo chiedendogli senza fiatare di far spazio tra Namjoon e Seokjin ma alla fine non c'era stato nulla da fare, aveva vinto Yoongi che beffardo poi aveva buttato la bici tra fili verdi e fiori seguito a ruota da Hoseok che cercando di sistemare i ciuffi corvini blaterava parole che nessuno ascoltava. 

Si erano buttati infine sul morbido giaciglio mangiando quelle che le loro madri definivano come 'spazzatura', avidi, strappando quelle lunghe con i denti e facendo bolle con le gomme da masticare. 

-E comunque non vale, vinci sempre tu. - 

Bofonchiò Jimin sistemando i suoi pantaloncini di Jeans e poi i risvoltini alle maniche della sua maglietta bianca senza scritte.
Alcuni risero e Seokjin rivolse un'occhiataccia canzonatoria al ragazzo lanciandogli poi una margherita e mimando con le labbra - Povera femminuccia -.
In risposta non ebbe altro che una smorfia e il ladruncolo si stese osservando le nuvole. 

-Sei lento, non vincerai mai. - 

Yoongi era folle, i suoi amici lo consideravano un matto che si dava troppe arie.
Una personalità fuori dalle righe che proponeva a loro lo svago che non avrebbero mai potuto avere da soli.
Un rapporto insano.

Erano uniti ma con vite diverse l'una dall'altra, divergenti ma simili. 

-Avete sentito di quella rapina al bar dei Son? - 

D'un tratto la voce di Namjoon risuonò sorpresa. Quella notizia girava e circolava come una malattia incutendo paura e a volte allegria, la peste che di casa in casa si spargeva ma rimaneva chiusa in una bolla col nome di quella città sconosciuta e di cui fuori da questa nulla importava più.

-Già, hanno fatto bene, il figlio non lo sopporto. -

Sussurrò impercettibilmente Jungkook ed in quel momento non capì nessuno il perché di quel calo di voce improvviso e lo sguardo vacuo, forse semplicemente non se ne accorsero sollecitati da quel discorso in cui erano pronti a buttar giù cattiverie.

-Chissà chi è stato... - 

Quell'interrogativo li portò a ragionare, a cercare nei meandri della mente i volti dei cittadini per trovare qualcuno che potesse aver commesso un simile gesto e quando nuovamente Hoseok parlò il quesito si fece più intenso e massacrante.

-Può essere chiunque... - 

L'unico fuori da quei dubbi era Yoongi, sereno ad osservare le nuvole ora con una spiga tra le labbra che portava da un lato all'altro con la lingua che accarezzava leggera. 

-Chiunque, sì, chiunque - 

Ripeté le ultime parole assorto dell'azzurro cielo che prendeva lentamente le sfumature rosate e viola e le sue iridi non si staccarono, le orecchie non percepirono altro suono se non quello dei suoi turbamenti e pensieri.


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. ***


Una persona può possedere diverse maschere, ognuna dalle sfumature più crude o dolci.
Esse vengono utilizzate a seconda delle occasioni e dal corso degli avvenimenti, bisogna essere abili per saperle usare e non tutti ne sono capaci.
Conoscevo un ragazzo che era il re delle maschere, una in particolare amava essere indossata; quella dell'apatia.
Quando qualcosa di incredibilmente speciale accadeva il suo viso non mutava e nessuna espressione poteva esser letta, pareva un blocco di marmo senza emozioni ma tutto ciò non era altro che apparenza ed io stesso, da povero sciocco, ci sono cascato con tutte le scarpe.
Era settembre, il clima era mite e la scuola apriva i suoi grandi cancelli rossi...

- Non ho aperto libro, speriamo quella di storia non mi chieda qualche argomento. -

Taehyung lamentava la sua scarsa conoscenza nelle materie scolastiche ogni mattina dinanzi al grande edificio in cemento, sembrava volersi sfogare di tutta la pigrizia che lo aveva assalito il giorno prima per non aver svolto gli esercizi assegnati e nonostante questo i suoi amici rimanevano ad ascoltare la sua cantilena senza aprir bocca e quell'anno non si sarebbero risparmiati dal farlo.

- Jungkook è in ritardo, come al solito. -

Jimin dal suo canto lamentava altro e non aveva tutti i torti, si trovavano lì ogni mattina alle 8:20 senza eccezioni con le loro cartelle a mano in pelle, a volte i libri tra le mani a pesare come macigni e Jungkook non c'era quasi mai.
Uno sbuffo da parte di Namjoon che frequentante l'ultimo anno di liceo non vedeva l'ora di poter scappare da quella città senza sbocchi per rifugiarsi nel tempio della cultura e prender legge in un'università lontana.
E sembrava un paradosso, un ladruncolo che ambiva poter far legge e se solo avesse saputo ciò che di lì a qualche mese il destino gli avrebbe riservato avrebbe cancellato dalla sua mente ogni desiderio riguardante la giustizia.

Il suono della prima campana avvisò l'inizio delle lezioni e Hoseok fu il primo a salire i grandi gradini per entrare nella scuola, un po' per noia e un po' per la pazienza che non era della sua indole.
Fu seguito a ruota dagli altri, tranne Yoongi che ben nascosto dagli alti pini fuori dai cancelli scolastici finiva con calma una delle Marlboro rubate al padre, ci chiedemmo i giorni che seguirono come potesse comprare quella marea di pacchetti che poi portava con sé al seguito, e non erano più quelle due, tre, rubate di nascosto la notte ma cinque, dieci, nell'arco di un pomeriggio e i dubbi si fecero più presenti.

Come noi al tempo avrete pensato fosse solo un caso, chi ha un vizio riesce in tutti i modi a portarlo avanti e forse è proprio questo il punto... in tutti i modi.

- Ma dove diavolo è finito Jungkook, si è assentato per tutte le prime due ore... -

Un Hoseok sconsolato si guardava intorno nel giardino rigoglioso dell'istituto, seduti ai tavolini in legno o sulle gradinate gli studenti gustavano il loro pranzo in pace senza la paura di essere disturbati e i suoi occhi furbi e scuri scrutavano tutte le teste alla ricerca del più piccolo, in pena e con le labbra socchiuse mettendosi sulle punte dei piedi.

- Forse è malato ed è rimasto a casa. -

Suppose Namjoon. Riflessivo e pacato spostava lo sguardo da Hoseok ai suoi appunti di storia rileggendoli a voce bassa picchiettando di tanto in tanto la matita sulla superficie, assorto dalle date e dai nomi che lo strapparono completamente dalla realtà circostante.

- Non mi preoccuperei, se la sa cavare... -

La cannuccia veniva morsa e spostata da parte a parte della sua bocca di rose, il succo era già finito ma la noia lo portava a continuare a giocarci.
Quando le iridi nocciola incontrarono un viso familiare la sua piccola mano venne alzata verso l'alto, in modo da essere notato, seduto sui gradini assieme agli altri.

- Yoongi! Siamo qui!. -

Un largo sorriso gli incorniciò il volto e anche gli altri lo rivolgerono al ragazzo.

Si incamminò da loro tenendo le mani nelle tasche dei jeans larghi e appena logori, quella moda bigotta che faceva portare le maglie nei pantaloni stretti da cinture in cuoio e le giacche di taglie più grandi.
Non disse nulla appena si avvicinò alle loro figure, rimanendo in silenzio ed accennando un arcuamento delle labbra che quasi nessuno notò.

- Hai visto Jungkook? -

Taehyung prese parola, seduto al fianco di Jimin teneva sulle gambe dei quaderni cartonati pieni di scritte e disegni di vario genere; annoiato durante le lezioni amava scarabocchiare e ricordo quando il primo anno gironzolava nei corridoi con una matita in bilico tra i capelli e l'orecchio sinistro, gli piaceva disegnare ma non era un granchè.

- No, per nulla. -

La risposta fu secca e tutti annuirono.
Le ore passarono e le lezioni per quel giorno finirono, si trovarono tutti fuori dal cancello e sulla via di casa, rigorosamente a piedi.
Una figura di loro conoscenza catturò irrimediabilmente l'attenzione.
Su un marciapiede, chinato su se stesso e tremolante il ragazzo a cui avevano rivolto i loro pensieri per l'intera giornata.

- Jung... Jungkook sei tu? -

Namjoon fu il primo ad avvicinarsi, buttando con poca grazia la cartella sull'asfalto e chinandosi al suo fianco; gli alzò il cappuccio che copriva il viso ovale e il più piccolo non fece in tempo a rimetterlo che macchie livide e gonfie sugli zigomi fecero spaventare tutti, Yoongi compreso e non so se quello fu l'inizio, se fu prima o se tutto fosse collegato in qualche modo, non me lo so spiegare ma gli eventi fecero il suo corso e non potevano essere fermati. 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. ***


Non vi so spiegare come accadde, semplicemente calcarono la mano, sì, è il termine giusto e me ne rendo conto, questa verità è stata nascosta per troppi anni ma ascoltatemi, rizzate le orecchie, eravamo dei ragazzini e tutti i ragazzini fanno delle cazzate.
Dov'ero?
Ah, già... Jungkook.

La pelle bruciava, i suoi lamenti arrivavano ai loro cuori come pugnali e il maggiore metteva tutta la sua buona volontà per non farsi travolgere da quell'ondata di tristezza e rancore che aveva colto tutti, indistintamente.
Jin era il loro punto di appoggio, ed erano tutti ammassati nel piccolo bagno con Jungkook sopra il lavandino a stringere con forza le dita sulle spalle dello Hyung e l'altro con attenzione a curarlo.
Le dita esili si muovevano sulla pelle un tempo nivea come la neve e ora colma di tagli vermigli, rossi delle rose.

- Chi è stato Kookie? -

Seokjin lo sussurrò al suo orecchio mentre singhiozzi scuotevano il suo piccolo corpo e lo sguardo si velava di nuove lacrime, come il mare. Non rispose, abbassò il capo e Jin sospirò afflitto buttando l'ennesimo stantuffo sporco.

Jimin era steso nella vasca assieme a Taehyung e se uno giocava con le dita con lo sguardo rivolto al vuoto il biondo stringeva i denti con rabbia, il nervoso che gli si leggeva in viso pian piano stava contagiando tutti non vi so dire il perché se la prese così tanto, forse cercava solo di proteggere Jungkook e far giustizia.

Yoongi era poggiato alla parete, lo vidi cercare nella giacca qualcosa con la coda dell'occhio ma non dissi nulla.
Quando cacciò con sorpresa un pacchetto di sigarette lo stupore fu generale, Namjoon si fece in avanti osservando assorto la scatolina dai riflessi dorati e rossi e la scritta, grande e eccitante, Marlboro.

- Dove diavolo le hai trovate? -

Hoseok mordicchiava con furia il labbro, sembrava volesse provarne una ma lui non iniziò mai a fumare, eppure la probabilità che iniziasse era alta.

- Non le avrai mica rubate? -

Fu così che l'attenzione venne immediatamente spostata sull'oggetto e l'alzata di spalle annoiata, strafottente che rese tutti più curiosi.

- Le ho comprate. - .

- Con quali soldi? -

Persino Jungkook calmò i suoi singhiozzi, l'aria divenne tesa e il nervosismo cresceva, l'atmosfera venutasi a creare era soffocante e pareva che le mura grigie di quel bagno volessero risucchiarli in un alone di perenne rabbia.

- Non dovrebbe interessarti Joon. -

I due si fissarono per qualche secondo e Jin cercò di interrompere il filo di quel discorso al limite della normalità.
Taehyung si alzò dalla vasca, uscì spostando la tendina di un tenue azzurro e dopo una breve occhiata al più piccolo uscì dalla stanza e in seguito anche dalla casa di Seokjin.

- Chi è stato? -

Yoongi rise alla domanda di Hoseok, lui conosceva la risposta ma non aveva alzato un dito, era stato in silenzio per tutto quel tempo aspettando che fosse Jungkook a parlare e finalmente, dopo qualche minuto di totale silenzio, un nome uscì dalle sue labbra martoriate.

Scandito timidamente e con timore.

- Son Hyungoon. -

Apparì subito nelle menti dei ragazzi il viso del diciottenne; i capelli corvini e gli occhi piccoli e allungati, il modo di vestire stravagante con le giacche gessate nere e le camicie larghe, gli anelli d'argento alle dita e il sorriso strafottente di chi poteva possedere tutto senza sforzi.

- Non si ripeterà più. -

Yoongi uscì dal bagno sbattendo dietro di sé la porta in legno, Jimin non fece in tempo a fermarlo allungando una mano nella sua direzione ancora steso nella vasca e nessuno aveva idea di ciò che di lì in poi sarebbe successo.

- Perciò è stato lui? È grave ciò che stai affermando. -

Lasciatemi continuare, non era altro che un presagio, neanche Yoongi avrebbe mai pensato che sarebbe finita in quel modo, che tutto sarebbe andato a rotoli e che ci saremmo trovati in mezzo a quella situazione malsana.
Eravamo dei ragazzini con i loro sogni innocenti e i problemi della gioventù ma a quel tempo pareva tutto completamente diverso... difficile.
Passarono due settimane e Jungkook rimase sempre al nostro fianco finché un giorno d'ottobre...

- Hyung, Hyung ti prego. -

Aveva corso, chissà quanto velocemente per raggiungere Hoseok, tutto d'un fiato.
La giacca gialla gli pendeva da un lato lasciando libera una spalla coperta da una semplice maglia bianca dal collo largo da cui si intravedeva la pelle morbida e perfetta.
La frangia appena umida per il sudore e la bocca socchiusa in cerca d'ossigeno.

- Kookie, qualche problema? -

Domandò il più grande il quale ignaro lo prese sotto braccio ricominciando a incamminarsi verso il ristorante della famiglia dei Kim per farsi aiutare in geografia, una materia in cui andava terribilmente male.
In risposta il piccolo annuì, si strinse al suo braccio guardandosi intorno con aria sospetta.
Il sole era sul punto di tramontare e si era sentito osservato in quella distesa di cemento e stradine isolate in cui fortunatamente aveva incontrato Hoseok.

- Devo andare da Jin, spiega bene e mi serve una mano, sai faccio davvero schifo in geografia e non si direbbe da uno come lui ma è d..-

- Stammi vicino, te ne prego. -

Jungkook lo fermò dal suo discorso, le parole gli uscivano a fiotti e non era facile fermarlo perché da un argomento passava all'altro, a volte senza neanche un filo logico ma quella frase chiesta sottovoce riuscì a farlo stare zitto.
Ingoiò il magone intuendo la situazione e lo tenne stretto a sé solo come un vero amico avrebbe potuto fare ed anche se le settimane erano passate e il maknae non era più stato picchiato Hoseok fu il primo ad accorgersi che niente era cambiato, non era che una breve pausa che si sarebbe spezzata da un momento all'altro e Jungkook doveva essere protetto.
Diventò il nostro obbiettivo. 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. ***


- Dunque, vada avanti. -

Le giornate passarono velocemente, ci eravamo organizzati decidendo di passare da Jungkook ogni mattina prima di andare a scuola, rimaneva con noi sulla soglia del cancello e lo stesso durante la pausa pranzo. Nonostante potessi tranquillamente dormire fino a tardi volevo assicurarmi che stesse bene e mi univo al gruppo.
Eravamo tranquilli, ognuno teneva d'occhio il più piccolo, attento a ogni minimo dettaglio e sembrava che le cose andassero bene finché non allentammo la presa.
La serenità che ci aveva accompagnati fino al giorno il cui Jungkook fu picchiato sembrava stesse ritornando ma ad uno sguardo più ricercato si poteva notare che le tensioni ci fossero ancora.
Un episodio ci scosse, se ci ripenso...

Jimin sbattè con un impeto la porta della sua stanza, toccava con irruenza i suoi capelli color arancio scuotendoli ripetutamente.
Nervoso mordeva il labbro inferiore e stringeva i denti contraendo la mascella; suo padre non smetteva di ripeterglielo, lo assillava con le sue frasi che non erano più di preoccupazione come all'inizio ma obblighi che lo asfissiavano lasciandolo senz'aria ogni volta.
Cominciava ad odiare la voce di suo padre, quella divisa scura e dorata e le iridi piene di rabbia nei suoi confronti.

- Maledizione, Jimin, sbatti ancora quella diamine di porta! Rifallo! -

Le grida nel corridoio lo fecero ringhiare e preso dall'ira sferrò un calcio alla ferrata del letto, l'agitazione non gli fece percepire il dolore.
La porta in legno si aprì con uno scatto e la figura imponente di suo padre fece la sua entrata, rimase con la mano sulla maniglia, stretta così forte da far intravedere le nocche mutare colore in un bianco acceso.

- Te l'ho già detto, se il tuo fottuto amico si ritroverà nei guai non mi fermerò dal sbatterlo in cella, è dannoso per te.
I voti stanno calando e sono stanco di sentirmi dire che mio figlio stia prendendo una brutta strada! -

Sembrò non ascoltare e un sorrisetto di sfida spuntò sul viso paffuto del ragazzo il quale portando con la mano destra un ciuffo ribelle indietro lo fronteggiò senza timore.
Mingherlino e basso i suoi occhi nocciola si scontrarono con quelli del genitore che severo lo fissava a sua volta.

- Ti faccio fare brutta figura con i colleghi papà? Ti faccio schifo come figlio, eh?
Sappi che sono solo il tuo riflesso. -

Nella camera disordinata del giovane calò il silenzio seguito poi da uno schiaffo.
Le impronte si tinsero di un lieve rosso che si sparse per lo zigomo e che subito dopo divennero candide lasciando un segno.
Il sorriso di Jimin non si spense, nonostante il dolore al piede sinistro iniziasse a farsi sentire e il viso gli bruciasse non smise di sorridere vittorioso e anche quando nuove urla fecero capolino, quando gli intimarono di andare via da quella casa egli non se lo fece ripetere due volte.
Strafottente, pensava di esserlo e ciò gli piaceva.
Prese ciò che gli occorreva infilando distrattamente in una semplice sacca marrone dei quadernetti, una penna e dei vestiti.
Poi fece con calma, sorpassò l'uomo che ancora sulla porta lo osservava borbottando parole malevoli ed una volta aver preso le scarpe uscì a piedi scalzi sulla strada.

I lampioni illuminavano tenuamente le case, la bici presa solcava l'asfalto diretta verso l'abitazione di Taehyung il quale viveva solo a qualche isolato di distanza.
Dormì da lui per una notte ma non fece ritorno a casa per una settimana intera e nonostante sua madre chiamasse esasperata quella di Hoseok per pregarlo di tornare, per orgoglio, non lo fece.

Si riferiva a Yoongi, questo era scontato, Jimin non fece il suo nome ma chi altro poteva essere se non lui?
Poi successe altro, sì nella stessa settimana, insomma Jungkook era stato preso di mira ma non credevamo mai fino a quel punto, non ci aveva spiegato nei dettagli cosa gli avesse davvero fatto quel Hyungoon... nessun episodio era mai uscito dalla sua bocca e si nascondeva, forse per vergogna.

L'ora di educazione fisica era un tormento, percepiva su di sè lo sguardo di una persona non desiderata, odiata, ma Jungkook non sapeva odiare, non ne era capace.
Un bagno di sudore e stanchezza che lo travolgeva sfinendolo e le sue gambe non riuscivano più a reggere la corsa.
Passò le mani sulla nuca facendo un profondo respiro e guardandosi intorno nella grande palestra decise di andare a fare una doccia, per quella lezione aveva chiuso, definitivamente.
Si diresse a passi svelti verso gli spogliatoi, attento a non inciampare nei lacci delle converse nere che per pigrizia non aveva voglia di legare.
Provò a levar di dosso la sensazione dell'essere osservato ma questo si rivelò vano quando quasi sul punto di pensare ad altro si sentì trascinare con forza in una delle docce e sbattuto contro le mattonelle gelate.
Chiuse con forza le palpebre, no, non voleva vedere il viso del suo carnefice, non ne aveva voglia e giunse anche la stanchezza mentale, provata.

- Allora Jeon, ti piace andare in giro con la tua banda di amichetti? Ti senti protetto immagino. -

Il tono era grave, tremendamente fastidioso e la schiena doleva, cercò di aggrapparsi con le dita alla maglia di Hyungoon per un appoggio stabile quando l'acqua ghiacciata venne aperta.
La suola delle scarpe scivolava contro la superficie umida e si sentì soffocare quando nel tentativo di gridare aiuto l'acqua gli entrò in bocca.
Sputava e cercava ossigeno come un forsennato mentre ancora veniva spinto indietro.

Non poteva reggere, non aveva la forza per resistere e i suoi amici non c'erano.

La maglia fradicia si attaccò al corpo scosso dai fremiti per il freddo e prese a tossire.
Quando la presa venne tolta si accasciò goffamente tirandosi poi fuori dal getto violento della doccia, indistintamente le risa di Hyungoon e poi l'acqua divenne bollente.
Colpì le gambe nude e un urlo strozzato nacque dalle sue labbra, si fece avanti con i gomiti arrossati e lentamente aprì le palpebre, come pioggia le gocce scendevano dai suoi crini bagnati e sfocatamente lo vide con il suo solito ghigno.

- Non finisce qui, idiota. -

Si lasciò travolgere da un pianto liberatorio, il torace si abbassava e si alzava irregolarmente e lacrime salate si posarono sul labbro inferiore rosso e gonfio che prese a mordere tra un singhiozzo e l'altro nel tentativo di calmarsi.
La carnagione pallida era velata da gocce come i petali di un giglio coperti dalla rugiada mattutina.
Si rialzò dopo quelli che sembrarono interminabili minuti, avanzò verso uno dei bagni e ci si chiuse dentro a chiave.

Non aveva il coraggio per poter affrontare quel mostro dalle fattezze umane, non possedeva la volontà di zittire i demoni interiori che lentamente si facevano largo nella sua mente dilaniando e squartando l'anima con i loro artigli lunghi e le zanne affilate.
In quel bagno di una palestra ormai vuota con il solo rumore della doccia lasciata aperta ed i passi degli studenti pronti a tornare a casa, Jungkook, per la prima volta, pensò di farla finita.

- Hoseok i tuoi vestiti sono troppo larghi...-

Jimin lottava contro la cintura in pelle che stringeva i jeans, aveva fatto più di tre risvolti e la vita gli andava larga.
I corridoi deserti lasciavano spazio ai cinque ragazzi che stanchi di aspettare Jungkook si erano messi a cercarlo.

- Finiscila di lamentarti, che cazzo. -

La cartella pesava e Yoongi non vedeva l'ora di potersene liberare, dinanzi a tutti si guardava in giro accelerando di volta in volta il passo temendo il peggio.
I suoi capelli color menta tendevano a un grigio verso la radice e il giubbotto di jeans blu scuro lo faceva apparire più grande di quanto non fosse, affondava poi nei pantaloni neri rattoppati in alcuni punti e vederlo faceva quasi tenerezza.

Si fermò di colpo e Namjoon gli finì sopra seguito da un Hoseok distratto che inciampò su Taehyung rischiando una brusca caduta, Jimin dietro invece si batteva ancora con quella stupida cintura.

- Lo sentite anche voi lo scrosciare dell'acqua? -


- Mi pare che lei stia saltando dei pezzi. -

Giusto, avete ragione.
Prima di questo, intendo prima ancora che Jungkook venisse picchiato e che Jimin  venisse sbattuto di casa Yoongi fece qualcosa e non solo, Taehyung mi raccontò un suo segreto ed io, io non so se sentirmi colpevole o semplicemente estraneo a questa faccenda.

- Ebbene, lei si sente colpevole?

- Dovrei sentirmi innocente dopo il peccato di cui mi sono macchiato? 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. ***


- Sarebbe questo segreto? -

Non sono sicuro di poterlo raccontare, ad ogni modo era evidente, comprende, vero? Gli amori adolescenziali sono come lampi, fulmini che squarciano un cielo sereno di mezza estate, un trambusto assordante seguito da tuoni e per Taehyung fu proprio così solo che in modo leggermente diverso.
Si ha timore a raccontare di una infatuazione, peggio ancora se questo sentimento è nei confronti di chi hai costantemente vicino.

- Vada al sodo, la prego. -

Bene, sì dicevo, una persona vicina.
Questa persona, è scontato dirlo ma... era proprio Jungkook.
In quel periodo, alla fine degli ottanta, era uno scandalo, qualcosa di impossibile e fuori natura ma non per questo più vera.
Caso volle che in quella settimana venisse a galla tutto, i difetti, le nostre personalità così tremendamente contrastanti vennero fuori come fuochi d'artificio.
Le nostre azioni ebbero un senso...

Il vociare incontrollato dei clienti rendeva l'ambiente vivace, un susseguirsi di tavoli dalle tovaglie candide accostate a poca distanza l'una dall'altra e tra le coppie che passavano il loro primo appuntamento e famiglie rumorose il profumo dei primi piatti arrivava invitante dalla cucina.

La camicia bianca e dai bottoni argentati lo stringeva fino al collo soffocandolo appena, le spalle larghe venivano fasciate con grazia mentre il ragazzo si faceva spazio con i vassoi sulle mani e braccia tenuti in equilibrio. Le gambe lunghe e sinuose coperte da jeans neri, attento a non inciampare rivolgeva sorrisi e si mostrava educato.
Il ristorante dei Kim era sempre affollato il mercoledì sera e a Seokjin toccava lavorare fino a tardi, dal primo cliente fino all'ultimo senza neanche una breve sosta per riprendere fiato.

- Hyung! Hyung sono qui! -

Seokjin capì immediatamente di chi si trattasse e dopo aver lasciato gli ultimi piatti si diresse verso il ragazzo dai capelli biondi, fuori dall'entrata lo aspettava sull'uscio giocando nervosamente con le dita. Aveva notato fin da subito il sorriso di disagio di Taehyung come se si pentisse della scelta commessa, di esser venuto fin lì per sfogarsi e dedusse, un occhio attento il suo, che fosse uscito in fretta e furia di casa non infilando la maglia lilla nei pantaloni, un gesto inusuale per lui sempre attento al vestire.

Si avvicinò con cautela, guardandosi intorno per non farsi beccare dai genitori nel non star lavorando e l'aria gelida di fine ottobre lo colse all'improvviso facendolo rabbrividire.

- Dimmi Tae, qualche problema? -

Passò qualche attimo prima che il minore rispondesse, le gote erano arrossate e lo sguardo tendeva a cadere verso il basso, sulle scarpe consumate e dai lacci legati in malo modo.

- Si tratta di Jungkook... -

Seokjin iniziò a pensare a tutte le possibilità che nella sua testa iniziarono a frullare senza logica e il viso tumefatto del Maknae lo fece irrigidire per qualche secondo.

- E' successo qualcosa?Ancora? -

Il diniego col capo lo rasserenò e dopo aver chiuso la porta alle sue spalle fece segno a Tae di andare verso la fine della strada, lì dove nessuno li avrebbe disturbati.
Presero a camminare lentamente, entrambi con le mani nelle tasche dei jeans a fissare un punto indefinito.
Gli lasciò il tempo per riordinare una frase di senso compiuto ma prima che potessero anche solo allontanarsi di qualche metro la voce del biondo lo fece rimanere impalato.

- Credo che Jungkook mi piaccia. -

Ci fu qualche minuto di assoluto silenzio, in lontananza qualche auto a sfrecciare sulle strade deserte con la radio a tutto volume, alle loro orecchie una canzone pop americana. Si scambiarono un breve sguardo e Taehyung riprese il suo discorso alternando le parole ai passi diretti verso la fine dell'isolato;

- So che stai pensando io sia un pazzo o che sto scherzando, ma Hyung... sono serio.-

Seokjin fece un profondo respiro raggiungendolo e preso dall'ansia cacciò goffamente un pacchetto morbido di Diana rosse, ne prese una tra le labbra riponendo poi il pacchetto nella tasca destra dietro.
Ci giocherellò un po' ed infine, portandola al lato della bocca, rispose:

- Non siamo stupidi, lo avevamo capito, sembrava strano te la fossi presa così tanto per quella volta che Jungkook fu picchiato ma non capisco perché tu abbia deciso di dirlo proprio a me. -

Il ragazzo sembrò sorpreso nel vederlo con quella stecca ancora spenta e poi, ingoiando il magone, tolse le mani dalle tasche sfregandole appena.
Morse l'interno della guancia e accennò un piccolo sorriso.

- Perché so che tu non potrai mai giudicarmi, vero?

- Vero.

- Min Yoongi le aveva mai detto qualcosa riguardo l'arma? -

- No, nulla.

I colori accesi della tv illuminavano il viso dell'uomo disteso sul divano, l'azzurro e il giallo riflettevano sul viso stanco e segnato da occhiaie violacee, nella mano sinistra teneva saldamente una bottiglia verde con all'interno del liquido ambrato.
La birra era calda e aveva perso il sapore frizzantino, ne aveva bevute così tante che ormai risultava impossibile contarle.
Nel piccolo salotto arredato essenzialmente rimbombavano le voci di due cantanti che allegramente si rivolgevano parole d'amore nei loro abiti splendenti.

Il buio avvolgeva interamente la stanza e due palpebre chiuse e la bocca spalancata segnavano che l'uomo fosse caduto in un sonno profondo, con le gambe divaricate e un braccio poggiato sullo schienale rovinato del divano.

Il giovane dai capelli menta lo osservava con disgusto, cicche erano state buttate sul tappeto col rischio che tutto prendesse fuoco divampando in un incendio che avrebbe avvolto le loro vite, il diciassettenne avrebbe voluto che uno di quei giorni arrivasse, che ogni cosa finisse nella cenere e polvere con la puzza di alcool e lo sporco a ricoprire le loro anime come inchiostro indelebile.

Scosse il capo lasciando che la musica proseguisse accompagnandolo verso la camera del padre con passi cadenzati, se padre potesse definirsi il bastardo senza dignità che abitava sotto il suo stesso tetto. Un pianoforte al lato della stanza che nessuno sfiorava più, lasciato al destino infame che in uno strato di polvere lo celava ai raggi della pallida luna, tanto bella quella dal farlo sperare in un futuro migliore che mai sarebbe arrivato.
La scrivania situata di spalle alla grande finestra dell'appartamento diroccato in cui vivevano, nell'incrociare gli occhi alle tapparelle ebbe un sussulto e la mente lo riportò in quegli anni spensierati dove sua madre con pazienza gli insegnava a suonare il piano. Brevi flash di immagini contorte, di mani che si sfioravano con delicatezza, gli abbracci dolci e le parole sussurrate nelle orecchie sopra lo sgabello di pelle nera.
Nel frattempo le sue dita avevano preso vita propria iniziando ad aprire i cassetti all'ignota ricerca, non aveva la minima idea di cosa ci fosse, sperava solo in qualcosa di interessante, nulla più.
I suoi desideri furono esauditi e tra documenti macchiati di chissà quale sudiciume un materiale freddo e liscio al tatto attirò la sua attenzione.
Le iridi brillarono nella meraviglia di tale oggetto, la riteneva affascinante quell'arma e un senso di onnipotenza travolse ogni sua fibra portandolo a fare un breve ghigno, un misero secondo in cui sentì di poter avere qualsiasi cosa al suo volere, un angelo della morte a decidere chi dovesse vivere o porre fine al corso della sua esistenza, peccato fosse scarica.

La portò all'interno della sua giacca facendo come nulla fosse e dopo un'ultima occhiata al pianoforte voltò le spalle e uscì dalla stanza.

- Sì, è risultato appartenesse al padre. Lei lo sapeva? -

Le pare che se l'avessi saputo prima ora sarei qui a perdere il mio tempo? Che starei qui in un buco di stanza a raccontare tutto questo? Una domanda sciocca.
Passatemi un fiammifero, ho bisogno d'accendere, solo dopo continuerò.





Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. ***


- Il suo amico, Jung Hoseok ha poi ammesso tutto, questo mi porta a pensare che non abbiate mai avuto una vera e propria complicità.
Ha qualcosa da aggiungere riguardo ciò? -

Hoseok è sempre stato un ragazzo, come dire, sensibile.
Ogni cosa che accadeva nel gruppo lo colpiva profondamente, se ne sentiva responsabile nonostante non fosse mai lui a commettere errori.
Se ha ammesso è perché quello che è successo lo ha inesorabilmente scosso ed era ovvio che sarebbe stato lui il primo a parlare, non sa stare zitto.
Quella mattina andò da Namjoon assieme a Jimin, sa abitava ancora da lui.
Prima di entrare a scuola...

Il campanello di casa Kim non funzionava, a suo dire non aveva mai funzionato da quando lo conosceva.
Si era ritrovato a bussare insistentemente tanto che le nocche presero a bruciare.
Jimin dietro di lui infilava distrattamente la maglia a righe blu e bianche nei jeans che gli erano stati gentilmente prestati, stanco non pensava a nulla.

Hoseok sistemò la cartella sulle spalle e sospirò amareggiato continuando a guardare fisso la porta in legno a un palmo di distanza dal suo viso.
Per ammazzare la noia portava avanti e indietro il piede sinistro coperto dall'anfibio su e giù dal secondo gradino d'entrata.
Stranamente quel giorno si era svegliato con un peso insolito sul torace, una sensazione mai provata che lo faceva dubitare d'ogni situazione e persona.
Qualcosa di brutto stava per accadere e anche se non sapeva esattamente di cosa si trattasse si era imposto che ne sarebbe stato fuori, senza discussioni, senza se e ma lui ne sarebbe uscito indenne.
Finalmente la porta si spalancò lasciando spazio al giovane che ancora assonnato teneva tra le mani i libri di letteratura e sulla spalla una borsa a tracolla anch'essa colma fino a scoppiare di quaderni delle più svariate misure e colori.

- Da quanto aspettate? -

- Dieci minuti Hyung, che diamine dobbiamo ancora passare da Tae e Jungkook. -

Il maggiore fece segno a Hoseok di tapparsi la bocca sgranando appena gli occhi pronto all'uragano che di lì a poco si sarebbe scatenato, dopo quel gesto infantile la voce di sua madre fece capolino rimproverando aspramente chiunque fuori di casa avesse usato quei termini irrispettosi.
Ridacchiò dopo la sfuriata e chiuse con un colpo secco la porta incamminandosi col compagno lungo la strada che conduceva verso le abitazioni degli altri.

- Tua madre è sempre così nervosa? -

Chiese il ragazzo dai capelli arancio portando alle labbra una delle tante caramelle che teneva conservate nella tasca del giubbino di jeans, il lecca lecca al limone si muoveva furiosamente nella sua bocca, leccato e succhiato riempendogli il palato del sapore aspro.

- Spesso, sì. -

Dopo aver preso Jungkook e Taehyung si incamminarono verso l'edificio scolastico.
Yoongi sarebbe arrivato dopo, euforico come mai era stato.
Portava un grande sorriso, diversi dai suoi solitamente più piccoli e accennati.
Hoseok pensava che gli donasse quel dettaglio e che fosse radioso, gli portava allegria e per tutta la giornata quasi dimenticò quel senso d'angoscia che appena sveglio lo aveva colto.

- E a cosa doveva a tutta questa allegria? -

Beh, non lo ha proprio intuito? Eppure lei la fine della storia dovrebbe saperla.
Mi passi il posacenere, per favore.

Sì, dicevo dunque...

Yoongi si fermò rizzando le orecchie dopo aver sentito lo scrosciare dell'acqua, erano vicini alla palestra e le lamentele sul fatto che Jungkook avesse avuto educazione fisica all'ultima ora lo tranquillizzò.

- Si starà facendo la doccia, no? -

Taehyung sussurrò, titubante.
Era preoccupato e percepiva l'ansia pervadergli il corpo da capo a piedi, non poteva rimanere continuamente al fianco di Junkook per proteggerlo e sebbene avesse voluto farlo davvero questo non era possibile.
Avrebbe desiderato un giorno poter stare con lui, vivere magari insieme in una casa lontano dai pregiudizi e dagli sguardi schifati della gente ma i suoi sogni andavano oltre ed erano solo pensieri sfocati che si sarebbero persi poi trascinati dalle correnti tumultuose degli oceani della vita.

- Lo aspettiamo qui o... -

Namjoon non riuscì a finire la sua frase che un Min Yoongi trascinando dietro la sua cartella partì verso la palestra e successivamente per i bagni, lo videro svanire tra i corridoi deserti e gli andarono dietro.
I passi delle loro scarpe risuonavano come tonfi e i respiri si mischiavano in quell'ambiente poco illuminato.

Yoongi odiava la scuola, credeva che fosse uno spreco di tempo e che gli alunni non fossero altro che numeri in quel sistema che privilegiava solo i figli di uomini importanti, cognomi senza nome.
Per questo forse con Jimin non aveva mai avuto un rapporto così forte.
Non andava bene e i suoi pomeriggi a volte venivano passati in una classe chiusa a chiave, in punizione, e a lui piaceva... diceva che preferisse rimanere lì che tornare a casa e dover subire gli sguardi di suo padre.
Rabbrividiva all'idea di dover tornare ogni mattina in quell'inferno, sostava dietro il solito albero con una sigaretta tra le dita e il disagio si impossessava della sua mente; non era all'altezza.
I demoni seduti alla cattedra dagli occhi infuocati e sembrava divenisse piccolo come una scheggia, ignorato e poi temuto dai suoi compagni.
Chi era lui?
Min Yoongi, ma Min Yoongi era davvero se stesso?

L'acqua era aperta, cessava come pioggia creando una nebbia fitta che aveva riempito l'intero spogliatoio.
Rimasero immobili a fissare come incantati la doccia vuota e un singhiozzo sommesso venne udito da Taehyung.
Il biondo fu il primo a rendersi conto di quel suono ovattato, capì da dove provenisse e un groppo alla gola lo fece quasi soffocare mentre le gote si tingevano di rosso per il calore del getto bollente.

- Qui non c'è nessuno -

Hoseok venne zittito dall'azione improvvisa di Taehyung che aprì ogni singola porta dei bagni trovandola vuota, sostando dinanzi all'ultima gli altri lo circondarono e Namjoon lo scostò, forse con più coraggio.
Posò la mano sulla maniglia e nel tentativo di abbassarla la trovò chiusa.

Jimin si chinò verso il basso tenendo con una mano i pantaloni che ancora calavano dalla sua vita troppo fine e con le iridi nocciola cercò di vedere qualcosa tra lo spazio della porta tinta di blu e il pavimento umido; individuò le converse nere del giovane.

- È qui. -

Il sussurrò portò Taehyung a rifarsi avanti, bussò prima con lentezza e appoggiò la guancia morbida alla superficie fredda.

- Jungkook... apri, siamo noi, ti portiamo a casa. -

Nessun rumore si fece sentire e il biondo ritentò inserendo più dolcezza ed abbassando il tono della voce già roca, le dita accarezzavano la porta cercando un contatto.

- Tua madre sarà in pensiero Kookie, prendiamo un gelato durante la strada, ti va? -

Lo scattare della serratura lo allontanò di qualche passo e la figura fradicia del più piccolo lo fece stare male, non capiva, non era in grado di capire.
Come poteva qualcuno trattare così il suo Jungkook? L'unico per cui davvero provasse qualcosa, che lo facesse sentire realmente bene e se forse avreste chiesto a Taehyung cosa fosse la felicità, vi avrebbe risposto, la sua felicità era Jungkook.

- Da quanto racconta Kim Taehyung non sembrava furioso, quindi questo non giustifica il suo atteggiamento nei fatti a venire.

Aspetti, lei come reagirebbe se sua moglie venisse continuamente umiliata da un altro uomo? Immagino che non resterebbe con le mani in mano, vero?

- Sono io che faccio le domande qui. Dunque, poi? -

- Ancora lui. -

Yoongi abbozzò un sorriso ironico, scompigliò i suoi capelli e senza degnare Jungkook di uno sguardo si avviò verso l'uscita che conduceva dalla palestra al cancello passando per il campo.
La mano destra frugava nella cartella.

Jimin aspettò qualche minuto prima di raggiungerlo, i primi secondi li passò soltanto osservando il viso cadaverico del più piccolo e infine avvicinandosi lo strinse in un abbraccio.
Poco importava le robe fossero di Hoseok e che le stesse inumidendo, non aveva senso in quel momento e aveva il dovere di dar conforto al suo amico che ormai considerava come un fratello.

- Quel coglione è fuori. -

- Ma lei, in tutto ciò? -

Mi lasci raccontare, siamo tutti colpevoli, certo alcuni poco e niente ma in egual modo abbiamo fatto la nostra parte. 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3816292