Quella linea di confine

di _aivy_demi_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non posso perderti ***
Capitolo 2: *** Ancora qui ***
Capitolo 3: *** Ricerca te stesso ***



Capitolo 1
*** Non posso perderti ***


Non posso perderti




-Manca poco, resisti...

Kakashi correva, con tutta l'energia che gli era rimasta: correva come ne andasse della propria vita, ma in realtà lo stava facendo per salvare quella di qualcun altro.

-Cazzo!

Il sangue del ferito che si era caricato in spalla colava copioso dallo squarcio sul petto.

-Obito, mi senti? Resta sveglio!

Il rifugio medico era poco più di un mucchio di tende sparpagliate su un piccolo spiazzo tra i fitti alberi.

-Ci siamo...

L'uomo cadde sulle ginocchia accanto ad uno dei medici presenti, che si apprestò a chiamare due inservienti nel tentativo di recuperare lo shinobi che giaceva ancora sulla schiena dell'Hatake.

-Aiuta... te... lo.



°


Cerco di issarmi a sedere, ma ogni singola parte del mio corpo protesta solo all'idea. Il bruciore si è diffuso ovunque, insieme alla sensazione di essermi rotto qualche osso.

Come se non ci fossi abituato.

Ci provo di nuovo, ma nulla da fare: i muscoli non vogliono rispondere. Dovrei dargli torto?

Casco nuovamente sul giaciglio di fortuna, maledicendo la scomodità di quel campo. Nella mia mente si rincorrono immagini di morbidi letti all'occidentale, lenzuola profumate e cuscini in piuma. Torno alla realtà, grazie al dannato dolore alla gamba che richiama la dovuta attenzione.

Obito.

Obito, dove sei?

Mi gira la testa, e gli occhi faticano a stare aperti. Mi hanno dato di sicuro qualcosa: come se imbottirmi di antidolorifici bastasse a tenermi buono. Illusi.

Devo vederti.

Stai bene?

Concentro tutta la forza che posso nel collo, nel tentativo di voltarmi: di nuovo un male cane, ma devo accertarmi assolutamente di una cosa. Riesco nell'intento, mi giro verso destra. Nulla. Non ci sei.

Riprovo, verso sinistra stavolta. Non sei neppure lì. Dove sei finito? Sto cominciando ad agitarmi, sento tremare le mani, e la gamba è trafitta da migliaia di aghi roventi. Mi resta una cosa da fare: chiamare qualcuno, e chiedere informazioni. Apro la bocca, ma non sono in grado di pronunciare nessuna parola; le labbra si muovono, niente di più. Punto i gomiti: voglio alzarmi, devo andare a cercarti. Devo essere sicuro che tu...

Non riesco a finire questo pensiero, al diavolo le congetture. La sola idea che possa essere morto mi fa venire la nausea. Accertarmene è l'unico modo per non impazzire.

Ci riprovo.

Niente.

Mi sento scivolare in un oblio nero, denso e viscoso. Al diavolo loro, e le loro droghe mediche.



°


-Ehi... Mi senti?
Spalanco gli occhi, il cuore sussulta in gola. Faccio troppo affidamento al mio corpo, alzandomi di scatto: brutta cosa. Ricasco sulla schiena, maledicendo quante più deità possibili mi vengano in mente. Sbatto le palpebre un paio di volte, nel tentativo di scacciare il velo assonnato dalle pupille. Non so chi sia, non riconosco la voce; non ha il camice, quindi presumo sia venuto qui mandato da uno dei medici.

-Sei in grado di capire quello che dico?
No, ho cambiato lingua solo per non darti soddisfazioni. Lasciami in pace, devo andare.

Sbuffo di nuovo.

-Ti do una mano.

Strano, ha colto il segnale palese al primo colpo: tipo intuitivo dunque, non è poi così immeritata quella divisa da Jounin lisa e macchiata di sangue rappreso. Mi sembra di sentirne ancora l'odore.

Trattengo un conato, mentre lo sconosciuto passa il braccio sotto alle mie scapole, nel tentativo di farmi sedere.

-Va meglio?

Una meraviglia, come sempre. Sono sperduto in mezzo alla foresta, scampato ad un agguato di un gruppo di imbecilli che mi ha colto di sorpresa, e non ho la più pallida idea di come stia il mio compagno. Perfetto, no?

Tento di rispondere, ma la gola e la bocca sono così secche e impastate da non permettermi altro se non un paio di colpi secchi di tosse. Il nuovo arrivato mi porge una borraccia con dell'acqua.

-Tieni, bevi.

Faccio fatica persino a deglutire. Appena il liquido scende giù fino allo stomaco, un altro conato si presenta; stavolta riesco a trattenermi a stento, nonostante non ne sarebbe uscito nulla, se non acidi. Respiro profondamente: devo riuscire a comunicare, devo riuscire a sapere come stai.

-... ito...

Il giovane mi si avvicina, tentendo l'orecchio.

-O... Obito...

Il suo sguardo perde risolutezza, spostandosi repentinamente verso un punto casuale di quel posto che comincio solo ora a riconoscere. Perché non risponde? Penso di essere riuscito a farmi capire, maledizione!

-Riesci a reggerti in piedi? Te la senti di camminare?

Ci provo ancora, nella speranza che questo ragazzo possa accompagnarmi da te. Porto un piede davanti all'altro, inveendo ad ogni passo: la maledetta gamba non vuole ascoltarmi, ma non m'importa.

La strada è più breve di quello che pensassi.

Che idiota, come ho fatto a non accorgermene? Il riparo non è poi così angusto, vista una seconda porzione di terreno celata da un telo di fortuna.

-Forse non dovrei...

Metto da parte l'orgoglio, e con un filo di voce lo supplico di scostare quella tenda e farmi avvicinare.

...!

Sei tu... Non ci posso credere, sei ancora vivo...!

Sento le ginocchia venire meno. Gli occhi faticano a stare aperti a causa dei farmaci e del pizzicore improvviso che percepisco sotto alle palpebre. Il giovane che ancora mi sta sorreggendo mi accompagna ad un rustico giaciglio, mantenendo il silenzio. Mi aiuta ad adagiarmi accanto a te, senza chiedere nulla di più: presumo sia arrivato alla conclusione che sarebbe stato impossibile reggermi nel tentativo di starti appresso.

-Grazie.

Poco più che un sussurro, colto comunque. Mi sorride, scosta nuovamente il separé e si allontana. Ricorderò il suo volto, ne sono sicuro: l'unico che abbia dedicato del tempo per ciò di cui avevo assolutamente bisogno. Non ho nemmeno idea di quanto tempo sia effettivamente passato da quando siamo arrivati. Non ci sono finestre ovviamente, non posso capire neppure se è giorno o notte.

Non importa.

L'unica cosa ora che conta è essere qui.

Siamo da soli, e ho appena constatato che sei ancora vivo. Per miracolo, presumo.

Non hai ancora aperto gli occhi.

Non mi stupisce, guarda lo stato in cui ti trovi. Non che io stia tanto meglio, ma almeno non mi sono fatto aprire in due. Sei un emerito idiota, sul serio. Avrei dovuto esserci io al tuo posto, ed adesso inveirei non sai quanto contro di te, visto che ti sei buttato tra me e quello stronzo; non posso farlo, mi provoca dolore solo l'idea di tentare.

Sono così vicino al tuo profilo, da poterlo sfiorare con i capelli. Il tizio di prima è stato fin troppo gentile, mi auguro solo non arrivi nessuno in questo momento: due imbecilli mezzi morti che se ne stanno appiccicati uno accanto all'altro, in un solo posto letto di fortuna.

Oh, al diavolo, pensino quello che vogliono: sei ancora vivo, chi se ne importa di ciò che può pensare chiunque altro.

Il tuo volto è troppo pallido, ed il tuo petto si muove così lentamente, quasi in maniera impercettibile. Vorrei poter poggiare la mano sul tuo torace, soltanto per assicurarmi di non stare sognando. Sei nudo per metà, fasciato e coperto di bende. Sono bianche, significa che sono riusciti a ricucire la ferita in maniera dignitosa.

Sembri beatamente rilassato, mentre riposi: vorrei poterlo essere pure io, ma ho il terrore di rivivere quello che è accaduto, lasciandomi andare alla stanchezza. Se chiudendo gli occhi e riaprendoli, non ti trovassi più? Scoprire che è tutto un sogno, realizzare che in realtà non sei... sopravvissuto?
Le palpebre si abbassano: è già la seconda volta che mi scuoto nel tentativo di rimanere sveglio. Ci sto provando, ma neppure il dolore riesce a frenare la stanchezza.

Guardami.

Ti prego, apri gli occhi e guardami, Obito.

So che sei vivo, ma fammelo capire. Sorridi, fai una delle tue solite smorfie idiote, corruga la fronte e prendimi in giro. Fai quello che ti pare, davvero: non mi importa. Scimmiottami quando leggo, quando mi alleno, quando mi incazzo. Rispondimi a tono come quando litighiamo come bambini.

Fallo.

Parlami.

Guardami.



-Attento!

Obito aveva ucciso quello che credeva l'ultimo assalitore.

Estrasse il kunai dallo stomaco dell'uomo che sarebbe collassato un attimo dopo.

"Da dove arrivano?" Non era riuscito a comprendere il motivo dell'attacco: semplici briganti?
-Kakashi, voltati!
Quest'ultimo colpì sulla schiena l'avversario, facendogli perdere i sensi.

I due, ansimanti ma soddisfatti, sorrisero.

-Bene, sembra sia finita.

Si adagiarono sfiniti alla base di uno dei grandi alberi che li circondavano, in quell'indefinibile luogo casuale ai confini di Konoha.

L'Hatake socchiuse gli occhi, ciondolando la testa sul petto. Troppo stanco per dare la dovuta attenzione all'ambiente circostante. L'Uchiha lo seguì, complice l'improvviso silenzio e l'apparente quiete.


Il clink del kunai estratto con decisa rapidità destò d'improvviso Obito.

Un unico suono.

Un movimento troppo rapido.



Stringo forse con eccessiva energia il lenzuolo, aggrappandomi fino a sentire svanire i tremori.

Il ricordo di quello che è accaduto si è presentato in maniera fin troppo nitida durante il mio ultimo collasso dato dalla stanchezza (decisamente la parola corretta, non mi sono nemmeno accorto di essermi riaddormentato). Ho ancora il fiatone, e percepisco delle piccole perle di sudore gelarmi la schiena scoperta.

Dormi ancora: regolare, fermo ancora nella posizione precedente. Non credo tu ti sia svegliato.
Riesco a voltarmi supino, constatando finalmente che neppure le mie condizioni sono delle migliori; l'attenzione totalmente risucchiata dall'idea di aver perso questo idiota che mi sta dormendo vicino, mi ha fatto dimenticare dello stato in cui sono. Fasciato, dolorante, di pessimo umore. Un arto che non riesco a muovere, costole che danno il loro bel daffare, la schiena che protesta a ogni movimento.

Bene, direi.

Più o meno.

Sposto lo sguardo su di te, sul tuo corpo; poggio la mano sul tuo petto, muovendo delicatamente le dita. Percepisco sotto i polpastrelli le ferite richiuse appena, la pelle rovinata da centinaia di scontri, il battito lento e regolare (fortunatamente regolare...): tutto ciò sussurra "sono vivo". Non posso essere più felice di così, in questo momento.

Sposto gli occhi al soffitto: mi concentro sui rumori all'esterno, sulle conversazioni anonime di persone senza volto che ci circondano, al di là del tessuto che ci separa dal resto del mondo. Un fruscio attira la mia attenzione. Richiudo d'istinto le palpebre.

-Bene, i parametri sono normali. Mi chiedo ancora come sia possibile.

-Lo so, è assurdo: lui l'ha portato sulle spalle fino al campo, prima di collassare a terra. Non è che stesse poi tanto meglio dell'altro.

Non posso fare a meno di origliare la conversazione tra i visitatori.

-Sul serio, non so in che condizioni potrà risvegliarsi. Abbiamo fatto ciò che abbiamo potuto: ora tutto sta nel suo corpo, e soprattutto nella sua volontà.

Ogni singola parola di quel maledetto mi ha spezzato qualcosa dentro. So che ce la puoi fare, sei un cocciuto che non molla mai. Se ci sarà qualcosa che non va, ti aiuterò io: qualsiasi siano le conseguenze.

Uno dei due mi si avvicina, lo percepisco anche se non posso vederlo.

-Non serve spostarlo. Lasciali così, non può fargli che bene. Andiamo.

Il suono dei passi si fa più lontano.

Cosa sarà di te, dopo che ti sarai svegliato? Quanto ci vorrà perché tu possa riprenderti?
Quanto ancora, perché tu riapra gli occhi?

Cadendo in un nuovo sonno senza sogni, la mia mano scivola sulla tua, adagiandovisi e percependone il rinfrancante tepore.

Obito...






Ci si può innamorare di una ship, grazie all'angst che mi ispira?
Certo che sì!
Questo è accaduto con Kakashi e Obito.

Inizialmente il progetto prevedeva una OS, ma ho deciso di creare una minilong con i punti di vista dei due protagonisti.

Una doppia visione a 360° gradi di dolore, paura, perdita, sensazione di vuoto e rassegnazione.
Mi auguro vi abbia scatenato la giusta malinconia.

Io sto nuotando nei feels con loro due! ^ ^

Un abbraccio speciale a BlueRoar, Mahlerlucia e Miryel perché ogni giorno sono un inesauribile spunto di nuove idee.

Grazie ragazze!

Un saluto a chiunque sia passato di qui, e grazie a voi tutti per l'attenzione che dedicate ai miei lavori!

-Stefy-



















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Capitolo 2
*** Ancora qui ***


Ancora qui





Che pace. Si sta davvero bene qui.

Nessun suono, non sento né caldo né freddo. Non percepisco neppure la superficie dove sono steso; sempre che lo sia, ovvio. Sollevo il braccio, più che altro tento di farlo. Non lo vedo.

Dove sia la mia mano in questo momento non lo so, e non mi importa: sento che è sbagliato, che dovrebbe interessarmi scoprire perché io abbia perso qualsiasi forma di sensibilità. Non è così.

Alzo lo sguardo. Bianco. Seriamente, come è possibile non ci sia nulla? Nessun colore, nessuna dimensione, nessun contorno o confine. Vorrei chiedermi dove cazzo sono finito, ma avrebbe senso? A chi potrei rivolgere una domanda simile? Schiudo le labbra, giusto per capire che suono potrebbe avere la mia voce in un luogo simile.

Nessuna voce.

Continuo comunque a non stupirmi. Sono più stupido di quello che credevo dunque. Una persona qualsiasi ora sarebbe in paranoia, o almeno si avvicinerebbe ad uno stato di ansia; per quanto mi riguarda, non mi succede. Da quanto ragiono in questa maniera? Non sono io, questo non posso essere io, sul serio.

"Perché non dovresti esserlo?"

-E tu chi saresti?

"Non è chi sono io, ma chi sei tu."

-Non prendermi per il culo, non ho idea di dove sono. Almeno fatti vedere.

"Come? Non riconosci la mia voce?"

Mi è familiare, ma stento a crederci, sul serio. Perché dovresti esserci proprio tu qui? Ti decidi a farti vedere?
Fisso lo sguardo dritto davanti a me e ti scorgo nitidamente, mentre ti avvicini sorridendo.

"Quanto tempo, Obito."

Rido, o almeno credo di averlo fatto. Stiamo scherzando, decisamente. Qui la cosa sta prendendo una piega strana. Qualcuno mi spieghi dove sono e cosa sta accadendo!
"Ti stai agitando?"

Non so dove mi trovo, non so che fine abbia fatto il mio corpo, e in compenso non ho la più pallida idea di quale assurdità stia macchinando la mia mente in questo momento.

"Perché sei tanto stupito? Sembra tu abbia visto un fantasma."
Ridi di me in maniera ironica, sei esattamente come ti ricordavo... Un pensiero si fa strada con inesorabile consapevolezza. Allora è vero.

-Sono morto? Sto rivivendo frammenti della mia vita...?

"Chi ha detto che sei morto?"

-Il fatto che tu sia qui.
"Se pensi che mi abbia mandato qualcuno, ti sbagli di grosso, idiota. Sono qui di mia spontanea volontà, e la Morte non c'entra ancora nulla in tutto questo; non coinvolgerla nei tuoi soliti sproloqui."

Sei proprio tu: i capelli color argento, quella cicatrice. Quanti anni hai? Come ai tempi direi... Sì e no 15, azzardo.

"Non capisco perché tra tutti gli aspetti che avresti potuto darmi, hai scelto proprio questo."

Non l'ho scelto io, com'è possibile?

"Odio questo periodo: sono ancora un ragazzino, sono solo e non forte abbastanza per proteggere chi amo. Non sono abbastanza maturo per essere qui ed affrontare la t..."

-Perché ti fermi? Continua!

"Vada come vada, ti terrò compagnia."

Mi sto incazzando, cosa intendeva dire con quella frase a metà?!

"Capirai quando sarà il momento."
Kakashi, non farmi questo. Almeno tu, cerca di farmi capire, tenta di dare un significato a quello che sta accadendo qui.
Ti siedi di fronte a me, sollevando gli occhi verso l'alto (verso il biancore, verso questo nauseante miscuglio di tutti i colori esistenti al mondo). Che cosa orrida, sembra un ospedale senza arredi.

-Hai intenzione di stare qui senza dire nulla?

Sbuffi. Hai davvero la facciatosta di farlo? Sei proprio il ragazzino insolente che ricordavo, e forse sono io a sentirmi più vecchio adesso.

"Si nota fino qui che non stai capendo nulla. Ti aiuto, proprio come ai vecchi tempi. Sei rimasto il solito asino."
Non me la prendo, non più di tanto; ormai sono cresciuto, sono maturato, e non mi perdo più in cose simili.

-Dimmi allora, cosa dovrei capire?

Ti alzi, ti avvicini a me, nonostante io non sia ancora in grado di decifrare nulla del mio corpo fisico. Ti fermi a poca distanza, sorridendomi.

"Stai per morire."

Lo guardo attonito.

"Se ricordi quello che è accaduto, sai meglio di me che non dovrebbe restarti ancora molto tempo."
Ribatto, infuriato per la tua affermazione.

-Sei stato tu a dirmi che non sono morto!

"No, mi hai rivolto un quesito errato. Ho detto che stai per andartene, mentre tu mi hai chiesto se fossi già morto."
Vorrei stringere i pugni, tirandoti un cazzotto nello stomaco, ma non ricordo come si fa in questo momento. Sorrido amareggiato: mi sento tremendamente frustrato, e di certo il ragazzino che era stato mio compagno di team parecchi anni addietro non mi sta dando una mano.

-Se non sei qui per aiutarmi...

"Che ci faccio, dici? Non lo so, ripeto. Sono qui perché tu lo desideri. Sono presente qui accanto al momento della fine, perché hai voluto rivedermi."
Sospiri, convinto che io non abbia ancora capito.

"Devo farla più semplice? Pensavo fossi diventato un filino più intuitivo."

Giuro che quando uscirò da qui, te la farò pagare. Ho capito benissimo cosa intendi, non sono così tanto stupido, o speranzoso.

-Questo l'ho capito. Quello che ancora non ho compreso è perché proprio tu, e proprio con questo aspetto.

Sei così vicino da poterti quasi toccare. Mi sento in soggezione: come e quando ti sei mosso così rapidamente? E poi, perché hai annullato le distanze? Sussurri, socchiudendo gli occhi e sorridendomi amaramente.

"Perché questo è il momento in cui ti sei reso conto di amarmi."

Chissà com'è la mia espressione ora.

È sempre stata tua abitudine prendermi in giro, ma così...
Mi fissi, stai aspettando che dica qualcosa: un commento, una conferma forse?

-Ci deve essere un errore...

"Lascia ti dia un consiglio utile, anche se sembra che non avrai molte altre occasioni per poterlo sfruttare. Se devi essere sincero, fallo. Prima di tutto per te stesso."

Il problema non è la sincerità: è ammettere ciò che si nasconde dentro. Come dovrei dirtelo? Guardare negli occhi un quindicenne, che in realtà porta il doppio degli anni, e aprirmi completamente?

"Non ti resta granché, direi che sarebbe ora tu metta ordine nei tuoi pensieri. Addio"

Non ho il tempo di fermarti, di chiederti ancora qualcosa.
Sparito.

Così come sei apparso, te ne sei andato.
Con la sola differenza che adesso sono circondato dal buio nero come la pece.

Sono di nuovo solo, quasi mi manca quel biancore abbagliante sempre uguale.

Così questo vuol dire morire? Fare i conti con il proprio passato, rivedere la persona a cui si sarebbe dato tutto, ed avere la possibilità di parlare con lei un'ultima volta.

Pensavo peggio.

Sul serio.

Quando mi immaginavo stupidamente di come si sarebbe potuta concludere la mia esistenza, vista la vita frenetica da jonin che conduco, pensavo a dolori atroci fino alla perdita dei sensi ed al battito fermo. Sognavo, speravo di andarmene senza dolore. Ora invece mi ritrovo in questa sorta di limbo assurdo, che cambia come vuole.

Perché sono ancora qui? Kakashi se n'è andato, lasciandomi solo con i pensieri direzionati dalle sue dannate domande mirate. Dove voleva arrivare?
Dove volevo arrivare io? Forse questa è la domanda corretta.

Se sono in bilico tra la morte e la vita, sono io a gestire questo spazio, giusto? Presumo almeno, visto che non ho certezze di sorta. Quell'immagine che mi ha parlato, è stata frutto della mia mente, ora ne sono certo.

Forse è proprio per ciò che provo che sei apparso qui. Come quando eravamo ragazzini, come quando me ne sono accorto la prima volta.



Mi donasti un sorriso. Uno dei rari di cui eri a malapena capace.

Orfano, completamente solo, ti rincuoravi nelle missioni e negli allenamenti. Non eri in grado di pensare ad altro; il codice, l'onore, il rispetto delle regole. Essere il più forte. Non c'era spazio per altro, nel tuo petto arido.

Quel giorno però, mi guardasti con gli occhi socchiusi e l'aria felice.

Eri a malapena un ragazzino, ma già conoscevi la morte, la tristezza, la furia cieca della vendetta e la rassegnazione di una vita simile.

Non ricordo neppure il motivo per cui reagisti così, ma qualcosa nacque dentro di me. Qualcosa che non mi avrebbe più abbandonato.


Difficile ammetterlo, non sono mai riuscito a dirtelo. Che emerito idiota. Ho sempre fatto finta di nulla, continuando a starti accanto negli anni e collaborando nelle missioni a squadre; il nostro rapporto era davvero solido, anche se non siamo mai stati coinvolti alla stessa maniera.

Se solo potessi vederti ancora una volta, una soltanto... Forse potrei dirtelo, ammettendo quanto sono stato un imbecille a non darmi retta in tutti questi anni.




°


Perché mi fa tutto così male, cazzo?!
Dove sono... Sono davvero morto?

Socchiudo a malapena le palpebre, nonostante la poca luce.

Un soffitto in tela? Una luce?
Chiudo di nuovo gli occhi, nella speranza di riaprirli e non ritrovarmi ancora in posti assurdi senza pareti e senza spazi definiti. Fatico a riprendere il coraggio: se poi è tutto di nuovo buio e silenzioso? Spalanco le iridi con forza, come ad esorcizzare l'esistenza di un luogo orribile che non avrei voluto più rivedere.

Dove mi trovo?

Sento dolore ovunque... Sono vivo? Sono davvero ancora vivo?!
Sollevo con estrema lentezza il braccio intorpidito, notando con immenso piacere di avere ancora un corpo che risponde ai miei comandi. Osservo le mie dita, le chiudo a fatica.

Si stringono a pugno, bene.

Esisto di nuovo, esisto ancora. Sento di star per cadere nuovamente nell'oblio del sonno; le palpebre pesanti mi ostacolano la vista due o tre volte.

Sento calore, non in tutto il corpo: alla mia sinistra, percepisco un tepore diverso da quello che potrebbe darmi un tessuto poggiato malamente. La mano sembra ancorata a qualcosa che non mi permette di spostarla in alcun modo. Che sensazione strana. Sembra familiare, quasi ci fosse qualcuno accanto a me.

Qualcuno...

Kakashi!
Dove sei?!

Mi tiro su a sedere con tale violenza da sentire l'intero addome come squarciato e trafitto da parte a parte. Tossisco rimanendo senza respiro per qualche secondo; per un attimo la vista di offusca fino ad annerirsi, mentre milioni di piccoli puntini bianchi vorticano all'interno delle mie pupille.
Sono qui, sono ancora qui per te cazzo. Dove sei finito?

La schiena si blocca mentre tento di reggere il peso del corpo. Non ce la faccio, rischiando di cadere all'indietro. L'ultima cosa che ricordo di quello scontro infernale è quel dannato attacco a sorpresa: ho visto quel bastardo correrti incontro con il kunai stretto tra le dita, e non ho più pensato a nulla. Poi, il vuoto.

Un mugolio.

Mi giro di scatto, maledicendo la stupidità di quel gesto.
Sei tu...

Ci sei davvero...!

La mia bocca trema, mente trattengo a fatica un gemito: sei qui accanto a me, mi manca l'aria. Deglutisco, nel tentativo di dire qualcosa. Non ci riesco. Socchiudo le labbra, sentendo un gusto salato familiare: sto piangendo come un idiota. È la tua mano che mi da questo calore, e la stringo di rimando con la poca forza che ho.

Mi accascio nuovamente sulla schiena, girandomi di fianco, incurante della costrizione delle bende che avverto sul torace, giù fino al pube. Devo vederti ancora, sentirti respirare. Rido, se penso a tutte le volte in cui hai fatto lo spavaldo: "non abbassare mai la guardia", "è fondamentale l'attenzione all'ambiente circostante", "non abbandonarti mai alla stanchezza, anche quando la missione sembra essersi conclusa". Guardati adesso, nonostante le tue solite raccomandazioni: il volto ferito, il corpo tumefatto e medicato. Tutte stronzate le tue parole insomma, se poi sei il primo a non seguirle.

Se solo riuscissi ad avvicinarmi ancora... Cazzo, manca così poco!

Stupido corpo, obbediscimi una volta tanto: collabora! Il massimo che riesco a combinare è far cadere stancamente la testa accanto alla tua. Non sarà molto, più di così proprio non riesco a fare, ma ho bisogno di sentirti più che mai. Vorrei trovare conforto accanto a te, nella consapevolezza che sei stato un pazzo, e forse lo sono stato pure io, che mi sono letteralmente gettato a braccia aperte davanti al nemico, per evitare che ti colpisse. Stupido tu ad esserti addormentato, stupido io a reagire senza riflettere. D'altronde, come hai sempre detto, sono davvero un impulsivo irrecuperabile; ammetto che è proprio grazie a questo che siamo riusciti a riportare a casa la pellaccia.

Non sono sicuro di averlo detto, forse l'ho solamente pensato: Kakashi, grazie di essere vivo.




°


-Perfetto, sono entrambi stabili.

-Guardi, ha notato? Si è spostato!
-Certo, significa che ha ripreso conoscenza. Davvero notevole.

Chi sono questi? Sembra siano parlando di noi: dalle loro parole, pare stia procedendo tutto bene. Ammetto di aver tirato un enorme sospiro di sollievo, dopo averti visto in quelle condizioni.

-Lui farà fatica a recuperare l'uso della gamba, ma basteranno un po' di riposo e attenzione ai movimenti. L'altro, invece...

Invece cosa? Di chi sta parlando?

-Cosa ne dice? Riuscirà a riprendersi bene?

La pausa tra i due interlocutori di cui non conosco neppure il volto o il nome, è infinitamente lunga: mi sto spazientendo. Quanto ci vuole perché arrivino al punto? Se fossi stato meglio, mi sarei alzato a scuoterli, per questa ansia del cazzo che stanno alimentando.

La seconda voce tarda a farsi sentire, ma finalmente risponde.

-Beh, sta a lui. Ricorda che tutto parte sempre dalla volontà: più è forte, più è radicata, più la guarigione proseguirà nel modo giusto. Risentirà di una convalescenza dolorosa, ma ho fiducia.

Il dialogo sembra essersi concluso, perfetto. Sento dei passi ovattati allontanarsi. Non è questione di volontà la mia, è che sono stufo di starmene steso senza riuscire a muovere un muscolo. Sto maledicendo tutto e tutti, non vedo l'ora di andarmene.

Riapro gli occhi, adesso che sono certo di essere soltanto in tua compagnia: hai davvero un aspetto orribile. Sei pallido come un cencio, hai delle occhiaie orrende. Sappi che sei bello comunque nonostante lo stato alquanto patetico. Sembro davvero un adolescente al primo amore: riderei di me stesso, ma queste schifose costole non mi stanno rendendo facile la vita. Sollevo le dita, accarezzandoti il volto caldo ma sconvolto.

Calore.

Sei ancora vivo.

Sto per collassare ancora, fatico davvero a restare vigile: completamente rintronato.

-Obito...

Spalanco le palpebre nella speranza di non aver immaginato quella parola nel dormiveglia.

-Sono qui- ti rispondo, intensificando il contatto con la tua pelle. -Kakashi, sono qui!

Socchiudi lentamente gli occhi, voltando il capo nella mia direzione; li strizzi, riaprendoli velocemente. Sì, sono io, sono semplicemente qui: questo vorrei dirti, ma mi limito a sorridere con gratitudine. Le tue sopracciglia si alzano mentre le iridi scure si illuminano liquide: le lacrime scendono fino al cuscino, al lenzuolo, e mi bagnano i polpastrelli al loro passaggio.

-Sei vivo...

Rido, inveendo contro un malcapitato qualsiasi, per i dolori provocati dalla mia stramba ilarità.

-A quanto pare.- ti rispondo. Proprio con una frase del cazzo, ma sai benissimo che io e la serietà stiamo in due pianeti differenti.

-Sei vivo...!

Porti il braccio all'altezza del mio collo, avvolgendomi la nuca con dita tremanti. Avvicini il volto, portandoti a pochi centimetri dal mio: perché sto piangendo pure io? È tutta colpa tua! Sembriamo davvero degli idioti, mentre appoggi la fronte contro la mia e respiri a scatti, per via delle fitte che sicuramente ti staranno martoriando.

-Lo sei anche tu...- Sembra un'ovvietà, ma avevo bisogno di dirlo, dar voce a questo pensiero per essere sicuro che tutto questo fosse davvero reale. Lo siamo entrambi: piangiamo, ridiamo, respiriamo ancora.

Mi sposto abbastanza da permettermi di raggiungere il tuo viso. Poggio le mie labbra sulle tue, incurante di ogni singola reazione che potresti avere. La mente annebbiata si perde, con il profumo misto a sangue e medicine, ipnotizzata dal battere sempre più forte che esce dal mio petto, fino a spaccarmi i timpani. Pelle screpolata, debole, che mi sfiora nelle stesse condizioni. Non ho il coraggio di aprire gli occhi, non ancora.

Mi stacco, chinando il capo con vergogna. Non dici nulla, neppure io lo faccio, ma la tua mano mi avvolge la schiena e le scapole, stringendomi debolmente a te.

-Bentornato.

Sorrido, inumidendoti con nuove lacrime. Sussurro un grazie, cullato dal tuo respiro. L'ultima sensazione che avverto prima di perdermi nuovamente nell'oblio del sonno, è la scia di una goccia che dalla mia testa scivola sui capelli. Sei proprio un idiota rammollito, se piangi ancora.

Sono tornato, e tu con me.






Salve a tutti ^ ^
Eccomi con il secondo capitolo di questa minilong che mannaggia mi sta emozionando tantissimo scrivere!
Mi immagino vividamente ogni scena, e trasportata dalle canzoni più tristi di tutto l'anime di Naruto, scrivo scrivo e ancora scrivo.

C'è tanto dolore qui, eppure una speranza si è riaccesa. Sarà duratura?
Vi ringrazio, come sempre: ringrazio le tre ragazze che mi danno la carica tutti i giorni, Blueroar, Mahlerlucia e Miryel, e ringrazio Jill Shitsuji per il supporto con delle parole meravigliose.
Siete persone fantastiche e piene di talento ed immaginazione, continuate a scrivere sempre! :D
Un grazie a tutti voi, che mi seguite anche se non recensite, leggendo ciò che scrivo.

Alla prossima! U///U

-Stefy-












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Capitolo 3
*** Ricerca te stesso ***


Questo terzo ed ultimo capitolo partecipa alla challenge di febbraio

del gruppo Boys Love:

"Midnight in the Garden of Good and Evil"


Scelta della maschera: VERDE - INTROSPEZIONE





3- Ricerca te stesso




La notizia dell'attacco alle porte di Konoha aveva allarmato l'Hokage, portando un'altra squadra in sostituzione dei feriti: Kakashi e Obito vennero esonerati dal servizio il tempo adatto per le cure, e dopo un paio di notti in cui la loro situazione si era stabilizzata, vennero trasferiti al villaggio e ricoverati in ospedale. L'Uchiha fu tenuto in terapia intensiva per tre giorni prima di poter essere portato in reparto, mentre l'Hatake poté cominciare la dura fase riabilitativa, con il pensiero cosciente di non sapere quando avrebbe potuto parlare di nuovo con il compagno di team.





«Mi viene da vomitare, vaffanculo.»

«Tenga, prenda questa bacinella e ringrazi di essere ancora vivo.» La dura voce dell'anziana infermiera risultò più un sospiro di sollievo mascherato, piuttosto che un vero e proprio richiamo severo. L'aveva scampata certo, quel paziente, e per un pelo.

Obito poggiò lentamente il contenitore sul tavolinetto accanto al letto, mugugnando per la presenza della flebo ancorata al braccio; gli stava provocando un gran fastidio, ma ogni sorta di dolore era sinonimo di vita per lui.

"Chissà come stai..."

Steso e cosciente, debole e dalla bocca impastata, aveva tempo a disposizione per pensare, e parecchio. Tentava di muovere un muscolo o due, ma più ci provava più le fitte di dolore si facevano sentire prepotentemente. Una volta era stato beccato nel tentativo di scendere dal letto, e ne era uscito un rimprovero decisamente meritato.

"Pretendono che me ne stia qui a guardare il soffitto tutto il giorno, come se potessi continuare così. Adesso basta, se entro oggi non mi permettono di alzarmi, me ne vado dalla finestra!" Tra sé minacciava e si lamentava, ma dentro sapeva d'essere stato fortunato: un altro al suo posto sarebbe potuto tranquillamente morire sul campo, senza via di scampo. Lui non solo era sopravvissuto, ma aveva pure la certezza che il suo amato era riuscito a scampare all'agguato. Non smetteva ogni giorno di ringraziare il fatto che Kakashi fosse ancora lì, anche se non lo aveva ancora visto dal loro ritorno a Konoha.

Allungò l'orecchio nel tentativo di percepire qualche suono: i passi rapidi e decisi di chi ripercorreva quei corridoi tutti i giorni, qualche incerto colpo di tosse provenire dalle stanza con le porte socchiuse, ma il cambio turno del personale medico era il momento più entusiasmante della giornata. E con questo aveva detto tutto.

Voleva fare qualcosa, davvero. Non era certo abituato a tutta quell'inattività fisica e mentale, era stato addestrato per essere sempre pronto a tutto, in ogni momento.

Si addormentava spesso durante il giorno, e nella notte uguale, accompagnato dalla noia e dall'alternarsi di antidolorifici e altri liquidi che gli circolavano in corpo; aveva persino perso il conto di quante volte avessero cambiato il contenuto vuoto della flebo. Il suo solito conteggio delle mattonelle del pavimento venne interrotto da una voce famigliare.

"Sei tu!"

«Si può?»

Kakashi entrò in punta di piedi dopo aver pregato l'infermiera di turno di poter visitare un paziente al di fuori dell'orario di visite: non dovette insistere poi molto, bastarono un sorriso sfoderato al momento giusto ed uno sguardo carico di promesse (non vere).

«Cosa vuoi? Stavo riposando.»

«Facciamo i brontoloni? Sei qui fermo tutto il giorno, avrai tempo più tardi per dormire. Allora, come ti senti?»

Obito finse disinvoltura, nonostante la sensazione crescente di disagio. Chissà poi per quale motivo, pensò, visto che alla fine tra loro non era successo nulla o quasi. Quel quasi era ciò che lo stava destabilizzando, più del dolore stesso. Quel quasi era rappresentato da un bacio a fior di labbra dato in bilico tra la vita e lo spegnersi da un momento all'altro.

Quel quasi avrebbe voluto dire tutto, ma probabilmente per l'altro non era stato nulla. Lo sfiorarsi che bramava da tanto tempo gli aveva scaldato il cuore, donato un battito in più, rinsaldato la sua voglia di ricominciare a vivere nonostante le ferite sempre più profonde e difficili da sopportare.

«Sono in forma, abbastanza per poter avere voglia di uscire di qui.» Perché non riusciva a parlargli in modo rilassato, con la dovuta cautela? O almeno un po' di comprensione. «Tu invece? Come va la gamba? Mi auguro ti stia riprendendo.»

L'Hatake sorrise scoraggiato, mostrando le stampelle con chi si muoveva ovunque in quel reparto: pure lui si sentiva come un animale in gabbia, chiuso in camera, e passava la maggior parte del tempo a zoppicare per le varie camere, incontrando pazienti vecchi e nuovi, e fermandosi a flirtare malamente con le inservienti. «Potrebbe andare meglio, ma almeno sono vivo.» Si avvicinò poggiando le grucce contro il muro accanto al letto. Si sedette sbuffando nel piegarsi, e si aprì in un sorriso completamente disarmante.

Obito non poté fare a meno di arrossire vistosamente, augurandosi che la reazione non venisse recepita. Tentava di staccarsi da lui, dall'idea di amarlo, dalla volontà di stargli accanto ogni momento; ci stava provando, e risultava soltanto un idiota. Ne era sicuro.

«Sono vivo grazie a te, e non potrò mai dimenticarlo. Obito, grazie. Sul serio. Sarei morto se non mi avessi fatto da scudo.» Avvicinò il viso al suo petto fasciato, sfiorandogli con la fronte la zona ancora pulsante per colpa del dolore e dei punti. Soffiò le ultime parole in un sussurro, il capo chino e gli occhi tremolanti di chi stava per piangere. Ciò che disse, l'Uchiha non lo avrebbe mai dimenticato: «Non so cosa farei senza di te.»

Il silenzio che seguì un'affermazione simile pesò sui due con fare prepotente, pesò così tanto da portarli a non muoversi d'un fiato, finché il moro non ebbe il coraggio di riprendere a parlare, ingoiando in malo modo.

«Non dire cazzate, sono stati i medici. Ti hanno sistemato la gamba, le ossa, i nervi, tutto. Ti hanno riassestato per bene, e te ne sei uscito con delle stampelle da usare per un po'. Dai, ti è andata più che bene no?» La risata amara che uscì dalla sua bocca ricordava parte del terrore orribile che aveva provato nel momento in cui si rese conto di dover intervenire, per non veder assassinato di fronte a sé l'uomo che amava. «E poi cosa dovrei dire io, che mi hai portato con te anche se eri ferito?»

«Che avrei dovuto fare? Abbandonarti lì mezzo morto? Non ce l'avresti fatta se non ti avessi portato via.»

La certezza di quelle parole lo colpì nell'anima come uno schiaffo: s'erano salvati la vita a vicenda, e pure per un soffio. Di loro erano rimasti la paura, il sangue versato e il dolore nelle ferite non del tutto chiuse; parole celate che nascondevano molto più che un semplice sentimento non detto.

Il silenzio venne interrotto nuovamente da Kakashi, che improvvisamente finse indifferenza. Ciò che disse lasciò a bocca aperta Obito per un momento. Si costrinse a riprendersi in fretta e a trovare qualcosa con cui rispondere alla proposta assurda appena ricevuta, prima di insospettire l'uomo che lo stava osservando incuriosito.

«Mi vuoi dire che dovremmo vivere assieme d'ora in poi?»

L'altro gli sorrise inclinando il capo: non aveva bisogno di rispondere.

«Non ci posso credere. Questa è la soluzione migliore che hanno trovato? Mi avessero consultato almeno.» Perché stava fingendo d'essere offeso? Il tono non rispecchiava per nulla ciò che davvero stava pensando, eppure non riuscì ad esprimere una sola delle cose che gli stavano vorticando pericolosamente all'interno della testa. Avrebbe voluto dirgli cose come "convivere con te sarebbe davvero meraviglioso", "sono anni che aspetto una occasione simile"; oppure cose meno smielate ma molto più pratiche del tipo "potremmo avere finalmente del tempo per stare soli, e chissà... un giorno trovare il coraggio di dichiararmi senza paura."

Il flusso ininterrotto della mescolanza confusa trovò un momento di quiete nell'affermazione che seguì: la nonchalance con cui il grigio si espresse non poté fare a meno di spiazzare l'uomo che tentennava ancora a stare seduto in equilibrio.

«Veramente l'ho proposto io.»

Si sentiva osservato, sondato. Stava tentando di comprenderlo in qualche modo, di oltrepassare la barriera mentale che aveva innalzato il giorno del risveglio dall'incidente.

«Perché avresti dovuto?» Altra domanda legittima quanto idiota. Il ricordo del bacio, delle lacrime e della forza di vivere che si era nuovamente insinuata in lui dopo aver constatato che Kakashi era sopravvissuto all'attacco, si era riversato prepotente nel petto, facendolo sussultare. Avrebbe voluto reagire diversamente, ma non ci riuscì; l'orgoglio, o qualcos'altro, lo stava trattenendo. «Ok, lasciamo stare. Adesso come dovrebbe funzionare?»

L'uomo sorrise complice, avvicinandosi con quell'espressione da eterno ragazzino e facendolo avvampare; Obito indietreggiò istintivamente, piegandosi poi in avanti nel tentativo di riprendere fiato dopo l'ennesima fitta di dolore.

«Visto? È anche per questo che io e Tsunade abbiamo optato per il tuo trasferimento. Il recupero è lungo, ed è meglio tu avvia qualcuno accanto almeno nel primo periodo.»

Era andato a scomodare persino la più alta carica di Konoha. Si sentiva con le spalle al muro e la certezza di non poter fare altrimenti.

«Aspetta un momento, perché anche?»

«Cosa?»

«Hai detto che è anche per questo che tu e l'Hokage avete scelto di farmi trasferire. Ci sono altri motivi?»

«Io non ricordo assolutamente di aver detto "anche".» Mimò delle virgolette con le dita, prendendolo in giro riguardo a presunte medicine date impropriamente da parte dei medici. Si avvicinò al volto del moro, sfiorandolo con le dita e solleticandolo sul collo: «non ti preoccupare, mi prenderò cura di te.»





Tremò stringendo le lenzuola convulsamente. I polpastrelli facevano male nello spingersi uno sull'altro, muovendosi nell'affannosa ricerca di un appiglio. Obito gridò alzandosi di scatto, tentando poi di soffocare un gemito che uscì per metà senza ritegno. Imprecò con tutto il fiato che aveva.

Dall'altra stanza una voce rotta dalla preoccupazione rispose, assicurando che andava tutto bene e che non era successo nulla di grave. «Arrivo!»

Passi ovattati si rincorsero fino all'apertura di uno spiraglio all'uscio: un fascio di luce si irradiò nella stanza scura, complice una figura famigliare che intervenne sottovoce. «Obito, tutto bene?»

La fronte imperlata di sudore, i nervi e le vene gonfi per lo sforzo: per niente bene. «Non preoccuparti, è tutto a posto.»

Il volto di Kakashi tradì la tensione nonostante il sorriso delicato dipinto sulle labbra.

«Tutto a posto un cazzo, ti ho sentito gridare fino in sala. Colpa del dolore?»

Annuì con un lieve sentore di vergogna, difficilmente lo avrebbe ammesso ad alta voce.

«Dovrai aspettare ancora un paio d'ore, ma vedrai che alla prossima dose andrà meglio.»

L'Uchiha riprese fiato ed un sibilo velenoso si impossessò della sua voce: «è da ieri che me lo prometti.»

Il compagno di team sbuffò sconsolato invece di rispondere, notando le condizioni dell'altro, consapevole di quanto potesse essere difficile e doloroso tentare di guarire da una ferita simile. Si sedette accanto a lui, smuovendo un poco con il suo peso le lenzuola stropicciate. Le lisciò con fare distratto prima di riprendere a parlare.

Obito non fu in grado di capire tutto ciò che stava dicendo, fermo in piena notte nel dormiveglia: si sentiva cullato da parole di cui non riusciva neppure a cogliere il significato. Una mano passò a districare i capelli umidi e una pezza bagnata tamponò la fronte sudata. Il collo, le guance, le clavicole: dita gentili detersero la pelle accaldata e febbricitante.

«Ora dormi, e vedrai che domattina ti sentirai meglio. Passerò tra poco con le medicine, non ti preoccupare.»

Le ultime sillabe sparirono nell'incoscienza del sonno profondo.



La luce filtra attraverso le palpebre.

Mi passo una mano sugli occhi nel tentativo di cacciare la fastidiosa sensazione. Sto decisamente meglio ora. Se penso a tutto quello che è successo l'altra notte... assurdo. Come cazzo abbiamo fatto a farci fregare così? Proprio come due bambini. Che razza di idioti. Fortunatamente anche tu stai meglio, e siamo sani e salvi.

A proposito, chissà dove sei finito?

Ti chiamo ma non rispondi.

C'è un tale silenzio qui.

Richiamo più forte, eppure ancora niente. Forse sarai uscito. Non sei certo in missione, anche perché siamo stati congedati per le ferite riportate. Boh, sarai andato a fare la spesa. Mi fa strano essere a casa tua, sai? Non è certo la prima volta che mi capita di entrarci, ma mai così.

...

Mhn? Cosa è stato quel cigolìo? Sarai tornato, bene! Cioè, non proprio visto che non so esattamente di cosa parlare. Dopo quello che è successo, dopo il bacio in quella tenda di fortuna, dopo aver pregato chiunque per fare il modo che tu potessi salvarti... cosa potrei dire? Guardarti negli occhi e far uscire un "ti amo" tremolante, forse? Oppure semplicemente tenermelo per me, così da non rovinare tutto?

Forse sarebbe davvero più facile così: stiamo bene io e te. Siamo affiatati, ci sosteniamo a vicenda, lavoriamo bene in squadra e siamo ottimi amici.

Dovrebbe bastarmi, no?

Ecco, il problema invece è proprio questo: essere amici.

Se davvero trovassi il coraggio di dirti ciò che penso, cosa ne sarebbe di noi?

«Sei il solito.»

Sobbalzo sul letto, girandomi verso sinistra. Cosa ci fai qui? Non ti ho neppure sentito arrivare.

«Tanti problemi solo per parlarmi?»

Allora la tua è proprio una fissazione! Appari e scompari come un fantasma, arrivi e fai finta di sapere tutto...

«Perché io so già tutto.»

Sbruffone.

«So che sei turbato, so che vorresti dirmi qualcosa ma non sai neppure tu come farlo. So che non ne saresti in grado, se non fosse per qualcosa di estremamente speciale, o decisamente grave. Dimmi, se io fossi in procinto di morire, riusciresti finalmente a parlare?»

Kakashi, ma che cazzate stai dicendo?

«Se fossi stato io quello ad essere colpito in missione, e non tu, saresti riuscito a dirmi davvero ciò che provi?»

Ok, smettila. Non è per niente divertente.


Sbatto gli occhi e sono nel bel mezzo di una radura famigliare: cadaveri di shinobi di altre terre sono sparsi disordinatamente sul terreno. Il sangue impregna le mie mani, e l'odore metallico di quel liquido mi ammorba fin dentro lo stomaco.

Ti vedo, sei davanti a me.

Sorridi.

Sto per rimettere, inghiottendo il conato ed espirando con poca convinzione.

Il tuo corpo inerme è accasciato contro un albero.

Sputi sangue tossendo, tenendoti la mano ferita sul corpo, poco sotto lo sterno.

Mi avvicino e tu gridi di andarmene, di lasciarti qui a morire, di scappare da quel massacro e di salvarmi ricongiungendomi agli alleati.

Non posso, non posso lasciarti lì così, cazzo! Se solo avessi agito prima...

Se solo fossi stato abbastanza veloce.

«Sono stato un idiota...»

Mi inginocchio di fronte a te, nonostante il tuo tentativo di farmi allontanare: porto sul tuo petto entrambi i palmi delle mani. Chiudi gli occhi e inspiri forzatamente, mascherando l'immensa sensazione di dolore con l'ombra di un sorriso.

«Per fortuna, tu... stai bene...»

Le lacrime scendono senza che me ne accorga neppure, scendono mentre le mie dita tremano tingendosi di rosso. Si sfiorando viscose, premono ancora nell'inutile tentativo di fermare l'emorragia.

Poggi la nuca contro la dura superficie rugosa del tronco, in attesa. La morte forse? Un aiuto portato dagli altri ninja di Konoha? Non lo so, e credo non lo sappia neppure tu, perché dalle tue palpebre mezze schiuse le iridi stanno perdendo parte della loro solita lucentezza.

Ti scuoto tentando di mantenerti sveglio, smuovo il tuo corpo avvicinandolo al mio; chiamo il tuo nome più e più volte, sempre più forte, con la consapevolezza di dover fare assolutamente qualcosa.

Ti sto perdendo, lo sento.

Dove cazzo sono gli altri? Perché non arriva nessuno?!

Grido ancora mentre ti accasci senza forze sulle mie cosce, arrancando ed annaspando.
Cosa posso fare per te Kakashi? Dimmelo ti prego, ti prego! Dimmi cosa posso fare per salvarti cazzo!

Ho paura, cosa devo fare?!

Kakashi rispondi, rispondi per favore, non andartene...!

Ti scuoto ancora, ma il tuo capo ricade mollemente senza più la muscolatura tesa a reggerne il peso.

Non riesco a respirare.

Non ce la faccio, tento di stringerti ancora e riportarti qui, eppure non ci riesco.

Aria, l'aria non passa, mi sento soffocare.




Un sussurro...


Mi volto e vedo il nulla.

Mi volto ancora, la sensazione del tuo volto poggiato sulle gambe non c'è più.

Non c'è più nulla: non ci sono gli alberi, non ci sono nemmeno più i cadaveri. Non ci sei neppure tu.

Annaspo nel tentativo di riempire nuovamente i polmoni di ossigeno, e nel farlo mi guardo le mani tremanti.

Candide.

Nessuna traccia di sangue.

Nessun odore.

Niente.


«Obito, Obito Obito, sei il solito. Appena ti lasci andare succede un disastro.»

Kakashi? Kakashi sei tu?

Boccheggio ancora, ed il cuore pulsa fino a far dolere le costole. La tua voce sembra serena, sembra non sia accaduto nulla.

Com'è possibile?
«Ti vedo confuso.»

Spaventato, incazzato, terrorizzato proprio! Confuso è l'ultima cosa che avrei scelto di dire, se me l'avessero chiesto.

Ti avvicini ancora, zoppicando e tenendoti lo stomaco con la mano sinistra; da essa cola un liquido bianco e brillante, che si perde nel biancore di un pavimento che non esiste neppure.

«Come... come stai?» Che domanda idiota ti ho fatto. Stavi morendo, e stavi disgregandoti piano piano.

«Come stai tu?»

Che domanda del cazzo è?
Una stilettata mi costringe in ginocchio, tossendo e sospirando.

Male, dannatamente male.

Sto male e non riesco a farlo passare.

«Lo so, è doloroso. Lo so perché posso capirti, lo so perché io sono te.»

Rido, mentre scarico il peso sull'avambraccio rovesciato a terra.

Rido perché stai dicendo un mare di cazzate, rido perché sono io quello che sta male.

Rido perché sono io quello ad essere stato colpito a morte, non tu.

Rido, perché in realtà eri stato tu e solo tu a salvarmi, a urlare, a bagnarti le mani di sangue e a vedermi riverso sul terreno senza più respiro in corpo. Eri tu quello che mi ha raccolto, che mi ha trascinato sulla tua schiena trasportandomi lontano dal campo di battaglia, fino ad incrociare sul percorso la tenda del campo base.
Rido, perché io ho il corpo squarciato, io stavo morendo, io desideravo restare vivo per poterti vedere ancora.

«Ridi perché sai di amare e non hai il coraggio di ammetterlo. Non cambierai mai.»



Si svegliò nuovamente madido di sudore. Inghiottì a vuoto mandando giù poca saliva e tanta angoscia. Notò Kakashi seduto di fianco al letto, il capo appoggiato al materasso.

Dormiva profondamente.

Obito allungò la mano, scostandogli con delicatezza i capelli argentei dal viso. Si sporse in avanti stringendo i denti e trattenendo un colpo di tosse mascherandolo a bocca chiusa.
Non voleva svegliarlo in ogni modo, e andava bene così.
Poggiò le labbra sulla testa ferma, godendo del ritmico respiro lento e del tepore irradiato dal corpo addormentato.

Sussurrò poche parole, per poi ricollassare malamente sulla schiena e stringere le dita dell'uomo tra le sue.

«Ti amo.»

Non sarebbe stato facile ammetterlo di nuovo a cuor sereno e completamente desto, ma al momento sentiva sarebbe stato più che sufficiente. Scivolò nuovamente nel sonno, riequilibrando il battito ed espirando con estrema lentezza. Nel dormiveglia sentì un tocco leggero sfiorargli le bende sul corpo.

«Anche io.»

Non era sicuro di averlo sognato.

Non era certo di averlo sentito davvero.

Era l'unica consapevolezza che aveva: s'era salvato, s'erano salvati entrambi, per poter stare finalmente uno accanto all'altro.




Eccomi! Intanto chiedo perdono per aver impiegato così tanto tempo nel concludere questa minilong, ma ho trovato perfetta la challenge di febbraio del gruppo Boys Love per riuscire a finirla.

Ne ho approfittato per il terzo capitolo, visto il poco tempo e i tanti progetti. È andato tutto come sarebbe dovuto essere? Sì cazzarola, volevo proprio finisse così, ma non senza turbamenti in mezzo, ehehehe! :D
Ringrazio chi ha avuto la pazienza di aspettare fino adesso (secondo inchino di scuse), e ringrazio chiunque abbia avuto un attimo per me e le mie storie. Tutti voi lettori date vita alla mia voglia di continuare a scrivere sempre di più, e ancora grazie anche a chi ha deciso di spendere due parole per recensire questi miei deliri.

Alla prossima (e questa è una minaccia XD)

-Stefy-


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