Un mondo per noi due (a world for two)

di Huilen4victory
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Zero ***
Capitolo 2: *** Uno ***
Capitolo 3: *** 00 ***
Capitolo 4: *** 01 ***
Capitolo 5: *** 00.1 ***
Capitolo 6: *** Abbiamo sognato l'infinito (interlude) ***
Capitolo 7: *** 00.2 ***
Capitolo 8: *** 00.3 ***
Capitolo 9: *** 00.4 ***
Capitolo 10: *** 00.5 ***
Capitolo 11: *** 00.6 ***
Capitolo 12: *** L'amore è un'illusione (interlude) ***
Capitolo 13: *** 00.7 ***
Capitolo 14: *** 00.8 ***
Capitolo 15: *** 00.9 ***
Capitolo 16: *** 00.10 ***
Capitolo 17: *** 00.11 ***
Capitolo 18: *** Abbiamo sognato l'infinito (interlude parte II) ***
Capitolo 19: *** 00.12 ***
Capitolo 20: *** 00.13 ***
Capitolo 21: *** 00.14 ***
Capitolo 22: *** Sehnsucht 52 (interlude) ***
Capitolo 23: *** 00.15 ***
Capitolo 24: *** 00.16 ***
Capitolo 25: *** 00.17 ***
Capitolo 26: *** 00.18 ***
Capitolo 27: *** 00.19 ***
Capitolo 28: *** Sogno, realtà (interlude) ***
Capitolo 29: *** 00.20 ***
Capitolo 30: *** 00.21 ***
Capitolo 31: *** 00.22 ***
Capitolo 32: *** 00.23 ***
Capitolo 33: *** L'amore è un'illusione (interlude parte II) ***
Capitolo 34: *** Due (+Epilogo) ***
Capitolo 35: *** Note dell'autrice ***
Capitolo 36: *** Un mondo di noi ***



Capitolo 1
*** Zero ***


A world for two - Un mondo per noi due

 

 

Fare la spesa era il solito incubo settimanale. Ma gli scaffali e le dispense di casa sua erano vuoti, così come il suo frigo. Quindi dopo lavoro invece di pedalare dritto verso casa, come le sue membra stanche gli suggerivano, si era fermato invece al primo supermercato lungo la strada.

“Vota la nuova legge per la coppia legale. Il 10 maggio vota si”. Lo schermo pubblicitario era così grande e luminoso che nascondeva quasi completamente la facciata del supermercato. Jungkook frenò. Il suono stridulo dei freni sull'asfalto fece sussultare qualche passante.

Sbuffò.

Erano stati tremendamente intelligenti a piazzare lo schermo davanti ad un supermercato, quel supermercato, il più grande e centrale della città.

Come se non fosse abbastanza il bombardamento continuo in televisione.

Jungkook legò la bici a un palo, dando le spalle al ridicolo schermo televisivo, quasi la pubblicità fosse una offesa personale. Secondo Jungkook lo era. Le lanciò un ultimo sguardo torvo, desiderando, non per la prima volta, di possedere qualche super potere che come per magia lo avrebbero disintegrato. Ovviamente lui non era super man.

Le porte del supermercato si aprirono automaticamente al suo passaggio. Il suo umore già pessimo era, se possibile, peggiorato.

Sorridi Jungkook, sorridi. Il ridicolo vocione di Taehyung echeggiò nella sua testa. I numeri due sorridono sempre! Jungkook cercò di sorridere. Era strano che Taehyung parlasse così, visto che lui stesso era un numero due, ma il suo miglior amico era sempre stato sopra le righe. Jungkook era contento che lui fosse rimasto lo stesso, sempre libero, sempre eccentricamente se stesso. Jungkook pensava che non avrebbe sopportato questa realtà senza il suo migliore amico al suo fianco. In ogni caso Taehyung aveva ragione da vendere e così Jungkook si stampò un sorriso in faccia, il suo sorriso da pubblico.

Prese un cestino dalla cassa e si diresse direttamente verso la sezione biscotti e merendine. Ad eccezione dei biscotti in tubo, si trattava per la stragrande maggioranza di confezioni in sacchetto con la promozione 'prendi due paghi uno'. Jungkook scosse la testa e prese una delle confezioni in promozione. Significava che la settimana dopo non sarebbe dovuto tornare per i biscotti. Lo stesso si ripeté in quasi tutti i reparti del supermercato anche se, per sua fortuna, era rimasti abbastanza prodotti singoli per lui. Erano le marche più infime ma se prendeva altro rischiava di portarsi a casa il doppio dei pacchi e lui aveva una sola bici.

Il sorriso stava risultando sempre più difficile da mantenere.

Doveva aspettarselo, si disse. Da quando era stata proposta la nuova legge c'era stato un crescendo di prodotti e servizi per due. Presto non sarebbero più rimasti prodotti personalizzati. Jungkook fu percorso da un brivido. Dopo aver preso tutto ciò che gli serviva, si diresse verso le casse. Non ne poteva più di quel posto e voleva andarsene quanto prima a casa.

La cassiera rivolse a Jungkook un gran sorriso, e lui dovette trattenersi dal roteare gli occhi. Una numero due. Jungkook iniziò a mettere i prodotti distrattamente in borsa, quando fu sorpreso dal suono strimpellante dalla cassa.

“ Non ci posso credere! Congratulazione ragazzo sei il cliente numero 20,000 di questa cassa!” le persone accanto lui batterono tutte le mani. Jungkook smarrito si guardò intorno.

Un uomo, quello che doveva essere il direttore, venne verso Jungkook per stringergli la mano e consegnargli un grosso coupon. Anche lui aveva un gran sorriso stampato in faccia.

Jungkook ricambiò la stretta, prese il coupon e abbassò subito lo sguardo per leggere cosa c'era scritto.

La stretta sul biglietto si fece così forte che le sue nocche si fecero bianche e lui non sapeva se mettersi a piangere o a ridere.

Aveva appena vinto un weekend in una spa per due.

 

 

Era un sabato mattina sonnacchioso e Jungkook lo avrebbe volentieri trascorso a giocare ai video games o a leggere qualche storiella scontata, ma aveva promesso a Taehyung che avrebbero fatto colazione assieme, perciò si era svegliato ragionevolmente presto, le 10, ed era sfrecciato verso il luogo d'incontro.

Jungkook non avrebbe dovuto meravigliarsi del fatto che nel dire “andiamo a fare colazione”, Taehyung avesse implicitamente incluso anche il suo numero uno.

Ed infatti si trovavano li entrambe, seduti alla finestra e immersi nel loro mondo a due. Jungkook non avrebbe dovuto prendersela si disse, mentre legava furiosamente la sua bicicletta. Era normale e a lui piaceva il numero uno di Taehyung. Gli voleva bene persino. Ma quella mattina avrebbe voluto vedere Taehyung e Taehyung soltanto.

Tuttavia quando varcò la porta e fu salutato calorosamente dai due, Jungkook non riuscì, come sempre, ad avercela veramente con loro. E davvero Jungkook sfidava chiunque, era impossibile rimanere arrabbiati, perchè Taehyung e il suo numero uno Jung Hoseok rappresentavano probabilmente tutto ciò che poteva esserci di bello nei numeri due.

“Kookie kookie vieni qui presto!” lo chiamo Taehyung con quella sua ridicola voce bassa che faceva a pugni con quel viso e modi di fare da ragazzino. Per la cronaca Taehyung aveva 24 anni.

Jungkook scrollò le spalle sorridendo, suo malgrado, genuinamente.

“Ciao Jungkook, come va?” lo salutò serafico Hoseok abbagliandolo con uno dei suoi enormi sorrisi. Jungkook dovette sbattere gli occhi un paio di volte prima rispondere.

“Mmm, bene?” rispose con una domanda per poi sedersi di fronte a loro. La sedia stridette penosamente sul pavimento come a sottolineare quanto, quella appena detta, fosse una bugia grossa come una casa. Il sorriso di Hoseok vacillò per un attimo. Hoseok, oltre ad essere una persona solare e positiva, era anche terribilmente acuto e sensibile. Jungkook si sentiva un libro aperto di fronte a lui e si chiedeva se questo sarebbe sempre stato l'effetto nel trovarsi al cospetto di qualcuno così disinteressato e a posto come lo era il suo hyung. Il numero uno di Taehyung.

Il suo miglior amico guardò prima Hoseok per poi spostare i suoi grandi occhi scuri su di lui. Taehyung sapeva da tempo infatti che c'era qualcosa che non andava. Jungkook ricambiò lo sguardo ricordandosi di sorridere.

“Jungkook se mi dici cosa vuoi vado al bancone a ordinartelo” aggiunse quindi Hoseok.

“ Un caffè, ma posso andarci io, tranquillo”.

“Nah, tu stai pure qui, vado io”, e quello era il modo carino di Hoseok di lasciarli un po' soli. Jungkook gliene fu grato. Certo avrebbe voluto che lui direttamente non si presentasse, tanto valeva essere onesti, ma tutti gli avevano detto quanto era difficile per i numeri due stare separati, per giunta numeri due come Hoseok e Taehyung che erano rimasti lontano l'uno dall'altro per così tanto tempo. Erano praticamente incollati con la super colla.

“Jungkook” Taehyung gli disse accarezzandoli i capelli. Era un gesto così Taehyung, lo faceva sin da quando avevano 15 anni, quando Jungkook si era reso conto cosa sarebbe significato essere un numero zero. Jungkook chiuse gli occhi per un attimo e quando gli riapri Taehyung aveva smesso di pettinargli i capelli ma lo guardava con attenzione. Si poteva dire tutto di Taehyung e lui più di altri aveva dichiarato più volte quanto il suo miglior amico fosse insoffribilmente insopportabile ( per poi ovviamente unirsi a lui nella follia), ma non che non ci tenesse ai suoi amici.

“Ho visto una pubblicità ieri” iniziò Jungkook, Taehyung lo guardò confuso. Jungkook sospirò.

“ Stavo andando a fare la spesa, sai, a comprare un cartone del latte e dei biscotti, niente di chè, non stavo commettendo nessun crimine, non ho mai commesso nessun crimine. Lo sai che hanno messo uno schermo pubblicitario che copre tutta la facciata del supermercato? Il 10 maggio vota si!” Jungkook ripetè con finta allegria. “Come credi che mi sia sentito?”. Una rabbia cocente si celava sotto la superficie. Veniva accumulandosi da anni, dai suoi giorni liceali fino ad oggi e si era fatta più intensa e spavalda e Jungkook si chiedeva quando, quando, la facciata esteriore, quel sorriso finto con cui affrontava l'esterno, si sarebbe infranta per liberare la bestia. Era sicuro che non sarebbe stato bello.

“Jungkook” Taehyung disse prendendogli la mano, stretta in un pugno sul tavolo.

“Lo sai vero che ti voglio bene? Che qui tutti ti vogliamo bene?”Taehyung non era mai stato bravo a capirlo. Jungkook per anni aveva pensato fosse una mancanza di sforzo da parte sua, ma sinceramente Taehyung non ne era in grado. Mancava di empatia e di reale sottigliezza, ma dopotutto Taehyung non era certo diventato il suo miglior amico perchè riusciva a capirlo. No. Taehyung era il suo miglior amico perchè non aveva paura di dire a Jungkook quando si sbagliava. Perchè ascoltava anche quando non capiva. E perchè era stato ed era tutt'ora la miglior parte della sua giornata.

Nonostante ciò c'erano ancora frangenti in cui Jungkook trovava frustrante questa incapacità di Taehyung, lui che sembrava essere convinto che dire “andrà tutto bene” bastasse a guarire una ferita.

“Lo so.” Jungkook rispose corrugando la fronte e ritraendo la sua mano, stizzoso. Taehyung sembrò ferito dal gesto, lui e Jungkook si erano tenuti per mano anche quando erano solo i numeri due a farlo, un modo per Taehyung di rassicurare Jungkook che non era solo (anche se tecnicamente lo era). Jungkook si sentì immediatamente in colpa.

“Kookie devi stare attento. Io sono d'accordo con te, lo sai. Vorrei poter aggiustare questo mondo, ma non posso. Quindi promettimi che non farai nulla di stupido. E che sorriderai. Sei stato tu a dire che non è il numero a decidere se essere felice o meno, no? Perciò sii felice”.

Jungkook avrebbe voluto rispondere la fai facile te, ma Taehyung aveva ragione, si erano fatti una promessa anni fa che Taehyung non lo avrebbe mai abbandonato anche se Jungkook non era il suo numero uno e che Jungkook avrebbe dimostrato al mondo quanto si poteva essere felici da numeri zero.

Dio. Avevano solo dieci anni allora.

“Tu. Sei maturato un casino. “ Jungkook alla fine rispose, distogliendo lo sguardo ma sorridendo genuinamente.

“ Sono maturato vero? Vero? E' tutto merito di Hoseok!”

Taehyung esclamò, trasudando entusiasmo da tutti i pori.

Jungkook scosse il capo.

“ Cosa è merito mio?” Hoseok chiese materializzandosi alle spalle di Jungkook.

“Kookie qui c'è il tuo caffè! Taehyung ti ho portato un altro muffin! Sappi che ho dovuto lottare per ottenerlo, era l'ultimo ai mirtilli rimasto”. Se possibile Taehyung si illuminò ancora di più.

“Grazie mille!” disse e quando Hoseok si sedette, Jungkook era sicuro che i due si stessero tenendo per mano sotto il tavolo.

Erano i momenti come quelli in cui Jungkook si sentiva piccolo e fuori posto. Taehyung e Hoseok erano lungi dall'essere una di quelle orribile coppie numeri due tutti baci e carezze, quasi a voler ostentare il loro status a ogni piè sospinto. Jungkook non li aveva mai visti baciarsi o abbracciarsi e la cosa più romantica che avessero mai fatto in sua presenza, era stato tenersi per mano. Ed era accaduto due volte. Ma ogni volta che Taehyung guardava Hoseok e viceversa era come il divampare dell'alba in una notte cupa.

Jungkook sapeva da anni che non avrebbe mai avuto tutto ciò. E l'accettava, davvero. Al contrario di molti zero che si suicidavano o cercavano matrimoni combinati tra zero, Jungkook era in grado di vivere da solo. Voleva vivere da solo. Aveva deciso con forza e con lacrime, che se era destinato ad una vita di solitudine, sarebbe stata una vita grandiosa. Che la gente poteva considerarlo meno, ma nessuno avrebbe mai potuto toglierli il resto. Avrebbe avuto una vita piena di traguardi da raggiungere, una vita appagante.

Era pronto. Era lieto. Non lo era però a venir privato anche di questo per via di una legge.

 

 

 

 

Il 10 maggio vota Si.

Jimin lesse il volantino che un volontario gli aveva dato in mano.

Aspettò di svoltare l'angolo prima di accartocciarlo e gettarlo via.

Non cambiava niente, si disse. Era e sarebbe stato sempre e comunque un numero zero.

La madre di Jimin veniva da una famiglia di numeri zero, perciò quando Jimin era risultato un numero zero, i suoi genitori erano stati tristi ma non sorpresi. C'erano il 25 % di possibilità che il secondo genito di genitori con antecedenti di numeri zero, contraesse le caratteristiche da numeri zero e i suoi genitori si erano preparati a questa possibilità al momento della seconda gravidanza. Erano passati 26 anni e Jimin non si era ancora abituato all'idea.

 

Proposta di legge numero 1: tutti gli zero in età da matrimonio, se non di loro scelta per designazione statale, dovranno contrarre matrimonio prima del raggiungimento dei 25 anni di età.

Proposta di legge numero 2: tutti gli zero vivranno in una zona zero e avranno servizi e scuole adatti alle loro esigenze.

 

Jimin aveva la nausea, ma purtroppo non poteva dirsi sorpreso. I numeri zero venivano già discriminati.

Con questa nuova proposta di legge si dava il diritto alla gente di farlo.

I numeri due avevano creato una società pacifica senza distinzione di razza, religione, colore e orientamento sessuale. La società viveva in armonia.

Ma la dura verità era che non tutti era destinati a essere numeri due. Si, il sistema a numeri due aveva eliminato un' enorme serie di problemi. Ne aveva creati altri però: quegli altri erano i numeri zero. La decisione di chiamarli così era di per sè offensiva, loro che non essendo numeri due non potevano neanche essere qualcosa.

La propaganda insisteva sul fatto che si erano eliminate le differenze che l'amore era alla portata di tutti. Di tutti quelli che erano destinati ad avere un partner. Solo se avevi un partner potevi essere felice, solo se avevi un partner avevi raggiunto il tuo scopo nella società. Jimin lo capiva, perchè gli umani non erano piante, non erano fatti per vivere in solitudine. Ma sfortunatamente non esiste un numero pari di umani sulla terra e rimarrà sempre qualcuno spaiato. Questo scarto, erano i numeri zero. Si nasceva come numeri uno per poi incontrare la propria anima gemella ed insieme diventare numeri due. Oppure nascevi numero uno per poi diventare un numero zero perchè non avere un partner equivale a non valere nulla. A non essere nulla.

Jimin chiuse gli occhi. A volte si sentiva davvero così. Una sequenza infinita di numeri zero. Il nulla del nulla.

Non era giusto, aveva pianto nelle notti sconsolate dopo una brutta rottura. Non era giusto. Perchè a Jimin non importava di essere zero, lui voleva semplicemente amare ed essere amato. Era sufficiente, pensava. Sarebbe bastato.

Tuttavia vista la discriminazione che i numeri zero già subivano, non incoraggiava certo questi ultimi a scoprirsi. La maggior parte di loro cercava di integrarsi e fingere di essere qualcosa che non erano, combinando matrimoni e facendoli passare per amore (quando la pressione non era troppo e non li spingeva invece a volare da un edificio). Lui non poteva certo riconoscere i suoi simili perchè portavano un cartello con numero zero scritto in grosse lettere appuntato sul petto.

E, la fortuna dopotutto non era mai stata dalla sua parte: era rientrato in quel 25% e Jimin ovviamente non aveva fatto che innamorarsi di numeri uno che avevano già un'anima gemella.

Aveva fatto male. Ogni dannata volta.

Perciò quando i suoi genitori quel giorno erano venuti a fargli visita, annunciandogli il suo fidanzamento, Jimin era stato sollevato. Aveva 26 anni e ne avrebbe compiuti presto 27. Era arrivato al punto in cui non si vergognava affatto ad ammettere quando volesse una compagnia. Quella di chiunque.

Sua madre seduta in salotto e con in mano una tazza di tè lo guardava preoccupato, suo padre invece in silenzio attendeva una sua risposta.

“Va bene” disse Jimin. Non era neanche triste o arrabbiato. I suoi genitori erano gente assennata e amorevole, avevano sicuramente scelto qualcuno di adeguato. Jimin non sarebbe mai stato come suo fratello maggiore. Non avrebbe mai aiutato negli affari suo padre, o messo su famiglia con tanto di cane, tre figli e casa al mare. I suoi gli volevano bene, non gli avevano mai fatto mancare nulla e avevano cresciuto e amato entrambi i figli allo stesso modo. Ma era logico che avevano visto con crescente preoccupazione la condizione da numero zero di Jimin e lui era sicuro suo padre certo non sbandierasse il suo status durante gli incontri di lavoro quando gli chiedevano “come sta la famiglia”.

“Ti piacerà ne sono sicura. E' giovane, intelligente. Di talento. Se posso dire la mia, anche molto attraente”. Sua madre disse cercando di essere positiva ma Jimin si era accorto della stretta ferrea sulla sua tazza.

Jimin piegò la testa. Suo padre sembrava sollevato del responso positivo di Jimin e lui non poteva dargli torto; in passato Jimin avrebbe fatto muovere le montagne per la rabbia.

“ Quanto giovane?” chiese Jimin d'un tratto. Per favore fa che abbia raggiunto almeno i venti anni. Jimin poteva accettare che i suoi gli appioppassero un compagno, non un bambino da educare.

“23” disse suo padre. “Ma conosco suo padre e conosco il ragazzo. E' veramente intelligente.”

“E' un bravo ragazzo”. Aggiunse sua madre.

Quindi il suo compagno sarebbe stato un ragazzo sui 23. Poteva andargli peggio. Jimin si chiese vagamente se era questo ciò che i numeri due provavano quando gli veniva rivelata la propria anima gemella. Ma no. Loro erano numeri zero. Le anime gemelle erano i numeri due.

“ Papà, mamma. Vi ho già detto che va bene. Ho 26 anni e... capisco”. Jimin avrebbe voluto tirare in ballo la proposta di legge ma non voleva ferire i suoi genitori. Il se non di loro scelta per designazione statale, gli risuonava ancora in testa come se avesse ancora il volantino sotto i suoi occhi. E lui i prima dei 25 gli aveva passati da un pezzo. I suoi probabilmente volevano risparmiargli un'eventualità ben peggiore.

Sua madre si rilassò visibilmente e suo padre accennò un sorriso.

“ Bene! Immagino vorrai sapere tutto sul tuo compagno”, disse sua madre ritrovando la sua positività.

Una volta aveva creduto di aver ereditato quel tratto da lei.

“Certo, per iniziare, come si chiama?”

 

 

 

 

Quella notte Jungkook tornò nel supermercato e lanciando una pietra frantumò lo schermo.

La sua soddisfazione fu però breve. Giusto il tempo di un mezzo sorriso prima che l'allarme squarciasse il silenzio della notte.

Jungkook spaventato inforcò la sua bici e fuggì il più in fretta possibile da lì.

Col fiatone ma al sicuro dietro la porta del suo appartamento Jungkook si lasciò scivolare dietro di essa. Scoppiò in risate isteriche ma poi si rese conto che erano lacrime quelle che gli scendevano dagli occhi.

Taehyung lo avrebbe ucciso.

 

 

 

Note: sono molte felice di questa nuova storia. E' la prima volta che mi avventuro con la coppia Jikook. Una Au per giunta! Un bacio, Huilen

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Capitolo 2
*** Uno ***


Uno.

 

Qualcuno stava suonando alla porta insistentemente da almeno un quarto d'ora.

In un primo momento Jungkook aveva pensato semplicemente di ignorare la cosa. Per una volta aveva lezione a un orario umano invece che alle 8 di mattina perciò, chiunque fosse, avrebbe dovuto farsene una ragione. Jungkook non avrebbe risposto.

Tuttavia il trillio non smetteva, faceva una lieve pausa a intervalli di tre per poi tornare potente e Jungkook ne aveva le tasche piene. Non ebbe altra scelta che sgusciare dal suo caldo e confortevole bozzolo di coperte e trascinarsi scalzo verso l'ingresso.

Con occhi ancora chiusi ed aspetto per nulla minaccioso, aprì la porta.

Qualcosa si abbatte sulla sua faccia. Jungkook lanciò un urlo.

“Jeon Jungkook! Cosa diavolo credevi di fare?” la cosa che aveva schiaffeggiato la sua faccia fu rimpiazzata dal volto furioso di Taehyung. Jungkook non era sicuro fosse un miglioramento.

Confuso, si stropicciò gli occhi cercando di scacciare via i rimasugli di sonno.

“Taehyung è troppo presto per le tue scenate” mugugnò ma si fece comunque da parte per farlo entrare. Non voleva di certo svegliare tutto il vicinato.

Taehyung entrò a grandi falcate chiudendosi la porta fragorosamente alle spalle

“Le mie scenate? Le mie, scenate!” continuò il suo migliore amico. Jungkook lo guardò perplesso e se possibile ciò fece arrabbiare di più Taehyung.

“Ma secondo te io parlo ai muri? Cosa ti avevo detto ieri? Non fare nulla di stupido ed ero convinto sai, cosa potevi combinare in meno di 24 ore!” Taehyung lanciò le braccia al cielo per poi prendere dalla sua tasca il suo cellulare e piantarlo sotto gli occhi di Jungkook.

“Atto vandalico al nuovo supermercato...” Jungkook lesse. Ops. Il sangue gli si gelò nelle vene.

“ Io non ...” le sue mani tremarono mentre zoomava sull'articolo. Una parte di sé aveva sperato di aver sognato tutto quanti. O che comunque dormendoci sopra il tempo si sarebbe riavvolto per atto divino o qualcosa del genere.

“ So che sei stato tu Kookie! Ti è andata bene che non avevano ancora installato le telecamere a circuito chiuso! Ma veramente cosa pensavi di fare?” Taehyung lo sgridò ancora una volta.

Jungkook sembrò incapace di generare una risposta sensata.

“Io...non pensavo” concluse penosamente passandosi una mano sulla faccia, preoccupato. Che il grande Jeon Jungkook si abbassasse ad ammettere che aveva toppato di brutto, era un evento che capitava una volta ogni lustro, perchè Jungkook era più cocciuto di un cammello traditore nel deserto.

La cosa sembrò ammorbidire Taehyung quasi subito, il quale, con sua grande sorpresa o forse no, lo abbracciò. Avevano un solo dannato anno di differenza ma Taehyung si comportava spesso come il fratello maggiore. Il che era ridicolo perchè Taehyung era riuscito nell'impresa di far morire un cactus. Eppure si prendeva cura di Jungkook come nessun altro.

“ Sono uno scemo” Jungkook sussurrò sulla sua spalla.

“Mm, mm” Taehyung si limitò a rispondere. A volte Jungkook pensava che Taehyung fosse troppo buono. In generale. Sopratutto con lui.

In quel momento lo stomaco di entrambe brontolò.

“Su dai, mangiamo qualcosa” disse dopo un po' mettendo più distanza fisica tra i due e dandogli una dolorosa pacca sulla spalla; probabilmente era imbarazzato dal loro siparietto sentimentale. Taehyung era il tipo che ti prendeva per mano per poi riempirti di calci, tanto per bilanciare la situazione.

“Non ho fatto colazione per venire qui ed ho fame.” il suo miglior amico esclamò in modo accusatorio. Abituato ai suoi modi di fare da gatto bizzoso, Jungkook annuì e insieme si spostarono in cucina.

Fu allora vedendolo seduto da solo, che una stranezza gli saltò agli occhi.

“Dov'è Hoseok?” chiese mentre toglieva il latte dal frigo. Era così strano vedere l'uno senza l'altro, pensò. Jungkook era piuttosto sicuro quei due a malapena si scollassero se non per andare in bagno. Forse neanche allora (con Taehyung non potevi mai sapere).

“A lavorare ovviamente o sarebbe qui a prenderti a calci pure lui. Ha dovuto sostituire un collega in ospedale”. Taehyung sospirò sognante.

A Jungkook scappò un sorriso. Numeri due.

“Non cercare di cambiare discorso comunque”. Jungkook preso in fallo provò con un'altra tattica.

“Ma ti ho regalato un weekend alla Spa! Per te e per Hobi, ti ricordi?”. Tentò Jungkook sorridendo a trentadue denti. Non ci credeva neanche lui ed era sicuro che il suo sorriso fosse vagamente isterico.

“ Il supermercato me l'ha regalato. Peccato che tu gli hai distrutto la facciata.”

“Non gli ho distrutto la facciata” Jungkook disse mogio mogio, mentre metteva anche i biscotti sul tavolo.

“ No, solo lo schermo che la copriva”.

Jungkook sospirò e si sedette al tavolo, assaltando i biscotti.

“ Tu hai distrutto la mia di faccia con quel, qualunque cosa tu abbia usato per colpirmi.”

“ Non fare la femminuccia era solo uno spartito” Jungkook gli lanciò un'occhiataccia ma preferì continuare a mangiare che commentare.

“E' tanto che non parliamo” prosegui Taehyung sconnessamente “questo evidentemente ha creato dei tarli nella tua testa, scemo.” Aveva parlato come suo solito con la bocca piena.

“Bwa sei disgustoso”

Taehyung spalancò la bocca di proposito.

A 15 anni Jungkook sconsolato per il suo destino aveva guardato il suo migliore amico Taehyung e aveva sperato che gli dicesse “sorpresa sono il tuo numero uno”. Meno male che quella illusione gli era passata subito. Hoseok doveva assistere a questo triste spettacolo ogni giorno e per tutti i giorni a venire.

“... Secondo te” disse dopo un po' Jungkook. Taehyung lo guardò senza smettere di ingozzarsi come un maiale.

“Quante possibilità ci sono che i miei lo vengano a sapere?” chiese Jungkook speranzoso.

 

 

 

Jimin per un attimo pensò di essere in un fermo immagine. Perchè era passato un buon mezzo minuto e Seokjin lo stava ancora guardando dritto in faccia senza sbattere le ciglia.

Namjoon era riuscito a rompere una tazza nel frattempo.

“Jin, ci sei ancora?” Jimin chiese preoccupato. Namjoon tornò a sedersi sul divano e solo allora Jin parve riprendersi. Il suo viso perfetto si fece paonazzo per l'imbarazzo.

“Si scusa, è solo, beh mi hai sorpreso?”

“Giusto un po'” lo punzecchiò Namjoon tornato con una nuova tazza.

Jin gli diede una gomitata, “spero per te che non stessi usando la mia tazza preferita” lo avvertì minaccioso.

“Non potrei mai” Namjoon disse e Jimin era sicuro che avesse comprato un secondo set solo per questi casi. La cosa lo fece ridacchiare.

Jimin era contento che ci fosse anche il numero uno di Seokjin, Namjoon. Dove Seokjin era apprensivo, Namjoon era calmo e logico. Erano la coppia più non convenzionale di numeri due che Jimin avesse mai conosciuto.

Jimin segretamente li trovava spassosi.

“Sono contento per te? Se lo sei tu, Jimin, naturalmente.” Seokjin aggiunse, guardandolo con infinita tenerezza. Jimin si sistemo meglio sul divano un po' a disagio.

“Non è che sprizzo di gioia.” Jimin scosse la testa. Non sapeva bene come dare voce al vortice di pensieri nella sua testa. Da un lato aveva sempre cercato l'amore, a qualunque costo. Dall'altro aveva sempre odiato i matrimoni combinati tra numeri zero. Li aveva visti con sdegno e aveva considerato quegli zero, deboli.

Si rendeva conto ora quanto in passato fosse stato arrogante. Non poteva sapere allora cosa voleva dire giacere ad occhi aperti per tutte le ore della notte e non avere più sogni.

“ Sulla carta lui sembra un tipo a posto.” Jimin si fermò per proseguire con tono più sicuro, “non mi faccio illusioni. Lo so che un matrimonio zero su due finisce male. Ma vorrei... chiunque lui sia, se lo vuole, vorrei provare a esserci per lui”. La cosa suonava delirante anche alle sue stesse orecchie. Il concetto stesso che zeri provassero a farsi compagnia, che ne fossero in grado, era alieno.

“Jimin” Seokjin non sembrò in grado di aggiungere altro.

“Ok.” intervenne Namjoon cercando di prendere in mano la situazione. Jimin gliene fu grato perchè non era sicuro per quanto sarebbe stato in grado di mantenere un certo contegno e non scoppiare in lacrime per esempio. “Jimin, Jin e io ti appoggeremo in qualunque tua decisione. Ti vogliamo bene, lo sai, e vorremmo bene anche al tuo nuovo compagno”. Seokjin annuì con fervore alle parole della sua anima gemella e Jimin si sentì sopraffatto dalla gratitudine.

Uno zero che si trova un compagno non era ben visto tra i numeri due. Molti dicevano, con immensa ignoranza, cose come “meglio morire che stare con una finta anima gemella. La cosa triste non era solo ciò che i numero due dicevano, no. Sin da quando erano nati i numeri due andavano avanti nelle tappe della vita con la sicurezza di non essere soli a questo mondo, con la certezza che ci fosse qualcuno fatto apposta per loro, senza che carattere o aspetto avessero una reale importanza. Jimin li aveva odiati per questo, ma se lo aspettava. La cosa triste invece era che gli stessi zero pronunciavano spesso queste parole. Il condizionamento sociale e mentale era tale che ogni zero aveva preso in considerazione l'eventualità di morire. Anche Jimin.

La maggior parte dei numeri due preferiva non sapere cosa facessero i numeri zero e si lasciavano ingannare ben volentieri dai tentativi dei numeri zero di sembrare normali. Purchè nessuno lo sapesse mai, la farsa era ben accetta.

Seokjin e Namjoon la pensavano diversamente.

Seokjin veniva da una famiglia di numeri due di tre generazioni e la logica avrebbe voluto che lui fosse uno di quei numeri due privi di qualsiasi tatto. Seokjin possedeva invece una sensibilità diversa dalla sua famiglia e i due incontri più importanti della sua vita avevano cementato le sue convinzioni: l'incontro col suo numero uno Kim Namjoon; e l'incontro con il suo numero zero Jimin.

Sia Seokjin che Namjoon erano volontari presso le associazioni che promuovevano i diritti dei numeri zero. La famiglia di Seokjin l'aveva disconosciuto.

“Vado a fare una tazza di tè ok?” Seokjin disse all'improvviso, alzandosi. Seokjin era una di quelle creature che pensavano che il tè riuscisse a risollevare qualsiasi atmosfera. Fu la volta di Jimin di annuire.

“ Quindi, a quando l'incontro?” Namjoon chiese casualmente, una volta che Jin se ne fu andato.

“Non lo so, i miei genitori hanno detto la prossima settimana.”

“ Sei nervoso?”

“Un po'” disse Jimin. “Anzi no, sono terrorizzato”, ammise infine.

“E' normale lo ero anche io quando dovevo incontrare Jinnie”

“Ma Seokjin è la tua anima gemella” esclamò Jimin sorpreso.

Namjoon sorrise.

“Mi hai visto? Ero e sono un mezzo disastro, pensavo che persino la mia anima gemella sarebbe scappata a gambe levate”.

Jimin rise suo malgrado ma tornò ben presto serio.

“ Io ...sto facendo la cosa giusta?”

“ Jimin, non c'è niente di male. Credimi non c'è niente di male in tutto questo”.

“ Grazie” Jimin chiuse gli occhi lasciando che quelle parole curassero un po' le sue ferite.

Quando Jin tornò con il tè, un po' del nervosismo che Jimin si portava da giorni, dal giorno dell'annuncio, se ne era andato. Aveva ancora una paura matta.

Ma almeno aveva l'appoggio dei suoi amici.

 

 

 

Taehyung era rimasto poco quel giorno perchè aveva lezioni al conservatorio in tarda mattinata e un sacco di cose da fare. Jungkook si era vergognosamente rimesso a letto e si era svegliato solo a mezzogiorno per mangiare qualcosa e andare a lezione. Si sentiva un po' nervoso ma, si era detto, se nessuno era ancora venuto a prelevarlo significava che non sapevano fosse lui il responsabile dell'atto vandalico.

Jungkook quel pomeriggio prese appunti furiosamente. Era stato un cretino. Un incosciente. Taehyung aveva ragione. Taehyung, quello che si era infilato un verme di gomma su per il naso per una scommessa.

Per il resto del pomeriggio tuttavia non accadde nulla di rilevante e quando le lezioni finirono Jungkook ne dedusse che non sarebbe accaduto nulla e quindi aveva deciso di smettere di torturarsi. La polizia era tremendamente veloce quando si trattava di numeri zero e se non lo avevano trovato fino ad allora, non lo avrebbero fatto in futuro. Il suo cellulare squillò. Jungkook quasi inciampò sul marciapiede. Quel pomeriggio nella sua paranoia non aveva neanche preso la bicicletta.

“Papà” disse Jungkook rispondendo al telefono.

“Jungkook, dove sei? Io e tua madre siamo sotto il tuo appartamento”

Oh.

“ Oh, va bene. Sto tornando. 10 minuti e sono li.” E riagganciò.

Jungkook aveva 23 anni ma ogni volta che parlava con i suoi genitori se ne sentiva 17. Un po' era anche colpa sua, aveva dato un sacco di grattacapi ai suoi genitori ma era anche vero che i suoi genitori non lo prendevano ancora sul serio. Gli avevano permesso di andare a vivere fuori casa e questo era stato tutto.

“ Jungkook tesoro” lo salutò affettuosamente sua madre. Jungkook si lasciò sollevare la guancia e guardare per bene. Abbassò lo sguardo.

“Figliolo”, gli disse suo padre, formale ma non senza gentilezza. “ Ci fai salire?” Jungkook annuì.

Jungkook i tuoi ti vogliono bene, quindici anni prima Taehyung gli aveva detto queste parole e lui vi si era aggrappato con tutte le sue forze.

Jungkook sospirò. I suoi non erano male, gli volevano bene e lui a loro. E tuttavia aveva cercato di mettere quanto più distanza possibile tra loro.

Lui sapeva, allora come adesso, che una parte dei sui genitori, non importava quanto ben nascosta o quanto infinitesimale, l'avrebbe sempre visto come il loro più grande fallimento.

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Oh. Anche questo si è scritto da solo. Non preoccupatevi ci stiamo arrivando ;)

 

 

 

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Capitolo 3
*** 00 ***


00.

 

 

Jimin si sistemò i capelli allo specchio per l'ennesima volta.

Come ci si prepara a incontrare per la prima volta il tuo compagno zero scelto appositamente per te dai tuoi stimati genitori? Leggere le avvertenze dietro il foglio illustrativo: lui non è la tua anima gemella.

Quindi ci sono un milione di fattori che potrebbero far finire il tutto prima ancora che inizi, perché per quel che ne sapeva Jimin non esistevano vademecum o guide personalizzate sull'argomento.

Si, Jimin li aveva cercati su internet, senza successo naturalmente.

Avrebbe perlomeno voluto sapere come avrebbe dovuto vestirsi, cosa doveva dire. I suoi genitori gli avevano dato il nome di un luogo e un orario. Gli avevano offerto anche un numero di telefono ma Jimin era stato troppo vigliacco per accettarlo.

O forse semplicemente voleva fare alla vecchia maniera, come avrebbe detto la sua defunta nonna riposi la sua anima in pace. Sua nonna neanche sapeva cosa voleva dire ma raccontava storie di tempi in cui quelle parole avevano senso. Jimin avrebbe voluto lo avessero adesso.

In ogni caso aveva pensato che sarebbe stato meglio incontrarsi senza conoscersi prima, anche se per telefono. Non aveva voluto vedere neanche una sua foto, voleva che, nel possibile, alcune cose rimanessero delle sorprese da scoprire. Jin lo avrebbe chiamato romantico. Jimin lo riteneva salvare il salvabile. Voleva conoscere questa persona senza preconcetti.

Sarebbero state due persone sedute casualmente ad una tavola calda, che cercavano di conoscersi.

Sarebbero stati lui e Jungkook.

 

 

 

“No” Jungkook non aveva dovuto pensarci due volte e si chiedeva come i suoi non ci avessero pensato invece, due volte. Era naturale, ovvio, che lui non avrebbe accettato. Mai.

“Jungkook tesoro” iniziò sua madre. Jungkook avrebbe voluto alzarsi dal divano, andare in camera sua, sbattere la porta rumorosamente e sperare che i suoi se ne andassero. Non lo fece. Il suo orgoglio, lo sguardo di suo padre e soprattutto la voglia di essere preso sul serio per una volta, gli impedirono di farlo.

“Mamma, è ridicolo. Non so neanche perché avete pensato che avrei detto di si. Non ho bisogno di un maledetto matrimonio combinato. Non lo voglio.” Non l'ho mai voluto si disse.

Gli sembrava di vivere un incubo. Avrebbe dovuto capire subito che quella era un'imboscata mascherata da visita. Ma neanche nei suoi sogni più perversi si era immaginato che i suoi genitori lo avrebbero venduto al miglior offerente e relegato al peggiore dei destini da zero che Jungkook avrebbe potuto immaginare.

Suo padre lo guardò a lungo. Poi spostò lo sguardo sul muro, si sedette sul divano e sospirò. Vedere suo padre così era una novità, lui che era sempre stato pronto a metterlo in castigo piuttosto che cercare di ragionare col figlio.

“Jungkook credo invece che tu ne abbia bisogno” disse, grave, senza via di scampo. Jungkook si contorse sul divano, perchè sapeva dove tutto ciò voleva andare a parare, lo sapeva sin da quando aveva colpito quello stupido schermo con un sasso. Il 10 maggio vota si. I suoi si erano mossi per tempo spinti da necessità.

“Non mi interessa un accidente! Io sto bene con me stesso! Studio, lavoro, faccio il mio! Da quando sono diventato maggiorenne mi sono sempre comportato bene!”

“Lo sappiamo” intervenne sua madre. “Noi vogliamo solo il meglio per te Jungkook”.

Jungkook dovette distogliere lo sguardo incapace di reggere quello della donna che lo aveva messo al mondo.

Era un giorno qualunque, Taehyung era venuto a prenderlo per andare a giocare in cortile, sua madre che lo guardava allo stesso modo. Nel suo sguardo, una profonda mestizia.

“Tesoro perchè non provi ad incontrarlo? E se proprio non andate d'accordo non ne parleremo più, te lo prometto. Non puoi farci questo favore, per me?”

Jungkook avrebbe voluto urlare. Perchè se sua madre proponeva un tale accordo probabilmente era sicura che la persona che gli stavano affibbiando era pure decente. E perché a sua madre lui non era mai riuscito a dire di no.

Jungkook non disse niente ma i suoi interpretarono il suo silenzio positivamente. Non potevano sapere che Jungkook aveva un piano o forse immaginavano di avere la meglio alla fine, ma Jungkook non avrebbe permesso a nessuno di privarlo del futuro che si era scelto.

“Fissate l'incontro. Mi farò trovare lì. E ora se non vi dispiace sono stanco. Voglio stare da solo.”

E solo allora Jungkook si alzò. Non aveva mai parlato così ai suoi genitori e non si sentì grande come sempre aveva immaginato, invece un senso di vuoto si impadronì di lui. I suoi genitori per una volta lo presero sul serio ed ascoltarono le sue parole. Sapevano a tutti gli effetti di non avere il diritto di chiedergli altro. Avevano già chiesto troppo.

“Non vuoi sapere nulla?” sua madre gli chiese speranzosa.

“Farebbe differenza?” Jungkook le disse puntandole gli occhi addosso.

E si chiuse la porta della camera alle spalle, senza fare chiasso.

Sentì il rumore di qualcuno che si alzava e il pianto sommesso di sua madre nell'andarsene. Jungkook tirò un pugno alla porta ferendosi le nocche.

Essere zero non significava essere nulla. Significava perdere sempre.

 

 

Hoseok stava preparando la cena, per se e Taehyung. Siccome il giorno prima aveva praticamente avuto un doppio turno, in ospedale gli avevano dato un giorno libero. Avrebbe voluto passarlo con Taehyung a letto, sul divano, a godersi il passare lento delle ore, deliziosamente insieme. Taehyung però aveva lezione di pianoforte quel pomeriggio e Hoseok, suo malgrado, lo aveva lasciato uscire di casa. Il fatto che Taehyung fosse stato piuttosto riluttante, lo aveva rincuorato.

Hoseok si alzava la mattina e ringraziava ogni giorno la vita per avergli concesso Taehyung come anima gemella. Non c'era stato giorno noioso o triste con Taehyung e le giornate non sembravano essere lunghe abbastanza per godere l'uno della presenza dell'altro. Era per questo motivo che a Hoseok provocava un dolore fisico il solo pensare di vivere una vita senza conoscere una tale gioia. Era per questo motivo che voleva molto bene a Jungkook. Si, era stato geloso del legame che la sua anima gemella aveva con il numero zero, soprattutto quando lui era stato negli Stati Uniti al quarto anno di medicina mentre Taehyung era rimasto a casa, da solo.

Paradossalmente, era stato allora che aveva capito. Un anno. Avevano vissuto un anno separati ed a Hoseok era sembrato un lungo sonno senza fine. Sin da allora si era chiesto se quello che aveva provato fosse ciò che i numeri zero sperimentavano per tutta la loro vita.

Il campanello suonò e Hoseok pensando fosse Taehyung corse alla porta cantando allegramente “arrivo” come era suo solito fare. Dietro di essa vi trovò invece Jungkook, che si reggeva allo stipite e lo guardava con quel suo sguardo glaciale che non si scaldava mai.

“Hyung, a quanto pare sono fidanzato ora” disse Jungkook, come se avesse appena commentato le previsioni del tempo.

Hoseok non poteva capire, non davvero, lui dopotutto era un numero 2. Ma aveva visto abbastanza da potere, ad un certo livello, simpatizzare con Jungkook più del suo numero uno. Hoseok non veniva da una famiglia facile, non vantava un'infanzia serena. Il ragazzo gli aveva parlato dei suoi progetti e della sua famiglia, Taehyung stesso aveva riempito i buchi che completavano il puzzle. Sin dal primo giorno in cui si erano conosciuti Jungkook aveva dichiarato chiaro e tondo quali erano i suoi piani nella vita e Hoseok lo ammirava per la sua risoluzione. Il matrimonio non rientrava tra questi.

Abbandonò subito la sua cena. Quel giorno avrebbero mangiato pizza.

 

 

 

Era quasi ora. Jimin fino all'ultimo momento aveva quasi pensato di abbandonare, lasciar perdere, cambiare stato e fare finta di non aver mai accettato questa proposta.

Ma si era guardato intorno nel suo appartamento piccolo ma così grande e vuoto al tempo stesso, una sintesi perfetta della sua vita. Il suo sguardo si posò sul suo gatto Tao, che acciambellato su una sedia dormiva sereno.

Lo invidiava da morire. Lui si che aveva un'ottima vita.

Non c'è niente di male in tutto questo. Namjoon gli aveva detto. Così Jimin fece un bel respiro, si infilo il portafoglio in tasca e uscì.

Quel giorno non c'era traffico in città e lui aveva trovato dove parcheggiare al primo colpo. Il risultato era che Jimin era in anticipo di un quarto d'ora e quei quindici minuti d'attesa lo avrebbero ucciso sempre se il suo compagno era un tipo puntuale. Jimin, preso da un vago senso di isteria, decise che lo avrebbe rifiutato se non lo era.

Scese dalla macchina con le gambe pesanti come due macigni e si sedette ad un tavolo qualunque. Poi resosi conto che il non aver nulla da fare lo rendeva ancora più nervoso, ordinò un caffè. Quelli erano i momenti che temeva di più, gli attimi tra un'azione e l'altra della sua giornata che lasciavano spazio alla sua mente di pensare. Di vorticare e incagliarsi negli angoli bui dei suoi labirinti mentali.

Ripenso un po' a tutto, ai suoi genitori, al suo miglior amico Seokjin, alle sue passate storie e alle persone perse, al suo lavoro che lo attendeva il giorno dopo. Per questo incontro Jimin si era preso il giorno libero. Riusciva a malapena a ricordarsi come parlare figuriamoci se sarebbe riuscito ad essere produttivo.

Si sentì un moccioso di nuovo. Il che era buffo perchè l'ultima volta che si era sentito tale era alle scuole superiori mentre aspettava che Min Yoongi finisse di allenarsi a pallacanestro. Dio, se stava pensando a Min Yoongi era proprio messo male. Quando il cameriere gli portò il suo caffè, se lo portò subito alle labbra senza pensarci. Ovviamente si bruciò la lingua.

Si chiedeva chi era Jungkook, cosa avesse fatto fin'ora, se fosse entusiasta dell'incontro o se invece fosse preoccupato.

Qualcuno si schiarì la gola alla sua sinistra.

 

 

 

Jungkook aveva dormito sul divano di Taehyung e Hoseok quella notte. Jungkook era sicuro di avere rovinato i loro piani romantici. Non gli importava.

Benchè avesse intimato ai suoi di lasciarlo solo Jungkook sentiva di volere compagnia. Ma non in casa sua dove ancora gli sembrava di vedere sua madre sul divano e dove gli echi del silenzio rimbalzavano rumorosi tra una parete e l'altra.

Avevano mangiato pizza, avevano guardato gli Avengers e poi davanti a un caffè Jungkook aveva raccontato tutto.

Taehyung gli aveva tenuto la mano tutto il tempo, quasi temendo Jungkook di vederlo volare via dalla finestra. Se Hoseok era stato contrariato dal gesto, non lo aveva dato a vedere.

Ancora una volta, Jungkook scelse di non sentirsi in colpa. Hoseok era il numero uno di Taehyung e tutto ciò che era la sua anima gemella, dalla frangia dei suoi capelli fino all'alluce dei piedi, era suo. Lo stesso era per Taehyung, se non di più.

Ma il tenersi per mano quello sarebbe sempre stato anche un po' di Jungkook.

In ogni caso né Taehyung, né Hoseok avevano trovato parole adatte al caso.

Jungkook pensava non volessero ferire i suoi sentimenti, per giunta sentiva che il suo miglior amico sembrava essere entusiasta alla prospettiva di tale incontro. Conosceva ogni espressione di quello scemo, riusciva a leggere il compiacimento agli angoli della sua bocca.

Si sentì un po' tradito, un sentimento che con Taehyung non risultava affatto nuovo. Il suo miglior amico aveva questa mania di pensare di sapere cosa era il meglio per Jungkook, più di Jungkook stesso.

Noi vogliamo solo il meglio per te”

rigirandosi nella coperta per la centesima volta Jungkook si chiese se questo era ciò che pensava il suo miglior amico. Ciò che aveva sempre pensato.

Che fosse meglio per Jungkook avere un compagno per quanto finto.

 

 

 

Il mattino successivo Jungkook aveva ringraziato i due e aveva levato le tende. Una volta a casa aveva fatto una doccia ed era andato a lezione come se nulla fosse. I suoi genitori lo avevano chiamato per chiedergli come stava (domanda futile)e per ricordargli il luogo e l'ora dell'appuntamento. Nel momento in cui sua madre aveva provato a dire di più riguardo all'altro numero zero, Jungkook aveva allontanato l'orecchio dallo speaker.

Aveva trascorso i giorni prima dell'incontro in modo abbastanza noioso. Non aveva voluto vedere Taehyung nonostante i ripetuti inviti di quest'ultimo, ed era invece andato in palestra più volte e aveva fatto lunghe ed estenuanti corse in bicicletta.

Ma il giorno fissato giunse lo stesso. Nonostante Jungkook si fosse ripromesso di sabotare il tutto, si era comunque impegnato ad essere presentabile. Per un attimo aveva persino accarezzato l'idea di andare all'appuntamento vestito da Iron man e vedere quale reazione avrebbe avuto l'altro numero zero.

Invece si era trovato sul luogo dell'appuntamento mezz'ora prima dell'orario. Si era vergognato di se stesso ma i suoi piedi lo avevano indirizzato verso il posto, attirato come un magnete che punta a nord. Inutile dire che si era rifugiato nel negozio di fumetti di fronte, tutto piuttosto che fare la figura del patetico. Per un po' c'era stato un via vai di gente dalla caffetteria, ma nessuna ombra di numeri zero. I sorrisi erano troppo smaglianti anche quando alcune persone non erano in coppia. Urlavano numero due in ogni fibra del loro essere.

Era arrivato al quinto fumetto che apriva senza comprare, facendo esasperare la commessa che guardava come un falco che non sgualcisse le pagine che voltava, quando Jungkook lo vide.

Lo riconobbe dall'espressione ansiosa che aveva lanciato all'insegna quasi a controllare fosse il posto giusto, e dal passo incerto. Solo un numero zero si sarebbe comportato così.

Jungkook deglutì.

Dovette farsi forza per non ridurre in brandelli il fumetto che aveva in mano.

Senza rendersi conto dei comandi cervello- gambe si era ritrovato a percorrere la strada che li separava in pochi attimi. Poi si era fermato poco prima dell'ingresso.

Aveva i capelli neri e grandi occhi dello stesso colore. Era basso ed era vestito in jeans e maglietta, esattamente come lui.

Lui era...

Jungkook capì che non poteva rimanere li impalato come un bamboccio in eterno. Sicuramente aveva attirato l'attenzione di tutti i numeri due nel raggio di 30 metri. O forse no. Quelli li erano presi solo da loro stessi.

Respirò a fondo e spinse la porta d'ingresso.

Si avvicinò al tavolo tutto rigido, le mani in tasca per avere qualcosa a cui aggrapparsi.

L'altro sembrava essersi appena bruciato la lingua ed era la pausa perfetta per annunciare la sua presenza. Jungkook pensò ora o mai più.

Si schiarì la gola.

Il numero zero si voltò colto di sorpresa.

“Tu sei Park Jimin”

Jungkook disse, tutto d'un fiato. Poi spostò la sedia di fronte a lui e si sedette.

 

 

 

 

 

NdA: pensavate avrei lasciato fuori Min Yoongi? ;) Così Jimin e Jungkook si sono incontrati per la prima volta: 00

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Capitolo 4
*** 01 ***


 

01

 

 

“Taehyung sbrigati stanno per iniziare!”

Taehyung sollevò lo sguardo dal distributore, guardandolo con quell'aria scema che gli si dipingeva in faccia ogni volta che aveva del cibo tra le mani. Jungkook sospirò, esasperato.

“Eccomi, ci sono” disse come se non avesse trascorso gli ultimi 10 minuti a litigare con il distributore di schifezze. Jungkook impaziente lo afferrò per un polso e lo trascinò per il corridoio, poi sugli spalti.

Tecnicamente Taehyung e Jungkook non dovevano essere li. Era l'ultima settimana di scuola e i professori li stavano istruendo sugli argomenti in vista degli esami d'ingresso per le superiori.

Ne Jungkook, ne Taehyung avevano trovato la cosa interessante.

Jungkook era l'allievo più brillante della classe e Taehyung era secondo dopo di lui. Loro due erano conosciuti come una coppia di vincenti, amici inseparabili, combina guai in capo.

Il compleanno di Jungkook cadeva in gennaio e i suoi genitori incoraggiati dagli insegnanti lo avevano iscritto a scuola un anno prima. Era così che Taehyung e Jungkook si erano conosciuti ed erano rimasti insieme sin dalla prima elementare. Ad ogni modo era un periodo stressante per gli allievi dell'ultimo anno e Taehyung aveva deciso che si meritavano una distrazione prima degli odiosi esami di ammissione. Traduzione, avevano saltato la scuola per andare alla festa culturale dello sport della scuola superiore a cui entrambe avevano intenzione di fare richiesta di ammissione.

“Un'ispezione è doverosa” aveva detto Taehyung, e Jungkook non se l'era fatto ripetere due volte. Alla malora le regole. Così quella mattina avevano preso i loro zaini ed erano saliti su un altro autobus pieno di studenti di altre scuole superiori, che avevano la loro stessa meta. Loro però avevano una scusa legittima, in quanto andavano a gareggiare contro quella scuola. Per i due ragazzi era invece un'occasione perfetta per infiltrarsi e passare inosservati.

Era stato molto divertente sino ad allora e i due erano contenti di aver avuto quell'idea brillante. Se i ragazzi delle superiori si erano accorti di due bambini sbucati fuori dal nulla, nessuno di loro aveva detto o fatto nulla al riguardo. Del resto c'erano cose ben più interessanti che andare a fare la spia su due mocciosi.

Taehyung e Jungkook avevano visto un sacco di laboratori, guardato una partita di calcio e assistito a semifinale e finale del torneo di pallacanestro. Jungkook a cui piaceva fare attività fisica, aveva visto che la scuola aveva ottimi elementi che giocavano a basket e li aveva osservati correre su e giù, instancabili, sul parquet lucido. Quando la classe 2 sezione D aveva vinto la finale battendo una squadra all'ultimo anno, la palestra era esplosa in urla di gioia. A quanto pareva si trattava della squadra di casa. A giudicare dalla facilità con cui avevano vinto sicuramente alcuni giocatori erano nel club di basket.

Gli altoparlanti avevano annunciato una pausa di 15 minuti prima che le gare dei diversi club di ballo delle scuole avessero inizio. Jungkook si sentì elettrizzato perchè a lui era sempre piaciuto ballare. Taehyung aveva però deciso di aver bisogno di una pausa e lo aveva trascinato prima in bagno e poi in cerca di cibo. Per questo ora Jungkook aveva paura di essersi perso delle porzioni importanti delle performance, tutto per l'amore di Taehyung per il cibo non salutare. Quando arrivarono sugli spalti il tifo era infatti già entusiasta. Per fortuna però erano appena iniziati i preliminari. C'erano ballerini bravi e altri un po' meno, Jungkook era sicuro di poter batter questi ultimi in termini di tecnica. Tutti però sembravano divertirsi un sacco. Era in momenti come quelli che Jungkook poteva dimenticarsi per un attimo di se stesso e del suo destino. Su una pista da ballo non esistevano numeri ma solo passi e l'abilità del ballerino.

“Park Jimin, Park Jimin!” i ragazzi iniziarono a urlare e Jungkook capì che doveva trattarsi di uno dei ballerini più popolari. Jungkook puntò il suo sguardo sul nuovo arrivato. Dall'aspetto non sembrava essere nulla di eccezionale e Jungkook non riusciva a spiegarsi il calore con cui veniva accolto.

Poi, aveva iniziato a ballare.

Jungkook saltò in piedi.

Quello si che era ballare.

 

 

 

 

“Tu sei Park Jimin” aveva detto e nel sollevare lo sguardo Jimin aveva incontrato gli occhi neri di un ragazzo sui vent'anni, il quale senza aggiungere altro, aveva occupato la sedia di fronte a lui. A meravigliarlo non era stato soltanto il tono usato: aveva detto Park Jimin con il tono di chi rivede qualcuno dopo tanto tempo; a prenderlo in contro piede era stata anche l'avvenenza in generale del ragazzo che gli aveva rivolto la parola. Ma chi altro si sarebbe seduto al tavolo di Jimin se non il suo numero zero designato?

“ Si sono Park Jimin” ripose Jimin un po' nervoso. “E tu sei?”. Il ragazzo appoggiò il mento alle sue mani intrecciate. E poi puntandogli i suoi enormi occhi addosso, e Jimin si era ritrovato a tremare internamente, disse, “ Jeon Jungkook”. Si era proprio il suo numero zero.

“ Oh beh, piacere?” Jimin disse ma nessuno dei due fece per allungare la mano e salutarsi. Arrivati a quel punto sembrava superfluo, ma almeno avrebbe dato il tempo a Jimin di pensare a cosa dire dopo.

“ Vedo che hai già ordinato. Ti dispiace se..?” proseguì Jungkook con fare disinvolto.

“ Si certo fai pure” e Jungkook annuendo fermò il primo cameriere e ordinò una bibita fresca. Jimin ne approfittò per osservarlo meglio e lo trovò così giovane nel sorriso di cortesia che aveva rivolto alla cameriera. Jimin si chiese se i suoi non gli avessero mentito e Jungkook in realtà non fosse più giovane.

O forse semplicemente Jungkook era una di quelle persone che avrebbero avuto quell'aria giovanile anche superati i trenta da un pezzo, quel tipo di persone che sembravano portarsi un pezzetto di sole dentro.

Jimin sbatté le palpebre.

“Quanti anni hai Jungkook?” chiese suo malgrado.

“ 23, hyung” rispose questi. Jimin non riusciva ad abituarsi all'aria casuale che sembrava irradiare dal ragazzo.

“Ti hanno detto che ho 26 anni?” chiese cercando di suonare leggero anche lui. Se Jungkook che era più giovane di lui cercava di non rendere pesante l'incontro, allora anche Jimin doveva fare altrettanto.

“No”. Disse con semplicità Jungkook. “ A dire la verità non sapevo neanche il tuo nome”, concluse lui con franchezza.

“Allora come facevi a sapere chi ero?” chiese Jimin perplesso.

Jungkook si lasciò sfuggire un sorriso. “Perchè ti conoscevo già hyung” rispose.

Proprio in quel momento arrivò la cameriera con l'ordine di Jungkook lasciando qualche secondo a Jimin per rimuginare sulla notizia.

La faccia di Jimin doveva essere comica perchè Jungkook ridacchiò sotto i baffi.

“Non ridere. Solo che non so dove ci siamo incontrati? Penso che mi ricorderei di te.” Penso che mi ricorderei di un viso come quello, aveva voluto dire Jimin, ma sarebbe stato un po' troppo, pensò, come frase da dire ad un primo appuntamento conoscitivo tra due zero. Matrimonio combinato o meno.

“Dubito ti ricorderesti di me anche se avessi saputo chi ero”. Jungkook disse, sorseggiando la sua bibita. “Eravamo nella stessa scuola hyung. Be, tu eri all'ultimo anno ed io ero solo una matricola. Quindi sei scusato se non ti ricordi di me. Neanche io mi sarei ricordato di me, allora”. Jungkook aveva concluso, scherzosamente.

“Però hai 23 anni. Primina?” chiese Jimin curioso, cercando di digerire le informazioni. In tutta onestà se il Jungkook di adesso era simile al Jungkook quindicenne, Jimin faceva fatica a credere di essersi dimenticato di lui.

Jungkook si limitò ad annuire e bevve un altro sorso. Jimin pensò a quanto fosse curioso il destino. Era esistito un periodo spazio temporale in cui lui e l'altro zero aveva condiviso un pezzo di vita insieme. Jimin si chiese cosa sarebbe successo se lui effettivamente avesse conosciuto la matricola Jeon Jungkook. Poi si ricordò cosa faceva lui al terzo anno di liceo e sopratutto con chi era, e quella speculazione morì come era nata. Già. Min Yoongi.

“Così abbiamo frequentato la stessa scuola, pensa te!” disse Jimin cercando di non far morire la conversazione.

“Anche la stesso club di danza se è per quello” Jungkook rispose. Jimin si illuminò.

“Oh perciò balli?”

“Ballavo. Poi ho smesso.” Jungkook disse questa volta la sua sicurezza sembrò vacillare un attimo e Jimin si pentì di avergli posto la domanda. Jungkook aveva smesso probabilmente per lo stesso motivo per cui Jimin stesso aveva smesso.

Un'altra delle innumerevoli ingiustizie del loro mondo, era che l'arte, qualsiasi tipo di forma espressiva che si poteva chiamare arte, era ad appannaggio solo dei numeri due. Ballo compreso.

Le persone famose, gli idoli in televisione dovevano rappresentare la società ed essere una fonte di ispirazione per la gioventù.

Nessuno avrebbe voluto come esempio un numero zero.

Ai numeri zero non veniva proibito di fatto di apprendere ed eccellere nei campi artistici ma essi sapevano che quegli sforzi non avrebbero portato a nulla. A pari livello, tra un ottimo cantante zero e un numero due, l'audizione l'avrebbe passata il numero due. E spesso anche a impari livello. Uno zero determinato avrebbe potuto fingere il suo status e se avesse accettato un matrimonio combinato, recitare la parte del perfetto numero due, pur di continuare a fare l'artista. La pressione mediatica era tale che molti zero erano scoppiati mentre altri si erano visti rovinare la carriera una volta che i media avevano scoperto la verità. Perciò gli zero avevano smesso di tentare.

Jungkook guardò fuori dalla finestra. Incerto su come continuare. Jimin ricordò a se stesso che quello più adulto tra i due era lui e che quindi era compito suo fare da guida.

“mmm, cosa fai adesso Jungkook? Studi, lavori?” Jungkook riportò i suoi occhi su Jimin.

“ Entrambe le cose. “ e Jimin lasciò che gli raccontasse un po' dei suoi studi e del lavoro part time che faceva come commesso in un negozio di scarpe.

“Sei in gamba Jungkook. Io non credo riuscirei a lavorare e studiare allo stesso tempo. Non sono molto bravo nel multi tasking” Jimin disse, sinceramente ammirato.

“ Sono solo motivato. Sai com'è, vorrei riuscire a essere indipendente quanto prima” Jungkook rispose scuotendo la testa per poi sorseggiare l'ultimo sorso della sua bibita, rumoreggiando quando la cannuccia risucchiò il fondo vuoto.

Jimin lo guardò ancora una volta, quasi incapace di non fissare il suo sguardo su tutta la sua persona. Jungkook sembrava essere un ragazzo tremendamente brillante e determinato. Aveva 23 anni, si stava per laureare, lavorava, sapeva come cavarsela nella vita. In mondo di anime gemelle ciò non sarebbe importato ma Jimin era solo un numero zero e quindi gli occhi per valutare ce li aveva ancora.

Jungkook era anche un bel ragazzo.

Perciò Jimin si chiedeva cosa ci facesse un numero zero come lui, così perfetto sotto ogni suo aspetto, seduto al tavolo di fronte a Jimin. Non si stava denigrando, lui era una persona parecchio capace per conto suo e se poteva non essere modesto, non era poi così insignificante dal punto di vista fisico.

Ma Jungkook. Jeon Jungkook sembrava un fiore sbocciato nel cemento.

Persone come Jungkook erano rare anche tra i numeri due. Ci dicono che siamo meno, che siamo lo scarto della società, eppure Jimin non poteva considerare Jeon Jungkook, il compagno scelto dai suoi genitori per lui, come qualcuno da considerare come meno.

“Vedrai che sarà così” Jimin disse incoraggiandolo.

Qualcosa sembrò accendersi negli occhi di Jungkook.

“ Hyung.” e il suo tono sembrò carico di elettricità tutto d'un tratto e Jimin percepì un cambio d'umore. Ecco. Arriva.

“Perchè sei qui?” sbottò Jungkook, serio.

Jimin sospirò. Era arrivato il momento di lasciare da parte i convenevoli e mettere le carte in tavola.

“Per lo stesso motivo per cui tu sei qui, immagino. Io...questa non è una fiaba, non esistono cose come amore a prima vista” non per noi numeri zero “ e non ero sicuro al cento per cento di tutta questa faccenda, ma ora che ti ho conosciuto, non mi dispiacerebbe passare più tempo con te. Conoscerci meglio e... diventare amici?” Jimin chiese. Jimin non voleva saltare così su due piedi sulla loro nave e sposarsi nel giro di due settimane. Però ora che aveva davanti Jungkook la prospettiva di passare del tempo con lui non sembrava così orribile. Ma poi Jungkook lo guardò. E Jimin si disse che si era sbagliato, Jungkook non era un fiore cresciuto sull'asfalto ma una fiamma pura che bruciava tutto dietro di se.

“ Ti sbagli. Io non sono venuto per questo motivo, Jimin hyung. Io non volevo neanche venirci qui. Non lo so. Forse ho in me una vena masochistica di cui non ero a conoscenza o forse più semplicemente non so dire di no a mia madre.” il tono di Jungkook si era fatto duro come il ghiaccio.

“Io ho sognato una vita per me, hyung. Una vita in cui ci sono io e io e basta e va bene così. Ed ero venuto qui solo per dirti questo. Ma poi sono entrato qui ed eri tu. Park Jimin. Ho ballato sulle routine inventate da te. Ho vinto un torneo migliorando una tua routine. Ma non cambia niente. Non importa se sei Park Jimin o qualsiasi altro zero. Io non voglio un compagno”

Jungkook aveva sputato quelle parole come sale sulle ferite, ma Jimin non era ferito da niente di ciò che Jungkook aveva detto.

La sedia stridette sul parquet ma Jimin non voleva che Jungkook se ne andasse via così.

“ Jungkook aspetta. Io... va bene. Non dobbiamo necessariamente legare i nostri destini. Ma sono un numero zero anche io e tutto quello che hai detto, credimi, l'ho pensato anche io in tutte le notti senza fine di questa nostra triste esistenza. Non pensi che sarebbe bello poter condividere almeno un po' di questo fardello? Non pensi che potremmo semplicemente provare ad essere amici?”

Jungkook sembrò vacillare per un momento.

“ Jimin hyung. Se avessi saputo che il numero zero che dovevo incontrare eri tu, non sarei neanche venuto.” Jungkook disse e senza aggiungere altro come era giunto se ne andò.

Jimin rimase a lungo seduto a quel tavolo a rimuginare sui numeri zero e sugli scherzi del destino.

 

 

 

Jungkook era rimasto ammagliato rapito. Senza parole. Lui aveva sempre pensato di essere bravo. Era bravo un po' in tutto a dir la verità, ma era sempre stato convinto che ballare fosse il suo vero talento. Si sbagliava. I suoi erano passetti da principiante in confronto. Non fu affatto una sorpresa quindi quando il ballerino Park Jimin, vinse tutti i suoi avversari e arrivò primo alla competizione. Ora Jungkook poteva capire perchè Park Jimin fosse così popolare.

“E' anche carino” commento Taehyung al suo fianco. Jungkook lo guardò storto. “Cosa? Non gli hai mai staccato gli occhi di dosso, immagino sia anche per quello” Taehyung commentò.

“Ma per favore. Io lo sono di più, persino tu sei lo sei di più” rispose Jungkook sulla difensiva.

“Oh beh grazie! Era ora che lo ammettessi” Jungkook si rese conto di aver appena fatto indirettamente un complimento a Taehyung.

“Ti odio”

“ Già, gia” Taehyung aveva risposto ridacchiando.

“A proposito, quello non è il capitano della squadra di basket?” Jungkook portò nuovamente la sua attenzione verso il centro del campo ed effettivamente il biondo capitano della squadra di basket si era fatto largo tra la folla e aveva messo un braccio intorno alle spalle del ballerino. E i loro sorrisi erano così smaglianti che Jungkook non aveva avuto dubbi.

“Bah. Numeri due”.

 

 

 

Il sole stava tramontando quando Jungkook giunse nel suo appartamento. Si sentiva stanco, più stanco anche dei giorni in cui aveva lavorato, studiato e poi era pure andato a fare esercizi in palestra.

E li sulla porta di casa sua, erano seduti come due vagabondi molto alla moda, Taehyung e Hoseok. Entrambe stavano mangiando un gelato e avevano un'espressione talmente gioiosa in viso che Jungkook si immobilizzò, nel bel mezzo del corridoio, indeciso per un momento se proseguire o meno. Ma Taehyung si accorse di lui e Jungkook non ebbe scampo.

“Avevo deciso di essere arrabbiato con te, Hobi è venuto con me per evitare il peggio, ma ora che vedo la tua faccia mi è passata la voglia” e Jungkook trovò le parole così idiote e così adatte allo stesso tempo, che senza dire una parola, fece i pochi passi che li separavano, per lasciarsi cadere per terra, a fianco di Hoseok.

“Tutto bene?” gli chiese questi.

Jungkook scosse la testa, in diniego.

“Ne vuoi parlare?” aggiunse Taehyung.

Jungkook prese il gelato dalle mani di Hoseok e gli diede un morso. E Hoseok, come la persona fantastica che era, lo lasciò fare. Se lo avesse fatto a Taehyung, questi lo avrebbe preso a calci.

“E' Park Jimin. Il numero zero che dovevo incontrare oggi e con cui i miei vorrebbero che io trascorressi il resto della mia vita insieme, è Park Jimin”.

“Oh” disse Taehyung per una vola a corto di parole. Hoseok parve confuso e Taehyung sollevò un sopracciglio come a volergli dire, ti spiego dopo.

Jungkook, li ignorò, e continuò a mangiare il gelato.

Già.

Oh.






NdA: vi prometto che tutto questo ha un senso. E Jimin è duro a morire (cioè Kookie ha trovato pane per i suoi denti). Al prossimo capitolo ;) ps: ho usato il sistema scolastico americano. http://huilen-world.tumblr.com/
 

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Capitolo 5
*** 00.1 ***


 

00.1

 

 

“Lui, ha fatto cosa?”

A pensarci bene, raccontare a Seokjin come era andato il suo incontro con Jungkook, non era stata la sua idea più brillante, considerate le circostanze. Ossia il fatto di trovarsi nel bel mezzo di un negozio e senza Namjoon a raffreddare le acque. Sarebbe stato inoltre più intelligente aspettare che lo stomaco senza fondo del suo migliore amico fosse stato doverosamente riempito di gelato e quindi la sua persona più predisposta alla cattive notizie. Ma Jimin aveva sempre avuto un pessimo tempismo e, dopotutto, la verità non sarebbe stata diversa anche se infiocchettata per bene.

Jimin cercò di sembrare concentrato e per nulla turbato mentre osservava uno scaffale pieno di scarpe da tennis. Per la cronaca lui odiava le scarpe da ginnastica con la suola piatta.

“Ha detto quel che ha detto e se ne è andato.“

Sentì Seokjin sospirare e sapeva che sicuramente aveva corrugata la sua fronte perfetta in disappunto.

“Beh questo Jeon Jungkook è un idiota, cieco, e se posso dire anche un gran maleducato.”

Jimin non poté fare a meno di ridacchiare.

“In realtà è intelligente e di talento. Anche se non protesterò sul maleducato.”

“Dubito altamente sia intelligente. O sarebbe rimasto seduto su quella dannata sedia.” Seokjin disse quasi ringhiando.

Jimin sorrise suo malgrado. Era bello sapere di poter contare su amici che erano sempre dalla sua parte e pronti ad insultare chiunque fossi così poco assennato da osare ferirlo.

In questo caso però, Jimin non si sentiva ferito.

Certo era stato arrabbiato. Con i suoi genitori, per avergli proposto qualcuno senza prima assicurarsi che questo qualcuno fosse ben disposto; con Jeon Jungkook per aver detto, ciò che aveva detto.

Con se stesso per non aver reagito prontamente.

Tuttavia, nonostante tutto, Jimin riusciva capirlo. Anche fin troppo bene. Siamo numeri zero. Solo un numero zero poteva capire un altro numero zero. La tristezza che ci portiamo dietro. La lotta per la sopravvivenza.

Seokjin ripose le scarpe sullo scaffale e si voltò a guardare Jimin.

Jimin conosceva quello sguardo.

“Tu vuoi rivederlo” disse assottigliando gli occhi. Non era una domanda e come sempre Seokjin ci aveva azzeccato. Lui e quel suo istinto da segugio che solo le madri hanno ma che per qualche insano motivo Seokjin possedeva.

“Più o meno?” tentennò Jimin. Era piuttosto sicuro Seokjin si stesse trattenendo dal dire qualcosa di irrimediabile.

“Non mi piacciono le scarpe qui. Andiamo?” disse questi improvvisamente e in modo brusco e Jimin lo seguì fuori dal negozio, desideroso di spiegarsi. Seokjin doveva capire.

“Hyung”. Jimin quasi si scontrò con la sua schiena.

“Mangiamo qualcosa ti va? E' risaputo che io riesco ad essere ragionevole solo a stomaco pieno” disse Seokjin voltandosi, e Jimin sapeva che era il suo modo di scusarsi per la sua reazione.

“Certo, in effetti anche io avrei una certa fame” il viso di Seokjin si illuminò di quella luce che aveva solo di fronte a del buon cibo o a Namjoon. Non per la prima volta Jimin pensò che per avere 29 anni Seokjin fosse tremendamente innocente.

Dopo che Seokjin ebbe mangiato un panino gigante e un cono gelato, Jimin si convinse a parlare.

“ Hyung ti ricordi come eravamo noi a 23 anni?”

“ Sembra passato un secolo.” rispose Seokjin pulendosi gli angoli della bocca.

“ Parli come se avessi 60 anni, ma sono passati a mala pena quanto, sei anni?” lo punzecchiò Jimin.

“ Mi raccomando rigira pure il coltello nella piaga!“ Jimin ridacchiò.

“Si mi ricordo comunque.” Seokjin disse, scuotendo la testa.

“E ti ricordi come ero io a 23 anni?”

“ Si mi ricordo anche questo” Seokjin rispose ed un lampo di comprensione si fece strada nel suo sguardo. “Ma Jimin lui non è te. Tu non ti saresti mai alzato da quel tavolo?”

“ Lo credi? “ Seokjin annuì.

“ Io non ne sono tanto sicuro, invece. Lo so, tre anni non sembrano poi così tanti perchè una persona cambi. Però io mi ricordo come ero a 23 anni. “ Solo, confuso, disperato, arrabbiato col mondo intero, alla deriva sul mare del nulla. “Hyung. La cosa più brutta di essere zero non è il non essere destinati a non avere un compagno. La cosa più brutta è il sentirsi soli.”

“Jimin. Tu non li puoi salvare tutti. E molti non vogliono essere salvati da...”

Non da me.

“ Da me. Non vogliono essere salvati da me. Lo so benissimo.” Erano parole dure. Ma vere.

“ Da qualcuno, non vogliono essere salvati da qualcuno. Tu non hai niente che non va. A parte una tendenza masochista a voler bene alle cose che non ti fanno bene, questo te lo devo dire”. Seokjin concluse schietto ma non senza delicatezza.

“Si lo so. Ma avresti dovuto vederlo Jin hyung, lui è così giovane. Così..” Jimin non aveva parole per descrivere ciò che provava. Dopotutto c'era poco di razionale nella sua ostinazione a parte questa sua mania di aggiustare le cose a qualunque costo. Ma Jungkook era così.. E' così me. Tutto quello che Jimin era stato, tutto quello che Jimin non era. Aveva cercato di cancellare Jeon Jungkook. Aveva provato a chiamare i suoi genitori per disdire il tutto, tirarsene fuori, perchè Jimin si era fatto male troppo a lungo in passato per aver voglia di farsi del male ancora. Ma i suoi non avevano risposto subito e nel lasso di tempo che avevano impiegato a richiamarlo, Jimin era andato a vedere le foto dell'annuario del suo ultimo anno di superiori. Ci aveva messo esattamente 10 secondi a trovare Jeon Jungkook, quindicenne, la faccia tonda da bambino e una stupida frangia che gli copriva metà fronte. C'era voluto ancora meno per convincersi a cercare dei video on-line delle sue performance. Conosceva il club di danza, sapeva che avevano un canale dove pubblicavano le performance annuali del festival dello sport.

Jimin aveva amato ballare con ogni fibra del suo corpo.

Aveva iniziato a 10 anni e aveva smesso la primavera dei suoi 18 anni.

Delle tante rinunce fatte, ballare era stata la cosa più triste, più difficile da lasciar andare. Non aveva più voluto vedere qualcuno ballare, da allora.

Eppure dopo tutti quegli anni di assenza, aveva deciso tra tutti i video di guardare quelli di Jeon Jungkook.

Jimin sapeva riconoscere ancora il talento quando ce lo aveva di fronte. E anche il duro lavoro.

Agli occhi di un esterno poteva non sembrare un movimento difficile, dopotutto il risultato finale doveva essere quello, far sembrare facile ciò che invece non lo era. Ma tale fluidità, tale eleganza, la sensazione di passi che scivolano sul parquet, erano tutte cose che si riuscivano ad ottenere solo dopo 10,000 ore di allenamento.

Quando il movimento era stato ripetuto talmente tante volte da diventare parte di te.

Ah, Jimin si ricordava ancora la sensazione di membra pensanti come il cemento e il bruciore di polpacci in fiamme per lo sforzo. Tutto, per 3 minuti di fluida perfezione.

“L'ho visto ballare hyung. Cioè non l'ho visto in carne ed ossa. Ormai non balla più. Ho visto dei suoi vecchi video, sai lui era nel mio stesso club di danza. E se tu vedessi qualcuno ballare così non rimarresti indifferente. C'è qualcosa l'ha sotto, sotto quella sua placcatura da spaccone. Lo sento.”

“L'hai visto ballare?” Seokjin inclinò la testa di lato perché quella era la cosa più curiosa e anche più pericolosa di tutto ciò che Jimin gli aveva raccontato, Jimin che era solito uscire da un negozio alla velocità della luce tutte le volte in cui avevano suonato una delle canzoni su cui lui aveva ideato una routine.

Seokjin sospirò internamente. Questo Jeon Jungkook aveva tutte le carte in regola per essere un secondo Min Yoongi e la cosa lo spaventava a morte. Tuttavia erano da anni che Seokjin non vedeva Jimin così determinato su una persona. Non era sicuro fosse un buon segno.

“Mi arrendo. Spero solo che si riveli più intelligente della prima volta. A parte questo. Come intendi rivedere qualcuno che ha dichiarato così apertamente di non volerti vedere?”

“ Ho un piano”.

Ovviamente pensò Seokjin.

 

 

 

 

Jungkook si era rifiutato di rispondere ai suoi genitori e aveva cancellato tutti i messaggi che sua madre gli aveva inviato sul cellulare. Era sicuro che tutto ciò aveva fatto imbestialire suo padre ma onestamente non poteva importargliene di meno.

Erano in debito con lui per i prossimi dieci anni.

All'inizio Jungkook era stato troppo arrabbiato per pensare di raccontare come era andata a Taehyung e Hoseok. Il suo migliore amico non si era fatto scoraggiare ed aveva approfittato per spifferare al suo numero uno tutta la vicenda.

Il bello era che non esisteva una vicenda.

Park Jimin era stato un maturando nella sua stessa scuola e per quando Jungkook aveva avuto il coraggio di iscriversi al club di danza, Jimin aveva smesso di frequentarlo. Non avevano avuto nulla in comune allora e non lo avevano di certo adesso e l'unica cosa che avessero mai condiviso era stata la danza ma anche quella parte era stata sepolta. Jimin si era diplomato ed aveva proseguito per la sua strada e Jungkook aveva fatto altrettanto e non aveva più pensato al ballerino Jimin, e al losco passato che si era lasciato dietro, per un'infinità di tempo. Poi se lo era trovato davanti.

Park Jimin non era cambiato molto, non aveva più il viso rotondo dei bambini, ma era sempre basso, i suoi capelli neri e i suoi occhi erano sempre perfettamente a mandorla.

Jungkook invece era cambiato. In un certo senso tutto le convinzioni cementate in Jungkook, tutto ciò che era adesso, erano state in certa misura, la conseguenza di aver conosciuto Park Jimin.

Jungkook lo aveva ammirato moltissimo da quindicenne e poi sempre da quindicenne aveva deciso che il numero zero Park Jimin rappresentava tutto ciò che Jungkook, da numero zero, si rifiutava di essere.

Taehyung lo aveva rimproverato qualche giorno dopo quando Jungkook si era calmato abbastanza da raccontargli la storia. “Avresti potuto essere più gentile”.

Jungkook testardo non aveva voluto dargli ragione ma adesso a distanza di giorni, ora che la sua rabbia si era dissipata, ammetteva che probabilmente era stato un po' troppo duro. E maleducato.

Ciò non cambiava nulla dei suoi piani futuri ma ammetteva che una parte di sé un po' si vergognava. Persino Hoseok lo aveva guardato con un qualcosa di pericolosamente simile alla delusione.

“ Jungkook cosa ti succede? Lanci sassi, tratti male le persone. Park Jimin beh, avrà commesso un sacco di cavolate, ma aveva 18 anni. E lo so che io non sono un numero zero e non posso capire la vergogna, l'infamia alla categoria e bla bla bla, ma da quando tu giudichi in base al numero? Andava bene a 15 anni ma ora ne hai 23”. Le parole di Taehyung avevano fatto male, ma Taehyung non era mai andato per il sottile e dopotutto Jungkook doveva ammettere che non era nel torto. Aveva sbagliato tempismo però, perchè anche se Jungkook era sbollito non era ancora pronto ad accettare una paternale perciò dando l'ennesima prova di profonda maturità, Jungkook era uscito dal suo stesso appartamento, piantando in asso il suo miglior amico.

Si lo sapeva. Era tutto sbagliato.

Jungkook si sentiva scoppiare, come una pietra presa picconate da una squadra di minatori. Ho forse sbagliato? Si chiese Jungkook. Tuttavia per quanto potesse ammettere la pochezza del suo comportamento non cambiava il fatto che lui non voleva un compagno e pensava che Taehyung, almeno questo, lo dovesse capire una buona volta.

Kookie, Taehyung ha il broncio da due giorni. Ha sbagliato anche lui, lo so. Ma non potreste parlarne? Hoseok gli aveva scritto di buon mattino. Sicuramente aveva avuto un turno a insalubri ore del mattino (la dura vita dei medici in tirocinio) e la prima cosa che aveva pensato era stato sistemare il casino del suo numero uno e del suo migliore amico zero. Ragazzo d'oro Hoseok.

Jungkook sospirò.

Si, dovevano parlare. Quella guerra fredda non aveva capo ne coda, anche se Taehyung aveva il talento di fargli saltare i nervi come solo la persona che ti è più vicina sa fare.

Va bene, dopo lo chiamo. Aveva scritto.

Jungkook era quindi sgusciato via dalle coperte si era fatto una lunga doccia e si era preparato per la sua routine quotidiana: colazione, lezione, palestra ed oretta in bici a seconda del suo umore.

Statistica non era certo l'argomento più avvincente sul pianeta terra ma era abbastanza impegnativo da distrarre la mente di Jungkook per due ore buone. Quando finalmente la lezioni finì, era mezzogiorno passato e Jungkook aveva un sincero appetito. Cercò di stampasi il solito sorriso zuccheroso in faccia mentre salutava i suoi compagni di corso e si dirigeva verso la fonte di cibo più vicina. Jungkook non aveva amici ma solo conoscenti e persone amichevoli con cui conversava ogni tanto per scambiarsi appunti e mantenere le apparenze.

Andava benissimo così perchè Jungkook non voleva amici: i numeri zero, difficili da scovare, erano noiosi e non appena capivano di trovarsi di fronte ad un altro zero, potevano passare ore a lamentarsi della vita. Jungkook, che dalla vita voleva tutto, li detestava; i numeri due d'altro canto erano altrettanto insopportabili nel vantarsi della perfezione della loro vita e Jungkook non voleva fingere più del necessario. Per fortuna Taehyung era passato a salutarlo abbastanza volte perchè molti pensassero che lui fosse il suo numero uno. Jungkook si sentiva un po' in colpa nei confronti di Hosoek per questo, non era mica senza cuore,ma per fortuna il dipartimento di scienze era dall'altra parte della città e quindi nessuno avrebbe potuto smascherare questa impressione. Taehyung era la perfetta giustificazione all'abitudine di Jungkook di isolarsi. Poteva tranquillamente essere uno di quei numeri due troppo presi dalla loro anima gemella per vedere o capire altro.

Ad ogni modo Jungkook stava uscendo dalla sua aula e ponderando se usare quell'ora di tempo per chiamare Taehyung o se rimandare a più tardi quando un'ombra coprì il sole di quel mattino.

Sollevo gli occhi dal suo cellulare.

Park Jimin era vestito in giacca e cravatta e indossava degli occhiali da vista, che molti impiegati utilizzavano per via delle tante ore al computer. Gli davano l'aria da adulto e Jungkook si sentì suo malgrado intimidito.

“Cosa ci fai qui?” chiese senza pensare.

“E così abbiamo confermato che non hai maniere. Innanzitutto ciao Jungkook”

Jungkook preso in contropiede disse un ciao strozzato. Perfetto. Era davvero sembrato un maleducato.

Di nuovo.

Jimin si guardò intorno, probabilmente controllando di non essere a portata d'orecchio, si sistemò gli occhiali, prese un bel respiro e disse.

“Jeon Jungkook. Io non ti conoscevo alle superiori. E sono sicuro che tu non conoscessi me. Non la persona che ero e cosa pensavo. Non mi importa cosa posso aver fatto o detto, o cosa tu possa pensare io abbia fatto o detto per ferire il tuo piccolo orgoglio da zero. Tu non hai nessun diritto di giudicarmi. Detto questo sono sicuro che il problema va più in la di qualsiasi cosa, sepolta nel passato, possa essere successa e posso capire. Ma io mi rifiuto di essere la tua valvola di sfogo. Hai capito bene?” Jimin si fermò un attimo per riprendere fiato.

Jungkook lo guardò a lungo, bocca aperta incapace di dire qualcosa. Jimin lo aveva appena steso.

“Ehm di qualcosa'” chiese Jimin, stringendosi nervoso nelle sue spalle. Fu il suo nervosismo improvviso che smosse qualcosa in Jungkook.

“Oh. Ok. Onestamente non pensavo di vederti. Non che ci sia qualcosa di male. Sono contento perchè almeno ora posso scusarmi. Mi sono lasciato prendere la mano, lo ammetto, e per questo ti chiedo scusa. Però non cambia quello che ti ho detto, cioè che non voglio un compagno.” Jungkook disse questa volta cercando di avere un tono gentile, nel possibile.

“ Si lo so. Ho chiamato i miei genitori ed anche i tuoi. Dovremmo avere un po' di tregua al riguardo.” Jimin disse.

“Sul serio?” di tutte le cose che Jimin aveva detto questa era la più scioccante. Non voleva certo dire che improvvisamente Jungkook era libero di vivere la sua vita come voleva. Ma almeno aveva guadagnato tempo. Tempo per perorare la sua causa, tempo per pensare ad un piano. E con il suo presunto compagno che faceva un passo indietro era comunque difficile per i genitori di Jungkook costringerlo a fare chicchessia, subito. Jungkook si sentì sollevato.

“Non avrai certo pensato che sarei stato contento di fidanzarmi su due piedi con uno zero, contrario come sei tu. Sono disperato ma non fuori di testa” Jimin disse incrociando le braccia, come a voler ribadire il concetto.

“Grazie. Davvero.” Jungkook disse e Jimin vide di nuovo una luce negli occhi di Jungkook, la stessa che era così lampante in tutti i suoi video. Lo sguardo di una persona viva.

“Quindi siamo a posto?” chiese timidamente Jungkook.

“ Si. Anzi no? Sono venuto per un motivo, oltre a metterti in riga si intende” Jungkook lo guardò incuriosito.

“Magari possiamo spostarci di qui?” chiese Jimin. Jungkook annui.

Insieme scesero le scale e uscirono nel cortile interno dell'università. Jimin si sentiva chiaramente fuori posto, un impiegato in mezzo agli studenti.

Jungkook pensò che comunque lui appariva più giovane di molte delle persone li intorno.

“Come mi hai trovato hyung?” chiese Jungkook casualmente.

“ Mi hai detto la tua facoltà e mi hai parlato delle tue lezioni. Non è stato difficile trovare l'orario”.

“ Questo è vagamente inquietante hyung” Jungkook ripose in un tentativo di humour.

“ Si forse. Ma come ti ho detto dovevo venire a metterti in riga e tutto il resto.”

“ Mi sembra giusto. Io avrei fatto lo stesso” Jungkook concesse. “ Però se è vero che non siamo più costretti a fidanzarci subito, perchè sei ancora qui?”

“ Non mentivo quando avevo detto che volevo che fossimo amici. E' così raro trovare numeri zero con cui andare d'accordo.”

“ Credi che noi siamo numeri zero che vanno d'accordo?”Jungkook cercò di scherzare ripensando al fallimento del loro primo incontro.

“Si lo so il nostro incontro ha avuto dei bassi. Naturalmente per colpa tua. Io sono una persona molto piacevole. Sei tu quello in preda a ormoni post adolescenziali” Jungkook lo fulminò con uno sguardo.

“hyung sei fortunato che sono indebito con te di buone maniere.”

“ Si appunto. Sei in debito. Quindi anche se magari non vuoi essere amico di un vecchio come me” Jungkook lo guardò come a voler dire ma non dimostri neanche 20, “mi devi un favore.”

Jimin sembrava determinato sotto la luce del sole e Jungkook dovette sbattere gli occhi. Era tutto molto fantascientifico e se qualcuno gli avesse detto che a quel punto nella vita avrebbe avuto a che fare con Park Jimin non ci avrebbe creduto.

“Ho bisogno di un partner per le lezioni di danza” disse Jimin tutto d'un fiato. Di tutte le cose che Jimin avrebbe potuto chiedergli quella era l'ultima che Jungkook si era aspettato. Un caffè forse. Dei soldi. Un braccio già che c'era. Ma ballare?

“No.” disse Jungkook su due piedi.

“Allora lo fai apposta!” Jimin esclamò.

Jungkook avrebbe davvero voluto essere oltraggiato perchè ballare era riportato come taboo sul suo dizionario personale.

Scoppiò a ridere invece.

Jimin ricambiò il sorriso.

 

 

 

 

 

NdA: hanno una lunga strada da percorrere. E ci sono ancora cose da risolvere. E' un inizio! =D

Volevo inserire un "interlude" di giovedì, ma vediamo quanti feed back avrò. Non sono sicura >_<

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Abbiamo sognato l'infinito (interlude) ***


 

Abbiamo sognato l'infinito

 

 

Alcuni incontri, sebbene non eclatanti, non smettono di essere significativi.

Quando Jimin aveva incontrato Min Yoongi non era successo nulla degno di nota.

Niente di speciale, nessun effetto da fuoco d'artificio, odio a prima a vista, episodio esilarante.

In effetti se non fosse stato per una serie di circostanze, Jimin non si sarebbe disturbato in conoscere Min Yoongi. E viceversa, sicuramente viceversa.

O forse no. A distanza di anni Jimin era piuttosto sicuro che nonostante tutto, conoscere Min Yoongi era stata inevitabile.

 

Era stato un giorno banalissimo come qualsiasi altro. Jimin stava disperatamente cercando di non soccombere dinanzi ad una lezione soporifera di storia, ma non aveva avuto sino ad allora molto successo. Il professore proprio in quel momento stava parlando di una presentazione di gruppo per la fine del trimestre e Jimin incrociava le dita sotto il banco sperando di finire con qualcuno che avesse seguito le lezioni più di lui. Purtroppo la maggior parte del suo gruppo di amici, i suoi compagni di danza, erano finiti in chimica I (no grazie, aveva pensato Jimin al momento di compilare il formulario). Spesso gli era mancato Hobi hyung il suo amico della scuola primaria. Ma lui e la sua famiglia erano tornati nella città dei nonni di Hoseok,che distava qualcosa come 100 km dalla capitale.

Una distanza che sembrava impossibile ai due ragazzi. Lo era.

Per fortuna si era fatto qualche amicizia grazie alla danza. Ballare era sempre stata la sua attività preferita, grazie ad essa Jimin non si era mai sentito solo. Prima di conoscere Hoseok, Jimin si era specializzato in danza contemporanea. Hoseok gli aveva fatto scoprire l'hip hop e a Jimin era parso di innamorarsi nuovo.

Una volta nella nuova scuola quindi, si era subito iscritto al club di danza. Per fortuna ai membri del gruppo non importava se eri zero, uno, mille: bastava essere in grado di ballare.

In generale la scuola era ancora un ambiente sicuro.

Questo perchè la legge incoraggiava i numeri due a incontrarsi solo a maggiore età. Per ragioni etiche e sociali le introduzioni prima della maggiore età era altamente sconsigliate. Questo non impediva ad un certo numero di famiglie numeri due di tre generazioni di forzare la mano e fare le introduzioni già al compiere dei quindici anni d'età o anche prima. Rappresentavano però una minoranza e la scuola era l'ambiente in cui i numeri zero, ma anche i numeri uno, potevano esercitare un po' libertà.

Esistevano comunque, parecchie correnti di pensiero al riguardo.

Molti numeri due incoraggiavano i proprio figli ad aspettare la loro anima gemella. Tuttavia non era certo visto male se i futuri numeri due volevano sperimentare durante gli anni di scuola.

Questo sentimento non era per nulla condiviso dalle famiglie di numeri zero.

I futuri numeri due non avevano nulla di cui preoccuparsi. I numeri zero erano quelli, invece, che sarebbero tornati a casa col cuore infranto.

Ma la scuola. La scuola è fatta dai ragazzi. Era facile a quell'età sognare l'infinito.

 

 

 

Ad ogni modo Jimin finì col venir assegnato in un gruppo di tre composto da se stesso, Yook Sungjae e Min Yoongi. Sungjae era nel club di canto e Jimin lo conosceva di fama, era conosciuto come il nerd dalla voce d'oro. Min Yoongi era una nuova e molto promettente matricola della squadra di basket, anche se in realtà era più conosciuto per il suo carattere che altro. Si diceva fosse una testa calda. Nessuno dei due era nelle sue lezioni principali ma solo in storia I. Jimin aveva cercato di fare del suo meglio per andare d'accordo con entrambe e portare a termine il progetto. Con Sungjae non era stato difficile, era molto intelligente ed anche molto divertente. Yoongi invece si era rivelato un'impresa. Parlava poco e sempre con il tono basso e leggermente raspante di chi si è appena svegliato. Per giunta continuava a guardarli di sottecchi come a non voler credere di essere finito in un simile gruppo.

Jimin si era trovato più volte a trattenersi dal sollevare gli occhi al cielo.

“Secondo voi che cosa potremmo presentare? Non vi sembra un po' affrettato darci una lista così lunga di libri ora che siamo vicini alle vacanze di Natale? Io propongo come argomento la stipulazione del primo statuto sui numeri due. Sarà anche generico ma perlomeno è semplice e ci sono un sacco di libri al riguardo. Jimin tu che ne dici?” Sungjae sembrava non riprendere mai fiato quando parlava e Jimin lo trovava un sacco buffo.

“ Non saprei. Forse hai ragione tu. E' sicuramente più facile, ma non pensi tutti vorranno farlo?” Jimin aveva chiesto. In realtà Jimin non aveva voglia di ripercorrere le fasi che avevano portato alla stipulazione del primo documento che aveva contribuito, 200 anni dopo, a decretare il suo destino. Ma immaginava che per i numeri uno come Sungjae tale argomento non dovesse fare ne caldo ne freddo e rappresentasse invece un'opportunità per lavorare di meno.

“E' banale” disse una voce annoiata alle loro spalle. Yoongi aveva parlato dopo quasi un'ora di conversazione duale tra Jimin e Sungjae e dopo che questi avevano trascorso un sacco di tempo a cercare documenti su internet nell'aula computer della scuola. Yoongi aveva dormito allegramente sul computer di fianco al loro.

“Yoongi?” Jimin aveva chiesto incerto.

“L'argomento è banale, Sungjae” aveva continuato questi come se non avesse sentito Jimin. “So che probabilmente è più semplice ma è anche un progetto in cui ci daranno un voto. Potremmo provare a fare qualcosa di diverso per una volta. Tutti si butteranno a pesce sui vari statuti successivi al primo governo consolare. Perchè non fare una presentazione su prima?”

Yoongi aveva detto tutto questo con lo stesso tono di voce di chi potrebbe essere da qualche parte a fare di meglio.

“Prima di cosa?” aveva chiesto innocentemente Sungjae.

“Prima. Il secolo zero.” Sungjae aveva aggrottato la fronte e a Jimin gli si era fermato il fiato in gola. Dio, l'ultima volta che aveva sentito qualcuno nominarlo aveva cinque anni ed era nel cortile di casa sua ad ascoltare sua nonna raccontargli storie di altri tempi.

Ovviamente avevano fatto la presentazione sul primo statuto due. Insieme ai tre quarti della classe. Avevano preso tutti un otto politico solo per aver scelto un argomento così esaltante della nostra storia. Jimin aveva la nausea ma guardandosi intorno aveva visto solo facce soddisfatte per un voto facile. Tutte tranne una.

Min Yoongi stava dormendo sul banco anche se Jimin sospettava fosse ben sveglio.

La sua personale forma di protesta.

Che tipo strano.

 

 

 

Non sapeva bene come. Dicono che è proprio quando non ci pensi che le cose accadono.

Lui e Yoongi non si erano parlati moltissimo dopo il lavoro di gruppo mentre invece con Sungjae erano rimasti in rapporti amichevoli. Sungjae non aveva nulla di male per essere un futuro numero due. Aveva quell'aria innocente e felice che molti predestinati avevano e Jimin non gliene poteva fare una colpa. Perlomeno non è spocchioso, come molti numeri uno apparivano agli occhi dei numeri zero.

Un giorno di gennaio però, durante la prima lezione di educazione fisica del secondo trimestre, si trovò di nuovo a condividere una classe con Yoongi.

Jimin era sempre stato bravo in ginnastica, aveva un schiena flessibilissima e le lunghe ore di danza gli avevano conferito una grande resistenza fisica. Anche Yoongi a modo suo era bravo. Certo, probabilmente non avrebbe mai saltato più di un metro e 10 in salto in alto ma correva veloce e aveva la capacità polmonare di un maratoneta. Doveva essere state tutte le ore trascorse a correre su e giù sul campo di basket a renderlo così.

Jimin avrebbe voluto chiedergli come mai quella volta avesse proposto un argomento così singolare. Non erano in molti che sbandieravo il secolo zero come se parlassero di giochi da tavolo. Ma non aveva avuto occasioni e Yoongi non era certo la persona più approcciabile del mondo. E di certo non poteva andare da lui e chiedere “hey hai nominato il secolo zero. Sei interessante”.

E invece fu proprio quello che Jimin fece. Dopo le lezioni di ginnastica e dopo che si furono cambiati negli spogliatoio, Jimin aveva trovato Yoongi per conto suo, appoggiato ad una parete fuori dalla palestra. Probabilmente ad aspettare i suoi amici.

Yoongi era scoppiato a ridere e Jimin si pentì di averlo trovato interessante. Era un idiota.

Il suo sdegno doveva leggerglisi in faccia perchè anche se erano alti uguali, Jimin aveva più muscoli di Yoongi e se proprio voleva poteva mollargli un pugno e mandarlo al tappeto in un secondo.

“Vengo da una famiglia di numeri zero da due generazioni.” aveva infine detto una volta che si era asciugato gli occhi che erano lacrimati per il troppo ridere.

Jimin avrebbe voluto mentire tanto per riprendersi la propria vendetta personale e invece sorprendendo di nuovo se stesso disse:

“Anche io”.

Yoongi aveva annuito e Jimin aveva pensato sarebbe finita lì, perchè era più di quanto qualcuno confesserebbe al suo migliore amico figuriamoci ad un estraneo.

E invece Yoongi aveva detto.

“Andiamo a prendere qualcosa da mangiare. Ho fame” e così Jimin senza sapere come, si era trovato nella caffetteria della scuola a pranzo con Min Yoongi.

Avrebbero mangiato insieme per tutti gli anni della scuola superiore.

 

 

 

 

“Jimin”una voce lo chiamò alle spalle. I capelli di Yoongi avevano attraversato molte fasi durante gli anni. Erano tornati neri per un po' poi si erano fatti rosa, verde e ora erano di nuovo biondi. Quando Jimin gli aveva chiesto il perchè Yoongi si era limitato a dire “per fare un dispetto ai miei” e poi aveva cercato di convincere Jimin a tingerseli di arancione. Jimin ovviamente aveva rifiutato e Yoongi gli aveva dato del palloso e Jimin era quasi riuscito nell'intento di dargli un calcio ma il suo dannato migliore amico era stato svelto ad evitare il colpo.

Yoongi e Jimin da quel lontano giorno non si erano più separati. Era strano come due persone così diverse potessero funzionare bene insieme. Yoongi era scontante, diretto, fin troppo sincero con le sue parole e un po' freddo. Il suo hobby preferito era dormire, attività che nella sua lista personale veniva addirittura prima del basket. Jimin invece era sempre attivo, impegnato con la danza o in qualche nuova attività e probabilmente una delle persone più pazienti della terra. Era difficile arrabbiarsi per Jimin. O forse era difficile per Jimin arrabbiarsi veramente con Yoongi.

Battibeccavano spesso però.

Yoongi con i suoi modi di fare era spesso brusco e Jimin d'altro canto era fin troppo sensibile. Eppure Yoongi faceva sempre la cosa giusta. Lui non era bravo a parole quello era Jimin, così quando questi era convinto che il suo migliore amico l'avesse finalmente fatta grossa, Yoongi se ne usciva fuori con una delle sue. Con uno di quei gesti che ti fanno perdonare tutto.

Si poteva dire che la loro amicizia era speciale ed era qualcosa di cui tutti sembravano rendersi conto. Jimin era convinto che metà della scuola sospettasse il loro legame numero due. L'altra metà ne era assolutamente certa.

Naturalmente non era così. Jimin era un numero zero. Quanto a Yoongi.

Yoongi non lo aveva mai detto e Jimin non glielo aveva mai chiesto. Era una di quelle cose, delle tante cose, di cui era difficile discutere con Yoongi. Era difficile parlare del futuro con Yoongi, ed era difficile parlare di numeri zero. Jimin la verità in cuor suo l'aveva intuita. Questo però non aveva impedito a entrambi di lasciare che la loro amicizia superasse i propri stessi limiti.

“Siete sempre appiccicati. Ieri ho sentito una matricola convinto che tu ti chiamassi Yoongi e Yoongi Jimin. “ lo prendeva in giro Sungjae che nel frattempo era diventato rappresentante d'istituto. Jimin aveva riso perchè era vero e perchè non c'erano altre reazioni confacenti.

E quando vedeva Yoongi in piedi appoggiato al muro della palestra, che aveva aspettato che Jimin finisse le lezione di ballo per tornare a casa insieme, a Jimin tornavano in mente le parole di Sungjae e un sorriso si faceva largo sul suo volto.

Ci dicono che non è per numeri zero avere un'anima gemella. E ce lo dicono quasi fosse colpa nostra essere soli. Eppure tutte le volte che Jimin guardava Yoongi, lo stupido Yoongi dal caratteraccio e dagli stupidi capelli biondi e con quel sorriso a trentadue denti che non si sarebbe potuto sospettare in una persona così difficile come lo era il suo migliore amico, non poteva fare a meno di credere che il destino doveva essersi sbagliato.

“Sto morendo di fame. La prossima volta non fare così tardi” Yoongi aveva grugnito stizzito.

“Ne avrai approfittato per farti un pisolino” Jimin disse tranquillo.

“ Infatti” aveva risposto Yoongi scrollando le spalle.

Poi aveva acceso una sigaretta, un'abitudine che Jimin odiava ma che Yoongi non riusciva più a mollare (per fare un dispetto ai miei genitori) e con la naturalezza di un gesto che era stato fatto un'infinità di volte, aveva posto un braccio intorno alle spalle di Jimin e lo aveva stretto a se.

“Andiamo” l'ombra di un sorriso sulle sue labbra. Insieme uscirono attraversando il cancello della scuola.

 

 

NdA: prima che me lo chiediate, la risposta è no. Yoonmin è nel passato. Sorry.
Sono contenta di essere riuscita alla fine a scrivere questo piccolo inframezzo!(un regalo per chi segue questa storia e per i carissimi che hanno recensito). Onestamente la settimana prossima inizia il festival per cui lavoro perciò non sono sicura di riuscire ad aggiornare di lunedì. Ci proverò, jikook già mi manca. Alla prossima.

 

 

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Capitolo 7
*** 00.2 ***


00.2

 

 

Jungkook si era trovato dall'altra parte della strada, dietro ad un palo ad osservare una stupida insegna per almeno un quarto d'ora.

La scena aveva un che di famigliare e Jungkook non era sicuro che la cosa gli piacesse. Lanciò uno sguardo all'entrata sotto l'insegna, poi lesse di nuovo il volantino, stropicciato irrimediabilmente dal suo nervosismo. Sapeva il testo a memoria perciò questo suo rileggere era veramente superfluo. Lo aveva letto prima di andare dormire, al mattino presto a colazione, se lo era portato dietro persino all'università.

Poi, una persona vestita con una giacca leggera e dei pantaloni sportivi era entrata nell'edificio e il senso di dejavu si era fatto più forte. Si era già trovato ad osservare Park Jimin dall'altra parte di una strada.

Jeon Jungkook, o entri adesso o te ne vai a casa.

Sospirò.

Il fatto di trovarsi li, ed essere vestito di tutto punto, era di per se una riposta.

Appallottolò quindi il volantino, se lo mise in tasca e, dopo essersi guardato intorno con aria casuale ed essersi calato il cappuccio in testa, attraversò la strada per entrare anche lui nello stesso edificio.

E' per ballare solo per ballare, si disse varcando la soglia. Oltre le porte trasparenti che si aprirono al suo passaggio, c'era una piccola reception dietro il cui bancone c'era un receptionist ridicolmente avvenente che stava chiacchierando con Jimin.

Entrambi si voltarono a guardarlo. Jungkook tentennò un attimo.

Jimin gli sorrise, incoraggiante e Jungkook non poté fare a meno di sospirare di nuovo. Ormai era troppo tardi. Aveva decretato il suo destino entrando in quella stupida stanza, di quello stupido circolo in cui facevano lezioni di ballo.

Sarebbe stato il compagno di danza di Jimin.

 

 

 

 

Jimin non era potuto rimanere a pranzo. Qualcosa come una pausa pranzo davvero striminzita e “il mio ufficio è dall'altra parte della città”. Lui si era limitato ad annuire mentre Jimin gli lasciava un volantino in mano e si congedava con un incoraggiante “pensaci!”.

Jungkook era rimasto a fissare la porta, per cui l'altro zero era uscito, prima di abbassare lo sguardo e leggere il pezzo di carta.

Si trattava di un semplice volantino pubblicitario con orari e nome di corsi di quello che sembrava un circolo ricreativo. Jimin aveva evidenziato in giallo il corso di hip hop con l'orario dalle 19.30 alle 21.00, probabilmente pensando che un orario serale sarebbe stato comodo ad entrambi. Il corso si sarebbe tenuto due volte alla settimana di martedì e giovedì. A Jungkook non sembrò neanche particolarmente impegnativo, considerando che all'epoca era solito ballare tutti i giorni, per ore.

Ballare.

No Jungkook non poteva farlo di nuovo.

Eppure ancora gli sembrava di sentire le membra stanche ma fluide, le transizioni, i passi, la musica.

A volte si svegliava nel pieno della notte dopo aver sognato passi rapidi sul parquet e coreografie impossibili.

Jungkook scosse la testa. Non poteva pensarci in quel momento, aveva bisogno di distrarsi e di compagnia: aveva bisogno di quello scemo del suo migliore amico Kim Taehyung.

Il numero due rispose al terzo squillo e senza troppe rimostranze, probabilmente il broncio gli era passato, concordò di trovarsi con Jungkook in mensa.

Jungkook lo trovò lì fuori, dieci minuti dopo, con indosso dei ridicoli occhiali da sole rosa e una giacca di jeans, le mani in tasca mentre si dondolava sui talloni sul l'orlo del marciapiede quasi a voler fare un gioco con la forza di gravità.

“Taehyung!” lo chiamò Jungkook. E il suo miglior amico sorpreso perse il momento e cadde pesantemente sull'asfalto e per poco non si spiaccicò il naso.

Jungkook scoppiò a ridere e Taehyung si alzò dolorante, togliendosi il pietrisco dai pantaloni e riprendendo i malconci occhiali da sole caduti a terra.

“Potevo morire!” Taehyung esclamò accusatorio. Jungkook rise più forte.

Taehyung si unì alle sue risate poco dopo.

Dieci secondi. Erano bastati esattamente dieci secondi per fare pace.

Dopo che Taehyung si fu sistemato e Jungkook riuscì a riprendersi dagli eccessi di risolini, riuscirono finalmente ed entrare in mensa.

“Quindi cosa hai fatto in questi giorni a parte sentire la mia mancanza?” chiese Taehyung prendendolo in giro mentre si serviva tutte le portate disponibile sul menù. Jungkook non fu da meno e si servì anche il dolce.

“Divertente. Guarda che eri tu quello col muso lungo in giro per casa.”

“Hoseok. Perchè mi sorprendo che tu abbia parlato con Hoseok. Dovrò dirgli due parole a quello li”, minacciò Taehyung ma entrambi sapevano non non gli avrebbe detto nulla, al massimo gli avrebbe dato una dose in più di abbracci. Si Hoseok faceva quell'effetto sulle persone, sopratutto sulla sua anima gemella Taehyung che adorava ogni singolo capello sulla sua testa.

“ Hoseok è il più intelligente dei tre temo, e non lo dico solo perché fa medicina” Jungkook disse con un sospiro mentre si sedevano su un tavolo isolato della mensa.

“Non diresti così se lo vedessi ballare davanti alla televisione sulla colonna sonora dei cartoni. Alla sua età!” Taehyung scosse la testa melodrammaticamente

“Come sono contento di non assistere a spettacoli simili tutti i giorni della mia vita. E hyung mi è improvvisamente sceso. Ma capisco che anche lui debba avere per forza un difetto.”

“ Ti ricordo che stai parlando della mia anima gemella!”

“Appunto” Jungkook commentò per poi sorridere. Tutti i suoi sorrisi falsi non potevano paragonarsi a quello genuino che derivava dal piacere di prendere in giro il suo migliore amico.

Taehyung lo fulminò con lo sguardo poi decise di vendicarsi aprendo la bocca piena di cibo.

“No, un'altra volta no!” fu il turno di Taehyung di scoppiare a ridere.

Era così facile con Taehyung.

Senza neanche provarci, senza il minimo sforzo. Erano come due strumenti che armonizzano insieme su un pezzo bellissimo.

“Bando alle ciance, tu mi devi un paio di aggiornamenti”, lo accusò Taehyung con la forchetta dopo che ebbe finalmente deglutito.

Jungkook lo guardò storto.

“Non ho niente di cui aggiornarti.”

“Balle. Ti conosco da quando ho imparato come contare fino a 100 Jeon Jungkook. So quando ti succede qualcosa.”

“ Ma se ti devo sempre dire tutto io.”

“Quindi c'è qualcosa da dire!” Taehyung esclamò trionfante sventolando la forchetta in aria.

Jungkook sbuffò.

“ Scommetto che hai rivisto Park Jimin” insistette il numero due.

Jungkook cercò di non infastidirsi dal tono entusiasta del suo migliore amico.

“Si ho rivisto Park Jimin, ma solo perché lui è venuto a farmi un'imboscata all'università . “

Gli occhi di Taehyung si riempirono di malizia.

“Smettila. Taehyung” disse improvvisamente serio Jungkook. “Quando dico di non volere un compagno non lo dico per farmi coraggio e non pensare al mio triste e patetico destino da zero. Lo dico sul serio. E tu devi capirlo”. La sua forchetta andò a sbattere sul piatto facendo un suono stridulo.

“Lo so.” Taehyung disse guardandolo dritto negli occhi.

“Lo sai?”

“ Si, lo so. Ma ogni tanto è lecito sperare” Taehyung aggiunse sorridendo. Jungkook dovette distogliere lo sguardo. Era facile pensare che Taehyung stesse solo facendo di testa sua invece che ammettere che lui pensasse veramente al meglio per Jungkook. Taehyung era così, ti prendeva a sferzate e ti scuoteva sin nelle viscere.

Erano passati anni ed ancora era difficile per Jungkook trattenersi dallo scappare dall'altra parte della terra di fronte a tanto, affetto. Amore. Quello non da anime gemelle e forse per questo agli occhi del numero zero Jungkook ancora più prezioso.

“Non capiterà in un vicino futuro mi dispiace. In ogni caso sarai contento di sapere che gli ho chiesto scusa. E lui è stato abbastanza soddisfatto da chiedermi un favore in cambio.”

“ Park Jimin che cerca di dettare legge su Jeon Jungkook?” Taehyung chiese, abbandonando quell'area mortalmente seria che poco gli si addiceva.

“ Scherza pure, ma è così. Devo dargli più credito. E' uno tosto” Jungkook ripensò al Park Jimin che lui ricordava, quello delle superiori, quello che si era inimicato gran parte dell'istituto. Forse nei sorrisi che Jimin non aveva mai perso, si era celata una forza di cui solo adesso Jungkook sembrava rendersi conto. Aveva pensato fosse un ingenuo, uno senza spina dorsale, perchè era l'unica cosa che avesse senso. Nessuno avrebbe potuto continuare a sorridere in quelle circostanze. Forse Park Jimin, come lui, già allora non era stato disposto a lasciare che niente e nessuno gli portasse via parte pezzetti di se. E aveva affrontato una miriade di cattiverie con un sorriso sulle labbra.

“ Quale favore ti avrebbe chiesto? Ne deduco che non ti ha chiesto di sposarlo o saresti più arrabbiato di un riccio.”

Jungkook lo guardo di sbieco.

“ Ora mi fai passare per uno che ha seri problemi di controllo della rabbia Taehyung”

“ Un pochino?” Jungkook stava iniziando a pentirsi di essersi lasciato fuggire l'episodio con Park Jimin.

“ Scherzavo ! Dai, che ti ha chiesto” Lo incalzò Taehyung che temeva che Jungkook si rimangiasse le sue parole e lo tenesse all'oscuro. Per fortuna di Taehyung il favore chiesto riguardava qualcosa di troppo importante perchè Jungkook riuscisse a tenersela per se stesso.

“Vuole che sia il suo compagno di ballo.”

“E' un maledetto genio” Taehyung sentenziò. “ Lui si che sa come prenderti.”

“Non è come pensi tu” chissa perchè Jungkook si sentì come in dovere di difenderlo. “ Grazie a lui ho guadagnato una pausa di riflessione.”

Taehyung lo guardò stranito “davvero? I tuoi genitori che demordono così?”

“ Ho finalmente letto le mail di mia madre. A quanto pare una volta che si sono resi conto che non avrei risposto al telefono si sono risolti a mandarmi delle mail. Credo fossero a un passo dal mandarmi un piccione viaggiatore.”

“ Wow, la tua famiglia ogni tanto mi intimorisce. Cosa dicevano queste mail comunque” Taehyung chiese sempre più incuriosito.

“ Mi chiedevano tutte cosa avessi fatto a Park Jimin” Jungkook disse e dovette trattenersi dallo sbuffare. Taehyung gli sorrise simpatetico per poi aggiungere.

“Però nonostante tutto, è venuto a cercarti e a chiederti di essere il suo partner di ballo. Perchè?”

“Non lo so. E' questo mi turba.” Jungkook ripose sovra pensiero mentre si infilava in bocca un grosso boccone di tortino al cioccolato.

“ Forse vuole veramente essere solo tuo amico.”

“ Anche se fosse, è un po' difficile date le nostre circostanze. Sai com'è fidanzamento combinato e il resto.” Jungkook disse sventolando una mano.

“Mmm. Però Jungkook io lo so. E anche tu lo sai.” Jungkook smise per un attimo di mangiare.

 

C'era una cosa che Jungkook aveva amato più di tutte e ancora amava . Una cosa per cui avrebbe dato il suo braccio destro pur di tornare a fare ma non aveva mai avuto il coraggio di riprendere. Da solo.

Jungkook sapeva, come lo sapeva Taehyung, che aveva sempre, sempre, desiderato tornare sulla pista dalla ballo.

 

 

 

 

 

 

Jimin non capiva bene come gli fosse venuta in mente una simile idea. Seokjin gliene aveva parlato l'anno prima, nella speranza di convincere Jimin a tornare a ballare.
Il circolo zero che teneva i corsi di danza ero lo stesso per cui il suo migliore amico faceva volontariato. Il suo lavoro da fotografo freelance era abbastanza flessibile da lasciargli tempo di dedicarne una gran parte a seguire diverse iniziative. Per giunta da quando Namjoon aveva iniziato ad avere successo come compositore, Seokjin non aveva più avuto bisogno di accettare tutti i lavori disponibili e poteva anche permettersi di selezionare i progetti su cui voleva lavorare.

Jimin che si trovava incastrato in uno noiosissimo lavoro d'ufficio, invidiava moltissimo il loro stile di vita e, allo stesso tempo, ne era fiero.

Si ricordava di quando Namjoon lavorava part-time in un pompa di benzina e componeva canzoni la notte, mentre Seokjin si destreggiava tra mille lavori come cameriere, ragazzo immagine e fotografo. Era stato quando la famiglia di Seokjin lo aveva definitivamente scaricato, costringendo quest'ultimo ad abbandonare gli studi e a cavarsela da solo, in tutto, nella vita alleta di soli 21 anni. Certo, c'erano molte persone costrette a fare lo stesso ma Seokjin veniva da un mondo dorato e non era preparato ad affrontare la cruda realtà.

Neppure Jimin lo sarebbe stato.

Tuttavia Seokjin e Namjoon, insieme, erano riusciti a conquistarsi una vita per se stessi, una bella vita, una che molti numeri due non avrebbero potuto mai sognarsi.

Tornando alla sua situazione, Jimin si rendeva conto che l'aver visto Jungkook ballare, aveva smosso qualcosa in lui, qualcosa che pensava di aver sepolto sotto anni di rassegnazione ma che in qualche modo era sopravvissuta, dormiente e aspettando il momento di tornare. Jimin non aveva mai voluto rinchiudersi nei circoli zero, sebbene fosse uno zero lui stesso, non si sentiva a suo agio a vivere da zero con soli zero e fare cose da zero. Non faceva per lui. Forse il suo era un disperato tentativo di negare la realtà ma i circoli zero lo rattristavano, quasi fossero la parodia di un club di anime sole.

Tuttavia se voleva tornare a ballare era il solo posto che gli avrebbe permesso di ricominciare. A lui e a Jungkook, se questi lo desiderava. Jimin sperava dicesse di si.

Perciò dopo aver spiegato la sua idea a Seokjin, il suo amico si era preso il compito di dargli tutte le informazioni possibile e immaginabili sui corsi, con tanto di volantini e pamphlet esplicativo.

“Doveva proprio essere questo Jeon Jungkook a farti voler tornare a ballare?” Seokjin aveva detto esasperato ma lui sapeva che una parte del suo amico era entusiasta per Jimin.

Così Jimin aveva approfittato della pausa pranzo ed era andato all'università di Jungkook. Gli orari delle sue lezioni li aveva trovati facilmente su internet e anche se la cosa lo metteva a disagio si disse che era meglio che chiedere il numero ai suoi dopo aver detto loro di volere una pausa.

Jeon Jungkook era avvenente come se lo ricordava e aveva sempre quell'aura radiosa che nessuna parola che uscisse dalla sua bocca, per quanto velenosa, riusciva a cancellare. Doveva essere una sorte di dote personale del ragazzo.

Jimin era stato contento di trovarlo più calmo e ben disposto. E così anche questo è Jeon jungkook, si disse.

“No”.

Aveva detto il più giovane.

“il mio migliore amico fa volontariato presso un'associazione. Non fare quella faccia, so che già cosa dirai, neanche a me piacciono i circoli zero. Ma mi fido di Seokjin e comunque è l'unica struttura in centro in cui diano lezioni di ballo hip hop” per noi numeri zero almeno, si era trattenuto dall'aggiungere Jimin, ma a giudicare dallo sguardo di Jungkook, l'informazione era stata tristemente implicita.

“ Promettimi che ci penserai. Per favore, almeno la prima non mi piacerebbe andarci da solo. Poi ti assicuro che se vorrai potrai anche non venire più.”

In un certo senso il suo, era stato un colpo basso.

Se Jungkook aveva amato ballare come e quanto Jimin sarebbe stato impossibile per lui dire di no, la tentazione troppo forte. E questo apriva ampie speculazioni sul perchè Jimin si fosse dato tanto da fare per Jungkook, giocandosi sin da subito una carta così pesante.

“Non li puoi salvare tutti” aveva detto Seokjin. Ma Jungkook non aveva bisogno di essere salvato. Forse sono io. E anche e quella era una parte di verità.

Jimin scosse la testa. Più ci pensava, più gli sembrava ingarbugliato.

Così Jimin quel giorno si vestì con gli abiti più comodi che possedeva, quelli che indossava nei weekend oziosi e per andare a fare jogging, ossia pantaloni larghi e maglietta ancora più larga.

Il circolo zero era a una paio di isolati da casa sua e perciò decise di andarci a piedi, e dopotutto un po' d'aria gli avrebbe fatto senz'altro bene. Una volta arrivato non esitò sulla soglia ed entrò subito all'interno dell'edificio. Seokjin era già alla reception che lo salutava con uno dei suoi disarmanti sorrisi.

“ Jimin. Come va? Il tuo ragazzo d'oro?”

“ ragazzo d'oro? Veramente?”

“Sto scherzando, hyung sta scherzando!” Jimin lo guardò male ma fu distratto dal fruscio di porte di vetro che si aprono in automatico. Si voltò. Jungkook era li, cappuccio calato in testa e l'aria di chi non sa bene dove andare. Gli sfuggì un sorrise. Jungkook accortosi di lui gli venne incontro.

Jimin registrò vagamente il fatto che Seokjin stesse scannerizzando con lo sguardo il povero ragazzo. Il numero due a volte si comportava come un genitore iper protettivo: era imbarazzante.

“ Ciao” gli disse Jimin.

“ Ciao” aveva mormorato Jungkook.

“ Sono contento che sei venuto. Jungkook ti presento il mio miglior amico, Kim Seokjin.”

“Piacere” aveva detto Seokjin formale ma con educazione. Gli aveva persino sorriso. Jungkook ripose 'piacere' a sua volta ed entrambe erano rimasti a studiarsi per qualche secondo. Poi Seokjin scoccò una tale occhiata a Jimin da farlo quasi arrossire.

“ Direi di avviarci! Le lezioni stanno per incominciare. Possiamo iscriverci dopo.” Jimin esclamò in preda al panico.

“ La lezione. Jimin avevi promesso una lezione!” Jugnkook disse duro ma Jimin riconobbe una nota di panico. Si anche lui si sentiva nervoso all'idea di ballare.

Seokjin invece lo aveva guardato di sottecchi, con sospetto.

“Va bene. Decideremo dopo. Ora andiamo.” E aveva trascinato Jungkook lungo il corridoio.

Jungkook non disse nulla ma si limitò a farsi condurre da Jimin.

Jimin immaginava cosa Seokjin credeva di aver visto.

Fisicamente Jungkook era diverso da tutte le persone che Jimin aveva frequentato. Ma quello sguardo. L'aria un po' minacciosa e la riluttanza.

Soekjin credeva di aver rivisto la copia di qualcuno che per Jimin era stato importante.

Si sbagliava di grosso però.

Jungkook non era affatto come Min Yoongi. Yoongi non aveva fatto che mentire a se stesso e nel processo aveva mentito a Jimin. Jungkook invece per quanto duro e decisamente poco carino nei modi, non gli aveva mai mentito. Era sempre stato sincero nelle sue intenzioni.

Ed era questo, ciò che lo rendeva così dannatamente affascinante.

Non era tanto il suo aspetto anche se Jimin oggettivamente aveva ammesso di trovarlo attraente. Era quella fiamma viva che gli bruciava sotto la pelle, quel suo voler essere sempre se stesso a qualunque costo.

Qualcuno l'avrebbe chiamata disperazione Jimin la vedeva per quello che era.

Una voglia ostinata e irrefrenabile di vivere.

Jimin continuò a trascinarlo per una manica fino alla porta dell'aula in fondo al corridoio. Solo allora si fermarono e Jimin lo lasciò andare, quasi a volergli dare un'ultima possibilità di tornare indietro. Ma Jungkook rimase.

Con un sospiro Jimin aprì la porta seguito da Jungkook.

Si guardarono intorno abbacinati per un attimo dalle luci al neon.

Poi sentì il sonoro sbuffare di Jungkook.

Jimin avrebbe voluto mettersi a ridere.

“ Prego entrate, entrate! Jinnie mi ha parlato di voi!” il professore aveva esclamato richiamando l'attenzione generale su di loro. Jimin avrebbe voluto che la terra lo inghiottisse. Jeon Jungkook 23 e Park Jimin 26 (quasi 27) si trovavano in quel momento in una classe in cui , a voler essere generosi, l'età media sfiorava i diciassette.

“ Io sono Lee Seunghyun e questa è la mia classe” i ragazzi e il maestro sembravano aspettarsi una risposta e Jimin si rese conto che stavano aspettando che si presentassero.

“Park Jimin” il maestro Seunghyun gli sorrise, poi il suo sguardo si sposto sull'altro numero zero.

“ Jeon Jungkook” disse questi con tono funereo.

“ Ottimo! Prego accomodatevi pure in fondo! Si inizia” Jimin si tolse la giacca e così anche Jungkook e se gli sguardi potessero uccidere Jimin sarebbe caduto a terra almeno da un minuto.

Jimin sospirò. Sarebbe stata una lunga lezione.

 

 


 


NdA: ci siamo! Ora diamo tempo al tempo e vediamo come le cose si evolvono. Seungri come maestro di ballo era un'idea troppo carina per ignorarla =D

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Capitolo 8
*** 00.3 ***


00.3

 

 

 

 

Tornare a ballare fu come tornare a casa dopo che si era stati lontani per tanto tempo.

C'era quel senso di 'finalmente' nel sentire i muscoli tendersi anche se con fatica, nel fiatone che inevitabilmente aveva causato lo sforzo fisico. Tuttavia per quanto faticoso, e lo era stato perchè il maestro Lee li aveva istruiti con la stessa solerzia di un despota, Jungkook era stato felice. Per quell'ora e mezza di lezione era stato come se la luce della stanza si fosse fatta più chiara.

“Sei meno Jeon Jungkook del solito, kookie” Taehyung aveva commentato il giorno successivo, con quella che doveva essere una battuta. Jungkook si era limitato a roteare gli occhi esasperato.

Questo non voleva dire che non avesse provato a resistere alla chiamata in tutti i modi possibili. Era scappato come un ladro quel martedì sera, piantando Jimin all'ingresso della porta con appena un saluto di commiato e nessun ringraziamento.

Era destino, si disse, doveva sempre fare la parte del maleducato quando si trattava di Park Jimin.

La verità era che tornare a ballare aveva scatenato emozioni forti in lui e, allo stesso tempo, aveva riaperto una ferita profonda che aveva seppellito sotto strati di orgoglio e cinismo. Aveva rinunciato a ballare una volta e non importava quanto ineluttabile fosse il suo destino da numero zero, nessuna risoluzione, per quanto forte, poteva cancellare il fatto di aver abbandonato la cosa a cui aveva tenuto di più. In un certo senso tutta la sua determinazione nel tenere fede ai suoi piani era figlia anche di questa grande rinuncia.

Era stato inevitabile quindi, per Jungkook scappare quella notte, rintanarsi nel suo appartamento e cercare di affrontare il caos emotivo che tale esperienza aveva scatenato. Era stato facile anche avercela con Park Jimin e dare tutta la colpa a lui. Per essere il numero zero scelto dai suoi genitori, per averlo trascinato su una pista da ballo dopo che era stato così difficile staccarsi una volta.

Tuttavia quando giunse giovedì, i piedi di Jungkook lo trascinarono ancora una volta in direzione di quello stupido circolo,a quella stupida lezione, con Park Jimin. In tutta onestà non poteva dire di essere stupito.

“Quindi, cosa hai detto che fai nella vita?”.

Jungkook si dondolò sui talloni. Kim Seokjin, il biondo receptionist e migliore amico di Jimin, aveva uno dei visi più perfetti che Jungkook avesse mai visto. Anche uno degli sguardi più intimidatori.

“Studio economia. E lavoro. Part-time.” aveva risposto Jungkook a frasi spezzate, guardando il receptionist negli occhi, come un domatore che tiene d'occhio una belva.

“ Bravo. E quanti anni hai Jungkook?” a Jungkook sembrava più un interrogatorio che una conversazione ma essendo arrivato in anticipo ed essendo l'unica persona presente nell'atrio, non aveva altra scelta che sottoporsi a quella tortura.

“ 23.”

“Sei proprio, giovane” commentò Seokjin inarcando un sopracciglio, quasi la sua età corrispondesse a un difetto.

“Già”. Jungkook rispose a denti stretti. Questo Kim Seokjin non gli piaceva.

Jungkook era bravo a far capire alle persone quando non voleva avere niente a che fare con loro. Dopotutto quello con il talento con le persone era sempre stato Taehyung, Jungkook era invece il ragazzo che non aveva filtro cervello-bocca, quello brillante ma difficile da approcciare. Era pertanto altrettanto bravo a capire quando, a sua volta, le persone non volevano avere a che fare con lui. E questo Kim Seokjin sembrava non avere sentimenti troppo amichevoli nei suoi confronti anche se Jungkook non riusciva a capire il perchè.

“Sei venuto” esclamò una voce leggera. Così indiscutibilmente Park jimin.

Jungkook si voltò di scatto, un'espressione di sollievo che si faceva strada sul suo volto, la stessa dipinta su quello di Jimin anche se per ragioni diverse. Jungkook si limitò a scrollare le spalle. Si sentì perforare dallo sguardo del receptionist il quale sembrava aver trovato offensivo persino quell'innocuo gesto. Tanto per sottolineare dove stessero le sue preferenze Kim Seokjin salutò Jimin con un grosso sorriso.

Jungkook lasciò che i due chiacchierassero tra di loro e si lasciò cadere su una delle sedie in atrio. Misurò con sguardo assente la stanza mentre uno ad uno gli studenti del corso di ballo si materializzavano. Jungkook li guardò sfilare davanti ai sui occhi mentre sorridenti e a gruppi si dirigevano verso l'aula. Jungkook si chiese se fossero tutti numero zero o se ci fosse qualche numero uno tra loro, perchè i loro sorrisi erano troppo genuini per essere finti. Oppure era semplicemente il fatto di andare a fare quello che amavano che dava loro quell'aura di essere al mondo solo per essere felici. Si lasciò sfuggire un sorriso.

Probabilmente, 7 anni prima era stato uno di loro.

“Andiamo?” Jimin era davanti lui in attesa. Jungkook si alzò e come l'ultima volta si lasciò guidare dall'altro numero zero. Gettò uno sguardo al biondo receptionist che lo stava fissando a sua volta. Si chiese distrattamente che numero fosse.

Per fortuna il maestro Lee non sentì il bisogno di richiamare l'attenzione su di loro(cosa di cui Jungkook fu grato perchè era stato abbastanza imbarazzante sentire sussurri e risolini la prima lezione) e incominciarono con il riscaldamento. Jungkook aveva ancora un po' i muscoli indolenziti ma sapeva che solo l'esercizio lo avrebbe aiutato a sentirsi meglio e perciò si concentrò sulla lezione.

La routine era complicata, la classe doveva essere di un livello avanzato e probabilmente Kim Seokjin quando aveva chiesto informazioni al maestro Lee, doveva aver avuto ben presente il livello di Jimin, abbastanza da sapere che non sarebbe stato un problema per lui. Quello che si chiedeva era come aveva saputo che non lo sarebbe stato neanche per Jungkook. Gettò uno sguardo attraverso lo specchio e vide Jimin mentre distendeva i muscoli delle gambe. Alle superiori Jungkook aveva saputo benissimo chi era Park Jimin e allo stesso tempo era ben sicuro Jimin non avesse mai sospettato della sua esistenza. Alcuni ex allievi esperti venivano invitati l'anno successivo al loro diploma ad assistere alle esibizioni importanti del club di danza.

Jimin non aveva più messo piede a scuola una volta diplomatosi.

Era certamente vero che il club di danza raccoglieva principalmente ballerini di talento, ma non tutti ballavano ad alto livello in quanto la politica del club era sempre stato privilegiare la passione piuttosto che la bravura.

L'unico modo per Jimin di constatare il livello di Jungkook, era aver visto i suoi vecchi video.

Jungkook scosse la testa. Non era il momento per farsi domande.

Andarono avanti per un'ora prima di fare una pausa. I ragazzi più giovani si riunirono fra di loro lanciando occhiate ancora curiose verso i due nuovi acquisti, probabilmente vedevano Jungkook e Jimin come due pazzi lunatici. Jungkook li ignorò. C'era un movimento della routine che non gli riusciva. Approfittò della pausa per avere lo specchio tutto per se e riprovare i movimenti, capire dove sbagliava.

Un ombra incrociò la sua. Alla sua destra, riflesso nello specchio, c'era Jimin. Non disse una parola ma si limitò a riprendere dallo stesso punto da cui lui aveva iniziato. Jungkook smise di muoversi per un attimo ma mentre osservava i movimenti di Jimin, capì. Si rimise in posizione e insieme rividero i passi.

Finalmente il movimento gli riusci. Nessuno dei due disse nulla ma si scambiarono uno sguardo d'intensa attraverso lo specchio e di colpo si trovò di nuovo a 14 anni in una palestra a osservare un giovane Jimin ballare come se fosse l'unica cosa per cui era nato. Senza neanche accorgersi ripassarono tutta la routine insieme perfettamente in sincrono. Quando si fermarono con il fiatone e con il sudore che colava dalle tempie si resero conto che tutti li stavano osservando compreso il maestro Lee. Jungkook tenne la testa bassa mente Jimin sorrise imbarazzato.

La lezione continuò come se nulla fosse ma qualcosa era cambiato. Jungkook aveva disprezzato Jimin alle superiori e da adulto lo aveva contrastato per quello che rappresentava: un compagno imposto dalla sua famiglia che lui non aveva mai voluto. Ma come ballerino, come ballerino, Jungkook lo aveva sempre, sempre, rispettato.

A lezione finita quando tutti se ne furono andati ed erano rimasti solo loro due a mettere via le cose nei rispettivi zaini, asciugamani umidi e bottiglie d'acqua mezze vuote, Jungkook cercò con lo sguardo Jimin. Quest'ultimo sembrava intento a chiudere il suo zaino.

Si morse il labbro.

In piedi con le mani in tasca e un po' incerto sul da farsi aspettò che Jimin si accorgesse di lui.

“Mm?” Jimin si accorse di essere osservato, e inclinò la testa di lato in ascolto. Jungkook scosse la testa.

Era folle. Era ciò che si era ripromesso di non fare. Era anche la cosa che più di tutte voleva fare.

Al diavolo.

“ Voglio continuare a ballare.” disse dopo un po'.

Il sorriso che Jimin gli rivolse avrebbe potuto illuminare una città.

 

 

 

 

 

 

Jimin dovette trattenersi dal saltare sul posto, aveva 26 anni (quasi 27), doveva mantenere un minimo di contegno. Ogni tanto, quando si trattava di Jungkook gli sembrava quasi di star cercando di addomesticare un animale selvatico. Dovevi camminare in punta di piedi ed aspettare fosse lui a fare la prima mossa. Era una sfida continua ma anche una molto avvincente. In quel caso però non fu affatto cauto e trascinò Jungkook di corsa verso la reception a fargli firmare l'iscrizione, quasi temendo lui potesse cambiare idea. Jungkook era sembrato seccato, la fronte corrugata in disappunto, ma Jimin sapeva era tutta scena. Stava iniziando a capire che spesso Jungkook faceva il duro solo nel tentativo, vano, di mascherare i suoi veri sentimenti.

Era un modo di fare che per qualche motivo gli scatenava degli istinti protettivi che non avevano ragione d'esistere dal momento che Jungkook era quindici centimetri più alto e, a giudicare dalla stazza, poteva tranquillamente difendersi da solo.

Seokjin aveva dato il modulo a Jungkook senza commentare e si era limitato a rivolgergli un lungo sguardo pensieroso. Jimin inclinò leggermente la testa, confuso.

Il suo miglior amico non aveva ancora parlato con lui ma Jimin sapeva che era solo una questione di giorni, Seokjin era infatti una persona incapace di finzione e molto diretta. In effetti Seokjin e Jungkook erano molto simili a riguardo.

Jungkook compilò il modulo in fretta e furia lanciando occhiatacce al povero foglio di carta quasi l'oggetto inanimato rappresentasse una minaccia. Jimin dovette trattenersi dal ridere.

“Fatto” aveva poi detto il più giovane.

“Bene! Sono proprio contento” Jungkook aveva annuito e sembrava sul punto di scappare da un momento all'altro, ma Jimin non aveva intenzione di finire la serata in modo brusco come la lezione precedente.

“Ti va di mangiare qualcosa? Offro io” aveva chiesto speranzoso.

Quando Jimin aveva chiesto, implorato, i suoi genitori di lasciargli del tempo, lo aveva fatto con un proposito. Sapeva che stando così le cose, Jungkook non avrebbe mai accettato di passare del tempo con lui, il fidanzamento pendente sarebbe stato un deterrente troppo grande. Certamente non c'era garanzia alcuna che Jungkook avrebbe voluto essere suo amico anche con il fidanzamento interrotto e non era nel potere di Jimin poterli liberare da quell'impegno incombente. Se avesse potuto non avrebbe esitato a farlo.

L'unico modo per avvicinarsi era il non essere costretti a farlo.

“Io..” Jungkook sembrò soppesare la proposta, incerto.

“Ciao” tuonò un vocione dall'ingresso.

Era inaspettato perchè nessuno frequentava il circolo a quell'ora, ma non fu difficile capire chi fosse anche senza voltarsi. Dal sorriso radioso di Seokjin non poteva che trattarsi di Namjoon. Numeri due.

L'umore della stanza cambiò così improvvisamente che anche Jungkook sembrò riconoscere subito Namjoon per quello che era, un'anima gemella. La cosa sembrò accendere un lampo di comprensione nei suoi occhi.

“Non posso. Magari un'altra volta?” Jungkook rispose. Sembrava un po' dispiaciuto ma anche desideroso di andarsene da lì il prima possibile. Jimin lo lasciò andare.

“Ok. A martedì allora”. Jungkook gli aveva sorriso, un sorriso di cortesia quello che non arrivava agli occhi, così diverso da quello complice che si erano scambiati attraverso uno specchio. Quando Jungkook fu sparito oltre le porte scorrevoli Jimin si lasciò scappare un sospiro, perchè dopotutto lo capiva. Lo avrebbe sempre capito.

Siamo solo numeri zero. Così abituati alla solitudine, così spaventati di fronte all'evidenza che le nostre pallide esistenze, che i nostri timidi incontri, non reggono il confronto con il grande amore che gli altri vivono. L'amore da numeri due.

 

 

 

 

 

Seokjin si era lasciato cadere sul divano il momento stesso in cui erano giunti a casa. Aveva lasciato che Namjoon si offrisse volontario per preparare il tè (per un altro mese non avrebbe sicuramente rotto un'altra tazza) e aveva acceso la televisione senza veramente guardarla ma lasciandosi coccolare dalle voci e dai suoni.

Chiuse gli occhi per un attimo.

Era stanco. Era un po' preoccupato.

Qualche minuto dopo sentì la mano calda di Namjoon posarsi sulla sua spalla e stringerla, in un gesto che voleva essere rassicurante. Seokjin sorrise aprendo gli occhi, e prendendo la tazza dalle mani del suo numero uno prima che questa facesse una brutta fine.

“ Giornata lunga.”

“Si.” rispose Seokjin lasciando che Namjoon lo stringesse al suo fianco.

Namjoon aveva probabilmente avuto una giornata più complicata della sua, ma il suo numero uno non era mai stato il tipo da portare le preoccupazioni del lavoro a casa e spesso Seokjin aveva dovuto estrargli con la forza le preoccupazioni che rischiavano di soffocarlo. Ma Namjoon era fatto così e dopo tutti quegli anni insieme Seokjin aveva capito che il modo per Namjoon di liberarsi dei suoi brutti pensieri era ascoltare quelli degli altri. Tuttavia si era fatto promettere che se un problema fosse diventato grande, ne avrebbe parlato insieme. Per fortuna la promessa non era stata mai infranta anche se per ogni evenienza Seokjin stava sempre attento a non lasciarsi sfuggire i suoi stati d'animo. Perchè la sua anima gemella manteneva le promesse ma era anche sbadato quando si trattava di se stesso.

“Sono preoccupato per Jimin”aggiunse Seokjin.

“ E' per quel numero zero, Jungkook?”chiesee Namjoon appoggiando il mento sulla sua testa.

“ Già. Sembra un clone di qualcuno già visto”.

“ Jin ricordati che le persone non sono fatte a stampo.”

“ Lo so. Però è anche vero che Jimin sceglie sempre uno stesso tipo.”

Namjoon rimase in silenzio per un attimo. “Jungkook era quel ragazzo moro che ho visto alla reception?”

“ In persona”.

“Sembra molto giovane.”

“Lo è. Ha solo 23 anni!”

“Adesso non parliamo come se noi ne avessimo superato la metà del secolo. E comunque io non mi preoccuperei” disse prendendo la tazza di Seokjin e bevendo un po' del suo tè.

Seokjin si voltò per guardarlo negli occhi. Namjoon era una persona intelligente, non solo perchè aveva un quoziente intellettivo superiore alla media, ma sopratutto perchè era un persona riflessiva, che coglieva i particolari e riusciva a mettergli insieme e trarre un quadro preciso.

“Perchè dici questo?” chiese Seokjin incuriosito “lo hai visto per pochi secondi e non hai mai parlato col ragazzo.”

“Neanche tu hai passato tutto questo tempo con lui. Tu lo dipingi come un moccioso impertinente. Può essere.

Io ho visto un ragazzo spaventato invece.”

Seokjin rimase in silenzio per un lungo attimo.

“ Gli darò il beneficio del dubbio. Giusto perchè ogni tanto ci azzecchi non perchè tu abbia ragione.”

Namjoon rise.

Seokjin gli diede una gomitata nelle costole.

“ Ero serissimo.”

“Giusto” Seokjin lo fulminò con lo sguardo ma era impossibile rimanere irritati con Namjoon.

Pensò alla lunga strada percorsa che gli aveva portati a quel momento, a condividere un divano, ad avere un luogo da chiamare casa, ad essere felici. Ripensando a come erano state le loro circostanze all'inizio, neppure lui l'eterno romantico Seokjin, aveva potuto immaginarsi un lieto fine. Desiderava con tutto se stesso che Jimin potesse averne uno, perchè non c'era nessuno che se lo meritasse di più. Il suo cuore sperò e pregò mentre Namjoon stringeva la mano nella sua.

Se era capitato a Seokjin, poteva capitare a Jimin. Dopotutto quando lui aveva conosciuto Namjoon, l'unico ad essere stato entusiasta era stato Seokjin.

 

 

 

 

 

 

 

Jungkook si era diretto stizzoso verso casa.

E così persino Kim Seokjin aveva un'anima gemella.

Jungkook non era uno da melodramma, checchè ne dicesse Taehyung, ma era stato come essere colpiti da una doccia fredda e in quel momento l'unica cosa che era stato in grado di pensare era chiedersi cosa diamine stava facendo.

Non erano amici, non erano anime gemelle, erano solo numeri zero che ballavano per rivivere emozioni sepolte e che si erano incontrati per il crudele scherzo del destino. Jungkook sapeva che era sicuramente lunatico e che non c'era niente di male nell'accettare di mangiare con Jimin ma Jungkook non voleva complicare le cose. La verità era che gli sembrava di venir trascinato in un vortice e non conosceva la direzione.

“I cambiamenti fanno sempre paura Taehyung” Jungnkook aveva detto quando il suo miglior amico aveva appreso che Hoseok sarebbe stato via un anno all'estero. Jungkook credeva di sapere il significato di quelle parole ma non erano mai sembrate più appropriate di quel momento.

Jungkook decise di fermarsi a metà strada e prendere qualcosa per la sua cena, non era esattamente dell'umore per mettersi ai fornelli. Si diresse verso un fast food non lontano da casa sua, sperando che una quantità insalubre di cibo lo avrebbe riaffrancato. Ma poi una volta a pochi passi dal locale si fermò di colpo. Quello di trovarsi fuori da edifici incerti su cosa fare era destinato a diventare un'abitudine.

Quante possibilità c'erano. Quante. Quante quelle probabilmente di nascere numeri zero. Eppure a un tavolo di quel fast food, se i suoi occhi non lo ingannavano, era seduto proprio Park Jimin che addentava un panino più grosso della sua faccia, un bicchiere gigante di coca cola di fronte a lui.

Jungkook non era stato ancora notato e quindi poteva ancora passare oltre e fare finta di non averlo visto.

Eppure come era successo per la lezione di ballo, i suoi piedi si diressero da soli verso la porta e si rese conto che una parte di lui doveva volerlo.

Aprì la porta e con gli occhi fissi su Park Jimin ma senza l'esitazione del loro primo incontro si sedette sul suo stesso tavolo.

“Ciao”. Disse.

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Oh. L'ho fatto, ho finalmente parlato di Seokjin e Namjoon. Non sarà l'ultima volta che lo farò. Per il momento comunque mi concentrerò su jikook. Sono contenta di aver potuto finalmente pubblicare il nuovo capitolo, non è stato semplice ed ho fatto del mio meglio. Un grazie ai commentatori e lettori <3

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Capitolo 9
*** 00.4 ***


00.4

 

 

Jungkook era seduto ad un tavolo, le dita che tamburellavano al ritmo della coreografia di quella sera.

Era uno di quei trucchetti psicologici che gli consentivano di prendere tempo e non commettere l'irreparabile, una tattica imparata anni prima che era stata necessaria, visto quanto spesso le idee geniali di Taehyung finivano male.

Certamente non era stato così che si era immaginato la sua cena, non con Kim Seokjin che si affaccendava a tamponare furiosamente il tavolo; non con Park Jimin che chiedeva scusa ai vicini per l'inconveniente; e certamente non dopo che un maldestro tizio dai capelli verdi, che pensava fosse una buona idea indossare gli occhiali da sole alle dieci di sera, gli aveva rovesciato metà delle bibite addosso.

Ti chiedo scusa Taehyung. Per tutte le volte che ho pensato che tu fossi un disastro.

 

 

 

 

Il tavolo era piccolo per due persone, perciò quando Jungkook nella fretta addentò il suo panino, i suoi gomiti cozzarono con quelli di Jimin.

“Scusa” disse Jungkook dopo che gli riuscì di deglutire il grosso boccone in bocca.

Taehyung era solito dire che quando Jungkook mangiava era come assistere al pasto di qualcuno che non mangiava da giorni e che era uno spettacolo disgustoso e terrificante. Jungkook aveva sempre pensato che Taehyung non avesse molto diritto di lamentarsi visto che lui stesso non aveva maniere a tavole, ma quando metà della lattuga cadde dal panino, insieme a una buona dose di salsa, sul tavolo, Jungkook non poté fare a meno di vergognarsi. Non si trovava con una persona famigliare ma con Park Jimin, probabilmente la persona più lontana da tutto ciò che era Kim Taehyung. Imbarazzato guardò di sottecchi Jimin che lo stava osservando.

Jimin scosse la testa, come a voler dire figurati, per poi a sua volta ingollare uno smodato sorso di coca cola, riuscendo a farne uscire un po' dagli angoli della bocca e soffocarsi con il resto.

Jungkook rise e colpì la schiena dell'altro numero zero, che sembrava sul punto di soffocare.

Chissà perché la sbadatezza dell'altro riuscì a tranquillizzarlo di colpo.

“Siamo due essere incivili” commentò Jimin dopo che si fu ripreso abbastanza da riuscire a parlare.

“Già”. Rispose Jungkook con un mezzo sorriso.

Quando Jungkook si era seduto al tavolo di Jimin, quest'ultimo era sembrato sorpreso ed anche piuttosto in preda al panico. Aveva blaterato qualcosa di inintelligibile, anche se Jungkook temeva di non essere stato molto più eloquente, e si era offerto di sorvegliare il suo zaino mentre lui andava a ordinare al bancone. Jungkook aveva poi deciso di aspettare al banco che il suo panino venisse riscaldato nel tentativo di guadagnare tempo e farsi venire in mente qualche argomento di conversazione.

Quando tornò al tavolo, naturalmente, non gliene era venuto in mente neanche uno.

Era contento che l'imbarazzo si fosse rivelato solo momentaneo.

“Mm. Jungkook. Hai fatto qualcosa d'interessante in questi giorni?” era la solita domanda di routine per spezzare il ghiaccio ma Jungkook era grato che almeno Jimin ci stesse provando.

“Interessante, non molto. Il solito. Università, studio. Cercare di sopravvivere a Kim Taehyung” Jungkook disse per poi all'occhiata perplessa di Jimin, specificare “il mio migliore amico”.

“Ne so qualcosa di sopravvivere ai migliori amici” Jimin commentò sorridendo e Jungkook pensò all'algido Kim Seokjin ed annuì.

“ Si beh, non credo tu abbia mai incontrato qualcuno come Taehyung prima d'ora, hyung. E' un'altra specie, giuro”. Jungkook scosse la testa addentando l'ultimo boccone del suo panino.

“ Significa che lo sei anche tu visto che sei il suo migliore amico.”

“Ovviamente. Ha iniziato a convertirmi alle elementari ed ha completato il suo lavoro alle superiori. Ora sono di un'altra specie da anni.” Jimin ridacchiò.

“ Quindi ha frequentato la nostra stessa scuola?” Jimin poi chiese.

“ Si. Anche se non era nel club di danza. Era nel club di astronomia, ed era anche parecchio bravo e se ricordo bene credo abbia rivoluzionato l'intero club. Immagino non se ne dimenticheranno molto presto.”

“ Il suo nome sembra famigliare in effetti” Jimin disse.

Jungkook bevve un sorso della sua soda per poi rendersi conto che erano entrati in argomento 'scuola superiore' ed era l'ultimo argomento che avrebbe voluto sfiorare. Perchè avrebbe voluto dire parlare di tutto ciò che era successo e Jungkook non era sicuro di voler sentire quella storia, mai, quindi cercò di cambiare repentinamente conversazione.

“E tu hyung cosa hai fatto? Il tuo lavoro?” si rivelò una tattica vincente perchè presto Jimin si lanciò in una dettagliata descrizione degli ultimi giorni. Jugnkook si trovò intento ad ascoltarlo mentre parlava del suo lavoro, del suo capo e dei suoi colleghi.

Doveva aspettarselo.

Era dannatamente facile parlare con Jimin.

Jungkook non era un chiacchierone e l'unico che era stato veramente in grado di farlo uscire dal suo guscio era stato Taehyung. Jungkook, in seguito,si era rivelato essere altrettanto vivace, altrettanto folle, ma in ogni caso non era facile per lui andare d'accordo con le persone anche quando voleva. E quando non ci riusciva fingeva, perchè da numero zero aveva affinato questa arte.

Eppure non doveva fingere con Jimin.

Era così facile che Jungkook si dimenticò le circostanze, e tutte le sue rimostranze e qualsiasi riluttanza avesse avuto nei suoi confronti. Fu solo quando la cannuccia risucchio il fondo della lattina che si rese conto del tempo effettivamente trascorso.

Jungkook sbatte gli occhi.

“Ne vuoi un'altra?” gli chiese Jimin gentilmente, divertito dallo sguardo oltraggiato che Jungkook aveva lanciato alla lattina.

“No. Sono a posto.” disse Jungkook, dando un'occhiata al suo orologio. Un'ora. E non se ne era neanche accorto.

“E' un po' tardi però Jimin hyung. Domani mi alzo presto”. Per una volta non era neanche una scusa e Jungkook cercò di sembrare dispiaciuto di dover interrompere il loro tempo. Non dovette fingere il sentimento.

“ Va bene. In effetti anche io non dovrei fare tardi.” Jungkook annui, ben sapendo che Jimin lavorava in ufficio e che era, a tutti gli effetti, un adulto responsabile, per quanto dall'aspetto non lo sembrasse affatto.

Lo era nei modi però, in come lo ascoltava, in come non l'avesse mai pressato.

Non aveva chiesto a Jungkook perchè era rimasto e non sembrava affatto scoraggiato da nessuno dei suoi comportamenti, per quanto questi si fosse sempre comportato ai limiti della maleducazione.

 

Per la prima volta Jungkook si chiese perchè Jimin avesse accettato un matrimonio combinato tra numeri zero.

 

“Ci vediamo martedì prossimo hyung. E grazie ancora” Jungkook disse dopo che Jimin ebbe insistito per offrirgli la cena e aver quindi dovuto cedere. ” La prossima volta offro io però” gli sfuggi di bocca sorprendendo persino se stesso.

“Ci conto allora” rispose Jimin, sembrava colto di sorpresa ma un sorriso gli illuminò il viso.

Jungkook si ritrovò a ricambiare il sorriso come gli succedeva spesso in quegli ultimi giorni, perchè il sorriso di Jimin era contagioso.

Esistevano persone così dunque, che sorridevano con facilità senza doverci pensare, senza motivo, senza aver bisogno di essere numeri due per farlo.

Park Jimin era evidentemente, una di quelle.

 

 

 

 

 

Jimin si riteneva una persona positiva. Il suo motto era sempre stato “svegliarsi al mattino con il sorriso” da sin da quando era giovane, e non importava quanti problemi, quanti litigi e quanti motivi potenziali ci fossero per essere tristi. Ogni mattina era un nuovo giorno e in quanto tale non era ancora successo nulla per cui il suo umore dovesse rabbuiarsi.

Tuttavia ciò non toglieva il fatto che da molto tempo sentiva la sua vita sfuggirgli via.

Si sentiva solo, alla deriva sull'oceano del nulla, e anche le cose più normali erano diventate difficili.

Cose come andare a lavorare o trovare qualcosa con cui occupare i suoi giorni liberi. C'era quel senso di vuoto, di incompiuto, la sensazione di sprecare tempo e la paura un giorno di trovare che di tempo ne era trascorso troppo e lui era rimasto nella stessa posizione, immobile.

Ultimamente però andare ogni giorno in ufficio era diventato più facile.

Era sempre un lavoro che non gli piaceva tantissimo e che vedeva come un dovere, uno dei tanti a cui avrebbe dovuto abituarsi per molti anni a venire se non per tutta la vita. Tuttavia da quando i suoi genitori erano venuti quel giorno a proporgli un compagno, molte cose erano cambiate.

Innanzitutto, in una delle sue più brillanti decisioni degli ultimi cinque anni e forse anche di tutta la sua esistenza, aveva ritrovato qualcosa che aveva pensato di aver per sempre.

Eppure doveva saperlo che ballare era una parte di se, che lo sarebbe sempre stato. Come aveva pensato di poter farne a meno?

E poi c'era Jungkook. Ogni volta che Jimin cercava di razionalizzare Jeon Jungkook e tutto ciò che lo riguardavo, si trovava perso nel bandolo della matassa. Perciò andava d'istinto a tentativi, sperando di fare la mossa giusta.

Avevano cenato insieme altre due volte di fila dopo quella prima volta. Si era divertito ogni volta e credeva che fosse lo stesso anche per Jungkook o non avrebbe accettato di cenare insieme il giovedì dopo.

Jeon Junkook era sveglio, divertente e un tantino impertinente, ma di quel tanto che bastava per stuzzicare senza offendere.

“Ti piace” disse Seokjin inclinando la testa. Jimin lo aveva aggiornato sulle ultime novità durante uno dei loro incontri a pranzo settimanali.

“Cosa?” rispose Jimin cercando di non soffocare come l'ultima volta. Era stato imbarazzante.

Seokjin lo guardò in tralice, con quel suo sguardo che era capace di leggere Jimin come un libro aperto.

Parlo di Jeon Jungkook” ripose Seokjin scrollando le spalle.

“Certo che mi piace. Siamo amici. Be, quasi. Ci stiamo arrivando” replicò Jimin sicuro di se.

“E vuoi dirmi che la faccenda del fidanzamento è archiviata?” Seokjin chiese incuriosito..

“ No. Non lo è. Ho ben presente la situazione in cui siamo. Ma non sto facendo tutto questo perchè voglio convincerlo a sposarmi.”

Jimin corrugò la fronte. Sembrava assurdo ed era anche difficile da spiegare.

“Hai mai conosciuto qualcuno con tutte le circostanze favorevoli e allo stesso tempo con milioni di motivi contro e che per qualche motivo irrazionale ti riesce impossibile ignorare? Non sto parlando d'amore, d'amicizia o di qualcosa che abbia senso, sto parlando di qualcuno di così interessante da farti morire dalla curiosità”.

Jimin era sicuro che le sue parole non avessero capo ne coda ma Seokjin non lo guardava come un isterico ma con quel sorriso benevolo che viene da qualcuno che ti capisce nel profondo anche quando le parole ti falliscono.

“Si mi è capitato” disse Seokjin chiudendo gli occhi.

Si chiese per un attimo se Jimin si rendesse conto quanto le sue parole fossero molto simili alla descrizione di un'anima gemella.

“Quindi non sono pazzo?” chiese Jimin.

“Non lo sei più di me immagino” ripose Seokjin.

“Non è molto rassicurante sai.” Jimin disse prima di scoppiare a ridere.

Seokjin lo colpì dietro la nuca.

 

 

 

 

Era di nuovo martedì. Era surreale come qualcosa di così nuovo fosse diventato un'abitudine.

Il suo tempo non era più diviso in frazioni uguali 'weekend, Taehyung e Hoeok, Università'. Ogni tanto i suoi genitori, quando non poteva invitarlo.

Era diventato 'Università, Taehyung e Hoseok, ballare. Niente genitori. Jimin.'

Jungkook non si illudeva, sapeva che i suoi genitori sarebbero presto tornati alla carica. Ma era bello per una volta immaginarsi di essere in una realtà alternativa in cui esisteva solo il ballo e le persone a cui voleva bene.

“Ragazzi devo andare a lezione o farò tardi”. Annunciò Jungkook, abbandonando la console sul tappetto e alzandosi.

Era andato a trovare Taehyung, non per mancanza di cose da fare perchè aveva ben 3 capitoli da studiare che lo aspettavano a casa, ma perchè gli mancava il suo migliore amico e Hoseok.

Taehyung che in qualunque altra circostanza si sarebbe lamentato del fatto che Jungkook lo abbandonava sul più bello, sprizzava entusiasmo.

Ogni tanto si chiedeva se le conversazioni che aveva con Taehyung fossero veramente accadute o fossero solo frutto della sua immaginazione vaneggiante.

“Si certo certo! Park Jimin ti starà aspettando!”

Jungkook decise di grugnire piuttosto che degnarlo di una risposta. Hoseok che era collassato sul divano per una meritata siesta (il tirocinio all'ospedale lo stavo facendo impazzire) ridacchiò divertito.

“ Lo sai vero che questo è solo l'inizio?” lo stuzzico con voce stanca, ma non meno divertita, dal divano.

“ Hyung tu dovresti essere dalla mia parte” disse in tono funebre Jungkook. Hoseok rise più forte.

Jungkook e Taehyung avevano passato una tale enormità di tempo insieme sin da quando avevano quattro anni che non c'era nulla, ma proprio nulla che potesse rimanere segreto tra di loro anche se Jungkook avesse voluto. Taehyung si era infilato nella sua vita con un rampicante che abbraccia un muro per finire col sostenersi l'uno con l'altro. Non avrebbe potuto tenere Park Jimin lontano da Taehyung a lungo.

“Si infatti Jeon, non so perchè non mi porti con te a lezione, è inevitabile.”

“Uno, se proprio devo portare a lezione qualcuno ci porterei Hoseok, lui è diecimila volte più bravo di te a ballare. Due, no te lo scordi. E poi tutto ciò è transitorio. Prima o poi i miei si arrenderanno oppure io cambierò stato.”

“Pensavo foste diventati amici tu e Jimin?”

Jungkook scosse la testa. Amici? Avrebbe usato il temine 'amichevoli'. Si vedevano regolarmente certo, ma la parola amici era troppo grande. Sopratutto, era qualcosa che non ancora disposto ad ammettere.

“Taehyung” disse invece in tono seccato Jungkook.

“Jungkook” ripose questi scimmiottandolo.

Sospirò. Era inutile discutere con Taehyung di tutto ciò, sopratutto quando questi si era fatto una sua idea. Non era mai sembrato contrario a Park Jimin durante le superiori ma non era stato neanche un suo ammiratore accanito. Non capiva perchè tra tutte le persone che avevano attraversato la vita di Jungkook, Taehyung pensasse che Park Jimin fosse quello più adatto a prendervi sede.

Hoseok e Taehyung si scambiarono uno di quegli sguardi complici tipici da anime gemelle che comunicavano senza aver bisogno di parole.

“ Io vado” disse Jungkook che non aveva la minima voglia di scoprire cosa quei due stessero tramando.

Jungkook prese il su zaino e dando un ultimo saluto alla strana coppia se ne andò.

 

 

Ci fu un breve silenzio nell'appartamento, finchè Taehyung decise di abbandonare a sua volta la console sul tappetto e trascinarsi verso il divano, per andare ad appoggiare la sua testa sul palmo della mano di Hoseok.

“ Pensi che dovremmo dirglielo?” Taehyung chiese con un sospiro.

“Non ne siamo sicuri Taehyung, potrebbe benissimo essere un altro Park Jimin”

“Moro,di 26 anni, della tua stessa città e che sa ballare? Non credo Hobi, deve essere lui!” disse il numero uno tutto eccitato. Hoseok con l'altra mano gli accarezzo i capelli, perchè quando Taehyung si illuminava Hoseok non riusciva ad impedirsi di toccarlo, come le falene che si dirigono verso la luce.

Taehyung e Hoseok avevano trascorso insieme non meno di cinque anni se si escludeva l'anno che Hoseok aveva trascorso all'estero.

Hoseok non aveva imparato i dettagli della vita di Taehyung perchè l'aveva vissuta insieme a lui, come Jungkook poteva vantare, ma li aveva imparati per bocca di Taehyung, durante tutti gli innumerevoli pomeriggi trascorsi a raccontarsi, a riempire i vuoti, ad essere sinceri l'uno con l'altro.

Era così che Taehyung aveva saputo che Hoseok un tempo ballava e che era dannatamente bravo, prima che la scure si abbattesse sulla sua famiglia e gli facessero cambiare idea sul tipo di carriera da proseguire. Taehyung quindi, sapeva che una lontana estate di dodici anni prima aveva trascorso giornate intere vacanze a imparare coreografie e fare gare di ballo con Jimin. Il suo migliore amico.

“ In ogni caso non voglio immischiarmi nelle faccende di Jungkook.”

“ Ma era un tuo amico.”

“ Si lo è stato. Ma credi davvero che sia la cosa di cui abbia bisogno Junkook adesso? Te l'ho detto aspettiamo e vediamo cosa capita.”

“Hai ragione, forse sono solo troppo curioso” Taehyung disse chiudendo gli occhi e lasciando che Hoseok continuasse ad accarezzargli i capelli. Hoseok ridacchio.

Quando a diciott'anni i suoi genitori gli avevano annunciato che l'incontro con la sua anima gemella era vicino, Taehyung era stato preso dall'eccitazione unito ad un vago senso di panico.

La sua anima gemella sarebbe piaciuta a Jungkook e Jungkook sarebbe piaciuto alla sua anima gemella? Quando aveva cercato di parlare con i suoi genitori delle sue preoccupazioni loro lo avevano guardato perplessi, quasi quelle non dovessero essere le preoccupazioni di un numero uno in procinto d'incontrare la sua anima gemella, la sua perfetta metà.

Ma Taehyung voleva bene a Jungkook e sperava che il suo numero uno gli avrebbe voluto altrettanto bene, perchè Jungkook era un'altra parte di se stesso.

Conoscendo Hoseok, Taehyung si rese conto quanto i suoi timori fossero stati infondati.

“Se lui è così importante per te. Allora lo è anche per me” aveva detto. Hoseok e Jungkook si erano voluti bene proprio come si era augurato.

Il fatto stesso che Hoseok mettesse i suoi desideri al secondo posto ne era una prova. La verità era che non voleva legare Jimin di nuovo alla sua vita e di conseguenza a quella di tutti, se le cose con Jungkook non fossero andate bene.

Hoseok diceva che era fortunato ad essere l'anima gemella di Taehyung.

Taehyung pensava che quello fortunato era lui.

 

 

 

 

Il maestro Lee era un despota.

Jungkook ne era sicuro.

Aveva fatto ripetere loro la routine un centinaio di volte e aveva corretto ogni tipo di errore, anche quelli non visibile ad occhio umano.

Diceva cose come “metà del lavoro è la pulizia” e faceva loro ripetere i movimenti che trovava deboli.

L'unico che sembrava indifferente a questo tipo di insegnamento era Jimin, che accettava tutto di buon grado. Aiutava il fatto che Jimin sebbene fosse debole nel memorizzare l'ordine dei passi, avesse un controllo sul suo corpo da sembrare sovraumano. Le sue transizioni non si vedevano neppure era come osservare un corpo fatto d'acqua in movimento.

Jungkook avrebbe voluto essere altrettanto flessibile ma si disse che probabilmente c'era qualcosa di più, qualcosa che era solo Jimin e sarebbe stato solo suo: non importava quanto lui ci provasse, solo Jimin avrebbe potuto ballare così.

Questo non voleva dire che Jungkook avrebbe smesso di provare a raggiungere quel livello di perfezione.

“Ok abbiamo finito per oggi”, annunciò infine il maestro Lee con la sua voce squillante.

Tutti quanti gli allievi si lasciarono cadere per terra scambiandosi sorrisi benevoli.

Dopo le prime lezioni in cui erano stati ignorati come se fossero due bestie rare, i ragazzi si erano fatti coraggio e avevano iniziato a fare domande a Jimin e Jungkook. Le domande si erano presto trasformate in in un vero e proprio interrogatorio.

Sebbene Jimin fosse quello più amichevole, aveano fatto domande anche a Jungkook che si era trovato a rispondere con gentilezza. Bastava così poco a cambiare le prime impressioni, si disse dopo che tutti li salutarono con calore.

“Acqua, ho bisogno di acqua” aveva sospirato Jimin dal pavimento. Jungkook sorrise e gli lanciò la sua.

“Oggi è stata dura.”Proseguì, dopo che ebbe bevuto un sorso.

“ Parli tu, che sei il preferito del maestro Lee” Jungkook lo stuzzicò. Jimin scosse la testa.

“Non è vero.”

In quel momento lo stomaco di Jungkook brontolò dalla fame.

“Direi che è ora di andare a prendere del cibo, hm?”

Lo stomaco di Jimin concordò con lui.

Entrambi risero, prima di alzarsi e raccogliere le proprie cose.

Era trascorsa poco più di una settimana ma l'atmosfera si era rischiarata di parecchio.

Non c'era più un Jungkook nervoso che cercava di uscire da lì e nessun Jimin che rimaneva solo e confuso.

Jungkook non voleva ammettere che questa nuova routine gli piaceva, che stava iniziando a considerare Jimin un suo amico, ne a se stesso ne agli altri, meno che meno a Taehyung.

C'era una prima volta per tutto si disse. La verità era che era spaventato a morte.

“Jimin mangi con me e Namjoon stasera?” chiese Kim Seokkjin una volte che furono arrivati alla reception.

Jungkook sussultò. Lui e Kim Seokjin avevano ancora lo stesso rapporto freddo che non si era mai scaldato da quel primo incontro.

“In realtà ceno con Jungkookie oggi” aveva risposto Jimin un po' colto di sorpresa.

“ Jimin hyung non è un problema per me possiamo sempre....”

“ Perfetto puoi venire con noi allora Jungkook” interruppe il biondo receptionist. “rimandare ad un'altra volta” aveva voluto concludere Jungkook.

“Sei sicuro che per te va bene Jungkook?” Jimin gli chiese dubbioso. E Jungkook avrebbe potuto ritirarsi e andare a casa, ma Kim Seokjin lo stava guardando ed era una questione di orgoglio. Sarebbe morto prima di ammettere sconfitta.

“Certo. Nessun problema”.

Jimin che sfoggiava uno dei suoi sorrisi preferiti, sembrava del tutto ignaro del dramma personale di cui Jungkook era preda.

“ Jin hyung andiamo in quel ristorante in cui siamo andati l'ultima volta?” chiese Jimin.

Il receptionist annuì, poi lanciò un sorriso verso Jungkook che sentì invece il sangue gelarsi nelle vene.

Perchè aveva la sensazione di essere stato appena incastrato?

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Nda: chi scrive fanfiction non ha modo di capire se la sua storia piace o meno se non attraverso feedback. Quando questo non accade, ci si sente come aver inviato un messaggio verso il nulla e mille dubbi ti assalgono. La trama non è interesante? I personaggi sono blandi? Non è facile. Ed io cerco di fare del mio meglio. Continuerò ad aggiornare questa storia perchè amo Un mondo per noi due e non riesco proprio a farne a meno.

 

 

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Capitolo 10
*** 00.5 ***


00.5

 

 

 

L’anima gemella di Kim Seokjin era una persona, per caratteristiche e aspetto, di una rarezza unica. Almeno così si augurava Jungkook.

Kim Namjoon aveva i capelli di una deliziosa sfumatura verde wasabi, piercing che decoravano entrambe le orecchie e pensava che indossare occhiali da sole alle 9 e mezza di sera fosse un attributo di moda all’ultimo grido. Onestamente non aveva avuto modo di dargli una grande occhiata l’ultima volta che il numero due aveva varcato la porta del circolo ma Jungkook si ricordava di non aver visto nulla di verde allora. Ne di strano.

Ma era l’anima gemella di Kim Seokjin, Jungkook si aspettava di tutto. In effetti sembrava proprio che Kim Namjoon riflettesse esteriormente la belva interiore del biondo receptionist e per quanto fosse bizzarro e contrastante fosse il loro aspetto esteriore, stranamente funzionavano insieme. Come due colori opposti nella tavolozza ma complementari.

Tuttavia fino a quel momento Kim Namjoon si era rivelato centomila volte più alla mano del miglior amico di Jimin, presentandosi con entusiasmo e facendo alcune domande a Jungkook. Nonostante questo, Jungkook si era ripromesso di non salire mai più su una macchina guidata dal numero due.

Il piccolo bistrot che Jimin aveva scelto era dall’altra parte della città e così Namjoon si era offerto di dare un passaggio a tutti loro. Jungkook aveva accettato la graziosa offerta e si era quindi seduto nei sedili posteriori con Jimin. Alla prima curva presa dal loro veicolo Jungkook si trovo sbalzato violentemente di lato.

A metà viaggio Jimin gli aveva gli aveva fatto un cenno a metà viaggio come a voler dire ‘va tutto bene’ ma Jungkook non lo aveva degnato di una risposta e si era limitato a stringere forte la maniglia della porta e pregare che il viaggio finisse presto.

Chiunque fosse l’istruttore che aveva pensato fosse una buona idea dare una patente a Kim Namjoon, era evidentemente un pazzo isterico.

Quando finalmente la macchina smise di muoversi Jungkook rilasciò un rumoroso sospiro di sollievo. Jimin l’occhieggiò preoccupato mentre uscivano dalla macchina. Si sentiva le gambe molli ma nessuno degli altri passeggeri presentava i suoi sintomi e quindi li segui senza lamentarsi.

“Alla fine ci si abitua” gli disse Jimin dandogli un leggero buffetto sul braccio. Jungkook era sicuro di non volersi abituare.

“ Spero che al ritorno guidi il tuo amico” rispose a Jimin. Seokjin che doveva averlo sentito, ridacchiò.

Il posto scelto era semplice e confortevole e i ragazzi, affamati, scelsero il primo tavolo disponibile.

Fu solo quando si furono seduti al tavolo e presero i menu che Jungkook si rese orribilmente conto di un dettaglio non trascurabile.

Uno: il loro sembrava un maledetto doppio appuntamento.

Due: era seduto di fronte a Kim Seokjin.

Ammetteva che probabilmente la prima era solo un’impressione del suo cervello paranoico, ma quanto alla seconda era molto, molto, reale.

Era così terrorizzato dal constatare ciò che rispose distrattamente a Jimin quando questi gli chiese cosa voleva e così quando Jimin e Kim Namjoon si alzarono dal tavolo, Jungkook si trovò del tutto impreparato.

“Cosa?”chiese ma Jimin era già sparito .

“Sono andati a ordinare la nostra cena” rispose Kim Seokjin, quando Jungkook confuso aveva fatto quella per alzarsi, indicando col dito un cartello incollati al tavolo “non si effettua servizio al tavoli”.

A quel punto Jungkook si trovò del tutto giustificato ad abbandonarsi a un attacco di panico. Onestamente non c’erano motivi razionali nella paura di Jungkook. Effettivamente il receptionist non aveva mai fatto nulla che dimostrasse il suo dispiacere nei suoi confronti.

Certo non era stato caloroso ma Jungkook stesso non lo era il più delle volte. E parlando con il maestro Lee seppur in vece del solo Jimin, aveva fatto un favore anche a Jungkook.

Jungkook si chiese distrattamente se anche lui doveva apparire così al resto del mondo ed era il motivo per cui Taehyung gli ricordava di sorridere sempre. Eppure aveva visto Kim Seokjin rivolgere grassi sorrisi agli studenti e a Jimin stesso. Erano tuttavia persone che lui conosceva più di quanto avesse mai conosciuto Jungkook.

Era il suo sguardo, si disse, quegli occhi freddi e castani con cui lo scrutava a dare una sensazione ostile.

Proprio quando Jungkook stava valutando l’idea di continuare a fissare il tavolo come alternativa calzante alla conversazione (perché sinceramente quante occasioni ci sarebbero state di frequentare Kim Seokjin al di là dei brevi attimi a inizio e fine lezione) il biondo chiese:

“ Quindi, Jimin mi dice che sei uno studente di economia?”

“Si. Dipartimento di economia e finanza.” Jungkook rispose incapace di articolare ulteriormente. Il biondo inarcò il sopracciglio preso in contropiede dalla sua laconicità.

“ E ti trovi bene?” chiese.

“Abbastanza. Non era questo che pensavo di fare alle superiori però è utile. Dopotutto legge e medicina erano esclusi e non sarei mai stato in grado di seguire ingegneria con le mie competenze in matematica. Economia è stata la scelta obbligata date le condizioni in cui mi relega il mio status e il resto.” Jungkook si chiese perché stesse facendo tutte queste confidenze a Kim Seokjin, quando queste cose a malapena le diceva a Taehyung. Dio, ma dovevano essere così penosi i loro tentativi di conversazione?

Era tuttavia vero che in numeri zero venivano ‘incoraggiati’ a immatricolarsi nelle facoltà scientifiche per lo stesso motivo per cui proseguire una carriere artistica era praticamente impossibile. Studiare materie umanistiche era una prerogativa dei numeri due. I numeri zero erano indirizzati verso quei rami del sapere considerati utili. Non che un numero due che studiava filosofia sarebbe mai stato considerato inferiore, uno zero che ci provava si.

“Se siete impotenti almeno rendetevi utili” erano le chiacchiere che giravano in molti circoli.

Come tutte le cose di quel loro strano mondo, non c’erano leggi che vietavano espressamente di fare nulla, era la società con le sue interminabili fissazioni a soffocare qualsiasi tentativo di provare a fare qualcosa di diverso.

“Jimin ha studiato economia e anche Namjoon, anche se poi è fortunatamente riuscito a farsi una carriera nell’industri musicale,” Seokjin disse con un leggero sorriso, il primo senza malizia che avesse rivolto a Jungkook.

Jungkook si aspettava che Seokjin aggiungesse qualcosa, era evidente che il suo sorriso suggeriva ci fosse una storia dietro, tuttavia il silenzio cadde di nuovo tra di loro. Jungkook si chiese se questo l’autorizzava a fissare il tavolo di nuovo.

“Jungkook” lo richiamò la voce di Seokjin. Jungkook riportò la sua attenzione su di lui ma l’espressione di Seokjin non prometteva nulla di buono.

No. Oh No. Qualunque cosa Kim Seokjin volesse dirgli Jungkook non aveva la minima voglia di ascoltarla. Disperato cercò Jimin e Kim Namjoon con lo sguardo per vedere se avevano finito di ordinare ed in effetti era così, entrambi stavano portando indietro le bibite al tavolo. Era salvo, gli altri stavano arrivando.

“Senti...”

Tuttavia qualunque cosa Seokjin avesse voluto che lui sentisse lui non ebbe il modo di farlo perché una cascata di coca si abbatté su di lui infradiciandolo dalla testa ai piedi e rovinando probabilmente la sua maglietta bianca per sempre.

 

 

 

 

 

 

Jimin non era sicuro di come era successo.

Ad un certo punto Namjoon, come al solito, doveva essere riuscito a inciampare sui suoi stessi piedi. Fatto sta che il contenuto dei bicchieri che stava portando era volato verso il loro tavolo ed era finito tutto su Jungkook. Jimin era riuscito a salvare le sue due bibite ma era un magra consolazione.

Seokjin era stato pronto come un pompiere dopo una chiamata antincendio.

Aveva sparso i tovaglioli per assorbire la parte del liquido che era finita sul tavolo e poi era scattato in direzione della cucina probabilmente per avvertire il personale o armarsi lui stesso di spugna e secchiello. Jimin aveva buttato via i fazzoletti, mentre si sincerava che nessuno dei vicini fosse stato colpito dalla cascata di coca cola.

Namjoon se ne stava con aria mortificata impalato davanti al tavolo.

“Jungkook mi dispiace” disse il numero due e solo allora Jimin decise finalmente di dare un’occhiata al più giovane. Jimin aveva quasi temuto Jungkook avrebbe preso e sarebbe scappato dal locale, invece lo trovò sulla sedia congelato nella sua posizione, la frangia bagnata e appiccicata sulla faccia, il liquido marrone che gli scendeva dal collo e si estendeva in una macchia marrone sulla maglietta. Jimin sapeva che non avrebbe dovuto ma forse era per quanto ridicolo fosse il tutto (Namjoon era riuscito a inciampare di nuovo) o per l’aspetto di Jungkook da pulcino bagnato fatto sta che scoppiò a ridere sguaiatamente.

Jungkook lo guardò stralunato da sotto la sua fronte appiccicosa di sostanza zuccherina mentre cercava di tamponarsi il collo ma Jimin non riusciva a smettere e proprio quando pensava Jungkook non gli avrebbe più rivolto la parola dopo questo, questi scoppiò a ridere con lui.

Quando Seokjin tornò con lo staff al seguito trovò un Namjoon perplesso ancora in piedi e Jimin e Jungkook a sbellicarsi dalle risate.

Seokjin dovette schiarirsi la gola “Jimin accompagna Jungkook in bagno a darsi una pulita” disse. Sembrava rilassato e perfettamente padrone della situazione, “così la ragazza può pulire il tavolo” Jimin cercando di riprendersi annuì e aspettò che Jungkook si alzasse per condurlo in bagno.

“Aspetta mi stavo dimenticando” Seokjin lo fermo prima che si allontanassero troppo. Li raggiunse con il suo zaino aperto e tirò fuori una maglietta pulita e un asciugamano

Jungkook lo guardò sorpreso.

“Ne tengo sempre una per ogni evenienza, dopo tutti questi anni con Joonie sono pronto ad affrontare qualsiasi situazione ormai. Jungkook indossala pure”.

Jungkook parve sinceramente colpito sia dalla gentilezza che dall’efficienza.

“Grazie hyung” dissero i due ragazzi all’unisono.

Seokjin scrollò le spalle e tornò indietro lasciando che i due continuassero la loro corsa verso il bagno.

Quando furono entrati Jungkook si lavò la faccia e la frangia lavandosi per bene per togliere nel possibile ogni rimasuglio del liquido zuccherino.

“Hai conosciuto Kim Namjoon ora sei ufficialmente uno di noi” disse Jimin mentre osservava il più giovane attraverso lo specchio

Jungkook lo fulminò con lo sguardo. Jimin rise di nuovo.

“ Non ti preoccupare, ormai ti ha battezzato. Per almeno altre due settimane sei a posto” aggiunse Jimin.

“ Sai, pensavo di avere io la prerogativa degli amici strani. Voglio dire Taehyung è convinto che ci sia vita su Venere e Hoseok fa balletti sulle sigle di sailor moon però credo i tuoi li battano”.

“Su su, è stato solo un po’ di coca cola” Jimin lo prese in giro. Jungkook scosse la testa ma non aggiunse altro.

“Scusalo sai.” aggiunse infine Jimin mentre osservava Jungkook tamponarsi i capelli. “Namjoon è fatto così. La prima volta che ci siamo conosciuti mi ha versato un intero set di salse addosso. Ho pensato Seokjin avrebbe avuto un attacco di cuore. Ora siamo decisamente più allenati. Non ti sei arrabbiato vero?” Jungkook lo guardò strano prima di infilarsi la maglietta pulita.

“Non sono arrabbiato.” disse dopo qualche secondo guardandosi un’ultima volta allo specchio e verificare fosse tutto a posto. Jimin lo fissò e proprio in quel momento Jungkook si voltò a guardarlo.“So che sembro un po’ burbero” prosegui, “Taehyung dice che potrei candidarmi come nuovo Grinch però sono una persona perfettamente ragionevole quando non si tratta di quello”. Jimin intuì si stesse riferendo ai matrimoni combinati zero. “Se do l’impressione di essere un lunatico, tu no prendermi troppo sul serio. Nessuno dei miei amici lo fa” Jungkook concluse grattandosi i capelli imbarazzato.

Jimin sorrise cercando di nascondere la sorpresa nel sentire Jungkook inserirlo indirettamente nella sua cerchia di amici.

“ Lo terrò a mente”.

Jungkook non disse più nulla e quindi insieme ritornarono dalla coppia numero due.

Quando tornarono al tavolo era tutto sistemato e i piatti con il loro cibo li aspettavano fumanti.

Namjoon chiese scusa un milione di volte a Jungkook e Seokjin si prese carico della sua maglietta nonostante le proteste del più giovane.

Jimin aveva intuito che tra Seokjin e Jungkook correva una brutta atmosfera. Non capiva perché, ne come si era formata, si pentiva un po’ di aver raccontato a Seokjin del loro primo incontro ma Jungkook era veramente fuggito drammaticamente quella volta e Seokjin era una persona spesso intransigente quando si trattava delle persone a cui voleva bene.

Dopo i fatti che l’avevano portato alla sua deriva con la sua famiglia era diventato diffidente e cauto.

Jimin lo aveva sempre conosciuto così ma a volte si chiedeva come doveva essere il Seokjin che Namjoon aveva conosciuto per la prima volta.

Perciò era stato contento di avere una scusa buona per trascinare tutti a cena. Sapeva che Jungkook non avrebbe mai accettato per lo stesso motivo per cui ancora teneva Jimin alla larga cercando disperatamente di mettere se non un muro almeno una barriera tra di loro. Per una volta era stato contento dei modi di fare che non lasciavano scampo del suo miglior amico.

E ora non solo stavano mangiando insieme ma sembravano andare tutti abbastanza d’accordo.

Soprattutto Namjoon e Jungkook che stavano parlando di musica.

Seokjin che lo vide pensieroso gli fece l’occhiolino.

Si, sarebbe andato tutto bene.

 

 

 

 

Accompagnarono a casa per primo Jungkook, il quale sembrava un po’ distratto ma ancora rilassato. Non dimenticò di ringraziarli e di cercare di portarsi a casa la sua maglietta sporca. Ovviamente Seokjin non glielo lasciò fare. Il suo numero uno lo aveva cosparso di coca cola ed era il minimo che potessero fare.

“E’ simpatico vero?” fu la prima cosa che chiese Jimin non appena Jungkook fu sparito oltre la porta d’ingresso del palazzo.

“Si molto!” rispose Namjoon con entusiasmo. Era sincero ma probabilmente voleva anche farsi perdonare la figuraccia di prima.

“Non male. Punti in più per non essere scappato a gambe levate” Seokjin stuzzicò la sua anima. Gemella. Namjjon ululò un “non l’ho fato apposta” facendo ridere tutto i passeggeri del veicolo.

Namjoon era un produttore e compositore di successo, conosciuto per il suo talento e per la sua professionalità, tuttavia se lo toglievi dal suo studio di registrazione era completamente inutile. Seokjin voleva bene a quell’uomo dalla testa ai piedi, ma la verità era la verità.

Jimin sul sedile posteriore scoppiò a ridere mentre Seokjin faceva manovra con la macchina. Aveva voluto risparmiare al povero ragazzo un secondo viaggio con Namjoon alla guida, lui e Jimin ormai avevano uno stomaco d’acciaio ma gli era finito più di un litro di coca cola in faccia e Seokjin aveva voluto evitare un altro momento mortificante come vomitare la cena a metà strada.

Diede un’occhiata allo specchietto retrovisore. Jimin aveva ancora un sorriso dipinto sulle labbra. Seokjin sospirò.

Doveva ammetterlo il ragazzo, Jungkook, non era male.

Dopo l’incidente aveva proseguito come se nulla fosse accaduto e si era aperto un po’ persino.

Perciò tutte le domande che Seokjin aveva pensato di fargli erano morte in gola.

Ripensandoci Seokjin probabilmente doveva averlo spaventato a morte e un po’ se ne dispiaceva.

Seokjin era un numero due, ma pensava di poter capire il dolore del rifiuto. Così come capiva che le difficoltà di dover far quadrare qualcosa a tutti i costi potevano portare fuori il meglio ma anche il peggio di una persona.

Aveva pensato che Jungkook fosse un genio del male e invece aveva avuto ragione Namjoon: era solo un ragazzo impaurito come lo era stato lui, come lo era stato Jimin.

E davvero, pensava di riuscire a capire Jimin, di riuscire a capire quella attrazione ostinata verso qualcosa di così puro.

Sentì una mano appoggiarsi rassicurante sulla sua coscia sinistra. Doveva avere la fronte aggrottata perché quando si volto un attimo a guardare Namjoon questi lo osservava preoccupato. Seokjin gli sorrise. Va tutto bene.

Riportando gli occhi sulla strada, Seokjin infine disse.

“Ma gli occhiali da sole sono banditi per sempre”. Namjoon piagnucolò oltraggiato.

Guardò un’ultima volta nello specchietto retrovisore. Jimin si era addormentato.

 

 

 

 

“Hai conosciuto gli amici di Jimin e non mi hai invitato?” Taehyung urlò così forte che metà mensa si girò a guardarli.

“Vuoi abbassare quella voce!” lo rimproverò Jungkook mentre si sedeva imbarazzato al loro solito tavolo. Taehyung chiuse la bocca ma era ancora imbronciato e generalmente offeso.

Jungkook sospirò.

“Senti è stata una cosa improvvisa. Il biondo receptionist, sai quello di cui ti ho raccontato che ti fa gelare il sangue nelle vene se lo guardi negli occhi?” Taehyung annui,“bene, lui mi ha praticamente forzato a questa cena. E’ stato un agguato e in meno che non si dica sono stato caricato su una macchina guidata da uno che deve avere la passione per il rally a giudicare da come tagliava le curve e che pensa che sia una buona idea portare gli occhiali da sole la sera. Poi come se non bastasse, una volta giunti al ristorante, ho appena avuto il tempo di sedermi che mi hanno inondato di coca cola.”

“ Come inondato?”

“ Il tizio con gli occhiali da sole è inciampato e mi ha rovesciato il liquido in faccia”

a quel punto dopo un secondo di silenzio mortale naturalmente Taehyung scoppiò a ridere.

“ Ridi pure. Bell’amico che sei, ridi dei miei attimi di umiliazione.”

“ Sono qui per questo” riusci a d aggiungere tra una risata e l’altra “ devo dirlo a Hobi subito” disse mentre prendeva il suo cellulare.

Dopo quello che sembrò un'eternità Taehyung parve aver finito la sua riserva di fiato e quindi smise di ridere come un mentecatto.

“Hai finito? Possiamo tornare al mio pranzo senza che tu mi rida in faccia?”

“Si tranquillo, mi risparmio le risate per quando Hoseok torna a casa.”

Jungkook lo fulminò con lo sguardo.

“Quindi cosa hai fatto dopo? Hai ribaltato il tavolo in preda alla tua bellissima furia? Sei scappato alla velocità del fulmine? Ti sei nascosto in bagno?” chiese Taehyung ilare.

“Niente di tutto questo zucca vuota, ho continuato a mangiare come qualsiasi essere civile.”

“ Non mi dire. Ti sei divertito!”

“Non ho detto questo”

“ E invece si, quando menti ti si arriccia il naso”. Jungkook lasciò la forchetta a mezz’aria scioccato dal fatto che Taehyung dimostrasse della perspicacia.

“Voglio incontrare anche io Jimin” aggiunse poi determinato.

“ Te lo puoi scordare. Cosa ti ho detto l’altro giorno? E’ una cosa transitoria” Taehyung sbuffò come se non credesse ad una sola delle sue parole. Taehyung dovette aver deciso che era meglio riempirsi la pancia che discutere con Jungkook e procedette quindi a ingoiare un boccone impossibile di purè.

A dir la verità Jungkook si era divertito. Certo, aveva avuto paura di aver un infarto almeno tre volte, ma non poteva dire di aver trascorso una brutta serata, coca cola e tutto.

Era strano vero? Si chiese se ci fosse qualcosa che non andava nel suo cervello.

Il cellulare di fianco al suo piatto incominciò a vibrare. Jungkok guardò lo schermo e con una smorfia di disappunto lo prese e lo cacciò in fondo al suo zaino.

Taehyung inarcò un sopracciglio ma Jungkook scosse la testa “nessuno di importante.”

Taehyung scrollò le spalle e iniziò a insistere di incontrare Jimin tra un boccone e l’altro. Jungkook roteò gli occhi ma pensò che tutto ciò era meglio che rispondere al telefono.

Per quanto lo riguardava, i suoi potevano aspettare in eterno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: Lo so. Si capisce quanto io muoia dalla voglia di scrivere quel capitolo su Namjin. Ma dovrò, dovremo, portare pazienza. Comunque tutto ciò è troppo fluff e perciò ho previsto il lancio di alcune bombe, prossimamente =D Grazie e alla prossima <3

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Capitolo 11
*** 00.6 ***


00.6

 

 

Quando Jungkook usci dall’edificio della sede di economia si aspettava di trovare Taehyung ad aspettarlo ai cancelli. Infatti il suo miglior amico era li.

Non si aspettava di trovarvi anche Kim Seokjin.

Erano a pochi metri di distanza l’uno dall’altro, ignari di star aspettando la stessa persona.

Non potevano essere più diversi: Taehyung con i suoi vestiti a macchie cromatiche e gli occhiali da sole infilati di traverso, mentre Kim Seokjin era vestito in camicia e pantaloni eleganti, una grossa macchina fotografica appesa al collo. Sembrava un modello uscito dall’ultimo numero di vogue.

Jungkook si diresse con passo svelto verso il biondo receptionist, cercando di segnalare con gli occhi a Taehyung di aspettare un attimo dov’era, deciso a capire come mai Kim Seokjin lo graziasse della sua presenza. Tuttavia invece del solito sguardo glaciale e l’espressione seria, fu accolto da un mezzo sorriso. Jungkook dovette sbattere gli occhi.

“Ciao! Scusa l’improvvisata, ho chiesto a Jimin dove hai lezione perchè ci tenevo a ridarti di persona la tua maglietta e farti di nuovo le nostre scuse, da parte mia e di Namjoon.” disse Seokjin mettendo in mano a un sorpreso Jungkook una busta di cartone. “Non ti abbiamo sicuramente fatto un’ottima impressione”. Concluse infine scuotendo la testa.

“Grazie mille. Non dovevi disturbarti. Potevi consegnarmela domani sera, non avrei protestato”. Ripose Jungkook cercando di mettersi sul suo stesso registro. Seokjin era stato ridicolmente cortese.

“Non ci sarò tutta la settimana, ho un servizio fotografico che mi terrà molto impegnato e non potrò fare volontariato all’associazione. Potevo lasciarlo a Jimin ma non avrei saputo quando e la tua facoltà è di fronte al mio studio, perciò.” Seokjin fece spallucce. Jungkook cercò di digerire in fretta le informazioni perché durante la cena il biondo non aveva parlato molto di se, non con Jungkook almeno.

“Grazie ancora!” Jungkook rispose, cercando di sorridere. Era piuttosto cosciente che metà degli occhi erano puntati su di loro e l’altra metà cercava di mascherarlo. Seokjin faceva molta scena, anche se sembrava non accorgersene.

“Ciao!” a Jungkook quasi venne un infarto. Non si aspettava Taehyung li approcciasse. Si supponeva che Taehyung avesse capito doveva aspettare li. Kim Taehyung e la sua insaziabile curiosità.

Seokjin sembrò sorpreso ma sorrise comunque con garbo.

“Ciao?”

“Kim Taehyung. Migliore amico di Jungkook e tu saresti?”

“Kim Seokjin, abbiamo un’amicizia in comune” Seokjin rispose inarcando un sopracciglio. Ma sembrava trovare Taehyung divertente.

Jungkook intervenne prima che Taehyung potesse aggiungere altro.

“Grazie ancora, hyung. Ci vediamo quando torni allora” Jungkook disse, aggiungendo un sorriso smagliante per farsi perdonare il brusoc congedo, ma Seokjin non sembrava turbato.

“ Certo. Torno a lavoro! E’ stato un piacere” e salutandoli con la mano se ne andò.

“Chi era quello?” chiese Taehyung dopo che lo ebbe osservato per un lungo attimo.

“Kim Taehyung la smetterai mai di intromettermi nella mia vita?”

“ Per favore mi intrometto da quando abbiamo cinque anni mi sembra un po’ tardi per lamentarsi”. Taehyung disse supponente mentre facevano la strada verso casa insieme.

Jungkook avrebbe voluto mettersi le mani nei capelli per l’esasperazione.

“Comunque non hai risposto alla mai domanda” Jungkook sospirando si arrese.

“Ti ricordi il biondo receptionist dallo sguardo glaciale?” Taehyung annui. “Bene l’hai appena visto”. Jungkook concluse. Taehyung corrugò la fronte.

“ A me non sembrava così glaciale. L’ultima volta l’hai descritto come un basilisco invece mi ha fatto un’ottima impressione.”

“ A te farebbe una buona impressione anche un muro.” Taehyung lo fulminò con lo sguardo.

“Comunque ammetto che è stato gentile. E’ la prima volta in effetti” aggiunse Jungkook.

“Forse sei solo tu che ti immagini le cose” Taehyung commentò allegramente. Lo faceva solo per fargli saltare i nervi Jungkook lo sapeva, ma in ogni caso qualsiasi sua protesta fu interrotta dal suono di un cellulare. Il suo.

Jungkook si fermò su suoi passi. Lo estrasse dalla tasca per vedere chi fosse anche se sapeva già chi era. Mise il cellulare in modalità silenziosa e se lo ficcò intasca con malagrazia. Taehyung lo occhieggiò preoccupato.

“Tua madre di nuovo?”chiese.

“Già” Jungkook disse con un sospiro.

“Ne vuoi parlare?” Jungkook scosse la testa.

Jungkook si considerava una persona diretta. Non era da lui non affrontare le situazioni, rimandare i problemi. Quante volte aveva rimproverato Taehyung al riguardo? Eppure eccolo li, a cercare di evitare l’inevitabile. Sapeva di non poterli ignorare in eterno ma l’impulso di rimandare il tutto a un tempo indefinito nel futuro, era troppo forte.

Non c’è nulla di male, sai, ogni tanto nello scappare di fronte alle cose che ci spaventano. Taehyung gli aveva detto una volta quando Jungkook a cinque anni era scappato di fronte a un insetto. E glielo aveva detto di nuovo quando Jungkook aveva avuto quattordici e il pensiero di non avere nessuno gli faceva paura. Jungkook aveva trovato la frase troppo indulgente allora, tuttavia ora ci si aggrappava con la speranza di sentirsi meglio.

La sua espressione doveva essere un poema perché Taehyung lo prese per mano per tutto il tragitto verso casa sua e di Hoseok.

 

 

 

 

 

“Potevi dirmelo che andavi a trovare Jungkook!” si lamentò Jimin al telefono.

“Jimin tu lavori tutta la giornata. Non hai orari flessibili come me” Seokjin rispose.

“ Non è colpa mia se faccio un lavoro d’ufficio” Seokjin ridacchiò dall’altra parte del telefono.

La verità era che Jimin stava cercando una scusa per cercare di frequentare Jungkook al di fuori delle parentesi delle lezioni di danza ma non aveva ancora trovato una scusa adeguata.

Sembrava che qualsiasi sua idea si fosse esaurita con il suo primo grande piano, un attimo di brillantezza prima dell’arenamento inevitabile.

“Gli ho ridato la sua maglietta. Lo sai che il lavoro mi terrà impegnato per tutta la settimana se non di più. Se non era per Namjoon, non avrei mai accettato. ”

“ Ma ti pagheranno bene no?”

“Si mi pagheranno molto bene. Ma non mi piace. Lo sai che non mi piace” Seokjin rispose.

“Hyung non ti preoccupare, lo sai che per me va bene. Non puoi inimicarti tutte le persone con cui non vado d’accordo, voglio dire professionalmente è importante questo incarico no?”

Seokjin sbuffò e Jimin sapeva che stava roteando gli occhi. ‘Tutte le persone con cui non vado d’accordo era un eufemismo’, si trattava di una persona soltanto e di certo il tutto non si poteva riassumere in ’non andare d’accordo’. Ma il passato era passato e Jimin capiva ci fossero altre motivazioni personali dietro le rimostranze di Seokjin ma a queste non dovevano aggiungersi quelle di Jimin. Seokjin era così cocciuto a volte.

Guardò l’orologio appeso nella sala d’ingresso del circolo, cinque minuti alle sette e all’inizio della lezione. Proprio in quel momento Jungkook varcò la soglia.

“ Hyung è arrivato Jungkook devo andare ok? Ci vediamo quando finisci il lavoro. In bocca al lupo” sentì Seokjin salutarlo e poi riattaccare.

Jimin aveva preso l’abitudine di aspettare Jungkook fuori dall’aula anche quando gli altri erano già entrati. Vederlo varcare l’ingresso gli dava un senso di sollievo, era una conferma che Jungkook aveva deciso di venire qui di sua iniziativa.

Jungkook al venirgli incontro gli sorrise e benché Jimin apprezzasse il gesto si rese conto che questa volta il suo sorriso non arrivava agli occhi. Perché? Jimin pensava avessero fatto progressi.

Attraversarono silenziosi il corridoio e sempre silenziosi entrarono in aula e si sistemarono ai loro posti.

Tutto ciò era molto strano. Jimin avrebbe voluto chiedere cosa c’era che non andava ma non sapeva se Jungkook avrebbe apprezzato, il ragazzo sembrava perso nel suo mondo. Poi il maestro Lee entrò e Jimin perse così l’occasione.

Per tutto il resto della lezione Jimin fu incapace di levare gli occhi di dosso a Jungkook. Lo teneva d’occhio quasi temendo sarebbe scappato dall’aula da un momento all’altro. Eppure Jungkook sembrava concentrato sui passi e le poche parole che aveva scambiato con Jimin erano state gentili. Jimin era contento che qualsiasi cosa fosse non dipendesse da qualcosa che aveva fatto lui, non che pensasse dia vere tanta importanza nella vita di Jungkook, ma per un attimo aveva avuto paura Jungkook avesse cambiato idea sulle lezioni, su Jimin. Jimin si morse il labbro. Era meglio se si concentrava su suoi di passi. Il maestro Lee lo aveva guardato stranito più volte e Jimin aveva raddoppiato l’impegno. Cercò di ignorare il piccolo dolore all’altezza del collo del piede.

Tuttavia quando finalmente fecero una pausa e Jimin si fermò, il piccolo dolore si fece improvvisamente intenso. Cercò di andare a sedersi con nonchalance su una delle panchine con la scusa di prendere una bottiglietta d’acqua dal suo zaino. Ma quando alzò la vista Jungkook lo stava guardando dal riflesso nello specchio.

Jimin scosse la testa cercando di minimizzare la cosa.

Doveva aver fatto un cattivo movimento probabilmente dovuto alla stanchezza. Jimin si ripromise di fare un po’ riscaldamento anche a casa prima di uscire e venire a lezione, così da evitare crampi di stanchezza dopo.

Infatti una volta che ripresero a ballare il dolore parve scomparire e cercò di ignorare quella voce nella testa che gli ricordava come l’adrenalina fosse in grado di dare una sensazione momentanea di assenza di dolore e che era probabile che le conseguenze si sarebbero fatte sentire a corpo freddo. Ma non vi badò e continuò a ballare per tutta la mezz’ora che gli rimaneva. Quando la musica si fermò Jimin iniziò a pentirsi della sua decisione.

Rimase in piedi sul posto cercando di apparire come uno che stava riprendendo fiato dopo una fatica fisica. Naturalmente non riusci a ingannare nessuno.

“Jeon vai a dare una mano a Park” istruì il maestro Lee. Jungkook non dovette farselo ripetere due volte e non importava quante rassicurazioni gli fece Jimin, Jungkook lo aiutò comunque ad arrivare fino alla panchina. Una volta sedutosi il maestro si inginocchiò davanti a Jimin e ignorando ancora le sue proteste gli tolse la scarpa e il calzino e gli tastò il piede. Jimin si morse il labbro.

“Credo sia solo un’infiammazione. Ma se fossi in te prenderei qualche giorno di riposo e ci metterei un bel po’ di ghiaccio” il maestro disse.

Jimin annuì mentre il resto dei ragazzi gli davano delle pacche sulla spalla e gli dicevano di riguardarsi. Jungkook era rimasto seduto al suo fianco, il braccio di Jimin ancora sulla sue spalle.

“Hyung, cosa credevi di fare. Lo sai che se non stai attento queste ce possono diventare serie!” lo rimproverò Jungkook.

“ E’ solo un’infiammazione. Mi basterà riposare durante il weekend e sarò nuovo come prima” cercò di minimizzare Jimin.

“Vuoi che ti porti in ospedale? Posso guidare io se vuoi, ti porto la e dopo a casa. Posso farmi venire a prendere.”

“Non ti preoccupare penso di riuscire a guidare, non è che richiede tanto sforzo spingere sul pedale. Niente ospedale l’hai sentito anche tu il maestro ,è solo un infiammazione.”

“Il maestro non è un medico.”

“Però non ho voglia di andare in ospedale, questa non è neanche un’emergenza e aspetteremmo ore”.

“Capisco.” Jungkook disse pensiero. Poi aggiunse “ posso portarti comunque da un dottore?”

Jimin lo guardò interrogativo. Jungkook sembrava tornato ad essere se stesso anche se Jimin non si aspettava si preoccupasse tanto.

“Un dottore, Conosci un dottore che riceve a quest’ora?”

“Piu o meno” rispose Jungkook sorridendo un po’ più genuinamente. “Fammi fare una chiamata, ok?”

“Jungkook veramente non c’è bisogno!” Ma Jungkook si era già alzato ed era al telefono con qualcuno.

Jimin era contento di vedere un lato più dolce di Jungkook, nel constatare che, come aveva sospettato, era tutto un bluff per nascondere una tenerezza di fondo. In ogni caso non Jimin non voleva gravarlo di ulteriori responsabilità e quindi cercò di muovere il piede sperimentalmente per vedere se fosse stato solo un dolore momentaneo. Sfortunatamente non lo era. Forse, in effetti, avrebbe avuto bisogno di aiuto per tornare a casa.

“Hyung, dove hai messo la macchina? Ti porto a vedere qualcuno che se ne intende più del maestro Lee.”

Jimin un po’ spaesato annuì, ma non protestò quando Jungkook mise il suo braccio intorno alle sue spalle e lo aiutò a camminare. Stava iniziando a sentire le prime ondate di bruciore. Jungkook si assicuro che Jimin fosse ben comodo sul suo sedile prima di pendere le chiavi dal suo zaino e andare al posto di guida.

“Non dovresti sottovalutare queste cose. Al club c’era un ballerino con noi che aveva avuto una tendinite ma voleva partecipare a questa gara a tutti i costi. Ha finito col vincere ma si è rotto il tendine.” Jungkook disse serio.

“Kookie è responsabile da parte tua ma la mia è solo un’infiammazione.”

“Può essere ma va controllata in ogni caso. Non vorrai mica lasciarmi da solo ad allenarmi con i mocciosi?” Jungkook chiese sfoderando un sorriso impertinente.

Jimin scoppiò a ridere. “E io che pensavo ti stessi preoccupando per me.”

“ Assolutamente no, come hai potuto pensarlo” rispose Jungkook in modo giocoso. Ma tornò subito serio, gli occhi che fissavano la strada.

“Hoseok hyung è uno studente di medicina ma è all’ultimo anno ed è già molto bravo. Mi fido di lui.” Poi un po’ dubbioso aggiunse “ti può andar bene lo stesso? Possiamo sempre andare in ospedale.”

“Non volevo neanche vederlo un dottore e tu mi porti da uno che lo è quasi, direi che mi va benissimo.”lo rassicuro Jimin. Jungkook annui.

Un silenzio cadde tra loro ma non era un silenzio scomodo. Jimin si trovò piacevolmente sorpreso nel constatare che ormai erano abbastanza acclimatati l’uno con l’altro da sentirsi a proprio agio anche senza dover scambiare necessariamente parole.

Con la coda nell’occhio osservò Jungkook, che sembrava concentrato sul suo compito.

Jimin si disse che se voleva chiedergli il qualcosa questo forse era il momento giusto per farlo.

“Jungkook, va tutto bene? Stai bene?” Jimin lo vide irrigidirsi sul volante, ma le parole che uscirono dalla sua bocca non furono aspre.

“Si.” Per un po’ non aggiunse altro. Jimin guardò oltre il finestrino senza aspettarsi ulteriori riformulazioni, aveva solo voluto fargli sapere che lui c’era, se Jungkook avesse voluto parlare. Non si aspettava che Jungkook continuasse.

“ Io. La mia famiglia mi sta facendo un po’ di pressione. Riguardo a.. lo sai. Al mio futuro.”

Jimin si voltò a guardarlo. Le nocche di Jungkook erano diventate bianche per la pressione esercitata sul volante.

“Mi dispiace.” Jimin disse ed era vero.

Non riusciva a immaginarsi come dovevano essere i genitori di Jungkook ma gli dispiaceva sentire che non davano spazio ai suoi sentimenti. Quando Jimin aveva chiesto ai suoi genitori più tempo, non erano stati contenti ma avevano rispettato la sua decisione nonostante tutto. Invece a giudicare dall’espressione di Jungkook, i suoi non sembravano dello stesso avviso. Per giunta Jimin sapeva quanto Jungkook ci tenesse, quanto fosse importante per lui sentire di poter avere una scelta. “Io non voglio un compagno” aveva detto Jungkook quella volta e se era stato così assertivo con lui, Jimin immaginava la veemenza con cui aveva sicuramente perorato la sua causa in famiglia.

“Vorrei poter trovare un modo per risolvere tutto.” Jungkook infine disse.

E io vorrei poter trovare un modo per poterti aiutare, pensò Jimin.

Ho sognato una vita per me, hyung. Una vita in cui ci sono io e io e basta e va bene così.

Erano state parole che avrebbero dovuto ferirlo e invece Jimin aveva ammirato Jungkook per questo.

“Hyung siamo arrivati”Jungkook disse all’improvviso. Jimin si guardò intorno. Erano in una parte della città non lontano da casa sua. Jimin era passato spesso davanti a questi edifici, quanto andava a correre la domenica mattina. Jungkook aveva chiamato nuovamente qualcuno al telefono ed era sceso per aiutare Jimin a scendere.

Jimin avrebbe voluto dire che non ce n’era bisogno ma quando appoggiò il piede per terra sentì di nuovo dolore. I passi che li separavano dalla palazzina per fortuna erano pochi e quando giunsero li, si accorse che qualcuno li stava aspettando.

La persona all’ingresso sembrava spaventosamente famigliare.

 

 

 

 

 

Seokjin avrebbe voluto non accettare quel progetto, ma Namjoon glielo aveva chiesto come favore personale e dopo che il suo numero uno gli aveva spiegato l’idea aveva capito perché Namjoon aveva insistito.

Sembrava un progetto fatto apposta per lui, lui che adorava catturare gli effetti di luce dietro una macchina fotografica. Era così che si era fatto una carriera, Seokjin era conosciuto come il mago delle luci.

Tuttavia date le circostanze avrebbe accettato in ogni caso, anche se il progetto fosse stato meno interessante. La sua collaborazione era stata richiesta espressamente e non poteva dire di no alla persona che aveva raccomandato Namjoon tanto tempo prima. La sua anima gemella aveva avuto successo grazie ai suoi soli meriti, chiunque avrebbe potuto dire quanto Namjoon fosse dannatamente bravo in quello che faceva, ma era anche vero che se non fosse stato scoperto e incoraggiato, ci sarebbero voluti anni prima che Namjoon potesse avere anche solo un po’ di successo.

Un volta il suo numero uno gli disse che solo perchè stimava qualcuno professionalmente non voleva dire che gli piacesse come persona, e Seokjin sapeva che Namjoon diceva la verità, ma sapeva anche che il suo numero uno era affascinato dal lavoro di quest’uomo. Dopotutto visto i successi discografici non lo erano tutti?

Seokjin sospirò mentre percorreva svogliato i corridoi della sede della casa discografica dove lavorava Namjoon.

Non gli piaceva, non gli piaceva affatto. Ma lavoro era lavoro e prima si sarebbe messo all’opera prima avrebbe terminato.

Aveva dato istruzioni riguardo il posizionamento e il tipo di apparecchiatura di cui avrebbe avuto bisogno e aveva sottolineato l’importanza che tutto fosse pronto al suo arrivo.

Quando aprì la porta dello studio era stato tutto posizionato come da sue raccomandazioni e c’era già un nutrito numero di persone che si affaccendavano sui modelli, i cantanti, con trucco e accessori in mano.

Seokjin lo individuò subito, in piedi mentre dava direzioni accurate allo staff con quella sua voce svogliata e tagliente allo stesso tempo.

Aveva i capelli neri e la pelle bianchissima di chi non vede la luce del sole da chissà quanto tempo. Seokjin lo aveva visto l’ultima volta due anni prima ma Min Yoongi non era cambiato di una virgola.

 

 

 

 

NdA: niente panico, abbiamo preso quota! Sarà una bellissima avventura (non preoccupatevi troppo per Yoongi)! Cosa ne pensate? Ovviamente non potevo dimenticarmi di lui. Comunque, la prossima settimana ho un esame, quindi non so con certezza se riuscirò ad aggiornare. Come sempre farò del mio meglio per riuscirci! Al prossimo capitolo <3

 

 

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Capitolo 12
*** L'amore è un'illusione (interlude) ***


L'amore è un'illusione

 

 

 

L’incontro con l’anima gemella è sempre l’incontro più atteso, quello per cui ti sei preparato per tutta una vita. Hai davanti a te la persona fatta apposta per te. Quella che accetterà ogni cosa di te, che l’accetta già, che sarà per te una parte essenziale del continuare a vivere. E tu per lei, sarai lo stesso. Sarete due parti di uno stesso organo. Ma, dopotutto, hai sempre saputo che non sarai mai solo. E’ stato questa certezza a cullare i tuoi sogni prima di addormentarti, a darti la forza di superare ogni piccola prova, e sarà sempre questa certezza che consolerà tutti i giorni bui a venire e, allo stesso tempo, renderà più belli quelli felici trascorsi insieme.

Nessuno ti aveva detto però quanto questo incontro ti avrebbe cambiato. Quanto conoscere la tua anima gemella, quello che fa, quella che pensa, quello che sente, cambi tutto.

 

Tutto quello che pensavi di essere, tutto quello che pensavi di volere.

 

 

 

 

 

 

La famiglia di Seokjin era molto tradizionalista. La tradizione voleva che non ci fossero incontri alcuni tra le anime gemelle e così era stato per Seokjin. Non aveva mai saputo alcun dettaglio riguardo la sua anima gemella se non qualche giorno prima del suo diciottesimo compleanno. Ed anche in quel caso aveva saputo solo cose generiche, come il fatto che frequentasse l’ultimo anno di liceo come lui, anche se in una scuola diversa, e che era uno studente molto brillante. Quest’ultimo particolare sembrava rallegrare enormemente i suoi genitori. Seokjin cercava di non offendersi troppo di quest’ultima cosa, era infatti vero che non era mai stato un granché a scuola e che se voleva un giorno continuare a guidare la compagnia di suo padre, era un bene ci fosse qualcuno al suo fianco che ne capisse più di lui.

Lungo il corso degli anni Seokjin si era fatto molte fantasie riguardo la sua anima gemella. Era un uomo o una donna? Alto, basso? Gli sarebbe piaciuti i libri e le lunghe passeggiate? Sarebbe stato qualcuno che amava mangiare quanto lui? Quest’ultimo sembrava un dettaglio cruciale.

Avevo espresso così tante volte questa lunga sfilza di domande che suo cugino Hyosang, non faceva che dirgli “Stai zitto Jin! E’ la tua anima gemella, no? Sarà perfetta per forza!”

Seokjin non riusciva a capire come Hyosang riuscisse a essere così tranquillo al riguardo e come riuscisse a frequentare altre persone nel frattempo senza alcun minimo di perturbamento. Seokjin aveva avuto un paio di storie, ma si era sentito sempre così in colpa al riguardo che aveva preferito troncare subito. “La tua anima gemella, capirebbe” aveva commentato sempre suo cugino. Seokjin si disse che se la sua anima gemella doveva essere la sua perfetta metà allora non avrebbe capito, perché Seokjin stesso non l’avrebbe fatto.

“Forse la tua anima gemella, non la mia” aveva risposto Seokjin dando un leggero calcio alla sedia su cui Hyosang si stava dondolando e facendolo franare inevitabilmente per terra. Seokjin sorrise deliziato.

Seokjin era sempre andato molto d’accordo con suo cugino, sin da piccoli erano stati compagni di giochi e crescendo erano rimasti molto uniti. Si capivano. Entrambi infatti portavano il peso di appartenere alla famiglia Kim, numeri due da almeno tre generazioni, e tutto le aspettative che ciò comportava. Hyosang era tuttavia era il cugino ribelle, e Seokjin quello buono a cui toccava rimediare agli innumerevoli guai in cui suo cugino metteva entrambi. Seokjin ogni tanto lo invidiava, perché sebbene fosse un Kim sicuramente godeva di più libertà di quanta ne avrebbe mai avuta lui. Suo cugino infatti non era l’erede di un impero e le aspettative per lui sebbene alte non erano impossibili. Era per questo che sebbene Seokjin volesse bene a suo cugino, sapeva che ci sarebbe stata una sola persona in grado di alleggerire il suo fardello, di capirlo e allo stesso tempo di non giudicarlo. Questa persona era la sua anima gemella.

Dicevano che l’anima gemella era il tuo completamento e allo stesso tempo un riflesso della tua anima. Due parti di un unico intero. Perciò al di là del fatto che questa persona era la sua anima gemella, Seokjin era curioso di sapere se vedendo lei, avrebbe capito qualcosa di più di se stesso, si sarebbe sentito più a suo agio nella sua pelle. Sua madre dicevano sempre che erano pensieri buffi i suoi.

Tuttavia nonostante le sue domande e tutta la preparazione mentale a cui era stato sottoposto per tutta la sua vita (esisteva persino un manuale delle anime gemelle della famiglia Kim), nulla l’aveva preparato a quel momento. Seokjin si ricordava che erano passati pochi giorni dal suo diciottesimo compleanno e che quel pomeriggio era tornato a casa presto, perché quel giorno non aveva le attività del club di fotografia. Seokjin avrebbe mentito se avesse dichiarato che non se l’era aspettato. Sapeva, infatti, che la famiglia Kim aspettava il compimento della maggiore età prima di effettuare l’introduzione.

Seokjin aveva studiato il rituale di introduzione, si trattava di un incontro formale delle famiglie e delle anime gemelle, in cui si beveva, ci si scambiava le promesse di rito e si firmavano dei documenti. Era il primo passo di quella che poi sarebbe stata l’unione formale al compimento dei ventun anni di età. Naturalmente, non tutte le famiglie si sottoponeva a tale rigida etichetta ma Seokjin veniva dalla famiglia Kim e questo comportava un sacco di convenevoli che Seokjin trovava noiosi e inutili. In ogni caso aveva sempre pensato che la sua famiglia lo avrebbe convenientemente avvisato in anticipo in modo che fosse pronto per l’introduzione.

Invece Seokjin era tornato a casa, si era sfilato le scarpe e aveva percorso gli interminabili corridoi della villa che chiamava casa, per andare in cucina e prendersi uno spuntino, quando fu interrotto a metà strada dalla governante, per venire guidato in tutta fretta verso la sua camera. Gli fu detto in quattro e quattr’otto di lavarsi e cambiarsi e che da li ad un’ora sarebbe iniziato la sua introduzione.

Un Kim deve essere pronto ad ogni evenienza, era solito dire suo nonno. Seokjin si chiedeva se anche questa fosse ennesima lezione di vita per gli eredi della famiglia Kim.

In ogni caso Seokjin aveva cercato comunque di non farsi prendere dal panico. Aveva il tempo contato ma non significava che doveva infilarsi la camicia di traverso.

Un attendente di suo padre lo stava aspettando fuori in corridoio. Seokjin sapeva si stavano dirigendo verso la sala delle riunioni che suo padre usava quando aveva dei meeting d’emergenza. Gli sudavano le mani e si sentiva le gambe pesanti ed era sicuro di star procedendo per pura forza di inerzia.

Ci sarebbe stata la sua anima gemella al di la della porta? Sarebbe veramente stata, per usare le parole di suo cugino, perfetta per forza? Seokjin trasse un profondo respiro al momento di bussare alla porta. Aspettò di sentire suo padre “avanti” prima di girare la maniglia.

La sala per le riunioni aveva una parete vetrata che dava sulla parte sud del loro patrio e per questo era molto luminosa. Seokjin riconobbe la sua famiglia seduta su un lato del tavolo, erano tutti vestiti bene e seduti con aria formale. Sua madre gli lanciò un leggero sorriso per incoraggiarlo. Seokjin non riuscì a ricambiare il gesto, spostò invece lo sguardo sull’altro lato del tavolo, dove erano sedute delle persone sconosciute, probabilmente i membri della famiglia della sua anima gemella. Seokjin era cosciente di sembrare scortese ma li salutò appena con un cenno della testa. Nonostante i componenti giovani della famiglia fossero più di uno, Seokjin seppe subito chi era la sua anima gemella. Dovette fermarsi dal coprire la distanza in poche falcate e sforzarsi invece di andare a sedersi sul suo lato di tavolo, proprio di fronte a lui.

I loro occhi si incontrarono per la prima volta e Seokjin finalmente seppe cosa voleva dire tornare ad essere completi.

 

Eravamo uno. Ora siamo l’uno dell’altro. Non esistono zeri quando ci sono due.

 

 

 

 

 

 

“Namjoon, vieni qui, dammi una mano!”

“Jin sono solo uno studente di economia. Come potrei aiutare uno studente di diritto?” disse Namjoon dall’altra parte della scrivania, con tono giocoso.

Seokjin sbuffò.

“Avanti. Questa è economia giuridica. E poi sono sicuro che riusciresti ad aiutarmi in ogni caso. La tua conoscenza di diritto privato è ingiusta. Non so neanche dove hai imparato tutto quanto” Seokjin si lamentò.

Namjoon scosse esasperato la testa, ma sorrideva, facendo apparire quelle fossette sulla guancia che avevano fatto innamorare Seokjin sin dalla prima volta.

Namjoon quindi si alzò per andare da lui. Si sedevano sempre da due lati opposti del tavolo, su insistenza di Seokjin che diceva che Namjoon non faceva che distrarlo. Sei tu che distrai me, lo rimbeccava la sua anima gemella. Era vero. Ma Seokjin rispondeva sempre oltraggiato e finiva sempre allo stesso modo, con Seokjin che si lamentava di non capire una cosa e con Namjoon che cercava di fare del suo meglio per spiegargliela.

Ovviamente nell’alzarsi Namjoon era riuscito a rovesciare metà dei libri sul tavolo, facendo ridere di gusto Seokjin e riuscendo invece a imbarazzare se stesso. Namjoon era stato così anche durante il loro primo incontro, era riuscito infatti a rovesciare la bottiglia di champagne al momento del brindisi dell’introduzione. Seokjin era scoppiato a ridere anche allora, incapace di trattenersi, mentre sua madre rassicurava un mortificato Namjoon di non preoccuparsi, che andava tutto bene. Per essere qualcuno di così intelligente Namjoon era davvero imbranato. La sua anima gemella era stato infatti uno studente brillante alle superiori e continuava ad essere uno studente brillante all’università. Non c’era libro non riuscisse ad assorbire e snocciolava con la facilità imbarazzante argomenti di economia, di fisica e persino di filosofia. Seokjin lungi dall’essere invidioso, lo ammirava moltissimo e ne era molto fiero. Anche la sua famiglia. Lo era al punto che i Kim si erano offerti di pagare le tasse universitarie affinché Namjoon si inscrivesse alla facoltà di economia migliore, anche se Namjoon aveva dissentito, essendo riuscito ad ottenere grazie a suoi voti, una borsa di studio.

“rimani li, combina guai, vengo io” disse Seokjin tacitando le proteste di Namjoon, che cercava di sistemare il caos combinato, andando quindi a sedersi di fianco a lui, i loro libri di testo uno accanto all’altro.

“Spiegami questi grafici. Non ci sto capendo nulla” chiese Seokjin rivolgendo a Namjoon un sorriso. Per un attimo Namjoon parve arrossire per la troppa vicinanza dei loro visi. Seokjin gli stampo un sonoro bacio sulle labbra.

“Jin” Namjoon quasi cadde dalla sedia per la sorpresa.

Seokjin rise di nuovo, tuttavia decise di lasciare il suo numero uno in pace, e di non imbarazzarlo ulteriormente. Per qualche ragione Namjoon era incredibilmente timido riguardo le reciproche manifestazioni d’affetto anche dopo più di sei mesi che si erano conosciuti. Seokjin non ci vedeva nulla di male, gli piaceva l’idea del tempo, dopotutto erano anime gemelle, avevano il resto della vita davanti insieme per conoscersi. Riportò la sua attenzione sul libro di testo ma non poté fare a meno di notare quanto il suo libro fosse pulito in confronto di quello Namjoon, che aveva un sacco di note ai margini. Seokjin non ci aveva mai fatto caso, dopo l’estate passata a studiare insieme per gli esami di ammissione sapeva che Namjoon era solito prendere appunti nei margini piuttosto che scrivere su un quaderno.

Non aveva quindi mai pensato di leggere le note, non aveva mia pensato fosse importante. Eppure quella volta, senza rendersene conto, si ritrovò a leggere cosa vi era scritto.

 

Nel momento in cui fallirò, ci sarà qualcuno a tenermi per mano?

 

“Oh, questo cos’è?” Seokjin esclamò. Namjoon si lasciò sfuggire un verso strozzato e cercò di togliere dalla vista di Seokjin il libro. Lui però fu più svelto e alzandosi si diresse verso un angolo della stanza per continuare a leggere.

Namjoon sembrò sgonfiarsi sulla sedia.

“Namjoon ma questo. Questo è bellissimo! Cos’è? Una poesia? E’ tua?” Seokjin chiese mostrando tutta la sua eccitazione. Gli bastò un solo sguardo per capire che si, era proprio di Namjoon.

“Si è mia” Namjoon si coprì il viso con le mani.“Per favore non leggere. Non ho mai fatto leggere queste cose a nessuno, almeno nessuno che conoscevo. Neppure ai miei genitori. E poi no non è niente di che.”

“No che non è niente di che. E’ qualcosa che hai scritto tu, quindi è importante.” Seokjin disse con convinzione corrugando la fronte.

Namjoon sorrise.

“Vieni qui” Seokjin ubbidì e gli restituì il libro mentre torno silenzioso a sedersi sulla sedia.

Si rese conto di essersi probabilmente intruso in quello che doveva essere uno dei segreti della sua anima gemella.

“Ho iniziato a scrivere versi da quando avevo tredici anni. Non avevano tanto senso allora, ma ho continuato lo stesso. Lo sai a volte la mia testa si riempie di troppe cose, pensare troppo non è sempre un beneficio. E quindi ho iniziato a mettere queste cose per iscritto. Quella che hai visto tu era un verso.”

“Verso di che cosa, di una canzone?” Seokjin chiese ed era sicuro che la sua faccia doveva essere rossa per la sorpresa della scoperta e l’eccitazione.

“Si” concesse Namjoon, ma sembrava come se si aspettasse che Seokjin lo sgridasse.

“Ma è fantastico. Sai scrivere canzoni! Da quando? Che tipo di canzoni fai?” Namjoon rise di nuovo, sembrava un po’ incredulo.

“Dovevo saperlo che saresti stata entusiasta.”

“Perchè non avrei dovuto esserlo?”

“Beh molti pensano che è un hobby stupido e che non mi porterà da nessuna parte.”

“Namjoon non permetto a nessuno di parlare male delle cose che fa la mia anima gemella, neanche alla mia anima gemella” disse Seokjin a mo’ di rimprovero.

“Già siamo anime gemelle” commentò Namjoon.

“Infatti! Adesso raccontami tutto. Se il resto è interessante come quel verso, allora hai un tuo primo fan.” Namjoon scoppiò a ridere per davvero.

Quel pomeriggio gli raccontò tutto.

Gli disse quanto fosse importante per lui la musica, il rap. Gli disse che aveva partecipato a qualche gara a livello amatoriale e che “avrei voluto fare questo nella vita” ma che aveva abbandonato quella strada in vista di cose più importanti. Mentre Namjoon parlava, Seokjin si chiese da quanto Namjoon si portasse questo peso dentro e se lui non avesse letto per caso le note nei margini, per quanto ancora se lo sarebbe portato.

“Sono contento che tu abbia deciso di confidarti con me” Seokjin gli disse. Ed era vero.

Sin da quel lontano giorno in cui si erano incontrati, c’era sempre stata una specie di distanza tra di loro. Seokjin sapeva che in parte era dovuto al fatto che Seokjin era un Kim, del ramo delle tre generazioni, mentre invece Namjoon era un Kim ma del ramo che si era estinto fino a quando non era nato Namjoon stesso. Per quanto Seokjin desiderasse non ci fosse, questa differenza aveva un peso e i due avevano vissuto vite profondamente diverse prima che i loro destini si incrociassero. Vivere da Kim non era facile, e la pressione come la rigida etichetta risultavano soffocanti anche a Seokjin, nonostante tutti gli anni che aveva trascorso cercando di abituarsi. Poteva immaginare quindi quanto potesse essere difficile per Namjoon.

Per citare uno dei tanti esempi, anche la scelta dell’università di Namjoon non era stata casuale. Lui aveva ricevuto diverse proposte tuttavia la famiglia aveva espresso il desiderio che Namjoon si immatricolasse presso la facoltà di economia in cui generazioni della famiglia aveva studiato e così era stato. Seokjin sapeva anche che l’impegno che Namjoon aveva messo per ottenere una delle due uniche borse di studio era dovuto alla sua volontà di sottrarsi, per quanto possibile, al peso che essere un Kim comportava. Seokjin davvero lo poteva capire e si dispiaceva che la sua famiglia fosse il fattore principale per cui le cose tra loro fossero poco naturali. Ma era la sua famiglia e non poteva cambiarla. Seokjin sperava che il loro amore potesse essere abbastanza e si era ripromesso di cercare di evitare il più possibile a Namjoon i doveri famigliari almeno finché non fosse stato inevitabile una volta sposati.

Era il motivo per cui aveva scelto giurisprudenza e aveva assunto formalmente il ruolo di erede. Questo gli toglieva tempo da trascorrere con Namjoon ma almeno la sua anima gemella era libera. Per il momento.

Seokjin prese Namjoon per mano e questi per una volta non tremò al contatto e lasciò che Seokjin appoggiasse la testa sulla sua spalla.

Mi dispiace. Seokjin intuiva che Namjoon desiderava ancora proseguire nella musica. Ma erano Kim. E ciò non era possibile.

 

 

 

 

 

 

La settimana dopo la grande rivelazione, che avevano sembrava aver unito i due ancora di più, Seokjin si trovò con Hyosang in un centro commerciale, alla ricerca di un regalo per Namjoon.

Con l’inizio dei corsi Seokjin non aveva avuto tempo di pensare a cosa regalare alla sua anima gemella e così ora si trovava a due giorni dal suo compleanno senza sapere cosa regalargli.

“Hyosang invece di provarti accessori potresti aiutarmi!” lo sgridò Seokjin.

“Jinnie da quando hai assunto il tuo ruolo non sei più divertente. Rilassati. Sono sicuro che Namjoon apprezzerà il gesto, non il contenuto.”

Seokjin sbuffò.

“ Non so come fa la tua anima gemella a sopportarti.”

“ Perché la mia anima gemella, mi sembra ovvio” rispose lui con un sorriso.

Suo cugino era stato introdotto alla sua anima gemella la settimana successiva all’introduzione di Seokjin. Seokjin pensava che la sua ragazza fosse troppo dolce e troppo brava per uno come Hyosang, non importava quanto bene volesse a suo cugino. Era comunque uno scemo.

Per fortuna Hyosang sembrava aver messo la testa un po’ a posto dopo aver incontrato lei. Faceva sempre battute pessime ma almeno andava diligentemente all’università e non si ubriacava più tanto spesso i sabati sera.

Passarono davanti ad una cartoleria e Seokjin si chiese se magari poteva regalare Namjoon un quaderno rilegato e una pennino, in modo che lui potesse usare quello piuttosto che i margini dei libri di testo.

“La tua baby anima gemella quindi scrive?” Hyosang commentò.

“Si forse. Ed è anche molto bravo” si vanto seokjin.

“Oh beh non sapevo che alla sua età si fosse intellettualmente maturi per scrivere, geni o meno.” Hyosang disse.

“Alla sua età? Hyosang quanti anni pensi di avere tu? Namjoon fa diciannove anni come noi.”

Successe qualcosa di strano. Hyosang inciampò sui suoi tessi piedi e sarebbe andato a sbattere con la faccia per terra se Seokjin, che ormai era allenato con Namjoon, non lo avesse afferrato per un braccio evitandogli l’incidente.

“Jinnie stai scherzando vero?”

“Cosa sto scherzando, ti senti bene? Hai preso l’influenza. Ha esagerato ieri con la festa”

“Oddio Seokjin non lo sai!”

“Non so cosa?” chiese lui annoiato.

“Niente, scherzavo. Dicevo solo per dire.” Hyosang rispose nervoso.

Seokjin ebbe un’orribile stretta allo stomaco.

“Hyosang cos’è che non so. Ora fai il bravo e me lo dici.” Seokjin si avvicinò cercando di sembrare autoritario, ma suo cugino scosse la testa

“No hai ragione. Sto vaneggiando. Ieri ho bevuto troppo”

“ Ma se ieri eri con la tua anima gemella” Hyosang cercò quindi svicolare dalla sua presa ma Seokjin glielo impedì.

“Parla!” esclamò Seokjin, facendo sparire il sorriso a metà dei passanti. Non gliene importava, Seokjin stesso non si sentiva arrabbiato da anni.

“Jin non sono la persona adatta per dirtelo. Chiedi a Namjon. Chiedi a tuo padre.”

“Cosa centra Namjoon? Hyosang sono tuo cugino qualunque cosa sia me lo devi dire. Lo sai che mi devi un favore!”

Era vero. Tanti anni prima Sekjin aveva coperto il cugino con la famiglia quando questi aveva distrutto mezza macchina. Suo cugino aveva un grosso debito nei suoi confronti.

Hyosang impallidì e sembrava voler essere l’ultima persona su questa terra a voler parlare e probabilmente era così.

Infine sospirò e disse.

“Seokjin non ti sei mai chiesto perchè chiamo Namjoon la tua baby anima gemella o perché scherzo su questo? Pensavo lo sapessi e per questo lo facevo!” Seokjin continuò a guardalo perplesso.

“Cristo Jin, sai quando è il suo compleanno ma non sai quanti anni compie? Che razza di anima gemella sei?”

“Hyosang non prendermi in giro adesso!” Seokjin esclamò allarmato.

“ Ti sei mai chiesto perchè le cose tra te e Namjoon vanno così a rilento mentre invece io e la mia anima gemella già viviamo insieme. Pensavo fossi tu quello intelligente!”

“Non capisco.”

“Quando tu e Namjoon avete fatto l’introduzione probabilmente la famiglia te l’ha tenuto nascosto, avrei dovuto saperlo che tu non saresti stato d’accordo. La vostra introduzione è stata improvvisa perché non doveva accadere. Sarebbe dovuto accadere fra tre anni. Nel momento in cui entrambe le anime gemelle giungono alla maggiore età. Ma ora torno tutto, era ovvio che la famiglia voleva influire sulle scelte di Namjoon sin da ora, visto che è così intelligente.”

“Hyosang ti prego!” Seokjin si senti mancare il fiato.

“ Al momento dell’introduzione Namjoon non aveva raggiunto l’età. Quello fra tre giorni sarà il suo sedicesimo compleanno.”

Seokjin lasciò andare la manica del cugino e fece passi indietro fino a sbattere contro il muro. Disperato lo guardò negli occhi cercando un velo di ilarità ma non c’era. Era tutto vero.

Non poteva essere, si disse, non poteva. La sua famiglia, i Kim avevano fatto un’introduzione illegale. E Namjoon aveva sol quindici anni.

Dio.

Perché la sua anima gemella non ne aveva mai fatto parola? Quali altri segreti nascondeva?

 

 

 

 

 

 

 


NdA: So di aver lasciato più domande che risposte ma risponderò a tutto, ci sarà una seconda parte naturalmente, più avanti. La settimana prossima ho un esame quindi non riuscirò ad aggiornare con un vero capitolo ed ho preferito scrivere un interlude, piuttosto che affrettare la trama. Fatemi sapere cosa ne pensate, un bacio <3 http://iwaslookingforhope.tumblr.com/

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Capitolo 13
*** 00.7 ***


00.7

 

 

 

Era l’estate più calda che Jimin nei suoi tredici anni di vita si ricordasse. Tuttavia ne il caldo ne l’afa erano stati abbastanza da scoraggiare lui e Hoseok dal dirigersi verso la dismessa palestra della loro scuola. Siccome quella palestra era antidiluviana e i team sportivi preferivano allenarsi all’aperto o nella nuova palestra appena costruita, il club di danza poteva avere quello spazio tutto per se.

Praticamente un lusso.

A fine luglio ci sarebbe stato un piccolo campionato di ballo tra le scuole del distretto e i ragazzi si erano votati anima e corpo nell’allenamento, nella speranza di portare a casa la vittoria. Tutti si stavano impegnando ma nessuno quanto Jimin e Hoseok.

“Voi siete pazzi” erano soliti prenderli in giro gli altri compagni ma era anche vero che tutti riconoscevano quanto loro fossero di un’altra categoria.

Jimin aveva iniziato con il balletto e in seguito aveva proseguito con la danza contemporanea ma il suo incontro con Hoseok aveva cambiato la sua opinione sul ballo. Jimin non aveva mai visto qualcuno della sua età ballare così e aveva desiderato fare lo stesso.

“Ho ancora un sacco da imparare Jiminnie” si scherniva Hoseok e Jimin non riusciva neanche a immaginarsi come avrebbe potuto essere Hoseok fra dieci anni a quella parte: a lui sembrava già il massimo e Jimin avrebbe voluto essere bravo anche solo la metà. Hoseok invece non faceva che elogiare Jimin, dicendo cose come “non ho mai visto nessuno con un tale controllo sul proprio corpo” oppure “il tuo modo di ballare ti distingue” e Jimin voleva tanto crederci.

Quell’anno sarebbe stata la prima volta che Jimin avrebbe partecipato alle gare come solista, e Jimin era un po’ nervoso. Siccome aveva iniziato a ballare hip hop da molto meno degli altri, aveva preferito partecipare in gare di gruppo e anche quando Hoseok gli aveva offerto di formare un duo Jimin aveva declinato. Tuttavia Hoseok aveva insistito perché Jimin quell’anno provasse sia la gara solista che di coppia e lui non aveva trovato motivi per dire di no. Il trasferimento di Hoseok, più incombente che mai, era stato uno delle maggiori motivazioni. Era triste dirlo ma quel campionato sembrava l’ultima cosa che loro due avrebbero potuto fare insieme.

“E uno, due, tre, pausa gira! Jimin il ritmo!” Jimin cercava di fare del suo meglio per stare dietro a Hoseok. Aveva lasciato che fosse lui a costruirgli la routine e si era poi affidato al suo occhio super vigile per quanto riguardava i dettagli. Si fidava ciecamente di Hoseok e non importava il caldo, la stanchezza e il male ai piedi, lui avrebbe continuato a ballare.

Io amo ballare. Il ballo è la mia vita.

Hoseok portava una maglietta con quella altisonante scritta e ogni volta che Jimin la guardava si sentiva triplicare le forze.

Dopo tre ore passate a perfezionare le diverse routine con solo una pausa in mezzo, finalmente i due si fermarono. Si lasciarono cadere sul pavimento mentre il resto del club, che era infine arrivato, si riscaldava per la loro routine.

“Jimin è impossibile che tu non vinca”disse Hoseok, la mano a coprirsi gli occhi mentre cercava di riprendere fiato.

“Possibilissimo visto che sarai tu il mio avversario” Hoseok scoppiò a ridere e Jimin si lasciò sfuggire un sorriso a sua volta. Erano migliori amici, compagni di danza e rivali.

“Hobi verrò a trovarti ogni weekend” disse all’improvviso Jimin.

“Ma certo” Hoseok rispose senza neanche doverci pensare, come se fosse un dato di fatto.

Era una bugia. Grossa come una casa e lo sapevano. Perchè i genitori di Jimin difficilmente lo avrebbero accompagnato in macchina fino alla nuova casa di Hoseok e avrebbero fatto ancora più storie all’idea di farlo viaggiare da solo in treno o in autobus. Valeva lo stesso per Hoseok.

Ma li, sul pavimento caldo, col sudore che colava ad entrambi dalle tempie e il suono di passi che echeggiavano nella palestra, tutto sembrava possibile.

Quell’estate come Jimin aveva previsto Hoseok arrivò per primo ma Jimin riusci a piazzarsi secondo. La cosa più importante però, era che insieme erano riusciti a vincere il primo posto nella gara in coppia.

Due settimane dopo Hoseok se ne era andato, lasciando a Jimin la sua maglietta come regalo e il ricordo di di passi sul parquet, di sudore e di tante risate.

 

 

 

Hoseok trasse un profondo respiro mentre andava in bagno a prendere tutto l’occorrente. Data la vivacità delle sua anima gemella, che aveva la capacità di finire nelle situazioni più disparate, e l’inesauribile energia di Jungkook, che a volte esagerava con lo sforzo fisico, Hoseok aveva da tempo munito la casa dell’attrezzatura di prima necessita in caso di piccoli infortuni.

Lanciò un sguardo nello specchio mentre apriva le ante del mobiletto del bagno. La sua scontentezza era evidente.

La verità era che Hoseok aveva avuto voglia di riallacciare i rapporti con Jimin nel momento in cui aveva capito che il Park Jimin di cui parlavano Jungkook e Taehyung, era il suo Park Jimin, il suo vecchio compagno di giochi e di ballo. Tuttavia Hoseok aveva esitato e dopo una attenta riflessione aveva deciso di mordere il freno. Jimin era stato il suo migliore amico ma Jungkook era il loro miglior amico adesso, suo e di Taehyung perché ogni cosa che era Taehyugn era anche sua, e Hoseok non voleva ingarbugliare le cose più quanto non lo fossero già.

Si disse che sarebbero state le circostanze a decidere sia che Jungkook decidesse di avere nella sua vita Jimin, e nel qual caso Hoseok lo avrebbe ritrovato comunque, sia nel caso in cui Jungkook decidesse altrimenti. In quest’ultimo caso Hoseok non aveva ancora deciso cosa fare, ma una cosa era sicura: non voleva intromettersi prima che la situazione si fosse chiarita.

Naturalmente il destino aveva deciso altrimenti.

“Andrà tutto bene” senza che Hoseok se ne accorgesse Taehyung era sgattaiolato in bagno e lo aveva abbracciato da dietro, il suo corpo caldo e confortante come una coperta d’inverno, e aveva appoggiato il mento sulla sua spalla. Hoseok che era rimasto rigido sul lavandino ad osservare il suo riflesso, solo allora si rilassò.

“Se lo dici tu allora mi fido” disse Hoseok scherzosamente. Taehyung si strinse di più a lui e Hoseok si lasciò coccolare dalla sua anima gemella. Taehyung sapeva. Tutto quello che Hoseok si era tenuto dentro, che non aveva voluto dire o che aveva sussurrato la notte quando pensava che Taehyung fosse addormentato.

“Cosa gli dirò?” era questa la domanda che più di tutte girava nella sua testa da quando aveva saputo chi era il compagno imposto di Jungkook.

Il Hoseok che aveva conosciuto Jimin era stata un’altra persona, con altri sogni ed ambizioni, molto diversa da ciò che lui era adesso. Hoseok non si era pentito di aver scelto medicina, certo la sua era stata un scelta dettata più da un fattore emotivo che da una vocazione di fondo, ma l’aveva fatto pensando alla sua famiglia e questo era ciò che importava. Tuttavia aveva amato ballare, avrebbe amato sempre ballare, era stata una parte di lui ed anche se non si era pentito di averla lasciata andare ciò non cancellava i suoi sentimenti. A volte si svegliava nel mezzo della notte con la sensazione di aver ballato per ore.

Ci eravamo ripromessi di trovarci in cima. Una volta il ballo era davvero la mia vita.

“Sei sempre tu Hoseok, da avvocato, da elettricista, da dottore. Sempre l’allegro, ottimista, e troppo troppo gentile Hoseok.” Taehyung gli aveva detto stringendogli la mano sotto le coperte.

In quel momento il suono del campanello echeggiò in tutto l’appartamento.

“Scommetto che sono loro” disse con un sorriso Taehyung scoccandogli un sonoro bacio sul collo prima di sfrecciare verso la porta. Hoseok ridacchiò. Poi decise che non era da lui farsi prendere dal panico e che non c’era motivo di preoccuparsi per cose che non erano ancora accadute.

 

 

 

 

Era alto e probabilmente una delle persone più avvenenti che Jimin avesse mai visto dopo Seokjin.

“Ciao Jimin, sono Taehyung” disse questi con semplicità sfoderando un sorriso a trentadue denti. E Jimin ebbe per un attimo la visione di un ragazzino che sfrecciava per i corridoi della scuola inseguito dal personale della mensa scolastica.

“Ciao!” riusci a dire Jimin mentre con l’aiuto di Jungkook si dirigevano verso l’ascensore. “Scusa per il disturbo Taehyung” aggiunse Jimin una volta stretti in ascensore.

“Nah, non ti preoccupare. Gli amici di Jungkook sono anche i miei e in realtà moriva dalla voglia di incontrati sin da quando Jungkook ti ha menzionato!”

“Taehyung” gemette Jungkook in angolo dell’ascensore. Jimin si lasciò scappare un enorme sorriso.

“ Certo, mi dispiace che tu ti sia dovuto far male perchè questo avvenga, ma almeno ne è uscito qualcosa di nuovo no? Hai conosciuto me!”

Jimin ridacchiò mentre Jungkook invece scuoteva la testa. Una volta che le porte dell’ascensore si aprirono Taehyung li guidò verso la porta alla fine del corridoio.

L’appartamento si apriva su una pianerottolo in cui c’era uno scaffale zeppo di scarpe e dei quadri con spartiti al posto di bei panorami. Taehyung fece loro strada verso il salotto dove Jimin potè finalmente sedersi e smettere di gravare il povero Jungkook con il suo peso, anche se Jungkook non sembrava affatto infastidito e aveva continuato a stargli accanto, sedendosi con lui sul divano, un calore confortante sul lato sinistro.

“Quindi Taehyung sei tu il dottore?” Jimin chiese confuso dal fatto che Taehyung non sembrasse intenzionato a dare un’occhiata alla sua caviglia.

“Oddio no. La mia anima gemella lo è. Quasi. Ma sei in buone mani Jimin, lui è il primo della classe.” disse con visibile orgoglio. Taehyung sembrava diverso da qualsiasi numero due Jimin avesse incontrato, c’era un’aria calda e dolce intorno a lui, come quando ti scaldi al sole dopo un bagno in mare aperto.

“Taehyung, mi farai morire di imbarazzo così” disse una voce alle loro spalle.

Jimin ci mise qualche attimo a capire, era come cercare di mettere a fuoco un obbiettivo nel guazzabuglio che erano i suoi ricordi. Non vedeva quelle labbra a cuore da un sacco di tempo e sebbene questo Hobi hyung, fosse più alto e avesse zigomi e linee del viso più sporgenti, Jimin avrebbe riconosciuto ovunque quel ghigno da gatto che Hoseok aveva quando trovava qualcosa di interessante.

“Ciao Jimin” Hoseok disse ed era come se non fossero passati tredici anni e fossero ancora in quella palestra calda e malmessa, a ripassare i passi di una routine. “Sembri più alto. Non di tantissimo però.”

Hoseok disse scollando le spalle.

Jimin scoppiò a ridere. “Hyung non ci vediamo da secoli e tu mi dici che sono più alto, ma di poco? Se è per questo la tua fonte è più ampia!”

“Mi piace la sua fronte, è sexy” aggiunse Taehyung dal nulla.

“Aspettate voi due vi conoscete?” Jungkook esclamò, incapace di comprendere cosa fosse appena successo.

“ Si” dissero all’unisono Hoseok e Jimin facendo sorridere entrambi.

Jimin sentì Jungkook irrigidirsi per un attimo al suo fianco.

“ E’ stato tanto tempo fa, così tanto tempo fa che questo tuo hyung ancora ballava. Poi io mi sono dovuto trasferire e ci siamo persi di vista” Hoseok riassunse in poche parole. “Comunque, rimandiamo a dopo le nostre riminiscenze di gioventù e vediamo invece questa tua caviglia Jiminnie”.

“ Oh si” alla luce dei nuovi eventi Jimin si era quasi dimenticato del suo piccolo infortunio ma quando Hoseok la menzionò il dolore si fece improvvisamente risentire.

Hoseok si inginocchiò davanti a lui e gli tolse con gentilezza scarpa e calzino. Prese il piede con un tocco molto più delicato del maestro Lee, tastò leggermente la zona mentre osservava con attenzione la caviglia, con quello sguardo che Jimin aveva visto più volte tanti anni prima sul suo volto quando cercava di sbrogliare una coreografia complicata.

Era tutto così surreale, trovarsi in quella stanza non solo con Jungkook ma anche col suo amico di infanzia. Jimin aveva un milione di domande.

“Da quel che vedo è solo una storta di lieve entità ma va comunque fasciata e va messo del ghiaccio per attutire il gonfiore. Ti darò anche degli antidolorifici mi raccomando non più di tre al giorno, non sono caramelle.” Hoseok disse facendogli l'occhiolino. Prese delle fasce dal kit che aveva in mano e iniziò il suo lavoro.

“ Devi stare a riposo Jimin, niente ballo per una settimana mi dispiace, e se ti fa ancora male fatti visitare subito. Che lavoro fai?

“Lavoro in ufficio”

“ Sarebbe meglio che tu ti prendessi dei giorni di malattia ma se ciò non fosse possibile portati una stampella, non è nulla di grave ma se ricominci subito a sforzare il piede potresti peggiorare la cosa. Meglio prevenire che curare.” Hoseok concluse mentre finiva di fasciargli la caviglia. Poi prese una bustina del ghiaccio, la spezzò e la mise sopra di essa. Una sensazione di sollievo si diffuse in tutto il corpo di Jimin.

“Hyung quindi è tutto posto?” Jungkook si sincerò.

“Si kookie non ti preoccupare, il tuo Jimin sarà tutto intero in pochi giorni”.

Jungkok parve imbarazzato per un attimo.

“Jiminnie hai qualcuno che ti porti a casa? Possiamo darti un passaggio noi senza alcun problema”

“ hyung non voglio disturbarvi ancora, un mio amico dovrebbe aver finito di lavorare e può venire a prendermi e quanto alla macchina...”

“Te la lascio io a casa, dopo che ti ho portato a lavoro domani mattina” aggiunse Jungkook.

Jimin si voltò a guardarlo, preso in contropiede.

“Jungkook...’”

“Jimin hyung non scherzavo quando dicevo che non dovresti trascurare questo tipo di cose. Non è un problema. Mi alzo comunque presto per le lezioni. Certo se hai già qualcuno che possa aiutarti va bene, ma veramente non è un problema per me farti questo favore. Sono un essere civile anche io”Jungkook disse quasi scusandosi.

Jimin si sentì arrossire dalla testa ai piedi. Non era abituato a tanta cura e riguardo. Per anni gli unici che si erano interessati a lui erano stati Seokjin e Namjoon o i suoi genitori. Ma i secondi vivevano lontano e Jimin non voleva approfittare di Seokjin quando anche lui aveva un lavoro e un sacco di altre cose da fare.

Vorrei provare a esserci per lui. Era stato Jimin a dirlo e non si aspettava che il rapporto avrebbe potuto ribaltarsi e che Jungkook si sarebbe offerto volontariamente di esserci. Aveva deciso che tra Jungkopk e lui ci sarebbe stata solo amicizia, però era difficile non pensare ad altri scenari, non desiderare dell’altro, non con Jungkook che si dimostrava così gentile e premuroso.

Poi si ricordò delle parole di Jungkook durante il loro tragitto in macchina e Jimin si vergognò per il suo attimo di egoismo.

“Grazie davvero.”

 

 

 

 

Namjoon era venuto a prendere Jimin,esausto ma anche preoccupato per l’amico, e a nulla erano servite le insistenze di Hoseok e Taehyung che avevano cercato di invitare entrambe a cena. Jungkook immaginava che Jimin fosse esausto e che non vedesse l’ora di riposarsi sul suo letto. Non appena si fu chiusa la porta dietro di loro Jungkook assalì Hosoek di domande.

“Da piccoli andavamo a scuola insieme ed eravamo nella stessa squadra di ballo. Eravamo amicissimi ma poi mi sono dovuto trasferire e come ti ho detto ci siamo persi di vista. Non ero sicuro fosse lo stesso Park Jimin, scusa se non te l’ho detto”. Hoseok rispose.

Jungkook non era convinto ed era sicuro ci fosse una spiegazione dietro il silenzio che entrambi avevano mantenuto al riguardo, ed era strano perchè Taehyung era il tipo da dire sempre tutto ai quattro venti e Hoseok era una persona aperta. Jungkook avrebbe voluto andare alla carica ma l’espressione pensierosa di Hoseok e lo sguardo di avvertimento di Taehyung lo fecero desistere.

Jungkook lanciò un’occhiata di rimando al suo miglior amico e Taehyung annuì e Jungkook seppe che Taehyung gli avrebbe spiegato tutto solo non in quel esatto momento.

Jungkook era rimasto abbastanza volte a casa loro da sapere come muoversi perciò dopo che fu chiaro Hoseok non voleva aggiungere altro, andò in cucina per uno spuntino veloce e poi si diresse in camera loro per prendersi cuscini e coperte e preparasi un letto sul divano.

Taehyung era li ad aspettarlo mente Hoseok era andato a farsi una doccia.

“Per Hoseokkie è strano rivedere Jimin. Lo fa ripensare al tempo in cui ballava. Credo che un po’ lo rattristi. Non ti abbiamo detto niente perché non volevamo importi Jimin, Hoseok soprattutto” disse Taehyung mentre portava cuscini e coperte in salotto e insieme sistemavano il divano.

“Hobi hyung non deve pensare a me. So che non sono sempre gentile ma avrei capito. Non è un problema per me.” Jungkook disse determinato. Non era la prima volta che Hoseok metteva da parte i suoi sentimenti per il bene degli altri, Jungkook si disse che Hoseok era troppo gentile per il suo stesso bene.

“Grazie kookie. Glielo riferirò. Sai com’è, ogni tanto lui si incaparbisce sulle cose. “ Taehyung disse scrollando le spalle.

“Glielo dirò anche di persona se serve. Non è un male essere egoisti ogni tanto. Anche se questo è lungi dall’essere un atto di egoismo, non so se mi spiego” Jungkook disse grattandosi la testa pensieroso.

“Già. Ho l’anima gemella dal cuore d’oro.” Taehyung commentò con uno dei sorrisi sognanti che aveva quanto elogiava la sua anima gemella.

“Il che è un bene visto che gli sei capitato tu!” scherzò Jungkook.

Taehyung cercò di dargli un calcio ma Jungkook fu più svelto.

“ se hai finito di fare lo scemo credo che Hoseok abbia finito di fare la doccia. Ti lascio dei vestiti per la notte nel mobiletto fuori. Vai pure, puzzi!” Taehyung disse arricciando il naso melodrammaticamente. Jungkook non se lo fece dire due volte e si infilò in bagno.

Era stata una giornata intensa e il giorno dopo lo sarebbe stato ancora di più. Inoltre doveva andare a prendere Jimin di buon ora. Jungkook si chiese se avesse fatto bene ad offrirsi di dargli una mano, ma in effetti sapeva che Kim Seokjin non c’era e non poteva lasciare Jimin da solo.

Il solo pensiero di Jimin solo e in difficoltà gli faceva provare una strana stretta allo stomaco. Si chiese se questo dovesse significare qualcosa.

Poi pensò che ancora non aveva parlato con i suoi genitori e che quella era sicuramente una faccenda che avrebbe meritato la sua concentrazione. Quindi senza indugi si mise sotto il getto dell’acqua e cercò di non pensarci.

 

 

 

Hoseok l’aveva svegliato prima di uscire per il suo turno all’ospedale e Jungkook era rotolato giù per terra cosciente di non trovarsi a casa sua e di avere un compito da svolgere. Si trascinò quindi in bagno e poi in cucina per riempire la sua pancia vuota. In cucina naturalmente vi trovò Taehyung intento a fare il caffè, probabilmente si era svegliato per passare del tempo, anche se poco, con la su anima gemella, e Jungkook si trovò a pensare quanto fossero ancorati l’uno all’altro quei due.

“Ti ho fatto una dose extra di caffè e ci sono dei pancake. Li ha fatti Hoseok ieri ma dovrebbero essere ancora buoni” Taehyung disse con la sua voce squillante. Jungkook non era assolutamente una persona mattutina e si limitò quindi ad annuire.

Dopo che ebbe fatto colazione prese in prestito dei vestiti da Taehyung perché non aveva tempo di passare da casa e mandò un messaggio a Jimin per avvisarlo che stava partendo da casa. La notte prima si erano scambiati i contatti e Jungkook lo trovò stranamente ironico e cercò di non soffermarsi sul fatto che la sua relazione con Jimin, nonostante tutto, stesse facendo dei progressi. Evolvendo. La cosa lo spaventava a morte.

Mise da parte quei pensieri ancora una volta e decise che era meglio distrarsi, quindi una volta in macchina accese la radio e lasciò che l’ultima hit di Gloss gli sgomberasse la mente,

Il tragitto fu breve perché in verità Jimin abitava molto vicino a casa di Taehyung e Hoseok. Nonostante Jungkook avesse raccomandato a Jimin di non muoversi, Jimin era già sceso all’ingresso e lo stava aspettando seduto sul cemento in cui si ancorava la ringhiera che circondava l’edificio.

“Hyung, cosa ti avevo detto?” lo rimproverò per prima cosa Jungkook appena fu sceso dalla macchina.

“Buongiorno anche a te” disse Jimin roteando gli occhi. “Non ti facevo il tipo protettivo comunque”Jimin lo prese in giro.

“Te l’ho detto, non ti permetterò di mollarmi da solo con i marmocchi. E se te ne vai in giro a camminare come se nulla fosse e quello che capiterà.”Jungkook aggiunse mentre apriva la porta della macchina a Jimin.

“Va bene, qualsiasi cosa per te Jungkook” rispose Jimin e fu la volta di Jungkook di alzare gli occhi al cielo.

Aspettò che Jimin chiudesse la porta e poi accese il motore per immettersi nel traffico delle otto di mattino.

“ Comunque come stai hyung? Un po’ meglio?”

“Si. Hobi hyung non è un dottore, è un mago, mi ha fasciato per bene” Jimin disse sorridendo.

“Eravate tanto amici tu e hyung?”Jungkook chiese non riuscendo a trattenere la sua curiosità. Se Hoseok non voleva parlare poteva sempre chiedere a Jimin.

“Oh si. Dicevano che eravamo un duo di folli. Mi è dispiaciuto un sacco quando se ne è andato. Ho pianto tutto il pomeriggio quel giorno” Jimin confessò.“E tu hai conosciuto Hoseok per via di Taehyung?”

“Si, io e Taehyung ci conosciamo da quando abbiamo imparato a scrivere il nostro nome in stampatello. Quando Taehyung ha incontrato la sua anima gemella me l’ha presentato subito ed eccomi qui, praticamente adottato.” Jungkook disse scuotendo la testa.

“Non mi sembra che ti dispiaccia così tanto” Jimin lo prese in giro.

“In effetti no. Quasi mi dispiace che non siano i miei veri genitori” Jungkook disse. Voleva essere uno scherzo ma la la frase gli uscì stranamente lugubre.

Jimin si limitò ad annuire e il silenzio li avvolse di nuovo. Jungkook sentiva gli occhi di Jimin osservarlo e sembrava quasi volesse dirgli qualcosa.

“Jungkook ho pensato un po’ alla nostra situazione e mi è venuta in mente un’idea. Non so se ti piacerà. Ho paura che ti arrabbierai.”

“ Che idea Jimin hyung?” Jungkook avrebbe voluto fermare la macchina e guardare Jimin negli occhi perché decisamente aveva catturato la sua attenzione.

“Hai detto ai tuoi genitori che noi ci vediamo ogni tanto” Jimin chiese un po’ imbarazzato. Jungkook si contorse leggermente nel sedile. Era difficile in effetti definire a che punto fossero loro due, se c’era un punto in cui esserci ovviamente, e capiva l’esitazione di Jimin.

“No. Non so esattamente se sia una cosa che potrebbe aiutarmi o meno. Da una parte smetterebbero di fiatarmi sul collo per un po’, dall’altra non voglio confermare loro cose che non ci sono. Non voglio che si facciano strane idee. Forse non dovremmo parlare qui? In cinque minuti saremmo arrivati nel tuo ufficio e questo è un argomento che richiederebbe più tempo.”

Un silenzio segui le parole di Jungkook.

“Jimin hyung?”

“Hai ragione il mio è un pessimo tempismo. Ne parleremo in un altro momento, anzi sono contento che tu voglia farlo.

“lo.. i faccia a faccia non sono il mio forte e spesso risulto più aggressivo di quanto in realtà io non voglia. Mi dispiace di averti sempre reso difficile parlare con me.”Jungkook non sapeva da dove era venuta questa frase ma pensò a tutto quello che Jimin aveva fatto per lui mentre Jungkook si era comportato invece da adolescente costipato.

“E’ vero ogni tanto mi sembra di essere in una costante gare ad ostacoli con te, ma so che le nostre circostanze sono pesanti. E non mentivo quando dicevo di avere un’idea anche se non ti piacerà tantissimo.”

“Siamo arrivati hyung.”

Jungkook parcheggiò la macchina ma prima potesse scendere lo prese delicatamente per un braccio e prosegui:

“Hyung tu sai come la penso e non ho cambiato idea anche se mi piace la tua compagnia da amico. Mi rendo conto di non averti mai chiesto come la pensassi tu, ma Jimin hyung se davvero vuoi un compagno e considerando invece che io non lo voglio, non so come potremmo conciliare le cose. Non so come risolvere il nostro problema ed ho paura. Ho paura che finiremo per cedere, che alla fine finiremo per sposarci sotto la pressione delle nostre famiglie e della società e che saremo estremamente infelici, e non voglio fare questo a me. A te. Io non ci avrei mai scommesso... ma tu mi piaci come persona e non voglio farti questo.” Jungkook ammise.

Era la verità. Era tutto quello che aveva pensato in quei giorni e che non aveva voluto ammettere, ed era venuto fuori proprio in quel momento con Jimin che doveva andare a lavorare e con lui che era un caos incoerente. Perchè aveva detestato Park Jimin, per il suo passato e per il loro presente, ma le cose erano cambiate e Jungkook in qualche dannatissimo momento tra il loro primo appuntamento ed ora, aveva iniziato a tenerci a Jimin. A pensare al suo bene.

“Lo so Kookie.” Jimin disse e gli sorrise in modo strano forse un po’ triste. “Ci sentiamo dopo, non ti preoccupare ti spiegherò cosa ho in mente.” Jimin rispose.

Jungkook lo vide percorrere la poca distanza che lo separava dall’entrata del palazzo e avrebbe voluto alzarsi ed assicurarsi che Jimin entrasse senza problemi.

Invece rimase li immobile le mani sul volante, a cercare di pensare un modo in cui nessuno dei due si facesse del male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nda: let's cry together. Perchè Jungkook finalmente si è aperto ma solo per respingere ancora una volta Jimin, anche se ha iniziato a volergli bene.
Non mi sono dimenticato di Namjin, tranquilli e penso inaugurerò anche vhope. Fatemi sapere cosa ne pensate. Alla prossima <3

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Capitolo 14
*** 00.8 ***


00.8

 

 

 

Seokjin aveva saputo dell’infortunio di Jimin solo due giorni dopo l’accaduto.

Jimin si era guardato bene dall’avvisarlo e si era fatto promettere da Namjoon che non ne avrebbe fatto parola con lui “almeno finché Jin hyung non ha un attimo di pausa”.

Seokjin avrebbe avuto un attimo di pausa solo da li a due giorni, perché l’editing e le interminabili riunioni per i dettagli avrebbero richiesto un sacco di tempo, tuttavia non c’era molto che la sua anima gemella potesse nascondergli senza che Seokjin lo venisse a sapere. Era riuscito a resistere due giorni solo perché entrambi erano stati così oberati di lavoro che si erano visti solo in inframezzati incontri mattutini.

“Jimin, come stai? Tutto bene? Perché non mi hai detto nulla?” Seokjin si trovava nel piccolo studio che la compagnia gli aveva messo a disposizione. Aveva finito l’editing del primo servizio in tempo di record ma il direttivo aveva insistito per una seconda tranche di foto per ogni evenienza.

Quando glielo avevano comunicato Seokjin si era dovuto trattenere dal far trapelare alcuna emozione e aveva cercato di pensare al ricco onorario che un lavoro in più avrebbe fruttato. E a tutte le cose che avrebbe chiesto a Namjoon come premio di riparazione per dover rimanere li un giorno in più.

“Hyung sto bene. E’ solo una leggera storta e non fa neanche più tanto male. Non te l’ho detto perché so che ti preoccupi troppo.”

“Jimin dimmi che sei andato a farti visitare e che adesso sei a casa a riposo”

“Non esattamente?”

“Jimin!” Seokjin scosse la testa. Jimin era una persona terribilmente disinteressata e sebbene questo lo rendesse l’essere umano più gentile sul pianeta, lo rendeva anche incapace di prendersi cura di se stesso se significava arrecare disturbo ad altri. Seokjin con gli anni aveva cercato di instillargli un po’ di sano egoismo e sebbene fosse migliorato Seokjin ancora riteneva che Jimin fosse troppo sconsiderato. Seokjin pertanto si era preso la responsabilità di colmare a questa lacuna.

A costo di essere una tua seconda madre, Jimin.

“Non ti preoccupare va bene? Namjoon e Jungkook si sono presi cura di me e in paio di giorni sarò perfettamente a posto.”

“Sarà meglio.” Seokjin rispose.

Jimin ridacchiò dall’altra parte della linea. Seokjin si lasciò scappare un sorriso. Jimin sembrava veramente stare bene. Sapeva che Namjoon si sarebbe fatto in quattro per Jimin, gli voleva infatti molto bene, era contento però che nel quadro ci fosse anche Jeon Jungkook.

“Jin hyung tra poco mi vengono a prendere e immagino tu abbia ancora un sacco da lavorare. Ci sentiamo fra qualche giorno ok? Ora che ci penso ho un sacco di cose da raccontarti, non ci crederai mai.” Seokjin notò che la voce di Jimin si era fatta strana e per un attimo fu preda della curiosità e fu sul punto di insistere per farsi raccontare tutto ma Jimin aveva ragione. Il suo lavoro non si sarebbe concluso da solo.

“Va bene. Mi raccomando fammi sapere se va tutto bene e non esitare e chiamare me o Namjoon in caso di bisogno!” Seokjin si raccomandò.

“Certo, certo! A presto!” Seokjin salutò a sua volta prima di terminare la chiamata. Guardò distrattamente la schermata del suo computer. Sembrava che un paio di cose fossero successe a Jimin oltre la sua slogatura.

Seokjin e Jimin erano stati amici sin dal primo anno di college di quest’ultimo. Era buffo perché in effetti Jimin aveva conosciuto prima la sua anima gemella dal momento che erano stati compagni di corso eppure era stato con lui, Seokjin, che Jimin aveva legato in modo particolare. Certo Jimin era anche il miglior amico di Namjoon tuttavia non allo stesso modo, non per le stesse cose.

C’era un legame tra di loro fatto di reciporca comprensione perche Seokjin, davvero, poteva capire.

Seokjin sapeva cosa voleva dire sperare in qualcosa e non averla affatto.

“Seokjin è tutto pronto” la voce di Yoongi lo prese di soprassalto. Seokjin avrebbe voluto dirgli qualcosa come “non si usa più bussare” ma sapeva di aver lasciato la porta dell’ufficio aperta e in quanto capo del progetto e principale produttore della compagnia Yoongi poteva fare come gli pareva. Dopotutto era lui che gli stava pagando lo stipendio.

“Certo. Arrivo” Seokjin rispose laconico.

Aveva cercato di parlare il meno possibile con lui e non era stato difficile vista la freddezza in generale del carattere di Yoongi.

Perciò visto tutti gli anni passati e ignorarsi reciprocamente, Seokjin non si aspettava certamente che Yoongi, Min Yoongi facesse a lui questa domanda.

“Come sta Jimin?” lo aveva detto con quel suo tono atona e annoiato mentre continuava a camminare davanti a lui. Non si era voltato, né si era fermato ma Seokjin lo conosceva fin troppo bene, probabilmente aveva origliato la sua conversazione.

“Non sono affari tuoi” Seokjin disse con lo stesso tono neutro.

Continuarono a camminare in silenzio fino allo studio dove entrambi salutarono lo staff come se nulla fosse accaduto.

 

A volte Kim Seokjin , amare significa saper rinunciare.” Yoongi gli urlò infine perdendo le staffe.

Come se tu ne sapessi qualcosa.” Seokjin rispose freddo. Yoongi sembrò sgonfiarsi per un attimo sotto il peso delle sue parole.

Perché era vero. Yoongi non aveva mai rinunciato a nulla e aveva finito col trascinare tutti nel fango per il suo egoismo.

 

 

 

 

 

Era era rimasto sveglio a lungo la sera dopo la conversazione con Jungkook. Erano passati alcuni giorni e sebbene fisicamente si sentisse meglio, Jimin non riusciva a cancellare del tutto quel retrogusto amaro che quelle parole avevano lasciato.

Si disse che era stupido che, in effetti, non aveva di che sorprendersi. Jungkook non aveva mai fatto promesse ed era sempre stato chiaro nei suoi intenti e Jimin, probabilmente, era la persona che più lo capiva e allo stesso lo ammirava.

Tutto quello che ero tutto quello che non sono.

Jungkook era stato gentile con lui, si era aperto finalmente, e Jimin si disse che avrebbe dovuto essere soddisfatto perché era tutto quello che lui si era augurato all’inizio. Eppure era stata propria la sua gentilezza a svelare una falla nel piano di Jimin. Dopotutto, si disse Jimin, era sempre stato bravo a mentire a se stesso e forse lo aveva fatto ancora una volta.

Qualsiasi cosa fosse, qualsiasi emozione Jimin pensava di provare, non importava.

Jungkook aveva ragione, nessuno dei due si meritava di essere infelice e se la sua idea funzionava forse sarebbe riuscito a dare entrambi la libertà del libero arbitrio.

Forse allora, una volta che Jungkook fosse stato libero di scegliere, Jimin si sarebbe sentito meno in colpa nel perseguire il suo egoismo.

La sua idea tuttavia comportava un’altra percentuale di rischio e Jimin sapeva Jungkook l’avrebbe odiato per sempre se si fosse sbagliato. Jimin tuttavia poteva anche non fidarsi di se stesso ma si fidava dell’opinione di Namjoon.

Non sopravvalutare la felicità dei numeri due Jimin. Non importa quello che dicono, siamo anche noi incasellati in questo sistema e ti assicuro che non basta essere numeri due per non soffrire.

Jimin diede un’occhiata al cielo. Erano da poche scoccate le sei e Jimin era sceso all’ingresso in attesa di chi quella volta doveva venire a prenderlo. Esalò un lungo respiro e ancora una volta chiese alla fortuna di assisterlo, che le cose in qualche modo riuscissero andare al proprio posto. Quando riporto il suo sguardo sulla strada riconobbe Hoseok al volante di una macchina scura e automaticamente gli si formò un sorriso in volto.

Uno degli eventi di cui più era grato nonostante tutto, era l’aver ritrovato Hoseok.

“Jiminnie!”lo salutò Hoseok con la sua voce squillante

“Ciao!” Jimin rispose sorridendo. Per quel paio di giorni Jungkook, Namjoon e Hoseok avevano fatto a turno per fargli da autista personale. Jimin trovava la cosa un po’ ridicola perché aveva preso appena una piccola storta ma nessuno aveva minimamente dato ascolto alle sue proteste e su suggerimento di Jungkook avevano creato una gruppo di conversazione per distribuirsi i turni.

Per giunta non poteva nemmeno lamentarsi con il suo miglior amico perché sapeva che Seokjin avrebbe approvato, come da conversazione appena conclusa.

Jimin non sapeva bene come comportarsi, non era affatto abituato a tutto quell’affetto e ciò non aiutava a chiarire il caos della sua mente.

Hoseok però era ancora una presenza rassicurante e non c’erano infinità di anni sufficienti per togliere ad entrambi il piacere della loro reciproca compagnia.

“Namjoon lavora fino a tardi anche oggi e Jungkook come sai ha lezione di danza perciò oggi tocca a me!” Jimin annui. Jungkook gli aveva scritto un messaggio poco prima chiedendogli come stava e avvisandolo che sarebbe venuto qualcun altro a prenderlo. Era contento fosse Hoseok.

Hoseok lo accompagno verso la macchina scusandosi per lo stato deplorevole in cui era.

“Taehyung ha il vizio di prendere un sacco di take away e di lasciare le confezioni in macchina. Gli dico sempre di buttare via ,ma si dimentica sempre.” Hoseok disse scuotendo la testa mentre entrava in macchina.

Jimin ridacchio.

“Taehyung sembra una persona davvero speciale” Jimin commentò perché in effetti Hoseok era l’unica persona che si lamentava di qualcun altro mantenendo un sorriso a trentadue denti stampato in volto, quasi questo difetto fosse un altro dettaglio adorabile della personalità della sua anima gemella.

“Lo è credimi. Non riesco ancora a credere di aver trovato un’anima gemella così perfetta. Non c’è giorno noioso con lui e riesce tranquillamente a stare dietro alle mie mille faccende e fare anche le sue.” Hoseok aggiunse.

“Da quant’è che vi siete incontrati?” chiese Jimin curioso. “In realtà avrei un sacco di domande da farti ma cominciamo con questa. Hoseok rise mentre uscivano dal parcheggio dell’edificio.

“Ho incontrato Taehyung al secondo anno di medicina poco dopo che lui si era diplomato ed ho capito subito di avere un’anima gemella speciale.”

“Jungkook invece?” chiese ancora Jimin cercando di immaginarsi un Hoseok più giovane e un Jungkook fresco di diploma. Il pensiero era vagamente nostalgico.

“Non ci crederai ma il giorno dopo il mio incontro con Taehyung ho conosciuto anche Jungkook. Siamo inseparabili da allora.”

“Taehyung e Jungkook sembrano molto legati. Jungkook mi ha detto che si conoscono dalle elementari.” Jimin commentò affascinato. Si supponeva che l’incontro con l’anima gemella fosse così sconvolgente da non lasciarti vedere altro. I numeri zero scherzavano sul fatto che i numeri due apparissero sempre con al testa tra le nuvole troppo presi da loro stessi, ma in effetti era veramente così. Le anime gemelle erano fatte apposta per stare insieme, due metà inseparabili del loro microcosmo. Soprattutto per delle anime gemelle che si incontrano per la prima volta questo campo gravitazionale era molto intenso. Jimin non aveva ovviamente mai sperimentato ma aveva visto di prima persona l’effetto che aveva sui numeri due l’incontro con il proprio numero uno.

“Si. Taehyung e Jungkook sono praticamente una persona sola. Sono stati insieme sin da quando hanno memoria e sono stati l’uno la compagnia dell’altro fino al raggiungimento della maggiore età.” Hoseok disse. Jimin distolse lo sguardo per intensità con cui Hoseok aveva detto il tutto.

Quello che lo studente di medicina aveva appena descritto era un legame insolito.

“Vuoi molto bene a Jungkook” Jimin disse infine.

“E’ difficile non volergliene” Hoseok rispose.

“ Lo so” rispose d’istinto Jimin. Hoseok gli lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, prese un bel respiro e disse.

“Jimin io e te non ci vediamo da troppo tempo e non voglio intromettermi in nessun modo ma ti ho conosciuto bene una volta, dio eravamo così amici che ancora ancora ci scambiavamo le mutande. E conosco molto bene Jungkook ora. Jungkookie può fare il duro ma in realtà è tutta una finta e quel ragazzo è probabilmente la persona più gentile e affettuosa che abbia conosciuto dopo Taehyung. Lui non lo dirà mai ma io so che si sente molto solo, che si è sempre sentito molto solo. Io sono un mero numero due e non posso capire, ma tu si Jiminnie e se sei il Jimin che io ho conosciuto so che la tua presenza può fargli solo che bene. Qualsiasi cosa ti dica tu non ascoltare. Fidati dell’istinto. Non mollare.”

“Non ho intenzione di farlo.” Jimin rispose.

Jungkook aveva questo non so che. Alcuni la potevano chiamare passione ma poteva tranquillamente passare per disperazione. La disperazione di provare a fare a modo suo, di non arrendersi anche se le circostanze erano tutte contro, la disperazione nel voler continuare a vivere. Era questo che ti toccava nel profondo, Taehyung, Hoseok, lui stesso. Sapevi che la sua determinazione era impossibile ma allo stesso tempo non volevi vederlo fallire.

“Ci conto”Hoseok replicò facendogli l’occhiolino. Poi cambiò argomento e insieme parlarono dei loro rispettivi lavori.

Jimin era contento di constatare che parlare con Hoseok era ancora facile che il suo amico di un tempo lo faceva ancora ridere e che c’era ancora in lui tutta quella sana allegria di quando aveva tredici anni e spronava Jimin ad allenarsi per vincere la competizione sebbene lui stesso fosse un partecipante.

Arrivarono ben presto a casa di Jimin ma Hosoek invece di lasciarlo sulla porta scese con lui perché voleva controllargli la caviglia.

Jimin lo fece entrare nel suo appartamento, Tao il suo gatto venne loro incontro e fece squittire Hoseok di gioia.

“Taehyung è allergico ai gatti ma se così non fosse avremmo casa nostra ricoperta di animali” Hoseok esclamò estasiato dal caldo benvenuto riservatogli dal gatto. Jimin fece strada nel piccolo salotto dove Hoseok lo fece sedere sul divano senza tante cerimonie.

Come l’alta volta l’amico focalizzò la sua attenzione sul problema ed era affascinante per Jimin vedere questo Hoseok, quello serio e professionale, così diverso dal Hoseok che ballava in mezzo alla pista, eppure sempre lo stesso.

“Il gonfiore è sparito del tutto. Quando cammini ti fa ancora male?”

“Non che io abbia camminato molto perché voi tutti non mi fate fare più dei passi dalla mia porta alla macchina, però no, non mi fa più male.”

“Credo tu stia bene. Magari nel weekend prova a camminare per un po’ e se non ti fa male allora credo che martedì prossimo potrai ritornare in pista ma non provare a camminare prima di questa domenica mi raccomando. Giusto per precauzione ok?”

“Va bene. Grazie. Hoseok.” Jimin disse sorridendo.

Quando erano piccoli e pensavano ancora tutto fosse possibile nonostante il loro strano mondo, Jimin non aveva immaginato nessun altro futuro per Hoseok se non quello del ballerino perché Hoseok aveva troppo talento ed era così felice quando ballava. Ma vedendolo li cosi a suo agio nel nuovo ruolo, Jimin pensò che forse si era sbagliato.

Jimin sperò che prima o poi, col tempo, Hoseok gli raccontasse quali erano stati i passi che l’avevano condotto fino a quel momento.

“Jimin mi raccomando riguardati”

“Ma certo Hobi anzi, ci tenevo a ringraziarti te, Taehyung e Jungkook per preoccuparvi così tanto per me. Volevo invitarvi a cena uno di questi giorni se per voi va bene” e magari recuperare il tempo perduto insieme Jimin pensò.

“Mi sembra ottimo. Taehyung ne sarà entusiasta e non credo sarà difficile convincere Jungkook. Tu facci sapere!” Hoseok disse alzandosi dal tappeto.

Jimin lo accompagnò all’ingresso ma prima che Hoseok se ne andasse Jimin disse.

“Sono contento di averti rincontrato.”

“Anche io. Anche io.” disse Hoseok stringendogli avambraccio e fu come trovarsi di nuovo sul palco sotto le luci, davanti a un sacco di gente mentre riprendevano fiato dalla loro performance.

Dio. Quanto tempo era passato.

 

 

 

 

 

Quella sera era l’ultima volta che avrebbero accompagnato Jimin da lavoro. Jungkook si era accollato l’ultimo turno anche se Jimin aveva insistito fosse perfettamente guarito.

“Hoseok ha confermato” aveva detto a Jungkook. Ma quest’ultimo in realtà voleva solo una scusa per parlare finalmente con Jimin e quindi aveva insistito per accompagnarlo a casa.

Si erano visti un’altra mattina ma avevano parlato di cose inutili, il tempo, la musica, Jimin si era informato sulle lezioni. Non avevano più toccato l’argomento “idea di Jimin” per via del poco tempo e perché Jungkook non sapeva bene come affrontare l’argomento dopo la sviolinata dell’ultima volta.

Ma non avevano più tempo. Jungkook aveva infine risposto a sua madre che lo aveva minacciato con l'eventualità di un'imminente visita a casa sua. Bangkok era riuscito a scongiurare il peggio, o così credeva, dicendo un “ mamma capisco, ma invece di scomodarvi a venire qui, ne possiamo parlar al telefono tra un paio di giorni quando non ho lezione? Ho una soluzione te lo giuro” sua madre era sembrata acquietarsi e Jungkook tirò un sospiro di sollievo.

Il problema era che Jungkook non aveva una soluzione e sperava quindi che l’idea di Jimin, qualunque fosse, fosse quella vincente. Jimin aveva detto che lo avrebbe fatto arrabbiare ma arrivati a quel punto Jungkook era pronto a ingoiare qualsiasi pillola. Dopotutto Jimin gli era stato già di grande aiuto quando aveva fatto un passo indietro e Jungkook si fidava. Era stata ennesima prova terrificante rendersene conto (sembrava che Jimin si fosse messo d'impegno a demolire ogni suo pregiudizio), ma messo alle strette dai suoi genitori Jungkook non aveva esitato ad affidarsi alle mani di Jimin, convinto fosse il modo giusto.

Jungkook non riusciva a capacitarsene di come fosse stato possibile che Jimin lo scavezzacollo delle superiori, fosse diventato la sua carta più affidabile.

Ad ogni modo una volta che fu giunto a destinazione vi trovò Jimin in piedi sulla porta d’ingresso ad aspettarlo come sempre. E mentre Jungkook lo osservava avvicinarsi alla macchina si disse che doveva arrendersi al fatto che Jimin ormai fosse in qualche modo inglobato nella sua vita.

Jungkook aveva capito cosa Taehyung aveva voluto dire, quando gli aveva confessato che loro due non avevano voluto intromettersi. In effetti da li in avanti, qualsiasi cosa accadesse, Jungkook avrebbe avuto comunque una connessione con Jimin dal momento che lui l’avrebbe avuta con Hoseok. Eppure la cosa gli dava meno fastidio di quanto Taehyung avesse temuto. Jungkook poteva non volere un compagno, ma non aveva problemi ad avere Jimin a girare ai margini della sua vita.

Fino a questo punto almeno, fu in grado di ammettere.

“ Ciao Jungkook” lo salutò Jimin sedendosi sul sedile dell’accompagnatore. “Lo sai che non ce n’era bisogno, sto benissimo.”

“lo so, però volevo parlarti, non abbiamo avuto molte occasioni ed è venerdì. Niente lezioni di danza e tu domani non lavori”

“Quanto impegno per poter stare con me!” Jimin lo prese in giro.

“Jimin hyung.” Jungkook lo guardò di sbieco.

“scusa. Forse sono solo un po’ nervoso”

Jimin disse mentre si allacciava la cintura.

“Hyung a meno che la tua idea sia di chiedere la mia mano dubito che qualsiasi cosa tu abbia pensato possa darmi fastidio”.

“Hey sono un ottimo partito!”

“ Lo so. Sono io che.”Jungkook corrugò la fronte mentre accendeva il motore e si immetteva in strada.

“Jungkook lo so. So che non pensi male di me. Non più almeno, di questo sono certo.”

Jimin disse tranquillo.

“hyung avevi ragione a dire che io non ho diritto a giudicarti.”

“Jungkook alle superiori ho fatto molte scelte discutibili e so cosa pensavano gli altri numeri zero. So che ero considerata una disgrazia per la categoria.”

Jungkook scosse la testa.

“Hyung . Non c'è bisogno di giustificare le tue azioni. Sono state fatte per un motivo e anche se non siamo in grado di capire non sono comunque affari nostri . Quindi non ti scusare .” Jungkook disse ripensando con rammarico alle parole aspre del loro primo incontro.

“Grazie.” Jimin gli disse stringendogli brevemente l’avambraccio.

Jungkook si trovò a pensare a come sarebbe stato conoscere Jimin in altre circostanze. Se non si fossero conosciuti a scuola e se non si fossero incontrati di nuovo a causa di quello stupido fidanzamento, e lo avesse conosciuto invece come amico di Hoseok. Jungkook si chiese se le cose sarebbero state diverse.

Jimin non aggiunse altro e trascorsero il resto del tragitto in macchina a parlare di altro. Entrambe preferivano rimandare la loro conversazione dopo un pasto caldo.

“Hyung dove vorresti andare a cenare? Io non sono il massimo a cucinare ti avverto.”

“Beh mi dicono che io sono decente. Quindi se vuoi posso cucinare io, casa tua o casa mia è uguale”

Jimin fece spallucce.

“Casa mia è più vicina” Jungkook rispose scrollando le spalle a sua volta. Jimin sembrava nervoso e Jungkook riteneva che mangiare fuori non lo avrebbe messo a suo agio.

“Va bene. Mi sembra giusto. Sporchiamo la tua cucina”.

Jungkook rise.

Pochi minuti dopo erano già nelle vicinanze di casa sua, tuttavia man mano che si avvicinavano al suo palazzo Jungkook fu preso da uno strano nervosismo e quando notò una macchina famigliare capì il perché. Jungkook fu tentato di inchiodare e fare inversione a U seduta stante.

“ No no no”iniziò a dire in panico mentre buttava la macchina nel primo posto libero appoggiando la fronte sul volante, cercando disperatamente una via di fuga.

“ Jungkook cosa succede!”

“La vedi quella macchina argentata li davanti? Quella è la macchina dei miei genitori. Non possiamo tornare indietro hyung perché ci hanno già visti.” disse Jungkook sotto shock.

proprio in quel momento suo padre scese dalla macchina e Jungkook si sentì in trappola. Sua madre non aveva detto che non sarebbero venuti che ne avrebbero parlato al telefono? Avevano quindi cambiato idea?

“Jungkook calmati.” Jimin disse serio. Jungkook lo guardò con gli occhi sbarrati ma la calma di Jimin riusci a farlo tornare padrone di se.

“Mi dispiace. Avrei davvero dovuto parlarne con te prima. Ma ora non abbiamo tempo e se ci metteranno alle corde io cercherò di tirarci fuori dai guai. Promettimi che ti fiderai, promettimi che ti ricorderai che qualsiasi cosa io dirò è per liberare entrambi da questo impegno. Promettimelo!”

Jimin supplicò stringendogli forte la mano.

Jungkook non ebbe il tempo di annuire che i suoi genitori si erano già avvicinati al loro finestrino.

“ Te lo prometto” riusci a dire infine.

 

 

 

 

 

 






NdA: questo è stato un capitolo molto difficile. Credo di aver fallito in alcune cose ma almeno sono riuscita a tirare fuori qualche spunto importante. Yoongi ha il suo perchè.
Finalmente la prossima settimana sarò libera da esami per un po'. Speriamo bene! Un grazie enorme a tutti quelli che leggono e a tutti quelli che lasciano un commento!

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Capitolo 15
*** 00.9 ***


00.9

 

 

 

Jimin aveva sempre ammirato Namjoon.

Si erano conosciuti il primo anno di college grazie ad un lavoro di gruppo su un business plan da presentare in classe. Namjoon era intelligente, faceva discorsi risoluti ed era una di quelle persone che sembravano nascondere un mondo dietro semplici parole.

Jimin aveva conosciuto la sua anima gemella Seokjin, solo l’anno successivo, l’anno in cui Namjoon aveva abbandonato la facoltà di economia per iscriversi a una famosa scuola di composizione. Jimin era stato sorpreso allora e solo anni dopo, quando lui Namjoon e Seokjin erano diventati molto legati, Jimin aveva scoperto il perché. Seokjin non parlava volentieri della sua famiglia e delle difficoltà che avevano affrontato e sia Namjoon che Jimin rispettavano questa sua decisione.

Però anche quando non aveva saputo questi dettagli, era bastato uno sguardo a Jimin per capire che l’amore tra loro era cementato sulle battaglie vinte rimanendo l’uno al fianco dell’altro. Non importava quanto dura, quanto difficile era stata, e spesso nello sguardo perso di Seokjin Jimin aveva pensato di capire, nessuno dei due aveva pensato di mollare.

Sono anime gemelle Jimin. Tanto tempo prima Yoongi aveva detto quando Jimin aveva sollevato la questione. Yoongi non l’aveva detto come merito ma come a voler rimarcare l’inevitabilità del loro destino.

Forse era davvero così, forse le anime gemelle condividevano la buona e la cattiva sorte sempre e comunque ed era questo che rendeva i numeri due di un’altra pasta. Hanno una senso di appartenenza che noi zero non possiamo capire, si era detto Jimin.

La penosa fine della sua storia con Yoongi, e tutte le storie fallite successive, avevano cementato in Jimin la convinzione che l’amore tra numeri due fosse l’unico destinato a non fallire, tuttavia ora a distanza di anni, Jimin forse si trovava con una risposta diversa.

“Scusa Namjoon per averti disturbato” disse Jimin sulla strada di ritorno verso casa.

Namjoon era appena passato a prenderlo da Hoseok e Taehyung, sul suo volto le tracce di notti passate in bianco.

“Figurati Jimin. Ti sei fatto male, questo è il minimo. Prendilo come un ringraziamento per tutte le volte che tu mi sei venuto in soccorso durante tutti questi anni, compresa quella volta che mi sono fatto male rompendoti la porta del bagno.” ripose Namjoon sorridendo.

“Se la metti così dovrei chiederti gli interessi per tutto!” Jimin scherzò, cercando di trattenere uno sbadiglio. Non vedeva l’ora di trovarsi sotto le coperte e riposare.

“Tu e Jungkook sembrate andare d’accordo” commentò dopo un po’ Namjoon, con uno dei suoi sorrisi sornioni, quelli che facevano vedere le fossette sulle guance.

“Più o meno. Anzi oggi devo dire che è stato gentilissimo con me. Ha persino insistito per farmi visitare! Hoseok, sai il mio amico d’infanzia, è all’ultimo anno di medicina.” rispose Jimin.

“il mondo è piccolo. Appena vedi Seokjin raccontaglielo subito. Scommetto che si emozionerà più di te.” disse Namjoon con una note affettuosa nella voce. Jimin rise.

“ Si sarebbe proprio da Jin hyung” Jimin concluse.

Per un po’ nessuno disse nulla ma molte cose erano successe quella giornata e la sua storta a suo dire era la cosa meno interessante che gli fosse accaduta.

Jimin guardò dal finestrino chiedendosi se sarebbe riuscito a fare questa domanda prima di giungere a casa sua, perché aveva un’idea in mente ma solo Namjoon gliela poteva confermare.

“Namjoon io mi fido di te e se c’è qualcuno che può darmi una risposta logica quello sei tu. Lo sai che tutta questa faccenda del fidanzamento non sarebbe stata mai toccata se non fosse stato per il referendum imminente. Jungkook è fin troppo bravo perché dio solo sa cosa avrei fatto io a ventitré anni...” Jimin si fermò un attimo cercando di mettere in ordine le parole. Era da tempo passata l’ora accettabile di cena, sentiva la caviglia pulsare ed era stanco. Namjoon probabilmente lo era di più perché era nel bezzo dei preparativi di uscita di un nuovo album. Ma Jimin doveva sapere.

“Jimin, a volte le circostanze sembrano più grandi di noi ma c’è sempre una via d’uscita” Namjoon disse. Jimin riconobbe le strade vicino a casa sua.

“ Appunto, ed io credo che nessuno meglio di te possa rispondermi. Riguardo al referendum… cosa ne pensi? Pensi che il 'sì' passerà? Ho paura. Abbiamo paura. Eppure per quanto siamo diversi per quanto noi numeri zero non possiamo capire i numeri due e viceversa, voglio poter credere che ci possa essere un terreno d’intesa” Jimin concluse sospirando. Nell’ultimo periodo Jimin aveva pensato intensamente a come una singola evenienza fosse riuscita a capovolgere la sua vita, quella di Jungkook, e sicuramente quella di molti numeri zero. Eppure i suoi genitori erano numeri due. Suo fratello lo era, Namjoon e Seokjin lo erano e Jimin non poteva credere che tutti loro avrebbero votato per il si.
Namjoon fermò la macchina proprio di fronte a casa sua ma nonostante avesse spento il motore nessuno dei due fece moto di alzarsi. Infine, dopo quella che sembrò un’eternità disse.
"Non volevo essere io a raccontartela ma credo sia giusto che tu sappia, se questo serve a rassicurarti” Namjoon disse guardando Jimin negli occhi.

“Ho intenzione di raccontarti una storia Jimin”.

 

 

 

 

 

“Mamma, papà” Jungkook era sceso nervosamente dalla macchina ed insieme a Jimin era andato incontro ai suoi genitori.

Questi ultimi avevano preso nota della presenza di Jimin con genuina sorpresa. Le labbra di sue padre erano serrate talmente strette da formare un’unica riga. Jungkook era sicuro che stesse facendo un grane sforzo per trattenersi e il fatto che Jungkook non fosse solo era l’unico motivo per cui la valanga non gli era ancora stata scaricata addosso. Sua madre lo guardò e Jungkook dovette distogliere lo sguardo perché non c’era nulla che lo turbasse di più che vedere sua madre preoccupata.

“Signori Jeon, è un piacere conoscervi. Sono Park Jimin” disse l’altro numero zero ai suoi genitori iq uali risposero educatamente. Qualsiasi discorso fossero venuti a discutere con il loro figlio, Jungkook sapeva che dovevano sentirsi improvvisamente presi in contro piede. Perchè nonostante tutti gli indizi avessero puntato giustamente a cementare il fatto che Jungkook non ne voleva sapere nulla del fidanzamento ecco che Jimin si trovava li, assieme al loro figlio. Non doveva essere sfuggito all’occhio attento di sua madre la famigliarità con cui Jungkook e Jimin si muovevano l’uno accanto all’altro e questo suggeriva che il loro incontro non fosse il primo.

Il breve tragitto in ascensore, ascensore che riusciva a stento a tenere quattro persone in una volta, fu uno dei più snervanti di tutta la sua vita. Jungkook sentì il sudore colargli dalla nuca ed era sicuro non stesse urlando solo per una sorta di miracolo. Sentì Jimin afferragli con le dita la giaccia all’altezza del polso come a volergli ricordare che ci avrebbe pensato lui. Jimin gli aveva praticamente chiesto di lanciarsi nel vuoto e allo stesso tempo gli aveva promesso che sarebbero caduti insieme. Seppur povera come consolazione Jungkook decise di aggrapparsi ad essa.

Strinse le dita di Jimin per un attimo. Poi la porta dell’ascensore si aprì.

Entrarono nel suo appartamento in silenzio, Jimin entrò per ultimo e Jungkook si rese conto che era la prima volta che questi vi metteva piede e se per lui la situazione sembrava astrusa probabilmente per Jimin lo era di più. Invece di sedersi sul divano i suoi genitori optarono per la cucina e una volta che si furono seduti sulle rigide sedie Jungkook non seppe cosa altro fare.

“Jungkookie non siamo venuti per sgridarti” iniziò sua madre lasciando cadere le spalle.

“Eravamo solo preoccupati visto che non ti sentivamo più. Tuo padre ed io abbiamo deciso fosse il caso di provare a discutere con te e per questo siamo venuti” concluse lei cercando di sorridere a Jungkook. Era sempre stato così nella sua famiglia. Su madre spesso si assumeva il ruolo di mediatore, tra loro genitori e Jungkook, cercando sempre di far capire al loro figlio il perchè di certe decisioni. Tuttavia nonostante l’affetto con cui entrambi avevano sempre sommerso Jungkook, ai suoi occhi avevano sempre peccato di reale comprensione. Avevano sempre spiegato il loro punto di vista affinché si creasse un buon legame ma non avevano mai chiesto il parere di Jungkook. Jungkook si contorse sulla sedia. Suo padre aveva le braccia conserte ma non sembrò essere in disaccordo con sua madre.

“Jimin siamo piacevolmente sorpresi di trovarti qui. Non ci siamo mai presentati ma i tuoi genitori ci hanno tanto parlato di te” continuò sua madre rivolgendo a quest’ultimo un grande sorriso.

“Siamo molto contenti. In effetti eravamo venuti a parlare con Jungkook proprio di questo, ma ora ti vediamo qui e ci sentiamo rassicurati.”disse suo padre guardando prima l’uno e poi l’altro, quasi aspettandosi una conferma. Jungkook avrebbe voluto mettersi a ridere.

“Si forse siamo stati troppo frettolosi? Kookie tesoro, se per tempo intendevi più tempo per conoscere il tuo compagno, sai bene che noi a questo non ci saremmo opposti” disse sua madre sinceramente dispiaciuta di aver frainteso il loro figlio.

Jungkook avrebbe voluto urlare per la frustrazione ma aveva paura che aprendo bocca avrebbe detto parole imperdonabili. Perchè la sua famiglia sembrava non capire mai? Paradossalmente era stato il loro amore, la loro ansia a perseguire ciò che loro pensavano fosse meglio per Jungkook a finire col rovinare quest’ultimo. Lo facevano con gentilezza e guidati da amore e preoccupazione sinceri senza rendersi conto di star mettendo con le loro azioni una catena al collo a chi credevano di proteggere.

“Signori Jeon, sono contento anche io di conoscervi.” Intervenne Jimin sorridendo a sua volta. “Ma in effetti la mia presenza qui è del tutto casuale. Io e Jungkook frequentiamo” Jungkook lo guardò allarmato. I suoi non sapevano neanche che lui avesse ripreso a ballare e non era il caso di dire loro questo adesso. “una stessa attività. Ci alleniamo in palestra insieme” disse Jimin salvando la situazione. “Avevamo deciso di prenderci del tempo per riflettere ma per caso ci siamo trovati nello stesso posto ed ora siamo qui. E’ vero che questo caso ci ha consentito di conoscerci meglio, ma questo non ha nulla a che fare con il resto” Jimin affermò.

“Dal quel che dico ne deduco che avete trascorso del tempo insieme eppure affermi anche che la tua presenza qui è casuale?”chiese il padre di Jungkook, confuso.

“Si.” Jimin rispose.

Suo padre sospirò mentre sua madre si irrigidì sulla sedia.

“Ragazzi siete due adulti ormai. Jungkook figlio mio, tu hai 23 anni presto finirai gli studi e inizierai a cercarti un lavoro per guadagnarti da vivere. Jimin tu lavori già, hai una tua casa paghi le tue spese. Noi e i genitori di Jimin non abbiamo proposto di unire le nostre famiglie perché ci faceva piacere scombussolarvi la vita. Avremmo voluto per voi un altro futuro, un futuro in cui la vostra felicità fosse assicurata. Ma volte il destino ci rema contro e sebbene noi genitori abbiamo solo questo come compito, assicurare ai nostri figli il meglio, ci siamo visti togliere questa possibilità. Essere numeri zero è difficile, ma lo è anche per noi sapere cosa questo significhi per i nostri figli. Avete letto i giornali, avete visto la televisione. Non abbiamo più tempo. Cercate di capire. Noi abbiamo a cuore il vostro futuro.” Suo padre disse con passione e mentre diceva questo si rivolse sopratutto a Jungkook il quale si sentì in trappola.

“Papà lo sai come la penso.” disse Jungkook con voce spezzata.

“Si lo so.”

“Non avete scelto voi di farmi nascere zero e non l’ho scelto io. Eppure lo sono. Sono nato numero zero e morirò da zero, papà, e non c’è nulla che io possa fare o che voi possiate fare perché questo cambi. Ma perché questo deve decidere ogni passo della mia vita? Non è abbastanza essere considerato un cittadino di serie B, ora devo anche rinunciare al poco libero arbitrio che ancora mi rimane? Non è egoismo il mio e ve lo ripeto da anni ma voi non capite. Non capite. E discutere con voi è impossibile perché ogni mia parola viene scambiata per testardaggine e viene sminuita per la mia mancanza di esperienza. Cosa c’è di così difficile nel capire che io voglio poter provare a vivere come meglio credo? Posso fare un milione di cose che non richieda avere qualcuno al mio fianco. Posso diventare un astronauta, trovare la cura per una malattia inguaribile, posso inventare qualcosa di geniale, poso semplicemente vivere come ho deciso e rendervi fieri di me! Io non sono solo, non devo temere di essere solo, ho voi, i miei amici, il mio lavoro, ho me stesso! E’ così difficile da capire?”

“Jungkook tesoro noi siamo già fieri di te… ma” cercò di intervenire sua madre.

“Noi pensiamo a te! Preferisci che la leggi passi e il governo decida per te? Vuoi essere accoppiato a forza con un completo estraneo e sperimentare veramente cosa vuol dire sentirsi portare via il libero arbitrio?” suo padre disse con veemenza. “E’ questo che vuoi?”

Jungkook si interrò sulla sua sedia tenendosi la testa tra le mani. Era tutto sbagliato.

Era tutto dannatamente sbagliato.

Poi sentì la mano di Jimin stringergli il braccio.

“Signori Jeon.” iniziò Jimin con voce tremante. “ Io sono un numero zero come Jungkook e ammiro Jungkook per la sua volontà. Persone come lui sono rare, non credo ve ne rendiate conto e non è colpa vostra lo so, ma da numero zero vi dico, che Jungkok è speciale. Perchè è troppo facile soccombere a questo sistema. È troppo facile farsi trascinare in basso, non trovare motivazioni per vivere questa nostra vita e scegliere di volare giù da un tetto.” Jungkook non osò sollevare lo sguardo ma sentì sua madre trattenere il respiro.

“Io ho detto di si alla mia famiglia perché non posseggo questa sua fiamma.” Jimin continuò, “non ho montagne da scalare, vette da conquistare, le mie giornate mi sembrano troppo lunghe e prive di scopo,ed ho pensato sarebbe stato bello avere qualcuno con cui condividere questa mia esistenza, provare a farci compagnia. Anche se questo qualcuno non è la mia anima gemella.” Jungkook avrebbe voluto sollevare la testa e vedere il volto di Jimin ma non ci riuscì e rimase in attesa ad ascoltare la sua voce.

“Jimin quindi tu vorresti dire che sei d’accordo a questo fidanzamento.” chiese suo padre.

“Si lo ero. Ma non voglio privare Jungkook della sua speranza. E allo stesso tempo mi piacerebbe poter fare della sua scelta, la mia. Prima che controbattiate so cosa state per dire, questo non cambia il voto del 10 maggio. Però...”

“Jimin se questo non cambia il voto del 10 maggio capisci perché noi ci teniamo così tanto?” intervenne dolcemente sua madre.

“Mi pare di capire che l’unico grande problema sia cosa accadrebbe se il referendum passasse.” ribattè Jimin.

“Se?”

“Ma se per un caso del destino il referendum non passasse… questo cambierebbe qualcosa?” Jungkook sollevo la testa di scatto. Jimin stava guardando i suoi genitori, sembrava determinato a portare a termine un compito. La sua idea.

“Se non pesasse più su di noi il terrore di quelle conseguenze, se non cambiasse nulla, se alla fine pur continuando ad essere numeri zero le nostre condizioni non peggiorassero. Questo fidanzamento sarebbe veramente necessario?”

I suoi genitori parvero colti di sorpresa e Jungkook stesso sembrò incapace di distogliere il suo sguardo dalla figura di Jimin.

Promettimi, promettimi che ti fiderai di me.

“beh… probabilmente, ma le possibilità che ciò accada...”

“Potrebbe non è vero? Chiedo questo a voi e lo chiederò anche ai miei genitori ma non credo loro avranno obiezioni se non le avrete voi. Se il voto non passasse, vorrei che il nostro impegno si considerasse sciolto.”

“Noi...dovremmo rifletterci.”ripose suo padre cautamente.

“Vi chiedo scusa se passerò per maleducato ma dovete rispondermi ora. Non possiamo discutere di ciò in eterno. Dobbiamo sapere” Jimin disse con forza.

“ Ammettiamo invece, come molto probabile, che il voto invece passi. Vorresti dirmi che allora improvvisamente il fidanzamento si farebbe? Hai sentito nostro figlio, Jimin.”

“Quelli che erano solo timori in quel caso diventerebbero solide realtà” Jimin disse con voce grave, “la realtà può cambiare le cose” Jimin disse tenendo lo sguardo fisso.

Jungkok all’inizio non colse le implicazioni di tale riposta, perché Jimin non potrebbe, Jungkook contava sull’appoggio di Jimin, si era fidato di lui . Sentì come se i suoi genitori e Jimin stessero discutendo di affari e lui fosse solo uno spettatore passivo della tragedia della sua vita.

Jungkook strinse forte la gamba di Jimin, probabilmente facendogli pure male, ma Jimin continuò imperterrito e sembrò non accorgersene neppure.

Suo padre rimase in silenzio a pensare a quanto detto. Mentre sua madre sembrava troppo sorpresa, come Jungkook del resto, per aggiungere altro.

Jungkook sentì il cuore martellargli nelle orecchie e si chiese se era questo, quello si provava quando si veniva traditi da qualcuno di cui ci si era fidati, se era questo il suono di quando ti si spezza il cuore.

 

 

 

 

I genitori di Jungkook se ne erano andati da un pezzo, dopo aver dato la loro parola che avrebbero aspettato l’esito del voto prima prima di ridiscutere la questione. Fino ad allora niente pressioni, niente più parole sul fidanzamento.

Era fatta, era ciò in cui Jimin aveva sperato, la possibilità di poter liberare entrambi. Eppure quella non sembrava affatto una vittoria e nessuno dei due stava esultando. In tutto questo Jungkook era parso troppo scioccato per poter aggiungere altro e Jimin si sentì stringere il cuore.

Jungkook non si era ancora mosso dal su posto sulla sedia, sembrava non essersi accorto dell’uscita di scena dei sui genitori, neppure del bacio di sua madre sulla sua guancia.

Aveva le mani intrecciate sotto il mento mentre fissava il vuoto.

“Jungkook io...”

Jungkook non lo degnava neanche di uno sguardo.

“Credi questo sia un gioco Jimin? Mettersi a scommettere con mio padre della mia vita come ad una partita di black jack?” chiese Jungkook in tono divertito ma non c’era traccia di gioia nella sua voce ma solo un’oscura amarezza.

“Jungkook ti avevo detto che...”Jungkook solo allora decise di riconoscere la sua presenza e Jimin si sentì gelare il sangue nelle vene. Perchè Jungkook non lo aveva mai guardato così e c’era così tanto nei suoi occhi, che Jimin si sentì morire.

“Voglio stare da solo. Jimin hyung io capisco tutto e lo so, credimi lo so, cosa hai cercato di fare. Ma ora non riesco a guardarti senza provare una gran rabbia, perciò prima che dica qualcosa per cui mi penta, per favore, vattene da qui.”

Jimin avrebbe voluto ribattere che non era un bene che Jungkook stesse da solo con i suoi pensieri eppure non ci riusci. Forse Jungkook aveva davvero capito cosa Jimin aveva provato a fare, una stupida proposto nel tentativo di liberare entrambi, ma Jimin sapeva anche che era stato troppo per lui. Che solo perchè capiva non voleva dire che gli piaceva o che gli era grato. Semmai il contrario. Jimin non disse quindi nulla ma prima di andarsene si avvicino a Jungkook e sebbene Jungkook fosse rigido come un palo, Jimin lo abbraccio da dietro, cercando disperatamente di trasmettergli tutto ciò che le sue parole avrebbero fallito.

Mi dispiace. Ho provato. Fidati di me. Perdonami. Ti voglio bene.

Poi senza ulteriori indugi si stacco da lui e fuggì.

Erano venuti con la macchina di Jungkook ma non gli importava. Si mise a camminare freneticamente poi senti le sue gambe lanciarsi nella corsa.

Hoseok sarebbe stato contento di sapere che la sua caviglia era perfettamente guarita.

Corse per quelle che sembrarono ore. Ma non sapeva bene dove andare perché l’unica persona che voleva vedere era probabilmente ancora a lavoro e Jimin non voleva disturbare.

Senza rendersene conto i suoi piedi lo portarono verso un posto che non vedeva da anni, ma una volta giunto all’edificio imponente della casa discografica, Jimin si chiese cosa ci fosse venuto a fare. Forse Seokjin non era neanche in sede, forse il suo servizio fotografico era all’aperto e anche se fosse stato li non era detto che alla reception lo avrebbero fatto passare o avrebbero avvertito Seokjin.

Naturalmente, Jimin si disse, il destino doveva essere ironico fino in fondo, perché proprio li fuori, appoggiato ad una colonna dell’ingresso, vide la luce rossa di una sigaretta accesa e prima che Jimin riuscisse ad andarsene inosservato, Yoongi chiamò il suo nome.

 

 

 

 

 

 

 

NdA: scrivere questo capitolo ha spezzato anche il mio di cuore. TT

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Capitolo 16
*** 00.10 ***


00.10

 

 

 

Ripensando a quel giorno di tanti anni prima, Jimin riconosceva quanto difficile era stato lasciarsi Min Yoongi alle spalle.

Si erano conosciuti da quattordicenni, erano rimasti felicemente insieme per tre anni, ed erano riusciti nell’impresa di trainare la loro relazione per quasi altri due (avevano fallito miseramente). E anche quando i motivi di gioia si erano fatti via via più rari fino a diventare ricordi di qualcosa che non poteva essere più sistemato, Jimin non si era risolto ad andarsene se non tanto dopo, dopo che Yoongi lo aveva svuotato di ciò che era rimasto delle sue illusioni.

Era parsa la fine del mondo allora. Era sembrato come se a Jimin gli mancasse il fiato, come se non ci fosse più un cuore nel suo petto, come se non sarebbe mai, mai, riuscito a funzionare di nuovo. Perchè Yoongi era stato tutto.

Non era stato così, il mondo era andato avanti, lui era andato avanti. Mettere un passo dietro l’altro era diventato via via più facile e prima di rendersene conto Jimin era tornato a correre.

Quando ripensava a quel periodo Jimin non poteva fare a meno di provare dei sentimenti contrastanti e un po’ di rimpianto. Avrebbe voluto sapere quel che sapeva ora, avrebbe voluto che il giovane Jimin fosse stato in grado di amarsi di più.

A volte si ama e si deve andare avanti. Gli aveva detto Seokjin che gli era stato a fianco durante tutte le sue piccole e grandi sconfitte, da buon amico quale era. Alla luce del racconto di Namjoon, Jimin si disse che forse aveva dato meno credito a Seokjin di quanto non si fosse meritato. Perché tutte le volte in cui Seokjin aveva detto “ti capisco” era stato vero.

In ogni caso Min Yoongi era un capitolo chiuso della sua vita. Non c’erano sogni ricorrenti, sciocche speranze o inopportuni desideri. Giorno dopo giorno Yoongi era scomparso sempre di più dalla vita di Jimin.

Era stato un sollievo.

L’unico flebile legame rimasto con quella persona era Namjoon, il quale ancora lavorava fianco a fianco con Yoongi. Eppure il loro apporto era lungi dal poter rientrare nel termine amicizia, Yoongi dopotutto, nella sua scia non aveva deluso solo lui.

Fortunatamente le loro strade si erano incrociate raramente ed erano sempre stati incontri fortuiti privi di conseguenze.

Perciò Jimin davvero non capiva perché Min Yoongi dovesse scomodarsi ora. Ora che non rientrava neanche tra il più insignificante dei suoi pensieri.

“Jimin” e Jimin era stato, suo malgrado, costretto a voltarsi.

Yoongi era tornato al suo colore naturale, un colore castano scurissimo che contrastava parecchio con la sua carnagione chiarissima. Non sembrava aspettarsi una risposta da Jimin ma in ogni caso Jimin lo vide buttare via la sigaretta e avvicinarsi a lui col suo solito passo pigro. Jimin si chiese distrattamente se avesse ripreso a fumare o se in realtà non avesse mai smesso.

“Jimin come stai? Hai bisogno di aiuto?” Yoongi era davanti a lui le mani in tasca con la sua solita voce bassa come se non fossero trascorsi anni dall’ultima volta che si erano rivolti la parola. Jimin cercò di riprendere fiato. Quando si era ritrovato a correre, più un impulso che un piano premeditato, Jimin si era diretto in questa direzione spinto dal desiderio di parlare con Seokjin, non certamente con Min Yoongi. Ma, in effetti, visto che ormai il danno era fatto forse valeva la pena di sfruttare l’occasione. Yoongi sarebbe stato in grado di fargli passare la reception in un battibaleno, sempre se Seokjin si trovava li.

“Ciao, mi chiedevo se Seokjin fosse ancora qui” Jimin chiese disinvolto. Non appena la domanda gli usci di bocca, realizzò che probabilmente sarebbe bastato semplicemente fare una chiamata per ottenere questa informazione, ma Jimin si disse che visti i fatti di quella giornata poteva essere scusato. Se Yoongi aveva pensato la stessa cosa o se si chiedeva perché mai Jimin si trovasse proprio li, non lo diede a vedere e si limitò ad inarcare il sopracciglio.

“Si in effetti Seokjin dovrebbe aver finito. Se hai bisogno posso farti strada.” Yoongi propose.

Jimin tentenno per un po’. Non poteva importagli di meno di Yoongi ma aveva paura di disturbare Seokjin e di sembrare inopportuno.

“Seokjin ha veramente finito. Avanti, andiamo”Yoongi disse come a cercare di rassicurarlo.

Jimin cercò di andare oltre il senso di disagio e lo segui. Yoongi sembrava ancora in grado di leggerlo come un libro aperto ma Jimin dopotutto non era mai stato in grado di nascondere alcuna emozione, tutto quello che provava si rifletteva sul suo viso.

Jimin scrollò le spalle e segui Yoongi dentro il palazzo.

La receptionist non batte neppure ciglio alla vista di Jimin e lasciò passare entrambi indisturbati. Jimin si ricordò vagamente che Yoongi era un pezzo grosso li dentro. Camminarono lungo i corridoi e presero poi l’ascensore vero il secondo piano. Jimin non potè fare a meno di pensare che quello non era il viaggio in ascensore più snervante di quel giorno. Poi si ricordò di come Jungkook gli aveva stretto brevemente le dita e il suo cuore ebbe un tuffo.

Gli sembrava di aver ancora davanti lo sguardo di Jungkook e forse Jimin non vi aveva letto tutto quello che c’era da leggervi forse c’era della disperazione li dentro e lui aveva appena lasciato Jungkook da solo con essa. Jimin sospirò, addolorato.

Solo allora si accorse che Yoongi lo stava ancora guardando. Jimin si strinse nelle spalle. Quando finalmente l’ascensore si fermo Jimin fu svelto ad uscire perché non poteva negare il fatto che Yoongi lo metteva a disagio.

Yoongi distolse lo sguardo e senza dire una parola lo guidò verso un altro corridoio, Jimin si chiese per quanto a lungo avrebbero dovuto camminare quando allo svoltare dell’angolo finalmente si trovò di fronte al sorriso amico di Seokjin.

Seokjin parve molto sorpreso di vederlo. Sembrava esausto ma si riprese subito non appena vide in che stato versava il suo amico. Un tempo Seokjin avrebbe saputo subito verso che direzione guardare storto, verso Yoongi, ma non era più il caso e la presenza di Yoongi, sebbene non benvenuta, era solo una coincidenza.

“Jimin sei venuto a prendermi? Andiamo a casa insieme!” Seokjin disse con un sorriso rassicurante come se quello fosse stato il piano da giorni. Jimin, che aveva un sacco di cose da dirgli, improvvisamente si trovò senza parole. Sembrava che il vedere Seokjin rendesse la realtà delle cose più definitive. Namjoon gli aveva veramente raccontato la loro storia, Jimin aveva veramente fatto quel che aveva fatto e Jungkook lo aveva cacciato di casa.

Jimin quindi si limitò ad annuire, fece un leggero cenno a Yoongi e seguì Seokjin senza indugiare ripercorrendo la strada all’indietro. Tutte le forze che aveva aveva usato per arrivare li sembravano averlo infine abbandonato e Jimin non voleva scoppiare proprio li con Yoongi come spettatore.

“Ne vuoi parlare?” chiese Seokjin una volta usciti dal palazzo e al sicuro nella sua macchina.

Jimin sprofondò maggiormente nel sedile.

“Non ora hyung.”Jimin disse esausto.

“Va bene. Come vuoi Jiminnie. Ora andiamo a casa, rimani a a cena e a dormire da noi oggi.” Seokjin disse e Jimin non protestò.

Perchè il pensiero che Jungkook decidesse di lasciarsi Jimin alle spalle lo terrorizzava.

Perché si rendeva conto solo in quel momento, e guardando Yoongi e quello che aveva rappresentato e non rappresentava più ne aveva vuoto la conferma, che forse per Jungkook, senza rendersene conto e sin da quel primo incontro, provava qualcosa di diverso.

Qualcosa che pensava di aver sepolto da anni.

 

 

 

 

Per tutto il fine settimana la sua mente era stata un caos assurdo.

Era rimasto nel suo appartamento per un giorno intero e poi incapace di sopportare il silenzio della sua sola persona tra quelle desolate mura si era precipitato da Taehyung e Hoseok.

“Non voglio venire qui a farmi consolare da voi ogni volta” Jungkook aveva detto a entrambi, vedendo come Taehyung si impegnava a tirargli su il morale e come Hoseok avesse deciso di cucinare il suo piatto preferito.

Si sentiva un inutile peso. Aveva 23 anni eppure era ancora incapace di badare a se stesso ed ogni volta che incontrava qualche difficoltà correva da loro, costretto ad usare i due come la sua stampella emotiva.

“Non dire sciocchezze. La nostra porta è sempre aperta per te Jungkook.” Aveva detto Hoseok con aria di finalità. Taehyung si era limitato ad annuire e Jungkook seppe in quel momento di aver probabilmente trovato i migliori amici che potessero esistere.

“Jimin non poteva sapere che i tuoi genitori sarebbero stati li no? E lui ti aveva detto che voleva parlarne prima” Taehyung commentò dopo che ebbero mangiato un pasto caldo e Jungkook si era sentito in grado di raccontare l’accaduto senza scoppiare.

“ Lo so. E come ho detto a lui, posso capire. Però Taehyung...” Jungkook si fermò, il respiro gli sin intrappolò in gola.

“ Va bene Jungkook. Va tutto bene” intervenne Hoseok che sembrava aver intuito Jungkook fosse in difficoltà. Jugnkook si morse il labbro mentre lasciava che le parole di Hoseok lo confortassero. Perchè se c’era qualcuno che sapeva cosa voleva dire sacrificare un sogno per il bisogno questo era Jung Hoseok. Jungkook non fu più in grado di aggiungere altro.

Sentiva che aveva un sacco di cose da dire eppure anche davanti alle persone a cui teneva di più, non riusciva ad aprirsi.

Perché Taehyung e Hoseok avevano la loro felicità e non era colpa loro se non potevano capire Jungkook. Una vocina nella sua testa gli suggeri che forse quello era anche il caso di Jimin ma Jungkook la ignorò.

Promettimi. Aveva detto Jimin ed era sembrato così urgente che Jungkook aveva risposto senza esitare con la sua promessa.

Jungkook non l’aveva mantenuta.

Jungkook decise di rimanere dai suoi amici fino a lunedì e avrebbe voluto fare di più per loro come occuparsi dei pasti ma ai fornelli era più pericoloso di Taehyung e così Jungkook si limitava tenere tutto in ordine. Ne a Taehyung, ne a Hoseok, sembrava pesare la sua presenza.

“L’amore ci fa fare strane cose” gli sussurrò quella sera Taehyung. Hoseok aveva il turno di notte e non sarebbe tornato fino alla mattina successiva così Jungkook e Taehyung avevano deciso di dividere il letto come facevano da bambini quando Taehyung rimaneva a casa sua dopo una giornata trascorsa a giocare ai video games e a divertirsi.

“Ma qui l’amore non centra nulla” gli sussurrò di rimando Jungkook.

“Mmm” gli aveva risposto mezzo addormentato Taehyung.

Martedì mattina vide Jungkook prendere le sue cose e tornare a casa sua.

Jungkook cercò di mantenere una parvenza di normalità cercando di eseguire le attività del giorno come se quella sera non l’aspettasse la lezione di danza. Jungkook non sapeva se fosse il caso di andare perché probabilmente vi avrebbe trovato Jimin e non sapeva se era pronto ad affrontarlo e e ricordare ciò che era successo. Il suo sogno di libertà rischiava di costargli caro.

Passeggio lungo in largo per casa sua prima di decidersi. Poi preso da un impulso afferrò il suo borsone e le chiavi e usci da casa sua.

Jungkook arrivò puntuale. Si sentiva un macigno nello stomaco ma varcò lo stesso le porte scorrevoli. Jimin non era li ad aspettarlo e Jungkook inconsciamente si guardò intorno come aspettandosi di trovarlo nascosto in qualche angolo. C’era invece Seokjin tornato al bancone della reception.

Jungkook si era aspettato uno sguardo freddo visto che Jungkook era stato duro con Jimin. Dopotutto Seokjin era il suo migliore amico e sembrava il tipo di persona che si schierava sempre e comunque dalla parte di coloro che amava.

“Ciao Jungkook”lo salutò con un sorriso. Jungkook cercò di salutare normalmente. “Jimin è già dentro” disse come leggendogli nel pensiero.

“Grazie” rispose Jungkook. Era così ovvio? Perché Jimin era l’ultima persona che voleva vedere eppure era venuto lo stesso a lezione come se ci fosse una forza gravitazionale che lo costringeva ad essere lì. Non era solo il suo amore per la danza era inutile che Jungkook mentisse a se stesso, perché aveva fatto a meno del ballo per anni eppure ora sembrava non poter fare ameno di una risposta.

Aveva ripercorso ancora ed ancora il loro discorso. Jimin era sembrato così fragile. Aveva deciso il loro futuro, era vero, eppure Jungkook ora pretendeva di sapere cosa l’avesse spinto. Se ci fosse un fondo di malizia nei suoi intenti, perché il tradimento ancora gli bruciava, e se davvero credeva quella fosse la soluzione.

“Perchè è troppo difficile vivere questa nostra vita.” Jimin aveva detto. Guardandolo negli occhi Jungkook sperava di capire.

Quando Jungkook entrò nell’aula la stanza era già piena. I ragazzi erano sparsi in giro per la stanza chi seduto chi in piedi a chiacchierare tra loro come se non esistesse alcun problema al mondo e forse per loro era così. Mentre il mondo di Jungkook rischiava di crollargli addosso altri invece sorridevano. Jungkook si guardò intorno e lì in un anglo ad aggiustarsi i lacci delle scarpe, c’era Jimin.

Jungkook lasciò cadere la sua borsa a terra e come richiamato da un comando Jimin levò lo sguardo verso di lui.

Si senti ribollire il sangue nelle vene. Eppure, infine si disse, non era neanche colpa di Park Jimin e forse per questo faceva ancora più male.

Jungkook voltò rapido la testa e si ritirò in nel suo angolino ad aspettare l’inizio della lezione.

Segui religiosamente le istruzioni del maestro e per l’ora e mezza di lezione non si fermò mai. Era contento in un certo senso di avere ripreso a ballare. La danza era stata la sua attività preferita ma anche il suo outlet emotivo durante gli anni dell’adolescenza. Se si concentrava sul non sbagliare i passi, su come fare una mossa il più fluida possibile, non doveva pensare.

Jimin non cercò di avvicinarsi a lui per tutta la lezione. Jungkook sapeva di essere tenuto d’occhio ma i loro sguardi non si erano incrociati e poteva sentire i ragazzi bisbigliare allarmati alle loro spalle: non era mai successo che i due non parlassero tra di loro. Erano arrivati insieme in quel posto e in quei metri quadrati erano l’uno la spalla dell’altro. L’uno il compagno dell’altro.

Il sudore gli colava copiosa dalle tempie quando infine il maestro segnalò la fine. Jungkook aveva le mani sulle ginocchia mentre riprendeva un po’ di fiato e sentiva il maestro dire qualcosa.

Non sapeva cosa, la sua testa era altrove.

Si disse che se voleva sapere cosa diavolo era passato per la testa a Jimin per fare quel che aveva fatto questa era l’occasione. Ma ne lui ne Jimin fecero quella di avvicinarsi. Jungkook andò a prendere la sua borsa che aveva lasciato nell’angolo mentre gli allievi uno ad uno uscivano dall’aula fino a quando non sentì più un rumore.

Per un attimo penso di essere rimasto solo ma poi sentì un respiro non lontano da lui e Jungkook seppe che Jimin era rimasto.

“Mi dispiace.” disse Jimin con voce rotta. Jungkook serrò i pugni ma non si voltò. “ Avrei dovuto dirtelo fin da subito, ma volevo essere più sicuro e poi non abbiamo più avuto tempo. Ti prego credimi. Non volevo farti del male. Lo so che non ci conosciamo da molto. So anche che abbiamo avuto sentimenti diversi in tutto questo. Ma non ti imporrei mai i miei. Io ci tengo moltissimo a te.”

Sentimenti? Jungkook voltò leggermente la testa per guardarlo.

“Non mi servono a niente le tue scuse” disse Jungkook e le parole gli uscirono di bocca aspre e senza sapore. “Perchè hai promesso qualcosa che non era tuo diretto promettere” Jungkook disse voltandosi per davvero questa volta, guardando Jimin direttamente negli occhi.

“Anche se così, anche se le possibilità fossero contro di noi ti prometto che penserò a qualcos’altro, troverò un’altra soluzione!” Jimin esclamò facendo qualche passo in direzione di Jungkook.

“Perché ti dai tanta pena? Non eri forse tu quello ha sempre voluto un legame? Complimenti ci stai riuscendo”! Jungkook disse aspro.

“Si è vero volevo qualcuno al mio fianco. Cosa c’è di male in questo? Anche io ho i miei desideri! Non sono te, non sono così forte e determinato e non mi scuserò per provare quel che provo, me l’hai detto tu di non farlo! Dovevo provare Jungkook, dovevo! E se ho ragione...”

“Ma non capisci?” Jungkook urlò. “Io l’avevo trovata una soluzione! Ci trattano come se fossimo uno scarto di qualcosa che sarebbe perfetto se non fosse per noi. Ci disprezzano, ci usano, ci umiliano e anche quando per qualche miracolo infine ci innamoriamo, ci calpestano come se i nostri sentimenti non importassero, come se anche quelli fossero nulla! Ogni zero l’ha vissuto, io l’ho vissuto e anche tu!” Jungkook disse lasciando Jimin paralizzato, perché sapeva che a cosa Jungkook si stesse riferendo. “Non sono una pietra, anche io ho desiderato amare ma fa troppo male sperare in qualcosa che non possiamo avere, che non ci lasciano avere. Perciò avevo deciso una cosa, una un’unica cosa ed era vivere per me stesso ed esserne capace sarebbe stato il mio vanto e il mio scopo! E invece mi porteranno via anche quello e non è giusto. Non è giusto!” a quel punto Jungkook si rese conto di star tremando e tutto quello che aveva tenuto nascosto nell’angolo più recondito del suo essere stava infine venendo fuori e non poteva farci niente.

Anni di rabbia dolore, paura e disperazione. Perché pensava di non poter vivere per sempre cullandosi nel suo progetto di vita. Si era ripetuto di essere forte così intensamente e così a lungo che aveva finito col crederci.

Ma non lo era.

Alla fine l’unica differenza tra lui e Jimin era che quest’ultimo era perlomeno più onesto con se stesso.

Strinse i pugni e abbassò lo sguardo. Non voleva scoppiare li in quella stupida aula di quello stupido circolo con quello stupido stupido di Jimin.

Eppure quando sentì delle braccia stringerlo forte Jungkook non si oppose, le sue ginocchia cedettero e insieme rovinarono a terra. Perché aveva lottato troppo, resistito troppo il peso della solitudine e voleva infine lasciarsi andare. Anche se questo era Jimin o forse proprio perchè era lui.

Ed era ridicolo perchè Jungkook era più alto di Jimin di almeno una testa ma era Jungkook che aveva la testa nascosta nell’incavo del suo collo, lui quello che si aggrappava con forza alla sua maglietta.

“Andrà tutto bene. Ti prometto che andrà tutto bene.” Jimin disse stringendolo forte a sé con la voce rotta dal pianto e Jungkook lo lasciò fare, lasciò che lo cullasse e gli posasse un bacio, due, tre, nelle tempie.

Perché Jimin sapeva. Jimin aveva sopportato le sue prove con un sorriso aveva lottato e anche se n era uscito sconfitto aveva imparato. A rispettarsi ad essere sincero con se stesso e a rispettare gli altri.

E nonostante le brutture di quella loro triste esistenza era deciso a fare qualcosa e più di altro cosa non aveva mai smesso di provare a voler bene.

Persino qualcuno di così rotto come Jungkook.

 

 

 

 

Yoongi non aveva nessuna buona ragione per trovarsi li.

Non sapeva neanche come aveva fatto a procurarsi il suo indirizzo. No, forse quello lo sapeva. Era stato facile origliare le conversazioni di Namjoon e Seokjin e Jimin, dopotutto, era un abitudinario. Era andato ad abitare in quel nuovo appartamento subito dopo la rottura con Yoongi, dopo che era sembrato palese come nessuno dei due avrebbe mai potuto mettere piede di nuovo nell’appartamento che avevano condiviso, e da li non si era più mosso.

Ma perché proprio ora? Era possibile che dopo tutti quegli anni Yoongi potesse ancora essere debole al dolore di Jimin.?

Quello che l’ha fatto soffrire più di tutti sei tu, però. Era vero, Yoongi non rinnegava le sue colpe. Eppure ogni tanto sperava qualcuno potesse capire quanto difficile era stato anche per lui. Non era stato lui a chiedere di amare due volte.

Quando tutto era finito Yoongi si era ripromesso di non cercarlo più e non era stato difficile con il matrimonio, il lavoro e Seokjin che aveva giurato di prenderlo a calci se solo avesse osato.

Aveva rivisito Jimin solo di sfuggita e per caso, era sempre sembrato tranquillo e di nuovo se stesso. Ma Yoongi era la persona con cui Jimin si era confidato di più. Conosceva ogni anfratto del suo cuore e gli era bastato un attimo per capire che il Jimin dei suoi ricordi quello che lo guardava in un certo modo non c’era più. Jimin era andato avanti e qualsiasi emozione lui provasse ora non era certamente per Yoongi ma per qualcun altro.

Perciò come ipnotizzato invece di tornare a casa aveva deviato. Aveva parcheggiato davanti a casa di Jimin, che sembrava vuota, e nell’attesa, di che cosa non ne aveva idea, aveva acceso una sigaretta e si era messo a pensare a come tutto era finito.

 

 

 




NdA: scrivere di Jungkook mi ha steso. In ogni caso prOmetto che finalmente ci godremo del buon jikook fluff!

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Capitolo 17
*** 00.11 ***


00.11

 

 

 

Poteva essere trascorsa un’eternità o solo qualche minuto.

Jungkook si sentiva stanchissimo, come se avesse corso a lungo e non sapeva di stare scappando tutto quel tempo.

Sbatté gli occhi una, due volte. Si, era ancora tra le braccia di Jimin ma nessuno dei due piangeva più e Jungkook avrebbe anche potuto chiudere gli occhi ed addormentarsi li, sul pavimento freddo dell’aula ma al sicuro.

Da quanto tempo era che ne qualcuno riusciva a vedere questa parte di lui? Era riuscita a tenerla nascosta a tutti, anche a Taehyung.

Sospirò.

Non c’era vero e proprio imbarazzo solo un’anticipazione nel cercare di capire come muoversi d’ora in avanti. Più o meno inconsciamente aveva scelto Jimin come appiglio e non si sentiva di lasciarlo andare troppo presto. Allentò la stretta sulla maglia di Jimin, scoprendo che le dita della mano gli facevano male per la tensione e la forza con cui le aveva serrate-

“Stai meglio?” gli chiese Jimin con voce tornata chiara.

Jungkook annui sulla sua spalla. Era come se non avesse voglia di tornare di nuovo se stesso e Jimin parve capirlo perché non allentò la sua presa. Jungkook gli era grato perché era piuttosto sicuro fosse l’unica cosa gli stesse impedendo di frantumarsi in milione di pezzi.

“Però ho fame” aggiunse Jungkook dopo un po’, il suo stomaco scegliendo in quel momento di farsi sentire.

Jimin allora rise. “Ho fame anche io! Cosa dici, andiamo a mangiare qualcosa?” chiese poi gentilmente.

“Si. Ma non fuori. Sono assolutamente sicuro di aver imbrattato la tua maglia per sempre”, rispose Jungkook ancora un po’ intontito.

“Direi che ci ho messo del mio.” Jimin disse in tono leggero.

“Mmm. Si, non sei il massimo quando piangi” mormorò Jungkook, con una nota divertita nella voce.

“Hey, ringrazia che non ti abbia imbrattato i capelli!”

Jungkook scosse la testa soffocando una mezza risata sulla spalla di Jimin. Inspirò a fondo. Prima o poi avrebbero dovuto staccarsi e uscire prima Seokjin venisse a vedere cosa li stava tenendo occupati o, peggio ancora, prima che li chiudesse li dentro.

Jungkook quindi decise che era tempo di riprendere le redini della situazione e,suo malgrado, si staccò da Jimin. Si asciugò la faccia col dorso della mano prima di decidere di guardarlo negli occhi.

“Hyung sei tutto stropicciato” non riuscì a fare a meno di dire.

“Tu non sie molto meglio” Jimin disse divertito mentre si lisciava i vestiti spiegazzati. Jungkook sorrise poi, cercando di tornare un po’ in se, andò a recuperare le sue cose. Si guardò distrattamente nello specchio. Si era stropicciato anche lui, pensò ridendo sotto i baffi.

“Andiamo” gli disse Jimin dolcemente tendendogli la mano e Jungkook senza stare troppo a pensarci, la prese. Quando uscirono in corridoio sSeokjin sembrava molto, anche troppo, indaffarato nel metter a posto il bancone mentre con un mano faceva tintinnare le chiavi. Li salutò con un timido sorriso prima di rimettersi a fare quel che stava facendo.

Se aveva notato le loro mani intrecciate aveva deciso di non commentare.

Fu la volta di Jimin di guidare, stavolta verso casa sua. Sebbene il viaggio in macchina fosse breve, Jungkook dovette combattere per tenere gli occhi aperti.

“Ce la fai Kookie?” Jimin chiese gettandogli un’occhiata.

“Si ho troppo fame per addormentarmi adesso” rispose Jungkook. Jimin annuì e Jungkook dopo qualche minuto riconobbe la zona dove abitava Jimin.

Jungkook non era mai stato a casa di Jimin, si era sempre limitato a fermarsi davanti all’ingresso senza mai mettervi piede.

L'appartamento di Jimin era piccolo ma molto accogliente. I muri erano pieni di fotografie mozzafiato, e di scaffali zeppi di libri e piante. Jungkook tuttavia non ebbe tempo di guardarsi intorno perché il gatto di Jimin catturò subito la sua attenzione. Jungkook non poté fare a meno di sciogliersi mentre lo prendeva in braccio. Aveva un debole per gli animali.

“Questo è Tao! E’ molto facile conquistarsi i suoi favori, basta che gli dai della carne oppure gli fai delle coccole” Jungkook annuì e si porto Tao sul divano per metterselo in grembo e dargli una bella grattatina.

“Cosa dici mangiamo ramen? Non è gourmet però almeno si fa subito” Jimin chiese dalla cucina.

“Va benissimo!” rispose Jungkook. Si diede un’occhiata intorno mentre continuava ad accarezzare il gatto distrattamente. L’appartamento di Jimin era in ordine ma era pieno di cose, al contrario del suo i cui muri bianchi sembravano scialbi in confronto.

“Jungkook pensavo...vuoi farti la doccia prima di mangiare? Ti porto a casa dopo non ti preoccupare, non voglio tenerti in ostaggio, però pensavo che magari volevi metterti comodo?” chiese dubbioso Jimin.

“Era un’indiretta per dire che sono impresentabile?” chiese Jungkook inclinando la testa.

“Certo che no!” rispose Jimin quasi scusandosi.

“Stavo scherzando hyung. Accetto volentieri. Solo... Non saprei cosa mettermi.” Jungkook disse scuotendo timidamente la testa.

“Per quello non c’è problema! Ti presto qualcosa di mio.” Jimin disse illuminandolo con un sorriso e facendogli cenno di seguirlo.

“Non mi staranno un po’ piccoli?” Jungkook domandò incapace di trattenersi mentre aspettava in corridoio fuori dalla stanza di Jimin.

“Questo moccioso!” esclamò Jimin dall’armadio. Jungkook si ritrovò a ridere.

Tutto ciò era strano, stranissimo.

Perché i loro problemi non si erano risolti affatto, si trovavano in questo strano limbo, in stand by tra una situazione delicata e la successiva. Jungkook non voleva uscirne troppo presto perché significava dover affrontare il tutto e perché non era poi così male.

Una volta che si fu lavato via il sudore e un po’ delle stanchezza e con i vestiti puliti e freschi di Jimin (Jimin ce l’aveva messa tutta ma la maglia e i pantaloni li stavano corti e attillati), Jungkook si diresse a passo tranquillo verso la cucina dove Jimin stava servendo il ramen in grosse ciotole.

“Sei arrivato giusto in tempo” Jimin disse mentre appoggiava le ciotole sulla tavola apparecchiata. Mangiarono in silenzio gli unici suoni suoni erano quelli di Tao che mangiava i suoi croccantini in un angolo della cucina.

Jungkook sapeva già di essere affamato ma svuotò la ciotola in pochi minuti e chiese subito il bis.

“Meno male che ho fatto porzioni doppie!”Jimin disse.

“Beh oggi è stata una giornata piena” Jungkok cercò di scusarsi ma senza davvero provarci.

“Lo è stata! Per questo prenderò anche io il bis” Jimin esclamò.

Una volta che finirono di mangiare Jungkook si offrì volontario per lavare i piatti mentre Jimin andava a farsi la doccia a sua volta. Jimin cercò di protestare affermando che Jungkook era l’ospite ma invano: fu spinto senza remore in direzione del bagno.

Era un quadretto stranamente domestico e per una volta Jungkook cercò di non pensare troppo e di godersi il momento.

Quando Jimin uscì dalla doccia a sua volta in abiti comodi e freschi, trovò la cucina pulita e in ordine e Jungkook seduto di peso sul divano, con Tao al suo fianco che faceva le fusa alle sue carezze, mentre guardava distrattamente la televisione. Sembrava sul punto di addormentarsi da un momento all’altro, le sue palpebre che sbattevano più del normale. Appariva così giovane e innocente.

Jimin si avvicinò in punta di piedi e si sedette al suo fianco, dando una grattata a Tao a sua volta.

“Jimin” Jungkook sussurrò sonnacchioso. Jimin avrebbe voluto rimproverarlo perché più spesso che volentieri Jungkook si dimenticava di mettere hyung dopo il suo nome ma non disse nulla invece. Si limitò a guardarlo benevolo. Ne stavano passando tante.

“Ti porto a casa?” Jimin chiese in un sussurrò. Jungkook aprì gli occhi e guardò Jimin nella penombra della luce bluastra della televisione. Era etereo.

Chiuse gli occhi di nuovo. Era come se gli fosse stata tolta la terra sotto i piedi ed ora fosse nell’oceano del nulla. Jimin era il suo unico appiglio. Non aveva previsto che lo fosse, non era sicuro che la cosa fosse corretta ma era accaduta.

“Posso rimanere?” si trovò invece a chiedere. Fu come se la mossa fosse collaudata, come se non avessero fatto altro per anni, quello di venirsi incontro, stringersi l’uno all’altro, e non fosse invece solo la seconda volta dopo una prima volta bagnata da lacrime. La testa di Jungkook andò a incastrarsi nuovamente nell’incavo del suo collo, il gatto che li guardava stizzito dal tappeto per essere stato usurpato dello spazio in mezzo ai due, ora inesistente.

Jungkook si accoccolò su Jimin mentre quest’ultimo sistemava meglio il braccio sotto il suo peso per essere in grado disegnare intricati disegni sulla sua schiena. Jungkook non sapeva quanto sarebbe durata questa tregua se l’indomani sarebbe tornato ad essere se stesso e la sua rabbia sarebbe tornata a bruciare.

Jungkook si sentì improvvisamente sopraffare dalla stanchezza e sapeva che probabilmente sarebbe collassato da un momento all’altro proprio li sopra Jimin, che lo abbracciava come se fosse la sua coperta personale. Non sapeva cosa stava pensando Jimin, Jungkook si chiese se si sentisse debole e ferito quanto lui e se fosse stato per questo motivo che Jimin lo aveva baciato. Era stato inaspettatamente piacevole sentire le sue labbra sulla sua pelle.

“Jungkook lo sai vero che dicevo sul serio quando ti ho promesso che avrei trovato una soluzione in ogni caso” disse Jimin incerto.

Jungkook non rispose. Forse Jimin era sincero ma era difficile vedere la luce in quel momento buio.

“Domani. Pensiamoci domani” sussurrò Jungkook, solleticando il collo di Jimin con la punta del suo naso e facendo tremare quest’ultimo. Infine chiuse gli occhi e si lasciò cullare dal respiro di Jimin.

 

 

 

 

Jimin si era svegliato disteso sulla schiena, la luce che filtrava dalle tapparelle non del tutto chiuse del soggiorno, e un peso sul suo petto. Durante la notte dovevano essersi riposizionati perché Jungkook era disteso di fianco per meta sul divano per metà sopra Jimin, una coperta copriva metà torso mentre il suo lungo braccio era appoggiato sul suo stomaco. Era un miracolo che Jimin non fosse caduto ma forse il peso di Jungkook lo aveva ancorato sul divano. Jimin sbatté gli occhi cercando di disperdere il sonno. La luce non sembrava troppo intensa quindi probabilmente era ancora presto il che era un bene perché si era dimenticato di mettere una sveglia e lui doveva ancora andare a lavorare. Con un mossa degna di un ninja gli riusci di sfilare il cellulare dalla tasca dei suoi pantaloni.

6.55.

Grazie al cielo. Aveva tutto il tempo di vestirsi e farsi una robusta colazione e magari guardarsi il telegiornale del mattino anche se preferiva non svegliare Jungkook. Gli lanciò un’occhiata da sotto e palpebre. Jungkook era ancora profondamente addormentato, i suoi capelli erano tutti arruffati ma era appariva perfetto anche così.

Jimin sospirò. Si era preparato all’eventualità che le sue azioni sfociassero in questo caos. Si era preparato ad affrontare la rabbia di Jungkook ma aveva sperato di riuscire a spiegarsi. Non era nelle sue intenzioni di ferirlo però, non così, è più dell’accusa di Jungkook di giocare con la sua vita quello che pesava di più sul suo cuore era il fatto di essere responsabile del suo tracollo.

Con delicatezza liberò la fronte di Jungkook dalla sua frangia ribelle. Sfidava chiunque, chiunque avesse un cuore, a non sentirsi profondamente colpito alla vista di Jungkook e della sua determinazione.

Jimin si chiese se non ci fosse qualcosa di più dietro il suo istinto di proteggere il più giovane ad ogni costo e in un certo senso sapeva già la risposta. Aveva già provato questa sensazione di essere disposto a fare qualunque cosa per qualcuno. Ma era così diversa questa volta perché Jungkook non gliel’aveva mai chiesto non l’avrebbe mai fatto perché lui non sapeva essere egoista.

Jimin scosse la testa.

Non aveva voluto fermarsi ieri, aveva troppa fretta di far riposare entrambi, ma aveva riconosciuto la silhouette di Yoongi nel buio come se non fosse bastato la fiamma della sigaretta accesa a segnalare la sua presenza.

Cosa diavolo fosse venuto a fare Yoongi a casa sua dio solo lo sapeva, per fortuna Jimin non aveva più visto la macchina quando aveva controllato mentre Jungkook si faceva una doccia.

Un brivido lo percorse.

Yoongi era solito fare la stessa cosa quando anni fa quando il peso del suo fidanzamento sembrava pesargli troppo. L’ultimo periodo quando ormai passava più tempo con la sua anima gemella che con Jimin, Yoongi tornava nel loro appartamento a cercare il suo calore e il suo conforto quasi non potesse farne a meno e ferendo Jimin ogni volta. Si, Yoongi affermava di amarlo ancora, ma era innamorato anche della sua anima gemella (come non esserlo era la sua perfetta metà) e Jimin lo sapeva.

Yoongi non aveva nessuna ragione sensata per essere li e poteva anche venire a disturbare Jimin, lui sarebbe stato perfettamente in grado di rimetterlo al suo posto, ma aveva visto Jungkook e la cosa un po’ lo turbava. Perchè Jungkook era suo.

Jimin si dovette trattenere dal gemere. E questa da dove era venuta fuori?

Decise che era tempo di smettere di rimuginare e che ora di iniziare a prepararsi.

Cercò di scivolare il più delicatamente possibile da sotto Jungkook per non svegliarlo a ma a quanto pareva Jungkook era uno che avrebbe continuato a dormire anche durante un uragano perché mormorò qualcosa di inintelligibile ma continuò a dormire, abbracciando un cuscino invece di Jimin. Così lui ne approfittò per andare in bagno a rinfrescarsi e a vestirsi, per poi andare in cucina per fare colazione.

Il profumo di caffè e cibo sembrò riuscire infine a svegliare Jungkook perché Jimin sentì dei rumori provenienti dal salotto. Con ancora la tazza di caffè in mano andò verso la fonte del rumore per trovare Jungkook mezzo seduto e con gli occhi ancora chiusi, mentre continuava ad abbracciare il cuscino.

“Che ore sono?” chiese più addormentato che sveglio.

“Sono quasi le otto. Tra poco infatti esco. Tu puoi rimanere qui se vuoi, puoi fare colazione adesso o anche dopo se voi continuare a dormire. Fai con comodo” disse Jimin avvicinandoglisi e non potendo fare a meno di passare le sue dita fra i suoi capelli. Jungkook si limitò ad annuire.

“Ti lascio le chiavi, quando vai via lasciale sotto il tappetino della porta d’ingresso” Jimin continuò.

“Grazie” Jungkook mormorò rilassandosi sotto il tocco di Jimin.

Jimin aveva avuto paura che l’indomani mattina la strana atmosfera che si era creata svanisse più in fretta di neve al sole, ma Jungkook sembrava ancora soffice e Jimin sperava fortemente sarebbero in qualche modo riusciti a venirne fuori interi.

“ Di nulla. “ Jimin rispose ritirando la mano. Jungkook aprì gli occhi. Entrambi sapevano di dover dovuto parlare ancora e che i loro enormi problemi erano li dove li avevano lasciati. Ma la notte prima aveva segnato un inizio e una volta che c’era un inizio si poteva proseguire con il resto.

Jimin tornò in cucina per posare la tazza e prendere le chiavi della macchina e il cellulare. Esitò un attimo sulla soglia della cucina ma poi con una nuova determinazione andò verso Jungkook e senza dire nulla lo baciò sulla fronte. Poi fuggì via prima che questi potesse commentare.

Una volta in strada sentì il cellulare vibrare. Forse sarebbe riuscito a rispondere ai messaggi di Seokjin se arrivava presto in ufficio. Il suo migliore amico gli aveva inviato messaggi pieni di emoticon chiedendogli non molto sottilmente “allora come è andata?” e siccome Jimin non gli aveva risposto, aveva deciso di sommergere Jimin di primo mattino delle stesse domande. Jimin si chiese se doveva dire a Seokjin che gli sembrava di aver visto Yoongi la sera prima ma si disse che non voleva scatenare altre tensioni e quindi si promise di dirglielo solo se la cosa si fosse ripetuta, cosa altamente improbabile.

 

 

 

 

Jungkook si svegliò qualche ora dopo sempre sul divano di Jimin, con Tao che gli camminava allegramente sulla schiena. Si stiracchio e si alzò stando attento che Tao non rovinasse sul pavimento.

Si trovava a casa di Jimin e questi era stata abbastanza gentile dal lasciarlo dormire, probabilmente sopra di lui per tutta la notte.

Jungkook avrebbe dovuto arrossire ma era sembrato così naturale sebbene la situazione sembrasse strana in tutti gli aspetti.

Non aveva dimenticato i suoi sentimenti, i problemi, ne le sue ambizioni. Ma forse era stato più sopraffatto di quanto fosse cosciente. Non rimpiangeva però di essersi lasciato andare.

C’era ancora tutto nella sua testa, ma era stato rassicurante avere Jimin a tenerlo stretto. E dopo aver provato quella sensazione Jungkook un po’ pensava di poter capire le parole di Jimin sul volere una compagnia, sulla solitudine.

Si chiese anche se questo avrebbe dovuto suggerirgli qualcosa e Jungkook credeva di si. Tuttavia era sempre se stesso e anelava ancora la libertà. Era difficile provare a pensare un modo in cui tutti avrebbero vinto.

In ogni caso decise era giunto il momento di smettere di disturbare Jimin e di tornare a casa e fare qualcosa di utile. Nel suo tragitto verso il bagno gettò uno sguardo in cucina e vide che Jimin aveva apparecchiato il tavolo con tutte le cose che uno poteva desiderare a colazione e il cuore gli si strinse.

Non sapeva ancora cosa provare. Perchè era ancora irritato con lui eppure non poteva affermare che quello fosse l’unico sentimento presente. Aveva respinto Jimin e l’idea di sposarsi gli faceva sempre orrore, ma aveva lasciato che Jimin lo abbracciasse e lo baciasse e li era piaciuto.

Una volta rinfrescatosi decise di fare giustizia al banchetto che Jimin gli aveva preparato e spazzolò mezza tavola. Si impose di pulire e mettere tutto in ordine e dopo un ultimo saluto a Tao prese le sue cose e decise di incamminarsi verso casa. Forse sarebbe passato da Hoseok e Taehyung per farsi prestare una bici e tornare così più velocemente.

Era mezzogiorno quando infine uscì in strada. Si era dilungato più del dovuto e sperava di fare in tempo prima che Taehyung uscisse per le lezioni pomeridiane.

Sulle prime non ci fece caso ma dopo che ebbe camminato per dieci minuti si chiese se aveva visto bene. C’era una macchina parcheggiata fuori dalla casa di Jimin Jungkook si ricordava di averla vista la sera prima. L’aveva notata solo perché non era la solita macchina famigliare ma sembrava costosa. Ma non era questo che lo aveva portato a ripensare all’episodio la persona che aveva intravisto di sfuggita. Jungkook credeva di averla già vista una volta ma quanto a dove e quando non lo sapeva.

 

 

 

 

Yoongi imprecò sotto voce.

Cosa ci stava facendo di nuovo a casa di Jimin come uno stalker di bassa lega?

Si disse che l’episodio della sera prima doveva essere una tantum. Ma poi aveva ripensato a ciò che aveva viso e la curiosità era stata troppo.

Era ridicolo. Tutto ciò era ridicolo. Lui era sposato, Jimin viveva la sua vita. Non esisteva più un loro. Da anni.

Rimpiangeva molte cose nella sua vita, la sua sfortuna per dirne una, la pochezza con cui da giovane aveva gestito il tutto. “C’è qualcosa che non va in me” si disse Yoongi. Non era la prima volta che lo pensava.

Quella mattina doveva andare ad un appuntamento con un talent scout in città per discutere di nuovi possibili cantanti e le loro potenzialità. Una volta finito sarebbe dovuto tornare direttamente in sede ma aveva di nuovo deviato perché voleva vedere quante possibilità c’erano di beccare l’ospite di Jimin. Doveva essere uno scherzo e invece era tornato di nuovo li. Se Seokjin fosse venuto a saperlo Yoongi avrebbe smesso di vivere.

Naturalmente era rimasto abbastanza a lungo, sulla sua macchina a motore spento come un perfetto idiota, da avere la fortuna di vedere l’ospite uscire. Quante probabilità c’erano? Ma era successo e Yoongi non aveva potuto distogliere lo sguardo.

Ora che riusciva a vederlo bene si accorse che era giovane, più giovane di loro di sicuro. Era diverso da qualsiasi persona Jimin avesse frequentato. Le rare volte che Jimin aveva provato a lasciarlo prima di riuscirci , e anche dopo che ce l’aveva fatta, Yoongi aveva visto che tipi erano quelli che piacevano a Jimin. Tutti silenziosi con un’aura di mistero. Delle sue copie insomma e la cosa lo aveva lasciato con l’amaro in bocca.

Si, era stato un ladro con Jimin ma era ancora una persona abbastanza decente perché una parte di lui, quella meno buia, desiderasse che Jimin andasse avanti. Era stato odioso la peggiore delle persone, ma aveva amato Jimin, anche quando non aveva saputo come farlo.

Yoongi lo guardò entrare e uscire dal suo campo visivo. Si chiese chi fosse, cosa facesse nella vita e pregò per lui che non fosse un numero due.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: attenzione! Per ringraziarvi di tutto l’amore che questa storia sta ricevendo ho deciso di aggiornare con un capitolo e un ‘interlude’( e perché non riuscivo a decidermi a caricarne solo uno tra i due e mi sembrava troppo crudele lasciarvi ancora nel buio). Lo caricherò a brevissimo. ;)

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** Abbiamo sognato l'infinito (interlude parte II) ***


Questo è un DOPPIO aggiornamento, andate a leggere il capitolo prima se vi è sfuggito ;) Vi consiglio anche di andare a rileggere la prima parte dell'interlude. In caso non abbiate tempo vi dico solo che: Yoongi e Jimin stanno insieme. Solo Yoongi sa che Jimin è un numero zero.



Abbiamo sognato l’infinito (parte II)

 

 

 

 

Quello sarebbe stato l’ultimo anno di scuola superiore.

Jimin aveva trascorso una bella estate ma non vedeva l’ora di riprendere scuola e iniziare la sua ultima avventura prima di una ancora più grande.

Ma, soprattutto, non vedeva l’ora di rivedere Yoongi. Era stato difficile staccarsi da lui dopo che avevano passato ogni singolo giorno della loro lunga estate insieme. Da quando Yoongi aveva compiuto diciotto anni il suo ragazzo sembrava aver preso la loro relazione ancora più sul serio. Ricopriva Jimin di attenzioni e regali, certo il suo amabile caratteraccio rimaneva, ma era stato più paziente con Jimin in quell’ultimo periodo che negli ultimi tre anni.

Il tempo era davvero volato.

Non avevano ancor parlato di cosa avrebbe riservato loro il futuro ma Jimin era abbastanza sicuro lo avrebbero affrontato insieme. Yoongi aveva accennato all’idea di condividere un appartamento una volta che avessero iniziato l’università ed era il principale motivo per cui Jimin si era cercato un lavoro part- time in modo da iniziare a mettere da parte qualche soldo in vista di tale progetto.

A volte Jimin si svegliava in mezzo alla notte con la convinzione di essersi sognato tutto.

Non era possibile che lui un numero zero potesse essere così fortunato, così corrisposto.

Perciò si svegliava col fiatone mentre cercava di disfarsi delle coperte che lo avvolgevano come spirali e a tentoni cercava il suo cellulare, per avere una prova, perchè non poteva essere.

Invece non appena la luce del telefono illuminava l’oscurità c’era sempre la foto di lui e Yoongi come screensaver a fargli tirare un sospiro di sollievo. E se preso dalla paura per l’ennesimo incubo ancora non riusciva a crederci ecco che controllava l’ultimo messaggio presente nella sua cronologia, un buonanotte di Yoongi.

Solo allora riusciva a tornare a dormire e la mattina archiviava questi episodi come paure irrazionali. Cercava di scacciare via il fatto che ogni bacio o abbraccio di Yoongi sempre più spesso significavano una conferma piuttosto che un piacere.

In ogni caso quelle erano le uniche nuvole di una relazione in cui Jimin poteva dirsi, in tutta sincerità, felice. Era stato fortunato lo sapeva, quanti numeri zero potevano dire altrettanto?

Così la mattina del suo rientro a scuola Jimin si alzò presto contento alla prospettiva di rivedere Yoongi di li a poco. Il suo ragazzo era solito passare a prenderlo di modo da andare a scuola insieme. Doveva allungare il tragitto di dieci minuti ma lo faceva volentieri pur di passare del tempo con Jimin.

Anche quella mattina come tutte le mattine Yoongi si trovava sul vialetto d’ingresso ad aspettare Jimin per fare quel tratto di strada assieme, come se il loro tempo non fosse mai abbastanza, come se dovessero condividere anche quegli spazi rubati tra un’attività e l’altra.

“Buongiorno!” esclamò Jimin fiondandosi tra le braccia di Yoongi. Quest’ultimo ridacchio deliziato, perché solo Jimin poteva essere così pieno d’energia di prima mattina.

Fecero il tragitto fino a scuola mano nella mano mentre Jimin interrogava Yoongi su come era andata la sua vacanza.

Ma Yoongi non sembrava molto entusiasta al riguardo. Era vero che il suo ragazzo preferiva il dormire all’attivita fisica, ma lui e la sua famiglia erano stati in un’isola esotica bellissima e Jimin credeva che avrebbe avuto più cose da raccontare.

“Cos’è non ti hanno fatto dormire quanto volevi?” lo prese in giro Jimin.

“Più o meno” rispose Yoongi scrollando le spalle. Jimin rise, il suo ragazzo era come un gatto impigrito dopo una scorpacciata.

La vista della scuola non smorzò di un millimetro l’entusiasmo di Jimin non perché fosse un

secchione fanatico dello studio, ma perchè scuola era diventato sinonimo non solo di Yoongi ma anche di ballare. Jimin aveva frequentato il club di danza sin da quando era una matricola ed era diventato uno dei componenti di maggior riferimento. Jimin non voleva vantarsi, era lungi dall’essere perfetto ma sapeva di avere abbastanza talento da pensare di poter proseguire una carriera in quell’ambito.

C’era naturalmente la grossa incognita sul fatto che Jimin rimaneva un numero zero e ad un certo livello questo importava eccome, eppure nessuno aveva mai sospettato la sua categoria di appartenenza e la cosa lo faceva ben sperare.

A scuola infatti tutti erano convinti che Yoongi e Jimin fossero anime gemelle. Il pensiero faceva gongolare Jimin anche se la faccenda in realtà avrebbe implicato una serie di complicazioni.

Tanto per iniziare era praticamente vietato il formarsi di numeri due prima del raggiungimento della maggiore età se non si voleva pagare una multa molto salata. Questo soprattutto era una legge pensata per tutelare le anime gemelle con una grande disparità d’età e per cercare di tenere sotto controllo i giovani numeri due che sarebbero stati altrimenti in balia dei loro ormoni (la politica di controllo nascite era presa molto seriamente).

Molti credevano quindi che le loro famiglie avessero pagato lautamente i funzionari statali per permettere che i loro figli si frequentassero e c’erano persino voci fantasiose che facevano di Yoongi il nipote di un senatore e il padre di Jimin un ricco finanziere.

Ovviamente nulla di tutto ciò era vero.

L’unico motivo per cui il personale della scuola non li aveva denunciati era perché sapevano benissimo che loro due non erano anime gemelle. Jimin infatti era un numero zero.

Tuttavia se erano riusciti ad ingannare praticamente tutta la scuola Jimin pensava che anche in futuro difficilmente qualcuno si sarebbe accorto della differenza se il loro amore restava saldo. Era quindi difficile per lui trattenersi dall’accarezzare questo suo piccolo sogno di carriera nella danza.

Quest’ultima però era un delle cose, una delle tante ad essere sinceri, di cui non aveva ancora parlato con Yoongi. Loro si amavano di questo era Jimin era certo. Eppure la parola futuro sembrava mettere apprensione a Yoongi e quindi questi più spesso che volentieri taceva. Jimin sperava che finalmente quest’anno avrebbero iniziato progettare seriamente il loro avvenire.

La prospettiva assurda che Yoongi non fosse un numero zero era una cosa che Jimin si rifiutava di sfiorare. Nessun numero due avrebbe amato un numero zero come Yoongi amava Jimin.

Quindi l’unico motivo per cui Yoongi non ne aveva mai fatto parola sebbene sapesse Jimin stesso fosse un numero zero, era perché si vergognava del suo status: con lui la sua famiglia aveva segnato il terzo buco nell’acqua per la terza generazione di fila.

Yoongi e Jimin furono salutati da molti studenti, erano infatti non solo la coppia più invidiata ma anche le due persone più popolari della scuola, Yoongi il capitano della squadra di basket mentre Jimin era la stella del club di danza.

“Jimin hyung sai già quando si apriranno le audizioni per le matricole?” gli chiese subito un suo compagno di classe non appena si sedettero in aula.

“In realtà non ne abbiamo parlato ma immagino ci vorrà qualche settimana” ripose Jimin sorridendo alla prospettiva dell’arrivo di nuove forze.

“Bene! Perché so che a mio fratello piacerebbe provare ad entrare” disse il suo compagno.

“Faremo del nostro meglio” rispose Jimin gentile. Dopotutto la politica del club non era poi così severa ed ammetteva un po’ tutti quelli che si dimostravano non solo talentuosi ma anche appassionati.

“Siamo appena arrivati e già ti chiedono informazioni. Significa che tartasseranno anche me?” Yoongi disse sbuffando dal banco di fianco.

“Temo di si, capitano” lo prese in giro Jimin. Yoongi roteò gli occhi melodrammatico.

“Abbiamo appena iniziato non puoi essere già stanco”il suo ragazzo lo fulminò facendo ridere Jimin. Sarebbe stato un anno grandioso.

 

 

 

 

“Onestamente non so se è più fortunato Jimin o Yoongi! Spero che la mia anima gemella sia altrettanto brillante” erano queste le chiacchiere che di solito seguivano Jimin e che lo facevano sorridere non poco. Era la parola anima gemella che più gli riscaldava il cuore, Jimin e Yoongi i primi numeri zero con l’anima gemella. Se avesse potuto lo avrebbe urlato dall’alto dell’edificio.

Quelle prime settimane di rientro a scuola erano state intense. Sia lui che Yoongi erano stati molto occupati sia con le attività dei rispettivi club sia nel cercare di smaltire la mole di compiti che i loro professori avevano scaraventato loro addosso, per preparargli in vista degli spaventosi esami di ammissione.

Il suo club si stava preparando al solito gala annuale di benvenuto alle matricole e tutti si stavano allenando nelle routine di gruppo e individuali. Perciò i due non avevano avuto molto tempo per vedersi e a Jimin mancava il suo ragazzo. Per giunta Yoongi durante i weekend era stato trascinato in qualche noiosa cena di famiglia e quindi Jimin si ritrovava ad essere un po giù di morale. Certo Yoongi veniva a prenderlo al mattino come sempre e puntuale era il suo messaggio di buonanotte ma Jimin avrebbe voluto trascorrere più tempo dei brevi frammenti tra una lezione e l’altra.

Sperava che una volta che sarebbero state reclutate le nuove matricole avrebbero avuto più tempo l’uno per l’altro.

Jimin era così preso quindi dalle sue attività che non aveva fatto caso al fatto che le voci sognanti che di solito lo circondavano avevano cambiato tono. Che gli occhi che lo seguivano non erano più così pieni di ammirazione ma di qualcos’altro.

Il fine settimana prima del giorno delle audizioni Yoongi si presentò a casa sua. Era finalmente riuscito a scappare da ennesimo pranzo di famiglia e dai compiti che lo assillavano.

“Yoongi cosa ci fai qui?” chiese Jimin piacevolmente sorpreso. Aveva appena finito di scrivergli un messaggio in cui diceva che siccome era solo in casa si stava annoiando a morte, visto che aveva come unica compagni i compiti da fare.

“Passavo di qui. In realtà mi mancavi” Yoongi disse tranquillo le mani in tasca come se fosse sua abitudine confessare certe cose a Jimin. Non era che Yoongi era una persona arida e senza cuore, per nulla, solo era tremendamente difficile per lui essere aperto con i suoi sentimenti e preferiva invece lasciare che le sue azioni parlassero piuttosto che le sue parole. Jimin non si era mai sentito amato di meno ma ogni tanto era bello sentirsi dire certe cose ad alta voce.

Un sorriso gli illuminò il volto.

“Mi sei mancato anche tu” disse Jimin e in un battito di ciglia Jimin si trovò tra le braccia del suo ragazzo.

Oh questo è nuovo. Si disse Jimin ma era comunque contento. Yoongi si staccò abbastanza da riuscire a guardare Jimin negli occhi per un breve intenso attimo prima di portare una mano sulla sua guancia e avvicinare il suo viso al suo. Jimin spesso pensava che non ne avrebbe mai avuto abbastanza dei baci di Yoongi, del tocco delle sue labbra e della sua lingua. A volte sperava con tutto se stesso, con tutto il fervore dei suoi diciassette anni che Yoongi sarebbe stata l’ultima persona a baciarlo così.

Jimin lo fece entrare in casa dove Yoongi non perse tempo a riunire le loro labbra, le dita di Jimin che andava a incastrarsi nei suoi capelli mentre ogni spazio tra loro veniva fatto scomparire finché erano un copro caldo contro l’altro.

“Voglio amarti” gli sussurrò Yoongi all’orecchio mentre gli mordicchiava il lobo dell’orecchio, per poi depositare baci sulla mascella e poi giù sul collo, a mordere per lasciare un segno.

Jimin si sentì mancare il fiato mentre con la voce che gli riusciva di tirare fuori diceva un sospirato si.

 

 

 

 

 

 

A posteriori Jimin avrebbe voluto accorgersene prima. Non pensava avrebbe fatto un grande differenza ma forse un po’ di umiliazione gli sarebbe stato risparmiata. Certo il suo cuore sarebbe sempre rimasto infranto irrimediabilmente.

Jimin pensava erano le solite chiacchiere su di lui e Yoongi eppure si sbagliava, si sbagliava di grosso. Eppure nulla fino ad allora lo aveva insospettito. Nessuno era venuto a dirgli nulla. Soprattutto Yoongi.

Perciò Jimin era andato a mensa come suo solito e come suo solito si era seduto col suo ragazzo. Se Yoongi era sembrato nervoso Jimin a posteriori non avrebbe saputo dire. Perciò era stata con pura innocenza che Jimin come suo solito si era diretto verso il suo armadietto per fare cambio di libri di testo, mano ancora stretta a quella dell’altro. Non aveva notato gli sguardi, le risate soffocate.

Lo notò solo una volta che fu di fronte e pure allora non riusci a crederci.

Perché sulla porta di metallo del suo armadietto in vernice rossa era disegnato un grosso perfettamente ovale zero.

Jimin rimase impietrito una mano che stringeva forte quella di Yoongi mentre l’altra si portava al petto il suo quaderno.

Non riusciva a muoversi ma con la coda dell’occhio vide un gruppo di ragazzi mormorare alle sue spalle e persino ridere. Jimin cercò di riguadagnare un po’ di compostezza ma era difficile riuscirci quando la vernice rossa sul suo armadietto tracciavano i contorni di una verità infamante.

Smarrito, si guardo intorno cercando un volto amico per poi voltarsi al suo fianco per cercare lo sguardo di Yoongi.

I loro occhi si incontrarono, Yoongi gli strinse la sua mano forte, un’ultima volta, prima di allentare la presa e fare un passo indietro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** 00.12 ***


00.12

 

 

“Allora cosa ne pensi?”

Jimin aveva atteso la fine della lezione prima di avvicinarsi timidamente a Jungkook e invitare lui e i suoi amici a cena.

Erano trascorsa quasi una settimana da quando Jungkook era rimasto a dormire a casa sua. Jimin si chiese per un attimo se non sarebbe stato meglio aspettare che fosse trascorso più tempo in modo che lo shock iniziale si temperasse così come gli animi. Allo stesso tempo temeva di farne passare troppo.

Era stato bello avere Jungkook così, dolce e vicino, e Jimin non voleva che quella notte rimanesse un’eccezione di qualcosa destinato a raggelarsi. Inoltre ci teneva a spiegarsi, nel tumulto delle cose non aveva trovato l’occasione di parlare a Jungkook, sembrava fossero stati entrambi presi da un imbarazzo a scoppio ritardato che non li consentiva di ritrovare la solita famigliarità.

Certo, non era mai stata molta, ma avevano fatto dei progressi e Jimin non voleva tornare indietro.

Jungkook lo guardò da sotto l’asciugamano che si era messo in testa per asciugare il sudore. Sembrò valutare la domanda e proprio quando Jimin ormai si aspettava un declino con la scusa di un impegno Jungkook disse.

“Va bene. Quando?”

Jimin rimase interdetto per un attimo prima di illuminarsi di nuovo.

“Oh. Questo sabato, visto che domenica è il giorno libero di tutti.”

“Io finisco il mio turno alle 8 perciò non prima di quel’’ora” ripose Jungkook. Jimin annui, si ricordava vagamente che Jungkook avesse detto qualcosa sul fatto che lavorava in un negozio di scarpe part-time.

“Va benissimo. Facciamo per le 9 a casa mia allora!” Jimin disse entusiasta.

“Vuoi che avvisi Hoseok?” Jungkook chiese.

“No tranquillo faccio io”. Fu il turno di Jungkook di annuire, prima di togliersi l’asciugamano, alzarsi e gettarlo in borsa. Sembrò guardare Jimin per un attimo come se volesse aggiungere qualcosa. Da quel fatidico pomeriggio a casa di Jungkook con i suoi genitori non avevano più cenato insieme dopo lezione neanche una volta. Jimin sperava che una cena con altre persone potesse miracolosamente ammorbidire il clima tra di loro. A volte si aspettava di vedere Jungkook darsela a gambe levate, poi si ricordava quanto risoluto il numero zero fosse. No, Jungkook non era il tipo che interrompeva le sue attività solo perché non gli piaceva una persona. Jimin sperava che in realtà significasse che Jungkook non lo odiava affatto.

E’ rimasto da te, si è addormentato addosso te nonostante tutto. Eppure Jimin aveva lo stesso paura di aver frainteso lo stato delle cose. Jungkook si era trovato in una situazione di estrema fragilità emotiva. Forse si sarebbe aggrappato a chiunque si fosse trovato li nel raggio di tre metri.

“Ti avverto però, Taehyung ha uno stomaco che è senza fondo” Jungkook disse prima di chiudere la cerniera del suo borsone con uno scatto e caricarselo sulla spalla. Jimin sorrise. Era il primo accenno di battuta in una settimana.

“Vorrà dire che assisteremo ad una gara tra lui e Seokjin hyung!” Jimin rispose. Jungkook gli lanciò uno sguardo che nascondeva del divertimento prima di fargli un cenno di commiato e uscire dalla stanza.

Jimin sospirò.

Doveva sapere, doveva sapere se era stato reale oppure un sogno destinato a scomparire al risveglio.

 

 

 

Jimin era riuscito a convincere Seokjin ad aiutarlo a cucinare. C’era voluto poco, in effetti era bastato fare qualche complimento qua e la sulla magnificenza di Seokjin ai fornelli e in men che non si dica il suo miglior amico aveva occupato la sua cucina con ingredienti e sapori mentre Jimin lo assisteva con i compiti più semplici, come tagliare le verdure e assicurarsi che l’arrosto non bruciasse.

“Vuoi proprio fare buona impressione eh?” Seokjin disse dall’angolo cottura mentre controllava la salsa.

“Ho combinato un casino hyung. Questo è il minimo. Oltretutto devo anche ringraziare Hobi per avermi guarito completamente.” Jimin disse mentre lavava gli utensili nel lavandino.

“Non vedo l’ora di conoscere questo Hoseok, da come ne parlavi tu sembrava una specie di dio della danza.”

“ Beh lo era. Adesso è uno studente di medicina però, a breve dottore a tutti gli effetti”.

Con tutti i problemi degli ultimi giorni Jimin si era completamente dimenticato di risolvere quel piccolo mistero sulla nuova carriera di Hoseok.

Non aveva mentito a Seokjin, voleva davvero fare qualcosa per rimediare con Jungkook ma voleva anche cogliere l’occasione di passare del tempo col suo vecchio amico.

“C’è dell’altro, ti si legge il dubbio in faccia.”

“E’ solo che mi sembra strano hyung. Avevamo il sogno di diventare ballerini professionisti e anche se da parte mia era un’ambizione stupida, perchè diciamocelo da numero zero avrei avuto una possibilità su un miliardo, Hoseok è un numero due. Non avrebbe avuto problemi.”

“Anche noi numeri due facciamo delle scelte. Incontriamo delle difficoltà. Sicuramente avrà avuto un ottimo motivo” Seokjin disse mentre assaggiava la salsa dal mestolo.

Jimin lo guardò. Non aveva detto a Seokjin che Namjoon gli aveva spiattellato tutto. Era la prima volta a dir la verità che Jimin ometteva di dire qualcosa al suo miglior amico ma onestamente anche se avesse voluto non sapeva come introdurre l’argomento.

Per giunta una parte di lui, sebbene piccola ma esistente, era leggermente offeso dal fatto che Seokjin non si fosse mai confidato con lui durante tutti quegli anni. Seokjin non avrebbe avuto niente di cui vergognarsi, dopotutto non aveva forse assistito a tutti i momenti più penosi della vita di Jimin?

“Non avercela con lui, Jimin. Jinnie non ne parla perché teme di fare torto a me. Credo che un parte di lui pensi ancora di avermi privato di qualcosa quando invece mi ha dato tutto.“ Namjoon aveva detto scuotendo la testa. Jimin aveva lo guardato, come stava guardando Seokjin in quel momento e nonostante la sua leggera irritazione fu invaso da uno strano sentimento.

Amare così, come avevano amato Seokjin e Namjoon, era dunque possibile?

“Si lo so. Solo mi sembrava un peccato tutto qui.” Jimin disse scrollando le spalle.

“L’importante è trovare la propria strada” Seokjin concluse sorridendo e gettando il mestolo nel lavandino assieme alle posate sporche che Jimin stava lavando.

“Forse hai ragione” replicò Jimin distrattamente mentre controllava l’ora sul suo orologio da polso.

Sperava ne avrebbero potuto parlare un giorno, perché Seokjin era il suo migliore amico e Jimin odiava avere segreti con lui.

 

 

 

 

Quando Jimin era venuto tutto dubbioso a invitarlo a cena a lezione finita, Jungkook non era riuscito a dire di no, anche se l’idea di riunire tutti si preannunciava un mal di testa di dimensioni colossali. Nonostante Jungkook fosse una persona che smaltiva male le arrabbiature (“si chiama portare crucci, Kookie”, “taci Taehyung”) non era neanche un grande fan di come era la situazione attuale.

Era tesa e densa, piuttosto insopportabile. Da una parte era contrario a tutto ciò che era successo quel giorno con i suoi genitori dall’altra come dimenticare quella sera? Aveva provato cose, dio Jungkook neanche sapeva era in grado di provare.

“Dimmi la verità, non vedi l’ora di risolvere le cose” gli arrivò il vocione di Taehyung all’orecchio.

“Taehyung. Cosa ne è stato della parola ‘spazi’? Sto cercando di usufruire di un attimo di raccoglimento prima di venir imbottigliato in una cena di cui credo non vedrò la fine” Jungkook disse esasperato.

“Kookie sei nella mia macchina. E hai usufruito della nostra casa come fosse la tua per anni. Non esiste una parola come ‘spazi’ tra di noi. Poi ho ragione” Taehyung disse compiaciuto dal sedile dell’accompagnatore.

Jungkook roteò gli occhi mentre Hoseok rideva piuttosto sguaiatamente dal suo posto al volante. Odiava quando si mettevano d’accordo per rendere la sua vita impossibile.

Si stava pentendo amaramente di aver raccontato loro come era stata la serata, infatti ora si trovava col dover sperare che Taehyung non se ne venisse fuori con uno dei suoi commenti inopportuni. Aveva sempre un delizioso tempismo per essere imbarazzante.

Una volta arrivati a casa di Jimin non fu quest’ultimo ad aprire loro la porta ma Namjoon in tutta la sua gloriosa altezza e capelli verdi.

“Ciao Jungkook! E voi dovete essere i suoi amici! Piacere io sono Namjoon” si presentò il numero due mentre li faceva accomodare.

“Taehyung, piacere mio. Adoro il tuo coloro di capelli” disse Taehyung mentre entrava marciando nell’appartamento di Jimin come se fosse un ospite abituale.

“io sono Hoseok. Non badare al mio numero uno, Taehyung dice cose strane, rimane comunque adorabile” Hoseok disse.

“Ehm, ok. Jimin e Seokjin sono ai fornelli. Arrivano subito”Namjoon non ebbe neanche il tempo di finire la frase che Jimin fece la sua comparsa in salotto.

“Eccomi, ragazzi in una mezz’ora dovrebbe essere pronto, nel frattempo mettetevi comodi, ho portato il vino.”

“Ottimo!” urlo Taehyung mentre Hoseok chiedeva se avessero bisogno di una mano in cucina e senza tante cerimonie, ne aspettare una risposta d Jimin, dirigersi nell’altra stanza. Jimin accese la radio e fece accomodare tutti a tavola mentre serviva il vino.

“Ciao Jungkook come stai? Immagino avrai una gran fame dopo il lavoro” cercò di introdurre il discorso timidamente Jimin.

“in effetti.” rispose Jungkook cercando bene attento di non strozzarsi col vino. Jungkook si sentiva stranamente nervoso.

“Ciao a tutti” li interruppe Seokjin facendo il suo ingresso in salotto adibito a sala da pranzo.

“ah modello di vogue! ”

“modello... di vogue?”

“si era quello che sussurravano alcune ragazze dietro di me, quella volta che ci siamo incontrati” disse Taehyung sorridendo. Jimin scoppio a ridere.

Jungkook si chiese intensamente se era possibile sotterrarsi sotto il tappeto.

 

 

 

Kim Seokjin doveva per forza aver fatto lo chef in qualche ristorante francese in qualche periodo della sua giovane vita perché Jungkook non si ricordava di aver mai mangiato così tanto e così bene. Aveva anche scoperto che bastava fargli dei complimenti al riguardo per guadagnarsi dei punti. Taehyung era, se possibile ancora più soddisfatto di lui, anche se in quel momento era preso da una fitta conversazione con Namjoon dopo che avevano scoperto le rispettive carriere.

“Jungkook non mi avevi detto che avevi conosciuto Kim Namjoon, aka rapmonster, ossia l’autore di metà delle canzoni nel mio ipod” aveva esclamato Taehyung non appena aveva scoperto che Namjoon era un famoso compositore e produttore.

Jungkook scrollò le spalle. Lui le canzoni le ballava, non le componeva.

“Come se tu non fossi noto nel settore Taehyung” rispose Namjoon con un sorriso.

Il commento sembrò acuire la curiosità di Seokjin e Jimin.

“hey hai un amico famoso e non me l’hai detto?” esclamò Jimin in direzione di Jungkook. Jungkook lo guardò in tralice come a voler dire “potrei dire la stessa cosa”. Nella sua sedia Hoseok sembrava brillare di orgoglio.

“non sono nessuno. Ho solo composto una cosetta il primo anno di accademia della musica. “

“Kim Taehyung giovane prodigio e compositore solitario” Taehyung scrollò le spalle come se Namjoon avesse appena detto fosse il campione regionale di biglie. Anche se in quel caso, pensò Jungkook, probabilmente avrebbe sventolato la targhetta di riconoscimento a ogni piè sospinto quindi forse non era un esempio calzante. A Taehyung piaceva la musica e basta e tutto il resto era superfluo.

“Vi ricordate la storia di quel giovane studente che aveva vinto un concorso con la sua colonna sonora che poi è magistralmente diventato il nuovo titanic degli ultimi cinque anni?” chiese Namjoon rivolto a Jimin e Seokjin i quali annuirono. “ecco quel ragazzo è lui, Taehyung. Mezze case discografiche del paese gli hanno offerto un contratto ma lui ha rifiutato. E’ diventato una delle storie leggendarie nei nostri circoli.”

“quel concorso lo avevo fatto per insistenza del mio maestro di violino. Avevo partecipato solo nella speranza di fare qualche soldo per me e Hoseokkie, e così è stato. Non mi aspettavo mi proponessero un calendario di concerti ne che la cosa facesse tanto chiasso. Io amo gli strumenti musicali non il resto” Taehyung disse come se stesse parlando del tempo.

“Taehyung suona il violino da quando ha sei anni, e il pianoforte da quando ne ha 15. Sta finendo il corso avanzato di pianoforte per poter insegnare e se non ricordo male l’altro ieri mi ha detto che voleva provare a cimentarsi con la batteria” intervenne Hoseok in suo aiuto.

“Qualsiasi altra persona avrebbe usato questo talento per fare concerti ed essere in televisione” commentò Namjoon casualmente

“Preferisco stare a casa con la mia anima gemella.” Taehyung disse e Jungkook sapeva che i due si stavano probabilmente tenendo per mano sotto il tavolo.

“Beh. Questo, questo lo posso capire” Namjoon concluse mite lanciando uno sguardo verso Seokjin. Jungkook si contorse sulla sedia perchè era appena rimasto incastrato all’interno di un momento tra numeri due. L’unica cosa che lo consolava era che Jimin sembrava a disagio quanto lui.

“Detto così comunque mi fai più importante di quello che sono. Non sono io che sono nella stessa agenzia di Gloss. Tra parentesi l’altra metà delle canzoni del mio ipod sono sue!” Taehyung esclamò. Namjoon ridacchiò leggermente ma dalla posa rigida di Seokjin e dal fatto che Jimin avesse guardato subito altrove si accorse che qualcosa in quel nome non andava.

“Oserei dire che io sono meglio” cercò di scherzare Namjoon.

“Ovviamente” disse Seokjin prendendogli la mano e cercando di far sembrare la cosa una battuta. Taehyung e Hoseok risero anche se Jungkook aveva l’impressione gli altri stessero facendo molto sul serio.

Jimin nel frattempo si era alzato dalla sedia e aveva iniziato a sparecchiare e a Jungkook la cosa sembrò di nuovo strana.

Non avevano avuto occasione di parlare ma Jimin era sembrato rilassato e allegro durante l’intera cena e la cosa aveva rilassato lui a sua volta.

Jungkook fece una nota mentale di indagare su questo Gloss e sul perchè sembrava non cader bene ne a Jimin ne a Kim Seokjin, e si alzò a sua volta per andare a dare una mano in cucina.

“Hyung tutto bene ?” chiese Jungkook mentre appoggiava i piatti sporchi sopra la lavastoviglie.

“Certo” disse Jimin anche se non sembrava del tutto vero. Jungkook osservò Jimin mentre infilava i piatti ordinatamente. Forse era quello il momento giusto per parlare. Ma no. c’erano tutti gli altri a pochi metri nell’altra stanza a portata d’orecchio.

“Tutto a posto qui?” chiese Seokjin entrando a sua volta in cucina con resto delle dei piatti.

“Si hyung potresti finire qui e poi vedere del dessert? Vorrei andar a controllare se Tao sta bene visto che l’ho lasciato che dormiva in camera mia due ore fa.” Il biondo annui e Jungkook rimasto impalato vicino alla lavastoviglie osservò Jimin allontanarsi per il corridoio. Sospiro leggermente ma quando distolse lo sguardo dalla schiena di Jimin vide che Seokjin lo stava guardando. Aveva la testa inclinata e un fare esortante. Mancavaa solo dicesse ad alta voce un “vai”.

Jungkook si mosse prima che il biondo decidesse di dirlo effettivamente. Improvvisamente una sensazione di nervosismo lo prese e si trovò ad asciugarsi le mani sudate sui pantaloni. La porta della camera di Jimin era mezza aperta e quest’ultimo era seduto sul letto a dare dei grattini dietro all’orecchio a un sonnacchioso tao.

“Hyung” iniziò Jungkook schiarendosi poi la gola. Jimin posò i suoi grandi occhi neri su di lui e Jungkook per un attimo non seppe cosa dire. Rimase immobile sulla soglia incerto sul da farsi.

Jimin abbassò quindi lo sguardo sul pavimento poi verso il gatto di nuovo. Infine prese un bel respiro e guardando di nuovo Jungkook disse.

“Jungkook mi dispiace” Jungkook si sentì sgonfiare di un peso che non sapeva di avere. “Credo di non averti chiesto scusa abbastanza, credo di non averti chiesto scusa affatto, non come si deve. Mi dispiace davvero. Non volevo affatto ferirti anche se so che le mie azioni possono dare un’altra impressione. “

Jungkook scosse la testa e di nuovo come se il suo corpo sapesse la riposta ancora prima che il suo cervello la formulasse chiuse la distanza in pochi passi e andò a sedersi al fianco di Jimin, così vicini che il loro gomiti si sfioravano.

Jungkook si lasciò cadere di peso ma per dire quello che doveva dire decise di guardare davanti a se.

“io… non mi piace quello che hai fatto. Ero molto arrabbiato con te. Ma mi piace pensare che tu non abbia voluto farmi del male, mi piace pensare che hai sinceramente cercato di fare del tuo meglio. Io non sono bravo a gestire le mie emozioni, non lo sono mai stato e ti avevo promesso comprensione e non l’ho fatto. Era più facile avercela con te hyung che ammettere che in realtà è difficile per entrambi non solo per me.”

“Credimi Jungkook per la tua età ti stai comportando anche troppo bene”

“hey non sei poi così vecchio.”

“Voglio sperare!” Jimin disse mezzo sorridendo. “Solo che io a 23 anni non era composto neanche la metà di quello che sei tu. Ero un disastro ambulante. Ti ammiro. Non l’ho detto ai tuoi solo per dire”.

Jungkook guardò Jimin con la coda nell’occhio. Si ricordava Jimin alle superiori, ma questo Jimin era diverso da quello smarrito e perso nei suo ricordi. Si chiedeva per la prima volta cosa ne fosse stato di lui dopo aver finito le superiori, quali prove avesse superato per essere una persona tanto squisita ora. Non che non lo fosse stato prima, Jungkook ancora si ricordava di quanto Jimin lo avesse affascinato sulla pista da ballo. Abbiamo sofferto tutti. Può essere che io abbia sempre giudicato male senza sapere le circostanze. E, pensò Jungkook, le circostanze contavano tanto. Guardaci ora.

“Mi puoi dire una cosa però ? Non ti offendere sto solo cercando di capire...”

“Ma certo, chiedimi pure”

“Cosa ti fa pensare di avere ragione? Cosa puoi aver scoperto di così importante da proporre una cosa simile?” Jungkook chiese voltandosi per guardare Jimin in faccia. Quest’ultimo sembrò pensoso come se cercasse di formulare la sua risposta al meglio.

“Onestamente credi Taehyung e Hoseok voterebbero mai per il si?”

“Certo che no” Jungkook rispose senza neanche dover pensare.

“ Neanche i tuoi genitori, i miei, Namjoon e Seokjin.”

“Si beh sono piuttosto sicuro siamo una minoranza, hyung”

“Non lo puoi sapere. In passato sono stati proposti altri referendum e la maggior parte non ha neanche raggiunto il quorum.”

“Stai dicendo che la tua proposta si baserebbe solo su un mero atto di fede?”

“Cosa ci sarebbe di male se fosse così?”

“Non avevi detto che Namjoon ti aveva detto qualcosa?”

“Si è vero ma ha solo cementato una mia convinzione.”

“Posso sapere cosa ti ha detto?”chiese Jungkook che sentiva quell’informazione come vitale.

“Non posso dirtelo. Non è la mia storia da dire, mi dispiace”

Jungkook lo guardo a metà tra lo sbalordito e l’incredulo ma vide determinazione negli occhi di Jimin.

“Non so coda dire”

“Mi dispiace di non avere una ragione migliore, una che abbia senso.”

Jungkook scosse la testa. “significa che siamo nelle mani del destino. Sei cosciente del fatto che il destino non è mai dalla nostra parte vero?”

“Sono cosciente del fatto che forse non siamo gli unici a volere che questa proposta non passi” Jimin disse. “io non ho fatto che pensare. E quello che ho visto, le storie degli altri forse, siamo meno soli di quello che abbiamo sempre pensato.”Jungkook corrugo la fronte. Quest’ultima cosa che Jimin aveva detto per lui non aveva senso. I numeri zero erano soli. I numeri due vivevano il lieto fine. Come potevano questi due destini conciliarsi?

“Non cercherai di farmi cambiare idea? In nessun modo”chiese poi, perché doveva sentire questa risposta perchè per Jungkook contava tutto. Lui e Jimin si erano espressi diversamente al riguardo quindi voleva capire come Jimin pensava di mantenere le sue promesse a Jungkook e allo stesso tempo non farsi condizionare dai suoi desideri.

“No. Per te è importante. Abbastanza da andare contro la tua famiglia, abbastanza da trarne uno scopo. Non potrei mai fare questo a nessuno, meno che meno a te Jungkook. “

”Mi stai chiedendo di fidarmi di te Jimin?” Jungkook gli chiese con voce tremante e sempre guardandolo negli occhi.

“Si.”rispose Jimin chiudendo gli occhi come se avesse paura anche di porre la domanda.

Si conoscevano appena eppure era come si conoscessero da una vita.

Abbiamo trascorso giornate molto simili e forse tra me e te non ci sono bisogno di parole perché lo sappiamo. Siamo tornati a casa in stanze vuote e abbiamo sentito i nostri echi riecheggiare nelle nostre orecchie e abbiamo capito che potevamo star vedendo il futuro. Eppure nonostante tutto siamo sopravvissuti.

Jungkook si appoggiò a Jimin e lasciò cadere la sua testa sulla sua spalla e chiuse gli occhi a sua volta. Sentì Jimin circondarlo con un braccio e il suo respiro regolare sopra la sua testa.

Era tutto nuovo eppure gli era mancato.

 

 

 

“Jimin?” Seokjin aveva tirato fuori i dessert e l’aveva servito a tavolo mancavano solo Jungkook e Jimin all’appello. Seokjin si incamminò a passo leggero lungo il corridoio. In effetti a dirla tutta era un po’ preoccupato. Jimin non gli aveva raccontato cosa era successo ma sembrava pensare che l’ultimo diverbio tra i due fosse colpa sua. Erano così peculiari le interazioni di quei due. Jungkook era così giovane, così pieno di tutta la voglia della gioventù, quasi brusco nel suo impeto. Jimin invece era dolce ma fermo una roccia su cui si infrangevano le diverse maree.

Li avevi osservati. Si comportavano cauti l’uno con l’altro camminando a passi piccoli ed esitanti, più fragili delle foglie che cadano, eppure sempre li, cercando un modo di avvicinarsi.

La porta della camera di Jimin era aperta abbastanza perchè Seokjin riuscisse a vedere Jungkook e Jimin, a parlottare e così vicini, sempre così vicini.

Seokjin sorrise.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


NdA: niente Yoongi. E Jungkook e Jimin sembrano aver l'approvazione di Seokjin =D

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Capitolo 20
*** 00.13 ***


00.13

 

 

 

“Jungkook tesoro, tutto bene?” Jungkook non avrebbe voluto. Era sua intenzione mantenere il silenzio radio a tempo indefinito ma sia Taehyung che Jimin avevano insistito sull’importanza di non allontanarsi dai suoi genitori nonostante tutto.

“Anche i nostri genitori non sono perfetti e sbagliano. Ma sono sempre la nostra famiglia.” Jimin gli aveva detto e le sue parole avevano avuto molto più senso delle continue insistenze di Taehyung.

E’ perchè Taehyung è eloquente quanto un cucchiaino ecco perché non gli do ascolto. Si disse Jungkook anche se, sia lui che il suo migliore amico, sapevano che stava dicendo la verità solo a metà.

“Si mamma, tutto a posto. Volevo solo farti un saluto. Tra poco mi vedo con i miei amici.” Jungkook rispose, cercando di mantenere un tono neutro. Aveva chiamato per la prima volta un paio di giorni prima e Jungkook si disse che era meglio se era lui a chiamare piuttosto che i suoi sentissero nuovamente il bisogno di presentarsi alla sua soglia, per verificare cosa ne fosse stato di lui.

Faceva male, faceva male accettare che i suoi non erano infallibili, che Jungkook era grande abbastanza da capire che essere adulti non ti rendeva magicamente perfetto ma solo con più responsabilità.

“Con Jimin?” chiese sua madre. Jungkook avrebbe voluto sbuffare sonoramente ma cercò di trattenersi. “No mamma, con Taehyung. Ma anche se fosse cosa cambierebbe?” Jungkook rispose e avrebbe voluto farsi un applauso da solo per aver saputo mantenere la calma. Quelli erano i suoi giorni di gloria, probabilmente i suoi ultimi giorni di libertà. Cosa Jungkook faceva e chi frequentava erano affari suoi. In realtà non voleva dare ai suoi genitori maggiori leve per forzarlo a seguire i loro piani.

Sono sempre io. I miei sogni sono sempre gli stessi così come le mie ambizioni. E in certo senso era vero. Non importavano che cosa il suo subconscio pensava lui stesse provando: il suo destino non gli sarebbe piaciuto di più per questo. Era paradossale come avesse l’appoggio a non sposarsi dal suo compagno imposto, ma non dalla sua famiglia.

“Va bene. Divertiti tesoro, e ricordati di chiamarci, tuo padre non c’è ma sai quando trovarlo..”

“Ciao mamma” Jungkook si affrettò a concludere la chiamata.

“Ti voglio bene” riusci a dirgli sua madre prima che la linea cadesse. Poteva anche sentire sua madre ma quanto a suo padre era un’altra storia. Non riusciva a dimenticarsi le parole di suo padre quel pomeriggio e tanto meno a perdonarlo.

Jungkook si rimise il cellulare in tasca mentre si avvicinava al luogo dell’appuntamento con Taehyung che naturalmente sembrava essere in ritardo. Con le mani in tasca si sedette su una panchina di fronti ai negozi. C’era tanto a cui pensare anche se il peggio sembrava essere passato. Non era stato facile, Jungkook ancora si domandava come fosse riuscito a mettere insieme i pezzi. Grazie a Jimin, gli disse un parte di se, eppure anche quella risposta non gli piaceva.

Era possibile che colui che rappresentava una parte del problema fosse anche la soluzione? Perché se non ci fosse stato Park Jimin, Jungkook avrebbe potuto continuare la sua vita. O forse no, i suoi genitori avrebbero scelto qualcun altro, qualcuno di meno comprensivo, qualcuno che non era Jimin e per lui sarebbe stata veramente la fine.

Perché nessuno ti avrebbe capito e saresti stato da solo.

C’era stato un momento, un brevissimo ma importantissimo momento, prima che Seokjin li venisse a chiamare, in cui Jungkook aveva sollevato la testa per guardare Jimin negli occhi, un momento in cui Jungkook aveva visto solo il ragazzo che aveva davanti e non tutte le nefaste implicazioni della situazione in cui erano. Era durato pochi secondi ma se Seokjin non fosse venuto Jungkook si chiedeva cosa sarebbe successo. Se sarebbe successo qualcosa. Jimin si era inumidito le labbra e lui, per un attimo, aveva quasi.

Poi il momento era passato, Seokjin era entrato e loro si erano staccati.

“Hey” la voce di Taehyung lo riscosse dai suoi pensieri. Non si era neanche accorto che il suo migliore amico gli si era seduto accanto tanto era assorto. “Cosa ti ho detto riguardo al sorridere? Sorridi!” Taehyung disse entusiasta mentre con le dita punzecchiava l’angolo destro della bocca di Jungkook cercando di indurlo a sorridere.

Jungkook sorrise leggermente.

“Ti sei lavato le mani almeno?”

“Può darsi.”

“Ah Kim Taehyung!” Taehyung rise prima di saltare dalla panchina, prenderlo per mano e trascinarlo prontamente verso il negozio più vicino.

“Scherzavo. Vivo con un quasi dottore, uno molto fissato con l’ordine e la pulizia, quindi non ti preoccupare. Sono perfettamente igienico.”

Jungkook non molto convinto storse il naso ma si lasciò lo stesso trascinare da Taehyung.

“Come stai Kookie, meglio? Hai chiamato i tuoi genitori? Dopo vedi Jimin?” Taehyung gli chiese mentre rovistava tra le maglie di uno scaffale.

“Non pensi dovresti farmi una domanda alla volta?” Taehyung scrollò le spalle. Jungkook sospirò.

“Comunque sto bene e per quando riguarda le altre due domande la riposta è si per entrambe” Jungkook rispose guadagnandosi un’occhiataccia dal suo migliore amico.

“Tu non dai mai soddisfazioni. Dettagli Jungkook, dettagli! Sono contento comunque che tu abbia parlato con i tuoi genitori. Però in realtà era una scusa per chiederti di Jimin”

“Chiedermi di Jimin riguardo a cosa Taehyung?” Jungkook chiese Prendendo a sua volta un paio di maglie bianche per vedere se valeva la pena di comprarle.

“Beh dimmelo tu il cosa.” Taehyung disse sorridendo.

“Non c’è niente da dire” Jungkook replicò mettendo della distanza tra loro due. Taehyung gli mise un braccio intorno al collo e se lo tirò a se.

“Sono solo curioso. Jimin piace anche a me.” il suo migliore amico disse dalla sua spalla destra. Era vero. Taehyung e Jimin erano andati magnificante d’accordo sin da subito. Un po’ Jungkook se l’era aspettato ed ora aveva una ragione in più per vedere Jimin, come se ce ne fosse stato bisogno, visto che ormai quest’ultimo era destinato a un grande amicizia sia con Taehyung che con Hoseok.

“Taehyung.” Jungkook disse cercando di scrollarselo di dosso senza successo.

“E’ complicato va bene?” ammise infine. Taehyung era tranquillamente capace di stargli appiccicato addosso per tutto il resto del loro tempo insieme pur di avere un riposta e dopotutto non era il suo migliore amico per nulla, sapeva come premere tutti i pulsanti per far confessare Jungkook.

“Va bene” concesse questi lasciandolo andare. Fortunatamente alla radio del negozio trasmisero una delle canzoni preferite di Taehyung e fu sufficiente per distrarlo e far cadere l’argomento almeno per un po’. Tuttavia invece di farlo sospirare di sollievo Jungkook si ritrovò di nuovo perso nei suoi pensieri.

Se ne era dimenticato.

Tra i suoi genitori, lo studio e il vedere Jimin quasi ogni giorno si era dimenticato di controllare perché quella sera erano sembrati tutti così tesi quando Taehyung aveva menzionato Gloss e forse avrebbe continuato a dimenticarsene se non avessero suonato quella stupida canzone alla radio. Taehyung accanto a lui stava mormorando le parole sottovoce mentre si dirigeva verso i camerini e provarsi un paio di magliette.

Jungkook prese il suo cellulare dalla tasca e cercò informazioni a riguardo prima di dimenticarsene ancora.

Non diceva moltissimo a parte le informazioni generiche e il fatto che fosse un noto produttore sotto una ancora più nota casa discografica. Min Yoongi in arte Gloss.

Perché quel nome gli faceva suonare campanelli d’allarme? Cercò una foto del produttore, ce ne erano alcune recenti e in qualche modo le immagini sembravano risvegliare qualcosa.

“Taehyung vieni qui un attimo. Lo riconosci?” Taehyung uscì dal camerino con una maglia di un giallo sgargiante e diede un’occhiata al cellulare.

“Non è Gloss quello? Credo almeno.”

“E’ il tuo compositore preferito e non ne sei neanche sicuro?”

“Io ascolto le canzoni non vado a vedere che faccia ha, non mi interessa visto che la faccia migliore la vedo tutti giorni ed è quella di Hoseok.”

“Come vuoi, ma non ti ricorda qualcuno altro?”

Taehyung prese il cellulare di Jungkook per dargli un’ulteriore occhiata.

“Forse? Non lo so. Non credo, perché dovrebbe ricordarmi qualcuno di diverso da Gloss?”

“Il nome Min Yoongi ti dice qualcosa?”

“E’ il nome di Gloss.”

“Non ne sono sicuro ma credo di averlo già visto da qualche parte.”

“Davvero? Dove?” Taehyung chiese con gli occhi sgranati. Jungkook scosse la testa.

Poi fu colpito dalla realizzazione che lo congelò sul posto. Era possibile che fosse Gloss quello fuori dall’appartamento di Jimin?

“Jungkook tutto bene?”

“Ho una sensazione.” Jungkook disse. E ce l’aveva davvero.

Taehyung lo guardò stranito.

“Raccontami tutto, allora”.

 

 

 

 

“Ciao Jimin” Seokjin lo salutò non appena Jimin si fu seduto al tavolo. Era il solito appuntamento settimanale in pausa pranzo, ma Jimin si sentiva stranamente sul chi va la. Perché sapeva che una volta che Seokjin avrebbe posato il suo sguardo su di lui avrebbe capito tutto, perché Jimin era un dannato libro aperto.

Era riuscito a sopravvivere durante il fine settimana solo perché Namjoon una volta tanto aveva avuto la domenica libera e quindi Seokjin non si era voluto lasciar scappare l’opportunità di passare un’intera giornata insieme al suo numero uno.

Sebbene Seokjin non avesse visto nulla, perchè non c’era stato nulla da vedere, Seokjin li aveva trovati, sebbene ad un distanza ragionevole tra amici, piuttosto vicini. Abbastanza da lasciare intendere qualcosa. Jimin non era sicuro di quel che aveva sentito Jungkook, ma era piuttosto sicuro di quel che aveva sentito lui in quel momento.

“Spero ti piaccia il tailandese, certo non può battere la mia cucina” Seokjin disse porgendo il menu a Jimin con un sorriso. Jimin conosceva troppo bene il suo miglior amico da sapere che stava cercando di creare un’atmosfera prima di iniziare l’interrogatorio.

“Verissimo. Ma anche il tailandese va bene” Jimin rispose fingendo nonchalance. Per la cronaca Jimin era pessimo a fingere. Tuttavia Seokjin aspettò che loro avessero finito il loro pasto prima di iniziare a intavolare il discorso.

“Si mangia proprio bene qui. Devo raccomandare a Hoseok il ristorante” Seokjin disse entusiasta prendendo il suo cellulare.

“Sono contento che tu e Hoseok andiate d’accordo” Jimin disse nascondendo un sorriso dietro al bicchiere.

“Scherzi, è impossibile non andarci d’accordo, è più divertente di vedere Namjoon cercare di montare i mobili ikea” Seokjin rispose.

“Lasci montare a Namjoon i mobili?” Jimin chiese stupito.

“Solo per i primi dieci minuti. Dopodiché vado in suo soccorso perché sarebbe capace di assemblare un’altalena invece di un mobile.”

“Sei pessimo hyung!”

“Hey lui rompe le mie tazze, mi sembra giusto,” Seokjin disse sorridendo.

Jimin ridacchiò di gusto. Riusciva quasi ad immaginarsi la scena. Quando infine il riso scemò vide che Seokjin lo stava guardando sereno.

Jimin scosse la testa un po’ divertito.

“Avanti hyung chiedimi pure”

“Non volevo chiederti nulla!” Seokjin esclamò.

Jimin lo guardò in tralice.

“Va bene, va bene. Volevo solo chiederti come stavi, tutto qui. Sono successe tante cose mentre io ero impegnato in quel servizio fotografico.” Seokjin disse e Jimin sapeva che il suo migliore amico era solo preoccupato. Le vecchie abitudine erano dure a morire: Seokjin si sarebbe sempre preso cura di lui anche quando lui avesse avuto novantasei anni e il suo amico novantanove.

“Direi” Jimin disse sospirando.

“Jimin, tu e Jungkook...” Seokjin lo guardò dritto negli occhi e Jimin seppe che non sarebbe riuscito a tenersi questa cosa per se. Tuttavia l’idea di dirlo ad alta voce era ancora più spaventosa.

“Io e Jungkook siamo amici. Almeno questo lo posso dire. Ma so cosa vuoi sapere hyung, tu vuoi sapere se Jungkook mi piace. Ovvio che mi piace.” Jimin rispose distogliendo lo sguardo.

“Questo lo so. Se è per questo sta iniziando a piacere anche a me” Seokjin concesse e Jimin seppe che stavano parlando di qualcosa che nessuno dei due stava ammettendo.

“Sono contento. Anche perché ho paura che Jungkook mi piaccia più di quel che mi è concesso.” Jimin infine ammise. E il peso della sua stessa ammissione lo colpì come un pugno allo stomaco.

Era possibile scappare dall’altra parte del mondo e far finta che tutto ciò non stesse accadendo?

Che quel secondo in cui si erano guardati negli occhi, in cui erano esistiti solo Jimin e Jungkook non fosse accaduto e che Jimin non si fosse reso conto di quanto grande fosse quel stava iniziando a provare. E quanto terrificante.

Questo senso di protezione questo voglia di vederti sorridere. Questo sentimento in cui persino i tuoi sogni sembrano contare più dei miei.

“A te è concesso tutto. Semmai è lui quello che si deve guadagnare la mia approvazione” gli disse infine Seokjin con il tono più serio che gli riuscisse di raccogliere ma sfoderando comunque un sorriso.

Jimin scoppiò a ridere.

“Hyung in che guaio mi sono cacciato” disse Jimin. Il tutto era così tragico da sembrare buffo.

 

 

 

 

Jungkook e Jimin arrivarono entrambi a lezione in perfetto orario e in sincrono. I ragazzi del gruppo sembrarono sollevati nel constatare che i due avevano fatto pace. Jimin sorrise al fatto che i ragazzi sembravano pensare a loro come una coppia inseparabile.

Il loro rapporto era tornato infine alla normalità. Certo c’era ancora della tensione ma Jungkok non lo ignorava e si aiutavano l’uno l’altro durante stretching e la nuova routine. Jungkook aveva pesino acconsentito a cenare insieme a fine lezione. Jimin glielo aveva chiesto non appena avevano varcato la soglia e Jungkook aveva risposto con un ok.

“Ho parlato con i miei genitori alla fine” gli disse Jungkook durante la pausa.

“Bene. Mi fa piacere” disse Jimin contento che Jungkook sembrasse dare ascolto alle sue parole. “Taehyung mi ha detto di dirti che vuole organizzare un’altra uscita tutti insieme e di avvertire, cito testualmente, Rapmonster e il modello di vogue” Jungkook concluse arrossendo un po’.

Jimin rise. “Taehyung mi piace sempre di piu”. Jungkook scosse la testa.

In ogni caso il loro breve scambio di parole fu interrotto da loro maestro di ballo.

“Ragazzi venite qui e statemi a sentire, ho un annuncio da fare! Come sapete a metà aprile ci sarà la cena di raccolta fondi organizzata da questo circolo. Ogni anno i vari club organizzano delle piccole esibizioni per intrattenere gli ospiti e mostrare al mondo cosa facciamo. Quindi abbiamo un mese per allenarci per la nostra esibizione. Non ho ancora deciso quante performance faremo ma intanto vorrei che iniziassimo a imparare la routine per l’esibizione di gruppo!” disse il maestro e tra i ragazzi si diffuse un mormorio eccitato. Jimin tuttavia lanciò uno sguardo scioccato verso Jungkook che sembrava altrettanto stupito. Entrambi non mettevano piede su un palco da un tempo immemore.

“E’ tutto ora riprendiamo la lezione e la prossima volta vi farò vedere la nuova routine” concluse il maestro mettendo fine alla pausa.

Jimin era ancora frastornato dalla notizia. Tornare a ballare aveva significato molto per lui ma non aveva mai considerato la possibilità di tornare su un palco davanti ad un pubblico. Seokjin non aveva mai accennato nulla al riguardo. Sentì un brivido percorrergli la schiena.

A fine lezione i ragazzi sembravano meno stanchi e più eccitati del solito. A quante pareva la cena di raccolta fondi sembrava un appuntamento ricorrente ogni anno e c’erano già discussioni sul tipo di performance che il maestro Lee avrebbe creato quell’anno.

“Voi due, Park, Jeon, venite un attimo qui” li chiamò il maestro rimanendo indietro con loro. Il maestro aspettò che la maggior parte dei ragazzi si fosse dispersa prima di iniziare a parlare.

“Ragazzi per voi due ho in mente qualcosa di speciale. Ora lasciate che vi dica quanto è importante per noi questo evento. Il circolo si tiene in piedi grazie a sussidi statali ma sopratutto grazie a donazioni di enti e privati. Non ne esistono tanti di circoli ricreativi aperti a tutti e che offrono corsi nel settore artistico come il nostro e l’evento è un’occasione per dimostrare al mondo quanto ci impegniamo e quanto la nostra attività sia importante per la comunità. Siete gli allievi più bravi, certo non per merito mio è evidente che avete ballato per anni in passato, ma vorrei affidarvi una performance di impatto. Un duetto. Ho già in mente la coreografia e non sarà uno scherzo ma sono sicuro riuscirete a impararla alla perfezione” disse il maestro alzando il tono di un’ottava.

“Maestro Lee noi siamo lusingati ma personalmente è da quando ho diciott’anni che non salgo su un palco.”Jimin interloqui.

“Lo stesso vale per me” lo appoggiò Jungkook.

“E quindi? E’ come andare in bicicletta, una volta imparato è per sempre!” disse il maestro sventolando la mano come per dire che erano tutte sciocchezze.

“Si ma.”

“Niente ma. Vi siete iscritti a queste lezioni e le lezioni includono questa performance. So che farete del vostro meglio. Ora se volete scusarmi, faccio tardi ad un appuntamento” il maestro disse avviandosi verso la porta senza lasciar loro modo di protestare.

“Beh non ci ha lasciato molto scelta oserei dire” commentò sarcastico Jungkook al suo fianco.

“E’ il maestro Lee. Quando mai ha sentito il parere di noi allievi?” Jimin disse.

Jungkook sorrise di sbieco. “Hyung ti può sembrare folle e sono spaventato a morte all’idea di dimenticarmi metà coreografia una volta la sopra, però lo voglio davvero fare”

Jimin si voltò a guardarlo e gli sembrò quasi di intendere qualcosa nelle parole e nello sguardo di Jungkook.

Lo voglio fare. Con te.

 

 

 

 

Gli ci erano voluti un buona mezz’ora per trovare i suoi vecchi annuari scolastici. Taehyung era il tipo di persona che non buttava mai via niente ed era ancora più sentimentale di Hoseok con i suoi giocattoli di infanzia, quando si trattava di materiale scolastico. Vedere la sua targhetta di presidente del club di astronomia ancora riusciva a farlo sorridere anche dopo tutti quegli anni.

Gli ricordava di quando erano solo lui e Jungkook a lottare contro il mondo.

Ad ogni modo gli annuari si trovano dentro una scatola dell’armadio in cantina. Una volta tra le sue mani gli bastarono pochi minuti per trovare quel che stava cercando.

Avrebbe voluto interrarsi nel pavimento per la sua stupidità. Ma come avrebbe potuto ricordare? Taehyung era sempre stato distratto e terribile a ricordarsi nomi e facce. A volte gli capitava che la gente lo salutasse per strada e lui non riuscisse a capire se era solo gente bizzarra oppure persone di cui lui si era dimenticato. Aveva fatto delle figuracce inenarrabili ma questa le batteva tutte.

Ma lui aveva conosciuto il capitano della squadra di basket come Suga, shooting guard, e quindi il nome Min Yoongi non gli aveva mai detto nulla. Se durante gli anni delle superiori aveva sentito della triste storia di un numero due e di un numero zero Taehyung si ricordava solo di Jimin.

Oh aveva sentito quel nome tante volte dalle labbra di Jungkook quel primo anno di scuola superiore.

Non aveva mai collegato, non gli era mai interessato. Era stato così cieco.

Come aveva potuto sfuggirgli che Min Yoongi, in arte Gloss, fosse stato il numero due che aveva spezzato il cuore al più famoso numero zero della sua scuola superiore?

Doveva dirlo a Jungkook.



 

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Capitolo 21
*** 00.14 ***


Attenzione: questo è un doppio aggiornamento. Andate a leggere il capitolo prima nel caso vi sia sfuggito ;)


00.14


 

Yoongi era distratto quella mattina.

Come lo era stato del resto tutte le mattine di quella strana settimana. Non era un comportamento consono alla sua persona. Yoongi aveva costruito la sua carriera e il suo successo sul duro lavoro, non solo sul talento, ed elemento necessario del duro lavoro era senza dubbio la concentrazione. Yoongi era sempre stato determinato, metodico, pignolo fino all’ultimo infinitesimale dettaglio e gli piaceva. Era il suo stile di vita.

Eppure si era trovato sempre più spesso perso nei suoi pensieri in lassi di tempo di durata variabile e spesso la mattina, quando gli riusciva difficile scrollarsi di dosso la pesantezza dei suoi sogni.

Yoongi sapeva il perché. Improvvisamente la sua mente, come risvegliata da un inatteso timer che non sospettava di aver regolato, si era trovata a ripensare a fatti di tanti anni prima. Erano sprazzi di ricordi spesso non completi, spesso senza senso perché Yoongi si era impegnato a dimenticare. Lo doveva a se stesso, alla sua anima gemella e a Jimin.

Ti amo.

Era un Jimin giovane, con ancora tutte le morbidezze da adolescente in viso, che sorridente diceva quelle parole con una naturalezza che Yoongi gli aveva sempre invidiato.

Non ce la faccio più.

Un secondo flash di un Jimin più adulto, molto più simile a quello di adesso, ma non c’era più nessun sorriso sul suo volto e il suo tono era stanco, spento.

Yoongi aveva conservato queste due immagini contrastanti del ragazzo che aveva amato una volta. Aveva cercato, invano, di soffocarle con violenza perché era troppo il peso del senso di colpa, del senso di tradimento.

Il destino si è preso gioco di noi.

Yoongi distrattamente accarezzò la fede sul suo dito anulare. Il simbolo del suo impegno con la sua anima gemella. Sua moglie era una splendida persona e lui aveva imparato ad amarla e si era preso cura di lei al meglio delle sue possibilità. Molte volte quando la guardava negli occhi era certo senza ombra di dubbio di aver fatto la scelta giusta. Altre volte invece, la sua sicurezza sembrava vacillare e non riusciva a fare a meno di pensare di come il destino gli avesse concesso l’amore due volte e di come lui non fosse riuscito ad amare come si deve neanche una.

“Yoongi. Yoongi hyung!” la voce di Namjoon lo riscosse dai suoi pensieri.

Yoongi soffocò le sue emozioni dietro la sua solita faccia scocciata “Scusa stavo lavorando. Dimmi pure” disse ma lo schermo del computer si era spento per il non utilizzo. Mosse con nonchalance il mouse per attivarlo.

Namjoon arcuò il sopracciglio.

“Ti volevo avvisare che siamo stati convocati a una riunione più tardi dopo pranzo” Namjoon disse un po’ confuso dal comportamento di Yoongi.

“Va bene grazie” rispose questi in tono neutro.

Namjoon annuì e fece per andarsene ma qualcosa nell’aria in generale gli fece cambiare idea.

“Hyung, tutto bene?”

Yoongi avrebbe voluto mettersi a ridere ma invece si limitò a sollevare un sopracciglio a sua volta.

“Certamente” Namjoon lo conosceva bene però. Nonostante la loro relazione fosse ormai strettamente lavorativa, erano stati abbastanza vicini all’epoca da aver imparato a conoscere il reciproco linguaggio del corpo. Perciò fu facile per il suo amico di un tempo notare la bugia dietro l’atteggiamento apparentemente calmo. Namjoon sospirò.

“Hyung non credi sia ora di lasciar andare?” disse con un tono che non piacque a Yoongi per niente perché c’era un che di compassionevole nella sua voce. Significava inoltre che Jimin doveva averlo notato quella sera e che di conseguenza la notizia si era sparsa sino a casa dei Kim.

“ Ora ti interessi di nuovo ai miei affari? Non provare a far finta che ti importi qualcosa.” Yoongi rispose infastidito. L’espressione di Namjoon era come quella di qualcuno che era stato appena preso a schiaffi.

“Hai messo in chiaro molto bene quali erano i tuoi sentimenti verso di me. “ Yoongi continuò quasi soddisfatto di poter scaricare il suo malessere su Namjoon, ”quindi fammi un favore, evita questi finti buonismi.”

“Avevi ferito un mio caro amico e anche se non approvavo per nulla il tuo comportamento, ho tentato di provare a capirti perché sapevo cosa stavi passando. Non contento hai ferito anche la mia anima gemella Yoongi! Come volevi che reagissi? Eravamo amici e a me non importava se giocavi con la mia mente perché quello che dicevi erano cose che io stesso pensavo. Ma hai giocato con la mente della mia anima gemella e non ti potevo perdonare una seconda volta. Come potevo non arrabbiarmi con te?“ Namjoon disse con veemenza, di fronte all’espressione fredda di Yoongi.

“Io ho detto solo quello che pensavo. Se lui ha dedotto che la soluzione migliore fosse lasciarti non è colpa mia.”

“Beh quello che pensavi era sbagliato” Namjoon replicò .

“Hai finito?” Yoongi disse. Non voleva litigare con Namjoon. Per quanto fosse attraente l’idea di sfogarsi così Yoongi si rese conto improvvisamente che non era quello che voleva veramente.

Namjoon scrollò le spalle. Era impossibile discutere con Yoongi, non dopo che aveva imparato a costruire non muri, ma veri e propri fossati per proteggersi.

“Per quel che vale lui sta bene adesso.“ Namjoon disse con gentilezza, dopo che si fu calmato. “Ha ripreso a ballare sai.” L’espressione di Yoongi si illuminò suo malgrado. E un ricordo, uno di quelli che aveva più cari, che non era riuscito a seppellire sotto strati di dimenticanza, gli si affacciò in mente: era un Jimin che ballava sotto le luci lampeggianti dei neon della palestra.

Cosa ti sembra hyung? Ti piace? E’ la mia routine per l’esibizione di benvenuto alle matricole” Jimin aveva chiesto eccitato ma nervoso. Jimin teneva moltissimo all’opinione di Yoongi.

E’ bellissimo” Yoongi aveva risposto. Il viso di Jimin si era illuminato di un ampio sorriso. Yoongi avrebbe voluto avere una macchina fotografica con se per catturare quel momento.

Perchè il tempo non si poteva fermare?

Namjoon infine se ne andò, lasciandolo solo con i suoi pensieri.


 


 


 

Jungkook era confuso.

Taehyung era venuto qualche giorno prima a casa sua per dirgli quel che aveva scoperto rovistando tra gli annuari scolastici. Per quanto la scoperta fosse stata scioccante almeno Jungkook aveva dato un nome alla sua sensazione. Aveva trovato una risposta, tuttavia aveva guadagnato in cambio una sequela di domande.

Cosa ci faceva Min Yoongi parcheggiato con la sua macchina fuori casa di Jimin quella notte e la mattina dopo?

Jungkook andò con la mente a ripescare i ricordi degli anni delle superiori. La storia di Jimin e Yoongi era stata tristemente nota a tutti anche se, per ovvie ragioni, chi era stato esposto sotto i riflettori della malizia comune era stato il numero zero, e non il numero due. Era stato sconvolgente all’epoca assistere alla caduta della persona di cui aveva ammirato tanto il talento. A posteriori Jungkook era propenso a rivalutare il passato. A differenza di allora ora conosceva Jimin, tuttavia non era affatto vicino a una maggiore chiarezza sull’argomento. Sentiva che gli mancavano elementi e intuiva di non aver mai reso giustizia a Jimin tutti quegli anni. Tuttavia la verità qualunque fosse, gli rimaneva nascosta.

Era possibile che Jimin e Yoongi ancora si frequentassero? Era una possibilità ma perché mai Min Yoongi aveva sentito la necessità di rimanere fuori ad aspettare come un gatto randagio a cui non era concesso di entrare in casa? E Jimin non aveva forse parlato più volte del peso della sua solitudine? Un simile discorso non avrebbe avuto senso se avesse mantenuto i legami liceali.

Jungkook avrebbe voluto avere più familiarità o semplicemente più coraggio per porre queste domande direttamente a Jimin, eppure si erano incontrati un paio di volte sin da quando Taehyung gli aveva raccontato il tutto ma Jungkook non riusciva a convincere se stesso a chiedere qualcosa al riguardo.

Non voleva rovinare la loro fragile tregua. Avevano già abbastanza problemi da affrontare e lui voleva riuscire a vivere questa parentesi di libertà in serenità. Aveva promesso di fidarsi di Jimin e volevo davvero provarci. Eppure quando si incontrarono per gli allenamenti speciali con il maestro Lee, Jungkook desiderò avere più impudenza.

Il maestro Lee per la loro performance speciale aveva insistito perché si incontrassero solo loro due con il maestro un giorno diverso dalle lezioni di danza. Sia Jungkook che Jimin avevano cercato di spiegare al maestro che avevano un lavoro (entrambi), e lo studio (Jungkook), ma il maestro aveva insistito sul fatto che si sarebbe trattato solo della domenica mattina e che poi erano liberi di provare la routine durante la seconda metà delle lezioni normali e naturalmente da soli, quando ne avessero avuto voglia.

“Ragazzi sono solo due minuti di performance. Andrà tutto a meraviglia”.

Così Jimin si era offerto di passare a prendere Jungkook e i due si erano ritrovati alle 8 di mattina di una domenica a fare riscaldamento nella solita stanza adibita alle lezioni di danza, in attesa dell’arrivo del maestro.

Jungkook si lasciò sfuggire uno sbadiglio. Tutto ciò non era salutare, era anni ormai che la domenica si alzava a mezzogiorno. Alle dieci se doveva studiare.

“Sei stanco Jungkookie? Anche io, è stata una settimana stressante a lavoro. Però so già che una volta che inizieremo con la coreografia mi dimenticherò di tutto” Jimin disse in tono leggero.

“Già. “ Rispose Jungkook con un sorriso, “ è il motivo per cui il maestro Lee è tanto sicuro di se. Sa che una volta in pista non riusciremo a trovare una ragione valida per lamentarci. E’ un genio del male quell’uomo.”

“Chi è un genio del male?” chiese il maestro facendo la sua entrata.

Jungkook deglutì di colpo. Non l’aveva sentito vero?

“Coraggio bando alle ciance! Vi siate riscaldati? Bene anche io, allora possiamo iniziare!”

Il maestro Lee aveva portato il suo computer e una telecamera per far vedere loro la coreografia che aveva ideato. Alla fine dei due minuti di video Jimin e Jungkook guardarono il loro insegnante con un nuovo rispetto. La coreografia era spettacolare quanto difficile, ma Jungkook, e scommetteva anche Jimin, non vedeva l’ora di iniziare.

“Dai vostri sorrisi mi pare di capire che vi piace,” disse il maestro con un sorriso compiaciuto. I due ragazzi annuirono. Il maestro continuò, “allora quello che vi ho fatto vedere è una coreografia da solista ma noi dobbiamo trasformare questa performance per due: la sfida più grande infatti sarà riuscire a coordinarvi. I passi base sono gli stessi in ogni caso quindi direi che possiamo iniziare con quelli.” Guardarono il video un paio di volte e poi il maestro procedette a spezzare le mosse e i passi per i due ragazzi.

I due osservarono il maestro attraverso il riflesso dello specchio, dopodiché trascorsero le due ore seguenti a cercare di memorizzare la sequenza.

“Bene! Mi sembra un buon inizio!” disse il maestro a fine lezione battendo le mani in incoraggiamento. Jungkook stava grondando di sudore e Jimin al suo fianco non sembrava in condizioni migliori, il maestro infatti gli aveva spremuti per bene. Ma per spezzare la lancia in suo favore il maestro Lee era a sua volta sudato a dimostrazione del fatto che li aveva seguiti e aveva più volte mostrato loro la sequenza.

“Sono contento riusciate a seguirmi. Non vi disturberò oltre ma la prossima domenica mi aspetto questa parte di coreografia memorizzata e perfezionata. “ Sia Jungkook che Jimin annuirono anche se il primo soffocò un lamento internamente.

Jungkook si distese sul pavimento a riposarsi un po’ mentre il maestro, dopo aver preso le sue cose, li salutava con un “buona giornata ragazzi”. Jimin si lasciò cadere a terra a sua volta e distese le braccia larghe come a voler assorbire il fresco del pavimento. Poi si girò verso di lui.

“Che dici ci alleniamo un altro po’?” Jungkook avrebbe voluto protestare ma in effetti la loro mattinata era già andata e sicuramente anche se fossero tornati a casa, lui di certo non si sarebbe messo a studiare se non dopo pranzo. Tanto valeva concludere in bellezza.

“va bene. Ci sto.” Jungkook rispose. Il maestro aveva lasciato loro la telecamera con cui si era registrato per consentire ai ragazzi di registrarsi a loro volta e monitorare i progressi. Jimin gli diede un ultimo buffetto sul braccio di incoraggiamento, prima di alzarsi e stiracchiarsi le gambe.

“Questo mi fa ricordare i buon vecchi tempi, quando sentivo le gambe tremare ma di mollare non se ne parlava. ” Jimin disse con gli occhi che gli brillavano dall’entusiasmo.

“Invece a me ricorda di quando eravamo impegnati per le competizioni e per gli spettacoli di inizio e fine stagione. L’ultimo anno eravamo tutti stressati. Non vincevamo la competizione a livello distrettuale da anni. Ora che ci penso, da quando ti eri diplomato tu, hyung” Jungkook disse alzandosi a sua volta e allungando le gambe.

Jimin si lasciò scappare un mezzo sorriso, che sembrava più una smorfia che un’espressione di gioia e Jungkook si pentì di aver nominato il club di danza e il passato. Ma era stato Jimin a menzionare la cosa per primo.

Di nuovo fu preso dalla curiosità irrefrenabile di chiedere tutte quelle domande che gli giravano in testa. In tutta onestà Jungkook non credeva fossero giunti a un livello di familiarità tale da poter fare le sue domande senza contrariare Jimin. Tuttavia la cosa poteva essere seria, forse Min Yoongi era diventato uno stalker e Jimin ne era all’oscuro.

Più ci penso e più la storia non ha senso.

I due ripresero ad esercitarsi nella coreografia. Riuscirono a durare altre due ore, prima che Jungkook chiedesse pietà e si lasciasse scivolare su una panchina ancora più sudato della prima pausa.

“Meglio non esagerare immagino.”

“Jimin hyung ti rendi contro che domani faremo fatica a camminare?” Jungkook chiese. “E’ da anni che non ci alleniamo così.”

“Già. Credo proprio che stiamo invecchiando.”

“’Parla per te,” disse prendendo in giro il maggiore. Jimin dall’alto dei sui 26 anni gli fece la linguaccia. Jungkook sorrise. Jimin era il suo hyung eppure ogni tanto, quando Jungkook riusciva a fare pace con se stesso ammetteva che avrebbe voluto metterselo in tasca e portarselo con se. Scosse la testa per scacciare il pensiero.

“Se vuoi ci sono delle docce qui al circolo. Che ne dici facciamo, una doccia e poi torniamo a casa?”

“Dio si. Non credo che riuscirei a sopportare di rimanere sudato ancora a lungo. Meno male che ho portato almeno un maglietta di ricambio. “ Jungkook disse.

“Scusa mi è passato di mente di avvisarti di portare anche il resto”Jimin disse sentendosi in colpa, “però se vuoi Seokjin tiene sempre dei vestiti di ricambio nel suo armadietto. Posso darti in prestito i suoi. Sono sicuro che non si offenderà.”

Jungkook si strinse nelle spalle. A lui andava bene tutto. Seguì quindi Jimin fuori dalla stanza e verso la zona degli armadietti accanto agli spogliatoi. Jungkook ringrazio Jimin per i vestiti e insieme si diressero verso le cabine doccia. Per fortuna c’era del bagnoschiuma e sarebbe quindi riuscito a lavarsi decentemente. Aprì la doccia e lasciò che l’acqua calda detergesse il sudore e le membra indolenzite. Jungkook a volte non riusciva a fare meno di sorprendersi di quanta strada avessero fatto lui e Jimin da quel primo appuntamento alla tavola calda, in cui Jungkook era scappato in modo tanto drammatico. Era stato così infantile. Poi ripensò al perché del suo gesto e non potè fare a meno di appoggiare la fronte sulle piastrelle della cabina. Tornava sempre li, al passato di Jimin.

Forse doveva solo togliersi questa cosa dal petto e farla finita.

Jungkook uscì per primo dalla doccia, prese quindi uno degli asciugamani puliti nell’armadio degli spogliatoi e si asciugò e si vestì in fretta, in modo da lasciare lo spazio a Jimin. Decise di andare ad aspettarlo seduto comodamente su una delle sedie dell’ingresso, deserto di domenica. Jimin aveva avuto le chiavi da Seokjin per chiudere una volta che avessero finito.

Chiuse un attimo gli occhi per cercare di calmare il caos mentale. Gli balenò in testa in un flash il volto di Min Yoongi che lo osservava da dentro la macchina. Era tutto così frustrante.

Jimin arrivò in atrio dieci minuti dopo, i capelli ancora un po’ umidi come quelli di Jungkook del resto. Era marzo e non faceva esattamente caldo ma Jungkook si disse che per il breve tragitto in macchina poteva sopportarlo. Tuttavia Jimin invece di dirigersi fuori si lasciò cadere sulla sedia di fianco a lui. E come Jungkook chiuse gli occhi e cercò di riprendere fiato.

Pensò quindi non ci fosse nulla di male a richiudere gli occhi a sua volta. Potevano anche aspettare quei cinque minuti prima di muoversi. Le gambe di Jungkook erano d’accordo.

“Non ho più l’età per certe cose” Jimin disse con un mezzo sorriso, voltando leggermente la testa verso di lui. Jungkook riaprì gli occhi. Si sentiva improvvisamente assonnato.

Chiuse di nuovo gli occhi e senza pensarci troppo lasciò scivolare la testa sulla spalla di Jimin. Sembrava ormai un gesto collaudato tra i due e Jungkook da quella prima volta non aveva trovato una buona ragione per smettere di farlo. Era come se quello spazio gli appartenesse. Senti la vibrazione della risata di Jimin.

“I tuoi capelli mi fanno il solletico” disse questi.

Forse potrei approfittare e chiederglielo adesso?

Jungkook strinse gli occhi. Doveva sapere.

“Jimin hyung?” mormorò.

“Si kookie?” Jimin ripose da sopra la sua testa. Jungkook sollevo un poco la testa mentre Jimin abbassava lo sguardo a sua volta.

Oh.

Jungkook non pensava di rivivere un momento come quello tanto presto. Avrebbe potuto benissimo sbattere le palpebre alzarsi e quel momento sarebbe finito. Invece rimase congelato in quella posizione incapace di staccare gli occhi dal viso di Jimin.

“Volevo chiederti...” provò a chiedere, ma le parole gli uscirono con lentezza e in sussurro. E magari quel momento non voleva dire assolutamente nulla e tutto ciò era folle, e sbagliato, perché Jimin era il compagno che non aveva mai voluto, che non voleva tutt’ora. Jungkook era sicuro di questo. Persino Jimin era sicuro di questo.

Eppure come se ci fosse una forza gravitazionale a trascinarlo in avanti, Jungkook cedette.

Come aveva fatto a non notare la sua bellezza prima d’allora?

Con labbra tremanti perché era da milioni di anni che Jungkook non baciava qualcuno e con una stretta allo stomaco per l’anticipazione, lasciò che le sue labbra si posassero su quelle impossibilmente soffici di Jimin.

Una sensazione di euforia lo invase e nella sua testa una voce diceva, di più. Di più.

La cosa più terrificante fu che Jimin restituì il bacio con altrettanto fervore.


 



 


NdA: credo, di essere riuscita a farmi perdonare per il ritardo! Ora però dovete assolutamente farmi sapere cosa ne pensate! =D


 


 

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Capitolo 22
*** Sehnsucht 52 (interlude) ***


Sehnsucht 52- interlude

 

 

Jungkook e Taehyung erano migliori amici da quando Jungkook aveva iniziato ad avere ricordi tangibili. Non c’era stato per lui un momento senza Taehyung. Non credeva onestamente ce ne sarebbero mai stati.

Non potevano essere persone all’apparenza più diverse perché Taehyung era espansivo, socievole, pieno di idee e tutti ma proprio tutti gli volevano bene. Mentre Jungkook invece era più taciturno, riservato e riusciva a interagire con poche persone. Eppure condividevano lo stesso fuoco, la stessa voglia di avventure e solo Jungkook era in grado di stare dietro a Taehyung. Da piccoli erano queste le differenze sostanziali che saltavano agli occhi. Jungkook non pensava ce ne fossero altre, perché Taehyung aveva un naso, degli occhi e una bocca come lui. Erano delle stessa altezza anche se Jungkook insisteva di essere più alto di un centimetro.

Fu solo quando iniziarono a studiare storia alle elementari che Jungkook iniziò a capire che forse così non era. Il mondo era diviso in numeri due e numeri zero. Essere numeri due era una cosa buona, essere altro non lo era. Jungkook non riusciva a capire perché, aveva chiesto alla maestra ma lei gli aveva riposto tagliente che era così e basta. “Essere numeri zero è sbagliato”. Lo sguardo della maestra gli fece capire che non avrebbe risposto ad altre domande ed era meglio se Jungkook si comportava bene. A lui non andava bene ma si disse che poteva sempre chiedere a sua madre, lei sapeva tutto. Perciò quando tornò a casa, dopo che ebbe lasciato lo zaino in camera sua, andò in cucina da sua madre che gli aveva preparato come al solito la merenda.

“Allora Jungkookie come è andata a scuola?”

“Mamma che cos’è un numero zero?” chiese Jungkook mentre addentava la torta e aspettava paziente la sua risposta. Ma la risposta non venne.

Quando Jungkook alzò gli occhi vide lacrime rigare il volto di sua madre. Preso dal panico corse verso sua madre e gli chiese scusa anche se non sapeva perché. Sembrava giusto farlo. Tuttavia non fermò affatto le lacrime di sua madre, tutt’altro.

“Tu non hai nessuna colpa bambino mio”. Sua madre gli disse stringendolo forte.

Perchè Jungkook invece sentiva fosse così?

 

 

Quando Jungkook aveva sette anni Taehyung venne a prenderlo un pomeriggio di un giorno senza scuola per andare a giocare insieme nel parco giochi davanti le loro case. Taehyung lo aspettava sulla porta sotto lo sguardo benevolo di sua madre. Jungkook si allacciò le scarpe in fretta perché non vedeva l’ora di andare a giocare ma sua madre lo lasciò andare solo dopo avergli fatto mille raccomandazioni.

I due corsero ridendo verso il parco dopo aver promesso alla madre di Jungkook di non allontanarsi e di tornare in due ore. Invece di andare verso le altalene o a giocare con la palla con gli altri bambini Taehyung invece lo trascinò verso gli alberi al limitare del parco.

Jungkook era abituato alle idee strane di Taehyung, erano sinonimo di avventure e risate ma quando Taehyung si mise sotto un albero con la giacca allacciata alle spalle a mo’ di mantello Jungkook non capì cosa aveva in mente. Dopo aver sputato sulla sua mano e aver intimato a Jungkook di fare lo stesso con la sua, sigillo le due mani insieme. Lui non poté a meno di lasciarsi sfuggire un gemito schifato.

“Prometto che saremo amici per sempre. Fino alla morte!”

“Bleah, Taehyung che schifo!”disse Jungkook invece, e quando finalmente Taehyung lasciò andare alla sua mano corse svelto alla fontanella a lavarsi la mano, nonostante le proteste del suo amico che insisteva che per funzionare nessuno dei due doveva lavarsi la mano per un mese. “E’ un patto solenne! L’ho letto in un libro!! Così nessuno ci dividerai mai”Jungkook lo aveva guardato storto.

Anni dopo Jungkook scoprì che i genitori di Taehyung quel giorno gli avevano fatto il discorso su numeri due e numeri zero.

 

 

Jungkook aveva dodici anni quando iniziò a capire.

A quell’età le ragazze e i ragazzi iniziavano ad essere interessanti. Ma non per Taehyung. Taehyung era ancora il bambino che trascinava Jungkook in nuove avventure anche se ora non scalavano più alberi. Il suo migliore amico non trovava interessati gli altri più di prima, era sempre il solito espansivo, pieno di energie e tremendamente gentile con tutti Taehyung.

Quando Jungkook gli disse che trovava una ragazza della loro classe molto carina, il suo migliore amico sorrise e lo prese un po’ giro ma non fece altro.

“Tu cosa ne pensi? E’ carina no?”

“Carina? Si immagino di si.” disse Taehyung scrollando le spalle.

“Tutto qui?” Jungkook chiese stupito.

“Si? Non lo so, non ha importanza per me. Non è la mia anima gemella” concluse. Jungkook si sentì mancare il fiato e Taehyung capì di aver detto la cosa sbagliata perché quel giorno gli offrì un gelato.

Jungkook non aveva mai voluto pensare alla faccenda numeri zero e numeri due. Non aveva mai voluto pensare a quanto in realtà lui e il suo migliore amico fossero diversi.

Dopo quel giorno non potè farne a meno.

Aveva pensato di chiedere alla ragazza che trovava carina di uscire ma non lo fece. Perché Taehyung aveva un’anima gemella da qualche parte e lui invece no. Un giorno il suo miglior amico avrebbe smesso di guardarlo con affetto e adorazione e lo avrebbe lasciato indietro. E il pensiero di non avere Taehyung faceva male, malissimo. Taehyung non era suo.

A posteriori Jungkook si chiese se il suo migliore amico non fosse stato il suo primo amore.

 

 

 

Jungkook si trovava accovacciato nel suo armadio. Non sapeva neanche lui come era finito li dentro, sapeva solo che era un posto sicuro, si ricordava che Taehyung era solito rifugiarsi li dentro da piccoli quando c’era il temporale, prima che Jungkook si svegliasse per i tuoni e il pianto di Taehyung e andasse a recuperarlo per farlo dormire accanto a se e fargli passare la paura.

Era lui invece a singhiozzare ora. Ma a lui sembrava il pianto di un altro. Jungkook non era più li. Era da qualche parte e fare finta che il suo mondo fosse un altro.

Non lo conosceva neppure, si disse. A malapena si ricordava il suo nome. Quando Jungkook quella mattina aveva visto il banco vuoto non aveva pensato nulla di strano. Nessuno aveva pensato.

Era solo un banco vuoto dopotutto.

Più tardi la triste notizia del suicidio si diffuse per la scuola. Quel compagno di classe di cui Jungkook appena si ricordava il nome si era suicidato quella mattina prima di andare a scuola, gettandosi dalla finestra di camera sua.

Quel ragazzo era un numero zero.

A scuola tuttavia nessuno aveva pianto e i professori non avevano commentato. Chi poteva dispiacersi per un ramo sterile? La natura si era presa carico di disfarsi di ennesima nullità.

Strinse gli occhi, cercando di ricordare il volto del ragazzo. Era sembrato normale, l’aveva visto sorridere.

“Jungkook!” Jungkook non c’era. Jungkook era in altro posto.

Era Taehyung. Era entrato in casa probabilmente dalla porta sul retro ed era venuto da lui non appena fu chiaro che Jungkook non si trovava da nessuna parte sul suolo scolastico.

“Kookie, Kookie” Taehyung si strinse nell’armadio accanto a lui anche se stavano scomodi e i loro gomiti cozzavano non ci fece caso. Slacciò le mani di Jungkook che erano intrecciate nei suoi capelli e se lo tirò a se.

“Ci sono io. Ci sarò sempre. Non ti ho forse promesso? Fino alla morte!”

Da quel giorno Taehyung prese l’abitudine di prenderlo per mano quando sentiva che Jungkook era in ansia od era triste. Non gli importava quel gesto fosse riservato alle anime gemelle, per lui era più importante che Jungkook lo sapesse vicino.

Jungkook quindi imparò un’altra cosa. Lui era numero due e Taehyung un numero due. Il suo amico aveva un’anima gemella e lui no. Non c’erano ponti che potevano ricongiungere la disparità dei loro destini: per quanto Taehyung lo amasse non avrebbe cambiato lo stato delle cose.

E anche se il suo miglior amico si fosse accorto dei suoi sentimenti non avrebbero avuto un futuro. Ma come amici, come amici allora avrebbero avuto un per sempre. A Jungkook questo, questo poteva andare bene.

 

 

 

 

La prima volta che Jungkook guardò veramente qualcuno che non fosse stato il suo migliore amico fu quando rimase ipnotizzato dalla performance di uno studente della scuole superiori. Jungkok era piuttosto sicuro fosse un numero due, ma questo non gli impediva di ammirare la bellezza dei suoi movimenti, dal rimanere ammagliato dai suoi sorrisi.

Qualche mese dopo quando iniziarono le scuole superiori Jungkook venne a sapere che quel ragazzo si chiamava Park Jimin. Allora se il suo sguardo si era soffermato su di lui quando lo aveva visto passare per i corridoi o se era andato a guardarlo allenarsi, era tutto una casualità. Park Jimin gli piaceva per il suo talento non per la sua persona. Inoltre Park Jimin era di qualcun altro quindi la sua cotta (che non aveva) era comunque senza speranza.

Era stato uno shock quindi scoprire che non era affatto così.

“Ma non ce l’ha una spina dorsale?” Jungkook esclamò stizzito. Aveva visto Park Jimin aspettare per un’ora intera che il suo numero due finisse gli allenamenti per tornare a casa insieme, solo per vedere questi declinare la sua offerta.

“Taehyung, promettimi che mi dirai una testata, semmai diventassi un numero zero così.”

Il suo migliore amico alzò la testa dal quaderno. Una volta tanto si trovavano in biblioteca per una ricerca che il professore di storia aveva dato loro.

“Non sarai un po’ troppo duro? Non so, non c’è una solidarietà tra numeri zero o qualcosa del genere?”

“Solidarietà? Come si può avere solidarietà quando ci si comporta così?” Taehyung scosse la testa. Jungkook non capiva. Park Jimin era brillante. Park Jimin aveva tutto. Eppure era caduto così in basso che non si riusciva a vedere il fondo. Era seccante vedere quanto nonostante tutto amasse ancora.

Jungkook non riusciva a sopportare la vista di un tale spettacolo. Non riusciva sopportare di vedere di qualcosa di tanto bello rovinato.

Guardando Park Jimin, Jungkook si ripromise di non innamorarsi mai.

 

 

 

 

Jung Hoseok non poteva che essere l’anima gemella di Taehyung. Jungkook aveva atteso quel momento fin da quando a dodici anni si era reso conto dei sentimenti che nutriva verso il suo migliore amico. Aveva archiviato da tempo quei sentimenti tuttavia. Non c’era alcuna gelosia o animosità nei confronti della futura anima gemella del suo migliore da anni ormai, dopotutto chi avrebbe voluto un per sempre con qualcuno che aveva come hobby soffiare il flauto col naso?

Hoseok aveva un bellissimo sorriso, era vivace e tendeva a parlare finendo con l’alzare il tono di un ottava ogni volta che si eccitava, il che capitava spesso, quando invece non strillava direttamente.

Quando Hoseok entrava in una stanza Taehyung si illuminava come un albero di natale.

Jungkook sorrise. Taehyung era in ottime mani.

Un peso che non pensava di avere si sollevò dalle sue spalle. Jungkook aveva finalmente lasciato andare.

Forse fu la novità dell’università, il fatto di non trovarsi sempre e a tutte le ore con il suo migliore amico e l’essere costretto a fare amicizie nuove.

In qualche modo si trovò in una relazione dopo che per anni le aveva evitate. E’ un numero zero anche lei, dovrebbe capire, si disse. Invece non lo fece e appena si presentò l’occasione lei si lasciò trascinare in un matrimonio combinato.

“Amare te mi ha fatto capire quanto in realtà fossi sola, Jungkook.”

Qualcosa sembrò congelarsi definitivamente dentro di lui. “Non aveva nessun diritto” disse Taehyung arrabbiato come non mai quando Jungkook gli raccontò il tutto. Ma una parte di Jungkook credeva lei avesse ragione, forse davvero lui non era in grado di amare (anche se aveva davvero pensato di essersi innamorato)ed era meglio che non provasse a farlo.

Eppure si sentiva consumare, il peso della solitudine era come acqua ghiacciata che lo portava a fondo, sempre più giù. Era una buona cosa no? Non saper amare. Aveva visto dopotutto cosa faceva l’amore ai numeri zero. Li faceva volare dalle finestre, li faceva perdere la ragione.

Park Jimin che aspettava un’ora, al freddo, per il numero due che non era suo e che lo non sarebbe mai stato.

Non c’erano più armadi in cui nascondersi.

In quell’ora buia seppe che doveva soccombere o trovare una ragione per vivere. Preso dalla disperazione quindi si aggrappò all’unica cosa che gli era rimasta e che sarebbe stata sempre sua, immutevole e crudele: il suo essere numero zero.

Essere numero zero sarebbe stato da quel momento in poi la sua ragione e il suo orgoglio.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** 00.15 ***


Questo è un aggiornamento interlude+ capitolo, perciò se volete avere più retroscena leggete il capitolo precedente ;)



00.15

 

 

“Forse dovremmo...”

“Certo. Dovremmo. Andare a casa.”

“Si.”

“Certo.”

Ed era stato tutto. Poi Jungkook si era alzato e Jimin non aveva avuto altra scelta che seguirlo fuori.

Il clima in macchina era quindi teso e nessuno dei due sembrava propenso a dir qualcosa per primo. Ma Jimin era il più grande tra i due e si disse che il ruolo di aprire una conversazione spettava a lui. Non poteva tornare a casa e fare finta che nulla di tutto ciò fosse successo.

“Hyung.”

“Jungkook.”

Dissero entrambi nel medesimo istante. A quanto pareva non era stato l’unico ad avere quel pensiero. La sensazione di frenare, gettare la macchina di lato e fermarsi per guardare Jungkook in faccia era fortissima, ma Jimin spazzò via quei pensieri. Non era il caso di rendere il tutto ancora più difficile.

“Prima tu”, disse Jimin guardandolo con la coda dell’occhio. Vide le mani di Jungkook contorcersi in grembo.

“Quello che è successo era qualcosa che volevo. Non sono sicuro di cosa implichi però.” Jungkook disse con enorme fatica. Jimin sorrise mestamente. Si era ripromesso di rimanere sereno, ma non riusciva a reprimere una punta di delusione farsi strada dentro di lui.

“Può non implicare nulla.” disse infine. Poteva accettarlo, sarebbe stato terribile per lui, ma poteva accettarlo per Jungkook.

“No. Non è così. E’ vero che non cambia nulla su molte cose, però qualcosa c’è. Ho solo bisogno di pensare prima di poterne parlare con te.”

Jimin si morse il labbro. Non riusciva a vedere Jungkook in faccia naturalmente visto che stava guidando, ma il suo tono suonava sincero.

“Va bene. Tutto il tempo che vuoi Kookie. A dir la verità farà bene anche a me.” Jimin concesse infine. La risposta di Jungkook non era qualcosa di effettivamente spiacevole. Era un risposta, sincera e matura, qualcosa su cui poteva lavorare. Nessuno dei due senti il bisogno di aggiungere altro e Jimin si trovò ben presto a guidare in strade che riconosceva come famigliari. La casa di Jungkook era dietro l’angolo.

“Allora, buonanotte hyung”, disse Jungkook una volta che la macchina sostò davanti al cancello della sua palazzina.

“Buonanotte” sussurrò Jimin. Jungkook aprì la porta e per un attimo sembrò indeciso, un piede fuori dalla macchina ma la mano che stringeva la porta come se fosse la sua ancora.

Ora. Disse une voce nella sua testa.

“Volevo baciarti anche io, comunque. Da un bel po’ in realtà.” Jimin confessò. Era un eufemismo perché c’era molto di più che voleva da Jungkoook e i suoi baci erano la parte più superficiale. Il suo rispetto tanto per dirne una. Il suo amore.

Jungkook lo guardò negli occhi, che sembrarono illuminarsi per un attimo. Ma non disse nulla e scivolò silenzioso dalla macchina.

Jimin rimase quindi al volante a guardarlo scomparire in lontananza.

Tempo. Si disse Jimin. Il tempo era una buona cosa. Ma quanto?

 

 

I giorni seguenti Jimin si era imposto di non rimuginare inutilmente. Se a Jungkook serviva tempo per pensare, a Jimin serviva tempo per prepararsi. Per qualunque cosa Jungkook avesse deciso.

Tutto ciò in un certo senso gridava passivo da tutte le parti, ma Jimin non era d’accordo. Jungkook non era qualcuno da conquistare e da persuadere. Tali tattiche sarebbero state inutili e lo avrebbero fatto allontanare. Jimin lo aveva capito sin da subito.

Jungkook avrebbe provato qualcosa o non l’avrebbe provata affatto.

Era stato questo, in realtà, il rischio più grosso che Jimin aveva deciso di correre quando si era adoperato a colmare la distanza.

Ti starò a fianco e forse tu deciderai d’amarmi o forse no.

Jimin aveva ammirato Jungkook per il suo coraggio, sofferto per le sue delusioni e si era impegnato per cercare di alleviare le sue pene. Aveva detto a Seokjin che gli piaceva più di quel che doveva.

Tuttavia negli anni si era fatto un’idea distorta dell’amore e questo gli aveva impedito di riconoscere il suo sentimento per quello che era. Perché aveva fatto per Jungkook più di quello che avrebbe mai fatto per Min Yoongi allora e la cosa invece di distruggerlo lo aveva reso felice.

Baciarsi aveva solo messo allo scoperto ciò che sospettava da tempo.

Ed ora ogni volta che chiudeva gli occhi,a casa mentre lavava le posate e sospirava sui piatti insaponati, o in ufficio come in quel momento, Jimin riviveva l’accaduto ed era come se Jungkook lo baciasse ancora. Gli sembrava di sentire il tocco delle sue labbra fredde e umide sulle sue. Era stato come sentirsi avvampare.

Jimin tamburellò nervosamente le dita sulla scrivania.

Era da millenni che non sentiva questo brivido di eccitazione, questo marasma emotivo che era insieme vertigini ed euforia. Aveva visto Jungkook altre volte dopo i fatti di domenica ed era stato meno strano di quel che Jimin aveva anticipato. Jungkook gli aveva accennato un sorriso e Jimin aveva ben volentieri accettato di comportarsi per il momento come se nulla fosse. Se si era accorto che lo sguardo di Jungkook si era posato più volte su di lui durante la lezione, cercò di non darlo a vedere. Dopotutto niente in Jungkook faceva pensare che fosse pronto a parlare.

In ogni caso per quanto fosse riuscito a comportarsi normalmente di fronte all’altro numero zero, la mattina si era ritrovato più stanco del giorno prima ed era stato distratto per tutta la giornata.

Voleva che il tempo che Jungkook gli aveva chiesto, passasse presto così da poter sapere se continuare a preservare una sciocca speranza o abbandonare ogni suo desiderio.

Avrebbe dato qualsiasi cosa per essere in grado di leggere nel pensiero di Jungkook e anticipare la risposta. Ma Jungkook non era una persona ovvia per quanto onesta. C’era tanto da cogliere e non tutte le porte venivano lasciate aperte.

Jimin guardò l’orologio sulla scrivania. Aveva ancora mezz’ora prima della fine della sua giornata lavorativa. Forse non poteva entrare nella testa di Jungkook ma qualcuno poteva illuminarlo un pochino al riguardo. O quantomeno consolare il suo povero cuore.

Prese il cellulare dalla tasca e scrisse il messaggio in fretta e nervosamente, nella speranza che il suo amico d’infanzia rispondesse subito. Con po’ di fortuna Hoseok era libero.

La risposta, come sperato, fu veloce al punto che in due minuti Hoseok gli stava già proponendo un orario e un luogo. Avrebbe voluto urlare di gioia, ma gli rimanevano ancora venti minuti di lavoro e non poteva fare scenate in mezzo ai suoi colleghi. Quando infine l’orologio batté la fine della giornata, Jimin raccolse in fretta le sue cose, spense il computer e si fiondò in parcheggio.

Se fosse stato più in confidenza con Taehyung, lo avrebbe chiesto a lui, o forse no. Non voleva introdursi fino a quel punto e avrebbe finito col mettere Taehyung in una posizione scomoda. Hoseok sembrava la soluzione migliore e Jimin non ringraziava abbastanza per come il destino aveva aggiustato le cose, facendogli ritrovare l’amico di un tempo.

Hoseok era seduto al tavolo del bar che messaggiava al telefono mentre aspettava Jimin e, a giudicare dal suo sorriso enorme, doveva trattarsi della sua anima gemella. A volte Jimin si chiedeva come dovesse essere vivere da numero due, se fosse davvero così meraviglioso come il mondo ti faceva credere. Un tempo avrebbe risposto di si con una punta di amarezza ma senza traccia di dubbio. Tuttavia alla luce del racconto di Namjoon non ne era più così sicuro.

Forse siamo tutti intrappolati nella gabbia. Forse è solo questione di fortuna.

Se era così, allora Hoseok era l’uomo più fortunato sulla terra perché non si poteva fingere quel grado di completa adorazione.

“Jiminnie!” lo chiamo Hoseok a voce alta non appena si accorse di lui. Jimin sorrise a sua volta. Sorridere gli era sempre venuto naturale, non era qualcosa che aveva mai dovuto forzare, forse era per questo che tutti avevano creduto che fosse un numero due molto più che non il vederlo con Yoongi. Hoseok comunque era una di quelle persone che ti rendevano ancora più facile farlo.

“Hobi, come stai? Tutto bene?” chiese Jimin sedendosi.

“Stanco morto, credo di non aver fatto una dormita decente in mesi. Ne vale la pena!! Vorrei poter vedere Taehyung più spesso però” concluse Hoseok con una nota imbronciata.

“Ci scommetto. Una volta che avrai iniziato la specializzazione andrà meglio, immagino.” Hoseok annui.

“Tu Jiminnie come stai?”

“Ah sapessi”. Jimin rispose ma in quel momento la cameriera venne a portare loro quel che Hoseok aveva ordinato al suo arrivo e il discorso venne interrotto.

“So che qualcosa è successo.” riprese poco dopo Hoseok. “Non so cosa. Taehyung non ha voluto dirmelo, ha detto che spettava a Jungkook, ma sembrava abbastanza su di giri quindi ho qualche ipotesi. Immagino che tu mi abbia chiamato per questo” concluse sorridendo.

“Non ti ho chiamato solo per questo. Sai che sono sempre contento di vederti” rispose Jimin sulla difensiva.

“Lo so. Stavo solo scherzando. Però deve essere qualcosa di grosso se non cogli le battute.” Hoseok continuò con aria divertita mentre sorseggiava il suo caffè.

“Va bene. Forse sono un po’ nervoso. Ma sono nel bel mezzo di una crisi qui. Jungkook mi ha baciato e io non so cosa aspettarmi”.

Il caffè che stava bevendo Hoseok gli andò di traverso e si ritrovò a tossire e a ridere contemporaneamente. Jimin lo guardò storto da sopra la sua tazza.

“Lo so. Lo so. Scusami tanto, sono imperdonabile. Ma lo sai che sono pessimo con le sorprese. Quando ho dovuto dire a Taehyungche andavo a studiare all’estero per un anno, sono scoppiato a ridere per il nervosismo. Diciamo solo che non ho migliorato la situazione.”

disse Hoseok asciugandosi gli occhi.

“Anche quando mi hai detto che ti trasferivi ti sei messo a ridere come un pazzo.”

“Sono pessimo. Scusami ancora” Hoseok disse, sorridendo timidamente. “So quanto significhi tutto questo per te, per Jungkook. Ma dimmi, qual è il problema?”

“ Credo che ormai sia palese che provo qualcosa per Jungkook,Jimin sputò fuori. Hoseok annui. “Il bacio di certo non ha messo a tacere i miei sentimenti, anzi. Da una parte Jungkook non sembrava pentito, dall’altra se consideriamo le circostanze disastrose in cui tutto questo è accaduto, come se non fosse abbastanza la disgrazia dei nostri status, la questione appare difficile ad essere positivi. Non voglio che lui cambi, non c’è nulla che di sbagliato nei desideri di Jungkook, lo rendono quello che è. Allo stesso tempo però vorrei che prendesse in considerazione l’idea di un noi. Sono egoista a pensare così?”

“No. Non lo sei. Quando ti piace una persona è normale avere il desiderio di stargli accanto. Ho desiderato stare al fianco di Taehyung dal primo momento che l’ho visto, perciò quel che mi dici è famigliare. Certo non potrò mai capire quel senso di paura e perdita che un numero zero sperimenta di fronte all’amore. Il coraggio che ci vuole per andare oltre e provare.” Hoseok disse con ammirazione. “Conosco Jungkook però, “ proseguì, “non posso dire di capirlo come non posso dire di capire te, ma fino a un certo punto posso immaginare i meccanismi della sua mente. Jungkook è una persona molto diretta, tremendamente testarda, determinata, fin troppo onesta. Non è facile cambiare per nessuno ma sopratutto per lui. E Jimin io so cosa vuol dire cambiare sentiero, prendere una via che non avevi considerato. So cosa significa cercare di venire a patti con tutto ciò e nel contempo cercare di perdonarsi.”

“Parli della tua scelta di professione vero?” Jimin chiese trepidante.

“Si. Certo ti ricorderai che non ho sempre voluto fare il dottore. Il mio sogno era diventare un ballerino professionista. Proprio quando ero all’apice della mi felicità per aver infine incontrato la mia anima gemella, una tragedia colpì la mia famiglia. Mio padre si ammalò gravemente. Lui era il mio sostenitore più accanito ed era felice della mia scelta di carriera quanto lo ero io. Ma quando la sua salute andò peggiorando, io non mi sentii più così sicuro. Mi sentii inutile. Volevo fare qualcosa e non potevo. I miei dubbi non aveva nulla a che vedere con i miei genitori, loro erano felici della mia scelta. Improvvisamente non lo ero più io. Ho iniziato quindi a studiare per provare ad essere ammesso alla scuola di medicina. Non è cambiato nulla naturalmente, non sono riuscito a impedire l’inevitabile. Però avevo trovato il mio scopo nella vita. Avevo scoperto un’altra cosa di me che non credevo di volere. Ballare è ancora una cosa che amo ma non è l’unica. Perciò Jimin, cambiare è possibile, a volte scopriamo la felicità nei luoghi più improbabili. Tuttavia non è un processo semplice. Taehyung dice che ci vuole coraggio a resistere ma ancora di più a cambiare. Perciò se provi qualcosa per Jungkook che va al di la di un puerile sentimento, come credo che sia, ti prego stagli accanto. Se c’è qualcuno che può fare questo sei tu. Sono contento che vi siate incontrati.”

“Mi dispiace per quello che hai dovuto passare. So che non deve essere stato facile.”

“Per nulla. Ma avevo Taehyung e questo ha fatto la differenza. Ogni tanto anche noi numeri due ci sentiamo un po’ persi”. Erano le parole di Namjoon parafrasate ma con lo stesso significato.

Non è prerogativa dei numeri zero soffrire.

“Grazie, per le tue parole. Per credere in me.”

“In ogni caso non sarai venuto qui solo per sentire parlare me. Quindi mettiamo da parte questo argomento e parliamo di cose più serie.” Hoseok disse determinato. Jimin alzò lo sguardo dalla sua tazza interdetto.

“Dimmi Jimin, come bacia il nostro Jungkookie?”

“Jung Hoseok!” Jimin protestò arrossendo.

 

 

 

 

 

Tutto sommato Jungkook si congratulava con se stesso per non aver urlato in piena scenata isterica. Era rimasto razionale e tutto quel che aveva detto a Jimin era la verità. Lui aveva voluto baciarlo e non era stato affatto un impulso del momento di cui si pentiva, considerando che voleva rifarlo. Era stato invece il liberarsi di un sentire che albergava in lui da un po’.

Molto spesso si era chiesto cosa sarebbe successo se questo matrimonio combinato non gli fosse stato scaricato addosso. Nonostante tutto era stato grazie alla forzatura dei suoi che aveva conosciuto Jimin. Certo il fatto che lui fosse una persona squisita non era merito loro, però erano serviti allo scopo. Forse avrebbe incontrato Jimin comunque, forse si sarebbe riunito con Hosoek e loro vite si sarebbe incrociate lo stesso. E Jungkook sarebbe giunto a quella stessa conclusione. Considerando le circostanze Jungkook si dispiaceva che così non fosse stato. Ma non poteva cambiare la realtà per quanto lo desiderasse. Altrimenti non sarebbe stato così difficile per i numeri zero trovarsi, innamorarsi ed essere felici.

No. Lui era chiuso in questo specchio di realtà e non aveva scampo. Tuttavia per quanto fosse consapevole di ciò, non aveva più una soluzione, perché il suo magnifico piano di vita faceva acqua da tutte le parti: prima il governo, poi i suoi genitori ed ora questo.

Nemmeno nei suoi sogni più selvaggi aveva pensato di finire col provare qualcosa. Dunque cosa fare?

Cosa fare.

“Taehyung cosa faccio?” Jungkook rimbalzò la domanda al suo migliore amico. Si erano già sentiti la sera stessa quando Jungkook lo aveva chiamato in piena crisi seistenziale. Taehyung da allora era stato stranamente su di giri e si era rivelato di ben scarso aiuto.

“Oh questo significa che devo annullare la serata che pensavo di organizzare? E’ un peccato Hoseokkie aveva appena avuto un venerdì sera libero e anche Namjoon. Praticamente un miracolo”.

Jungkook aveva sbuffato perché solo Taehyung poteva uscirsene con certi commenti in momenti come quelli.

“No. Ovvio che la cena si fa lo stesso, scemo. Non abbiamo litigato, io e Jimin dobbiamo, anzi io devo, riconsiderare le prospettive.”

“Mi piace Jimin. Non mi dispiaceva neanche al liceo checché tu ne pensassi. Ma ora che lo conosco mi piace ancora di più. E’ la prima persona che riesce a prenderti così.”

“Così come?”

“Riesci a prenderti e basta. Tu di solito tieni la guardia alta con tutto il mondo e non ti biasimo Kookie, perché tu hai più che diritto a difenderti da questo nostro mondo crudele. Persino con Hoseok ci hai messo un po’ prima di aprirti, invece Jimin hyung è riuscito a farti fare cose che ti negavi da anni, anche quelle a cui tenevi di più. Sei cambiato. Stai cambiando. Ed è bello.”

Jungkook non seppe bene cosa rispondere. Era vero, stava cambiando. Jungkook aveva creduto invece di aver fatto il contrario di esseri afferrato anima e corpo alla sua convinzione. Eppure eccolo li a riconsiderare ciò che un paio di mesi prima gli sarebbe sembrato impossibile.

“Non voglio cambiare. Mi hanno già mutilato abbastanza. Non voglio lasciare questa parte di me”

“Una cosa non esclude l’altra. Pensa in grande! So che ne sei capace.”

Jungkook sospirò. Non sarebbe stato facile.

“Hai bisogno di venire qui, kookie? Sai che sei sempre il benvenuto, sei praticamente la nostra mascotte.”

“Usa pure la parola figlio. Comunque grazie ma non mi servirà. Questa la devo decidere da solo”.

Taehyung aveva mormorato qualcosa al telefono che suonava qualcosa come “maturato” ma non aveva insistito ulteriormente.

Jungkook quindi chiuse la chiamata. Si guardò intorno per un lungo attimo. Aveva messo in ordine tutta la casa come gli capitava quando aveva troppo cose e troppo importanti che gli ronzavano in testa. Aveva bisogno di aria. Aveva bisogno di capire.

Così prese il suo cellulare, dei soldi e l’ipod che aveva caricato con tutte le canzoni del primo mixtape di Gloss. Sapeva che c’era qualcosa di malsano in questa sua azione, ma Jungkook credeva ci fosse qualcosa che lui doveva scavare. Taehyung gli aveva detto che il primo album di Gloss era diverso e Jungkook credeva di capire il perché. Le sue domande non avevano smesso di esistere solo perché aveva baciato Jimin, anche se era stato un gran bel bacio.

Era essere patetici ascoltare le parole del primo vero amore di Jimin?

Jungkook scosse la testa. Per quanto bizzarro fosse per lui aveva senso. Quindi senza ulteriori esitazioni uscì nel tiepido sole pomeridiano. E corse. Corse finché le gambe iniziarono a fargli male ma non si fermò

L’amore fiorisce come fiori di ciliegio e come fiori di ciliegio brucia e diventa cenere.

 

 

 

Jimin era tornato a casa pensoso e meditabondo. Gli era dispiaciuto sapere che Hoseok aveva dovuto sperimentare quel tipo di dolore. Ma sembrava felice della sua scelta, di come si erano incamminate le cose per lui. Forse in realtà una persona non sapeva cosa voleva veramente finchè non gli si rivela davanti. Forse cambiare non era poi così male. Lui stesso era cambiato.

Anni prima avrebbe giurato che non sarebbe mai riuscito a muovere un piede fuori dalla fossa che era stato il suo amore per Yoongi. Eppure era successo ed anni dopo si era innamorato ancora più di prima.

Una volta tornato a casa decise dunque di prepararsi la cena, guardare qualcosa in televisione, farsi una meritata doccia e andare a dormire presto. Non c’era nulla che potesse fare.

Perciò quando il campanello suonò Jimin sobbalzò di due metri. Non stava aspettando nessuno, a meno che.

Cercò le pantofole dimenticate in un angolo, perchè gli piaceva muoversi scalzo nel suo appartamento, e se le infilò per andare a vedere all’interfono chi fosse. Tuttavia prima che potesse fare un passo il cellulare vibrò nella tasca dei jeans e quando Jimin lo prese, vide che qualcuno gli aveva scritto.

Sono io.

Cercando di ricomporsi Jimin andò verso l’interfono per premere il pulsante e aprire la porta.

Appoggio la fronte alla porta e rimase in attesa. Si sentiva fremere e il cuore gli batteva a mille.

Poi sentì dei passi avvicinarsi alla sua porta e prima che suonassero aprì la porta.

Jungkook aveva il fiatone e sembrava uno che aveva appena finito una maratona, probabilmente era così a giudicare dall’abbigliamento sportivo e dalle cuffie dell’ipod che gli sbucavano dai pantaloni della tuta.

“Jungkook” disse Jimin. Avrebbe voluto chiedergli come stava e farlo accomodare ma qualcosa nell’atteggiamento di Jungkook lo tenne inchiodato li dov’era.

“Ho pensato. Per giorni. Ma poi non ce la facevo più e sono andato a correre e prima che me ne accorgessi avevo fatto il giro della città due volte e quando mi sono fermato mi sono reso conto che correre non mi era servito a nulla perché in fondo lo so già. Lo sai già. Le nostre circostanze non cambiano, io sono Jeon Jungkook e tu sei Park Jimin e siamo entrambi numeri zero.” si fermò come a volere cercare le parole adatte per continuare e Jimin tremò.

“Jimin hyung io non credo di sapere neanche come si fa ad amare, perché non ho mai pensato di averne bisogno, di volerlo e anche quando in passato ci sono andato vicino mi è crollato tutto come un castello di carte. Eppure mi sono ritrovato a pensare, che se potessi fermare il tempo e far scomparire tutto, non vorrei far scomparire te. Senza rendermene conto sono corso qui. A dirti che non so amare e che la mia amicizia sarà sempre meglio di quello che riuscirò mai a offrirti come qualcos’altro. Ma quando riusciremo ad avere più chiarezza, quando infine sapremo cosa ne sarà di noi e tutto si sarà risolto come tu speri, allora forse potrei. Forse riuscirei, se tu vuoi...“ Jungkook disse la sua voce spezzandosi verso la fine.

“Pero, qualcosa per me la provi?” Jimin chiese con voce altrettanto rotta.

“Si” disse Jungkook, chiudendo gli occhi, “ma non posso pensarci adesso. Non stando così le cose”.

Jimin rimase in silenzio a lungo e Jungkook sentì il bisogno di dire qualcosa, di sapere se tutto ciò aveva senso e se era tutto perduto. “E tu hyung, qualcosa per me la provi?” chiese in un filo di voce quasi avesse paura di sentirsi rispondere.

“Sin dal primo giorno.” Jimin disse e Junkook lo guardò negli occhi e Jimin lo vide implodere.

Jimin allora fece un passo e Jungkook non si mosse e si lasciò cingere stretto da Jimin per poi ricambiare la stretta, e stringere Jimin al petto forte come se non volesse lasciarlo andare, con tutto il desiderio, la disperazione e la paura, perchè non era dei numeri zero amare, non era dei numeri zero la felicità. Quello era solo un momento rubato a un mondo crudele.

“Domani. Da domani allora ci comporteremo bene e attenderemo insieme che il nostro destino ci venga svelato e qualunque cosa sia, qualunque cosa tu decida io ci sarò sempre in qualunque forma ci venga concessa. Ma per oggi, per oggi resta con me.” Jimin disse sulla sua spalla, trattenendo le lacrime.

E Jungkook non se lo fece ripetere due volte, prese il suo volto tra le mani e lo baciò come se domani non dovesse arrivare mai.

 

 




ndA: è sempre più difficile per me trovare tempo per aggiornare, con tutto quello che devo studiare e la mia tesi, mi sento così in colpa per aver saltato il mio appuntamento settimanale che finisco sempre con aggiornare doppiamente XD Come sempre cercherò di fare del mio meglio. Grazie mille per i commenti sono una grossa fonte di energia. Questo capitolo straripa di Jikook feelings <3 (torno a studiare TT)

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Capitolo 24
*** 00.16 ***


00.16

 

 

 

Jimin come sempre si svegliò cinque minuti prima della sveglia. Ancora mezzo addormentato allungò la mano verso il comodino per spegnere l’allarme prima che suonasse, dal momento era già sveglio non serviva che il trillio squarciasse la calma mattutina.

Poi, non voleva svegliare Jungkook.

Non appena aveva aperto gli occhi era stato cosciente del fatto di non trovarsi solo nel suo letto, ma di avere qualcuno raggomitolato al suo fianco. Jungkook dormiva, respirava sommessamente accoccolato addosso a lui. Jimin si girò sul fianco e andò ad accarezzargli i capelli e immediatamente il più giovane spinse sulla sua mano come faceva il suo gatto quando era in cerca di coccole.

Jimin aveva sempre saputo che c’era questo Jungkook dietro quello che si copriva di un’armatura per combattere contro il resto del mondo tutti i giorni, ma era comunque affascinante assistere alla scena dal vivo.

“Ancora cinque minuti” mormorò Jungkook senza aprire gli occhi. Jimin si sentì in colpa per averlo svegliato ma a giudicare dalla voce chiara forse Jungkook era stato sveglio da un po’.

“Puoi rimanere a letto se vuoi. Io devo prepararmi per andare a lavorare”. Jimin disse gentile accarezzando i suoi capelli.

Jungkook aprì lentamente gli occhi cercando di abituarsi alla luce che filtrava dalle imposte.

Sembrava titubante, e tutta la sicurezza che aveva paventato la sera prima appariva svanita, sostituita dall’incertezza. Jimin si morse il labbro. Sapeva che sarebbe successo, eppure non era per questo più facile da accettare. Ma dopotutto chi era Jimin per sostituire di punto in bianco quello che era stato ed era ancora la ragione di vita di Jungkook?

Tuttavia quest’ultimo non distolse lo sguardo e sembrava essere sul punto di voler chiedere qualcosa. Jimin sembrò capire e decise di andare d’istinto e quando sentì le dita di Jungkook stringere la sua maglia una volta che avvicinò i loro corpi l’uno all’altro, seppe di aver fatto la scelta giusta. Jungkook sembrava adorare gli abbracci e Jimin condivideva il sentimento, dava un senso di sicurezza e di appartenenza, un concetto alieno alla gran parte dei numeri zero e per questo irresistibile.

Jimin voleva rimanere così avvinghiato almeno per un po, ma il tempo scorreva e se non si dava una mossa avrebbe veramente fatto tardi. Tuttavia quando abbassò lo sguardo su Jungkook per chiedergli di spostarsi, si rese conto che questi si era riaddormentato, il respiro fattosi di nuovo regolare e profondo. Jimin cercò di sottrarsi dall’abbraccio il più delicatamente possibile, alzandosi e stando bene attento a dare le spalle al letto, per non guardare.

Perché le cose belle facevano troppo male.

Jimin fece il suo rituale mattutino quasi meccanicamente la sua mente troppo piena di domande e pensieri. Lasciò che l’acqua gelata lo svegliasse e mentre osservava i rivoli d’acqua tracciare la sua pelle, si chiese ancora una volta, e non per la prima volta sin da quando Namjoon gli aveva raccontato la sua storia, la sua e di Seokjin, come aveva fatto il suo migliore amico a sopportare il peso di una verità tanto ingombrante come il sapere che la felicità dell’altra persona avrebbe potuto significare non stare insieme.

Quale forza, quanto amore, ci era voluto perché Seokjin agisse come aveva fatto. Aveva funzionato però. Alla fine lui e Namjoon aveva avuto il loro lieto fine. Guardò il cellulare che aveva lasciato sul ripiano del mobile in bagno. Come avrebbe voluto sapere di più visto quanto simile la loro situazione appariva, ma si era ripromesso che avrebbe aspettato fosse il suo migliore amico a parlagliene.

Jimin voleva solo fare la cosa giusta, non voleva, infatti, essere Min Yoongi. Non voleva che il suo amore diventasse qualcosa che affonda invece che elevare. Sapeva fin troppo bene come ci si sentiva a stare dall’altra parte dell’equazione e Jungkook non avrebbe mai dovuto sperimentare quello che lui aveva vissuto.

Jimin fu preso da una spiacevole sensazione.

All’epoca aveva subito le conseguenze di un amore diventato disperazione ed egoismo, non solo di Yoongi ma anche suo. Jimin conosceva le sue motivazioni e aveva pensato di sapere quelle di Yoongi. Ora, alla luce della sua situazione, non ne era più sicuro. Non cambiava la soluzione al problema, la loro storia avrebbe incontrato lo stesso una fine perché non cambiava il fatto che Yoongi aveva un’anima gemella, ma forse avrebbe fatto la differenza per Jimin.

Forse avrebbe potuto evitare il peggio ad entrambi se solo avesse semplicemente chiesto.

Quasi gli sembrava di sentire la voce di Seokjin che lo rimproverava per avere questi ripensamenti. Jimin scosse la testa.

Finì di prepararsi e prima che se ne rendesse conto l’orologio segnava l’ora di andare. Si fermò un attimo sulla soglia di camera sua. Jungkook dormiva profondamente, il naso sprofondato nel suo cuscino, le mani avvinghiate alle lenzuola.

Erano amici, si erano ripromessi di essere tali e Jimin lo avrebbe rivisto a breve per le prove di danza e alla cena a casa di Hoseok e Taehyung. Jungkook era ancora qui. Eppure quella sera quando sarebbe rientrato a casa Jungkook non ci sarebbe stato più e la sua casa sarebbe parsa di nuovo solitaria e vuota e Jimin non era sicuro di riuscire a sopportarlo, dopo che aveva avuto un’anticipazione di come avrebbe potuto essere.

Strinse i pugni.

Avrebbe voluto coprire la distanza prendere Jungkook nuovamente tra le braccia e coprirlo di baci sulla fronte, sul suo naso, sul mento e sulle sue labbra che non avrebbe potuto dimenticare neanche se ci avesse provato e sapere, sapere, di averlo li per tutti i giorni a venire.

Ma non era così che funzionava la loro realtà. Jimin doveva arrendersi al fatto che era già domani.

Si precipitò fuori da casa sua.

 

 

 

 

 

Sentire qualcuno vicino era qualcosa che a Jungkook non capitava da tanto tempo. Forse non era mai capitato. E più dell’avere le braccia piene di Jimin, più dell’avere le sue dita nei capelli era il sapere di non essere in una corsa solitaria e non reciproca verso chi sa dove.

C’era Jimin con lui. Almeno per questo spazio e tempo.

Jungkook strinse gli occhi, cercando di ricordare come era stato sentire il corpo di Jimin sul suo.

Poi aprì gli occhi.

La luce esterna filtrava prepotentemente dalle tapparelle, illuminando leggermente la stanza e il letto vuoto. Aveva dormito più a lungo di quel che credeva, ma sembrava che Jimin avesse questo effetto calmante su di lui e come quella prima volta che era rimasto a dormire da lui, anche questa volta aveva dormito profondamente.

La sua mente ritorno di nuovo agli accadimenti del giorno prima. Erano riusciti a staccarsi per il tempo sufficiente per cenare e affinché Jungkook si facesse una doccia e si cambiasse. Dopodiché non erano riusciti a stare l’uno lontano dall’altro. Continuare a baciarsi era sembrato un milione di volte più importante.

Jungkook si volto sulla schiena dando il benvenuto al gatto che era saltato sul copriletto e gli era salito sullo stomaco in cerca di coccole. Jungkook gli diede una grattatina alle orecchie distrattamente.

Sarebbe stato tutto così dannatamente facile. Sarebbe potuto andare a lezione, pranzare con Taehyung e poi passare da Jimin e tornare a casa insieme. Oppure sarebbe potuto rimanere, farsi portare i libri da Taehyung per studiare ed essere li al rientro di Jimin. Vederlo sorridere.

Non era per niente facile però. Le sue paure non erano sparite e non sarebbero svanite nell’arco di ventiquattrore. La sua vita per anni aveva ruotato maniacalmente intorno ad unico pensiero ed era stato il su progetto per il futuro ciò che gli aveva dato un motivo per alzarsi al mattino.

Avrebbe potuto avere entrambi, avrebbe potuto vivere una vita piena ed avere Jimin, si disse. Tuttavia era ancora difficile per lui conciliare le due cose.

Jimin avrebbe accettato che lui continuasse a coltivare la sua strada, avrebbe accettato di non ufficializzare mai il loro legame? Un tale livello di libertà richiedeva un sacco di fiducia e Jungkook non conosceva Jimin abbastanza bene ma più di ogni altra cosa non voleva condannarlo a una vita infelice al suo fianco. Forse da qualche parte la fuori c’era qualcuno che sarebbe stato felice di condurre una vita a due. Di sposarsi, raggiungere il loro scopo agli occhi della società e apparire felici e normali. Essere quel tipo di numeri zero, quelli che Jungkook aveva imparato a disprezzare.

Forse Jungkook stava solo sprecando il tempo di Jimin, ma allo stesso non riusciva a lasciar andare. In qualche modo Jimin si era ritagliato un posto tra i suoi pensieri, nella sua vita, e Jungkook si era trovato per la prima volta a desiderare di fare qualcosa per qualcuno, provare a spingere i suoi limiti, voler dare il meglio di se stesso. Per Jimin.

Jungkook non pensava di sapere cosa fosse l’amore ma questo credeva di poterlo fare. Provare a prendersi cura di lui, anche se come un amico.

Non poteva negare comunque che aver ascoltato le canzoni del mixtape di Min Yoongi lo aveva molto colpito. Si chiedeva se Jimin si fosse mai preso il disturbo di ascoltarlo perchè davvero ogni parola di ogni canzone sembravano urlare tutto l’amore e tutta la disperazione di qualcosa che non si è riusciti a far funzionare. Jungkook non voleva quel rimpianto. Vivere con la consapevolezza di aver distrutto una tale cosa. Onestamente era felice di non essere nella testa del compositore.

Certo ne disprezzava ancora le azioni. Se Min Yoongi aveva continuato a comportarsi come aveva fatto alle superiori aveva ben poco di cui vantarsi e molto di cui vergognarsi. Tuttavia era innegabile la male sorte delle loro circostanze.

Non voleva commettere lo stesso errore. Doveva onestà non solo a se stesso ma anche a Jimin. Era l’unico modo per salvare entrambi. E forse il tempo lo avrebbe aiutato a schiarirsi le idee.

L’amicizia andava bene. Dopotutto era la cosa in cui Jungkook aveva sempre fatto meno pena. Era l’unico modo sicuro di amare che conosceva. Tanto valeva iniziare da li.

Quanto sei scemo Jeon Jungkook. Gli disse una voce nella sua testa che suonava troppo a Taehyung. Forse era vero anche se Jungkook ancora non capiva su cosa si stava dimostrando stupido.

In ogni caso decise che non era il caso di rimuginare oltre.

La sua giornata doveva iniziare.

 

 

 

 

Taehyung non aveva fatto che contorcersi le mani per un quarto d’ora, dopodiché la sua anima gemella ne aveva avuto abbastanza e in pochi passi era venuto da lui e l’aveva abbracciato forte.

“Cosa ti preoccupa, dimmi tutto.” aveva sussurrato Hoseok sulla sua spalla. Taehyung si era rilassato all’istante. Ah, Hoseok sapeva leggerlo come nessun altro e il pensiero di avere questo per sempre lo rendeva ebbro.

“Sono preoccupato. Forse avrei dovuto rimandare la cena. Sarà un disastro, Kookie e Jimin non riusciranno a guardarsi negli occhi, e noi e modello di Vogue con Rapmonster dovremmo riempire i silenzi imbarazzanti.” Taehyung rispose, posando le sue mani su quelle di Hoseok, stringendole forte per cercare di rassicurarsi.

“Jungkook, eh?” Hoseok sospirò leggermente sulla sua spalla. Taehyung si afflosciò su se stesso.

“Taehyung non preoccuparti. Abbi un po’ di fede in quei due. Jimin sembra voler sinceramente bene a Jungkook. Quanto a quest’ultimo il solo fatto che abbia lasciato avvicinare Jimin così tanto già di per se dice tutto.”

“Sono uno scemo a preoccuparmi, lo so.” Taehyung si rimproverò.

“Non lo sei. So che gli vuoi molto bene, non c’è nulla di sbagliato in questo. Le persone a cui vogliamo bene ci fanno preoccupare.”

“E’ una parte di me Hoseok. Da quanto sono entrato in quell’armadio, Jungkook è diventato una parte di me ed io vivo per il momento in cui finalmente lo vedrò felice.”

Hoseok rimase in silenzio per un lungo momento ma non allentò la sua stretta su Taehyung. Taehyung gliene era grato. Ogni tanto si chiedeva se non aveva fatto altro che ferire la sua anima gemella ogni volta che aveva parlato di Jungkook in questi termini. La sua devozione per qualcuno che non era la sua anima gemella, Taehyung lo sapeva, non era una cosa normale. Ma non poteva cambiare quello che provava. E si diceva che avrebbe ferito Hoseok di più, nascondendoglielo.

“Lo so. Ma anche se per uno sfortunato caso le cose non dovessero andare bene, come io invece sento, io ti aiuterò ad aiutarlo. Fino a che saremmo tutti felici.” La sua anima gemella concluse.

“Nessuno amerà mai qualcuno come io amo te, Hoseok.” Taehyung disse voltandosi per farsi abbracciare come si deve. Il suo numero uno lo abbagliò con uno dei suoi sorrisi. “Credo di conoscere qualcuno in realtà” disse in tono divertito prima di chiudere la distanza tra di loro.

Taehyung adorava Hoseok con ogni fibra del suo essere. Averlo incontrato era la cosa migliore della sua vita. Senti la mano del suo numero uno scivolare lungo la sua schiena fino a fermarsi all’altezza del bacino e avvinarlo ancora più a se. Taehyung si lasciò sfuggire un lamento soddisfatto mentre circondava il collo con le sue braccia. Mio. Mio. Mio. Per sempre.

Prima che la cosa potesse andare oltre, come sarebbe sicuramente successo se Hosoek continuava a baciarlo così (e se non toglieva quella mano da sotto la sua maglietta), il campanello suonò.

Entrambi si staccarono a malincuore.

Hoseok aveva l’espressione di una che era stato appena preso a calci. Taehyung scoppiò a ridere.

“Dopo faremo tutto quello che vuoi. Promesso,” gli disse dandogli un ultimo bacio e dirigendosi ridacchiando verso la porta.

“Oh ciao! Siete i primi” Taehyung esclamò non appena vide che si trattava di Seokjin e Namjoon.

“Con permesso,” mormorò la coppia mentre si toglieva le scarpe sulla soglia.

“Entrate, entrate, benvenuti alla nostra umile dimora,” Hosoek disse dando pacche sulla schiena a Namjoon e facendoli accomodare in salotto.

“Jungkook e Jimin dovrebbero essere per strada. Jimin mi ha scritto prima che stava passando a prendere Jungkook quindi non dovrebbero metterci molto.” disse Seokjin non appena si fu accomodato.

“Non lo sapevo! Ma perfetto!perfetto!” esclamò Taehyung entusiasta, sorridendo in direzione della sua anima gemella. Jungkook il bastardo aveva dimenticato di menzionargli questo particolare. Ma se era così forse allora c’era speranza dopotutto.

Seokjin gli rivolse un caldo sorriso come se gli avesse letto nel pensiero.

Quindi forse, non era l’unica persona che aveva a cuore la situazione di quei due. Taehyung inclinò la testa. Non aveva avuto modo di chiacchierare con Seokjin l’ultima volta, il lavoro di Namjoon come famoso produttore aveva un po’ monopolizzato la conversazione, ma percepì un’aria gentile e protettiva provenire da Seokjin e si chiese se questi non condividesse i suoi stessi identici sentimenti solo non per Jungkook, ma per Jimin.

“Allora Seokjin come stai? L’ultima volta non abbiamo potuto parlare molto, purtroppo quando si tratta di musica perdo la testa e riesco a stento a parlare d’altro. Raccontami un po’ di te!”

“Tranquillo, so cosa significa perdere la testa per la musica,” Seokjin disse lanciando un’occhiata al suo numero uno che sembrava impegnato in una fitta conversazione con Hoseok sui metodi alternativi alla caffeina per rimanere svegli. “Comunque tutto bene, ho finalmente finito un progetto piuttosto pesante, come hai saputo dal nostro primo incontro sono un fotografo freelance anche se nel mio tempo libero mi piace occuparmi del centro.” Seokjin rispose.

“Si Jungkook me ne ha parlato. Quello scemo non faceva che parlare di un receptionist biondo che lo intimidiva a morte. Credo parlasse di te.” Taehyung commentò ad alta voce rendendosi poi conto che le sue parole potevano suonare offensive. “Non che tu abbia fatto qualcosa per intimidirlo, è solo Jungkook che è un fifone melodrammatico” ci tenne a precisare.

Seokjin sembrò trovare la sua cosa divertente.

“Potrei averlo guardato in modo più severo del solito, quindi si in effetti sono dalla parte del torto. In mia difesa posso solo dire che sono un amico fin troppo protettivo come mi rimprovera spesso Jimin.”

“Capisco il sentimento. E credimi hai fatto benissimo. Non pensare neanche per un momento che io non abbia dato una strigliata a Jungkook! Solo che lui è abituato a stare sempre sulla difensiva, quindi ti prego di perdonare il suo comportamento un po’ scostante. Non lo fa con malvagità. E’ solo un po’ lento?” Taehyung concluse incerto.

“Tranquillo. E’ da tempo che mi sono accorto che Jungkook è agli effetti un ottimo ragazzo e anzi mi dispiace un po’ di essere stato così intollerante all’inizio. Jimin è un mio carissimo amico e viste le sue passate esperienze, sono diventato io quello guardingo.” Seokjin disse imbarazzato.

Taehyung annui. Sapeva perfettamente a cosa Seokjin alludeva.

“Spero che tutto vada nel migliore dei modi” si lasciò sfuggire con un sospiro.

“Lo spero anche io” disse il biondo e c’era una nota vibrante nella sua voce. Taehyung avrebbe voluto stringergli la mano. Forse aveva trovato finalmente un numero due che capiva.

Essere un numero due che teneva così tanto ad un numero zero non era una cosa facilmente comprensibile agli occhi dei più, persino i suoi genitori erano stati confusi quando lui aveva provato ad esporre i suoi pensieri su Jungkook. Taehyung poteva capire che lui e Jungkook avessero destini diversi. Era stato triste sapere che al suo migliore amico era toccata una via impervia ma Taehyung era il tipo di persona che credeva che solo perchè una via era impervia, non significava che non dovesse comunque portarti alla meta.

Era stato scioccante constatare quanto questa differenza rappresentasse invece un motivo di discriminazione per altri. Taehyung non sarebbe mai riuscito a capirlo. Tuttavia purtroppo negli anni aveva trovato molte persone ottuse al riguardo che erano sinceramente convinte che l’avere un’anima gemella li rendesse migliori e col tempo aveva evitato di fare altre amicizie. Non aveva bisogno di qualcuno che non considerasse il suo migliore un loro pari.

Si sentì quindi pervadere da un lieto tepore quando realizzò che come aveva sempre sperato c’erano altre persone che la pensavano come lui.

“Credo che saremo grandi amici io e te Seokjin hyung” Taehyung disse sfoderando il suo sorriso a trentadue denti. Il viso di Seokjin si illuminò.

Prima che riuscisse a replicare comunque, il campanello suonò di nuovo.

Taehyung si scusò prima di correre verso la porta per fare entrare i nuovi arrivati.

Quando aprì la porta si trovo davanti proprio Jungkook e Jimin. Sembravano esausti dal lavoro, ma non per questo meno rilassati o scontenti, anzi da loro proveniva un’atmosfera piacevole. Le loro spalle si sfioravano ed entrambi sfoderavano un sorriso sincero.

Taehyung li fece entrare ma non prima di abbracciare sia l’uno, sia l’altro tanto era il suo sollievo nel vederli interi. Jungkook non aveva fatto in tempo a raccontargli tutto e nel frattempo la sua fantasia si era scatenata nel dipingere uno scenario più pessimistico dell’altro.

La cena fu piena di chiasso e risate. Hoseok decise di raccontare qualche aneddoto durante gli anni di scuola con Jimin e Taehyung restituì il favore parlando invece delle avventure sue e di Jungkook, compreso quella volta che riuscirono a mandare in tilt i bagni degli insegnati risultando in una fuga precipitosa per tutta la scuola.

Jungkook dichiarò di non ricordarsi nulla o di non voler ricordarsi nulla mentre gli altri scoppiarono a ridere, Jimin che si piegava in due sulla sua sedia dando delle pacche sul braccio a Jungkook, a mo di presa in giro. Jungkook faceva l’offeso ma il suo sorriso non la dava a bere a nessuno.

Taehyung li osservava affascinato dal suo posto. Sembravano così gentili l’uno con l’altro, così a suo agio, non era diversa dall’aria che aveva sempre circondato Jungkook e lui stesso.

Per tutta la serata, anche quando ebbero sparecchiato e si furono seduti in vari punti del salotto a chiacchierare e a fare tornei di video games Jungkook e Jimin erano sembrati ipnotizzati l’uno dall’altro. Si muovevano in sincrono, come se non potessero evitare di gravitare l’uno nell’orbita dell’altro. Erano seduti su parti opposte del divano eppure ogni volta che Jungkook guardava verso Jimin poteva essere sicuro di incrociare lo sguardo dello stesso..

Wow. Si disse Taehyung.

Seokjin e Jimin ad un certo punto si scusarono per andare in bagno e Taehyung pensò fosse una scusa per scambiarsi qualche parola in privato e andò strategicamente in cucina da dove era più facile origliare la conversazione.

“Jiminnie. Sono così contento di vedere che le cose si sono sistemate.” Seokjin commentò sollevato.

“Hyung. Jungkook non ha fatto niente per cui tu lo debba rimproverare.”

“Lo so. So che lui non ti ha mai mentito. So quanto questo è importante per te.” Seokjin rispose ma poi aggiunse, “però so anche che tu sembri molto più sicuro di lui sui tuoi sentimenti.”

“Può darsi.”

“Jimin.”

“Anche se così fosse ancora una volta non ci sarebbe nulla di male. Non possiamo obbligare le persone a provare più di quel che provano. Ma so che mi vuole bene, abbastanza da prendersi del tempo per riconsiderare le sue opinioni. E di questo gli sono grato.”

“Jungkook mi ricorda tanto Namjoon.” Seokjin si lasciò sfuggire in un sospiro. Sembrò interrompersi un attimo quasi incapace di proseguire. Taehyung si chiese cosa avesse voluto dire, perché la sua sentenza sembrava nascondere molto di più di quel poteva sembrare.

“Hyung, davvero smettila di preoccuparti per me. Ogni cosa che Jungkook ha promesso infine l’ha fatta. Quando ha detto che l’amicizia era l’unica cosa che si sentiva in grado di dare al momento, sul momento è stata dura. Ma aveva ragione. Credo che per lui l’amicizia pesi molto, credo sia l’unico modo che conosce per avvicinare qualcuno ed essere se tesso. Credo che mi abbia appena concesso la cosa più preziosa che conosce e credo di averlo capito ingenuamente solo adesso. Pensavo avesse paura di affidarmi i suoi sentimenti e invece non è affatto così. Lui si è aperto e ciò che ho visto è così dolce, così bello. Ed ho realizzato che anche se fossero così tutti i nostri i giorni a venire a me sta bene. Perché è felice. Lui è felice. E questo mi basterà sempre.”

“Oh Jimin” rispose in sussurro Seokjin.

Taehyung non riusci a sentire più niente ma capi che ad un certo punto uno dei due fosse davvero andato in bagno.

Si ritrovò immobile in mezzo alla stanza.

Jeon Jungkook sei proprio uno scemo. Ma era felice. Anzi non era stato mai così euforico come in quel momento. Taehyung si chiese se quei due si rendevano conto di cosa effettivamente stavano costruendo. Se Jungkook si rendeva conto di quanto il suo comportamento, la sua determinazione nell’essere sempre sincero con Jimin non perché non provasse interesse nei suoi confronti, ma perchè voleva proteggerlo a tutti i costi dai problemi emotivi che sapeva di portarsi, la dicessero lunga sulla portata dei suoi sentimenti. Si chiese se Jungkook sapesse quanto in realtà significasse aver concesso tutto quello spazio a Jimin. Se sapesse che aveva usato la parola amicizia per catalogare il tutto perché era l’unico nome che sapeva apporre all’affetto.

 

Se si rendesse conto di quanto tutto ciò urlasse amore in ogni singolo dettaglio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

NdA: vhope voleva dire la sua <3 Ho un esame questo venerdi e il prossimo e dopo ho il concerto dei Vixx, non sono certa di quando riuscirò ad aggiornare di nuovo perciò ce l’ho messa tutta per tirare fuori questo capitolo! Tra l'altro per farmi perdonare sto finendo di tradurre una mia storia Namjin dall'inglese, non è un nuovo capitolo però non volevo lasciarvi soli troppo a lungo. Quindi tenete gli occhi aperti ;)

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Capitolo 25
*** 00.17 ***


00.17



 

La calma esiste anche dopo la tempesta. A volte si pensa che questo dolore non finirà mai, che questo vuoto dove dovrebbe essere il cuore rimarrà sempre tale, non importa quanto tempo, non importa quanto impegno nel rattopparlo.

Ma poi, quasi insperata, quasi increduli, giunge la calma. Forse anche il processo di sofferenza ha una sua fine. Fatto sta che sorridere diventa improvvisamente qualcosa che si è di nuovo in grado di fare. Forse sono le nuove circostanze, forse sono le ferite finalmente guarite.

Forse sono le persone. Si, sono le persone che ti cambiano.

Jungkook non si ricordava quando era stata l’ultima volta che era stato così tranquillo con se stesso. Certo i suoi problemi non erano spariti, i grandi schemi del mondo erano ancora li, al di là delle sua portata, ma l’amicizia davvero riscalda il cuore. O forse Jungkook è semplicemente merito di Jimin.

“Dimmi, chi sei tu, e cosa hai fatto a Jeon Jungkook?” gli chiese Taehyung a pranzo. Jungkook lo guardò stizzito sollevando la testa dal piatto. Si chiese per un secondo se valesse la pena di rispondere alla domanda idiota di Taehyung, prima di decidere che no, proprio no, continuare a mangiare era più importante. E così si apprestava a fare quando il cellulare, che aveva lasciato di fianco al piatto, vibrò e il nome sullo schermo fu sufficiente a distrarlo. Un sorriso si fece largo sul volto. Ignorando completamente Taehyung, Jungkook posò la forchetta sul piatto e digitò subito una risposta.

Quando ebbe finito e quindi aver deciso che forse era il caso di riportare la sua attenzione sul suo amico, si rese conto che Taehyung si era sporto dalla sedia per spiare lo schermo del suo cellulare. A giudicare dal ghigno vittorioso, doveva essere riuscito a cogliere qualcosa.

Jungkook lo fulminò con lo sguardo.

“Non so neanche perchè mi sorprendo, sei sempre stato un ficcanaso” Jungkook commentò tormentando un tortellino con la forchetta.

“Sono il tuo migliore amico. Sono più che sicuro che tutto questo rientra nel codice di fratellanza!” Taehyung cinguettò per nulla turbato. Jungkook sospirò. “Jimin, eh?” Taehyung aggiunse, muovendo le sue sopracciglia in modo allusivo.

“Jimin hyung mi ha scritto per concordare un orario per le prove. Con l’avvicinarsi dello showcase vogliamo fare pratica il più possibile.”

“Aha” Taehyung disse guardandolo in modo malizioso.

“Cosa?”

“Nulla, nulla. Solo che sono anche io un tuo amico eppure non hai mai risposto a me così velocemente. Hai persino smesso di mangiare! Con me non lo hai mai fatto, anche quando in terza elementare sono inciampato sbucciandomi il ginocchio, non hai mai mollato il tuo sacchetto di patatine!”

“Questo perché il cibo è più importante di te,” Jungkook replicò sardonico.

“Ma a quanto pare non di Jimin!” Taehyung esclamò tronfio. Maledizione, era appena stato incastrato, si disse Jungkook, che arrossì fino alla radice dei capelli. Il suo migliore amico gli lanciò un sorriso a trentadue denti prima di riprendere a spazzolare il suo piatto. Jungkook distolse lo sguardo cercando di celare invano il suo imbarazzo.

C’era un che di vero nelle parole di Taehyung, era inutile negarlo. Lui e Jimin erano diventati amici, molto amici. Sin da quella fatidica sera Jungkook si era impegnato a mantenere la sua parola. Onestamente non affatto difficile farlo. I messaggi e chiamate tra di loro erano naturali quanto frequenti, così come gli incontri. A volte si vedevano assieme gli altri, altre volte si erano visti solo loro due, senza contare le lezioni di danza. Jungkook continuava a ripetersi che erano normali incontri tra due amici che volevano ammazzare il tempo insieme. La verità? Era così facile godere della compagnia di Jimin. Avevano moltissimo in comune, la danza, per dirne una, ma avendo fatto Jimin la sua stessa facoltà era in grado di aiutare Jungkook persino nello studio. E poi c’era quella complicità tutta loro. Quei silenzi condivisi, quel senso di sicurezza che Jimin riusciva a dargli. Jungkook non riusciva a capire bene se fosse perché l’altro era più grande, perchè erano entrambe numeri zero o semplicemente fosse perché Jimin era beh, Jimin.

Tuttavia nonostante sapesse che i suoi sentimenti fossero una matassa complicata che con fatica riuscivano a stare sotto l’ombrello della parola amicizia, Jungkook era troppo soddisfatto di come le cose si erano sistemate per osare spingersi oltre. Oltre dove? Jungkook purtroppo non aveva un canovaccio da seguire, tutto quello che stava provando era territorio sconosciuto e non sapeva bene come comportarsi. L’amicizia la conosceva , l’amicizia andava bene, si disse per ennesima volta. Eppure il desiderio, quel senso di ebbrezza che aveva provato nell’avere Jimin tra le sue braccia quella notte non se ne era andato, era ancora stampato a fuoco nella sua mente, impresso nella sue membra.

Jungkook avrebbe voluto sbattere la testa contro un muro e dimenticare tutto. Ma era impossibile. Qualcosa era cambiato.

“Quando è lo showcase a proposito” chiese Taehyung riportandolo alla realtà. Jungkook sbatté un attimo le palpebre.

“Sabato prossimo. Pensi che Hobi hyung riuscirà a esserci?” Chiese Jungkook, d’un tratto allarmato.

Taehyung sembrò soppesare la risposta per un attimo. “Lo spero. Ma sai com’è con i turni in ospedale.” Il numero due sembrò adombrarsi per un attimo.

“Spero proprio che possa venire! In realtà volevo anche chiedergli se voleva venire con me e Jimin questa domenica. Un paio di occhi in più ci farebbero comodo.” Jungkook aggiunse. Qualsiasi ombra fosse passata sul viso di Taehyung scomparve. “Oh si, chiediglielo per favore! Gli farebbe un sacco piacere.”

“Certo che glielo chiedo. Sarebbe un onore,” Jungkook rispose in tono serio. Il suo migliore amico gli rispose con un enorme sorriso. Jungkook sorrise a sua volta.

Jungkook non sapeva cosa era l’amore e gli esempi di amore tra numeri due non avevano mai avuto alcunché di affascinante ai suoi occhi. Persino nei confronti di Taehyung e Hoseok, i quali erano la coppia più innamorata che lui avesse mai conosciuto, Jungkook non riusciva a disfarsi del pregiudizio di trovare il loro amore scontato, appunto perché così naturale. Perché, dopotutto, cosa c’era di così speciale nell'innamorarsi di qualcuno di cui c’è già scritto da qualche parte che ti dovevi innamorare?

Eppure ora si chiedeva se la sua fosse stata un'ingiusta cecità. Era stato così concentrato sulla sua tragedia personale che non aveva mai pensato che solo perché le cose erano scritte, non significava che non ci si doveva comunque impegnare. Qualcosa è cambiato, si disse. Una di queste cose, era il guardare alle relazioni da un nuovo punto di vista. Uno più attento, uno più umano. Fu così che nel cercare una risposta ai suoi interrogativi si trovò a vedere cose che prima non aveva mai notato.

L’affetto quasi materno con cui Taehyung si occupava della sua anima gemella, tanto per dirne una. Sempre a cercare un modo per soddisfare i suoi bisogni, sempre attento, sempre meticoloso. Il modo in cui Hoseok si defilava per lasciare spazio a lui e a Taehyung. Aveva sempre dato quello spazio per scontato, ma non lo era affatto e forse nella sua cecità aveva peccato grandemente di gratitudine. Quali altri cose il suo egoistico tunnel visivo gli aveva impedito di vedere? Jimin aveva detto che forse numeri zero e numeri due erano più simili di quello che si pensava.

Suo malgrado, si trovò di nuovo a pensare a Min Yoongi e alle diverse e infinite spirali in cui ti può far scivolare l’amore.


 


 

Dopo quella sera, quella sera che Jimin non avrebbe dimenticato per un bel pezzo, Jungkook si era presentato alla sua porta con della pizza e una confezione di birre in mano, proclamando di essere annoiato e affamato e che siccome Taehyung e Hoseok erano nel loro mondo personale, lui pretendeva la compagnia del suo amico Jimin. Dire che Jimin era stato sorpreso, era un eufemismo. Le novità comunque, non si fermavano li. Jungkook gli scriveva spesso durante il giorno anche solo per dirgli delle cose inutili e per inviargli foto di gatti randagi. Ma soprattutto aveva iniziato a parlare. Parlavano del tempo, della danza, dei loro amici, del lavoro. Era un fiume in piena e Jimin si lasciava volentieri travolgere.

“Come si fa a non amare troppo Jin hyung?” Jimin aveva chiesto al suo migliore amico dopo che aveva invaso la loro casa in preda al panico per eccesso di Jungkook.

“Non si può. “ Gli aveva risposto Seokjin con un mezzo sospiro prima di mettergli tra le mani una tazza di te da un litro, perché come sempre era convinto che il te servisse per quando faceva freddo e per quando si era scossi emotivamente.

Se aveva provato qualcosa per Jungkook prima, ora che finalmente Jungkook era allo scoperto Jimin aveva completamente perso la testa.

“Hyung!” Jungkook entrò dalla porta principale del circolo ricreativo con un sorriso a trentadue denti. Era come osservare il sole fare capolino tra le colline. Jimin si trovò a pensare ancora una volta quanto fosse ingiusto che questo Jungkook rimanesse nascosto al mondo. Erano le regole di quella società marcia e crudele a soffocare i loro cuori.

Jimin ricambiò il sorriso.

“Ho portato qualcuno con me!” Cinguettò Jungkook più entusiasta che mai. Jimin non appena vide chi era quasi saltò dalla gioia.

“Hoseok!” Esclamò eccitato andando incontro al suo amico. Jimin si disse che avrebbe dovuto pensarci lui stesso, ma era contento lo avesse fatto Jungkook.

“Buongiorno! Jungkook mi ha convinto a venire a dare un’occhiata, non so quanto potrò esservi utile visto che sono anni che non metto piede su una pista da ballo,” disse questi guardandosi nervosamente in giro.

“Non dire sciocchezze, ballare è una parte di te e se c’è qualcuno che può esserci utile, quello sei tu” Jimin disse afferrando le mani di Hoseok e stringendole forte. Il sorriso che Hoseok diede loro poteva illuminare un’intera città.

“Ciao a tutti!” esclamò una voce dall’ingresso.

“Oh Taehyung ci sei anche tu!” Jimin era sinceramente contento di vedere il numero due. Da quando si erano scambiati i numeri di telefono, Jimin aveva iniziato a sentire il musicista tanto spesso quanto sentiva Jungkook. Taehyung gli scriveva alle ore più bizzarre ed era in grado di tirare fuori ogni volta una battuta o una barzelletta più ridicola dell’ultima, facendolo sorridere inmancabilmente.

“Si ci sono anche io,” Taehyung disse mentre faceva roteare su un dito le chiavi. “La mia presenza qui è indispensabile.” Disse facendo spallucce mentre Jungkook si pizzicava il naso esasperato (ma non ingannava nessuno perchè non aveva smesso di sorridere, notò Jimin). Poi come sottolineare la veridicità delle sue parole, il numero due tirò fuori una grossa macchina fotografica dal suo zaino .

“Sbaglio o quella è una delle macchine fotografiche di Seokjin hyung?” Jimin chiese sorpreso. Avrebbe riconosciuto quella macchina ovunque. Era una delle prime che Seokjin aveva comprato con i soldi del suo stipendio. Da allora era riuscito a comprarsi macchine più sofisticate e costose ma il biondo aveva conservato un attaccamento morbosa verso la prima macchina che aveva assistito gli albori della sua carriera da fotografo.

“Come hai fatto a fartela prestare? Seokjin me l’avrà fatta toccare una volta, figurati usare!” Jimin disse particolarmente colpito.

“Magia!” Taehyung disse muovendo le sopracciglia in modo suggestivo. Più tardi Sseokjin avrebbe confessato a Jimin che Taehyung er astato pronto a cedere il coupon per una giornata alla spa, che gli era stato a sua volta regalato da Jungkook, pur di mettere mani sull'apparecchiatura sofisticata del fotografo. Seokjin gli aveva dato la macchina subito, rifiutando lo scambio.

Soekjin aveva capito come Jimin del resto, che quel momento doveva significare molto per Taehyung, al punto dal volerlo immortalare nel migliore dei modi possibili. Perché significava molto per Hoseok.

“Andiamo Jimin hyung, prima che questo qui inizi a dire cose senza senso,” Jungkook disse scherzosamente, mettendo una mano sulla spalla di Jimin e spingendolo gentilmente in direzione della loro aula prove.

Lo stomaco di Jimin fece le capriole. Sembrava venirgli così facile. Sembrava venire così facile a Jungkook il tocco tra loro due. Quasi sin dall'inizio non avesse fatto altro che abbracciare, toccare, stringere Jimin.

Una volta in aula Jimin prese i loro zaini e li mise in un angolo mentre Jungkook andava ad armeggiare con lo stereo. Con la coda dell’occhio Jimin vide Hoseok esitare sulla soglia. Di colpo si trovò di nuovo in quella palestra umida e dismessa e fu come essere investiti da un treno, nel realizzare quanto tempo era passato da allora. Ma siamo ancora qui, insieme. Si disse.

Hsoeok sembrò riprendersi subito comunque. Jimin lo vide mutare, assumere quell’aria professionale che aveva sempre avuto ogni volta che doveva imparare una coreografia. Jimin conosceva bene quell’espressione ma sia Jungkook che Taehyung sembravano affascinati. I tre si posizionarono quindi al centro e iniziarono il riscaldamento mentre Taehyung andava a sedersi su una panchina macchina fotografica in mano.

Una volta che ebbero fatto gli esercizi di riscaldamento, Jungkook e Jimin decisero di far vedere loro la coreografia e poi il video originale fatto dal loro maestro, così che Hoseok potesse fare un’idea precisa. Jimin lanciò un’occhiata d’intesa a Jungkook e i due senza aver bisogno di scambiarsi una parola si posizionarono al centro e aspettarono che la canzone iniziasse. C’erano ancora dei passaggi imperfetti Jimin lo sapeva ma lasciò lo stesso che il suo corpo seguisse i movimenti memorizzati prestando allo stesso tempo attenzione ai battiti scanditi dalla canzone. Di tanto in tanto, cercava di dare un'occhiata a Jungkook attraverso lo specchio per capire se la coordinazione fosse precisa. Sapere che Hoseok era li con suoi occhi esperti era un motivo di ulteriore rassicurazione.

Quando infine la musica andò scemando e l’ultimo dei loro passi eseguito, Jimin affannato, anche se ancora visibilmente in forze, fu sorpreso dal suono degli applausi entusiasti di Taehyung e Hoseok.

“Jimin sapevo già che eri fantastico, ma sembra che tu sia migliorato ancora dall’ultima volta che abbiamo ballato insieme! E tu Jungkookie! Non mi hai mai voluto far vedere un tuo video ed ora mi pento di non aver insistito di più! Fino a quando pensavi di tenere nascosto a questo hyung il tuo talento?” Hoseok esclamò battendo le mani entusiasta.

Jimin vide Jungkook sorridere imbarazzato ma contento.

“Non che i tuoi complimenti non ci facciano piacere Hobi, ma siamo qui per i tuoi occhi di falco,” Jimin disse allegro. Hoseok ghignò, il suo sguardo fattosi di colpo attento.

“ha ha! Mi dai troppo credito Jiminie, ma fammi vedere la coreografia originale. Poi se volete, vi dirò la mia”. Jimin prese il computer dal suo zaino e fece vedere a Hoseok il video del suo maestro.

“Oh è Lee Seunghyun!” Hoseok esclamo. Jimin e Jungkook lo guardarono sorpresi. “E’ solo il più giovane ballerino ad aver mai vinto una gara a livello nazionale, nella mia città è praticamente un eroe, ma dettagli, ” disse il numero due facendo loro cenno con la mano di proseguire.

Furono sufficienti due volte. A Hoseok bastò vedere la loro coreografia due volte, per essere in grado di ripetere i punti salienti. Jungkook guardava il suo hyung con nuovo sguardo, vagamente simile alla venerazione. Jimin sorrise. Non era una novità per lui, Hoseok era stato capace di imparare una coreografia piuttosto velocemente anche allora. Jimin si chiese che livello avesse raggiunto il suo amico d’infanzia durante le superiori, per essere in grado di fare una cosa del genere anche ora, dopo anni di inattività. Sorrise con un po’ malinconico nel constatare che non lo avrebbero mai saputo.

“Penso che sarete fantastici!” Disse Hoseok dal un angolo dell’aula. Due ore erano passate volando e tutti e tre erano sudati e con il fiatone. Taehyung invece sembrava aver abbandonato la macchina fotografica per terra, in favore di un sonnellino, ma Jimin potè vedere dallo schermo girato che aveva registrato un’ora buona di materiale.

Jimin vide Hoseok andare verso la sua anima gemella nel momento esatto in cui Taehyung apriva gli occhi e gli sorrideva. Jimin si trovò a dover distogliere lo sguardo, per incrociare per caso quello di Jungkook, il quale lo guardò con fare finto esasperato, come a volersi lamentare delle eccesso di smancerie tra i suoi amici. Jimin ridacchiò.

Essere numeri zeri non era facile per un milione di motivi. Uno dei tanti era il dover assistere costantemente a manifestazioni di amore di altri, ben sapendo che questo a te non capiterà mai. Era qualcosa che demoliva un pezzettino di te poco a poco fino non a farvi rimanere più nulla, se non invidia, frustrazione e rancore. Jimin non aveva mai voluto essere quel tipo di persona, quella che rosica nelle tenebre invece di essere felice che i suoi amici fossero felici. Questo non significava fosse sempre semplice: aveva visto come il suo amico guardava Taehyung e viceversa. E aveva avuto davanti per anni l’esempio di coppia carismatica come lo erano Seokjin e Namjoon insieme. Tuttavia era importante trovare dei lati leggeri in quella situazione: come prendere scherzosamente in giro i tuoi amici per le loro smancerie. Trovare un motivo per sorridere era sempre la soluzione migliore.

Jungkook in ogni modo gli fece un cenno col capo e fece per alzarsi. Jimin lo segui senza esitazioni, preferendo lasciare gli altri due nel loro mondo.

“E’ stato un allenamento fantastico. Sapevo che Hoseok hyung era bravo ma non così bravo” Jungkook disse entusiasta mentre si dirigevano in bagno a rinfrescarsi.

“Non riesco a far a meno di pensare a che genere di ballerino sia stato durante il suo ultimo anno di attività.” espresse Jimin ad alta voce.

“Anche io. Deve essere stato un portento.” Jungkook disse pensieroso. Una volta in bagno andarono verso i lavandini ed entrambi si rinfrescarono il viso accaldato con acqua fredda.

“Sono contento che tu l’abbia invitato. E’ stato bello da parte tua. Ed anche utilissimo, lui ha ancora l’occhio per queste cose”. Jimin disse con affetto.

“Figurati. Anzi non so come non mi sia venuto in mente prima! Credo che abbia fatto piacere anche a lui. So che lui è più che soddisfatto con la sua carriera, ma se hai ballato abbastanza a lungo e hai amato farlo, non è facile metterlo via in un cassetto”.

“Già. Infatti come vedi anche noi due siamo qui. Incapaci di dimenticare la sensazione di muoversi a ritmo della musica. Pensare che eri così riluttante ed ora invece sei quello più entusiasta.”Jimin lo prese in giro, per poi pizzicare la guancia di Jungkook come si fa con i bambini.

Jungkook decise di rispondere maturamene spruzzandogli un po' d’acqua in faccia.

“Hey!” Jimin esclamò sprizzando dell’acqua a sua volta. Se nonché non si tratto di uno spruzzo innocente ma di un vero e proprio getto che inzuppò tutta la maglia dell’altro. Jungkook sembrò paralizzarsi per un secondo. Jimin temette di aver esagerato e già era pronto a scusarsi sebbene fosse stato il più giovane a iniziare, quando Jungkook raccolse l’acqua a mani giunte e al grido di “guerra!” lo bagnò dalla testa ai piedi.

Dieci minuti dopo erano bagnati fradici ed erano riusciti nella prevedibile impresa di allagare mezzo bagno.

“Dio Seokjin hyung mi ucciderà. Mi ucciderà!!” Jimin disse portandosi le mani alle guance. Jungkook scoppiò a ridere alla sua destra, la frangia spiaccicata sulla fronte e i pantaloni zuppi.

“Cosa ridi?” Jimin chiese oltraggiato. Se possibile Jungkook rise ancora più forte.

Taehyung e Hoseok li trovarono per terra, bagnati ed entrambi in preda ad un attacco di risate.

Taehyung fece una foto commemorativa. Non si sapeva mai. Poteva sempre tornare utile come materiale da ricatto.


 


 

“Buongiorno sono Min Yoongi, capo produttore presso la Big hit entertainment. Chiamo per avere qualche delucidazione riguardo ai biglietti per il gala di beneficenza che si terrà sabato prossimo”.

La persona al telefono sembrò soffocarsi con la sua stessa saliva. Yoongi sbuffò internamente. Onestamente non sapeva perchè stesse facendo quel che stava facendo. Bugia, lo sapeva benissimo ma a quel punto era meglio non rimuginarci troppo. Riassumendo stava cercando di avere un invito per un’esibizione di giovani talenti, poteva sempre tornare utile alla loro agenzia anche se, a dir la verità, l’evento era di cosi piccole dimensioni che era normale che la persona al telefono fosse quasi svenuta al solo sentire il nome della loro agenzia. Ma Yoongi non aveva altro modo per parteciparvi se non andando per vie ufficiali. Era molto più semplice. Molto più semplice che andare nell’ufficio di Namjoon e chiedere un biglietto per la serata che il circolo, in cui faceva volontariato la sua anima gemella, organizzava. Sarebbe stato più facile incontrare il capo dello stato che ottenere un favore da Kim Seokjin. Oltretutto Yoongi non voleva che proprio loro venissero a sapere dei suoi programmi. Sospirò mentre sentiva la ragazza al telefono balbettare qualcosa e metterlo in attesa.

Quando Namjoon gli disse che Jimin aveva ripreso a ballare, Yoongi aveva pensato che lo stesse prendendo in giro. Era impossibile. Quella parte di Jimin era morta quell’ultimo infausto anno delle superiori, uno dei tanti rimpianti che Yoongi si sarebbe portato dietro per sempre, insieme al peso di sapere che era stato lui, con le sue azioni seppur indirettamente, il responsabile della fine dei sogni di Park Jimin.

Non aprire quella porta, si disse. Era inutile srotolare la lista di tutte le innumerevoli mancanze da lui commesse, non avrebbe risolto nulla. In ogni caso Yoongi si trovò a riflettere su quello che Namjoon si era lasciato sfuggire. Sapeva che Namjoon lo aveva detto per aiutare Yoongi a metterci una pietra sopra. Il fatto che Jimin avesse ripreso a ballare bastava a ribadire il concetto che Jimin era andato avanti.

Cosa credevi, che sarebbe rimasto con le ali spezzate per sempre a piangere sulle rovine di un amore che gli ha fatto solo che male? Chiese il suo subconscio in modo velenoso.

Ovviamente no. Si rispose, Yoongi. Tuttavia siccome il suo cervello aveva deciso di avere una crisi di mezz'età ben prima di raggiungere la mezz'età, e trovatosi quindi nuovamente in preda a fesserie adolescenziali, Yoongi finì col decidere di vedere con i suoi occhi se tutto ciò corrispondesse a realtà. Se davvero Jimin aveva ripreso a ballare, come numero zero c’erano veramente pochi posti in cui avrebbe potuto farlo. Si potevano contare sulle dita di una sola mano.

Yoongi sapeva che Kim Seokjin aveva cercato per anni, persino ai tempi del college, di convincere Jimin a tornare a dedicarsi alla danza. Sapeva anche che il biondo faceva volontariato presso un'associazione culturale che promuoveva attività artistiche per numeri zero, quindi quale posto migliore per Jimin se non l’associazione del suo migliore amico? Seokjin doveva essere riuscito a convincerlo alla fine. Purtroppo per lui, questi non gli aveva mai detto il nome e per giunta erano due le associazioni in città che in quel periodo avevano deciso di allestire una raccolta fondi. Il problema fu comunque presto risolto: era bastato trovare il nome dell’agenzia di servizi fotografici di Seokjin tra gli sponsor per capire quale era l’associazione giusta.

Yoongi non sapeva se congratularsi con se stesso o farsi pena da solo. In ogni caso prima che l’ultima oncia di istinto di conservazione glielo impedisse, aveva cercato il numero di telefono del comitato organizzativo e aveva chiamato.

La musica di cortesia si interruppe e una voce maschile gli diede il benvenuto.

“Si salve, sono Min Yoongi. Si, della Bighit entertainment. Sarei interessato a partecipare al gala di beneficenza della vostra associazione se non è troppo tardi.”

“ E’ fortunato signor Min uno dei nostri ospiti ha dovuto declinare l’invito. Non che ce ne sarebbe stato bisogno, avremmo trovato il modo di farla partecipare in ogni caso...” disse la voce al telefono in modo mellifluo. Yoongi rispose qualcosa di generico. Quella era di quelle volte in cui era contento di poter sbandierare i suoi privilegi.

Sono una brutta persona Jimin. Sono una brutta persona. Lo sai tu, lo so io e lo sa lei. Lo sanno tutti. Da anni. Ma se solo riuscissi a vederti ballare un’ultima volta.









NdA: sono tornata! Scrivere di serenità e momenti felici è sempre una sfida per me, spero comunque di aver reso l'idea. Comunque, siamo molto vicini a uno dei punti salienti!! E, ultima cosa, vi volevo avvisare che ho deciso di aprire una raccolta di one shots ispirate all'universo di un mondo per noi due con argomento tutto quello che non leggerete mai qui (ossia 'the dirty stuff'). Se mai vi andasse di trastullarvi in simili letture ecco qui http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3537649&i=1


 

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Capitolo 26
*** 00.18 ***


00.18


 



“Sei nervoso?"
"In realtà sono spaventato a morte"
Non ci sono parole adatte per descrivere la sensazione che si prova nel ballare. Per descrivere cosa il nostro corpo prova quando si muove a ritmo di musica.
E' come una scarica di adrenalina, un momento sospeso in cui ci siete solo voi e la vostra passione ed è una delle sensazioni più meravigliose. E' questa sensazione che ti fa respirare bene una volta che hai finito.
Le farfalle nello stomaco prima di salire sul palco, il suono assordante dopo aver finito.
Io voglio vivere la mia vita in questo modo per sempre. Ti prego, lascia che sia per sempre.
"Andrà tutto bene."
"Hyung, stai tremando."
Jimin strinse la mano di Jungkook un'ultima volta, la luce proveniente dal palco che danzava sul suo volto bellissimo.
Il cuore di Jungkook smise di dubitare.
"Ci siamo," disse Jimin sorridendo prima di salire sul palco.
Jungkook lo seguì.

 


 


 


Se Jimin pensava di essere stato indaffarato prima d’allora, evidentemente non aveva ancora affrontato una settimana come quella. Tra il suo lavoro e gli allenamenti, aveva davvero un sacco fare. Grazie a Dio gli allenamenti andavano bene e lui e Jungkook con il prezioso aiuto di Hoseok, che aveva curato l’esecuzione nei minimi dettagli, avevano perfezionato la loro performance, di modo che avevano solo le coreografie di gruppo da limare con il resto della classe.
Tuttavia pur avendo sostanzialmente il suo tempo diviso in segmenti, ogni segmento corrispondente a un compito da portare a termine, Jimin non si era mai sentito così vivo. Era super indaffarato e sicuramente una bella dormita gli avrebbe fatto comodo, ma non aveva mai sentito tanta energia scoppiargli in corpo.
Un’altra cosa che non aveva mai provato prima d’allora era il sentirsi parte di un gruppo, legato sinceramente a delle persone, come gli stava succedendo in quel periodo.
Il giorno dello showcase si stava avvicinando a velocità devastante e lui e Jungkook, il più delle volte, si erano incontrati per allenarsi o per scambiarsi qualche opinione o più semplicemente per allontanare il nervosismo, godendo della reciproca compagnia. E sì, Jimin era altamente consapevole di quanto profondamente si stesse innamorando, come ogni piccolo gesto di Jungkook gli sembrasse improvvisamente caro e quanto lo rendesse felice passare del tempo con il più giovane.

In ogni caso non solo Jungkook ma anche gli altri avevano iniziato ad affollare la sua vita, e per la prima volta Jimin stava sperimentando quel senso di appartenenza che fino ad allora era sembrato esistere solo nei racconti per bambini. Infatti quando Hoseok non stava usando il suo tempo libero per aiutarli quanto più possibile, seguito da un inseparabile Taehyung, si poteva sempre contare sulla presenza di Seokjin, che da bravo fratello maggiore controllava che loro si nutrissero adeguatamente.
La freddezza iniziale tra il suo migliore amico e Jungkook stava iniziando a svanire e Jimin ne era lieto. Il più giovane non sembrava più intimidito dai lunghi sguardi di Seokjin e aveva anche iniziato a prendere in giro il biondo come faceva sempre con Jimin. La strabiliante cucina di Seokjin, che preparava ogni volta i piatti preferiti di Jungkook, era stata un fattore determinante.
Ciò che aveva reso Jimin ulteriormente felice inoltre, era stato l’avverarsi del suo più grande sogno, con il suo amico d’infanzia e il suo migliore amico che si apprestavano a diventare a loro volta grandi amici. Tra di loro c’era quel tipo di chimica che Jimin aveva notato in Namjoon e Taehyung quando parlavano di musica.
"Probabilmente hanno legato sulla reciproca ossessione per pulizia e ordine hyung". Taehyung gli disse."Mi sembra quasi di sentirli scambiarsi suggerimenti in economia domestica, 101 modi per rendere i tuoi bicchieri di cristallo sempre più brillanti e bla bla bla," Taehyung li prese in giro facendo ridere Jimin di gusto. L’ipotesi era alquanto probabile dopotutto.

Stavano legando. Tutti loro.

In quell'atmosfera vivace trascorsero gli ultimi giorni prima dello showcase e in men che non si dica mancavano meno di due giorni. Aveva segnato con un grosso cerchio rosso la data sul suo calendario appeso al frigorifero e la sua vista quella mattina era riuscita a fargli venire un colpo.

Lui e Jungkook quindi avevano deciso di allenarsi insieme un’ultima volta dopo i rispettivi lavoro e università. Qualcuno avrebbe potuto dire che stavano prendendo il tutto troppo sul serio ma erano gli unici a cui era stata dato una coreografia speciale e volevano fare del loro meglio. Non solo per loro stessi, ma anche per il centro. La riuscita dello spettacolo poteva significare donazioni più generose.
Jimin era felice di trovare in Jungkook un collega serio e appassionato. Il più giovane non aveva mai rifiutato un incontro e la sensazione di poter contare su qualcuno, su Jungkook, era magnifica. Dava un senso di complicità che Jimin riusciva a stento a non dare peso.
"Ho interrotto qualcosa?" Ci fu un leggero bussare prima che Seokjin aprisse leggermente la porta dell'aula. Jungkook e Jimin stavano prendendo una pausa, seduti sul pavimento e ingollando grandi quantità d'acqua.
"Entra pure hyung,” disse Jimin dal pavimento. Fortunatamente per loro Taehyung e Hoseok li avevano aiutati ad asciugare il bagno e il suo migliore amico non aveva mai scoperto il disastro combinato. Erano in debito con Taehyung per chissà quale enorme favore aveva intenzione di chiedere loro, ma, nella modesta opinione Jimin, era cento volte meglio che affrontare l'ira di Seokjin. Il biondo era, infatti, in ottimi rapporti con i proprietari del centro dal momento che li conosceva da un pezzo e per la precisione da quando, ancora studente, aveva iniziato a fare il volontario presso la struttura. Il proprietario quindi si fidava moltissimo di Seokjin con i registri e con la sicurezza dell'edificio. Quando Seokjin aveva dato loro la chiave per la costruzione, lo aveva fatto solo dopo milioni di raccomandazioni. Loro che combinavano pasticci all’interno del centro era qualcosa che non avrebbe perdonato facilmente.

"Oh state facendo una pausa. Perfetto! Cosi possiamo mangiare tutti insieme.” Seokjin disse sorridendo. Jimin era curioso di sapere che cosa intendesse col termine tutti, ma dopo un momento, all'ingresso di Seokjin segui l’intero gruppo, Namjoon incluso. Jimin si alzò per la sorpresa e così anche Jungkook.
"Volevamo mostrarvi il nostro sostegno visto che io e Namjoon forse non ci saremo,” esclamò allegramente Hoseok prima di sedersi accanto a Jungkook, seguito a ruota da Taehyung.
"Non sapete quanto mi dispiace, prometto che farò del mio meglio per essere lì". Namjoon disse sedendosi sul pavimento accanto a Jimin.
"Sappiamo tutti che sei super impegnato con il lavoro," disse la sua anima gemella dandogli una pacca affettuosa sulla spalla, per poi sistemare una tovaglia sul pavimento e tirare fuori dalla sua borsa diverse contenitori.
"Cibo! Grazie mille hyung!” Strillò felice Jungkook.
"Sì grazie ragazzi, e non preoccuparti Namjoon, Jin ha ragione" Jimin lo rassicurò.
"Questo vale anche per te,” commentò Taehyung picchiettando con il dito Hoseok nella guancia. Quest'ultimo aveva detto loro che stava ancora aspettando la risposta di un collega per uno scambio di turni, e l'attesa sembrava stressarlo moltissimo.
Jimin si allungò per dare un buffetto a Hoseok a sua volta mentre Jungkook annuiva in approvazione delle parole di Taehyung. Per fare questo Jimin dovette sporgersi di lato, praticamente finendo per gran parte sopra Jungkook ma nessuno dei due batté ciglio. Ok, il cuore di Jimin stava battendo all’impazzata, e Jungkook stesso non sembrava dispiaciuto del contatto fisico. Non lo sembrava mai di fatto. E onestamente, stava iniziando a diventare un problema. Non era giusto che Jungkook fosse una persona incline al contatto fisico e che allo stesso tempo riuscisse a rimanere impassibile.
Nel frattempo Seokjin fece in modo che tutti avessero un piatto pieno di cibo, così come un bicchiere colmo d’acqua, come la persona organizzata che era.
Jimin sorrise. Era una bella sensazione. Per tanto tempo erano stati solo lui, Namjoon e Seokjin, ma ora c’era anche il suo amico d'infanzia Hoseok, la sua anima gemella Taehyung. E Jungkook, naturalmente Jungkook.
"Come vi sentite, ragazzi?" Chiese Namjoon dopo un po ', il suono del loro sgranocchiare in sottofondo.
"Non lo so. Mi sento come se non stessi realizzando che in due giorni saremo di nuovo su un palco. Sono stranamente calmo e ho paura che tutte le emozioni mi colpiscano come un treno un paio di minuti prima di andare in scena,” disse Jimin grattandosi la nuca.
Hoseok rise. “Ah, mi ricordo quella sensazione! Ma non preoccupatevi ragazzi, vi ho visto ballare e so che sarete grandiosi. Vi siete allenati duramente quindi anche in caso di totale black out, il vostro corpo dovrebbe essere in grado di ricordarsi i movimenti! " Hoseok disse in quello che doveva essere un tentativo di confortarli.
"Io non credo tutto ciò sia particolarmente rassicurante, ma grazie comunque," Jungkook disse sorridendo quando Taehyung schiaffeggiò Hoseok sulla nuca.
"Che cosa? Cosa ho detto? Ero serissimo." Si lamentò Hoseok, mentre gli altri ridevano.
"Ce la faremo" Jimin concluse sollevando un pugno in aria. Quando si guardò intorno Jungkook lo stava guardando, un accenno sorriso sulle sue labbra.

Più tardi, dopo che ebbero sistemato la stanza, decisero fosse il caso di tornare a casa, dal momento che la maggior parte di loro doveva lavorare il giorno seguente. Jimin avrebbe voluto stare con Jungkook un po' più a lungo, ma Hoseok e Taehyung si erano offerti di dargli un passaggio visto che avevano la mattina libera il giorno dopo, mentre Jimin doveva alzarsi alle sette.
"Ci vediamo sabato allora,” disse Jungkook. Il loro insegnante si era raccomandato che riposassero il giorno prima dello showcase, dato che avevano a disposizione sabato per le prove dell’ultimo momento.
"Sì", sussurrò Jimin facendo qualche passo indietro. Entrambi stavano indugiato davanti all'ingresso del palazzo, Taehyung e Hoseok erano andati ad aspettare in macchina, ma né Jimin né Jungkook sembravano propensi a separarsi. La luce proveniente da un lampione non lontano, rendeva l’atmosfera intima, romantica anche. Jimin guardò il volto del giovane splendere sotto la luce artificiale. Jungkook era bello, lo era sempre stato, ma Jimin sempre più spesso veniva colpito più e più volte da questo fatto ed era se come i suoi sentimenti non riuscissero a toccare un fondo e lui continuava a cadere sempre più in profondità. E anche se Jungkook alla fine avrebbe voluto continuare il loro rapporto in amicizia, Jimin sapeva avrebbe comunque continuato ad amare questo giovane con tutto il suo cuore.
Jungkook strappò il suo sguardo da quello di Jimin e quest’ultimo ne dedusse fosse giunto il momento di separarsi, invece Jungkook fece un passo avanti e lo abbracciò stretto, appoggiando il mento sulla sua spalla, annusando il suo collo e sospirando soddisfatto. Quasi questo gli fosse mancato e lui stesse tornando finalmente a casa.
Jimin preso alla sprovvista, perché tutto ciò era lungi dall'essere un gesto strettamente amichevole, non ebbe però il tempo di ricambiare l’abbraccio come aveva sognato di fare per tutti quei giorni trascorsi insieme. Jungkook infatti lo lasciò andare velocemente e velocemente salì in macchina.
Per qualche ragione, il cuore di Jimin cominciò a sperare.






Il giorno prima dello showcase Jungkook non riuscì a dormire bene. Andò a lezione e quindi a lavorare e, una volta tornato a casa, trascorse il resto della serata a guardare i vecchi film o più semplicemente a oziare. Dopo cena il suo migliore amico lo chiamò anche se Jungkook non ricordava nulla della loro conversazione, ma solo dei pezzi sconnessi. "Stai bene?" "Sì", anche se invece era No. "Vuoi venire qui?" "No", anche se avrebbe voluto dire di sì. In realtà, quest'ultima risposta non era esattamente vera. Sì, voleva compagnia, solo non quella di Taehyung. Doveva sospettarlo anche il suo amico perché non insistette e si limitò ad auguragli una buona notte prima di riagganciare.
Jungkook era stato davvero tentato quindi di afferrare il telefono e chiamare Jimin ma non lo fece. Amici si chiamavano l'un l'altro nel momento del bisogno, vero? Ma probabilmente avrebbe finito per lasciarsi sfuggire qualcosa che non era il momento giusto di dire oppure sarebbe corso fino a casa sua a chiedergli di tenerlo tra le sue braccia. Il che era sbagliato in tanti modi perché gli amici non si comportavano in quel modo, eccezion fatta per lui e Taehyung ma loro due erano ben lungi dall'essere considerati normali e quindi non faceva testo. Oltretutto lui non voleva essere baciato dal suo migliore amico, mentre non gli sarebbe dispiaciuto se Jimin lo avesse fatto. Quindi sì, gli amici sicuramente non si comportavano in quel modo, era più una cosa da innamorati. Jungkook soffocò un grido nel cuscino.
In qualche modo riusci ad addormentarsi intorno le quattro del mattino, solo per svegliarsi appena quattro ore più tardi con un mini attacco di spavento perché aveva sognato di essere in ritardo. Per fortuna non era il caso.

L'insegnante voleva che fossero lì dopo pranzo e aveva quindi un sacco di tempo per riposare ulteriormente ma non vi riusci per quanto ci provasse. Così rimase a letto un paio d'ore, a fissare il soffitto e a fantasticare su Jimin anche quando non poteva. Alla fine decise di uscire dal suo bozzolo di coperte e iniziò la sua routine quotidiana. Quel giorno non doveva andare a lavorare, aveva chiesto al suo capo una giornata libero e così per una volta aveva una sabato tutto per se, tuttavia non era in vena di uscire, men che meno di studiare. Lungo la mattinata Jimin gli mandò un messaggio, lamentando la mancanza di sonno e Jungkook sorrise perché probabilmente erano rimasti svegli durante le stesse ore, a fissare il soffitto e a contare i propri battiti che scandivano il passare del tempo. Avrebbero potuto farsi compagnia a vicenda. Forse avrebbero potuto riposare nello stesso letto, il respiro di Jimin a solleticargli il collo. Jungkook volle urlare di nuovo. Avevano uno showase per l'amor del cielo, perché il suo cervello lo stava tradendo in un momento come quello?
Riusci a mangiare qualcosa per pranzo, qualche avanzo della straordinario cucina di Seokjin, e lottò per tenere il cibo dentro, perchè il suo nervosismo gli faceva contrarre lo stomaco e in generale stava iniziando a sentirsi patetico.

Aveva bisogno di una boccata d'aria fresca. Corse giù per le scale e vagò senza meta il centro prima di decidere di andare solo al circolo ricreativo. Arrivo con più di mezz'ora d'anticipo e con sua sorpresa vide che Jimin era già seduto in atrio, in attesa.
“Prima di rendermene conto ero già qui" Jimin disse timidamente dopo averlo salutato. Jungkook si lasciò sul sedile vicino al suo.
"Sono venuto ora solo perché ho preso la strada più lunga", rispose Jungkook. Jimin rise.
"Siamo davvero senza speranza" il numero zero commentò. Jungkook annuì. Poi, incapace di resistere ulteriormente, perché doveva, doveva, toccare Jimin in qualche modo, appoggiò la testa sulla sua spalla, usandolo come cuscino personale, e chiuse gli occhi. Forse sarebbe riuscito a fare un pisolino prima dell'arrivo degli altri.
Senti il respiro di Jimin spezzarsi per un attimo ma a parte ciò l'altro non diede segnale alcuno di fastidio o disagio. Jungkook fini con l’addormentarsi per davvero e l’altro fu costretto a svegliarlo mezz'ora dopo perché l'insegnante e i ragazzi erano arrivati. Jungkook arrossì perché tutti gli studenti, compreso il suo maestro lo avevano visto praticamente accoccolato su Jimin ma eccezion fatta per alcuni sguardi, nessuno commentò. In qualche modo Jungkook aveva la sensazione che ciò fosse considerato normale per loro.

Iniziarono con il riscaldamento e una revisione veloce delle coreografie all'interno del loro solita classe, poi insieme al maestro andarono a vedere a che punto erano i preparativi del palco. Jungkook non si era mai preso la briga di dare un’occhiata per il circolo, ma a quanto pareva l'edificio aveva una grande sala in grado di ospitare un palcoscenico e un po’ di spazio di fronte a essa per organizzare i tavoli per gli ospiti. Alcuni membri del personale stava sistemando le decorazioni, mentre i tecnici sistemavano le luci e l’impianto audio. Jungkook individuò la figura di Seokjin tra il personale incaricato delle decorazioni. Era un po 'sorpreso che non fosse in realtà tra lo staff adibito al catering, ma poi pensò che il suo lavoro gli avesse impedito di avere le mani in troppe cose.
Seokjin li vide e agitò una mano verso di loro a mo di saluto, prima di sparire dietro a una porta.

Furono costretti ad aspettare per un'ora il loro turno di andare sul palco e anche allora ebbero tempo di provare solo un paio di volte prima che il personale facesse scendere per risolvere alcune cose e lasciare spazio agli altri. Le diverse classi infatti si susseguirono una dopo l’altra e Jungkook notò che la loro non era l’unica classe dedicata alla danza, c'era anche una classe per il balletto e uno per la danza contemporanea. Le altre classi erano di altre discipline come coro, corsi di teatro, corsi per imparare a suonare strumenti musicali e così via. Il centro sembrava gestire un sacco di attività e studenti e Jungkook rimase sconvolto nello scoprire quanto attiva fosse la struttura.
Improvvisamente si sentì ancora più nervoso.
"Questo è più grande di quello che pensavo,” commentò Jimin come se gli avesse appena letto nel pensiero.
"Vuoi prendere un po' d'aria?" Jimin gli chiese, la paura era evidente sul suo volto, ma Junkook era sicuro di aver lo stesso esatto sentimento dipinto sul suo. Jungkook annui. Jimin andò dal loro insegnante per chiedere se avessero abbastanza tempo per prendere un caffè prima dell'ultima prova. L'insegnante doveva aver risposto positivamente perché Jimin tornò sorridendo e non perse tempo a condurlo fuori dall'edificio, prendendo per mano.

Fu il turno di Jungkook di rimanere senza fiato. Senti come se un suo bisogno fosse stato appena soddisfatto.

Gli piaceva la sensazione delle loro mani intrecciate. Sperava davvero Jimin fosse del suo stesso avviso e, a giudicare da come non lasciò andare la sua mano anche una volta all’aperto, doveva essere così. Entrarono nel locale mano nella mano ed era strano e allo stesso tempo non lo era, perché Jungkook non la sentiva affatto come una cosa sbagliata. Naturalmente quando Jimin dovette pagare i due caffe latte con panna montata, la loro stretta si sciolse. Tuttavia una volta che il compito fu portato a termine, le loro mani si ritrovarono, come se fossero attirate l’una all’altra da una forza gravitazionale, come un corpo alla sua terra. Quando la ragazza dietro il bancone diede loro i due caffè, dopo averli abbagliati con sorriso smagliante da numero due, questa disse "oh siete proprio una bella coppia". Entrambi arrossirono, ma allontanarsi di scatto avrebbe reso la cosa imbarazzante e soprattutto avrebbe gridato a chiare lettere il loro status. E così rimasero in quel modo finché non raggiunsero il tavolo, che pose fine al contatto. La sua mano gli parve improvvisamente vuota. Dannazione.
Jimin cercò di sorridere e sorseggiò con attenzione di sua bevanda calda.
Jungkook come in trance lascio la tazza davanti a se, mentre si perdeva nel viso del suo compagno.
"Kookie bevi prima che si raffreddi." Jungkook annuì sentendosi un po 'stupido. Era tutta colpa del nervosismo, si disse.
Jimin sospirò.
"Onestamente mi sento un tale principiante. Non mi ricordavo fosse così allora. Sto davvero diventando vecchio. Continuo a pensare che cadrò o dimenticherò una mossa o semplicemente rimarrò li impalato come un blocco di legno,” disse Jimin. Jungkook si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo. Quindi non era il solo a sentirsi così.
"Non ti preoccupare Jimin hyung. Sarai magnifico, anche perché io probabilmente sverrò a metà performance: è impossibile non fare un figurone di fronte a quello” si schernì Jungkook.
Jimin ridacchiò.
"Non accadrà nulla di tutto ciò, scemo". Ma lo disse con un tale affetto mentre gli dava dei buffetti sulla spalla che Jungkook sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Cazzo. Avrebbe davvero voluto baciarlo in quel momento.
Non dissero nient’altro. Rimasero seduti in silenzio a bere il loro caffè. Jungkook si sentiva come qualcuno pronto all’autocombustione ma era comunque piacevole stare con il suo hyung.
Una volta finito, gettarono i bicchieri di carta nel cestino poco fuori il locale e Jungkook avrebbe voluto afferrare di nuovo la sua mano, ma aveva paura e non gli riusciva di trovare una scusa decente per farlo e così fecero il viaggio di ritorno l’uno di fianco all’altro, solo spazio tra di loro e niente ad unirli.
Giunti sul posto, non dovettero aspettare per molto prima di iniziare l’ultima prova. Prima Jungkook potesse rendersene conto si era fatta l’ora.
Seokjin si intrufolò nel back stage per augurare loro buona fortuna, anche se a quel punto Jungkook non era più sicuro di capirci qualcosa.
Erano l'ultima classe di danza a salire sul palco e quindi i ragazzi erano tutti ammassati dietro le tende pesanti del palco, a spiare il pubblico. Jungkook provò a cercare Taehyung con lo sguardo ma non riuscì a trovarlo.
"Sei nervoso?” Gli chiese Jimin. Il loro insegnante aveva appena comunicato loro che mancavano solo cinque minuti.
"In realtà sono spaventato a morte." Jungkook disse con voce spezzata.
"Andrà tutto."
"Hyung, stai tremando."
Jimin prese la mano di Jungkook per l'ultima volta, la luce proveniente dal palco che ballava sul suo volto bellissimo.
Il cuore di Jungkook smise di dubitare.
"Ci siamo", Jimin disse sorridendo prima di salire sul palco.
Jungkook lo seguì.



Jungkook e Jimin salirono sul palco. Presero posizione, videro il loro insegnante dare loro un segnale e si scambiarono un breve sguardo d’intesa. Era ora. La musica iniziò.



Jungkook non poteva sentire niente, era come se fosse diventato improvvisamente sordo, l’unica suono che echeggiava belle sue orecchie era quello del suo cuore che batteva all’impazzata. Esalò, mantenendo la loro ultima posizione. Poi li sentì, come se qualcuno avesse alzato un coperchio e lui fosse stato sottovuoto fino ad allora. Gli applausi e le acclamazioni. Era come se i suoni fossero di colpo più chiari e la luce più brillante e non esisteva nulla, tranne Jimin e Jungkook in quel momento, anche se dietro di loro c’era tutta il gruppo di ragazzi del loro corso. Si tennero per mano e insieme si inchinarono. Poté finalmente vedere tra il pubblico un esaltato Taehyung saltare su e giù, Seokjin scattare foto tra un sorriso e l’altro , e poi Hoseok fischiare mentre Namjoon alzava il pollice all'insù. C’erano tutti.

Si inchinarono per l'ultima volta prima che una persona dello staff gli facesse cenno di tornare dietro le quinte e quindi corsero giù dal palco. Una volta al riparo delle tende, tutti scoppiarono in ululati e risate liberatorie, si abbracciarono l'un l'altro e persino il loro insegnante parve commosso e si congratulò con ciascuno di loro. Jungkook e Jimin non lasciare l’uno il fianco dell’altro nemmeno per un secondo: Jungkook aveva il braccio sopra la spalla di Jimin mentre il secondo lo teneva stretto intorno alla vita del primo.
Applaudirono e gioirono insieme agli altri, ma dopo un po’ Jungkook approfittò della confusione per trascinare Jimin in un angolo.
Jimin sbatté le palpebre, incapace di smettere di sorridere.
"Hyung" Le mani di Junkook erano stringevano le sue spalle delicatamente. "Jimin hyung. Credo di non averti mai ringraziato per avermi fatto tornare a ballare. Quindi grazie, davvero, se non fosse stato per te ... "Jungkook non sembrava in grado di continuare, le emozioni troppo forti da gestire.
"Figurati io non ho fatto nulla,” Jimin rispose arrossendo e allo stesso tempo consumato dalla voglia di afferrarsi al più giovane, così da essere stabili insieme.
"No. Veramente. Dico sul serio. Hai fatto così tanto per me."Jungkook disse queste ultime parole guardando il maggiore negli occhi, poi, fece un passo entrando nello spazio personale di Jimin, così vicino che quest'ultimo poteva contare le sue ciglia, osservare le sue labbra schiudersi e inumidirsi. Jimin chiuse gli occhi.
Fu solo un tocco leggero, più timido dello sbattere di ali di farfalla, labbra sulle labbra, ma lo sentirono entrambi. Il mondo morire e rinascere in un solo attimo. Jimin aprì gli occhi e trovò Jungkook a pochi centimetri da lui, il suo sguardo pieno eppure insondabile. Vide il più giovane aprire le labbra, ma prima che qualcosa ne potesse uscire, furono sorpresi dal fischio di Taehyung. Entrambi fecero un passo indietro. Jungkook, tuttavia, gli strinse la mano rassicurante, prima di mettere distanza tra i due e Jimin riuscì a respirare. Una promessa per un più tardi.
Gli altri vennero loro incontro, Taehyung e Hoseok praticamente gli saltarono addosso.
"Siete stati grandi!"
Seokjin stava ancora applaudendo e Namjooon sfoderava il suo sorriso delle occasioni, quello tutto fossette.
"Grazie." Jimin disse commosso.
"Avete fatto scintille!” Gridò Taehyung praticamente nell’orecchio di Jungkook.
"Sì beh magari non nel mio orecchio Tae," Jungkook disse, ma non riusciva a smettere di sorridere. A un certo punto però, si scusò per andare in bagno, ne aveva avuto bisogno fin da prima, ma l’ora clou era stata troppo vicina per arrischiarsi di andare da qualche parte. Con l’adrenalina che gli scorreva in corpo Jungkook praticamente uscì saltando. Si fermò per un breve istante sulla soglia per guardare i suoi amici e Jimin. I due si scambiarono uno sguardo e sorrisero.
Era così felice e distratto che non si accorse che qualcuno stava arrivando dall’altra parte del corridoio e solo per un pelo riuscirono a evitare lo scontro.
"Oh, scusami tanto, non ti avevo visto".
Il ragazzo per fortuna si era spostato appena in tempo per evitare la collisione e così l'enorme mazzo di fiori che stava portando era rimasto indenne.
"Non ti preoccupare, ti ho visto lassù, immagino che sei ancora su di giri per l’adrenalina. A proposito congratulazioni! "
"Lo puoi ben dire! E grazie," Jungkook fece per andarsene, ma il ragazzo lo fermò.
"Scusami ancora ma non è che per caso sei Park Jimin?"
Jungkook un po 'seccato perché aveva davvero bisogno di fare pipì, scosse la testa.
"No. Park Jimin è la dentro, basso, capelli neri, bel sorriso, non puoi sbagliare. "
"Ok, grazie!".
"A proposito, perché?" Chiese incuriositi Jungkook, occhieggiando il bouquet.
"Un uomo giovane in giacca e cravatta con i capelli tinti di grigio mi ha detto di dare a questo bouquet a Park Jimin." Il ragazzo disse scrollando le spalle. Jungkook sentì un brivido corrergli lungo la schiena. Aveva una sensazione, una sensazione davvero brutta.
In un lampo fece un passo in avanti, prese il bouquet dalle mani del ragazzo che nonostante le proteste non riusci a fermare Jungkook dal leggere il biglietto.
"Dov'è?" Jungkook disse cupo ridandogli il bouquet con enorme fatica, perché in quel momento non voleva altro che prenderlo e gettarlo dalla finestra.
"Dov'è chi?"
"La persona che ti ha dato questo, dov'è?" Chiese Jungkook e il tono che usò non lasciava vie di scampo.
"Nell'atrio! Ma cosa ..? "Jungkook non stette ad ascoltare la sua risposta, ma scattò lungo il corridoio, bisogni impellenti dimenticati, e corse verso l'atrio.
E lì, laggiù vicino alla porta di vetro, c'era davvero qualcuno, con i capelli argentati e in abito costoso. Di persona appariva più fragile di quel che Jungkook aveva immaginato, ma si ricordava di quella espressione, l’aveva vista molto, molto tempo fa da una finestra della biblioteca, anche se aveva creduto di aver cancellato quella faccia dalla sua memoria. Il suo viso appariva così diverso dalle immagini che circolavano sul web, quelle foto lo facevano sembrare carismatico e gentile, cosa che non appariva al momento. Il suo sguardo era lo stesso però, ancora duro e illeggibile.
L’uomo inclinò la testa perplesso quando fu chiaro che Jungkook era lì per lui.
"Perché sei qui?" Chiese Jungkook a corto di fiato, ma determinato ad avere una risposta.
Questi non rispose, ma si limitò a guardarlo infastidito.
"Perché sei qui?" Chiese di nuovo Jungkook alzando la voce.
"Non pensi dovrei essere io a chiederlo?" L’altro infine rispose, con un tono che sembrava annoiato.
"Perché sei qui?" Chiese Jungkook ancora una volta. Stava cominciando a perdere la pazienza.
L'uomo tolse le mani dalle tasche e si avvicinò a Jungkook.
Jungkook fu contento di essere perlomeno più alto, perché l'uomo sebbene di bassa statura e con il viso da ragazzino, appariva molto intimidatorio.
"Penso che non siano affari tuoi. Tu non sei Park Jimin. "Rispose.
Jungkook strinse i pugni.
Si fissarono l'un l'altro per un po ', nessuno dei due voleva distogliere lo sguardo per primo. Poi l'uomo sorrise mestamente interrompendo la loro gara di sguardi. Il sorriso non contribuì affatto a rassicurare Jungkook ma questi cerco di non lasciarsi intimorire.
"Sono Jeon Jungkook." Disse, cercando di recuperare un po' di calma.
"Piacere di conoscerti Jungkook. Sono Min Yoongi. Ma credo tu lo sapessi già."
"Era da un po’ che volevo scambiare qualche parola con te," Jungkook disse cercando di non cadere nei trucchi dell'uomo.
Yoongi rise. "Indovina un po? Anche io Jeon Jungkook. "
Prima che Jungkook potesse rispondere però, sentì dei passi dietro di loro, sempre più vicini finché si fermarono. Udì il suono di un respiro affannoso e Jungkook sapeva chi era, tuttavia non riusciva a girarsi.
"Yoongi,” chiamo la voce di Jimin,
Jungkook vide. Vide il volto di Yoongi cambiare, sciogliersi come neve al sole, una nuova luce si accese nei suoi occhi, più dolce, più gentile e la sua voce fu piena di emozione, quasi quella davanti a Jungkook fosse un’altra persona e non l’algido e arcigno uomo di pochi secondi prima.
"Jimin."
E Jungkook, improvvisamente, si sentì un intruso.

 










NdA: guardiamo i lati positivi. Finalmente ci siamo! Si lo so, anche io mi urlerei contro, ma prometto che aggiornerò il prima possibile. Giuro. Alcune cose non sono venute fuori come speravo,  ma essendo un capitolo di transizione (non so come chiamarlo altrimenti, è un po come un trampolino che introduce al salto) è pieno di contenuti e meno di "emozioni". Intendo quelle che ti fanno venire un nodo allo stomaco e che ci saranno nel prossimo capitolo, per le quali anche io mi dovrò preparare psicologicamente XD  Detto questo, fatemi sapere cosa ne pensate. A presto <3

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Capitolo 27
*** 00.19 ***


00.19




C'era stato un tempo in cui Jimin pensava di sapere cosa fosse l'amore.
L'amore era avere qualcuno che ti dava un bacio al mattino e uno prima di andare a dormire. L'amore era avere una spalla su cui appoggiare la testa e fare un pisolino.
L'amore era Yoongi che lo aspettava fuori dalla palestra per tornare a casa insieme.
Più tardi pero scoprì che l'amore non era nulla di tutto questo.





Ripensandoci, Jimin avrebbe dovuto aspettarsi qualcosa di simile.
Lo aveva visto appostato fuori casa sua nella sua berlina scura e ciò avrebbe dovuto essere abbastanza come avvertimento. Tuttavia, anche se si fosse aspettato qualche tipo di confronto, sicuramente non aveva previsto questo. Avrebbe dovuto. Del resto, aveva sempre avuto quel tempismo terribilmente perfetto quando si trattava di lui, come se stesse aspettando che Jimin ricominciasse a stare bene per riaffacciarsi nella sua vita ancora una volta. Oh, se era stato il suo hobby preferito allora.
Ma ora era tutto diverso. Questa volta Jimin non stava solo bene. Era felice.
"Sei tu Park Jimin?"
Un ragazzo, probabilmente un volontario, era entrato nella stanza adibita a back stage e si era avvicinato a Jimin e al suo gruppo di amici. La conversazione si fermò bruscamente. Sorpreso, Jimin fece un cenno affermativo al ragazzo e con sua grande incredulità questi disse, "allora questo è per te." Dopodiché depositò un bel mazzo di fiori tra le sue braccia, non dei fuori qualsiasi oltretutto, ma i suoi preferiti. Jimin lo ringraziò entusiasta mentre gli altri iniziarono a tempestarlo di domande quando fu chiaro che nessuno di loro era il mittente.
Per un momento, per breve momento, Jimin pensò si trattasse di una trovata di Jungkook, il quale era uscito per via della sua timidezza, non riuscendo ad assistere alla scena in cui gli venivano recapitati i suoi fiori. Eppure sapeva anche che si trattava di un’ipotesi inconsistente. Erano ancora lontani dall’essere giunti in zona “eclatanti gesti d’affetto”, anche se intimamente nutriva la speranza che quella giornata avesse segnato un punto di svolta tra di loro.
La sensazione delle sue labbra sulle sue era ancora fresca e tangibile, ancora bruciava piacevolmente ogni volta che se le inumidiva. Non si erano ancora confrontati però, nessuna parola era stata detta per chiarire quello che significava e quello che eventualmente sarebbe potuto venire dopo.
La sua mano accarezzò uno dei petali e poi girando il mazzo per ammirarne la bellezza, notò il biglietto.
Era fissato in modo precario da uno dei nastri che teneva insieme il mazzo i fiori e sarebbe potuto passare inosservato se non fosse stato per la frase che vi era incisa.
"Ancora adesso le luci si fanno più luminose. M.Y."

Non mi stanco mai di vederti ballare Jimin. Quando tu balli, le luci si fanno improvvisamente più luminose.

Jimin gettò il bouquet con uno strillo e se non fosse stato per la reazione fulminea di Seokjin, sarebbe caduto brutalmente a terra. Sarebbe stato un peccato, almeno per la bellezza dei fiori.
"Jimin, cosa...?" Seokjin iniziò, ma fu interrotto dalle parole più spaventose che Jimin avesse mai sentito da un pezzo.
"Strano, il tuo partner di ballo ha avuto una reazione simile." Il ragazzo commentò un po'sorpreso. Il sangue di Jimin si gelò nelle vene.
"Lui dov'è?"
"Mi ha anche fatto la stessa domanda!" Esclamò il ragazzo ancora più sconvolto. Jimin digerì velocemente le informazioni, anche se sapeva per certo che per lui il più giovane aveva inteso un’altra persona. Una cosa era certa. Jimin con quel “lui” aveva voluto riferirsi a Jungkook, e Jungkook soltanto.
"Dov'è?" Ripeté riuscendo a stento a trattenersi dall’alzare la voce.
"In atrio."
Jimin si precipitò in corridoio, sordo alle proteste dei suoi amici. Avrebbero presto scoperto la verità e forse non sarebbe stato l’unico a precipitarsi in corridoio.
Jungkook. La sua mente urlò.
Quanto tempo era passato da quando Jungkook aveva scoperto cosa stava succedendo al momento in cui lui aveva ricevuto bouquet? Quanto? E che collegamenti mentali aveva fatto il più giovane per reagire similmente a Jimin, non appena aveva scoperto che lui era lì?

Per favore. Per favore.
Non sapeva che cosa stesse chiedendo, né a chi lo stesse chiedendo, ma sapeva che doveva proteggere Jungkook a tutti i costi.
Le luci dell'atrio lo accecarono per un attimo. La prima cosa che notò fu la schiena di Jungkook, in piedi e ad un paio di lunghezze da lui. Tirò un sospiro di sollievo. Era ancora lì, era arrivato in tempo, forse. Ma non riuscì a fare a meno di notare la rigidezza della sua postura e i pugni serrati lungo i fianchi. Quindi, suo malgrado, fu costretto a spostare il suo sguardo verso la probabile causa di tutto ciò.
Yoongi era in piedi poco lontano dalla porta d’ingresso, apparentemente congelato nel suo posto. Indossava degli abiti costosi, tuttavia Jimin lo trovò stranamente trasandato per i suoi standard, la sua giacca era aperta, così come alcuni bottoni della sua camicia, i capelli apparivano scompigliati come se qualcuno ci avesse passato la mano sopra con fare nervoso, ma soprattutto il suo sguardo, lo sguardo di Yoongi, appariva perso. Non aveva alcun diritto di avere quello sguardo e, soprattutto, non era giusto che lui fosse ancora in grado di notare certi dettagli, anche dopo tutti quegli anni.
Si disse tuttavia che niente di tutto ciò contava. Anche se Jimin sarebbe stato in grado di leggere Yoongi così bene fra altri dieci o addirittura vent’anni, non necessariamente ciò doveva significare qualcosa. Tranne che era un buon osservatore.
L’unica persona che contava e che aveva la sua attenzione era quella a pochi passi da lui sulla sua destra. E non era Yoongi.
"Yoongi" Jimin disse, cercando di riprendere fiato. Il suo sguardo guizzò nuovamente su Jungkook, ma il giovane non sembrò accorgersene.
"Jimin." Non era giusto che la sua voce lo chiamasse così. Non era giusto che fosse carica di malcelato sentimento. Non lo era. Jimin voleva prenderlo a calci o dargli un pugno in faccia.
Fu come se quelle parole avessero scongelato la situazione di impasse e in un batter d'occhio vide Jungkook riguadagnare vita e fare un passo indietro. Jimin cercò di muoversi velocemente e riuscì ad afferrare il polso di Jungkook prima che il giovane abbandonasse la stanza. Jungkook sembrò sorpreso dal suo gesto, come se non se lo aspettasse affatto e questo, più di ogni altra cosa, lo ferì a morte.
"E’ questo il modo di dare il benvenuto a un vecchio amico?" Chiese Yoongi dal suo posto. Jimin sbuffò e controvoglia gli rivolse la parola.
"Smettila. Questo non è il posto adatto per fare conversazione. Non so a che cosa tu stessi pensando, venendo qui e portandomi dei fiori. "
"Probabilmente non stavo pensando affatto. Volevo vederti ballare di nuovo, almeno una volta.” Yoongi disse schernendosi, ma era sincero e Jimin lo sapeva. Quelle parole, più del pietoso spettacolo che Yoongi aveva provato a mettere su, furono ciò che infine fece braccia in lui. Insieme a quel senso di finalità nel tono dell’altro.
Improvvisamente le parole di un giovane Yoongi riecheggiarono nella sua testa.
"Credimi, se mai accadesse andrei probabilmente fuori di testa e farei qualcosa di estremamente stupido."
Ma Jimin non poté soffermarsi su quelle parole per troppo tempo perché senti Jungkook liberare il polso dalla sua stretta.
"Io torno indietro." Disse con voce piatta, e specificatamente con il tono che qualcuno avrebbe usato per leggere una lista della spesa. Non attese la risposta di Jimin, ma si voltò senza esitare verso il corridoio.
"Aspetta. Vengo con te". Il maggiore disse, perché non poteva fregargliene di meno di Yoongi.
"Jimin hyung. Rimani.” disse l’altro gentilmente, ma più di ogni altra cosa, lo disse quello che era, senza ombra di dubbio, dolore.
Fu come se i suoi polmoni venissero svuotati della loro aria per la violenza del colpo, con quell’orribile familiare sensazione che qualcosa di prezioso gli stesse scivolando dalle dita e Jimin non avrebbe permesso che ciò accadesse di nuovo, non questa volta, non con Jungkook. Ma non riuscì a muoversi, non ci riuscì, e rimase incollato al suo posto ad osservare la schiena di Jungkook allontanarsi.
“Perché sei qui." Chiese Jimin dopo un po’, e lo disse come quella domanda gli stesse costando troppo. Lui non doveva essere li, avrebbe dovuto correre dietro Jungkook.
"Volevo parlarti. Volevo vederti."
Senza che lui se ne rendesse conto, Yoongi aveva coperto la distanza tra loro e si trovava ora di fronte a lui.
Era sempre così fragile? Aveva visto Yoongi neanche un mese prima, ma in quel momento non aveva prestato attenzione al suo aspetto, non quanto in quel momento, ora che l’altro aveva invaso il suo spazio personale.
"Beh, io non ne ho affatto voglia" e senza aggiungere altro, Jimin si volto pronto ad andarsene, finalmente. Aveva riacquistato abbastanza lucidità da non voler altro che lasciare Yoongi lì.
"Quel ragazzo, Jungkook. Cos’è lui per te?” questi gli chiese, cercando lo sguardo di Jimin. Quest’ultimo pensò che egli non avesse il fottuto il diritto di chiedere una cosa del genere, ma accettò la cosa come una possibilità di mettere le cose in chiaro,
"E’ la persona di cui mi sono innamorato."
Jimin concluse e senza ulteriori indugi, nemmeno uno sguardo, abbandonò un stordito Yoongi nell'atrio.





Jungkook sapeva che aveva appena fatto l'unica cosa che non avrebbe dovuto fare. Ma non riusciva a tollerare di rimanere lì un minuto di più, anche se ciò significava perdere contro quel bastardo. Stava sentendo troppo e faceva troppo male, perché cosa era mai lui per l’amico di fronte a quello che era stato praticamente l’amore della sua vita? Non riusciva nemmeno a comportarsi come se Jimin fosse suo, perché non lo era.
Era stata proprio la decisione di Jungkook a lasciare le cose così.
Scosse amaramente la testa, perché i suoi sogni finivano sempre col costargli caro.
In ogni caso, la verità era che Jimin apparteneva a se stesso e che lui non sarebbe stato meglio di Min Yoongi, se avesse iniziato ad agire e pensare diversamente. L'unico che aveva il diritto di mettere al suo posto Yoongi, era Jimin. Poteva anche decidere di prenderlo di nuovo con sé e Jungkook avrebbe dovuto accettarlo.
Ma era una possibilità? Che Jimin di tornasse con il suo amante storico?

In qualche modo, in tutte le sue elucubrazioni mentali non aveva mai considerato quell’eventualità, sembrava così ridicola, così estranea. Eppure Yoongi era lì, che si comportava come se fosse stato lì tutto il tempo. Maledetto Min Yoongi.
Sentì il suo cuore stringersi. Faceva male, così male.
In quel momento comunque Jungkook aveva due scelte: correre verso la toilette e nascondersi per sempre e sperare che Jimin avesse il buon senso di non seguirlo; o tornare dal loro gruppo di amici, che probabilmente avrebbero avuto molte domande e avrebbero voluto sapere cosa fosse successo, e chiedere loro di portarlo a casa.
Tornare a casa sembrava la soluzione più indolore ma sapeva più di comportamento di un adolescente lunatico invece che di un adulto, di un uomo. Una parte di lui, voleva essere questo per Jimin.
Non c'è niente di sbagliato, nello scappare dalle cose che ci spaventano, Kookie.
Andò in bagno infine. Dopotutto, aveva da fare e forse, se fosse stato fortunato, sarebbe riuscito ad annegarsi nel lavandino. Poteva provarci, almeno.
Dopo aver finito, chiuse la porta della cabina forte dietro di sé e andò lentamente verso i lavandini. Non poté fare a meno di guardarsi allo specchio. Era stato così felice. Nemmeno un quarto d'ora prima era stato così felice. E guardarmi ora. Ho lo sguardo di un uomo sulla graticola.
Si lavò la faccia con l'acqua fredda.
Non illuderti Jungkook, l’amore non fa per te, sussurrò una voce maligna nella sua testa.
Era questo l’amore dunque? Questi sentimenti confusi erano amore?

L’amore doveva essere qualcosa che ti rafforza e non qualcosa capace di distruggerti in qualsiasi momento. Era un contrappasso crudele quello secondo cui più ti attacchi a qualcuno, più l’idea di perderlo ti fa impazzire.
Lo amo? Si chiese Jungkook, osservando le gocce d'acqua che scivolavano lungo il suo viso come lacrime.
Avrebbe dovuto sapere che la fortuna anche quella volta non sarebbe stata dalla sua parte. Quando alzò lo sguardo vide Jimin riflesso nello specchio. Era in piedi davanti alla porta come se avesse paura di fare un passo più vicino.
Jungkook potè, purtroppo, capire la sensazione.
"Noi due… è tutto a posto tra di noi Jungkook?" Chiese Jimin esitante.
Jungkook non sapendo cosa rispondere optò per chiedere qualcosa di diverso.
"Lo sapevi che lui era lì quella notte, in attesa e nell’ombra proprio fuori da casa tua? Era lì anche la mattina dopo."
Jimin sembrò preso alla sprovvista.
"Sapevo solo della notte."
Jungkook scosse la testa.
Non poteva rimanere lì, si sentiva sopraffatto, come se avere Jimin nello stesso spazio stesse consumando quel poco di lucidità che gli era rimasta. Doveva uscire. Cercò di passare oltre Jimin ma questi non lo lasciò proseguire.
"Cosa sta succedendo Jungkook? Non riesco a capire. Pensavo andasse tutto bene. Fino a pochi minuti prima noi ... "
"Sì ti ho baciato. Ti ho baciato, ma è successo questo e che diamine stiamo facendo? Non vedi che stiamo correndo verso un vicolo cieco, non importa quanto impegno ci mettiamo nel far funzionare le cose? L’amicizia. La nostra amicizia così non funziona. " Jungkook disse disperato, perché era vero che essere amici era un titolo troppo stretto, anche se non riusciva ad ammetterlo e quindi lasciò che fosse la sua paura a parlare.
"So che non è quello che pensi. Non proprio. Se Yoongi non si fosse mai fatto vivo non avremmo avuto questa conversazione!”
"Forse, chi lo sa. Ma è venuto e non lo sapremo mai. "
"Non è colpa mia! Non l'ho chiamato io! "
"Non l’hai esattamente cacciato via!" Jungkook ribatté.
"Stiamo davvero avendo questa conversazione? Junkook ti ascolti quando parli? "
"Non posso farlo ora hyung, lasciami uscire!"
"No. Se ti lascio andare fuori adesso, ho paura che sarebbe l’ultima volta. "
Jungkook si senti trafitto parte a parte. Non lo avrebbe mai fatto. Tre mesi fa sarebbe stato felice di sbarazzarsi di Jimin, sarebbe stato soddisfatto.
"Non ti ricordi, Hyung? Ti ho detto che se potessi fermare il tempo e far scomparire tutto, non vorrei far scomparire te. Avresti dovuto capire allora." Jungkook disse con voce tremante.
Questo fu sufficiente per fare esitare Jimin e Jungkook utilizzò quel momento per uscire di lì e tornare il prima possibile dagli altri. Doveva trovare Taehyung, ma non fu in grado di fare più di due passi nel corridoio.
"Ti amo. Jungkook, ti amo. Quella volta ti ho detto che provavo qualcosa, ma stavo mentendo. Perché le parole “provare qualcosa” sono un eufemismo per descrivere quello che veramente sento. Ti amo. Amo tutto, il meglio e il peggio di te, i tuoi alti e i tuoi bassi perché sei sempre tu, il giovane uomo coraggioso di cui mi sono innamorato. "
Jungkook si fermò, non sapendo se correre via oppure girarsi ed abbracciarlo per non lasciarlo andare mai più.
Amore. Qualcuno lo amava. Jimin lo amava.
"Jimin. Io ... ", ma non riuscì a finire. Non riusciva ad articolare le parole, eppure era così vicino ad ammetterlo. Era terrorizzato, spaventato a morte, perché sul suo libro l'amore non era per i numeri zero, l'amore non era per lui. L'amore ti faceva perder ogni tipo di pensiero razionale. L'amore ti faceva morire.
"Tu mi ami?" Sussurrò Jimin facendo un passo verso di lui, poi due, fino a quando la sua mano toccò teneramente la guancia dell’altro. Jungkook chiuse gli occhi, come se un semplice tocco fosse in grado di bruciare il pianeta.
"Possibilmente. Probabilmente. Ma ho paura che non sia abbastanza." Per salvarci. Per essere felici. L’amore non basta.
Non attese la risposta di Jimin, corse lungo il corridoio, non gli importava più niente di affrontare i loro amici, aveva bisogno di tornare a casa.
Ignorò completamente le domande di Seokjin quando entrò nella stanza. Cercò con lo sguardo il suo migliore amico che era seduto su un tavolo. Taehyung doveva capire.
Lo fece. Perché la sua espressione si fece seria. Corse verso di lui, Hoseok a pochi passi da lui.
"Mi dispiace ragazzi, vi siete impegnati così tanto per esser qui, ma ho paura che non sarò in grado di rimanere per la cena." Jungkook sbottò. Seokjin e Namjoon sorrisero tristemente. Jungkook per un momento pensò che il biondo si sarebbe scagliato contro di lui, invece, quando passò al suo fianco all'entrata, strinse dolcemente la sua spalla.
"E’ ancora nella toilette. Hyung ti prego vedi di lui.” Per me. Vedi di lui per me. Jungkook disse. Seokjin annuì. Non appena fu uscito dalla stanza, Jungkook sentì le sue ginocchia vacillare e finì col crollare su Taehyung.
"Andrà tutto bene, Kookie. Andrà tutto bene. Ti porto a casa." Taehyung gli sussurrò dolcemente in un orecchio. Jungkook annuì sulla sua spalla. Hoseok accarezzò ancora più dolcemente la sua testa. Insieme lo trascinarono fuori di lì.
Possibilmente. Probabilmente.
Troppo.







Gli sembrò di riemergere da un bruttissimo sogno i cui contorni erano poco chiari.
Jungkook si svegliò tre giorni dopo ancora debole per la febbre.
A quanto pareva era dovuto rimanere a letto semi-cosciente per giorni. Non aveva sentito Jimin da allora. Si sentiva così stupido. Si sentiva un tale fallimento. Jimin sicuramente lo odiava, Seokjin e Namjoon probabilmente lo odiavano. Poteva quasi immaginare il sorriso soddisfatto di Min Yoongi.
Ora che aveva avuto tempo di marinare le sue emozioni e aveva avuto lunghe ore da dedicare alla riflessione, si sentiva peggio ogni volta che è tornava agli avvenimenti di quel giorno.
Si era reso conto che probabilmente aveva reagito nel peggiore dei modi possibili davanti ad uno dei sentimenti più comuni relativi all’amore. Gelosia. Era stato geloso e codardo, per coronare il tutto. Sebbene l’incontro fosse servito infine a fargli ammettere i suoi sentimenti, non era stato in grado di mantenere il terreno e aveva rovinato la sua dichiarazione. Jungkook ricordò che Taehyung gli aveva sussurrato alcune parole mentre gli accarezzava i capelli per calmarlo dagli incubi e dalla febbre. "Sei così ansioso, agitato, così inesperto. Imparerai. Questa è la vita in fondo”.

Jungkook guardò il contenitore del pranzo appoggiato su un ripiano della cucina con la zuppa del giorno. Taehyung era venuto prima a portargliene un po’. Doveva essere stato Hoseok a cucinarla per lui, perché il suo migliore amico non sarebbe stato in grado di cucinare nemmeno per salvarsi la vita. Poi si ricordò di aver visto quello stesso contenitore viola con i bordi un po’sbeccati in una delle credenze di Jimin. Quando aveva chiesto a Taehyung se fosse quella effettivamente la provenienza, il suo migliore amico non aveva negato.
Jungkook pianse in silenzio su di esso. Abbracciandolo come a volerne assorbire il calore. Non lo meritava. Non meritava Jimin né il suo amore.
Come si fa a vincere la paura, hyung?

Jungkook aveva voluto chiamare Jimin tante volte e implorare perdono, ma ogni volta che aveva pensato di farlo si era fermato in preda alla vergogna. Egli non aveva bisogno solo di parole. Jungkook doveva vincere le proprie paure, prima.
Non era ancora riuscito a far chiarezza in se stesso per tornare alle lezioni di danza e quindi per una settimana non ci andò. Non voleva incontrare Jimin, non ancora. Non prima di avere un piano per risolvere il problema in qualche modo.
Cosa stai facendo Jungkook. Cosa diavolo stai facendo? Qualche giorno dopo, ricevette una chiamata dall’insegnante Lee che fondamentalmente aveva ordinato la sua presenza in classe.
"Ho già perso uno dei miei studenti migliori. Non intendo perdere anche te. Inoltre restano solo poche lezioni, non puoi perderti gli ultimi giorni. "
"Neanche Jimin è venuto?" Jungkook chiese allarmato perché l'unico altro studente non poteva che essere Jimin.
"Pensavo che lo sapessi già Jeon. Comunque, vieni o no? "
Jungkook tornò solo per verificare se ciò che il maestro Lee aveva detto era vero, perché non riusciva a crederci. Jimin aveva insistito per venire qui. Jimin era quello con il talento. Doveva essere lì. Ma non c’era. Continuò a fissare il posto vuoto alla sua destra.
Il più giovane non capiva perché Jimin si preoccupasse per lui al punto da cucinargli della zuppa, ma a quanto pareva non abbastanza per vederlo. Puoi forse dargli torto, il suo cervello suggerì.
Quando la lezione di danza finì, Jungkook corse verso la reception nella speranza di parlare con Seokjin.
Per fortuna lui era ancora lì. Stava sistemando la scrivania, ma era ancora lì.
"Hyung. Hyung ho bisogno di parlare con te.” Seokjin alzò un sopracciglio, ma non lo guardò male. Sembrava solo stanco.
"Jungkookie. Dimmi."
“Jimin Hyung sta bene?" Chiese. Il viso di Seokjin si trasformò in un’espressione strana, forse esasperazione.
"Sta bene."
"Grazie a Dio,” disse Jungkook sollevato. Seokjin non aveva usato parole come abbastanza, o non sono affari tuoi, quindi probabilmente Jimin stava davvero bene. Jungkook non desiderava altro.
"E tu Jungkook stai bene?"
"Io?"
"Sì tu. C'è una certa persona che continua a chiedermelo. Ho intenzione di dirti cosa gli ho risposto. Perché non glielo chiedi tu? "
"Jimin ha chiesto di me?"
"No, Namjoon"
"Oh…"
"Certo che è stato Jimin, sciocco. Per essere due persone che si vogliono bene state davvero facendo di tutto per rendere le cose il più difficili possibile.
Jungkook si sgonfiò sulla scrivania.
"Questo è più per colpa mia."
Seokjin sospirò.
"Onestamente Jungkook non sono nemmeno arrabbiato con te. E posso dirti che Jimin ha smesso di esserlo. Nessuno si aspettava che tu facessi tutto bene al primo colpo per quanto in realtà ci avessimo sperato tutti, senza offesa. Inoltre le circostanze sono state rovinate da ... " fece una pausa per aggrottare le sopracciglia. "Anche se non sapremo mai come sarebbe andata, so che ci tieni a Jimin. So anche quanto sia difficile vincere le proprio paure. L’amore può spaventare a morte, io lo so bene. Detto questo, se ci tieni a lui come hai detto di tenerci, spetta a te trovare un modo Jungkook, perché Dio solo sa se Jimin ha fatto la sua parte. Trova un modo, o la cosa più bella che ti sia mai capitata nella vita ti scivolerà tra dita e tutta questa sofferenza non sarà servita a un accidente.”
"Ci sto provando. Con tutto me stesso. Voglio tornare per restare questa volta. " Jungkook disse capendo infine che forse Jimin era sparito per, ancora una volta, fare un favore a lui. Dargli tempo di curare le sue ferite e trovare le risposte.
"Non perdere troppo tempo a venirne a capo.” Jungkook annuì.
"Non lo farò. Io lo amo, hyung. Io amo Jimin."
"Finalmente." Seokjin esclamò schiaffeggiandogli la nuca. Jungkook non si lamentò, pensò che si meritava ben di peggio. "E non piangere. Ti si stropiccia tutta la faccia."
Il più giovane annuì tirando su con il naso.

“Bene.” Disse Seokjin e il suo colpo si trasformò in carezza.
Avrebbe dovuto dirlo fin dall'inizio.
In quel momento Jungkook giurò che mai più avrebbe lasciato che le sue paure parlassero per lui, che sarebbe diventato forte affinché ci fosse un giorno in cui nessuno avrebbe dovuto più consolarlo.
Inspirò. Sì, dire la verità l’aveva fatto sentire meglio, libero. Come un uccello che può finalmente spiegare le ali.
Lui amava Jimin. Forse l’aveva fatto sin dall’inizio ma il suo se stesso atrofizzato, piegato su se stesso, ancora rinchiuso in quell’armadio ad arginare il mondo, non era riuscito a riconoscere il sentimento. Jimin l’aveva liberato. E ora una miriade di sensazioni, quelle che per anni aveva ucciso per sopravvivere, gelosia, desiderio, invidia, rabbia, affetto, senso di appartenenza, amore, si affacciavano timide sulle rovine del suo cuore.
Libero. Sarebbe stato così semplice dirlo fin da subito, ma forse aveva bisogno di distruggere per capire. Che sentire non era una debolezza, che amare non era la fine del mondo. Ma l’inizio. Finalmente poteva correre nel mondo ad occhi aperti.





"È un po' inquietante, sai. Prima ti apposti fuori dall’appartamento di Jimin hyung e ora questo. Non ti sembra un po’ da stalker?” Chiese Jungkook, le braccia incrociate mentre sedeva rigidamente sulla panchina del parco. Dio quanto detestava quest’uomo. Da quando aveva aperto il rubinetto dei sentimenti godeva del far fluire le sue emozioni libere.
"In primo luogo, non ero lì per te. In secondo luogo, ho dovuto pregare in ginocchio per avere il tuo numero, quindi siamo pari. La mia dignità per il tuo tempo." Disse l’altro esalando una boccata di fumo.
"Dovrei sentirmi lusingato?"
L'uomo si strinse nelle spalle.
"Devi davvero fumare?"
"Scusa, le cattive abitudini sono dure a morire. Sono solo nervoso. E fumare aiuta. "
Jungkook non disse nulla per un po'. Poi sospirò.
"Dimmi. Non voglio stare qui più del necessario.”
"Avevi detto che volevi parlare con me."
"Sì. Questo era prima, ora non mi interessa tanto. Posso sempre farti qualche domanda dopo però"
L'uomo finalmente gettò via la sigaretta e si voltò a guardare Jungkook.
Non aveva più i capelli grigi ma erano biondi, lo stesso colore con cui Jungkook lo ricordava alle superiori.

Ancora non riusciva a credere che stava dividendo una panchina con Min Yoongi.

 










NdA: scrivere questo capitolo è stato una tortura medievale. Dio solo sa quanti accorgimenti ho fatto. A un certo punto stavo per gettare la spugna, rinchiudermi in una grotta e non uscirne più. Alla fine sono riuscita a renderlo accettabile, grazie e soltanto a Min Yoongi e alla sua First love che mi hanno ispirato (unpopular opinion: è l'unica canzone che mi piace davvero dell'album. Anche se ammetto che il movimento di fianchi di Hoseok mi tormenterà per molte notti XD). Comunque immagino sappiate già cosa viene ora, ossia l'interlude che al momento è in progress. Suggerimento: preparate i fazzoletti. Io sono riuscita a rattristarmi da sola mentre lo scrivevo, yay. Mi sento emotivamente svuotata, ho persino perso due volte il salvataggio del mio ultimo editing e ho quasi pianto. Quindi qualche parola di incoraggiamento mi farebbe un sacco piacere TT Un bacio e alla prossima!
(A proposito. Vi ho mai detto che il sequel sarà Vixx?)

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Capitolo 28
*** Sogno, realtà (interlude) ***


Sogno, realtà (interlude)


 



Yoongi era nato in una piccola città in una zona rurale lontano dalle metropoli. Era un buon ambiente per crescere, soprattutto quando avevi sei anni e il mondo era il tuo parco giochi personale.
C'erano un sacco di alberi su cui arrampicarsi, cespugli da cui rubare more succose e un sacco di bambini con cui giocare. Yoongi poteva dire ora che quello era stato probabilmente il suo periodo più felice.
Era troppo giovane per capire che quello che era il suo paradiso era un vero e proprio inferno per la sua famiglia.
A quel tempo suo madre aveva cominciato a lavorare nella fabbrica locale sebbene le ore di lavoro come operaio di suo padre non fossero diminuite. Yoongi aveva preso atto di questo cambiamento, senza dare troppa importanza alla cosa.
"Tu sei il mio miracolo, Yoongi. Sei il miracolo della nostra famiglia. " Sua madre era solita dire queste parole ogni volta che veniva a prenderlo dalla casa di sua nonna. Aveva sempre un’espressione cupa in volto dopo il lavoro, ma Yoongi cercava di non darci peso, perché i suoi abbracci erano ancora caldi anche quando lei lo abbracciava un po' troppo stretto. Lui non si lamentava, però. Lei gli mancava: era la sua migliore amica, il suo compagno, la sua mamma, aveva solo lei perché suo padre lavorava troppe ore per essere in grado di passare con lui un po' del suo tempo, mentre la madre era sempre stata con lui. Era giovane e non si rendeva conto che era l’unico amico anche di lei.
Le cose strane, però, iniziarono un anno dopo. Avevano avuto le lezioni sulle anime gemelle l’anno precedente in prima elementare e Yoongi aveva preso questa informazione come prendeva tutte le informazioni che non riguardavano nuovi giochi eccitanti. Con completo disinteresse.
C'era un bambino nella sua scuola, era un paio di anni più grande. Era iniziata come una scaramuccia infantile perché Yoongi era un giocatore migliore sul campo da basket, anche dei ragazzi più grandi di lui. Stava cercando di spiegare a questo bambino che avevano vinto lealmente, ma lui non voleva capire e Yoongi avrebbe dovuto lasciar perdere. Sua madre non gli aveva sempre detto di non attaccar briga?
"Zitto, bugiardo!" Il ragazzo aveva detto spingendolo a terra. Yoongi aveva fatto del suo meglio per non piangere, anche se il suo di dietro faceva male. Gli altri bambini avevano riso. Era solo un insulto infantile, l’episodio lo fece imbronciare per un po ', ma non penso ulteriormente all’accaduto.
Avrebbe dovuto. Perché dopo le cose iniziarono a degenerare.
Era stato questo bambino a incominciare, ma subito dopo anche gli amici di costui iniziarono a prendersela con lui. Ma Yoongi era un bravo studente ed era ancora il miglior giocatore di basket in campo. Si trattava solo di un gruppo di ragazzi annoiati che, per qualche ragione, avevano deciso di prenderlo di mira perché erano invidiosi.
"Falso, bugiardo!" Yoongi si scrollava di dosso le parole. Non era importante, gli altri bambini a scuola sapevano la verità, lui sapeva la verità. Decise di non dire nulla a casa, il padre era impegnato con il lavoro o a trascorrere il suo tempo a bere da una bottiglia e sua madre lavorava sempre più ore.
Yoongi finì col trascorrere molte ore a casa di sua nonna.
A casa era ancora il loro tesoro, il loro piccolo miracolo. Il loro campione. Quindi non gli importava se alcuni bambini a scuola lo prendevano in giro.
"E 'un bugiardo, un falso. Mio padre dice che i numeri zero sono rifiuti della società perché non fanno altro che mentire. La tua famiglia è spazzatura! "Yoongi perse la pazienza, non gli importava se il bambino era più alto di lui. Si lanciò su di lui e tirò un pugno, anche se non l’aveva mai fatto prima. Si concluse tutto con dei brutti lividi e una lavata di capo nell’ufficio del preside. La madre si scusò ripetutamente con il preside e la famiglia del bambino. Yoongi pensò che fosse ingiusto perché avevano insultato la sua famiglia e lui si era solo difeso. Quando cercò di protestare sua madre lo fulminò con uno sguardo e lui chiuse bocca. Se possibile, lei si inchinò ancora più profondamente.
"Ma mamma, tu sai che ho ragione. Hanno detto che siamo bugiardi, falsi, ci ha insultato! "
"Anche se fosse così, cosa ti avevo detto? Niente baruffe! "
"Ma mamma."
"Yoongi!” Lei lo sgridò, ma subito dopo si er guardata intorno imbarazzata, perché si trovavano ancora nel patio della scuola. Alcune delle altre madri si erano voltate a fissarli. Lei lanciò un’occhiata di avvertimento al figlio e Yoongi non ebbe il coraggio di parlare e salì fumante in macchina.
Una volta dentro, sua madre accese il motore e rapidamente guidò la macchina fuori dal parcheggio della scuola.
"Yoongi devi capire. Noi siamo chi siamo. Non avete avuto le lezioni sulle anime gemelle l'anno scorso? Noi siamo numeri zero. Siamo numeri  zero da tre generazioni. Se non ti comporti bene può finire molto peggio di una lavata di capo dal preside! "
"Ma io non sono uno zero!" Protestò Yoongi.
"Lo so caro. Tu sei il nostro piccolo miracolo. Ma qui, in questo piccolo posto dimenticato da Dio, è come se lo fossi. Promettimi, promettimi che non risponderai alle provocazioni! Mai!"
Yoongi non disse nulla. Perché lui non voleva mentire.
Le zuffe, infatti, non si fermarono perché il bullismo non si fermò. Era doloroso. Era ancora un bravo studente e lui era ancora il miglior giocatore sul campo da basket. Ma anche altri bambini avevano cominciato a prendersela con lui, perché Yoongi si azzuffava spesso e questo gli aveva guadagnato una cattiva reputazione.
Voleva lamentarsi e urlare per la frustrazione perché non era giusto. Quando aveva cercato di dirlo alla sua insegnante lei gli aveva sorriso, quel suo sorriso smielato da numeri due, e gli aveva detto che forse Yoongi doveva fare uno sforzo maggiore per integrarsi.
Quando lui si lamentò con sua madre lei lo mise in castigo per aver disobbedito. Ma lui non pianse , non avrebbe mai pianto, si disse.
Perché aveva ancora i suoi alberi, i suoi cespugli di more e lui poteva ancora correre libero per i campi, anche se non aveva amici. Anche se lui non capiva.
Poi, un giorno vide sua madre venire a prenderlo a casa di sua nonna e non poté fare a meno di notare che aveva gli occhi rossi. Come se avesse appena pianto. Yoongi non ebbe il coraggio di fare domande e dopotutto lei stava sorridendo. Forse aveva immaginato il rossore. Questa città era ancora il suo paradiso.
Un giorno Yoongi non ce la fece più. Sgattaiolò fuori dalla casa di sua nonna e con la bici pedalò fino in fabbrica, che si trovava poco al di fuori della cittadina. Era comunque una grande distanza per un bambino di sette anni e il suo respiro si fece ben presto affannoso, ma doveva scoprire cosa stava succedendo.
La madre stava uscendo dalla fabbrica, c'erano piccoli gruppi di uomini e donne che chiacchieravano fra di loro, ma sua madre era da sola. Lei non sorrideva.
"Quella donna è sempre triste. Dovrebbe essere grata che i proprietari stanno dando un lavoro a qualcuno della sua specie. " Dissero alcuni degli uomini passando davanti al nascondiglio di Yoongi, Non avevano detto il nome di sua madre, ma in qualche modo Yoongi sapeva. Abbandonò la bici in un angolo e corse verso sua madre. Lei sembrò spaventarsi alla sua vista e stava per sgridarlo, ma lui non glielo lasciò fare e la abbracciò stretta in vita.
Sua madre gli restituì l'abbraccio. Yoongi aveva capito, oh se aveva capito.
Anche sua madre era una vittima.


 


 


Quando Yoongi compì dodici anni le cose cambiarono bruscamente. Sua nonna morì e con lei ogni legame che teneva radicata la famiglia Min a quella città. Con i loro risparmi e con la promessa di un buon lavoro per il padre nella capitale, i Min si trasferirono. Mentre Yoongi osservava la città natale dallo specchio posteriore della vettura, fu preso da sentimenti agrodolci. Era la sua città natale e aveva alcuni ricordi felici là, ma non si era mai sentito così sollevato in vita sua.
Sapeva che se fosse rimasto più a lungo avrebbe iniziato a odiare ogni donna, uomo o bambino che vi abitavano.
Nella capitale, la loro vita cambiò drasticamente. Il lavoro del padre si rivelò essere migliore di quello che avevano sperato e la famiglia conobbe finalmente del benessere. La madre iniziò a sorridere di più e in modo sincero. Lei lavorava ancora, anche se non più così tante ore come era solita fare in passato. Yoongi frequentava la scuola vicina al suo quartiere e aveva nuovi amici. Nella nuova scuola nessuno lo prendeva in giro e lo adoravano per la sua abilità sul campo da basket.
La sua famiglia finalmente trovò un po 'di pace e Yoongi pensò che il peggio era stato lasciato alle spalle.
Poi, un giorno, mentre tornava da scuola, trovò sua madre intenta a parlare con la loro vicina.
"Oh Yoongi, sei cresciuto? Ogni volta che ti vedo, sei sempre più grande! "La loro vicina di casa era una brava e anziana donna che aveva un sacco di gatti. A Yoongi piaceva giocare con loro.
"Quanti anni hai comunque?"
"Ne faccio tredici quest'anno."
"Scommetto che sei davvero curioso di incontrare la tua anima gemella Mi ricordo che quando avevo la tua età ho preso l'autobus fino all'altra parte della città perché in qualche modo mi ero convinta che la mia anima gemella viveva lì." La vecchia raccontò ridendo.
"A dire il vero .." Yoongi cercò di dire. Non aveva mai dato importanza alla questione anime gemelle, anche perché era impossibile per lui scindere i numeri due dal sentimento di odio. Non poteva dimenticare che la sua famiglia era stata vessata per anni proprio da loro.
Se avere un'anima gemella significava guardare dall’altro in basso chi non ce l’aveva, allora a Yoongi non voleva avere nulla a che fare con tutto ciò, al diavolo il suo numero uno. Oltretutto per tutta la sua vita era stato trattato da numero zero e ormai si era abituato all’idea. In questo modo non avrebbe avuto nulla da spartire con quella cricca.
"Mio figlio è davvero ansioso di incontrare il suo numero uno. Ma gli ho detto di aspettare un po 'più a lungo! Cinque anni Yoongi e poi sarai come me e tuo padre. Sa, abbiamo la stessa età e quindi siamo stati fortunati e ci siamo incontrati quando entrambi avevamo diciott'anni! "Sua madre commentò ridendo. La vecchia rise. Yoongi impallidì. Cercò di sorridere debolmente e con una scusa qualunque entrò in casa.
"Bugiardo. Falso "Quelle parole non avevano mai fatto così male. Perché erano vere. Sua madre aveva mentito. Stavo mentendo. Forse avevano mentito per tutto il tempo. Perché erano numeri zero da tre generazioni. Quello di sua madre e suo padre era stato un matrimonio combinato dalle due famiglie in città che notoriamente si erano distinte per il loro sfortunato retaggio. Il loro matrimonio era stato tranquillo ma non per questo felice. O con amore.
"Cosa è stato quello Yoongi?" Chiese la madre di lui entrando nella sua stanza incurante della sua privacy.
"Mamma non sei un numero due." Lui la accusò.
"Caro non siamo più in quel postaccio. Quindi sì, siamo numeri due.”
"Non lo sei. Io lo sono."
"Sì e non vedo perché qualcuno dovrebbe saperlo."
"Ma ... stiamo mentendo"
"Yoongi, Yoongi sei troppo giovane per capire."
"Capisco che siamo dei bugiardi.”
"Ascoltami giovanotto. Se dico che siamo numeri due, noi siamo numeri due. Non ti azzardare a dire il contrario in pubblico! Mi hai sentito? Non ho sofferto così a lungo in quel pozzo infernale per risparmiare soldi per la nostra fuga, solo perché il nostro nuovo presente venga spezzato perchè tu non sai dire una semplice bugia. Tu sei il nostro piccolo miracolo, ricordartelo. Questo significa che hai delle responsabilità in questa famiglia. Grazie a te saremo in grado di porre fine a tre generazioni di disonore ! Quindi, se ti dico di mentire tu lo farai! "Yoongi era troppo scioccato per muoversi. Guardò sua madre come se non l’avesse mai vista prima.
Perché sua madre si stava comportando in quel modo? Ricordava il suo bel viso, lei che aveva cercato di sorridere anche nei momenti più difficili. Lo chiamava il suo piccolo miracolo. Improvvisamente quelle parole non suonarono più così bene.


 



A 15 anni Yoongi incominciò a ribellarsi. La sua famiglia aveva iniziato ad avere contatti con la famiglia della sua anima gemella da un anno e Yoongi aveva deciso che non voleva niente di tutto questo. Questo aveva fatto impazzire sua madre che era più severa che mai con lui. Yoongi quindi aveva preso l’abitudine di stare lontano da casa il più a lungo possibile.
Al diavolo le anime gemelle, al diavolo i numeri due.
Iniziò a fumare solo per fare un dispetto a sua madre e aveva deciso di uscire con quante più persone gli era possibile.
Faceva male. Così male. Si sentiva usato, ingannato dalla sua famiglia  per tutti quegli anni: ai loro occhi lui non era un figlio da amare, ma uno strumento da utilizzare per avanzare di status. Yoongi non avevano alcuna intenzione di stare al loro gioco.
Il suo primo giorno di scuola superiore si svegliò tardi e uscì da casa senza salutare i suoi genitori. Sua madre iniziò ad urlare come al solito ma a Yoongi non importava. Sapeva che una volta messo il piede fuori casa, sua madre non avrebbe avuto il coraggio di dire nulla perché era troppa occupata a mantenere la facciata della felice e pacifica famiglia numero due. Gli veniva il volta stomaco al solo pensiero.
Yoongi aveva un piano nella vita ed era quello di non sposarsi mai e di vivere una vita per se stesso. C’erano un sacco di cose che poteva fare le quali non comportavano avere un'anima gemella. Poteva diventare un grande medico e contribuire alla società. Oppure poteva perseguire l'arte, dopo tutto il suo status glielo lasciava fare. Negli ultimi tempi, aveva cominciato a mixare basi al computer invece di andare ad allenarsi sul campo da basket. Sempre più spesso scriveva parole sparse, piene del suo dolore e della sua solitudine. Sperava che un giorno qualcuno le avrebbe ascoltate e sentendole si sarebbe sentito consolato.
Aveva un piano e lui era pronto. Nulla lo avrebbe distratto dal raggiungimento del suo obiettivo.
Poi incontrò Park Jimin.


 


 


Jimin era un numero zero. Jimin era tutto ciò che Yoongi avrebbe chiesto se avesse saputo cosa chiedere.
Non l’aveva fatto apposta era semplicemente successo, di innamorarsi.
Era difficile resistere a quel sorriso, a quella senso di calore che Jimin irradiava ovunque, sempre, come se non ci fosse nulla che potesse portargli via quella luminosità. L’ unica esperienza di Yoongi con i numeri zero era quella con la sua famiglia, che aveva conosciuto solo sofferenza e le cui difficoltà li aveva imbruttiti dentro, consumandoli dall'interno pezzo per pezzo.
Jimin era diverso, speciale. Non gli importava se il mondo continuava a dirgli che non poteva amare lui era ancora determinato a farlo. Yoongi fu sopraffatto da questa forza della natura e quindi se Jimin poteva amare, perché Yoongi non poteva farlo? E così lo amò con tutto il fervore di un sedicenne e anche di più.
Jimin era stato tutte le sue prime volte e lui davvero, davvero, sperava fosse anche tutte le sue ultime.
"Cosa pensi di star facendo?"
Aveva provato. Aveva provato a tenere Jimin nascosto alla sua famiglia fino a quando lui non sarebbe stato abbastanza grande per cercare un lavoro e andare a vivere con il numero zero. Perché la sua famiglia era diventata il simbolo di una vita che lo disgustava, una vita fatta di menzogne, ambizione e invidia. Avrebbe dovuto sapere che sua madre aveva notato i suoi cambiamenti.
"Non so di cosa stai parlando mamma." Disse Yoongi facendo finta di fare i compiti mentre invece aveva il diario con le rime sotto il libro di testo.
" Se lo dici tu. So che ai numeri due piace fare esperienza prima che il legame sia sigillato, e va bene. Capisco che sei un ragazzo sano e curioso. Ma ricordati. Non si può sfuggire al destino. Io lo so bene, figlio mio. "Aveva detto quelle parole con il tono dolce e comprensivo di una madre che da consigli amorevoli al prezioso figlio ma Yoongi non si fidava affatto. Era un avvertimento. Un promemoria di ciò che la famiglia si aspettava da lui. Quello che il mondo intero si aspettava da lui. Non disse nulla. Continuò a scarabocchiare sul quaderno in attesa che lei si allontanasse dalla porta della sua camera da letto.
"Quando sarà il momento, sbarazzati di lui. " Disse prima di andarsene. Attese un minuto intero prima di prendere i suoi libri di testo e scaraventarli sul muro.
Probabilmente aveva visto Jimin sulla via del ritorno. Aveva sempre fatto in modo di salutare il suo ragazzo prima di arrivare a casa sua, ma in qualche modo lei era riuscita a individuarli.
Le madri sanno sempre, la gente era solita dire. Ma Dio sapeva se Yoongi non voleva questo. Ancora un anno, si disse Solo un altro anno e poi avrebbe preso Jimin e insieme sarebbero fuggiti il più lontano possibile. Lontano dalla madre, dalla sua famiglia, in un luogo dove potevano amarsi liberamente.
Lui è non aveva bisogno di un’anima gemella. Amava Jimin e lui lo avrebbe avuto.
Si morse le labbra nel tentativo di non piangere. I bugiardi non meritavano lacrime.


 



"Pensi mai al futuro? Sistemarsi? Avere una grande casa con un gatto e un cane. Avere una famiglia?"
Era un bel pomeriggio di maggio. Lui e Jimin si erano fermati a comprare un gelato e poi in un parco sulla via di casa. La domanda lo colse di sorpresa. Min Yoongi non parlava di futuro ed era tristemente noto. Perché il futuro era spaventoso e incerto e sapeva che prima o poi avrebbe dovuto spiegare a Jimin il tutto in modo da convincere il suo fidanzato a fuggire con lui. Era stato tentato così tante volte di confessare la verità, che lui, Yoongi, non era affatto una bella persona come Jimin pensava, che era invece un bugiardo e che aveva un segreto: era un numero due che non era libero di amare chi voleva, ma amava Jimin comunque e aveva mentito al fine di continuare a farlo.
Min Yoongi non parlava di futuro, perché la paura lo mangiava vivo, la paura al pensiero che il suo ragazzo scoperta la verità lo lasciasse. Jimin era sempre stata la parte migliore di loro e se avesse saputo che l'altro aveva un’anima gemella, avrebbe fatto un passo indietro per dare una possibilità a  Yoongi e alla sua anima gemella. Mentre a lui invece non fregava niente. Sarebbe volentieri marcito all'inferno pur di continuare a stargli accanto.
Tuttavia quella volta la dolcezza nella voce di Jimin gli fece venire voglia di rispondere.
"A volte."
Rispose, sedendosi su una panchina e facendo sedere Jimin sul suo grembo.
Appoggiò la fronte sulla sua spalla.
"Anche io. Penso che preferirei una casa invece di un appartamento così da poter avere cani e gatti e un giardino dove crescono fiori.”
"Niente bambini?" Yoongi lo prese in giro
"Sai che non possiamo, Yoongi." E sembrava triste al pensiero.
" Vorresti?"
"A volte,” disse e Yoongi si chiese se il suo tono aveva avuto la stessa nota triste di Jimin “Tu?” Chiese l'altro poi.
"Diavolo, no." Rispose Yoongi scuotendo la testa. Jimin si voltò a guardare la sua espressione offesa e rise.
"Cosa hanno mai fatto i bambini a Min Yoongi?"
"Io e i bambini non andiamo d’accordo, credimi. Chiamami pure stronzo, ma  sono così felice che tu sei quello che sei. Penso andrei fuori di testa se un giorno qualcuno mi annunciasse che sto per diventare padre. Probabilmente finirei per fare qualcosa di veramente stupido. "
"la pensi così solo perché siamo troppo giovani".
"No. Dico così, perché è così ". Yoongi strinse la vita di Jimin. "Possiamo vivere con una dozzina di cuccioli sei vuoi. Davvero non mi importa, basta che ci sei tu. "
Jimin si chinò per baciarlo.
Yoongi si chiese per l'ennesima volta perché il tempo non poteva rallentare e rendere quel momento infinito.


 



Quando Yoongi compi 18 anni conobbe il vero terrore.
Il suo diciottesimo compleanno sarebbe stato per gli anni a venire il giorno peggiore della sua vita.
Dopo l'ultima discussione con sua madre i due non si erano detti più nulla al riguardo. Lei scuoteva la testa in segno di disapprovazione ogni volta che lui usciva con una scusa casuale. Lei doveva sapere che stava andando da Jimin. Yoongi in ogni caso aveva pensato che sua madre avrebbe riportato l’attenzione sull’argomento solo dopo che lui avesse concluso il liceo. Così non aveva fatto caso ai dettagli, preso com’era dai suoi piani personali di evasione.
Una settimana prima del suo compleanno sua madre entrò in camera sua e lasciò lì una giacca. Poi era una camicia. Appese l’appendino sulla manopola del suo guardaroba e se ne andò senza dire una parola. Poi fu la volta dei pantaloni. Li lasciò sulla sedia e Yoongi li trovò li al suo ritorno a casa ma non commentò anche se in fondo sapeva.
Il giorno prima del suo compleanno la trovò seduta sul letto con una cravatta tra le mani in attesa di lui.
"Yoongi caro, vieni a sederti con me ?"
"No". Disse ma rimase congelato sulla soglia perché sapeva che quel tono dolce non aveva mai portato bene.
Lei sospirò.
"Domani è il tuo compleanno. Tuo padre ed io abbiamo preso un giorno di riposo e insieme andremo fuori a pranzo nel nuovo ristorante che hanno aperto la settimana scorsa, perché non capita tutti i giorni che un giovane uomo compia diciott’anni. Dopodiché ... "
"Mamma."
"Dopodichè andremo in quella bella sala da tè, mi hanno detto che è il posto migliore per le cerimonie di unione, ha anche un giardino interno, penso che ti piacerà".
"Mamma per favore!"
"Andremo lì. Avremo la cerimonia formale e poi tu incontrerai la tua anima gemella. Sarà un grande giorno, un giorno di felicità per te e per la famiglia. "
Lei disse stringendo la presa sulla cravatta.
"Non voglio andare."
"Ci verrai. Perché tutto è già stato organizzato e la tua anima gemella ti sta aspettando. "
“Non ne hai mai parlato con me! Invece hai fatto di tutto per tenermelo nascosto anche se è la mia vita, il mio destino! Io non ci andrò! "
"Perché? E’ a causa di quel tuo piccolo numero zero? Non ti avevo detto di sbarazzarsi di lui? Mi ricordo di avertelo detto. "Disse sorridendo.
"Non osare parlare così di lui"
"Yoongi. Yoongi, il mio piccolo miracolo "Yoongi rabbrividì. Odiava quel nome, odiava lei, tutto.
"Ti dai troppo credito. Tu sei un numero due caro. Sei destinato ad avere un’anima gemella. So che tu credi di amare il tuo amico e forse è così, ma nel momento in cui vedrai la tua anima gemella tutto ciò non avrà più importanza. La tua anima gemella è qualcuno fatto, scelto, scolpito per te. Non importa quanto pensi di amare qualcun altro, niente regge il confronto con il legame tra anime gemelle. Niente."
Le gambe di Yoongi tremavano. Doveva tenerle testa, combattere. Sarebbe dovuto fuggire quell’inverno, prendere Jimin e andare da qualche parte. Non l’aveva fatto perché di solito le famiglie aspettavano la fine della scuola per le introduzioni. A quanto pareva non aveva preso in considerazione l'avidità di sua madre.
"Mi dispiace mamma che sei un numero zero, mi dispiace che tu non abbia un’anima gemella e so che è stato difficile per te, ma non osare sminuire i miei sentimenti per Jimin. Lo amo. Io lo amo in un modo che non potrà mai capire. E farò di tutto per dimostrarlo al mondo. Anche se questo significa andare contro tutto e tutti. Non mi interessa. "
Yoongi disse. Ma prima che potesse aggiungere altro in tre passi sua madre lo raggiunse e lo prese per la spalle scuotendolo. Era più piccola di lui, ma anni di lente macchinazioni, sofferenza e odiose trame nel buio la fecero sembrare terrificante.
“Non ti interessa! Hai solo diciott’anni Yoongi! Pensi davvero di essere pronto per questo? Sai quanta sofferenza causerai per via di questo tuo stupido sogno ? Farai del male alla famiglia della tua anima gemella, alla tua anima gemella, a me e a tuo padre,al ragazzino che sei convinto di amare. La gente non potrà mai  perdonare, non potrà mai capire la tua scelta e vi umilieranno e cercheranno di screditarti ad ogni occasione a causa di quello che hai fatto. Quando cercherai un posto di lavoro rideranno di te con disgusto e si rifiuteranno di aiutarti anche se te lo meriti, tutto a causa di quello che hai fatto e sarà così ovunque andrai. E anche se alla fine riuscirai a sopravvivere, faranno della tua vita un incubo senza fine per punirti della tua scelta, nel frattempo il cosiddetto amore della tua vita verrà trascinato con te in basso, in una vita di miseria e disperazione, fino a quando nulla di ciò che vi aveva uniti sarà rimasto. Allora dimmi figlio mio, ti senti pronto ad affrontare tutto questo? Perché credimi questo è ciò che accadrà! "
"Io ..." Yoongi cercò dire qualcosa, ma era troppo ,troppo da assorbire. Cosa avrebbe dovuto dire?
"Se pensi di esserlo allora vai avanti. Vai avanti e distruggi tutto quello per cui abbiamo lavorato. Ma se non è così, se non è così, non hai molta scelta. Fino al giorno in cui troverai la tua risoluzione di andare avanti, farai quello che ti dico e accetterai il destino per il quale sei nato. " finì lei uscendo dalla sua stanza.
Yoongi crollò sul pavimento in ginocchio, piegato su se stesso, cercando di abbracciare i pezzi che rimanevano di lui.
Che cosa doveva fare, che cosa doveva fare? Non aveva pianto quando il bambino lo aveva spinto per terra. Non aveva pianto quando aveva scoperto che sua madre era vittima a sua volta di bullismo. Non lo aveva fatto quando aveva lasciato la sua città natale, né quando era stato evidente che la sua famiglia mentiva e lo usava. Lo faceva ora nel realizzare dove lo avrebbe portato tutto questo.


 



Come si può vivere con un cuore in frantumi?
C'erano persone in questo mondo che attraversavano i mari mossi della vita senza la consolazione di avere qualcuno con cui condividere la propria pena. Era la tragedia dei numeri zero e tutti erano a conoscenza di ciò.
Che dire di lui, allora? Non si meritava anche lui un po 'di commiserazione? Aveva trovato l'amore molto prima di trovare la sua anima gemella.
Quando era con il suo amore, le luci non mancavano mai di diventare più luminose.
Ma Yoongi era un numero due, era un fottuto numero due e aveva un’anima gemella, quindi, non poteva, non doveva averlo. Perché lui non apparteneva a Yoongi.
Lei era tutto quello che non sapeva di aver bisogno eppure era lì. Era gentile e delicata e capiva il suo cuore già preso. Le luci non diventano più luminose, forse non lo sarebbero mai diventate, ma era una presenza confortante accanto a lui.
Sua madre si era sbagliata, però. Lui non aveva dimenticato Jimin dopo averla incontrata. Lo amava ancora a morte. Tuttavia in qualche modo il suo cuore era più grande di quello che aveva originariamente pensato e lei era riuscita a trovare un po 'di spazio anche lì e lui odiava tutto ciò. Lui non se lo meritava, lei non se lo meritava, Jimin non se lo meritava. C'erano persone che attraversavano i mari mossi della vita senza la consolazione di avere qualcuno lì per loro ma lui aveva due persone. Non una, ma due.
Dimmi, dimmi allora, come faccio a scegliere?


 



Un anno prima aveva avuto tutta l’intenzione di scappare, afferrare Jimin e andare da qualche parte lontano e una parte di lui voleva ancora farlo. Amava Jimin e lei sarebbe stata meglio con un altro uomo e le loro famiglie sarebbero sopravvissute. Ma ogni volta che si decideva a farlo, non riusciva mai a procedere con il piano. Per quanto tempo posso andare avanti?
Quindi, alla bugia su suo status, si aggiunse la bugia sulla sua anima gemella, menzogna su menzogna e tutte cadevano sul capo innocente di Jimin mentre lui non faceva altro che prendersi il suo amore in cambio.
Io sono un bugiardo, sono falso. Lo sono sempre stato.
Poi infine la verità venne alla luce, naturalmente non poteva andare avanti così per sempre. Erano nel loro ultimo anno, Jimin stava iniziando a fare sempre più domande sui loro piani futuri, così come la sua anima gemella e le loro famiglie erano sempre più pressanti con i loro incontri. Qualcuno era destinato a vederli insieme e a non tenere la bocca chiusa al riguardo.
Avrebbe dovuto essere lui a dirlo. Avrebbe dovuto essere lui ma in tutti i mesi tra il suo compleanno e l'inizio della scuola non aveva mai trovato il momento giusto.
Così la verità venne da lui.
Non capì cosa stava succedendo fino a quando non lo vide. Un grande zero rosso dipinto sull'armadietto di Jimin. Qualcuno probabilmente aveva scoperto che Yoongi era un numero due e che Jimin non era la sua anima gemella e aveva deciso di rendere la cosa uno scherzo di pessimo gusto.
E anche se alla fine riuscirai a sopravvivere, faranno della tua vita un incubo senza fine per punirti della tua scelta, nel frattempo il cosiddetto amore della tua vita verrà trascinato con te in basso, in una vita di miseria e disperazione, fino a quando nulla di ciò che vi aveva uniti sarà rimasto. Allora dimmi figlio mio, ti senti pronto ad affrontare tutto questo?
Il panico si diffuse nel suo corpo, attraverso le sue vene, fino ad avvelenargli il cuore.
Guardò la scena in preda alla disperazione, la gente rideva del dolore di Jimin, il suo status e la sua situazione esposti alla pubblica derisione. Prima di rendersene conto aveva sciolto le loro mani e aveva fatto un passo indietro.
Jimin si voltò verso di lui, guardandolo con i suoi grandi occhi luminosi, come se stesse vedendo Yoongi per la prima volta.
Non poteva. Non poteva passare per tutto quello ancora una volta. Poteva solo peggiorare, perché lui si ricordava dei pianti disperati di sua madre nel silenzio della loro piccola casa in quel posto dimenticato da Dio. Si ricordava di suo padre che annegava i suoi dispiaceri in una bottiglia e di come era sempre troppo stanco o troppo ubriaco per prestare attenzione a loro. Ricordava i lividi, la vergogna e la rabbia di fronte all’ingiustizia e nessuno, nessuno che muovesse un dito per aiutarlo.
Non poteva.
Sei un bugiardo. Un falso.
Sì, Yoongi lo era. A quanto pareva era anche un vigliacco.


 



Cercò Jimin ovunque. Quando finalmente era riuscito a emergere dalla paura annegante, si rese conto della gravità delle sue azioni. Non solo le sue bugie erano state scoperte, ma aveva lasciato la persona che amava da sola e prendersi il peso di tutto. Yoongi non poteva respirare, tutto stava cadendo a pezzi ed era colpa sua.
Trovò Jimin da solo nel tetto della scuola. Era seduto sul duro pavimento di cemento e si abbracciava le ginocchia. Piangeva. Il cuore di Yoongi si infranse in milione di pezzi.
Non importa quanto tempo sarebbe passato, lui sapeva, sapeva che non sarebbe mai stato perdonato per questo. Mai. Perchè aveva ferito l’oggetto del suo amore con le sue stesse mani per egoismo.
Non ci sarebbe mai stata acqua abbastanza pura in grado di lavare via il suo tradimento.
"La mia famiglia sono numeri zero di tre generazioni. Hanno sofferto per tre generazioni e infine hanno pensato di aver trovato la loro salvezza in me, il membro più immeritevole. Sono un numero due. Ho sempre saputo cosa ero, anche se avrei voluto non esserlo. Perché io odio i numeri due. Hanno reso la nostra vita un inferno e non potevo accettare l’idea di essere uno di loro. Poi ti ho incontrato e il desiderio di non esserlo si è fatto più grande. Voglio stare con te. Ho sempre voluto stare con te.”
"Hai un’anima gemella." Sussurrò Jimin.
"Cosa?" Chiese Yoongi, ma in realtà aveva intuito le sue parole. Nessuna quantità di disprezzo sarebbe stata sufficiente perché Jimin potesse dimenticare che Yoongi apparteneva a qualcun altro.
"Tu hai un’anima gemella. Cosa hai intenzione di dire al riguardo? Hai qualcuno che ti aspetta. Qualcuno con cui comprare una casa e costruire una famiglia. Sai almeno quanto sei fortunato? "
"Non me ne frega un fico secco di quanto fortunato potrei essere, io lo ero già con te. Ti amo. Ti amo. Ti amo!”
"Eppure oggi mi hai lasciato da solo. Perchè sono un numero zero."
Yoongi si sgonfiò. Cadde in ginocchio davanti a Jimin, sopraffatto dalla vergogna di fronte alla verità.
"Cosa vuoi da me ora, Yoongi? Il mio amore? Lo hai già.” Jimin disse sollevando la testa. “Ma ho paura che non sia abbastanza."
Yoongi trasalì. Era questa la fine? Non poteva accettarlo. Doveva avere Jimin nella sua vita, non averlo sarebbe stato come vivere giorni senza il calore della luce del sole. Sarebbe stato come vivere senza un arto, senza cuore. Non c'era una soluzione, non c’era.
Ma si amavano, loro due si amavano e l’amore non sarebbe dovuto essere abbastanza? Le persone che si amavano non dovevano fare l'impossibile pur di stare insieme?
"Non posso prometterti bei tempi, non adesso. Però posso prometterti che cercherò di trovare un modo, una soluzione per risolvere tutto, in qualche modo. Se questo è già troppo per te e vuoi lasciarmi io non ti fermerò. Ma se pensi di non riuscire ad andartene, nello stesso modo in cui mi uccide il pensiero di vivere senza di te, allora ti prego, dammi tempo. Dacci tempo. Fino al giorno in cui dirai basta, rimani con me. "

Yoongi era un bugiardo, un falso, un vigliacco. A quanto pareva era anche un egoista.



 

 














NdA. Non so se sono riuscita a rendere nell sua interezza la tragedia di Yoongi. Naturlamente la sua storia non è la peggiore in termini assoluti, ma penso il destino più orribile sia quellomdi rimanere incastrati nelle proprie paure.Avrei potuto continuare ma non volevo rimanere più dello stretto necessario nella mente di Yoongi. E poi credo che la storia d'amore, o quello che era,  tra lui e Jimin non debba essere raccontata in un mondo per noi due. Yoongi è stato terribile e so che molti lettori non lo sopportano (la mia migliore amica lo odia XD) ma io provo qualcosa di viscerale per lui, per quanto io stessa non riesca a perdonarlo( nella vita reale Yoongi si sta arrampicando pericolosamente al primo posto nel mio cuore, Hobi stai attento!). Vi lascio alcune frasi spoilers con cui divertirvi:
Un algoritmo basato sulla genetica. Anche l'amore può essere comprato.
A volte penso che Jungkook sarà la tua priorità sempre.
La polizia stava arrivando e lui non vedeva vie di fuga.
ps: tempo fa ho pubblicato una namjin (che ho sistemato, dopo alcuni pasticci con l'editing). Qui!

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Capitolo 29
*** 00.20 ***


00.20


 

Era stata la prima gara di ballo a cui avevo preso parte da quando aveva iniziato il liceo. Jungkook ricordava di essere stato estremamente nervoso, era troppo giovane perché gli venisse data la possibilità di esibirsi da solista, ma era stato comunque scelto per fare parte del team principale ed era quindi soddisfatto. Era stato preoccupato che il pubblico fosse poco, poiché la competizione coincideva con una partita decisiva della squadra di basket. Per fortuna non era stato affatto così.

Nonostante la sua irritazione personale verso il numero zero, Jungkook non aveva mai avuto la possibilità di conoscere Jimin sulla pista da ballo. Per quando era stato infine accettato nel club l’altro numero zero se ne era già andato. Quindi non si aspettava di vederlo lì. Era stato praticamente sicuro che lui sarebbe stato ovunque tranne che lì. Il capitano della squadra di basket non stava giocando una partita proprio in quell’esatto momento?

A causa di quella sua fascinazione strana che Jungkook provava nei confronti del più grande, fu subito in grado di identificarlo tra la folla. Era appollaiato sul sedile più lontano degli spalti, quasi nascondendosi dietro una colonna.

Stava guardando il team di danza con una tale intensità che era difficile che a Jungkook sfuggisse. Tuttavia allora non riuscì a capirne la causa.

Fu in grado di farlo solo tre anni più tardi, quando fu il suo turno di dire addio.

Era stata nostalgia misto a rimpianto.

La realizzazione di aver perso ciò che avevi amato di più.


 


 

Jungkook lo stava guardando intensamente, una corrente nervosa e intensa che gli circolava in corpo. Un po’ come guardare giù dal bordo di una scogliera a pochi minuti dal grande salto.

Questo giovane uomo seduto accanto a lui, aveva una vaga idea di come si sentiva?

Finalmente Yoongi chiuse bocca. Un silenzio pesante riempì l'aria.

Jungkook si alzò in piedi, facendo alcuni passi nervosi.

"Hai finito?"

Yoongi si voltò a fissarlo, perplesso.

"Si."

"Grazie al cielo. Ora posso andare." Jungkook disse, caricandosi in spalla la borsa che aveva precedentemente abbandonato sulla panchina.

"Cosa?" Yoongi balzò in piedi e fu il massimo del moto che gli vide fare da quando era arrivato li. Sembrava arrabbiato tutto ad un tratto. Bene, pensò il più giovane, godendo della sensazione di essere riuscito a far saltare i nervi a Yoongi,

"Ti saluto." disse Jungkook ma prima che potesse fare un altro passo, sentì una mano afferrare violentemente la sua spalla.

“Leva quella mano da lì.” Sibilò Jungkook.

"E se non lo faccio?" lo schernì l’altro. Il più giovane perse quel poco di pazienza che gli era rimasta. Gettò la borsa a terra e in un movimento rapido si voltò e afferrò bruscamente Yoongi dai bordi della sua costosa giacca.

"Te ne pentirai".

Ma il compositore non sembrava affatto colpito e, se possibile, la cosa fece arrabbiare Jungkook ancora di più. Era dovuto rimanere lì, ad ascoltare la storia di questo uomo, oltretutto una storia che non aveva mai voluto sapere. Era stato combattuto tra l’impulso di scappare e quello di picchiarlo.

Min Yoongi non aveva il diritto di parlare a cuore aperto, non aveva il diritto di suscitare emozioni in Jungkook ne tanto meno di indurlo a sentirsi male per lui, perché sapeva che c'era qualcun altro che meritava tutti i suoi sentimenti e non era lui.

"Hai intenzione di picchiarmi, ragazzino?" Ridacchiò Yoongi. Anche se sapeva che probabilmente non poteva avere una possibilità contro qualcuno con il fisico di Jungkook, aveva ancora il coraggio di fare l’arrogante.

"Sono dovuto rimanere qui per chissà quanto tempo, a sentirti parlare tutte queste stronzate. Cosa vuoi da me? Cosa pensi di ottenere? Pensi di avere l'esclusiva delle storie strappa lacrime? Beh datti una svegliata, perché qui soffriamo tutti. Sono un numero zero e ho avuto la mia dose di puttanate da sopportare e se fermassi un numero zero proprio qui, in questo momento, lui ti potrebbe raccontare una storia altrettanto strappa lacrime. Pensi che l’hai avuta dura? Ma ti ascolti quando parli o ti sei semplicemente dimenticato? Ti sei dimenticato di Jimin?” Jungkook gli urlò in faccia, stringendo la presa.

"Non potrei mai dimenticarlo. Mai. "Yoongi disse improvvisamente offeso.

"Forse dovresti. Saresti meno stronzo. Perché dio solo sa se lui non ha bisogno che tu gli ricordi tutto, ogni volta che decidi di mostrare la tua faccia."

"Jimin non ha bisogno di una guardia del corpo. Può parlare per se stesso. "Jungkook lo lasciò andare disgustato.

"Certo che può."

I due si guardarono in cagnesco.

"Ero lì. Io c'ero e sono stato uno tra i più ingiusti. L'ho giudicato quando non ne avevo il diritto e questo sarà per sempre il più grande rammarico. Ma tu. Tu!"

"L'ho legato a me con la mia promessa. Ho usato il suo amore a mio vantaggio perché avevo bisogno di lui e non potevo sopportare l'idea di perderlo. E anche quando il nostro amore ha perso le sue radici ed è diventato solo disperazione, lui ancora non è riuscito a lasciarmi andare perché sapeva che avevo bisogno di lui. Sì Jeon Jungkook, lo so. Lo so." Yoongi chiuse gli occhi e Jungkook nonostante stesse bollendo dalla rabbia, per la prima volta non sentì l’impulso di prendere e andarsene. Che diamine voleva questo qui?

"Lui ti aspettava per ore al freddo. E' stato preso di mira da tutti a scuola, lo schernivano, gli facevano del male, e lui li lasciava fare, tutto per la sua promessa a te. Ha dovuto smettere di ballare prima del tempo. Non so se riesci a immaginare il dolore di una tale perdita, perché tu non balli, ma io si. Posso capire che ce l’hai avuto peggio di altri, posso capire perché so cosa è la vera sofferenza e tu eri giovane e confuso. Ma non lo eri l'anno dopo e l'anno dopo ancora, quando nulla è cambiato. Forse lui può trovare in se stesso la voglia di perdonarti. Io non lo farò. Perché io lo amo e ogni sua ferita, ogni sua piccola cicatrice è come se fosse mia. Perciò Min Yoongi, stai lontano da lui. Anche se non ho il diritto di chiederlo in sua vece, lo faccio lo stesso. Stai lontano da lui. "

Yoongi sospirò mentre Jungkook continuava a guardarlo come se fosse pronto a fare a pugni se lui si rifiutava.

"Non sarà una passeggiata nel parco, anche se voi due vi amate. Sarete costretti a fingere di fronte a tutti e la maggior parte delle persone non vi capirà mai. Il vostro impegno dovrà essere più forte che mai, perché è sicuro come l'inferno che l'intento doloso da parte degli altri lo sarà. Cercheranno di sminuire il vostro legame e vi umilieranno ad ogni occasione a causa di chi sei, a causa delle vostre scelte, fino al punto in cui comincerai a dubitare se ne è valsa la pena e cosa vi ha fatto decidere di rimanere insieme. Stando così le cose, Jeon Jungkook sei pronto ad affrontare tutto questo?"

Jungkook ridacchiò. Mise le mani in tasca e fissò il cielo blu chiaro.

"Hai posto la domanda in modo completamente sbagliato. Avresti dovuto chiederlo a entrambe. Non si tratta solo di me, sai. "

Jimin sei là fuori?

Era ora di pranzo per Jimin quindi forse c'era la possibilità che stesse guardando dalla finestra del suo ufficio, osservando questo stesso cielo. Una vita con Jimin era sembrata una prospettiva così spaventosa all'inizio perché Jungkook non sapeva di volerne una o se era in grado di avere una.

Se poteva accettare la verità senza sentire la bruciante sconfitta di fronte al sistema.

Ma non c'era sconfitta in amore, nel suo amore per Jimin e, anche se quest’ultimo lo avrebbe portato lontano dal suo punto di partenza, a lui andava bene comunque perché non aveva nulla da temere. Sarebbero rimasti l’uno al fianco dell’altro, appoggiandosi a vicenda e cercando di superare insieme i problemi a venire.

Questo, naturalmente, se Jimin fosse stato d’accordo.

"Capisco." Rispose Yoongi. Il suo tono era parso come quello di qualcuno che stava finalmente tornando a casa. Jungkook inarcò un sopracciglio. Yoongi non disse nulla ma si sistemò la giacca che Jungkook aveva sgualcito prima, e sembrava avere tutta l'intenzione di andarsene.

"Tutto qui?" Chiese Jungkook sorpreso dal cambio di atteggiamento del compositore.

"Tutto qui." Yoongi questa volta si mise a ridere. Jungkook lo guardò come se questi stesse delirando.

"Ho ancora voglia di parlare con Jimin anche se so che tu non sei d’accordo. Ma come hai detto tu solo lui può dirmi di no. Non preoccuparti non andrò chiedendo una seconda possibilità o qualunque cosa la tua fantasia ha immaginato io potessi pretendere." Yoongi disse anticipando la risposta di Jungkook. "Hai detto delle parole oggi, conto sul fatto che vi terrai fede."

E, senza aggiungere altro, ma semplicemente agitando pigramente la sua mano a mo di saluto, se ne andò.

Che bastardo manipolatore, Jungkook pensò.

Ma, come la schiena di Yoongi scompariva in lontananza, Jungkook ebbe la sensazione che quella fosse davvero l'ultima volta che l’avrebbe visto.

Jimin ovunque tu ti trovi, è tempo che io cerchi di mettere insieme ogni piccolo pezzo di noi che la mie paure è riuscita a rompere.


 


 


 

Erano stati giorni duri.

Jimin non sapeva bene come sentirsi. C’erano stati momenti in cui aveva voluto irrompere nell'appartamento di Jungkook e chiedere spiegazioni perché non spettava solo a lui decidere se l'amore poteva o non poteva essere abbastanza.

Il resto del tempo era stato speso a riflettere sulle ultime parole del più giovane.

Possibilmente. Probabilmente. Quelle parole potevano essere considerate una confessione d'amore?

Jimin ricordava bene lo sguardo di Jungkook quando le aveva dette. Era lo stesso sguardo che Jimin era sicuro di avere quando aveva fatto la sua confessione. Avrebbe voluto nascondersi sotto un cuscino solo al pensiero. Si era dichiarato per davvero, tutto quel tempo a cercare di tenerlo per se e poi era bastato un momento per far uscire fuori tutto.

Sì, Park Jimin era follemente innamorato di Jungkook, e no, non se ne vergognava affatto. L'unica cosa di cui si rammaricava era il momento scelto per fare una tale dichiarazione. Non gli piaceva che fosse stato Min Yoongi il catalizzatore del suo sfogo emotivo.

Nel momento in cui aveva mostrato la sua faccia allo showcase, Jimin aveva capito subito che le cose sarebbero precipitate. Non aveva nemmeno voglia di sapere perché Min Yoongi aveva improvvisamente deciso di venire a vedere lui. Era ridicolo in così tanti modi, Yoongi doveva essere andato fuori di testa.

Probabilmente fare qualcosa di molto stupido. Sì Min Yoongi avevi ragione, pensò Jimin.

Alla fine, sia lui che Jungkook era stati influenzati dalla sua presenza con il risultato che quella notte di allegria si era trasformato in un fiasco assoluto. Si, doveva succedere comunque, provò a ragionare Jimin. L'elefante nella stanza chiamato amicizia andava affrontato. Questo silenzio radio, tuttavia, non era il risultato in cui Jimin aveva sperato.

Perché era trascorsa una settimana dall'ultima volta che aveva sentito di Jungkook.

E’ vero. Era stato arrabbiato, ma la sua irritazione era durata a malapena 24 ore e l’impulso di capire quello che poteva fare per sistemare le cose era stato più grande.

Sorprendentemente Jimin trovò in Seokjin una fonte di insospettabile saggezza. Il suo migliore amico era un tesoro, ma odiava alacremente Yoongi e aveva visto con sospetto Jungkook sin all'inizio, di modo che Jimin non si era aspettato di trovarlo così calmo.

"Vieni a sederti e parliamo." Seokjin aveva detto costringendo Jimin a cenare con lui e Namjoon. Era stato il giorno dopo la notte infame e Jimin si sentiva ancora un po' scosso. La cena era stata tranquilla e piuttosto divertente: era come se il mondo si fosse capovolto perché Seokjin era rimasto composto mentre Namjoon, di solito la voce della ragione, era parso nervoso e giù di corda. Ogni volta che guardava Jimin, sembrava avere un sorriso di scuse.

"Joonie. Non è colpa tua.” Seokjin disse dopo che Namjoon aveva quasi messo fuori uso i loro piatti.

"Lo è però. Non è vero? " Disse questi con sarcasmo. Seokjin strinse la sua spalla e Namjoon sospirò. Il gesto era stato sufficiente a calmarlo un po’ e quando si rivolse a Jimin lo fece senza alcuna traccia di irritazione nella voce.

"Sono stato io a dire a Yoongi che hai ricominciato a ballare di nuovo Jimin. Mi dispiace. Ho pensato che lo avrebbe fatto desistere e ti avrebbe lasciato in pace. "

Jimin lo aveva guardato con attenzione, ma poi aveva scrollato le spalle.

"Va bene Namjoon." Disse pizzicandosi il naso. Così Min Yoongi aveva chiesto di lui, abbastanza perché Namjoon trovasse necessario vuotare il sacco pur di metterlo al suo posto. "Non lo potevi sapere. Poi, lui è l'ultimo dei miei problemi al momento. So come gestirlo. Quello che mi preoccupa invece è Jungkook. "

“Oh.” Namjoon rispose positivamente sorpreso. "beh, capisco."

Jimin sorrise tristemente.

Dopo che la rabbia era finalmente uscita dal suo sistema, il pensiero di Jungkook era stato l'unico a riempire la sua mente. E la domanda, la domanda che lo tormentava.

Era dunque così doloroso, così terrificante per Jungkook amarlo?

Jimin non capiva, del resto lui non aveva mai avuto paura di amare.

"L'amore può essere terrificante per alcuni di noi Jimin. Tu che sei sempre stato una persona coraggiosa naturalmente non lo puoi capire. Però non pensare mai che è colpa tue perché non lo è. Alcune battaglie sono puramente interne. Dopo tutto siamo noi il primo nemico di noi stessi." Namjoon disse, lanciando uno sguardo alla sua anima gemella.

"Un po’ capisco. So abbastanza di Jungkook per capire ciò che l'amore ha significato per lui in tutti questi anni ".

"Purtroppo Jungkookie, associa l’amore con emozioni negative Jimin." Aveva detto Taehyung piuttosto tristemente una volta che Jimin aveva osato chiedergli di più sul più giovane.

"Ma che cosa dovrei fare allora?" Jimin aveva chiesto sconsolato. Seokjin lo aveva guardato dritto negli occhi come se volesse assicurarsi che lui avrebbe capito le sue parole.

"Niente. Ho paura che non puoi fare nulla. Hai già fatto la tua parte e ora è il momento che lui faccia la sua. Deve vincere le sue paure prima e poi tornerà da te. "

"E se non lo fa? E se non torna? " Da me. Jimin chiese in un sussurro. Era terrorizzato, aveva davvero bisogno di trovare il modo per risolvere il tutto.

"Dovrai fidarti di lui, temo." Namjoon rispose questa volta. "Lui deve capire cosa fare della sua vita. Forse ci vorrà un po 'di tempo. Ma poi, quando tornerà, lo farà da uomo nuovo, uno che ha ancora le sue paure, ma che ha deciso che queste non rovineranno la sua possibilità di essere felice. Perché ha deciso che tu sei più importante di tutto il resto, anche di se stesso. "

Namjoon concluse sorridendo. Jimin vide Seokjin prendere la mano della sua anima gemella dal suo grembo e intrecciare le loro dita.

Osservando i due Jimin decise di volere questo, quello che Namjoon e Seokjin avevano. Lo voleva con tutto se stesso. Nascere come persone nuove che hanno deciso di essere tutto l’uno per l'altro, non importa le difficoltà, non importa le paure.

Così, infine, Jimin non aveva potuto fare altro che fidarsi di Jungkook.

E aspettare.


 


 


 

"In meno di tre settimane avremo la risposta finale ai quesiti del referendum che sta squarciando la nazione. Il comitato per il Sì ha fatto una campagna per mesi e ora sta organizzando una manifestazione per la fine di aprile. Nel frattempo, il comitato per il No .. "

Jimin gettò il telecomando sul tappeto del salotto di casa sua dopo aver spento sbuffando il televisore.

Odiava tutto questo. In quei giorni era rimasto pazientemente in attesa di un segno da parte di Jungkook , ma niente, e l'ambiente generale non lo stava aiutando con il suo stato d'animo.

Finora l'unico contatto che aveva avuto con Jungkook era stata la minestra che aveva preparato per lui una volta che Hoseok gli aveva mandato un sms dicendo che il numero zero sarebbe stato ko per qualche giorno a causa di una febbre alta. Nonostante ciò Jimin non aveva ricevuto alcun testo dal più giovane, nemmeno un grazie, e aveva invece stressato Seokjin, che vedeva Jungkook per via del volontariato, talmente tanto che il maggiore aveva risposto con un "perché non glielo chiedi tu stesso". Jimin aveva voluto urlare perché non era stato lui a suggerirgli di prendersi un po 'di tempo e spazio?

Sospirando guardò l'orologio appeso al muro. Aveva ancora un sacco di tempo per andare al lavoro, l'unica cosa che riusciva a mantenere la sua vita piena di impegni. Dopo una profonda riflessione aveva infatti deciso di smettere per il momento le sue lezioni di danza. Non erano rimaste molte lezioni, quindi la sua scelta non era stato troppo dura, ma gli sarebbe mancata la sensazione del suo corpo che si muoveva a ritmo di musica. Lo showcase infatti era stato una tale scarica di adrenalina e di energia positiva, tuttavia Jimin voleva dare spazio a Jungkook, sperando che la distanza potesse chiarire i loro sentimenti.

"E 'un peccato Park Jimin. Jungkook non è divertente nemmeno la metà di te,” aveva scherzato il maestro. Jimin si era sforzato di ridere. Anche sentire qualcuno pronunciare il suo nome era sufficiente a far accelerare il suo battito cardiaco.

Così quel giorno si era svegliato come tutti gli altri. Dieci lunghi giorni senza sentire o vedere Jungkook erano passati.

Con la mente vuota e il cuore pesante, aveva mangiato la sua colazione e, anche se era ancora presto, aveva deciso di andare a lavorare in ogni caso.

E se non torna?

Devi fidarti di lui.

Jimin sospirò di nuovo mentre accendeva il motore della sua auto. Nemmeno due mesi prima Jungkook aveva guidato quella stessa macchina per non scomodare Jimin e la sua caviglia infortunata.

Gli mancava terribilmente Jungkook. Gli mancava il suono della sua risata, gli mancava il suo calore quando appoggiava la testa sulla sua spalla. Erano in pieno aprile, il suo mese preferito, ma la sua persona preferita non c'era.

Durante la pausa pranzo guardò distrattamente fuori dalla finestra del suo ufficio, il cielo era blu, ma c'erano alcune nuvole che minacciavano pioggia.

Perfetto. Non aveva un ombrello con lui e quel giorno aveva parcheggiato l'auto lontano dall’ufficio. Sospirò. Proprio la sua fortuna.

La pioggia si scatenò subito dopo la fine della sua pausa pranzo. Plick, Plick sulla finestra. Forse lui era da qualche parte li fuori a guardare quello stesso cielo.

Jungkook. Jungkook.

Quando la sua giornata lavorativa giunse infine a termine la pioggia non si era affatto fermata, ma scendeva copiosa dal cielo. Di solito amava la pioggia fresca di aprile, ma quando era a casa, a osservare da una finestra. O con un grande ombrello a portata di mano.

Prese l'ascensore e al suo arrivo in reception salutò educatamente l'uomo all'ingresso. Ma questi invece di salutarlo a sua volta, lo chiamò.

"Signor Park?"

“Sì?” Jimin si fermò a metà strada e si diresse verso il banco della reception. L’uomo attese che lui fosse arrivato prima di porgergli un ombrello blu.

"Oh grazie!" Jimin disse sollevato. Forse la sua giornate non era così male, dopo tutto.

"Un giovane ha appena lasciato questo per lei. Il che è strano, perché non ne aveva un altro per se stesso ma è stato irremovibile. "Il receptionist concluse alzando le spalle. In quel momento il telefono squillò. Jimin ancora sorpreso dalle parole dell’uomo prese il telefono senza aspettarsi nulla di straordinario.

"Lo sapevo che non avevi un ombrello con te. Abbi cura di te Hyung. "

Era Jungkook.

Jimin corse fuori sotto la pioggia, perché se sapeva che effettivamente Jimin ne era stato sprovvisto, forse lui era rimasto nei paraggi a verificare. Ma una volta fuori non vide nessuno.

Nonostante ciò, sorrise per la prima volta da giorni.

Il suo telefono squillò di nuovo.

"Entra dentro scemotto o ti farai venire un raffreddore."

Se possibile Jimin sorrise ancora più ampiamente, ma fece come gli era stato detto.

Da quella sera in poi, strane ma affascinanti cose continuarono ad accadergli.

Il giorno dopo infatti trovò il contenitore della minestra sul suo tavolo da cucina con una nota che diceva “ Grazie, mi hai fatto sentire meglio.” Quando aveva interrogato Seokjin al riguardo, il maggiore avevo finto di non sapere nulla, ma aveva ammesso di aver prestato per caso a un bel giovane la sua chiave di scorta.

Venerdì qualcuno fece consegnare un caffè caldo nel suo cubicolo in ufficio con un'altra nota scritta su di esso. "Coraggio! E' l'ultimo giorno della settimana. Domani puoi dormire fino a mezzogiorno!"

Jimin aveva riso con tutto il cuore e i suoi colleghi lo avevano guardato in modo strano ma a lui non era importato. Si sentiva tutto caldo dentro e non era merito del caffè.

Domenica quando usci in giardino trovò la sua macchina lavata e tirata a lucido

Il cuore di Jimin si gonfiò.

"Sta cercando di farsi perdonare hyung. Io lo lascerei fare,” aveva detto Taehyung facendogli l’occhiolino quando Jimin lo aveva chiamato fuori per un caffè.

"Io. Ok. "Jimin aveva risposto.

"Perfetto! Ora dimmi in dettaglio quello che ha fatto, perché lo stronzetto mi ha tenuto all'oscuro e ho bisogno di nuovo materiale da ricatto” Jimin era scoppiato a ridere.

Trascorrere del tempo con Taehyung era un po 'come avere Jungkook con lui. Poteva vedere alcune somiglianze nei loro modi, anche se il musicista era più rimbalzante dove Jungkook cercava di mantenere una parvenza di serietà.

Quando quella sera tornò infine a casa, fu preso dall’irrefrenabile voglia di guidare fino a casa di Jungkook e stritolarlo in un abbraccio.

Perché non appena mise piede oltre la soglia trovò un mazzo di fiori appoggiato al tavolino del salotto.

"Perché ho perso l’occasione di farlo quella notte. Sei stato grande!"

Il suo cuore esplose. I ricordi belli che aveva con il più giovane gli tornarono alla mente tutti in una volta. Ricordò quanto bello era parso Jungkook dall'altra parte della porta d’ingresso e come si erano baciati, come se quel momento potesse durare per sempre. E quando coprì i passi che separavano il soggiorno da camera sua, passò dalla cucina e si ricordò di quando avevano condiviso un pasto e di come erano stati domestici. Poi, una volta dentro la sua camera da letto, ricordò come aveva ammirato la figura di Jungkook sul suo letto, che dormiva tranquillamente come se non ci fosse preoccupazione alcuna al mondo.

Jimin non ce la faceva più. Prese il cellulare e invece del suo solito ringraziamento digitò qualcos'altro.

Mi manchi.

La risposta fu istantanea.

Mi manchi anche tu.

Jimin si lasciò scivolare sul pavimento. Quanto doveva aspettare? E se Jungkook aveva deciso di attendere la risposta del referendum prima di capire se era il caso di tornare? Ciò significava che Jimin aveva due settimane in più di attesa e non era sicuro che sarebbe stato in grado di sopportarlo. Non se il giovane continuava a coccolare quel modo.

Per la prima volta si pentì di aver fatto quella promessa ai genitori del più giovane, se poteva significare un ulteriore ostacolo al ritorno di Jungkook.

Jungkook. Jungkook.

Voglio vederti, digitò col suo telefono.

Jimin aspettò una risposta con il cuore che gli martellava nel petto.

Poi il campanello della sua porta suonò nello stesso istante in cui lo fece il suo cellulare.

Jungkook, il suo schermo lampeggiava.

Corse precipitosamente per tutto il breve tragitto dalla sua camera da letto alla porta d'ingresso, telefono ancora vibrante in mano. Con un sorriso grande quanto le dimensione del suo volto, apri la porta.

Jimin rimase congelato sulla soglia a fissare dei capelli biondi quando invece se li era aspettati neri. Doveva essere uno scherzo crudele.

"Quindi non hai intenzione di farmi entrare?" Disse con la sua solita voce assonnata dopo che fu evidente che Jimin era troppo sconvolto per funzionare.

Senza doverci pensare due volte sbatté la porta in faccia a Min Yoongi con il telefono che continuava a vibrare nella sua mano sinistra.

La sua schiena scivolò lungo la porta.

No. Assolutamente no.













NdA: momenti eclatanti. L'ho fatto di nuovo!! Alla prossima <3

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Capitolo 30
*** 00.21 ***


 

00.21


 


 

Il telefono continuava a squillare a vuoto, come se non ci fosse nessuno in attesa dall’altro capo del filo.

"Andiamo hyung."

Mi manchi anche tu.

La linea cadde dopo aver esaurito il numero di squilli a disposizione.

Jungkook si morse il labbro inferiore. Forte.


 


 


 

"Jimin."


 

Aveva sentito quella stessa voce chiamare il suo nome così tante volte prima. L’aveva sentita chiamarlo con malcelata dolcezza. L’aveva sentita pronunciare il suo nome durante la più pura estasi e l’aveva sentita chiamarlo dal più profondo pozzo di dolore. Ma era stato molto, molto tempo prima, e quel tempo non sarebbe mai tornato e andava bene così. Andava veramente bene così. Non aveva più bisogno di quella voce, non ne aveva bisogno più da un bel po’.

"Jimin?" Chiese la voce morbida e roca allo stesso tempo, dall'altra parte della porta. Lui non rispose, si limitò a fissare il lampeggiare del suo telefono come se fosse ipnotizzato. Poteva allontanarsi dalla porta, tornare dentro casa, ignorare quella voce e rispondere a Jungkook, agire come se non ci fosse un uomo in attesa là fuori. Avrebbe potuto. Ma non l'avrebbe fatto. Perché lui non sarebbe stato in grado di mentire e Jungkook avrebbe capito che c’era qualcosa che non andava e Dio solo sapeva quanto in realtà lui volesse Min Yoongi il più lontano possibile dal suo Jungkook.

Eppure non gli riusciva neanche di aprire la porta. Se apriva quella porta avrebbe sicuramente finito col dare un pugno in faccia a Yoongi. Aspetta, forse quella era un'alternativa da prendere in considerazione.

"So che sei lì." Una lunga pausa. "Va bene non aprire la porta. Posso parlare anche da qui ".

Se Yoongi aveva aggiunto qualcos’altro Jimin non avrebbe saputo dire cose. Aveva tagliato fuori la sua voce non appena il telefono aveva smesso di vibrare. Voleva Jungkook. Perché c’era dunque Min Yoongi alla sua porta?

Si alzò di scatto e poi senza ulteriori indugi spalancò la porta d'ingresso.

"Cosa vuoi. Hai due minuti poi richiuderò questa porta e non la riaprirò ". Jimin esclamò fissando in malo modo il biondo di fronte a lui. Yoongi sembrava spaventato, il suo nuovo colore di capelli lo faceva sembrare più giovane e fragile. Non stava aiutando il suo caso perché Jimin voleva prenderlo a pugni per la scelta infelice della tinta. Yoongi biondo innescava brutti ricordi.

"Ok. Beh, come stai? "Yoongi sbottò. Jimin inarcò un sopracciglio.

"Sei seriamente venuto fin qui solo per chiedermi come sto? Accidenti Yoongi. Sei tu quello che mi ha tampinato fino ad ora. Uno si aspetta che tu abbia un discorso pronto ".

"Sai che faccio schifo quando si tratta di esprimere sentimenti. Non è facile per me." L'altro rispose sulla difensiva.

"Sto per chiudere la porta.” Jimin avvertì. Non aveva tempo per queste stronzate. Doveva richiamare e pregare che il più giovane non avesse frainteso. Sapeva che Yoongi aveva qualcosa da togliersi dal petto e forse lui stesso aveva qualcosa da dire ed era stato l'unico motivo che gli aveva impedito di ignorarlo, anche se sarebbe stato del tutto giustificato a farlo. Ma in ogni caso, non aveva intenzione di rendere le cose più facili al biondo.

"No, aspetta. Jimin! "Yoongi fece per muoversi e fermare Jimin dal chiudere la porta, ma riuscì a controllarsi all’ultimo momento, consapevole del fatto che il numero zero non avrebbe esitato a sbattergli la porta nuovamente in faccia, se pensava che lui fosse una minaccia. E aveva davvero bisogno di dire questo. Jimin esitò un attimo e Yoongi seppe quella era la sua unica finestra di tempo utile per parlare. Fece un respiro profondo.

"Mi dispiace. Per tutto. Mi dispiace." Disse guardando il numero zero dritto negli occhi. Gli occhi di Jimin si spalancarono in stato di shock, perché Min Yoongi era stato un sacco di cose, aveva fatto un sacco di cose, lo aveva amato e poi se ne era andato e anche quando aveva ammesso di aver mandato tutto a puttane non aveva mai, nemmeno una volta in dieci anni, non aveva mai detto qualcosa di simile a delle scuse.

Ecco perché dopo un attimo di stupore, Jimin gli diede un calcio all'inguine.

Yoongi si piegò su se stesso, un ginocchio a terra, sibilando dal dolore.

"Ti dispiace? Ti dispiace? Dopo tutto questo tempo vieni qui a disturbarmi in casa mia e dici di essere dispiaciuto? Tua moglie lo sa almeno che sei qui? Oppure hai seriamente pensato che ti avrei accolto a braccia aperte e ti avrei perdonato?” Esclamò Jimin, cercando di trattenersi dall’urlare perché non voleva disturbare i vicini. Fece un respiro profondo. Lo aveva detto. Alla fine, finalmente, era riuscito a tirare fuori queste parole dal petto. Perché a 22 anni era stato troppo distrutto per cercare di parlare, per cercare di sfogarsi con Min Yoongi.

"Mi dispiace. Sì, mi dispiace e io non sono qui a chiedere perdono o a cercare di riparare le cose, sarebbe impossibile, so che ti ho fatto troppo male e tu sei andato avanti. Ami qualcun altro. E sì, mia moglie sa che sono qui. "Disse a denti stretti, accovacciato sul pavimento. Jimin scosse la testa perché il fatto che lei sapesse non migliorava le cose magicamente. Ma decise di non esprimersi al riguardo e non voleva avere niente a che fare con il matrimonio del biondo. Mai più.

"Anche se non fossi innamorato di qualcun altro sarebbe comunque un no grande come una casa Yoongi."

"Lo so."

Jimin sospirò.

"Non posso perdonarti Yoongi. Non posso. Quello che posso dirti però è che ha smesso di far male. Ha smesso di far male molto tempo fa. Eravamo giovani e incoscienti ed è stata colpa mia tanto quanto tua, perché avrei potuto lasciarti ma non l'ho fatto. Però ho smesso di odiarti e ho smesso di odiare me. E’ passato ormai. Perciò per favore smettila di tormentarti e smetti di tormentarmi.” Disse Jimin. "Adesso va tutto bene."

"Ti ho amato davvero Jimin. Un sacco. Eri l'unico numero zero che conoscevo a parte la mia famiglia, l'unico a cui tenevo. Ti ho amato, eppure ti ho trattato male lo stesso.”

Jimin si strinse nelle spalle. Non c'era nulla da contestare, era la verità-

"Lo hai fatto. Ma non dovresti essere qui a cercare di risolvere il problema. Non c'è ne davvero bisogno.”

Yoongi si alzò in piedi. Appariva malconcio, ma sembrava anche che ci fosse meno peso del mondo sulle sue spalle.

"Ho incontrato il tuo Jeon Jungkook. Non guardarmi così, non ho fatto ne detto nulla di male. Sarai felice di sapere che mi ha quasi picchiato e non l'ha fatto solo perché ha voluto lasciare a te l'onore e tu hai portato a termine l'operazione con grazia, oserei dire." Yoongi disse alzando le mani in segno di resa. "Sembra un tipo a posto." Aggiunse scrollando le spalle.

"E 'una forza della natura." L'altro disse sorridendo per la prima volta. Yoongi sorrise di rimando, triste. Amava ancora Jimin. Lo avrebbe amato per sempre, perché era venuto a patti con il fatto che la sua anima era divisa così come il suo cuore. Non poteva dirlo a Jimin però. Non avrebbe mai potuto dirlo a nessuno perché infine aveva capito. Dopo tutto quel tempo finalmente aveva capito le parole di Kim Seokjin. A volte amare significa lasciar andare, Yoongi.

Ma doveva guardare con i suoi occhi che Jimin stesse bene, che non aveva rovinato l'unico numero zero che avesse mai tenuto caro al suo cuore.

"Sarai felice?"

"Immagino. Ci stiamo lavorando." Rispose con un altro sorriso brillante che non era destinato a lui. Ogni sorriso con cui Jimin lo stava abbagliando apparteneva a Jeon Jungkook.

"Bene."

Yoongi disse sollevato. Chiuse gli occhi e poi guardò Jimin un'ultima volta prima di essere finalmente in grado di distogliere lo sguardo e ritornare lentamente sui suoi passi. Non c'era più altro da dire.

"Spero che sarai un buon padre." Jimin gli gridò prima che lui si allontanasse troppo e sembrava sincero, quasi li di fronte ci fosse il fantasma del Jimin che una volta era solito prendersi cura di lui. Yoongi si immobilizzò di botto, incapace di voltarsi.

"Come ..?" Poi si ricordò di un bel pomeriggio caldo di maggio e due adolescenti innamorati che parlavano di una grande casa con un giardino, una dozzina di cani e di famiglia.

"Lo spero anch'io. Spero che il mondo sarà più gentile con lei, e spero che sarò in grado di rimanere al suo fianco dall'inizio alla fine ".

Yoongi aveva amato così tanto, amava ancora così tanto, ma tutto ciò che desiderava, tutto quello in cui avevano sperato, non si era mai realizzato.

C'è stato un tempo in cui aveva dedicato quelle stesse parole ad un numero zero, quando il tempo e lo spazio avevano messo in chiaro che lui non ne sarebbe stato in grado e così aveva messo nero su bianco quelle parole su una traccia musicale, sperando che loro potessero farlo.

Ora, dopo tutti quegli anni forse quelle stesse parole avrebbero aiutato un altro numero zero.


 


 


 


 

"Dimmi. Dimmi! Non hai intenzione di parlare con il tuo migliore amico? "

"Assolutamente no."

Jungkook era passato dalla casa Jung-Kim solo per prendere alcune medicine dal cassetto mai vuoto del quasi dottore Hoseok. Forse rimanere ad aspettare fuori sotto la pioggia battente non era stata la sua idea più intelligente, ma dopo aver visto Jimin illuminarsi così, si disse che ne era valsa la pena.

Quello che lui non meritava però era avere Taehyung che lo tormentava per sapere quali fossero i suoi piani perché aveva osato non dirgli nulla a riguardo. Tutto questo era successo perché Jimin lo aveva detto a Seokjin, che lo aveva detto a Hoseok che lo aveva detto alla sua anima gemella.

Jungkook, però, aveva una serie di motivi per cui voleva mantenere segrete le sue mosse.

I suoi hyung avrebbero probabilmente cercato di aiutarlo, ma lui non voleva questo. Per quanto egoista potesse sembrare, voleva essere solo lui quello che rendeva Jimin felice, voleva coccolarlo, concedergli ogni suo desiderio, così da porre rimedio ad ogni parola dura che Jungkook aveva detto fin dal loro primo incontro. La strana conversazione avuta con Min Yoongi non aveva fatto che acuire questo suo sentimento perché Jimin era gentile con tutti senza chiedere nulla in cambio: lo era con i suoi amici e lo era stato con Jungkook, per qualche ragione sconosciuta, sin dall'inizio, anche se Jungkook era sicuro di essere stato tutt'altro che amabile.

Erano stati un disastro, lo erano ancora, ma Jungkook ci teneva a risolvere il problema. Più di ogni altra cosa, per la prima volta, sentiva di volersi prendere cura di qualcuno.

Per tutta la vita qualcuno si era preso cura di lui, prima Taehyung, poi Hoseok e infine Jimin.

Aveva bisogno di fare questo.

Aveva bisogno di farlo da solo e in lontananza. Come se tutti i suoi piccoli gesti potessero ricordare a Jimin che lui avrebbe cercato di essere lì a prescindere.


 

Non pensi che sarebbe bello essere in grado di condividere almeno un po 'di questo fardello con qualcuno?


 

"Taehyung cosa ti ho detto ieri? Hai promesso che avresti lasciato Kookie in pace." Disse Hoseok entrando in salotto con una tazza di tè caldo con miele in mano per il più giovane. Jungkook sorrise con gratitudine.

"Bene. Non dirmi niente. "Taehyung sbuffò precipitandosi fuori dalla cucina. Jungkook un po’ perplesso perché non era da Taehyung essere così sensibile, inarcò un sopracciglio e guardò con aria interrogativa Hoseok. Se conosceva bene il suo migliore amico c'era qualcosa che lo preoccupava.

"Mi dispiace. Penso che sia colpa mia. Potrei avergli detto di non intromettersi troppo nella tua vita amorosa. So che siete amici d'infanzia, ma ho avuto la sensazione che tu volessi fare questo da solo. Lui non l'ha presa molto bene." Hoseok disse scuotendo la testa.

"Grazie, hyung. Avevi ragione. Taehyung è il mio migliore amico, ma questa è la mia prima vera storia romantica e, anche se non so da dove cominciare, sento di dover fare del mio meglio. Per Jimin hyung." Jungkook disse grattandosi la nuca imbarazzato.

"Ah, il nostro Kookie è tutti cresciuto ora!" Cinguettò l’altro.

"Hyung ho solo 23 anni. Non sono poi così tanto più giovane di te."

"Ancora un bambino ai miei occhi. Sarai sempre il figlio adottivo mio e di Taehyung. "Jungkook rise e Hoseok sorrise di rimando. Ma dopo un po il più giovane notò che il sorriso del suo hyung non raggiungeva i suoi occhi e Jungkook smise di sorseggiare dalla sua tazza e lo osservò meglio. Questo era strano.

Il suo amico sembrava stanco, era comprensibile perché da quando lo avevano messo in emergenza i suoi turni in ospedale erano terribili. Tuttavia sembrava esserci dell'altro e Jungkook ebbe l’impressione che nemmeno Taehyung, il prezioso Taehyung di Hoseok, lo avesse notato.

"Hyung stai bene?"

"Hmm.? Benissimo."

"Sei sicuro? C'è qualcosa che ti preoccupa? "

"Perché mi chiedi questo? Kookie sto bene, non ti preoccupare " Rispose agitando una mano.

Jungkook inclinò la testa valutativo. Per anni Jungkook aveva vissuto il suo legame con Taehyung senza preoccuparsi di calpestare certi confini. Lui e Taehyung erano un dato di fatto, qualcosa che non aveva bisogno di domande o spiegazioni. Forse, ancora una volta, era stato così concentrato su se stesso da non notare certi dettagli.

Eppure anche se si fosse degnato di guardare meglio, non avrebbe potuto comunque capire, perché in quel tempo non aveva nulla da perdere. Ora era diverso però. Molto diverso.

"Lo sai che ti ama più di ogni altra cosa, vero?" Jungkook sbottò. Non sapeva se fosse questo. Non sapeva se spettasse a lui dire certe cose, ma sentiva di poter finalmente capire. Come se Hoseok avesse davvero bisogno di sentirsi dire quelle parole da qualcuno, non importava quanto ridicolo potesse sembrare dall'esterno che un'anima gemella dubitasse dell'amore del suo numero uno.

Hoseok lo guardò sorpreso, ma Jungkook era sembrato così serio che il suo sguardo si addolcì.

"Lo so. Lo so. Ma io non sono così gentile come tu o Tae immaginate. Anche io posso essere meschino. Egoista."

"Tu sei la persona più gentile che io abbia mai conosciuto hyung. Beh, dopo Jimin. "Hoseok rise.

"Sono lusingato. E 'solo che ... a volte l'amore può farti fare cose strane.” Rispose dandogli una pacca affettuosa sui capelli.

Ah. Erano le stesse parole usate da Taehyung. Sì, sicuramente l’amore poteva farti fare cose strane.

"Mmm ti sento un po’ caldo Kookie.” Hoseok disse tastando meglio la sua fronte. “Dopo aver finito di bere il tè, sdraiati un po 'sul divano, ok? A meno che tu non voglia che un raffreddore fermi i tuoi piani di corteggiamento! Vado a prendere una coperta per te. " Concluse alzandosi, ma prima di fare un passo strinse la spalla di Jungkook in un silenzioso grazie. Hoseok era così davvero così gentile

Jungkook sperava che qualunque cosa stesse infastidendo Taehyung e Hoseok, potesse essere risolta facilmente.


 

Era sabato notte e lui era esausto. Come aveva sperato, il leggero raffreddore era finito con l’essere proprio questo, un leggero raffreddore ed erano bastati un buon pisolino e un’aspirina per essere di nuovo in piedi. Era stato per tutta la settimana impegnato a studiare duramente per i suoi esami finali, ad andare alle ultime lezioni di danza e allo stesso tempo aveva cercato di pianificare la mossa successiva per fare contento Jimin. Il giorno prima aveva fatto consegnare del caffè nel suo ufficio, il suo hyung non era un tipo da caffè a meno che non fosse mattina o non avesse qualche progetto difficile da svolgere, ma aveva pensato che se Jimin si sentiva stanco per la settimana tanto quanto lui, forse avrebbe apprezzato un energizzante. Era stato così e Jungkook aveva ricevuto un messaggio di ringraziamento alcuni minuti dopo la consegna. Aveva sorriso come una scolaretta. L’amore ti faceva fare cose strane. A quanto pareva ti abbassava anche il quoziente intellettivo.

Jungkook scosse la testa cercando di non assopirsi sul divano di nuovo. Era tornato dal lavoro, aveva scaldato un po' di pizza e poi si era spaparanzato sul divano con la tv accesa a godersi la sua cena. Probabilmente si era addormentato nel bel mezzo di un episodio della sua serie preferita e aveva finito con lo schiacciare il telecomando con il suo peso, perché quando aprì gli occhi la tv dava su canale di notizie 24 ore su 24. Batté le palpebre un paio di volte cercando di svegliarsi e trovare la volontà di alzarsi e andare a dormire su un letto vero. Poi le immagini alla tv lo distrassero.

"Breaking News: scontro tra comitati sfiorato." Jungkook si sentì improvvisamente sveglio.

Alzò il volume e si mise ad ascoltare il giornalista. A quanto pareva c'erano stati alcuni disordini nel centro della città tra il comitato per il No e quella per il Sì, che stavano distribuendo volantini a cento metri l’uno dall’altro.

Il 10 maggio vota sì.

Si guardò intorno cercando freneticamente il suo telefono e illuminò lo schermo. Meno di due settimane alla data clou.

Se ne era dimenticato. Si era completamente e assolutamente dimenticato. Per mesi quella data era stata tutto quello a cui aveva potuto pensare, ma ora non c’era niente di tutto questo. Se ne era dimenticato. Una parte di lui pensava di dover essere sconvolto, ma non lo era. Certo pensava ancora che fosse criminale anche solo suggerire il referendum, eppure la solita rabbia che gli ribolliva nelle vene non c’era. Si fermò un attimo a riflettere su ciò che questo significava per lui. Si, non voleva sposarsi, si era contrario al referendum e decisamente era ancora in disaccordo con i suoi genitori. Tuttavia tutto ciò non cambiava i sentimenti che provava per Jimin.

All’inizio aveva temuto che Jimin avrebbe rovinato tutto e in qualche modo lo aveva fatto, ma per il meglio. Non si era perso, le sue convinzioni erano ancora li, ma c’era anche il suo amore e lui non lo percepiva affatto come sbagliato.

Scoppiò a ridere.

Era tutto così incasinato, la sua realtà si era capovolta e il mondo era andato avanti e anche Jungkook. Ciò che aveva pensato lo avrebbe trascinato in basso, di fatto lo aveva elevato e aveva finito col tenere insieme i pezzi di un se stesso che per troppo tempo aveva creduto di non poter ricomporre più.

Jungkook aveva voluto una vita per se stesso, era stata la sua scelta, il suo ultimo testardo baluardo di resistenza contro questa società corrotta. Era stato il suo scopo nella vita e pensava sarebbe stato felice se fosse riuscito a realizzarlo. Anche se quella scelta significava essere mangiati vivi dal peso della solitudine, la riteneva comunque una vita degna di essere vissuta e non ci vedeva nulla di sbagliato. Non lo era. Perché gli aveva permesso di sopravvivere.

Poi però, aveva incontrato Jimin e forse non lo aveva trasformato improvvisamente in una macchina da matrimonio, ma aveva curato la sua solitudine e gli aveva fatto capire che non doveva necessariamente combattere le sue battaglie da solo, che forse avrebbe potuto farlo passo dopo passo con qualcuno al suo fianco.

Io dimostrerò al mondo come un numero zero può essere felice.

Con un sorriso sulle labbra, Jungkook spense la tv e si alzò per andare finalmente a godersi il suo letto. Prese il cellulare e riordinò i cuscini e già che c’era ne approfittò per cercare on line un negozio di fiori aperto la domenica. Quindi impostò la sveglia presto perché voleva fare qualcosa per Jimin prima del suo turno mattutino in negozio e poi, infine, si addormentò.

Non dormi mai così bene.


 


 


 


 


 

Jimin chiuse la porta.

Yoongi non si era mai guardato indietro e Jimin ne era stato contento. Era vero che non lo poteva perdonare però una parte di lui si augurava lui potesse trovare un po' di pace.

Aveva chiuso una porta, ma sentiva di aver appena chiuso anche la porta sul suo passato. Sospirò, appoggiando la fronte sul legno.

Jimin aspettava di sentire una sorta di vuoto o qualsiasi altra emozione, ma non c'era più niente e si sentì sollevato. C'era stata una piccola parte di lui che era stata legata a Yoongi tutto quel tempo ma se ne era andata per sempre e tutto quello che Jimin era, ora apparteneva solo a lui e, naturalmente, a Jungkook. Se lui lo voleva.

A proposito di Jungkook. Jimin tirò fuori il cellulare dalla tasca posteriore per controllare la situazione.

C'era una sola la chiamata persa e nessun messaggio e Jimin cercò di non farsi prendere dal panico. Aveva senso, si disse. Jungkook probabilmente pensava che Jimin non volesse parlare.

Si mosse verso la cucina per prendere un bicchiere d'acqua e sedersi. E per cercare di calmarsi un po’.

Una volta che ebbe fatto tutte queste cose esattamente in quell’ordine, prese un ultimo respiro e procedette a premere il pulsante di chiamata.

Jungkook rispose al quarto squillo.

"Hyung?" Disse la voce del più giovane dall'altra parte della linea. Sembrava roca e incerta, ma così lui.

"Jungkook". Jimin disse incapace di articolare ulteriormente. Voleva gridare mi manchi e voglio vederti, ma in qualche modo sentiva il bisogno di spiegarsi prima.

"Hyung è tutto a posto? Ho provato a chiamarti prima, ma ... "la voce si fece un sussurro.

"Mi dispiace. Qualcosa è saltato fuori all'improvviso e non ho potuto rispondere anche se morivo dalla voglia di farlo". Si rimproverò però. Doveva essere onesto, non voleva iniziare qualcosa con Jungkook mentendo.

"Qualcuno, in effetti è saltato fuori all’improvviso, qualcuno come Min Yoongi. Ma è stata l'ultima volta. Non tornerà più. Ho chiuso questa faccenda.”

Un silenzio pesante fece seguito alle sue parole e Jimin si morse le labbra nervosamente. Che cosa sarebbe successo se Jungkook se la fosse presa di nuovo come quel giorno allo showcase? Namjoon aveva detto di fidarsi, ma Jungkook era così giovane ed era stato evidente quanto fosse stato spaventato.

"Solo. Beh dimmi che l’hai strapazzato un po’. "

Jimin si sentì preso alla sprovvista.

"Gli ho dato un calcio all'inguine. Può andare? "

"Ottimo. Allora va bene. "Jungkook disse improvvisamente sollevato.

Jimin rise.

"Gli ho anche sbattuto la porta in faccia se ti fa sentire meglio."

"Sono una persona cattiva se dico di sì?"

"Min Yoongi ha questo effetto sulle persone. Prova a chiedere a Jin hyung! Quindi no, è normale. "

"Ci scommetto. Scherzi a parte, spero che tu abbia chiarito quello che andava chiarito. E' stato una parte importante della tua vita e anche se lui come persona mi fa arrabbiare, tu hai tutto il diritto di schiarirti le idee e parlare con lui. Lo avevo incontrato anche io e mi aveva detto che avrebbe cercato di parlare con te. "Jungkook concluse sospirando.

"Per favore, non ti preoccupare di questo. Hai ragione, lui era una persona importante, ma in passato. Credo di essermi spiegato bene quando ho detto che c’è qualcun altro di importante per me ora.

"Chi?"

"Tu, scemo. Ti piace così tanto sentirmelo dire? "

Fu la volta di Jungkook di ridere.

"Si lo ammetto. E grazie, hyung. Grazie per essere stato onesto con me. A dire il vero sono sollevato. Per un momento quando non hai risposto, ho temuto tu avessi cambiato idea ".

"Non lo farei mai. Poi sono stato io a mandarti quel messaggio. Mi manchi davvero.

"Mi manchi anche tu." Disse Jungkook. Jimin sospirò soddisfatto e poi disse quello che aveva voluto dire per giorni.

"Voglio vederti Jungkook."

"Voglio vederti anch'io. Mi dispiace che cisia voluto così tanto tempo per venirne a capo. Volevo fare le cose nel modo giusto e così è passato ancora più tempo. Quindi fammi riformulare la frase. Hyung ti piacerebbe andare a un appuntamento con me? "

"Sì", Jimin disse senza neanche aspettare che il più giovane finisse di articolare l’ultima sillaba.

"Bene. Allora vediamoci, domani. Dopo il tuo lavoro ".

“ Perfetto. Non vedo l'ora. "

"Anche io. Buonanotte Jimin. "Jungkook sussurrò dolcemente.

"Buona notte."


 

Forse domani poteva essere un nuovo inizio.




















NdA: E così abbiamo detto addio a Yoongi, non lo rivedremo più in questa storia. Yay(immagino comunque abbiate domande su di lui, ho lasciato volutamente la cosa sul vago).
Ma la domanda è: riusciranno i nostri protagonisti ad avere questo benedetto incontro?
;)

ps: Precisazioni su Yoongi per chi non ha colto tra le righe. Yoongi diventerà il padre di una bambina. Lei sarà un numero zero ecco perchè era così angosciato "eri l'unico numero zero a cui tenevo eppure ti ho fatto del male male comunque". Quando Jungkook ha ascoltato Gloss, una delle tracce era Faraway, una canzone che lui aveva dedicato a Jimin. "spero di poter esserci per lei dall'inizio alla fine." Quelle stesse parole avevano un significato ed ora sono la sua preghiera per sua figlia.

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Capitolo 31
*** 00.22 ***


00.22


 


 


 

Era come quel momento impalpabile del mattino tra il sonno e la veglia. Quel momento agrodolce tra realtà e sogno, e il sogno era stato uno buono.

Per favore non svegliatemi, non svegliatemi, una preghiera mattutina mentre la sfocatura della realtà si faceva sempre più chiara.

Perché tutto doveva svanire prima di essere afferrato con mano.


 


 


 


 

"Taehyung. Vuoi dirmi perché sei qui?"Jungkook stava controllando nervosamente la sua immagine riflessa nello specchio. I suoi capelli quel giorno avevano deciso di puntare in qualsiasi direzione tranne verso il basso col risultato che aveva cercato di appiattire la frangia per dieci minuti buoni senza alcun risultato. Non aiutava il fatto che non sarebbe riuscito a tornare a casa a cambiarsi e controllare che il suo aspetto fosse ancora decente. Aveva infatti una lezione nel pomeriggio che lo avrebbe tenuto occupato fino al suo appuntamento con Jimin. Sì, si stava comportando in modo vanesio, ma era così nervoso e il suo aspetto sembrava essere l'unica cosa che poteva controllare. Per il resto poteva solo sperare sarebbe filato tutto liscio.

Jungkook lanciò un'altra occhiata al suo migliore amico. Taehyung aveva invaso la sua casa dopo pranzo e senza alcun motivo logico si era affaccendato intorno a lui, suggerendo look dopo look e quando il giovane esasperato lo aveva cacciato via, questi aveva deciso di sedersi in un angolo del letto, a giocare distrattamente col suo telefono. Guardava nel vuoto ogni cinque minuti. Era parecchio irritante e stava innervosendo Jungkook, che di quel passo avrebbe dimenticato tutto. La notte prima aveva preparato un discorso nella sua testa, con tutta l'intenzione di far dimenticare a Jimin la confessione disastrosa dello showcase.

"C’entra Hoseok hyung?" Chiese Jungkook dopo un po', quando fu evidente che Taehyung non aveva intenzione di andarsene fino a quando lui stesso non se ne fosse andato.

"Hoseokkie?” Esclamò Taehyung interrompendo il suo videogame.

"Non so cosa sia successo, ma ieri tu sembravi sconvolto e lui non aveva un aspetto eccezionale. In realtà, penso che forse era da un po’ che non aveva un ottimo aspetto, ma l’ho notato solo ora.” Jungkook commentò mordendosi le labbra, assorto nei suoi pensieri.

"Ti ha detto questo?" Taehyung disse con un tono così vacillante che stava iniziando a spaventare Jungkook.

"Lui non mi ha detto nulla. Mi ha solo spiegato che era colpa sua se tu eri un po' suscettibile. Che ti aveva fatto arrabbiare."Jungkook disse andando a sedersi accanto al suo migliore amico.

Taehyung sbuffò.

"E' uno stupido. Così stupido. Ovviamente non è colpa sua e non sono mai stato arrabbiato con lui. Stavo solo cercando di capire qualcosa e sono stato per lo più arrabbiato con me stesso. Per essere stato cieco per tanto tempo." Disse Taehyung scuotendo la testa a disagio.

Jungkook poi, fece quello che Taehyung aveva sempre fatto per lui tutte le volte che si era sentito triste e solo. Lo prese per mano.

"È così? Lo sai che ti ama moltissimo e tu lo ami a tua volta, quindi andrà tutto bene.”

Taehyung strinse la mano di Jungkook traendo conforto dal contatto.

"E' la mia anima gemella. Io sono la sua. Tutto quello che sono, tutto quello che possiedo è suo e suo soltanto. Ma ero così fissato su questo principio, sul fatto che lui come anima gemella dovesse accettare tutto quello che sono, che i miei occhi sono riusciti a perdersi un dettaglio fondamentale. Sono stato così cieco. Ho dato alcune cose per scontato perché lui era mio e ho paura che potrei averlo ferito senza nemmeno rendermene conto, per tutto questo tempo. Anche se io non posso cambiare cosa sono, avrei potuto metterci più impegno nel rendere i miei sentimenti più chiari. Perché ieri, mentre parlava, ho visto qualcosa nei suoi occhi che mi ha spezzato il cuore.”

"Che cosa hai visto?” Chiese Jungkook in un sussurro.

"Ho visto il dubbio."

Fu il turno di Jungkook di scuotere la testa mestamente. Così aveva avuto ragione. Hoseok amava Taehyung e amava anche Jungkook, al punto che aveva deciso di porre i suoi sentimenti dopo i loro. Nessun'altra anima gemella lo avrebbe fatto, nessun altro compagno avrebbe mai fatto una simile concessione al legame esclusivo tra numeri due. Ma c’era un limite a quello che un cuore poteva sopportare e Hoseok aveva pensato che fosse meglio rimanere in silenzio perché viveva questo suo sentire come un imperdonabile difetto. "Io non sono così gentile come tu e Tae pensate." Lo era. Era così gentile, talmente tanto da accettare di subire il colpo senza mai lamentarsi.

"E' stata colpa tua, quanto mia, però.” Sospirò Jungkook. "Mi piace pensare che ciò che abbiamo è speciale, diamine ti conosco da quando eravamo bambini e siamo stati inseparabili sin da allora. Tu sei rumoroso e ingestibile mentre io sono scortese e difficile ma in qualche modo funzioniamo bene insieme e siamo diventati migliori amici. Tu mi sei rimasto accanto in ogni circostanza. Si, hai scelto di stare con me, anche quando avevi già qualcuno a cui dedicare tutto il tuo tempo e dato che ero un egoista ho preso e basta, senza preoccuparmi dei sentimenti degli altri. E di questo mi dispiace."

"Anche se tu non l’avessi fatto, non ti avrei comunque lasciato in pace." Jungkook rise. “E’ vero. Quello che sto cercando di dire è ... Grazie Taehyung, per non avermi lasciato da solo anche quando ti respingevo. Ma penso che sia tempo che tu ti prenda cura solo di chi dovresti prenderti cura, qualcuno che ha bisogno di te più di quanto ne avrò mai bisogno io. Io me la caverò benissimo."

Taehyung appoggiò la testa sulla sua spalla.


 

"Tu sei il migliore amico che avrei mai potuto chiedere." Anche tu, pensò Jungkook.


 

Mostrerò al mondo come un numero zero può essere felice.” Esclamò Jungkook le lacrime agli occhi per la rabbia, per come gli bruciava l’ingiustizia.

Allora fino a quel momento, io rimarrò con te.” Aveva risposto Taehyung prendendolo per mano per la prima volta.


 

"Ovviamente. A proposito, se hai bisogno di alcuni consigli di corteggiamento te ne posso suggerire io a bizzeffe. Sono diventato fondamentalmente un esperto." Taehyung sbuffò.

"Dovresti essere grato Jimin è sdolcinato come te." Ripose spingendo Jungkook di lato.

"Beh, sai chi è altrettanto sdolcinato? Hoseok hyung! Credo che apprezzerebbe che tu facessi per lui tutte le cose che io ho fatto per Jimin. "

"Ma noi abbiamo la stessa macchina. Non posso lavare la nostra macchina come gesto romantico! "

Jungkook arrossì.

"E tu come fai a saperlo?"

"Saprò sempre tutto di te scemo," Taehyung rispose vantandosi. Jungkook gli lanciò un cuscino in faccia.

"Smettila di essere auto celebrativo. Torna a casa e vai a coccolare Hoseok hyung fino alla morte. Io devo andare o sarò in ritardo per la lezione."

Il suo migliore amico annuì.

"Buona fortuna Kookie! Appena avrai finito dovrai dirmi tutti i dettagli piccanti,” disse Taehyung sollevando le sopracciglia allusivo.

Jungkook afferrò l'altro cuscino e lo scagliò contro di lui. Taehyung rise. Jungkook sorrise di rimando. Si sentiva meglio, meno nervoso.

Sperava tanto che quello sarebbe stato un giorno da ricordare.


 


 


 


 

Jimin non vedeva l'ora che la sua giornata di lavoro giungesse al termine, così da poter scappare dal suo ufficio e incontrarsi finalmente con Jungkook.

Quella mattina Jimin si era svegliato in preda all’eccitazione e aveva proseguito nella sua routine quotidiana con un grande sorriso stampato sul suo viso e lui era piuttosto sicuro che se avesse chiesto a una delle persone che aveva incontrato sul tragitto dalla sua auto al suo ufficio, queste lo avrebbero scambiato per un numero due.

Era felice, era così felice. Si sentiva come se non fosse stato così felice da anni, probabilmente.

Aveva chiamato Seokjin la notte prima dopo la sua conversazione con Jungkook e gli aveva detto tutto. Da Min Yoongi che era apparso alla sua porta a Jungkook che gli aveva chiesto un appuntamento.

"Hai avuto una giornata piena di sorprese." Seokjin aveva commentato e anche dal telefono aveva intuito che il suo migliore amico stava sorridendo.

"Sono così orgoglioso di te Jimin. Sei arrivato così lontano. Sono davvero felice per te "Seokjin aveva detto.

Aveva digitato sul suo computer allegramente per tutta la mattinata. L'inserimento dei dati non era mai sembrato così eccitante come quel giorno.

Si sentiva gli sguardi dei suoi colleghi addosso. Jimin era sempre stato piacevole e cortese, ma nessuno l’aveva mai visto così di buon umore. La maggior parte dei suoi colleghi non sapeva del suo status, solo il suo capo ne era a conoscenza. A Jimin non importava quello che gli altri pensavano, ma forse era meglio se lui si conteneva un pochino. Aveva 26 anni per l'amor del cielo, avrebbe dovuto mantenere del contegno anche se Jimin si sentiva di nuovo un adolescente umorale. L'amore per un po’ era stato solo un miraggio, ma il suo cuore non aveva dimenticato, il suo cuore ricordava ancora e avrebbe voluto cantare al mondo e sorridere a tutti.

Sono davvero uno scemo innamorato.

La giornata passò lentamente tra il suo capo che continuava a dargli incarichi da svolgere e la sequela senza fine di dati da inserire, ma tutto ciò lo aveva aiutato a tenere la sua mente occupata. A pranzo, Jungkook gli aveva mandato un messaggio dandogli un indirizzo per l’appuntamento e scusandosi per non essere in grado di andare a prenderlo sul posto di lavoro perché aveva una classe che si sarebbe conclusa nello stesso orario in cui lui finiva di lavorare. Gli aveva risposto, naturalmente, di non preoccuparsi.

Le ultime ore erano trascorse così e prima di rendersene conto, l'orologio sulla scrivania aveva indicato la fine della giornata. Jimin saltò in piedi prima che il suo capo potesse tornare e dargli un incarico dell’ultimo minuto. Di solito non si lamentava, ma oggi aveva davvero bisogno di uscire il più presto possibile. Così raccolse le sue cose in fretta e furia e ancora più rapidamente indossò la giacca leggera e si precipitò fuori di lì.

Fece il tragitto verso la sua auto praticamente correndo. Controllando l'orologio vide che aveva qualche minuto utile per sistemarsi i capelli nello specchietto retrovisore, mentre decideva mentalmente dove parcheggiare la sua auto visto che avevano deciso di incontrarsi in centro città, di solito molto trafficato a quell’ora. Dopo aver finito di dare un’ultima occhiata, prese il suo telefono per messaggiare Jungkook e avvertirlo che era per strada.

C’erano diversi messaggi e uno anche da parte del più giovane. Jimin sempre sorridendo controllò per primo il suo messaggio ignorando gli altri (scusa Seokjin). Ma poi, quando lesse il messaggio il telefono quasi gli cadde sul pavimento dell'auto. Con le mani tremanti, se lo portò di nuovo sotto gli occhi, perché forse Jungkook gli aveva mandato un altro messaggio che spiegava il motivo di quelle parole. Non c'era niente, però.

Un pugno nello stomaco sarebbe stato meno doloroso. Perché? Ci doveva essere per forza una ragione logica. Premette il pulsante di chiamata. Ma la linea morì subito dopo e deviò la sua chiamata direttamente alla segreteria telefonica, segno che Jungkook probabilmente aveva spento il cellulare.

Che cosa era successo? Cosa stava succedendo? Strinse la presa sul volante cercando di recuperare una parvenza di sanità mentale. Era un adulto, aveva sperimentato cose ben peggiori.

Non era la fine del mondo.

Accese il motore e come in trance guidò verso casa.


 

"NON VENIRE! "


 


 


 


 


 


 

Sulla strada per l'università, Jungkook aveva dovuto deviare dal suo solito percorso. A quanto pareva c’era una manifestazione o un corteo dimostrativo quel giorno, perché c'erano alcune transenne poste qua e là a sbarrare gli ingressi ad alcune strade e anche qualche squadra di polizia di sorveglianza ai palazzi del potere. Ma Jungkook conosceva la sua città come il palmo della sua mano ed era riuscito a raggiungere la sua destinazione senza alcun problema. C’erano alcuni studenti riuniti davanti all'ingresso, Jungkook li oltrepassò. Non aveva alcun interesse a sapere quello che stavano facendo, aveva cose più importanti, come andare a lezione in modo da poter incontrare Jimin dopo.

Sorprendentemente la classe non era piena, nonostante la materia fosse obbligatoria. Jungkook supponeva che alcuni degli studenti fossero lì fuori a sprecare il loro tempo. Non sapeva se ci fosse un evento programmato, ma anche se ci fosse stato, non vi avrebbe mai preso parte. Gli eventi erano cose da stupidi numeri due.

La lezione procedette senza nulla di interessante da riferire, noiosa e difficile come al solito. Era l'ultima lezione del semestre e il professore era solito lasciare indizi qua e là sulle domande che avrebbero trovato nel quiz di fine corso. Valeva la pena di partecipare perché il professore era più incline a rispondere ai quesiti dei suoi studenti in quel periodo del semestre. Taehyung lo aveva messaggiato per tutta la seconda parte della sua lezione, poi Jungkook aveva perso la pazienza e gli aveva intimato di concentrarsi sulle sue lezioni o pensare a un modo per coccolare Hoseok. Al che Taehyung aveva risposto. "Lo sto facendo. E' solo che il mio insegnante di pianoforte non si è ancora fatto vedere. "

Jungkook non aveva avuto la possibilità di replicare, perché il professore aveva iniziato a porre alcune domande.

Quando finalmente la lezione finì Jungkook fu enormemente sollevato, quella parte del giorno era finalmente arrivata. Si precipitò in corridoio e poi fuori all'aria fresca.

Ma non appena ebbe fatto un passo fuori dall'edificio avvertì una strana aria pesante. Il gruppo di persone che si erano radunate davanti all'ingresso sembravano essersi volatilizzate, ma c'erano i loro striscioni abbandonati sul ciglio della strada. Jungkook, sebbene trovasse la cosa strana, pensò che forse si erano appena mossi da qualche altra parte. Andò a slegare la sua bici e si mosse verso il centro. Tuttavia dieci minuti dopo sentì uno scoppio provenire dalla sua sinistra. Si fermò in mezzo alla strada il che gli procurò qualche colpo di clacson dalle auto dietro a lui. Sembrava che il rumore provenisse proprio dalla strada che portava alla piazza principale della città. Jungkook si spostò sul marciapiede. Aveva concordato con Jimin di incontrarsi proprio lì. Era il posto più bello della città e anche il più romantico e Jungkook aveva voluto essere sdolcinato fino in fondo. Doveva andare lì. Ma il suo istinto erano in allerta e per un momento fu preso dal dubbio. Controllò l'ora sul suo telefono. C'era ancora un po' di tempo prima che Jimin uscisse dall'ufficio. Poteva sempre controllare se c'era della confusione ed eventualmente avvertire il maggiore di spostare il punto di incontro da qualche altra parte.

Annuì a se stesso. Guidò la sua bici verso la piazza principale. Le strade sembrava tranquille, anche se un po 'troppo deserte per quel momento della giornata, ma tutto sembrava ancora a posto. Poi girato l’angolo fu costretto a fermarsi bruscamente. C'era un grande gruppo di persone che agitava bandiere e che parlottava tra di loro. Sembravano essere di passaggio e puntavano verso la direzione opposta alla piazza principale, di modo che Jungkook suppose che sarebbe bastato superare la parata e proseguire fino al punto di incontro concordato. Sembrava abbastanza sicuro. Dato che c'erano troppe persone per passare comodamente rimanendo in sella alla sua bici, decise di scendere e guidare la bicicletta a mano attraverso la sfilata. Era a metà strada quando improvvisamente si udì un altro scoppio.

Le persone intorno a lui urlarono, spinsero tutte verso un lato costringendolo a muoversi con loro. Ci fu un altro suono squarciante che era pericolosamente simile a un'esplosione e poi la sfilata pacifica fu invasa da un altro gruppo di persone. Fu il pandemonio. Jungkook si sentì spingere di lato fu costretto ad abbandonare la sua bici da qualche parte in mezzo al mare di persone. Con alcuni altri riuscì a correre verso un angolo sicuro, era un vicolo cieco, ma almeno non era così stipato di gente e alcuni bidoni della spazzatura potevano fungere da schermo. Con il cuore in gola, si guardò intorno per capire cosa stava succedendo.

Non poteva vedere chiaramente, c'erano solo persone che correvano su e giù per la strada, e striscioni fatti a pezzi e abbandonati.

Il 10 maggio vota No.

Ma che cazzo stava succedendo.

Rimase nascosto dietro un contenitore di rifiuti, sperando che queste persone sarebbero passate oltre e lui sarebbe finalmente stato in grado di muoversi e tutto questo sarebbe stata solo una brutta esperienza da raccontare ai suoi amici.

Tuttavia prima che la gente potesse effettivamente disperdersi la polizia iniziò a circondare la strada Vide alcune persone che cercavano di rompere il cordone di polizia e fuggire a forza, mentre altri invece avevano preferito fare cerchio, cercando di rimanere uniti e di calmarsi. Jungkook decise di non fare nulla eccetto aspettare. La situazione non sembrava promettere nulla di buono, però. La polizia cominciò a chiudere il cerchio e Jungkook rimase intrappolato nel mezzo.

Le persone che non erano riuscite a fuggire cominciarono a calmarsi. Un agente di polizia con un megafono iniziò a dare indicazioni. Poi giunsero numerosi furgoni della polizia. Gli agenti cominciarono a fare delle domande alle persone. Jungkook era troppo lontano per carpire qualcosa, ma vide che alcuni venivano lasciati lì, mentre altri per qualche motivo venivano invece trascinati sui furgoni.

Poi vide un poliziotto controllare i documenti d'identità, si stavano avvicinando al suo nascondiglio, fino a quando vide un ragazzo della sua classe venir interrogato e poi scortato su un furgone. Jungkook sapeva che il ragazzo era un numero zero come lui.

E improvvisamente capì. Stavano portando via solo i numeri zeri. Si accucciò sull'asfalto freddo. Non aveva modo di scappare, era circondato e, anche se era innocente, sapeva che stava per essere trascinato in uno di quei furgoni. La sua unica colpa sarebbe stata di essere nel posto sbagliato, al momento sbagliato.

Jimin.

Jimin stava arrivando lì. Con le mani tremanti, afferrò il telefono e digitò furiosamente un messaggio.

Sentì un altro rumore assordante provenire da qualche parte, poi perse l'equilibrio e senti il suo cellulare scivolargli dalle dita e rovinare a terra.

Poi qualcuno lo tiro in piedi con durezza.

"Tu ragazzo, il tuo nome e il tuo stato."

Jungkook in preda al panico non fu stato in grado di rispondere subito.

"Ti ho fatto una domanda!"

"Sono Jeon Jungkook e …" Sapeva che non poteva mentire, avrebbero controllato la sua carta d'identità e l’avrebbe scoperto comunque.

"Sono un numero zero.”

"Nel furgone."

Senza nemmeno avere la possibilità di replicare, fu trascinato con forza dagli agenti su un furgone. C'erano altre persone lì e lui era l'ultimo occupante. Lo spinsero nel sedile e poi chiusero le porte, facendo calare il buio. Sentì il veicolo cominciare a muoversi.

Jimin. Jimin.

Jungkook sperò che il maggiore avesse letto il suo messaggio e fosse rimasto lontano da lì.


 


 


 

Taehyung tornò a casa prima perché il suo maestro non si presentò mai a lezione. Aveva letto sul giornale on-line che c’era stato qualche disordine in centro ma che nulla di pericoloso era successo, eccetto rallentamenti del traffico. Taehyung suppose che il suo maestro era stato trattenuto. Fece qualche esercizio per conto suo ma poi tornò a casa. Pensò distrattamente a Jimin e Jungkook, sperando che tutto fosse andato liscio.

Per un attimo era stato preoccupato che quei cosiddetti disordini avessero rovinato il loro appuntamento, ma Jungkook non gli aveva scritto nulla quindi probabilmente era tutto ok.

Arrivò a casa pronto a eseguire il suo piano per farsi perdonare da Hoseok. Era determinato a cucinare qualcosa di delizioso per la sua anima gemella. Lui personalmente era un disastro in cucina, ma forse avrebbe potuto riuscire a cavarne qualcosa di decente con l'aiuto di Seokjin. Controllò il suo telefono. Seokjin era probabilmente a casa a quell’ora, quindi non avrebbe rischiato di disturbarlo. Tuttavia sembrava che il maggiore stesse pensando a lui perché c'era una chiamata in arrivo.

"Ciao hyung! Stavo pensando a te in questo momento." Taehyung cinguettò allegramente.

"Taehyung! Dimmi dove è Jungkook così posso dargli la caccia e ucciderlo lentamente!" La voce minacciosa di Seokjin rimbombò dal telefono.

"Che cosa?"

"Mi hai sentito! Non lo puoi nascondere per sempre! Quindi dimmelo subito così posso prenderlo a calci. Non cambierà quello che ha fatto, ma almeno poi mi sentirò meglio!"

"Hyung che cazzo..? Che diamine stai dicendo? Jungkook? Jungkook è a un appuntamento con Jimin!"

"Jungkook l’ha scaricato, non si è nemmeno presentato al suo appuntamento,” Seokjin esclamò con rabbia al telefono.

"Impossibile! Ho lasciato casa sua un paio di ore fa e lui era più imbambolato di una liceale alla sua prima cotta! "

“Beh, evidentemente ha cambiato idea. Perché ha inviato un messaggio a Jimin annullando tutto ".

"Non ha alcun senso!" Improvvisamente Taehyung fu preso da un brutto, brutto presentimento. "Hyung io davvero non so di che cosa tu stia parlando, credimi. Stavo per chiamarti, perché avevo bisogno di un consiglio per cucinare a Hoseok il suo piatto preferito. C'è sicuramente qualcosa dietro! Non è assolutamente possibile che Jungkook abbia fatto quello che dici che ha fatto. E’ stupido, ma non crudele. O fuori di testa. Lascia che lo chiami e ti richiamo subito, lo giuro.”

"L’ho appena chiamato io, ma il telefono era spento,” disse Seokjin.

"Cazzo. No, questo non è affatto da Jungkook. Hyung credimi, penso che ci sia qualcosa che non va. Ora vado a casa sua a controllare se lui è lì, ma questo storia puzza di marcio. "Il tono di voce di Taehyung era sembrato talmente onesto e ansioso che Seokjin iniziò a vacillare.

"Oh. Ok. Ora sto cominciando a spaventarmi. "

"Sto iniziando a spaventarmi anche io. Ho sentito che ci sono stati alcuni disordini nel centro della città.

"Qualche disordine?"

"Sì ma non conosco i dettagli, la notizia era riportata in modo vago."

“Non ne sapevo nulla. Oggi è il mio giorno libero e l’ho trascorso al circolo. Jimin non mi ha detto nulla di disordini.”

"Il suo posto di lavoro e il circolo sono lontani dal centro, naturalmente non potevate sapere," Taehyung aggiunse cercando di rimanere composto nel possibile. "Cercherò di contattare Jungkook. Ti terrò aggiornati.

"Sì ok. Cercherò di contattare Jimin. Forse è stato solo un grande equivoco. Spero non sia nulla di grave. Stavo iniziando a voler bene a quel ragazzo. Non avrei voluto prenderlo a calci troppo duramente."

"Sì, speriamo non sia nulla. Ora riaggancio. Ti chiamo più tardi hyung.”

"A dopo allora.”

Non appena la chiamato fu conclusa Taehyung chiamò subito Hoseok.

"Taehyung cosa succede, hai bisogno che passi dal supermercato sulla via di casa.?" Chiese Hoseok.

"Hyung, ho bisogno di te in questo momento. Ho paura che qualcosa sia successo a Jungkookie,” disse Taehyung e si rese conto allora che la sua voce tremava.

"Sono a soli 5 minuti di distanza. Sto arrivando Tae. "Hoseok rispose con determinazione.

"Grazie. Aspetterò."

"Qualunque cosa sia, andrà tutto bene ok? Te lo prometto."

"Ti amo.”

"Ti amo anch'io. Ci vediamo in 5 minuti."

Taehyung riattaccò e scivolò a terra. Perché aveva un pessimo presentimento?


 


 


 


 

Il furgone si fermò e la porta si aprì di scatto. La luce lo accecò per un attimo. Era stato portato alla stazione di polizia dove gli furono fatte alcune foto e gli furono scannerizzate le impronte digitali. Poi fu gettato in una cella con altre persone e gli fu detto di aspettare. Jungkook aveva provato a chiedere loro che cosa voleva dire, ma nessuno gli rispose.

Si sedette pietosamente in un angolo della cella, si prese la testa tra le mani.

Poteva solo aspettare e sperare.















NdA: questo capitolo doveva uscire martedi e invece no.Mi sono trovata con del tempo tra le mani ed eccolo qua! Nella speranza che non mi stiate insultando troppo forte, posso solo dire: don't panic. La squadra dei Kim si è messa in azione.
Jimin e Jungkook potranno sempre contare sui loro amici.
Nel caso vi fosse sfuggito ho aggiornato Dietro le quinte e giuro che è fluff, con un Namjoon imbranato alle prese con la sua conquista di Jin XD Qui

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Capitolo 32
*** 00.23 ***


00.23

 

 

Taehyung era praticamente rimbalzato dentro l'appartamento di Jungkook. Avevano provato a suonare il campanello e infine si erano risolti a utilizzare le chiavi di scorta perché nessuno era venuto alla porta. Era stato Hoseok a dover aprire la porta perché Taehyung era stato troppo ansioso per farlo e continuava a non centrare le chiavi dentro la serratura..

L'appartamento era vuoto.

Controllarono tutte le stanze ma, sfortunatamente, non c'era nessuno. Figuriamoci Jungkook.

Taehyung si lasciò cadere sul letto, preoccupatissimo.

"Chiamiamo Seokjin." Il maggiore disse allora, serio. Taehyung aveva annuito, grato che la sua anima gemella fosse lì, solido e affidabile come sempre nel momento del bisogno. Consegnò il suo telefono a Hoseok, che nella fretta lo aveva dimenticato a casa.

"Ciao, dimmi tutto Tae". Hoseok mise la chiamata in viva voce.

"Jin Hyung, sono Hoseok. Abbiamo un problema. Jungkook non è nel suo appartamento. Credo che non sia tornato qui sin dall'ultima volta che è uscito. Tutti i dispositivi sono freddi." Taehyung guardò stupito la sua anima gemella per l’intuizione. Non aveva neanche pensato di controllare.

Oh Hoseok.

Dall'altra parte della linea, sentirono il numero due sospirare pesantemente.

"Ok. Quindi. Ok. Fammi pensare. Ho chiamato Jimin ma lui non risponde ma questo un po’ me lo aspettavo. Ma non è importante ora. Avete qualche idea di dove potrebbe essere? Quando è stata l'ultima volta che l'avete visto?"

"Taehyung lo ha visto subito dopo pranzo e l’ha sentito tramite messaggio intorno alle quattro. Non abbiamo sentito di lui da allora."

"Va bene. Rimanete là finché non vi chiamo, nel caso in cui torni. Nel frattempo io farò qualche telefonata."

"Non dovremmo essere la di fuori a cercarlo?"

"No. A quanto pare i disordini erano più gravi di quanto io e Taehyung avevamo inizialmente pensato. Aspettate lì. Vi richiamerò. So che è difficile, ma cercate di non preoccuparvi troppo, ho la situazione sotto controllo." Disse Seokjin, determinato.

"Hyung va bene. Abbiamo fiducia in te. E grazie. Grazie davvero."

"Per favore, siamo amici, gli amici si aiutano a vicenda. A dopo allora."

"A dopo."

Hoseok riattaccò e prese per mano la sua anima gemella. Ora potevano solo aspettare.

Dall'altra parte della città Seokjin stava chiamando la sua anima gemella.

"Joonie. So che stai lavorando in questo momento, ma ho bisogno di te qui. Abbiamo un problema."

"Jin. Che tipo di problema? È grave? "Chiese Namjoon e Seokjin poté sentire il frusciò di qualcuno che si spostava velocemente. Non importava cosa, Namjoon ci sarebbe sempre, sempre, stato per lui. Seokjin non poteva amarlo di più.

“Abbastanza perché io debba chiamare la mia famiglia. Dobbiamo chiamare i Kim, Joonie. "

"Sto arrivando."

 

 

 

 

Le ore trascorrono lente quando non si è sicuri del proprio destino.

Tuttavia, anche se Jungkook era terrorizzato di fronte a una situazione più grande di lui, lui riusciva solo pensare a Jimin.

Lo immaginò a cena mentre guardava la televisione. Immaginò nella sua testa quello che avrebbe potuto essere la sua routine per quell’orario della giornata. Più di ogni altra cosa sperava che stesse bene. Che, anche se non riusciva a capire cosa stava succedendo, perché doveva pensare che Jungkook lo aveva piantato in asso, fosse quantomeno al sicuro.

Meglio confuso e odiando Jungkook che in una cella come lui.

Si chiese anche se alcuni dei suoi amici avessero intuito cosa gli fosse successo. Sperava che almeno Taehyung capisse che qualcosa non andava. O che Seokjin hyung gli avesse raccontato quello che era successo e che in qualche modo avessero quindi potuto notare le sua scomparsa. Persino la rabbia del biondo era qualcosa da augurarsi, se fosse servita a farli realizzare che la situazione non era normale.

In caso contrario, poteva solo sperare che, ad un certo punto, qualcuno sarebbe venuto per lui, a dirgli che cosa stava succedendo, perché era stato trascinato lì.

Nel peggiore dei casi, beh, sapeva che i prigionieri avevano il diritto di effettuare una chiamata e così contava su quello.

"Non è ovvio? Qui siamo tutti numeri zero. Deve essere successo qualcosa di grave e stanno provando a dare la colpa a noi. "

"Ma noi non abbiamo fatto niente di male!"

"Da quando in qua noi numeri zero abbiamo dei veri diritti?"

La conversazione andò avanti con quel tono per un po 'fino a quando una guardia non intimò loro il silenzio e chiamò qualcuno a tenerli d’occhio.

Dopo quello nessuno osò parlare e quando fu chiaro che sarebbero rimasti lì per un po', la gente iniziò a sedersi sulla panchina o sul pavimento, cercando di riposare. Erano stati ammassati in due grandi celle temporanee. Jungkook si augurava fosse un buon segno e non l'indicazione che il resto delle celle erano occupate. Era affamato ed esausto, ma lui non voleva, non poteva cedere alla sua stanchezza, nella speranza che qualcosa, qualcosa di buono potesse accadere.

Continuava ad agitarsi e a battere il cemento con un piede per distrarsi.

"Fermati. Non farai passare il tempo più veloce così."

Un uomo sulla quarantina gli sussurrò.

Jungkook si voltò verso di lui.

"Lo so. Ma non posso esattamente andare a fare una passeggiata per calmarmi." Rispose, cercando di tenere un tono basso e di non allertare la guardia.

"Vero. A giudicare dal tuo nervosismo devi avere qualcuno che ti aspetta a casa.” Disse l’uomo. Jungkook sapeva in qualche modo che non si riferiva ai suoi genitori.

"Forse,” rispose Jungkook. "Lo spero," si corresse accigliato. Si chiese brevemente cosa lo aspettasse una volta che fosse riuscito ad uscire. Perché non lo potevano tenere rinchiuso li per sempre, vero?

L'uomo rise con tutto il cuore.

"E hanno il coraggio di dire che non ne siamo in grado."

L'uomo disse.

Jungkook sollevò un sopracciglio.

“Di amare. Oh, credimi, so di cosa sto parlando, riconosco quell'espressione. Gioia e turbamento, preoccupazione e nostalgia. Anch'io ho qualcuno che mi aspetta a casa.” L'uomo elaborò.

"Tua...?"

"Mia moglie". L'altro numero zero rispose. "Anche se mi piace pensare a lei più come alla mia anima gemella."

Jungkook fu sorpreso dalle parole dell'uomo.

"C'è stato un tempo in cui anima gemella non significava essere un numero due. Ho fatto le mie ricerche. "L'uomo disse sorridendo.

Ma prima che potesse parlare di nuovo la guardia lo zittì ancora una volta. Subito dopo entrarono altre guardie. Jungkook si alzò pensando che finalmente avrebbero saputo qualcosa circa la loro situazione, ma invece gli agenti di polizia afferrarono l'uomo e lo trascinarono da qualche parte. Jungkook cercò di protestare ma l'uomo scosse la testa e le sue parole morirono in gola.

Afferrò le sbarre della cella, impotente.

 

Un paio di ore passarono. Forse meno, forse di più. Jungkook decise di rimanere seduto in un angolo. Pensò ai suoi amici e alla sua famiglia. A sua madre che si preoccupava per lui, ma per le cose sbagliate. A suo padre sempre così duro e severo che, nonostante i loro disaccordi, Jungkook sapeva che stava agendo per quello che credeva fosse il bene di suo figlio.

Ad un certo punto iniziò ad assopirsi.

Poi giunsero altri ufficiali. Sorpreso dal rumore, Jungkook si scosse.

"Jeon Jungkook!"

Il richiamo svegliò le altre persone nella grande cella.

"Sono io." Rispose mettendosi in piedi. Cercò di non agitarsi e non dare loro la soddisfazione di vederlo debole. Non venne trascinato come l'altro uomo e si limitarono a intimargli di seguirli.

Con la schiena dritta e senza dare a vedere le sue emozioni, li segui senza proferir parola. Lo condussero in quella che sembrava una stanza per gli interrogatori.

Ad aspettarlo c'era un uomo sulla cinquantina impeccabile in giacca e cravatta e con un’aria intimidatoria. L'uomo gli strinse la mano e disse semplicemente: "Jeon Jungkook. Sono il tuo avvocato. Sono qui per portarti fuori di qui."

"Ma cosa? Come? Non ho chiamato nessun avvocato."

"Kim Seokjin mi ha mandato qui. Adesso siediti per favore e lascia parlare me. Andrà tutto bene.” L'uomo lo rassicurò. Jungkook annuì. Stava ringraziando internamente il fotografo e aveva milioni di domande, ma prima che potesse aprire bocca un detective entrò e si sedette dall’altra parte del tavolo.

"A cosa devo l'onore di questa visita?” Chiese il detective che era seduto proprio di fronte a Jungkook. Sembrava conoscere l'avvocato molto bene come se l'uomo fosse una persona importante.

"Detective Lee, la prego ci risparmi il suo umorismo. Sono qui per fare il mio lavoro come lei il suo. Sono stato informato che il mio cliente è stato arrestato senza che ci fosse una vera motivazione per farlo. Il mio cliente non ha preso parte ai disordini di ieri sera. Ho testimoni che possono confermare che, al momento del primo episodio, lui si trovava ancora presso la sede universitaria. Se questo non è sufficiente posso mostrarvi una copia del registro di classe: aveva firmato la sua presenza." L'avvocato disse tirando fuori la copia menzionata. Jungkook tratteneva il fiato. L'avvocato continuò.

"E’ un giovane di23 anni incensurato, nessun legame con gruppi sovversivi. Quello che è successo ieri è offensivo, e dico offensivo per non usare il termine illegale.”

“Il giovane Jeon Jungkook qui presente è stato trovato ieri nel luogo dei disordini, proprio in mezzo alla folla di sovversivi responsabili degli attacchi contro la comunità accaduti ieri. E' stato trovato nel luogo del reato ed è stato quindi scortato alla stazione di polizia più vicina in attesa di giudizio e di una formale accusa.

“Tutto ciò è inutile e lei lo sa detective. Ho avuto accesso ai video che possono confermare il suo non coinvolgimento, con diverse altre prove che attesteranno ulteriormente la sua innocenza. Siete solo irritati perché le cose vi sono sfuggite di mano e ora per evitare altre proteste state cercando di contenere la situazione arrestando tutti i numeri zero che si sono trovati vicino al luogo dell'attacco.”

Il detective si alzò irritato, ma poi un altro agente entrò nella stanza in apparenza per comunicargli qualcosa. Doveva essere qualcosa di importante perché l’espressione del viso mutò in un attimo.

"Capisco. Jeon Jungkook può andare."

"Come pensavo. Jungkook, andiamo. Sei libero." L'avvocato disse sorridendo.

Incredulo, Jungkook rimase congelato al suo posto, ma l'avvocato, il suo avvocato, gli fece cenno di alzarsi in piedi e a lui non rimase altro che fare come gli era stato detto.

Come in trance seguì l'uomo in corridoio e poi fuori nell'atrio della stazione di polizia, proprio lì davanti alla reception, c'erano Seokjin e Namjoon.

Jungkook e Seokjin non erano andati d'accordo in un primo momento, il biondo lo aveva visto con sospetto e il più giovane per questo non era riuscito a farselo piacere. Tuttavia il suo rapporto con Jimin aveva ammorbidito il loro rapporto, ma il massimo del contatto fisico che si fossero mai scambiati era stata quella carezza sulla testa che il biondo gli aveva fatto quando Jungkook era venuto a chiedergli informazioni su Jimin.

In quel momento, però, a Jungkook non importava di essere in una stazione di polizia e della loro abituale timidezza, corse, oltrepassando il suo avvocato e tuffandosi nella braccia aperte del maggiore lo strinse forte.

"E' finita". Il numero due sussurrò abbracciandolo di ritorno. Namjoon che era appena dietro di lui sorrise.

Tutti alla stazione di polizia sembravano intenti ad osservarli di soppiatto, soprattutto Seokjin, sembravano guardarlo con la reverenza che si riservava alle persone importanti. Namjoon andò a ringraziare l'avvocato e Jungkook avrebbe voluto fare lo stesso, ma l'uomo scomparve poco dopo.

"Andiamo. Taehyung e Hoseok stanno aspettando qui fuori." Il biondo sussurrò gentilmente, il braccio ancora sulle sue spalle.

Jungkook annuì.

Probabilmente era l'alba. La notte si stava spegnendo nei colori chiari del mattino. Non aveva trascorso troppo tempo dentro quella cella, tuttavia gli era davvero sembrato un tempo eterno. Si chiese preoccupato cosa sarebbe accaduto agli altri o all'uomo che era stato trascinato da qualche parte all'interno della stazione di polizia.

Tuttavia, il treno dei suoi pensieri fu interrotto da un Taehyung che gli saltò letteralmente addosso. Dal momento che non aveva mangiato nulla da mezzogiorno, Jungkook rischiò quasi di perdere l’equilibrio, debole com’era.

Lo abbracciò comunque.

"Cazzo Jungkook ci hai spaventato a morte." Taehyung sussurrò all'orecchio. Quando il suo migliore amico, infine riusci a staccarsi per lasciarlo respirare fu travolto dalla forza dell’abbraccio di Hoseok.

"Hoseok hyung," Jungkook lo chiamò, profondamente commosso. Non importava la situazione, non importava le incomprensioni o il fatto che il suo hyung stesse male, fosse stato male tutto quel tempo, lui era lì per Jungkook. Erano la sua famiglia.

"E’ meglio se ci spostiamo da qui." Disse Namjoon non senza gentilezza. Alla fine riuscirono a districarsi e seguirono Namjoon e Seokjin verso la loro auto. Jungkook era ancora stordito, incapace di comprendere ciò che era appena accaduto e come era stato improvvisamente liberato, ma era ancora grato a Seokjin soprattutto perché aveva deciso di essere lui a guidare.

"Oh Kookie non hai idea di che notte è stata!" Taehyung esclamò nel suo orecchio sinistro. Era stato costretto a sedersi tra il suo migliore amico e la sua anima gemella e nessuno dei due sembrava in grado di levargli le mani di dosso.

"Ci siamo davvero spaventati per un momento. Quando Taehyung mi ha chiamato ho cercato di fare il più velocemente possibile. Poi siamo andati a controllare il tuo appartamento, ma ovviamente non eri lì. Entrambi siamo andati in panico." Hoseok disse alla sua destra.

"Infatti. Ma Hoseok mi ha fatto ricordare di chiamare Seokjin hyung e grazie a dio che l’abbiamo fatto! E 'stato grande!"

"Voi avreste fatto lo stesso per me," disse Seokjin dal suo posto di guida.

"Sicuro ma questo non diminuisce la nostra gratitudine hyung. Se non fosse stato per voi due non so come avremmo fatto." Hoseok rispose sorridendo.

"Riesci a credere che Seokjin è un Kim? Un Kim! La famiglia presidenziale Kim! Con il suo nome e le risorse di Namjoon, siamo riusciti a scoprire dove ti avevano portato. Mi dispiace se ci abbiamo messo così tanto, ma abbiamo avuto bisogno di tempo per raccogliere le prove! Credo di aver svegliato metà del consiglio studentesco ma chissenefrega!” Continuò Taehyung.

"Grazie, a tutti voi." Disse Jungkook improvvisamente.

"Grazie, Seokjin hyung. Veramente. Ti ringrazio. Grazie Namjoon hyung per aver fatto tutto questo per me.”

"Non ci ringraziare, siamo amici no?" Il compositore disse, abbagliandolo con le sue fossette.

Seokjin sorrise con calore dallo specchietto retrovisore.

"E non so neanche da dove iniziare a ringraziare voi due. Sono in debito con voi due per più di questa sera. "

Hoseok scosse la testa. "E’ tutto a posto, Kookie."

A quelle parole seguì un silenzio strano. Sia Taehyung che Hoseok gli stavano incollati, mentre l’altra coppia controllava il suo stato dagli specchietti. Dopo un po’ ricominciarono a parlare, raccontando altri dettagli, ma Jungkook non stava ascoltando.

"Non lo abbiamo detto ai tuoi genitori, ci dispiace." Disse Taehyung. "Siamo stati così impegnati nel cercare di tirarti fuori di li che ci è completamento sfuggito di mente, ma non appena arriviamo a casa chiamali Kookie." Jungkook annuì. Lo avrebbe fatto, ma dopo.

Perché c'era un grande vuoto li dentro, più grande dell'assenza dei suoi genitori, più grande persino della paura che lo aveva accompagnato in quelle lunghe ore. Più grande di tutto perché lui non c'era.

"Dov'è Jimin?" Chiese Jungkook.

Un silenzio pesante seguì quella domanda.

 

 

 

 

Jimin aveva spento il suo telefono ed era rimasto seduto sul tavolo della cucina per un'ora. A pensare.

Il suo capo aveva appena chiamato e gli aveva detto che c'era stato qualche inconveniente in ufficio, non aveva spiegato cosa stava succedendo, ma aveva dato a Jimin due giorni di vacanza.

Jimin pensò che fosse periodo di ispezione e così non aveva insistito. Il suo capo apprezzava le sue capacità e il suo duro lavoro e lo aveva messo in un ruolo di responsabilità nel reparto di contabilità. Ma l'ufficio centrale e la maggior parte delle persone in carica non si fidavano di un numero zero in qualsiasi tipo di posizione elevata, anche in una posizione innocua come la sua. Così, quando era tempo di ispezione, il suo capo era solito assegnarli altri compiti. Fu sorpreso delle ferie improvvise ma non era come se fosse stato licenziato e forse avrebbe potuto usare quel tempo per sistemare e riflettere sulla sua situazione.

Stava forse affrettando le cose, stava pensando troppo? Aveva cercato di contattare Jungkook ma senza alcun risultato, neanche Taehyung gli rispondeva e così si era stancato. Aveva spento quindi il telefono e l’aveva lasciato da qualche parte.

Ironia della sorte, ora che aveva il tempo, non sapeva che cosa farci.

Jungkook stai bene? Hai cambiato idea?

Forse aveva visto questa situazione sin dall’inizio nel modo sbagliato. Forse questa di per se era una risposta. Aveva sempre saputo dopotutto dei timori di Jungkook. Quindi c'era una cosa, solo una cosa che poteva ancora fare.

Si alzò di scatto.

Corse verso la sua camera, tirò fuori una valigia da sotto il letto e cominciò a riempirla con vestiti, articoli da bagno e tutto il necessario per un viaggio di due giorni. Poi prese un borsone e cominciò a riempirlo con tutte le cose di Tao e come se fosse sotto un incantesimo prese la gabbia di viaggio per il gatto e sistemò l’appartamento mettendo in ordine quanto sparso in giro. Poi portò il gatto nella gabbietta, la valigia e la borsa dentro la sua auto.

Solo allora si fermò. Si rese conto di non aver mangiato nulla e che quello che stava facendo era probabilmente la cosa più spericolata che avesse mai fatto dopo quella volta che aveva trovato il coraggio di traslocare dalla sua prima casa. Tornò per controllare se avesse dimenticato qualcosa. Si fermò sulla soglia della sua porta e con le chiavi in mano, diede un’ultima occhiata al suo appartamento.

C'erano ancora i fiori che Jungkook gli aveva regalato, messi in bella mostra in un vaso sul tavolino del salotto. Notò che una delle rose aveva iniziato ad appassire.

Chiuse la porta.

 

 

 

 

 

“Non vuoi riposare un po' di più?" Chiese Taehyung mentre guardava Jungkook infilare alcuni vestiti in un borsone. Si era offerto di dare un passaggio a casa a Jungkook in modo che Hoseok potesse continuare a riposare visto che aveva un turno più tardi quel giorno.

Dopo essere usciti dalla stazione di polizia lo avevano portato a casa loro dove Seokjin aveva cucinato uno dei suoi pasti speciali per tutti. Fu solo dopo che ebbero la pancia piena che gli disse che Jimin se ne era andato.

Il più giovane aveva voluto andare alla sua ricerca il momento stesso in cui quelle parole avevano lasciato le labbra di Seokjin ma nessuno glielo aveva permesso. Sembrava visibilmente scosso, pallido e stanco. Non avrebbe concluso nulla in quelle condizioni.

"Non so dove sia andato. Ha spento il telefono e non è a casa, ha anche preso Tao con se. Ma posso provare a indovinare. "Seokjin disse con un sospiro.

Jimin sembrava essere all'oscuro della situazione, ossia che un sacco di numeri zero erano stati arrestati e che alcuni numeri due con un po 'di coscienza avevano cercato di tenere fuori dai guai più numeri zero possibile. Come dei capi che davano ai loro dipendenti zero delle ferie per non farli circolare in strada. Jimin non era rimasto per informarsi aveva solo preso la sua macchina e se ne era andato.

"Sto bene Taehyung. Ho appena trascorso una notte in una cella ma a parte questo non mi hanno fatto niente." Jungkook disse chiudendo il borsone e prendendo una giacca leggera. Taehyung gli aveva dato uno dei suoi vecchi telefoni perché non voleva lasciarlo andare in giro senza un dispositivo.

Taehyung sospirò.

"Vorrei venire con te. Ma."

"Lo so," disse Jungkook sorridendogli.

"Starò bene Taehyung, davvero. Seokjin mi ha dato l'indirizzo e i treni sono ancora funzionanti. Inoltre se finisco in una cella di nuovo ora so di poter dire che sono amico di un Kim. Anche se è ancora strano pensare a Seokjin hyung come un membro della famiglia presidenziale. Cioè stiamo parlando di Kim Seokjin.” Cercò di scherzare Jungkook.

"Per favore non scherzare. Abbiamo avuto così tanta paura ieri.

"Anche io. Ma questo è più importante. Devo andare."Jungkook disse determinato." Taehyung sospirò di nuovo. "Lascia che ti dia un passaggio in stazione almeno." Jungkook accettò.

Il tragitto verso la stazione fu tranquillo. Il più giovane continuava a guardare fuori dalla finestra, la sua mente sembrava vagare da qualche altra parte, con qualcun altro.

Non ci volle troppo tempo per arrivare, Taehyung fece in modo di controllare più volte i dintorni e fu irremovibile nel lasciare Jungkook davanti alla porta principale.

"Vai a casa. Io me la caverò,” il numero zero disse issandosi la borsa su una spalla e inclinando la testa di lato. Taehyung guardò questo Jungkook, così cresciuto, così sicuro e così pronto a combattere non per se stesso, ma per qualcun altro. Qualcuno che amava. Non era più una fiamma gelida ma il sole che riscalda dolcemente l'aria.

Stai davvero mostrando al mondo come un numero zero può essere felice.

Così annuì e fece come gli era stato detto. Lasciò Jungkook in stazione e tornò a casa.

 

 

 

Taehyung si stava togliendo le scarpe all'ingresso, quando udì dei passi leggeri avvicinarsi. Alzò lo sguardo. Eccolo lì, la sua anima gemella, il suo Hoseok. Aveva i capelli arruffati e gli occhi erano ancora semichiusi, ed era a piedi nudi anche se lui tormentava Taehyung non-stop affinché non andasse scalzo in giro perché non voleva che si prendesse un raffreddore.

Era bellissimo.

"Sei tornato." Sussurrò.

"Certo. Perché non avrei dovuto." Taehyung indossò le pantofole e si mosse lentamente verso Hoseok.

"Pensavo saresti andato con Jungkook. Per aiutarlo."

Taehyung lo guardò con tutto l'amore che gli era possibile trasmettere.

"Tu sei il mio numero uno, Hoseok. Lo sei sempre stato. Lo sarai sempre.” Taehyung disse coprendo gli ultimi passi che li separavano.

Hoseok chiuse gli occhi.

Taehyung poi lo abbracciò stretto, contento di essere più alto perché Hoseok si incastrava così bene tra le sue braccia.

"Mi dispiace se ti ho fatto pensare, dubitare che potesse essere altrimenti. Mi dispiace così tanto."

“No a me dispiace. Perché lo sapevo. Sapevo come stavano le cose, ma anche così non potevo smettere di guardare voi due e sentirmi... "Geloso. Messo da parte. Hoseok si afflosciò per la vergogna. "Sono venuto meno a entrambi."

"Non c'è niente, niente che tu abbia fatto che mi farà mai pensare che sei venuto meno Hoseok. Niente. Perché hai messo me e chi amavo prima di qualunque cosa, prima di te stesso, perché mi hai amato e mi hai protetto e hai amato e protetto chi sapevi era importante per me. Avevi ragione Hoseok. Avevi ragione, lui era da un pezzo che riusciva a cavarsela da solo, ma ero io ero quello che ostinatamente si attaccava al passato, permettendo che si infilasse tra di noi.”

“Mi hai detto che era una parte di te come non avrei potuto amare una parte di te? Non ho fatto niente di speciale. E poi è Jungkook, è impossibile non volergli bene.”

Hoseok disse come se quello che aveva fatto non fosse stato qualcosa di straordinario.

"Allora continuerai ad amare questo me che è solo me?" Taehyung sussurrò tra i suoi capelli.

"Che stronzata stai dicendo, ti amerei anche se ciò che rimanesse di te fosse solo un quarto."

Taehyung rise.

"Sono contento. Perché questo solo me amerà solo te, così tanto che presto non saprai cosa fare di me.” "

"Ne dubito."

"Sfida accettata." Taehyung mormorò prima di staccarsi, guardare la sua anima gemella negli occhi e poi finalmente baciarlo.

Non si era tutto magicamente sistemato. Avrebbero avuto bisogno di tempo, ma Taehyung avrebbe fatto del suo meglio. Per dare a questa bella persona quello che si meritava e altro ancora.

E forse lui non ci avrebbe creduto in un primo momento, ma con il passare dei giorni, uno dopo l'altro, allora Hoseok avrebbe capito di essere anche lui una parte di Taehyung, quella vitale senza la quale Taehyung non sarebbe stato nulla.

"Ti amo." Sussurrò sulle labbra.

"Ti amo anch'io."

 

 

 

 

 

 

Jungkook continuò a guardare fuori dal finestrino del suo sedile. Pensò a come le cose si erano capovolte in sole 24 ore. Si sentiva svuotato ed esausto, ma non poteva ancora fermarsi, non poteva riposare. Non fino a quando non avesse avuto Park Jimin di nuovo tra le sue braccia.

 

 

 











NdA: credo questo sia uno dei miei capitoli preferiti. Ci siamo quasi (commossa).

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Capitolo 33
*** L'amore è un'illusione (interlude parte II) ***


L'amore è un'illusione (parte 2)

 

 

 

Andava tutto bene. Era tutto fantastico.

Come poteva non esserlo quando tutti lavoravano duramente per farlo apparire tale?

Seokjin fissò la propria immagine riflessa nello specchio. La famiglia Kim era solita partecipare a incontri formali di altissimo livello, incontri per lo più popolati dalle stesse persone anziane e d'élite a cui di tanto in tanto piaceva incontrarsi per discutere di politica. Nella modesta opinione di Seokjin erano meramente occasioni per far del buon gossip.

In ogni modo, se Seokjin era riuscito a evitare quelli più noiosi fin tanto che era stato giovane, dopo la sua introduzione la sua famiglia gli aveva caldamente suggerito, e un suggerimento dalla famiglia equivaleva a un ordine, di partecipare a più eventi possibili. I suoi genitori insistevano nel dire che era un modo per famigliarizzare con gente con cui avrebbe avuto a che fare per lungo tempo, una volta che lui e Namjoon fossero ascesi come gli eredi dei Kim.

Seokjin distolse il suo sguardo dallo specchio. Non sopportava la propria immagine riflessa.

Namjoon, che aveva a malapena superato i sedici anni.

Aveva provato. Seokjin aveva cercato di approcciare Namjoon per chiedergli perché gli avesse mentito e se avesse mai avuto l'intenzione di dirglielo. Ma, ogni volta che guardava negli occhi il più giovae, non riusciva a farlo. Così si era limitato a osservare da lontano, in attesa di una parola. Un segno.

Li stava lacerando. Perché Seokjin non riusciva a toccare e a comportarsi con Namjoon come era solito fare e ogni fottuto minuto che passava, con la verità ancora tenuta nascosta, rimarcava ancora e ancora come il loro amore fosse fondato su una bugia.

Sulla base di false premesse.

Era la sua anima gemella, maledizione, Seokjin lo avrebbe perdonato senza battere ciglio se solo Namjoon avesse parlato. Silenzio da entrambe le parti.

Namjoon naturalmente aveva capito subito che c'era qualcosa che non andava, ma sembrava aver deciso di non intervenire, nella speranza che si trattasse di una fase passeggera. Non lo era.

Qualcuno bussò alla porta.

"Avanti."

"Jin, sei pronto?" Chiese Namjoon entrando nella sua camera da letto. Appariva bellissimo e affascinante così ben vestito e con i capelli sistemati ad arte. Sembrava anche molto più adulto, pensò Seokjin, mentre cercava di non inarcare un sopracciglio. In questo gioco a chi diceva la verità prima, lui non aveva nessun diritto di irritarsi per l'abitudine di Namjoon di omettere la parola hyung.

"Sì. Arrivo," il maggiore disse girandosi a prendere la sua giacca dal guardaroba.

La presenza di Namjoon nel suo spazio personale pesava su di lui, come una forza gravitazionale a cui lui non poteva sottrarsi non importava quanto goffamente l'altro fosse in attesa sulla soglia.

"C'è altro?" Seokjin disse voltandosi, giacca in mano. Odiava il tono formale, odiava il modo in cui stavano diventando, saluti freddi e parole vuote, ma non poteva frenare se stesso. Era anche lui del resto inesperto e un adulto ancora imperfetto e l'unico metodo efficace per affrontare i problemi che aveva imparato in quella casa, era stato quello di costruire muri per difendere il suo cuore infranto.

Namjoon sembrò ferito dal tono glaciale e il maggiore si rimproverò in silenzio.

"Io ... Jin, va tutto bene?"

Seokjin per un attimo vacillò.

"Benissimo."

"C'è qualcosa che vorresti dirmi?" Ah. Seokjin cercò in tutti i modi di impedirsi di fulminarlo con lo sguardo, fiamme che minacciavano di bruciare il suo petto.

"No. E tu? "chiese Seokjin freddamente.

"No,” rispose Namjoon stringendo forte la maniglia della porta. Era tutto sbagliato, così sbagliato.

"Allora ci vediamo a cena. Vai a sistemarti i capelli. Hai una ciocca fuori posto, "il maggiore disse cercando di sorridere. Era una bugia perché i capelli di Namjoon erano perfetti, ma aveva bisogno di averlo lontano da lì. Non riusciva a respirare.

"Oh. Ora vado. A dopo allora." Disse l'altro ritornando ai suoi modi goffi.

“Ok.” Mormorò piano Seokjin. Quando Namjoon uscì dalla stanza la sua espressione cadde come un castello di carte.

Non piangere, non ti azzardare a piangere.

Amava Namjoon. Amava Namjoon così tanto. Voleva stringerlo, baciarlo, sussurrare parole dolci ma, ogni volta che faceva un passo verso di lui, pensava alle bugie e si fermava.

Rimase impalato sul posto per un po', cercando di recuperare la sua compostezza, perché aveva una cena importante e lui era un Kim, quindi non poteva rendere i suoi sentimenti evidenti al mondo.

Dopo un po ', qualcuno venne a chiamarlo. Seokjin si lasciò condurre fuori e verso la macchina che lo stava già aspettando. Un mese prima lui sarebbe andato nella stessa macchina con Namjoon, ma aveva paura di affrontarlo e così si era fatto preparare un'altra vettura.

I veicoli li lasciarono poco lontani dall'ingresso. Entrambi sapevano che come coppia Kim non potevano essere visti separati e così Namjoon attese Seokjin fuori dalla macchina, offrendogli il braccio. Il maggiore vi appoggiò la sua mano e per un attimo fu come se la menzogna non ci fosse mai stata, come se fossero solo dei numeri due pazzamente innamorati l'uno dell'altro. Seokjin avrebbe voluto che potesse essere così semplice.

La cena come previsto era piena di persone noiose. Era il secondo evento a cui Namjoon prendeva parte e, pur sembrando meno nervoso rispetto alla prima volta, appariva comunque altrettanto non a suo agio. Seokjin rimase al suo fianco, era il suo compito di Kim, ma lo fece soprattutto perché non voleva lasciarlo da solo. Ricordava a Namjoon i nomi delle persone che non conosceva, cercava di farli districare incolumi attraverso quella giungla di male lingue, tentando di risparmiare al più giovane i tipi più velenosi. Namjoon gli sorrise, mostrandogli il suo sorriso tutto fossette, il primo sorriso caldo in giorni. Forse anche in settimane.

Le loro buone e vecchie abitudini si fecero vive come accadeva sempre quando avevano modo di trascorrere del tempo insieme. Perciò Seokjin puntuale come un orologio avrebbe messo le sue olive nel piatto del più giovane perché sapeva che ne andava ghiotto e si sarebbe assicurato che Namjoon non inciampasse in gradini inesistenti del pavimento, mente Namjoon dal canto suo lo avrebbe fatto divertire e distrarre con battute e commenti stupidi.

"Mi dispiace Joonie, so che è difficile. Dobbiamo sopportare questo solo un'altra ora in più e poi potremo finalmente uscire di qui."

"Non è poi così male in realtà."

"Davvero?" Chiese Seokjin sorridendo malizioso."Allora forse posso chiamare il secondo console Park, se ti senti così in vena."

Namjoon rise. Il secondo console Park era tristemente noto per essere insopportabile.

"Non è cosi male. Mi stai chiamando di nuovo Joonie.” Seokjin si immobilizzò nel mezzo della sala. Dopo aver cenato infatti avevano fatto un giro di chiacchiere con alcune importanti persone ed ora si trovavano nel bel mezzo di quell'immenso salone, sotto gli occhi di tutti.

"Namjoon." Seokjin disse addolorato.

"Non avrei dovuto dirtelo. Ora smetterai di farlo." L'arrivo del secondo console e consorte lo risparmiarono dal dover rispondere.

"Oh i nostri giovani eredi, Kim Seokjin e Kim Namjoon. Abbiamo sentito cose meravigliose su voi due. Soprattutto su di te, Namjoon." Il secondo console esordì.

Entrambi raddrizzarono le spalle e gli rivolsero un gran sorriso.

"Secondo Console Park, è un tale piacere incontrarla qui. Voglio cogliere l'occasione per complimentarmi con voi per la sua ultima onorificenza." Seokjin disse. Sia lui che Namjoon si inchinarono leggermente per omaggiarlo.

"Hai sempre avuto così belle maniere giovane Seokjin. Ma non parliamo di questa sciocchezza,” disse indicando la spilla ai meriti appuntata sul suo taschino, “piuttosto parliamo del tuo numero uno. Siamo tutti così ansiosi di conoscerlo meglio."

Namjoon si schiarì la gola.

"Signore e signora Park, è un piacere conoscervi. Vi prego di perdonarmi se troverete le mie maniere carenti. Seokjin è molto più gentile di me. Io tendo a essere un po' goffo."

"Come tutte le persone di genio." Commentò il secondo console sorridendo benevolo. Namjoon si inchinò di nuovo.

"Non c'è bisogno di essere così modesto Namjoon, davvero. Ho letto il tuo saggio sulle dinamiche sociologiche sui numeri zero e due. E' stato così illuminante. Per non parlare delle tue osservazioni sull'algoritmo di mondo due. Ti aspetta sicuramente un brillante futuro Kim Namjoon e, a dire il vero, non riesco a pensare a chi possa essere stato più fortunato se tu ad ottenere il nome dei Kim o i Kim ad ottenere te. Quando si dice colpo di fortuna!" Poi, come se avesse detto qualcosa di veramente divertente, il console rise di gusto.

Seokjin fece del suo meglio per mantenere il sorriso. Odiava il console Park. La famiglia Kim e la famiglia Park occupavano, rispettivamente, la posizione di primo e secondo console da almeno tre generazioni. Il governo della loro comunità era basato su un sistema binario e garantista rappresentato da un potere esecutivo, primo e secondo console, e un potere legislativo il senato. Insieme queste due forze governavano il paese. Non era un mistero comunque che la famiglia Park venisse tramando il superamento senza mai riuscirci. Avere qualcuno del livello di Namjoon come prima consorte consolare avrebbe reso il compito ancora più difficile.

"Se posso dire una cosa console Park, Seokjin è ancora più sorprendente. Non si tratta solo di me.” Namjoon disse severamente.

"Certo, lui è un Kim, dopo tutto, non potevamo aspettarci di meno. Ma tu Kim Namjoon. Tu sei unico nel tuo genere." Seokjin si sentì preso a pesci in faccia. Sapeva che non era mai stato brillante, non al livello richiesto dalla famiglia e gli era sempre stato ricordato per tutta la sua vita, che lui era troppo morbido, troppo arrendevole, non abbastanza severo. Eppure aveva fatto del suo meglio e accettava i suoi limiti: sarebbe diventato un avvocato e sarebbe rimasto nella famiglia Kim e questo era quanto. Non gli importava di essere il primo console o di essere relegato a un ruolo secondario in famiglia. Prima che Namjoon giungesse infatti era stato abbastanza sicuro che la famiglia aveva preso in considerazione l'idea di dare una possibilità a Hyosang. Anche se suo cugino era uno scavezzacollo era tuttavia più promettente. Poi era venuto Namjoon e a Seokjin era stato dato il titolo di erede dei Kim. Naturalmente Seokjin aveva fatto alcune considerazioni a riguardo, ma mai avrebbe affrontato la cosa così sfacciatamente. Potevano anche calpestarlo, Seokjin sapeva reggere il colpo, ma far sentire il più giovane come una cane ammaestrato della famiglia Kim era inaccettabile. Nessuno doveva osare fargli del male.

Tuttavia, proprio mentre stava per mandare le maniere al diavolo e dirgliene quattro al secondo console, Namjoon intervenne.

"Potrebbero dire che sono di parte perché è il mio numero uno. Ma, onestamente, non ho mai trovato una persona migliore di Kim Seokjin. Da parte mia, quello speciale è senza ombra di dubbio lui. Quindi ora,se ci scusate, credo proprio che il nostro caro cugino ci stia chiamando". E così dicendo trascinò Seokjin verso Hyosang che in realtà non li aveva chiamati affatto ma era piuttosto platealmente indaffarato con il suo telefono (probabilmente messaggiando con la sua anima gemella che aveva dovuto partecipare a una festa di compleanno da qualche altra parte).

Seokjin si lasciò cadere sulla sedia accanto a suo cugino facendo del suo meglio per non sospirare troppo forte e mantenere la sua compostezza.

Namjoon si sedette accanto a lui in silenzio. Seokjin non sapeva bene cosa dire alla sua anima gemella, da un lato, il suo cuore era si era gonfiato per via delle parole dette. Dall'altro, a volte non poteva fare a meno di pensare a quanto il secondo console avesse ragione. Sentì il calore del corpo di Namjoon sul suo fianco. Erano un disastro. Tutto questo era davvero un disastro eppure loro riuscivano comunque ad apparire forti quando erano insieme. Seokjin si ricordò ancora una volta, di quanto il suo amore per la sua anima gemella fosse più grande di un continente.

"Suppongo che il secondo console sia una tenera presenza come suo solito. Devi perdonarlo Jinnie, il poveretto vuole essere promosso alla prima posizione da sempre ma con noi Kim annidati lì da tre generazioni, gli ci vorrebbe un mezzo miracolo per raggiungere l'obiettivo." Hyosang commentò allegramente.

Seokjin sospirò.

"A volte vorrei che la gente potesse vederci come persona reali, non solo come Kim. E' faticoso.” Seokjin disse rivolto a Hyosang. Senti Namjoon stringergli la mano. Era il primo contatto che si scambiavano in settimane. Il maggiore non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso.

“Ti capisco, ma siamo quello che siamo. Almeno abbiamo le nostre anime gemelle." Suo cugino commentò strizzando l'occhio a Namjoon.

Il sorriso di Seokjin vacillò. Un cameriere passò vicino al loro tavolo con un vassoio pieno di bicchieri di champagne. Non voleva ubriacarsi ma, se doveva resistere un'altra ora, aveva bisogno di alcol nel suo sistema. Fermò il cameriere con un cenno delicato della testa e quest'ultimo gentilmente gli porse un bicchiere. Seokjin lo prese e se lo portò subito alle labbra.

Il cameriere ne offrì uno a Hyosang che rifiutò, e a Namjoon il quale andando contro le sue solite abitudini, accettò.

Tutti quei giorni a fare maniacalmente attenzione, a cercare di aspettare che fosse Namjoon a parlare con lui. Fu così ridicolmente facile scivolare.

"Niente alcol per te Joonie, sei ancora.” Si fermò a metà frase, troppo sconvolto dalle sue stesse parole. Namjoon stesso rimase congelato sul posto, intuendo subito quello che l'altro era stato sul punto di dire.

L'aria si fece gelida e Seokjin non sapeva che cosa fare, cosa dire. Fissò Namjoon in preda al panico, incontrando il suo sguardo non meno agitato.

"Scusatemi. Ho bisogno d'aria." Si sentì dire.

Senza ulteriori indugi si alzò e uscì velocemente dalla sala. Una volta in corridoio iniziò a correre. Dove non era importante, ovunque andava bene, purché non fosse nei pressi della sua anima gemella. Un peso atterrò duramente sul suo petto quando si rese conto quanto triste fosse la sola formulazione di quel pensiero. Infine Seokjin trovò quello che cercava, un balcone e una promessa di aria fresca. Aprì la porta a vetri e finalmente, lì da solo, lui e il freddo della notte, si sentì vagamente meglio. Seokjin si chiese quante fossero le possibilità che lo lasciassero rimanere in quel posto.

"Seokjin," disse una voce alcuni minuti più tardi. Sentì un respiro affannoso. Naturalmente Namjoon era dovuto corrergli dietro ed era riuscito a trovarlo al primo colpo.

"Prima. Cosa stavi per dire?" Chiese Namjoon schiarendosi la gola.

Seokjin strinse la presa sulla ringhiera del balcone. Non poteva voltarsi, non poteva.

"Niente. Dimenticalo. Ho solo bisogno di una boccata d'aria fresca. Forse non avrei dovuto bere champagne, mi fa male la testa.” Disse, ma la sua voce suonò strana anche alle sue stesse orecchie.

"Per favore Seokjin. Mettiamo fine a questa farsa. Parla con me." Implorò l'altro.

Qualcosa di oscuro, qualcosa che non sapeva di star covando, trovò infine la sua via di fuga. Perché la sua anima gemella, il suo numero uno, la persona che aveva amato da quando i suoi occhi si erano posati su di lui, gli chiedeva di parlare quando era stato lui il primo a non farlo.

"E' Seokjin hyung, per te." Ringhiò, voltandosi.

Namjoon non reagì, ma il suo volto si fece pallido.

Nessuno parlò per un po'.

"Hai mai avuto l'intenzione di parlarmene?"

Silenzio.

"Tu sei la mia anima gemella e io sono la tua. Certo, so che è colpa della mia famiglia, ma quello che non riesco a capire perché tu abbia mentito a me!”

Namjoon fissò a lungo il pavimento. Poi sospirò e disse.

"La tua famiglia ci ha chiesto di non dire niente visto che sono abbastanza intelligente per poter frequentare il tuo stesso anno. Ho iniziato a considerarmi più grande tempo fa e per questo non ho protestato. Loro hanno chiesto e noi non abbiamo trovato un motivo valido per dire di no. Mi dispiace."

"Ti dispiace? Posso aspettarmi questo dalla mia famiglia, che mi ha lanciato addosso tutte queste fesserie sull'essere un Kim da quando ho tre anni, ma non da te! Perché non hai mai pensato di dirmelo, in privato?” chiese ancora Seokjin che si stava arrabbiando sempre di più. Namjoon ancora non lo stava guardando.

"Loro hanno chiesto e non ho potuto dire di no."

"Perché?"

"Perché loro hanno chiesto!" Esclamò Namjoon guardandolo finalmente negli occhi. "Non ti azzardare a lasciare il peso di tutto questo solo su di me, perché non è colpa mia. Tu non sai com'è la tua famiglia. Non sai come è la mia famiglia con loro, come il fatto che io sono fidanzato con l'erede dei Kim li abbia colpiti. Loro hanno chiesto e io ho eseguito. Ero felice? Ovviamente no! Perchè tu sei sempre stato gentile con me e ogni volta che mi hai trattato come un tuo coetaneo qualcosa dentro di me si rompeva, ma considera per un attimo la mia posizione. Non ho mai avuto molta scelta.”

Seokjin preso alla sprovvista improvvisamente non fu così sicuro di se. "So che la mia famiglia può essere piuttosto prepotente, ma ora stai parlando come se ti avessero chiesto di fare un sacco di cose che non volevi fare e che ancora non vuoi fare."

Namjoon non rispose e Seokjin si sentì la testa girare.

Doveva essere del semplice sarcasmo non un colpo a un nervo scoperto di cui ignorava l'esistenza.

"Mi dispiace se ti ho mentito. Ora ti prego, torniamo dentro. Oppure torniamo alla residenza dei Kim, se preferisci." Il più giovane supplicò. Namjoon aveva vissuto sotto il loro tetto dopo il suo compleanno, ma lui ancora chiamava il suo nuovo posto la residenza dei Kim e mai casa. Seokjin capiva, era difficile sentirsi a casa dopo aver trascorso tutta la vita con la tua famiglia, ma improvvisamente sentì come se quelle parole nascondessero un altro significato.

Seokjin fece alcuni passi verso di lui, sempre più vicino, così vicino da poterlo toccare senza aver nemmeno bisogno di alzare il braccio.

"Namjoon. Perché sento che una delle cose che non volevi è trovarti qui? " Chiese in un sussurro. E chiese questo perché l'altra domanda, quella che voleva chiedere in realtà, era quella che più di tutte lo avrebbe distrutto.

"Seokjin, hyung, andiamo." L'altro implorò ancora una volta.

“Perché.” Mormorò. Seokjin si sentiva ipnotizzato, era così vicino, così vicino alla verità che, anche se il suo corpo urlava che non era una buona idea, lui non desistette.

Namjoon cercò di sottrarsi, fino a che la sua schiena si scontrò con la parete, Seokjin che lo ingabbiava con la sua presenza.

"Per una volta, una, dimmi la verità. Credo di meritarmelo,” il maggiore disse. Si stava comportando in modo crudele, ma non poteva lasciare andare proprio ora.

I tratti del viso di Namjoon si contorsero.

“Perché è vero. Io non voglio trovarmi qui." Confessò.

Seokjin si sentì trapassare da parte a parte.

"Sono venuti a casa mia, ci hanno riuniti in cucina e ci hanno fatto questo lungo discorso per poi dichiarare che io ero l'anima gemella dell'erede dei Kim. La mia famiglia si sentiva così onorata, erano tutti così felici, che io non ho potuto dire nulla. Ho sentito il cappio intorno al collo stringersi sulla mia gola e tutte le mie speranze, tutti i miei sogni, svanire. Perché stavo per essere un Kim e questo avrebbe escluso tutto quello che ho sempre fantasticato di fare con la mia vita. Ero così arrabbiato, così arrabbiato ma i Kim erano felici, la mia famiglia era felice così sono rimasto in silenzio. Eppure non potevo fare a meno di chiedermi perché io, perché? Volevo perseguire la mia passione per la musica ma mi hanno iscritto alla facoltà di economia. Ero scettico circa il sistema delle anima gemelle, volendo invece una vita per me stesso, e invece sono stato legato al numero due più desiderato del paese. In seguito sono stato persino portato via dalla mia casa e dai miei affetti e non ho potuto fare nulla. Ma ho incontrato te, la mia anima gemella, quando tutta la mia vita ho dubitato di loro. Tu eri bellissimo e così dannatamente gentile con me e anche se ignoravi che la tua felicità era costata i miei sogni, non potevo odiarti. Non potevo neanche essere felice però. Quindi, per favore torniamo nella residenza. Dimentichiamoci di questo. I miei sentimenti, nel quadro generale delle cose ,non sono poi così importanti." Namjoon concluse, con una tale rassegnazione nella sua voce che feriva ogni fibra del corpo di Seokjin.

"Mi dispiace. Mi dispiace tanto Joonie. Non ho mai saputo, mai, se potessi fare qualcosa per sistemare il tutto..”La voce di Seokjin iniziò a vacillare, improvvisamente le parole del secondo console echeggiarono nella sua testa. Come Namjoon fosse così convenientemente legato alla sua famiglia.

Troppo bello per essere vero. Troppo bello per essere una coincidenza.

Perché sento come se tu non volessi trovarti, con me?

Sentì un dolore lancinante al petto, come se non avesse abbastanza aria per respirare.

Eppure non era lui quello ad avere il diritto di star male.

E' questa casa, questo nome che ci sta soffocando tutti. Sono io.

"Seokjin!" Namjoon esclamò allarmato per il suo respiro affannoso. Stava avendo un attacco di panico.

"Ti ho amato sin dalla prima volta che ti ho visto." Seokjin riuscì a dire, come se quelle parole potessero risolvere tutto quando era evidente che non potevano risolvere nulla. Poi andò in iperventilazione e perse i sensi.

 

 

 

 

Seokjin sbatté le palpebre un paio di volte. Si sentiva spossato eppure allo stesso tempo con il torpore di uno che aveva dormito a lungo. Poi, i ricordi della sera prima lo travolsero. Si sentì demolire di nuovo pezzo dopo pezzo, ma non voleva andare in iperventilazione ancora una volta così si costrinse a calmarsi. Probabilmente aveva spaventato Namjoon a morte. Il pensiero del giovane gli causò una stretta al cuore. La cosa era, poteva sopportare che il suo cuore, che la sua persona, potesse venir calpestata. Aveva accettato il suo destino perché era un Kim e non il suo membro più meritevole. Ma non poteva accettare quello stesso destino per Namjoon quando era evidente quanto questi soffrisse. Quando gli occhi di Seokjin si erano posati sul più giovane, lui si era innamorato a prima vista e poi il suo amore si era cementato dopo che avevano avuto modo di conoscersi meglio. Perciò quando in seguito aveva saputo la vera età di Namjoon la sua rabbia era venuta soprattutto dal senso di tradimento che aveva provato nello scoprire che la sua anima gemella gli aveva mentito. Era un sentimento che gli risultava tristemente familiare allo stesso modo in cui era a conoscenza dei metodi della sua famiglia. Almeno così aveva pensato. Seokjin per tutta la vita aveva vissuto con anticipazione quasi disperazione l'arrivo della sua anima gemella perché sapeva che sarebbe stato l'unico legame puro che poteva mai sperare di avere sotto quel tetto. Era questo il motivo per cui si era arrabbiato quando aveva scoperto che Namjoon gli aveva mentito. Tuttavia la sua rabbia era stata mal riposta ed era stata colpa della famiglia Kim sin dal primo momento. Sospirò. Aveva delle cose importanti da fare.

Controllò l'orologio sul comodino.

Era presto, quindi forse suo padre era ancora in casa e lui aveva bisogno di parlargli. Si costrinse ad alzarsi, si gettò qualcosa addosso e si incamminò fuori camera sua. In corridoio trovò degli attendenti che cercarono di fermarlo, a quanto pareva il dottore aveva ordinato riposo assoluto, ma Seokjin ignorò le loro proteste.

"La tua anima gemella aveva preso accordi per essere chiamato non appena ti fossi svegliato, sarebbe meglio se aspettassi in camera tua." Questo era sicuramente un incentivo per continuare con il suo piano, invece. Non voleva vedere Namjoon se non dopo aver chiarito le cose con suo padre.

"Mio padre si trova ancora in questa casa?"

“Certamente, è nel suo studio, ma ha dato istruzioni di non disturbarlo "

"Grazie,” disse Seokjin e senza ulteriori indugi marciò in direzione dello studio di suo padre. Una volta arrivato non esitò ad aprire la porta senza neanche darsi la pena bussare.

Suo padre era seduto sulla sua scrivania, stava controllando alcuni documenti imperturbato, come se l'ingresso brutale di suo figlio non fosse un avvenimento abbastanza importante da disturbare la sua attività.

"Buongiorno figliolo, spero tu stia meglio. Hai dato al povero Namjoon un piccolo infarto ieri," suo padre commentò con indifferenza.

"Dobbiamo parlare," Seokjin disse senza preoccuparsi delle buone maniere. Non era il momento per quelle. Aveva bisogno di risposte.

"Di cosa vorresti parlare che non può attendere un momento più appropriato?" Chiese il padre ancora piuttosto tranquillo, ma non più indifferente. Seokjin chiuse la porta dietro di se ma non fece alcuna mossa per avvicinarsi. Non voleva sedersi di fronte a lui e lasciare che il padre prendesse il controllo della situazione, come aveva sempre fatto.

"Be, non saprei da dove cominciare. Forse dal fatto che la mia anima gemella è minorenne, o dal fatto che la nostra introduzione è stata illegale. Oh, chissà, magari dal fatto che hai costretto la mia anima gemella a fare cose che non vuole. O che come ti sei convenientemente dimenticato di menzionare uno qualsiasi di questi argomenti a me.” Seokjin disse cercando di sembrare serio per non lasciare che le sue emozioni prendessero il sopravvento perché suo padre era un maestro in questo genere di cose, ma quella era una di quelle discussioni che voleva vincere ad ogni costo anche se non aveva mai vinto una volta con suo padre.

Quest'ultimo mise da parte i documenti con una calma che Seokjin trovò irritante.

"Sai già le risposte a queste domande figlio. Sì, Namjoon aveva 15 anni quando abbiamo fatto l'introduzione. Sì, sapevamo che non avresti preso la cosa bene, sei sempre stato così facilmente impressionabile. Perciò abbiamo pensato che sarebbe stato conveniente per tutti noi che tu non ne sapessi nulla o almeno che lo scoprissi più tardi. Quanto al fatto di forzare la tua anima gemella, non so di che cosa tu stia parlando. Lui è un Kim ora. Sai molto bene che cosa ciò comporti. "Il padre disse inarcando un sopracciglio.

"Ovviamente. Come potrei dimenticare. Ma è la mia anima gemella, quindi tutto quello che lo riguarda, riguarda anche me. "Seokjin disse con durezza.

L'atteggiamento di suo padre mutò.

"Chiaramente non riesci a vedere il quadro generale. Se c'è qualcosa che ho sempre trovato manchevole da parte tua e la tua incapacità di proiezione mentale. La fortuna viene e la fortuna se ne va figliolo, un momento siamo sulla vetta più alta, un altro momento siamo nel punto più basso immaginabile. Namjoon è una benedizione per questa famiglia, lui porterà la famiglia Kim avanti.” Dato che tu non ne sei in grado. Anche se avesse dichiarato queste parole ad alta voce non avrebbe potuto essere più esplicito. Potevano calpestare lui, si disse, ma non Namjoon.

"Non me ne frega un cazzo."

"Kim Seokjin! Modera il tuo linguaggio!"

"No, per una volta mi starai a sentire! Posso accettare le critiche, i vostri stupidi standard, le vostre ancor più stupide decisioni sul mio futuro, perché sono nato in questa famiglia, ma lui non lo è. Non me ne frega un cazzo se ha un quoziente intellettivo di 200. Se lui vuole ballare tip tap per quanto mi riguardo io glielo lascerò fare. E lo farà ".

"Sei solo un marmocchio ingrato. Sei così abituato al lusso che questa famiglia ti ha sempre dato che non capisci come le cose possono cambiare facilmente. Abbiamo trovato per te il miglior partner che il mondo potesse offrirti! Questo dovrebbe essere sufficiente perchè tu non abbia mai a lamentarti! " Suo padre esclamò non più calmo.

Fu come essere schiaffeggiato in faccia.

"Cosa ...?" Seokjin sentì le ginocchia traballare. Che diamine stava insinuando?

"Vieni, siediti. O rischi di sentirti male nuovamente e spaventare tua madre." Suo padre disse sospirando. Ma Seokjin non poteva, il suo cuore era congelato come il suo corpo.

“Seokjin, siamo stati fortunati. Così fortunati. Namjoon potrebbe essere di beneficio a questa famiglia in così tanti modi. E tu lo ami, giusto? So che lo ami e lui certamente tiene a te a giudicare dalla sua preoccupazione di ieri. Vedi? Tutto si sistema meravigliosamente. Quindi, per favore smetti di pensare cose illogiche. Noi siamo quello che siamo, noi siamo i Kim. Abbiamo i nostri doverei da portare avanti,” disse suo padre.

"Basta. Basta con la narrativa dell'essere Kim! Quanto profonda è la corruzione di questa famiglia? Sapevo che non eravamo dei santi, ma ciò che stai insinuando ... "Seokjin voleva di piangere, voleva scappare dall'altra parte del mondo e dimenticare di aver mai sentito quelle parole.

Abbiamo trovato il miglior partner.

"Seokjin, figlio. Andrà tutto bene."

Seokjin si morse fino a farlo sanguinare. Doveva tenere botta, essere forte e non perché era un Kim, ma per se stesso e per la felicità di Namjoon.

"Lui...è la mia anima gemella?"

“È qui quindi naturalmente è la tua anima gemella."

Seokjin sentì come non ci fosse più un cuore che batteva nella sua cassa toracica, come se non avrebbe mai più avuto un cuore che batte.

"Ti prego siediti e calmati un po '. Stai pensando troppo. Vieni qui e guarda con i tuoi occhi i documenti di assegnazione dell'anima gemella. E' tutto in regola." Suo padre disse tirando fuori alcune carte dalla sua scrivania.

Seokjin tremava come una foglia. E, in quel momento, decise.

Si voltò e uscì dalla stanza.

 

 

 

 

"Jin. Ora però sei crudele. Lui è solo un ragazzo, dopo tutto." Se suo cugino Hyosang aveva sentito la necessità di utilizzare tali parole dure, probabilmente era vero. Seokjin sospirò sorseggiando distratto il suo tè. Si trovavano in un bar della loro università ed era riuscito a evitare la sua anima gemella con successo per una solida settimana. Era stata una mossa vigliacca da parte sua, ma si sentiva così fragile, così distrutto per tutti i fatti che sospettava, che aveva bisogno di un po' di tempo per cercare di mettere insieme i pezzi abbastanza da affrontare Namjoon con una faccia normale. Possibilmente senza svenire davanti a lui ancora una volta.

"Parlerò con lui più tardi," promise Seokjin. Namjoon aveva fatto irruzione nella sua camera quel giorno ma il maggiore aveva già fatto i bagagli e aveva chiesto al loro autista di portarlo il più presto possibile verso la dimora di suo cugino, pigiama ancora indosso.

Namjoon aveva cercato di contattarlo, ma quando era stato evidente che Seokjin non voleva parlargli, si era arreso, probabilmente indovinando il suo bisogno di tempo.

Il maggiore si vergognava di se stesso, era il più grande eppure era Namjoon che agiva come un adulto. Aveva solo sedici anni e aveva già così tanto sulle sue spalle, l'eredità dei Kim, il casino che era la persona di Seokjin. Seokjin voleva mettersi le mani nei capelli e urlare, tutto pur di scacciare quella voce oscena nella sua testa che continuava a dire quanto amasse e quanto questo fatto fosse l'infelicità del più giovane. Faceva male, così male.

Ma aveva bisogno di riprendere il controllo. Aveva bisogno di farlo per Namjoon.

Gli ci volle un po' per raccogliere il suo coraggio, ma alla fine tornò a casa sua. Nessuno sembrava turbato per la sua assenza e gli attendenti lo avevano salutato come sempre. Da qualche parte lì dentro sua madre e suo padre stavano sbrigando le loro faccende. Per la prima volta, era contento che la casa fosse abbastanza gigantesca perché lui non dovesse vedere le loro facce.

Attese dopo cena prima di decidere di dirigersi verso la dependance, la parte della casa che i Kim aveva dato a Namjoon. Ora Seokjin capiva perché non li avevano messi insieme, ovviamente, una richiesta della famiglia di Namjoon visto che era così giovane.

La porta della camera da letto del più giovane era leggermente aperta, la luce era fioca, l'unica fonte era quella che veniva dalla lampada del comodino sul lato destro del letto. Era seduto a gambe incrociate e aveva un libro aperto in grembo, ma non stava leggendo, stava scarabocchiando alcune note ai margini. Era così concentrato che non si era accorto della presenza di Seokjin.

Quest'ultimo sorrise tristemente. Namjoon stava scrivendo delle rime, una delle cose che amava fare e a cui sarebbe stato costretto a rinunciare.

"Seokjin!" Esclamò Namjoon quando lo vide fermo sulla soglia. Poi, come se si fosse ricordato di qualcosa importante, in tutta fretta aggiunse, "hyung." Suonava così estraneo alle sue orecchie, ma lui non disse nulla anche se lo faceva soffrire il sentire la verità dalle sue labbra. Tuttavia, se avevano intenzione di fare le cose nel modo giusto dovevano iniziare a chiamare le cose con il loro nome.

Così fece del suo meglio per non sobbalzare e andò verso di lui, sedendosi sull'altro lato del suo letto.

"Eri occupato? Ti disturbo?"

"Affatto. Come ti senti hyung? Meglio?" Chiese Namjoon.

"Sto bene." Seokjin decise di rispondere. Almeno fisicamente, pensò. Il più giovane cercò di toccargli il braccio in modo rassicurante, ma il maggiore indietreggiò. Namjoon ritirò la mano, con sguardo ferito. Seokjin si sentì in colpa, ma non riusciva più a toccarlo.

"Mi dispiace. Sono così dispiaciuto. Vorrei non aver detto quelle parole, hyung. Veramente. Sono venute fuori in malo modo, sono sempre stato un tale disastro nell'esprimermi con le parole il che è ridicolo considerando che aveva sognato di scrivere testi di canzoni. Mi dispiace, sto blaterando. Volevo solo scusarmi con te, io... "

"Non c'è bisogno di essere dispiaciuto Joonie. Non per come ti senti,” Seokjin disse nel suo tono più gentile. Questo impulso, questo stimolo che veniva da tutto il suo amore per Namjoon, questa voglia di proteggerlo da tutto, anche da se stesso. "Dispiace anche a me, comunque. Per averti evitato.” Seokjin ammise.

"Ho pensato che fosse così e ho capito che era per colpa mia. Non sai quanto mi dispiace."Il maggiore posò un dito sulle sue labbra per zittirlo. Sembrava un gesto intimo, guidato dall'impulso e Namjoon lo guardò sorpreso, quanto lo era Seokjin del resto, ma almeno aveva smesso di chiedere scusa. Seokjin ritirò subito la mano.

"Potremmo discutere le nostre circostanze all'infinito. Non è questo quello voglio, io voglio solo che cerchiamo di non nasconderci più le cose, non importa quanto terribili pensiamo che siano. Forse questa casa è lungi dal poter essere considerata un paradiso, ma potremmo avere almeno un rapporto sano ed essere onesti l'uno con l'altro.”

Namjoon lo guardò stranamente come se volesse chiedergli qualcosa, come se ci fosse qualcosa sulla punta della sua lingua.

"Ok," concesse dopo un po '. “Essere onesti l'uno con l'altro. Mi piace l'idea."

"Questo significa che non potrai fare a meno di continuare a chiamarmi hyung d'ora in poi, “ disse Seokjin.

"Per me va bene, hyung." Namjoon rispose, ridacchiando.

"Perfetto!" Seokjin si lasciò sfuggire un sorriso. "Così siccome abbiamo inaugurato l'era dell'onestà, racconta a questo hyung dei tuoi testi e di cosa ti piacerebbe fare con essi."

Il più giovane sembrò preso alla sprovvista. "So quello che fai su quei margini Namjoon, me l'hai detto tu stesso. E pensare che tu sei quello con la super memoria e il super cervello.” Seokjin lo prese in giro.

“Posso essere goffo anche io, sai. Ma pensi che sia davvero una buona idea parlare di questo?"

"Ci è permesso di parlare di questo. Credo sia nostro diritto. Poter condividere le nostre speranze e i nostri sogni, questo non ce lo può togliere nessuno."Seokjin disse serio. Namjoon lo guardò, lo guardò davvero al punto che Seokjin si sentì arrossire sotto il suo sguardo. " Prometto che se mi dici una cosa io ricambierò con un mio segreto, sempre.”

"Fatta!" Namjoon rispose improvvisamente eccitato come un cucciolo. Appariva così giovane. Seokjin sorrise. Doveva proteggerlo.

E' qui, quindi è la tua anima gemella.

C'erano così tante implicazioni in quelle parole e ognuna di esse lo facevano soffrire profondamente, ma dal momento che Namjoon era lì e lui era la sua anima gemella, Seokjin si sarebbe preso cura di lui. Anche se questi non sentiva per lui neanche una frazione di quello che il maggiore sentiva, Seokjin lo amava ancora come il primo giorno e nel suo libro Namjoon sarebbe sempre stato l'unica anima gemella che avrebbe mai potuto desiderare di avere e avrebbe fatto del suo meglio per cercare di renderlo felice. Qualunque cosa fosse stata necessaria.

"Hyung tu ascolti hip hop?" Chiese allora Namjoon.

 

 

 

 

Per un po', era stato sopportabile. Quasi bello.

Non condividevano l'affetto, non sotto forma di baci della buonanotte, perché le parole di Namjoon pesavano troppo sul cuore di Seokjin perchè lui cercasse di forzare i suoi sentimenti sul più giovane; ma sotto forma di segreti, speranze e sogni condivisi. E così il loro legame poneva radici su segreti sussurrati nella notte e sentimenti confessati in corridoi dimenticati. Il loro rapporto era migliorato al punto che Namjoon si era fidato abbastanza da chiedergli di andare a vedere una delle sue esibizioni.

"Non aspettarti troppo da me hyung. Ho iniziato un paio di anni fa,” aveva detto nervoso.

"Scommetto che sarai fantastico.” Seokjin aveva risposto e credeva in ogni sua parola. Namjoon aveva annuito, inchiodato sul suo posto, come se volesse toccarlo, ma non avesse il coraggio di farlo. Alla fine, si erano limitati a sorridersi. Il più giovane era parso così felice nel back stage, ma nulla avrebbe potuto preparare Seokjin alla meraviglia che era Kim Namjon su un palco. Poteva finalmente vedere quei meravigliosi testi prendere vita.

Naturalmente c'era ancora dello spazio per migliorarsi perché nessuno era nato già sapendo tutto, ma a Seokjin Namjoon non era parso altro che perfetto.

Vorrei che tu potessi fare questo per sempre, vorrei che tu potessi essere felice così per sempre.

Eppure il fatto che Seokjin fosse nella sua vita impediva che quel suo desiderio si realizzasse.

Fu dopo quella notte che il maggiore iniziò a fare volontariato in un centro comunitario di numeri zero. Amava così tanto, così tanto che il conoscere tutte le implicazioni lo stavano annegando poco a poco, ma non poteva annegare, non poteva, perché doveva rimanere intero per essere in grado di sostenere e proteggere il giovane.

Ti amo e poiché non posso amarti come vorrei, ti amerò negli spazi in cui mi lascerai farlo.

Seokjin era sempre stata più aperto rispetto ai membri della sua famiglia. Non aveva mai avuto nulla contro i numeri zero. Non gli avevano fatto nulla di male e così non portava loro rancore. Non era mai stato interessato alle dinamiche tra numeri zero e due, era qualcosa che accadeva nella periferia del suo mondo, così lontano che non l'aveva mai toccato. Così lui non se ne era mai interesato.

Il destino era divertente. Ti faceva riconsiderare le tue posizioni e più eri cieco più violenti erano i metodi scelti per aprirti gli occhi. Perché solo ora, solo ora che aveva il cuore spezzato Seokjin infine capiva. Osservava i numeri zero e capiva veramente. Sentiva la loro solitudine perché era la sua. Perché Namjoon ci teneva a lui, ma non lo amava. E alla fine, cosa lo rendeva così diverso dai numeri zero se non un titolo posto sulla sua carta d'identità?

Così aveva chiesto in giro fino a che aveva trovato un centro comunitario disposto ad accettare l'aiuto di un numero due, perché, come gli aveva detto il direttore del centro, il circolo non era formato da numeri, ma solo da persone. Seokjin si sentiva meglio quando era lì, un luogo dove poteva essere Seokjin il ventenne perdutamente innamorato e dal cuore spezzato e questo, questo, solo i numeri zero avrebbero potuto capirlo.

Namjoon di tanto in tanto veniva ad aiutarlo quando la sua agenda zeppa di impegni glielo permetteva. Non chiese mai perché Seokjin si fosse dato al volontariato e quest'ultimo non glielo disse, ma era bello condividere qualcosa. Forse la loro storia non sarebbe mai stata tutta fuochi d'artificio ma sarebbe stata piena di rispetto e di comprensione reciproca. Seokjin cercava di convincersi che fosse abbastanza, almeno fino a quando non avesse trovato una soluzione migliore.

Quando Namjoon compì 17 anni, le cose si fecero frenetiche. Quel poco di moderazione che i Kim aveva avuto quando Namjoon era stato solo sedicenne, volò dalla finestra. La loro presenza era sempre più richiesta agli eventi più disparati e il padre di Seokjin il più delle volte chiamava Namjoon a lavorare con lui, dandogli dei compiti da svolgere e presentandogli persone importanti. Seokjin aveva cercato di dissuadere il padre andando persino a chiedere una mano a sua madre. Aveva inoltre cercato di eccellere negli studi nella speranza che suo padre avrebbe chiamato lui invece di Namjoon, ma senza alcun risultato.

Ad un certo punto, Namjoon aveva smesso di scrivere sui margini dei suoi libri. Seokjin se ne rese conto subito perché aveva preso l'abitudine di controllarli, sempre colpito dalle belle parole scritte dal più giovane. Un giorno tuttavia non ne trovò più di nuove. La cosa peggiore però, fu guardare lo spirito di Namjoon deteriorarsi poco a poco, come un fantasma che si aggirava in quei corridoi freddi di quel palazzo gigante.

"Hyosang, dimmi che cosa devo fare." Pregò Seokjin un pomeriggio. Era tornato a casa solo per scoprire che il padre aveva, ancora una volta, richiesto la presenza di Namjoon.

Lui era la sua anima gemella e non una sorta di bestia rara da mostrare in giro.

"Jin non hai molta scelta, nessuno di noi ce l'ha. Siamo intrappolati all'interno di questa gabbia, dorata, ma siamo comunque intrappolati. Non si può smettere di essere un Kim."

Seokjin si coprì il volto con le mani.

Quella notte aspetto il più giovane nella sua camera da letto. Non lo faceva spesso perché trovava così difficile mettere dei confini tra di loro. Eppure non voleva farlo sentire soffocato, Dio sapeva se la sua famiglia non stava già facendo un ottimo lavoro a riguardo.

Aveva bisogno di vederlo, sapere se stava bene.

Namjoon inciampò nella sua stanza, stanco, spettinato e con la cravatta in mano. Alzò lo sguardo.

"Hyung," disse cercando di sorridere. Non c'erano fossette sulle sue guance e il suo sguardo era vuoto. Seokjin poi fece qualcosa che aveva smesso di fare da un po' di tempo. Si mosse verso di lui e lo abbracciò timidamente. Il più giovane glielo lasciò fare, quasi appoggiandosi a lui.

"Scommetto che sei stanco. Ma cosa ne pensi se parliamo un pochino? E' da tanto che non parliamo dei nostri sogni."

"Ne abbiamo ancora?" Chiese Namjoon con amarezza.

"Certo che li abbiamo. Ho un nuovo sogno. Ti ho mai detto che voglio provare fotografia?"

"Hyung." Namjoon mormorò stancamente come se sapesse che era solo un futile esercizio, come se sapesse che era solo qualcosa per coprire la bruttezza della loro realtà. Ma c'era qualcosa nel volto di Seokjin (amore, era amore), che alla fine lo convinse a parlare.

"Ok. Ok, dimmi. "Seokjin lo fece sdraiare sul suo letto e iniziò a parlare della sua giornata, come fosse andato ad aiutare al circolo, come aveva frequentato per caso una lezione di fotografia e quanto gli fosse piaciuto. Namjoon si addormentò cullato dalla sua voce.

Era pallido e aveva ombre scure sotto gli occhi, sembrava solo un ricordo del giovane uomo a cui una volta era stato introdotto.

Seokjin si morse il labbro. Aveva promesso a se stesso una cosa quel giorno che aveva parlato con suo padre. Ed era stato quello di amare e di proteggere la sua anima gemella ma stava fallendo miseramente. Stavano cadendo e sarebbe andata sempre peggio fino a quando anche l'ultima delle loro speranze sarebbe miseramente morta.

Aveva condannato Namjoon.

Mi dispiace, mi dispiace.

Ma non era il momento di piangere. Non era il momento di piangere perché forse c'era una cosa che poteva fare per liberare entrambi. Anche se questo significava non essere più un Kim.

 

 

 

 

"Zio. Dobbiamo parlare."

 

 

 

 

Seokjin aveva portato con sé un solo bagaglio. Dentro c'erano solo le cose che lui aveva comprato con i propri soldi. Quando aveva fatto un passo fuori da quel luogo che una volta aveva chiamato casa, aveva fatto in modo di lasciare tutto alle sue spalle. Pianse solo i primi giorni, poi si era reso conto di aver perso del tempo prezioso che avrebbe potuto dedicare alla ricerca di un lavoro e quindi decise di non piangere più. Suo cugino lo avrebbe volentieri aiutato ma Seokjin aveva rifiutato. Era riuscito ad ottenere un lavoro come lavapiatti in un ristorante e in qualche modo era riuscito a sopravvivere. I turni erano terribili, ma gli avevano dato una stanza dove dormire e un tetto sopra la testa, e anche se era una catapecchia andava comunque bene. Aveva tagliato ogni canale di comunicazione e aveva scambiato il suo telefono costoso in favore di qualcosa di più economico e meno appariscente e, soprattutto, senza connessione internet.

Dopo un mese di turni terribili, un giorno uno dei camerieri si ammalò e poiché Seokjin aveva buone maniere e un buon viso il proprietario gli chiese di andare in sala. Da quel giorno quella rimase la sua posizione. Come cameriere veniva pagato meglio soprattutto per via delle mance. Fu in grado di lasciare quella catapecchia e trovarsi un monolocale vero.

Era un inizio. A volte, quando si fermava abbastanza a lungo per pensare, si chiedeva come stavano le persone che aveva lasciato, soprattutto, si chiedeva se Namjoon stesse bene e se fosse felice. Se era così allora ne era valsa la pena.

Era freddo ed era il suo giorno libero e Seokjin aveva tutte le intenzioni di passare l'intera giornata a fare assolutamente nulla. Forse poteva leggere alcuni libri che aveva preso in prestito dalla biblioteca pubblica. O fare qualche passeggiata in città. Il suo letto sembrava più allettante, però.

Ma qualunque suo piano fu interrotto da alcuni colpi alla sua porta. Sorpreso perché nessuno mai bussava, Seokjin si mise le pantofole e andò ad aprire.

E là sulla soglia del suo appartamento ordinario, con due grandi bagagli ai suoi piedi, c'era Namjoon.

Sembrava più scompigliato di quanto lo avesse mai visto, ma anche più spensierato e più sorridente.

"Cosa diavolo ci fai qui?" Chiese Seokjin, scioccato.

Il più giovane ridacchiò.

"Penso che sia ovvio hyung." Namjoon disse indicando le valigie. "Sono qui per rimanere."

Quindi sorrise. Il suo sorriso tutto fossette.

Aveva pianto solo il primo paio di giorni perché doveva essere forte. Allora perché, perché sentiva il bisogno di piangere ora? Namjoon non aspettò una sua risposta, lo fece indietreggiare, entrò nel suo appartamento con le sue borse, gettò quelle da qualche parte e senza esitazioni, lo abbracciò, tenendolo stretto.

"Non tentare mai più di lasciarmi indietro, Jinnie," disse, chiamandolo con lo stesso modo in cui era solito chiamarlo quando Namjoon aveva16 anni e Seokjin 19 e pensavano che tutto fosse possibile.

Seokjin ricambiò l'abbraccio. Inalò il suo profumo, rilassandosi nella sua presenza perché aveva sentito la sua mancanza così a lungo, non per mesi ma per anni. La sua anima gemella.

"Io..."

"Non farlo. Mai più."

"Ok."

 

Voglio amarti. Voglio proteggerti così tanto che nemmeno la mia caduta dovrebbe importare se questo significa la tua felicità.

 













NdA: chiedo scusa per la mia assenza ma sono tornata ieri da un viaggio di tre settimane e appena ho potuto mi sono messa al lavoro.
Questa è la storia in breve di Namjoon e Seokjin e ci sono tante implicazioni. Sta a voi coglierle! ;) Namjin avrà la loro storia a parte, capitoli in cui verrà svelata nel dettaglio la loro storia d'amore (sto ancora decidendo il titolo) ma per chi non seguirà questa avventura ho voluto comunque lasciare un'impressione dei due. Il prossimo capitolo sarà jikook e il gran finale. Preparatevi!!!

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Capitolo 34
*** Due (+Epilogo) ***


 

Due.


 


 


 

Jimin era nato numero zero.

La verità del suo status gli era stata chiara sin da quando era bambino e per quanto tutti lo trovassero strano, spiacevole persino, non era stato così per lui allora. La sua sua famiglia non glielo aveva mai fatto pesare e, nonostante le preoccupazioni che sicuramente sua madre e suo padre serbavano in cuore, i suoi genitori avevano amato i due figli, uno destinato ad essere un numero due l'altro un numero zero, allo stesso modo. E siccome dai suoi genitori, a suo fratello fino al suo cane, era rimasto sempre il solito sbadato e terribilmente cocciuto Jimin, lui era cresciuto con la consapevolezza di aver caratteristiche diverse ma senza per questo odiarle. Era un numero zero. Per Jimin era come se gli avessero detto che i suoi capelli erano effettivamente neri.

Tuttavia crescendo Jimin si era reso conto che quello che per lui poteva non avere peso lo aveva per il resto del mondo. Era un modo di pensare alieno, un concetto che non avrebbe mai compreso. Uno a cui tuttavia non era indifferente. Lui si sentiva intero, lui si sentiva giusto eppure tutti pretendevano di affermare il contrario.

“Essere numeri zeri è la peggiore delle disgrazie,” dicevano. Jimin non voleva essere una disgrazia e non si sentiva tale. Per quanto suonasse ingenuo alle sue stesse orecchie, perché era qualcosa che nessuno mai gli aveva assicurato, semmai il contrario, Jimin era convinto che solo perché là fuori non c'era qualcuno che avrebbe combaciato perfettamente con la sua persona, ciò non voleva dire che lui non potesse essere felice. Che solo perché non gli veniva assicurato di essere amato non voleva dire che lui non potesse amare. Era questa sua convinzione l'anima dei suoi sorrisi.

Era ingenuo. Forse solo tremendamente idealista.

Jimin si era innamorato, ricambiato, all'età di quindici anni. Le conseguenze di quell'incontro sebbene avessero cementato la sua convinzione avevano infine finito col distruggere la sua innocenza. Non era una questione di sperimentare amore. Era una questione di sperimentare le sue brutture. Perchè chi sa che il suo legame non verrà mai messo in discussione non lo avrebbe mai potuto capire, non avrebbe mai sperimentato il dolore della perdita.

“Non verrà Park è inutile che aspetti,” disse qualcuno da qualche parte alle sue spalle. Qualcun altro rise di gusto come se i suoi sentimenti calpestati fossero lo spettacolo più divertente.

“Guarda che faccia. Guardate la sua faccia! Dite che si metterà a piangere?” Altre risate.

“Non dovrebbero chiamarle lacrime di coccodrillo ma lacrime di numeri zero.” Qualcun altro ebbe la stupidità di dire. Un'altra sequenza di risate.

Jimin si infilò gli auricolari per non ascoltarli. Le loro parole non importavano, era una sua decisione quella di rimanere lì ad aspettare, doveva pur contare qualcosa. Dopo un po' i ragazzi si stancarono di rimanere sui gradini della scuola a prenderlo in giro e Jimin ne sarebbe stato contento se non fosse stato che avevano ragione. Non comparve nessuno dietro l'angolo. Era solo.

Fino al giorno in cui riuscirai a dire basta.

Lo amava, Jimin amava, ma nessuno gli aveva detto che si poteva amare anche le cose che ferivano, perché nessuno avrebbe potuto dirglielo. Era un segreto dei numeri zero e i numeri due lo sapevano ma non avrebbero mai capito. Si limitavano a disprezzarli per la loro sofferenza.

A stasera.

Promesso.

Erano parole dette un miliardo di volte, scritte un miliardo di volte e un miliardo di volte erano state vane. Jimin era rimasto lì ad aspettare qualcuno che non sarebbe venuto, allora come tre anni dopo.

Perchè fai questo a te stesso? Seokjin gli aveva chiesto, prendendolo per le spalle, cercando una reazione da lui.

Jimin guardò per ennesima volta l'ora. Non sarebbe venuto. Fu come svegliarsi da un sogno e capire che era la realtà il vero incubo, comprendere i dettagli del tutto e non poterlo sopportare. L'amore, non poteva essere quello l'amore. Basta. Basta. Ora basta.

Jimin prese un borsone e iniziò a riempirlo alla rinfusa quasi non badando a cosa ci metteva dentro.

Il suo telefono squillò. Per riflesso più che per reale convinzione controllò il messaggio. Ennesima sequela di scuse. Gettò il cellulare dentro la borsa e non si fermò. Usci dal quel dannato appartamento, fuori da quelle quattro mura che odiava e corse verso la fermata del bus. Al resto avrebbe pensato dopo.

“Andrà tutto bene. Andrà tutto bene, te lo prometto Jimin.” Gli sussurrò Seokjin accarezzando i suoi capelli. “Sono così fiero di te.” Jimin si raggomitolò sotto le coperte. No, non si sentiva fiero di se stesso, ma distrutto, vuoto. Inutile.

E allora capì. Capì che la vera condanna non era nel non poter amare mai, ma che quell'amore non fosse abbastanza.

“Non verrà Park.” Era così. Non era mai venuto. Nessuno sarebbe mai venuto, perché nessuno su quel pianeta esisteva per tornare da lui. Perchè lui era un numero zero.

Allora quale era il senso di vivere? Qual'era il senso di mettere un passo dietro l'altro? Jimin si era chiesto ancora e ancora nelle notti interminabili in cui la solitudine era così grande da non riuscire a respirare. Come era possibile riuscire a respirare quando avevi l'assoluta certezza di essere solo, quando avevi vissuto sulla tua pelle tanta poca gentilezza.

Guardando dall'alto della palazzina la caduta sembrava quasi attraente.

Eppure, miracolosamente, in qualche modo, aggrappandosi agli ultimi pezzi di se stesso, era riuscito a sopravvivere. Non era la fine del mondo, non lo era. C'erano milioni di cose per cui valeva la pena vivere. La sua famiglia, i suoi migliori amici, il suo lavoro, persino il suo gatto. Forse non avrebbe mai avuto un lieto fine, ma c'erano cose che poteva fare.

“Come va?” gli chiese Seokjin con quella sua gentilezza mai accondiscendete che faceva così bene a Jimin quasi un balsamo sulle sue ferite.

“Meglio. Ci provo almeno.”

“Così mi piaci.”

“Lo dici come se fosse qualcosa di cui andar fieri.”

“Lo è, perchè non ti sei arreso.”

Jimin aveva sorriso, per la prima volta con cuor leggero.

Un passo alla volta, era andato avanti. Con più ferite di quante sarebbero state necessarie ma anche con più consapevolezza. Essere adulti era, dopotutto imparare a ridimensionarsi, e non c'era nulla di così orribile in quello. Voleva dire aver sperimentato il dolce e l'amaro, aver imparato e aver capito che alcune cose capitavano e basta. Ci si poteva bastonare all'infinito sulle proprie debolezze oppure imparare dai propri errori e decidere di andare avanti. Alcune battaglie anche se silenziose non erano meno importanti. Jimin aveva vinto la sua.

Tuttavia in quella sua nuova vita, sebbene avesse imparato ad amarsi non gli era riuscito di liberarsi della sua solitudine. Dopo tutto quella era l'unica cosa che non avrebbe mai potuto fare da solo, l'unica soluzione alla solitudine era infatti la compagnia. Eppure nessun suo timido desiderio gli aveva mai fatto sperare di incontrare qualcuno come Jungkook.

Jungkook era giovane ed era ferito, e arrabbiato, così arrabbiato che aveva fatto del suo senso di ingiustizia una determinazione. Ci provo, aveva risposto a Seokjin allora. Anche l'altro numero zero ci provava, così intensamente che faceva male guardarlo, che ti si stringeva il cuore, da farti desiderare di vederlo avere successo.

Tutto quello che ero e tutto quello che non sarò mai.

“Cos'è che ti piace così tanto di Jungkook?” Seokjin gli aveva chiesto, incuriosito.

“Mi piace e basta.” Jimin aveva risposto.

“No davvero, capisco che è attraente, ma non è certo la persona più facile del mondo.”

Jimin lo aveva guardato di traverso.

“Tu lo vedi e a te sembra un nuovo rompicapo e temi io mi ci rompa di nuovo la testa. Io lo vedo e mi sento prendere dall'entusiasmo. Lui mi fa sentire in grado di fare qualsiasi cosa.”

“Ah.” Il biondo rispose. Si questo Seokjin lo capiva alla perfezione.

Lo amava, lo amava come un cieco che riacquistata la vista vede il rompersi dell'alba per la prima volta in cielo.

Lo amava al punto che Jimin aveva deciso che non importava se non avrebbero potuto aversi mai.

Era sufficiente che l'altro ottenesse le cose in cui aveva sperato, affinchè Jungkook non dovesse mai raggiungere il giorno in cui dire basta. Come era successo a lui.

Voglio che tu raggiunga i tuoi traguardi, che conquisti tutto quello che c'è da conquistare, che ti realizzi, che tu abbia una vita piena.

Anche se questo significa lasciarti andare.


 


 


 


 


 

I genitori di Jimin vivevano da anni in una città sulle rive del mare. Avevano approfittato del fatto che entrambi i figli fossero cresciuti e in grado di badare a loro stessi ed erano tornati al punto di partenza. Una casa nel luogo dove si erano conosciuti. Ripensandoci, con un esempio tanto eclatante di amore imperituro, era stato impossibile per Jimin non desiderare di avere altrettanto per se, numero zero o meno.

In ogni caso c'erano volute una sosta caffè e quattro ore di macchina per arrivarci. Spense il motore della macchina davanti al vialetto. Una casa in riva al mare, non sembrava così male come luogo dove trascorrere un per sempre. Prese la sua valigia e la gabbietta di Tao.

“Arrivo!” Venne la voce di sua madre dall'altra parte della porta dopo che ebbe suonato il campanello.

“Jimin!” Esclamò sua madre in vestaglia e con l'aria di qualcuno che era stato tirato giù dal letto. Accidenti. Probabilmente era più tardi di quel che aveva pensato ma sul momento non era stato troppo tempo a riflettere ne tanto meno a guardare che ora fosse, oltretutto il cellulare era spento e si era dimenticato l'orologio da polso sul lavandino del bagno.

Era notte fonda e lui era stanco affamato e aveva la gabbia di un gatto in un mano e una valigia nell'altra. Doveva sembrare qualcuno che era sfuggito a qualche tragedia. Si quella di un'ennesima delusione amorosa. Eppure Jungkook non era ennesimo. Jungkook era speciale.

Fu allora che Jimin cedette. Aveva davvero davvero sperato. Non era da numeri zero sperare in un per sempre. Ma si. Una parte egoistica di lui aveva desiderato un insieme.

Non sono forte, non lo sono mai stato, mai come te.

“Vieni dentro.” Sua madre disse dolcemente perché come sempre le era bastato un solo sguardo per capire. Si lasciò abbracciare da sua madre brevemente. “Sono esausto.” Sussurrò.

“Lo so il viaggio è lungo.” Nessuno dei due stava parlando delle ore in macchina. “Ti va di riposarti un po'? Così domani mattina ne possiamo parlare con tuo padre.” Jimin annuì liberando Tao dalla sua gabbietta e successivamente prendendo la sua valigia e andando verso la camera degli ospiti.

Non aveva bisogno dei suoi genitori per prendere le sue decisioni da un pezzo. Jimin era abituato ad agire e a portare avanti il suo fardello da solo da quando aveva capito che essere un numero zero non era esattamente come avere i capelli neri. Se il fatto che lui non si fosse mai aperto fosse stato una cosa che aveva ferito i suoi genitori era un possibilità concreta. Tuttavia Jimin non poteva aprire il suo cuore, non ne era in grado. Il fatto di sapere che nonostante la loro buona volontà loro non avrebbe potuto fare nulla era sempre stato il più forte deterrente. Perciò si, non aveva bisogno dei suoi genitori per decidere, ma aveva bisogno del loro consiglio per convincere altri genitori. Erano stati loro dopotutto ad essersi messi d'accordo con i Jeon.

Così Jimin tornava alla fonte per fare la cosa giusta, quella che avrebbe dovuto fare il momento in cui Jungkook si era alzato da quel tavolino in quel bar urlando la sua disperata voglia di vivere.


 


 


 

Jungkook continuava a guardare ossessivamente il pezzetto di carta su cui Seokjin aveva scritto l'indirizzo della casa dei genitori di Jimin. Il biglietto era stato aperto e rimaneggiato così tante volte che Jungkook aveva dovuto astenersi dal toccarlo ancora o avrebbe finito col rovinarlo irreparabilmente e allora si che sarebbe stata una tragedia. Era ancora un po' stanco e decisamente un po' intontito per la mancanza di un sonno ristorante ma anche stranamente lucido e attivo. Continuava a ripetere mentalmente ancora e ancora il discorso che pensava di fare a Jimin, con i dovuto accorgimenti, dal momento che i fatti delle ultime 48 ore avevano rovinato il suo piano di dichiarazione.

Ciao Jimin prima che tu mi sbatta la porta in faccia sappi che è tutto un equivoco. Oppure, ciao Jimin hai per caso visto i notiziari? Ciao Jimin, sarebbe stato un'ottima cosa se tu avessi risposto a una delle nostre chiamate.

Jungkook sospirò. Non era colpa sua, ne tanto meno di Jimin. Le cose erano andate come erano andate ed ora l'unica cosa che Jungkook poteva fare era cercare di far arrivare al maggiore il messaggio. Ossia che che non era poi così contrario a un vissero per sempre felici e contenti con Jimin.

Ti amo.

Jungkook si contorse sul sedile mentre un tizio dall'altra parte del vagone lo fissava perplesso.

Cercò di ricomporsi. Doveva rimanere vigile. Jungkook non poteva fare a meno di gettare occhiate nervose ogni qual volta che il treno si fermava e tirava un sospiro di sollievo interno tutte le volte che le divise che vedeva erano solo quelle dello staff ferroviario o dei controllori.

Quando Taeyung gli aveva infilato il suo vecchio telefono in mano, gli aveva spiegato che aveva salvato i loro numeri nei tasti di chiamata veloce in prima linea quello di Seokjin che aveva salvato nel telefono con l'altisonante nome di Kim il salvatore. Jungkook era stato pienamente d'accordo.

Cercava di non pensare a cosa sarebbe potuto succedere se Seokjin non fosse intervenuto. Una parte di lui si chiedeva ancora che fine avesse fatto l'uomo con cui aveva parlato in cella. Non ti preoccupare Jungkook, Jin farà in modo che siano liberati tutti, lo aveva rassicurato il suo amico.

Il più giovane avrebbe voluto porre molte domande al biondo ma si disse che avrebbe riservato le sue curiosità a dopo, possibilmente a dopo che aveva sistemato la sua vita con Jimin con successo. La sua curiosità su Seokjin poteva aspettare, per il momento si sarebbe accontentato di essergli grato in eterno.

Finalmente, dopo che il treno si fu fermato in tutte le stazioni possibili e immaginabili, e Jungkook si fosse assopito per due delle cinque ore di quel lunghissimo viaggio, arrivò a destinazione.

Si caricò il borsone in spalla, prese il biglietto sgualcito dalla tasca dei jeans e scese dal treno, poi in strada. Una volta che fu uscito dalla stazione si rese conto che la sua ricerca sarebbe stata più difficile del previsto. Seokjin aveva mancato di dirgli che quella città sul mare era enorme. E lui aveva solo un pezzo di carta, pochi spiccioli che bastavano per un panino figuriamoci per un taxi, e un telefono senza connessione internet.

Jungkook con stoicismo che avrebbe reso Hoseok hyung fiero, si disse che se era sopravvissuto a un arresto avrebbe tranquillamente potuto trovare Jimin in quella stramaledetta grandissima città. A costo di dover battere il posto palmo a palmo, avrebbe ottenuto quel suo fottutissimo lieto fine, accidente a lui.

In ogni modo l'unico indizio che aveva era sapere che si trattava di una casa in riva al mare. Quindi tanto valeva prendere un bus che lo portasse in spiaggia.

“Mi scusi il bus che fa il lungo mare?”

Quanto difficile poteva essere?

Una volta che fu salito sul bus, dicendo addio alla possibilità di un panino, e questi fu partito, dal finestrino notò che c'era un altro bus con lo stesso numero che andava verso la direzione opposta Jungkook ebbe la brutta bruttissima sensazione che forse giungere alla destinazione finale sarebbe stato un po' più complicato del previsto.


 


 


 

“Jimin nei sei proprio sicuro?”

“Mamma non sono venuto qui per farmi convincere a cambiare idea. Sono venuto per farmi dare una mano. Voi conoscete i Jeon meglio di me. Dopotutto avete fatto voi l'accordo.”

Jimin disse in tono stanco. Aveva dormito per tutta la notte e gran parte della mattina e al suo risveglio era tutto ancora più doloroso del giorno prima. Tuttavia non era affatto confuso sulla sua determinazione. Quella c'era ancora.

“Pensavo che le cose andassero meglio. Ci avevi detto che la pausa vi aveva fatto bene, che eravate amici.”

“Mamma.”

“Sarebbe un tale peccato. Io credo che se aspettassi ancora un po'...”

“Mamma ti prego. Basta.” Jimin implorò.

Suo padre mise una mano sul braccio di sua madre e questo fu abbastanza da farla desistere.

“Andrò io stesso dai Jeon se serve, che mi vogliate rendere le cose semplici o meno.”

“Lo farò io. Non ti preoccupare Jimin, ci penserò io.” Suo padre disse.

“Grazie.”

Jimin rispose, scrollando le spalle esausto come non lo era mai stato.

“Jimin, so che sei un adulto e so che non avresti preso questa decisione alla leggera, ma ti ho visto felice. Credevo che Jungkook ti rendesse felice, allora perchè questo?”

Jimin chiuse gli occhi.

“Perché voglio che lui lo sia.”

Un silenzio greve segui le sue parole.

“Voi non sapete com'è. Lo so che non è colpa vostra e io non ve ne ho mai fatto una colpa. Ma voi non sapete com'è. Com'è alzarsi al mattino e dover trovare una ragione per vivere in se stessi, con la consapevolezza che se non lo facciamo nessun altro lo farà per noi. Voi non sapete cos'è amare da numero zero. Perché non è l'amare che ci uccide ma è il perdere questo amore che lo fa. Quindi anche se vi sembra incomprensibile che qualcuno possa voler affrontare questo mondo sulle sue sole gambe voi dovete sforzarvi di accettarlo. Ci sono numeri zero che pur con le loro incertezze, le loro paure e le loro fragilità vogliono comunque affrontare il peso della solitudine da soli, con tutto l'orgoglio di cui sono capaci. E se Jungkook vuole questo non sarò certo io a negarglielo. Anche se lo amo. Anzi soprattutto perché è così.”

Non piangere. Non piangere, si disse stringendo gli occhi.

Sentì la mano di sua madre, una carezza sulla sua guancia umida.


 


 

Due ore dopo Jungkook scese dal terzo bus di quella giornata con il borsone e senza più un quattrino addosso ma finalmente a destinazione.

L'autista gli aveva assicurato che la via che cercava era a cento metri, proprio dietro quell'angolo e Jungkook pregò tutte le divinità in cielo che fosse così.

La sua determinazione non era scalfita, sperava solo di non dover davvero mantenere fede alla sua promessa di battere quella città strada per strada, più che altro perché nel frattempo Jimin avrebbe fatto in tempo ad andarsene.

Coprì gli ultimi stramaledetti centro metri con una corsetta leggera. Gli dolevano le gambe ma l'idea di vedere Jimin gli restituiva un po' di energia.

C'era una casa graziosa in fondo alla via, con le finestre blu e un giardino, a pochi passi dal mare. Jungkook controllò il numero civico. Si era la casa giusta. Col cuore che gli martellava in gola percorse il vialetto e gli ultimi passi che lo separavano dal suo hyung.


 


 

Era come se avesse di nuovo diciott'anni e lui fosse rinchiuso in camera sua a raccogliere i cocci di se stesso mentre i suoi confabulavano sul da farsi. Solo che di anni ne erano passati parecchi tuttavia sembrava che la sua vita dovesse ripetersi a cicli continui. No. Jungkook era diverso. Forse era per quello che faceva così male.

Jimin aprì la porta della camera degli ospiti, incerto sul da farsi.

“Non capisco, i Jeon suonavano furiosi al telefono.”

Riuscì a sentire Jimin.

“Cosa hanno detto?” Chiese sua madre preoccupata.

“Hanno acconsentito a disfare l'accordo, senza battere ciglio. Ma non credo mi stessero nemmeno ascoltando. A quante pare non hanno notizie di Jungkook da due giorni. Tutto ciò è preoccupante.”

Jimin rimase congelato sull'uscio. Era dunque così facile, era bastata una chiamata ai Jeon per mettere una parola fine? E cosa voleva dire che Jungkook era scomparso?

Lui l'aveva respinto, non aveva voluto presentarsi.

Non venire. Quelle parole era tatuate nella sua anima.

Ma era effettivamente andata così? Jimin aveva basato la sua decisione sulle sue passate esperienze a su quanto detto in passato da Jungkook. Eppure ripensandoci, un tempo avrebbe dato il beneficio del dubbio a chiunque e forse era per questo, che sulla base di ferite passate, non l'aveva dato a lui.

Per la prima volta Jimin dubitò della giustezza delle sue azioni. Forse c'era un motivo, uno stramaledettismo motivo su un milione in grado di spiegare tutto ma Jimin aveva scelto di ignorarlo. Si mise le mani davanti alla bocca per non urlare. Tornò marciando in camera da letto, non badando se la porta si fosse chiusa alle sue spalle o meno. Cercò freneticamente nella sua valigia finchè infine non lo trovò. Il suo cellulare spento. E allora si bloccò di nuovo. Lo stomaco gli si contorse e una sensazione di vertigini si impossessò di lui. Non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di accenderlo ma non poteva isolarsi per sempre. Doveva sapere e affrontare anche la delusione che quella speranza riaccesa venisse calpestata.

Strinse il telefono. A volte era una questione di fede.

Si cacciò il cellulare in tasca e uscì in tutta fretta dalla stanza.

“Vado a fare una passeggiata in spiaggia!” Disse passando di corsa per il salotto dove i suoi stavano ancora discutendo sotto voce.

“Jimin aspetta!”

“ A dopo!” rispose. Aveva bisogno di stare da solo, di un posto in cui ci fosse stato solo lui e il mare in modo da poter urlare la sua frustrazione se serviva. Percorse i pochi metri che lo separavano dalla spiaggia e poi una volta che le sue scarpe toccarono la sabbia bianca, iniziò a correre.


 


 


 


 

Ad aprirgli la porta non fu Jimin. Naturalmente. Sarebbe stato troppo semplice. Fu invece una donna di mezza età e Jungkook capì subito chi era perché quegli occhi avrebbe potuto riconoscerli ovunque.

Si trovava di fronte a quella che in un'altra vita avrebbe potuto essere sua suocera.

Jungkook inspirò a fondo.

“Buongiorno signora Park. Cercavo Jimin,” disse il giovane tutto d'un fiato. Si sentiva fremere da capo a piedi. La donna sembrava colta di sorpresa. Ma non sembrava una sorpresa spiacevole.

“Tu devi essere Jungkook.”

“ Ehm si. Mi scusi. Non mi sono neanche presentato.” Jungkook disse. Era un disastro un maledetto disastro ambulante ma si sarebbe fatto perdonare le cattive maniere dopo. Dopo aver parlato con Jimin.

“Purtroppo Jimin non c'è, è uscito un'ora fa per una passeggiata in spiaggia ma non è ancora tornato. Puoi aspettarlo dentro se ti va. Dovrebbe rientrare a breve.”

Jungkook si immobilizzò interdetto. Un altro contrattempo. No, si rifiutava di farsi fermare proprio ora.

“La ringrazio ma...mi saprebbe dire in che direzione è andato?” Chiese.

“Di solito Jimin passeggia vicino al molo, lì della scogliera.”

“Grazie mille!” si sistemò il borsone sull'altra spalla e si apprestò a ripartire.

“Jungkook, aspetta prima devi sapere una cosa.”

“Signora Park mi scusi tanto per le mie maniere ma davvero non posso aspettare.”

“Questo è importante.” Pregò lei in modo gentile.

Jungkook suo malgrado riappoggiò la borsa a terra.

“Se riesce a essere breve le sarò grato in eterno.”


 


 


 


 

C'erano per lo meno una ventina di chiamate perse tra Seokjin, Taehyung, Namjoon e Hoseok.

“Jimin è tutto un malinteso.”

Fu il messaggio che lesse aprendo uno dei tanti messaggi con cui il povero Taehyung lo aveva bombardato. Dopodiché non gli fu più possibile fermarsi, lesse ogni singolo messaggio dal più vecchio al più recente e più leggeva più sentiva un peso posarsi sulle sue spalle.

Aveva sbagliato tutto, aveva sbagliato tutto e aveva mancato di fidarsi di Jungkook nell'unico momento che contava. Non c'era più un legame formale a tenerli insieme cosa sarebbe successo se con la sua precipitosità Jimin avesse compresso il tutto? Non c'era infatti traccia di messaggi o chiamate di Jungkook. Disperato passeggiò avanti indietro lungo il molo.

Jimin si lasciò sfuggire un mezzo urlò. Fidati, non ti sei fidato allora, fallo adesso. Invece di spegnere il telefono come la sua paura gli suggeriva scorse tutti i messaggi e le chiamate in cerca di qualcosa che potesse avere ignorato. Finché non trovò un avviso di messaggio vocale in segreteria da parte di un numero sconosciuto. Si fermo di botto. Il rumore delle onde che si infrangevano sugli scogli era assordante.

Guardò in alto nel cielo azzurro limpido. Poi guardò di nuovo in basso sul suo cellulare.

Tastò il numero che attivava la segreteria.

“Ciao Jimin, sono Jungkook.”


 


 


 

Jungkook corse a perdifiato verso la spiaggia, le gambe indolenzite per lo stress di quella giornata e di quella prima ancora.

Jimin ha chiesto di aiutarlo ad annullare del tutto l'accordo pre-matrimoniale.

Stupido. Che stupido.

L'ha fatto per te.

Ma certo che quello stupido ha pensato a me in un momento così.

Il vento fresco gli colpiva il volto mentre cercava di raggiungere il più in fretta possibile il molo.

Fa che sia li fa che sia ancora li.


 


 


 

“Come stai? Si lo so, domanda stupida.” La voce di Jungkook suonava tremolante.

“Non mi crederai ma è successo davvero l'impensabile. Hai presente quando vuoi fare qualcosa con tutto te stesso e il mondo intero sembra cospirarti contro? Ecco è successo questo. Quante probabilità c'erano che capitasse proprio a me? Che mi arrestassero per trovarmi nel mezzo di una manifestazione di cui ignoravo completamente l'esistenza? Non so se hai ascoltato i telegiornali o se hai letto qualcuno dei messaggi di Taehyung o Seokjin. Ti avrei scritto io ma nel trambusto naturalmente il mio telefono è caduto da qualche parte e si è rotto.” Jungkook ridacchiò nervoso. Poi segui una pausa. Un sospiro. Jimin trattenne il fiato.

“Mi dispiace Jimin hyung. Se ci ripenso, nonostante il contrattempo non sia stata colpa mia, lo è invece il fatto che tu abbia sentito l'impulso di andartene. Perché avrei dovuto essere più chiaro sui miei sentimenti per te, avrei dovuto mangiarmi le mie paure ed essere sincero, avrei dovuto dirtelo. Avrei davvero dovuto. Non pensare neanche per un momento, neanche per un infinitesimo istante che io non mi sia presentato di mia volontà. Hanno dovuto arrestarmi per impedirmi di farlo.” Disse la voce di Jungkook agitata.

“Sono qui in stazione, sto per prendere un treno che mi porterà a casa dei tuoi genitori e anche se tu non dovessi mai ascoltare questo mio messaggio spero mi darai comunque la possibilità di dirti, di ripeterti di persona quello che io provo per te. Perchè ti amo. Ti amo. Ti amo.”


 


 


 

Finalmente Jungkook intravide una figura nella foschia, in piedi sul molo vicino agli scogli. Il vento gli scompigliava i capelli mentre guardava il mare, il telefono premuto sull'orecchio destro. Non si rese conto di aver rallentato fino a che non si trovò a pochi passi da Jimin.

“Hyung.” Jimin si voltò. Il suo labbro inferiore tremava ma non faceva freddo, la brezza marina era calda e piacevole.

“Mi dispiace. Mi dispiace così tanto. Ho pensato... ti sono venuto meno. Ho pensato avessi cambiato idea e allora ho disdetto tutto.”Disse Jimin con una tale disperazione che era insopportabile per Jungkook. Perché ogni sua ferita era come se fosse la sua. Coprì gli ultimi passi che li separavano e prese il suo viso tra le sue mani delicatamente. Jimin smise di tremare.

“Shh. Va tutto bene. Va tutto bene.”

“Mi dispiace.” Jungkook premette le sue labbra sulla punta del suo naso, il che zittì ogni parola che Jimin aveva pensato di dire.

“Grazie. Per aver pensato a me anche in questo momento, per pensare a me sempre. Per non aver mai calpestato i miei desideri anche a costo di calpestare i tuoi.” Jungkook allora premette dolcemente le sue labbra sulle sue. Si era così, era così che doveva andare. Riaprì gli occhi per guardare Jimin nei suoi, per essere sicuro che avrebbe capito una volta per tutte.

E no, non faceva affatto paura.

Amare.

“Ti amo. Non mi importa se siamo numeri zero, della mia famiglia, del matrimonio o di quel fottutissimo referendum. Voglio stare con te. Ed ora che siamo liberi, tutti i giorni che passeremo insieme sarà perché l'abbiamo scelto.”

“Io...” Sentì le mani di Jimin stringere le sua maglia e vide la sua espressione rompersi e poi si sentì scivolare in avanti le labbra del maggiore ad attenderlo.

Senti le dita dell'altro intrecciarsi tra le sue ciocche di capelli e il suo corpo vicino. Il più vicino possibile. E si baciarono, una volta. Grazie. Due volte. Ti amo. Tre volte e poi contare non servì più. Era possibile sorridere in un bacio. Si lo era.


 

C'era un volta in cui anima gemella non voleva dire numero due.


 

“Torniamo indietro,” Jungkook disse. Jimin sorrise annuendo, offrì la mano al più giovane che l'afferro, sorridendo a sua volta alla vista delle loro dita intrecciate.

Erano due numeri zero, erano due persone che passeggiavano insieme lungo la spiaggia e si amavano.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Epilogo


 


 

Jimin lesse l'ultimo documento per quella giornata e sospirò esausto.

“Jimin hai finito? Se hai finito vieni qui a darmi una mano così possiamo andare a casa.”Seokjin chiamò da un'altra stanza. Jimin scrollò le spalle ma non poteva sottrarsi, dopotutto Seokjin era il suo capo. Se fosse rimasto invece solo il suo migliore amico non avrebbe esitato a lasciarlo lì.

Con un sospiro e sbottonandosi i primi bottoni della sua camicia, andò nell'altra stanza.

L'ufficio di Jin era come sempre impeccabile. I documenti era ordinati ed etichettati per bene sulla scrivania, le penne riposte nei loro porta matite, il computer spento e i cd musicali perfettamente in ordine sugli scaffali anche se Jimin sapeva che Seokjin li ascoltava ogni giorno. Parlando di Seokjin, in quel momento il suo miglior amico sembrava intento nell'impresa di appendere un quadro, a giudicare da martello, chiodi e cornice.

“Ecco vieni qui tienimi fermo il livellatore mentre io cerco di marcare i punti per appenderlo. L'ho trovato stamattina in soffitta e come l'ho visto ho voluto appenderlo qui nel posto che gli spetta.” Jimin annuì internamente sollevato che si trattasse di un compito semplice. Era stanco e affamato e avevano lavorato sodo per ore senza fermarsi. Voleva tornare a casa e rilassarsi prima del suo appuntamento serale.

Osservò Seokjin che, dopo aver segnato i punti, con tutta la calma del mondo procedeva a battere due chiodi nella parete con la maestria di uno che è pratico del mestiere. Jimin si disse che, in effetti, considerando la capacità di Namjoon di farsi male anche con un coltello di plastica, era molto probabile che a casa fosse lui quello che si accollava questi lavori.

“Fatto. Passami la cornice che è sulla scrivania per favore.” Jimin si diresse in quella direzione e quando infine vide il soggetto dentro la cornice, trattenne il fiato.

La foto era stata scattata con una macchina di Seokjin e risaliva a un anno prima o giù di lì, il giorno in cui avevano preso la decisione che aveva cambiato la loro la vita.

“Voglio aprire un centro mio.” Seokjin se ne era uscito un giorno durante uno dei loro pranzi settimanali. La sua relazione con Jungkook si era stabilizzata da qualche mese e Jimin cercava ancora di bilanciare in modo equo lavoro, ragazzo e amici, cosa non sempre facile visto che di amici ora ne aveva il doppio e sia Hoseok che Taehyung pretendevano la sua presenza. Soprattutto cercare di bilanciare il suo tempo con Jungkook era difficile. Jimin avrebbe voluto trascorrere ogni momento con lui ma questi invece era nel pieno fervore della stesura della sua tesi.

“Se vuoi vederlo di più andate a vivere assieme,” aveva suggerito qualche giorno prima Taehyung. A Jimin era quasi andata di traverso l'acqua che stava bevendo. Era attraente come pensiero ma era tutto nuovo per entrambi e lui non voleva bruciare le tappe.

In ogni caso suggerimenti selvaggi di Taehyung a parte Jimin era soddisfatto di essere riuscito a ripartire bene il suo tempo e che la sua routine con Seokjin, ad esempio, fosse rimasta intatta.

“Wow.” Jimin rispose alla dichiarazione di Seokjin. Abbassò la forchetta per bere un bicchiere d'acqua. Il suo amico si stava mordendo il labbro.

“Il direttore del circolo è da anni che vuole ritirarsi ma siccome non ha mai trovato nessuno che lo sostituisse, ha sempre rimandato. Un mese fa mi ha chiesto se per caso poteva interessarmi la posizione. Ci penso da allora.” Seokjin si fermò un attimo, incerto, quasi temendo che il suo amico gli dicesse che era pazzo ma Jimin gli fece cenno di continuare.

“Ho elaborato alcune nuove idee e mi sono informato al riguardo. Con la nuova aria che tira in politica questo sembra un momento favorevole per i centri culturali come il nostro. Parlandone con Namjoon abbiamo sempre discusso su quanto fosse uno spreco di talento che le arti liberali fossero a esclusiva dei numeri due e quanto sarebbe stato bello poter fare qualcosa a riguardo. Il centro potrebbe essere un'ottima fucina di talenti dopotutto, mancherebbe solo qualcuno disposto a dare a questi giovani talenti il modo di poter proseguire la loro carriera. Penso sia per questo che dopo aver sentito la proposta che mi avevano fatto, Namjoon ha deciso di creare una sua etichetta indipendente.” Seokjin disse come se stesse commentando le notizie meteorologiche.

A Jimin andò di traverso l'acqua.

“Lui cosa?”

“Si beh è da un po' che ci pensava in realtà, è sempre stato un suo sogno. Tra la sua carriera e la mia i soldi certo non ci mancano ed entrambi abbiamo agganci per fare in modo che sia il suo progetto che il mio siano possibili. Ma affinchè il progetto vada avanti non posso fare tutto da solo, io sono un fotografo e non conosco nulla di danza o canto o strumenti, non come Namjoon e lui certo non può occuparsi del centro se deve pensare alla sua etichetta discografica. Ecco perchè pensavo di chiederti di darmi una mano.” Se non si era soffocato prima Jimin pensò che fosse legittimo se succedeva in quel momento e così accadde. Seokjin passò il successivo quarto d'ora a dargli pacche sulla schiena.

Era iniziato tutto così, due parole scambiate a un pranzo con il suo migliore amico e un ci penserò. Prima che se ne rendesse conto le cose si erano messe in moto. Dopo qualche settimana di tira e molla e un intervento di Jungkook che sembrava quello più entusiasta di tutti, alla fine Jimin aveva ceduto, nonostante l'idea di lasciare il suo lavoro e imbarcarsi in un nuova avventura lo terrificasse. Seokjin tuttavia non aveva voluto che lui sborsasse un centesimo, nonostante le proteste di Jimin. “Sei un mio dipendente ora,” aveva detto e aveva chiuso il discorso. Venne fuori che lui e Namjoon avevano davvero pensato a tutto. Avevano parlato del progetto con tutti quelli che lavoravano nel centro, con il vecchio direttore, con dei commercialisti di fiducia e avevano sondato le acque per capire l'ammontare di documenti necessari e fare una stima del budget. Nel frattempo Namjoon si era dato da fare per conto suo per stabilire la sua etichetta indipendente. Sorprendentemente ma forse neanche troppo ad aiutarlo fu ancora una volta Yoongi.

Il fatto che questi fosse più meno indirettamente coinvolto da un punto di vista finanziario era qualcosa che metteva a disagio Jimin e rendeva infelice Jungkook.

“Yoongi non ha niente a che fare con il centro. Ne con il progetto di Namjoon.” Jimin aveva cercato di rassicurare il più giovane. Jungkook aveva grugnito ma non aveva protestato oltre anche se era stato terribilmente territoriale i giorni a seguire, quasi avesse paura che Yoongi sbucasse fuori da un cespuglio. Jimin aveva cercato di convincere Jungkook che non c'era assolutamente bisogno di scortarlo ventiquattr'ore su ventiquattro. Naturalmente il numero zero non aveva ascoltato e infine Jimin l'aveva lasciato fare. Era certo che quando Yoongi aveva saputo del loro progetto e chi era coinvolto aveva cercato di dare loro una mano con i finanziamenti ma persino Namjoon era stato contrario all'idea. Non era stato necessario l'intervento di Jimin per farlo desistere e per fortuna Yoongi alla fine aveva capito, limitandosi a dare loro una mano in termini di networking. Questo Jimin lo poteva accettare ma era contento che il suo coinvolgimento si fosse limitato a quello e a quello soltanto.

Il progetto prese vita e nell'arco di un anno i lavori di restauro e riadattamento del centro erano stati avviati cosi come l'etichetta di Namjoon, che aveva scritturato con successo il suo primo artista, Kim Taehyung.

La notizia aveva scioccato tutti tranne Hoseok.

“Non eri tu che dicevi che la vita di una celebrità avrebbe decurtato il tuo tempo con Hoseok?”

Jungkook aveva chiesto al suo migliore amico irritato. A quanto pareva la cosa era stato fatta in gran segreto e Jungkook era stato tenuto all'oscuro. Anche se gli sguardi da cerbiatto ferito di Hoseok, che continuava a dire che Taehyung gli aveva fatto promettere di mantenere il segreto, un po' lo avevano ammorbidito.

“Da quando Hoseokkie ha iniziato a lavorare come dottore a tutti gli effetti non lo vedo comunque tanto spesso. Ho pensato che l'unica soluzione, affinchè lui possa decidere finalmente i suoi orari di lavoro, è che io guadagno così tanto da potergli comprare una clinica intera tutta per lui."

Taehyung non stava affatto scherzando e, a giudicare dall'enorme sospiro che Hoseok si era lascito sfuggire, questi ne era al corrente. Il sospiro fu seguito da uno scambio di occhiate talmente piene di affetto che Jimin dovette distogliere lo sguardo.

Il debutto di Taehyung fu un successo.

Tuttavia le sorprese non finirono li. Quell'anno Jimin non fu l'unico a ricevere un'offerta di lavoro.

Con i rinnovamenti dei locali e una nuova fila di corsi in programma, il centro avrebbe avuto bisogno di nuovi insegnanti. Jimin stesso si era offerto volontario per accollarsi alcuni corsi ma non era sufficiente, dal momento che doveva occuparsi dell'amministrazione. Fu così che il maestro Lee suggerì di formare un altro insegnante: Jungkook.

“Non posso accettare.” Jungkook aveva detto con la voce strozzata ma Jimin aveva imparato a leggerlo, a capire quando era il vero Jungkook a parlare e quando invece erano le sue paure a farlo. Jimin allora lo aveva abbracciato stretto perché era quello di cui l'altro aveva bisogno di cui aveva sempre avuto bisogno. Il forte e impavido Jungkook aveva affrontato tante cose nella sua vita senza ricevere abbastanza abbracci nell'opinione di Jimin e quindi lui si era ripromesso di ricoprirlo di affetto a ogni occasione.

“Sarai bravissimo, ”gli aveva sussurrato.

Il maggiore sapeva cosa voleva dire avere un sogno, una passione e dover seppellire questa a malincuore ma con dovere, perchè era una passione senza futuro. Abbandonare la danza era stato un lutto, uno con cui aveva dovuto fare i conti per anni e sapeva che per Jungkook era stato lo stesso, così come per tutti i numeri zero che avevano dovuto soffocare la loro sete di arte.

Perciò non avrebbe permesso che il suo ragazzo non approfittasse dell'opportunità perché se c'era qualcuno che si meritava di vivere questo sogno era lui.

Seokjin lo tolse alle sue reminiscenze prendendogli la cornice di mano e appendendo il quadro alla parete.

“Sembra solo ieri quando abbiamo iniziato.”

“Già.” Rispose Jimin un po' commosso.

Era una foto di loro sei, scattata il giorno in cui si erano trovati per festeggiare la riapertura ufficiale del centro. Al centro della foto c'era Seokjin, con la mano sinistra stringeva ancora il foglio di carta che attestava la rifondazione mentre con l'altra stringeva la mano di Namjoon. Di fianco a Namjoon c'era Taehyung con un sorriso a trentadue denti e Hoseok che con un braccio cingeva le sue spalle. Sul lato opposto che sorrideva a Seokjin c'era Jimin, i cui occhi scomparivano per quanto era largo il suo sorriso e li, a tenerlo per la vita, c'era Jungkook che sorrideva di quel suo sorriso fanciullesco che Jimin adorava perchè il più giovane aveva iniziato a farlo solo da quando stavano insieme.

“Siamo tutti un po' spettinati e io sorrido in modo maniacale ma eravamo così belli che ho dovuto incorniciare la foto e appenderla.” Seokjin commentò. Jimin guardò ancora una volta la foto e il suo sguardo si soffermò su Jungkook. Il suo cuore fece una capriola.

“Ce l'abbiamo davvero fatta. Ancora non riesco a crederci.” Jimin disse sospirando.

“E' stata dura ma siamo arrivati lontano e il meglio deve ancora venire e dovremo rimboccarci le maniche. Sono contento di aver intrapreso quest'avventura con tutti voi.” Seokjin disse appoggiando una mano calda sul suo braccio.

“Anche io.” Jimin sorrise.

“Comunque! Che dici, rimani a cena da noi stasera?” Chiese Seokjin tutto entusiasta cambiando argomento. Il suo miglior amico aveva passato i trenta eppure si comportava ancora come un ragazzino.

“Magari un'altra volta.”

“Appuntamento skype?”

“Forse,” Jimin rispose facendogli l'occhiolino.

“Va bene. Ti lascio alla tua serata. Ma promettimi che sabato sera ci sarai!”

“Ma certo! E lasciarvi da soli con Taehyung e Hoseok? Non potrei mai!”

“Non scherzare. Da quando sono tornati dalla luna di miele, non riescono a staccarsi l'uno dall'altro.”

“Meno male che il numero zero sono io.”

“Jimin sono andati insieme in bagno. In bagno. Li ho visti. Non era neanche loro il bagno ma il mio!” Questa volta Jimin scoppiò a ridere.

Qualche mese prima Taehyung aveva chiesto ufficialmente la mano di Hoseok. Come numeri due la loro unione era stata inscritta nel registro delle anime gemelle, ma non avevano mai festeggiato il loro legame, le cerimonie di matrimonio erano più cose da persone estremamente ricche o da politici, come i consoli e i loro figli o le alte cariche del senato. Nel loro mondo la gente normale, persino i numeri due, non si sposavano più con una cerimonia, perchè il concetto di "Lo voglio" era sfalsato. Taehyung aveva mandato all'aria gli stereotipi e aveva organizzato una festa degna dell'erede dei Kim o dei Park. Dopodiché appena Hoseok era riuscito ad ottenere finalmente delle vacanze, Taehyung aveva rapito il suo numero uno e lo aveva portato in qualche isola esotica in mezzo all'oceano. Sembrava non ci fossero limiti ai livelli di ridicolo che il loro amore poteva sfiorare. Jimin scosse la testa bonario, al pensiero di quei due. Dopo aver infine salutato Seokjin, tornò nel suo ufficio a prendere le sue cose e si incamminò quindi verso casa. Era una bella serata e Jimin era contento di aver lasciato la macchina in garage e di aver deciso di spostarsi invece a piedi. Il suo nuovo posto di lavoro infatti si trovava più vicino a casa sua rispetto al suo vecchio lavoro in ufficio, una dei tanti aspetti positivi di questa nuova vita.


 

A metà strada però fu interrotto dallo squillare del suo telefono.

Una video chiamata. Un sorriso gli si stampò automaticamente in faccia mentre si infilava gli auricolari per ascoltare la chiamata.

“I nostro capo squadra è uno schiavista.” Disse la voce di Jungkook non appena Jimin ebbe premuto il pulsante di accettazione di chiamata.

Jimin scoppiò a ridere. “Ciao anche a te!”

“Oh si ciao. Scusa hyung. Ma il mio capo squadra è davvero uno schiavista mi fa quasi rimpiangere il buon vecchio maestro Lee. Stiamo lavorando da quattro ore senza pause. Credo che i miei polpacci non saranno mai più gli stessi.”

“Ti rendi contro vero che puoi smettere di chiamarlo maestro ora che tu e Seunghyun hyung siete colleghi.”

“Come no. Se provo a chiamarlo per nome è capace di prendere un aereo solo per prendermi a calci.”

“A me lo lascia fare.”

“E' perchè tecnicamente tu sei il suo capo.”

“Bugia è perchè dice che io sono più divertente di te."

Jungkook lo guardò storto dallo schermo mentre Jimin sorrideva trionfante. Nonostante le sue lamentele il più giovane appariva contento e in ottima salute.

“Ho deciso, non ti chiamo più.”

“Ti mancherei dopo neanche due giorni.”Jimin lo prese in giro.

“Purtroppo è vero.” Jungkook rispose scuotendo la testa. Poi disse. “E' dura qui senza di te.”

“Ancora altri sei mesi.” Jimin rispose cercando di essere incoraggiante anche se Jungkook mancava terribilmente anche a lui.

Quando Jungkook aveva accettato di fare del ballo la sua carriera non aveva immaginato che un giorno quello che doveva essere un lavoro da insegnante lo avrebbe portato all'estero. Tuttavia qualche mese prima grazie a un video che il maestro Lee aveva mandato a dei suoi amici oltre oceano, a Jungkook era stato proposto un posto in un famoso team di ballo che seguiva tournée di concerti di altri artisti. Era un'ottima opportunità in termini di carriera e Jimin aveva insistito affinchè Jungkook non si facesse problemi e accettasse anche se avrebbe voluto dire stare lontani mesi o forse un anno. Il più giovane era stato riluttante, per una serie di motivi dal fatto di dover lasciare il suo compagno al fatto che avrebbe dovuto mettere temporaneamente in pausa il suo lavoro da insegnante. “Pensa alle cose che potrai insegnare dopo.” Aveva detto Jimin. La verità era che sia lui che il maestro Lee nutrivano un'altra speranza. Un'esperienza come quella avrebbe potuto avvicinare Jungkook al mondo delle performance e perchè no magari anche all'essere coinvolto un domani nelle attività delle nuova etichetta di Namjoon. Jimin non sapeva se sarebbe stato possibile, se i tempi fossero propizi ma Jungkook era ancora giovane, aveva venticinque anni e lui desiderava davvero che il suo compagno riuscisse ad arrivare lontano, anche se significa privarsi della sua compagnia per un po'.

La loro relazione durava da due anni ed erano stati due anni meravigliosi. Non avevano mai ufficializzato il loro rapporto, non c'era un foglio di carta ad attestare la loro unione e probabilmente non ci sarebbe mai stato. Ma a loro non importava che il mondo li considerasse due anime sole. Loro sapevano che ogni giorno che avevano trascorso insieme era stata una nuova promessa per il domani.

“Non vedo l'ora. Non hai idea di quanto mi manchi tutto.”

“Io soprattutto immagino.”

“Anche. Ma ammetto che mi manca di più la cucina di casa.” Fu il turno di Jungkook di scoppiare a ridere dopo aver visto l'espressione oltraggiata di Jimin.

“Scherzavo, scherzavo!” Jimin vide il più giovane alzare le mani in segno di resa.

“Comunque hyung ti ho chiamato ora perché non so se riuscirò a farlo più tardi. Spero di si ma con lo schiavista del mio capo squadra non puoi mai sapere.”

“Tranquillo. Tu lavora e fai del tuo meglio.”

“Mi manchi hyung. Davvero.” Jungkook disse.

“Anche tu.” Jimin rispose con un sospiro. Gli mancava, gli mancava un sacco. Ma era per una buona causa.

Jungkook sospirò a sua volta.

“Mi tocca andare hyung. Spero di riuscire a chiamarti anche dopo.”

“Certo. Non preoccuparti.”

Jungkook sorrise.

“A dopo!

“A dopo.”

La video chiamata si concluse.

C'erano stati momenti in quei due anni trascorsi insieme in cui le loro vecchie paure era tornate ad affacciarsi, la paura di Jungkook di non essere abbastanza, quella di Jimin di essere abbandonato, ma ogni volta riuscivano a trovare la strada del ritorno. Non erano perfetti, non era i due pezzi di un insieme nati per combaciare, erano solo due persone che si amavano e per questo ce la mettevano tutta. Aveva sempre pensato che l'amore da solo non sarebbe mai bastato a pulire le circostanze, eppure quando guardava Jungkook, la sua mano stretta nella sua, a Jimin piaceva credere che forse aveva trovato l'unica persona con cui renderlo possibile.

Si mise il cellulare in tasca e conitnuò a camminare. Lungo la via verso casa vide un supermercato e fu colto da un pensiero improvviso.

Entrò nell'edificio, oltrepassando il reparto frutta in tutta fretta e andando verso il reparto delle paste.

Gli scaffali erano pieni di confezioni doppie scontate e per una volta Jimin fu contento di ciò. Riempì il carrello allegramente con quello che preferiva Jungkook, dopodiché si diresse alla cassa.

La cassiera gli rivolse un sorriso radioso.

“Quante confezioni!” Commentò allegramente. Jimin si grattò la testa imbarazzato.

“Ah il mio ragazzo è all'estero e gli manca il cibo di casa e così ho deciso d'inviargliene un po'.”

La cassiera gli rivolse un altro sorriso radioso da numero due e dopo avergli dato lo scontrino, e aver osservato per un attimo Jimin che metteva i pacchi dentro uno degli scatoloni vuoti lasciati in cassa, disse.

“La tua anima gemella è una persona fortunata.”

L'esitazione fu appena visibile nei movimenti di Jimin che cercò di riprendersi in fretta. Mise dentro la scatola l'ultimo pacco di noodles e poi senza potersi trattenere rispose.

“Ti ringrazio. Farò in modo di dirlo al mio numero zero.” E senza mai smettere di sorridere uscì dal super mercato.


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

“Namjoon! Stanno per uscire le nuove proiezioni sui dati reali, presto!” Disse Seokjin mentre soffocava un cuscino tra le sue braccia. Ripensandoci forse avrebbe dovuto fare come Jimin e Jungkook, rapire il suo numero uno e portarlo in un posto romantico lontano da tutto e da tutti invece di torturarsi nell'attesa. Magari non a guardare le stelle in mezzo a un prato boscoso. Conoscendo la loro fortuna Namjoon sarebbe riuscito a storcersi un piede scendendo dall'auto. Tuttavia persino quell'opzione ora appariva migliore che l'idea di rimanere attaccato alla televisione sperando che andasse tutto bene. Il suo cellulare vibrò con ennesimo messaggio di Hoseok e Taehyung che condividevano il loro stress per via telematica.

Seokjin strinse più forte il cuscino.

Namjoon finalmente fece la sua comparsa in salotto, i capelli ancora umidi e le guance arrossate dal vapore della doccia.

“Sono uscite?”

“E' una questione di minuti!” Rispose il maggiore. Namjoon si lasciò cadere accanto a lui sul divano.

“Andrà tutto bene. Abbi fede,” disse sereno. Come facesse a rimanere così calmo era un mistero ma in qualche modo il suo tono tranquillo riuscì nell'intento di alleviare po' della tensione di Seokjin. Quest'ultimo decise quindi di sbarazzarsi del cuscino e stringere invece Namjoon.

“Lo sai vero che mi stai stritolando.”

“Stai zitto.” Seokjin disse, scoccandogli un bacio sulla guancia a mo' di scusa. Namjoon rise.

Sul televisore apparve una nuova schermata, un secondo dopo il telefono iniziò a squillare.

Seokjin quasi singhiozzò.


 

“Da quando in qua tu conosci le costellazioni?” Jimin disse dando una leggera gomitata al fianco di Jungkook quando questi lo corresse sulla posizione giusta della stella polare. Non era colpa sua se la sua conoscenza in merito fosse tanto profonda da scambiare un satellite per una stella cadente. Mica tutti erano Jeon Jungkook a quanto pare ex professore di astronomia in un'altra vita.

“Quando passi tanto tempo con Taehyung impari anche queste cose. Se ti fa stare meglio so svariati trucchi di prestigio che includono carte e fazzoletti, so fare i nodi alle barche e so perfino tessere a maglia.” Jungkook rispose arrossendo leggermente a quell'ultima ammissione.

Jimin rise rotolandosi sul lenzuolo che avevano steso sul prato.

Fu il turno di Jungkook di dargli una gomitata.

“Sei solo invidioso della mia eccezionalità,” disse Jungkook.

Jimin rise più forte.

Jungkook lo guardò storto o almeno così dedusse Jimin. Per poter vedere meglio le stelle avevano lasciato accesa solo la candela di citronella contro le zanzare.

“Niente broncio dai.” Jimin disse alzandosi un po' e sporgendosi su un semi sdraiato Jungkook. Gli piantò un bacio sulle labbra, che ben presto si trasformò in un bacio vero. Entrambi sospirarono.

Jungkook si lasciò cadere di nuovo sul lenzuolo e Jimin lo segui, posando la sua testa sulla spalla e cingendolo con un braccio. Il più giovane lo abbraccio a sua volta.

“Grazie per avermi portato qui.” Jimin disse dopo un po'.

“Non avrei sopportato di rimanere a casa e vederti camminare su e giù per il tuo salotto. Così è molto meglio.” Jungkook rispose stringendo la presa sul corpo del maggiore.

“ Decisamente,” Jimin rispose, posando un leggero bacio sulla clavicola dell'altro.

Jungkook rispose con un bacio sulla sua fronte.

“Lo sai vero che non cambia niente. Non cambia nulla di quello che provo per te, che vinca il si o il no.”

“Lo so.” Jimin rispose.

“Ti amo.

“Ti amo anche io.”

Sempre.


 

Seokjin saltò sul divano e persino Namjoon, che aveva ostentato tanto sicurezza, lo seguì a ruota.

Il suo cellulare squillava ancora ma Seokjin lo ignorò, avrebbe richiamato Hoseok più tardi. Guardò il suo numero uno che gli sorrideva, quel sorriso con le fossette che Seokjin aveva amato sin dal primo momento.

Forse il mondo era davvero pronto a cambiare.


 

39 % Si.


 

61% No.


 

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Capitolo 35
*** Note dell'autrice ***


Ai miei carissimi numeri due e numeri zero là fuori.

Non riuscirò mai a ringraziarvi abbastanza. Se questa avventura con Un mondo per noi due è stata divertente è anche per merito vostro e dei vostri feedback.

Quando ho iniziato Un mondo per noi due, pur sapendo come sarebbe finito non immaginavo mi avrebbe arricchito così tanto, come cercando di consolare voi avrei consolato anche me stessa.

Mondo due nasce per via di un commento della mia migliore amica.

“Voglio vivere per me stessa.”

“ Lo dici solo perchè non conosci quanto è bello vivere a due.”

Al di là delle mie motivazioni personali allora mi sono chiesta come sarebbe stato se vivessimo in un mondo in cui facessero di questa differenza qualcosa di vitale, qualcosa di qualificante.

Quella notte ho sognato mondo due e da li è partito tutto. Ho pensato a lungo ai miei personaggi a come volevo caratterizzarli e cosa volevo far loro dire e fare. A quale sarebbe stato il fine ultimo della storia che volevo raccontare. E così sono nate le tre coppie, anzi quattro coppie se consideriamo anche Jimin e Yoongi.

Avevo bisogno di qualcuno di impavido, di terribilmente testardo e arrabbiato col mondo. E così alla fine ho scelto il volto di Jungkook. Avevo bisogno di qualcuno più vissuto, maturo, sofferto ma non per questo meno coraggioso e ho scelto Jimin.

Loro sono i due protagonisti principali ma anche gli altri non sono meno importanti e anzi capire le altre coppie aiuta a capire meglio mondo due.

Mondo due è un mondo di anime gemelle che dovrebbe essere perfetto ma non lo è. Credo che sia uno di quei karma a cui è impossibile sfuggire. Non esiste un concetto di perfezione se non quello acquisibile con un amaro prezzo da pagare. Non importa quanto piccolo ma l'equilibrio del mondo si basa sull'iniquità. Perciò anche se paradossalmente riuscissimo a risolvere le angustie di questo spazio tempo altri problemi sorgerebbero. E' stato con questo pensiero in mente che ho messo le basi di mondo due. Tuttavia nonostante questo sia un concetto importante non è quello fondamentale. Una volta ho detto che mondo due non è una storia di rivoluzione. Non lo è. Infatti è una storia d'amore. E' l'amore che ci fa andare oltre a quello che passa attraverso gli occhi, ai preconcetti a quello che ci viene infilato in testa a forza ma che non è detto che sia giusto. Come l'amore dei numeri due di questa storia che non meno coraggiosi dei numeri zero non sono rimasti impantanati nella realtà preconfezionata e hanno saputo guardare oltre. Che sia stato per vicende personali o inclinazioni, è innegabile che Jin e Namjoon, Taehyung e Hoseok siano persone che sono state toccate in qualche modo dalle vicende dei numeri zero e questo li ha cambiati.

Una volta che si è riusciti a guardare oltre quelle che appaiono le nostre differenze ecco che capita una magia. Improvvisamente ci si riscopre simili, se non uguali. Sono le sofferenze, le ferite che ci portiamo a renderci simili, ad avvicinarci. E' l'empatia che proviamo che ci avvicina. E dove c'è comprensione c'è rispetto dove c'è rispetto c'è sentimento e quindi amore.

Mondo due è una realtà distopica, una realtà cupa, e un mondo crudele in cui i personaggi riescono a sfuggire al proprio destino ma con fatica e a costo di sacrifici. Eppure ce la fanno, perchè si sono fidati gli uni degli altri e si sono amati.

Perciò a tutti i numeri zero là fuori, ho scritto questa per voi, e ultimamente anche per me, perchè volevo condividere i miei sentimenti, le riflessioni sul diventare grandi mentre affrontiamo questa avventura. Perchè anche se siamo numeri zero, possiamo correre anche noi, sperare anche noi, fare un miliardo di cose, e perseguire le nostre ambizioni e sogni perchè ne siamo in grado accidenti a noi. E se siamo fortunati forse lo faremo assieme a qualcuno o forse no. Ma non per questo significa che siamo soli. Perchè non lo siamo.

 

 

 

Ps: Un mondo per noi due non finisce qui!

  • Il terzo capitolo di Dietro le quinte di un mondo per noi due, intitolato First Love dedicato a Jikook.

  • “Incontriamoci in questa vita” la storia di Namjoon e Seokjin.

  • “Un mondo per noi due- rivoluzione” Spin off con i personaggi ispirati ai Vixx.

Ed ebbene si...

  • “Un mondo di noi (A world of us)” il vero sequel.


 

E' stata una bellissima avventura.
Grazie a tutti,
Huilen

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Capitolo 36
*** Un mondo di noi ***


Zero

 

 

Andare a fare la spesa era diventata la loro routine del fine settimana, una routine a cui, nonostante il sapore ordinario, entrambi tenevano molto.

La domenica iniziava sempre con Jimin che incurante del fatto che fosse un giorno di riposo, si svegliava presto. Jungkook aveva presto scoperto che Jimin era la tipica persona che riteneva che una giornata passata a dormire fosse giornata sprecata, indipendentemente da quanto duramente avesse lavorato il giorno precedente.

Jimin sgattaiolava fuori dal letto allora, rabbrividendo per il cambio di temperatura ma cauto con i suoi movimenti perchè non voleva rischiare di svegliare Jungkook. Jimin non lasciava mai la stanza senza essere sicuro che il suo amante fosse ben avvolto nelle coperte e che continuasse a dormire.

Se avessero chiesto a Jimin quale fosse il suo momento preferito della giornata avrebbe risposto senza esitazioni che osservare Jungkook dormire sonni tranquilli era il primo della sua lista anche dopo tutti quegli anni, o forse proprio per quel motivo. Avere la prova davanti agli occhi del loro legame, quando le probabilità dicevano che non sarebbero dovuti durare, gli riscaldava il cuore.

Dopo aver permesso a se stesso di guardare Jungkook per alcuni momenti, Jimin usciva in punta di piedi fuori dalla stanza e chiudeva accuratamente la porta della loro camera da letto per impedire che la luce trapelasse al suo interno. Camminando letamente con gli abiti freschi che aveva recuperato silenziosamente dall'armadio, si dirigeva quindi in il bagno per farsi una doccia e rilassarsi sotto il getto di acqua tiepida, canticchiando a volume moderato l'ultimo canzone su cui aveva lavorato Jungkook.

Usciva dal bagno ripulito e vestito di abiti comodi, dei suoi vecchi jeans dei tempi del college e un maglione troppo grande per essere suo ma che indossava volentieri il puerile e intrinseco piacere di avere addosso qualcosa di Jungkook.

Si spostava in cucina, accendeva il suo cellulare per controllare brevemente se fossero arrivate mail urgenti e metteva poi la sua playlist mattutina, sempre a basso volume ma abbastanza forte da avere un piacevole rumore di sottofondo mentre preparava la colazione.

Inamancabilmente, neanche avesse un orologio svizzero incorporato, Jungkook si trascinava in cucina nel momento in cui Jimin finiva di prepare la colazione, gli occhi semichiusi e la fronte corrugata per il sonno. Il suo naso sarebbe stato in grado di riconoscere l'odore di pancake e caffè anche a un chilometro di distanza.

Se avessero chiesto a Jungkook quale fosse una delle sue cose preferite al mondo senza esitare avrebbe detto che avere Jimin in cucina a preparagli la colazione era certamente in cima alla lista. Perché avere qualcuno che si prendesse cura di lui dopo lunghi anni passati nella convinzione che sarebbe rimasto da solo, era ancora qualcosa che non avrei mai messo di stupirlo e renderlo felice.

Essendo gli adulti indaffarati che erano, spesso non riuscivano a mangiare insieme e riuscivano a incontrarsi solo la sera al loro rientro a casa - a volte così tardi che avevano a malapena l'energia di scambiare più di qualche parola banale prima di crollare a letto. Eppure anche allora, non avrebbero mai mancato di cercare l'uno il calore corporeo dell'altro.

Con il tempo e con l'evolversi della loro relazione, si erano resi conto che non si trattava sempre di grandi gesti, ma degli eventi di una vita quotidiana trascorsa insieme. L'amore, dopo tutto, era fatto di concessioni e compromessi, grandi e piccoli. Fare colazione nel fine settimana e uscire a fare la spesa insieme, per quanto fosse ordinario, era il loro piccolo paradiso di normalità, il loro significato di casa.

"Hai già finito i vestiti puliti? Non avevi fatto il bucato l'altro ieri?"Jungkook lo prendeva in giro senza mancare di ammirare come il maglione si allungava sul corpo di Jimin mentre questi, in punta di piedi, si sforzava di raggiungere il ripiano più alto della cucina. Jungkook era alto abbastanza da essere in grado di prendere facilmente il barattolo di biscotti che Jimin stava cercando di raggiungere. Tuttavia a Jimin piaceva pensare che l'altezza fosse un dettaglio discutibile e a Jungkook piaceva vedere la sua lotta ostinata prima di arrendersi e chiedere l'aiuto di Jungkook. Era infantile da entrambe le parti, ma Jungkook amava le loro piccole schermaglie.

Jimin era più vecchio di quasi quattro anni e per molto tempo, durante la prima fase della carriera di Jungkook, era stato l'unico a prendersi cura finanziariamente di entrambi ed era per questo che a Jungkook piaceva quando i rapporti si invertivano ed era lui a prendersi cura dell'altro.

Jimin era una persona orgogliosa e non gli piaceva dipendere dagli altri e Jungkook non l'aveva mai giudicato per questo, capendo il bisogno di sentirsi autosufficiente fin troppo bene. Tuttavia avevano percorso una lunga strada insieme e nessuno dei due ormai, aveva più paura di affidarsi all'altro, anche quando si trattava di qualcosa di semplice come un barattolo di biscotti dallo scaffale più alto.

"Smettila di fare il melodrammatico, indosso un tuo maglione ogni domenica! E poi so benissimo che la cosa non ti disturba affatto semmai il contrario. Ora renditi utile e prendimi i biscotti. Lo spettacolo è finito,” rispondeva Jimin lanciandogli un sorrisetto sfacciato come se sapesse, e lo sapeva, che Jungkook adorava quando il profumo corporeo di Jimin rimaneva sui suoi vesititi. Jungkook non commentava ed esagerava spesso la facilità con cui raggiungeva lo scaffale, cosa che non mancava mai di guadagnarli un leggero calcio allo stinco. Come da copione seguivano le lamentele di Jimin sul cibo straniero e su cosa ci mettessero dentro perchè Jungkook fosse cresciuto così tanto mentre era stato via tutti quegli anni fa.

Jungkook rideva ricordando l'espressione di Jimin quando nel ritrovarsi dopo tanto tempo, si era accorto di doversi mettere in punta di piede per guardarlo negli occhi. Lo stesso Jungkook non si era reso conto di quanto fosse cresciuto fino a quando, in seguito, non aveva constato come la testa di Jimin si incastrava perfettamente nell'incavo del suo collo. Aveva subito pensato che infine fossero davvero diventati due pezzi che combaciavano alla perfezione e il pensiero era stato così smielato che era arrossito per l'imbarazzo.

Dopo l'inmancabile bacio di buongiorno i due si sedavano a tavola, l'uno accanto all'altro, i gomiti che si sfioravano, e Jungkook divorava quasi due piatti pieni di cibo per la gioia di Jimin che agli inizi della loro storia era stato insicuro sulle sue doti culinarie. Una volta finito i due discutevano su chi avrebbe avuto il privilegio di lavare i piatti, Jungkook insisteva finchè non l'aveva vinta perchè dopo le fatiche di Jimin era solo giusto che fosse lui a mettere a posto la cucina.

Una volta sbrigata la faccenda, Jungkook si faceva una doccia veloce mentre Jimin andava a distendersi sul divano a guardare la TV in attesa del suo ritorno.Jimin infatti non ne voleva sapere di cambiarsi e usciva con i vestiti di Jungkook addosso come se fosse una bandiera di appartenenza.

Fare la spesa era sempre una battaglia tra i due, Jimin insisteva sul fatto di rispettare la lista, mentre Jungkook cercava di infilare ogni sorta di snack nel carrello quando lui non guardava. Il supermercato comunque a differenza di qualche tempo fa era più accogliente.

Quando era giovane, infatti, non c'era stato posto che Jungkook avesse odiato di più del supermercato. Quella che doveva essere un luogo poco interessante, era invece il luogo in cui tutte le differenze venivano sottolineate.

Tuttavia anche se le cose erano migliorate non erano sistemate, e il loro carrello era pieno non solo per l'appetito insaziabile di Jungkook, ma soprattutto perché quest'ultimo si rifiutava di acquistare i pacchi famiglia per principio. All'inizio, Jimin era rimasto perplesso, ma dopo qualche tempo aveva capito il significato di fondo dietro quel gesto. Probabilmente perchè anche a lui era familiare quella sensazione di sentirsi perso davanti a uno scaffale pieno di prodotti e di accorgersi come nemmeno uno di quelli era utile per un numero zero.

Le loro mattinate domenicali, non erano davvero niente di straordinario, tranne il fatto che erano una cosa loro. E quella particolare domenica mattina, come ogni altra domenica mattina, non faceva eccezione aggiungendo con il suo svolgimento prevedibile un ulteriore senso di stabilità alla loro vita. O così entrambi avevano pensato.

Jungkook stava spingendo il carrello verso la cassa, così pieno che sembrava stesse per strabordare da un momento all'altro, mentre Jimin si chiedeva se avessero davvero preso tutto ciò di cui avevano bisogno sotto quella pila di cose inutili.

Jungkook stava sorridendo divertito mentre si mettevano in fila dietro una madre con il suo bambino, che in quel momento era precariamente appeso al carrello, finché il bambino non fissò Jungkook, i suoi grandi occhi curiosi spalancati.

Jungkook vide Jimin sorridere al bambino e agitare la mano nel tentativo di attirare la sua attenzione.

Un tempo Jungkook aveva pensato che la decisione di Jimin di dirigere un centro ricreativo fosse stata semplicemente quella di soddisfare il suo bisogno di intraprendere una carriera vicino al campo artistico senza dover essere sotto i riflettori. Ma, nel corso degli anni, Jungkook, aveva dovuto aggiustare il suo punto di vista e si era reso conto che il maggiore non solo amava insegnare, ma anche prendersi genuinamente cura dei bambini.

Il bambino continuò a guardare Jungkook con grandi occhi contemplativi prima di schiaffeggiarsi la bocca come se fosse stato colpito da un'improvvisa realizzazione. Le sue labbra si allargarono in un sorriso sdentato prima di esclamare.

"Ti conosco. Tu sei famoso! Mamma, è il ballerino zero! "Gridò il bambino tirando sua madre per il polsino del suo cardigan.

All'improvviso Jungkook sentì gli occhi di un sacco di persone atterrare su di loro e vide Jimin che si contorceva a disagio accanto a lui e, così, in pochi secondi e per mano di un bambino innocente, vide la sua normale domenica mattina scivolargli tra le dita.

Eppure Jungkook lo sapeva, ed era sicuro che Jimin fosse d'accordo con lui, che il tempo in cui lasciavano che i loro momenti venissero rubati dalle circostanze del loro mondo avevano da tempo cessato di esistere.

"Sì, sono io," disse lui sorridendo nello stesso momento in cui sentì le dita di Jimin intrecciarsi con le sue.


 

Un mondo di noi
(coming soon)

 





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