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di Shainareth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***





PROLOGO




Quando tieni la mano di un uomo che ti fa battere forte il cuore e ti fa sentire frastornata ed eccitata, allontanati da lui. Non è l'uomo per te.
   Se tieni la mano di un uomo che ti fa sentire confortata e sicura, tienti stretta a lui. È l'uomo che dovresti sposare.


Quelle parole le erano capitate così, fra capo e collo, mentre scorreva svogliatamente gli aggiornamenti di un social network. Marinette non era tipo da perdersi dietro a cose del genere, ma quel post di un’amica di vecchia data non solo aveva attirato la sua attenzione, per di più le si era piantato come un chiodo nel cervello.
   Aveva tenuto la mano di Adrien in più di un’occasione, e ogni volta aveva sentito le farfalle nello stomaco, il cuore battere all’impazzata, un calore diffuso in tutto il corpo e, soprattutto, un offuscamento generale dei sensi – cosa, quest’ultima, che le impediva di ragionare e comportarsi in modo lucido in presenza di lui. Adrien le obnubilava la mente, e questo era un dato di fatto.
   Marinette aveva sempre pensato che fosse dovuto al grande amore provato per lui che, unito alla sua innata timidezza, le impediva di rapportarsi con il giovane in maniera serena e composta. Adesso, tuttavia, le parole che aveva letto quella sera prima di andare a dormire continuavano a ronzarle nella testa, impedendole di prendere sonno. Non che dubitasse dei suoi sentimenti per Adrien, ma le risultava impossibile, al momento, non fare paragoni con le altre coppie che conosceva. Come Ivan e Mylène, per esempio: l’uno sempre molto protettivo nei confronti dell’amata, l’altra ben consapevole di poter trovare conforto e sicurezza fra le sue braccia. E Mylène era forse persino più timida di lei…
   E poi c’erano Alya e Nino.
   Quei due si erano messi insieme quasi per caso, e a dirla tutta Marinette era rimasta parecchio sorpresa da quella notizia. Non perché non augurasse loro ogni bene, quanto perché era venuto fuori che in realtà, fino ad un paio d’ore prima, Nino era stato convinto di essere invaghito di lei e non di Alya. Insomma, dal suo punto di vista era un po’ destabilizzante, come cosa, e Marinette non era del tutto certa che, al posto di Alya, avrebbe accettato di far coppia con Nino rimanendo col dubbio che lui fosse ancora interessato ad un’altra.
   Ormai però quei due stavano insieme da diverso tempo e Nino si era dimostrato un fidanzato amabile, affettuoso e generoso – e no, non soltanto perché a garantirlo era Alya. Il loro rapporto, nato dal caso e fondato su tante incertezze, si era evoluto ed era diventato splendido. Soprattutto, nessuno dei due sembrava subire in modo deleterio la presenza dell’altro: niente balbettii confusi, niente risatine nervose, niente timidezze di alcun genere. Tutte cose che invece Marinette, col senno di poi, aveva notato in Nino quando era convinto di essere innamorato di lei. Tutte cose che invece Marinette aveva notato in se stessa ogni qual volta aveva a che fare con Adrien.
   Davvero era arrivata al punto di paragonare i propri sentimenti per il giovane a quelli che Nino aveva provato per lei tempo addietro? Il suo amore per Adrien, dunque, era altrettanto fragile? Era per questo che, nonostante tutto, aveva subito anche il fascino del fratello di Juleka?
   Avvertendo il cuore in subbuglio e un groviglio di emozioni sul punto di esplodere, le venne da piangere e si portò i palmi delle mani sugli occhi, cercando di reprimere un singhiozzo per non svegliare la piccola Tikki, che sonnecchiava accanto al suo cuscino.












Mi sono disabituata a postare storie e a scrivere le note a fine capitolo, maledizione. Il problema principale è stato la mancanza di tempo: due mesi pieni di impegni e contrattempi che hanno parzialmente ucciso l'ispirazione, che ancora ha alti e bassi, ma pare si stia finalmente riprendendo.
Comincio col dire che condivido appieno la citazione letta da Marinette: io stessa, leggendola alcune settimane fa, ci ho riflettuto su e non ho potuto far altro che apprezzarla. Credo che faccia rimuginare parecchio e penso sia comprensibile che Marinette sia entrata un attimo in crisi, soprattutto se consideriamo l'età delicata in cui si trova.
Non farò pronostici sulla lunghezza di questa nuova long, perché è ancora in alto mare. Difatti sappiate che ho una maledettissima paura di postare questo prologo senza prima aver sviluppato abbastanza la storia, benché io sappia più o meno a grandi linee ciò che accadrà. Sto uscendo dalla mia zona di confort e devo impormi di portare a termine anche questa (e sappiate anche che sono una veterana delle storie lasciate in sospeso, benché con Miraculous finora io mi sia comportata bene).
Pregate per la mia ispirazione e per il mio tempo.
Concludo domandandovi scusa se non ho ancora letto alcune delle vostre storie e se non ho risposto ad alcune delle vostre recensioni, ma sono cose che solitamente faccio quando sono al PC perché dal cellulare mi riesce difficile recensire a dovere o scrivere messaggi in modo corretto. Cercherò di rimediare in questi giorni (a cominciare da sabato, ché domani sarò via tutto il giorno).
Buona serata e grazie a chiunque sia qui a leggere nonostante la mia latitanza.
Shainareth
P.S. Ringrazio di cuore Raffy Chan e Florence per il loro supporto!





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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***





CAPITOLO PRIMO




Alya la fissò con due occhi pieni di stupore. Non avrebbe voluto far pesare la cosa alla sua migliore amica, ma sul serio le riusciva difficile credere a ciò che Marinette le aveva appena chiesto. Per essere più precisi, non era solo la domanda in sé ad averla lasciata basita, quanto il modo e l’espressione con cui lei gliel’aveva posta.
   Approfittando del pomeriggio libero e del bel tempo, le due amiche si erano concesse una passeggiata allo Champ de Mars ed era stato allora che Alya aveva chiesto a Marinette come mai avesse quell’aria mogia e distratta, quel giorno. L’altra aveva temporeggiato nella risposta da darle, ridacchiando nervosamente, ma poi si era di colpo rabbuiata e aveva abbassato lo sguardo, arrestando il passo e costringendola a fare la medesima cosa.
   «Ehi… tutto bene?»
   «Cosa senti quando sei con Nino?»
   Era stata una curiosità dettata da cosa, esattamente? Alya l’aveva guardata esterrefatta e allora lei si era affrettata ad aggiungere: «Scusa, so che può sembrare una domanda scomoda… è solo che… non pensi anche tu che forse…» La voce le era venuta meno, gli occhi le si erano fatti lucidi e la ragazza aveva dovuto mordersi il labbro inferiore per farsi forza prima di continuare. «…forse Adrien non è il ragazzo giusto per me…?»
   A cosa era dovuto quel pessimismo improvviso? Cos’era accaduto per far sì che Marinette si torturasse con un dubbio del genere? Alya le si fece vicina, le passò un braccio attorno alle spalle e le sorrise con tenerezza. «Ti va di sederci e di gustarci un buon gelato, mentre ne parliamo?»
   Non finì di dirlo che Marinette si lasciò sfuggire una lacrima, poi un’altra, mentre con le mani già nascondeva il viso alla sua vista. Alya l’abbracciò, carezzandole affettuosamente la schiena. «Piangi pure, se ne hai bisogno», le sussurrò all’orecchio, certa che la sua amica fosse soltanto confusa e che necessitasse di sfogare in qualche modo. Non l’avrebbe giudicata e questo Marinette lo sapeva. Ecco perché subito si aggrappò a lei e si lasciò andare in singhiozzi silenziosi contro la sua spalla, cercando un conforto che forse soltanto lei poteva darle.

«Quindi… è per questo che sei arrivata alla conclusione che Adrien possa non essere il ragazzo giusto per te?» chiese Alya, leggendo sul cellulare della sua amica la citazione che le aveva tolto il sonno. «In tutta onestà, credo che l’amore sia diverso per ognuno…»
   «Ma se così non fosse?» mugolò Marinette, seduta accanto a lei sulla panchina, le ginocchia al petto e il viso nascosto. «Ricordi cos’è successo l’altra volta, quando io e Adrien ci siamo tenuti per mano durante i provini per il videoclip di Clara Nightingale? Ero tremendamente in imbarazzo. Come sempre, del resto.»
   «Mi pare lo fosse anche Adrien», le fece notare Alya, attenta ai dettagli come al solito. L’altra levò su di lei due occhioni da cucciolo che le fecero scappare una risata. «Forse non te ne sei accorta, ma lo stesso Adrien sembrava andato quasi nel pallone, quel giorno. Ho anche delle riprese che lo testimoniano», le assicurò, restituendole il cellulare per recuperare il proprio e mostrarle le immagini di quel giorno. Alya aveva ragione, si disse Marinette con non poco stupore: guardandole ora, a mente più fredda, non poteva non notare come il giovane si fosse comportato in modo assai simile al suo. Lo imbarazzava prenderla per mano? Anche lui avvertiva le farfalle nello stomaco?
   «Oltretutto», stava continuando Alya, mentre le immagini continuavano a scorrere sotto ai loro occhi, «dopo che si è tolto il costume, è rimasto dietro alla porta del tuo camerino ad aspettarti.»
   Questo Marinette lo ricordava bene. Dopo che Chloé era tornata sul luogo del provino e aveva cercato di mandare tutto a monte ricorrendo all’aiuto di suo padre il sindaco, lei e Adrien erano stati costretti a cambiarsi, togliendosi di dosso i costumi di Ladybug e Chat Noir. Era stata una salvezza – non soltanto per lei, benché Marinette non potesse saperlo – perché questo aveva impedito agli altri di scoprire la vera identità dei supereroi di Parigi; soprattutto aveva tratto d’impaccio i due ragazzi anche da un’altra situazione di chiaro imbarazzo: il doversi esibire fianco a fianco, mano nella mano. E nonostante ciò, Adrien era rimasto appena fuori dal suo camerino mentre lei finiva di cambiarsi, come se avesse avuto qualcosa di importante da dirle, che non potesse essere rimandato in alcun modo. O forse era stata solo la sua immaginazione, fervida come sempre quando si trattava del suo rapporto con lui?
   «Hai notato che quando Adrien è in imbarazzo tende a portarsi una mano…»
   «…dietro alla nuca, sì», completò Marinette per l’amica, gli occhi ancora fissi sulla figura del giovane che vestiva in nero e aveva due graziose orecchie da gatto fra i capelli biondi. Non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma con se stessa stava pian piano cedendo il passo ad una constatazione più che oggettiva: Adrien assomigliava molto a Chat Noir.
   «Ce l’aveva anche mentre ti stava aspettando», le rivelò Alya, non riuscendo ad indovinare il flusso dei suoi pensieri. «È chiaro che tu, mia cara, stia iniziando a piacergli.»
   «Lo credi sul serio?»
   Dal tono della voce, Marinette non le sembrava entusiasta come lei si era aspettata; pertanto la ragazza tornò a sbirciare nella sua direzione, scorgendole sul viso un’espressione tutt’altro che allegra. «La notizia ti lascia così indifferente?» domandò a quel punto, perplessa e anche un po’ spaesata.
   Vide l’amica tornare a nascondere il viso contro le ginocchia con fare sconsolato. «Se anche fosse come dici, e cioè che io stia iniziando a piacergli… il fatto che si imbarazzi in quel modo, proprio come accade a me… non vuol forse dire che non siamo fatti per stare insieme?»
   «Cosa…?»
   «Sì, insomma, non arriveremmo da nessuna parte… Io davanti a lui balbetto, lui davanti a me potrebbe iniziare a fare lo stesso… e a quel punto tutto quello che saremmo in grado di dirci sarebbe un confuso: gna ghe bleh muuu
   Alya trattenne una risata, quasi isterica, e si portò una mano alla fronte, gli occhi rivolti al cielo a testimonianza della tanta pazienza che ci voleva con la scarsa autostima e la tanta insicurezza della sua migliore amica. «Marinette, non è detto che accada.»
   «Tu e Nino avete mai avuto problemi di comunicazione, in quel senso?»
   «Beh… forse per i primi due minuti», fu l’onesta risposta che diede.
   «E avverti anche tu le farfalle nello stomaco?»
   Strinse le labbra e trattenne il fiato, prima di ammettere: «Non mi è mai capitato.»
   «Quindi non ti succede mai di sentirti confusa?»
   «Beh… no. Ma sai, credo dipenda dal carattere…»
   «E il batticuore? Lo hai mai sentito?»
   «Quello sì», le garantì. «Ogni volta che fa o dice qualcosa di dolce.»
   «Ma non quando ti è semplicemente vicino.»
   «Marinette…»
   «Avverti un senso di sicurezza, con lui?»
   «Sì, certo. È normale, no?»
   Anche Marinette era convinta che lo fosse; eppure non le capitava di provare la stessa cosa con Adrien. O meglio, si sentiva bene con lui, certo, ma l’agitazione dovuta alla sua vicinanza era forse maggiore e questo le rendeva difficile sentirsi del tutto a suo agio. Alle volte riusciva a vincere le emozioni e a parlargli in modo naturale, questo lo riconosceva, ma ciò capitava soprattutto quando era troppo presa da altro per concentrarsi sui propri sentimenti e sull’effetto che Adrien aveva su di lei.
   La cosa che la spaesava più di tutto il resto, però, era ben altra.
   «Sai?» ricominciò Alya, interpretando il suo silenzio come uno dei suoi soliti viaggi introspettivi dai risvolti tragicomici. «Sono convinta che tu abbia solo bisogno di trascorrere più tempo con lui. Abituandoti alla sua presenza, sono certa che inizierai a tenere a bada le emozioni e a renderti esattamente conto di come stanno le cose.»
   «Ci ho già provato a chiedergli di uscire, ricordi? Più di una volta, oltretutto. Ed è sempre finita male.»
   «Beh… almeno non ti ha mai detto no.»
   «Certo, ma solo perché non ha avuto il tempo di sentire la mia proposta!» s’infervorò improvvisamente Marinette, tornando a guardare l’amica, le guance rosse per l’imbarazzo e il disappunto. «Sono una causa persa, Alya! Dovrei gettare la spugna!»
   «Hai davvero intenzione di rinunciare al grande amore della tua vita?» stentò a crederci l’altra.
   Era proprio questo, il punto. Marinette tornò ad abbassare lo sguardo. «A quanto pare… Adrien non lo è mai stato.» La voce le si spezzò di nuovo e i suoi occhi tornarono a farsi lucidi per le lacrime trattenute.
   «Marinette…» sospirò Alya, avvertendo tutta la tristezza dell’amica. Le afferrò le guance fra le dita e gliele pizzicò, tirandogliele per costringerla a sorridere. «Di’, vuoi forse diventare preda di una akuma
   Giusto, si riebbe subito la ragazza, sforzandosi di ingoiare tutta la propria frustrazione. Se Papillon l’avesse presa di mira, chi mai avrebbe potuto fermarlo? Sì, certo Chat Noir avrebbe sicuramente fatto la sua parte in modo impeccabile, ma di certo lei gli avrebbe reso le cose difficili.
   «Il fratello di Juleka non c’entra niente, con tutto questo, vero?»
   Quella domanda la riscosse da tutti quei pensieri nefasti e Marinette avvampò. «Certo che no!» le giurò, portandosi una mano al cuore. «È vero, Luka mi piace», ammise per la prima volta con Alya, «ma Adrien è Adrien e…»
   «…e tu continui ad essere innamorata persa di lui, in barba a qualunque frase letta su internet», la interruppe l’altra, posando il polpastrello di un dito contro la fronte di lei e spingendola scherzosamente indietro. Rise per l’espressione che ricevette in cambio di quel gesto e scosse le spalle. «Marinette, fatico davvero a credere quale sia il problema. Di’ la verità, sei sotto ciclo.» Lei aprì la bocca, come se volesse protestare, ma finì col richiuderla quasi di scatto. Alya incrociò le braccia sotto ai seni formosi. «Lo sapevo», concluse, alzando di nuovo gli occhi al cielo, un sorriso soddisfatto sulle labbra.
   Sì, forse stava davvero ingigantendo il tutto, riconobbe Marinette fra sé – maledetti ormoni. Eppure… eppure il vero problema era un altro: non era la confusione dovuta alla vicinanza di Adrien a preoccuparla, quanto il fatto che a trasmetterle sicurezza e protezione era qualcun altro.

Con una semplice torsione del braccio, Chat Noir fece leva sui muscoli delle gambe per sollevare il malvivente e scaraventarlo con forza sulla pila di delinquenti ammucchiati da lui e dalla sua collega, al termine di quello che aveva tutta l’aria di essere stato un tentativo di rapina ad opera di un commando armato. A dare l’allarme era stata una telefonata anonima, nella quale era stato detto che un gruppo di uomini dall’aria sospetta era stato avvistato nei pressi di una strada periferica, proprio lungo il percorso che avrebbe dovuto compiere un furgone portavalori. La polizia era stata cauta nelle sue mosse, permettendo ai due eroi di Parigi di intervenire prima che si arrivasse ad uno scontro a fuoco.
   E mentre Ladybug, le mani sui fianchi, contemplava l’entrata in scena delle forze dell’ordine, pronte finalmente ad ammanettare i malfattori, Chat Noir le si avvicinò con aria dubbiosa. «Credo che dovremmo assumere un avvocato.» Lei gli rivolse un’occhiata stranita e lui spiegò: «Per i nostri diritti d’immagine, intendo. Quei disgraziati portavano in volto delle maschere con le nostre fattezze. Non mi va di essere associato a gentaglia del genere.»
   «Neanche a me», rispose con calma la ragazza, «ma temo che per noi sia impossibile, al momento, assumere un legale. Tanto per cominciare, nessuno conosce la nostra identità.» E poi c’era la questione dell’età anagrafica. Marinette non sapeva quanti anni avesse il suo partner, ma lei era ancora minorenne e dubitava di poter fare qualcosa del genere senza il consenso dei suoi genitori.
   «Ti rendi conto che i nostri volti e i nostri nomi sono dappertutto?» riprese l’altro, allargando le braccia ai lati del corpo per rimarcare il proprio disappunto per l’essere stato associato in qualche modo  ad una banda di criminali. «Pubblicità, action figures, poster, gadget di ogni tipo… Ho scoperto che esistono persino delle fanfiction, su di noi.» Ladybug sgranò gli occhi e lui corrucciò la fronte. «Non ti piacerebbero», borbottò con un vago senso di disagio nello sguardo. «Oltretutto, nella maggior parte di quelle storie, io vengo dipinto come un mandrillone dai lombi infuocati.»
   Marinette non riuscì a trattenere una risata né si curò di nasconderla troppo all’amico, che, piccato, la fissò in tralice, le braccia conserte. «Potrei offendermi, sai?»
   «Scusa, scusa…» annaspò l’altra, pur non riuscendo a contenere il divertimento.
   «Ridi, ridi pure», la provocò Chat Noir, deliziandosi in realtà del suono della sua risata. «Ti assicuro, però, che nella fervida fantasia dei nostri fan la cosa ti rende molto felice.»
   Ladybug s’irrigidì di colpo e, rossa in viso, lo fissò con orrore. «Hai… Hai davvero letto…?»
   Lui scosse le spalle. «No, i particolari li ho saltati a piè pari», bofonchiò con aria visibilmente imbarazzata, gli occhi che rifuggivano quelli della collega.
   Quest’ultima tornò a sorridere, intenerita da quella reazione che smentiva appieno la fantasia dei fan riguardo alla vera natura di Chat Noir. «Se solo sapessero che non sei altro che un gattino fastidioso…» lo prese bonariamente in giro.
   L’altro schioccò la lingua sotto al palato con stizza. «Sono anche molto affascinante», ci tenne a ricordarle per dovere di cronaca. La sentì ridacchiare e si lasciò andare anche lui ad un’espressione divertita, lieto che Ladybug non se la fosse presa per l’opinione che alcuni dei cittadini francesi avevano su di loro. Ad Adrien non piaceva, ma si era convinto che rivelare la faccenda all’altra diretta interessata fosse giusto, così che anche lei prendesse coscienza di quanto, alle volte, la notorietà potesse nuocere alla propria immagine. Quando non portava la maschera ci pensavano i legali di suo padre a tutelare la sua persona, senza contare che aveva soltanto quattordici anni e nessuno che fosse abbastanza intelligente si sarebbe sognato di infangare il suo nome senza rischiare grosso. Per Chat Noir e Ladybug, però, le cose stavano diversamente: nessuno sapeva quale fosse la loro età né quale fosse il loro vero aspetto, e questo stuzzicava non poco la curiosità e la fantasia dei fan.
   «Questo affascinante gattino può avere l’onore di riaccompagnarti a casa?»
   «Mh», ci pensò su Marinette, indecisa sul da farsi. «Ti concedo la mia deliziosa compagnia fino a Place du Châtelet, non di più», stabilì infine, sentendosi particolarmente magnanima, quel giorno.
   Sorpreso da quella grazia insperata, Adrien aprì le labbra in un sorriso abbagliante, gli occhi verdi che brillavano di gioia. «Prima magari potremmo passare per…»
   Ladybug allungò il braccio e posò la punta delle dita sulla sua bocca, impedendogli di proseguire. «Dritti a Place du Châtelet, senza deviazioni. O finiremo per alimentare i pettegolezzi.»
   Non aveva tutti i torti, ragionò l’altro, arrendendosi davanti a quella verità. Sospirò e scrollò le spalle. «Giusto, hai ragione.»
   «Come sempre.»
   «Non ci allarghiamo, my lady…» la smentì in tono paziente, facendola ridere di nuovo. Si esibì in un lezioso inchino e si spostò per cederle il passo. «Dopo di lei, mia signora.»
   «Merci, chaton», rispose lei, avanzando e lanciando il proprio yo-yo in direzione di uno dei tanti comignoli dei palazzi attigui. Chat Noir le fu subito dietro e lei accelerò la corsa sui tetti, dandogli a intendere che avesse voglia di giocare. Quella che avrebbe dovuto essere una semplice passeggiata si trasformò ben presto in un gioioso e infantile acchiapparello, puro e ingenuo, così terribilmente in contrasto con l’opinione che molti avevano dei due supereroi di Parigi che, in realtà, erano poco più che due bambini sulle cui spalle gravavano responsabilità enormi.
   La sfida fu vinta da Ladybug, che arrivò per prima accanto alla fontana al centro della piazza e attirò l’attenzione dei presenti, che subito misero mano al proprio cellulare per riprendere l’inatteso incontro. «I gatti non dovrebbero essere più agili?»
   «Sì», ammise Chat Noir, atterrando di fronte a lei e facendo ritornare il proprio bastone alle sue consuete dimensioni, «ma le coccinelle possono volare.»
   «Credevo ti trovassi a tuo agio sui tetti.»
   «Quando mialogo alla luna, certo», confermò ancora lui, strappandole l’ennesima risata della giornata. Il suo sguardo oltrepassò le spalle dell’amica e si posò sulla villa di suo padre, che con la sua fredda imponenza risaltava alla vista rispetto agli edifici vicini. L’idea di dovervi fare ritorno di lì a poco smorzò il suo entusiasmo e lo indusse di nuovo a spostare la propria attenzione sulla ragazza davanti a lui. Amava stare con lei, amava la sua voce, la sua risata, il suo profumo. «Prima che tu vada via, volevo darti una cosa.»
   Lei lo fissò stupita e lui la prese gentilmente per mano, iniziando a camminare verso il limitare della piazza. «Chat Noir…»
   «Ci vorrà solo un momento, promesso.»
   Marinette non protestò oltre e abbassò lo sguardo sulle dita artigliate che ghermivano le sue, gentilmente, con tenera possessione. Sapendo ciò che Chat Noir provava per lei, avrebbe dovuto preoccuparsene, forse; eppure l’unica cosa che riusciva a comunicarle quella presa era sicurezza. Ancora una volta il suo pensiero tornò alle parole che aveva letto un paio di giorni prima, e ciò la turbò non poco.
   Non ebbe tempo di riflettere oltre, perché il giovane si fermò e quando lei alzò di nuovo gli occhi lo vide parlare con una signora dall’aria familiare. Marinette la conosceva, si trattava della fioraia che gestiva un chioschetto ambulante e che alle volte passava da quelle parti con i suoi vivaci colori ed i meravigliosi profumi. Un attimo dopo, Chat Noir la trascinò di nuovo lontano da lì e infine si fermò, mettendole una margherita bianca sotto al naso. «Per te, buginette.» La ragazza schiuse le labbra ma, incapace di esprimere subito un concetto di senso compiuto, da esse non uscì alcun suono. Ciò autorizzò l’altro a lasciarle andare la mano e a continuare: «La margherita bianca è il simbolo della purezza e della modestia, ma è anche simbolo dell’amore paziente e fedele», le spiegò in tono dolce, mentre spezzava il gambo del fiore.
   «Chat Noir…» Marinette avvertì un tuffo al cuore, come tutte le volte che lui faceva o diceva qualcosa capace di commuoverla. Proprio come succede ad Alya con Nino, si ritrovò a pensare, arrossendo appena.
   «Credo che un po’ di sana gelosia farà bene al tuo innamorato», si sentì dire, inaspettatamente, mentre il giovane infilava lo stelo della margherita alla base di uno dei suoi codini. La voce di Chat Noir era rassegnata e tesa al contempo, segno che era in evidente conflitto con se stesso: se da una parte si augurava solo il bene dell’amata, dall’altro non voleva e non riusciva affatto a rinunciare ai propri sentimenti per lei.
   Quell’onestà, quella dolcezza che lui non si stancava mai di donarle, non poteva più essere a senso unico. Non doveva. «Non…» Marinette si fece coraggio. «Non è il mio innamorato», ammise infine, pur avvertendo una morsa al centro del petto. Vide l’altro mutare espressione e, abbassando lo sguardo con aria vergognosa, fu costretta ad andare fino in fondo. «L’unica ad esserlo, fra i due, sono io. Lui mi considera soltanto una buona amica.»
   Fu come una secchiata d’acqua gelida, ma Adrien non seppe dire se fosse stata del tutto spiacevole. Se da un lato non poteva che provare fin troppa empatia nei confronti della collega, relegata come lui al semplice, odioso ruolo di amico, dall’altro il suo amor proprio gli faceva presente che la speranza di veder realizzato il suo sogno romantico era tutt’altro che sepolta.
   Prese fiato e domandò: «Che problemi ha, quel tipo?» Ladybug tornò ad alzare di scatto lo sguardo su di lui, che ora aveva inalberato un’espressione assai contrariata. «Forse dovrei essere contento che lui sia così… cieco, ma la tua felicità è più importante e io…» Lei sorrise con affetto, commossa ancora una volta dalla purezza dei suoi sentimenti. Chat Noir tacque per un attimo, cercando di dominare le emozioni; quando ci riuscì, tornò a parlare: «Scusa, è solo che… non mi capacito del fatto che ti abbia rifiutata.»
   «Non l’ha mai fatto.» E allo sguardo interrogativo di lui, Marinette si strinse nelle spalle. «Non ho mai avuto il coraggio di dichiararmi», spiegò. «Anche se… credevo l’avesse ormai capito, visti tutti i miei tentativi di approccio», confessò con un filo di voce.
   «Mettigli sotto al naso il regalo che ti ho fatto, magari si sveglierà e sarà roso dal tarlo della gelosia per davvero», si sentì consigliare di cuore.
   «Dubito accadrà», fu la sincera risposta che diede al compagno di battaglia, reprimendo l’impulso di abbracciarlo.
   «Beh, allora digli ciò che provi», insistette Adrien, certo che se solo quell’idiota che le aveva rubato il cuore fosse stato a conoscenza di cosa rischiava di perdere, avrebbe cambiato subito idea. Era ben consapevole di darsi la zappa sui piedi, però…
   «Non credo di avere molte speranze, al momento.»
   Cos’era tutto quel pessimismo? Dov’era finita la Ladybug sempre positiva che tanto amava? Possibile che quel tipo avesse tanto potere su di lei? Sul serio, non poteva sopportare di vederla in quello stato.
   «Se dovesse deluderti e tu dovessi avere bisogno di una spalla su cui piangere, ricordati che questo mandrillone sarà sempre pronto a consolarti», si sentì in diritto di dirle, fra il serio ed il faceto. Ottenne l’effetto desiderato, perché la ragazza scoppiò a ridere e i suoi occhi tornarono a splendere. Adrien avvertì tutto il peso che l’umore di lei aveva sul suo, di cuore, e si rese conto di quanto entrambi fossero nei guai fino al collo: prigionieri di un amore che non aveva vie d’uscita.
   «Grazie, Chat Noir», mormorò Ladybug, guardandolo da sotto in su con riconoscenza.
   «Sempre al tuo servizio, my lady», giurò lui, tornando ad inchinarsi ancora una volta al suo cospetto.












Anzitutto voglio ringraziare tutti voi dal più profondo del cuore per la comprensione ed il sostegno: siete meravigliosi. Non mi aspettavo tanto affetto, mi sono letteralmente sciolta. ♥
In secondo luogo, ci tengo a tranquillizzarvi: sono riuscita ad approfittare di questa settimana di ferie per scrivere e ho pronti i primi cinque capitoli. In più, ho un quadro più chiaro di questa storia e non vedo l'ora di proseguire con la scrittura.
Di contro, da lunedì tornerò al lavoro e mi hanno già comunicato che dovrò sostituire una collega per le ferie, indi per cui ciò avrò meno occasioni per scrivere. Ragion per cui, eccezion fatta per oggi, mi prenderò la libertà di far passare un maggior lasso di tempo fra un aggiornamento e l'altro, e per questo vi chiedo scusa. Ma penso che sarebbe peggio se io postassi un capitolo a settimana e poi, di punto in bianco, mi ritrovassi senza aggiornamenti e vi lasciassi aspettare chissà quanto per avere altro da leggere. Preferisco dare comunque una cadenza regolare all'uscita dei capitoli, così da andare avanti con la scrittura con tutto comodo. Questo anche perché anche un semplice aggiornamento porta via del tempo, tra revisione del capitolo e inserimento del codice html. Spero dunque che sarete d'accordo con me se posterò i prossimi capitoli con una cadenza quindicinale, più o meno.
Prima di concludere, ci tengo a rispondere a chiunque mi abbia posto la domanda: chiedo venia a tutte/i le/i fan di Luka, ma al momento questa storia non prevede la sua presenza per due motivi. Il primo, perché è un personaggio che conosco troppo poco, essendo apparso in un solo episodio, e per questa ragione non mi sembra il caso di inserirlo in una fanfiction, magari col rischio di snaturarne il carattere; il secondo, perché il mio obiettivo principale è un altro e credo si sia capito già sul finire di questo primo capitolo.
Detto ciò, vi ringrazio ancora per il vostro interesse per questa storia; dal canto mio, mi impegnerò per non deludere le vostre aspettative.
Un abbraccio a tutti e buon fine settimana! ♥
Shainareth





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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***





CAPITOLO SECONDO




Seduta alla scrivania, un gomito posato sul ripiano e la mano a sorreggerle la mascella, Marinette si rigirò lo stelo del fiore fra le dita sottili. Era molto semplice, proprio come l’amore che ancora una volta Chat Noir le aveva offerto: un sentimento genuino, pulito, tenero e sincero. Se solo lei avesse potuto ricambiare… Gli era molto affezionata, gli voleva un bene dell’anima e senza dubbio Chat Noir era un amico prezioso e insostituibile. Marinette non riusciva neanche a concepire di proseguire nella lotta contro Papillon senza di lui. E sebbene non sapesse come si chiamasse, quanti anni avesse o quale fosse il suo vero aspetto, il giovane era la persona di cui lei si fidava di più in assoluto. A volte, oltretutto, Marinette aveva la sensazione di conoscerlo meglio di quanto conoscesse Adrien, il suo grande amore, e viceversa. Questo perché in presenza del suo collega di battaglia era libera dal feroce batticuore che le impediva di ragionare con fare lucido, pertanto con lui poteva essere se stessa in piena libertà, facendo sfoggio di pregi e difetti senza la minima preoccupazione. Proprio per questo, nonostante ci avesse messo un po’ a comprenderli, la ragazza credeva nella sincerità dei sentimenti di Chat Noir e li portava a sua volta nel cuore, avvertendo a volte le sue stesse sofferenze. Vivevano una situazione assai simile, due innamorati non corrisposti, con l’unica differenza che Adrien era all’oscuro di essere oggetto dei sogni romantici di una delle sue migliori amiche.
   «È davvero un tesoro», commentò Tikki, sentendola sospirare per l’ennesima volta. Marinette fece scivolare lo sguardo su di lei, ancora impegnata a sgranocchiare il biscotto con cui stava ricaricando le energie dopo la trasformazione. «Seguirai il suo consiglio e ti dichiarerai ad Adrien?»
   La ragazza fece una piccola smorfia. «Mi piacerebbe molto. Se solo non mi comportassi sempre in modo goffo ogni volta che provo a farlo…»
   «Beh, puoi almeno cercare di passare del tempo insieme a lui…»
   «Facile a dirsi…»
   «Allora che farai?» domandò il kwami, decisa a darle una scossa. «Lo farai davvero ingelosire con quella margherita?»
   Marinette sporse in fuori il labbro inferiore, assumendo un’espressione a metà fra l’imbronciato e lo scoraggiato. «Come se potesse davvero servire a qualcosa…» borbottò di malavoglia. «Ad ogni modo, no, non voglio correre il rischio di rovinare il regalo di Chat Noir», aggiunse poi, recuperando un po’ di vivacità e dandosi una spinta per rimettersi in piedi.
   Tikki seguì i suoi movimenti con lo sguardo e sulle sue piccole labbra sporche di briciole si disegnò un lieve sorriso. Sapeva già come sarebbe andata a finire: checché ne dicesse, Marinette teneva a Chat Noir quanto teneva ad Adrien, anche se in modo diverso. Sarebbe bastata una semplice parola da parte sua per farle capire che la felicità era a portata di mano, eppure il suo ruolo vincolava il kwami al silenzio riguardo all’identità celata dalla maschera del supereroe di Parigi. «Ricorrerai allo stesso metodo che hai usato per la rosa?»
   «Sarebbe un peccato non farlo», rispose Marinette, quasi volesse giustificare il proprio operato, mentre saliva le scale e sistemava la margherita in un barattolino che aveva riempito d’acqua. Mise quest’ultimo sugli scaffali dietro alla testiera del letto, proprio accanto alla rosa che Chat Noir le aveva regalato qualche tempo prima e che ancora sembrava fresca e perfetta. Non avendo avuto cuore di rinunciare a quel dono fatto con amore, la ragazza si era ingegnata per conservare il fiore il più a lungo possibile, immortalandolo nella cera. «Domani andrò a comprare delle candele nuove», ragionò fra sé, ammirando la meraviglia di quei petali scarlatti e pieni di passione e paragonandoli a quelli candidi e puliti della margherita che aveva ricevuto quel pomeriggio. L’amore che Chat Noir provava per lei aveva molteplici sfaccettature, che andavano dal desiderio più ardente alla tenerezza più sincera. Proprio come quello che lei provava per Adrien. Marinette, però, era certa di non avere la sua stessa forza d’animo e per questo ammirava non poco la lealtà con cui il giovane mascherato era capace di mettere da parte i propri sentimenti per lei pur di incoraggiarla e di farla sorridere.

«Quei sorrisi mi inquietano», commentò Alya, fermandosi e portandosi un pugno sull’anca mentre prendeva a scrutare ora Nino ora Adrien, rei di essersi frapposti tra loro e l’uscita dell’aula. «Cos’è che vi frulla per la testa?»
   «Max e Kim stanno organizzando un torneo di Ultimate Mecha Strike, questo pomeriggio», spiegò allora Nino con voce suadente, certo che la cosa potesse tentare le due ragazze, accanite giocatrici quanto loro.
   «Chi partecipa?»
   «Beh, loro due, noi due e Alix», cominciò a contare il giovane con l’ausilio delle dita.
   «Siete dispari», osservò Marinette, già intuendo dove volessero andare a parare. «Con me e Alya la situazione non cambierebbe.»
   «In realtà siamo in sei», la corresse Adrien, lieto che lei fosse già arrivata al punto. «Ho appena chiesto ad un amico e ha accettato più che volentieri.»
   «E non vi spaventa l’idea di perdere contro una delle finaliste del torneo scolastico?» li prese in giro Alya, facendo cenno col capo in direzione dell’amica.
   «È un rischio che siamo disposti a correre», rispose Nino, scuotendo le spalle. «Senza contare che Adrien ci è già abituato, a perdere contro di lei.»
   «Grazie, sentivo davvero il bisogno di una bella scossa alla mia autostima…» rise sportivamente l’altro, strizzando l’occhio a Marinette, che arrossì e sorrise a sua volta.
   Osservando quella scena, Alya non poté che cedere davanti alla tenerezza con cui si guardavano quei due sciocchi. «E va bene», sospirò, alzando le mani in segno di resa. «Io ci sto. Ma sappiate che vi daremo del filo da torcere e non faremo alcun favoritismo», ci tenne poi a sottolineare, intrecciando le braccia al petto.
   «Non me ne aspettavo, tranquilla. Non da te», fu la sincera e rassegnata risposta che le diede Nino, facendo ridere gli altri due.
   Di lì a poco vennero raggiunti da Alix, Kim e Max, e tra uno scherzo ed un insulto affettuoso, si avviarono tutti e sette verso l’uscita della scuola. Adrien disse loro che il suo amico li aspettava poco lontano da lì, a Place des Vosges, e Marinette non poté fare a meno di chiedersi che tipo fosse. Dopotutto Adrien aveva sempre vissuto in completo isolamento fino ad una manciata di mesi prima, quando, forse scosso dalla scomparsa di sua madre, si era impuntato con suo padre di frequentare la scuola come tutti gli altri ragazzi della loro età. L’unica amica che aveva avuto prima di quel momento, le aveva raccontato una volta, era stata Chloé Bourgeois, viziata figlia del sindaco e loro  prepotente compagna di classe – non troppo simpatica ai più. Era dunque una novità, per lei, che Adrien avesse un amico al di fuori dell’ambiente scolastico, ma era felice di sapere che finalmente anche lui potesse vivere le sue esperienze come tutti loro.
   «Eccolo lì», lo sentì dire alcuni minuti dopo, quando scorsero in lontananza un ragazzo alto e snello, dalla chioma ondulata e dai grandi occhi scuri. Marinette lo riconobbe al volo: era la stessa persona che aveva rincorso lei e Adrien per tutta la città quando era da poco stato mandato in onda il nuovo spot pubblicitario griffato Agreste. Adrien era il testimonial di quel profumo, che portava anche il suo nome, e subito aveva attirato l’attenzione di molti, allargando così la sua cerchia di fan non più soltanto alle ragazzine della sua età, ma anche agli adulti e al pubblico maschile in generale. Marinette non avrebbe mai immaginato che quei due, alla fine, fossero diventati buoni amici, ma d’altra parte Adrien non aveva fatto mistero neanche con lei di gradire l’interesse dei fan – di cui la ragazza, con suo sommo scorno, era ormai pubblicamente la portabandiera.
   «Adrien!» esclamò Wayhem, saltando su non appena lo vide arrivare. Subito gli corse incontro e sembrò trattenersi dall’abbracciarlo, limitandosi quindi ad una sentita stretta di mano. «Non sai che sorpresa ricevere la tua email! Come avrei potuto dirti di no?!»
   «Sono felice che tu abbia accettato», rispose Adrien, vagamente divertito dal suo solito entusiasmo, mentre si voltava verso gli altri con l’intento di presentarglieli. «Marinette la conosci già», iniziò allora, ignorando quel piccolo dettaglio che l’altro invece ricordava piuttosto bene.
   «Certo, la tua ragazza», lo interruppe infatti, con un enorme sorriso dipinto in volto.
   Marinette avvampò e si fece piccola piccola accanto ad Adrien, che pure arrossì e si portò una mano sulla nuca. «A dire il vero…»
   «Ah, state insieme?» si stupì con fare genuino Kim, il cui tono sorpreso coprì quello timido del compagno di classe. «Era anche ora», aggiunse poi, tutto contento per loro.
   Max aprì la borsa dei libri, lasciando uscire Markov, il suo piccolo amico robot. «Eppure ci eravamo convinti che non sarebbe successo prima dell’ultimo anno…»
   «Dovremo rivedere i nostri calcoli», rispose quello, con la sua voce distorta.
   Alya si concesse una risata. «Ci avete davvero fatto su un’equazione?»
   «In realtà è un calcolo un po’ più complesso», rispose Max, sollevandosi gli occhiali sul naso con l’ausilio del dito medio. «Se vuoi te lo spiego.»
   «Mmh, grazie ma no, grazie», replicò l’altra, spostando lo sguardo su Marinette, che ormai era diventata vermiglia e sembrava non sapere dove nascondere la faccia.
   Il lieve rumore di uno scoppio nell’attimo di silenzio che seguì attirò l’attenzione di tutti su Alix, che aveva le labbra sporche di gomma da masticare, come se avesse appena soffiato un palloncino. «Non stanno insieme», disse spiccia, stufa di quelle chiacchiere inutili. «Se li faceste parlare, magari ve lo spiegherebbero anche.»
   «Ehm… Grazie, Alix», balbettò Adrien, mentre finalmente Marinette recuperava la facoltà di respirare. Il giovane allora tornò a rivolgersi a Wayhem. «L’altra volta io e Marinette ci eravamo incontrati per caso e, senza volerlo, l’ho coinvolta nella mia fuga dai fan… che però hanno travisato la situazione.»
   La ragazza sbirciò nella sua direzione, sentendosi sollevata dal fatto che, almeno per quella volta, Adrien avesse evitato di etichettarla come semplice amica. Da qualche tempo, in effetti, anche lei aveva notato che il giovane aveva cominciato a trattarla in modo diverso, con più affetto, e a prendersi maggiori confidenze nei suoi confronti. La cosa, manco a dirlo, non le dispiaceva neanche un po’; e ora che ci rifletteva su a mente più serena, poteva affermare con certezza che non erano poche le occasioni in cui loro due avevano avuto a che fare l’uno con l’altra senza che batticuori e timidezze di sorta potessero mettersi di mezzo. Certo Marinette era consapevole che la strada da fare era ancora lunga, ma se Adrien si mostrava sempre più ben disposto nei suoi riguardi, le sue speranze non potevano far altro che crescere. Ripensò alla margherita che le aveva regalato Chat Noir: sapere che lei aveva uno spasimante tanto appassionato, avrebbe davvero potuto accendere in Adrien un minimo di fastidio? Con Nathaniel non ha funzionato, pensò fra sé la ragazza, tornando ad abbassare le ciglia sul viso. Certo quell’episodio risaliva ormai a diversi mesi prima, quando il loro rapporto era ancora in boccio, e forse le cose adesso sarebbero potute essere diverse. Ciò nonostante, Marinette non era tipo da coinvolgere altre persone in quella faccenda, magari rischiando di prendere in giro o far del male a qualcuna di loro. Non sarebbe stato giusto.
   «Oh», mormorò Wayhem, destando di nuovo la sua attenzione e spostando lo sguardo dall’uno all’altra e viceversa. «Peccato», aggiunse subito dopo. «Fareste una bella coppia.»
   Adrien s’irrigidì di nuovo, ma non perse il sorriso gentile che lo contraddistingueva, mentre Marinette tornò ad arrossire e a rimanere muta come una tomba. Fu Nino a salvarli dall’imbarazzo che era calato ancora una volta su di loro, tirando il cellulare fuori dalla tasca dei jeans ed esclamando: «Cavoli, si sta facendo tardi! Vogliamo andare?»

Finite le presentazioni, si riunirono tutti a casa di Max, che subito fece sfoggio di una postazione per i videogiochi davvero invidiabile. Fu dopo l’ennesima serie di scherzi e amichevoli prese in giro che iniziarono a fare sul serio, sorteggiando a caso gli incontri per mezzo di un programma ideato dal padrone di casa. Quando il secondo scontro del torneo annunciò la sfida fra Adrien e Marinette, tra sei degli otto ragazzi si levarono alcune esclamazioni di sollievo che nessuno si curò di nascondere.
   «A quanto pare la cosa vi rallegra…» constatò Adrien, con aria corrucciata e spavalda al contempo.
   Marinette incrociò le braccia al petto. «Per forza. Con uno di noi due fuori dai giochi, avranno una chance in più di vincere.»
   «Ci biasimate?» ribatté ridendo Nino, facendosi portavoce degli altri.
   «Sono davvero così bravi?» s’interessò di sapere Wayhem, rivolgendosi a Kim.
   Questi scosse le spalle con rassegnazione. «Sono stati scelti come finalisti per il torneo che si è svolto qualche mese fa… quindi sì, direi che sono i migliori di tutta la scuola.»
   L’altro aggrottò le folte sopracciglia scure. «Però non ricordo affatto che Adrien abbia partecipato a quel torneo… Voglio dire, se così fosse stato, di certo lo avrei saputo», ragionò fra sé, indispettito che gli fosse sfuggito quell’aneddoto del suo idolo.
   «Ha ceduto il suo posto a Max», gli fu spiegato sottovoce, affinché nessuno urtasse la sensibilità di quest’ultimo. «Che è un altro osso duro, comunque.»
   «Questa volta non ti lascerò vincere tanto facilmente», stava dicendo intanto Adrien alla propria avversaria, mentre entrambi prendevano posto davanti alla consolle.
   Lei si lasciò andare ad una risata beffarda. «Per favore… sappiamo tutti e due come andrà a finire.» Alya inarcò le sopracciglia: da quando Marinette si comportava in maniera tanto confidenziale con Adrien, arrivando persino a rispondergli a tono? Aveva davvero un bel coraggio, quella sciocca, a dire che non era capace di rapportarsi con lui. Tanto più che il giovane sembrava divertirsi un mondo per quella loro sfida personale.
   «Dimentichi che ora il tuo portafortuna ce l’ho io», replicò Adrien, mostrandole quello che non troppo tempo prima aveva ribattezzato Lucky Charm di Marinette.
   La ragazza non tardò a rispondere, esibendo a sua volta quello che lui le aveva regalato per il suo compleanno. «Sì, ma ora io ne ho un altro: il Lucky Charm di Adrien
   Kim assottigliò le labbra, perplesso da quanto stava avvenendo sotto ai suoi occhi. «Si sono pure scambiati un pegno…?»
   «Sul serio non stanno insieme?» tornò a chiedere Wayhem, confuso quanto lui.
   La loro attenzione fu di nuovo attirata dalle voci dei due, che si scambiavano distrattamente battute a raffica mentre si preparavano al duello che cominciò poco dopo. Adrien partì alla grande, ma Marinette fu lesta a recuperare e a prendere il sopravvento, quasi come se avesse voluto dargli un vantaggio iniziale. Dalle espressioni dei due, che affrontavano la partita con stati d’animo assai differenti – competitivo Adrien e rilassato Marinette – era piuttosto chiaro a tutti quale sarebbe stato l’esito dello scontro. Se non che, nella foga con cui premeva i tasti del controller, il giovane non si accorse di muovere anche il resto del corpo, finendo con l’avvicinarsi all’avversaria e, ciliegina sulla torta, a toccarle la gamba con la propria. Fu un attimo e Marinette perse immediatamente il controllo delle emozioni, tenute a bada in modo magistrale fino a quel momento: quel contatto intimo non solo contribuì a distrarla, per di più mandò in tilt il suo sistema ormonale e cerebrale, finendo immancabilmente per farle perdere l’incontro in modo clamoroso.
   «Te l’avevo detto che questa volta avrei vinto!» esclamò il giovane, non nascondendo un sorriso carico d’entusiasmo. Si volse a guardare Marinette e la trovò rossa in volto, con il controller tenuto mollemente fra le mani. Il suo sorriso si smorzò. «Tutto bene?» E non ricevendo risposta la colpì piano al gomito con il proprio. «Marinette?»
   Lei sobbalzò, rischiando di far cadere il controller e recuperandolo solo all’ultimo secondo. «Eh…?!» balbettò, tornando finalmente in sé. «Sì, sì… bene tutto. Cioè tutto bene!» Si rese conto solo allora di aver perso lo scontro e ridacchiò nervosamente. «Oh, alla fine mi hai battuta davvero… ah ah… beh, pazienza… si vede che il Lucky Charm di Marinette è più efficacie di quello di Adrien.»
   «Non sminuire i miei meriti», protestò l’altro, fingendosi oltraggiato. «Forse sono solo diventato più bravo di te», la provocò.
   «Sì, giusto… può darsi», farfugliò Marinette, portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio e posando il controller per paura di farlo cadere per davvero.
   «Ora tocca a me e Alix!» li interruppe Max, troppo preso dal torneo per rendersi conto di quanto stava succedendo fra quei due. E mentre Adrien gli lasciava il posto, Marinette si alzava per cedere il proprio alla sua amica, che però, passandole accanto, non poté fare a meno di scrutarla con aria perplessa.
   «Adrien, sei stato fantastico!» cinguettò Wayhem, quasi saltellando sul posto per la contentezza di sapere che forse avrebbe avuto l’opportunità di affrontare il suo idolo nel corso del torneo.
   Nino porse il pugno al proprio compagno di banco, che subito gli diede il proprio. «Sai, non so quanto la tua vittoria sia stata onesta», buttò lì, tra il serio ed il faceto.
   Adrien batté le palpebre, confuso. «Perché?» E sentendosi osservato, si volse verso Kim, che lo stavo guardando con quella che gli parve disapprovazione. «Che ho fatto…?» domandò a quel punto il ragazzo, non riuscendo a capire cosa fosse accaduto. L’altro fece cenno con il capo alle sue spalle, dove Marinette e la sua migliore amica, in un angolo appartato della camera, stavano farfugliando freneticamente qualcosa che loro non riuscivano a sentire.
   «Stavi andando così bene, accidenti a te!» Alya davvero stentava a credere a quello che era appena successo. «Me l’hai detto tu stessa che l’altro giorno Adrien ti ha persino passato un braccio attorno alle spalle… e ora vai in confusione solo perché ti ha toccato il ginocchio?!»
   «Lo so! Lo so!» gemette Marinette, prendendosi la testa fra le mani con fare scoraggiato. «Sono un caso disperato! Non ce la farò mai!»
   Intuendo – erroneamente – dalla sua mimica il succo del discorso, Adrien subito se ne dispiacque. «Cavolo… non pensavo se la prendesse così…» rifletté a mezza voce. Kim fu tentato di dargli uno scapaccione a tradimento, ma Nino fu lesto a frapporsi tra loro. «Vado a parlarle», decise Adrien, dirigendosi verso l’avversaria appena sconfitta. «Marinette?»
   Lei sussultò goffamente, lanciando un verso stridulo e sgraziato mentre Alya si portava una mano alla fronte con aria sofferta. «A-Adrien?» balbettò Marinette, riuscendo a recuperare una postura più o meno decente.
   «Spero tu non te la sia presa…»
   Vedendola giù di morale, era andato a parlare perché si era preoccupato per lei? Diamine, Adrien! Non puoi essere sempre così dolce! Finirò per innamorarmi di te sempre di più! Marinette abbozzò un sorriso, cercando di calmare i battiti del cuore. «No, no…» iniziò a rispondere, prendendosi il tempo necessario per evitare di lasciar trasparire il tremore della voce. «Figurati se posso prendermela con te per una sciocchezza del genere…»
   Adrien si risollevò sentendola parlare in quel modo, tanto più che gli occhi di lei sembravano sinceri e più splendenti che mai. Senza che potesse sospettarlo, anche i suoi iniziarono a brillare mentre la guardava, ma l’unica ad accorgersene fu Alya. «Un giorno di questi posso concederti la rivincita, se vuoi», aggiunse, seriamente felice di aver trovato un motivo in più per passare del tempo con Marinette.
   Quest’ultima si portò una mano al petto, quasi volesse tenere a freno quel cuore lanciato a briglia sciolta verso l’ennesimo viaggio pindarico, e spacciò quel gesto come un voler additare se stessa con aria baldanzosa. «Mi dispiace deludere le tue speranze, ma oggi hai vinto solo perché mi sono distratta.»
   Adrien si esibì in un sorriso sfacciato tutto per lei. «Sì, ti piacerebbe.»
   Alya roteò le pupille al soffitto, domandandosi quale dei due sarebbe stato più opportuno prendere a sberle – e a giudicare dal grugno di Kim, la risposta era fin troppo ovvia.

Quasi non fece in tempo a posare i piedi sul pavimento in ardesia del terrazzo su cui l’aveva lasciata Chat Noir circa un’ora prima, che subito la sua trasformazione si sciolse. Con un enorme sospiro di sollievo, Marinette aprì la borsetta che portava a tracolla e ne tirò fuori un biscotto, che subito porse alla piccola Tikki. «Ce la siamo cavata anche questa volta, eh?»
   «È stata davvero una fortuna trovarsi nello stesso quartiere in cui è avvenuta l’akumizzazione di quella donna», constatò l’altra, posandosi sulla spalla della ragazza e iniziando a sgranocchiare il dolcetto.
   «La vera fortuna è stata trovare anche Chat Noir a due passi da lì», ribatté la ragazza, sedendo a terra e poggiando la schiena contro il parapetto che delimitava la terrazza. Era uscita per fare una semplice commissione e sulla strada del ritorno uno dei supercattivi di Papillon aveva deciso di portare il caos in città. Marinette stava cercando un posto appartato in cui effettuare la trasformazione in Ladybug quando Chat Noir, piombato dal cielo come un cavaliere senza macchia e senza paura, l’aveva afferrata per la vita e l’aveva portata via da lì in un lampo, senza quasi darle il tempo di capire cosa stesse accadendo. Solo quando l’aveva lasciata andare su quella terrazza deserta le aveva dedicato un sorriso, una battuta di spirito ed una strizzatina d’occhio prima di fuggire di nuovo, questa volta in direzione dell’akumizzato, per risolvere la situazione insieme alla sua collega.
   Lieta che lui le avesse dato l’opportunità di trasformarsi senza attirare l’attenzione, Marinette si era allora lanciata sulla sua scia, la maschera in volto a nascondere le sue fattezze, e gli aveva dato man forte nel riportare la normalità a Parigi, salvando la vittima di Papillon e tutti quei poveri cittadini che avevano avuto la sfortuna di trovarsi sulla sua strada. Dopo di che, salutato Chat Noir, Ladybug era scappata di nuovo verso la terrazza per poter tornare ad essere semplicemente Marinette. Anche il giovane aveva dovuto far ricorso al proprio potere speciale, e al termine della battaglia aveva dovuto prendere una direzione diversa dalla sua per non correre il rischio di trasformarsi davanti a lei. Sarebbe occorso del tempo prima che il suo kwami recuperasse le energie per consentirgli di tornare nei panni di Chat Noir, pertanto Tikki e Marinette potevano concedersi tutto il tempo per rilassarsi prima che lui si facesse di nuovo vivo per portarle giù da lì.
   «Se non fosse intervenuto, sarei stata costretta a trasformarmi in Ladybug davanti a tutti. Gli devo un favore, anche se lui non lo sospetta neanche.»
   «Non è la prima volta che ti porta in salvo come Marinette», le ricordò Tikki.
   Lei sorrise, grata per la presenza del suo fido alleato. «No, è vero», si limitò a darle ragione, senza esternare anche il resto dei propri pensieri. Da quando lei e Chat Noir si erano confidati l’un l’altra le rispettive pene d’amore, il loro rapporto aveva subito una piacevole sterzata verso una parvenza di amicizia anche quando lei era nei suoi abiti civili. Ed era stato proprio grazie a questo che Marinette aveva avuto modo di scoprire che, sotto quella patina di spavalderia e battute di dubbio gusto, si nascondeva un animo puro e gentile, un cuore fragile e innamorato quanto il suo. Era stato allora che la sua fiducia ed il suo affetto per il giovane collega avevano avuto un’impennata che aveva sconvolto lei stessa, lasciandola stordita al punto da non essersi resa conto di aver subito in qualche modo il suo fascino. A testimoniarlo, nella sua camera, c’erano quei due fiori che lui le aveva regalato e che ancora conservavano la loro bellezza.
   Qualche minuto più tardi, la conversazione fra le due amiche fu interrotta bruscamente da Tikki, che tacque di colpo e corse a nascondersi nella borsetta di Marinette. Quest’ultima, intuendo cosa stesse accadendo, tornò ad alzarsi in piedi e si guardò attorno, alla ricerca dell’eroe che stava tornando lì per accertarsi che stesse bene. Chat Noir si palesò a lei quasi all’improvviso, sorprendendola per l’ennesima volta, sulle labbra un sorriso vispo tutto per lei. «Problema risolto», spiegò con fare spiccio, balzando giù dal parapetto sul quale si era appollaiato per parlarle faccia a faccia. «Nessun akumizzato ti darà più fastidio.»
   «Ehi, questa volta non cercava me», si risentì Marinette, braccia conserte.
   Le ampie spalle di lui furono scosse da una leggera risata. «No, ma visti i precedenti… non si sa mai.» Chat Noir la vide fare una smorfia contrariata, ma fu lieto di non sentirla ribattere, segno che la ragazza era capace di prendersi le proprie responsabilità. Non che lui ne avesse mai dubitato: anche a scuola, quando sbagliava, Marinette aveva dimostrato più volte di saper chiedere scusa non appena si rendeva conto di essere in torto. «Non credere che un bel faccino imbronciato basti a farmi desistere dalle critiche.»
   «Ah-ah», si finse offesa lei, benché fosse consapevole che Chat Noir dicesse la verità. Uno dei suoi maggiori pregi, in effetti, era quello di non lasciarsi accecare dai propri sentimenti per Ladybug, dimostrando più volte di essere in disaccordo con lei o di non condividere appieno il suo modo di agire. Era persino capitato che si arrabbiasse sul serio e le tenesse il muso, accusandola di essere scorretta a tenergli nascoste delle informazioni preziose. Marinette davvero non aveva potuto dargli torto, per questo si era sentita sollevata quando il maestro Fu le aveva comunicato di aver incontrato anche l’alter ego di Chat Noir e di averlo istruito riguardo a tutta la faccenda dei miraculous. «E toglimi una curiosità», lo provocò la ragazza stando allo scherzo, un sorriso divertito in volto, «lo dici anche alla tua Ladybug?»
   Chat Noir alzò gli occhi felini verso il cielo con aria scoraggiata. «Non apriamo questo discorso, sono davvero a terra.»
   Subito Marinette tornò seria. «Che è successo?» non poté fare a meno di domandare, temendo di aver fatto qualcosa di male senza rendersene conto.
   «In realtà niente di nuovo», sospirò l’altro, stringendosi nelle spalle. «Me lo aveva già detto che è interessata a qualcun altro. Solo… mi fa rabbia pensare che anche lei viva un amore a senso unico. La farà soffrire.»
   Quelle parole e il modo sentito con cui lui le pronunciò, ebbero il potere di stringerle il cuore e Marinette si morse l’interno della bocca, tornando con la memoria a quanto era accaduto alcuni giorni prima, quando lui le aveva regalato la margherita e le aveva persino dato dei consigli per conquistare il ragazzo che le piaceva. Era stata crudele a dirgli la verità? No, Chat Noir meritava di sapere ogni cosa, illuderlo sarebbe stato molto peggio. «Magari… lui un giorno si accorgerà di lei…» mormorò quasi fra sé, non riuscendo a non sperare che accadesse davvero.
   «O lei di me…» fu invece il desiderio sofferto che soffiò il giovane, in un disperato impeto di amor proprio. Di nuovo Marinette si sentì male per lui: per quanto gli volesse bene, per quanto tenesse alla sua amicizia, l’amore che provava per Adrien era decisamente più forte. Avrebbe voluto che Chat Noir gettasse la spugna, odiava vederlo in quelle condizioni a causa sua; tuttavia, sapeva bene che non sarebbe stato facile: lei stessa non riusciva in alcun modo a rinunciare ai suoi sentimenti per Adrien, che pure non aveva per lei il minimo interesse di tipo romantico.
   «L’unica soddisfazione che mi ha dato… neanche me la ricordo…»
   Come risvegliata da un sogno ad occhi aperti, batté le lunghe ciglia scure più volte, cercando di capire a cosa si riferisse Chat Noir. Non ci riuscì. «Di che parli?»
   Lo vide spostare il peso del corpo da un piede all’altro e portarsi una mano alla nuca, proprio come faceva anche il suo Adrien quando era in vistoso imbarazzo. «Ricordi quando io e Ladybug siamo stati ospiti al programma in prima serata di Nadja Chamack?»
   «Sì, certo», balbettò Marinette, cominciando ad intuire il nocciolo del discorso. «Ti… riferisci alla foto del… bacio?»
   Il giovane si strinse nelle spalle con fare impotente. «A quanto pare, non si è trattato di un bacio nel vero senso del termine, ma la televisione, si sa, travisa ogni cosa», borbottò, gli occhi verdi al pavimento. «Ladybug mi ha spiegato che in quell’occasione ero stato soggiogato mentalmente da un akumizzato e che per aiutarmi a tornare in me ed evitare che le facessi del male, ha pensato che potesse tornarle utile ricorrere a quel mezzo per sciogliere l’incantesimo.» Non finì di spiegarlo che alzò gli occhi su Marinette, accorgendosi in quel momento del suo turbamento: si era messa ancora una volta nei suoi panni per via dell’amore a senso unico che faceva soffrire anche lei? Non andava bene, si disse Adrien, rammaricandosi di essersi lasciato andare a quella confidenza. Non perché non si fidasse di lei, quanto perché temeva di aver intaccato il suo buon umore a causa delle proprie beghe amorose. «Mi ha trattato come se fossi stato una principessa da salvare, capisci?» si sfogò poi, agitando le mani davanti a sé con fare teatrale, nella speranza di recuperare e farle tornare il sorriso.
   Ci riuscì, perché, pur con tutta la buona volontà, Marinette non fu capace di trattenere una risatina divertita. «Scusa…» s’affrettò ad aggiungere un attimo dopo, mortificata.
   «E per cosa?» la tranquillizzò lui, lieto di non aver rovinato quel bel momento. «Che in quell’occasione mi abbia visto come una principessa o meno, per me non fa alcuna differenza», ragionò subito dopo, rendendosi conto che quella era la pura verità. «Sarò sempre il principe disposto a proteggerla anche a costo della vita.»
   «Beh, ne hai nove, dopotutto», lo incoraggiò scherzosamente la ragazza, sentendo il cuore scaldarsi in petto per quella sua ferma convinzione.
   «E, ti giuro, vorrei passarle tutte insieme a lei.»
   Quell’ultima, inaspettata dichiarazione, pronunciata in un tono così sentito da darle i brividi, scosse Marinette nel profondo, inducendola ad arrossire senza che lei potesse accorgersene. Se solo avesse avuto il potere di controllare il proprio cuore, in quel momento se lo sarebbe strappato dal petto e lo avrebbe messo fra le mani di Chat Noir, facendogli dono di tutta se stessa. Ma la verità era un’altra e la indusse quasi al pianto senza che lei riuscisse a camuffare il proprio stato d’animo.
   «Ehi…?» balbettò Adrien, spiazzato dagli occhi lucidi dell’amica. Cos’aveva detto di sbagliato? L’aveva offesa in qualche modo? Andò nel panico e non seppe davvero cosa dire o fare per rimediare a quelle lacrime trattenute a stento.
   Marinette tirò su col naso e subito si stropicciò le palpebre. «Scusa, perdonami!» annaspò, cercando di ignorare il furioso batticuore che quelle meravigliose parole le avevano provocato. «È solo che…» Sbirciò nella sua direzione, accorgendosi di quanto lui pendesse dalle sue labbra, in quel momento. Sorrise. «Hai detto una cosa bellissima, che mi ha colpita dritta al cuore.»
   Tirando un deliziato sospiro di sollievo, Chat Noir tornò a rilassarsi e le porse la mano. «Vieni, ora. Ti riaccompagno a casa.»
   «Grazie, Principessa», disse lei, accettando di buon grado il suo invito.
   «Ah, disgraziata…» scherzò l’altro, prendendola in braccio. «Sapevo che non avrei dovuto raccontarti quella storia.» Marinette rise con lui e posò il capo contro la sua spalla. «Andatura veloce o passeggiata?» chiese il giovane, mentre saliva già sul parapetto della terrazza.
   «Passeggiata, per favore», mormorò lei, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Felice che lei avesse scelto quell’opzione, e rabbrividendo per quel contatto tanto intimo, Adrien saltò verso il cielo ormai volto al crepuscolo con il suo prezioso fardello fra le braccia.












Inizio con lo scusarmi per l'attesa: non ho rispettato in modo preciso le due settimane, ma sabato davvero non mi era possibile aggiornare, perciò ho dovuto far slittare la cosa ad oggi.
Mi scuso anche perché non ho avuto modo di rispondere a tutte le recensioni che mi avete lasciato, siete stati meravigliosi. Rimedierò oggi, comunque.
Intanto vi tranquillizzo riguardo alla stesura della storia: sono alle prese con il settimo capitolo, ne ho già scritta oltre la metà e nei prossimi giorni lo concluderò (e magari inizierò anche l'ottavo).
Detto ciò, non mi dilungo oltre proprio per avere tutto il tempo per rispondere a tutti voi.
Un grazie dal più profondo del cuore, sul serio. E buon inizio di settimana! ♥
Shainareth
P.S. Come sempre, un bacio a Raffy Chan per tutto l'aiuto che mi sta dando!





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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***





CAPITOLO TERZO




Uscì dal bagno frizionando i capelli bagnati con l’asciugamano, un morbido accappatoio bianco attorno al corpo ed un senso di sollievo generale che lo induceva ad intonare un motivetto allegro a labbra chiuse. Era felice. Non per l’ennesimo scontro con uno degli akumizzati di Papillon, ma di aver visto ancora una volta la sua Ladybug e di aver potuto passare del tempo con lei – sia pure non nel modo in cui avrebbe voluto. Lei gli aveva sorriso, nonostante lo avesse appena rimbrottato per una delle sue battute di spirito, e lo aveva vezzeggiato come al solito chiamandolo Chaton. Ad Adrien piaceva quel nomignolo, perché lasciava trasparire l’affetto che Ladybug provava nei suoi confronti, sebbene non fosse possibile paragonarlo all’amore che invece lui aveva per lei. Ma era di quei fugaci momenti rubati alle battaglie che il giovane nutriva il suo cuore, inebriandosi del suo profumo e del suono della sua risata.
   Ciliegina sulla torta, quel pomeriggio aveva avuto la fortuna di incontrare anche Marinette. Per lei Adrien aveva una predilezione che ancora non era riuscito a capire fino in fondo e che, a dirla tutta, continuava a scambiare per semplice, pura e profonda amicizia. Sapeva che Marinette aveva una simpatia per lui – ma anche di questa ignorava l’intensità – e la cosa lo deliziava; non per vanagloria, quanto perché era un’ulteriore conferma che tutte le divergenze che erano sorte all’alba della loro conoscenza erano ormai un lontano e spiacevole ricordo. E poi, certo, il lato più vanesio e infantile di lui non poteva non gongolare al pensiero di piacere ad una ragazza tanto graziosa e di avere il suo affetto – e quest’ultimo era un balsamo non da poco per il suo cuore bisognoso di attenzioni.
   «La compagnia di Marinette ti rende tanto felice?» Sgranò gli occhi, arrestando il movimento delle mani, e si voltò verso Plagg, accucciato sul tavolino della sua camera a degustare la sua consueta dose serale di camembert. «È da quando siamo tornati che non ti togli quel sorriso scemo dalla faccia.»
   «Oh, grazie», ridacchiò Adrien, lasciando scivolare l’asciugamano dietro la nuca. «Sei sempre gentilissimo.»
   Il kwami ingollò un boccone più grande degli altri. «Quella ragazza ha un effetto positivo su di te.»
   «È vero», ammise l’altro senza alcuna vergogna. «Marinette è l’unica, dopo Ladybug, a farmi sentire bene.»
   «Al punto da mandarti in confusione.»
   Aggrottò le sopracciglia chiare, fissando il proprio amico con aria perplessa. «Perché dici così?»
   «Al provino per il videoclip ti eri ripromesso di esibirti in una performance disastrosa, così che sarebbero stati costretti a scegliere qualcun altro per interpretare Chat Noir», gli ricordò Plagg, apparentemente concentrato più su quale nuovo pezzo di formaggio assaggiare che sul discorso in sé. «Ma non appena ti è stata affiancata Marinette, hai iniziato ad eseguire le direttive di quella cantante come un bravo soldatino.»
   Adrien rimase in silenzio, del tutto incapace di dargli torto. Si era reso conto di aver provato un certo imbarazzo a tenerle la mano in quel modo, soprattutto vista la grande somiglianza di lei con Ladybug, ma non aveva fatto caso a quel particolare non da poco. «Stai insinuando che mi piaccia Marinette?» domandò allora, cercando di capirci di più.
   «Non è così?»
   «Certo che sì», confermò subito, con voce sicura. «A chi non piacerebbe?»
   «È buffo», lo sorprese ancora Plagg, decidendo per un formaggio più stagionato rispetto all’ultimo che aveva divorato. «Credevo che fossi innamorato di Ladybug.»
   «Difatti è così», affermò ancora Adrien, incrociando le braccia al petto con fare guardingo. «Dove vuoi arrivare?»
   «Dove tu non riesci», rimbeccò la creaturina, lasciandolo di nuovo senza parole per una manciata di secondi. «Eppure mi sembra abbastanza palese», continuò Plagg, borbottando fra sé e sé senza aspettarsi una nuova risposta.
   Decidendo di lasciarlo perdere, Adrien tornò a sfregarsi i capelli, questa volta con più energia e con umore molto diverso. Che male c’era, pensava, a provare simpatia per Marinette? Le voleva un gran bene, gioiva dei suoi sorrisi e a volte si perdeva nei suoi occhi, bellissimi quanto quelli di Ladybug. Il suo cuore, però, apparteneva a quest’ultima, e nessun’altra, per quanto fantastica quanto Marinette, avrebbe mai potuto competere con lei. E anche se così non fosse stato, se lui davvero avesse finito per volgere le proprie attenzioni di tipo romantico alla sua amica e compagna di classe, il risultato non sarebbe di certo cambiato: Marinette amava già qualcuno – che le aveva anche spezzato il cuore.
   L’amore era davvero una faccenda rognosa. Eppure, nonostante tutto, Adrien era felice di sentire il proprio animo riempirsi ogni giorno di più di quel sentimento bellissimo e devastante al contempo. Lo faceva sentire vivo e gli dava la forza e la determinazione per migliorarsi costantemente, con la speranza che, un giorno, sarebbe riuscito a conquistare la ragazza dei suoi sogni.

Affondando il volto nel cuscino, Marinette non riuscì a soffocare un sospiro che esprimeva tutta la sua soddisfazione. Ora poteva dirlo con certezza: fra le braccia di Chat Noir si sentiva bene, protetta e al sicuro. Ciò nonostante, non temeva di mettere ancora in discussione il suo amore per Adrien perché, riflettendoci su, si era resa conto di essersi sentita altrettanto bene quando aveva avuto l’opportunità di abbracciarlo durante il lento che avevano ballato insieme alla festa di Chloé, diverso tempo prima. Sì, il batticuore le aveva in parte offuscato i sensi, ma si era anche crogiolata in quel contatto intimo e consapevole, piacevole e caldo. Se solo avesse potuto scegliere, ci avrebbe passato la vita, stretta a lui in quel modo.
   Quel pensiero le riportò alla mente quanto affermato quel pomeriggio da Chat Noir riguardo alle sue nove vite da gatto. Amava davvero Ladybug e ancora una volta a Marinette si strinse il cuore: non meritavano forse di essere felici entrambi? Eppure il destino li stava mettendo a dura prova, quasi volesse farsi beffe di loro e dei loro sentimenti.
   Sospirando di nuovo, questa volta in modo rassegnato, la ragazza si girò supina sul letto e puntò gli occhi al soffitto scuro, prima di lasciar scivolare lo sguardo oltre la finestra che dava sul balcone. Era stato lì che Chat Noir l’aveva salutata dopo averla riaccompagnata a casa, un sorriso vispo in volto tutto per lei nonostante la pena che continuava a portare nel cuore. Ancora una volta, Marinette si riscoprì ad ammirare la sua forza d’animo: malgrado le avversità, il suo partner non si lasciava mai abbattere davvero e continuava a persistere nei suoi tentativi di approccio con Ladybug, sia pure con fare più delicato e gentile di prima. A Marinette, invece, bastava un nonnulla per andare nel panico ed abbattersi, soprattutto se Adrien non le concedeva le soddisfazioni che lei si era immaginata di ricevere mille e più volte nelle sue sfrenate e romantiche fantasie di quattordicenne. Con una lucidità che non credeva di possedere al riguardo, si domandò se non fosse stato quello il motivo per cui si era sentita attratta anche da Luka, che le era capitato fra capo e collo proprio in uno di quei suoi momenti di debolezza. Sì, concordò con se stessa mentre sentiva le palpebre farsi pesanti, quella era l’unica spiegazione plausibile. Anche e soprattutto perché, a conti fatti, conosceva appena il fratello di Juleka e di certo non poteva provare per lui un sentimento anche solo lontanamente paragonabile a quello che portava nel cuore per Adrien. O per Chat Noir, considerò nell’incoscienza del dormiveglia.
   Riaprì gli occhi di scatto: cos’aveva appena pensato?! Con il cuore che le martellava in petto come un tamburo e le orbite sgranate, Marinette trattenne il fiato. Calma, ripeté a se stessa dopo qualche istante. E poiché non le riuscì affatto di tranquillizzarsi, neanche dopo aver respirato più volte a pieni polmoni, affondò di nuovo il viso nel cuscino e uggiolò sconsolata. Troppe emozioni, negli ultimi giorni, troppe. Non andava bene, doveva fare qualcosa.
   Allungò una mano fuori dalle coperte e accese la lampada posta dietro al letto. La luce artificiale illuminò il viso sorridente di Adrien nella foto appesa alla bacheca lì accanto e Marinette si perse ancora una volta in quegli occhi color smeraldo: nessuno poteva competere con lui. Sentì via via l’animo farsi più sereno e, fra sé, quasi chiese scusa al giovane ritratto nella foto, soprattutto quando la sua attenzione fu lentamente attirata da quei fiori immortalati nella cera, preziosi pegni d’amore di un animo affine al suo.
   «Marinette…?» la vocina sonnacchiosa di Tikki la riportò con i piedi per terra.
   «Scusa, non volevo svegliarti…» si rammaricò, osservando la creaturina accucciata sul materasso, proprio accanto al suo cuscino.
   «Hai fatto un brutto sogno?»
   Era riuscita a farla preoccupare, accidenti. Le sorrise con tenerezza e le accarezzò la testolina col polpastrello di un dito. «No, va tutto bene. Spengo subito la luce, perciò pensa solo a riposare bene.» Rassicurata da quelle coccole e dalla voce calda e gentile della sua amica, Tikki tornò a chiudere le palpebre, pronta di nuovo a scivolare fra le braccia di Morfeo. Con un ultimo sguardo ai fiori, prima, e alla foto di Adrien, dopo, Marinette spense la lampada e tornò sotto le coperte, preferendo concentrare i propri pensieri sui compiti che aveva fatto quella sera anziché sull’ingarbugliata situazione sentimentale che aveva iniziato a sfiancarla ormai da diversi giorni, fino a rischiare di toglierle il sonno. Doveva fare qualcosa.

«Ho deciso», dichiarò il giorno dopo con cipiglio determinato, mentre lei e Alya si trovavano da sole nel bagno della scuola. «Oggi gli chiederò di uscire. Da soli. Senza equivoci di sorta.»
   «La trovo un’ottima idea», rispose l’altra, appoggiando i reni contro uno dei lavandini ed intrecciando le braccia al petto. «Come hai intenzione di procedere?»
   «Improvviserò.» Quella risposta spinse Alya ad inarcare le sopracciglia scure: da dove veniva fuori tutta quella sicurezza? Notando la sua espressione scettica, Marinette si sentì in diritto di ribattere: «È che ogni volta che mi preparo un piano, puntualmente qualcosa va storto. Per questo oggi ho deciso di affidarmi soltanto all’istinto.»
   «E se dovessi iniziare a balbettare?» Certo era un colpo basso rigirare il dito nella piaga, ma Alya era anzitutto sua amica e, tra un incoraggiamento e l’altro, aveva il dovere di farla rimanere con i piedi per terra per evitarle delusioni peggiori.
   «Non accadrà», replicò l’altra, lo sguardo deciso ed un sorriso sprezzante in volto, le mani sulle anche. «Adrien ha iniziato a prendersi diverse confidenze, con me, ed io ho intenzione di fare lo stesso.»
   «Fai più che bene», la appoggiò subito Alya, soddisfatta e ammirata per quella sua presa di posizione. Finalmente Marinette tirava fuori le unghie anche nella vita sentimentale! «Vi ho visti, l’altro giorno, eravate davvero in perfetta sintonia.»
   «In realtà stavo morendo dentro», non si curò di nascondere Marinette, facendola scoppiare a ridere per l’orgoglio ostentato nel tono della voce. «Ma, diamine, almeno sono riuscita a nascondere bene la cosa!»
   «È vero», convenne con lei la sua migliore amica. «Sembravi perfettamente a tuo agio.»
   Questo era avvenuto soprattutto per merito dello stesso Adrien. Infischiandosene della sua goffaggine e del suo incessante balbettare, e non interpretando affatto quegli ostacoli come un muro che Marinette aveva issato fra loro per chissà quale ragione, il giovane si era preoccupato più e più volte di bussare con garbo alla porta del suo cuore, ricevendo timidi segnali di assenso. Forte dell’amicizia che lei gli aveva dimostrato, si era fatto pian piano strada, cominciando ad affacciarsi sempre più su quell’uscio caldo e accogliente. Infine, dopo aver compreso che la sua predilezione per Marinette era più che ricambiata, Adrien aveva messo al bando ogni prudenza e aveva sfondato letteralmente ogni barriera, penetrando nel suo animo e mostrandole ciò che era davvero: non un idolo da adorare, bensì un ragazzo come lei, pieno di insicurezze e con una gran voglia di vivere, di scherzare, di amare e di essere amato. Marinette lo aveva realizzato solo quando era stata messa alla pubblica gogna in televisione, con la sua ossessione per Adrien durante un reality in diretta in tutta la Francia; anziché pensare male di lei, il giovane si era mostrato felice della cosa e, per di più, l’aveva persino invitata al prossimo servizio fotografico che avrebbe dovuto fare secondo le direttive paterne.
   Ecco come avrebbe attaccato bottone con lui, quel giorno. Fu questo che si ripromise di fare Marinette uscendo dal bagno con Alya e dirigendosi verso l’aula di scienze per l’inizio delle lezioni pomeridiane. Era una scusa accettabile, dal momento che l’invito era partito appunto dallo stesso Adrien. Certo non sarebbe stato un vero appuntamento, ma poteva essere comunque un buon punto di partenza. Soprattutto, l’avrebbe aiutata a far maggiore chiarezza con se stessa circa i propri sentimenti per lui.
   Lo trovarono già in aula immerso in una conversazione con Nino, ma quando i due le videro, lasciarono perdere le chiacchiere e le salutarono con un enorme sorriso sul volto. Sebbene si sentisse avvampare, Marinette si impose di rimanere insensibile alla luminosità di quell’espressione e, più determinata che mai, si avvicinò all’amato. «Novità riguardo al tuo prossimo servizio fotografico?»
   Lo vide stringersi nelle spalle. «In realtà non proprio», rispose con fare vago, senza tuttavia perdere l’espressione allegra. «Mio padre e il mio fotografo sono dei perfezionisti nati, stanno ancora discutendo riguardo alla scenografia da utilizzare. Sai, preferiscono entrambi gli spazi aperti, ma bisogna tener conto anche della luce naturale e delle condizioni atmosferiche. Giusto ieri Nathalie mi ha detto che monsieur Vincent voleva fare delle prove al Parc des Buttes-Chaumont questa domenica. So che non è un vero e proprio servizio fotografico, ma… ti andrebbe di venire ugualmente?»
   «Sì!» esclamò di getto Marinette, felice come una bambina a cui promettono un gelato. Se ne rese un secondo dopo, quando vide Adrien contenere a stento un’espressione divertita. Ridacchiò a sua volta, cercando poi di recuperare. «Voglio dire… passare la domenica al parco è davvero un’ottima idea, quindi… perché no?»
   «Ci divertiremo, vedrai», le garantì Adrien, strizzandole l’occhio. «Lo sapevi che ci sono diverse leggende legate a quel posto?»
   L’altra scosse la testa, benché le paresse di ricordare qualcosa in merito. «Per via del tempio della Sibilla?»
   «Oh, per molto altro», le assicurò il giovane. Non poté continuare nel suo discorso, però, perché madame Mendeleiev comparì sull’uscio dell’aula proprio in quel momento, ordinando ai suoi studenti di prendere posto. «Ti racconterò tutto domenica», promise Adrien, rivolgendo un ultimo sorriso a Marinette prima di sedersi al proprio banco.
   Quest’ultima lo imitò, sentendo sì il cuore battere in petto come un tamburo, ma, a dispetto di ciò, anche una gran pace interiore: Adrien aveva rinnovato l’invito che le aveva fatto poche settimane prima, sorvolando sul fatto che non si trattasse davvero di un servizio fotografico legato alla moda, bensì di una semplice prova. Dunque ci teneva sul serio alla sua compagnia e, anzi, sembrava essere entusiasta all’idea di trascorrere del tempo insieme al Parc des Buttes-Chaumont e di condividere con lei tutto ciò che sapeva su quel luogo. Tra amici si fa così, si disse Marinette, cercando di mantenere i piedi ben saldi a terra. Illudersi che quell’incontro fosse qualcosa di diverso da ciò che le aveva presentato Adrien sarebbe stato deleterio per il suo povero animo travagliato da paure e incertezze. Alle quali si aggiunse un nuovo problema di vitale importanza: avrebbe dovuto indossare un bel vestito? Cambiare pettinatura? Mettersi lo smalto? Portare la merenda?
   Si volse verso Alya con uno sguardo smarrito e scoprì che la sua amica la stava già fissando con un sorriso sornione sulle labbra. «Ne parleremo alla fine della lezione», la rassicurò sottovoce, battendole con affetto il palmo della mano sul braccio. Marinette si sentì immediatamente rincuorata. Subito dopo, però, le venne quasi da ridere: era capace di combattere dei supercattivi dai poteri più bizzarri, di saltare sui tetti di Parigi, di sollevare pesi massimi e di creare oggetti dal nulla, ma non di affrontare un incontro extrascolastico con il ragazzo che le piaceva. Approfittando del fatto che la professoressa fosse impegnata nel preparare il materiale per la lezione, Marinette curvò la schiena sul banco e ci sbatté piano la testa contro, dandosi della stupida e cercando dentro di sé quella sicurezza che dominava ogni fibra del suo essere quando vestiva i panni di Ladybug – la stessa che aveva fatto innamorare Chat Noir. Se si fosse dimostrata forte e intraprendente allo stesso modo anche senza maschera, forse sarebbe riuscita ad attirare ancora di più l’attenzione di Adrien.

Alya le aveva fatto coraggio, congratulandosi anzitutto con lei per aver saputo mantenere la calma davanti ad Adrien e all’invito che lui le aveva rivolto – per la seconda volta, oltretutto. Marinette si era perciò sentita rinfrancata e, a mente fresca e dopo aver gridato di gioia come un’esaltata quando si era chiusa in camera sua dopo la scuola, era arrivata alla conclusione che avrebbe potuto farcela davvero. La sua impareggiabile, insostituibile ed indispensabile migliore amica le aveva fatto presente che forse non era una grande idea mettere un vestito elegante per andare al parco: avrebbe finito per sporcarlo nel caso avessero deciso di sedersi sull’erba. Inoltre c’era da considerare il fatto che presentarsi all’amato con un aspetto diverso da quello a cui lui era abituato avrebbe potuto disorientarlo; se da una parte questo era un bene, dall’altra bisognava tener conto che non era quella l’occasione giusta. Non era un appuntamento, Marinette non doveva dimenticarlo. Semmai Adrien gliene avesse chiesto uno, in futuro, o fosse stata lei stessa a strappargli un incontro di tipo galante, allora sì che sarebbe stata obbligata a dare il meglio di sé anche da un punto di vista estetico – soprattutto perché si presupponeva che sarebbero stati da soli, senza fotografi e guardie del corpo a vigilare sulle loro azioni.
   «E poi», le aveva detto Alya, felice quanto lei per l’intera faccenda, «sei già abbastanza carina così come sei, non hai bisogno di artifici di alcun genere. Senza contare che Adrien non pare affatto tipo da lasciarsi affascinare da una vamp.»
   No, non lo era, convenne con lei Marinette, ritornando con la memoria a Lila e ai suoi vani tentativi di approccio. E se Adrien aveva dimostrato di non essere attratto da ragazze del genere e di preferire invece la compagnia di qualcuno di più semplice e alla mano come lei, a dispetto delle figuracce che faceva puntualmente davanti a lui e della sua mania di collezionare foto che lo ritraevano, perché mai avrebbe dovuto cambiare? Non aveva senso, né tanto meno era sicura che sarebbe riuscita a fingere in sua presenza. Anzi, era già stato abbastanza complicato rimanere calma e sicura di sé quando, indossando la maschera di Ladybug, aveva dovuto portarlo in salvo in diverse occasioni.
   Fu dunque per questa ragione che domenica mattina, quando Adrien passò a prenderla, uscì di casa senza fronzoli di alcun genere. Non era la prima volta che saliva in macchina con lui, quella, ma si sentiva comunque emozionata come sempre. Ciò nonostante, fu in grado di mantenere il sangue freddo per tutto il tragitto fino al Parc des Buttes-Chaumont, dove trovarono già monsieur Vincent intento a trasportare parte dell’attrezzatura fotografica. La guardia del corpo di Adrien si affrettò a dargli una mano per accorciare i tempi, e mentre proseguivano tutti insieme verso il luogo stabilito per le prove, Marinette iniziò a guardarsi attorno. Era stata lì solo una volta, da bambina, e ricordava poco di quel posto. La cosa che più le era rimasta impressa era senza dubbio il tempio della Sibilla, arroccato in cima ad un’altura situata nel bel mezzo del grande lago presente nel parco.
   «Si dice che il tempio si trovi al centro di un pentagono mistico», le rivelò Adrien, seguendo il suo sguardo in direzione del belvedere in cui era situata la piccola costruzione. E all’espressione sorpresa di lei, continuò: «Oltre un secolo fa questo parco era ritenuto un posto esoterico di grande importanza e ancora oggi non sono pochi quelli che vengono qui in esplorazione.»
   «Che genere di esplorazione?» s’incuriosì Marinette, trovando quella storia molto affascinante.
   L’altro si strinse nelle spalle. «Non ne ho idea, ma suppongo abbia a che fare con le gallerie che si trovano nel sottosuolo. Il parco è costruito su un’antica cava e ho letto che una di queste strade sotterranee porterebbe ad una sala di iniziazione a non so quale culto.»
   «Fa tanto setta segreta», osservò la ragazza, immaginandosi già una folla di adepti incappucciati che sfilavano lungo i cunicoli con candele strette in mano e pentacoli appesi al collo.
   «Immagino lo sia davvero», concordò Adrien.
   «Sempre ammesso che esista», ragionò invece Marinette, ponendosi in modo scettico sulla questione per convincersi che non ci fossero pericoli di sorta in un posto tanto bello. Non che avesse immediatamente associato la storia di Adrien a qualcosa di losco o ad una setta satanica, ma sapeva talmente poco sulle congregazioni esoteriche che preferiva rimanere sul chi va là.
   «Dopo ti va di salire in cima al belvedere?» la stupì ancora una volta il giovane, facendo cenno in direzione del tempio. «Potremmo dare un’occhiata più da vicino.»
   Grandioso, pensò la ragazza: Adrien era un romantico appassionato di leggende e storie magiche dal potenziale pericoloso. Tutto il suo opposto, insomma. Avvertì Tikki muoversi all’interno della borsetta che portava a tracolla e dovette riconsiderare la cosa da un diverso punto di vista: non era lei stessa la prima portatrice di un oggetto dal grande ed occulto potenziale magico?
   «Ho sempre sognato di venire qui, un giorno», stava continuando Adrien senza nascondere l’entusiasmo nel tono della voce, «ma da solo sarebbe stato noioso. Con te sarà più divertente, ne sono sicuro», affermò con un sorriso che le trafisse il cuore e le fece perdere la cognizione del tempo e dello spazio. Tant’è che la vide inciampare sui suoi stessi piedi l’attimo successivo e, d’istinto, le passò un braccio attorno alle spalle per evitarle una caduta. La sentì fremere contro di sé. «Tutto bene?» Aggrappata alla sua giacca e rossa in volto, Marinette ridacchiò nervosamente e tornò in equilibrio sulle gambe, rassicurandolo che sì, stava bene. Adrien la prese per mano e ricominciò a camminare alle spalle dei due uomini che li precedevano, mentre proseguiva a parlare e ad indicare tutto ciò che li attorniava, a cominciare dalla grande varietà di flora e fauna presente nel parco. Tutte cose che sì, gli occhi di Marinette vedevano, ma non riuscivano davvero ad osservare come avrebbero dovuto.
   «Qua mi pare vada bene», decise monsieur Vincent ad un certo punto, fermandosi e guardandosi attorno. E quando il suo sguardo si soffermò sull’accompagnatrice di Adrien, si accorse per la prima volta della sua presenza. «Ah, mi ricordo di te», commentò con il suo forte accento italiano, mentre iniziava già a sistemare l’apparecchiatura. «Sei quella guagliona che è apparsa l’altra volta in televisione, con tutte quelle foto di Adrien appese in camera.» Marinette avvampò, sentendo la mando del giovane farsi improvvisamente bollente nella propria. «Bella scelta, visto che gliele ho scattate quasi tutte io, brava.»
   «Che vuol dire guagliona?» domandò Adrien, troppo preso da quella parola esotica per far caso al resto del discorso.
   «Ragazza», rispose meccanicamente Marinette.
   «Conosci l’italiano?»
   «Eh?»
   Si volse in direzione dell’amico, che ora la fissava con stupore. «Monsieur Vincent è italiano e usa spesso parole nella sua lingua. Alle volte faccio davvero fatica a capirlo.»
   «Oh… in realtà quello è un termine dialettale», balbettò lei, recuperando pian piano il controllo delle emozioni. «Ricordi mia nonna? Quella che era presente alla festa del mio compleanno? Beh, lei è italiana, quindi qualche parola la conosco. Certo non abbastanza da capire o addirittura parlare la sua lingua natia.»
   «Dev’essere bello far parte di una famiglia internazionale», rifletté ad alta voce Adrien, sinceramente ammirato da quanto si potesse imparare dalla diversità culturale.
   Felice di sentirlo ragionare in quel modo, sulle labbra di Marinette si disegnò un sorriso pieno di orgoglio, destinato tuttavia a scemare non appena monsieur Vincent tornò a parlare. «Adrien, lascia la mano della tua groupie e vieni qua.»
   «A-Arrivo…» balbettò il giovane, abbozzando un sorriso di scuse in direzione della ragazza che, a quelle parole, era tornata ad arrossire vistosamente. Diamine, ruggì fra sé con rabbia, possibile che, quando tutto sembra andare per il meglio, ci sia sempre qualcuno o qualcosa a rompermi le uova nel paniere?!
   Sospirando rassegnata, aprì la borsetta che portava al fianco e diede un’occhiata a Tikki per assicurarsi che stesse bene. La creaturina le restituì uno sguardo divertito, segno che doveva aver ascoltato ogni parola. «Avrei dovuto farmi una camomilla doppia, prima di venire qui», si rammaricò Marinette, facendola ridere.
   «La giornata è lunga, possono accadere tante cose», la consolò il kwami, con la sua vocina dolce e rassicurante.
   «Purché siano tutte positive, però.»












E rieccomi, questa volta puntuale dopo due settimane!
La storia prosegue, sono alle prese con l'ottavo capitolo e le cose si fanno imprevedibili per me per prima. 'Sti due fanno sempre di testa loro, è inutile cercare di pianificare davvero qualcosa nel dettaglio. Sigh.
Chiedo come sempre scusa per l'immancabile ritardo con cui rispondo alle vostre recensioni, cercherò di rimediare oggi stesso a quelle del precedente capitolo!
Un abbraccio e grazie a chiunque sia qui a leggere a dispetto del caldo afoso di questi giorni!
Shainareth





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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***





CAPITOLO QUARTO




Adrien non aveva esagerato a definire monsieur Vincent un perfezionista. Benché lo avesse già intuito quando l’uomo era stato convocato dal preside della scuola per le foto di classe, Marinette adesso non poteva che averne conferma, vedendolo armeggiare più volte con l’attrezzatura e borbottare fra sé in italiano, forse persino in dialetto stretto. Sembrava non essere mai soddisfatto dei risultati ottenuti e passava minuti interi a studiare un’angolazione o il punto esatto in cui era meglio far spostare Adrien. La cosa più ammirevole di tutte, comunque, era proprio il ragazzo che, con grande professionalità ed infinita pazienza, sopportava quella tortura, rimanendo immobile secondo le direttive del fotografo e non manifestando veri e propri cenni di stanchezza. Di tanto in tanto, però, Marinette lo sorprendeva a sbirciare nella sua direzione, quasi volesse assicurarsi che fosse lì o addirittura scusarsi per la lunga attesa. A lei comunque non importava, perché poterlo contemplare così da vicino mentre era sul set era stato fino a quel momento uno dei suoi più grandi desideri – come fan. Si era lasciata persino andare ad un paio di squittii che soltanto Tikki, per fortuna, era riuscita a sentire.
   «Guaglioncella, vieni qua», si sentì chiamare all’improvviso da monsieur Vincent, ancora intento a fissare Adrien attraverso l’obiettivo della macchina fotografica.
   Marinette sobbalzò. «Dice a me?»
   «No, al gorilla che vi siete portati appresso», ribatté l’altro senza curarsi di nascondere il tono sarcastico. «Vieni qui, mettiti accanto al nostro raggio di sole dagli occhi verdi. Non mi svenire, però.»
   «Monsieur Vincent, la prego…» sospirò Adrien, mortificato per il modo in cui l’uomo continuava a rivolgersi a Marinette. Conoscendolo, era ben consapevole che il suo fosse solo un modo per scherzare, ma temeva che la sua amica potesse prenderla a male e magari decidere di piantarli in asso e tornarsene a casa da sola – dopotutto non era un mistero, per lui, che Marinette avesse il suo bel caratterino… bastava vedere come si rapportava spesso con Chloé.
   I timori del giovane si placarono quando la ragazza avanzò nella sua direzione, ponendosi accanto a lui pur con cipiglio imbronciato e braccia conserte. «Così va bene?» domandò con voce infastidita.
   Monsieur Vincent le fece cenno di avvicinarsi ancora al suo amico. «Fermi così», disse poi, continuando ad osservarli da dietro l’obiettivo. «Guardatevi.» I due obbedirono e fu allora che Adrien iniziò a scrutare la sua compagna con curiosità crescente: Marinette non voleva saperne di abbandonare l’espressione indispettita e questa per lui era una novità. «Adrien, dille di sorridere o qua facciamo notte.»
   «Ti tratta sempre come una marionetta?» borbottò la ragazza, non volendo saperne di abbandonare il broncio.
   Il giovane si strinse nelle spalle. «Benvenuta nel mio mondo… Non è esaltante come te l’eri immaginata, vero?» rispose con aria rassegnata, l’ombra di un sorriso in volto che nascondeva una verità ben diversa. La colpì dritta al cuore, lasciandole un senso di solitudine e smarrimento. «Ti spiacerebbe?» domandò poi, occhieggiando verso il fotografo affinché lei comprendesse. «Non vedo l’ora di finire. Ho una voglia matta di arrampicarmi fino al tempio insieme a te.»
   Bastò quello per far recuperare a Marinette il sorriso sulle labbra, un’espressione per nulla ostentata che non nascondeva la gioia di essere lì con lui in quel momento. «A che servo, io?» s’incuriosì qualche istante dopo, mentre monsieur Vincent faceva alcuni scatti di prova. «Sarai tu a fare il servizio fotografico.»
   «Monsieur Agreste vorrebbe affiancargli una modella», rivelò il fotografo, lasciando entrambi meravigliati per quell’informazione, sconosciuta persino allo stesso Adrien. «Servirà per il lancio di una nuova linea di abbigliamento femminile.»
   L’orrore dipinto sul viso di Marinette dovette essere piuttosto evidente, perché l’uomo la riprese di nuovo, chiedendole di assumere un’espressione meno raccapricciante. «Quale modella?!» non si trattenne dal chiedere invece la ragazza, che proprio non riusciva a celare il disappunto causato da quella terribile notizia. Adrien avrebbe posato con una ragazza – una bella ragazza – e magari sarebbe rimasto in sua compagnia per intere ore, in chissà quali pose che avrebbero finito per togliere il sonno a tutte le sue fan. A cominciare da lei. No, non poteva reggere ad una simile notizia.
   «Puoi farti venire un colpo mentre guardi il tuo amichetto?» volle sapere monsieur Vincent, stufo che lei non fosse capace di stare ferma un momento.
   Marinette tornò a fissare Adrien, questa volta con uno sguardo talmente penetrante che sembrò volergli trapassare il cranio da parte a parte. «Che c’è…?» osò domandare lui, sentendo un non ben definito brivido sinistro percorrergli la schiena.
   «Niente», fu la lapidaria, fredda e definitiva risposta di lei.
   Il giovane si sentì gelare senza una ragione apparente: perché aveva la sensazione che in realtà la parola pronunciata da Marinette volesse dire tutto? Fu di nuovo monsieur Vincent a svelare l’arcano. «Voi donne, con i vostri niente, prima o poi ci farete secchi…»
   «Le spiacerebbe non origliare i nostri discorsi?» ribatté la ragazza, ormai stizzita oltre ogni dire. Anche e soprattutto perché non era arrabbiata con Adrien, ma per la situazione in sé.
   L’uomo finalmente tornò a guardarla senza l’ausilio dell’obiettivo e, raddrizzandosi sulla schiena, mise le mani sulle anche. «Guaglioncella, non l’hai ancora capito dove voglio andare a parare?» E poiché per una volta lei rimase in silenzio, l’altro ne approfittò per spiegare: «Messi l’uno accanto all’altra, voi due siete dolci come ‘nu babà!» E, nel dirlo, si portò la punta delle dita alla bocca, stampandoci su un bacio per rimarcare il concetto.
   «Che ha detto?» s’incuriosì Adrien, non ricevendo tuttavia risposta perché Marinette era troppo presa dall’ascoltare quel che monsieur Vincent stava continuando a dire.
   «Anche se sei un po’ tappetta, sei abbastanza graziosa per posare accanto al nostro Adrien. Lasciatelo dire da uno che se ne intende, sono anni che faccio questo mestiere. La mia intenzione è quella di chiedere a monsieur Agreste di farti fare da testimonial femminile per il lancio della nuova linea. Ammesso che tu sia d’accordo e ottenga il permesso dei tuoi genitori, certo.»
   «Sarebbe magnifico!» esclamò d’istinto Adrien, troppo felice per contenere l’entusiasmo che gli provocò quella proposta. Si voltò subito verso Marinette. «Mio padre ti aveva già scelta per il videoclip di Clara Nightingale, ricordi? Sono sicuro che non avrà nulla da ridire!»
   Stordita da quella rivelazione, la ragazza temette di svenire da un momento all’altro: avrebbe potuto posare con Adrien. Ufficialmente. Avrebbe potuto appendere in camera nuove foto, che ritraevano entrambi, insieme. Soprattutto, avrebbe avuto il permesso di stargli vicino – e magari toccarlo – senza che nessuno le dicesse nulla. Era morta e finita in paradiso? O forse era solo un bellissimo sogno?
   Come un fulmine a ciel sereno, quella sua gioia interiore fu polverizzata da una consapevolezza che non solo era dettata dalla sua innata insicurezza, ma che per di più non aveva ragione di esistere. «Non posso farlo…» farfugliò a mezza voce, abbassando lo sguardo e portandosi le mani al viso. «Non sono all’altezza di Adrien…» Questi aggrottò la fronte e schiuse la bocca per manifestare il proprio dissenso al riguardo, ma Marinette lo anticipò. «Se posassi con lui, finirei per fargli fare una pessima figura. Magari finirei persino per perdere l’equilibrio e cadergli addosso, schiacciandolo e rompendogli un braccio. O il naso!» esclamò così all’improvviso che il giovane sussultò e fece un passo indietro, quasi spaventato. «Sarebbe orribile! Lo sfigurerei per sempre e lui dovrebbe dire addio alla sua brillante carriera di modello e finirebbe in miseria!» concluse il suo monologo la ragazza, le mani nei capelli ed un’espressione in volto che ricordava quella delle antiche maschere greche della tragedia.
   «Più che la modella, dovrebbe fare l’attrice…» ponderò il fotografo, godendosi quello spettacolo gratuito e domandandosi come riuscisse, quella testolina tanto graziosa, a partorire simili catastrofi. «Le donne e il loro ottimismo cronico…»
   «Marinette», la richiamò invece Adrien, trattenendo a stento una risata e andandole vicino. Le posò una mano sulla spalla e lei parve almeno abbandonare quelle drammatiche fantasie sulla sorte dell’amico. «Sono sicuro che non accadrà nulla di tutto questo.»
   La ragazza lo fissò da sotto in su con due occhioni lucidi e preoccupati che gli sciolsero il cuore. «Ma sono così maldestra…»
   «Basterà fare un po’ di attenzione», la incoraggiò ancora il giovane. «E poi», aggiunse con un occhiolino, «esiste sempre la rinoplastica.» Riuscì a strapparle un sorriso e capì di averla quasi convinta. «Mi piacerebbe molto lavorare con te. Sono sicuro che sarai all’altezza della situazione.»
   Arrossendo per quell’incoraggiamento insperato, la ragazza rilassò finalmente i muscoli del corpo e abbandonò ogni remora al riguardo: come poteva contraddire Adrien o, peggio, deludere le sue aspettative? Aveva fiducia in lei e la riteneva alla sua altezza, e questo era sufficiente per impegnarsi a dare il meglio di sé.
   «Me lo fai un sorriso, adesso?» le chiese monsieur Vincent, questa volta in tono quasi paterno. Marinette schiuse le labbra, esibendosi nella più luminosa delle espressioni di gioia che avrebbe mai potuto regalare ad un obiettivo fotografico. «Aggio salvato o’ matrimonio…» mormorò con un sospiro soddisfatto l’uomo, tornando al proprio lavoro senza che nessuno capisse ciò che aveva appena detto.
   L’ora successiva passò velocemente per tutti, questa volta, e né Adrien né Marinette perse più il sorriso, seguendo senza il minimo cenno di stanchezza le direttive dell’ormai amatissimo monsieur Vincent. Quando quest’ultimo decise che aveva fatto abbastanza provini, stabilì anche che voleva andare a caccia di nuovi scorci da utilizzare per il set fotografico che avrebbe proposto a monsieur Agreste. Chiese perciò alla guardia del corpo di Adrien la cortesia di fargli da assistente. L’omone, silenzioso come al solito, lanciò un’occhiata preoccupata al proprio protetto, che subito lo rassicurò. «Giuro solennemente che non mi caccerò nei guai», dichiarò, tracciandosi con fare plateale una croce sul cuore. «Io e Marinette ci limiteremo a fare un giro nel parco. In caso di bisogno, non esiterò ad usare il cellulare.» Non finì di dirlo, che l’altro gli mostrò il proprio, con tanto di applicazione per il rilevamento della sua posizione tramite GPS. Adrien sospirò sconsolato. «Se può farvi stare più tranquilli…»
   Per la seconda volta, quella mattina, Marinette provò un vago senso di disagio nei suoi confronti. Da fan non ci aveva mai pensato, ma da amica a volte sì e questo le stringeva il cuore: Adrien era cresciuto in una gabbia dorata e non aveva mai davvero avuto la libertà di fare ciò che voleva. Suo padre – e a quanto pare non soltanto lui – aveva il pieno controllo della sua vita, anche per le cose più insignificanti, al punto che davvero dava l’impressione di trattare il proprio figlio come un burattino. Ciò nonostante, Adrien non si perdeva d’animo ed era sempre pronto a regalarle un sorriso, proprio come in quel momento, gli occhi che brillavano d’entusiasmo all’idea di potersi concedere un po’ di sano divertimento. «Partiamo all’avventura?»
   Come avrebbe potuto dirgli di no? Ricambiando il sorriso con tenerezza, Marinette annuì. «Ti avverto: sono una gran fifona.»
   «Tu?» Il giovane rise, scuotendo il capo con fare scettico. «Non me la bevo», aggiunse, iniziando a dirigersi verso la sponda del lago. «Sei molto più forte di quanto voglia far credere.»
   Davvero Adrien aveva questa opinione di lei? Rinfrancata da quelle parole, la ragazza scattò dietro di lui, affiancandolo lungo il sentiero che li avrebbe portati al belvedere. «Finché non ti viene voglia di cercare i cunicoli sotterranei, possiamo andare dove vuoi.»
   «Mi hai dato un’idea.»
   «Oh, ti prego, no!» esclamò con foga, portando le braccia in alto con una teatralità tale che Adrien scoppiò di nuovo a ridere. Marinette si inebriò di quel suono e si sentì orgogliosa di essere riuscita ancora una volta a renderlo felice. Per quanto le apparenze potessero ingannare, Adrien andava protetto. No, non per mezzo di una semplice guardia del corpo, quanto da tutto ciò che potesse minare il suo buon umore o uccidere la sua meravigliosa e contagiosa voglia di vivere.

Il parco era splendido, quella mattina, complici anche un clima mite ed un’aria fresca che rinvigoriva non poco chiunque si trovasse nei paraggi. I prati erano affollati e la gente si era spinta fin sulla riva del lago, godendo così del tepore dei raggi del sole che si rifrangevano sull’acqua creando un meraviglioso spettacolo di luce. Pur tentato di avventurarsi sul lungo ponte sospeso che collegava una sponda del lago all’altura su cui sorgeva il tempio, Adrien suggerì all’amica di usare la scala scavata nella roccia per raggiungere il belvedere. Lungo il cammino, non si risparmiò però di raccontarle che l’altro ponte, quello sul quale sarebbero passati di lì a poco, pur essendo più breve, portava tuttavia un nome poco rassicurante: pont des Suicidés.
   «Oggi hai deciso di spaventarmi a morte, ammettilo», borbottò Marinette, che ancora faticava ad abituarsi al lato dispettoso del suo carattere. Era però contenta che Adrien si sentisse finalmente disinibito, con lei, al punto da non nasconderle i propri difetti. «Dimmi tutto ora, così almeno dopo sarò libera di rilassarmi. Forse.»
   «Al di là delle leggende», la rassicurò allora il giovane, divertito dalle sue espressioni buffe, «questo parco è stato costruito in una zona in cui venivano giustiziati i criminali. Fu Napoléon III a volerlo e fu inaugurato durante gli ultimi anni del suo regno.»
   «Mi sembra incredibile che un parco tanto bello e ricco di poesia sorga in un posto impregnato di morte…»
   «Non è da escludere che questo sia uno dei motivi per cui viene ritenuto un luogo esoterico.»
   «Tu ci credi?» domandò dopo diversi minuti Marinette, quando ormai erano quasi a metà del ponte. «Alle leggende, intendo.» Forse Adrien l’avrebbe presa per sciocca, per quella curiosità, e probabilmente lei stessa sarebbe stata la prima a dubitare della veridicità di tutte quelle storie se non avesse vissuto sulla propria pelle quella ben più antica dei miraculous – uno dei quali portava ai lobi delle orecchie.
   Il giovane rallentò il passo fino a fermarsi accanto al parapetto, dal quale si affacciò per ammirare il panorama. «In realtà, qualche dubbio ce l’ho», ammise, anche a costo di sembrare sciocco a sua volta. «Insomma, in un mondo in cui esistono i supereroi e la magia dei miraculous, forse non tutte le leggende sono prive di fondamento.»
   «Lo credo anch’io», disse Marinette, affiancandosi a lui ancora una volta e scostandosi dagli occhi la frangia scompigliata dal vento che soffiava più forte a quell’altezza. «Non che la cosa mi riempia di gioia, ovviamente», aggiunse poi, strappandogli l’ennesimo sorriso della giornata.
   Non riuscirono a proseguire il discorso, però, perché tra la folla che li circondava si iniziò a sentire un vociare concitato. I due ragazzi portarono la propria attenzione più avanti, lì dove sembrava ci fosse una certa agitazione. D’istinto, entrambi irrigidirono le membra: che fosse un attacco da parte di uno degli akumizzati di Papillon? Ciò che accadde poco dopo li smentì appieno.
   Sfuggendo alla presa di chi cercava di fermarlo, un giovane si arrampicò lesto sulla rete di protezione con un’agilità fuori dal comune e la scavalcò. Urla di terrore si levarono nell’intera area circostante, ma l’aspirante suicida rimase ben ancorato alla recinzione, sia pure dalla parte che dava sul vuoto e che, se avesse lasciato la presa, gli avrebbe assicurato un volo fatale di oltre venti metri.
   Inconsciamente, Marinette si aggrappò al braccio di Adrien, che a sua volta le prese la mano, gli occhi puntati sulla terribile scena. Dovevano fare qualcosa, pensarono all’unisono i due ragazzini, certi che ormai solo i supereroi di Parigi avrebbero potuto salvare la situazione. Senza neanche darsi voce, scattarono entrambi dalla parte opposta a quella in cui la gente si era ammassata, incontrando tuttavia una folla non meno numerosa sul loro cammino. Si scontrarono più volte con gli altri visitatori e finirono per perdersi di vista.
   Poco male, pensò Marinette, pur con un nodo alla bocca dello stomaco. Adrien era in gamba, se la sarebbe cavata da solo e sicuramente la sua guardia del corpo sarebbe accorsa in suo aiuto il prima possibile nel caso gli fosse capitato qualcosa. Adesso, però, lei aveva ben altre priorità: una vita sospesa nel vuoto, letteralmente. Corse tra la folla, ma uno spintone le fece perdere l’equilibrio e lei si ritrovò bocconi a terra. Si coprì istintivamente la testa con le mani per paura di essere calpestata e cercò di rimettersi in piedi il prima possibile, ma quando il suo sguardo si posò sulla borsetta per assicurarsi che Tikki fosse tutta intera, il suo cuore perse un battito: la tracollina era aperta e, peggio ancora, vuota. Dev’essere rotolata via nella caduta!
   Disperata, Marinette iniziò a cercare freneticamente il suo kwami, tastando il suolo lì dove i suoi occhi non riuscivano ad arrivare a causa delle innumerevoli persone che continuavano ad avvicinarsi al luogo del tentato suicidio. «Tikki!» si lasciò scappare di bocca ad un certo punto, temendo seriamente per la vita della sua amica. Poi, quando davvero ormai cominciava a temere di non fare più in tempo ad intervenire per portare in salvo quel giovane desideroso di lanciarsi nel vuoto, si rese conto che le forze dell’ordine stavano accorrendo numerose, sia sul ponte che di sotto, almeno a sentire le voci che le arrivavano alle orecchie. Rassicurata almeno in parte, si concentrò maggiormente sulla ricerca del suo kwami, e solo dopo diversi istanti, che a lei parvero interminabili, le sue dita toccarono qualcosa di piccolo e caldo che le si avvinghiò alla mano. Con la speranza che si trattasse di Tikki e non di un topo, la ragazza afferrò la creaturina e se la portò al petto, nascondendola alla vista di chiunque si trovasse nei paraggi. Quindi, riuscendo a farsi largo una volta per tutte tra la moltitudine di avventori, e mentre alle sue spalle si levava un applauso che stava probabilmente ad indicare che l’aspirante suicida era stato infine tratto in salvo, Marinette si defilò fra una macchia d’alberi.
   Arrestò il passo solo quando fu al riparo di un grosso tronco e, lasciandosi scivolare di schiena lungo la corteccia, si concesse un lungo sospiro di sollievo. Infine, schiuse le mani e abbassò lo sguardo, rimanendo tuttavia di sasso quando si accorse che quella che aveva protetto non era affatto Tikki, bensì una creaturina nera, dalle orecchie a punta e due brillanti occhi verdi. «Ehm…» iniziò quella con espressione vagamente preoccupata. «Kwami sbagliato, temo.»












Puntuale come promesso, ecco il primo aggiornamento di agosto!
Immagino sarete un po' tutti in vacanza (beati voi), ma qui si continua a lavorare e a scrivere! Al momento sono alle prese con il capitolo undicesimo, ma spero di cuore di non arrivare a superare in lunghezza Limiti, ché però è stata una fanfiction molto più difficile da scrivere. Oddio, anche questa sotto diversi aspetti mi sta facendo dannare, soprattutto se si tiene conto del fatto che l'ho iniziata quasi tre mesi fa e ancora non riesco a portarla a termine (per mancanza di tempo, più che altro).
A parte questo, voglio ringraziare di cuore tutti voi che, in barba al solleone e al caldo torrido, siete qui a leggere queste righe. Augurandovi buone vacanze ed un buon Ferragosto, vi do appuntamento fra due settimane!
Buona giornata! ♥
Shainareth





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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***





CAPITOLO QUINTO




«C-Che… Che diamine…?!» cominciò Marinette, sconvolta, gli occhi sgranati e le mani tremanti. Quello davanti a sé era sì un kwami, ma di certo non Tikki!
   «Sì, lo so… è un po’ uno shock anche per me», convenne Plagg, levandosi a mezz’aria per paura che quella ragazzina esagitata lo facesse cadere. «Almeno non sono finito travolto dalla folla e per questo ti ringrazio», disse poi, benché, se avesse voluto, avrebbe potuto far ricorso ai propri poteri per attraversare la materia e sfuggire ad eventuali pericoli. Se non lo aveva fatto, lì per lì, era stato perché, nella confusione, aveva scambiato la manina bianca e morbida di Marinette per un pezzo di formaggio, tanto che, quando lei lo aveva toccato, le si era avvinghiato attorno alle dita con l’intento di assaggiarla. «Quel ragazzaccio mi sentirà…» borbottò poco dopo, stizzito nei confronti di Adrien che lo aveva perso tra la folla. «Dovrebbe tenermi stretto a sé come un tesoro prezioso, anziché…»
   «Chat Noir è qui?!» esclamò a quel punto Marinette, che sembrò essersi vagamente ripresa dallo shock di aver smarrito Tikki e di aver trovato invece il kwami del Gatto Nero.
   Quest’ultimo le lanciò un’occhiata eloquente. «Tu che dici, mh?»
   Sorvolando sul suo tono sarcastico, la ragazza tornò alla carica. «Ho perso Tikki! Non so dov’è!»
   «Questo potrebbe essere un bel guaio», ammise Plagg, tamburellandosi il musetto con la zampina con fare riflessivo. «Senza di lei, non puoi trasformarti in Ladybug e, senza di me, quel ragazzaccio non può trasformarsi in Chat Noir.»
   «Non chiamarlo in quel modo…» bofonchiò Marinette, risentita per quella mancanza di rispetto nei confronti del collega.
   Il kwami sorrise sornione. «Ci tieni a lui, allora…»
   «Poche ciance e dimmi cosa possiamo fare per risolvere la situazione», lo rimbrottò lei, decisa a fare orecchie da mercante a qualsiasi tipo di insinuazione. Calmandosi via via che i minuti passavano, e ragionando con maggior lucidità, Marinette diede per scontato che quella creaturina conoscesse la sua identità per via di quanto accaduto nel container in cui lei, Chat Noir e i loro kwami erano stati rinchiusi tempo addietro dal preside Damocles, che in quell’occasione era stato akumizzato da Papillon.
   Plagg non fu in grado di risponderle, non subito per lo meno, perché il cellulare di Marinette iniziò a suonare e lei, sobbalzando, s’affrettò a nascondere la creaturina nella borsetta per paura che qualcuno, attirato dalla musica del suo smartphone, potesse guardare nella loro direzione. Recuperò il telefonino e vide sul display la foto di Adrien, accompagnata dal nome di quest’ultimo. «Adrien!» rispose subito, sentendosi in colpa per essersi dimenticata di lui per qualche minuto. «Sì, sì, sto bene… Non sono lontana dal ponte… Sì, d’accordo, ci vediamo lì.»
   Chiusa la telefonata, la ragazza tirò un sospiro di sollievo: almeno lui stava bene. Abbassò di nuovo lo sguardo su Plagg, che la fissava con occhietti curiosi attraverso l’apertura della tracollina, come se qualcosa avesse attirato la sua attenzione. «Devo raggiungere il mio amico, ora», spiegò Marinette, non sapendo davvero che pesci prendere. «Penseremo più tardi ad un modo per restituirti a Chat Noir.»
   Niente di più facile, rifletté fra sé il kwami, mentre lei si alzava e si dirigeva a passo spedito verso il punto d’incontro concordato poco prima con Adrien. A Plagg sarebbe bastato saltare nel taschino della giacca del giovane non appena gli fosse stato a portata di tiro, così da liberare Marinette del suo peso e convincere poi Adrien a mettersi alla ricerca di Tikki, restituendola magari a Fu – che a sua volta avrebbe potuto farla di nuovo arrivare alla ragazzina senza troppe complicazioni.
   Le cose, tuttavia, non andarono esattamente come lui aveva previsto. Questo perché, temendo di perdere anche il kwami di Chat Noir, Marinette tenne la borsetta stretta a sé per tutto il tempo, impedendogli quasi di muoversi.
   Quando lei e Adrien si ritrovarono, si avviarono insieme per tornare nel posto in cui avevano scattato le foto con monsieur Vincent, abbandonando l’idea di arrivare fino al belvedere e al tempietto della Sibilla. Entrambi avevano in effetti qualcosa di molto più importante a cui pensare e, troppo concentrati sul proprio problema immediato, non ebbero la perspicacia di accorgersi dell’atteggiamento insolito della persona che avevano accanto. Se da un lato, infatti, Marinette era turbata per l’aver perso Tikki ed essere inavvertitamente entrata in possesso del kwami di Chat Noir, dall’altro Adrien lo era per aver perso Plagg – e non solo.
   Ho combinato un bel casino, fu tutto ciò che ronzava nella loro testa, ignari della verità e della semplicità con cui si sarebbe potuta risolvere la situazione se solo si fossero decisi a smettere di torturare l’una la borsetta e l’altro il taschino interno della giacca.
   Fu dunque con un vago imbarazzo e tanti silenzi che proseguirono il cammino e, una volta riunitisi a monsieur Vincent e alla guardia del corpo di Adrien, decisero che si era fatto tardi e che era meglio per tutti tornare a casa. Dopotutto, dissero, non aveva senso continuare a scattare altre foto se prima monsieur Agreste non approvava il progetto e l’idea di avere Marinette come modella da affiancare a suo figlio.
   «S’anna appiccecate…» concluse il fotografo, vedendoli giù di corda. L’umore dei ragazzini della loro età era davvero volubile, soprattutto riguardo alle questioni sentimentali. Era però certo che prima di sera quei due avrebbero fatto pace e che tutto il lavoro fatto quella mattina non sarebbe stato inutile.
   Una volta riaccompagnata Marinette a casa, Adrien si sentì libero di tirare un parziale sospiro di sollievo. Rilassandosi contro il sedile posteriore dell’automobile, guardò l’uomo che era al volante per accertarsi che non lo fissasse attraverso lo specchietto retrovisore; quindi, con la massima discrezione, scostò un lembo della giacca e sbirciò dentro al taschino, dal quale spuntava una testolina rotonda di un rosso molto acceso. Due occhioni azzurri si levarono su di lui, facendolo sorridere nonostante tutto. L’incontro con Tikki era stato davvero fortuito e in parte lo inorgogliva poiché le aveva, di fatto, salvato la vita.
   Quando lui e Marinette si erano accidentalmente separati sul ponte, durante la corsa che lo avrebbe condotto in un luogo sicuro in cui ricorrere ai poteri del suo miraculous, Adrien aveva sentito Plagg scivolargli via dalla tasca. A quel punto, anche lui era stato costretto a fermarsi, ma il kwami era scomparso subito alla sua vista. Quando però aveva creduto di scorgerlo di nuovo in mezzo alla confusione provocata dalla marmaglia di persone che gli stavano intorno, subito aveva allungato la mano per assicurarsi non tanto che nessuno lo vedesse, quanto perché aveva temuto per la sua incolumità. E invece, quando era stato libero di guardare ciò che teneva stretto nel palmo, Adrien era rimasto letteralmente a bocca aperta. A differenza di Marinette, tuttavia, non si era lasciato prendere troppo dal panico e si era mostrato molto più entusiasta di lei per quell’incontro inatteso.
   Certo rimaneva in sospeso la sorte di Plagg, ma Adrien preferiva non allarmarsi più del necessario: si trattava pur sempre di un kwami, un essere dotato di poteri magici, e se era sopravvissuto per millenni a guerre, carestie e altri disastri di varia natura, era assai probabile che avrebbe trovato il modo per trarsi d’impaccio ancora una volta, dimostrando di non essere affatto indolente come invece amava far credere.

Adrien non aveva torto, perché quando si trattava di dare fastidio o di mangiare formaggio, Plagg era imbattibile.
   «Cos’è, questa roba?» volle sapere difatti, quando, chiusi finalmente in camera di lei, Marinette gli mise sotto al naso un piattino colmo di biscotti con gocce di cioccolato.
   «Non hai fame?»
   «Io ho sempre fame», ci tenne a puntualizzare il kwami, con una punta d’orgoglio nel tono della voce. «È che non sono abituato a mangiare cibi così poco gustosi.»
   «Guarda che sono buonissimi», sospirò la ragazza, sedendo stancamente alla scrivania per scrutare da vicino quella creaturina dall’aspetto adorabile e dalla personalità eccentrica. «Tikki ne va ghiotta.»
   «Lei non ha il mio palato delicato.»
   Non sapendo se ridere o meno, la ragazza si limitò ad inarcare un sopracciglio. «Sentiamo, cos’è che mangi, di solito?»
   «Camembert», rispose con voce deliziata Plagg, leccandosi già il musetto all’idea di poter gustare presto il suo cibo preferito.
   «Cam… Camembert?» stentò a crederci Marinette, fissandolo con evidente stupore. «Dove si è mai visto un gatto che mangia formaggio?»
   «Sono un kwami, non un gatto», la corresse l’altro, quasi offeso. «E poi, perché tutti vi lamentate per questa cosa del camembert? Non avete il minimo buon gusto!»
   Stavolta la ragazza si lasciò davvero scappare un sorriso, a metà tra il divertito e il rassegnato. «Povero Chat Noir…» non si trattenne dal sospirare, posando i palmi delle mani sul ripiano della scrivania per darsi la spinta e alzarsi di nuovo in piedi. «Vado a vedere se ne abbiamo un po’ da qualche parte, ma non ti assicuro niente», disse a quel punto, avviandosi verso la botola che l’avrebbe condotta in cucina. «Non combinare guai, nel frattempo.»
   «Non sei affatto gentile», rimbeccò il kwami, piccato per quella mancanza di fiducia. Anche Adrien gli faceva sempre raccomandazioni del genere e solo perché una volta o due – o forse dieci o quindici – si era effettivamente cacciato nei pasticci. Ma che colpa aveva, lui, se possedeva uno spirito avventuroso ed uno stomaco grosso quanto quello di un pachiderma?
   Non appena Marinette sparì di sotto a caccia di formaggio, Plagg si librò a mezz’aria e cominciò a guardarsi attorno. Era già stato in quella camera, più di una volta, e quasi sempre mentre era legato alla trasformazione di Chat Noir, perciò non era stato libero di osservare attentamente l’ambiente, perché vincolato alla volontà di Adrien. Adesso però era lì senza di lui e questo gli consentiva non soltanto di guardare le foto del giovane appese in ogni angolo della stanza, ma anche di far caso a quei particolari che, se solo Adrien fosse stato più attento e soprattutto non pressato dall’urgenza dei momenti in cui era capitato lì sotto le sembianze dell’eroe parigino, avrebbero svelato molto di Marinette – persino la sua doppia identità.
   Tanto per cominciare, constatò Plagg arricciando il nasino, quella strana ragazza aveva recuperato dalla spazzatura un foglio di carta che Adrien aveva appallottolato e cestinato a scuola il giorno di San Valentino, lo stesso su cui il giovane aveva scribacchiato una poesia d’amore per Ladybug. Significava forse che Marinette era a conoscenza dei sentimenti di lui nei suoi confronti? No, dubitò Plagg, altrimenti quella sciocca non avrebbe perso tutto quel tempo a balbettare e ad arrossire davanti a lui e si sarebbe data da fare per conquistarlo con maggiore sicurezza. A quel punto, poi, non gli fu difficile fare due più due e capire che l’autrice del biglietto che conteneva la risposta a quella poesia, e che Adrien conservava gelosamente come un tesoro prezioso, era davvero Ladybug – sia pure senza la sua bella mascherina a pois.
   La cosa che però colpì più di tutte il kwami, fu il piccolo vaso di vetro chiaro posato su una delle mensole che si trovavano dietro al letto e nel quale la ragazza aveva disposto una rosa ed una margherita, gli stessi fiori che Chat Noir aveva regalato a Ladybug. Marinette li aveva immersi nella cera affinché non si rovinassero e questo, unito al fatto che li aveva voluti vicino a sé durante le ore notturne, stava a significare che doveva tenerci davvero tanto al suo collega dalle orecchie a punta. Se solo Adrien lo avesse saputo, sarebbe andato in brodo di giuggiole e sarebbe diventato ancora più melenso di quanto già non fosse normalmente. Fu questa la convinzione di Plagg, quando si rese conto che forse, a dispetto delle sue sembianze feline, a furia di tampinarla come un segugio Chat Noir era davvero riuscito a far breccia nel cuore dell’amata.
   Il rumore della botola che si schiudeva indusse il kwami a tornare in fretta lì dove Marinette lo aveva lasciato. «Ho trovato questo», disse lei, raggiungendolo e mostrandogli un piccolo involucro che aveva recuperato dal frigorifero. «Non sarà il tuo amato camembert, ma è pur sempre un formaggio.»
   Plagg lo scrutò, lo annusò e infine lo assaggiò. «Mi accontenterò di questo brie», le concesse, avventandosi sul resto del pasto che lei gli aveva procurato.
   «Non mi hai ancora detto come ti chiami», gli fece notare la ragazza, accomodandosi di nuovo davanti a lui.
   «Plagg», ruttò l’altro.
   «La mia stima per Chat Noir continua a crescere.»
   «Dovrebbe ringraziarmi, gli faccio pubblicità gratuita.»
   Stavolta Marinette gli concesse la soddisfazione di strapparle una risata. «Non gli hai detto di me, vero?»
   «Se Tikki non ti ha detto di lui, perché io avrei dovuto comportarmi diversamente?» ragionò Plagg, non capacitandosi di quella domanda inutile. «Noi kwami abbiamo degli obblighi e li rispettiamo sempre.» E questo gli rendeva onore, considerò la ragazza, continuando a studiare la creaturina intenta a leccarsi le zampine sporche di formaggio. «O preferisci che gli dica che tieni a lui più di quanto tu sia disposta a fargli credere?»
   Fu un colpo basso, perché subito Marinette scattò come una molla. «Hai curiosato fra le mie cose!» esclamò, battendo una mano sulla scrivania e facendolo sobbalzare per il contraccolpo.
   «Mi avevi raccomandato di non combinare guai, non di non guardare», replicò serafico Plagg, fissandola di sottinsù con un sorrisino da schiaffi.
   «Era implicito!»
   «Perché non glielo dici? Lo renderesti felice.»
   Quell’osservazione indusse la ragazza ad abbassare lo sguardo, svuotandola di quello spirito battagliero che l’aveva animata fino ad un attimo prima. «È che…» Esitò, ma poi si fece coraggio e confessò: «Sono innamorata di un altro ragazzo.»
   «Ne sei sicura?» La domanda di Plagg non voleva affatto essere polemica, bensì rivelatoria: Adrien era Chat Noir, dopotutto, pertanto se Marinette amava l’uno amava automaticamente anche l’altro.
   Dal momento che però lei non era a conoscenza di quella verità, interpretò le parole del kwami in modo del tutto differente, come se lui avesse voluto insinuare in lei il tarlo del dubbio circa i suoi reali sentimenti: e se, a dispetto delle sue convinzioni, Marinette fosse stata innamorata di Chat Noir anziché di Adrien?
   «Impossibile», borbottò con rabbia, serrando i pugni e piegando la linea delle labbra all’ingiù. «Sono innamorata di Adrien e di lui solamente.»
   «E allora perché non glielo dici?»
   «Fosse facile…» soffiò, rilassandosi contro il piano della scrivania e nascondendo il viso fra le braccia. Ancora intento a masticare con gusto, Plagg la scrutò con rassegnazione: quei due tonti erano davvero fatti l’uno per l’altra, pieni di sciocche insicurezze ed inutili paure. Se solo avessero saputo di avere la felicità a portata di mano…! L’amore era una faccenda troppo complicata e stupida, dal suo punto di vista. Meglio pensare a mangiare, considerò infine, tornando a dare un morso al suo pranzo.

«Sul serio ti accontenti di un paio di biscotti?»
   «A volte anche di uno solo», rispose Tikki, quasi ridendo per la reazione esagerata di Adrien a quella scoperta. La stava fissando a bocca aperta ed occhi sgranati, come se gli avesse appena rivelato la vera identità di Ladybug. «Immagino che Plagg ti faccia spendere un patrimonio in formaggio.»
   «I soldi non sono un problema», ammise il ragazzo senza apparire borioso, vista anche l’espressione ancora meravigliata che aveva in volto. «Lo è la puzza!»
   «Per lo meno, è un bravo kwami», affermò lei, cercando di spezzare una lancia in favore dell’amico.
   Vide Adrien intrecciare le braccia al petto ed assumere un’aria dubbiosa e scherzosa al contempo. «Da che punto di vista, esattamente?»
   Tikki ridacchiò allegra. «So che non è sempre facile averci a che fare, ma sa essere molto affettuoso.»
   L’altro sorrise, dandole tacitamente ragione. «Vado a prenderti quei biscotti, aspetta», disse poi, alzandosi dal divano della sua camera con l’intento di recarsi in cucina.
   «Adrien, aspetta!» esclamò il kwami, levandosi in volo e parandosi davanti a lui prima che arrivasse alla porta. «Ladybug sarà preoccupata per me, sarebbe più prudente se mi portassi subito dal Maestro Fu.»
   «Ma io non so dove trovarlo», le fece notare il giovane, mortificato. «L’unica volta che l’ho incontrato, è stato lui a venire qui da me, correndo persino il rischio di essere scoperto da mio padre.»
   «Non è un problema», lo rassicurò Tikki, sorridente come sempre. Più lo guardava da vicino, più si convinceva che non soltanto il Maestro Fu, ma persino Marinette ci aveva visto giusto: quel ragazzo era adorabile da qualunque parte lo si guardasse. E no, non soltanto per una mera questione estetica, quanto per la purezza che si poteva scorgere nel profondo dei suoi occhi verdi e per la vivacità che sembrava sprizzare da tutti i pori. «Ti spiegherò io come arrivarci, proprio come ho fatto con Ladybug.»
   Adrien allungò le mani nella sua direzione, invitandola gentilmente a posarsi su di esse. «In tal caso, lascia che prima ti offra qualcosa da mangiare per ringraziarti dell’aiuto che le dài sempre.»
   «Oh», balbettò Tikki, sentendo il cuoricino sciogliersi per la tenerezza. «Dovresti dirgliele più spesso, queste cose, sai?»
   «Non so a quanto gioverebbe…» sospirò l’altro, facendola poi accomodare in un taschino ed uscendo insieme a lei dalla propria camera. «È talmente presa dal tipo che le piace…» mugugnò perdendo il sorriso. «Tu di certo sai chi è. Dimmi, cos’ha che io non ho?»
   «Non dovresti farmi domande tanto scomode», lo redarguì con dolcezza Tikki, non riuscendo ad arrabbiarsi sul serio con lui.
   «Non ti ho mica chiesto come si chiama…» si difese Adrien, scendendo al piano di sotto. «Voglio solo sapere cos’ha più di me.»
   La voce gli vibrava al punto da lasciar ben intuire quanto la cosa gli lacerasse l’anima. Il kwami strinse le piccole labbra, conscia di non poter fare nulla per aiutare lui e Marinette a risolvere quella situazione paradossale che li vedeva innamorati l’uno dell’altra e, al contempo, rivali di se stessi. «Beh… a dire il vero, nulla», si arrese comunque a rispondere, inducendo il giovane ad arrestare il passo a metà della scalinata.
   «Intendi dire che non è più bello di me?»
   «Non lo è, no.»
   «Più alto?»
   «Nemmeno.»
   «Più forte?»
   «No.»
   «Più atletico?»
   «No.»
   «Più intelligente?»
   «No.»
   «Più sveglio, almeno?»
   «Vorrei lo fosse, ma no, neanche quello.»
   Aggrottando le sopracciglia bionde ed inarcando le labbra verso il basso, Adrien riprese a scendere i gradini. «Allora perché preferisce lui a me?!»
   Sospirando intenerita, Tikki fece spallucce. «Forse dovresti semplicemente considerare l’idea di rinunciare e di spostare la tua attenzione su qualcun’altra.»
   Di nuovo lui arrestò il passo, questa volta di colpo. «Mai!» esclamò deciso. «Nessuna può competere con Ladybug!»
   «Neanche la ragazza che ti ha regalato il portafortuna che tieni sempre in tasca come pegno d’affetto?» fu l’insinuazione del kwami che lo scosse nel profondo.
   Adrien chinò lo sguardo su di lei, fissandola con sospetto. «Come sai di Marinette?»
   «Ho notato la rivista di musica che hai in bella vista in camera tua», spiegò spiccia Tikki, senza temere di esser scoperta. «C’è la sua faccia in copertina, dietro Jagged Stone, e di recente è anche apparsa in televisione. So che ha molte foto di te in camera.»
   «D’accordo», le concesse il ragazzo, non abbassando la guardia, «ma come fai a sapere che è stata lei a regalarmi il portafortuna?»
   «Io e Ladybug ti abbiamo visto alla festa del suo compleanno, al parco, mentre gliene regalavi uno simile realizzato da te.»
   Adrien sgranò gli occhi: dopo lo scontro con Befana, Ladybug era rimasta in zona a vigilare su di loro, assistendo così alla scena? «Non avrà frainteso la situazione, spero!»
   «No, non direi», lo rassicurò Tikki, sorridendogli ancora con affetto. «Ciò non toglie che tu tenga molto a quella ragazza.»
   «Certo che sì», ammise il giovane senza indugio. «Marinette è fantastica.»
   «E, dimmi, porti sempre con te anche i regali degli altri tuoi amici?»
   Fece per parlare di nuovo, ma questa volta si trovò in difficoltà. Chiuse la mascella, si mordicchiò l’interno della bocca, e infine sospirò. «Hai mai considerato l’idea di metterti in politica?» s’interessò di sapere, facendola ridere di nuovo e riprendendo a scendere le scale, mentre dentro di sé avvertiva un non meglio definito rimescolio. Appena pochi giorni prima, anche Plagg aveva insinuato che lui avesse una cotta per Marinette, ma Adrien era certo che le cose non stessero così: per quanto meravigliosa potesse essere lei, nel suo cuore non poteva esserci che Ladybug.

Marinette non vedeva l’ora di riconsegnare Plagg al suo legittimo proprietario. Non perché lo trovasse davvero fastidioso, quanto perché sulla strada che li stava conducendo dal Maestro Fu, quell’ingordo aveva preteso che lei si fermasse in un negozio di generi alimentari per poter finalmente avere un po’ di camembert. Certo non sarebbe stato comunque di ottima qualità come quello che gli forniva sempre Chat Noir, si preoccupò di farle sapere, ma per quella volta avrebbe potuto soprassedere.
   «Grazie per la concessione», rispose Marinette, uscendo dal minimarket e tappandosi il naso mentre infilava il pezzo di formaggio nella borsetta. «Povera Tikki…» osservò poi, seriamente dispiaciuta. «Spero non la prenderà a male quando scoprirà che il suo rifugio segreto è diventato puzzolente quanto un caseificio. Laverò la borsa non appena tornerò a casa.»
   «Avresti dovuto farlo comunque», replicò Plagg, la bocca piena di morbida pasta salata. «Qui ci sono ancora briciole di biscotti.»
   «Erano quelli che le avevo dato stamattina, mentre eravamo al parco», spiegò la ragazza, sperando che nessuno facesse troppo caso a lei, intenta com’era a parlare apparentemente con se stessa. «Con te che mi sei capitato fra i piedi all’improvviso, non ho avuto il tempo di fare niente.»
   «Ti ricordo che sei stata tu a rapirmi», le rinfacciò l’altro.
   «Cosa?!» gracchiò Marinette, fermandosi nel bel mezzo del marciapiede e agguantando la borsetta per fissare negli occhi quella piccola peste. «Ripetilo, se ne hai il coraggio!»
   Plagg mandò giù il boccone. «Non credo tu stia facendo una bella figura, in questo momento.»
   Costretta a dargli ragione, sia pur di malavoglia, lei ingoiò la rabbia e si fece ricadere la tracollina sul fianco, riprendendo a camminare ed ignorando gli sguardi dei passanti che sicuramente l’avevano presa per matta. «Meno male che siamo praticamente arrivati, se no…» Lasciò volutamente la frase in sospeso e fu una fortuna, perché dalla direzione opposta alla sua stava sopraggiungendo qualcuno che lei conosceva fin troppo bene.
   «È quel portone lì», stava dicendo Tikki al suo nuovo amico, proprio un attimo prima che i suoi occhioni azzurri si posassero su Marinette. Corse a nascondersi dentro il taschino della giacca di Adrien, inducendo quest’ultimo a chiedersi cosa fosse mai successo. Il giovane alzò lo sguardo sulla strada e si fermò di scatto, imitato subito dalla compagna di classe, proprio davanti all’abitazione del Maestro Fu.
   «A-Adrien… che sorpresa…» balbettò la ragazza, felice e preoccupata al tempo stesso per quell’incontro fortuito. Nessuno doveva sapere dei suoi legami con l’anziano guardiano dei miraculous, benché lui vivesse sotto mentite spoglie.
   «Già…» ridacchiò Adrien, nervoso per quell’inconveniente – per quanto piacevole potesse essere in realtà. «Anche tu qui per una passeggiata?»
   Marinette avrebbe potuto – e voluto – dirgli di sì, approfittando della cosa per affiancarsi a lui e fare un giro insieme, così da recuperare il tempo perso quella mattina per colpa dell’incidente avvenuto al parco. Le sue responsabilità, però, la richiamavano al presente, strappandola alle solite fantasie romantiche che sgomitavano per prendere il sopravvento come al solito. Abbozzò un sorriso. «Eh… no, in realtà… ehm… Sono qui per un massaggio», buttò lì, ricordandosi quale fosse la copertura del Maestro Fu. Vide Adrien spaesato per quella sua affermazione e si affrettò ad aggiungere, perdendo, com’è ovvio, la lucidità mentale: «Non perché io sia una vecchia piena di reumatismi, in realtà sto più che bene! Una fanciulla nel fiore degli anni! È solo che… sai, stamattina, nella calca, sono caduta e ho battuto la spalla destra a terra e ora mi fa male.» Nel dirlo, mise la mano sulla spalla sinistra ed iniziò a ruotare il braccio.
   Pur perplesso per quell’incongruenza fra parole e azioni, il giovane fece buon viso a cattivo gioco: dopotutto, il suo obiettivo era quello di dribblare la presenza dell’amica per raggiungere il Maestro Fu senza ulteriori intoppi. «Mi dispiace per la tua spalla… spero guarisca presto» iniziò, comunque dispiaciuto sul serio per lei. «In realtà io passavo per caso da queste parti e mi sono ricordato che qui abita monsieur Chan, uno dei miei insegnanti di cinese», spiegò con fare sicuro, forte del fatto che non fosse del tutto una bugia. «Così ho pensato di passare da lui per chiedergli una cosa che non ho capito bene durante l’ultima lezione.»
   «Oh, capisco», disse la ragazza, non dubitando neanche per un secondo delle sue parole. «Non ti trattengo, allora.»
   «Né io trattengo te», replicò l’altro. «La tua spalla è senza dubbio più urgente.»
   «Allora… ci vediamo domani a scuola.»
   «Certo, buona serata.»
   «Grazie, anche a te.»
   In barba a quello scambio di saluti, nessuno dei due si spostò di un centimetro. Imbarazzati, ridacchiarono nervosamente rifuggendo l’uno lo sguardo dell’altra. Infine, decisi a trarsi d’impaccio, si mossero nello stesso istante, bussando insieme al citofono del Maestro Fu. Stupiti e allarmati, tornarono a guardarsi, la punta delle dita ancora pressate l’una sull’altra, almeno fino a che la voce dell’uomo non irruppe fra loro, invitandoli ad entrare.
   «Non… sapevo che monsieur Chan facesse anche i massaggi…» cercò di capirci qualcosa Adrien, mentre saliva con Marinette verso l’appartamento del guardiano.
   «Ah, davvero?» farfugliò la ragazza, spaesata almeno quanto lui. «Io invece non sapevo che desse anche lezioni di cinese…» Quante coperture aveva, il Maestro Fu? Soprattutto, come avrebbe fatto ad esporgli il proprio problema in presenza di Adrien?
   Quei dubbi più che legittimi li accompagnarono fino alla soglia d’ingresso, dove trovarono ad accogliergli il padrone di casa. I suoi piccoli occhi a mandorla brillavano per la curiosità, mentre sulle sue labbra spiccava un sorriso sornione. «Adrien… Marinette… Qual buon vento?» domandò, guardandoli dal basso della propria statura e lisciandosi la barbetta grigia. Era chiaro come il sole che quella situazione lo divertisse parecchio.
   «Ho bisogno di un massaggio», rispose telegrafica la ragazza, sperando che lui cogliesse il vero significato di quella frase.
   «Ed io di una spiegazione extra sull’ultima lezione di cinese», disse invece il giovane, mostrandosi per una volta più insicuro della propria amica, molto più avvezza di lui ad avere a che fare con l’anziano guardiano dei miraculous.
   Ridendosela sotto ai baffi per quella situazione delicata e al limite del ridicolo, l’uomo annuì e fece loro cenno di entrare in casa. «Vi preparo un po’ di tè.»
   «Cosa…?» si lasciò scappare Marinette, presa alla sprovvista. «No, aspetti! È… È urgente!»
   «Lo è anche la mia domanda!» le diede man forte Adrien, benché gli paresse brutto mettersi davanti persino alla spalla sofferente dell’amica.
   Agitati com’erano, nessuno dei due si accorse del guizzo magico che comparve attorno a loro e che indusse il Maestro Fu ad aprire le labbra in un sorriso più marcato. «Sono certo che i vostri affanni non sono poi così urgenti», commentò con fare sibillino, voltando loro le spalle e dirigendosi verso la cucina. «Accomodatevi, si risolverà tutto senza problemi.»
   Cosa stavano a significare, quelle parole? Fu questo che si domandarono i ragazzi, vedendolo sparire alla loro vista. Il guardiano aveva già capito quale fosse il loro vero problema? Se sì, come aveva fatto? Il kwami che avevano perso si era forse già recato da lui in attesa di essere riconsegnato al legittimo proprietario? In tal caso, dovevano affrettarsi a lasciare lì quello del proprio collega.
   Scambiandosi uno sguardo furtivo e dandosi timidamente la schiena a vicenda, Marinette schiuse la borsetta, mentre Adrien aprì appena il lembo della tasca in cui si era rifugiata Tikki. Con sua enorme sorpresa, però, al posto della creaturina rossa vi trovò il suo amico dalle orecchie a punta che ancora smozzicava il camembert appena comprato. Meravigliato e felice come un bambino, tirò finalmente un sospiro di sollievo. Anche Marinette riacquistò il sorriso non appena si accorse che l’eccentrico Plagg aveva lasciato il suo posto alla piccola Tikki, alla quale la ragazza subito riservò un’affettuosa carezza con la punta di un dito.
   Tutto era tornato alla normalità, per fortuna, ed entrambi i ragazzi furono liberi di rilassarsi. Al punto che, quando il Maestro tornò da loro, si accomodarono tutti e tre attorno al tavolo senza più muovere alcuna protesta, l’umore decisamente risollevato.












Non vi si può davvero nascondere nulla. Ammetto comunque che era abbastanza prevedibile che Adrien avesse trovato Tikki al posto di Plagg. Credo che fosse un confronto necessario, fra i quattro, perché questo potrebbe aiutare i nostri due prosciuttini a riflettere su determinate cose. Spero di cuore che prima o poi avvenga anche nella serie. ç_ç
A parte questo, mi scuso se non ho ancora risposto ai vostri messaggi, correrò a farlo ora! Il punto è che al lavoro ho ripreso col botto e con le sostituzioni, quindi ho ancora meno tempo di prima, sigh. E temo che a partire da settembre ne avrò ancora meno! @_@ Non mi arrendo, comunque, ormai è una sfida che voglio portare a termine. Le idee ci sono, la voglia anche. È il tempo che manca e, quando c'è, ci si mettono di mezzo gli imprevisti. Sospetto che ci sia un complotto.
Ad ogni modo, vi ringrazio di cuore per essere ancora qui a leggere, con la speranza che sia questo che i prossimi capitoli continuino ad entusiasmarvi ancora.
Buona domenica! ♥
Shainareth





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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***





CAPITOLO SESTO




«Quindi sei stata tutto il tempo con Chat Noir?»
   Quando Tikki la tranquillizzò su quanto accaduto al parco, quando si erano perse di vista, Marinette se ne stupì non poco. Erano rimaste dal Maestro Fu per un po’, almeno fino a che Adrien non aveva ricevuto una telefonata da suo padre che gli intimava di tornare subito a casa. A quel punto, dopo aver chiesto al suo insegnante quando avrebbero potuto rivedersi, si era rivolto a Marinette. «Ti offrirei un passaggio, ma so che devi ancora farti massaggiare la spalla.»
   Un invito del genere avrebbe fatto gola a qualunque sua fan, pertanto la ragazza aveva esitato nella risposta da dargli, divisa fra la bugia detta per giustificare la sua presenza lì e la voglia matta di accettare la proposta di Adrien. Era stato dunque il Maestro Fu a decidere per lei, adoperandosi subito per farle un breve ma efficace massaggio in attesa che l’autista degli Agreste arrivasse in zona. Marinette era stata felice di quella soluzione, tuttavia sentiva ancora un lieve senso di disagio, come se avesse comunque preferito raccontare all’uomo quanto accaduto quel giorno. Solo adesso che era tornata a casa, nel segreto della sua camera, la ragazza aveva finalmente modo di parlarne in piena libertà con Tikki.
   «È stata davvero una bella coincidenza», osservò, sfilandosi la maglietta per prepararsi per la notte. «Lui ha trovato te, io ho trovato il suo kwami. Significa che anche Chat Noir era al Parc des Buttes-Chaumont, questa mattina. Fortuna che non conosciamo le nostre rispettive identità, altrimenti, se mi avesse vista con Adrien, sarebbe stato alquanto imbarazzante.»
   Seduta sulla scrivania con un sorrisetto divertito sulle labbra, Tikki seguiva ogni suo movimento. «Forse», convenne con lei, pur in tono vago. «Però devi ammettere che sarebbe stato un buon modo per far aprire gli occhi ad uno dei due.»
   Marinette fermò a mezz’aria il braccio con cui si stava spazzolando i capelli e si volse a fissarla. «Sei matta?» annaspò, inorridita all’idea. «Non sarebbe servito a nulla comunque. Adrien non prova interesse per me», mormorò scoraggiata, abbassando lo sguardo. Benché ne fosse più che consapevole, ogni volta che doveva ammetterlo a voce alta le sembrava che le si spezzasse qualcosa dentro. «E poi… Chat Noir è arrabbiato con lui, credo. Lo conosci, quando si indispettisce diventa davvero intrattabile.»
   «Puoi dargli torto per tutte le volte che si è arrabbiato?»
   Tikki aveva omesso un con te, che tuttavia rimbombò forte e chiaro nella testa della ragazza. «Beh… in questo caso sì, perché non è colpa mia se sono innamorata di Adrien, anche se lui non prova nulla per me.»
   «Hai ragione», ammise il piccolo kwami, concordando in realtà solo in parte. «Non sempre le cose vanno come vorremmo. Il più delle volte, però, la felicità è soltanto ad un passo da noi, anche se non riusciamo a capirlo.»
   L’altra riprese a spazzolarsi i capelli lisci in silenzio, osservando allo specchio la propria immagine, senza tuttavia vederla realmente. Non sapeva dire se le parole della sua amica nascondessero o meno un significato recondito, ma dentro di sé suonarono davvero come tali, quasi come se Tikki le stesse consigliando di smetterla di sbattere la testa contro il muro e di cambiare strada, assicurandosi così meno lacrime e più sorrisi. Non era così semplice. Anzitutto perché l’amore non era un sentimento che poteva essere comandato; no, peggio, nessun sentimento avrebbe mai potuto obbedire alla ragione, e pertanto, per quanto si fosse sforzata, Marinette non sarebbe mai riuscita a mettere da parte ciò che provava per Adrien e voltare pagina, magari grazie anche all’aiuto di qualcun altro – che fosse Chat Noir o persino Luka non aveva poi davvero importanza. Non credeva nel detto chiodo schiaccia chiodo, perché riteneva che fosse solo un sporca bugia, un modo per negare a se stessi la cruda realtà, fingendo che il dolore non esistesse e consolandosi con una gioia effimera che probabilmente avrebbe portato soltanto ad altre lacrime – magari non sue, ma pur sempre lacrime.
   Posò la spazzola accanto al lavandino e attraversò la stanza, misurandone con passi lenti la lunghezza fino alla scrivania. La sua attenzione si posò sul monitor del computer lasciato acceso prima di cena e i suoi occhi percorsero la figura di Adrien, ritratta sul salvaschermo. Ovunque, in quella camera, aleggiava il volto di lui: sulle pareti, sullo specchio, sull’armadio, persino sotto al letto. Adrien ormai lo sapeva e non vi aveva neanche dato troppo peso, reputando la cosa come il normale comportamento di una semplice fan. Lei, però, non era soltanto quello. Lo stesso giovane sapeva di poter trovare in lei anche un’amica fidata. Eppure Marinette era molto di più.
   Si lasciò cadere stancamente sulla sedia e sbuffò. «Tikki, sii onesta…» La creaturina alzò il viso verso di lei. «Tu la pensi come Alya? Voglio dire… credi che ognuno di noi viva l’amore in modo diverso? O pensi piuttosto che…» Tentennò. Prese fiato. Parlò ancora. «…ciò che provo per Adrien sia semplice ossessione? Qualcosa di molto più simile a quello che una ragazzina della mia età prova solitamente per un divo del cinema o per un cantante famoso?»
   Tikki si mosse nella sua direzione e si soffermò davanti al suo naso, frapponendosi fra lei e la figura del giovane che dominava il monitor del computer. «Solo tu puoi sapere esattamente ciò che provi», rispose con un sorriso colmo di tenerezza tutto per lei. «Di una cosa, però, sono più che certa: amore o non amore, tu e Adrien vi volete un bene dell’anima e vi fidate ciecamente l’uno dell’altra.» E questo era vero, pensò Marinette, schiudendo le labbra con aria stupita e curiosa al tempo stesso. «Il rapporto che hai con lui può forse essere paragonato a quello che hai con qualcun altro? Che so, con Nino?»
   «Beh, no…» balbettò la ragazza, cercando di seguire il suo discorso. «Voglio bene a Nino, è mio amico, ma…»
   «…manca l’attrazione fisica.»
   «Esatto. E non solo quella.»
   «Quindi… ciò che provi per Adrien può essere paragonato a ciò che provi per Luka?»
   Marinette arrossì e abbassò lo sguardo. In tutta onestà, il fratello di Juleka le piaceva molto, al punto da averla mandata in confusione proprio nel momento in cui lei si era sentita più vulnerabile a causa dello sconforto provato per l’assenza di Adrien e la sfiducia nella possibilità di riuscire a costruire qualcosa di concreto con lui. «È… diverso», rispose dopo qualche attimo, pur con voce incerta.
   «In cosa?» la incalzò Tikki, senza abbandonare il tono dolce.
   Costretta a farsi l’ennesimo esame di coscienza e ad analizzare una situazione sentimentale tutt’altro che lineare, Marinette si arrese ad essere sincera fino in fondo. «Quando sono con Adrien, non penso mai a Luka.»
   «E quando Adrien non c’è?»
   Quasi le venne da ridere. «Tikki, guardati attorno… Vivo praticamente in una camera in cui Adrien è il re indiscusso.»
   «Quindi la cosa non cambia: sei attratta da Luka, ma il tuo cuore resta fedele ad Adrien.» Non avrebbe saputo definirlo meglio, convenne Marinette, annuendo a quell’affermazione. «Mi spieghi, allora, dov’è il problema?»
   Fu quella la domanda che riaprì la ferita aperta alcune sere prima da quella dannata quanto rivelatrice citazione letta online. «Ho… paura che non sia vero amore», si lasciò sfuggire ancora una volta. «Io… sto bene in compagnia di Adrien. Oggi ne ho avuta la conferma. Però… a volte non penso in modo lucido e…» Sospirò, passandosi stancamente una mano sul viso. «Forse Alya ha ragione a dire che dovrei passare più tempo con lui. Potrebbe servire a farmi abituare alla sua presenza e a fare maggiore chiarezza sui miei sentimenti.» Soprattutto alla luce di un’altra conferma che aveva avuto da poco e che la spinse ad alzare di nuovo lo sguardo sull’amica e a domandare con un filo di voce: «Cosa… Cosa ti ha detto, Chat Noir…?»
   Tikki si lasciò andare ad un sospiro intenerito. «Quindi è lui, il vero rivale di Adrien?»
   Avvampando più di prima, Marinette negò con forza, agitando il capo e le mani davanti a sé. «Vuoi scherzare?! Sono solo curiosa!»
   «Ah-ah», le diede corda il kwami, ridacchiando divertita. «È comunque strano che tu lo abbia nominato proprio nel bel mezzo di un discorso riguardante i tuoi sentimenti più intimi.»
   «Sai cosa?» si stizzì l’altra, non sentendosi affatto pronta ad affrontare quella verità fin troppo scomoda. «Non mi importa affatto. Mi basta sapere che ti ha trattata bene.»
   «Molto di più», le assicurò Tikki, iniziando a svolazzarle incontro quando Marinette si adoperò per spegnere il computer e si mosse per raggiungere il letto. «Mi ha persino ringraziata per tutto ciò che faccio per te.» Quella rivelazione ridestò l’attenzione della ragazza, che rallentò i movimenti senza rendersene conto, ponendosi all’ascolto con maggior interesse. «È davvero un bravo ragazzo, dolce e corretto. Si preoccupa sinceramente per te.»
   «Questo lo so già», bofonchiò, arrampicandosi sulla scala del soppalco e salendo ai piedi del letto per gattonarci sopra. Quando raggiunse il capezzale, il suo sguardo si soffermò inevitabilmente sui fiori che il giovane le aveva regalato. Tikki le aveva fatto notare che, al di là di tutto, lei e Adrien si volevano un bene dell’anima e si fidavano l’uno dell’altra. Su questo Marinette non poteva certo ribattere, però… Vale lo stesso per me e Chat Noir, concluse fra sé, prendendo coscienza di quanto il suo rapporto con il suo partner non differisse poi troppo da quello che aveva con il ragazzo che asseriva di amare. Con una differenza: se con Adrien c’era una grande attrazione fisica, con Chat Noir c’era una complicità che Marinette non era ancora riuscita a trovare altrove. Era forse quest’ultima a darle quella sicurezza che le riscaldava il cuore?
   «Marinette…» La vocina di Tikki la riportò al presente. «È inutile pensarci ora, specie prima di dormire. Il tempo sistemerà ogni cosa, vedrai.»
   Si concesse finalmente un sorriso. «Sì, hai ragione.»

«Dimenticati di lei», fu ciò che Plagg consigliò di cuore ad Adrien quando venne fuori l’argomento. Sebbene fossero ormai le dieci di sera, il giovane si era appena liberato dagli impegni di quella domenica, rimandati a causa del pomeriggio passato fuori. E ora i due erano lì, seduti sul letto, l’uno di fronte all’altro, a fare il punto della situazione.
   Il sorriso che aveva abbellito il volto di Adrien nel sapere che Ladybug si era presa cura del suo kwami si spense di colpo e lui parve spaesato. «Cosa…?»
   «In casa aveva solo del brie, e il camembert che mi ha comprato dopo era di qualità scadente», insistette la creaturina, seriamente frustrata per non essere riuscita a nutrirsi a dovere, quel giorno. «Nulla a che vedere con quello eccellente che mi dài sempre tu.»
   «E che costa una barca di soldi», non si trattenne dal commentare Adrien, indispettito per quelle motivazioni tutt’altro che valide. «Come puoi giudicare una persona solo in base al formaggio che ti dà da mangiare?»
   «Ha provato pietà per te», infierì ancora Plagg.
   Il ragazzo s’irrigidì, non sapendo bene come prendere quella informazione. «Perché…?» domandò, la voce che tradiva una certa ansia.
   «Si è lamentata di me», borbottò il kwami, stringendo al petto la fetta di camembert che aveva fra le zampine.
   «Comprensibile», sbuffò seccato l’altro, tirando un sospiro di sollievo e reprimendo l’impulso di spingerlo all’indietro con una schicchera. «Spero tu non l’abbia infastidita troppo.»
   «Ma se sono un angelo!»
   «Non farmi più prendere certi spaventi.»
   «C’è dell’altro, comunque.»
   «Cosa?» lo provocò Adrien, incrociando le braccia al petto e fissandolo dall’alto con ostentato scetticismo. «Ha osato dire che hai dei pessimi gusti? Fattene una ragione, è un dato di fatto.»
   Plagg schioccò la lingua sotto al palato con fare stizzito. «Non essere blasfemo», ribatté in tono asciutto. «Quella donna è pericolosa.»
   «Seh, certo.»
   «È matta, ti dico.»
   «Ah-ah, ti credo, guarda.»
   «È una stalker professionista.»
   Quella notizia indusse Adrien ad inarcare un sopracciglio biondo. «Stalker?» non si trattenne dal ripetere. Plagg annuì, serio come non mai. Il suo portatore non poteva saperlo perché probabilmente non ci aveva fatto caso, ma oltre ad essere tappezzata di fotografie che lo ritraevano, in camera di Marinette c’erano il foglio con la poesia che lui le aveva inconsapevolmente dedicato a San Valentino, e che lei aveva recuperato dal cestino dei rifiuti a scuola, e persino un enorme tabellone su cui la ragazza si era preoccupata di annotare ogni singolo impegno di Adrien, così da sapere sempre cosa lui stesse o non stesse facendo. Quest’ultima cosa, in effetti, era alquanto preoccupante, e benché Plagg si fosse ripromesso di mantenere certi segreti, voleva almeno mettere in guardia il suo amico dai pericoli che rischiava di correre.
   «Stai mentendo.»
   «Giuro di no. Ha una vera e propria ossessione per il tipo che le piace.»
   Adrien avvertì un rimescolio alla bocca dello stomaco. «Sul serio?»
   «Molto più di quanto tu ce l’abbia per Ladybug. Credo che lo idolatri quasi come se fosse una divinità.»
   «Non… Non è possibile», stabilì il giovane, sempre più nervoso. «Ladybug è una persona con la testa sulle spalle, non potrebbe mai cadere così in basso.»
   «Cambia obiettivo, dài retta a me», gli consigliò ancora Plagg, sinceramente preoccupato per lui. «Sei un modello di fama mondiale, le ammiratrici non ti mancano. Puoi sempre uscire con una di loro. O anche due o tre.» Questa volta la schicchera fra gli occhi gli arrivò davvero e lui ricadde all’indietro, abbracciato alla sua forma di camembert. «Ahio!» esclamò piccato. «È così che mi ringrazi?!»
   «Stai dicendo un mucchio di assurdità», rimbeccò Adrien, incapace di credere a ciò che aveva appena sentito. «Non potrei mai uscire con una ragazza, che neanche conosco, solo perché mi trova bello… figurarsi frequentarne più di una allo stesso tempo! Per chi mi hai preso?!»
   «Dimenticavo che sei un romanticone…» soffiò il kwami, rialzandosi a sedere e arrendendosi all’idea che Adrien non avrebbe mai mollato l’osso. «Se una fan qualunque non ti va bene, puoi sempre spostare la tua attenzione su Marinette.» Che era Ladybug e quindi rimaneva pur sempre una stalker, ma almeno Adrien era appena stato messo sul chi va là riguardo alle stranezze delle donne, no? E poi, sì, stravaganze a parte, Marinette era comunque una brava ragazza, onesta e di buon cuore. L’ideale per lui.
   «Di nuovo con questa storia?» si lamentò il giovane, lasciandosi cadere sul materasso, le gambe stese e le braccia larghe ai lati del corpo. Puntò gli occhi all’alto soffitto e perse ogni voglia di parlare, soprattutto perché, quando Tikki gli aveva fatto notare che Marinette aveva un posto speciale nel suo cuore, lui non era stato in grado di ribattere. Era davvero tanto strano avere una simpatia così marcata nei confronti di una persona del sesso opposto al suo? Al punto da essere necessariamente vista con malizia? L’amicizia che era riuscito infine ad intessere con Marinette era sacra e lui davvero non voleva sporcarla in alcun modo, neanche per sbaglio. E poco importava se quella volta, durante le prove del videoclip, si era lasciato prendere dalla situazione e dall’enorme somiglianza di lei con Ladybug; non poteva credere in alcun modo che fosse capace di tenere il piede in due scarpe: amava la sua partner e lei solamente. Il suo kwami però non lo capiva e a quanto pareva neanche Tikki, che oltretutto lo conosceva ancor meno di Plagg.
   Di contro, cresciuto in quella gabbia dorata che era la villa di suo padre e per nulla avvezzo alle relazioni con i propri coetanei, Adrien doveva ammettere di avere ancora difficoltà a capire alcune cose, anche ora, a distanza di diversi mesi. L’amore, poi, era una questione complicata e delicata al tempo stesso, qualcosa che non aveva mai provato in vita sua se non quando Ladybug lo aveva abbagliato con la sua forza d’animo ed il suo ingegno.
   Abbagliato…
   Quel pensiero lo indusse a tirarsi su a sedere, la fronte corrucciata e lo sguardo ombroso. Doveva parlarne con qualcuno che non fosse Plagg. Qualcuno che provasse i suoi stessi sentimenti, qualcuno capace di capirlo per davvero.

Ricevere quel messaggio da parte di Adrien era stato il miglior buongiorno del mondo. Si era perciò preparata con cura, concedendosi una lunga doccia e la libertà di indossare un vestito grazioso, benché sapesse che, una volta arrivata sul set, avrebbe dovuto cambiarsi per sfilare con i modelli di Gabriel Agreste. Si sentiva bene, era felice, come se tutti i pensieri dei giorni passati fossero solo un brutto ricordo. Dopotutto, non stava forse facendo dei passi da gigante con Adrien?
   Uscì di casa e si recò sul luogo dell’appuntamento, in una via a pochi isolati dal negozio dei suoi genitori. Si era domandata perché mai Adrien avesse voluto incontrarla lì anziché in un posto più pratico, come davanti la scuola o al parco lì vicino, che a conti fatti separava la sua abitazione da quella di lui. Quando Marinette giunse a destinazione si fermò all’incrocio, ma non vide nessuno. Proseguì per alcuni metri e, nel traffico e nel viavai di persone, continuò a cercare la figura di Adrien. Poi lui la chiamò e lei si volse, riempendosi gli occhi con la sua immagine e sentendosi scoppiare dalla gioia.
   «Scusa se ti ho fatta venire fin qui», le disse, un sorriso adorabile tutto per lei. «Ma ci tenevo ad incontrarti nel luogo in cui ci siamo conosciuti.»
   La ragazza, che aveva già aperto la bocca per rispondere, si rese conto solo dopo qualche istante di ciò che lui aveva appena affermato. «Noi… ci siamo conosciuti a scuola», lo corresse, la voce esitante. Si era forse persa qualche pezzo per strada? «Ricordi? La gomma da masticare… ed io che ero arrabbiata con te… A proposito, ancora scusa per averti giudicato male.»
   «È una cosa che fai spesso», le rinfacciò il giovane, una leggera smorfia in volto. Lei s’irrigidì, avvertendo una stilettata al petto. Lo vide infilare le mani in tasca e volgere lo sguardo altrove. «Non ti soffermi granché a riflettere sul fatto che magari la gente si comporta in un determinato modo per dei motivi che non puoi sapere. O magari lo fa perché tende a nascondere qualcosa di sé, una ferita o un animo sensibile, timido, riservato.»
   Facendosi un bell’esame di coscienza, Marinette abbassò le ciglia sul viso, il sorriso e il buon umore ormai svaniti. Non sapeva la ragione per cui Adrien le stesse rivolgendo quelle accuse, ma non poteva contraddirlo in alcun modo. Aveva spesso mal giudicato qualcuno, senza interrogarsi sul passato o senza interessarsi di conoscere davvero quella data persona. «Mi… dispiace», fu tutto ciò che riuscì a dire, sentendosi mortificata.
   «Non ha importanza», rispose lui, inducendola ad alzare di nuovo il viso e lasciandola impietrita: quello che aveva di fronte non era Adrien, bensì Chat Noir. «Non per me», precisò l’eroe, muovendosi nella sua direzione e fissandola con due occhi che sembravano sondarle l’anima. «Ora che sai ciò che sento per te, so che non potrai più sottovalutare le mie parole», continuò, fermandosi ad un passo da lei. Marinette rimase immobile, subendo tutto il peso della sua presenza e dei sentimenti che lui le stava comunicando con il solo sguardo. Chat Noir sollevò il braccio e le sue dita artigliate le sfiorarono il viso con una carezza gentile, soffermandosi poi sulle labbra che di colpo presero a scottare come carboni ardenti sotto al suo tocco. «O i miei gesti», vi soffiò sopra il giovane, prima di chinarsi su di lei per ghermirle con le proprie, facendole dono di un bacio tenero e appassionato al tempo stesso, qualcosa capace di accenderle l’anima, di farle scoppiare letteralmente il cuore.
   Marinette aprì gli occhi di scatto e fu investita dal buio che regnava nella camera, il battito cardiaco che pareva impazzito e una sensazione di calore diffuso in tutto il corpo, che sembrava volerle far ribollire le viscere. Un sogno. Era stato solo un sogno. Lo realizzò con qualche attimo di ritardo a causa dello stordimento che le aveva procurato quella maledetta, conturbante sensazione di piacere. Il suo cuore la condannava, il suo corpo ne era uscito meravigliosamente stravolto.
   Se si fosse trovata davvero in una situazione simile, Chat Noir non si sarebbe mai azzardato a baciarla, né lei glielo avrebbe permesso. Eppure nel suo sogno era accaduto e Marinette aveva lasciato che lui la sconvolgesse con la sua passione e con il suo amore. Aveva giocato con i sentimenti di Chat Noir, in quel sogno? O aveva infine deciso di abbandonarsi a lui? Peggio ancora, che fine aveva fatto, Adrien? Perché era stato del tutto soppiantato dalla figura del giovane mascherato? Sarebbe andata davvero a finire così? Avvertendo le ciglia inumidirsi per il pianto imminente, affondò il viso nel cuscino nella speranza di soffocare quell’opprimente senso di vergogna che aveva iniziato a divorarla dall’interno, facendola sentire sporca e orribile. Sebbene fra le braccia di Chat Noir si sentisse davvero protetta e al sicuro, non poteva e non voleva credere che le sensazioni provate in quel sogno potessero divenire reali.

Non appena entrò in classe, Adrien si accorse che c’era qualcosa che non andava. Come una nota stonata, qualcosa che lo faceva sentire inquieto. Lo realizzò nel momento esatto in cui il suo sguardo si posò su Marinette. Seduta al suo posto con gli occhi fissi sul banco vuoto, la ragazza neanche si accorse del suo arrivo né pareva far caso all’allegra battaglia di palle di carta che si stava svolgendo alle sue spalle, fra gli altri loro amici, e che di tanto in tanto finiva per coinvolgerla senza che lei muovesse muscolo per rispondere a quegli attacchi innocenti. Non era certo quest’ultima cosa ad impensierire Adrien, bensì il fatto che Marinette non stesse sorridendo: eccola lì la nota stonata, quel qualcosa che lo spiazzava e lo rendeva irrequieto. Cosa le era capitato? Aveva litigato con i suoi genitori? Con Alya? Con il ragazzo che le piaceva? O si era semplicemente dimenticata di fare i compiti?
   D’istinto, mosse un passo nella sua direzione e schiuse le labbra per chiamarla, ma si fermò quando Alya sedette accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio, scuotendola con una battuta che finalmente riuscì a strapparle una reazione. Forse Marinette aveva solo bisogno della sua migliore amica, pensò Adrien con un pizzico di sana invidia, lieto per lo meno che la ragazza potesse contare sull’appoggio di qualcuno. Alya era in gamba e sicuramente l’avrebbe aiutata, concluse fra sé il giovane, sentendo di colpo la preoccupazione dimezzarsi.
   «Tutto bene, amico?» Spostò la propria attenzione su Nino, che si era preso una pausa dalla battaglia di palle di carta e, tutto affannato, adesso appoggiava il peso del corpo sul banco. «Sei entrato in classe con un’espressione tetra. Di’, per caso hai sognato di essere divorato da un croissant?»
   Adrien stese la bocca in un sorriso sghembo, assumendo la tipica espressione del gradasso pronto a vantarsi delle proprie imprese. «L’avrei divorato per primo, credimi.»
   «Sicuro che ti credo», affermò Nino, sedendo al suo posto. «Ho visto come ti accanisci sui dolci, fai paura.» L’altro rise e si accomodò accanto a lui, battendogli il pugno. «Sei libero nel pomeriggio?»
   «No, ovviamente», sospirò, scuotendo il capo con aria rassegnata ma senza perdere il sorriso. «Però ho tempo prima della lezione di scherma, quindi se ti va possiamo fare un giro insieme.» Nino annuì, contento di poter passare del tempo con il proprio migliore amico, e Adrien fu ancora più entusiasta di lui al riguardo: sarebbe stata l’occasione perfetta per chiedergli un consiglio su ciò che lo aveva lasciato pensieroso fino a tarda ora, la sera addietro.
   Occhieggiò alle proprie spalle e vide Marinette che, rossa in volto, cercava di glissare le domande che Alya le rivolgeva nel tentativo di capire cosa diamine le fosse successo per indurla a presentarsi a scuola con quell’espressione da cane bastonato. «È successo qualcosa al parco, ieri?»
   «No, cioè… sì…» balbettò Marinette, ricordandosi del tentato suicidio di quel tipo che si era arrampicato sulla rete di protezione del pont des Suicidés e l’aveva scavalcata minacciando di buttarsi nel vuoto.
   Alya spostò lo sguardo su Adrien, inchiodandolo sul posto. «Che le hai fatto?»
   «Cos…?!» annaspò lui, sbiancando per quell’accusa del tutto inaspettata.
   «No!» intervenne subito Marinette, agitandosi come se sotto al fondoschiena avesse avuto dei chiodi. «Adrien non c’entra!» E non appena vide Alya smettere il cipiglio corrucciato, si accorse di una cosa importante. Abbozzò un sorrisetto incerto e si riavviò una ciocca di capelli dietro all’orecchio, rifuggendo gli sguardi degli altri. «A proposito… Buongiorno, Adrien.»
   Il giovane si rilassò e quasi rise. «Buongiorno a te», rispose con aria divertita, divorandola con gli occhi. Quanto sapeva essere buffa, quella ragazza? E poi si meravigliavano se lui l’adorava…
   «Allora che è successo?»
   «Al parco, dici?» tergiversò ancora Marinette, sviando il discorso sul suo malumore. «Ci siamo persi. No, cioè… mentre eravamo sul pont des Suicidés qualcuno ha cercato di buttarsi giù.»
   «Diavolo, è terribile!» esclamò Nino, impressionato da quella notizia. «È vivo, spero.»
   «Credo di sì…»
   «Pare siano intervenuti in tempo per salvarlo», raccontò allora Adrien, benché non avesse visto di persona quanto accaduto dopo che lui e Marinette erano corsi via da lì.
   «Meno male…» commentò Alya, lieta che quella giornata di gioia non fosse finita in tragedia per i suoi amici. «E il servizio fotografico? È andato bene?»
   «Erano solo scatti di prova», spiegò il giovane, ricordandosi solo in quel momento di non aver ancora riferito a Marinette la buona notizia. Le rivolse un nuovo sorriso, capace di farle battere il cuore più forte. «A mio padre sono piaciuti e pensa che tu abbia il fisico adatto per mettere in risalto la nuova linea d’abbigliamento.»
   Lei spalancò la mascella, incredula per quel colpo di fortuna. «Sul serio?!» Adrien annuì. «Non pensa che io sia troppo bassa?!»
   «Tutt’altro», la rassicurò lui, incurante di nascondere l’entusiasmo per la questione – cosa che indusse Alya e Nino a scambiarsi uno sguardo silenzioso. «Si è ricordato che Clara Nightingale ti aveva già scelta per il video, vista la tua… beh, la tua vaga somiglianza con Ladybug», aggiunse Adrien, esitando appena sull’ultima affermazione. «Per questo pensa che tu sia la persona ideale per questo servizio fotografico: molte adolescenti si rispecchieranno in te anche per questa ragione. L’immagine è tutto nel mondo della moda.» Purtroppo, pensò fra sé, senza avere la forza per esprimere quell’opinione ad alta voce; anche perché un nuovo pensiero gli stava attraversando la mente: e se la sua simpatia per Marinette fosse dovuta inconsciamente alla somiglianza fra lei e Ladybug? Sarebbe stato orribile, si convinse Adrien, avvertendo un nodo alla bocca dello stomaco. Gli occhi azzurri dell’amica incrociarono i suoi e lui li rifuggì d’istinto, quasi si sentisse in colpa per qualcosa.
   Una palla di carta lo colpì in testa in quel momento, strappandolo a quei pensieri che gli avevano via via spento il sorriso. «Colpa mia!» esclamò Kim, alzando la mano in fondo all’aula. «Ma non me ne pento affatto!» affermò con aria baldanzosa ed un’espressione da schiaffi dipinta in volto.
   «Posso sempre farti cambiare idea», ribatté Adrien ridendo, rimettendosi in piedi e lanciandogli indietro la palla con forza. L’altro la schivò e quella prese in fronte il povero Nathaniel. Fu un attimo e la battaglia finì per coinvolgere l’intera classe, compresi quegli elementi che erano rimasti in disparte, e persino per far ridere allo stesso modo Chloé e Marinette, che per una volta si ritrovarono nello stesso schieramento, entrambe a difesa del loro Adrien.
   La calma ritornò solo quando la professoressa Bustier urlò loro di smetterla, rendendo nota a tutti la sua presenza in aula. Come un nugolo di bravi soldatini, ogni studente tornò al proprio posto e finse di esserci sempre stato, anche quando l’ultima palla di carta volò sulla testa di Ivan. «Per questa volta non avviserò il preside del vostro comportamento tutt’altro che lodevole», si interessò di far sapere all’intera classe, guardando tutti e nessuno. «Non fatemene pentire.» Con quelle parole, la donna si conquistò per l’ennesima volta l’amore imperituro dei suoi allievi, che si mostrarono attenti e volenterosi per tutta la durata della lezione.
   Quando la campanella risuonò nella scuola, annunciando la pausa pranzo, Adrien si rivolse a Nino. «Ho bisogno di parlarti, dopo le lezioni del pomeriggio.»
   Notando la gravità della sua espressione, l’altro si permise di preoccuparsi. «È successo qualcosa?»
   «Sì», rispose il primo. «Sono innamorato.»












Ebbene, le cose cominciano a smuoversi e lo faranno ulteriormente nei prossimi capitoli. :3
Perdonatemi se aggiorno quando capita, ma davvero non riesco a trovare tempo per mettermi comodamente al PC per scrivere (e dal cellulare non riesco a farlo, a meno che non si tratti di una bozza e/o l'input di una scena). Non è solo per via del lavoro, ma anche di altri impedimenti e/o imprevisti. Tipo ieri che mi sono capitate due notizie molto importanti (e si spera positive) tra capo e collo e che ora assorbiranno ulteriormente parte del mio tempo. Di una delle due vi farò sapere col prossimo aggiornamento, magari.
Augurandovi un buon fine settimana, vi ringrazio di cuore per essere ancora qui a leggere ed eventualmente a recensire. Un abbraccio a tutti! ♥
Shainareth





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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***





CAPITOLO SETTIMO




Nino si sentiva inquieto. Quando Adrien gli aveva fatto quella confessione poco prima della pausa pranzo, lui era andato subito sul chi va là. Per tante buone ragioni. Anzitutto, c’era da considerare che Adrien era sì, un ragazzo sognatore, ma comunque abbastanza maturo e con la testa sulle spalle; pertanto, per arrivare a fare un’affermazione del genere, significava che doveva essere certo di ciò che provava. In secondo luogo, questa cosa come avrebbe potuto influire sulla sua non proprio rosea situazione familiare? Suo padre lo teneva sempre sotto stretta sorveglianza, per questo a Nino venne spontaneo chiedersi se Adrien non avrebbe sofferto la mancanza di privacy – dovuta anche alla sua immagine pubblica – che un’eventuale relazione sentimentale invece avrebbe richiesto. Ancora, chi era la fortunata che era riuscita a fare breccia nel cuore del modello adolescente più famoso di tutta Parigi?
   Il primo nome che era venuto in mente a Nino, come c’era da aspettarsi, era stato quello di Marinette: non erano già stati scambiati per una coppia da più di una persona? Non andavano forse d’amore e d’accordo su tutto? Non sembravano illuminarsi non appena si trovavano insieme? Nino doveva forse dedurne che quella domenica mattina passata al parco era stata rivelatoria per Adrien?
   La cosa che però preoccupava Nino era un’altra: se non fosse stata Marinette, la ragazza di cui Adrien si era innamorato, lui cos’avrebbe dovuto fare? Dirlo o non dirlo ad Alya? Sentendo tutto il peso della posizione scomoda in cui si trovava, il giovane si fece coraggio e, al termine delle lezioni pomeridiane, si rivolse ad Adrien con tutta la calma di cui fosse capace e gli sorrise. «Mi offri qualcosa da bere?»
   «Avrei preferito che una domanda del genere me l’avesse rivolta una ragazza, ma… affare fatto», ribatté l’altro, facendolo ridere e guadagnandosi un pugno sulla spalla da quell’amico che gli era caro come un fratello.
   «Quindi ti piacciono le donne intraprendenti», concluse Nino, cominciando ad indagare mentre attraversavano la strada che li avrebbe condotti al parco vicino.
   Adrien sorrise. «Sì, certo», ammise senza remore, inducendolo ad assottigliare le labbra in un’espressione pensierosa. Marinette sapeva essere molto intraprendente, ma non quando si trattava di avere a che fare con il ragazzo di cui era innamorata. Ciò stava a significare che costituiva un’eccezione nei gusti di Adrien o che quest’ultimo si stava riferendo ad un’altra?
   «E lei lo è?» domandò allora, mentre insieme si avvicinavano ad un distributore automatico. «La ragazza che ti piace, intendo.»
   Il giovane modello rimase in silenzio per qualche istante, inserendo le monete nella fessura dell’apparecchio. «In realtà è proprio di questo che volevo parlarti», disse poi, recuperando la prima lattina che era stata erogata e passandola all’amico. «La persona di cui sono innamorato non ricambia i miei sentimenti.»
   Nino strabuzzò gli occhi, incredulo: sul serio esisteva una donna al mondo capace di non cadere ai piedi di Adrien Agreste? Si ricordò ben presto della sua, di donna, e se ne compiacque: almeno Alya, per quanto bene potesse volere al loro amico, di certo non aveva mai dato segno di essere una sua fan. «Ok…» cominciò allora, spostando il peso del corpo da un piede all’altro, mentre Adrien recuperava anche la seconda lattina. «Per affermare una cosa del genere, immagino che tu ti sia dichiarato…»
   «Qualcosa del genere, sì», rispose con una smorfia. I suoi occhi persero la loro naturale lucentezza e la linea della sua bocca tremò appena. «Lei è stata chiara: ama qualcun altro. Che però non ricambia.»
   «Oh», si lasciò scappare Nino, provando una stretta al cuore per lui. E per Marinette. «Che situazione… spiacevole.»
   «Abbastanza, sì», ammise Adrien, lo sguardo fisso sulla bibita che aveva comprato e che ancora rimaneva sigillata. «Soprattutto perché lei soffre per colpa sua e io non posso fare nulla per aiutarla.» Con un moto di rabbia, finalmente si decise ad afferrare la linguetta di metallo e a tirarla via. Riprese a camminare, dirigendosi non più verso il parco ma in direzione del fiume. «C’è però una cosa che volevo chiederti», ricominciò dopo qualche attimo, affiancato dall’altro ragazzo. «Vorrei che tu fossi sincero.»
   «Non lo sono sempre stato?»
   «Certo. Per questo mi sono rivolto a te: sei il mio migliore amico e so che non mi tradiresti mai.»
   Su questo Adrien poteva esserne più che certo, considerò Nino, inorgogliendosi per quella fiducia incondizionata da parte sua. Riconsiderò il suo dubbio circa l’eventualità di raccontare quella storia ad Alya e decise che non lo avrebbe fatto. «Di che si tratta?»
   L’altro esitò, scendendo con lui gli scalini che portavano al lungosenna. «Di recente mi è stato fatto notare che forse…» Tentennò, cercando una panchina su cui sedersi. La trovò e riprese a camminare. «Forse mi piace anche qualcun’altra», soffiò infine, lasciandosi cadere sulla seduta.
   Rimasto in piedi di fronte a lui, per Nino fu facile intuire di chi stesse parlando. «Marinette.»
   «Marinette», confermò Adrien con un sospiro, rifuggendo ancora il suo sguardo. Sembrava combattuto e per nulla certo di ciò che aveva appena affermato. Ammetterlo ora ad alta voce lo faceva sentire più confuso di prima: libero e colpevole al contempo.
   «Ti vuole molto bene, lo sai?»
   «Ed io ne voglio a lei.»
   «Sai anche che tu le piaci?»
   Finalmente sollevò gli occhi su Nino, mostrandogli un’espressione vagamente stupita. «Sì… cioè, è una mia fan. Come tante altre.»
   Il suo amico trattenne il fiato: davvero Adrien non aveva ancora capito niente? Convenendo con se stesso che sarebbe stato super partes in quella circostanza, Nino sedette accanto a lui. «D’accordo, mettiamola così, allora…» cominciò, ponderando bene alle parole da usare. «Ricordi l’altro giorno, quando siamo andati a casa di Max per il torneo?»
   «Che c’entr…» Quelle parole si persero al vento quando Adrien comprese dove lui volesse andare a parare. «Intendi quando hanno travisato il mio rapporto con Marinette.»
   Nino annuì. «Devi ammettere che il vostro è effettivamente un rapporto fraintendibile.»
   «È proprio questo che non riesco a capire: perché la gente lo pensa?»
   «Perché vi siete scambiati un pegno.»
   «D’amicizia», precisò Adrien.
   «D’accordo, certo», gli venne incontro l’altro, sollevandosi il cappello per grattarsi la testa e cercando di fargli aprire gli occhi in modo diverso. «Spiegami, allora, perché tu pensi che forse Marinette ti piace.»
   «Che lei mi piaccia è un dato di fatto», rispose lui all’istante. «È una delle persone migliori che io conosca. È gentile e altruista, buona e…»
   «Ti piace passare del tempo con lei?»
   «Molto», confessò ancora, continuando a rimanere fermo nella propria posizione. «Come mi piace passarlo con te.»
   «Spero che nessuno pensi che siamo una coppia.»
   «Grazie al cielo questo ancora non me lo hanno chiesto», rise Adrien, lieto che il suo amico avesse deciso di smorzare la tensione in quel modo. «È solo che ho una…» Tacque, non riuscendo a trovare la parola esatta. «Predilezione?» domandò quasi a se stesso, non del tutto certo che fosse il termine giusto.
   Nino posò la lattina vuota per metà accanto a sé, si tolse il cappellino e se lo rigirò fra le mani. «Lo abbiamo notato tutti», disse allora, evitando di guardare verso il giovane per non metterlo a disagio. «Ed è anche per questo che in molti fraintendono.»
   «Beh… non dovrebbero.»
   «Ti sei mai accorto che, quando si tratta di Marinette, cominci quasi a scodinzolare?» Adrien si volse a fissarlo con tanto d’occhi, la mascella spalancata quasi l’altro gli avesse fatto un oltraggio. Ed in effetti, come gatto, sentirsi paragonare ad un cane… «Non guardarmi così, è la verità», si difese Nino, facendo spallucce. «Ho perso il conto di tutte le volte che ne hai tessuto le lodi, che lei fosse presente o meno.»
   «Solo perché le merita, tutto qui», si giustificò Adrien, sentendosi sempre meno sicuro di sé.
   Nino si umettò le labbra. «Sai… prima di mettermi con Alya, anch’io avevo una cotta per Marinette.»
   «Io non ho una cotta per Marinette!» protestò esasperato il suo amico.
   «Però poi mi sono reso conto che non avrei concluso nulla, rimanendo fermo dov’ero», lo ignorò lui, proseguendo con il filo del discorso. «Tu mi hai fatto coraggio e mi hai spinto a farmi avanti, ma io ho peggiorato le cose, inventandomi di essere preso invece da Alya. Neanche lo avessi previsto.» Sorrise, divertito dallo strano senso dell’umorismo della vita. «Con Marinette ero sempre nervoso, con Alya invece riesco ad essere me stesso senza problemi. Mi dà sicurezza e grazie a lei sento di essere cresciuto, migliorato in qualche modo. E credo che questo sia dovuto anche al fatto che, prima di metterci insieme, eravamo già molto amici.»
   «Anche io e la ragazza che amo siamo molto amici», ci tenne a puntualizzare Adrien, incrociando le braccia al petto con aria stizzita. «E non ho problemi a dirle ciò che provo. Nessun imbarazzo.»
   «Che tipo di rapporto avete? Alla pari?»
   «Sì, certo. Anche se… beh, a volte mi sento un po’ sciocco, accanto a lei…» fu costretto ad ammettere, perdendo di nuovo parte della propria sicurezza. «Lei è più in gamba di me.»
   «E che tipo di rapporto hai con Marinette?»
   Pur tentennando perché preso in contropiede da quella domanda, Adrien rispose: «Alla pari, anche in questo caso. Però… temo che alle volte lei abbia soggezione. Cioè… che sia lei a considerarmi il più in gamba dei due.»
   «Ed è così?»
   «Stai scherzando?! Marinette è… è… grandiosa!» esclamò con tutto l’affetto che sentiva di provare per lei, aprendo le braccia ai lati del corpo per enfatizzare la sua affermazione. «Ha tante belle qualità, è una tosta e sa fare tante cose!»
   «Quindi ti senti inferiore anche a lei…» concluse Nino, cercando di capirci qualcosa. A conti fatti, al momento gli sembrava che Adrien gli stesse parlando di Marinette e dell’altra ragazza come se fossero la stessa persona. Soprattutto, non lo aveva mai visto parlare di qualcun altro con quello stesso entusiasmo.
   «Cosa…? No… siamo alla pari», replicò il giovane Agreste, non capendo davvero dove lui volesse andare a parare. «Anche se spesso è lei a sentirsi da meno, rispetto a me, mentre a volte mi sembra che sia il contrario», considerò poco dopo, a mezza voce.
   «Questo è un rapporto alla pari», commentò l’altro, cominciando a tirare le somme. «Prendi Kim.»
   «Cosa c’entra, lui, ora?!»
   «È corso per un pezzo dietro a Chloé, mettendola su un piedistallo e comportandosi, di fatto, come se lui fosse solo uno zerbino da calpestare. Senza amor proprio.»
   Di nuovo Adrien non si trattenne dal ribattere con fare stizzito. «Se sono in disaccordo con la persona che amo, glielo dico senza fare troppe storie. Non le sono inferiore e lei mi tratta molto meglio di come ha sempre fatto Chloé con Kim.»
   «E questo ti fa onore», si complimentò Nino, posandogli una mano sulla spalla nella speranza di tranquillizzarlo. «Ad ogni modo, Kim ha dovuto rinunciare a lei, si è messo il cuore in pace e ha persino iniziato a frequentare un’altra ragazza. Una sua cara amica.»
   Adrien sospirò, abbandonando la posa piccata mantenuta fino a quel momento. «In soldoni, mi stai consigliando di lasciar perdere la ragazza che amo e che non ricambia i miei sentimenti e di concentrarmi invece su qualcuno che potrebbe avere maggior affinità con me?» Scosse il capo. «Non ne sono convinto. Soprattutto perché l’affinità ce l’ho anche con… beh, con lei», balbettò, quasi sul punto di pronunciare il nome di Ladybug. Per quanto si fidasse di Nino, almeno quel particolare voleva tenerlo per sé per evitare sospetti di sorta circa la sua seconda identità. «Inoltre, anche se facessi come dici tu, non so quanto funzionerebbe: Marinette è già innamorata di qualcuno.»
   Nino inarcò le sopracciglia scure. «Come lo sai?»
   «Me l’ha detto lei, più o meno», rispose Adrien, scuotendo le spalle e prendendo un sorso dalla lattina.
   «E… ti ha anche detto di chi si tratta?»
   «No. Né io ho chiesto. So però che anche lei non ha la fortuna di veder ricambiate quelle attenzioni.»
   Stringendo di nuovo le labbra e corrucciando la fronte con aria fortemente perplessa, Nino provò una fitta di dispiacere per Marinette ed un lieve moto di rabbia nei confronti del giovane che gli sedeva accanto. Non voleva fargliene una colpa, ma Adrien a volte sapeva essere davvero ottuso. O più semplicemente, concluse fra sé un attimo dopo, Adrien non aveva la malizia necessaria per pensare di essere al centro dei pensieri della loro amica. «Ciò nonostante… sei stato colto comunque dal dubbio che lei possa piacerti. Come ragazza, intendo.»
   Mordicchiandosi il labbro inferiore, Adrien annuì. «Visto che in molti fraintendono… può darsi che io non mi accorga di certe cose perché mi riguardano troppo da vicino… e anche perché non ho… esperienza.»
   Nino gli sorrise con affetto. «Già, può darsi.»
   «Eh», mormorò l’altro, passandosi nervosamente una mano fra i capelli biondi e abbassando lo sguardo. D’istinto, tornò con la memoria alle confidenze che lui e Marinette si erano scambiati, benché lei non ne fosse cosciente. «Credi…» Si umettò le labbra con la punta della lingua e cercò dentro di sé il coraggio per continuare. «Credi che, se iniziassi a frequentarla davvero, ne uscirebbe fuori qualcosa di buono?»
   «Un passo alla volta», disse Nino, muovendo un braccio verso di lui e calcandogli sul capo il proprio berretto. «I sentimenti sono una questione delicata e il cuore delle persone è fragile. Va trattato con i guanti.»
   «Quello di Marinette di sicuro», convenne Adrien, tirando in giù la visiera per nascondersi alla sua vista. «Non voglio prenderla in giro. Non voglio che soffra ancora. Ci tengo troppo, a lei.»
   Ancora una volta Nino sorrise, intenerito dalla sensibilità e dall’affetto che quel giovane provava per la loro amica. «Siate onesti l’uno con l’altra, allora. Vedrai che, in un modo o nell’altro, sarete entrambi capaci di fare chiarezza con voi stessi.»

Adrien e Nino erano andati via insieme. Nulla di insolito, a ben guardare, tuttavia Marinette non poteva fare a meno di sentirsi inquieta. Questo perché, non sfuggendole mai niente che riguardasse il ragazzo di cui era innamorata, si era accorta dell’espressione turbata con cui lui aveva lasciato l’aula. Cos’era accaduto? Inoltre, anche lei non riusciva ancora a scacciare dalla mente il sogno fatto quella notte, sogno del quale ancora si vergognava non poco e che le causava tanto, troppo imbarazzo. Avrebbe dovuto semplicemente accantonarlo come tanti altri, lo sapeva bene; in fin dei conti, una volta non aveva sognato una fuga d’amore con un gorilla alieno che era ricercato per tutta la galassia? Ancora ne rideva fra sé, quando ci ripensava… Perché, dunque, questo nuovo viaggio onirico avrebbe dovuto essere diverso? Sì, diamine, aveva baciato Chat Noir, ma… ma.
   Volgendo lo sguardo all’orizzonte, verso l’imponente Notre-Dame che, pur nella splendida Parigi, dal suo balcone sembrava spiccare come una rosa nel deserto, Marinette dovette riconoscere ancora una volta di aver provato un brivido caldo per quel sogno. Era stato talmente realistico che ancora le pareva di sentire il respiro di lui sul viso, il morbido contatto delle sue labbra sulle proprie. Come avesse voluto rigirare il coltello nella piaga, la sua mente la riportò al vero bacio che si erano scambiati tempo prima, per San Valentino; di certo era stato un atto dovuto all’emergenza del momento, una sorta di manovra di soccorso come poteva esserlo la respirazione artificiale. Ciò nonostante, Marinette si domandò se quel gesto non avesse avuto molta più importanza del dovuto: era il bacio d’amore che nelle fiabe salva la bella principessa. Si strinse nelle spalle, abbassò lo sguardo e ridacchiò fra sé. Istericamente, per quella dannata situazione; divertita, perché di nuovo aveva paragonato Chat Noir ad una principessa.
   Come fosse stato una calamita per il suo cuore, qualcuno giù in strada attirò la sua attenzione: Adrien. Era in compagnia di Nino ed entrambi stavano tornando verso la scuola dalla Senna. Curiosa, Marinette li seguì con lo sguardo e li vide fermarsi all’incrocio, in attesa che il semaforo diventasse verde per i pedoni. Di sicuro Adrien stava andando a lezione di scherma, pensò la ragazza, che sapeva a memoria ogni suo impegno quotidiano. I suoi occhi si persero nella contemplazione di quella testa bionda e lei posò il gomito sulla ringhiera del balcone, il mento sulla mano. Sospirò, innamorata come sempre. Che avesse provato un brivido d’eccitazione per un sogno che riguardava un’altra persona era irrilevante. Se ne convinse in quel momento: il suo amore per Adrien non era certo così fragile da essere messo in crisi da una cosa del genere, figurarsi.
   Quelle sue considerazioni vennero interrotte bruscamente quando vide l’oggetto dei suoi desideri alzare il capo e voltarsi nella sua direzione: i loro sguardi si incrociarono. Dopo un attimo di giustificato stupore da parte di entrambi, Marinette drizzò la schiena di colpo e se resistette all’impulso di correre in casa a nascondersi fu solo perché Adrien le sorrise e sollevò la mano per salutarla, imitato poco dopo da Nino. Come fosse stata un automa, la ragazza rispose agitando la destra a mezz’aria, timidamente, mentre sulle labbra le si disegnava quel solito, sciocco sorriso che spegneva ogni sua funzione vitale. Il semaforo scattò e i due giovani attraversarono la strada, tornando a voltarle le spalle.
   Le gambe di Marinette cedettero e lei si ritrovò accucciata sui talloni, il viso bollente per l’imbarazzo nascosto fra le mani. Adrien aveva forse pensato che lei lo stesse spiando? Che seguisse ogni sua mossa? Il che era vero, per carità, ma lui non doveva saperlo in alcun modo! Era già parecchio imbarazzante che sapesse delle foto che tappezzavano le pareti della sua camera…
   Prese fiato e si fece coraggio, tornando a sbirciare in direzione della scuola. Adrien e Nino si erano fermati ai piedi della scalinata di ingresso, probabilmente per salutarsi. Non fecero in tempo a farlo che qualcosa di inaspettato investì in pieno Adrien, scaraventandolo a terra. Nino urlò, Marinette si erse di nuovo sulle gambe, temendo che l’amato si fosse fatto male. Quando si rese conto di ciò che stava accadendo, non perse tempo e scappò in casa. «Tikki!» chiamò agitata, mentre il piccolo kwami già accorreva da lei. «Trasformami!»
   Un attimo dopo era già sospesa in aria, diretta come un razzo verso l’aggressore di Adrien. Lo sbalzò via con un calcio, facendolo rotolare lontano, e subito si pose a difesa dell’amato, yo-yo alla mano in caso di un nuovo attacco. «Non azzardarti mai più a fare una cosa del genere!» esclamò, il sangue che le ribolliva nelle vene. Nessuno poteva trattare Adrien in quel modo. Nessuno poteva trattare chiunque altro in quel modo. «Voi due», disse poi, rivolgendosi ai suoi amici senza però distogliere lo sguardo dall’akumizzato, «via di qui. Mettetevi in salvo.»
   «Ladybug!» mormorò Adrien, alzandosi sulle ginocchia e guardando la scena con stupore. Si sentiva ancora stordito per la botta ricevuta e solo adesso stava cominciando a capire cos’era successo. Avvertì Nino accanto a sé, accorso subito per dargli aiuto. «Tutto bene, amico?» si sentì chiedere. Neanche rispose, concentrato com’era sulla figura in rosso che gli stava davanti. Era lei la donna per cui spasimava davvero, la persona più importante, l’unica padrona del suo cuore. Ancora una volta era lì, bella, fiera e coraggiosa, pronta a dare il tutto e per tutto per difendere chiunque avesse avuto bisogno di lei.
   Un verso roco ferì le loro orecchie. Era basso, cavernoso, e solo dopo alcuni istanti riuscirono a capire che si trattava di una risata. Partiva dal profondo della gola dell’akumizzato e diveniva via via più alto, accompagnando i movimenti dell’essere che si stava rimettendo lentamente in piedi. Quando accadde, si volse nella loro direzione, mostrando un cappello a falde larghe, sormontato da una grossa piuma scarlatta, e una cappa azzurra sul cui petto spiccava una grossa croce. Non era molto alto e questo lasciava intuire che forse si trattava di un ragazzo. Calzava degli stivaletti larghi e scuri che gli arrivavano a metà polpaccio e le sue mani erano fasciate in guanti dello stesso colore. Nella destra stringeva quello che aveva tutta l’aria di essere un fioretto, che gli conferiva in tutto e per tutto l’aspetto di un moschettiere uscito direttamente dalle pagine di uno dei romanzi di Alexandre Dumas. «Ladybug», disse atono, mentre con un gesto elegante della mano si toglieva il cappello per renderle omaggio con fare cavalleresco. «Sono felice tu sia qui. Devo prendere il tuo miraculous, ma non subito», iniziò a spiegarle coprendosi di nuovo il capo con calma, come se non avesse alcuna fretta di rispondere all’attacco ricevuto. «Prima ho una missione più importante da compiere.»
   «Di che stai parlando?» pretese di sapere la ragazza, per nulla intenzionata ad abbassare la guardia, benché quell’ennesimo duello di spade la impensierisse alquanto.
   «Quel bel faccino alle tue spalle», rispose l’akumizzato, assottigliando gli occhi in direzione di Adrien, «ha avuto l’ardire di portarmi via qualcosa di prezioso.»
   «Di che si tratta?» cercò di capirci di più Ladybug, sperando che nel frattempo i suoi amici si dessero una mossa e sparissero da lì. E magari anche che Chat Noir accorresse al più presto; in due avrebbero avuto maggiori possibilità di vittoria, soprattutto considerato il fatto che il suo collega era uno schermidore molto più in gamba di lei.
   «Marinette Dupain-Cheng.»
   Quasi le scivolò lo yo-yo di mano, mentre la mascella di Adrien ricadeva verso il basso, rivelando tutta l’incredulità che quell’affermazione aveva suscitato in lui. «Ma di che diavolo…?» annaspò, troppo stupito per riuscire ad articolare il resto della frase.
   Il moschettiere socchiuse gli occhi, fissandolo con livore attraverso quelle fessure inquietanti. «Vi ho visti, ieri mattina», sibilò con rabbia. «Al parco. Mano nella mano.»
   «Era inciampata, non volevo che cadesse…» tentò di giustificarsi il giovane con voce incerta, non sapendo se dovesse tranquillizzare prima il nemico o, piuttosto, Ladybug. Non poteva permettere che anche lei fraintendesse il rapporto che aveva con la sua compagna di classe. Oltretutto, aveva già rischiato che accadesse una cosa del genere per colpa di Lila: e se Ladybug si fosse convinta che lui era un ragazzo poco serio? Doveva rimediare. «Marinette è solo un’amica.»
   Adrien non poteva neanche sospettarlo, ma nel tentativo di salvare le apparenze, le sferrò invece l’ennesima, crudele stilettata in pieno petto. Il cuore le fece male, la vista le si offuscò e dalla gola risalì tutta la frustrazione per quella dannata verità che le devastava l’anima. Marinette avrebbe potuto lasciarsi andare al pianto, forse; Ladybug no. Fu per questo che, cercando di scacciare le lacrime che erano salite a bagnarle le ciglia, la ragazza serrò i denti e strinse di nuovo la presa attorno alla propria arma.
   «Ciò che affermi è irrilevante, se poi le tue azioni ti smentiscono appieno», ringhiò ancora l’akumizzato. «Pagherai per avermela portata via! Non ti perdonerò! Mai!»
   Con un inaspettato e rapido movimento, il moschettiere si scagliò contro di lui. Ladybug lo intercettò, riuscendo a deviare la lama del nemico. «Via di qui!» urlò di nuovo a Nino e Adrien, che ancora rimanevano fermi dov’erano. Accidenti! Ma chi diamine è, questo tizio?! Marinette davvero non riusciva ad associarlo a nessuno di sua conoscenza. Gli unici altri akumizzati che avevano usato una spada come arma erano stati il maestro di scherma di Adrien, monsieur D’Argencourt, e Kagami. Suppongo quindi che anche questa volta l’akuma debba trovarsi nell’arma con cui mi sta attaccando, ragionava fra sé la ragazza, mentre cercava di attirare l’attenzione del moschettiere lontano da lì per permettere ai suoi amici di fuggire.
   Rimase delusa, perché l’akumizzato non la seguì e, anzi, tornò a rivolgersi con fare aggressivo verso Adrien. Quest’ultimo spintonò via Nino e parò il colpo di spada con la borsa dei libri, che venne letteralmente tagliata in due. Per un attimo il giovane sudò freddo, ma poi si ricordò che Plagg era nel taschino interno della sua camicia e tirò un vago sospiro di sollievo. Non durò a lungo, perché l’altro ripartì subito all’attacco, pronto a sferrare un nuovo affondo. Il filo indistruttibile dello yo-yo di Ladybug gli si attorcigliò attorno al braccio, impedendogli il movimento fatale. «Adrien, scappa!» gridò ancora l’eroina, terrorizzata che potesse accadergli qualcosa. Lui la fissò negli occhi per un lungo istante, ma alla fine decise di darle retta e, dando voce a Nino di correre a casa, si allontanò velocemente da lui e dal luogo dello scontro per non metterlo in pericolo.
   L’akumizzato, però, fu lesto a liberarsi dalla presa del nemico e seguì Adrien, reclamando vendetta. Ladybug gli si mise alle costole e l’altro tentò l’affondo, che per poco non colpì l’obiettivo. La ragazza urlò disperata, il cuore che batteva a mille per paura di non fare in tempo, e, stringendo i denti, fu lei ad avventarsi su Adrien, riuscendo così a schivare un nuovo attacco e salvando il giovane. Rotolarono insieme per un tratto di strada e, senza quasi neanche lasciargli il tempo di capire cosa stesse accadendo, Ladybug agguantò l’amato per la cintola e se lo issò in spalla con una forza bruta che mai ci si sarebbe aspettati di trovare in un corpicino così sottile e sinuoso. «Dobbiamo andarcene da qui, alla svelta», gli spiegò spiccia, ricorrendo al proprio yo-yo e balzando così da un tetto all’altro del quartiere. Fu solo quando furono in prossimità della villa di Gabriel Agreste che si decise a metterlo giù. «Va’ a casa. Sbrigati», gli ordinò in tono freddo, mentre Adrien ancora tentava di recuperare l’equilibrio sulle gambe. Essere sballottati in aria in quel modo non era del tutto piacevole… avrebbe dovuto tenerlo a mente, la prossima volta che gli fosse capitato di fare la stessa cosa a Marinette o a chiunque altro.
   «Grazie…» riuscì a farfugliare infine.
   Lei gli voltò le spalle, rifuggendo il suo sguardo. «È il mio lavoro», disse atona.
   Adrien s’irrigidì. Ladybug non si era mai comportata in modo tanto freddo, di sicuro non con lui – né quando portava la maschera né quando non la portava. «Ladybug…» iniziò, non sapendo in realtà cosa dirle. Non avendo idea del perché fosse in quello stato umorale, non poteva sbilanciarsi in alcun modo. Non come Adrien, per lo meno. Era arrabbiata con lui? Impossibile… non ricordava di aver fatto nulla di male. A meno che non si fosse bevuta la balla raccontata dall’akumizzato, e cioè che lui e Marinette stavano insieme. E anche se così fosse stato, questo avrebbe significato solo che Ladybug era gelosa di lui. Impossibile anche questo. O no?
   Non ebbe tempo di fare o dire altro, che la ragazza sparì, lasciandolo però con un saluto vago e imbronciato. Risoluto a vederci più chiaro, anziché tornare a casa, Adrien si allontanò di corsa da lì. Riuscì a trovare un posto sicuro solo dopo diversi minuti e subito ricorse ai poteri del proprio miraculous. Trasformato in Chat Noir e col cuore che tremava per la sorte dell’amata, alle prese con un avversario capace di darle del filo da torcere, Adrien si affrettò a tornare da lei per darle man forte. La trovò a qualche isolato di distanza, che di nuovo sfuggiva agli attacchi del nemico. Senza pensarci un secondo di più, vedendola in seria difficoltà, il giovane lanciò il suo bastone verso il moschettiere, che si schermò con un braccio per evitare di essere colpito al capo. «Chat Noir!» esclamò Ladybug, tirando finalmente un sospiro di sollievo.
   «Ti sono mancato?» domandò lui, balzandole accanto dopo aver recuperato la propria arma.
   «Per una volta sì.»
   «Come sarebbe a dire per una volta?!»
   L’akumizzato non attese che loro potessero scambiarsi altri convenevoli. «Era ora che ti facessi vedere, randagio», iniziò, ricomponendosi e salutando il nuovo avversario con un ostentato inchino, tipico dei gentiluomini del diciassettesimo secolo.
   «Il piacere è tutto mio, D’Artagnan», rispose lui, inchinandosi a sua volta con fare lezioso. «Certo che, per proporci l’ennesimo spadaccino, Papillon deve aver finito le idee», commentò sottovoce, rivolgendosi alla collega.
   Lei si strinse nelle spalle. «Peccherà di originalità, forse, ma sa bene che la scherma è il mio punto debole, perciò… tanti auguri», disse quasi divertita, battendogli una mano sulla spalla.
   Chat Noir ghignò, lieto che l’amata avesse recuperato il sorriso. «Non preoccuparti, m’lady, ti proteggerò io da questo vile marrano!»
   «Voglio ben sperarlo», replicò Ladybug, lasciando che il partner si frapponesse tra lei e il nemico. «Se avessi tardato ancora ad arrivare, probabilmente mi avrebbe fatta a fettine.»
   «Nah, di sicuro ti saresti inventata qualcosa», le diede invece credito il giovane, certo delle capacità della propria collega. «Ma ora ci sono io, perciò non preoccuparti di niente.»
   «A quanto pare, dovrò togliere di mezzo voi prima di sfidare Adrien a singolar tenzone», li richiamò all’ordine l’akumizzato. «Pertanto, se sei pronto, randagio, possiamo iniziare il nostro du…»
   «Un momento!» lo interruppe Chat Noir, che voleva vederci chiaro in tutta quella faccenda. «Perché tutto questo astio verso quel povero ragazzo?»
   L’altro serrò le mascelle. «Mi ha portato via Marinette!»
   «E due…» sospirò l’eroe, demoralizzato. Voleva davvero metterlo in cattiva luce agli occhi della sua buginette? «Fammi capire… pensi davvero che Marinette fosse tua?»
   «No!» affermò con foga Ladybug, sentendosi punta sul vivo e anticipando per questa ragione la risposta del moschettiere. «Come ti salta in testa che una ragazza tanto assennata possa intendersela con un… un…» Non riuscendo a trovare delle parole sensate, ruggì esasperata. «Insomma, chi diavolo sei?! E come conosci, Marinette?!»
   «Frequenta la mia stessa scuola», iniziò allora a spiegare l’akumizzato, pur con voce che tradiva tutta la sua frustrazione. «Ma non l’avevo mai notata finché non ha fatto una selezione per entrare nel corso di scherma di monsieur D’Argencourt.»
   «Ah», commentò atono Chat Noir, arrivando alla conclusione che quel tizio fosse un suo compagno e che in quell’occasione dovesse aver perso la testa per Marinette. Certo che ne aveva di ammiratori, lei… Non che Adrien si sentisse di dar loro torto: la sua amica era una delle ragazze più carine che conosceva e, meglio ancora, aveva un cuore d’oro ed un cervellino niente male. Dietro di lui, la stessa Marinette rimaneva basita ad ascoltare ciò che quello spadaccino stava raccontando, certa come mai prima di allora di non sapere affatto di chi si trattava.
   «Da quel momento, ho cominciato a seguire ogni sua mossa…»
   «Si chiama stalking, lo sai?» borbottò Chat Noir, incrociando le braccia al petto con fare decisamente irritato: guai a lui, se avesse solo provato ad infastidire Marinette. La quale, alle sue spalle, si fece piccola piccola per via dei sensi di colpa: con Adrien, lei non era poi così dissimile da quell’esaltato vestito da moschettiere…
   «…e poi l’ho vista in televisione», continuò quello, stringendo le mascelle e falciando rabbiosamente l’aria con la lama della spada. «Ho visto la sua camera tappezzata di foto di quel damerino biondo.»
   «E non hai pensato che potesse essere soltanto una sua fan?» gli tenne testa Chat Noir, deciso a difendere la sua amica fino alla fine.
   «Era ciò di cui mi ero convinto, difatti», rispose l’altro.
   Le mie amiche hanno ragione a dire che i ragazzi non capiscono un accidenti… Fu questa la conclusione a cui giunse Marinette, tirando un parziale sospiro di sollievo.
   «Fino a che ieri mattina non ho visto quei due insieme, al parco, che passeggiavano felici mano nella mano», ringhiò ancora l’akumizzato.
   Chat Noir si passò le dita artigliate sul viso con aria demoralizzata. «Non potresti semplicemente aver frainteso?»
   «Non ha importanza.»
   «Ce l’ha eccome!» ribatté, sempre più indignato. «Non puoi saltare a conc…»
   «Non ho più voglia di perdermi in chiacchiere», lo interruppe il moschettiere, cambiando improvvisamente idea. «Prima mi occuperò di quel dannato e poi mi prenderò i vostri miraculous!» Non finì di dirlo che una fitta alla testa lo costrinse ad inginocchiarsi a terra e a portarsi entrambe le mani sotto la tesa del cappello. «Sì… sì… va bene… ho capito…» annaspò in tono sofferto. «Prenderò prima i miraculous di Ladybug e Chat Noir e poi mi occuperò di Adr…» Gridò, come se qualcuno gli avesse perforato la mente, in modo così straziante che i due eroi provarono una stretta al cuore. Era Papillon la causa di quella sofferenza?
   «Non c’è tempo da perdere», disse risoluta Ladybug, decisa a mettere fine a quel supplizio. «Chat Noir, dobbiamo portargli via la spada. Sono sicura che l’akuma si nasconde lì.» Forte della distrazione dell’avversario, avanzò spedita verso di lui con l’intento di sottrargli l’arma.
   «Attenta!» esclamò Chat Noir che, più accorto di lei, la spintonò di lato e parò un fendente improvviso col proprio bastone. Era bastato un attimo perché l’akumizzato tornasse del tutto sotto al controllo di Papillon e ne eseguisse gli ordini. Piantandogli la suola della propria calzatura sul petto, l’eroe lo calciò lontano da sé e si mise in posizione da combattimento. «Visto che Adrien non c’è», iniziò poi, un sorriso spavaldo in volto, «sarò io a difendere l’onore di Marinette.»












Con una settimana di ritardo rispetto alla tabella di marcia, e a quasi un mese dall'ultimo aggiornamento, rieccomi qui. Chiedo mille volte scusa, ma gli imprevisti, il lavoro, altri progetti (importanti) ed il calo di ispirazione dovuto anche ai flame dei fan (che sono la cosa che più mi allontana dai fandom) mi hanno tenuta lontana da questa storia (e più in generale dal computer).
Sono alle prese con il quindicesimo capitolo e sono ormai lanciata verso il finale. Non lo credevo possibile, e invece... ringrazio per questo soprattutto Raffy Chan, che ascolta i miei scleri, condivide i suoi con me e mi consiglia per il meglio. ♥
Non mi dilungo oltre e mi scuso ancora per la lunga attesa. Un abbraccio e un grazie a tutti voi che siete ancora qui a leggere questa storia.
Shainareth





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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***





CAPITOLO OTTAVO




Un tuffo al cuore. Fu questo che la ragazza avvertì, provando immediato sollievo alla crudele, eppure innocente, stilettata che Adrien le aveva inconsapevolmente inflitto pochi minuti prima. E mentre il loro nemico tornava alla carica e Chat Noir parava e rispondeva ai suoi colpi, strinse il proprio yo-yo nel palmo della mano e lo lanciò per aria. «Lucky Charm!» Richiamando il suo potere speciale, si ritrovò fra le mani un pattino a rotelle, rosso a pois neri. Era un modello vecchio, non di quelli con le ruote in linea al centro della suola, bensì uno di quelli che andavano di gran moda quando lei non era ancora nata. «Cosa diamine…?» balbettò, rigirandosi l’oggetto tra le dita.
   Un’imprecazione soffocata a stento riportò la sua attenzione sullo scontro: Chat Noir aveva avuto la meglio ed era riuscito a disarmare l’avversario. Rapida, Ladybug si precipitò a raccogliere la spada, l’afferrò con entrambe le mani e, facendo leva sul ginocchio, la spezzò in due convinta che in quel modo avrebbe liberato l’akuma che teneva prigioniera la mente del giovane. Non fu così, e quella scoperta la disorientò solo per un attimo, poiché subito le tornò alla mente ciò che ancora reggeva per le cinghie di cuoio: il pattino.
   «Me la pagherai, maledetto randagio!» reclamò vendetta il moschettiere, dirigendosi verso un dissuasore di delimitazione che si trovava al bordo della strada in cui si trovavano a combattere. Lo divelse con una facilità mostruosa e si adattò presto ad utilizzarlo come nuova arma.
   Quella sì che avrebbe fatto male, pensò Marinette, temendo il peggio per il proprio amico dalle orecchie a punta. Si guardò attorno, alla ricerca di una soluzione che le avrebbe consentito di aiutare il proprio compagno, già pronto a respingere il nuovo attacco. Si trattò infine di semplice tempistica, oltre che di quella grande fortuna che mai le mancava in battaglia: guidata come sempre dall’intuito, spinse al suolo il pattino in direzione del duello che stava avvenendo poco distante da lei. Le rotelle scivolarono sull’asfalto e pochi istanti dopo la suola dello stivale del moschettiere calpestò l’oggetto creato dalla magia del Lucky Charm e lui sdrucciolò rovinosamente all’indietro, come nelle migliori comiche del cinema muto.
   Chat Noir strinse le spalle e incassò la testa nel collo, chiuse un occhio e serrò i denti, provando dolore per lui. Ladybug invece non ebbe pietà e si mantenne lucida; ciò le consentì di notare finalmente qualcosa che, altrimenti, le sarebbe stato impossibile vedere. «Guarda!»
   Anche il suo compagno lo vide e subito saltò sull’avversario con fare felino, strappandogli dalla cintola quella che, a tutta prima, sembrava una scarsella, nascosta alla vista per colpa della cappa azzurra – ora sollevatasi nella caduta. Si allontanò con una serie di balzi e l’aprì, trovandovi all’interno una copia de Les trois mousquetaires, di Alexandre Dumas. Senza perdere tempo, richiamò il proprio potere distruttivo e lo incanalò nelle dita della mano destra che, posandosi sulla copertina del libro, lo ridussero in polvere. L’akuma s’involò nell’aria, ma solo per pochi secondi, poiché lo yo-yo di Ladybug subito la inghiottì, purificandola e rendendola libera per davvero.
   La trasformazione del moschettiere si sciolse e i due poterono infine capire di chi si trattava: Joël, un ragazzo della loro stessa età con la passione della scherma e dei romanzi di cappa e spada. Gli si fecero vicino e, dal momento che il miraculous di Ladybug aveva risistemato tutto ciò che era andato distrutto durante lo scontro, Chat Noir recuperò la copia de Les trois mousquetaires e gliela porse. «Tutto bene?» domandò con quel suo tono di voce gentile e rassicurante che faceva bene al cuore.
   Joël rimase spaesato per qualche attimo. «Che…?»
   «Piccola disavventura con Papillon», gli spiegò l’eroe, accucciandosi davanti a lui. «Nulla che non sia già stato risolto, tranquillo.»
   «Siete stati voi due a salvarmi?» cercò di capirci qualcosa l’altro, vedendo Ladybug avvicinarsi a loro con fare discreto.
   «Credo che la maggior parte del merito vada a Chat Noir», rispose lei, posando una mano sulla spalla del compagno. «Ben fatto», gli disse con dolcezza, guardandolo negli occhi con riconoscenza. Senza che lui potesse immaginarlo, quel giorno non aveva soltanto salvato quel ragazzo, ma aveva fatto molto di più, tamponando il dolore che lei avvertiva ancora nel profondo del cuore.
   «Non ce l’avrei comunque fatta senza di te», le assicurò il giovane, sorridendole felice.
   «Adrien!» esclamò Joël, come se si fosse appena ricordato della sua esistenza. Chat Noir sussultò, ma poté tirare un sospiro di sollievo quando il ragazzo continuò a parlare. «Non gli ho fatto del male, vero?» domandò spaventato.
   «È al sicuro, sta’ tranquillo.»
   «Meno male…» mormorò, mostrando sincero dispiacere per quanto accaduto. «È che…»
   «Ehi, non importa», cercò di scuoterlo Chat Noir, tirandolo su di morale. «Sono certo che Adrien non ce l’ha con te. I momenti no capitano a tutti», gli assicurò, strizzandogli l’occhio. Ricevette un sorriso colmo di gratitudine per quelle parole, ma non ebbero modo di dirsi altro, perché il miraculous di Ladybug iniziò ad avvisarli che di lì a poco la sua trasformazione si sarebbe sciolta.
   «Devo andare», disse lei, rivolgendo agli altri due un ultimo sorriso. «Grazie ancora per tutto», aggiunse tornando a guardare negli occhi il proprio collega. Quindi, con pochi, leggiadri balzi, sparì alla loro vista.
   Chat Noir la seguì con lo sguardo finché non scomparve dietro ad un edificio, domandandosi cosa mai potesse averla spinta ad essere così fredda con Adrien e, al contempo, così morbida con lui. Quando anche il suo miraculous lo mise in guardia sul tempo rimasto prima della trasformazione, si rimise in piedi e tese la mano a Joël. «Un consiglio, se posso permettermi», iniziò, aiutandolo ad alzarsi. «Prima di giungere a conclusioni affrettate, la prossima volta accertati dei fatti. E… se ti piace qualcuno, metti da parte ogni remora e diglielo.»
   «E se poi venissi respinto…?» fu la timida replica che ricevette.
   Si strinse nelle spalle con aria rassegnata. «Almeno ti sarai alleggerito il cuore.»
   La luce triste nel suo sguardo indusse Joël a credere che persino un supereroe come lui avesse problemi d’amore. Non lo avrebbe mai creduto, eppure l’espressione di Chat Noir parlava da sé. Ne avrebbe fatto tesoro. «Domani le dirò quello che provo.»
   Adrien abbozzò un sorriso. «In bocca al lupo», commentò soltanto, prima di dargli una pacca sulla spalla e, dopo un ultimo saluto, allontanarsi in fretta da lì. Avrebbe dovuto essere contento di com’erano andate le cose, rifletté fra sé mentre volteggiava a mezz’aria; ciò nonostante, qualcosa dentro di lui aveva iniziato a rimescolarsi all’altezza della bocca dello stomaco. E no, non soltanto per il modo in cui lo aveva trattato Ladybug.

Con un sospiro, Marinette si calò giù dalla botola del suo balcone, finendo in ginocchio sul letto. Era emotivamente troppo stanca per affrontare i compiti per la scuola, pertanto, sciolta la trasformazione, si tuffò sul materasso a pancia in giù. Non solo c’era un ragazzo, di cui ignorava l’identità, che aveva subito una delusione amorosa per colpa sua; lei stessa aveva avuto l’ennesima conferma che Adrien non ricambiava i suoi sentimenti. Per contro, colui che le aveva sfiorato maggiormente il cuore, quel pomeriggio, era stato Chat Noir. E no, non più soltanto per via del sogno fatto quella notte.
   Ora che ci pensava a mente più lucida, sia pure ancora provata dalle forti emozioni che l’avevano investita appena pochi minuti prima, non era da escludere che quel sogno non fosse stato altro che una fantasiosa rielaborazione del suo desiderio più grande: che Adrien ricambiasse il suo amore. Se sotto la maschera di Chat Noir ci fosse stato lui, non sarebbe stato meraviglioso? Sì, certo. Ma quei due erano troppo diversi, e l’esuberanza e l’umorismo di Chat Noir mal si sposavano con l’eleganza e la posatezza di Adrien. Sperare perciò, anche solo a livello inconscio, che dietro la maschera dell’eroe parigino si nascondesse il ragazzo per cui lei spasimava era davvero inutile. Ciò nonostante, Marinette avrebbe davvero voluto che Adrien l’amasse proprio come faceva Chat Noir… poteva sognarlo, pur sapendo che non sarebbe mai accaduto?
   «Non avresti dovuto essere così fredda con Adrien.» Sospirò di nuovo, benché si fosse aspettata quella tirata di orecchie da parte di Tikki. «Ha solo detto la verità.»
   «Lo so», borbottò, girandosi supina a guardare il soffitto mentre la sua piccola amica andava a recuperare uno dei biscotti che lei lasciava sempre sulla scrivania. «Ed è proprio questo che mi rode di più.»
   «Quindi non sei pentita per ciò che hai fatto?» si interessò di sapere il kwami, tornando a svolazzare nei pressi del soppalco con il frollino fra le zampine.
   «Certo che sì», borbottò l’altra, coprendosi gli occhi con le braccia. Era stata davvero meschina a trattare in modo tanto distaccato Adrien, soprattutto perché in quel momento era nei panni di Ladybug e avrebbe dovuto almeno provare a fingere di non aver risentito delle sue parole. Le faceva male lo stomaco, avrebbe voluto chiedergli scusa, ma non poteva farlo in alcun modo.
   O forse sì?
   Scattando a sedere sul letto, l’espressione determinata sul volto, si girò verso Tikki che, guardandola negli occhi, rimase con le fauci spalancate a metà, in procinto di avventarsi sul biscotto. «Non userò il Lucky Charm per uno scopo egoistico», iniziò la ragazza, ritrovando la forza di reagire. «Però voglio comunque riparare al mio errore, in qualche modo.»
   Già intuendo come sarebbe andata a finire, la creaturina prese un morso dal dolcetto, masticò e ingoiò con calma. «Sai che non puoi chiedergli scusa, senza dovergli spiegare che sei rimasta ferita dalle sue parole?»
   «Lo so», annuì la sua amica, mostrandosi ragionevole. «Voglio però dimostrargli che non sono arrabbiata con lui. Se sono fortunata, Adrien penserà che ero solo troppo concentrata sul nemico per preoccuparmi d’altro.»
   Marinette sembrava risoluta in quel suo piano e Tikki sapeva che difficilmente avrebbe cambiato idea, dal momento che si trattava di Adrien. Lei, però, aveva i suoi dubbi al riguardo; tuttavia, non poteva esprimere a voce alta la propria contrarietà: presentarsi ad Adrien come Ladybug, sorridergli e mostrarsi gentile con lui non avrebbe fatto altro che allontanarlo sempre più da Marinette. Troppo affezionata alla sua portatrice per farle rischiare un’ulteriore delusione, Tikki tentò di aggirare l’ostacolo. «Sai, forse con lui dovresti mettere due buone paroline per te stessa.» La vide battere le palpebre con aria confusa. «Ladybug potrebbe spingerlo fra le braccia di Marinette, non pensi?»
   «È fuori discussione», ribatté d’un fiato la ragazza, accompagnando quelle parole con un gesto perentorio delle braccia. «Sarebbe barare ed io non voglio che…»
   «Non eri stata tu a decantare le tue stesse lodi a Chat Noir, quando gli hai chiesto di proteggerti dai poteri di Dessinateur?»
   Marinette chiuse la bocca di scatto, ricordando fin troppo bene di essersi definita carina nel messaggio che aveva indirizzato al suo collega mascherato. «Beh…» ricominciò poi, molto meno sicura di prima, «in quel caso non c’era un secondo fine.»
   «Potrebbe non esserci neanche ora», tentò di farle comprendere Tikki, che nel frattempo continuava a sbocconcellare il biscotto per recuperare le energie perdute a causa della trasformazione appena finita. «Basterà che tu gli parli con il cuore in mano. E dal momento che non riesci a farlo quando sei soltanto Marinette, approfitta della maschera, se ti rende più sicura, per dirgli ciò che pensi davvero.»
   L’altra abbassò lo sguardo davanti a sé. Tikki aveva ragione, concluse dopo qualche istante di riflessione. C’erano tante, troppe cose che avrebbe voluto discutere con Adrien, ciò nonostante non riusciva mai a trovare l’occasione o anche solo il coraggio per parlargliene apertamente. Che fosse arrivato il momento giusto? Non voleva barare, non voleva dichiararsi a lui come Ladybug, ma forse c’era davvero qualcosa che poteva fare.
   Sbirciò timidamente in direzione di Tikki che, finito il biscotto, ora la guardava con i suoi grandi occhi azzurri ed un dolce sorriso sulle piccole labbra rosse. «Andiamo?»

Alla fine Joël non si era presentato alla lezione di scherma. Di più, visto quanto accaduto, il corso era stato sospeso per quel giorno e Adrien non poté far altro che prendere atto che non fosse giornata. Sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla, l’aprì per recuperare il cellulare e chiamare la sua guardia del corpo, affinché tornasse a prenderlo, ma alla fine ci ripensò: aveva bisogno di stare da solo e percorrere la strada di casa a piedi lo avrebbe aiutato a riflettere meglio sulla sua situazione attuale. Se da un lato aveva ammesso almeno con se stesso che sì, Marinette gli piaceva, dall’altro era consapevole che ciò che provava per lei non era paragonabile a ciò che si agitava nel suo cuore ogni volta che vedeva o anche solo pensava a Ladybug. Tuttavia, quest’ultima era innamorata di qualcun altro e a lui non restava null’altro che la sua grande amicizia. Quanto a Marinette, sapeva che anche lei viveva un amore a senso unico, ma in tutta onestà Adrien ignorava l’identità della persona che aveva conquistato il suo cuore; così come ignorava il tipo di sentimento che lei provava nei suoi confronti. Marinette gli voleva bene come lui ne voleva a lei? Anche lui le piaceva? Il suo amor proprio sperò di sì. Ci teneva davvero tanto, a lei… e poco gli importava che fosse un sentimento fraintendibile agli occhi degli altri: per Marinette, Adrien avrebbe fatto di tutto. Proprio come, ne era sicuro, lei avrebbe fatto di tutto per lui. Fu questo che concluse fra sé mentre, uscendo da scuola, alzava lo sguardo verso il balcone della camera dell’amica, che si affacciava proprio su quel tratto di strada. Non fu lei che vide, però, bensì qualcun altro che non si sarebbe mai aspettato di scorgere lassù.
   Arrestò il passo, sgranò gli occhi e avvertì nitidamente il cuore rimbombargli nelle orecchie. Senza che avesse tempo di pensare a qualcosa, Ladybug si calò giù dal balcone, atterrando proprio a pochi metri da lui. Si scambiarono un lungo, silenzioso sguardo. Quindi, facendosi coraggio, la ragazza gli si fece incontro, fermandosi ad una manciata di passi di distanza. «Ero andata a controllare che Marinette non fosse rimasta coinvolta nello scontro prima che io intervenissi per salvarti», spiegò a scanso di equivoci, decisa a non distogliere gli occhi da quelli di lui.
   Adrien schiuse le labbra, senza rendersi conto che, Ladybug o meno, il suo primo pensiero fosse in realtà un altro: «Sta bene?»
   Lei sorrise, grata e felice per quel sincero interessamento. «Sì, è solo un po’ scossa. Ha assistito all’inizio della battaglia dall’alto della sua camera e si è preoccupata tantissimo per te. Forse dovresti chiamarla per rassicurarla.»
   «Lo farò senz’altro», promise Adrien, cominciando ad avvertire tutto il peso di quella dichiarazione. Non c’era nulla di male, lo sapeva anche lui; ciò nonostante, temeva che anche Ladybug, che finalmente era tornata a sorridergli e a parlargli con gentilezza, potesse fraintendere. «Grazie… per prima.»
   «Ciò che conta è che tu stia bene.»
   «Se ci sei tu, non può succedermi nulla.»
   Occhi negli occhi, nessuno dei due osava muoversi. Adrien avvertì tutto il suo desiderio delle labbra di lei e Marinette percepì il proprio. Se solo avessero saputo la verità, o se solo non fosse stato così dannatamente disonesto farlo in quel momento e in quelle condizioni, entrambi avrebbero vinto la distanza che li separava e si sarebbero stretti in un abbraccio che non avrebbe conosciuto fine.
   «Marinette…» Il sentirgli pronunciare il proprio nome così all’improvviso la fece rabbrividire. «Lei è una…»
   «…tua amica, lo so», concluse la ragazza al posto suo, cercando di mandare giù ancora una volta quell’amaro boccone. «Quel tipo…»
   «Joël.»
   «Joël ha frainteso. È così?»
   «Sì», confermò Adrien, deciso ad essere almeno onesto su quel punto. Non voleva, non poteva permettere che anche Ladybug equivocasse la situazione. «Non è la prima volta che accade, ma la verità è che…» Serrò le dita delle mani attorno alla tracolla della borsa dei libri. «Sono innamorato di un’altra.»
   Si era trasformata una seconda volta per rimediare in qualche modo al suo comportamento scostante di prima; lo aveva cercato per parlargli e, magari, ragionare insieme a lui sul suo delicato rapporto con quell’amica che troppo spesso scambiavano per la sua ragazza. E invece Marinette adesso riceveva in cambio un pugno alla bocca dello stomaco. Forte. Diretto. Potente. Straziante.
   Di nuovo ingoiò le lacrime. Di nuovo strinse i denti. Questa volta, però, si impose di non reagire in modo che potesse ferirlo. Adrien non poteva sapere quanto male le aveva appena fatto. Non poteva immaginare che quella confessione l’aveva fatta proprio a lei, Marinette.
   Accennò un sorriso e continuò a guardarlo negli occhi, ora con disperato dolore. «Non è a me che dovresti dirlo, ma alla ragazza che ti piace.» Fu un consiglio che le venne dal cuore, proprio come quello che Chat Noir aveva dato a lei alcuni giorni prima. Lo capiva. Eccome, se lo capiva. Faceva dannatamente male, le toglieva il respiro, eppure tutto ciò che desiderava in quel momento era che Adrien fosse felice. «Sei un ragazzo d’oro. Sono certa che ricambierà i tuoi sentimenti.»
   Lui iniziò a dire qualcosa, ma la suoneria del suo cellulare irruppe fra loro con prepotenza, spezzando per sempre l’incanto di quell’istante. Fu un bene per entrambi. Adrien non poteva sbilanciarsi fino a quel punto, sarebbe stato giocare sporco: Ladybug conosceva già i suoi sentimenti, ma ignorava che lui era Chat Noir. D’altro canto, Marinette non voleva sentirgli dire altro, non fino a che non avesse scaricato quell’enorme peso che le opprimeva il petto, spezzandole il fiato.
   «Sarà qualcuno che è preoccupato per te», riuscì comunque a dire, pur con voce malferma.
   «Ladybug…» mormorò il giovane, accennando un movimento nella sua direzione.
   Per riflesso, lei mosse un passo indietro, poi un altro. «Alla prossima», balbettò soltanto, sentendosi ormai sull’orlo del pianto. Doveva andar via, non poteva in alcun modo cedere davanti a lui. Avrebbe capito. E sarebbe stato uno sbaglio.
   «Aspetta!» esclamò Adrien, prima di vederla schizzare via da lì per mezzo del suo yo-yo, lasciandolo solo ed impotente con tante, troppe incognite nella mente.
   Ciò che rimase a fargli compagnia fu la suoneria del suo cellulare. Rassegnato, lo agguantò e lesse sul display il nome di Alya. «Sono preoccupata!» fu la prima cosa che gli disse l’amica quando lui rispose. «Marinette non risponde al telefono, e Nino mi ha detto che un akumizzato…»
   «È tutto a posto», la rassicurò, lasciandosi sfuggire un sorriso intenerito. Tornò a cercare Ladybug con lo sguardo, ma ormai era sparita. «Marinette è al sicuro, sta bene.»
   «Ne sei certo?»
   «È stata Ladybug ad assicurarmelo, poco fa», spiegò, conscio del fatto che bastasse quello a far svanire ogni preoccupazione dal cuore di Alya.
   «Oh, grazie al cielo!» la sentì difatti sospirare dall’altro capo della linea. «Scusa se ti ho disturbato, allora.»
   «Nessun problema, al posto tuo avrei fatto lo stesso.»
   Quando terminarono la conversazione, Adrien tornò a sollevare lo sguardo sul balcone di Marinette. Aveva promesso a Ladybug che l’avrebbe chiamata, ma se lei non rispondeva al telefono, o se l’aveva spento, era inutile provare a farlo. Deciso a tagliare la testa al toro, tornò sui propri passi e rientrò a scuola. A quell’ora, e con il corso di scherma sospeso, era assai improbabile incrociare qualcuno; ebbe perciò la fortuna di trovare il bagno dei maschi completamente vuoto e, sordo alle proteste di Plagg che stava ancora gustandosi la sua quarta fetta di camembert, richiamò il potere del proprio miraculous per tornare a vestire i panni di Chat Noir.

Quando atterrò sul balcone, la prima cosa che notò fu la finestra che conduceva di sotto lasciata spalancata – forse da Ladybug quando era andata via da lì. Mosse appena tre passi verso l’apertura e le sue orecchie captarono qualcosa di inaspettato. E inconfondibile. Silenzioso e rispettoso, Chat Noir si affacciò di sotto quasi esitando e scorse Marinette che, stesa a pancia in giù sul letto, aveva affondato la faccia nel cuscino nella speranza di soffocare quello che non gli fu difficile riconoscere come un disperato pianto a dirotto. Allarmato, e abbandonando ogni pudore, il giovane saltò giù, ricadendo sul materasso che sobbalzò sotto al suo peso. Marinette lanciò un urlo strozzato e si volse di scatto nella sua direzione, gli occhi rossi e gonfi di lacrime, il viso bagnato e stravolto dal dolore, le spalle che trattenevano a stento i singhiozzi. «Chat… Noir…?»
   «Scusa… se sono entrato senza chiederti il permesso, ma… ti ho sentita piangere.» Sedette al capezzale del letto, raggomitolandosi su se stessa e rifuggendo la sua vista. Era evidente che non volesse farsi vedere da lui in quelle condizioni. Faceva un male cane vederla così e Adrien avvertì forte e nitida una stretta al cuore. «Che è successo?»
   «Va’ via…»
   «Marinette…»
   «Per favore…»
   Sospirò, portandosi una mano fra i capelli e scompigliandoli con fare nervoso. «Il punto è che non posso farlo», iniziò allora a spiegare, sperando che lei comprendesse l’importanza della questione. «Anzitutto perché, se Papillon avvertisse le tue emozioni negative, potrebbe decidere di renderti sua schiava… e non esiste che io possa combattere contro di te», ci tenne a puntualizzare come prima cosa. Marinette trattenne il fiato: aveva ragione lui, pensò fra sé, pur nella confusione del momento. «In secondo luogo…» riprese il giovane, lasciandosi andare ad un altro sospiro, questa volta molto più profondo del primo, «pensi davvero che io possa lasciarti da sola in questo stato?» La vide sbirciare appena nella sua direzione, timida come una bambina. Le sorrise con tenerezza. «Se non vuoi dirmi cos’è successo, non importa», proseguì in tono dolce, divorandola con lo sguardo. «Però… non mandarmi via. Vorrei rimanere con te. Aiutarti, in qualche modo. Sei… importante
   Era incredibile come, nell’ultimo periodo, Chat Noir riuscisse puntualmente a sfiorare le corde del suo cuore molto più di quanto facesse Adrien. Marinette fu sopraffatta di nuovo dal pianto e, prima ancora che potesse rendersene conto, il suo corpo si mosse in direzione dell’eroe, tuffandosi fra le sue braccia e facendolo sbilanciare. Lui ricadde a sedere sul letto, sbigottito per quella reazione, ma non si tirò indietro e subito ricambiò quell’abbraccio che, lo sentiva fin dentro le viscere, era disperato e bisognoso d’amore. La strinse a sé e lasciò che Marinette sfogasse tutte quelle lacrime contro la sua spalla, rimanendo in silenzio e aspettando che lei fosse di nuovo in grado di dire qualcosa.
   Passarono diversi minuti prima che la ragazza riuscisse a calmarsi e quando lo fece si allontanò piano da lui, sciogliendo lentamente quell’abbraccio che era stato la sua àncora di salvezza. Fece per passarsi una mano sul viso, ma Chat Noir l’anticipò, asciugandole lui stesso le lacrime e guardandola con quella sua espressione buona e dolce che tanto le piaceva. «Va meglio?»
   Marinette si ritrovò ad annuire come una bambina, benché un nuovo nodo in gola le impedì di rispondere a voce. Quella tenerezza, quella gentilezza… lei non le meritava affatto. Non da lui. Abbassò lo sguardo, mortificata: aveva lasciato che a consolarla per quella delusione d’amore fosse proprio colui a cui lei stessa aveva spezzato il cuore. Non era giusto, niente era giusto. «Marinette?» Tornò ad alzare gli occhi, lucidi e rossi, su di lui. «Sul serio, non voglio vederti in queste condizioni. Né voglio che un’akuma si impossessi di te.»
   «Mi… dispiace», riuscì a mormorare, pur con voce provata. «Per tutto», aggiunse poi, lasciandolo confuso. Tornò al suo posto, liberandolo dalla sua vicinanza, e prese un respiro profondo. «Temo sia finita. Lui… è innamorato di un’altra.»
   Adrien strinse le labbra, comprendendo fin troppo bene come si sentisse lei in quel momento. «È la sua ragazza?»
   «No… o almeno, non credo…» balbettò Marinette, che a questo non aveva ancora pensato.
   «Allora forse hai ancora la possibilità di fargli cambiare idea», si sentì incoraggiare a quel punto. Batté le palpebre, fissando con stupore e ammirazione il giovane davanti a lei, che era tornato a sorriderle. «Sei… fantastica. Non posso credere che tu gli sia davvero indifferente.» Fu sul punto di aggiungere altro, ma si bloccò in tempo: no, pensò fra sé mordendosi la lingua, non era decisamente il caso di farle sapere che piaceva anche a lui. Quella riflessione – una constatazione che si era fatta strada con maggior prepotenza in quei lunghi minuti che avevano passato l’uno fra le braccia dell’altra – lo mise quasi a disagio. Imbarazzato, si portò una mano dietro la nuca e distolse lo sguardo dal suo. «Voglio dire… finché lui non ti dirà che non prova niente per te…»
   «Lo ha già fatto», replicò lei, la voce malferma e il cuore che continuava a sanguinarle in petto. «Ha detto e ripetuto che mi vede solo come una cara amica. Non credo ci sia molto altro che io possa fare.»
   Calò il silenzio per qualche istante, poi Chat Noir parlò. «Lo so… come ti senti», iniziò, gli occhi e le orecchie basse. «Lo so molto bene.» Marinette provò una fitta alla bocca dello stomaco, sentendo rigirare il dito nella piaga benché lui non potesse saperlo. «Però… forse… un giorno… le cose potrebbero cambiare.»
   L’amava così tanto? Gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime ed un sorriso le increspò le labbra. «Vorrei… Vorrei davvero che riuscissimo entrambi ad essere felici», disse col groppo in gola, pur conscia del fatto che non sarebbe mai potuto accadere. A meno che uno dei due non avesse rinunciato per sempre al grande amore della sua vita. Lei avrebbe mai potuto farlo? I suoi sentimenti per Adrien erano talmente ben radicati nel suo cuore che Marinette davvero non riusciva a crederlo possibile.
   Eppure…
   «Vorrei… che lui mi amasse come tu ami lei
   Gli occhi verdi di Chat Noir si fissarono di nuovo nei suoi, penetranti, profondi, appassionati.
   «Ed io vorrei che lei mi amasse come tu ami lui.»
   Si scambiarono un nuovo sorriso, tenero, complice, affettuoso. Marinette asciugò un’ultima lacrima, caduta a tradimento sulla guancia, e il giovane approfittò di quella distrazione per avvicinarsi e posarle un bacio fra i capelli scuri, facendole sussultare il cuore. Stava per dirle qualcosa, l’ennesimo incoraggiamento, quando con la coda dell’occhio catturò un’immagine che lo bloccò. Letteralmente.
   Non furono le sue foto appese per tutta la camera a fargli mancare un battito – a quelle ormai ci era abituato e non dava più peso. Fu, piuttosto, ciò che vide sugli scaffali dietro alla testiera del letto: una rosa ed una margherita.












Sempre in ritardo, lo so, vi chiedo sinceramente scusa. La mole di lavoro è aumentata ancora ed io davvero non ho quasi più tempo per sedermi al PC a scrivere. Ho iniziato ad abbozzare persino le scene al cellulare mentre vado al lavoro con i mezzi pubblici, altrimenti non saprei davvero come riuscire a concludere questa storia. Per la stessa ragione, devo ancora rispondere alle recensioni che i lettori di EFP hanno lasciato all'ultimo capitolo. Vi chiedo sinceramente scusa. E credo sia inutile spiegare che è sempre questo il motivo che mi costringe a rinviare la lettura delle vostre storie: non avete idea di quanti arretrati io abbia e mi piange il cuore a dover continuare a rimandarle a quando finirò la stesura di questa fanfiction.
Al momento sono alle prese con il sedicesimo capitolo e sono a buon punto. Nel senso che forse in altri due (massimo tre) capitoli dovrei riuscire a concludere tutto. Pregate per me ed il mio tempo libero, anche perché potrebbe continuare a scemare, sigh.
Ora, purtroppo, vorrei fare un piccolo appunto. Mi rivolgo perlopiù ai lettori/commentatori di Wattpad, ai quali sicuramente apparirò antipatica e puntigliosa. Tuttavia parlerò lo stesso, anche a costo di sembrare tale e di perdere una buona metà di loro, poco mi importa. Dopotutto, in alcune circostanze sono stati loro per primi a mancarmi di rispetto.
Quando scrivo, lo faccio con impegno. Ci sono capitoli (e a volte persino semplici scene) su cui mi soffermo per giorni prima che io ne sia soddisfatta (e che poi comunque continuo a correggere anche poco prima di pubblicare online). Mi scervello a cercare i termini adatti, le forme migliori, a rispettare la caratterizzazione dei personaggi e la logica degli eventi. Faccio ricerche. Di luoghi, di oggetti, di parole, di tanto altro. Che poi magari ciò che scrivo possa non piacere è un altro paio di maniche e per me non è un problema. Stiamo parlando di fanfiction, roba di poca importanza. Ma mi ci impegno lo stesso perché mi piacciono.
Eppure, puntualmente, alcuni di voi, fra un commento e l'altro, continuano a nominare le storie di altri utenti. Senza preoccuparsi che la cosa possa dar noia all'autore di quella che state commentando. Sì, a me infastidisce molto, perché denota mancanza di rispetto nei confronti miei e del mio lavoro. Vi chiedo la cortesia di smetterla. A questo punto, in tutta onestà, preferisco non ricevere commenti. Amen, me ne farò una ragione.
Volete discutere di altre storie? Liberissimi di farlo, ma in privato o comunque altrove. E non accampate giustificazioni tipo: «Eh, ma è una storia famosissima! Piace a tutti!» Non è vero, non datelo per scontato. E anche se così fosse, se aveste ragione voi, ciò non vi autorizza a parlarne nei commenti alle mie storie. È irritante, davvero. E chi fosse giunto alla conclusione che io sia soltanto gelosa delle storie degli altri, sappia che si sbaglia di grosso. Chi mi conosce sa bene che sono la prima a fare pubblicità ai titoli più meritevoli, ma solo quando è necessario. Non faccio spam gratuito nemmeno alle mie storie, non mi sento tanto arrogante da credere che siano le migliori. Un minimo di amor proprio, però, ce l'ho anch'io.
Vorrei portare a conclusione questa fanfiction in modo sereno, tanto più che con tutta probabilità e per diverse ragioni, sarà l'ultima che scriverò (almeno di long di sicuro). Non costringetemi a cancellare le mie fanfiction da Wattpad e a pubblicare unicamente su EFP, come ho sempre fatto, o a lasciare questa a metà (perché sì, lo farei).
È come l'avviso sulle richieste che mi fate riguardo alle trame: ho dovuto inserirlo nel mio profilo perché ne ricevevo troppe, e quel poco tempo libero che riesco a passare al PC preferisco impiegarlo per scrivere le storie che mi piacciono.
Vogliate perdonare questo mio sfogo, ma davvero ne ho fin sopra i capelli. Cerco sempre di essere gentile con tutti, ma ogni cosa ha un limite. Vorrei solo un po' di rispetto.
Detto questo, vi saluto e vi ringrazio per essere ancora qui a seguire questa storia nonostante gli aggiornamenti non proprio costanti.
Un abbraccio e buona giornata!
Shainareth





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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***





CAPITOLO NONO




Era una coincidenza. Una mostruosa coincidenza. Doveva esserlo.
   Fu questo che si disse Adrien rientrando in casa, il cuore pesante come un macigno. Sebbene si sentisse ancora stordito da quanto aveva visto, aveva lasciato Marinette con un sorriso ed un’ultima parola di conforto, prima di sgattaiolare di nuovo via dal suo balcone e lasciare che il vento, l’altezza e le acrobazie in aria gli spazzassero via i pensieri. Gli stessi che tornarono a chiedergli il conto non appena rientrò in camera sua.
   Rimase in piedi per diverso tempo, fermo al centro della stanza, gli occhi bassi e lo sguardo assente. Vedere Marinette in quello stato lo aveva fatto a pezzi. Era abituato ai suoi sorrisi, alle sue provocazioni, ai suoi cipigli corrucciati e alle sue espressioni buffe, timide e goffe; ma alle lacrime… no, quelle non le aveva mai viste. Non prima di quel pomeriggio. Faceva male, malissimo. Peggio ancora, non poteva fare nulla per aiutarla, se non risollevarle il morale con due parole dolci ed una battuta di spirito. Non poteva bastare. Avrebbe voluto fare di più e invece aveva le mani legate. Oltretutto Marinette si era confidata più volte con Chat Noir e mai con Adrien.
   «Adrien?» Alzò distrattamente lo sguardo su Plagg che, il musino incurvato verso il basso, lo fissava da sotto in su con occhioni preoccupati. Abbozzò un sorriso che di allegro aveva ben poco e gli passò un’affettuosa carezza fra le orecchie con la punta di un dito.
   «Alla fine… temo tu avessi ragione…» mormorò con voce quasi irriconoscibile, ammettendo implicitamente con se stesso qualcosa che fino a un’ora prima aveva spergiurato essere falsa. Non aggiunse altro, lasciando il piccolo kwami ad osservarlo mentre attraversava la stanza per andare a sedere sul letto. Tirò fuori dalla tasca l’amuleto che Marinette gli aveva regalato tempo prima e dal quale non si separava mai, e si portò l’altra mano davanti alla bocca con fare pensieroso. Doveva pur esserci un modo per aiutarla, distrarla. Avrebbe potuto chiederle di tornare al parco insieme a lui per finire l’esplorazione cominciata il giorno addietro. O avrebbe potuto chiederle di andare al cinema con gli altri loro amici. O di tornare al parco tutti insieme. O… magari… avrebbe potuto chiederle dove avesse preso la rosa e la margherita che aveva visto in camera sua…
   Si tuffò all’indietro, ricadendo di spalle sul materasso, le braccia larghe ai lati del corpo e i capelli biondi spettinati attorno al viso. «Quante possibilità ci sono che quei fiori siano gli stessi che ho regalato a Ladybug?» domandò sottovoce, non aspettandosi alcuna risposta da parte di Plagg, che comunque lo aveva seguito e ora sedeva su uno dei cuscini, continuando ad osservarlo con aria preoccupata. «Se anche te lo chiedessi, non mi risponderesti, vero?»
   «Ti prego», disse la creaturina nera, caricando quelle parole di disperazione, «non ricattarmi ancora con il camembert…»
   Di nuovo le labbra di Adrien si incresparono in un sorriso. «Non lo farò, promesso», gli assicurò stancamente. «Tanto più che è impossibile che quei fiori siano sopravvissuti così a lungo. Sembravano quasi di plastica.» Sospirò e si diede una spinta per tirarsi su a sedere. Doveva smettere di pensarci. Doveva anche smettere di preoccuparsi troppo per Marinette, anche e soprattutto perché, prima che lui andasse via, lei gli aveva sorriso di cuore, segno che la sua presenza nel momento del bisogno le aveva fatto bene.
   Si alzò con l’intento di distrarsi, perciò si avviò per recuperare la borsa della scuola e mettersi a studiare. Prima, però, si curò di lasciare fra le zampine del suo kwami una sostanziosa porzione di formaggio. «Te lo sei davvero meritato, oggi», si complimentò con lui, facendogli dono di una nuova carezza.
   Felice per quella ricompensa, Plagg affondò i dentini affilati nella pasta morbida del camembert e strappò il primo morso. «Non sei pentito neanche un po’?»
   Adrien rallentò i movimenti con cui stava tirando i libri fuori dalla tracolla e fissò l’amico in tralice. «Per cosa?» domandò in tono incerto, quasi come fosse sul chi va là.
   «Per aver incoraggiato quel ragazzo a dichiararsi a Marinette.» La poker face che esibì il giovane in quel momento fu da manuale, ma Plagg non ci cascò neanche per un secondo. «Scemo», commentò soltanto, tornando a masticare il suo adorato formaggio.

Guardinga, avanzò piano e in silenzio nel cortile interno della scuola, sperando di non incontrarlo proprio in quel momento. Sapeva che, una volta in classe, se lo sarebbe trovato davanti e avrebbe dovuto comunque averci a che fare, ma se poteva ritardare in qualche modo il loro faccia a faccia… Era per questo che si era recata a scuola prima del solito, così che avesse più tempo per prepararsi psicologicamente. Raggiunse l’area degli armadietti e si guardò attorno attentamente, decisa a non lasciarsi sfuggire alcun particolare: quando voleva, Adrien sapeva essere più invisibile e silenzioso di un ninja ben addestrato. Accertatasi che lui non fosse lì, Marinette si sentì infine libera di tirare un primo sospiro di sollievo.
   Quella notte aveva dormito poco, come c’era da aspettarsi, ma non male. Non del tutto, per lo meno, perché nel momento in cui il suo cuore si faceva prendere dallo sconforto dovuto alle parole di Adrien, subito si riscaldava ricordando quelle di Chat Noir. Alla luce di quanto successo, non dubitava più di ciò che provava per il compagno di classe, però iniziava ad ammettere con se stessa che forse la persona giusta per lei era qualcun altro. Ciò nonostante, pur con questa consapevolezza, come poteva pretendere di comandare i propri sentimenti? Era impensabile. Soprattutto perché trovava ridicolo, offensivo e riprovevole virare le proprie attenzioni verso qualcuno soltanto perché sapeva darle l’amore che cercava. Non bastava. Era come elemosinare affetto, e la ragione, prima ancora del suo amor proprio, le urlava che non era così che andavano le cose, che accontentarsi – che brutta parola, usata in quel contesto! – avrebbe reso infelice sia lei che… beh, Chat Noir. Inoltre, se anche avesse ceduto alla tentazione di farsi consolare da lui sotto tutti i punti di vista, bisognava tenere i piedi ben piantati per terra: quale relazione avrebbero potuto intessere, senza rivelarsi l’uno all’altra? Ed entrambi ben sapevano che le identità dei due eroi di Parigi erano preziose ed inviolabili per il bene dei loro cari – e per il loro in primis.
   «Al diavolo tutte le citazioni che si trovano sui social network», borbottò a mezza voce, facendo ridacchiare Tikki, che era intervenuta a tirarle su il morale subito dopo che Chat Noir era andato via, il pomeriggio addietro. «Se ci pensi, anche quando tengo la mano di mio padre mi sento protetta e al sicuro, amata. Non per questo posso sposarlo.»
   «Sei stranamente cinica, stamattina», le rispose, facendo capolino dalla sua borsetta. «È un modo come un altro di reagire», constatò, quando la ragazza abbassò lo sguardo su di lei.
   «Non posso lasciarmi abbattere», spiegò Marinette, forte del proprio ruolo. «Ladybug non può e non deve cadere vittima di Papillon. Senza contare che non ho alcuna intenzione di far preoccupare Adrien: lui non c’entra niente. O meglio, c’entra, ma non ha alcuna colpa. Nessuno sceglie di chi innamorarsi. Ed io gli voglio troppo bene per non augurargli di essere felice, sia pure con un’altra ragazza.»
   Il cuore di Tikki si sciolse letteralmente, a quelle parole, e lei la fissò da sotto in su con sincera ammirazione: il Maestro Fu aveva visto giusto, affidandole il miraculous della Coccinella. Marinette era molto più forte di quanto potesse sembrare o di quanto lei stessa credesse. E lo stesso poteva dirsi di Adrien che, pur non avendo capito di essere la causa principale delle lacrime dell’amica, non si era tirato indietro quando c’era stato bisogno di consolarla. Anzi, si era preoccupato sinceramente per lei e le aveva dato tutto il suo affetto. Era davvero terribile che quei due ragazzi non potessero vivere il loro amore senza tutte quelle bugie a fin di bene…
   «Marinette…?»
   Una voce timida e sconosciuta indusse il kwami a nascondersi in fretta. Marinette si affacciò incerta da dietro l’anta dell’armadietto aperto e vide che, fermo sull’uscio della stanza, c’era lo stesso ragazzo che Papillon aveva akumizzato meno di ventiquattr’ore prima. Com’è che si chiamava…? Non lo ricordava affatto – ammesso che qualcuno glielo avesse detto. Abbozzò un sorriso, rammentando però quale triste notizia avrebbe dovuto dargli semmai lui avesse deciso di farsi avanti con lei proprio in quel momento.
   «Sei uno dei compagni di scherma di Adrien, vero?»
   Lo vide sorridere, lieto che lei lo avesse riconosciuto. «Mi chiamo Joël», si presentò allora, avvicinandosi di qualche passo. «Io… ti ho vista alle selezioni per il corso di monsieur D’Argencourt», iniziò a spiegare.
   Alle sue spalle, non visto da nessuno dei due, Adrien arrestò il passo, gli occhi sgranati che fissavano la scena, le mascelle serrate e le dita che stringevano con forza la tracolla della borsa. Si era presentato a scuola prima del solito perché voleva essere lì all’arrivo di Marinette, così da accertarsi subito che stesse bene; non si era però aspettato di non essere il primo a parlarle. Non avrebbe dovuto meravigliarsene, in realtà: era stato lui stesso a spronare Joël a farsi avanti con lei. Però…
   «Io… volevo chiederti scusa», stava continuando il suo compagno di scherma, spostando il peso del corpo da un piede all’altro con evidente nervosismo. «Non so se hai saputo cos’è successo ieri…»
   «Sì, a dire il vero sì», rispose Marinette, cercando di trovare le parole giuste e il tono più delicato possibile per non fargli troppo male nel caso lui avesse deciso di vuotare il sacco fino in fondo. Presa com’era dalla questione, non notò la figura che, in fondo alla stanza, sgusciò dentro e andò di corsa a nascondersi dietro gli armadietti attigui al suo. Da lì forse sarebbe riuscito ad ascoltare meglio ciò che si stavano dicendo, pensò Adrien, che non voleva saperne di lasciarli soli. Era un atteggiamento infantile e ipocrita, lo sapeva bene, ma che poteva farci?
   «Se dici di nuovo che Marinette per te è soltanto un’amica, giuro che ti mordo», lo avvisò Plagg, sbucando dal taschino interno della sua giacca. Piccato, il giovane gli piantò un dito sulla testolina scura e la spinse indietro. «Zitto, non voglio che mi scoprano.»
   «Ecco… immaginavo», tornò a parlare Joël. «È che… ho frainteso il tuo rapporto con Adrien e…»
   «Adrien è solo un amico», rispose Marinette, atona, dovendo dichiarare a voce alta quella triste verità. Lui, Adrien, si portò una mano al petto, come se qualcosa lo avesse colpito violentemente – e a tradimento. «Però…» riprese la ragazza, facendogli drizzare di nuovo le orecchie, «posso capire perché tu abbia equivocato il nostro rapporto. Lui mi piace molto.»
   Sì! Festeggiò il giovane fra sé, stringendo il pugno e tirando all’indietro il braccio piegato all’altezza del gomito, in un gesto che manifestava tutta la propria soddisfazione.
   «Sei… innamorata di lui?»
   Eccola lì la domanda che lo riportò con i piedi per terra. Adrien non fu del tutto certo di voler ascoltare la risposta di Marinette, anche e soprattutto perché era consapevole che sarebbe stata negativa. Lei amava già qualcuno, un ragazzo che le aveva irrimediabilmente spezzato il cuore e l’aveva ridotta in singhiozzi, facendola piangere a dirotto fra le sue braccia. Il giovane ancora ricordava il dolore sordo che aveva avvertito per ognuna di quelle dannate, preziosissime lacrime.
   «Joël», prese a dire Marinette con un sospiro, facendo rabbrividire entrambi i ragazzi. «Cos’è che volevi dirmi?» chiese, sviando la domanda e sperando di non prolungare oltre quell’agonia.
   Preso in contropiede da quella mossa, Joël andò in confusione e avvertì tutto il proprio coraggio sgretolarsi senza possibilità di recupero. «No… io… niente», farfugliò, facendo un passo indietro e rifuggendo lo sguardo di lei.
   Come lo capiva… Marinette sospirò ancora, ma non infierì. Se una parte di lei avrebbe voluto scuoterlo e farlo reagire, pur sapendo che avrebbe finito con lo sbattere il muso contro una triste verità, l’altra parte si rendeva conto che non era il caso di forzare quel povero ragazzo a farsi avanti se davvero non se la sentiva. «Scusa», balbettò ancora lui. «Non volevo disturbarti… volevo solo chiederti scusa per aver frainteso. Più tardi lo farò anche con Adrien», concluse in fretta, prima di decidere per una ritirata strategica. «Buona… sì, buona giornata.» Detto ciò, mise in atto la sua fuga cercando di non apparire troppo disperato.
   Marinette rimase a fissare per alcuni istanti il punto in cui era sparito. Poi, senza commentare alcunché, recuperò ciò che le serviva dall’armadietto e lo richiuse con un movimento lento e pesante. «La giornata non è cominciata nel migliore di modi», borbottò, avviandosi verso l’uscita.
   Quando fu sicuro che anche lei fosse andata via, Adrien strisciò fuori dal suo nascondiglio, un groviglio di emozioni contrastanti a chiudergli lo stomaco. Si sentiva sollevato dalla mancata dichiarazione di Joël, sebbene sapesse che era sbagliato. Avrebbe dovuto incoraggiarlo ancora? No, non sarebbe stato onesto da parte sua intromettersi una seconda volta; tanto più che, ormai, non era più neanche sicuro di ciò che lui stesso provava per Marinette.

Trovarsi faccia a faccia con lei non era mai stato difficile come in quel momento. Fu questo che pensò quando, varcata la soglia dell’aula, la vide seduta al suo posto, da sola, con il gomito poggiato sul banco e la mano a sorreggerle il viso, lo sguardo perso oltre i vetri della finestra. Erano i primi. Erano soli. Avvertendo la sua presenza, Marinette si voltò nella sua direzione e Adrien rimase senza fiato: da quando i suoi occhi erano diventati così belli? Cioè. Che fossero belli lo aveva sempre saputo, ma… così tanto? Com’è che lui non se n’era mai accorto? Com’è che ora, con una stretta al cuore, continuava a vederli intrisi di lacrime? Prese fiato, deciso a farli splendere di gioia.
   «Ehi, Marinette!» esordì con fare allegro, rispolverando il suo sorriso vincente, quello che metteva su tutte le volte che, nei panni di Chat Noir, cercava di giustificarsi agli occhi della sua buginette.
   Lei sorrise appena, felice di vederlo nonostante l’animo in pezzi. «Ehi, Adrien…» rispose in tono calmo. «Sei di buon umore?» Almeno lui, pregò con tutta se stessa. Dio, fa’ che almeno lui non debba soffrire come me e Chat Noir.
   «Più o meno», fu vago il giovane, facendosi avanti e posando la borsa al proprio posto senza darle le spalle. Anzi, sedette sulla superficie del banco e poggiò le suole delle scarpe sulla panca, incurante di sporcarsi quando sarebbe iniziata la lezione. Braccia sulle ginocchia, mani intrecciate e sorriso sornione, i suoi occhi furono tutti per lei. «Stavo pensando ad una cosa», cominciò, cercando di non cedere alla tentazione di approfondire l’analisi dei propri sentimenti per lei. «Sei libera, dopo la scuola?»
   Marinette inarcò le sopracciglia, stupita per quella domanda. «Sì… non dovrei avere impegni. Perché me lo chiedi? Hai bisogno di qualcosa?»
   Ostentando un’espressione offesa, lui incrociò le braccia al petto. «Devo necessariamente aver bisogno di qualcosa, per chiederti di uscire con me?»
   Fermi tutti, urlò il cervello della ragazza, benché il suo cuore fosse già partito a briglia sciolta verso la Valle Dell’Amore E Della Gioia Incontenibile. Costretta a tirarne le redini per evitare che finisse ancora una volta nel Crepaccio Delle Delusioni, Marinette prese aria e tentò di dire qualcosa. Annaspò a vuoto per qualche secondo, prima di riuscire a pronunciare delle parole di senso compiuto. «No… Non intendevo questo…»
   «Mi piacerebbe continuare ciò che abbiamo lasciato in sospeso domenica», spiegò allora Adrien, che per un attimo aveva temuto che lei avesse un colpo. Aveva visto la sua espressione stravolgersi e per diversi, interminabili istanti, il suo sguardo farsi vacuo.
   «Cioè… vuoi tornare a Parc des Buttes-Chaumont?»
   «Esattamente», annuì, sperando che la cosa le interessasse. «Noi due da soli, però.»
   Marinette si riavviò una ciocca di capelli dietro ad un orecchio e si lasciò scappare una risatina nervosa, rifuggendo il suo sguardo. Era uno scherzo? Adrien stava giocando con i suoi sentimenti o cosa? No, calma. Non sa che sono innamorata di lui, quindi non può prendersi gioco di me. Con questa consapevolezza, unita a quella che lui stesso le aveva confessato il giorno addietro, e cioè che era innamorato di un’altra ragazza, Marinette tornò a guardarlo, questa volta di sottinsù. «Ok», disse soltanto. «Speriamo solo che stavolta a nessuno salti in testa di buttarsi giù dal ponte…»
   «Sì, già… brutta esperienza…» concordò il giovane, tornando con la memoria a quello spiacevole episodio. Non gli fu possibile aggiungere altro, perché i loro compagni iniziarono ad arrivare uno ad uno e ben presto l’aula si riempì. Strizzando l’occhio alla sua prediletta, scese dal banco e rivolse un gran sorriso a Nino, che era appena entrato in classe. Non sapeva e forse neanche voleva scoprire cosa si agitasse con precisione nel suo animo, ma Adrien si sentiva felice.
   Quanto a Marinette, invece, era a dir poco scombussolata: il suo cuore urlava di gioia, la sua testa le diceva di mantenere i piedi ben saldi per terra. E come poteva fare altrimenti? Pur credendo di parlare con Ladybug, Adrien era stato chiaro: non ricambiava i suoi sentimenti. Sospirando, la ragazza cercò di convincersi che la verità fosse la più ovvia: l’invito che le aveva appena fatto il giovane non nascondeva alcun secondo fine, come ogni cosa che lui faceva o diceva. Un’uscita fra amici e nulla più. Forse era troppo presto, per lei, affrontare una prova tanto ardua, ma non poteva e non voleva rinunciare all’opportunità di passare del tempo con lui, sia pure in modo innocente, senza aspettarsi niente, nessun tipo di evoluzione. Le sue labbra si inarcarono appena verso l’alto quando lo vide ridere ad una battuta di Nino. Le bastava davvero quello, saperlo felice.

Alla fine Joël non si era presentato anche da lui. Se da una parte Adrien gliene fu grato per timore di sentirsi a disagio, dall’altra sapeva che non era giusto lasciare le cose a metà. Conosceva poco il suo compagno di scherma, ma aveva capito che era un ragazzo piuttosto timido – e ne aveva avuto conferma quella mattina, quando aveva tentato di avvicinarsi a Marinette e invece alla fine se l’era data a gambe senza dirle niente.
   Troppo buono e puro per lavarsene le mani, Adrien si armò di un sorriso incoraggiante e lo seguì nel bagno dei maschi quando, durante l’intervallo, lo vide dirigersi lì. «Ciao, Joël», iniziò appena i loro sguardi si incrociarono.
   L’altro si irrigidì e subito abbassò gli occhi. «Ciao… Adrien…»
   Si sentiva in colpa per quanto successo per via dell’akuma? O era ancora geloso di lui? Qualunque fosse stata la verità, Adrien si rese conto che l’unica cosa che gli interessava davvero sapere era un’altra. «Tutto bene?»
   Joël tornò a guardarlo, stupito e commosso da quella domanda. Dunque Adrien non ce l’aveva con lui per l’aggressione e tutto il resto? Strinse le labbra e annuì. «Mi… dispiace per ieri…»
   Lo vide scuotere le spalle con noncuranza. «Se dovessimo tener davvero conto di ciò che ci costringe a fare Papillon quando siamo sotto l’influsso dei suoi poteri, sarebbe un bel guaio.»
   «Quindi… non sei arrabbiato?»
   Adrien quasi rise. «Non esiste che io possa arrabbiarmi per una cosa del genere.»
   «Sul serio?» balbettò Joël, incredulo. Cos’era, un santo?
   «So cosa vuol dire perdere il controllo e rischiare di fare del male a qualcun altro. Magari persino alle persone a cui vuoi bene», spiegò con calma l’altro, che più di una volta, suo malgrado, era stato manipolato dagli akumizzati e da loro costretto a scagliarsi contro la sua amata Ladybug. «Non parliamone più, d’accordo?» propose, porgendogli la mano in segno di pace.
   Joël non se lo fece ripetere due volte e subito gliela strinse. Al di là dei suoi complessi di inferiorità nei confronti di Adrien, lo ammirava molto. In verità, avrebbe voluto tanto essere bravo come lui nella scherma, avere il suo stesso carisma, la sua stessa eleganza e, se possibile, anche solo un decimo del suo fascino. Adrien era sempre sulla bocca delle ragazze, che non facevano altro che decantarne le lodi, ed era molto amico di Marinette, colei che aveva ammaliato Joël durante le selezioni per l’accesso al corso di scherma. «Senti… io… Volevo chiederti scusa anche per aver equivocato il tuo rapporto con… sai…»
   «Marinette?» concluse Adrien per lui. Benché fosse ancora confuso riguardo ai propri sentimenti per la compagna di classe, una cosa poteva almeno affermarla con certezza, ormai. «Non preoccuparti, non sei il primo che fraintende e… onestamente comincio a credere che voialtri abbiate l’occhio più lungo del mio.»
   L’altro giovane tornò ad irrigidirsi e a perdere parte di quella sicurezza che era riuscito ad acquisire in quei pochi minuti di conversazione. «Quindi… Quindi lei… ti piace?»
   Adrien si concesse un istante prima di rispondere. Non per riflettere sulla questione, quanto per convincersi che ciò che stava ammettendo non era affatto una bugia. «Sì, molto.»
   Vide Joël prendere un grosso respiro e ciondolare sul posto, come se fosse sul punto di farsi prendere dal panico. «Tu… Le piaci anche tu», gli riferì, per amor di onestà.
   Adrien sorrise con gratitudine e ammirazione: quel ragazzo era sincero e privo di reale malizia. «È innamorata di qualcun altro», gli rivelò, deciso ad essere altrettanto corretto. Lesse incredulità nello sguardo del suo compagno e si strinse nelle spalle con aria impotente. «Esatto, a quanto pare non basta essere un modello famoso per far breccia nel cuore di tutte le ragazze della scuola», scherzò con un pizzico di amarezza nel tono della voce. In realtà non gli dispiaceva venire apprezzato per le sue vere qualità – quelle che non riguardavano l’aspetto esteriore – perciò era felice che Marinette, così come Alya e altre loro amiche, non fosse troppo abbagliata dal suo bel faccino.
   Joël abbassò di nuovo gli occhi, questa volta con fare pensieroso. «Insomma… non ha senso che io mi faccia avanti…» mormorò in tono mogio.
   «Forse dovresti comunque.» Adrien avrebbe voluto mordersi la lingua, ma la sua coscienza prendeva sistematicamente il sopravvento e non poteva tacere davanti a quel cuore ferito. «Hai tutto il diritto di farle sapere ciò che provi.»
   «E… E se fosse inutile?»
   «Almeno non vivrai col rimpianto di non aver tentato.» Lo vide esitare. Reagì ancora. «Anch’io mi sono dichiarato ad una ragazza, non molto tempo fa.» Gli occhi di Joël saettarono di nuovo nei suoi. «Sono stato respinto.» Adrien rise nel vedere l’espressione sbigottita dell’altro. «Giuro, è successo davvero.»
   «È per questo che ora hai rivolto le tue attenzioni a Marinette?»
   Era una domanda ovvia, che lui stesso avrebbe potuto e dovuto porsi già da un po’, e cioè da quando aveva capito che il pensiero di Marinette si era insinuato sempre più nel suo cuore. Tuttavia, se ne rese conto solo in quel momento, quando a rivolgergliela fu qualcun altro. «Non…» Tentennò, non sapendo esattamente cosa rispondere. Era ancora innamorato di Ladybug? Sì, diamine. Marinette gli piaceva? Sì, diamine. E se avesse dovuto scegliere? Se avesse avuto la possibilità di condividere qualcosa con Marinette, qualcosa che esulasse dalla soglia dell’amicizia, lo avrebbe fatto? Senza rimorso? Senza pensare di aver tradito il suo amore per colei che fino a quel momento era stata la regina incontrastata del suo cuore?
   Strinse le labbra, decidendo di non arrovellarsi troppo attorno a quel pensiero. Avrebbe seguito il consiglio di Nino, procedendo un passo alla volta: con i sentimenti, che fossero suoi o di qualcun altro, non c’era da scherzare. Bastava un nulla per rovinare ogni cosa, irrimediabilmente. «Non lo so», confessò senza più esitare. «Ammetto di essere abbastanza confuso al riguardo.» Joël parve capire ciò che lui voleva dire e annuì di nuovo, senza dire alcunché. Adrien prese un respiro profondo e continuò: «Comunque andranno le cose, però, mi farebbe piacere che noi due rimanessimo in buoni rapporti.»
   Pur volendo, non avrebbe potuto dirgli di no. Joël se ne rese conto all’istante, quando gli venne spontaneo sorridergli con gentilezza: non solo Adrien lo aveva perdonato per ciò che gli aveva fatto, per di più ora aveva messo a nudo tutta la propria fragilità, dimostrando di non essere poi troppo diverso da lui. «Farebbe piacere anche a me.»

«Fammi capire», cominciò Plagg quando, durante la pausa pranzo, Adrien era andato in camera sua per posare la borsa con i libri e darsi una rinfrescata. «Prima chiedi un appuntamento a Marinette e poi incoraggi un altro ragazzo a dichiararsi a lei?»
   «Non è un appuntamento», chiarì il giovane, non sapendo se sentirsi sorpreso per quella domanda o vagamente infastidito. «Voglio solo tirarle su il morale. Ed io non sono nessuno per costringere Joël a tacere sui propri sentimenti.»
   «Mi fa piacere che tu abbia imparato la lezione, dopo la tua disavventura con quello scultore», si congratulò con lui il kwami, assaggiando il suo adorato formaggio. «La gelosia può uccidere l’amore prima ancora che nasca.»
   «L’hai letto nei cioccolatini?» s’interessò di sapere Adrien, fissandolo con aria scettica. «In ogni caso, non ho motivo di essere geloso. Non di Marinette.»
   «E allora perché stamattina ti sei nascosto dietro gli armadietti per spiare lei e quel ragazzo, mentre parlavano da soli?» Preso in contropiede, lì per lì non seppe cosa rispondere e questo diede all’altro il tempo di incalzarlo. «Sei ancora convinto di essere innamorato di Ladybug?»
   «Io sono innamorato di Ladybug», ci tenne a puntualizzare indispettito il giovane, recuperando il sangue freddo. «C’è una bella differenza.»
   «E nel frattempo esci con un’altra.»
   «Un’amica.» Plagg si avventò sulla mano con cui Adrien stava per porgergli un altro pezzo di camembert, ma il ragazzo schivò appena in tempo i suoi dentini affilati. «Sei diventato matto?!»
   «Te l’avevo detto che ti avrei morso», rispose con decisione la creaturina, fissandolo dritto negli occhi con fare severo. «L’hai ammesso tu stesso che Marinette ti piace.»
   «Certo, ma resta il fatto che sia anche mia amica», ribatté Adrien, testardo più di lui. Non era neanche sicuro di ciò che provava per lei, come poteva arrivare a definirla in altro modo, per di più sapendo che Marinette era innamorata di un altro? «Proprio per questo voglio che si distragga e non pensi troppo alla delusione che ha ricevuto ieri. Come Chat Noir ho già fatto la mia parte, ora tocca al suo amico Adrien», spiegò per dovere di cronaca. «Anche se in teoria non dovrei saperne nulla», aggiunse poi in un borbottio, sperando in cuor suo che Marinette si confidasse di nuovo con lui, sebbene questa volta non portasse alcuna maschera.
   «Attento a non fare un passo falso o finirai per farti scoprire», lo avvertì Plagg, ammorbidendo il tono della voce e mostrando ancora una volta di tenere molto a lui, benché non glielo dicesse quasi mai.
   Adrien gliene fu grato e abbozzò un sorriso. «Temo che, se capisse la verità, non me lo perdonerebbe mai.» Insieme al camembert, il suo kwami ingoiò anche una rispostaccia: possibile che quel ragazzo fosse davvero tanto ottuso da non capire che Marinette gli avrebbe perdonato qualunque cosa e che, forse, sarebbe stata persino felice di sapere che dietro la maschera di Chat Noir si nascondeva proprio lui? Avrebbe così capito che i loro problemi di cuore non erano altro che un enorme, tragicomico malinteso, e che in realtà potevano essere felici insieme senza più lacrime e bugie a fin di bene.
   «Scendo di sotto. Appena finisco di pranzare, torno a prenderti. A dopo.» Seguì l’amico con lo sguardo fino a che non lo vide sparire dietro la porta della camera. Possibile che né lui né Tikki potessero fare nulla per aiutare i loro portatori? Plagg se lo era chiesto sempre, immancabilmente, nel corso dei millenni, e nonostante si fosse rassegnato ad obbedire alle regole, non riusciva però ancora a farsene una ragione.












Pur dopo eoni e in barba a mille peripezie, finalmente riesco ad aggiornare, poffarbacco!
Lavoro, impegni personali e imprevisti vari mi hanno tenuta a lungo lontana dal computer. E non è finita, sigh. Sono settimane che non riesco a buttare giù mezza riga e proprio quando mi ero ripromessa almeno di aggiornare... puff! Il computer ha iniziato a dare i numeri. Speriamo che non mi dica addio definitivamente, altrimenti so' augelli senza zucchero.
Ad ogni modo, riecco qui i nostri prosciuttini. Adrien sta iniziando ad aprire gli occhi almeno riguardo ai propri sentimenti per Marinette, mentre lei comincia a rapportarsi con lui in modo un pelino più razionale. Riusciranno i nostri eroi a far chiarezza in tutta questa confusione? Oppure la qui presente autrice della storia giocherà altre carte e scombussolerà ulteriormente il tutto? Se considerate che ho scritto altri sette capitoli e che ne mancano altri due o tre alla fine della long, suppongo che la risposta sia abbastanza scontata.
Detto ciò, vi chiedo come sempre scusa se non sono riuscita di nuovo a rispondere alle vostre recensioni, ma sono davvero in un periodo parecchio caotico, soprattutto per due questioni parecchio importanti (una delle quali spero di condividerla con voi al più presto).
Grazie ancora per essere qui a leggere le mie fantasie su questi due adorabili tontolotti e per tutto il sostegno che mi date sempre con le vostre bellissime parole. ♥
Shainareth





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Capitolo 11
*** Capitolo decimo ***





CAPITOLO DECIMO




«È da prima che ti vedo assorta e quasi imbronciata», esordì Tikki quando salì con lei in camera per posare lo zaino al termine delle lezioni. «Non sei felice per questo appuntamento?»
   Marinette sospirò. «Non è un appuntamento», chiarì anzitutto, con l’intento di non illudere inutilmente se stessa. «E sì, certo che sono felice.»
   «A guardarti non si direbbe», constatò il kwami, seguendo le sue mosse mentre prendeva alcuni biscotti e li infilava nella borsetta in caso di emergenza. «Hai forse deciso di rinunciare a lui?» In tutta onestà, la ragazza non aveva deciso un bel niente. Pur con tutta la buona volontà, non ci riusciva, era troppo presto. L’unica cosa che poteva fare, giunti a quel punto, era aspettare e vedere cosa sarebbe successo, sperando di poter almeno fare chiarezza con se stessa. Comprendendo quella sua confusione, Tikki le si fece vicina e le sorrise con affetto. «Il tempo è la cura a tutto», riprese in tono dolce. «Forse porterà nuove risposte o magari delle novità inattese.» Marinette accennò un sorriso pieno di gratitudine. «Ora pensa solo a goderti questo pomeriggio con il tuo amico Adrien.»
   Confortata ancora una volta da quell’amica insostituibile, la ragazza si affacciò al balcone, in attesa che Adrien tornasse a prenderla con l’auto di famiglia. Avevano preferito non recarsi al parco subito dopo le lezioni per non attirare l’attenzione degli altri: dal momento che il loro rapporto risultava fraintendibile, ad occhi estranei, era bene evitare di alimentare sospetti al riguardo o avrebbero entrambi finito per non potersi frequentare in piena libertà e in modo spensierato. C’era, in realtà, anche un’altra ragione per cui avevano optato per quella soluzione, benché l’uno non ne avesse fatto parola con l’altra: al di là degli strepiti di Chloé, Adrien non voleva sentirsi sotto pressione nel caso Nino li avesse visti, e Marinette voleva evitare la medesima cosa sfuggendo all’occhio vigile di Alya. Erano i loro migliori amici e di sicuro l’indomani, se non quella sera stessa, avrebbero raccontato loro ogni cosa; ma in quel momento volevano che quello rimanesse un loro segreto. Avevano bisogno di far chiarezza con loro stessi e, affinché ciò avvenisse, dovevano confrontarsi l’uno con l’altra, senza filtri e senza interventi esterni – per quanto discreti e a fin di bene potessero essere.
   Alzando gli occhi al cielo, Marinette storse il naso: all’orizzonte, oltre l’imponente Notre-Dame, si scorgevano dei nuvoloni scuri e minacciosi. Sperò che il vento che si era alzato non aumentasse, correndo il rischio di spingerli fin lì e magari rovesciare acqua sulla città. Anche se non era un appuntamento, quello che si erano dati lei e Adrien, voleva comunque passare un pomeriggio senza inconvenienti e, se ci fosse riuscita in barba ai suoi sentimenti contrastanti, cercare di rilassarsi in qualche modo. Vide l’auto della famiglia Agreste svoltare l’angolo e avvicinarsi alla sua abitazione e, senza perdere tempo ed ignorando lo specchio ad ulteriore conferma che non voleva vedere in quell’uscita un secondo fine, si affrettò giù per le scale.

«Rieccoci, finalmente», esordì Adrien attraversando con lei l’ingresso del parco, mentre alle loro spalle l’auto ripartiva e li lasciava soli in quella loro avventura introspettiva. Perché altro non era che quello, il loro incontro: riflettere insieme, ascoltare il proprio cuore e cercare di capire come comportarsi in futuro. Non se l’erano detti, però, tanto che Adrien aveva come fine primario quello di risollevare il morale della sua amica, mentre Marinette quello di assecondare l’innocente desiderio di lui di tornare in quel posto insieme. «Potremo goderci il parco in santa pace, oggi.»
   «Peccato non sia la migliore delle giornate», osservò la ragazza, scrutando il cielo sempre più ombroso.
   «Cerchiamo comunque di renderla tale», fu l’ottimistica risposta che ricevette. «Soprattutto, meno noiosa, visto che questa volta non dovremo posare per monsieur Vincent. A proposito, appena mi faranno sapere una data per il servizio vero e proprio, te la comunicherò. Nel frattempo, è assai probabile che Nathalie contatti i tuoi genitori per avere il permesso per lasciarti partecipare al lavoro. Semplici scartoffie burocratiche per non avere problemi legali, visto che siamo entrambi minorenni.»
   Marinette attese che il giovane finisse di parlare per farlo a sua volta. «Adrien», iniziò esitante. Lui le rivolse la propria attenzione, posando sui suoi quei grandi occhi verdi che tanto amava. Subendo tutto il fascino di quello sguardo, la ragazza lo rifuggì, fingendo di interessarsi a ciò che accadeva intorno a loro, dai bambini che correvano spensierati in mezzo al verde ai cani che passeggiavano con i loro padroni, dagli amanti dello jogging alle coppiette abbracciate e intente a scambiarsi tenerezze. «Sai, ci ho pensato e… non so se sia una buona idea. Che io faccia coppia con te per questo servizio fotografico, intendo.»
   Adrien arrestò il passo, inducendola a fare altrettanto. «Perché?» domandò, rendendosi conto di esserci rimasto male. Sapeva che Marinette amava la moda, senza contare che, oltre ad essere una sua fan, si era anche mostrata interessata all’intera faccenda. Perché, dunque, tirarsi indietro proprio adesso? «Pensi ancora che potresti combinare qualche guaio? Non accadrà, ne sono certo.»
   «No, non è solo questo…» tentennò lei, non trovando ancora il coraggio per dirgli la verità.
   «Allora è perché ti sei convinta di non essere alla mia altezza?» la incalzò il giovane, che proprio non riusciva a capacitarsi di quella rinuncia da parte sua. «Ti assicuro che sei molto più carina di tante altre presunte modelle», le fece sapere, trafiggendola al cuore e provocandole una lieve palpitazione.
   «G-Grazie…» balbettò Marinette, cercando di mantenere il sangue freddo, benché avvertisse il calore salire al viso. Doveva essere arrossita e questo la mise sul chi va là: doveva smetterla di mostrarsi così fragile davanti a lui. Non certo per una mera questione d’orgoglio, quanto perché doveva togliersi dalla testa – e soprattutto dal cuore – che Adrien le parlasse in quel modo per un secondo fine. Serrò i pugni, prese un bel respiro e ci provò: «È solo che… temo che alimenteremmo ancora i pettegolezzi circa il nostro rapporto.»
   «Oh», commentò lui, che non aveva ancora riflettuto sulla questione. «Quindi è questo che ti preoccupa?» La vide annuire e sorrise. «Marinette, a me non importa», le assicurò, stringendosi nelle spalle per sottolineare che ciò che aveva appena detto corrispondeva alla verità. «Gli altri possono pensare di noi ciò che vogliono, per quel che mi riguarda», ribadì per essere più chiaro. «Facendo il modello, mi trovo spesso sulla bocca della gente e la fantasia dei fan è piuttosto bizzarra e scatenata, il più delle volte.» Senza contare ciò che sentiva e leggeva riguardo al suo alter ego mascherato. «Certo, se per te è un problema che il tuo nome sia associato al mio... è un’altra storia.»
   Marinette alzò il capo quasi di scatto, fissandolo con occhi sgranati. «Stai scherzando?!» esclamò d’istinto. «Adrien, per me è un onore!» aggiunse senza vergogna, lasciandolo di stucco. Quando si rese conto, dall’espressione di lui, di aver parlato troppo, tornò ad arrossire e ad abbassare la testa, senza tuttavia interrompere il contatto visivo. «Il punto è che non vorrei che sorgessero problemi… sai, come quello di ieri.»
   «Ti riferisci a Joël?» domandò allora il giovane, iniziando a capire dove lei volesse arrivare. Marinette annuì di nuovo, tacendo tuttavia sull’altro reale motivo che l’aveva spinta a pensare di rinunciare a quella bella opportunità: non volersi illudere. Adrien le si fece più vicino, facendola irrigidire. «Stamattina si è scusato con me per quanto è successo.»
   «Mi aveva anticipato che lo avrebbe fatto», spiegò la ragazza. «Ho parlato con lui, prima dell’inizio delle lezioni, e si è scusato anche con me. Sembra un bravo ragazzo.»
   «Lo è, difatti», le assicurò l’altro. Nella confusione del momento, Marinette ebbe il terrore che Adrien parlasse per Joël, magari cercando di farla interessare a lui. «Come più o meno tutte le vittime di Papillon, se ci pensi», aggiunse però il giovane, scacciando immediatamente quel pensiero dalla mente di lei. «Fortuna che a noi due non è ancora capitato.»
   «E speriamo non capiti mai», rispose subito la ragazza, che solo in quel momento si rese conto che, nella loro classe, erano gli unici due ad essere stati graziati dalle akuma.
   «Quindi? Farai il servizio fotografico con me?» volle sapere il giovane, gli occhi che brillavano di speranza. Marinette sentì le ginocchia tremare, ma si impose di resistere e di avere la forza per dirgli di sì. Vide un’ombra attraversare lo sguardo di Adrien, come se fosse stato improvvisamente colto da un dubbio o, a sua volta, da un ripensamento. «Certo… a meno che tu non abbia paura che a fraintendere sia qualcun altro», lo sentì aggiungere, quasi in un balbettio confuso.
   Aggrottò le sopracciglia, credendo di non aver ben capito. «In che senso?»
   Adrien si portò una mano dietro alla nuca, segno evidente che si trovava a disagio. «Un… eventuale innamorato o qualcosa di simile.»
   Marinette lo fissò a bocca aperta, senza tuttavia vederlo realmente. Cos’aveva appena detto, quello sciocco? Quasi indispettita, s’imbronciò. Poi si ricordò che Adrien non poteva sapere quanto stesse male per lui e si lasciò andare ad un sospiro stanco e rassegnato. «No, nessun innamorato», gli fece sapere infine.
   In tutta onestà, Adrien non si era aspettato quella risposta. Aveva piuttosto immaginato che Marinette nicchiasse la sua domanda, non che gli mentisse. Non poteva contraddirla, chiaramente, perché in teoria lui non avrebbe dovuto sapere delle sue sofferenze sentimentali, perciò fece buon viso a cattivo gioco, immaginando che la ragazza avesse infine deciso di mettersi il cuore in pace per quell’amore non corrisposto o, più semplicemente, provasse vergogna a confidarsi con lui.
   «Se non ci sono altri ostacoli…»
   La vide abbozzare un sorriso, fissandolo di sottinsù con aria timida ma felice. «D’accordo, hai vinto. Sarò la tua partner nel servizio fotografico.»
   «Non te ne pentirai!» fu il commento allegro del giovane, che subito riprese a camminare nel verde di quel posto incantevole. «Sarà un po’ stancante e a tratti noioso, è inutile nasconderlo», le spiegò per amor di onestà, «ma con te sarà anche più interessante e divertente.» Nel preciso istante in cui lo disse, Adrien seppe che era vero. Ogni volta che si trovava in compagnia di Marinette, gli sembrava che le giornate avessero una svolta positiva, come se lei portasse un piccolo, genuino raggio di sole nella sua vita. Occhieggiò nella sua direzione quando la vide affiancarsi a lui e, notando il suo sorriso, si sentì felice e orgoglioso di essere riuscito a dissipare quelle incertezze che erano state sul punto da indurla a rinunciare all’opportunità di addentrarsi un po’ di più nel mondo della moda, che tanto le interessava, e soprattutto di trascorrere altro tempo insieme a lui.
   «Come va la tua spalla?» le chiese poi, ricordando del loro incontro dal maestro Fu. Marinette parve cascare dalle nuvole e lui fu costretto ad essere più preciso. «Non dicevi di averla battuta qui al parco, per via di una caduta?»
   «Oh! Oh, sì! Giusto!» tartagliò la ragazza, che si era del tutto dimenticata di quella storia. «È a posto, grazie! Il… Il mio… fisioterapista… è davvero in gamba», spiegò nella speranza di essere convincente. «E tu… Cioè, non sapevo che fosse anche un insegnante di cinese… Quindi… hai risolto il tuo dubbio?»
   «Sì, certo. Lui… Il maestro Chan è molto bravo nel suo lavoro, sa spiegarsi molto bene.»
   «Sono felice di saperlo. È una persona straordinaria.»
   «Straordinaria, sì. Sono d’accordo.»
   Calò il silenzio, fra loro, mentre procedevano lungo uno dei viali del parco. Sebbene il tempo non fosse dei migliori, il posto era comunque affollato. Il vento si era alzato ancora, portando sulla città le nubi che prima erano soltanto visibili all’orizzonte, e l’aria si era rinfrescata. Forse in serata avrebbe piovuto. Adrien vide Marinette incrociare le braccia al petto, stringendosi nelle spalle. «Se hai freddo, possiamo tornare indietro», le disse, dispiaciuto per quel repentino annuvolarsi.
   «E rimandare ancora la nostra avventura fino al belvedere?» rispose la ragazza, che non voleva saperne di tornare a chiudersi in camera sua ad arrovellarsi sui suoi contrastanti sentimenti per lui e sul loro rapporto in generale. «Se non ti spiace, vorrei rimanere.»
   Felice di sentirla parlare in quel modo, Adrien le fece dono di un sorriso sghembo, lo stesso tipo di espressione che assumeva di solito quando indossava la maschera e stava per dire qualcuna delle sue spacconate. «Vuoi dunque sfidare le intemperie insieme a me? Non ti facevo così temeraria.»
   Marinette rise, benché si sentisse vagamente confusa da un’improvvisa sensazione di déjà-vu. «Sono ancora molte, le cose che non sai di me», gli rivelò con aria cospiratoria.
   «Potrei dire lo stesso», le assicurò lui, gonfiando il petto ed ostentando una boria che non possedeva affatto. «Sarà una buona occasione per conoscerci meglio», aggiunse poi, sinceramente contento di avere l’opportunità di mostrarsi a Marinette per ciò che era davvero. Con il passare del tempo si era reso conto che lei era l’unica con cui gli riuscisse di essere più spigliato e sfacciato di quanto apparisse agli occhi dei più. Adrien cominciava a credere che Marinette fosse la sola con cui si sentisse davvero a suo agio, e se avesse avuto l’opportunità di parlarle con il cuore in mano, se avesse potuto rivelarle anche il suo più intimo segreto, era certo che lei lo avrebbe custodito a sua volta nel cuore, proprio come faceva lui.
   «Te la senti di passare di nuovo sul ponte dell’altra volta?» le domandò quando furono ad una biforcazione. «In alternativa, potremmo prendere quello più lungo, che attraversa il lago. Sempre che tu non soffra troppo di vertigini.»
   «Fidati», cominciò la ragazza con un sorriso divertito sulle labbra, «con tutte le volte che Chat Noir mi ha portata a spasso sui tetti…»
   «Non sapevo lo frequentassi abitualmente», la prese in giro il giovane, assumendo di nuovo un’espressione indisponente.
   Marinette arrestò il passo e arrossì, un cipiglio scandalizzato dipinto in viso. «N-No!» esclamò con un tono forse troppo alto, tanto da indurre qualcuno a voltarsi nella loro direzione. «Intendevo solo dire che mi ha salvata in più di un’occasione e…» Tacque quando si rese conto che Adrien stava sghignazzando sotto ai baffi per quella reazione esagerata: sul serio l’aveva provocata apposta per farle saltare la mosca al naso? Che disgraziato… Tornò in sé e alzò il capo con fare deciso. «Potrei comunque vantarmi della sua amicizia, sai?»
   Stupito da quella confidenza insperata, l’altro si fece tutto orecchi: Marinette lo considerava suo amico anche quando portava la maschera? Era a dir poco fantastico! Felice come un bimbo, volle saperne di più. «Ti cacci volontariamente nei guai per farti salvare da lui o cosa?»
   «Quanto sei dispettoso…» borbottò lei, non riuscendo tuttavia a nascondere il divertimento per quell’insolita, accattivante piega che aveva preso il discorso.
   Adrien scosse il capo, continuando nel suo nuovo gioco. «Te l’ho detto, ci sono lati di me che ancora non conosci.»
   «Chissà se, quando tornerò a casa, sarò ancora una delle tue fan…» ribatté la ragazza in tono meditabondo. In verità si chiedeva tutt’altro, e cioè se i suoi batticuori, se lo stato confusionale in cui precipitava tutte le volte che Adrien faceva o diceva qualcosa, sarebbero passati nel momento esatto in cui si sarebbe resa conto che colui con cui aveva a che fare era tutt’altro che quel perfetto compagno di classe di cui giurava di essere innamorata. Da tempo aveva capito che, sotto quella patina di galanteria e quel faccino da bravo ragazzo, Adrien nascondeva molto di più. Lo aveva sospettato in diverse occasioni, ma il dubbio più grande l’aveva assalita quando lui le aveva praticamente teso un agguato all’indomani dello show televisivo in cui tutta Parigi aveva scoperto la sua enorme e preoccupante collezione di foto del figlio di Gabriel Agreste.
   «Esagerata…» rise lui, decidendo per lei il tragitto che avrebbero fatto da quel punto in poi. Marinette lo seguì senza ribattere, sentendosi stranamente più a suo agio. Ormai non balbettava più da tempo, quando gli parlava, e riusciva a reggere un’intera conversazione con lui senza troppi sgambetti emotivi. Si domandò se non fosse il caso di andare più a fondo alla questione prima di decidere se rinunciare o meno al suo amore per Adrien, e si rispose di sì: aveva bisogno di conoscere quel ragazzo, di conoscerlo per davvero. E, a quel punto, capire se era innamorata di lui sinceramente o soltanto per metà – quella più superficiale.
   Rallentarono l’andatura quando arrivarono al pont des Suicidés e si scambiarono uno sguardo per farsi coraggio ed un sorriso, quasi volessero esorcizzare il timore che potesse nuovamente accadere qualcosa di brutto. Era stato lì che, appena due giorni prima, qualcuno aveva tentato di emulare quegli antichi abitanti di Parigi che volevano accomiatarsi dalla vita, e loro non erano riusciti ad intervenire in tempo in qualità di supereroi – era però stata una grande fortuna che le forze dell’ordine presenti nel parco avessero scongiurato il peggio.
   Come sempre, a dispetto dei nuvoloni e del vento e dell’odore di pioggia presente nell’aria, la strada che conduceva al tempietto della Sibilla sul belvedere era piena di gente, e l’ultima volta che ci erano stati avevano finito col perdersi di vista. Fu questa la ragione che spinse Adrien a porgere la mano alla sua amica, che dopo un momento di esitazione, la strinse nella propria. Provava ancora le solite, forti emozioni di sempre, Marinette, eppure adesso si sentiva più calma, forse perché sapeva che i gesti e le parole del giovane erano privi di malizia e, dunque, rivolti a lei unicamente per gentilezza e senso di protezione. Quel pensiero le provocò un brivido: era questo che stava avvertendo, ora? Era la mano di Adrien, adesso, a comunicarle quella sicurezza che fino a quel momento lei aveva provato solo con Chat Noir? Era dunque Adrien, il ragazzo giusto per lei?
   Lo sarebbe, se non fosse innamorato di un’altra… Sospirando davanti a quella dannata verità, Marinette decise di scacciare via quei pensieri inutili e nocivi, rinsaldando la presa sulla mano di quello che avrebbe dovuto considerare soltanto un buon amico. Ecco, si disse allora, doveva pensare a lui come se fosse stata in compagnia di Chat Noir: qualcuno che le scaldava il cuore, ma con il quale non avrebbe mai potuto condividere la gioia dell’amore. Era una mera illusione, lo sapeva bene, poiché i suoi sentimenti smentivano tutti quei buoni propositi; tuttavia, era anche l’unico modo in cui lei avrebbe potuto affrontare la faccenda fino a che, come aveva detto Tikki, il tempo non avesse aggiustato ogni cosa.
   Procedettero sul ponte in silenzio, mano nella mano, ognuno perso nei propri pensieri. Se da un lato Marinette continuava a farsi forza, dall’altro Adrien era tornato a chiedersi quale sfumatura avesse in realtà quel profondo affetto che lo spingeva verso di lei. Appena ventiquattr’ore prima era stato sul punto di dichiararsi a Ladybug, mentre ora era lì con un’altra ragazza. In tutta onestà, seppur rammaricato di non aver potuto rivelare alla sua partner i propri sentimenti, era in parte contento di non averlo fatto: sarebbe stato giocare sporco, nascondendo Chat Noir dietro un viso senza maschera. Era a dir poco assurdo, ma le cose stavano proprio così. Più ci rifletteva, più Adrien cominciava a capire che ciò a cui anelava era pura utopia: sebbene la parte più indomita e romantica del suo essere continuasse a sperare in un lieto fine, in lui stava infine facendosi strada la consapevolezza che si trattava di un amore impossibile, e non soltanto perché Ladybug non era in grado di ricambiare i suoi sentimenti, quanto perché sarebbe stata una relazione a metà. Per quanto volesse convincersi che la maschera che lei portava in volto non rappresentasse un ostacolo, la verità era che lui stesso non conosceva che quella. Adrien sapeva che non era possibile abbattere quello scoglio, ne valeva il bene comune: se Papillon, o chi per lui, avesse messo in difficoltà uno dei due e lo avesse costretto a rivelare l’identità del proprio partner, sarebbe stata la fine. Avrebbe fatto meglio a rinunciare?
   Avvertì le dita di Marinette stringersi attorno alle sue e si volse nella sua direzione, incrociando quei grandi occhi azzurri che tanto gli piacevano. Sarebbe stato davvero così grave rinunciare a Ladybug per lei? Quel pensiero lo turbò, e lui non seppe capirne la ragione. Alla mente gli tornò che proprio lì, due giorni addietro, Ladybug era stata ad un passo da lui, in incognita, e che magari lo aveva visto insieme a Marinette. Aveva frainteso, forse; o forse no. Adrien le aveva comunque giurato di non provare altro che amicizia per quella sua straordinaria compagna di classe, che tuttavia, appena pochi minuti dopo, lo aveva stregato e imbrigliato con la forza del proprio amore, disperato quanto il suo.
   Le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere giù dal cielo, sporadiche ma pesanti. «Vieni», disse il giovane, tirandola verso di sé ed incitandola a proseguire per l’ultimo tratto di strada che li separava dal belvedere. «Mettiamoci al riparo nel tempio.»
   Marinette lo seguì senza esitazione, incurante della gente che aveva iniziato a correre in cerca di un riparo o nella direzione opposta, forse con l’intento di lasciare il parco prima che si scatenasse il diluvio. Si affrettarono su per la scalinata che portava al tempio e lì si strinsero insieme agli altri visitatori che, come loro, avevano scelto di rifugiarsi sotto al tetto circolare della piccola costruzione. Senza che potesse evitarlo, Adrien spinse gentilmente Marinette addosso ad una delle alte colonne del tempietto e si pose davanti a lei, quasi a volerle fare da scudo contro la piccola folla che si era asserragliata lassù. «Confesso che non era proprio questo, che immaginavo…» scherzò, tentando di smorzare la tensione. Lei ridacchiò, il cuore che le batteva forte per quella vicinanza insperata. A tratti riusciva persino a sentire il respiro caldo di lui sul viso e ogni sua difesa venne prepotentemente abbattuta quando qualcuno spintonò Adrien e i loro corpi finirono per entrare del tutto in contatto. Lo sentì biascicare delle scuse impacciate, ma tutto ciò che lei fu in grado di fare fu nascondere il viso contro la sua spalla e aggrapparsi con entrambe le mani ai lembi della sua giacca, aperta sul davanti. I gomiti poggiati contro la colonna dietro di lei per far leva e non schiacciarla del tutto, il giovane si crogiolò di quel goffo e involontario abbraccio, senza rendersi minimamente conto che ormai Ladybug era del tutto sparita dalla sua mente. Non riusciva a pensare più a nulla, avvertiva solo il calore di Marinette e la tenerezza dei suoi gesti, che accrescevano in lui quel senso di protezione che aveva sempre avuto nei suoi confronti. «Marinette…» chiamò con voce roca, non sapendo bene neanche lui cosa volesse dirle. I loro sguardi si sfiorarono ancora una volta ed un tuono sconquassò il cielo.












Ve lo aspettavate? No, eh? Ve l'ho detto che ora riesco almeno a respirare! Tanto più che ho iniziato anche il capitolo diciassette, benché sia ancora in alto mare. Credo che saranno in tutto diciotto (massimo diciannove), più l'epilogo, quindi direi che ci siamo quasi.
Altra cosa che nessuno di noi si aspettava è il primo episodio della terza stagione, che andrà in onda questo sabato in Spagna. Si ricomincia. E persino col botto, a quanto sembra. Mi chiedo solo se non fosse stato meglio aspettare la primavera per avere una cadenza degli episodi più regolare rispetto a quanto fatto con la seconda stagione.
Non mi dilungo oltre, perdonate come sempre i miei ritardi, se potete, e grazie di cuore per tutto. ♥
Shainareth





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Capitolo 12
*** Capitolo undicesimo ***





CAPITOLO UNDICESIMO




Vi fu un lampo, più abbagliante degli altri, e poi un frastuono che rimbombò tutt’intorno, così vicino da far gridare qualcuno per lo spavento. Persino Marinette sobbalzò, rompendo l’incanto di quel momento. Intenerito da quella reazione, Adrien l’abbracciò del tutto e lasciò che lei trovasse conforto contro di lui. Non gli importava più di nulla, solo di proteggerla. Quanto a Marinette, invece, si stava semplicemente lasciando guidare dall’istinto: era consapevole che quelle premure da parte del giovane non nascondevano alcun secondo fine, e per quanto lei sapesse che era inutile continuare a sperare, sentiva di aver bisogno di quell’abbraccio, della sua vicinanza, del suo odore, delle sue mani e del suo respiro fra i capelli. Se non altro, si disse col cuore che pesava quanto un macigno, le sarebbe rimasto quell’unico, meraviglioso ricordo di un amore mai nato.
   Quando la pioggia iniziò a scemare ed i tuoni ad allontanarsi di nuovo, un altro lampo li investì. Non si trattava di un fenomeno atmosferico, questa volta, bensì del flash di un cellulare. Fu Adrien ad accorgersene per primo e quando capì cosa stava accadendo, fu costretto ad allentare la presa attorno al corpo di Marinette. «Vieni», le disse in tono gentile, sfilandosi la giacca impermeabile e ponendola sopra le teste di entrambi. «Aggrappati a me e sta’ attenta a dove metti i piedi, il terreno sarà sicuramente scivoloso a causa della pioggia.»
   Lei obbedì senza porsi domande, del tutto in balia dei sentimenti. Non si era aspettata quel risvolto, per nulla. Avrebbe giurato che quel giorno non sarebbe capitato niente di tutto quello, e invece… invece aveva avuto quasi la sensazione che Adrien fosse sul punto di dirle qualcosa di importante, qualcosa che lei aveva letto nei suoi occhi e che tuttavia strideva fortemente con quelle maledette parole che il giovane le aveva rivelato il giorno addietro: Sono innamorato di un’altra. Marinette sapeva che lui non era tipo da giocare con i sentimenti degli altri, eppure quel suo comportamento contraddittorio la mandava più in confusione di quanto già non fosse.
   «Ci hanno fotografati», le rivelò quando furono di nuovo sul ponte, ancora stretti l’uno all’altra. «Mi dispiace. Ti sto coinvolgendo di nuovo.»
   Il tono della sua voce era così atipico, così estraneo, che Marinette si interrogò sullo stato d’animo del giovane. «Non mi interessa», trovò la forza per ribattere. «Se per te non è un problema, allora non lo è neanche per me.» Si stava esponendo troppo? O Adrien, come al solito, non avrebbe colto la sfumatura implicita di quelle parole?
   Lui rimase in silenzio per qualche attimo, proseguendo insieme a lei con passo lento e cadenzato lungo il ponte. Poi ammise: «Non è per me che mi preoccupo, te l’ho detto.»
   «Le tue fan…» cominciò allora la ragazza, cercando di girarci intorno. «Forse loro potrebbero prendersela e la tua popolarità potrebbe risentirne.»
   «Nessuna di loro prova sentimenti autentici per me.»
   «Ti sbagli.»
   Lo aveva detto? Sì, lo aveva fatto. Un’ondata di calore invase entrambi, costringendoli ad evitare qualunque contatto visivo. Marinette sapeva di aver parlato troppo, soprattutto perché aveva capito quanto fosse inutile continuare a sperare; eppure rimaneva quell’attimo, quel momento vissuto lassù, nel tempio, in cui aveva avvertito qualcosa di molto profondo e coinvolgente, qualcosa che aveva indotto lo stesso Adrien a perdersi nei suoi occhi. D’altro canto, il giovane non sapeva esattamente come interpretare quelle parole: era consapevole che Marinette amava qualcuno, ma ignorava l’identità di questa persona. Di chi stava parlando, ora? Di qualche sua amica o, piuttosto, di se stessa?
   Quell’ipotesi gli provocò un brivido caldo all’altezza del petto, facendogli battere il cuore più di quanto fosse lecito in compagnia di una semplice amica. Che ne era di Ladybug?, domandò a se stesso, sentendo la bocca farsi arida e la mente offuscata da una confusione di cui non conosceva l’origine – o forse sì, ma preferiva ignorarla. Plagg aveva ragione. Nino aveva ragione. Tutti avevano dannatamente ragione.
   La suoneria del suo cellulare ancora una volta interruppe un momento prezioso. E forse, come il giorno addietro, era meglio così. «Scusa», balbettò con voce provata, mentre recuperava il telefonino dalla tasca e osservava sul display il nome e la foto di suo padre. Avrebbe potuto usare quella scusa per non affrontare la realtà, ma preferì rifiutare la chiamata e spegnere del tutto lo smartphone, lasciando stupita la sua accompagnatrice.
   «Non voglio che ti cacci nei guai…» pigolò lei, dispiaciuta per quella situazione.
   «Non voglio lasciarti così, non ora», le rispose Adrien, mettendo via il cellulare e tornando a coprirsi meglio con la giacca. «Ti avevo chiesto di uscire con me per diverse ragioni», confessò infine facendosi coraggio. «Prima fra tutte, risollevarti il morale.» E allo sguardo interrogativo di lei, riprese: «Sono due giorni che non sorridi. Non di cuore.» Marinette avvertì le lacrime salire a bagnarle le ciglia: quel ragazzo l’avrebbe fatta morire, prima o poi. Non poteva pretendere di non farla innamorare sempre più di sé, continuando a comportarsi in quel modo. «Se non vuoi confidarti con me, va bene. Solo… vorrei fare qualcosa per aiutarti.»
   Avanzò oltre il ponte tenendo lo sguardo basso, così da sfuggire a quello attento di lui. «A volte… ci sono cose che può risolvere soltanto il tempo.»
   Chi è, lui? Fu questa la domanda che salì alle labbra di Adrien e che lui trattenne a stento. Non poteva insistere, se Marinette non voleva parlarne. «In ogni caso, per favore, se c’è qualcosa che posso fare, dimmelo senza alcuna esitazione.»
   «Grazie…» mormorò lei con voce tremula. «Sei gentile.»
   «Ti voglio bene, è diverso.»
   Adrien avvertì la presa della ragazza farsi più forte, disperata attorno a lui. «Ti voglio bene anch’io. Tanto.»
   Percorsero il resto della strada in silenzio, sotto la pioggia che ora si era fatta sottile e quasi impalpabile, mentre ormai i tuoni e i lampi si erano allontanati. Quando giunsero nei pressi dell’ingresso del parco, scorsero la guardia del corpo del giovane che si guardava attorno con fare agitato, riparandosi sotto ad un grosso ombrello scuro e stringendo nell’altra mano il manico di un secondo paracqua di colore poco più chiaro. Sospirando, Adrien lanciò un ultimo sguardo all’amica, che lo fissò da sotto in su con il cuore colmo d’amore. Le sorrise con affetto. «Per oggi sono costretto a ritirarmi, ma sappi che non mi arrendo: riuscirò a restituirti il buon umore», le giurò con un candore tale che indusse Marinette ad innamorarsi perdutamente di lui per l’ennesima volta. Quella lealtà, quel coraggio, quell’amicizia incondizionata li conosceva bene: erano le stesse, meravigliose qualità che Chat Noir le aveva mostrato in più occasioni – sia che fosse Ladybug, sia che fosse Marinette. Era forse fuori luogo che le fosse venuto in mente lui proprio in quel momento?
   Non riuscendo più a comprendere neanche se stessa, benché, a dispetto di tutto, si sentisse comunque stranamente lucida, lasciò che Adrien la prendesse per mano e la conducesse via da lì per riaccompagnarla a casa.

«Cos’era, quello, mh?» gli domandò Plagg, riferendosi senza dubbio a quell’attimo infinito in cui lui e Marinette si erano persi l’uno negli occhi dell’altra, così vicini che i loro respiri si erano confusi in uno solo.
   Adrien si passò stancamente una mano sul volto. Si era già dovuto sorbire una ramanzina coi fiocchi da parte di suo padre, quando lo aveva visto rientrare zuppo come un pulcino. A quanto pareva, lo aveva fatto preoccupare di nuovo e, a suo dire, per correre dietro ad una ragazzina. Non era riuscito a ribattere a quell’accusa, limitandosi soltanto ad abbassare lo sguardo e a mormorare un semplice mi dispiace. Suo padre aveva sospirato e, stranamente, mandandolo in camera sua lo aveva fatto in tono quasi gentile. «So come ti senti», gli aveva detto quando Adrien gli era passato accanto. «Cerca solo di rimanere lucido, il più possibile.»
   Non si era aspettato affatto quel consiglio, non da lui, ma gliene era stato grato, tanto da alzare gli occhi sui suoi, incontrando uno sguardo carico di affetto e comprensione. Suo padre ci era passato per primo, giustamente. Forse proprio con sua madre. Era così evidente, allora? Tanto palese che persino un uomo tanto scostante e poco attento come lui si era reso conto di come stavano le cose?
   «Avevi il cuore che batteva all’impazzata», insistette Plagg, accucciato fra i cuscini in cerca di tepore, mentre il suo portatore riprendeva a sfregarsi un asciugamano fra i capelli bagnati.
   «Lo so.»
   «E sai anche che ti sarebbe bastato un minimo di coraggio in più, per conservare un ricordo ancora più prezioso di questo pomeriggio insieme alla tua bella?»
   D’istinto, il giovane si passò la punta della lingua sulle labbra, provando profonda vergogna per quanto aveva appena immaginato. Nascose il volto nel telo di spugna, fingendo di asciugare anche quello. «Non ho alcuna intenzione di approfittarmi della sua fragilità», chiarì in tono fermo. «Marinette è ferita, ha bisogno di tempo.»
   «Lo stesso che ti servirà per realizzare che ormai quella ragazzina ti ha rapito il cuore?»
   Sapeva che quella di Plagg non era davvero una provocazione, perciò non rispose e si limitò a riflettere sulle sue parole, concludendo con se stesso che rispondevano alla verità. Marinette gli piaceva. Molto. Forse anche più di quanto lui fosse disposto ad ammettere con se stesso. Ma doveva andare a fondo alla questione, doveva capire e comportarsi di conseguenza.
   Che ne era del suo amore per Ladybug? Era ancora lì? Sì, certo. Irremovibile. Grande. Splendente quanto lei. E irrealizzabile, ormai lo aveva compreso. Joël gli aveva chiesto se non fosse questa la ragione per cui adesso aveva spostato la propria attenzione su Marinette, e di nuovo Adrien non seppe trovare una risposta. Erano due sentimenti troppo diversi per metterli a confronto. Ladybug era la sua compagna, la sua complice, la sua luce – abbagliante al punto da fargli perdere la bussola. Marinette, invece, era anzitutto sua amica, buona e dolce. Entrambe erano leali, sincere, testarde e ingegnose. Si assomigliavano sotto diversi aspetti, a cominciare da quello fisico, e ancora una volta la mente di Adrien volò ai fiori che aveva visto a casa della sua compagna di classe e poi, di colpo, qualcosa lo risvegliò da quello stato confusionale.
   «E se…?» farfugliò a se stesso, sgranando gli occhi e volgendosi verso Plagg, quasi volesse inchiodarlo lì con il solo sguardo.
   «Cosa?» si allarmò il kwami, muovendosi sul posto con un certo nervosismo. Conosceva quell’espressione e sapeva che non prometteva nulla di buono.
   Avvolto nel suo accappatoio bianco, Adrien si diresse verso di lui con passo sicuro e si arrampicò sul letto con fare quasi felino, facendogli temere il peggio. L’ultima volta che gli aveva visto quel sorriso sulle labbra era stato quando aveva tentato di corromperlo con il camembert nel tentativo di scoprire quale fosse il segreto che Ladybug non poteva condividere con lui – cioè l’esistenza del guardiano dei miraculous. «Dimmi un po’…» cominciò in tono indagatorio. Plagg deglutì a vuoto, tentato di correre immediatamente a chiudersi in bagno, in compagnia dei suoi calzini sporchi. «Non ti sembra strano che ieri, quando ho trovato Marinette in lacrime, lei stesse piangendo per via del ragazzo che le piace?»
   La stava prendendo alla larga, ragionò fra sé il kwami, ma almeno finalmente Adrien sembrava esserci arrivato. «Anche tu hai spesso il muso lungo per le tue beghe amorose, sai?»
   Il giovane lo ignorò. «La vera domanda è: esattamente, quando avrebbe visto o sentito, questo fantomatico ragazzo, se era chiusa in casa per sfuggire all’attacco di Joël?»
   «Sei sicuro che fosse in casa?»
   «L’ho vista un attimo prima sul suo balcone», gli rammentò, certo di essere arrivato alla giusta conclusione. «Ciò significa soltanto una cosa», stabilì, la voce che vibrava per l’entusiasmo a stento trattenuto.
   «Che quel tipo le ha spezzato il cuore per telefono?»
   Adrien ebbe un attimo di esitazione, lasciando intuire che non aveva pensato a quell’eventualità. «Dannazione…» borbottò difatti, sedendo in mezzo al letto con le gambe incrociate ed intrecciando anche le braccia all’altezza del petto.
   Plagg lo fissò con circospezione: davvero era bastato così poco a smontare una qualsiasi sua teoria, qualunque essa fosse? «A cosa avevi pensato?»
   Sbuffando, l’altro si prese un attimo prima di rivelargli ogni cosa. «Forse… Forse è solo una fantasia dovuta alla speranza di non essere un maledetto doppiogiochista, ma… se a spezzare il cuore di Marinette fossi stato io?» La creaturina scrollò le orecchie a punta, facendosi attenta. «Senza averne l’intenzione, intendo… Perché… quello che mi ha detto oggi… è stato alquanto fraintendibile», stava continuando Adrien, ragionando fra sé riguardo all’intera faccenda. «Confesso di essere stato colto dal dubbio che Marinette stesse parlando di me. E di sé, quando ha accennato alle fan che provano dei sentimenti verso il loro idolo… Non che io ci creda, in realtà», ci tenne a precisare. «Voglio dire: una fan non può conoscerti davvero, perciò non può provare un amore sincero nei tuoi confronti, per quanto lei si illuda che le cose stiano così.»
   «Un’amica, invece…» gli diede man forte Plagg, arrendendosi all’idea che di lì a poco non avrebbe più potuto prenderlo troppo in giro per il suo scarso acume. D’altra parte, era un bel sospiro di sollievo sapere di non dovergli nascondere più troppe cose.
   «Esatto», convenne Adrien. «Marinette mi conosce sul serio, nel quotidiano. E anche se ci sono ancora diverse sfumature di me che ignora…»
   «Se non ti ha ancora mandato al diavolo per averla presa in giro riguardo a Chat Noir…»
   Si lasciò sfuggire un sorriso. «Sì, beh… direi che mi ha già perdonato, visto…» Visto il modo in cui si erano guardati e abbracciati nel tempio.
   «Non mi pare, però, che tu le abbia espressamente detto che sei innamorato di un’altra», si permise di obiettare il kwami, deciso a scoprire cosa Adrien avesse capito e cosa no.
   «L’ho fatto, invece», ammise lui, provando profondo rimorso per aver parlato troppo in quell’occasione. «Le ho detto chiaro e tondo che non ero innamorato di Marinette, ma di un’altra ragazza.»
   «Quando?»
   «Quando lei portava la maschera di Ladybug.»
   Seguì un attimo di silenzio. Poi con un nuovo, sonoro sbuffo, Adrien si lasciò cadere all’indietro, steso supino sul letto, l’accappatoio che ricadeva disordinato sul suo corpo ancora umido, gli occhi al soffitto. «O almeno… questo era quello di cui mi ero convinto prima che tu facessi crollare questo mio bel castello, insinuandomi il dubbio che Marinette avesse sentito il tipo che le piace per telefono…»
   Sentendosi vagamente in colpa per averlo portato fuori strada, Plagg gli si avvicinò e si posò sul materasso, accoccolandosi nell’incavo fra la spalla e il collo dell’amico. «Comunque stiano le cose», iniziò dopo qualche istante, «Marinette dev’esserci rimasta male: dopo la disavventura di ieri con Joël, non hai seguito il consiglio di Ladybug e non l’hai chiamata.»
   «Che senso aveva chiamare Marinette se il suo telef…» Interrompendosi di colpo, Adrien scattò a sedere di nuovo sul letto, gli occhi spalancati, le labbra schiuse: Alya non gli aveva forse detto che il telefono di Marinette era spento o qualcosa di simile? Forse la sua teoria restava ancora in piedi. Aveva solo bisogno di scoprire se era o non era lui il ragazzo che aveva spezzato il cuore della sua migliore amica.

Immersa nell’acqua fino al mento, Marinette si stava godendo tutto il tepore di quel bagno ristoratore. Ne aveva bisogno, e non soltanto per via della pioggia presa quel pomeriggio. Oltre al corpo, anche il suo animo necessitava di essere avvolto in quel calore confortante, ora che non poteva più contare sulle braccia accoglienti e protettive di Adrien. Adesso lo sapeva: era davvero lui, il ragazzo giusto. La mandava ancora in confusione, senza tuttavia annichilire le sue facoltà cerebrali. Qualcosa era cambiato e Marinette si era resa conto che a giovare era stata la disposizione mentale con cui lo aveva affrontato al parco. Si era imposta non già di soffocare i propri sentimenti, quanto di non farsi illusioni, di non crearsi false speranze, cercando di non travisare la naturale gentilezza del giovane e i suoi modi affettuosi.
   Ti voglio bene. Adrien glielo aveva detto davvero. Persino dopo che lei si era sbilanciata al punto da dirgli, indirettamente, che lo amava. Provava vergogna per ciò che gli aveva confessato? Un po’, certo. Eppure Marinette sapeva di aver fatto la cosa giusta. Qualche rimpianto per quell’unico e forse ultimo abbraccio, lassù nel tempio dov’erano stati sorpresi da qualche curioso armato di cellulare? No, neanche uno. Se per Adrien non era un problema che la gente pensasse che erano una coppia, perché mai avrebbe dovuto esserlo per lei? Anzi, si ripeteva sentendosi vagamente egoista, preferiva che le fan di lui lo sapessero impegnato, così da non tentare approcci di nessun tipo. E poco importava che di sicuro l’indomani in classe li avrebbero riempiti di domande e che le urla di Chloé le avrebbero rintronato le orecchie: fingere di essere la dolce metà del ragazzo che amava era un palliativo non da poco per il suo povero cuore infranto.
   Un palliativo dannoso, però, le ripeteva la sua coscienza, che cercava di metterla all’erta su quanto quella situazione potesse essere pericolosa per il suo amor proprio. D’altro canto, anche se Adrien le aveva detto chiaro e tondo di essere innamorato di un’altra, quel pomeriggio si era smentito in modo abbastanza inequivocabile. Marinette cercava non darvi peso, abituata com’era a farsi inutili illusioni e a dover riconoscere sempre che il giovane non faceva mai niente con malizia; eppure dentro di lei qualcosa cercava di sgomitare, di farsi largo a viva forza per vincere quel pessimismo e urlare a squarciagola che sì, Adrien Agreste l’aveva guardata con gli occhi di un innamorato e che, soprattutto, era stato forse ad un passo dal baciarla.
   Il solo ricordo le faceva andare il viso in fiamme e ancora una volta Marinette lo scacciò via per autodifesa. Prese un bel respiro, trattenne il fiato e andò giù in apnea, rimanendo sott’acqua per diversi secondi prima di tornare a galla. Si passò le mani sulla testa, portandosi i capelli scuri all’indietro, e si stropicciò gli occhi, le ciglia imperlate d’acqua. Doveva smetterla di pensare ad un qualcosa che non era avvenuto e che forse non si sarebbe mai ripetuto. Se anche avesse avuto ragione, se davvero Adrien era il ragazzo giusto per lei, restava il fatto che il suo cuore apparteneva già ad un’altra. Ma a chi?
   Decisa a distrarsi, Marinette appoggiò le mani sui bordi della vasca e fece leva per sollevarsi. Quando fu fuori, avvolse attorno al corpo un morbido telo di spugna rosa e frizionò l’acqua che scivolava sulla pelle prima di cospargersi di olio profumato. Non era una ragazza vanitosa, ma le piaceva prendersi cura di sé almeno in parte. Aveva bisogno di coccolarsi, in quel momento, e quel piccolo vezzo forse l’avrebbe aiutata a sentirsi meglio.
   Uscì dal bagno con indosso il pigiama, benché fosse appena il tramonto, e i capelli caldi di phon che ricadevano morbidamente sulle spalle. Erano cresciuti e necessitavano di una spuntatina per rafforzarli un po’. Stava ragionando di questo, quando le diede voce Tikki – che, in attesa che lei tornasse in camera, si era divertita con un nuovo videogioco. «Va meglio?»
   Ricevette in cambio un sorriso affettuoso, ma non allegro. «Sì, anche se in realtà continuo a chiedermi che senso abbia avuto il suo comportamento di oggi, dopo quello che mi ha detto ieri.»
   «Forse, dopo aver parlato con Joël, Adrien si è reso conto che ciò che prova per te non è semplice amicizia.»
   «Oh, non illudermi, Tikki!» la implorò Marinette, andando a sedersi a cavalcioni sulla poltrona della scrivania e lasciando scivolare le rotelle fin quasi alla chaise longue, così da volgere lo sguardo oltre la finestra mentre abbracciava lo schienale della sedia. «Anche se fosse, il suo sarebbe un sentimento ancora acerbo, mentre il mio cuore esplode d’amore per lui!» esclamò a viva voce, enfatizzando il concetto con un’espressione buffa e agitando le mani davanti a sé.
   «Potrebbe comunque essere un buon punto di partenza, no?» la incoraggiò l’altra, andandole vicina.
   La ragazza le sorrise di nuovo, questa volta con maggior convinzione. «Sì, se fosse vero», precisò per non illudersi troppo. «Ad ogni modo», ricominciò tornando a scrutare oltre i vetri della finestra, «non credo che lo scoprir…» S’interruppe bruscamente quando scorse una sagoma scura saettare all’esterno. L’aveva forse immaginata? No, affatto, perché un rumore sordo proveniente dal soffitto la mise ulteriormente sul chi va là. «Tikki, nasconditi, presto!»
   Il kwami scattò nella sua direzione, andando a nascondersi fra i suoi capelli sciolti e Marinette si affrettò ad arrampicarsi su per il soppalco.

Atterrando sul suo balcone fra mille schizzi d’acqua dovuti alla pioggia che era caduta su Parigi fino ad una manciata di minuti prima, Chat Noir si rammaricò di non aver potuto avvisare la sua amica per quella visita improvvisa. Aveva tuttavia un’ottima scusa per giustificare la sua presenza lì, perciò fu con passo sicuro che raggiunse la finestra che portava di sotto, pronto a bussare per palesarsi alla ragazza. Quest’ultima, però, lo anticipò di un soffio, aprendo di scatto la botola a vetri e dandogliela sul mento con un colpo secco. Adrien soffocò un’imprecazione e Marinette gridò per lui. «Oddio, mi dispiace!»
   Possibile che quella ragazzina così imbranata fosse davvero l’ineffabile Ladybug?! Il giovane per un attimo venne colto dall'incertezza, ma quando alzò lo sguardo su di lei, che si era precipitata al suo fianco per accertarsi che non si fosse fatto troppo male, ogni dubbio fu dissolto. I suoi occhi – quei grandi occhi azzurri che lo avevano ipnotizzato sotto la pioggia – splendevano di sincera preoccupazione per lui. Non più di un paio d’ore prima, Marinette gli aveva rivelato che poteva vantarsi dell’amicizia di Chat Noir, e alla luce dell’intuizione di lui, tutto ora aveva senso.
   Le sorrise con amore. «Non temere», iniziò poi, spavaldo. «Oltre che superforti e superfighi, noi supereroi siamo anche superindistruttibili
   Vide la ragazza assumere un’espressione dapprima sorpresa, poi quasi divertita. «Credevo di averti fatto tranciare la lingua fra i denti.»
   Touché, pensò il giovane, ridendo. «Avresti reso felice la mia partner, suppongo.»
   «Esagerato…» sospirò Marinette. Per quanto a volte potesse trovare molesto quel gattino dalle buffe orecchie a punta, mai gli avrebbe augurato una cosa del genere.
   «Scusa se sono venuto senza preavviso», riprese lui, scrutandola con curiosità crescente: vederla con i capelli sciolti costituiva un’autentica novità. Alle narici gli arrivava il profumo dolce della sua pelle, una fragranza che, ci faceva caso solo ora, aveva sentito già altre volte quando era con lei… o con Ladybug. Represse l’istinto di sfiorarle il viso con una carezza e si concentrò su quello che doveva dirle. «Visto ciò che è successo ieri, volevo sapere come stai.»
   Ancora una volta Marinette avvertì un piacevole calore al petto: amava Adrien, certo, ma in un modo o nell’altro Chat Noir avrebbe avuto per sempre un posto speciale nel suo cuore. «Entra», disse senza esitare. «Qui fuori è troppo umido per parlare.»
   Non appena furono di sotto, gli occhi del giovane scivolarono istintivamente ai fiori che lei teneva ancora sulla mensola dietro al letto. Prima di tornare lì, Adrien aveva pensato bene di fare una piccola ricerca online, venendo a conoscenza di un modo interessante per conservare i fiori il più a lungo possibile: la cera. Ecco perché gli erano parsi quasi di plastica, perché probabilmente Marinette li aveva immersi nella cera per preservarli dallo scorrere del tempo. Spostò la propria attenzione sulle foto che ancora adornavano le pareti della stanza e si affacciò oltre il parapetto del soppalco. «Che gatto curioso…» lo prese in giro la ragazza, osservando i suoi movimenti.
   «Mi chiedevo…» cominciò allora lui, fingendo disinteresse. «Hai ancora tutte le foto di quel modello… Adrien, giusto?» chiese, scoccandole un’occhiata come se volesse essere sicuro di aver detto il nome corretto. Non era molto onesto, ne era consapevole, ma doveva capire. Se Marinette gli avesse lasciato intendere di essere innamorata di lui, cos’avrebbe fatto? Sarebbe riuscito a rimanere impassibile? Anche nel caso lei non fosse stata Ladybug? Ecco un’altra cosa di cui avrebbe fatto meglio ad accertarsi il prima possibile. «Ecco, pensavo che…»
   «Perché avrei dovuto toglierle?» lo anticipò lei, non capendo esattamente dove volesse arrivare. Soprattutto, il perché di quella curiosità. A meno che, come già aveva fatto Jagged Stone, Chat Noir non fosse arrivato alla conclusione che lei fosse innamorata di Adrien. Se così fosse stato, per quanto si fidasse di lui, Marinette avrebbe negato fino alla morte. Insomma, era una questione troppo personale, e già aveva provato abbastanza imbarazzo a parlarne con Alya e le altre loro amiche. Discuterne con un ragazzo sarebbe stato troppo, anche nel caso di Chat Noir – che era, in fin dei conti, la persona di cui lei si fidava di più in assoluto.
   «Non hai paura che qualcuno possa equivocare ancora?»
   «Non è un mio problema», ribatté, intrecciando le braccia al petto e cercando di capire dove l’altro volesse arrivare.
   «Giusto», le concesse il giovane, assecondandola e scrutandola negli occhi. Ormai ne era diventato dipendente, maledizione. E no, non soltanto perché gli ricordavano quelli di Ladybug, tutt’altro. Erano stati proprio quelli di Marinette ad ammaliarlo al punto da farlo quasi crollare, rischiando di cedere all’istinto fino in fondo e di commettere una vera e propria imprudenza: baciare una ragazza che forse non era innamorata di lui. «Dopotutto, sei pur sempre una sua fan.»
   «Non sono soltanto una sua fan.»
   Quelle parole ebbero l’inaspettato potere di fargli fremere il cuore. Trattenne il fiato, mentre osservava le labbra di Marinette, le stesse che lo avevano attirato quel pomeriggio e che ora tornavano a schiudersi per aggiungere qualcosa. Lo avrebbe detto, infine? Gli avrebbe rivelato l’identità del suo grande amore?
   «Adrien è anche un mio carissimo amico.»
   Faceva male, dannazione, adesso lo capiva anche lui. Non si sarebbe arreso, però, altrimenti quella notte non avrebbe chiuso occhio, arrovellandosi il cervello fino all’alba – e oltre.
   «Sai che ero qui, quando successe tutto quel patatrac durante la diretta televisiva?» continuò, convinto così di coglierla in fallo, dal momento che Marinette sembrava non essersi meravigliata troppo del fatto che lui fosse a conoscenza delle foto.
   «Lo so», rispose difatti lei, serafica. Chat Noir fu sul punto di gridare vittoria, quando la sua amica aggiunse: «Mi ero nascosta in bagno. Sai, non sono un cuor di leone. E poi non volevo intralciare te e Ladybug durante la battaglia.»
   Masticando di nuovo un’imprecazione silenziosa, Adrien tornò a sedere sul letto con cipiglio visibilmente corrucciato: Marinette gli stava dicendo la verità oppure lo stava sviando, come aveva già fatto Plagg con le sue osservazioni apparentemente innocenti? Rimaneva però il fatto che il giovane avesse incontrato proprio lei dal Maestro Fu, quando aveva perso il suo kwami; e sempre lì, in sua presenza, gli era stato restituito. Plagg, dopotutto, aveva raccontato di essere stato con Ladybug, perciò… Senza rendersene conto, i suoi occhi vagarono di nuovo per la camera, questa volta alla ricerca di Tikki. Era lì con loro? Li stava osservando?
   «Tutto bene?» si sentì chiedere dopo qualche istante.
   Inarcando la bocca in un sorriso soddisfatto, Chat Noir si rivolse nuovamente alla sua bella e annuì con vigore. «In realtà è da te che vorrei saperlo. Ieri eri inconsolabile, mentre oggi sembra che tu stia meglio.»
   «È così, infatti», ammise la ragazza, scostandosi i capelli dal viso. Avvertì una vaga sensazione di solletico lungo la schiena, segno che Tikki doveva esser scivolata giù, forse per nascondersi altrove.
   «Cos’è successo di così bello, mh?» Adrien lo sapeva. Si rendeva perfettamente conto che stava giocando sporco, ma – diamine! – forse la persona della quale si era invaghito era anche quella di cui era innamorato e lui doveva scoprirlo o avrebbe finito per impazzire del tutto!
   Evitando il suo sguardo per l’imbarazzo, Marinette sperò con tutta se stessa di non essere, come al solito, un libro aperto. Non riguardo ai suoi sentimenti per Adrien, perché erano immancabilmente quelli a tradirla un po’ con tutti, a cominciare dai suoi genitori. Cos’avrebbe dovuto rispondere, ora, a Chat Noir? Che il ragazzo che amava più di chiunque altro al mondo le aveva chiesto un appuntamento – perché, sotto sotto, si era rivelato in parte tale – e l’aveva abbracciata con trasporto dopo essere stato sul punto di baciarla? In verità, Marinette non era del tutto certa che fosse quella, l’intenzione di Adrien. Anzi, cercava persino di negarlo a se stessa per non rimanerci troppo male quando, l’indomani, lo avrebbe rivisto a scuola e tutto sarebbe tornato come prima. Eppure il suo cuore continuava a battere a quel ricordo e lei fu costretta ad abbassare il viso per non mostrare al giovane davanti a sé il rossore che di certo le aveva imporporato le guance.
   «In realtà nulla di che», borbottò, stringendosi nelle spalle.
   L’altro quasi ci rimase male, ma non demorse, soprattutto per via dell’atteggiamento vergognoso di lei. C’era sicuramente un pensiero che continuava a tormentarla, facendola arrossire in modo delizioso. Dunque, concluse con se stesso Adrien, che Marinette fosse o meno innamorata di lui, di sicuro non era rimasta indifferente a quanto accaduto quel pomeriggio, sul belvedere. «In ogni caso», rispose con voce bassa e calda, «sei tornata a sorridere e tanto mi basta.»
   Fu il turno della ragazza, ora, di trattenere il respiro: sia Adrien che Chat Noir tenevano molto a lei, era un dato di fatto. Ed entrambi volevano sincerarsi che stesse bene e che il suo buonumore non fosse mai compromesso. «Grazie ancora. Per ieri… e per oggi.»
   Per un attimo lui temette che Marinette lo avesse scoperto, che avesse capito che sotto la maschera si nascondeva Adrien; poi comprese che lei si stava soltanto riferendo a quella sua visita e tirò un sospiro di sollievo. Aveva così tanta paura di essere colto in fallo? Sì, da lei sì. Perché non voleva in alcun modo farle un torto. Marinette – Ladybug? – era preziosa come poche altre cose al mondo e Adrien voleva proteggerla, non farle del male.
   Sorrise, convenendo fra sé e sé che per quel giorno poteva bastare. Aveva fatto delle domande e aveva ottenuto delle risposte. Marinette era intelligente ed era stata abile a depistarlo. E lui non avrebbe insistito. Andava bene così. Uno a uno, palla al centro. «Spero di non doverti mai più vedere in lacrime come ieri», le disse soltanto, in tono dolce, osservandola come se fosse stata l’ultima volta, quasi volesse memorizzarne ogni dettaglio per conservarne il ricordo durante le ore che lo avrebbero separato da lei fino al prossimo incontro. «Scusa l’intrusione, tolgo il disturbo.»
   Non attese risposta e saltò semplicemente verso la finestra in alto, pronto ad andar via. Quando però le sue mani si aggrapparono al bordo dell’apertura, scivolarono a causa della pioggia e lui crollò di nuovo giù, travolgendo la sua amica e schiacciandola sotto al suo peso. Mortificato per quanto accaduto, si tirò subito su, puntellandosi sui gomiti, e si accertò che lei stesse bene. A rispondergli furono gli occhi di Marinette, che lo fissavano sorpresi e lucidi, proprio come avevano fatto sotto la pioggia, e Adrien non poté far altro che provare le stesse, identiche sensazioni che lo avevano assalito lassù, sul belvedere. Erano state profetiche, proprio come la sibilla a cui era stato dedicato il tempio sotto al quale per una frazione di secondo era stato tentato di baciare la ragazza che era con lui. Di nuovo il suo sguardo fu calamitato dalle labbra di lei, schiuse come un bocciolo di rosa, e sicuramente morbide come il corpo che avvertiva sotto di sé. Adrien si domandò con disperata curiosità, il cuore che batteva fin dentro le orecchie, cosa sarebbe accaduto se lui avesse avuto il coraggio di compiere quel gesto, di baciarla proprio come avrebbe voluto fare ora. Marinette avrebbe ricambiato?
   Nel tempio, forse, concluse fra sé quando lei si riebbe dalla sorpresa e gli rivolse un’espressione stizzita e quasi oltraggiata, proprio come quelle che di solito gli faceva dono Ladybug. Marinette forse era innamorata di Adrien, di certo non di Chat Noir. «Stai comodo, chaton
   «Confesso di sì», ebbe la faccia tosta di ammettere lui, un sorriso da schiaffi ad abbellirgli il volto mascherato, benché dentro di sé sentisse bruciare la sconfitta: Marinette sarebbe mai stata in grado di amarlo davvero, al di là del suo bell’aspetto e dei suoi modi gentili? Perché Adrien era quello e molto altro, e in parte glielo aveva già dimostrato. Non le concesse il tempo di ribattere, perché subito si rialzò, lasciandola libera di muoversi. «Il balcone è tutto bagnato per la pioggia», spiegò a mo’ di giustificazione, volgendo lo sguardo di sopra. «Starò più attento, promesso», continuò poi, tornado a rivolgerle la propria attenzione.
   «Sarà meglio per te», scherzò lei con voce incerta, tirandosi su a sua volta. Possibile che quel disgraziato riuscisse sempre ad arrivarle così vicino, anche quando lei non portava la maschera di Ladybug? Era una fortuna che, a dispetto della situazione imbarazzante in cui si erano appena trovati per puro caso, Chat Noir fosse comunque fedele ai propri sentimenti. Fu questo che si disse Marinette, sebbene avvertisse il cuore battere forte in petto a causa di uno strano, inspiegabile déjà-vu: il respiro di Adrien sul viso, i suoi penetranti occhi verdi e il calore del suo corpo contro il proprio erano ancora un ricordo troppo vivido. Al punto da travolgerla ancora come fosse stato una burrasca di fuoco, provocandole un lungo brivido caldo ed una grande vergogna. Come il sogno in cui Chat Noir aveva preso il posto di Adrien e l’aveva baciata.
   Notando il suo disagio, benché non potesse comprenderne la vera ragione, il giovane si ritrasse ulteriormente: aveva fatto abbastanza danni, per quel giorno. Marinette aveva bisogno di tempo e, a dire il vero, ne aveva bisogno anche lui. «Alla prossima», la salutò con voce allegra, deciso a non lasciarla prima di averle strappato un ultimo sorriso. Quando lei sollevò di nuovo il volto nella sua direzione, Chat Noir le strizzò l’occhio. «Chiamami, se hai bisogno di un supermacho che consoli il tuo cuore infranto.»
   «Sparisci, prima che chiami Ladybug e le dica che sei un damerino da strapazzo», ribatté lei, non riuscendo a trattenere una risata perché conscia che quel disgraziato la stesse solo prendendo in giro.
   «Ai tuoi ordini», disse lui, portandosi l’indice e il medio della mano destra alla tempia giusto un attimo prima di balzare fuori da lì.












Ed eccomi qui dopo... non so più quanto tempo. Lasciamo perdere cosa non è successo nelle ultime settimane, è meglio. 'Sta fanfiction sembra un parto e non perché particolarmente complicata, quanto proprio per la mancanza di tempo a mia disposizione (e, come già detto a qualcuno, quando c'è il tempo, spesso ci si mettono di mezzo gli imprevisti o l'influenza). Ora però sono qui, con il capitolo dicassette ormai concluso e con un altro paio al massimo da scrivere (epilogo compreso). Insomma, devo solo tirare le somme di quanto raccontato fino ad ora. :3
Scusandomi come sempre per i ritardi, e con la speranza che questa storia non vi deluda fino alla fine, vi auguro un buon inizio di settimana!
Shainareth











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Capitolo 13
*** Capitolo dodicesimo ***





CAPITOLO DODICESIMO




Marinette cercò di concentrarsi sulla soluzione che aveva fra le mani, ma non era molto facile con gli occhi astiosi di Chloé puntati addosso. La foto di lei e Adrien al tempio della Sibilla aveva fatto il giro del web nel giro di un niente, tanto che la ragazza aveva dovuto disattivare le notifiche dei social network sul cellulare, vista la mole di messaggi che continuavano ad arrivarle. Alcuni erano pieni di parole gentili, altri di insulti, altri ancora di lamentele circa la scarsa importanza di quel gossip. Perché di tale si trattava, dopotutto, e Marinette avrebbe dovuto farci l’abitudine se voleva continuare a frequentare Adrien – sia pure solo come amica. Le sue compagne di classe, eccezion fatta per Chloé e Sabrina, erano state le prime a congratularsi con lei per qualcosa che, a conti fatti, non era mai successa, e Marinette ci aveva messo un po’ per convincerle che in realtà quell’abbraccio era stata solo la conseguenza di un tuono più forte degli altri. La sola Alya si era permessa, rigorosamente in privato, di chiederle che ci facessero loro due insieme; Marinette non aveva fatto altro che raccontarle la verità, omettendo tuttavia la confessione di Adrien circa il suo essere innamorato di un’altra ragazza – dopotutto, il giovane lo aveva confidato a Ladybug, non a lei.
   Ancora adesso, a distanza di giorni, non erano poche le persone che la fissavano per strada, bisbigliando qualcosa che Marinette poteva ben immaginare, ed un paio di ragazzine, fan di Adrien, l’avevano persino fermata per chiederle se loro due stessero davvero insieme. «Siamo solo amici», aveva dovuto rispondere in entrambe le occasioni, ripetendo semplicemente ciò che continuava a dirsi tutte le volte che ripensava a quel pomeriggio sotto la pioggia.  Quanto ad Adrien… ecco, con lui le cose erano sensibilmente cambiate.
   Non erano più usciti insieme, né avevano fatto cenno a quanto accaduto fra loro, ma ogni qual volta qualcuno gli chiedeva spiegazioni in merito davanti a lei, il giovane si stringeva nelle spalle ed esibiva un sorriso imbarazzato ma felice, lasciando risposte sibilline che potevano voler dire tutto e niente al tempo stesso. Con Marinette, in particolare, era diventato improvvisamente curioso come un gatto, interessandosi a lei più di quanto già non facesse in precedenza. E le rivolgeva sempre sguardi profondi ed espressioni affettuose, spiazzandola più di quanto la ragazza avrebbe voluto e rendendo vano, di fatto, ogni suo tentativo di mettersi l’animo in pace circa il loro eventuale futuro come innamorati.
   «Attenta a non riscaldarlo troppo.» La voce di Alya la riscosse da quei pensieri, riportandola alla realtà e alla provetta che aveva lasciato sul becco Bunsen in attesa della reazione chimica. Abbassò la fiamma e osservò attentamente la soluzione ottenuta: nessun anello. «Ci rinuncio, sono davvero una frana con questa roba», borbottò desolata.
   «Sei solo distratta», le fece coraggio Alya. «Dovresti smetterla di perderti nelle tue fantasie romantiche e concentrarti di più sull’esercizio che ci ha dato madame Mendeleiev.»
   «Sssh! Abbassa la voce!» la riprese Marinette, occhieggiando davanti a sé, dove Adrien stava armeggiando con gli elementi chimici insieme a Nino. «Non voglio che fraintenda!»
   L’altra le scoccò uno sguardo a metà fra il divertito e il rassegnato. «Se permetti, è lui il primo a lasciare che tutti fraintendano», le fece notare in tono deciso. «Altrimenti perché non negare apertamente una qualsivoglia storia fra voi due? Un gentiluomo avrebbe messo a tacere la cosa anche per tutelare la tua immagine, ma dal momento che Adrien non lo ha fatto, mi pare ovvio che sia interessato a te.»
   «Ti sbagli», insistette Marinette, che proprio non voleva saperne di illudersi, benché dentro di sé sperava che la sua amica avesse ragione. «Io e Adrien abbiamo fatto un patto. Cioè… non proprio un patto. Comunque sia, abbiamo stabilito che non deve interessarci ciò che pensa la gente di noi due. Insomma, perché nessuno si fa mai gli affari propri?» domandò con fare retorico, recuperando senza quasi rendersene conto la soluzione che sembrava ormai sull’orlo del disastro. «Per colpa dei pettegolezzi, adesso Chloé non mi rivolge più la parola.»
   Alya rise. «E te ne lamenti?»
   «No, in effetti no…» ammise Marinette, soffocando a sua volta una risatina. «Ma non è questo il punto. È solo che…» Cosa? Voleva davvero lagnarsi del fatto che tutti pensassero che lei fosse la ragazza di Adrien Agreste e che a lui sembrava star bene così? O che, da qualche giorno a quella parte, il giovane continuava a rivolgerle sorrisi del tutto gratuiti? O che avesse preso persino l’abitudine di fare freddure di dubbio gusto, mostrando di essere un insospettabile… mattacchione? Ecco, sì, magari di questo poteva un po’ lamentarsi, dal momento che in più di un’occasione, dopo una di quelle battute di spirito, aveva avvertito un brivido freddo lungo la schiena – più o meno lo stesso che sentiva ogni volta che a farle era Chat Noir. Avrebbe mai smesso di paragonare quei due? Di recente Marinette lo faceva sempre più spesso e la cosa cominciava a preoccuparla un po’.
   Madame Mendeleiev interruppe le loro chiacchiere, riportando all’ordine loro e quanti si erano distratti durante l’ora di laboratorio. Quando la lezione finì, i ragazzi furono liberi di uscire da quella stanza piena di strani odori e tutti si riempirono i polmoni d’aria fresca non appena misero piede nel cortile interno della scuola. «È un vero peccato che, per colpa del laboratorio, sia sparito quel buon profumo di croissant che ti porti sempre dietro la mattina.» Marinette si voltò, incontrando gli occhi allegri di Adrien, come sempre attento ad ogni dettaglio che la riguardasse. «E ti confesso che non mi dispiacerebbe se, almeno ogni tanto, non portassi con te soltanto quello.»
   Rassegnata ad avere a che fare con una buona forchetta, la ragazza incrociò le braccia sotto ai seni e gli rivolse un sorriso sghembo. «Ti porterò dei croissant solo se mi prometterai di non abbuffarti troppo», lo avvisò. «Non voglio che mi si incolpi di farti diventare un balenottero biondo.»
   «Avrei comunque il mio fascino», replicò lui con aria serafica, inducendola a sgranare gli occhi per quella spacconeria. Non ebbero il tempo di dirsi altro, ché Chloé li raggiunse e arpionò il giovane per un braccio, trascinandolo via con sé. «Adrien caro, c’è una cosa che devo assolutamente farti vedere!»
   «Mi chiedo se sia vero», commentò Alya, affiancandosi all’amica. «Si inventerebbe di tutto pur di separarvi.»
   «Non che mi importi molto, in realtà», rispose Marinette, stupendola per la maturità di quella dichiarazione. «Adrien non ha mai dimostrato interesse per lei e dubito che possa farlo ora.» Non dopo quel pomeriggio al parco, avrebbe voluto aggiungere, ma rimase in silenzio, tenendo per sé il segreto delle emozioni che avevano condiviso insieme. Troppe volte aveva reso partecipe gli altri dei propri pensieri e troppe volte aveva ricevuto delusioni. Avrebbe aspettato di vedere come si sarebbero evolute le cose – ammesso che lo avessero fatto – e solo allora sarebbe tornata a confidarsi con Alya. Tanto più che – e di questo se ne vergognava tantissimo – aveva di nuovo fatto un sogno strano, nel quale si trovava al tempio della Sibilla con Chat Noir e lui le rivelava che sì, quella volta a casa sua, quando i loro corpi erano rimasti intrecciati per qualche istante, avrebbe voluto baciarla. Ed in effetti, suo malgrado, era proprio questa la sensazione che aveva avuto Marinette quando l’eroe mascherato le era caduto accidentalmente addosso e l’aveva guardata negli occhi per un tempo indefinito. Quando però lui era andato via, si era data della stupida per averlo anche solo pensato: impossibile che due ragazzi volessero baciarla nel giro di un paio d’ore – specie se già innamorati di qualcun’altra.
   Rassegnato, Adrien seguì Chloé per inerzia fin quasi all’uscita di scuola. «Abbiamo ancora lezione», le ricordò, opponendo una leggera resistenza ed inducendola infine a fermarsi. «Cosa dovevi farmi vedere?»
   «Il mio cellulare», rispose lei, alzando lo smartphone davanti a loro e scattando una foto proprio mentre gli scoccava un bacio sulla guancia. Preso alla sprovvista, Adrien indietreggiò di un passo ma non protestò: sarebbe stato inutile. C’era di buono che lei non si spingeva mai oltre, perché in realtà, per quanto l’apparenza e le malelingue giurassero il contrario, Chloé non era davvero pronta per approcciarsi ai ragazzi. Di più, Adrien era convinto che l’amica d’infanzia non provasse per lui nient’altro che un sentimento sincero, qualcosa di molto più simile all’affetto fraterno che all’amore per un uomo.
   «Anche quando vieni colto di sorpresa riesci ad essere perfetto in foto», stava dicendo Chloé, digitando velocemente qualcosa sul cellulare. «Ecco fatto, adesso va molto meglio», aggiunse poi con aria soddisfatta.
   Il telefonino di Adrien lo avvertì della ricezione di una notifica e, quando la visualizzò, si lasciò andare ad un sospiro di sopportazione: quella scriteriata aveva condiviso online la foto appena scattata, aggiungendo una descrizione in cui si vantava del suo rapporto speciale con il modello più giovane e famoso di Parigi. Fu il suo turno di digitare qualcosa e quello di Chloé di ricevere una notifica che le fece scappare un verso oltraggiato. «Perché?!» esclamò, voltandosi con foga verso il giovane e puntandogli un dito contro. «Perché ti sei affrettato a smentire?!»
   «Perché, in tutta onestà, non è che io ci faccia bella figura, sai?» rispose con calma lui, cercando di farla ragionare. «I miei fan si sono già convinti che io stia con Marinette. Se ora metti in giro una voce completamente diversa, finiranno per credere che io sia un ragazzo poco serio.»
   Indignata, Chloé serrò le labbra e strinse il cellulare nel palmo della mano. «E non potevi smentire l’altro pettegolezzo, invece?!» pretese di sapere, fumante di rabbia. «Io sono molto meglio di Marinette! Avresti molta più pubblicità!» ci tenne a sottolineare, dandogli ad intendere che non si era bevuta la storia di una relazione fra lui e la loro compagna di classe e che il vero problema, dal suo punto di vista, fosse la scarsa importanza del ruolo che Marinette aveva in società. «Io sono la figlia del sindaco e…»
   «…e sarebbe un bel guaio se tuo padre fosse coinvolto in uno scandalo per colpa tua», la interruppe Adrien, stringendosi nelle spalle. Le voleva bene, tanto; ma Chloé si faceva spesso guidare dall’istinto e da quella malsana educazione che aveva ricevuto da genitori che, anziché starle accanto, avevano preferito viziarla e lasciarla alle cure dei loro collaboratori. Come mio padre ha fatto con me, dopo la scomparsa della mamma… Fortuna che c’è Nathalie.
   Vide la ragazza abbassare lo sguardo con fare mortificato. «Siamo troppo in vista», le ricordò ancora Adrien, regalandole finalmente un sorriso. «Non possiamo permetterci di prendere questo genere di cose alla leggera, soprattutto perché, oltre alla nostra, finiremmo per rovinare anche l’immagine dei nostri genitori.»
   Era il prezzo da pagare per la fama, Chloé ne era ben consapevole; e capiva anche che da questo punto di vista non poteva esserci spazio per i capricci. Era una bella rogna, ragionò fra sé, portandosi una mano chiusa a pugno davanti alla bocca per mordicchiarsi l’unghia del pollice e contare fino a dieci. Il suo maggiordomo continuava a ripeterle di mantenere il controllo, perché una vera signora avrebbe dovuto mostrarsi sempre posata ed elegante, senza scendere mai al livello di una donna qualsiasi. Però… perché Adrien lasciava correre i pettegolezzi che lo vedevano tra le braccia della figlia di un semplice pasticcere?!
   «In questo caso», iniziò dopo qualche istante, la testa alta e lo sguardo penetrante, «dovresti affrettarti a smentire anche l’altro gossip, ti pare?»
   «Non l’ho mai confermato», le fece notare lui.
   «Non hai fatto neanche il contrario», rimbeccò lei.
   Stavolta Adrien non rispose. Che avrebbe dovuto dirle, dopotutto? Che, a differenza di quello con Chloé, il pettegolezzo su di lui e Marinette gli dava tutt’altro che fastidio? La sua cara amica d’infanzia avrebbe dato di matto, come minimo, rendendo persino la vita di Marinette un inferno. E poi, a voler essere davvero onesto con se stesso, c’erano ancora tante insicurezze che gli impedivano di affrontare il discorso con quella che, con tutta probabilità, era anche la sua partner in battaglia. A cominciare dal fatto che, pur accettando Adrien, non voleva saperne di cedere a Chat Noir. E lui, che era l’uno e l’altro, se ne rammaricava non poco.
   «Dovremmo tornare in classe», sospirò allora, preferendo cambiare discorso. E, ben conscio di stare scappando, si avviò per tornare dagli altri loro compagni.
   Inaspettatamente, Chloé non disse una parola né lo fermò, limitandosi a seguirlo con lo sguardo, delusa e arrabbiata con lui. Ciò nonostante, non avrebbe potuto tenergli il muso a lungo, non ne sarebbe mai stata capace. Decisamente non credeva ai pettegolezzi su quei due, ma dal modo in cui Adrien aveva appena sviato il discorso, le fu chiaro che comunque ci fosse qualcosa di cui lei non era a conoscenza. Assottigliò le palpebre e incrociò le braccia al petto in un gesto stizzito: avrebbe scoperto di cosa si trattava.
   Con passo deciso, seguì le orme del giovane fino a che non furono di nuovo in classe, dove, prendendo posto, gettò un’occhiataccia alla sua rivale di sempre. Marinette, dal canto suo, stava visualizzando la foto appena messa online – Chloé l’aveva persino taggata per farle dispetto – e per un attimo la stizza fu sul punto di prendere il sopravvento. Quando però più in basso lesse il commento di Adrien, che in modo educato e persino divertente aveva subito smentito la possibilità di una relazione di tipo romantico con Chloé, Marinette sentì la rabbia evaporare e il cuore riprendere a battere per ben altro tipo di sentimento.
   Non soltanto sollievo, no. Si trattava, in realtà, di qualcosa di più incerto e confuso, che la portava ancora una volta a porsi domande sul comportamento sempre più equivoco di Adrien nei suoi confronti: perché non si era affrettato a smentire anche il pettegolezzo che riguardava lei? Possibile che Alya avesse ragione? Che così, all’improvviso, il giovane aveva scoperto di provare per lei qualcosa di diverso dalla semplice amicizia? Se così fosse stato, significava che ciò che aveva provato fino a pochi giorni prima per l’altra ragazza – quella fortunatissima sconosciuta – era stato molto labile. Oppure quel sentimento era ancora lì, nel cuore di Adrien? Perché, in tutta onestà, a Marinette lui era parso quasi disperato nel suo voler mettere in chiaro a tutti i costi con Ladybug che non era innamorato di lei bensì di un’altra…
   Il mondo stava davvero girando come una trottola, in quell’ultimo periodo, e lei aveva bisogno di fermarsi, scendere e respirare.
   Alzò lo sguardo e, davanti a sé, vide Adrien seduto al suo posto che occhieggiava nella sua direzione, timido ma sorridente. «Ti chiedo scusa a nome di Chloé per quel tag», ci tenne a dirle a mezza voce, carino come sempre. Come avrebbe potuto, Marinette, continuare a soffocare ciò che sentiva per lui? «Non è un tipo molto sportivo, lo sai…»
   Abbozzò un sorriso. «Sì, beh… ad essere onesta mi aspettavo una vendetta molto più cattiva. Magari questa è solo la punta dell’iceberg.»
   «Se dovesse infastidirti, non esitare a farmelo sapere», si mise in allarme Adrien, temendo che quell’ipotesi potesse divenire realtà. Alle labbra di Marinette salirono diverse domande, ma lei le ingoiò tutte, una per una. Chi è la ragazza di cui sei innamorato? E se ami lei, perché continui a comportarti in questo modo con me? Hai davvero represso l’istinto di baciarmi, l’altro pomeriggio? O sono io ad avere le traveggole? Perché non ti sei preoccupato di smentire il pettegolezzo che mi dipinge come la tua ragazza? Non hai paura che l’altra lo venga a sapere? Davvero non ti importa? Se è così, perché l’altro giorno, con Ladybug, hai reagito in tutt’altro modo?
   L’arrivo della professoressa Bustier interruppe il flusso dei suoi pensieri e fu un bene. Marinette sperò che l’ultima ora di lezione passasse il più in fretta possibile: non avrebbe mai creduto che sarebbe arrivato un momento del genere, eppure aveva davvero bisogno di fuggire da Adrien.

«Plagg mi ha detto di starti alla larga.»
   Ladybug inarcò le sopracciglia scure, presa del tutto alla sprovvista da quell’affermazione. Se ne stavano seduti sul tetto di un edificio da un po’, di guardia alle Galeries Lafayette dove avevano segnalato la presenza di una banda di vandali che di recente aveva preso l’abitudine di gironzolare nei dintorni, divertendosi a mettere a soqquadro il quartiere, a divellere la segnaletica stradale e a spaccare vetrine. Aveva già mandato in frantumi la luce di un lampione, quella sera, e i due eroi parigini ne avevano approfittato proprio per nascondersi nell’oscurità della notte, favorita da quella zona d’ombra, per coglierli di sorpresa nel momento in cui i teppisti sarebbero passati di nuovo di lì.
   «Ha ragione», commentò dopo un attimo la ragazza, tanto per far dispetto al collega. Come gli saltava in mente di uscirsene con certi discorsi nel bel mezzo di un appostamento? «Non sono la donna giusta per te.»
   Il giovane non sembrò risentirsi, ma strinse le labbra con aria pensierosa. «Quindi concordi anche sul fatto che sei matta?» Ladybug strabuzzò gli occhi in un’espressione che lo fece quasi ridere. «Vedi», aggiunse allora lui, per dovere di cronaca, «Plagg sostiene che tu sia una stalker
   «Questo non è vero!» lo smentì lei con foga. Insomma, magari era un po’ ossessionata da Adrien, ma lo stalking vero e proprio era cosa ben più seria.
   «Mi ha detto che hai la camera tappezzata di foto del tipo che ti piace», insistette Chat Noir, che in realtà si era inventato quel piccolo particolare per metterla alla prova.
   Quel piccolo farabutto! Marinette trattenne a stento quel pensiero, limitandosi a serrare le mascelle e dimenticandosi completamente del perché erano lì.
   «Ha aggiunto anche che hai un tabellone in cui hai appuntato tutti i suoi impegni quotidiani», persistette lui, che aveva notato quel particolare solo l’ultima volta che era stato in camera della ragazza.
   Oh, la miseria! Semmai avesse rivisto Plagg, Marinette lo avrebbe tirato per le orecchie, come minimo.
   L’altro fece spallucce. «A me non importa, sai? Non temo la concorrenza.» Ladybug fece per dirgli che non si poteva parlare di concorrenza, dato che non ve n’erano i presupposti, ma lui continuò: «Anche perché Tikki mi ha detto che non ho nulla da invidiare al tuo grande amore.»
   Fu la ragazza, ora, a mettersi quasi a ridere. «Sei un caro ragazzo, chaton, ed io ti voglio bene», cominciò, sperando così di indorargli la pillola. «Ma credimi quando ti dico che nessuno può competere con lui.»
   Adrien accettò la sfida, un sorriso sornione sulle labbra ed un guizzo di divertimento negli occhi verdi. «Allora farò a te le stesse domande che ho fatto a lei.»
   Marinette alzò gli occhi al cielo scuro. «Ci avrei scommesso che le avevi fatto il terzo grado…»
   «Il tuo principe azzurro è più alto di me?»
   «No», si arrese a sospirare, portando pazienza.
   «Più forte?»
   Rise. «Non essere ridicolo, non ha i tuoi superpoteri.»
   «Allora è più atletico?»
   «È sicuramente atletico, pratica molti sport e ha un fisico eccezionale.»
   «Ah-ah», l’assecondò Adrien, gongolando per tutti quei complimenti perché convinto che la sua compagna continuasse a parlare di lui. «Ed è più intelligente?»
   «Mi stai davvero chiedendo se ti reputo un idiota?»
   «Non puoi semplicemente rispondere con un sì o un no?»
   «Va’ avanti.»
   «Non ha senso che io lo faccia, sarebbe inutile.»
   «Perché?»
   «Mi ha dato le tue stesse risposte. In modo più educato, però», ci tenne a farle sapere, ostentando comunque una tranquillità che non aveva. Possibile che Marinette fosse così presa da Adrien e per nulla interessata a Chat Noir? Non andava bene per niente, maledizione. «Solo che io le ho chiesto anche se lui è più bello di me.»
   «Non posso giudicare», gli fece notare lei.
   «Per via della maschera, lo so.»
   «Non volermene», riprese mettendo le mani avanti ond’evitare che il suo partner si lamentasse ancora della sua mancanza di tatto, «ma lui è senza dubbio il ragazzo più bello che io abbia mai visto in vita mia.»
   Quelle parole gonfiarono d’orgoglio il giovane, che esibì un sorriso a dir poco entusiasta. «Davvero?» volle sapere, facendo insospettire in qualche modo la sua amica. Cos’aveva, quello sciocco, da essere tanto allegro? Non gli aveva appena ribadito che Adrien le piaceva più di chiunque altro al mondo? «Tikki non era d’accordo», le rivelò con tutta calma Chat Noir, intaccando di colpo tutte le sue sicurezze.
   Tikki non era una bugiarda, si disse Marinette, tutt’altro. E, come se non fosse bastato, dopo il suo tête-à-tête con l’eroe mascherato, il kwami della Coccinella aveva spezzato diverse lance a suo favore, arrivando quasi ad insinuare che anche lui, come Adrien, aveva fatto breccia nel suo cuore. Per quanto quella rivelazione la lasciasse turbata, la ragazza non volle credere alla possibilità che esistesse qualcuno migliore del suo compagno di classe – o che potesse anche solo competere con lui.
   «Lo avrà detto solo per non farti rimanere troppo male.» Le uscì d’istinto, come per autodifesa, e un po’ se ne pentì. Teneva davvero molto a Chat Noir e mai avrebbe detto o fatto qualcosa che potesse fargli male, però…
   Ancora una volta lui parve soprassedere e, anzi, continuò a sorridere. «Può darsi», disse soltanto, quasi fosse sovrappensiero.
   Il loro confronto terminò lì, poiché un movimento giù in strada attirò la loro attenzione, seguito poco dopo da un coro di voci maschili che intonava parole volgari miste a goliardia. «Mi spiace che quei balordi feriscano le tue orecchie delicate», si rammaricò Chat Noir, rimettendosi in piedi e afferrando il bastone che portava dietro la schiena. «Mi assicurerò che la piantino di fare tutto questo baccano», affermò deciso, quando un membro della banda cominciò a prendere a calci una delle autovetture parcheggiate in strada. Deciso a non perdere tempo, il giovane balzò giù e subito allontanò il teppista dal mezzo con una spallata. I suoi compagni subito accorsero per difenderlo e circondarono l’eroe armati di mazze e coltelli. Lui roteò il bastone sulla testa e si mise in posizione, in attesa del primo attacco. Senza troppo spreco di energie, i sei balordi furono messi al tappeto nel giro di pochi minuti e Chat Noir si prese il lusso di tornare ad ergersi sulle gambe, la schiena ben diritta, un pugno sull’anca e il bastone nell’altra mano ben puntellato a terra.
   Un placido applauso proveniente dal cono d’ombra lo indusse a riportare lo sguardo sulla collega che un attimo dopo lo raggiunse con un grazioso balzello. «Lo hai fatto per impressionarmi?»
   «No, in realtà speravo mi dessi una mano», le fece sapere l’altro, quasi indispettito. «Ma se ho guadagnato qualche punto con te, non posso che esserne felice», aggiunse subito dopo, sfoderando uno dei suoi famosi sorrisi da schiaffi.
   Pur ridendo, Ladybug scosse il capo. «Erano soltanto in sei, nessun superpotere… Era una battaglia vinta in partenza.»
   Lui annuì. «Hai ragione, sono troppo forte per queste mezze cartucce.»
   «Merito del miraculous
   «Avrei potuto avere la meglio anche senza superpoteri.»
   «Sì, certo.»
   «Dammi una spada e divento imbattibile.»
   «Dovrei crederci?» lo prese in giro la ragazza, incrociando le braccia al petto.
   «È la verità, lo sai anche tu.»
   Ci fu un attimo di silenzio. Poi, come riflettendo fra sé e sé, Marinette mormorò: «Anche lui pratica scherma.» Adrien s’irrigidì, stringendo la presa attorno al proprio bastone, ma non fiatò. «A volte…» La vide esitare, riprendere fiato e umettarsi le labbra – quelle meravigliose labbra che lui tanto avrebbe voluto baciare! – con la punta della lingua. «A volte ho come l’impressione che voi due vi assomigliate più di quanto io sia disposta a credere», ammise infine lei, calando le ciglia sul viso. Sospirò, scosse di nuovo il capo e tornò a guardarlo, l’ombra di un sorriso sul volto. «Ciò non vuol dire nulla, quindi non farti venire in testa strane idee.»
   «Io non ho fiatato», ribatté il giovane, portandosi una mano alla bocca per mimare il gesto di sigillarsi le labbra come fanno i bambini. Dentro di sé, tuttavia, Adrien stava esplodendo: finalmente Ladybug – Marinette? – si era accorta che non c’era alcuna differenza fra il ragazzo di cui era innamorata e quello che spasimava da sempre per lei e verso il quale si era comunque ammorbidita molto nell’ultimo periodo. Ciò stava forse a significare che prima o poi avrebbe accettato anche il lato meno perfetto del suo carattere? Quei difetti, quelle sfaccettature che lui riusciva ad esternare solo nel privato o, meglio ancora, quando indossava la maschera?
   In lontananza iniziò a sentirsi riecheggiare una sirena. «Ho chiamato la polizia, prima», spiegò Ladybug con voce atona. «Aspettiamo che portino via questi idioti e poi filiamocela a letto. Sono stanca morta.»
   «Ci vuole un bel fegato a dirlo, visto che non hai mosso un dito», le rinfacciò Chat Noir, sperando di strapparle un ultimo sorriso prima di separarsi da lei.
   Ci riuscì, perché, roteando le iridi chiare verso il cielo buio, l’eroina sospirò: «No, decisamente non vi assomigliate per niente.»












Ed eccoci qui, alla fine dei giochi. No, non proprio, ma in questi giorni ho avuto modo di andare avanti con la scrittura e, grazie al cielo, sono ormai ad una scena dal termine di questa storia. Alleluja!
In realtà la mia beta (e complice) mi ha chiesto anche un epilogo più leggero, giusto una cosetta per ridere un po', e spero davvero di riuscire a scriverlo. Stessa cosa per una shot spin-off che ho in mente, ambientata ovviamente al termine di questa long. Vedremo cosa riuscirò a tirare fuori.
Intanto vi ringrazio per essere ancora qui, immancabili come sempre, a sostenermi ed eventualmente a tirarmi le orecchie nel qual caso io commetta qualche strafalcione. Non lesinate critiche, purché siano costruttive e rivolte con garbo.
Colgo dunque l'occasione di augurare a tutti voi buone feste, con la speranza che il prossimo anno possa donarci un po' di serenità.
Buon 2019! ❤️
Shainareth





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Capitolo 14
*** Capitolo tredicesimo ***





CAPITOLO TREDICESIMO




Tikki trattenne a stento una risatina, senza però riuscire a nascondere il sorrisetto sornione che le suscitò lo sguardo accigliato di Marinette. «Dimmi che stai scherzando.»
   «So quanto ami Adrien. Non scherzerei mai su una questione del genere.»
   «Nessuno può essere meglio di lui!» esclamò la ragazza, alzando le braccia verso il soffitto con aria esasperata. Non appena erano tornate a casa, ed una volta sciolta la trasformazione, Marinette non aveva perso tempo e aveva voluto accertarsi che le dichiarazioni di Chat Noir rispondessero al vero. «Guardalo!» insistette, piazzando una mano sulla bacheca che aveva vicino al letto, lì dove spiccava in bella vista un primo piano di Adrien. «D’accordo che i gusti sono gusti, ma… come puoi anche solo pensare che Chat Noir sia più bello di lui?!»
   «Non l’ho mai detto, difatti», la corresse il kwami, senza bisogno di mettersi sulla difensiva nonostante lo sguardo invasato dell’altra. «Sono belli allo stesso modo.»
   «Impossibile», soffiò Marinette, non riuscendo a capacitarsene. Se pure fosse stato vero, significava che anche Chat Noir – cioè il suo alter ego – era un modello famoso? Un attore o qualcosa del genere? Perché uno con un bel visetto come quello di Adrien non poteva in alcun modo passare inosservato. Beh… più o meno, dovette ammettere la ragazza, dal momento che, pur sfogliando riviste di moda da anni, soprattutto quelle riguardanti le collezioni di Gabriel Agreste, prima di conoscerlo non le era mai rimasto impresso più di tanto Adrien, che pure era il volto immagine della linea maschile giovane di suo padre. Nonostante l’ora tarda, Marinette si affrettò a rovistare fra i vecchi giornali che conservava ancora gelosamente per trarre ispirazione per le sue creazioni, e cominciò a sfogliarne le pagine in cerca di un modello che potesse davvero competere con il suo compagno di classe.
   «Ti è bastato sapere che Chat Noir è un bel ragazzo per farti venire voglia di scoprire la sua identità?»
   Quasi incredula, alzò due occhi indignati su Tikki, che ancora se la rideva sotto ai baffi. «Credi davvero che io sia così superficiale?»
   «E allora perché ti sei incaponita in questa ricerca?»
   «È una questione di principio», ribatté piccata, riprendendo a scartabellare le riviste. «Sono sicura che abbiate bluffato. Insomma, niente può essere paragonato alla perfezione.»
   «Mh», mugolò il kwami, prima di farla ragionare con calma. «Sai, io credo che Adrien sia tutto meno che perfetto.» Quell’affermazione le costò uno sguardo oltraggiato. «Devi aver pur notato anche tu che, da qualche tempo a questa parte, si sta lasciando dietro dichiarazioni e freddure davvero… come dire…?»
   «…idiote?» completò Marinette fra i denti, strizzando gli occhi per lo sforzo che le costò quell’ammissione. «Sì, è vero», sospirò, mentre il movimento delle sue mani andava rallentando gradatamente.
   «Com’è vero che a volte pecca di modestia. Almeno riguardo al suo aspetto.»
   «E vuoi dargli torto?»
   «Marinette…» ricominciò Tikki, cercando di portare pazienza. «Penso che dovresti deciderti una buona volta a buttarlo giù dal piedistallo su cui lo hai messo tempo fa.» La ragazza si lasciò ricadere l’ultima rivista in grembo, lo sguardo basso e perso nel vuoto. «Non credi anche tu che sia arrivato il momento di essere sincera con te stessa?»
   Non rispose, non subito. Si limitò a rimanere in silenzio per diversi istanti prima di volgere di nuovo la propria attenzione alla foto di Adrien, così bello e sorridente, così luminoso e adorabile. «È…» Sospirò, arrendendosi all’evidenza: quella era la notte delle confessioni. «Sì. È vero.» Le fece quasi male doverlo dire a voce alta, come se bastasse quello a far divenire reale ciò che lei si era rifiutata di ammettere fino a quel momento.
   «Questo influisce in qualche modo su ciò che provi per lui?» si interessò di sapere Tikki, sinceramente preoccupata per lei.
   «No, figurarsi…» bofonchiò Marinette, quasi infastidita da quella domanda. Amava Adrien a prescindere da tutto, compresi quei lati insospettabili di lui che forse davvero avrebbero potuto esser definiti difetti in piena regola. «È solo che…»
   «Sei rimasta delusa in qualche modo?»
   Tentennò per un attimo nella risposta da dare. «Forse», riconobbe infine, mortificata. «Ma non da lui. Da me stessa.» Tikki sorrise con tenerezza, ma non la interruppe. «Sono stata io a farmi troppe aspettative. Nessuno è davvero perfetto, per quanto possa sembrarlo in apparenza.»
   L’ennesimo sospiro risuonò per la camera e Marinette cominciò a riordinare le riviste che aveva sparpagliato sul letto, impilandole l’una sull’altra e mettendole di nuovo al loro posto. Quando tornò a stendersi sul materasso, la sua stizza e la sua curiosità per Chat Noir si erano ormai volatilizzate. Recuperò invece il cellulare e tornò ad osservare la foto dell’abbraccio che lei e Adrien si erano scambiati al tempio della Sibilla: non potendola usare come sfondo o screensaver per non destare sospetti, Marinette l’aveva posta comunque fra le immagini preferite all’interno della galleria. Seppur scattata di nascosto e senza che loro potessero accorgersene, era venuta davvero bene. Le scaldava il cuore, quella visione, con lei tutta raggomitolata contro il petto di Adrien e lui che la circondava con le braccia, stretta a sé come se volesse proteggerla dal mondo intero. Sembravano davvero due innamorati.
   La verità, purtroppo, era ben altra. Anzi, Marinette non riusciva neanche più a distinguere quale fosse, perché il giovane continuava a comportarsi in modo ambiguo – quel che peggio, con cognizione di causa. Avrebbe forse dovuto annoverare fra i suoi difetti anche l’essere uno di quei tipi capaci di giocare con i sentimenti degli altri? No, questo era davvero assurdo; al punto che quasi la ragazza fu tentata di darsi uno schiaffo per averlo anche solo ipotizzato. Allora perché Adrien non aveva reagito, a quella foto, nello stesso modo in cui si era comportato con quella di Chloé? Perché smentire solo quest’ultima?
   Se davvero lui era innamorato di un’altra, avrebbe dovuto essere più prudente. Di questo Marinette era fermamente convinta e fra sé glielo rimproverava anche: proprio perché lo amava anelava anzitutto alla sua felicità. E poi… E poi di lì a pochissimo ci sarebbe stato quel servizio fotografico che loro avrebbero fatto insieme e che di sicuro avrebbe scatenato un altro bel polverone quando sarebbe divenuto di dominio pubblico. A quel punto sarebbe stato difficile rispondere a domande scomode e fraintendibili. Forse anche lei, quella misteriosa ragazza che tanto invidiava, si sarebbe convinta che il cuore di Adrien batteva per la giovane figlia di un pasticcere che aveva avuto l’ardire di improvvisarsi modella. A dispetto di ciò che si erano detti al parco l’ultima volta che ci erano stati, Marinette non voleva in alcun modo creargli problemi del genere.
   Facendosi violenza, ed ignorando tutte le notifiche dei social network, si affrettò a compiere quel gesto che lo stesso Adrien avrebbe dovuto fare già diversi giorni prima.

Fu il suono dell’arrivo di una notifica a ricordargli di dover togliere la suoneria al cellulare. Già steso a letto per metà, Adrien allungò un braccio per recuperare il telefono e, nel buio della stanza, la luce del display gli illuminò il viso. Quando lesse il nome di Marinette il cuore gli sussultò in petto e lui balzò a sedere al centro del materasso. Anche lei era ancora sveglia? Ovvio, se la sua teoria sull’identità di Ladybug era esatta. Quella notte non era riuscito a scoprire granché, figurarsi ad avere conferme; ciò nonostante, Adrien sentiva in cuor suo che quella era la verità: Marinette era Ladybug. Ne era felice? Sì, molto. Aveva infine realizzato che lei gli piaceva sul serio e…
   Quando visualizzò la notifica e ne lesse il testo – un commento fatto dalla ragazza riguardo alla foto che li ritraeva insieme al tempio della Sibilla – gli sembrò che qualcuno gli avesse dato un ceffone, togliendogli il sonno.
   «Che hai da agitarti tanto?» bofonchiò Plagg, stropicciandosi un occhietto con fare sonnacchioso.
   «Marinette…» mormorò il giovane, dopo alcuni istanti di incredulo silenzio.
   Il kwami sbadigliò. «Possibile che ormai non pensi ad altro?»
   E come avrebbe potuto farlo, se la regina del suo cuore aveva appena smentito, in piena notte, la possibilità che fra loro potesse esserci qualcosa che valicasse i confini dell’amicizia? Per quale motivo? Era successo qualcosa? Durante il loro incontro in maschera le aveva forse dato motivo di compiere un gesto simile? Diamine… e se fosse stata una ripicca per la foto fatta – sia pur a tradimento – con Chloé?
   Impossibile, si disse Adrien, continuando ad osservare quelle parole, scherzose ma veritiere, circa il loro rapporto. Si portò una mano davanti alla bocca, la fronte corrucciata. «Plagg, io le piaccio, vero?» In risposta gli arrivò un leggero, ostentato russare. «Bravo, fingi di dormire…» borbottò infastidito. «Domani farò sparire tutte le tue scorte di formaggio.»
   «No!» gridò il kwami, balzando e perdendosi nel buio per andare a proteggere il suo prezioso tesoro. «Il mio camembert no!»
   «Allora rispondi alla mia domanda», insistette il giovane, intenzionato a capire il comportamento dell’amica. «Quando sei stato con lei, a casa sua, Marinette ti ha detto qualcosa di me?»
   Accidenti a quel ragazzino curioso… Cos’avrebbe dovuto dirgli, Plagg, per farlo star buono senza per questo spifferargli troppo? «Quindi ti sei davvero messo in testa che Ladybug sia Marinette?» domandò a sua volta, cercando di guadagnare tempo e, se possibile, cambiare discorso.
   «Mi sembra piuttosto palese, ormai.»
   «Invece mi pare che tu non abbia avuto alcuna conferma della cosa.»
   «Stai solo cercando di portarmi fuori strada come al solito», si convinse Adrien, incrociando le braccia al petto con fare deciso. Checché ne dicesse Plagg, lui non sarebbe cascato nei suoi tranelli. C’erano tanti, troppi indizi che riconducevano Marinette all’eroina mascherata e lui non poteva ignorarli o credere che si trattasse soltanto di una mera coincidenza.
   «La verità è che hai paura che le cose non stiano così», rispose inaspettatamente il kwami, colpendolo lì dove faceva più male.
   «Di che parli?» volle sapere il giovane, mostrando molta meno sicurezza di prima.
   «Semmai dovessi scoprire che le cose non stanno così come te le sei immaginate, sarebbe un bel guaio per te, non è vero?»
   «Sii più preciso.»
   Plagg lo fu, anche a costo di risultare crudele. «Riusciresti a perdonare te stesso per l’esserti innamorato di due ragazze diverse? Per aver tradito il tuo imperituro amore per Ladybug?»
   Fu come ricevere un secondo ceffone, per Adrien. Pur abbandonando la sua posa da uomo forte e determinato, cercò ugualmente di mantenere un tono di voce fermo. «Stai dicendo un mucchio di sciocchezze», iniziò deciso. «Marinette è Ladybug. Punto. Non è possibile che siano due persone differenti.»
   «Così come ti sei convinto che lei sia innamorata di te.» Sul serio, Plagg non voleva scoraggiarlo in alcun modo, ma quel ragazzino doveva imparare a non incaponirsi su qualcosa senza prima aver avuto conferme; la delusione che ne sarebbe derivata, nel momento – e nell’eventualità – in cui avesse capito di essersi ingannato, sarebbe stata davvero dolorosa.
   Sospirando stancamente, Adrien gettò la spugna. «Lasciamo perdere», stabilì a quel punto, preferendo mettersi a letto nel tentativo di dormire almeno qualche ora. «Domani ne parlerò direttamente con lei.»
   «E che le dirai?» lo provocò ancora il kwami. «Marinette, so che sei Ladybug e so che mi ami quanto io amo te? Oh, a proposito, io sono Chat Noir, colui verso il quale provi soltanto amicizia.» Il ragazzo strinse i denti ma non ribatté. «Cerca di non essere troppo impulsivo», fu l’ultima cosa che sentì dire a Plagg, questa volta in tono affettuoso. Percepì di nuovo la sua presenza accanto a sé e quando lo avvertì raggomitolarsi contro la pelle nuda del collo, Adrien non protestò. Per quanto potessero dargli noia quelle parole, sapeva che il suo amico voleva soltanto proteggerlo – anzitutto da se stesso. L’indomani, comunque, avrebbe davvero parlato con Marinette almeno riguardo al suo commento alla foto scattata al parco. Doveva sapere.

«Marinette?»
   Lei sobbalzò e si lasciò scappare un verso buffo, non aspettandosi di trovarlo dietro l’anta dell’armadietto. Come diavolo era possibile?! Da dove era spuntato?! Poco prima non era lì, ne era più che sicura! Pur nella confusione derivata dallo spavento, la ragazza esibì un sorriso. «A-Adrien?»
   Il giovane sapeva di giocare sporco, tendendole degli agguati in piena regola, ma era l’unico modo che avesse per riuscire a parlarle a tu per tu senza che lei potesse tentare la fuga. Se avesse aspettato di vederla in classe, c’era il serio rischio che Marinette ricorresse ad Alya o a qualche altra sua amica. O che Chloé li interrompesse. Invece al momento la zona degli armadietti era parzialmente vuota e tranquilla, pertanto Adrien ritenne che fosse arrivato il momento dei chiarimenti. «Scusa se ti ho spaventata», iniziò con un sorriso stentato in volto. Davanti a lui c’era la ragazza dei suoi sogni che, contro ogni aspettativa, quella notte gli aveva fatto una brusca sorpresa, dolorosa quanto una doccia d’acqua ghiacciata.
   «Comincio a sospettare che tu sia stato addestrato dai monaci Shaolin.»
   Preso in contropiede da quella risposta pronta, il giovane batté le palpebre un paio di volte prima di realizzare che Marinette sapeva essere persino più spassosa di lui. Il suo sorriso si accentuò, conferendogli questa volta un’espressione divertita e, finalmente, anche più rilassata. «Ho studiato il ninjutsu, in realtà.»
   «Mh», annuì la ragazza, seria in volto. «Ora si spiegano molte cose. Anche se, perdonami, biondo e luminoso come sei, difficilmente avresti la meglio su un vero nemico. Dovresti prendere in considerazione l’idea di camuffarti in qualche modo.»
   «Mi vesto di nero durante le missioni ufficiali», le garantì lui, senza bisogno di mentire. Avrebbe voluto precisare che, al posto del cappuccio, in realtà indossava due graziose orecchie da gatto sulla sommità della testa, ma cercò di limitare gli scherzi e virò il discorso su ciò che gli importava davvero sapere. «Ho visto ciò che hai scritto a proposito della nostra foto», fu diretto, spiazzando Marinette che pure, per quanto avesse sperato non accadesse, si era ugualmente aspettata che lui andasse a cercarla per avere spiegazioni in proposito. «Credevo non ti importasse.»
   Avrebbe dovuto dirgli la verità? Cioè che le importava eccome? Che era felice di sapere che, in fin dei conti, lui la riteneva alla sua altezza? Che il resto del mondo li considerava una coppia?
   Abbassò lo sguardo. «A me non importa», disse allora, cercando di mantenere la calma e di ignorare il furioso battere del suo cuore. «Però… potrebbe non essere così per qualcun altro.»
   «Non importa neanche a me», rispose Adrien, ingoiando un anzi che gli era salito alle labbra proprio un attimo prima di pronunciarlo. «Non ne avevamo già discusso?»
   , si disse Marinette. Ma sei scorretto a tenermi così sulle spine. «Perché hai smentito ciò che ha scritto Chloé riguardo a voi due?» le venne spontaneo domandare, tornando a fissarlo negli occhi, questa volta con fare deciso. Se dovevano affrontare la questione… ebbene, lo avrebbero fatto a carte scoperte – o per lo meno ci avrebbero provato.
   Domanda legittima, ammise con se stesso l’altro, dovendole dare ragione. «Sarebbe stato poco lusinghiero per la mia immagine, dare l’impressione di essere un dongiovanni, non trovi?» le fece notare, decidendo di porre la faccenda su quel piano. «Oltretutto io e Chloé siamo due personaggi pubblici, che ci piaccia o meno.»
   «D’accordo», gliela diede buona la ragazza, pur non del tutto convinta che fosse solo quello, il motivo. «Ad ogni modo, ci ho riflettuto a lungo e, proprio perché sei un personaggio famoso, è meglio che la gente non si faccia strane idee su di noi.» Vide Adrien corrucciare le sopracciglia bionde, manifestando in quel modo tutto il suo dissenso. «Specialmente in vista del nostro servizio fotografico», puntualizzò allora lei, determinata a farlo ragionare. «Se qualcuno pensasse che stiamo insieme…»
   «Non. Mi. Importa», la interruppe il giovane, con voce forte e chiara. Occhi negli occhi, sembrava più che mai ostinato a lasciare che tutti credessero a quel pettegolezzo.
   Marinette lo ritenne scorretto ancora una volta, e non soltanto perché non le aveva neanche chiesto se davvero le andasse bene continuare con quella farsa. Un conto era il gossip del momento, un conto era doverlo sopportare a lungo termine – cosa che sarebbe accaduta di certo quando il servizio fotografico fosse diventato di dominio pubblico. «Importa almeno alla ragazza di cui sei innamorato?» sputò a quel punto, non riuscendo più a tenere per sé quella dannata domanda. Le bruciava… eccome, se le bruciava. Aveva però bisogno di metterci una pietra sopra il prima possibile, di dare un colpo di spugna alle sue vane speranze di poter essere davvero la ragazza di Adrien, altrimenti avrebbe finito per impazzire del tutto.
   Lui sgranò gli occhi e la fissò incredulo, la bocca leggermente aperta in un’espressione di puro stupore. Marinette si era infine decisa a parlare chiaro e in quel suo atteggiamento era stata più che mai la Ladybug dei suoi sogni. Si umettò le labbra con la punta della lingua, pregustando infine il momento in cui lei gli avrebbe dato quell’unica conferma che avrebbe messo a tacere ogni suo dubbio riguardo alla sua identità segreta. «Come lo sai?» Lei tentennò. «L’avevo confidato soltanto a due persone. Di certo non a te.»
   Strinse i pugni e serrò le mascelle. Era arrivata la resa dei conti? Sì, così sembrava. «Ti ho sentito mentre lo dicevi a Ladybug.» Le costò confessarlo, ma che altro poteva fare se non continuare a mantenere la testa alta e ostentare una sicurezza che non possedeva affatto? «Eravate a due passi da casa mia e tu hai parlato a voce molto alta.»
   Adrien tornò a schiudere le labbra, avvertendo un vago senso di confusione. Quel giorno, mentre parlava con Ladybug dei propri sentimenti, era stato talmente preso dalla situazione che ora non ricordava più se quelle cose gliele avesse dette con calma o con fare agitato, magari davvero alzando troppo il tono della voce. Ed era vero, casa di Marinette era proprio a due passi e la zona era deserta a causa della battaglia contro l’ultimo akumizzato di Papillon, perciò le sue parole potevano esser rimbombate per qualche metro. La versione della sua amica stava perfettamente in piedi. O, forse, era soltanto un modo per nascondere la verità, per preservare la sua identità segreta. Di una cosa, tuttavia, Adrien era certo: che Marinette fosse o meno Ladybug, rimaneva il fatto che era davvero innamorata di lui. Altrimenti perché piangere a dirotto, subito dopo aver sentito quella sua dichiarazione?
   «Lei… non mi ama», disse dopo qualche istante, cercando di mantenere una certa lucidità mentale. Non era facile, a ben guardare, perché la gioia e il dubbio sgomitavano non poco con l’intento di mandarlo ancora più in confusione. Il viso di Marinette abbandonò la tensione e lasciò il posto all’incredulità, come se davvero non si fosse aspettata quella risposta. «Sia chiaro», aggiunse lui, mettendo le mani avanti prima che potesse essere frainteso per l’ennesima volta. «Non ho mai avuto l’intenzione di usare quella foto di noi per suscitare la sua gelosia.»
   «Non ne saresti capace», lo tranquillizzò subito la ragazza, continuando a fissarlo sconvolta. Quale adolescente avrebbe rifiutato uno splendore come Adrien Agreste? Era forse matta?! Com’era quel proverbio? Chi ha i denti non ha il pane e chi ha il pane non ha i denti. «Glielo hai mai detto? Che la ami, intendo…»
   «Sì, ma non è servito a nulla», le garantì il giovane, lieto almeno che lei non si fosse fatta una cattiva opinione di lui. Le sorrise con affetto. «Ti ringrazio per la tua premura, ma, come vedi, non c’era alcun motivo per cui dovessi davvero smentire quel pettegolezzo su di noi. A meno che non ti desse fastidio, si intende.»
   «E come potrebbe…?» mormorò Marinette, troppo presa dal dispiacere di saperlo infelice per pensare alle conseguenze delle sue parole. «C’è qualcosa che posso fare per te?» si affrettò a chiedere, spiazzandolo con quella domanda del tutto inattesa.
   Adrien quasi rise, provando per lei un ulteriore moto di tenerezza. E un’infinità di amore. «Sì, una», rispose dopo un solo attimo. «Vorrei che, qualunque cosa accada in futuro, il bene che ci vogliamo non cambi mai.» La vide arrossire lievemente e non poté fare a meno di darle la stoccata finale, deliziandosi del meraviglioso spettacolo che aveva davanti agli occhi. «A meno che non evolva in qualcosa di più prezioso.»












Respirate. E siate fiduciosi: non so quando, ma prima o poi sentiremo qualcosa del genere anche nella serie. Siamo sulla strada giusta, ormai i nostri prosciuttini sono ad un punto tale che è impossibile (a meno che non accada qualcosa di significativo che li allontani) che qualcun altro si metta in mezzo. Non dopo aver visto anche i primi due episodi della terza stagione.
Or dunque, aggiorno in anticipo (contavo di farlo sabato) perché non so se fra due giorni potrò. Tanto sono ormai alla fine della storia, alle prese con l'ultimissima scena che mi sta facendo dannare perché non vuole saperne di essere scritta. Ispirazione, ti scongiuro, torna da me! ç_ç
Intanto vi ringrazio come sempre per essere ancora qui a seguire questa fanfiction, nonché per tutto l'affetto e l'appoggio che mi date continuamente. Siete fantastici, grazie di vero cuore! ♥
Buona giornata,
Shainareth





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Capitolo 15
*** Capitolo quattordicesimo ***





CAPITOLO QUATTORDICESIMO




Marinette uscì dalla trance verso la fine della seconda ora di lezione, quando la professoressa Bustier le chiese, in quanto capoclasse, di portare dei documenti a monsieur Damocles. Lei annuì, si alzò dalla panca, barcollò e poi, mettendo un piede davanti all’altro con una certa difficoltà, scese fino alla cattedra, presso la quale la donna le consegnò un plico di fogli. Quindi, senza dire una sola parola, mantenne gli occhi bassi ed uscì dall’aula il più velocemente possibile.
   Dopo che Adrien le aveva detto quelle parole, il suo cervello aveva avuto un blackout vero e proprio. Ricordava vagamente di due braccia che le si erano avviticchiate attorno al collo e la voce di Alya che le augurava il buongiorno in tono allegro e vivace. Poi forse era arrivato anche Nino e via via tutti gli altri – o almeno così credeva Marinette, perché davvero aveva vissuto le ultime due ore per pura inerzia. Ancora adesso, in tutta onestà, le pareva impossibile che Adrien avesse potuto rivolgerle quella frase, lasciando intendere senza alcun dubbio che non gli sarebbe dispiaciuto, in futuro, costruire una relazione amorosa con lei.
   Rallentò il passo e si fermò, appoggiando il palmo della mano al muro a causa di un capogiro, il cuore che continuava a martellarle incessantemente nel petto e nelle orecchie. Era un sogno. Soltanto un sogno. Non poteva essere altrimenti. E anche se così non fosse stato, rimaneva il fatto che, per quanto lei potesse piacergli, Adrien era ancora innamorato dell’altra ragazza. Ragionandoci su, la stessa Marinette non voleva che le cose fra loro accelerassero troppo: il dubbio di essere solo un – inconscio – palliativo per il cuore infranto del giovane l’avrebbe distrutta. Desiderava che Adrien fosse davvero innamorato di lei, che non pensasse più all’altra. Non voleva vivere quell’eventuale relazione con l’illusione di essere l’unica donna del suo cuore, come se tutto fosse solo un’enorme bugia.
   Adrien non è disonesto, si disse a mo’ di rimprovero, cercando di tornare lucida almeno in parte. Era impossibile che lui la usasse, che facesse il doppio gioco o roba simile. «Tikki… cosa… cosa ne pensi, tu?»
   «Segui il tuo istinto», le rispose soltanto lei, facendo capolino dalla borsetta che l’altra portava sempre con sé.
   Il mio istinto, si ripeté Marinette. Cosa le diceva, in quel momento? Che, pur anelando con tutta se stessa di diventare la sua ragazza, avrebbe davvero preteso che passasse del tempo prima che ciò accadesse – sempre ammesso che Adrien non cambiasse idea, nel frattempo. A Nino e ad Alya era andata bene, almeno fino a quel momento, ma se così non fosse stato per loro? Anche perché, a differenza della sua migliore amica, Marinette era molto più ansiosa e, soprattutto, gelosa; e il sapere di non avere il pieno possesso del cuore di Adrien l’avrebbe fatta ammattire.
   «Marinette?» Riportò lo sguardo, spaesato e confuso, su Tikki che ora la fissava in parte preoccupata, benché sulle sue piccole labbra rosse aleggiasse un tenue sorriso. «Non fasciarti la testa prima del tempo. Adrien stava comunque parlando di un ipotetico futuro», fu costretta a ricordarle.
   Giusto, convenne con lei la ragazza, annuendo più volte come un automa. Prese un grosso respiro e riprese la strada che l’avrebbe condotta nell’ufficio del preside.

Non era la sola, Marinette, ad essere in piena crisi. Lo stesso Adrien, presa coscienza di ciò che le aveva detto, ora avrebbe soltanto voluto mangiarsi le mani. Era stato sincero fino in fondo, con lei, non aveva avuto bisogno di mentire e, soprattutto, quelle parole gli erano sgorgate dal cuore, fresche, genuine, vere. Il dubbio che lei non fosse in realtà Ladybug? Lo aveva ignorato, come se non fosse importante, come se non fosse determinante per il suo futuro. Ma se davvero Marinette non fosse stata Ladybug, lui cos’avrebbe fatto? L’aveva forse illusa inutilmente? Oppure lui sarebbe stato in grado di sorvolare sulla cosa e si sarebbe dimenticato davvero di quell’amore abbagliante che gli aveva straziato il cuore fino a quel momento?
   Quando Marinette era stata chiamata dalla professoressa Bustier, Adrien l’aveva seguita con lo sguardo, quasi avesse avuto bisogno di mantenere almeno quel semplice contatto visivo. E quando lei era uscita dall’aula, sparendo dietro la porta, il giovane aveva avvertito come l’assenza di qualcosa di vitale importanza. Anche se solo in parte, era bastato esternare ad alta voce i suoi sentimenti per lei, per rafforzarli fino a quel punto? Forse, si disse nel disperato tentativo di rimanere lucido, è perché, a differenza di Ladybug, Marinette è concreta. È qui. È alla mia portata. Non è sfuggente. E, soprattutto, mi ama. Almeno credo.
   Più ci pensava, più l’idea di poter intessere una relazione con lei lo galvanizzava. Ciò contribuiva, paradossalmente, a renderlo nervoso perché rimaneva sempre quel dannato tarlo del dubbio a rodergli le cervella: avrebbe davvero rinunciato a Ladybug per lei? Senza rimpianti? Senza correre il rischio di svegliarsi, un giorno, e di rendersi conto che Marinette non era altro che un dolce rimpiazzo? Sarebbe stato imperdonabile.
   Forse sì, era stato un incosciente a lasciarsi sfuggire di bocca quelle parole, per quanto sincere potessero essere. Aveva bisogno di capire. Aveva bisogno di indagare. Aveva bisogno di certezze.
   Doveva mettere alle strette Ladybug e scoprire la verità. Anche a costo di esporsi.
   In gioco c’era il cuore di Marinette, prima ancora del suo, e Adrien aveva il sacrosanto dovere di proteggerlo anzitutto da lui stesso.

Fu per questa ragione che, dopo lunga meditazione, una volta a casa decise di rompere il silenzio che era calato fra lui e il suo kwami. «Dovresti farmi un favore.» Plagg lo fissò da sotto in su con scettica curiosità. «Vorrei che tu andassi da Marinette e le dicessi che ho bisogno di vederla.»
   La creaturina ci mise qualche istante per capire che Adrien stava parlando sul serio. Quindi, accucciato sul tavolino della camera del ragazzo e addentando il pezzo di formaggio che aveva fra le zampine, parlò con la bocca piena. «E non potresti farlo tu, con il tuo cellulare?»
   «Se lo facessi, si presenterebbe all’appuntamento come Marinette», si sentì rispondere, come già si era aspettato.
   Masticò a lungo prima di domandare: «Vorresti che si presentasse vestita da Maestro Fu?»
   «Non scherzare. È importante.»
   «È importante anche che non le venga un infarto, vedendosi comparire davanti un esserino nero parlante e fluttuante a mezz’aria.»
   Seduto sul divano davanti a lui, Adrien si portò il pollice e l’indice alla radice del setto nasale e chiuse gli occhi. Avrebbe dovuto aspettarsi quell’obiezione, dal momento che Plagg, sull’argomento, sapeva essere davvero ostinato. Ora, tuttavia, il dubbio che lui potesse avere ragione continuava a rodergli la mente e perciò si impose di mantenere la calma. «D’accordo», sospirò, tornando a guardare il suo amico. «Potresti andare da Ladybug e dirle che ho urgenza di vederla?» riformulò quindi la domanda, cercando di non essere polemico. «Questa sera stessa, se possibile.»
   «Questa richiesta è già più ragionevole», gli concesse il kwami, mandando giù un altro boccone. «Che devi dirle? Che hai deciso di rinunciare a lei perché ti sei invaghito di un’altra?»
   «Cos…?!» Adrien lo fissò con gli occhi sbarrati, lasciando trapelare tutto lo sconcerto che aveva suscitato in lui quell’illazione. «Non dire assurdità!»
   «Mi stai dicendo che hai mentito alla piccola Marinette?»
   «No, ma…» Tacque, portandosi una mano davanti alla bocca e sentendo lo stomaco rimescolarsi per il guaio che temeva di aver combinato esponendosi troppo con la sua amica.
   «Andrò a parlarle», gli venne incontro Plagg, vedendolo in difficoltà. «Ma non assicuro di riuscire a strapparle un appuntamento per conto tuo.»
   «Dille che non si tratta di qualcosa di romantico», lo pregò allora il giovane, che sentiva sempre più pressante il bisogno di conoscere la verità. «Devo parlarle di una cosa importante.»
   Adrien era sconvolto. Fu questa la conclusione a cui giunse il kwami fissandolo negli occhi. Quel ragazzo non riusciva ad accettare l’ipotesi che Ladybug e Marinette potessero essere due persone ben distinte, e per quanto lui avrebbe voluto rassicurarlo al riguardo, non gli era permesso dire alcunché. Si morsicò il labbro inferiore con i dentini aguzzi, soffocando l’istinto di aiutarlo, di incoraggiarlo a perseverare e a non perdere le speranze. «Non fare sciocchezze», disse soltanto, lanciando in aria l’ultimo pezzo di formaggio. Ne intercettò la caduta e lo catturò tra le fauci giusto un attimo prima di prendere il volo oltre i vetri chiusi della grande finestra della camera del suo giovane amico.
   Non fu un viaggio lungo, vista la distanza davvero irrisoria che divideva le due abitazioni. Plagg attraversò senza troppi complimenti una delle pareti della camera di Marinette, incurante di annunciarsi, e si guardò attorno. Era vuota, ma la televisione era accesa e questo lo convinse che di lì a poco la ragazza sarebbe tornata. Poi una voce a lui familiare attirò la sua attenzione. «Se sei qui per il formaggio…»
   «Adrien ne ha di più buono», rispose il kwami del Gatto Nero, senza scomporsi.
   Tikki lo guardò con i suoi grandi occhi azzurri lievemente corrucciati. «Avresti almeno potuto accertarti che Marinette fosse davvero assente, prima di pronunciare quel nome», lo ammonì, mentre lui si avvicinava e si sedeva accanto a lei, sulla scrivania.
   «Quel ragazzo sta diventando indisponente.»
   «Lo dici di tutti i tuoi portatori.»
   «Ha capito.»
   «Cosa?»
   «Tutto.»
   «È per questo che stamattina ha detto quelle cose a Marinette?»
   «Non proprio. Il dubbio che siano due persone diverse lo sta uccidendo.»
   Tikki sorrise intenerita. «La ama sul serio.»
   «Mh», mugolò Plagg, facendo una smorfia e allungando una zampina verso i biscotti con cui la sua compagna stava facendo merenda.
   «Dovrebbe dirglielo. Prima che sia troppo tardi.»
   «Credevo che lei ne sarebbe stata felice.»
   «Sta cercando di non illudersi, di mettersi il cuore in pace.»
   «C’è qualcun altro?»
   «Forse.»
   «Quel qualcun altro?»
   «Non lo ha ancora ammesso, ma è assai probabile che sia davvero lui
   Plagg ingoiò un pezzo di biscotto. «Anche lei dovrebbe dirglielo.»
   «Non può. Non ora. Adrien la tiene sulle spine.»
   «Stanotte credo che gli tirerò i capelli nel sonno.»
   La risata cristallina di Tikki gli fece per un attimo battere il cuore. Amava quel suono, ed era per questa ragione che capiva perfettamente come si sentiva Adrien. «Perché sei venuto qui?»
   «Vuole parlarle.»
   «Stasera si lavora, quindi.»
   «Stasera la metterà alla prova.»
   «Lei non cederà.»
   «Non sottovalutarlo.»
   «Sarebbe disposta a tutto per un fine superiore. Proprio come lui.»
   «Stasera si vedrà.»
   «Sta arrivando.»
   Quando Marinette comparve oltre la botola che portava al piano di sotto, ci mise diversi istanti prima di accorgersi dell’ospite a sorpresa. Sgranò gli occhi, spalancò la bocca e annaspò in cerca d’aria. Quindi, senza pensarci un momento di più, si affrettò a chiudere la botola a chiave e si precipitò verso la scrivania. «Che ci fai, tu, qui?!»
   «Anch’io sono contento di vederti», rispose Plagg, dando un altro morso al biscotto con aria strafottente. Tikki faticò a trattenere una risatina.
   Marinette fissò il kwami del Gatto Nero con aria corrucciata ed inarcò le braccia sui fianchi. «Quindi non è vero che mangi solo formaggio.»
   «Mai detto il contrario», le assicurò lui. «Ricordo ancora il macaroon che ho dovuto dividere con Tikki quella volta, nel container, quando tu e il tuo amato…»
   «Chat Noir non è il mio amato!» scattò la ragazza, troppo stizzita per arrossire a quelle parole.
   «Come vuoi.»
   Sospirando pesantemente e arrendendosi all’idea di dover avere di nuovo a che fare con quella creaturina snervante, Marinette si lasciò cadere sulla sedia della scrivania e abbandonò l’espressione accigliata. «Avanti, sentiamo… perché sei qui?»
   «Vuole vederti», disse Plagg, senza perdersi in chiacchiere inutili.
   Di nuovo lei sgranò gli occhi. «È successo qualcosa?»
   «Vuole solo parlarti.»
   Chat Noir non era mai ricorso al suo kwami per chiederle un incontro. Di solito, in effetti, loro due non si vedevano mai al di fuori delle emergenze, o presunte tali, e per qualunque cosa avevano sempre fatto affidamento alle loro armi che consentivano loro di parlare a distanza come con un comune cellulare – ma a ben guardare non era molto comodo comunicare in quel modo, aspettando che l’altro si trasformasse per ascoltare il messaggio lasciato in segreteria. C’era dunque un’urgenza? Di che tipo? Di sicuro doveva trattarsi di qualcosa di serio, altrimenti Chat Noir non avrebbe avuto bisogno di incontrarla faccia a faccia.
   «Dove e quando?»
   Plagg si strinse nelle spalle minute. «Stasera. Non ha specificato né ora né luogo, perciò immagino che voglia lasciar decidere te.»
   Il primo posto che venne in mente a Marinette fu la terrazza su cui lui le aveva confessato i suoi sentimenti e lei era stata costretta a respingerlo. La terrazza su cui gli aveva detto che amava un altro. La terrazza su cui lui le aveva sorriso lo stesso e le aveva regalato una rosa. E un bacio. Un bacio capace di farle battere il cuore, nonostante fosse stato sulla guancia. Innocente e puro quanto i suoi sentimenti. I loro sentimenti. Le voleva bene sul serio e lei ne voleva a lui, sia pure in modo diverso. Marinette ripensò al pianto dirotto a cui si era lasciata andare fra le sue braccia, quando Adrien le aveva detto che amava un’altra. Ripensò alla sua dolcezza. Ripensò alla tenerezza con cui poi, il giorno dopo, era tornato da lei per sapere come stava. Glielo doveva, qualunque fosse il motivo per cui Chat Noir le aveva chiesto quell’incontro.
   «Alle dieci. Sulla… terrazza che…»
   «Quella che lui aveva addobbato con rose e candele?» Annuì. Plagg sorrise sornione. «Riferirò.»
   «Non è un appuntamento romantico, vero?»
   «Vorresti che lo fosse?»
   «Sono già abbastanza scombussolata per Adrien.»
   «Oh, già. Il tuo boyfriend
   Marinette arrossì. «Non… Non sono affari che ti riguardano.»
   «Invece sì», la smentì il kwami, finendo il biscotto che aveva fra le zampine. «Dall’esito della tua relazione con quel ragazzo dipende anche la felicità di Chat Noir.» L’altra non ebbe la forza di rispondere e lui decise di lasciarla ad arrovellarsi il cervello – e il cuore – attorno a quelle parole che nascondevano verità a lei ignare. «Grazie per la merenda», disse soltanto, prima di esibirsi in un inchino affettato e sfrecciare via, oltre la parete che dava all’esterno.

Atterrarono sulla terrazza nello stesso, identico momento e si fissarono stupiti, ancora inginocchiati l’uno di fronte all’altra. Si sollevarono lentamente in piedi e rimasero fermi, occhi negli occhi. Poi Chat Noir sorrise, deciso a spezzare quella lieve tensione che sembrava essere calata fra loro. «Sei in anticipo, my lady
   «Anche tu», si permise di fargli notare lei, lieta di sentire il suo tono di voce allegro.
   «Non volevo farti aspettare.»
   «Che gentiluomo.»
   «Modestamente», se ne compiacque il giovane, rimirandosi gli artigli con fare lezioso. «E tu? Come mai così in anticipo? Sono appena le nove e mezza.»
   Ladybug sorrise forzatamente. «Per il tuo stesso motivo», rispose, benché la verità fosse un’altra. E cioè che, essendo quella terrazza a due passi dal suo balcone, lei aveva temuto che, arrivando all’ultimo momento, Chat Noir potesse scorgerla mentre sgattaiolava via di casa. Sarebbe stato un vero disastro se lui avesse capito la verità. Non perché non si fidasse, figurarsi; più semplicemente, temeva che Papillon potesse approfittare di quel loro segreto condiviso per scoprire chi si celava dietro le loro maschere. «Non tutte le donne sono tanto indelicate da far aspettare un uomo per intere ere geologiche.»
   «Mh», prese nota mentale il giovane, incrociando le braccia al petto, un’espressione da schiaffi in volto. «Stiamo parlando di un appuntamento, quindi?»
   Marinette s’irrigidì, dandosi dell’idiota per il paragone appena fatto. «Credevo si trattasse di qualcosa di più serio», sviò allora, cercando di non tornare con la memoria a quella sera di diverse settimane prima. Ora che si trovava davanti a lui, cominciava a pentirsi di aver fissato lì il luogo del loro incontro.
   «Intendi una proposta di matrimonio?» la prese in contropiede Chat Noir, facendola arrossire da capo a piedi. Annaspò, balbettò qualcosa a metà fra un’imprecazione e un insulto e ringhiò quando lo vide sghignazzare con aria divertita. Imbronciata, incrociò le braccia e preferì tacere. «Magari la prossima volta», cercò di rabbonirla lui, divorandola con lo sguardo. Era bellissima anche quando si indispettiva in quel modo. «Ho dimenticato di passare dal gioielliere, prima.»
   «Chaton…» lo richiamò lei, con un sospiro affettuoso, nonostante tutto.
   Lui ne fu felice e la fissò ancora con occhi vivaci e pieni d’amore. Checché ne dicesse Plagg, che cercava puntualmente di mettere in dubbio le sue convinzioni al riguardo, sotto quella maschera c’era Marinette; Adrien ne era più che sicuro. «Scusa», cominciò allora in tono gentile, facendo un passo nella sua direzione. Lei non indietreggiò e questo fu incoraggiante. «La verità è che non ho più avuto modo di chiederti come stai.» La vide battere le ciglia con aria confusa. «Riguardo… lui
   Era solo preoccupato per lei, dunque? Marinette avvertì di nuovo il cuore sciogliersi per la dolcezza che Chat Noir sapeva sempre mostrare nei suoi confronti. Avrebbe voluto dargli una risposta che non potesse ferirlo, ma la verità era ben diversa e, soprattutto, anche lei faceva ancora fatica a capirla fino in fondo. «Meglio, credo», ammise, sperando di non fargli troppo male. Il sorriso del giovane si accentuò, come se fosse sinceramente contento per lei. L’amava così tanto? Sì, diamine, ne era davvero capace…
   «Ne sono felice.» Quella risposta del tutto disinteressata le provocò un dolore sordo al petto che le mozzò per un attimo il fiato. «Posso almeno farti un ultimo regalo, prima di lasciarti andare?»
   Cosa voleva dire, con quelle parole? Che avrebbe definitivamente rinunciato a lei? Sul serio? Avrebbe dovuto esserne contenta, eppure Marinette si sentì disorientata quasi quanto quella mattina, a scuola, quando Adrien le aveva lasciato intendere di essere in qualche modo interessato a lei. Pensare alla sua esistenza senza l’amore di Chat Noir… faceva male. Proprio come quel bacio che l’eroe le aveva dato nel sogno.
   Seguì i suoi movimenti mentre lui si portava una mano dietro alla schiena e ne tirava fuori un fiore: un crisantemo bianco. Perché quella scelta? Aveva un significato particolare? Marinette ne era più che convinta, dal momento che anche con la rosa rossa e la margherita bianca Chat Noir aveva voluto comunicarle qualcosa di importante.
   Non ebbe tempo di concepire altre domande che lui le porse il fiore e, con un sorriso affettuoso e lo sguardo più dolce del mondo, disse: «Conservalo come hai fatto con gli altri, per favore.»
   Marinette gelò. Adrien non infierì e, suo malgrado, scappò via per darle il tempo di realizzare cos’era appena accaduto.












Non si può certo dire che in questa storia Adrien non abbia spirito di iniziativa. Ecco (anche) perché esistono le fanfiction, per mettere per iscritto le nostre speranze! XD
Ora ci troviamo con una Marinette doppiamente sconvolta, porella. Riuscirà Adrien a farla impazzire prima della fine della long?
A tal proposito, l'ho conclusa. Davvero. Fatico ancora a crederlo, ma due giorni fa ho scritto l'epilogo e ancora sono qui a chiedermi se è vero o meno. Suppongo che prenderò finalmente coscienza della cosa quando avrò scritto anche la shot spin-off che si collega a questa storia e avrò pubblicato anche i capitoli restanti.
Vi ringrazio come sempre per l'affetto che dimostrate verso questa fanfiction, valuterò seriamente l'idea di rendere gli aggiornamenti settimanali, d'ora in poi, così da non tenervi più troppo sulle spine.
Un abbraccio e buona giornata!
Shainareth





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Capitolo 16
*** Capitolo quindicesimo ***





CAPITOLO QUINDICESIMO




Ladybug rimase immobile per diversi minuti, il cuore che batteva all’impazzata, rimbombando nelle orecchie, la mente sgombra. Avvertiva a malapena la brezza fresca della sera che le scompigliava i capelli scuri, ma i suoi occhi azzurri erano fissi sul crisantemo bianco che Chat Noir le aveva donato prima di scappare via.
   Era un messaggio. Doveva esserlo. Marinette non conosceva il significato di quel fiore in particolare, ma già temeva di averlo intuito.
   «Conservalo come hai fatto con gli altri, per favore», le aveva detto il giovane. Come se avesse saputo della rosa e della margherita immerse nella cera. Come se avesse saputo che le teneva vicino al letto. Come se avesse saputo. Tutto.
   Un brivido la percorse da capo a piedi, scombussolandola nel profondo. Chat Noir sapeva. Doveva aver visto quei fiori quando era stato da lei, quando l’aveva stretta a sé per confortarla, quando era tornato per sapere come stava. Chat Noir sapeva e continuava ad amarla. Nonostante tutto.
   Le venne da piangere. Doveva scoprire la verità. Mosse un passo, come se volesse seguire il giovane, ormai scomparso da diversi minuti oltre i tetti vicini. Si bloccò. Si mosse per tornare indietro, verso casa, ma si fermò di nuovo. Si sentiva in trappola. Non sapeva cosa dire, cosa fare o anche solo cosa pensare.
   Passò un pezzo prima che riuscisse a trovare dentro di sé la forza per tornare a casa. Quando fu al sicuro in camera sua, prima ancora di sciogliere la trasformazione, si precipitò a recuperare il cellulare. Avviò il browser per la navigazione, fece la sua ricerca, il fiore ancora fra le dita e gli occhi che di tanto in tanto continuavano a sbirciare quei petali candidi, e infine trovò ciò che cercava. La verità.
   E tale era anche il significato di quel crisantemo bianco: verità.
   Chat Noir sapeva.
   Chat Noir l’amava a prescindere da quella stupida maschera. Disperatamente, appassionatamente, onestamente.
    «Tikki…» mormorò Ladybug con voce malferma. «Trasformami…»
   Tornò a prendere le proprie sembianze, lasciò da parte il cellulare e strinse con entrambe le mani il fiore al petto. «Marinette…?» bisbigliò il piccolo kwami, preoccupato per il suo stato emotivo e psicologico.
   Lei neanche l’ascoltò, la mente che continuava a ruotare attorno ad un unico pensiero: Chat Noir l’amava davvero. E, pur di saperla felice, aveva deciso di lasciarla andare.

«Sei fiero di te stesso, ora?»
   Non proprio, pensò fra sé Adrien, lo sguardo fisso sullo spicchio di luna che, al di là dei vetri della grande finestra, splendeva nel cielo scuro della sera. Aveva lasciato il suo dono tra le mani di Ladybug, senza neanche guardarla in viso, ed era fuggito. Voleva darle il tempo per assimilare quell’informazione, sì, ma in realtà quella scelta gli era costata parecchio. Avrebbe voluto rimanere lì, a vedere la sua reazione. Avrebbe voluto ammirare la sorpresa e il fremito della paura nei suoi meravigliosi occhi azzurri, avrebbe voluto sorriderle e rincuorarla, abbracciarla e… «…baciarla», mormorò a fior di labbra, rivivendo intensamente la medesima sensazione che per ben due volte lo aveva quasi spinto a ghermire la bocca di Marinette con la propria – prima nei panni di Adrien e poi in quelli di Chat Noir.
   Accoccolato sulla sua spalla, Plagg scosse le piccole orecchie a punta, credendo di aver capito male. «Tutta questa storia ti sta dando alla testa.»
   «Forse», gli concesse il giovane in un sospiro sofferto. «Ma non hai idea di cosa non darei per…»
   «Sì, sì, lo hai appena detto, risparmiami i dettagli», borbottò l’altro. «Piuttosto, non me lo merito un bel premio? Ti ho fatto da ambasciatore e ti ho concesso una trasformazione per un fine personale», gli ricordò prosaicamente.
   Dovendogliene dare atto, Adrien si scostò dalla finestra e fece cenno verso la scrivania. «C’è una confezione nuova di zecca nel cassetto.» Plagg ci si tuffò a capofitto e quando riemerse dalla sua caccia al tesoro, la scatolina stretta al petto, guardò il suo amico con due occhi pieni di commossa gratitudine. Lui sorrise. «Sì, ti ho preso quello speciale che mi avevi richiesto tempo fa.» Un attimo dopo il piccolo kwami fu di nuovo da lui, svolazzandogli attorno alla testa senza riuscire a contenere l’emozione prima di andare ad accomodarsi sul tavolo della camera per aprire il suo amatissimo premio. Anche Adrien avrebbe voluto averlo, un tesoro prezioso come quello… e in verità lo aveva, ne era consapevole; il suo tesoro aveva gli occhi azzurri e si trovava ad una manciata di metri di distanza da casa sua. Sospirò, tornando a volgere lo sguardo oltre la finestra e sperando di tutto cuore che Marinette non fosse rimasta eccessivamente scossa per quella rivelazione.
   L’indomani, a scuola, ebbe conferma del fatto che il suo pio e utopico desiderio di non aver scombussolato troppo la ragazza dei suoi sogni era andato a farsi benedire. Marinette si presentò in classe con due occhiaie da manuale, gli occhi lucidi e la testa fra le nuvole, facendolo sentire mortalmente in colpa. Ma che altro avrebbe dovuto fare, lui? Tenere per sé quel segreto e giocare sporco? No, affatto. Al di là del suo bisogno di avere conferme circa l’identità di Ladybug, Adrien voleva essere il più onesto possibile e informare la propria partner della cosa.
   Non fu l’unico, comunque, a notare l’aria assente e preoccupata di Marinette, specie perché nell’ultimo periodo Chloé continuava a tenerla d’occhio per via di quella foto diventata virale sui social network. A dirla tutta, si era sorpresa non poco nel leggere la smentita della compagna di classe riguardo ad una possibile relazione di tipo romantico fra lei e Adrien. Questo però, se da un lato l’aveva tranquillizzata, dall’altro non era bastato a farle abbassare del tutto la guardia – visto anche il modo in cui lo stesso Adrien continuava a guardarla e a rivolgersi a lei. Quel giorno, poi, il giovane sembrava altrettanto preoccupato per qualcosa. Avevano forse litigato? No, si erano persino sorrisi quando si erano scambiati il buongiorno, perciò il problema doveva essere un altro. E Chloé avrebbe davvero voluto indagare al riguardo. Si portò alle labbra l’apice superiore della penna che stringeva in mano e iniziò a rimuginare su tutta quella faccenda.
   Frattanto, anche Alya non poteva rimanere indifferente allo stato umorale della propria migliore amica. Alla quale, sul finire della prima ora di lezione, chiese senza preamboli se avesse voluto andare a casa sua per giocare insieme ai videogiochi. Marinette non era appunto dell’umore adatto, ma rendendosi conto che le avrebbe fatto bene distrarsi, fece uno sforzo con se stessa per sorridere e accettare l’invito. «Saremo solo noi due, oggi», le disse Alya quando terminarono le lezioni della mattina. «Mio padre è al lavoro, mentre mia madre ha la giornata libera e porterà quelle pesti delle mie sorelle a La Fête Foraine du Jardin des Tuileries. Adorano quel posto.»
   A quelle parole, a Marinette venne spontaneo farsi più di uno scrupolo. «E non preferiresti invitare Nino, piuttosto?»
   «Non oggi», le garantì l’altra, strizzandole l’occhio. «Ho voglia di passare il pomeriggio da sola con la mia migliore amica.» Quella dichiarazione le fece guadagnare un abbraccio di cuore da parte di Marinette che, in effetti, sentendosi stretta a sua volta, comprese di aver davvero bisogno di sfogarsi con qualcuno. Conoscendola, di certo Alya doveva aver intuito quella sua necessità e subito aveva colto la palla al balzo. Poteva davvero esserci amica migliore di lei?

«Ricapitolando…» iniziò Alya quando, ormai a casa dopo le lezioni del pomeriggio, Marinette ebbe finito di raccontarle ogni cosa. «Per tutto questo tempo Adrien è stato innamorato di un’altra ragazza e, pur dichiarandosi, lei gli ha dato picche. Nel frattempo, si è avvicinato molto a te, sentendosi talmente a suo agio da comportarsi in modo spontaneo in tua presenza, senza inibizioni che riguardino il lato più vivace del suo carattere, arrivando persino a comportarsi come un… ehm…»
   «Idiota», le suggerì Marinette senza troppe remore. Mai le sarebbe saltato in testa di definire Adrien in quel modo a cuor leggero, ma tant’è… «Diciamo le cose come stanno. Si diverte così», si arrese ad ammettere, facendo stancamente spallucce e lasciandosi andare contro lo schienale del divano del salotto di casa Césaire. Come previsto, al loro arrivo non avevano trovato nessuno e, prima ancora di accendere la console per i videogiochi, si erano accomodate sul grande sofà per bere del succo di frutta fresco e scambiarsi confidenze di una certa importanza.
   «Chi lo avrebbe mai sospettato…» Alya si lasciò scappare una risatina divertita. «E in tutto questo, ieri mattina ti ha confessato di esserci rimasto male per la tua smentita ufficiale circa una vostra eventuale relazione e ha rincarato la dose lasciando intendere che non gli dispiacerebbe se un domani fra voi dovesse nascere qualcosa che andasse oltre la semplice amicizia. Ho capito bene?» L’altra annuì e lei corrucciò le sopracciglia castane e strinse le labbra. «Esattamente… dov’è il problema?» non si trattenne dal chiedere. «A me sembra che le cose fra voi stiano andando alla grande», si complimentò, regalando all’amica un sorriso sincero. «Adrien si sta finalmente rendendo conto che la ragazza perfetta per lui sei tu, non l’altra. Dovresti esserne felice.»
   «E lo sono, davvero», le assicurò Marinette, manifestando tuttavia il proprio nervosismo nel gesticolare in modo frenetico. «Però…» Si morse il labbro inferiore e tacque. Non poteva parlare ad Alya anche del resto. Non poteva farlo con nessuno che non fosse Tikki, che pure aveva già cercato di rincuorarla durante la notte – che lei aveva passato quasi in bianco o facendo sogni inquieti.
   Dietro alle grandi lenti dei suoi occhiali, Alya socchiuse le palpebre, fissando la sua amica come se volesse violare i suoi più reconditi segreti. «Cosa mi stai nascondendo?»
   L’altra evitò il suo sguardo. «Niente…» mormorò con voce malferma.
   «Ah-ah», la prese in giro lei. «Questo niente non ha a che fare con quella dannata citazione che hai letto mesi fa su internet?»
   Marinette si voltò di nuovo a guardarla, quasi oltraggiata. «Ho passato da un pezzo quella fase», le giurò con orgoglio.
   «Hai rivisto Luka.»
   «Ch…?» Si ricordò di colpo chi fosse Luka e s’interruppe. «Ma no…» borbottò, agitando una mano fra loro quasi con fastidio. «Fidati, in questo momento è l’ultima persona a cui sto pensando.»
   Stupita dalla sicurezza con cui aveva affermato quelle parole, Alya s’incuriosì ancora di più. «Non ti piace più, questo nuovo Adrien?»
   «Certo che mi piace», rispose Marinette, senza bisogno di mentire. «Ormai l’ho capito, che non è perfetto come credevo inizialmente. E mi sta bene, non è cambiato nulla. Anzi… forse mi piace persino di più.» Se ne rese conto in quel momento e sorrise fra sé, trovandolo buffo.
   «Sai», riprese allora l’altra, guardandola con tenerezza e poggiando un gomito sullo schienale del divano, la guancia affondata contro la mano chiusa a pugno. «È proprio così che funziona l’amore: non importa quanti difetti abbia la persona a cui vuoi bene, perché senza di quelli non sarebbe più la stessa», spiegò con voce calma, addolcendosi al pensiero di quanto fosse bello che anche i suoi migliori amici stessero scoprendo quelle sensazioni meravigliose.
   «Allora perché continuo a sognare di baciare un altro?»
   Quella domanda, posta così a bruciapelo e pronunciata a grande velocità, le fece strabuzzare gli occhi, mandandola in tilt per qualche attimo. Vide Marinette portarsi le mani davanti al volto, di certo per celare il proprio imbarazzo, e la sentì lamentarsi come una bambina. «Mi sento così stupida!»
   «Un momento! Calma!» esclamò Alya, ancora intontita per quella rivelazione. Afferrò l’amica per i polsi e la costrinse a mostrarsi a lei, senza riuscire però ad incrociarne lo sguardo – che Marinette continuava a tenere basso per la vergogna. «Mi… Mi stai dicendo che ti piace qualcun altro?»
   Lei arrossì più di prima. «N-Non è quello che ho detto», ci tenne anzitutto a precisare. «È che… che lui è innamorato di me. Già da un po’. E… anche se me lo ha detto e ridetto… e anche se io gli ho già spiegato che sono interessata ad un altro…» Prese fiato e cercò di calmarsi. «Mi ha persino incoraggiata a dichiararmi. Mi ha confortata quando ho saputo che Adrien non era innamorato di me. Eppure… lui continua a starmi accanto… e… e… io gli voglio bene», concluse, alzando su Alya due occhi lucidi e pieni di tante emozioni che lei ancora non riusciva a sbrogliare. Suscitò tenerezza nella sua amica, che le sorrise e le passò una carezza sul viso, scostandole una ciocca di capelli scuri dietro ad un orecchio. «E hai sognato di baciarlo?» le domandò con dolcezza.
   Marinette annuì più volte. «In tutti i miei sogni, però, finisco per sovrapporre la sua figura a quella di Adrien e viceversa», spiegò con voce mogia, osservando l’altra che si sporgeva verso il tavolino per prendere un bicchiere di succo di frutta per darlo a lei. La ringraziò con un sorriso stentato e bevve un piccolo sorso, sentendosi subito meglio. «Credo che si tratti solo del mio bisogno di sentirmi amata da Adrien proprio come mi ama… lui
   «Questo fantomatico lui ha un nome?» si interessò di sapere Alya, più per cercare di capire meglio la situazione che per curiosità fine a se stessa.
   «Perdonami, non posso dirtelo», rispose l’altra, quasi mortificata.
   «È per questo che finora avevi tenuto tutto per te?»
   «Per questo e anche perché… me ne vergognavo», mormorò, tornando ad abbassare lo sguardo.
   «Di cosa?» le chiese Alya, stringendole una mano con affetto. «Di aver fatto dei sogni che possono voler dire tutto e niente, o di essere interessata seriamente ad un secondo ragazzo?» Gli occhi di Marinette saettarono di nuovo verso l’alto, allarmati, spaesati, cercando spasmodico aiuto in quelli di lei. «Tu e Adrien non state insieme», le ricordò Alya. «Non c’è nulla di male se ti piacciono due persone contemporaneamente. Tanto più se, come dici, si tratta solo del tuo desiderio di essere amata da Adrien nello stesso modo in cui lo fa questo fantomatico lui.» L’altra non rispose, limitandosi a riflettere in silenzio su quelle parole che non facevano altro che confermare quanto le aveva già detto Tikki una manciata di ore prima, quando, al risveglio, l’aveva trovata quasi in lacrime. «Non pensarci, ora, o non farai altro che confonderti ancora di più le idee», disse Alya, decisa a risollevare l’umore della sua migliore amica. «Vedrai che il tempo ti aiuterà a far chiarezza sulla situazione.» Marinette sorrise, pur senza troppa convinzione, e lei per ripicca le tolse di mano il bicchiere per sostituirlo con il controller della console. «Abbiamo una sfida in sospeso, noi due», dichiarò con allegria, accendendo i dispositivi elettronici. «Non credere che me ne sia dimenticata.» La vide finalmente ridere e ciò la inorgoglì. «Pronta a sfidare la campionessa in carica?»

Uscendo dal portone d’ingresso del palazzo di Alya, Marinette alzò gli occhi al cielo uggioso e ormai volto al crepuscolo. Passare due ore in compagnia della sua migliore amica le aveva fatto più che bene, ma ora che era di nuovo sola la sua mente aveva ripreso subito a vorticare attorno a quei pensieri che continuavano a stordirla da oltre ventiquattro ore. Se da una parte era sinceramente felice delle parole che Adrien le aveva rivolto il giorno addietro, dall’altra provava un non indifferente stato confusionale riguardo alla rivelazione fattale tacitamente da Chat Noir. Era davvero interessata ad entrambi allo stesso modo? Impossibile. Lei era ancora ferma nella sua convinzione di amare solo e soltanto Adrien. Eppure ancora un volta il sogno di quella notte aveva fatto vacillare quella certezza: davvero quei baci che il suo subconscio le faceva vivere durante il sonno non avevano alcun significato? L’ultimo, poi, era stato persino più travolgente del solito…
   «Sai, Tikki…» mormorò mentre finalmente si avviava per imboccare la via di casa. «Sarebbe tutto più semplice se sotto la maschera di Chat Noir ci fosse il mio Adrien.»
   La creaturina magica fece capolino dall’apertura a scatto della sua borsetta e la fissò sorniona da sotto in su. «Dici?»
   «Ragiona», cominciò allora a spiegare Marinette, non sapendo bene come interpretare quel suo improvviso desiderio. «Se Adrien fosse Chat Noir, significherebbe che è già innamorato di me.»
   «E che tu lo hai già respinto diverse volte», le fece notare l’altra, rigirando il coltello nella piaga.
   La ragazza uggiolò come un cane bastonato, portandosi le mani fra i capelli con fare teatrale. «Sarebbe imperdonabile!» Sentì Tikki ridacchiare divertita. «Non c’è da scherzare», la redarguì lei. «Mi prenderei a schiaffi da sola, se così fosse.»
   «Dimentichi che, nonostante tutto, Chat Noir ha continuato a provare sentimenti molto profondi per te.»
   Questo era vero, rifletté Marinette, quasi sperando che davvero quei due fossero la medesima persona. Tuttavia, se così fosse stato, avrebbe significato anche che lei aveva pianto inutilmente per lui e che, soprattutto, forse Adrien stava per dichiararsi a Ladybug dopo che insieme avevano salvato il povero Joël dalle grinfie di Papillon. E subito dopo, si era trasformato di nuovo in Chat Noir per correre da lei, tornata ad essere semplicemente Marinette, e consolarla per il suo amore non corrisposto? «Che assurdità…» borbottò a quel punto, scacciando quell’idea balzana dalla mente.
   «Non ne sei più convinta?» s’incuriosì Tikki.
   «Non lo sono mai stata», ci tenne a precisare Marinette, quasi ridendo rassegnata. «Ho solo buttato giù un’ipotesi, benché insensata.»
   «In passato, anche Alya ha azzardato la stessa teoria per ben due volte, ricordi?»
   «Sì», confermò, storcendo di nuovo il naso al riguardo. «L’ultima volta è stato durante i provini per il videocl…» Arrestò il passo e tacque, impallidendo di colpo.
   I provini per il videoclip di Clara Nightingale.
   Quel giorno Adrien era vestito da Chat Noir e la somiglianza con l’eroe era stata notevole. Marinette aveva sempre scartato quell’ipotesi per via della grande differenza caratteriale fra i due; adesso, però, conosceva Adrien abbastanza a fondo da poter affermare, suo malgrado, che il suo compagno di classe e il suo partner in battaglia non erano poi così dissimili l’uno dall’altro anche da quel punto di vista.
   Un brivido la percorse da capo a piedi e lei non seppe dire di che natura fosse.
   Non ebbe tempo di indagare al riguardo, poiché un improvviso vociare la costrinse ad accantonare quelle conturbanti riflessioni e a voltarsi giusto in tempo per scorgere dei ragazzini che correvano come dei forsennati in fondo alla strada. Qualcuno li stava inseguendo. Anzi, qualcosa. Marinette aguzzò la vista e si rese orribilmente conto che si trattava di un essere dalle buffe ed inquietanti sembianze animalesche, che ricordavano in modo vago quelle di una giraffa… solo che… sembrava al tempo stesso uno di quei palloncini a cui i clown danno le forme più disparate. E stava galoppando e rincorrendo quei ragazzini con fare minaccioso.
   «Credo che sia opera di uno degli akumizzati di Papillon», affermò Tikki, ripresasi da quella visione più in fretta della sua amica. «Devi trasformarti subito, Marinette!»
   Lei non ci pensò due volte e si affrettò a cercare un riparo sicuro per ricorrere ai propri poteri magici. Non sapeva cosa stesse accadendo, ma era certa che di lì a poco ne sarebbe venuta a capo. Quando iniziò a sorvolare i tetti degli edifici vicini, iniziò infatti ad avere un quadro più generale della situazione: le vie della città erano piene di enormi palloncini modellati in vari modi, non soltanto a forma di animale, che si erano messi alle calcagna di intere folle di persone e ne minacciavano l’incolumità.
   Era assai probabile che da sola Ladybug non ce l’avrebbe fatta, a salvare i fuggiaschi, forse neanche con l’aiuto di Chat Noir – qualora fosse riuscito a raggiungerla nel minor tempo possibile. Marinette decise perciò di tentare la fortuna e subito richiamò il Lucky Charm. Un attimo dopo, un oggetto enorme ricadde dall’alto e l’eroina lo afferrò al volo con entrambe le mani non senza difficoltà. Quando riuscì a capire di cosa si trattava – un paravento di foggia cinese – comprese anche quale fosse la sua prossima mossa. Non c’era tempo da perdere.
   Direzione: casa del maestro Fu.












Immagino che molti di voi si saranno chiesti il perché della scelta del crisantemo, visto che qui in Italia è associato ai defunti... beh, nel resto del mondo, invece, questo fiore ha dei significati molto più positivi e poetici. Quello bianco, in particolare, è sinonimo di verità. Pertanto, quale modo migliore, per Chat Noir, per comunicare tacitamente alla sua bella di aver scoperto la sua vera identità?
Marinette ne è uscita stordita. Doppiamente, per di più, perché nel giro di ventiquattr'ore (anche meno) ha avuto una mezza dichiarazione da parte di Adrien (la mattina) e poi una confessione di tale portata da parte di Chat Noir (la sera). Il minimo è che non ci abbia dormito la notte.
Ad ogni modo, come avrete notato, è passata solo una manciata di giorni dal precedente aggiornamento. Questo perché, dal momento che ho concluso la stesura della storia, ho deciso di postare i rimanenti capitoli una volta a settimana (ne rimangono altri quattro, più l'epilogo). Spero di riuscire a scrivere al più presto anche una shot spin-off, giusto per riprendere un sassolino che ho lanciato in uno dei prossimi capitoli e che mi sta particolarmente a cuore (ma che non potevo approfondire qui perché sarei uscita troppo fuori tema e avrei finito per allungare ulteriormente il brodo).
E questo è quanto, per questa settimana. Grazie a tutti per essere ancora qui!
A giovedì prossimo! ❤️
Shainareth





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Capitolo 17
*** Capitolo sedicesimo ***





CAPITOLO SEDICESIMO




Correre sui tetti di Parigi era sempre un’emozione immensa a cui mai lei avrebbe fatto l’abitudine. Col vento in faccia e fra i capelli, con quell’agilità fuori dalla norma che le consentivano i suoi nuovi poteri magici, Rena Rouge imitò i movimenti di Ladybug e saltò con lei da un palazzo all’altro, pronta ad accorrere in aiuto dei cittadini in pericolo.
   Marinette era andata via da poco quando, cogliendola del tutto impreparata a quella visita, l’eroina più illustre di Francia era balzata sul balcone della sua camera e le aveva offerto ancora una volta il miraculous della Volpe. Alya non le aveva detto di no e mai lo avrebbe fatto. Aveva una passione sfrenata per l’avventura, una curiosità fuori dal comune ed una stima troppo elevata per la collega a pois per poter rifiutare una simile occasione. Era orgogliosa della fiducia di Ladybug. Era orgogliosa di se stessa. Oh, se solo le fosse stato concesso di poter tenere con sé il miraculous e il piccolo Trixx!
   Un’ombra passò sulle loro teste ed entrambe le ragazze alzarono lo sguardo al cielo scuro e dovettero trattenere un’esclamazione alla vista di un grosso palloncino stilizzato a forma di farfalla. Stava inseguendo loro? Probabile. Pur non sapendo quanto potesse risultare pericoloso un rivale del genere, Ladybug lanciò il proprio yo-yo contro di esso e lo arpionò per un’ala, strattonandolo giù. La struttura della farfalla, tuttavia, si mostrò molto più coriacea di quanto sembrasse a prima vista e con uno scossone tornò a guadagnare quota, trascinandosi dietro la ragazza.
   «Ladybug!» Rena Rouge urlò, ma non la seguì, certa che la sua collega avrebbe saputo cavarsela alla grande anche da sola. Un rumore sordo la indusse a spostare la propria attenzione altrove e, poco più in là, vide qualcun altro alle prese con un serpente gonfiabile che era riuscito a strisciare fin sui tetti più bassi degli edifici vicini. Stringendo le labbra con decisione, Alya si buttò in aiuto di Chat Noir, calciando via la buffa bestiaccia. Tuttavia, anziché riuscire nell’intento, il suo piede slittò sulla superficie gommosa del serpente e lei finì col cadere di sotto, salvata solo all’ultimo istante dal ragazzo mascherato.
   «Tutto bene?» le domandò, mentre l’adagiava a terra con estrema attenzione.
   «Sì, ma Ladybug è da qualche parte in cielo.» E allo sguardo interrogativo di lui, Rena Rouge rispose soltanto: «Una farfalla.»
   «Non permetterò a nessuno di portarmela via», borbottò con fastidio il giovane, mettendosi in guardia quando vide il serpente strisciare di nuovo lungo le pareti del palazzo per tornare all’attacco. «Stai attenta», disse poi alla compagna. «Per quanto possano sembrare innocui, ti assicuro che questi dannati affari sono pericolosi: sono in grado di inghiottire qualunque cosa dalla loro apertura. L’aprono come una bocca e… gnam
   «Non dovrebbero sgonfiarsi, piuttosto?»
   «Puoi sempre provare a chiederglielo. Ammesso che ti riesca!» Chat Noir scansò l’attacco del serpente, schivò ancora e infine, stufo di quell’inseguimento, passò alla controffensiva sguainando i propri artigli, che slittarono sulla superficie del palloncino, producendo un suono stridulo e fastidioso. Non fu un colpo che andò del tutto a vuoto, però, perché una delle unghie appuntite dell’eroe riuscì comunque a scalfire il nemico, che iniziò lentamente a contorcersi in quella che sembrò diventare una lunga e sofferente agonia.
   «Fantastico!» esclamò Rena Rouge, felice del risultato.
   «Sì, ma sarà un’impresa riuscire a bucarli tutti!» ribatté l’altro, scattando subito via da lì. «La zona del Jardin des Tuileries ne è piena!»
   Alya tremò: sua madre e le sue sorelline erano state lì, nel pomeriggio, e forse erano rimaste coinvolte nell’attacco di Papillon. Senza pensarci due volte, sorpassò Chat Noir e si diresse come un fulmine verso il posto incriminato. «Ehi, aspetta!» gridò lui, la cui corsa venne fermata da un temibile barboncino gonfiabile. «Occavolo… dobbiamo davvero giocare al cane e al gatto?»
   Più avanti, la farfalla a cui era aggrappata Ladybug per mezzo dello yo-yo continuava a vorticare a mezz’aria, facendo urlare di spavento la povera ragazza. «Frenafrenafrenaaa!» strepitò quest’ultima quando rischiò di schiantarsi contro uno dei comignoli dei palazzi che stavano sorvolando. «Maledizione, vuoi fermarti?!» Imprecò, ben sapendo che si trattava di una battaglia persa in partenza. Se solo avesse potuto ricorrere al Lucky Charm… e invece no, perché il filo del suo yo-yo continuava a tenerla salda all’ala della farfalla evitandole di precipitare nel vuoto. Doveva escogitare qualcos’altro e un attimo dopo la soluzione venne da sé, quando il palloncino passò troppo vicino ad un’antenna televisiva presente su uno degli edifici, subendo inesorabilmente la stessa fine del serpente abbattuto da Chat Noir.
   La discesa fu dolce e lenta, per fortuna, e Ladybug ebbe tutto il tempo per atterrare in sicurezza su un tetto. Rena Rouge le passò accanto come un lampo e subito lei le si affiancò. «Che succede?»
   «Chat Noir ha detto che i palloncini arrivano dal Jardin des Tuileries», rispose Alya col cuore in gola, e Marinette comprese immediatamente quanto questo dovesse preoccuparla. «Dobbiamo fare in fretta!»
   «Dobbiamo trovare un modo per bucarli o scoppiarli tutti.»
   «No, è rischioso!» protestò Rena Rouge. «In alcuni di questi dannati palloncini potrebbero esserci delle persone!»
   «Cosa?!» Ripeté dunque a Ladybug ciò che le aveva riferito Chat Noir e subito cercarono di trovare un piano di riserva. «Temo che per trovare una soluzione indolore dovremo prima fare il nostro incontro con colui o colei che sta rendendo animati questi dannati palloncini!»
   Più si avvicinavano alla meta, più la quantità di inseguitori ed inseguiti pareva aumentare. Con loro grande costernazione, videro alcun persone venire inghiottite dai palloncini per mezzo della loro unica apertura, proprio come aveva detto Chat Noir. Anziché sgonfiarsi, quegli esseri fagocitavano le loro vittime e tornavano ad assumere le sembianze di un normale ovale di gomma colorata, al cui interno era possibile intravedere le sagome dei malcapitati.
   Non c’era tempo da perdere, presto quei poveretti avrebbero finito l’ossigeno a loro disposizione. Le ragazze aguzzarono la vista e lì dove gli animali erano assembrati in maggior quantità, videro finalmente colui che li portava alla vita: un ometto basso e tarchiato, dal viso dipinto e che spiccava sulla folla per mezzo di due altissimi trampoli. Recuperava i palloncini dalle innumerevoli toppe del suo eccentrico costume da clown, li gonfiava con un solo fiato a prescindere dalle loro dimensioni, ne modellava le sembianze in poche, abili mosse e infine si afferrava il naso rosso e lo strizzava fra le dita, producendo un rumore molesto che sembrava dar poi vita alle sue creature per mezzo di chissà quale arcano potere magico.
   «Il… naso?» mormorò incredula Ladybug. Possibile che l’akuma si fosse nascosta proprio lì? Come diamine avrebbe fatto a recuperarla?! «Speriamo solo sia removibile!» si augurò, atterrando sulla cima di un lampione del Jardin des Tuileries. Osservando la scena dall’alto, e sentendo l’akumizzato imprecare contro le persone in generale ed i ragazzini in particolare, Marinette comprese subito quale fosse il problema. «Rena Rouge!» diede voce alla compagna che, più in là, cercava disperatamente di afferrare al volo chi ancora non era caduto nelle grinfie dei palloncini e di bucare questi ultimi prima che fosse tardi. «Ho bisogno di te!»
   Pur a malincuore, Alya desistette dalla propria vana impresa e balzò vicina a lei, pronta ad ascoltare quel che aveva da dirle. Si fidava dell’istinto di Ladybug, perché era grazie a quello che riusciva quasi sempre a ribaltare le sorti di una battaglia e ad aver ragione del nemico. «Sono troppi, e il clown è inavvicinabile!»
   «Proprio per questo dobbiamo cercare di distrarre in massa i suoi alleati», rispose l’altra, senza perdere d’occhio il loro avversario. «Da come strepita, sembra avercela soprattutto con i ragazzini, come se avesse subito da loro insulti o prese in giro di qualche tipo.»
   «Ricevuto», disse Rena Rouge, afferrando al volo il suggerimento. Recuperò il flauto che portava sulla schiena e lo accostò alle labbra, facendo risuonare tutt’intorno quella melodia che avrebbe attivato il suo potere speciale. Un attimo dopo, un’orda di ragazzini riempì l’area circostante, creando scompiglio tutt’intorno.
   Ladybug riconobbe subito un piccolo esercito di Sapoti, a riprova di quanto Alya dovesse essere in pensiero per le proprie sorelline, e anche buona parte dei loro compagni di scuola. Vide il miraggio di Adrien correre accanto a quello di Marinette e non poté fare a meno di provare una lieve fitta di sana invidia per il proprio corrispettivo illusorio. Ad ogni modo, come previsto, il clown andò su tutte le furie per quella nuova ondata di piccole pesti, e subito comandò all’orda di palloncini di inseguirle e divorarle. Uno dei suoi sottoposti di gomma si avventò proprio sul finto Adrien, facendolo scomparire nel nulla non appena entrò in contatto con lui. Alla lunga avrebbero corso il rischio che l’akumizzato mangiasse la foglia e lasciasse perdere i miraggi per scagliarsi direttamente contro di loro. Per questo Ladybug scattò in piedi e, approfittando della confusione generale, richiamò di nuovo a sé il Lucky Charm.
   Alle sue spalle, non visto, giunse anche Chat Noir, che grazie ai propri artigli si era lasciato dietro una lunga scia di palloncini bucati e agonizzanti. Vide i Sapoti che trotterellavano in tutte le direzioni e comprese che doveva trattarsi dell’opera del Mirage di Rena Rouge; non giunse però alla medesima conclusione quando vide alcuni dei suoi compagni di classe che scappavano rapidamente da lì. Si mosse per aiutarli e, quando scorse Marinette in mezzo alla folla, ebbe un più che comprensibile attimo di sbandamento: se lei era lì, chi c’era sotto la maschera di Ladybug?!
   Il tempo attorno a lui sembrò rallentare, ma non abbastanza da renderlo pronto a ciò che stava per accadere. Un grosso palloncino a forma di cavallo si avventò contro il miraggio della sua amica e lui, spaventato dalle conseguenze, si lanciò in difesa della ragazza. «Marinette!» urlò a gran voce.
   D’istinto, Ladybug si voltò nella sua direzione, appena in tempo per assistere impotente alla scena e vedere il proprio compagno di battaglia che veniva ingoiato dal palloncino. «Maledizione!» Strinse i denti, serrò la presa attorno alla pistola tirapugni che il suo Lucky Charm aveva creato poco prima dal nulla e tornò a guardarsi intorno per capire in che modo potesse avvicinarsi al clown, evitando di fare la stessa fine di Chat Noir. L’akumizzato era rimasto insieme a pochi altri animali di gomma, ma dalle tasche colorate del suo costume continuava a tirar fuori nuovi palloncini, esultando per la sorte di uno dei nemici giurati di Papillon e minacciando di essere ancora più spietato con Ladybug. Questa vide Rena Rouge balzare eroicamente davanti all’ultima difesa del clown per tenerla impegnata e consentire alla compagna di agire, ma nel giro di poco anche lei fu sopraffatta nonostante Marinette avesse cercato di aiutarla con il proprio yo-yo. A quel punto, l’unica eroina superstite si gettò nella mischia dall’alto, senza esitazione. Schivò i nemici, rischiò di cadere e infine, usando la propria arma come rampino per darsi la spinta necessaria, puntò la pistola dritta verso l’avversario. Qualcosa la intercettò ed un grosso cigno gonfiabile spalancò l’apertura per l’aria per farne un sol boccone. Ladybug tenne duro e, proprio mentre la gomma colorata stava chiudendosi attorno a lei, premette il grilletto alla cieca. Il grosso guantone da pugile si scagliò con forza contro il volto del clown, facendogli scappare un lamento ed un’imprecazione. Il suo naso rosso perse aderenza e ricadde a terra, rotolando lontano da lui con una vistosa crepa nel mezzo. Fu allora che l’akuma si liberò e volò via. Lottando con tutte le sue forze, Ladybug approfittò dell’ultimo spiraglio d’aria che le era rimasto per lanciare in alto la pistola tirapugni e gridare un soffocato: «Miraculous Ladybug
   Un istante dopo, tutto tornò alla normalità e l’akumizzato ad essere un semplice artista di strada. I prigionieri furono rilasciati subito, compresa Marinette che si affrettò a rincorrere l’akuma per purificarla prima che scappasse lontana e divenisse una minaccia più pericolosa di quella appena affrontata. E mentre Alya si assicurava che le sue sorelline tornassero fra le braccia della loro mamma, Chat Noir scrollò il capo per tornare in sé. Ladybug gli si fece vicino e gli porse una mano. Lui sollevò lo sguardo disorientato su di lei e quegli occhi azzurri gli ricordarono immediatamente quelli di qualcun altro. «Marinette!» esclamò di getto, balzando in piedi.
   «Sta bene», lo rassicurò la sua partner, stringendo con calore la presa sulla sua mano. Scorse sollievo sul viso di lui, ma anche ansia e confusione. Se davvero Chat Noir aveva creduto che lei fosse Marinette, il miraggio di Rena Rouge doveva aver fatto crollare su se stesse tutte le sue convinzioni. Non stava a lei, però, dirgli la verità. Principalmente perché non era quello il momento.
   «Ladybug!» Alya corse verso di loro mostrando il miraculous della Volpe che scandiva il tempo della trasformazione, ormai agli sgoccioli.
   Lei lanciò un ultimo sguardo al loro compagno, senza però riuscire a dirgli altro, e poi scappò via con Rena Rouge. Adrien, invece, rimase fermo dov’era, gli occhi che seguivano passivamente la fuga delle due e la testa e il cuore che vorticavano come non mai. Poi qualcuno lo chiamò e lui tornò con i piedi per terra: c’era un ex akumizzato da tranquillizzare ed una folla di persone che applaudivano le gesta degli eroi di Parigi. Il giovane accolse quei complimenti con un sorriso spento: lui non aveva fatto nulla e, anzi, ancora una volta si era lasciato soggiogare dal nemico col rischio di essere più un ostacolo che un aiuto.
   Scoraggiato, smarrito, frustrato. Ecco come si sentiva. Aveva bisogno di conferme, di appoggio, di un abbraccio. E, come sempre, non poteva chiederli a nessuno.

Aveva iniziato a piovere non appena aveva lasciato l’abitazione del maestro Fu, dov’era stata per restituire il miraculous della Volpe. Vista anche l’ora tarda, Marinette era stata costretta a chiedere un piccolo sforzo al suo kwami, così da raggiungere il prima possibile casa. Fu a pochi tetti di distanza dal suo che vide un’ombra in attesa sul balcone della sua camera e si affrettò a nascondersi dietro ad un comignolo vicino. Sbirciò in direzione dell’intruso e si rese conto che, accovacciato lì sulla ringhiera, incurante della pioggia, c’era Chat Noir. Il suo cuore sussultò e lei appoggiò la schiena contro la struttura di mattoni e si lasciò scivolare a sedere sulle tegole fradice d’acqua.
   Fino a quel momento Marinette aveva evitato di tornare sulla questione, ma adesso non poteva più rimandare quelle riflessioni che in verità sgomitavano in un angolo del suo cervello per venir fuori ad aggrovigliarle lo stomaco. Vedendo lei e Ladybug nello stesso momento, Chat Noir doveva essere rimasto non poco deluso dalla smentita delle proprie convinzioni circa la vera identità della sua partner di sempre. Al contempo, doveva essersi spaventato e preoccupato non poco per la sorte della sua amica Marinette, anche e soprattutto perché dopo la battaglia appena terminata non era riuscito a scorgerla da nessuna parte. E ora era lì, di sicuro in attesa di poterla vedere e accertarsi che stesse bene. Che fosse Ladybug o meno, dunque, a lui non importava affatto: ormai le si era sinceramente affezionato e questo non poteva che scioglierle il cuore.
   C’era, in verità, anche un’altra ragione per cui la ragazza stava esitando dietro al comignolo. Colui che si nascondeva dietro la maschera di Chat Noir era davvero Adrien? Se inizialmente Marinette aveva creduto che fosse ridicolo e assurdo, adesso la cosa ai suoi occhi cominciava a diventare molto probabile. Non soltanto per la grande somiglianza fisica e – ormai lei non poteva più negarlo – caratteriale. C’erano state troppe coincidenze, a cominciare dallo scambio dei kwami al parco: possibile che Chat Noir fosse a due passi da lei sul pont des Suicidés? E come giustificare la presenza di Adrien dal maestro Fu quello stesso pomeriggio, quando lei era andata lì per lasciare Plagg al guardiano dei miraculous?
   Le loro identità segrete avrebbero dovuto rimanere tali per motivi di sicurezza, lo sapevano bene entrambi. Ciò nonostante, era assai difficile mettere a tacere i sentimenti e le questioni personali: si volevano bene. No, di più, si adoravano. E se davvero quello che l’attendeva pochi tetti più in là era il suo compagno di classe, significava che quell’affetto così profondo e sincero aveva finito per coinvolgerli sia come Ladybug e Chat Noir, sia come Marinette e Adrien.
   Col cuore in subbuglio, la ragazza tornò ad ergersi sulle gambe e, preso un respiro profondo, aggirò l’isolato per atterrare in modo silenzioso alle spalle del compagno ed intrufolarsi da una delle finestre della sua camera senza esser vista. Tornò ad assumere le sembianze di tutti i giorni e accese la luce, andando subito a recuperare due asciugamani. Quando l’interno della camera si illuminò, Chat Noir sobbalzò e si slanciò verso la botola che portava di sotto, pronto a bussare per farsi aprire. Non fece in tempo a farlo che Marinette si affacciò da una finestra poco più in basso e lo chiamò, dichiarando così di essersi accorta della sua visita inattesa. Il giovane non se lo fece ripetere due volte e subito la raggiunse con pochi, agili balzi, atterrando in camera di lei, che prima di ogni altra cosa, gli passò uno degli asciugamani che aveva preso poco prima.
   «Ti ho visto mentre tornavo a casa», gli spiegò senza aspettare che lui aprisse bocca, sciogliendosi  i capelli e iniziando a frizionarli con il telo di spugna. Non aveva il coraggio di guardarlo, non ancora, perché la sua presenza la scombussolava molto più del solito. Chat Noir, invece, non le staccava gli occhi di dosso e, dopo un blando ringraziamento, si passò rapidamente l’asciugamano sul capo fradicio di pioggia. Marinette stava bene, era lì con lui ed era reale. Così vera nei suoi movimenti aggraziati, così vera nel suo tenere lo sguardo basso per un pudore che Adrien non sapeva spiegarsi. Così vera. E bella. E se le fosse accaduto qualcosa di brutto, se lui l’avesse persa…
   Serrò la presa attorno al telo di spugna e parlò. «Sai perché sono qui?»
   «Mi hai… vista al Jardin des Tuileries, immagino.» Marinette esitò. «E ti sei preoccupato?»
   «Come potevo non farlo?» recriminò l’altro. «Ovunque ci sono guai, sembri sguazzarci.» La vide alzare finalmente lo sguardo su di lui, sia pure per scoccargli un’occhiata risentita. Le sorrise con affetto, innamorato perso di quelle iridi azzurre che splendevano di orgoglio. «Sono felice che tu stia bene.»
   Ogni stizza nei suoi confronti si dissolse e la ragazza si perse nei suoi occhi verdi. C’era davvero Adrien, dietro quella maschera? Forse. Di sicuro, però, il giovane che era di fronte a lei le voleva bene per davvero, a prescindere da tutto. Schiuse le labbra e si trattenne a stento dal confessargli che non era lei, la Marinette che lui aveva visto; e che, nonostante ciò, anche lei era stata lì, sia pure in vesti differenti da quelle che indossava ora.
   «Sono felice che tu sia qui», le sfuggì alla fine, avvertendo un lieve calore al viso. Sarebbe stato un bel guaio se lui fosse stato Adrien e l’avesse vista in quel momento, ad arrossire come una sciocca davanti ad un altro ragazzo. Avrebbe potuto pensare che il suo fosse un comportamento poco serio, ma davvero Marinette non riuscì a controllare oltre le proprie emozioni.
   Lui non parlò né lo fece lei. Rimasero a fissarsi negli occhi per diversi, interminabili istanti. Poi, la ragazza si mosse nella sua direzione e sollevò un braccio per sfiorargli il viso con una carezza: c’era tristezza nello sguardo del suo amico e lei non riusciva a capire se fosse a causa sua o se ci fosse dell’altro. Adrien si lasciò crogiolare da quella coccola insperata e le prese la mano nella propria prima di ghermirne il palmo con un lungo bacio. Un brivido caldo e meraviglioso la travolse nel profondo dell’anima e Marinette ne rimase sconvolta. Quando quel contatto finì, Chat Noir tornò a sorriderle e a fissarla con tenerezza. «Scusa il disturbo, vado via subito.»
   Voltandole le spalle, il giovane non poté far altro che sbirciare verso il soppalco, dove sapeva esserci un grazioso vasetto di vetro in cui la ragazza aveva disposto una rosa ed una margherita. Per un attimo sperò esserci anche il crisantemo bianco che lui aveva regalato a Ladybug la sera addietro, ma non lo vide. Incassò quella delusione con un sospiro rassegnato e fece per andar via. Marinette lo richiamò indietro, lui si volse di nuovo nella sua direzione e fu spiazzato da un abbraccio così caloroso che per un attimo perse ogni contatto con la realtà. Quando si riebbe, non tardò a ricambiare quel gesto così sentito e ad affondare il viso fra i capelli scuri di lei, umidi di pioggia ma profumati come poche altre cose al mondo. Non avrebbe più potuto farne a meno. Non di quegli abbracci che Ladybug continuava a negargli. Non di quella meraviglia dagli occhi azzurri che aveva fra le braccia e che, se solo avesse potuto, non avrebbe lasciato andare mai più.
   «Grazie», mormorò Marinette contro la sua spalla, sentendosi amata e protetta come mai le era capitato in vita sua. E grazie anche per tutto l’amore che mi dài.
   «Ci sarò sempre, per te», rispose lui, la voce roca che tradiva tutto il piacere di quel momento in cui il suo animo e il suo cuore stavano ricaricando le energie che gli sarebbero occorse per affrontare ciò che sarebbe accaduto una volta tornato a casa. «Sempre












Sono malvagia, lo so.
Adesso mi aspetto parecchi insulti per quello che ho combinato, ma spero di essermi fatta comunque perdonare con la scena finale. Perciò... siate clementi! XD
E ricordatevi che Astruc è molto, molto più sadico di me.
Un caloroso abbraccio a tutti voi che siete ancora qui a sostenermi con la vostra presenza. ❤️
Shainareth





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Capitolo 18
*** Capitolo diciassettesimo ***





CAPITOLO DICIASSETTESIMO




L’aveva sognata. La cosa avrebbe dovuto stupirlo, al risveglio, e invece Adrien la trovò una piacevole conseguenza di ciò che era accaduto la sera addietro. Aveva quasi ignorato la presenza di Ladybug, come se in quel momento lei fosse stata l’ultimo dei suoi pensieri, e si era invece precipitato da Marinette.
   Alla fine aveva scoperto che non erano la stessa persona e ne era rimasto turbato. Almeno fino a che non si era accertato che la sua amica e compagna di classe stesse bene. Almeno fino a che non l’aveva stretta fra le braccia, inebriandosi del suo profumo, crogiolandosi del suo tepore, perdendosi nei suoi occhi. Adesso lo aveva capito anche lui, gli altri avevano ragione. L’avevano sempre avuta. Amava Marinette e lo scopriva soltanto ora.
   Ne era felice. Si sentiva in pace con se stesso ed il mondo intero, soprattutto al pensiero che lei ricambiava i suoi sentimenti. Non aveva senso rimandare oltre, Adrien doveva dirle ciò che provava per stringere di nuovo fra le braccia la felicità.
   «Hai intenzione di marinare la scuola oppure hai deciso di alzarti?» La voce impertinente di Plagg lo distolse dalla dolcezza di quei pensieri e lui si volse a guardarlo, trovandolo pigramente acciambellato fra le coperte. «Stamattina mi sembri meno lucido del solito.»
   «Al contrario», rispose Adrien con calma. «Mi sento bene e sono sicuramente più lucido di te: oggi è sabato, niente scuola.»
   «E allora a cosa è dovuta quella faccia da ebete?» lo prese in giro il kwami, senza troppi complimenti. «Stai ancora sognando di sbaciucchiare Marinette?»
   «Ne hai ancora per molto?»
   «Sì, perché finora ti eri ostinato a negare l’evidenza.» Adrien si lasciò scappare un leggero sbuffo. «Hai intenzione di dirglielo?»
   «Il prima possibile», stabilì, voltandosi supino e prendendo a fissare il soffitto. Plagg fu orgoglioso della sua risolutezza, ma non parlò. «Devo solo trovare una scusa per vederla anche oggi.»
   «Non hai bisogno di scuse per mandarle un messaggio e chiederle un appuntamento», gli fece però notare. «Marinette non ti direbbe mai di no.»
   Forse aveva ragione lui, rifletté Adrien. Tuttavia temeva di aver fatto il passo più lungo della gamba, la sera prima, arrivando tacitamente a corteggiarla con quel bacio sulla mano. Non era stata una galanteria, quanto un gesto sentito e pieno d’amore. Era stato inequivocabile. E lei? Lei lo aveva accettato e aveva rincarato la dose con un abbraccio lungo e caloroso. Sarebbe stato tutto meraviglioso se in quel momento lui non avesse vestito i panni di Chat Noir. E se ora Marinette, si fosse invaghita del suo alter ego a scapito della sua vera identità?
   Adrien doveva scoprirlo e dichiararle il suo amore prima che qualcun altro – o addirittura lui stesso – finisse per portargliela via da sotto al naso.

Per la prima volta, dopo settimane, Marinette si svegliò con il sorriso sulle labbra. Dopo ciò che era successo la sera precedente, era stata una conseguenza naturale sognare ancora una volta che dietro la maschera di Chat Noir ci fosse Adrien. E che al bacio che lui le aveva dato sulla mano ne fossero seguiti altri, molto più intimi. Adesso quel genere di sogni non la sconvolgeva più, anzi. Avvertiva ancora quelle meravigliose e travolgenti sensazioni; il furioso batticuore, la tenerezza dei gesti di lui, il suo respiro sulla pelle che le aveva regalato brividi caldi, capaci di lasciarla piacevolmente stordita. Si era sentita sciogliere come burro fra le sue braccia e non vedeva l’ora di vivere ogni singolo attimo anche nella realtà.
   Sebbene in un primo momento avesse temuto che il giovane le si fosse fatto più vicino perché convinto che lei fosse Ladybug, adesso che le sue certezze erano crollate e che lui scindeva la sua figura da quella dell’eroina mascherata, Marinette non aveva più dubbi: Chat Noir, e quindi Adrien, era seriamente interessato a lei.
   Avrebbe dovuto parlargli, benché ancora non sapesse da che parte iniziare il discorso. Forse avrebbe dovuto dargli il tempo di far chiarezza con se stesso e con i propri sentimenti, di far propria l’idea che lei e Ladybug erano due persone differenti. Però… non sarebbe stato corretto. Lei sapeva che – molto probabilmente – Adrien era Chat Noir, pertanto sarebbe stato più leale, da parte sua, dirgli la verità.
   Eppure sarebbe rischioso avere una conferma da entrambe le parti. Se la cosa ci sfuggisse in qualche modo, anche solo attraverso un gesto affettuoso, Papillon potrebbe approfittarne.
   Marinette si voltò sul fianco e, nella penombra della stanza, posò lo sguardo su Tikki, che se ne stava rannicchiata fra le coperte, sonnecchiando beata. Era stata lei la prima a dirle che il tempo avrebbe sistemato ogni cosa e, in effetti, così sembrava che stesse accadendo. Sperò in cuor suo che nient’altro giungesse a complicare quella situazione già di per sé delicata, e che anzi lei e Adrien potessero chiarirsi al più presto.
   Doveva parlargli, sì. Ma solo quando lui fosse stato pronto ad affrontare l’argomento. Marinette aveva aspettato mesi che il suo amato si accorgesse di lei, perciò avrebbe aspettato ancora. Per Adrien. Per Chat Noir. Per amore di lui.

Gettò uno sguardo al display del cellulare lasciato sul tavolo, lì accanto alla colazione che stava sbocconcellando senza gustarla davvero. Nella sua mente continuavano a susseguirsi centinaia di parole e decine di frasi con cui avrebbe potuto iniziare il suo messaggio per Marinette. O forse sarebbe stato meglio chiamarla e parlarle a voce? Era una questione delicata e Adrien doveva decidere attentamente cosa fare. Certo, si disse ad un certo punto, sarebbe stato più facile concentrarsi se non ci fosse stata la presenza fissa di Nathalie, sulla soglia della porta, ad osservare ogni suo singolo movimento. Il giovane le era sinceramente affezionato e sapeva che anche lei gli voleva bene e che vegliava su di lui non soltanto per ordine di suo padre. Eppure Adrien non poteva non chiedersi se quella donna non avesse bisogno di una pausa, ogni tanto, o se fosse stakanovista fino a negarsi di respirare pur di non venir meno al proprio lavoro. Forse suo padre la pagava spaventosamente bene.
   Concentrato com’era in questi pensieri che nulla avevano a che fare con la sua Marinette, il ragazzo sobbalzò quando il cellulare prese a vibrare contro la superficie di legno, producendo un rumore cupo e profondo: un messaggio da parte di Nino, che lo invitava a trascorrere la mattina con lui e altri loro amici a casa di Max per provare un nuovo videogioco. Era senza subbio una proposta allettante e Adrien avrebbe accettato ben volentieri se non avesse avuto urgenza di parlare con Marinette. Digitò le prime parole per declinare quell’offerta, ma poi arrestò il movimento delle dita e si ricordò della lunga chiacchierata fatta al riguardo proprio con Nino. Prima di agire in modo avventato, forse era davvero il caso di parlarne di nuovo con lui. Decise di andare.
   «Nathalie», chiamò con voce pensierosa, volgendo la propria attenzione verso l’assistente di suo padre, sempre ritta in piedi accanto alla porta. «Stamattina non ho impegni, vero?»
   «I suoi amici le hanno chiesto di passare del tempo insieme a loro?» capì al volo lei, intuitiva e attenta ai dettagli più di chiunque altro, in quella casa. «Vado subito a chiederlo a suo padre», si propose, senza neanche aspettare un cenno d’assenso da parte del ragazzo.
   Quando lei uscì, Adrien sorrise e rispose al messaggio di Nino, aggiungendo poi una postilla. Ho bisogno di parlarti di Marinette. È importante. Solo in quel momento gli sovvenne che non era improbabile che la stessa Marinette sarebbe stata presente a quell’incontro e per un attimo fu assalito dal panico: era davvero pronto per incontrarla, per di più senza poterle dire cosa celava il suo cuore?
   Nino non tardò a rassicurarlo: Saremo solo noi ragazzi. Se ti va, puoi parlare anche con gli altri dei tuoi dubbi in proposito. Sai… per avere altri pareri oltre al mio. Dopotutto, non sono esattamente un guru dell’amore…
   Abbozzando un sorriso divertito, Adrien lo ringraziò di cuore: forse Nino non aveva molta più esperienza di lui, in amore, ma di sicuro era un ragazzo buono e onesto, capace di far funzionare il cervello e il cuore in modo invidiabile. Se così non fosse stato, di sicuro la sua relazione con Alya non sarebbe durata tanto a lungo.
   Soddisfatto, Adrien si affrettò a finire la colazione e quando Nathalie tornò da lui per comunicargli che suo padre gli aveva dato il permesso di uscire, salì a due a due le scale che portavano al piano di sopra e quando fu in camera sua si lasciò andare ad un’esclamazione liberatoria.

Fece scorrere lo sguardo sui suoi amici: Max, Kim, Nino, Ivan, Nathaniel e persino Wayhem, che era stato inaspettatamente contattato da uno di loro, segno che l’ultima volta si erano divertiti in sua compagnia. A quanto pareva, poi, un altro ragazzo si sarebbe unito al gruppo di lì a poco, così da arrivare al numero minimo necessario per organizzare un torneo come quello dell’ultima volta, e nell’attesa, erano tutti intenti a discutere delle ultime novità in fatto di videogiochi. Adrien aveva passato ore e ore davanti alle console, quando ancora non andava a scuola e non aveva amici, ma non per questo gli era mai venuta a noia. Ciò nonostante, in quel momento, benché si sforzasse di partecipare alla conversazione, si sentiva continuamente richiamato da tutt’altro pensiero.
   «Sei distratto, oggi.» La voce calma e rilassante di Ivan lo indusse a voltarsi nella sua direzione. Il giovane se ne stava paciosamente seduto accanto a lui, sovrastandolo con la sua mole massiccia e in apparenza minacciosa. In realtà, Adrien sapeva bene che Ivan era uno dei ragazzi più tranquilli e sensibili della classe, se non addirittura dell’intera scuola, a meno che non venisse provocato in qualche modo – e Kim ne sapeva qualcosa. «Tutto bene?»
   «Sì», rispose Adrien dopo qualche istante, lasciando intendere, con quella breve pausa, che forse non era del tutto vero. «È solo che…» Fece di nuovo scorrere lo sguardo sul gruppo, indeciso se parlare o meno, specie ora che sembrava aver attirato l’attenzione di tutti. Nino gli aveva consigliato di confrontarsi anche con gli altri e forse sarebbe stato davvero importante stare a sentire ciò che loro avevano da dirgli riguardo all’intera faccenda – specie perché metà dei suoi amici aveva già una relazione.
   Si portò una mano dietro alla nuca, non sapendo se fosse il caso di monopolizzare quell’incontro sulle proprie beghe amorose. «Puoi parlare liberamente, con noi», lo incoraggiò Kim. «Ciò che viene detto tra amici, rimane tra amici. Non uscirà una sola parola da questa stanza.»
   «Non ti fidi di noi?» intervenne Nathaniel, che in verità non aveva mai avuto davvero un rapporto troppo stretto con gli altri ragazzi, ma di certo non li avrebbe mai traditi – e perché mai avrebbe dovuto farlo, dopotutto?
   Adrien sorrise, grato per quella dimostrazione di affetto, e schiuse la bocca per parlare, sia pur con fare incerto. «Si tratta di…» Prese un respiro profondo. «Marinette», soffiò infine, lasciando tutti piacevolmente sorpresi per quella confessione. Confessione che tuttavia fu interrotta dal suono del campanello ad annunciare che infine anche l’ultimo membro del gruppo era arrivato. Nella distrazione generale, Nino si avvicinò al suo migliore amico e, strizzandogli l’occhio, gli diede il gomito. «Quindi è una cosa seria?»
   Pur imbarazzato, l’altro annuì e si umettò le labbra, preparandosi psicologicamente a vuotare il sacco con tutti. Quando però alla sua vista comparve l’ultimo arrivato, qualcosa in lui si bloccò: Luka. A quanto pareva era stato invitato lì da Ivan – dopotutto suonavano nella stessa band – e nessuno aveva avuto nulla in contrario. Adrien lo osservò come se lo vedesse allora per la prima volta: il fratello di Juleka aveva due anni più di loro, era alto e piacente, con un look decisamente accattivante per il sesso femminile. Aveva, inoltre, dei modi di fare molto affabili ed un carattere mite e gentile per natura. Soprattutto, era uscito con Marinette. Quest’ultimo pensiero indusse Adrien a portarsi una mano all’altezza del cuore e a massaggiarsi il petto con fare quasi distratto. Era gelosia, quella? No, figurarsi. Non avrebbe mai potuto essere davvero geloso di Luka, perché era un ragazzo amabile e con lui era sempre stato corretto. Un tipo in gamba, insomma. Ecco perché Marinette aveva accettato di uscire con lui. Che poi, a ben guardare, forse era stata lei ad invitarlo alla pista di pattinaggio, quando lo stesso Adrien aveva deciso di andarci con Kagami – ah, già, Kagami. Col senno di poi, si era reso conto di non essere stato molto carino, a piantarla in asso per correre dietro a Marinette. Due volte. Già all’epoca avrebbe dovuto capire da che parte volgesse il proprio cuore, e invece Adrien si era lasciato sopraffare dall’ingenuità e dalla sua enorme ammirazione per Ladybug. A parte questo, seriamente, che tipo di rapporto avevano, Luka e Marinette? Erano solo buoni amici o c’era qualcos’altro, fra loro? Sì che, se lei aveva pianto fra le braccia di Chat Noir perché era stato Adrien a spezzarle inconsapevolmente il cuore, forse… Cielo, e quanto doveva esserci rimasta male quando lui le aveva detto che gli piaceva Kagami?! Era per questo che poi aveva ripiegato su Luka?! Era dunque tutta colpa sua, che l’aveva spinta verso un altro ragazzo e…?!
   «…così, mentre ti aspettavamo, Adrien ci stava per parlare di qualcosa che lo turba», stava dicendo Ivan, introducendo il giovane nel loro discorso.
   Adrien si riscosse da quei tetri e confusi pensieri, e sentì il panico cominciare ad impadronirsi di lui. «S-Sì, ma…»
   «Avevi fatto il nome di Marinette, mi pare», lo stuzzicò Kim, curioso come una scimmia. Se davvero quello scemo si era infine accorto di come stavano le cose fra loro, bisognava assolutamente festeggiare.
   Luka inarcò le sopracciglia scure, scrutando il biondino con una certa sorpresa, ma non parlò. Bastò quello sguardo per far ammutolire l’altro, che abbassò il proprio e non seppe davvero come continuare il discorso. Non poteva parlarne davanti a lui. Insomma, Nino e Nathaniel avevano superato la loro cotta non corrisposta per Marinette già da tempo, ma Luka? Con lui Marinette ci era uscita, per la miseria, e… e…
   «Vi siete messi insieme, finalmente?» domandò con candore Wayhem, che certo non poteva essere a conoscenza dei turbamenti del proprio idolo. Questi trasalì e arrossì, scuotendo il capo troppo frettolosamente per darla bere agli altri.
   «Avete litigato?» volle sapere Max, che in quel genere di cose era meno perspicace degli altri.
   «Non potrei mai litigare con lei!» si difese subito Adrien, con un impeto tale che fece sorridere i più. «È solo che…» Tentennò ancora, occhieggiando in direzione di Luka, che infine comprese e gli fece dono di un sorriso comprensivo. «Se ti stai preoccupando per me, sta’ tranquillo: Marinette mi ha dato un inequivocabile due di picche, quella volta che uscimmo tutti e quattro insieme», si curò di fargli sapere in tono pacato, mostrando senza troppi problemi di essersi ormai messo il cuore in pace.
   Vide Adrien sgranare gli occhi e spalancare la bocca con fare incredulo. «Sul serio…?»
   Quasi ridacchiò e scrollò le spalle. «Temo tu sia stato l’unico a non esserti accorto di come stavano davvero le cose, quel giorno.» E notando ancora la sua confusione nello sguardo, aggiunse: «La ragazza che stava con te… credo che avesse capito tutto prima di chiunque altro», gli rivelò, dal momento che in effetti Adrien non si era reso conto di nulla. «Sembrava quasi che fosse Marinette, il motivo per cui tu fossi lì», continuò Luka, senza però dare segno di essersi risentito in alcun modo per la faccenda.
   Calò il silenzio. Poi Kim si schiarì la voce e borbottò: «Non so di quale uscita voi stiate parlando, ma questo fa il paio con la faccenda dei pegni d’amore.»
   «N-Non sono pegni d’amore…» farfugliò Adrien, troppo sconvolto dalle parole sincere di Luka per mostrare l’imbarazzo che si sarebbe sicuramente impadronito di lui, se solo fosse stato più lucido.
   «Ah-ah», lo prese in giro l’altro. «E l’abbraccio che vi siete scambiati al parco era pieno d’odio, sicuro.»
   A quel punto il giovane affondò il viso nel palmo della mano, cominciando ad essere assalito davvero dalla vergogna. «Era… un’emergenza…»
   «Peccato non sia capitata a me», mormorò distrattamente Luka, tra il serio ed il faceto.
   «A proposito, perché poi Marinette ha smentito una vostra relazione?» s’incuriosì Nathaniel, che ormai affrontava l’argomento con leggerezza grazie alla pace che era riuscito a trovare insieme ad un’altra persona.
   «Perché non stiamo insieme», rispose con fare quasi meccanico Adrien, ormai spiacevolmente avvezzo a pronunciare quella frase.
   «Ammettilo, ti piacerebbe che le cose stessero in modo diverso», lo punzecchiò ancora Kim, che aveva compreso da un pezzo ogni cosa. L’altro stirò le labbra in un’espressione indefinita ed evitò lo sguardo di tutti, prima di prendere l’ennesimo respiro e annuire con vigore. Quell’ammissione scatenò una serie di esclamazioni di vario genere, tutte più o meno entusiaste, nonché un lungo elenco di insulti in direzione dello stesso Adrien, troppo imbranato per accorgersi di quanto Marinette morisse per lui ormai da tantissimo tempo.
   «Devi dirglielo, maledizione!»
   «Lo so, ho intenzione di farlo… ma…»
   «Niente ma! Non c’è niente che vi impedisca di stare insieme, a parte la vostra dannata timidezza!»
   «Non sono timido come sembra…»
   «Allora sbrigati a buttarg…»
   «Kim!» lo mise a tacere Ivan, molto più incline di lui a capire lo stato d’animo del loro compagno di classe.
   Quella battuta goliardica, tuttavia, se ne trascinò dietro altre e nel giro di poco il povero Adrien si ritrovò rosso fino alla punta delle orecchie, accaldato e bisognoso di una boccata d’aria fresca.
   Riuscì ad ottenerla soltanto dopo un po’, quando nel gruppo tornò la calma e poterono dedicarsi finalmente ai videogiochi. Forse perché si erano resi conto dell’esigenza del giovane di rifletterci su con calma, gli altri ragazzi non tornarono più sull’argomento se non nel momento dei saluti, quando Kim gli diede uno scherzoso pugno sulla spalla e gli strizzò l’occhio con fare complice. «Andrà tutto bene.»
   L’altro lo sperava di cuore. Avrebbe voluto parlarne ancora con Nino, questa volta in privato, ma una telefonata costrinse il suo migliore amico a rientrare subito a casa. Fu così che, anziché da lui, sulla strada del ritorno Adrien si ritrovò affiancato dall’ultima persona che si sarebbe mai aspettato: Luka. Si avviarono in assoluto silenzio, uno con lo sguardo basso, perso fra i propri pensieri e le proprie inutili paturnie, e l’altro con le mani in tasca e la testa alta. Dopo diversi metri, preso coraggio, Adrien occhieggiò in direzione del ragazzo più grande e decise di parlare. «Sul serio lei…?»
   Luka lo fissò con vago stupore. «Credevo fosse chiaro anche a te», ammise in tono neutro. «Quando siamo usciti dalla pista di pattinaggio, mentre tu salutavi la tua amica, ho chiesto a Marinette di tornare a casa insieme.»
   Il cuore di Adrien tremò, mentre nella sua mente cominciava a sgomitare l’allarmante immagine di quei due che si salutavano sotto casa di lei con un bacio appassionato. Il giovane emise un verso sgraziato, si riebbe, si schiarì la gola e domandò: «E… che ti ha detto?»
   «Mi prendi in giro?» volle sapere Luka, arrestando il passo. Era sinceramente confuso da quella domanda, poiché ricordava bene di come Marinette fosse corsa dietro all’auto di Adrien e di come poi loro due si fossero fermati a parlare insieme. «Non mi ha neanche sentito», rispose poi, rassegnato.
   «Ah, no?» si meravigliò l’altro, bloccandosi a sua volta, troppo coinvolto emotivamente per collegare a dovere le sinapsi.
   «Era troppo presa a guardare te.»
   «Oh.»
   «Le ho detto di parlarti.»
   «Non lo ha fatto…» Notò lo sguardo confuso di Luka e la memoria gli tornò. «No, aspetta! In effetti sì… Mi ha raggiunto e poi mi ha invitato di nuovo a pattinare.»
   «E tu che le hai detto?»
   «Le ho chiesto se voleva andarci da sola con me», rispose Adrien, quasi in un mormorio confuso. «Però mi ha detto che voleva tornarci insieme a voi e ad altri nostri amici.» Scosse il capo, come a voler dire che la risposta di Marinette non aveva avuto molto senso. «Se è innamorata di me, perché coinvolgere anche voi?»
   Luka lo osservò in silenzio per qualche istante, indeciso se ripetergli ciò che già gli altri ragazzi gli avevano detto quella mattina, e cioè che era davvero uno sciocco. In lui per fortuna prevalse il buon senso: Juleka gli aveva raccontato di Adrien e della vita da recluso che aveva condotto fino ad una manicata di mesi addietro. Non aveva esperienza nei rapporti in generale, pertanto non era difficile mettersi nei suoi panni, né scorgere l’innocenza nel profondo del suo sguardo. Accennando un sorriso, Luka provò quasi tenerezza per lui. «Credo si tratti solo di timidezza», spiegò con calma. «Parlale a cuore aperto, vedrai che ne sarà felice.»
   Adrien stese le labbra verso l’alto in un’espressione rilassata, finalmente. «Grazie.» L’altro scosse le spalle come a voler minimizzare la questione, ma non riuscì ad aggiungere nulla poiché un’auto di grossa cilindrata accostò velocemente a bordo strada, attirando la loro attenzione. La portiera si spalancò e ne uscì una ragazza che corse nella loro direzione e gettò le braccia al collo di Adrien. «Adrien, caro!»
   Spiazzato, lui arretrò di un passo, rischiando di cadere per l’impeto dell’assalto appena ricevuto. «Chloé…?» balbettò, del tutto impreparato a quell’incontro.
   «Non sai quanta voglia avevo di vederti», cinguettò quella, fissandolo da sottinsù, la presa ancora salda attorno alla sua nuca. «Papà mi ha appena detto che ieri ha firmato l’autorizzazione per un servizio fotografico a Parc des Buttes-Chaumont per domenica prossima. La richiesta è di tuo padre, quindi immagino che tu sarai lì, vero?»
   «Beh… sì», rispose Adrien, afferrandola per le braccia per scollarsela di dosso, sia pure con fare gentile. Sbirciò verso Luka, che li scrutava con fare curioso, e sperò che non si stesse facendo un’idea del tutto sbagliata della situazione.
   «Mamma invece mi ha detto che sarà un servizio fotografico sulla nuova collezione giovanile di tuo padre e ha aggiunto che con te ci sarà anche una modella, è vero?» continuava frattanto Chloé, indomita nella propria curiosità. E quando vide l’amico annuire, trillò di gioia. «In tal caso posso farti da partner senza problemi», aggiunse poi, cercando di darsi un contegno e portandosi una mano al petto con fare lezioso. «Sai, ho un’invidiabile esperienza davanti all’obiettivo.»
   «Ehm…» balbettò Adrien, non sapendo da che parte iniziare a dirle la verità. Optò per quella più indolore: addossare la colpa a qualcun altro. «Mio padre ha già scelto una modella, in accordo con il fotografo, e non credo che cambierà idea.» Insomma, alla fine non era neanche una bugia, anzi.
   Chloé si mise subito in allarme. «Chi?!»
   L’altro si schiarì la gola e si portò una mano dietro la nuca, cercando le parole più adatte per indorarle ancora la pillola, ma non ci riuscì. Si arrese perciò a sospirare un solo nome: «Marinette.»
   Una serie di strepiti, degni di una creatura fantastica uscita da un film su nani, elfi e mezz’uomini, iniziò a levarsi tutt’intorno a loro, perforando i timpani dei passanti e dei due giovani in particolar modo. Chloé pestò i piedi a terra, si sbracciò e si smascellò, manifestando in quel modo tutto il proprio dissenso. Quand’ebbe finito, tutta trafelata, fece una pausa per recuperare il fiato perso, e fu allora che una frase la spiazzò: «Saresti carina, se la smettessi di fare tutte quelle smorfie.»
   Due paia d’occhi si fissarono su Luka, rimasto religiosamente in silenzio fino a quel momento. Si strinse nelle spalle, come a voler giustificare la propria intromissione. «Se ormai è tutto deciso, non credo tu possa farci molto. Perciò… perché arrabbiarsi?»
   La ragazza si portò le mani ai fianchi e lo fissò con fare minaccioso attraverso le palpebre socchiuse. «Tu saresti…?»
   «Luka, il fratello di Juleka», lo presentò allora Adrien, non sapendo esattamente cosa dire o fare per placare gli animi. Che poi, a onor del vero, il giovane musicista sembrava il ritratto della quiete.
   «Ah, sì…» disse Chloé, come se fosse una cosa di poco conto. «Credo che qualcuno mi abbia parlato di te. Sai, per via di quella bagnarola su cui vivete.»
   «Chloé!» la riprese Adrien in tono aspro. «Dovresti scusarti!»
   «No, non importa», commentò Luka, senza curarsene per davvero. «Ma portatela con voi, la prossima volta che proviamo col gruppo», propose, prendendo gli altri due in contropiede.  «Vedendo la nave con i propri occhi, magari cambierà idea.»
   Orbite sgranate e labbra socchiuse, la ragazza lo fissò come se fosse stato qualcosa di spaventoso e sorprendente al contempo: aveva appena ricevuto un invito da parte di quel tipo strambo?! A ben pensarci, tutta la famiglia Couffaine doveva esserlo, concluse fra sé, quando si riebbe. Si umettò le labbra e, braccia conserte, rispose con voce impostata: «Non metterò mai piede in quel posto.»
   «Fammi sapere, se cambi idea», ribatté Luka, serafico come sempre. La vide occhieggiare nella sua direzione, come fosse indecisa: e, in fin dei conti, non le capitava spesso di essere inclusa in un gruppo di amici – benché la situazione stesse in parte cambiando da quando Ladybug aveva deciso di fidarsi di lei e di consegnarle il miraculous dell’Ape. Chloé si interrogò se non fosse il caso di seguire ancora una volta i consigli della sua beniamina e accettare la gentilezza di quel giovane…
   «Torno a casa», disse dopo un po’, troppo orgogliosa per far trapelare ulteriormente i propri dubbi. «Ci vediamo… com’è che ti chiami? Beh, sì, non importa», aggiunse poi, tanto per non smentirsi, mentre agitava una mano in aria come se si trattasse di una cosa di poca importanza. «A lunedì, Adrien caro», concluse con voce melliflua all’indirizzo dell’amico d’infanzia.
   Detto ciò, fece marcia indietro e salì in auto sotto al loro sguardo. «Sei riuscito a zittirla», constatò con ammirazione Adrien, mentre la vettura iniziava ad allontanarsi da lì.
   «Magari ha solo bisogno di qualcuno che le presti attenzione.»
   «Tipo un ragazzo?»
   «Lo hai detto tu, non io», precisò Luka, con aria divertita, tanto per lavarsene le mani. «Ad ogni modo, non farti problemi di alcun genere e parla con Marinette», gli consigliò ancora una volta, tornando al discorso che Chloé aveva interrotto senza neanche poterlo immaginare – e per fortuna.
   Adrien sorrise e annuì. «Grazie per l’incoraggiamento», disse di cuore. «Mi sdebiterò portando con me Chloé, la prossima volta che suoneremo insieme», scherzò per evitare che l’imbarazzo calasse di nuovo fra loro come all’inizio.
   «Mh», borbottò Luka, riprendendo a camminare con cipiglio indecifrabile in volto. «Mi toccherà alzare il volume dell’amplificatore della chitarra, allora.»












Come credo di aver scritto all'inizio della storia, Luka non era previsto. Giuro. Non lo volevo per due motivi: primo, perché quando iniziai a scrivere questa long aveva fatto la sua comparsa relativamente da poco e di lui sapevo troppo poco per poterlo inquadrare a dovere (senza contare che l'episodio in cui spunta neanche mi aveva fatta impazzire, soprattutto per i disegni e l'animazione); secondo, perché non volevo creare le classiche dinamiche da soap opera che tanto odio. Spero che Astruc si mantenga sullo stesso livello che ha mostrato fino ad ora, perché le situazioni da shoujo manga le digerisco davvero, davvero male (ammesso che io riesca a farlo).
Ad ogni modo, se ho cambiato idea circa la presenza del suo personaggio (di Luka, intendo, non di Astruc), è semplicemente perché era propedeutica alla storia e allo sviluppo di Adrien. Proprio come nella serie. E, lo confesso, Luka mi è piaciuto molto nel finale di Frozer, un vero signore.
Ma non aspettatevi Kagami. Le ho già dato un ruolo inoffensivo in Limiti. Un po' per uno, basta così. Soprattutto perché, almeno per quel che mi riguarda e benché in generale mi sia indifferente, lei non è che sprizzi simpatia da tutti i pori, eh.
E comunque questa è una storia diversa, e a questo punto non avrebbe davvero avuto senso inserire anche lei.
C'è Chloé, però. Ecco, con lei non avevo ancora finito. Approfondirò la cosa nel prossimo capitolo. Poi ci sarà quello finale. E infine l'epilogo.
Siamo alla fine.
E con questa piccola constatazione, vi saluto e vi do appuntamento alla prossima settimana. Grazie a tutti per il sostegno!
Shainareth





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Capitolo 19
*** Capitolo diciottesimo ***





CAPITOLO DICIOTTESIMO




«Ciao, ciao, farfallina», cantilenò Ladybug, mentre seguiva con lo sguardo l’akuma che, ormai purificata, si librava in aria. Si volse indietro e vide Chat Noir accovacciato sui talloni, che tranquillizzava un ragazzino poco più giovane di loro, ultima vittima di Papillon che aveva rovinato un piacevole ed ozioso pomeriggio domenicale a mezza Parigi. Il miraculous della Coccinella emise un suono, avvertendo la proprietaria che di lì a poco la sua trasformazione avrebbe avuto termine. Ladybug fece qualche passo verso i due e si chinò in avanti, le mani sulle ginocchia ed un sorriso tutto per il ragazzino. «È tutto sistemato, ora, non dovrai più preoccuparti di nulla.»
   «Non ricordo cos’è successo…» balbettò lui, ancora visibilmente disorientato. Stava passeggiando per gli Champs-Élysées quando aveva avuto una sorta di black out mentale, e adesso che era tornato in sé, si ritrovava nientemeno che al Cimetière du Père Lachaise. Si strinse nelle spalle, tremando per il nervosismo, ma Chat Noir gliele prese con gentilezza e lo fissò dritto negli occhi con fare allegro. «Non ha più importanza, ormai», cominciò con voce sbarazzina. «Ma se non vuoi farci fare gli straordinari, scaccia via i brutti pensieri e torna subito a casa. Hai bisogno di un passaggio sulla mia possente schiena?»
   Udì Ladybug ridacchiare divertita e si volse a fissarla da sotto in su ostentando uno sguardo offeso. «Lo lascio in buone mani», si difese subito la ragazza, non nascondendo affatto il divertimento nell’espressione del viso. «Io devo scappare, purtroppo», aggiunse poi, tornando dritta con la schiena e facendo il primo passo per allontanarsi da lì. «Ci vediam…!» S’interruppe quando la mano di Chat Noir l’afferrò saldamente per un braccio. Tremò e quasi non ebbe il coraggio di voltarsi indietro.
   «Devo parlarti», lo sentì dire con voce seria. «È importante.»
   Erano passati quasi tre giorni da quando lui le aveva regalato il crisantemo. Due da quando erano stati soli in camera di lei. Non potevano rimandare ancora quel chiarimento, Ladybug ne era consapevole. «Ci vediamo stasera», disse soltanto, cercando di mantenere un tono neutro, senza tuttavia guardarlo. «Stesso posto, stessa ora.»
   «Va bene», rispose lui, allentando la presa e lasciando che la partner scivolasse via dal suo sguardo per allontanarsi da lì prima che il miraculous la tradisse e svelasse la sua vera identità. Ormai Adrien sapeva che sotto quella maschera non poteva esserci Marinette. Lo aveva sperato con tutto se stesso, ma ogni sua illusione si era sgretolata quando aveva visto entrambe le ragazze del suo cuore nello stesso posto e nello stesso momento. Andava bene così. Se n’era fatto una ragione, o forse ancora no, ma di una cosa era certo: aveva fatto la sua scelta. Non soltanto usando la testa, quanto soprattutto il cuore.
   Sospirò e tornò a rivolgere la propria attenzione allo spaurito ragazzino che era con lui. Gli sorrise con fare incoraggiante. «Direi che è meglio andare: tra poco scenderà la sera e non credo sia piacevole rimanere chiusi dentro ad un cimitero, benché sia pieno di tombe di personaggi illustri. Tu che ne dici, mh?»
   «Che me la sto facendo sotto», ammise senza remore l’altro, facendolo involontariamente ridere. L’eroe allora non perse altro tempo – anche per via del suono emesso dal proprio miraculous – e lo prese gentilmente sulle spalle. «Tieniti forte e dimmi dove abiti: ti porto a casa, lì sarai al sicuro.»

Emmanuel, Marie, Gabriel, Anne Genevieve, Denis, Marcel, Étienne, Benoit-Joseph, Maurice e Jean-Marie: suonavano per l’ultima volta, quella domenica, scandendo le nove ed augurando così la buonanotte a Parigi per conto della loro Notre-Dame. Ladybug rimase ad osservare la cattedrale dal punto in cui si trovava, sul quel terrazzo che era già stato testimone di ben altri due momenti importanti per lei e Chat Noir. Avrebbe voluto parlarne a lungo con Tikki, quella sera, ma le parole non avevano voluto saperne di venir fuori e ora che era trasformata non le era possibile rivolgersi alla piccola amica. Tutto ciò che si erano dette, prima di uscire di casa, era rimasto sospeso a metà.
   «Non preoccuparti troppo, non credo che Chat Noir abbia scoperto chi si cela sotto la maschera che indossi.»
   Marinette ne era consapevole, lo aveva capito quando il giovane si era presentato da lei, due sere prima, solo ed esclusivamente per sapere come stesse, come se non lo avesse visto con i propri occhi al termine del combattimento con il clown sui trampoli, schiavo di Papillon. Chat Noir non la collegava più a Ladybug, poteva davvero tirare il fiato al riguardo.
   E allora perché mi sento così frustrata? Come se fosse delusa. Come se avesse voluto che lui conoscesse la verità. Razionalmente Marinette sapeva che era meglio così: in caso contrario, sarebbe stato pericoloso per loro e per le persone a cui volevano bene. Eppure dentro di lei sentiva il bisogno di dirgli ogni cosa. Anzitutto che lo amava.
   Quel pensiero la indusse non solo a sedersi, ma anche a sollevare le ginocchia al petto e a nascondervi contro il viso: non aveva ancora la certezza che Chat Noir era in realtà Adrien, ciò nonostante ormai non riusciva più a soffocare i propri sentimenti per lui. Lo aveva capito quando lo aveva abbracciato l’ultima volta, quando si era resa conto di aver bisogno di lui, che non voleva lasciarlo andare via. Il calore del suo corpo, le sue braccia forti che la stringevano con fare protettivo, la sua tenerezza, il suo respiro fra i capelli, il tepore delle sue labbra sulla mano… tutto, di lui, aveva contribuito a farla sciogliere come burro, a farle dimenticare ogni cosa, persino l’importanza di accertarsi che sotto la maschera che indossava ci fosse Adrien. Questo perché Marinette aveva finalmente compreso quanto fosse immenso e profondo l’amore che lui le portava nel cuore, quanto tenesse a lei a prescindere da tutto il resto. La cosa la turbava? No. Non più. Tuttavia, si era imposta di non incentivare oltre quelle manifestazioni d’affetto, o ne avrebbero sofferto molto di più: se pure si fosse lasciata andare a lui, come Ladybug o come Marinette, non avrebbero potuto essere felici finché lui avesse indossato quella maschera. Da un punto di vista logico era semplice. Il vero problema sorgeva quando a spazzare via il raziocinio era il cuore.
   Con le campane di Notre-Dame ormai sopite, non seppe dire quanto tempo passò prima che Chat Noir la raggiungesse. Né seppe mai che, prima di manifestarsi a lei, il giovane era rimasto in disparte, lontano, a fissarla con sentimenti contrastanti e indefiniti a scuotergli l’animo, come fosse stato un fuscello in mezzo ad una tempesta di fuoco. Amava ancora Ladybug. Come poteva non farlo? Gli veniva spontaneo come respirare. Ed era proprio con quella stessa facilità che aveva finito per capitolare anche davanti a Marinette e alla sua dolcezza, ai suoi meravigliosi occhi pieni d’amore per lui. Adrien s’interrogò per un’ultima volta sul motivo per cui aveva compiuto quella scelta: era forse a causa del suo smodato bisogno di sentirsi amato e accettato da qualcuno, di non dover più rincorrere un’utopia quando accanto a lui aveva già tutto ciò di cui aveva bisogno? Possibile che fosse così meschino? Che l’amore fosse fatto anche di quel genere di convenienze?
   Alla mente gli tornarono gli occhi pieni di lacrime di Marinette, i suoi singhiozzi, i suoi abbracci, il suo viso zuppo di pioggia e roseo sulle guance bollenti, le sue labbra schiuse e morbide che lui tanto aveva anelato baciare in almeno due occasioni diverse. No, non era un sentimento venale, quello che lo animava fin nelle viscere. Erano state piuttosto l’amicizia, la tenerezza, la passione a spingerlo verso Marinette.
   Tenerezza. Eccola lì, la differenza fra ciò che provava per lei e Ladybug. In cuor suo, Adrien si rese conto che era parte fondamentale di un rapporto d’amore, proprio come l’amicizia e la passione. Sorrise, rianimato dal coraggio infusogli da quella certezza personale, ed uscì dal proprio nascondiglio, deciso a mostrarsi alla luce della luna.
   Facendosi coraggio, Ladybug si alzò in piedi e si volse nella sua direzione. Rimasero a fissarsi negli occhi per alcuni, interminabili attimi in perfetto silenzio. Poi, Chat Noir parlò. «Volevo solo chiederti scusa.»
   «Per… cosa?»
   «Per averti messa stupidamente in allarme, l’altra sera.» E, per essere più chiaro, aggiunse: «Non so se hai collegato il fiore che ti ho regalato ad un significato particolare, ma…»
   «Verità», lo anticipò la ragazza, rilassandosi in parte per via delle parole di lui.
   Lo vide annuire. «Credevo di aver capito», mormorò, mentre il suo sguardo scivolava oltre le spalle di lei, lì dov’era il balcone di Marinette.
   Avvertendo il cuore sussultare, Ladybug arrossì ma cercò di dominare le emozioni. Prese fiato e decise di osare. «Ne eri felice?»
   «Molto», ammise timidamente il giovane, capendo di essere stato scoperto. Si mosse verso il parapetto del terrazzo, che tempo prima aveva ornato di candele solo per lei. Invece le aveva mostrate anzitutto a Marinette, per risollevarle il morale, per starle vicino e per star meglio a sua volta. Quasi fosse stata lei la vera destinataria. Quasi quell’episodio fosse stato un preludio di ciò che davvero sarebbe successo di lì ad una manciata di mesi. Sorridendo a quel destino che lo aveva legato alla sua compagna di classe forse sin dalla prima volta che l’aveva incontrata, Chat Noir mise le mani sulla ringhiera e vi appoggiò il peso del corpo, mentre i suoi occhi si perdevano nello splendore notturno della Ville Lumière. «Volevo con tutte le mie forze che le cose stessero in quel modo», iniziò a spiegare, regalando inconsapevolmente i primi brividi alla sua partner. «Sarebbe stato tutto più semplice.» Catturando il labbro inferiore fra i denti, lei avvertì l’urgenza di chiedergliene la ragione, ma si impose di non imbrogliare. Attese. E fu accontentata. «Non so dire quando sia successo, né come. Posso solo immaginare cosa abbia scatenato in me i primi sospetti riguardo a… No, non alla possibilità che tu fossi lei. Quanto al fatto che…» Chat Noir esitò, chinando il capo fra le spalle, visibilmente in difficoltà per quanto stava per confessarle. Prese fiato e si voltò di nuovo a guardarla negli occhi. «Mi sono innamorato di lei.»
   La ragazza avvertì le gambe tremare e il fiato venirle meno, mentre nel suo petto iniziava a divampare la fiamma di un sentimento dirompente e meravigliosamente devastante. Schiuse le labbra, ma da esse non uscì alcun suono.
   «Ho ritenuto fosse giusto dirtelo», riprese dopo qualche istante Chat Noir, sentendosi ancora teso come una corda di violino. «Non ti infastidirò più. Sai… con tutti quei fiori… e quelle parole d’amore.»
   «Non…. Non mi hai mai dato fastidio», volle fargli sapere Ladybug, a onor del vero. Lui si lasciò scappare un sorriso e lei ricambiò quell’espressione di sollievo, benché avvertisse nitidamente il cuore esplodere. «Ma… se lei può darti ciò che cerchi… non posso che esserne felice.»
   Il giovane inspirò a pieni polmoni l’aria della notte e annuì con convinzione. «Mi conosce. Sul serio», cominciò a spiegare, rianimato dalla comprensione della compagna. «Non sa chi ci sia sotto questa mia maschera, ma conosce bene entrambi i miei volti. E credo… di piacerle a prescindere.» Era un’ammissione? Fu questo che si domandò Ladybug a quel punto, appigliandosi alla speranza che l’altro stesse parlando di Marinette e dell’affetto che la legava sia a Chat Noir che al suo Adrien. «Non le dirò chi sono, non posso permettermi una simile imprudenza. Anzitutto per il suo bene», ci tenne a precisare lui, convinto di ciò che diceva. «Ma le farò sapere ciò che provo.»
   Cercando di aggrapparsi saldamente alla propria lucidità mentale, la ragazza azzardò ancora. «E non… credi che sia altrettanto imprudente dichiararti a lei?»
   «Lo sarebbe se lo facessi nei panni di Chat Noir.»
   Si sarebbe dunque dichiarato a lei come Adrien? Ancora una volta Marinette sentì il cuore scoppiare di gioia, al punto da farle male. Trattenne a stento le lacrime e fece violenza su se stessa per rimanere ferma dov’era.
   «Ho intenzione di dirglielo nella mia forma civile», continuò l’altro, del tutto inconsapevole dell’incendio divampato dentro di lei a causa sua. Adesso era molto più sicuro di sé e di ciò che provava, Ladybug poteva leggerglielo in volto e se ne riempiva l’anima. «È più giusto così.»
   Tacquero per alcuni istanti. Poi, Chat Noir tornò verso di lei e le tese una mano. «Spero di cuore che anche tu possa trovare la felicità con la persona che ami.»
   «Credo…» iniziò la ragazza con voce provata e gli occhi lucidi che lo divoravano con gioia, «di averlo appena fatto.» Lesse una vaga confusione nello sguardo dell’amico e scosse il capo, come a voler scacciare via ciò che aveva appena detto. Ignorò la sua mano e si protese per abbracciarlo, imponendosi di non lasciarsi trasportare troppo dai propri sentimenti per lui.
   Pur stupito da quella manifestazione d’affetto tutt’altro che sgradita, Chat Noir non tardò a ricambiare il gesto, stringendola a sua volta. «Avrai sempre un posto speciale nel mio cuore.»

«È un disastro!»
   «È solo un brufolo.»
   «E non poteva scegliere momento peggiore per spuntare!»
   Alya ruotò gli occhi allo spicchio di cielo che poteva scorgersi dal cortile all’aperto della scuola, mentre insieme si recavano verso la zona degli armadietti. «Il servizio fotografico è domenica e oggi è ancora lunedì. Avrà tutto il tempo per sparire.» E notando la disperazione dipinta sul volto dell’amica, si costrinse a farle notare un altro particolare: «È sulla fronte. Sotto la frangia. Non si nota.»
   «E se durante il servizio fotografico mi cambieranno anche pettinatura?»
   «Esiste il trucco.»
   «Lo so, ma… se poi peggiorasse la situazione e il giorno dopo mi ritrovassi con un bubbone putrescente pieno di pus?!»
   «Grazie per l’immagine, mi sta tornando su la colazione.»
   «Oh, Alya!» esclamò Marinette, sollevando le braccia al cielo per manifestare tutta la propria sofferenza. Non si trattava di essere vanesi, quanto di non voler in alcun modo apparire brutta accanto al proprio innamorato. Poteva davvero chiamarlo così, ora? Forse sì. Forse no. Dopo l’incontro con Chat Noir della sera addietro, non aveva ancora visto Adrien e pertanto non sapeva cosa aspettarsi, quel giorno. Sarebbe andato a parlarle? E se fosse scappato dopo aver visto l’enorme brufolo che le era spuntato nottetempo proprio in mezzo alla fronte, quasi fosse stato un tilaka che tuttavia non sembrava affatto volerla proteggere dalla sfortuna? «Tu non capisci, oggi avrebbe dovuto essere un giorno epocale!»
   Alya rise per la solita enfasi teatrale usata dalla sua migliore amica ogni qual volta era agitata per qualcosa. «Vuoi darti una calmata?» la prese bonariamente in giro. «E poi, epocale per quale motivo?» domandò, entrando nella stanza.
   Si bloccarono e ammutolirono quando videro Chloé davanti al proprio armadietto, che lei, notandole, richiuse con uno scatto secco, gli occhi socchiusi in due fessure sinistre e la linea della bocca incurvata verso il basso. «Tu!» esordì in tono minaccioso, avanzando verso di loro e puntando il dito contro il petto di Marinette con fare accusatorio. «Come osi presentarti qui?!»
   L’altra esitò, cercando di capirci qualcosa. «Ehm… perché c’è scuola?» azzardò. Cos’aveva fatto, adesso? Chloé era rimasta buona persino dopo la foto divulgata sui social, quella che ritraeva lei e Adrien abbracciati, perciò cosa mai poteva essere accaduto per indispettirla così tanto?
   «Fai poco la spiritosa!» ribatté, seriamente contrariata. «Adrien mi ha detto del servizio fotografico!»
   «Oh», comprese allora Marinette, credendo che non fosse poi la fine del mondo. «Non è stata una mia decisione. Me lo hanno chiesto ed io mi sono limitata ad accettare.»
   Chloé schioccò la lingua sotto al palato, segno che la cosa doveva stizzirla non poco. «Beh, adesso però faresti meglio a tirarti indietro, soprattutto per via di quell’orribile brufolo che hai fra gli occhi.» L’altra sbiancò e si portò entrambe le mani sulla fronte, schiacciando la frangia per nascondere il piccolo foruncolo rosa, a malapena visibile per chiunque non fosse stato una donna. Vide Chloé tornare diritta sulla schiena ed intrecciare le braccia al petto con aria boriosa, mentre prendeva a guardarla dall’alto. «Mio padre ha firmato i permessi per fare il servizio fotografico al parco, ma ti assicuro che mi basterebbe uno schiocco di dita per farglieli ritirare.»
   «A che pro?» intervenne a quel punto Alya, che mal sopportava quel genere di prepotenze – soprattutto se andavano a danneggiare la sua migliore amica. «Creeresti soltanto problemi a monsieur Agreste.»
   «Oppure migliorerei l’immagine della sua nuova collezione giovanile, posando accanto a suo figlio», fu l’ovvia risposta che seguì.
   «Non credi che, se fossi stata adatta, mio padre te lo avrebbe già chiesto?»
   Quella domanda, posta così a tradimento, indusse le tre ragazze a voltarsi in direzione dell’entrata, dalla quale Adrien doveva aver assistito almeno all’ultimo scambio di battute. Lo videro avanzare verso di loro e fermarsi proprio accanto a Marinette, alla quale rivolse un sorriso affettuoso. Lei si sciolse all’istante, ma poi si ricordò del brufolo e subito tornò a coprirlo con i capelli scuri.
   «Credi davvero che questa tappetta sia più adatta di me a fare la modella?» gracchiò Chloé, oltraggiata e delusa, stentando a credere a ciò che aveva appena sentito. Perché Adrien le andava sempre contro, quando si trattava di Marinette?! Cos’aveva più di lei?!
   Il giovane si strinse nelle spalle. «Mio padre pensa di sì.»
   «E tu, Adrien?» insistette l’altra, abbassando il tono della voce e lasciandosi sfuggire un’espressione ferita per quella situazione spiacevole. Davvero non contava più nulla, per lui? Non voleva più essere suo amico?
   «Chloé…» mormorò Marinette, avvertendo una stretta al cuore inaspettata. Benché la sua compagna di classe non lo sospettasse nemmeno, lei conosceva bene i complessi di inferiorità che aveva nei confronti di buona parte di loro. Certo il suo ruolo di eroina di Parigi, grazie al miraculous dell’Ape, l’aveva riscattata agli occhi dell’intera città, risollevando non poco la sua autostima, ma gli affetti rimanevano sempre il punto debole di Chloé.
   «Sono certo che tu non abbia nulla da dimostrare a nessuno», cominciò invece Adrien, posando una mano sulla spalla dell’amica d’infanzia e fissandola con affetto. «Anzi, hai già dato un’ammirevole prova delle tue capacità e della tua grandezza. Non hai bisogno di chiedere la mia approvazione, Chloé. Quella ce l’hai già.»
   Come poco prima Marinette, anche Chloé si sentì sciogliere davanti alla sua gentilezza. Era soprattutto per questo che adorava Adrien e voleva proteggere in tutti i modi il suo legame con lui, forse il solo ad esserle davvero amico senza alcun tipo di secondo fine. Abbassò lo sguardo, addolcendo i tratti del viso al ricordo delle parole che il fratello di Juleka le aveva rivolto due giorni prima: se non c’erano soluzioni, perché arrabbiarsi? Tanto valeva assecondare il corso degli eventi, facendo la propria parte in modo da preservare il meglio di ciò che poteva.
   «Sì, beh… ma è da un po’ che non passiamo del tempo insieme», borbottò poi, tornando ad alzare la testa con fare borioso. «Come minimo, mi aspetto che mi porterai davvero con te, la prossima volta che andrai a suonare con quella banda di perdenti.»
   Adrien inarcò le sopracciglia bionde e sorrise con aria piacevolmente sorpresa. «Giuro che lo farò.»
   «Bene.» Detto questo, e senza più degnare gli altri della propria attenzione, Chloé attraversò la stanza ed uscì in cortile, lasciando i propri compagni senza parole per diversi istanti.
   «Cavolo…» esordì infine Alya, ancora incredula. «Sta davvero imparando ad abbassare la cresta?»
   «Se sai come prenderla», spiegò Adrien, molto più avvezzo di lei a quel genere di spettacolo. «Chloé non è cattiva, ma è molto orgogliosa e ha solo bisogno di essere compresa.»
   «Povero colui che la sposerà…»
   «A quale banda si riferiva?» domandò invece Marinette, che, come Adrien, ormai aveva imparato a capire come interagire con la viziata figlia del sindaco. Per diversi anni erano state in classe insieme e ne era nata una rivalità che nessuna delle due avrebbe davvero saputo spiegare; eppure sembrava che nell’ultimo periodo le cose, fra loro, stessero migliorando. Certo erano ancora ben lungi dal poter definire il loro rapporto simile ad un’amicizia, sia pure superficiale, ma era un dato di fatto che Chloé si era arresa ad accettare l’aiuto di Marinette in almeno un paio di occasioni, e aveva persino ammesso con Ladybug di non avercela davvero con lei.
   «Sabato mattina ha conosciuto Luka», spiegò Adrien, sbirciando in direzione dell’amata. La vide sgranare gli occhi e sorrise divertito. «Credo che l’abbia colpita, in qualche modo.»
   «Stai scherzando?!» si lasciò scappare lei, non sapendo se essere meravigliata o inorridita.
   Quella reazione ebbe il potere di far irrigidire il giovane, quasi fosse tornato in lui il timore che il fratello di Juleka potesse ancora avere un qualche effetto sul cuore di Marinette. «Sarebbe così… terribile?»
   «Cosa?» balbettò la ragazza, non avvertendo lì per lì quella paura. Quando lo fece, si diede dell’idiota e si batté una mano sulla fronte, schiacciandosi il brufolo e facendosi persino male. Trattenne a malapena un’imprecazione. «No…» rispose poi, dandosi, oltre che dell’idiota, anche della cretina. Non voleva scoraggiare in alcun modo Adrien, lasciandogli intendere che le importasse della vita sentimentale di Luka. O meglio, le importava perché gli augurava di essere felice, certo, ma con un’altra ragazza. Era il nome di Chloé che, nello specifico, le lasciava tanti, troppi dubbi. Insomma, quei due erano diversi come il giorno e la notte, e per quanta pazienza potesse avere Luka, di sicuro anche lui avrebbe finito col mandare al diavolo Chloé nel giro di poco tempo. «Mi sono solo stupita, ecco tutto», corresse il tiro Marinette, cercando di tranquillizzare Adrien. «Chloé è… imprevedibile
   «Questo è vero», ammise lui, tornando a rilassarsi almeno in parte. Quindi era tutto a posto? Avevano ragione i suoi amici, a dire che Marinette avrebbe sicuramente accettato di diventare la sua ragazza senza alcuna remora? Bene. Ora non doveva far altro che aspettare il momento propizio per prenderla in disparte e dirle ciò che provava per lei. Forse poteva invitarla di nuovo da qualche parte, ipotizzò fra sé, mentre si avviavano insieme verso l’aula per la prima lezione del mattino. Al cinema? No, sarebbero rimasti in silenzio tutto il tempo, senza la possibilità di parlare davvero. Al parco? Di nuovo? No, tanto più che ci sarebbero tornati domenica, per il servizio fotografico. In biblioteca, con la scusa dei compiti? Non avrebbero potuto lasciarsi andare ad eventuali effusioni, poi. In mensa? Oddio, sul serio?! Perché mai in un posto del genere?!
   Fu continuando a raccapezzarsi su questo e su molto altro che la mattinata per Adrien trascorse fin troppo lentamente. Stessa impressione ebbe Marinette che, seduta dietro di lui, lo vedeva distratto e pensieroso: forse, si disse, avrebbe potuto venirgli incontro. Sì, ma come?
   Ragionando di questo, al rientro in classe per le lezioni pomeridiane, non si accorse di Chloé che, tagliandole la strada, si fermò alcuni passi avanti a lei e la fissò con sguardo critico. Quindi, mise mano alla borsa e ne trasse qualcosa che lanciò verso Marinette. Goffa come sempre, lei quasi la fece cadere, ma quando l’ebbe saldamente in pugno sbarrò gli occhi e li piantò di nuovo sull’altezzosa compagna di classe. «Lo faccio per Adrien», mise subito in chiaro quella, dando poca importanza alla gentilezza che le aveva appena fatto. «Non voglio che tu lo faccia sfigurare per colpa della tua stupida pelle grassa.»
   «Funziona sul serio?»
   «Con quello che costa!» fu l’eloquente risposta che ottenne a quell’inutile domanda, mentre Chloé le voltava le spalle e si dirigeva a passo svelto verso il proprio banco. Marinette sorrise con riconoscenza, stringendo fra le dita la confezione di una delle creme antibrufoli più care presenti sul mercato.












Rieccoci e perdonate il ritardo, ma sono stata influenzata e, oltre a non aver potuto rispondere ai vostri messaggi e commenti, non ho potuto rivedere a dovere questo capitolo prima di oggi (e vi assicuro che c'erano diverse cosette da sistemare).
Ormai siamo in dirittura di arrivo, manca davvero pochissimo: un capitolo e l'epilogo (che sarà piuttosto breve). In un paio di settimane dovrei riuscire a postare tutto, insomma (salvo contrattempi).
Non mi dilungherò oltre, limitandomi a scusarmi per la mia assenza e ringraziandovi di cuore per essere ancora qui con me. ❤️
Un bacio a tutti,
Shainareth





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Capitolo 20
*** Capitolo diciannovesimo ***





CAPITOLO DICIANNOVESIMO




Joël guardò l’orologio che portava al polso destro: mancava ancora un quarto d’ora al termine delle lezioni del pomeriggio. Dall’ultimo banco in fondo all’aula, gettò un’occhiata panoramica al resto della classe, silenziosa non per eccessiva diligenza quanto per noia. La voce del professore di storia era particolarmente soporifera e ben si sposava al suo proprietario, un attempato uomo magro e smunto, con gli occhi a palla dalle palpebre calanti che gli conferivano sempre e comunque un’espressione triste.
   Nella mente del giovane, però, andava delineandosi un’immagine ben più felice: quella di una ragazza dai capelli scuri e dai meravigliosi occhi azzurri. Nelle ultime settimane, a Joël era parso di vivere in bilico su un’altalena in movimento perenne e di non sapere assolutamente in che modo saltare giù. Il punto era che, dopo aver visto Adrien e Marinette al parco, mano nella mano, e aver frainteso il loro rapporto, il ragazzo era caduto in uno stato di sconforto tale da renderlo facile vittima di Papillon. Salvato dai due supereroi principali di Parigi, Joël si era dunque fatto forza e, incoraggiato anche dalle parole amichevoli di Chat Noir, aveva deciso di farsi avanti con Marinette. Solo che, preso dal panico, aveva esitato e alla fine non era riuscito a dirle ciò che provava. Poi, Adrien lo aveva rincorso fin dentro il bagno della scuola e, pur confessandogli di essere interessato anche lui a Marinette, lo aveva spronato a dichiararsi per non avere alcun rimpianto. Soprattutto, cosa che Joël aveva apprezzato sopra ogni altra, Adrien aveva espresso il desiderio, da parte di entrambi, di rimanere in buoni rapporti, qualunque cosa fosse successa.
   Iniziò a muovere nervosamente una gamba sotto al banco e a giocherellare con la penna che reggeva fra le dita, tornando con gli occhi scuri alle lancette del proprio orologio. Da quel giorno lui e Adrien non si erano più parlati, a parte qualche sporadico commento a lezione di scherma; anche perché quello stesso pomeriggio era successo qualcosa che Joël non si era minimamente aspettato: lo stesso Adrien, dopo averlo incoraggiato, era uscito con Marinette e l’aveva abbracciata. Quella foto aveva fatto il giro dei social, intasando i profili di mezza Parigi e di sicuro di tutta la scuola. Timoroso di finire di nuovo sotto al giogo di Papillon, Joël aveva cercato di non farsi prendere troppo dall’ansia, benché in un primo momento fosse stato sul punto di scagliare il proprio cellulare contro il muro. In lui era prevalsa infine la ragione, decidendo di far tesoro delle parole degli altri: prima di giungere a conclusioni affrettate, era giusto aspettare di avere conferme. Che, oltretutto, non erano neanche giunte, dal momento che, osservando l’amata a scuola, si era reso conto che non c’era nulla di diverso in lei e che anche le sue interazioni con lo stesso Adrien, pur essendo diventate più confidenziali, non tradivano alcun rapporto di tipo romantico nel vero senso della parola. O, perlomeno, questo era quanto gli era concesso vedere durante l’intervallo e le poche altre occasioni in cui poteva scorgere Marinette a scuola. Era dunque rimasto sul chi va là, indeciso se farsi di nuovo avanti o meno, e quando, a distanza di tempo, aveva letto la smentita della ragazza circa una sua possibile relazione con l’aitante figlio di Gabriel Agreste, Joël aveva riacquistato di colpo tutta la propria sicurezza. E ora, sia pur dopo un’altra manciata di giorni che gli erano serviti per delineare a grandi linee un discorso di senso compiuto, era lì che aspettava la fine di quella noiosissima ora di storia per poter correre fuori e mettere in atto il proprio proposito.   
   Quando la campanella suonò, concedendo tregua ai poveri studenti dai neuroni appisolati, Joël scattò dal proprio posto e si precipitò giù, verso l’uscita. Quando fu fuori, puntò lo sguardo sulla porta dell’aula della ragazza dei suoi sogni, e la vide uscire da lì pochi attimi dopo. Era affiancata dalla sua migliore amica, come sempre, ma questo non doveva scoraggiarlo. Si affrettò dunque a raggiungere le due e, senza perdere altro tempo, la chiamò.
   Scendendo l’ultimo gradino che portava al cortile interno della scuola, Marinette si volse nella sua direzione con aria stupita e quei grandi occhi azzurri, così belli e lucenti, ebbero il potere di fargli tremare le gambe. Per paura di mancare uno scalino e rotolare giù, magari finendole addosso e facendole male, Joël si aggrappò al corrimano e arrestò il passo, fissandola dall’alto. Deglutì e poi si umettò le labbra con la punta della lingua. «Posso… Posso parlarti un momento?»
   Alya sollevò le sopracciglia, intuendo già dall’espressione del giovane dove lui volesse andare a parare. E schiuse la bocca quando si accorse che, alle sue spalle, qualche gradino più su, c’erano Adrien e Nino che si erano fermati ad assistere alla scena. Subito calamitò lo sguardo del proprio innamorato su di sé e gli fece un cenno col capo, dandogli ad intendere di raggiungerla e di andar via di lì insieme per lasciare a quei tre tutto il tempo per parlare e chiarirsi. Cogliendo al volo quell’imbeccata, Nino non se lo fece ripetere una seconda volta e, dopo aver dato una leggera pacca sulla schiena di Adrien a mo’ di incoraggiamento, riprese a scendere le scale con nonchalance e si affiancò ad Alya. Quest’ultima sorrise a Marinette. «Ci vediamo domani», disse soltanto, prima di allontanarsi. Non era certa che lei l’avesse udita, anche e soprattutto perché adesso lo sguardo della sua migliore amica si era soffermato su un punto ben preciso, ben oltre le spalle del povero Joël.
   Occhi negli occhi, Adrien e Marinette rimasero a fissarsi per alcuni, interminabili istanti.
   In barba ai buoni propositi del giovane, quell’ultima settimana era scivolata via senza che lui vuotasse il sacco. Un po’ per via della timidezza, un po’ per via della sfortuna, non era ancora riuscito a dire a Marinette la verità, e cioè che ormai era perdutamente ed irrimediabilmente innamorato di lei. Lei, che ancora aspettava una mossa da parte sua, e il cui cuore trepidava per l’impazienza e l’ansia. Possibile che si fosse sbagliata, che Chat Noir non era davvero Adrien? No, no, ormai era certa che le cose stessero in quel modo. Chat Noir era stato chiaro, con i suoi gesti e le sue parole. Ora toccava alla sua versione civile farsi coraggio.
   Marinette poteva comunque dargli atto di essersi ulteriormente avvicinato a lei, in quei giorni. Forse non c’era stata davvero una dichiarazione in piena regola, ma nell’ultimo periodo il suo rapporto con Adrien aveva subito un’impennata abbastanza palese persino per loro due, che di solito erano ciechi davanti a questo genere di cose. Era stata un’evoluzione naturale, a dire il vero, spontanea al punto che alle volte a Marinette era venuto il dubbio che fosse davvero necessario confermarla a parole. Alla fine ciò che contavano erano i fatti e se Adrien avesse provato a baciarla, lei non solo non si sarebbe tirata indietro, per di più l’avrebbe braccato, avviticchiandosi a lui, e non l’avrebbe lasciato più andar via. Soprattutto, se Adrien avesse provato a baciarla, la cosa non l’avrebbe meravigliata. Insomma, bastava davvero un nulla per ufficializzare qualcosa che era più ovvia dell’ovvio.
   A conferma di ciò, c’erano state anche tantissime battute – velate e non – da parte dei loro compagni di classe, che sembravano sapere cose che lei ignorava – ma che pure intuiva perfettamente. Come se Adrien si fosse confidato con loro e ora, davanti a quelle insinuazioni, anziché smentire o minimizzare, si limitava ad arrossire e a sorridere con fare imbarazzato, dando tacitamente ragione a tutti i sospetti di Marinette.
   «Lo so che ti sembrerà una cosa improvvisa.» Quella frase la scosse, facendola tornare con i piedi per terra e ricordandole che, anziché con Adrien, lei stava parlando con Joël. Quest’ultimo sembrava teso proprio come quella mattina di qualche settimana prima, vicino agli armadietti, quando all’indomani della propria akumizzazione, il giovane l’aveva cercata per scusarsi con lei e, forse, dirle ciò che provava. Marinette aveva ormai creduto che avesse gettato la spugna, e invece eccolo lì che tornava alla carica. «In realtà è da parecchio che volevo dirtelo», stava continuando frattanto Joël, passandosi i palmi delle mani sudate sui pantaloni chiari. «Sin da quella volta… sai…» Esitò. Chiuse gli occhi, prese un bel respiro e, tornando a guardarla, disse con voce ferma: «Sono innamorato di te.»
   Tacque, in attesa di una risposta. Di una qualsiasi risposta.
   Marinette non poté fare a meno di alzare il proprio sguardo verso Adrien, che era diventato di colpo pallido in volto. Non seppe se ridere o indignarsi per quell’aria attonita e spaventata, ma alla fine in lei prevalse il buon senso e si limitò a stirare le labbra in una linea meditabonda. Avrebbe voluto fargli presente che, se non fosse stato certo dei sentimenti di lei, c’era il serio rischio che qualcun altro si facesse avanti proprio come aveva fatto ora Joël e che, magari, gliela portasse persino via. Insomma, se non riusciva a dirle a chiare lettere di amarla, poteva almeno essere esplicito con i suoi gesti! Poteva baciarla senza alcuna esitazione, accidenti!
   Riservandogli perciò uno dei suoi sguardi alla Ladybug, a cui Chat Noir era abituato tutte le volte che diceva o faceva qualcosa fuori luogo – e che di tanto in tanto diceva o faceva lo stesso Adrien, tanto per non smentirsi – Marinette tornò a concentrarsi sul povero Joël, che si ritrovava suo malgrado impelagato in una situazione molto semplice e al contempo assolutamente paradossale.
   «Joël…» iniziò, cercando le parole adatte per non fargli troppo male. «Ricordi cosa ti dissi quel giorno?»
   «Che… ti piace Adrien», rispose subito lui, tirando su col naso. Vide Marinette arrossire lievemente e annuire. Alle sue spalle, invece, non visto, lo stesso Adrien tornò a respirare: lei sapeva della sua presenza lì, quindi stava ammettendo implicitamente i propri sentimenti nei suoi confronti. E lui? Lui per quale stramaledetto motivo continuava a tentennare al riguardo?! Strinse i pugni, deciso più che mai a dirle ogni cosa. «Però… quando ti ho chiesto se eri innamorata di lui… non mi hai risposto.»
   Pur divorata dall’imbarazzo, lo sguardo fisso su di lui, la ragazza si strinse nelle spalle. «Sì, beh… non puoi pretendere che faccia confidenze del genere a qualcuno che conosco appena.» Fu un pugno allo stomaco, se ne rese conto, ma che altro poteva fare? Aveva troppo rispetto per l’amore per trattarlo in modo così superficiale. «Non prendertela, ma… non posso ricambiare i tuoi sentimenti.»
   Sebbene i suoi occhi fossero diventati lucidi e le sue mascelle si fossero contratte, Joël parve ragionevole. «E… se provassimo ad uscire per conoscerci meglio?»
   «Sono già innamorata di un altro», fu costretta ad essere più chiara lei. «Non chiedermi di chi, non te lo direi.» L’altro chinò il capo, sconfitto: a che sarebbe servito insistere, se Marinette era già tanto risoluta nei propri sentimenti? E, checché lei ne dicesse, era ovvio che si riferisse ad Adrien, altrimenti non lo avrebbe tirato di nuovo in ballo. «Mi dispiace.»
   Joël tornò a riempirsi i polmoni d’aria fresca e, alzando di nuovo la testa, sospirò con un sorriso mesto sulle labbra. «Non devi dispiacerti», soffiò con rassegnazione, un dolore sordo all’altezza del petto che, tuttavia, faceva meno male di quanto si era aspettato. «Non è colpa tua. Ci ho provato. Se non lo avessi fatto, non me lo sarei mai perdonato.» Marinette gli sorrise di rimando, grata per la sua comprensione. «Va bene così», aggiunse lui, scendendo gli ultimi gradini che lo separavano dalla ragazza. «Grazie per essere rimasta qui ad ascoltarmi.»
   «Era il minimo.»
   Il giovane le fece un saluto con un cenno della mano e, dopo un’ultima esitazione, tirò dritto verso l’uscita della scuola, deciso a non voltarsi indietro. Che senso avrebbe avuto, ormai? Lo fece Marinette, invece, che tornò a posare lo sguardo su Adrien, ancora fermo sui gradini più alti della scalinata. «Farai tardi alla tua lezione di cinese.»
   Quello si riscosse e subito si affrettò a raggiungerla. «Posso saltarla», dichiarò risoluto, piantando gli occhi nei suoi. «Così possiamo andare da qualche parte insieme.»
   Lei quasi rise. «Tuo padre ti metterebbe in punizione fino al mese prossimo.»
   «Non mi importa.»
   «Importa a me», chiarì subito, decisa a giocare a carte scoperte. Basta tacere, basta nascondersi. Adrien tergiversò, ma infine parve comprendere e annuì. «Ci vediamo dopodomani per il servizio.»
   «Verremo a prenderti per le otto.»
   «Va bene.»
   «Domani sei libera?»
   Stavolta Marinette rise sul serio, piacevolmente stupita dalla sua sfacciata insistenza: Chat Noir era davvero parte integrante di Adrien. «Faccio da babysitter a Manon tutto il giorno, mi spiace.»
   «E non posso aiutarti?»
   «Adrien…»
   Enfatizzando la propria resa con un sospiro, il giovane ruotò le iridi chiare verso il cielo terso. «Va bene, ci vediamo domenica.» E prima ancora che potesse dire o fare alcunché, Marinette si sollevò sulle punte dei piedi e si protese nella sua direzione, scoccandogli un bacio sulla guancia. Seppur del tutto impreparato a quel gesto, Adrien fu comunque lesto e l’afferrò gentilmente per un polso prima che lei potesse allontanarsi. «C’è una cosa importante che devo dirti», ammise, guardandola di nuovo dritta negli occhi.
   «Lo so», mormorò lei, fremendo per quel contatto – visivo e non. «Domenica.»
   «Domenica», annuì lui. Quindi, sia pure a malincuore, si costrinse a lasciarla andare, conscio però del fatto che ormai non ci fosse più motivo per tacere ancora.

Che Marinette fosse bella Adrien lo aveva sempre saputo. Guardandola però ora, mentre sedeva da un lato, dopo essere stata imbellettata dalla truccatrice e con il parrucchiere che le sistemava la chioma corvina, era uno spettacolo non indifferente. Sì, anche con i capelli spettinati e pieni di pinzette e forcine colorate, che la facevano apparire quasi un porcospino. Non vedeva l’ora di vederla con indosso gli abiti realizzati da suo padre, ma soprattutto non vedeva l’ora di posare con lei. Lei, che nel giro di poco tempo, e in modo del tutto naturale, era riuscita a conquistarlo con la sua dolcezza e con la forza dei suoi sentimenti. Lei, che ormai era l’unica e sola indiscussa regina del suo cuore.
   Per nulla consapevole di essere oggetto di tante ammirate attenzioni, Marinette sopportava stoicamente in silenzio quello che, a ragione, Adrien aveva più volte definito un supplizio. Di sicuro, rifletteva fra sé, semmai avesse di nuovo preso parte ad un servizio fotografico, lo avrebbe fatto stando dietro le quinte, proprio come monsieur Agreste. Dopotutto era quello il suo sogno professionale, riuscire a portare avanti la propria passione per la moda e, possibilmente, sfondare grazie al proprio talento artistico. C’erano però ancora tante, troppe cose che Marinette ignorava riguardo a quel mondo così vivace e frenetico, pertanto non era davvero pentita dell’esperienza che stava vivendo adesso, anzi: ne avrebbe fatto tesoro perché di certo le sarebbe servita in futuro.
   Tanto per cominciare, quando era scesa dall’auto di Adrien, era rimasta con tanto d’occhi: davanti all’entrata del parco aveva trovato ad attenderla non soltanto Nathalie, con il suo immancabile tablet in mano, ma anche buona parte della troupe che si stava già dando da fare per portare l’attrezzatura necessaria sul luogo scelto tempo prima da monsieur Vincent. Quest’ultimo era arrivato forse prima di tutti gli altri e aveva già montato i faretti e il pannello riflettente; adesso era impegnato nella preparazione della propria fotocamera, degli obiettivi e delle schede di memoria per immortalare gli scatti come solo un vero professionista avrebbe saputo fare. Nel giro di pochi minuti, non distante dal punto in cui si era sistemato lui, erano stati allestiti due gazebo pieghevoli, il cui unico lato aperto era stato poi coperto da una tenda scorrevole. Sarebbero stati i loro camerini, aveva spiegato Adrien, mentre all’interno di quegli spazi chiusi venivano sistemati, oltre ad un tavolo e a delle sedie, due appendiabiti su ruote, rispettivamente pieni di modelli di foggia maschile e femminile. Marinette non aveva fatto in tempo a riempirsi gli occhi di quella meraviglia di colori e stoffe, che subito qualcuno l’aveva presa da parte e portata lontano dal suo compagno, facendola infine accomodare su una sedia da regista per truccarla e acconciarla. Si sentiva un po’ una trottola, scombussolata e fuori luogo, ma in cuor suo sperò che quella sensazione di smarrimento passasse non appena le avrebbero fatto indossare il primo degli abiti a lei destinati.
   Pur bloccata dalle abili mani del parrucchiere, gettò un’occhiata di sbieco in direzione di Adrien che la fissava da lontano con aria assorta e le sorrideva con tenerezza. Arrossì, tornando ad abbassare lo sguardo sulle mani posate in grembo, e si domandò se e quando sarebbero riusciti davvero a parlare da soli, come si erano ripromessi di fare due giorni addietro. Manco a dirlo, quella notte non aveva dormito molto e, all’ansia di dover affrontare con lui un argomento tanto delicato, si era poi aggiunta quella di presentarsi sul set con due occhiaie da far invidia persino al maggiordomo degli Addams. E se Adrien, vedendola in quelle condizioni, l’avesse trovata orribile e avesse cambiato idea circa il loro rapporto? In suo aiuto era giunta l’insostituibile Tikki che, con un sorrisetto divertito, l’aveva rassicurata: «Se è vero che lui è Chat Noir, dovresti poter dormire sogni tranquilli: il suo sconfinato amore per Ladybug è stato ormai eclissato da ciò che prova per te.»
   Non appena Marinette fu libera di muoversi, la invitarono ad entrare nel gazebo e la stessa Nathalie le porse il primo dei modelli da indossare, un abito rosso con il corpetto aderente e la gonna a campana, con la sottogonna nera in tulle che faceva capolino dall’orlo inferiore. «Metti anche questi», le disse, lasciandole su un tavolino anche un paio di graziosi orecchini dal piccolo pendente a forma di cuore.
   Troppo estasiata dalla bellezza e dalla qualità dell’abito, lì per lì la ragazza si limitò ad annuire e tornò in sé solo quando Nathalie chiuse la tenda alle proprie spalle. «Diamine…» borbottò, mentre Tikki usciva allo scoperto. «Non posso togliere il miraculous
   «E come potrai evitare di farlo?» domandò la creaturina, incuriosita più che preoccupata.
   «Mi inventerò qualcosa», ponderò Marinette, iniziando a togliere i propri indumenti. Benché fosse una bella giornata, l’aria era comunque fresca e ciò la fece rabbrividire. Ripensò al modo in cui Adrien l’aveva guardata fino a poco prima e fu assalita da una vampata di calore. Avrebbero infine affrontato l’argomento? Se non lo avesse fatto lui, decise fra sé la ragazza, lo avrebbe fatto lei. Non era più possibile rimandare, il suo cuore aveva bisogno di trovare pace.
   «Devo dirglielo», esordì dopo qualche attimo di silenzio, mentre infilava i piedi nella sottogonna di tulle. «In modo indiretto, ma devo farglielo capire. Non è giusto che io sia l’unica a sapere la verità.»
   Tikki batté le palpebre, stupita da tanta determinazione – la stessa che Marinette mostrava quasi soltanto quando indossava i panni di Ladybug. «E se non fosse lui?»
   «Proprio per questo non posso essere troppo diretta», spiegò l’altra. «Se mi sbaglio, allora non capirà. Mi prenderà per pazza e finirà tutto.»
   «Sei sempre melodrammatica.»
   Si lasciò scappare un risolino, in parte isterico. «Adrien non è stupido.» Si fermò e si corresse: «Contrariamente a quanto, alle volte, sembri in apparenza.» Fu Tikki, ora, a ridere. «Certo che ci si impegna parecchio…» scherzò ancora Marinette, facendo scivolare l’abito dalla gruccia. «Ma lo amo così com’è. Difetti compresi. D’altra parte, anch’io ne ho un’infinità.»
   «Vuoi dirglielo solo per questo?» la interruppe la sua amica, osservando con quanta cura lei cercava di indossare il vestito senza rovinarlo. La ragazza non rispose, non subito, e il kwami si sentì autorizzato a continuare. «Hai bisogno di metterti il cuore in pace.»
   «Adrien lo ha già fatto», le diede infine ragione Marinette, arrestando per un attimo i propri movimenti. «Ha rinunciato alla ragazza di cui era innamorato e ha rivolto le sue attenzioni verso di me.»
   «In modo sincero, aggiungerei, vista la faccia che ha fatto quando Joël ti si è dichiarato», le fece coraggio Tikki.
   «E anche Chat Noir ha deciso di voltare pagina, lasciandosi alle spalle l’amore a senso unico per Ladybug – e cioè per me – quando si è reso conto di essersi seriamente interessato ad un’altra ragazza.»
   «Che poi saresti sempre tu.»
   «Ho bisogno di sapere se sono la stessa persona o meno.»
   «Perché? Cosa cambierebbe?»
   Marinette calò le ciglia sul viso e, facendosi coraggio, pigolò: «Non potrei sopportare l’idea di amare due persone allo stesso tempo.»
   Lo aveva ammesso ad alta voce, finalmente. Tikki sorrise di cuore e le si fece più vicina, attirando la sua attenzione e fissandola dritta negli occhi. «Sono fiera di te, Marinette.»
   «Sono una doppiogiochista…» piagnucolò lei, sentendo tutto il peso di quella colpa.
   «Non mi pare tu abbia fatto nulla di male, fino a questo momento.»
   Questo era vero, ma rimaneva il fatto che, per evitare di cadere in errore, avrebbe dovuto necessariamente scoprire la verità. Strinse le labbra e tirò su la lampo sul retro del corpetto. «Vado e lo faccio mio.»
   Con quell’epica e fraintendibile frase, indossò un paio di ballerine rosse che Nathalie le aveva lasciato da parte e scostò la tenda con un colpo secco, costringendo Tikki a nascondersi in fretta e furia. «Sono pronta», dichiarò risoluta, proprio mentre anche Adrien usciva dal proprio spogliatoio.
   La squadrò da capo a piedi, rimanendo incantato una volta di più dalla sua bellezza e si lasciò scappare un più che sentito: «E sei fantastica.» Marinette avvertì di colpo le ginocchia tremare e quasi scappò di nuovo all’interno del proprio gazebo. Fu lo stesso Adrien ad impedirle la fuga, ridendo e afferrandola per un polso. «No», le disse in tono divertito e deciso a un tempo. «Avevi detto domenica», le ricordò quasi con dispetto. «Oggi non mi scappi.»
   Nathalie li intercettò prima che potessero presentarsi davanti a monsieur Vincent. «Gli orecchini», disse soltanto, dal momento che al suo occhio vigile non sfuggiva quasi niente.
   Ricordandosene solo in quel momento, Marinette fu assalita per un attimo dal panico; ma poi il suo istinto la salvò, come sempre. «Sono allergica», si inventò su due piedi. «Mi sono dimenticata di dirvi che non tollero i comuni orecchini. Ho bisogno di quelli speciali. Quelli che indosso me li ha portati mia nonna dall’Italia.»
   «Anche questi sono anallergici», ribatté la donna, atona e monoespressiva, porgendole il paio che monsieur Agreste aveva scelto per lei.
   Presa in trappola e non sapendo che pesci prendere, Marinette rivolse un appello silenzioso e disperato al suo Adrien che, alla vista di quegli occhioni supplici e luccicanti, ebbe la netta sensazione che ogni viscera del proprio corpo si fosse appena liquefatta. Non capì più niente. «Sono…» La voce gli uscì gracchiante. Si schiarì la gola e si voltò verso l’assistente di suo padre. «Sono davvero così importanti?» domandò, cercando di intercedere per l’amica – e di recuperare parte della lucidità mentale che gli era venuta meno. «Marinette ha i capelli sciolti. Quegli orecchini neanche si noteranno.»
   Davanti a quello sguardo, innamorato e desideroso di approvazione, Nathalie fu costretta ad incassare un colpo allo stomaco: a dispetto delle apparenze, aveva il cuore tenero ed era sinceramente affezionata a quel ragazzo problematico. Chiuse gli occhi e sospirò. «Monsieur Vincent vi sta aspettando.»
   Ringraziandola di cuore, Adrien scattò verso il fotografo, trascinando Marinette con sé. Sarebbe stato un giorno bellissimo, si diceva, mentre godeva di quel piccolo, semplice contatto fisico con la ragazza che amava. Neanche a farlo apposta, o forse sì, monsieur Vincent venne in loro aiuto, facendoli passeggiare lentamente nell’area circostante, come se fossero ad un appuntamento di tipo romantico. Poi li fece sedere sul prato e una giovane signora della troupe accorse a sistemare ad arte la gonna di Marinette attorno al corpo di lei, in modo da darle un certo tipo di effetto. Dapprima i ragazzi guardarono verso l’obiettivo, poi verso l’orizzonte, e infine il fotografo chiese loro di attendere in quella posizione per qualche minuto, giusto il tempo di settare meglio la macchina e di trovare una luce migliore. Rassegnati all’idea di dover rimanere fermi lì dov’erano, i due si scambiarono uno sguardo felice e imbarazzato al contempo, mentre Adrien prendeva la mano di Marinette nella propria, non soltanto per rassicurarla. «Sapevo che saresti stata perfetta per questo lavoro.»
   «Non è davvero ciò che vorrei fare in futuro.»
   «Lo so, e mentre tu cucirai i tuoi modelli, io li indosserò davanti al pubblico. Vedrai, avremo un successone e diventeremo straricchi.»
   «Io diventerò straricca», precisò la ragazza, ridendo. «Tu lo sei già.»
   Adrien la ignorò. «Ci faremo costruire una villa in Costa Azzurra e ci andremo tutte le estati.» Parlava come se avesse già un’idea ben chiara sul loro futuro. Insieme. «Con il nostro criceto.» Marinette scoppiò a ridere di nuovo e lui si beò di quel suono che gli riempiva le orecchie di gioia. Si sporse nella sua direzione e le sfiorò la guancia con un bacio, facendola rabbrividire. «Posso dirtelo, adesso?» le sussurrò quasi all’orecchio.
   Col cuore che batteva furioso in petto, lei ci mise un attimo prima di riuscire ad articolare una risposta di senso compiuto. «Prima, però, sono io che dovrei dire qualcosa a te.»
   «Non può essere più important…»
   «Il crisantemo.» Il giovane tacque di colpo e sgranò gli occhi, fissandola come se non la vedesse realmente. Marinette inspirò e infine soffiò fuori ciò che non riusciva più a tenere solo per sé: «Se non lo hai visto accanto alla rosa e alla margherita, l’ultima volta che sei stato da me, è solo perché l’ho messo in un angolo nascosto della scrivania.»
   Ci volle qualche istante prima che quelle parole prendessero forma nella mente di lui; tuttavia, quando lo fecero, portarono con sé anche un’altra, meravigliosa verità. Fu allora che Adrien non rispose più di sé e le saltò letteralmente addosso, inchiodandola con le spalle al prato e sovrastandola con il proprio corpo, rimasto sospeso su di lei. La fissò dritta negli occhi e disse solo: «Sposami.»












Appena ieri avevo annunciato su Wattpad che per questa settimana non avrei aggiornato. Ma poi mi sono resa conto che avevo bisogno di respirare dagli impegni che mi stanno sfiancando e, soprattutto, che mi dispiaceva lasciare voi lettori in attesa proprio sul finale della storia. Quindi eccomi inaspettatamente qui, spero che la cosa non vi dispiaccia. Quanto all'epilogo, se tutto va bene dovrei postarlo sabato: sarà breve, ma metterà davvero fine a questa fanfiction che ho portato avanti per diversi mesi.
Perdonate i miei ritardi e le mie assenze, dalla settimana prossima dovrei tornare del tutto attiva come un tempo.
Un abbraccio e grazie di cuore a tutti voi, siete meravigliosi! ❤️
Shainareth





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Capitolo 21
*** Epilogo ***





EPILOGO




Frastornata da quell’assalto inaspettato, Marinette ci mise qualche attimo per capire cosa stava accadendo. Adrien l’aveva spinta sul prato e ora, con i palmi delle mani ai lati della sua testa e le braccia tese a reggere il peso del corpo, incombeva su di lei dall’alto come un predatore. No, qualcosa di molto meno pericoloso, visto lo sguardo felice e commosso che aveva ed il sorriso pieno d’amore tutto per lei.
   «Sposami», le aveva detto. Di pancia, senza riflettere. O forse sì? Forse quella parola era rimasta lì, sepolta per troppo tempo dentro di lui, e ora finalmente poteva venire fuori in piena libertà. Rimaneva comunque una follia. Meravigliosa, ma pur sempre una follia. Marinette si perse nei suoi occhi verdi, del tutto in balia delle proprie emozioni, di quel fuoco ardente che, divampato dal petto, ora le bruciava le viscere fino al basso ventre. Avvertiva il contatto delle gambe di Adrien contro le proprie, socchiuse di quel tanto da permettere al giovane di bearsi della morbidezza delle sue giovani forme. Se solo lui avesse vinto la distanza che li separava, Marinette non avrebbe più risposto di sé e delle proprie azioni. Lo desiderava? Da morire. Più di quanto avesse avuto modo di immaginare fino a quel momento. Più di quanto le era stato concesso provare in quei sogni intimi e segreti che spesso l’avevano sconvolta nelle ore notturne.
   «Fermi così!» esclamò una voce lontana. L’udirono appena, presi com’erano l’uno dall’altra. Poi, però, si sentì il rumore di uno scatto, poi un altro. Un lampo li illuminò più volte, strappandoli da quel loro piccolo, conturbante idillio e costringendoli a tornare di colpo con i piedi per terra. Lì, sul prato del parco, dove monsieur Vincent stava continuando il suo lavoro senza curarsi di disturbarli. «Non era proprio quello che avevo programmato, ma la naturalezza della situazione capita a fagiolo», commentò con quel suo buffo accento italiano, tra una foto rubata e l’altra.
   I ragazzi avvamparono e subito tornarono a sedersi compostamente sull’erba, mentre Adrien farfugliava delle scuse a tutti e nessuno e Marinette abbassava l’orlo della gonna, scivolato troppo in alto nell’impeto della passione che aveva colto il suo giovane innamorato. «È proprio sicuro di voler utilizzare questo genere di foto?» domandò Nathalie da qualche parte.
   «Sicuro», rispose monsieur Vincent. «I teenagers saranno rapiti da questo genere di campagna pubblicitaria.»
   «Non credo che i loro genitori approverebbero.»
   «Si scandalizzano per così poco? Non si sono dati nemmeno ‘nu bacetto…»
   Ormai rossa quasi quanto il vestito che indossava per colpa dell’imbarazzo, Marinette nascose il viso fra le mani, temendo di morire da un momento all’altro. «Mi… dispiace…» balbettò ancora Adrien, accanto a lei. Fece per prenderle i polsi fra le dita, ma esitò temendo di essere di nuovo troppo invadente.
   «Devo forse ricordarti la totale mancanza di pudore con cui entrate in contatto tutte le volte che siete impegnati in battaglia?» intervenne a quel punto Plagg, facendo capolino dal taschino interno della sua giacca.
   Prima ancora che l’altro avesse modo di spingerlo di nuovo dentro gli abiti e di ribattere in tono aspro, una risatina sommessa si levò fra loro. Adrien tornò a guardare Marinette, che ora sbirciava nella sua direzione con aria vergognosa e divertita a un tempo. «Ha ragione lui…» mormorò, suscitando ilarità anche nel giovane.
   «Io ho sempre ragione», ci tenne a sottolineare il kwami, prima di essere smentito dalla sua compagna con le antennine rosse. «Come quella volta che hai scambiato il braccialetto di Chloé per una forma di camembert?»
   «Zuccherino, il tuo più grande difetto è avere uno stomaco piccolo.»
   «Il tuo, invece, è di averlo fin troppo grande.»
   «Io lo definirei un pregio, piuttosto.»
   «Volete farvi scoprire?» li riprese Adrien, spingendo per davvero Plagg in fondo al taschino della giacca.
   «Invece di borbottare tra te e te, cerca di chiacchierare con la tua bella e non preoccupatevi di noialtri», lo pregò monsieur Vincent, ormai in preda all’estro creativo che l’aveva assalito grazie alle reazioni più che spontanee dei suoi due pupilli.
   Adrien volse di nuovo la propria attenzione a Marinette, che si guardava attorno con aria nervosa e si portava una ciocca di capelli dietro ad un orecchio proprio in quel momento. Al lobo, morbido e roseo, il giovane vide il miraculous della Coccinella, sia pure nel suo aspetto meno appariscente. Adesso capiva la ragione per cui la ragazza aveva chiesto di non indossare un altro paio di orecchini ed era felice di aver potuto intercedere per lei al riguardo. «Quello che è successo al Jardin des Tuileries…»
   «Rena Rouge», disse solo lei, come se fosse bastato a spiegare tutto. E così era, in effetti, tanto che Adrien si portò una mano alla nuca, sentendosi un idiota per non averci pensato prima. «Mi spiace non averti rassicurato sul momento.»
   «Non potevi farlo», la giustificò subito lui, comprendendo benissimo la situazione. «E… quello che è successo dopo… in camera tua…» tornò a dire, incrociando finalmente i suoi occhi, timidi e splendenti di una luce bellissima, che mai le aveva visto in volto.
   La vide arrossire in modo più evidente, pur trovando dentro di sé il coraggio per non abbassare lo sguardo. «Hai una vaga idea di quanto tu mi abbia turbata nel profondo, chaton?» Adrien strabuzzò gli occhi, ma non rispose subito e lei continuò. «Mi spiace essermi approfittata della tua buona fede per piangere sulla tua spalla, quella volta. Quando hai ammesso di non essere innamorato di me.»
   «Lo ero eccome, in realtà», ribatté il giovane, quasi con rabbia. «Solo, ero troppo stupido per rendermene conto. E quando ho capito di essere il vero responsabile delle tue lacrime, mi sarei preso a schiaffi da solo.»
   «Siamo pari, quindi?» domandò timidamente Marinette.
   «Non proprio», rispose Adrien, deciso ad andare fino in fondo. «Ricordati che mi hai baciato a tradimento», recriminò con un sorrisetto da schiaffi.
   Con un verso strozzato e oltraggiato, la ragazza si portò le mani davanti alla bocca. «Non posso credere che tu me lo stia rinfacciando!»
   L’altro si strinse nelle spalle con noncuranza. «Ti ho chiesto un bacio un’infinità di volte. E tu? Mi hai accontentato proprio nel momento in cui non ero in me.»
   «Ti ho già detto che ti stavo salvando», rimbeccò Marinette, intrecciando le braccia sotto ai seni con aria stizzita.
   «Questo lo dici tu», la provocò Adrien, insistendo sulla cosa col divertimento tipico dei gatti dispettosi. «Non ricordo un accidenti di quell’episodio.»
   «Peggio per te.»
   Rise per la risposta secca e pronta di lei, e si sporse nella sua direzione per scostarle di nuovo la ciocca di capelli scuri che era tornata a solleticarle il viso. Le accarezzò l’orecchio, facendola rabbrividire e abbattendo con quell’unico gesto tutte le sue difese. «Se adesso fossi io a baciarti, e la nostra foto dovesse fare il giro del mondo, smentiresti anche quella?» domandò con voce roca, fissandola negli occhi e soffiando sulle sue labbra. Poteva sentire il respiro caldo di lei sulle proprie. Lo ammaliava e lo invitava a vincere l’esigua distanza che ancora li separava. Quasi non fece in tempo a pensare di farlo davvero, che le mani di Marinette gli afferrarono il volto con decisione e, con impeto, lei gli ghermì la bocca con la propria, sorprendendo lui e tutti i presenti. Qualcuno esclamò, qualcun altro rise e applaudì a quella prova di coraggio e determinazione, ma nessuno li fermò. Adrien chiuse gli occhi e afferrò l’amata per le spalle, dimenticandosi di tutto il resto e abbandonandosi alla sua volontà: dopotutto, nonostante i suoi miagolii di protesta, in qualsiasi situazione era sempre stata lei a decidere per entrambi, e a lui stava bene così.












Stavolta è finita davvero.
Mi mancherà. Anche e soprattutto perché non ho scritto altro, fino ad ora, benché avessi in programma una shot spin-off riguardo al povero Luka che si ritrova davvero tra i piedi Chloé sulla barca. Forse la scriverò davvero, ma non è questo il giorno (cit.).
Fino a martedì non esisto, abbiate pazienza: ho un concorso importante, ecco perché sono scomparsa e rispondo poco e niente. Oltre al solito, impegnativo lavoro, sono alle prese anche con lo studio serrato. Sono abbastanza esaurita. Sigh.
Ad ogni modo, lasciate che io vi ringrazi tutti, uno per uno, per il tempo che avete dedicato alla lettura di questa storia infinita. Ringrazio soprattutto chi ha avuto anche la gentilezza di lasciarmi uno o più commenti: perdonate tutti i miei ritardi, per favore.
Chi ringrazio più di tutti, però, sono Raffy Chan (che praticamente mi ha affiancata per tutta la stesura, mi ha dato alcuni suggerimenti e mi ha persino reperito le copertine dei capitoli pubblicati su Wattpad), Florence (per avermi fatto notare sviste ed errori vari) ed Emma Brayon (per avermi rassicurata circa la caratterizzazione di Luka e Chloé nei capitolo diciassette e diciotto).
Non so se e quando scriverò qualcos'altro, perché in verità mi sono messa in testa di prendermi una pausa (più o meno lunga, non so) per concentrarmi sulle varie storie originali che ho in sospeso, anche e soprattutto in vista della pubblicazione di un mio romanzo (che avverrà nei prossimi mesi).
Vi abbraccio tutti, indistintamente, e vi auguro buona vita! ❤️
Shainareth





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