Occhi Blu, Occhi Disarmanti

di SilVerphoenix
(/viewuser.php?uid=1872)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo Due ***
Capitolo 3: *** Capitolo Tre ***



Capitolo 1
*** Capitolo Uno ***


Capitolo Uno

 

“Ben fatto!”
Con un rumore sordo appena udibile, le nocche si sfiorarono, e Ladybug gratificò il compagno di tante avventure con un occhiolino. 
Chat Noir, al di sotto della maschera scura che gli copriva parte del viso, arrossì lievemente, e lanciò un fugace sguardo agli orecchini della supereroina. C’erano ancora quattro pallini su di essi. Un’altra occhiata indirizzata verso la propria mano gli ricordò che non aveva utilizzato la propria mossa speciale durante lo scontro con l’ultima vittima di Papillon, il gigantesco SuckerPunch. Gigantesco ma lento. Mentre lui lo teneva impegnato senza troppa fatica, Ladybug l’aveva steso con una brillante idea, e l’utilizzo di un barattolo di vernice. Quella ragazza era sempre sorprendente, pensò Adrien. 
“Allora, alla prossima!” esclamò lei, voltandosi per andarsene.
“Aspetta!” la fermò Chat Noir. Si trovavano sui tetti di Parigi, e il cielo era tinto di un arancio rosato che suscitava dolcezza e malinconia. “Hai ancora quattro minuti, prima di ritrasformarti. Puoi rimanere un po’?”
Ladybug esitò solo un momento. “Sì… certo, posso rimanere ancora qualche istante. Che succede?”
Lui però non sapeva dirle cosa succedeva, sentiva un groviglio di emozioni che non riusciva ad esprimere. Il vero problema era che le emozioni erano di Adrien, e che era Adrien che voleva parlarne con qualcuno, ma non poteva certo rivolgersi ad uno dei suoi amici… cosa avrebbe potuto dire loro? Sono innamorato da sempre di Ladybug, ma ora c’è anche qualcosa che non so spiegare? 
Come avrebbe mai potuto dire ad anima viva del suo rapporto con Ladybug senza rivelare anche il proprio segreto?
“Non ti capita mai di avere bisogno di qualcuno, ma di non poter dire a nessuno quello che provi a causa, sai, della nostra identità segreta?”
La ragazza si sedette sul tetto, con lo sguardo perso nel tramonto. I suoi magnifici occhi blu si tinsero di mille sfumature di arancio. “Non credo. Nel senso, ho la mia kwami con cui parlare dei problemi relativi alla mia identità segreta, mentre ho le mie amiche con cui parlare di ciò che riguarda la mia vita normale.” Fece una pausa, ma poi si accorse di averlo turbato e aggiunse in fretta “Ma se hai bisogno di qualcuno, conta pure su di me. Sempre.”
Lui sospirò. Un’altra occhiata agli orecchini, erano rimasti solo due puntini neri. 
“Non ho mai parlato con i miei amici di certe cose.” Confessò, sedendo accanto a lei.
Ladybug sbuffò divertita. “Tsk… maschi. Si tratta di faccende di cuore?”
Chat Noir si rese conto in quel momento di quanto fosse assurda la situazione, e scosse il capo rassegnato. “E’ sciocco pensare di poterne parlare con te, suppongo. Non mi sei mai stata indifferente.”
La ragazza abbassò lo sguardo e attese qualche istante prima di parlare, poi, con cautela, poggiò una mano su quella di lui. “Perdonami per quanto sto per dire, ma io credo che dovresti ridimensionare l’attrazione che provi per me. Anch’io mi trovo bene con te, e sicuramente c’è una grande sintonia tra di noi, ma la verità è che non ti conosco. Non so cosa ti piace fare nel tempo libero, non so che musica ascolti, non so cosa vai a guardare al cinema. E credo che non possa piacerti davvero qualcuno se non sai chi sia realmente quel qualcuno.”
L’eroe, inizialmente emozionato per quel contatto così intimo, ritrasse la mano come se si fosse scottato, e balzò in piedi. “Hai solo un minuto prima di ritrasformarti. Ti conviene sbrigarti, ma non preoccuparti di me. Sarò già lontano quando sarà trascorso.”
In realtà, se fosse rimasto ancora per diciassette secondi, avrebbe capito che si erano accorti molto più tardi del previsto del timer ormai quasi scaduto di Ladybug. Se si fosse voltato anche solo una volta, mentre balzava da un tetto all’altro, avrebbe riconosciuto la compagna di classe, Marinette, in piedi su un tetto, con lo sguardo triste e una piccola creatura rosso fragola appoggiata alla spalla.
Ma non attese, non si voltò, e non vide la super eroina Ladybug riprendere le vesti della studentessa che tanto bene conosceva. 
Chat Noir percorse in poco tempo la strada che lo avrebbe condotto nel modo più sicuro possibile alla grande villa dove abitava. Entrò e liberò Plagg dall’anello, tornando così ad essere Adrien. 
Aveva bisogno di essere Adrien. 
Le parole di Ladybug lo avevano trafitto come coltelli roventi, non riusciva a ricacciare in fondo la rabbia per quelle sue frasi così profondamente...
Vere.
Lo realizzò con una fastidiosa consapevolezza bruciante.
Lui non la conosceva.
Lui non sapeva che musica ascoltasse.
Lui non aveva idea di che film le piacesse guardare.
Lui, in fondo, non sapeva di lei niente più di quanto non ne sapesse un altro dei fan di Ladybug.
“Adrien…?” provò Plagg, ma senza alcun risultato. Il ragazzo si chiuse in bagno e il kwami sospirò addentando una fetta del suo formaggio preferito.

 
*


“In ordine, ragazzi. Piano, piano, ad uno ad uno.”
Madame Mendeleive fece cenno ai propri studenti di accomodarsi sul pullman che li avrebbe condotti in gita, la prima gita scolastica dell’anno. Erano ormai prossime le vacanze di Natale, ed era consuetudine della scuola organizzare mezza giornata di visita d’istruzione fuori Parigi per le proprie classi più meritevoli. La sezione di Marinette si era miracolosamente classificata tra le prime tre, e aveva così guadagnato la sua gita al parco naturale di Perche. 
La ragazza aveva dato per scontato di sedere accanto alla migliore amica, ma non aveva considerato i piani di quest’ultima.
“Nino!” cominciò Alya nel vedere il compagno di classe, “Nino, vieni a sederti con me?”
Marinette sentì ogni singola goccia di sangue ghiacciarsi nelle vene, mentre il viso di lui s’illuminava di gioia e si alzava in piedi. Il posto accanto a lui era occupato infatti da..
“Adrien, non ti dispiace vero?” balbettò Nino, superando l’amico senza degnarlo di più di uno sguardo. 
Marinette lanciò un’occhiata disperata ad Alya, che già aveva preso posto nella fila dietro di loro, e a Nino, che a sua volta stava sedendo accanto a lei. 
‘Sie-di-ti’ sillabò Alya con uno sguardo imperativo che non lasciava posto a repliche.
“Po…posso?”
Adrien, lo sguardo perso fuori dal finestrino, sembrava aver notato appena quello scambio, ma spostò la borsa che occupava leggermente lo spazio tra lui e il sedile rimasto libero. 
“Certo, Marinette.”
La ragazza prese posto con difficoltà, sentendo le gambe come di cemento e le braccia diventate piombo fuso. 
Un lembo della sua giacca si spostò appena, e il visino dolce di Tikki emerse dai meandri della stoffa per sussurrarle “Rilassati, sembri una scopa! E ricordati di respirare!”
Ah, già, respirare… butta fuori, prendi aria, butta fuori, prendi aria… 
Marinette cominciava già ad assumere una posizione più comoda sul sedile, quando la voce acuta e sgraziata di Chloè la fece sobbalzare “E tu cosa diavolo ci fai qui?! Smamma, Cheng! Sto io vicino al MIO Adrien!”
Oh, no, povera illusa, non c’era davvero alcuna possibilità che lei si alzasse da quel posto! La giovane aveva appena aperto la bocca per ribattere, che la professoressa tuonò “Signorina Bourgeois, sta bloccando la fila! Trovi immediatamente un posto libero, in fondo alla vettura ce ne sono parecchi.”
Schiumando di rabbia, Chloè fu costretta ad allontanarsi, e Marinette espirò cercando di riprendere il controllo. 
“Prima o poi, le passerà.” Sussurrò Adrien.
“Come?” sobbalzò Marinette, ma quando si voltò verso il ragazzo rimase interdetta.
“Abbiamo circa un’oretta di strada, forse di più se c’è traffico. Oggi non sono molto in vena di chiacchiere, ma… ti va un po’ di musica?” 
Adrien le stava porgendo un auricolare.
Per esattezza, l’auricolare sinistro. Il destro era già infilato nel suo orecchio, appena visibile sotto un ciuffo di capelli biondi.
Marinette sapeva che qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata sicuramente un balbettio informe ed imbarazzante, così si limitò ad annuire, prese l’oggetto e lo portò verso il lobo. Le bastò udire le prime note per riconoscere il motivetto di Jagged Stone, e istintivamente ne canticchiò il ritornello a labbra chiuse.
Una curva più stretta delle altre tese il filo degli auricolari e la ragazza si trovò sospinta verso il compagno di classe, ma lui non si scostò, anzi sistemò la spalla per fornirle un appoggio più comodo. Marinette si ritrovò a sorridere, con la testa poggiata su di lui e un sorriso emozionato sul viso. E sperò che di traffico ne trovassero così tanto da dover rimanere in quella posizione per molto, molto tempo.

 
*
 

Nonostante le speranze della giovane studentessa, non più di un’ora dopo la professoressa annunciò che sarebbero presto giunti a destinazione. Prima, però, era prevista una sosta ad una stazione di servizio per poter permettere loro di avvisare i genitori.
“Infatti, all’interno della zona in cui ci troveremo a breve, non c’è campo e non potrete chiamarli finché non saremo sulla via del ritorno. Le grotte che visiteremo sono molto antiche, e le pareti sono tanto spesse da non permettere al segnale di raggiungere i ripetitori.”
Marinette avvertì un fremito all’altezza del cuore, stavolta però non aveva nulla a che vedere con i suoi sentimenti. Tikki emerse dalla stoffa, tremando. 
“No, Marinette! Non possiamo andare lì!”
La ragazza la sospinse al riparo della giacca, guardandosi intorno preoccupata, ma nessuno dei compagni stava guardando dalla sua parte, e anche Adrien fortunatamente sembrava impegnato a sistemarsi i vestiti… probabilmente non aveva notato la buffa vocina della kwami. 
“Dopo!” soffiò lei, poi, con un sorriso imbarazzato, corse fuori dal pullman non appena il veicolo si arrestò. “Scusate, ne approfitto per andare un momento al bagno!”
Tikki non aspettò nemmeno che lei si fosse riparata dietro la porta di un cubicolo, prima di uscire fuori dal suo nascondiglio e cominciare a parlare velocemente, in preda al panico. “Non portarmi là sotto, Marinette. Non mi piacciono le caverne, mi fanno stare male. Perdo energia, mi sembra di poter… di poter…”
La ragazza l’accolse tra i palmi. “Vieni qui, piccolina. Non temere, ci sarò io a proteggerti. E’ una banale visita d’istruzione, seguiremo un percorso lungo il quale non ci sarà nessun pericolo e…”
“No! Marinette ti prego, andiamo via! I kwami non sono fatti per le caverne, siamo spiriti. Rischiamo di… svanire.”
Lei strabuzzò lo sguardo. “Dici sul serio?” 
Tikki annuì affranta.
“Ma io non posso semplicemente dire che non vado. Non me lo permetterebbero mai. E non posso scappare, dove potrei andare da qui? E poi noterebbero subito la mia assenza!”
Marinette sospirò affranta, appoggiando le spalle al muro. “Cosa posso fare?”
La kwami fluttuò fino alla sua spalla e si accoccolò su di lei, ancora scossa da un lieve tremito. “Il pullman entrerà nelle grotte?”
Gli occhi della giovane s’illuminarono di comprensione. “No, certamente! Rimarrà nel piazzale turistico! Potresti rimanere nella mia borsa, fingerò di dimenticarla sul sedile!”
Tikki espirò sollevata. “Non mi piace l’idea di trovarmi lontano da te, ma l’alternativa è troppo spaventosa…”
“Non preoccuparti! Non può succedermi nulla dentro la grotta. Non ci porterebbero mai in zone pericolose, sarà un noiosissimo giro in mezzo a grigie pareti di roccia.”
Mentre tornava al pullman, la ragazza non poteva sapere quanto quella previsione fosse poco azzeccata.
Prendendo posto accanto ad Adrien, notò che lui aveva riposto gli auricolari e il telefono. Cercando di non suonare delusa, domandò “Niente più musica?”
Lui accennò un sorriso, ma sembrava teso. “Ormai siamo quasi arrivati, non vale la pena.”
“E’ la tua prima gita scolastica?” chiese dopo qualche minuto lei, cercando di balbettare il meno possibile. 
Adrien spostò lo sguardo, perso oltre l’orizzonte, e annuì. “Esatto. Mio padre non mi ha mai permesso di farne una prima d’ora.”
“Eppure, non sembri particolarmente felice. C’è qualcosa che non va?” provò a indagare lei. Non le pareva di averlo mai visto così pensieroso, cupo. 
Lui si strinse nelle spalle, poi sembrò ripensarci e decise di confidarle quanto gli ronzava in testa ormai all’infinito. “Ieri ho avuto una… discussione. Con un’amica, una persona importante per me.”
Marinette sentì le viscere trasformarsi in blocchi di cemento armato. Chi era quest’amica? Questa… persona importante? Quanto era importante? Era la sua… fidanzata? L’orrore le pervase i lineamenti, e voltò immediatamente il viso perché lui non potesse accorgersene. Cercando con pochi risultati di mantenere fermo il tono di voce, disse “Spero nulla di grave.”
“Non lo so.” Lui scosse il capo lentamente. “Non la conosco ancora così bene da capirlo.”
La verità prendeva sempre più forma nella mente della ragazza: non la conosceva ancora così bene? Era sicuramente una nuova arrivata nella sua vita, questo avrebbe spiegato come mai lei, che conosceva a memoria le giornate di Adrien e praticamente chiunque ne facesse parte, non aveva idea di chi potesse essere. Probabilmente lui si era preso una cotta e stava cercando di dichiararsi, probabilmente presto si sarebbero fidanzati, avrebbero celebrato il loro matrimonio in un’isola italiana circondati da fan urlanti e avrebbero avuto tre bambini!!
La voce della professoressa che annunciava l’arrivo al parcheggio turistico interruppe il corso dei suoi pensieri, e le risparmiò l’incombenza di dover rispondere e continuare quella gravosa conversazione.
Molti studenti, una volta appreso che non avrebbero avuto connessione internet, avevano deciso di lasciare i cellulari e le borse sul veicolo. Marinette notò che anche Adrien aveva rinunciato alla propria tracolla nera, incastrandola sotto il sedile e nascondendola bene alla vista. Imitò quel gesto e, quando si fu assicurata che nessuno potesse vederla, sbirciò all’interno per controllare che Tikki stesse bene. 
“Vai Marinette, stai tranquilla. Ti aspetterò qui, ne approfitterò per schiacciare un pisolino.”
La ragazza assentì e le sorrise incoraggiante, quindi raggiunse Alya fuori dal veicolo.
“Io e Nino ci siamo tenuti la mano per tutto il viaggio!” le confidò raggiante l’amica, non appena furono abbastanza vicine da non essere udite da nessun altro. “E con Adrien com’è andata?”
Marinette sbuffò tristemente, ripensando alla conversazione avuta poco prima. “Si è fidanzato, Alya. Con una ragazza bellissima che gli piace tantissimo.”
Le sopracciglia dell’altra si alzarono talmente tanto da confondersi con l’attaccatura dei capelli. “E questo te l’avrebbe detto mentre tenevi la testa appoggiata teneramente sulla sua spalla o mentre sorrideva guardandoti?”
“Non mi guardava sorridendo e non mi ha detto espressamente che potevo appoggiarmi, l’ho fatto di testa mia. Prima che mi dicesse questa cosa.”
Alya era ancora scettica. “A me non risulta, Nino lo avrebbe saputo e me l’avrebbe detto di certo. E poi ti conosco. Adrien ha utilizzato espressamente queste parole?”
“Adesso basta voi due!” sbraitò la professoressa Mendeleive. “Avete preso la vostra torcia? Avete indossato i caschi protettivi? No vero? Bene, ci penserò io. Tu, Marinette, vieni qui davanti, dove posso vederti bene, e tu Alya starai qui. Queste visite si chiamano d’istruzione per un motivo ben preciso!”
“Distruzione?” ridacchiò Kim, facendo l’occhiolino all’amico Max.
“Distruzione, appunto.” Sbottò Chloè, nervosa e infastidita. “Distruzione della mia perfetta chioma. Guarda, Sabrina! Un riccio! Qui c’è un riccio! E anche qui!”
Marinette superò la figlia del sindaco e afferrò il caschetto che le porgeva la guida. Lo indossò e iniziò a combattere con la chiusura a scatto, che si rivelò più complicata del previsto.
E fu un attimo… le mani di lui si poggiarono sulle sue dita e le scostarono gentilmente. 
“Ti aiuto io. Bisogna fare scattare la chiusura in questo punto, dimmi se così va bene o è troppo stretto.”
Senza riuscire a guardarlo negli occhi lei mormorò un assenso. “Va bene così, grazie Adrien. E’ che sono sempre la solita…”
“…Maldestra.” ridacchiò il ragazzo. “Lo so. Vieni, andiamo, o la professoressa ti seppellirà sotto queste stesse rocce.”
La guida cominciò a parlare con voce lenta e monotona, facendo loro strada come previsto in un noioso percorso prestabilito per gli studenti. Il terreno era liscio come asfalto, segno che da lì, negli ultimi anni, erano passati migliaia o milioni di piedi di turisti e nessuna pietra era finita fuori posto. 
Marinette non riusciva a concentrarsi sulla visita. Quello che le aveva detto Adrien continuava a ronzarle in testa come un ritornello di cui non riesci a liberarti, ma anche le parole di Alya erano diventate un motivetto insistente che combatteva il primo. 
Adrien aveva un’amica, una persona importante nella sua vita… eppure, le aveva consentito di appoggiarsi a lui per tutto il tragitto, e anzi, avrebbe potuto ascoltare da solo la musica ma aveva voluto coinvolgerla. Le aveva allacciato il caschetto con gesti premurosi… “A chi voglio darla a bere,” si disse, affranta. “Adrien è una persona meravigliosa che ama prendersi cura degli altri. E’ affettuoso perfino con Chloè! Mi vede come un’amica ed è gentile con me. Tutto qui.”
Quell’affermazione le fece così male da sentire quasi il terreno vibrare sotto i suoi pied... ma no, non era stata una sensazione di Marinette dovuta al suo sconvolgimento emotivo. La ragazza si guardò intorno e notò la preoccupazione sul viso dell’insegnante e degli altri compagni di classe.
“Non fa niente, non preoccupatevi. Capita, ogni tanto. E’ solo che dove ci troviamo sembrano più forti di quando siamo nelle nostre case, ma non è nient…”
La guida si interruppe per non perdere l’equilibrio, una nuova scossa più forte della prima gli mozzò il fiato. Chloè urlò dalla paura, e la professoressa impallidì.
“Siamo sicuri che non corriamo alcun pericolo?” domandò alla guida con voce malferma.
“Assolutamente sicuri, sono cose che capitano…” 
Di nuovo la guida fu interrotta da una scossa, meno intensa della precedente, ma così lunga da sembrare interminabile. Marinette tossì, della polvere cadde dal soffitto, accompagnata da qualche pietrolina. 
“Bene, forse è il caso di tornare sui nostri passi. Non c’è alcun pericolo ma mi sembrate nervosi” disse la guida, che ormai faceva fatica per controllare il tono della voce. “Fatemi passare, vi condurrò all’esterno, non preoccupatevi, ci siamo inoltrati ben poco. Cinque minuti e saremo fuori.”
La professoressa guardò un momento verso di loro, poi sopraggiunse un’altra scossa e lei si affrettò a seguire la guida. “Coraggio ragazzi, seguiamo il signor Dubois. Saremo fuori in men che non si dica.”
Qualche gridolino accompagnò anche le successive due scosse, che si portarono dietro una pioggia di polvere e piccole pietre. 
Marinette camminava con lo sguardo fisso sui compagni davanti a se, non si sentiva particolarmente agitata, ma non vedeva l’ora di tornare da Tikki. Aveva bisogno di abbracciarla e accucciarsi con lei sotto le coperte, cercando di dimenticare quelle maledette frasi di Adrien che invece, inesorabili, tornavano a ronzarle in testa.
Una scossa più forte delle altre la fece inciampare. Fortunatamente Adrien, che era rimasto in fondo alla fila insieme a lei, le afferrò il gomito. Stava per ringraziarlo, quando un’altra scossa provocò un rombo profondo nelle viscere della montagna. Questa non accennava a finire, e mentre lei cercava in qualche modo di reggersi in piedi, il mondo andò in pezzi.
L’urlo di Nino arrivò prima di ogni altra cosa. “ADRIEN! ATTENTO!”
Il secondo grido apparteneva a Chloè. “Sopra di te!”
Come se improvvisamente si fosse materializzata tra loro Lady Wi-fi, a Marinette sembrò che qualcuno avesse premuto il tasto del rallentatore. Simultaneamente, lei e Adrien levarono lo sguardo al soffitto di pietra, costellato di enormi stalattiti, e la videro: era gigante, era un muro di solida pietra a forma di cono, e stava staccandosi per franare esattamente nel punto in cui si trovava il ragazzo.
“Noooooo!” gridò qualcuno. Una minuscola parte del cervello di Marinette registrò che quel qualcuno era lei, ma intanto, forte dei riflessi che si erano sviluppati a dismisura negli ultimi mesi, da quando era diventata Ladybug, il suo corpo aveva già reagito: la spinta era partita dalle punte dei piedi, e un fulmine di adrenalina pura l’aveva attraversata mentre si slanciava in avanti, le braccia protese verso il ragazzo di cui era profondamente innamorata. 
La sua mano destra si scontrò con la spalla di Adrien, la mano sinistra trovò il vuoto, il viso sbatté con forza contro qualcosa di solido e il buio calò sul sipario.





 
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.



 
Cantuccio di Silverphoenix: Ciao a tutti! Dopo tanto tempo mi ritrovo a pubblicare nuovamente una fanfiction, è una grande emozione. Spero prima o poi di finire quelle che ho in cantiere.. ma ho una rassicurazione: questa è già terminata, devo solo revisionarla. Saranno quattro capitoli, spero che vi piacerà! Fatemi sapere che ne pensate, mi raccomando! A presto :) 
 


Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo Due ***


Capitolo Due


 

Guardandosi intorno con cautela, Tikki emerse dalla borsa di Marinette. Prima controllò a destra, poi a sinistra, poi di nuovo a destra, e infine si librò al di sopra del suo rifugio.

“Ce ne hai messo di tempo.” scherzò Plagg, comodamente accoccolato sul sedile che era stato occupato da Adrien. “Pensavo ti fossi addormentata!”

“Sono una kwami prudente, io.”

Il gattino si strinse nelle spalle e addentò una fetta di un formaggio rarissimo e costosissimo che Adrien gli aveva regalato quella mattina. Data la lunga gita, il ragazzo aveva riempito la propria borsa di provviste, avendo cura di sigillare ogni sacchettino di formaggio singolarmente, per evitare di puzzare come un bidone dei rifiuti.

“Ti stavo aspettando. Ero certo che non saresti entrata lì dentro.”

“Beh, non è che avessimo poi tanta scelta, no?” Tikki atterrò sul sedile di Marinette, ad una ragionevole distanza dal vorace collega. “Adrien ti vizia, eh?”

Ingollando l’ultimo pezzo, Plagg sorrise serafico. “E fa bene, perché non dovrebbe? A proposito, vuoi spiegarmi perché non posso dirgli che lui e Marinette sono…”

NO!” tuonò l’altra, senza nemmeno che lui finisse di parlare. “Te lo proibisco!”

“Questo me l’hai già detto.” sbuffò il gattino, per nulla impressionato. “Ti sto chiedendo il motivo. Sappiamo benissimo che Marinette ha una cotta per Adrien…”

“…e che lui è innamorato di Ladybug.” completò la coccinella.

“Appunto.” Plagg si strinse nelle spalle. “Che scoprano la verità così smettono di lagnarsi.”

“Marinette non si lagna.” s’indispettì Tikki. “E noi non possiamo intrometterci, Plagg. Io non capisco cosa ti salti in mente! Come se fossi un kwami da pochi giorni…”

Plagg non rispose subito, sembrò combattuto, ma alla fine ammise in tono appena udibile “Adrien soffre per lei. E a me non piace vederlo soffrire.”

Tikki sembrò spiazzata, aprì la boccuccia per ribattere ma la richiuse un paio di volte. “È questo il motivo per cui vuoi dirglielo, allora?” sussurrò infine. “Tieni tanto a lui, vero?”

“Che domanda stupida.” Plagg si voltò e balzò sul bracciolo, per guardare fuori dal finestrino. “Conosci la risposta.”

Tikki svolazzò accanto a lui e, cercando di nascondere un sorriso, rimase semplicemente in silenzio per un po’.

“Io lo so che non possiamo intrometterci. Ma vorrei tanto che Adrien fosse felice.”

“Arriverà un momento in cui decideranno di svelarsi le proprie identità, e noi dobbiamo rispettarlo. Fino a quel momento, non preoccuparti, staranno bene.”


 

*


 

Non sapeva se a destarlo fosse stato il dolore alla testa, il fastidio alla schiena o la mancanza d’aria, ma quando Adrien riprese conoscenza, dovette tossire un paio di volte prima di riuscire a respirare. Aprì gli occhi e per un attimo avvertì una fitta di panico, poiché non vide assolutamente nulla. D’altra parte, non avendo mai sofferto di problemi alla vista, gli pareva assurdo credere di essere diventato cieco tutt’a un tratto.

C’era qualcosa di duro che premeva sul suo fianco, e tastandolo, il ragazzo sentì un oggetto lungo e freddo contro le dita… la torcia! Premette il tasto posizionato a metà del manico e all’improvviso, oltre a riacquisire il senso della vista, gli parve di riprendere possesso anche del proprio cervello: erano in gita, la torcia gliel’aveva data la guida. Poi c’erano state quelle scosse di terremoto, era successo tutto così in fretta che non ricordava molto altro. Però… Marinette! Spostò freneticamente il cono di luce sull’area che lo circondava, e ci mise solo un istante a localizzare la compagna di classe: era a terra poco distante, rivolta a pancia in giù e ancora incosciente, o almeno, così sperava…

Senza che nemmeno un filo d’aria potesse passare dalla sua gola, serrata dalla preoccupazione e dal dubbio, Adrien si lanciò su di lei, la girò e le poggiò due dita tremanti sulla gola… ma sì, ovviamente si sentiva il sangue pulsare nelle sue vene con forza e vitalità. Espirando tutta l’angoscia che in quei pochi istanti gli aveva attanagliato il petto, il ragazzo la strinse affondando il viso nell’incavo della sua spalla.

“Mi hai fatto davvero spaventare.” sussurrò, muovendo le labbra contro la pelle chiara del suo collo, e ben conscio che lei non potesse udirlo. “Non me lo sarei mai perdonato, Marinette…”

Si concesse ancora per qualche istante quella piacevole sensazione di calore nel petto, mentre la teneva tra le braccia e veniva avvolto dal suo profumo dolce e rassicurante, assaporandola ad occhi chiusi, poi si tirò a sedere e cercò di appoggiarla a terra con quanta più cura possibile. La prima cosa da fare era capire dov’erano e cos’era successo.

Adrien esaminò con il cono di luce della torcia ogni parete di roccia che li circondava, e realizzò che la stalattite che gli era precipitata addosso aveva formato una sorta di cavità naturale. Si trovavano esattamente nel triangolo creato tra la stalattite franata e la parete sulla quale si era schiantata. Nulla poteva assicurargli che non sarebbe collassata su sé stessa schiacciandoli inesorabilmente.

Rifletti, rifletti.

Nel punto più alto della grotta improvvisata, Adrien riusciva a toccare la roccia con la punta delle dita. In quello più basso, c’era spazio a stento per stare a gattoni. In tutto, non erano neanche due metri per due. Niente gli assicurava che, se avesse chiamato Plagg, chiedendogli di trasformarlo, lui avrebbe potuto raggiungerlo: non sapeva in che modo e a quali leggi della fisica obbedisse il richiamo del Miraculous. Ma non aveva nessuna intenzione di provare. Primo, Plagg gli aveva spiegato chiaramente che quei luoghi prosciugano le energie vitali dei kwami, e lui non avrebbe messo a repentaglio la vita di Plagg per un tentativo alla cieca. Secondo, che era anche il motivo per cui non valeva la pena provare, anche se avesse vestito i panni di Chat Noir, in quella situazione avrebbe potuto cambiare ben poco. Cosa avrebbe fatto con il suo potere? Utilizzare un Cataclisma per farsi franare addosso una montagna intera non era di certo una mossa geniale. E poi c'era il piccolissimo dettaglio che, qualora si fosse trasformato e grazie ai suoi poteri avesse trovato una via d'uscita, ammettendo anche la sua compagna non avesse ancora ripreso i sensi... tutto il resto della scuola, anzi, tutto il resto del mondo avrebbe saputo che da una grotta in cui erano rimasti intrappolati Adrien e Marinette, lei era uscita in compagnia di Chat Noir.

Quindi, niente Miraculous e niente poteri. Siamo solo noi due e la roccia.

Spostò la ragazza nella zona più ampia di quella grotta naturale, ringraziando mentalmente la stalattite che, per il momento, non gli era franata addosso, salvando le loro vite. Che poi, a proposito di salvare le vite…

“Sei una stupida, Marinette.” disse alla compagna ancora incosciente. Poggiò la torcia a terra e sedette nuovamente accanto a lei, e con dolcezza le sollevò il busto per poggiarlo su di sé, sperando fosse più comodo della nuda roccia appuntita. “Che cosa volevi fare? Avresti dovuto rimanere dov’eri, a quest’ora saresti stata fuori insieme al resto della classe.”

Adrien abbassò lo sguardo sul viso, placidamente addormentato, della ragazza. I suoi lineamenti dolci erano distesi in un’espressione angelica. Con l’indice le scostò un ciuffo dagli occhi, poi, esitante, le sfiorò una guancia. Era la prima volta che aveva la possibilità di guardarla così da vicino… anzi, era la prima volta che aveva quella possibilità con chiunque. Non era mai stato tanto intimo con qualcuno per poterlo osservare a proprio piacimento. Si ritrovò a pensare, e non per la prima volta, che fosse una ragazza molto bella, con quei lineamenti perfetti e un nasino che sembrava disegnato… lei non poteva saperlo, ma quando era stato vicino a lei come Chat Noir, invece che come Adrien, aveva provato la sensazione di essere al sicuro.

Eppure lei non era Ladybug.

…No, non lo era. Erano così diverse, sotto tanti aspetti.

Marinette gli faceva venire la voglia di stringersela al petto e proteggerla da qualsiasi cosa potesse farle del male, che fosse ad opera degli altri o della sua stessa goffaggine. Sorrise, pensando agli innumerevoli disastri che le aveva visto combinare, soprattutto quando si agitava in sua presenza. Era adorabile. Ladybug, invece, era una forza della natura.

E per quanto, ovviamente, cercasse di salvare praticamente tutti i giorni anche Ladybug, con lei provava qualcosa di diverso, un’attrazione che non riusciva ad identificare in poche parole. Forse era parte del sapere che solo lei avrebbe potuto capire cosa provava, solo lei avrebbe compreso davvero la sua doppia vita. O forse erano semplicemente quegli occhi dannatamente blu che…

che si stavano aprendo.

No, non quelli di Ladybug! Quelli di Marinette.

Certo, non erano dello stesso blu, ma… aspetta. Adrien batté le palpebre, osservando quelle della ragazza sollevarsi appena, e poi richiudersi, poi fare un nuovo tentativo di aprirsi.

La ragazza si tirò appena un po’ su con la schiena e tossì violentemente, più di una volta, ma il viso di Adrien era rimasto immobile, folgorato… Le iridi di Marinette. Conosceva il blu degli occhi di Ladybug meglio di chiunque altro e…

No, è impossibile.

Un nuovo accesso di tosse della giovane lo riscosse e le si avvicinò, accucciandosi accanto a lei. “Stai bene?”

Marinette deglutì e fece per annuire, ma quando aprì gli occhi e realizzò chi si trovava a pochi centimetri dal suo viso, sbiancò. “A-a-a-dir-ne? Ehm… A-drien?”

Lui ridacchiò. “Vivo e vegeto. Anche grazie a te, dovrei aggiungere.”

La ragazza girò il viso lentamente verso destra, poi verso sinistra, e dovette realizzare che si trovavano in un buco nella terra non più grande del cubicolo di un bagno. Nonostante la scarsa luce della torcia, Adrien notò distintamente il rossore tingerle le guance. “Do-dove…come?” balbettò lei.

Dove, è un po’ difficile da dire con precisione. Una caverna nel bel mezzo del parco di Perche, suppongo che dovremo accontentarci di questa risposta.” Davanti all’evidente imbarazzo della compagna, per lui era impossibile trattenersi. Si sentiva loquace e brillante come nei migliori giorni di Chat Noir. “Come, è più semplice: ti sei buttata sotto diverse tonnellate di roccia in caduta libera per salvarmi.”

Il colore si diffuse dalle guance di Marinette al resto del viso, come un fiume in piena che riusciva a rendere in ogni centimetro della sua pelle più evidente l’imbarazzo. “Oh-ah…”

“Uh”, completò lui ridacchiando di quella reazione così Marinettesca. Poi, fissandola intensamente, all’improvviso serio, le chiese “Non dirmi che ti penti di avermi salvato?”

Lei scosse il capo con forza e cominciò ad articolare una risposta, mettendo insieme pezzi di frase sconnessi, e provocandogli una nuova genuina risata. A quel punto, sorridendo dello scherzetto, si voltò per dargli le spalle e cercare di recuperare un minimo di autocontrollo. Nel compiere quel gesto, però, Adrien la vide sobbalzare.

“Ehi, va tutto bene?”

Marinette si tastò con gesti cauti la caviglia sinistra. “Non ne sono sicura. Credo di essermi rotta qualcosa.” Mormorò con voce incerta, dopo qualche tempo.

“Fa vedere.” disse lui, già preoccupato.

Adrien avvicinò la torcia, le sciolse i lacci della scarpa da ginnastica, e con gentilezza gliela sfilò. La caviglia era molto gonfia, e lui la prese tra le mani. Per quanto si muovesse con gesti lenti e accorti, lei sobbalzò.

“Vorrei vedere se riesci a muoverla, puoi sopportare un po’ di dolore?”

“Sì” esalò lei, e il ragazzo cominciò a farle fare dei minuscoli movimenti circolari per assicurarsi che non fosse davvero rotto qualcosa. Gli era capitato di prendere qualche storta durante gli alleamenti di scherma, e il preparatore atletico controllava sempre in quel modo se fosse grave. A causa di quei gesti, la sentì trattenere il fiato, e quando alzò lo sguardo sul suo viso, notò che si mordeva il labbro e aveva gli occhi serrati. Adrien non poté fare a meno di sorridere, sembrava una bimba di cinque anni che si fosse sbucciata un ginocchio.

“La caviglia si muove abbastanza bene, se sei fortunata si è trattato solo di una storta.” le disse, aggiungendo poi “Certo, non sono un medico e potrei sbagliarmi. Ma spero per te di no.”

Appoggiò delicatamente la caviglia a terra e tornò vicino a lei. “Diciamo che te lo auguro di cuore.”

“Suoni minaccioso.” sorrise appena la ragazza, evitando di guardarlo e rimettendo la scarpa. “Ahi!”

“Lasciala stare, non l’indossare. Credo sia meglio se la tieni ferma.” l’ammonì lui. “Certo che sono minaccioso. Se ti sei rotta una caviglia per salvarmi la vita, ti rompo anche l’altra.”

Marinette lo guardò confusa, ma quando lui si mise a ridere, capì che scherzava e arrossì di nuovo. Cercando di distrarsi, prese la torcia da terra ed esplorò la cavità dove si trovavano, come aveva fatto lui poco prima. “Siamo stati fortunati, che la stalattite abbia retto.” concluse, come aveva pensato lui stesso. “Cosa succederà adesso?”

“Ci verranno a prendere, suppongo. Tutti là fuori sanno che siamo rimasti qui, avranno già chiamato i soccorsi. Non ci vorrà molto, vedrai. Immagino sia una prospettiva lugubre e noiosa, per te, l’idea di rimanere qui con me…”

Lei sobbalzò. “No ma che dici tu sei fantastico cioè è fantastico essere qui no non intendo l’incidente è che…”

“Marinette.”

La ragazza chiuse la bocca come se ci fosse stato un burattinaio e tirare un filo apposito.

“S-si?”

“Sono contento che non mi trovi noioso.” Messa da parte la sbruffoneria, le disse semplicemente la verità. Poi, guardandosi intorno, afferrò la torcia e la puntò sul proprio viso, creando un bizzarro gioco di luci e ombre. “Che facciamo nel frattempo? Ci raccontiamo storie di fantasmi?”

Marinette ridacchiò, prendendo la loro unica fonte di luce e ponendola sotto il proprio mento. “Come ad un pigiama party?”

Adrien era lieto che si fosse tranquillizzata. Era raro che lei fosse disinvolta in sua presenza, e decise di approfittare di quel momento per farle un occhiolino. “Volentieri, ma temo che toccherà a te fare la narratrice. Non sono mai stato ad un pigiama party, milady.”

Marinette sgranò gli occhi nel sentire quella parola, ed il ragazzo si morse un labbro, come a volerla rimangiare. Aveva forse utilizzato con lei quell’appellativo, che gli era scivolato tra i denti come di sua spontanea volontà, anche sotto le spoglie di Chat Noir? Gli sembrava difficile. Di solito, lo riservava unicamente a Ladybug, e questo Marinette non poteva certo saperlo. Probabilmente le era solo suonato strano, si rassicurò, ripromettendosi comunque di non utilizzarlo più.

La luce della torcia si spense e si riaccese tremolando.

“Direi che questo fa molto atmosfera per le storie di fantasmi. Brava.”

“Non sono stata io. Temo che si stia scaricando la batteria.” Rispose lei preoccupata.

“Meno male che abbiamo anche la tua, allora.”

Marinette sembrò in difficoltà, cercò nelle tasche ma non trovò nulla. “Ma certo… stavo parlando con Alya quando le hanno distribuite. Ho preso il caschetto ma ho dimenticato la torcia! Sono una stupida!”

“Allora forse conviene spegnerla. Non sappiamo quanto ancora rimarremo qui dentro e se ci servirà di più dopo.” disse lui saggiamente.

“Spe-spegnerla?” balbettò la ragazza. “Rimarremmo completamente al buio!”

“Non ti mangio, stai tranquilla!” ridacchiò Adrien. “Non subito almeno!”

L’espressione impagabile di panico che si disegnò sui lineamenti della compagna, gli regalò una risata che veniva dal profondo dell’anima, forse enfatizzata anche dalla situazione difficile nella quale si trovavano. E nella quale, si ritrovò a pensare lui, se proprio avesse dovuto trovarsi con qualcuno, non avrebbe scelto nessun altro che non fosse Marinette. Non riuscendo a smettere di ridere sotto i baffi, il giovane si appoggiò con la schiena alla parete di roccia.

Marinette si mise in una posizione speculare, a qualche decina di centimetri alla sua sinistra, sobbalzando quando spostò la gamba infortunata. “Spengo.”

“Si.” Rispose lui, e non appena la luce sparì, allungò un braccio e l’attirò a sé. “Quindi? Mi racconti una storia di fantasmi?”


 

*


 

“Guarda, stanno giocando!” sorrise Tikki, divertita dal mondo in cui correvano tutti gli amici di Marinette.

Plagg, che si era accoccolato accanto a lei, abbracciando un’altra specialità che Adrien aveva fatto arrivare da chissà dove per compiacerlo, lanciò uno sguardo distratto all’indirizzo del gruppo sovraeccitato di studenti e adulti.

“Sei sicura che sia un gioco?”

Tikki osservò con più attenzione. “Mmmh. In realtà stanno correndo da questa parte, e non sembrano particolarmente felici e… oh no, Alya! Sta salendo sul bus!”

La coccinella si guardò intorno e calcolò che non avrebbe fatto in tempo a nascondersi dentro la borsa di Marinette. Alya l’avrebbe vista sul sedile o a terra, e allora anche se avesse imitato un pelouche, non sapeva cosa le avrebbe potuto fare. C’era anche il rischio che capisse fosse un kwami, adesso che aveva conosciuto Trixx.

Plagg fu più svelto: la spinse con forza dentro la tracolla di Adrien, più vicina ad entrambi, e si accucciò accanto a lei protetto dagli sguardi di chiunque fosse passato.

Alya, d’altra parte, si fermò proprio davanti a loro e cominciò a rovistare nella borsa della migliore amica.

“Cosa sta facendo?” si chiese il gattino, socchiudendo gli occhi.

“Dove l’hai messo, Marinette, dov’è il tuo cellulare… oh mannaggia quanto disordine, ma come può portarsi dietro dei macarons colorati? Eccolo!”

Alya tirò fuori il telefono dell’amica e digitò qualcosa.

Tikki trattenne il respiro. Quella scena non preannunciava nulla di buono.

“Non c’è campo, non c’è campo! Come possiamo chiamare i soccorsi se non funziona nessuno dei nostri telefoni?” Alya scattò in piedi. “Spero solo che Adrien e Marinette stiano bene.” Disse, prima di correre fuori dal pullman.

I due kwami erano congelati dalla paura.

“Adrien…”

“Marinette…”

“…cosa sta succedendo?” si chiesero in coro.


 

*


 

Marinette rabbrividì.

All’interno della grotta, la temperatura era molto più bassa che all’esterno, e la sua unica fonte di calore era il corpo di Adrien, così vicino al suo da poterne sentire il profumo. Un profumo che la mandava fuori di testa.

Mai, nemmeno nei suoi sogni più remoti e inenarrabili, avrebbe immaginato di trovarsi in una situazione simile: al buio, tra le braccia del ragazzo di cui era innamorata, e senza possibilità di fuggire. Si sentiva ubriaca, come se avesse bevuto troppo del liquore più forte del mondo… non che si fosse mai ubriacata, beninteso, ma immaginava che una sbornia dovesse far girare la testa a quel modo.

E per assurdo, il dolore pulsante alla caviglia sinistra le faceva quasi piacere: le dava un appiglio di realtà, sentiva che altrimenti avrebbe potuto inesorabilmente perdersi in quell’immenso nero che la circondava.

Adrien aveva rinunciato all’idea di raccontare storie di paura. Si era probabilmente ricordato che Marinette non amava l’horror, e in generale forse si era reso conto che la situazione la rendeva già abbastanza nervosa.

“Ehi.” le sussurrò, e lei rabbrividì nuovamente, e questa volta la temperatura c’entrava ben poco. Le labbra di Adrien erano così vicine alla sua fronte che i capelli le si erano mossi per lo spostamento d’aria provocato dal suo respiro.

“Mi… gira un po’ la testa.” confessò, sentendosi una stupida.

“Anche a me,” rispose Adrien. “Credo che non passi molto ossigeno tra le rocce. Ho paura che debbano accelerare le procedure di salvataggio, là fuori, o potremmo perdere conoscenza.”

L’idea che quella sensazione fosse dovuta ad una carenza di ossigeno nel sangue le parve molto lontana, come se le parole del ragazzo arrivassero da una radio messa in un’altra stanza, eppure avevano un senso.

Sentiva la testa piena di ovatta, e dove non c’era ovatta, c’erano farfalle impazzite: quando riusciva a diradare un po’ la nebbia, e realizzava di trovarsi tra le braccia di Adrien, ripiombava in un panico completamente diverso. Aveva bisogno di una boccata d’aria, aveva bisogno di respirare: si tirò su e incontrò per un istante la resistenza del braccio di Adrien.

“Scusa, non volevo trattenerti, cioè volevo ma…”

Stavolta toccò a lei ridacchiare, nel vederlo impacciato, e quella risata l’aiutò a riprendere un po’ di controllo della propria mente. “Bisogna capire da dove entra l’aria. Dobbiamo metterci più vicini alla fonte.”

“Accendo la torcia.”

“No.”

Marinette, tenendo gli occhi chiusi, percorse con le mani la roccia attorno a sé. “Non accenderla. In questo momento i nostri sensi sono più acuti perché non vediamo, dobbiamo approfittarne.”

Adrien, giustamente, non perse tempo a rispondere sprecando eventualmente ossigeno prezioso, ma l’aiutò nella ricerca. La chiamò dopo qualche minuto. “Qui, credo che da qui entri aria. Sento più fresco.”

“Bravo!”

Sempre procedendo a gattoni nell’oscurità completa, Marinette si voltò nella direzione dalla quale aveva sentito provenire la voce del ragazzo, e mai si sarebbe aspettata che lui si era sporto in avanti per aiutarla.

La punta del suo naso sfiorò la guancia del ragazzo, le labbra di lui le toccarono per un istante la pelle, appena al di sopra del mento. Perse l’equilibrio e, con prontezza di riflessi quasi felina, lui le afferrò le braccia, e forse istintivamente l’attrasse a sé. Marinette si trovò seduta su di lui. Fortunatamente, il suo corpo reagì prima della sua mente, che non aveva ancora registrato l’accaduto. Così prima ancora di capire dove fosse finita, già aveva cominciato a rialzarsi, mettendo le ginocchia a terra, alla destra e alla sinistra del ragazzo, per trovare un punto d’appoggio.

Ma non riuscì a terminare quel gesto. Di nuovo, incontrò la resistenza delle braccia di Adrien.

“Scusa.” Sussurrò lui. “Stavolta invece volevo trattenerti.”

Erano così vicini che lei aveva sentito sulle labbra lo spostamento dell’aria proveniente dalla sua bocca. Erano troppo vicini. Inesorabilmente vicini.

Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, o le sarebbe scoppiato il cuore. Deglutì.

“Per-chè?”

Non poteva vedere il sorriso sul viso di Adrien ma lo conosceva al punto da immaginarlo in ogni dettaglio, quando lo sentì nelle successive parole. “Siamo nella parte bassa della grotta. Se ti alzi, dai una craniata al soffitto.”

“Oh.”

Marinette cercò di deglutire di nuovo, anche questa volta con scarsi risultati. Sentire il fiato di lui sulla pelle non le dava scampo, rendeva la sua mente un corto circuito unico, e questo a prescindere che fossero più vicini all’unica fonte di ricambio d’aria della grotta.

Con un guizzo di lucidità, si chiese perché non la lasciasse allontanare, ora che le aveva detto il motivo per cui le aveva impedito di alzarsi di scatto. No, Adrien non aveva alcuna intenzione di farla allontanare, realizzò improvvisamente. Il calore stava scendendo piano dalla gola alla bocca dello stomaco, ma fu bloccato da un'altra stretta di Adrien, che fece scivolare le braccia intorno a lei. Il cuore, che già stava cercando di sfondarle la gabbia toracica, rischiò di andare in tilt tanto quanto il cervello.

“Il fatto è che… mi piace proteggerti.” confessò lui, e stavolta parlò così piano che se non si fossero trovati a pochi centimetri, non avrebbe mai potuto udirlo.

“Ti piace proteggermi?” ripeté lei, incapace di realizzare quel pensiero così dolce. Istintivamente, poggiò i palmi sul suo petto, e con sorpresa, si accorse di poter sentire il cuore di lui sotto le dita della mano destra. Avvertiva ogni battito del proprio cuore rimbombarle nella testa, e ogni battito di quello di lui contro la mano. Capì che stava per succedere qualcosa un attimo prima che lui parlasse, solo dall’accelerazione di quel ritmo.

Adrien l’avvicinò a sé con una lievissima pressione sulla schiena. “È un problema?”

Se non svengo adesso, non sverrò mai più in vita mia, pensò lei.

La distanza tra loro era quasi inesistente, tanto da aver avvertito per un istante il contatto con le sue labbra, mentre parlava. E non sulla punta del naso, stavolta…

“No..” mormorò, e di nuovo, consentì che le loro labbra si sfiorassero, quasi pregustandosi.

Non c’era bisogno di altre parole, non c’era bisogno di altre spiegazioni, la consapevolezza che in quel momento lui desiderava esattamente ciò che desiderava lei, e quanto lei, era sufficiente per dare un senso ad ogni interrogativo che fosse mai stato posto al mondo.

Le dita di Adrien premettero di nuovo con delicatezza sulla sua schiena, invitandola ad avvicinarsi ancora, a colmare quei pochi millimetri che ancora c’erano tra loro, e

“ADRIEN! MARINETTE!”

…Sobbalzarono come se fossero stati colpiti da una scarica elettrica.

Diverse voci, al di là della parete di roccia, si fecero più distinte, mentre chiamavano i loro nomi.

E lui fece scivolare le mani lungo i fianchi, liberandola.

Il Momento, il momento che Marinette aveva aspettato un tempo pressoché infinito, quantificabile non in mesi, o in anni ma in eoni… era passato. E non ce ne sarebbe mai stato un altro…

“Siamo qui.” Disse Adrien.

Marinette capì che la nota dispiaciuta nel tono di lui l’aveva solo creata con la forza della propria immaginazione, ancora persa nei suoi vaneggiamenti d’amore.

“Siamo qui!” ripeté Adrien con più forza, mentre lei scivolava giù dalle sue gambe. Il ragazzo afferrò la torcia, l’accese e la puntò in un angolo, lontana dai loro visi. “Ti va di aiutarmi? Forse se gridiamo entrambi, ci sentiranno.”




Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.



 

Cantuccio di Silverphoenix: Ciao a tutti! Eccoci al secondo capitolo... spero che vi piaccia! Grazie per le recensioni, sono state apprezzatissime! *-* mi farete sapere che ne pensate anche di questo, vero? Vero??? mi raccomando ;-) buona serata e buon weekend! Silver

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo Tre ***


*vi ricordo che la storia è stata scritta durante la prima stagione. Se trovate qualche elemento che non quadra granché con i recenti sviluppi, è per questo! Ho cercato di aggiornare qualche particolare, altri ho preferito lasciarli così com'erano. Spero comprenderete! Ci vediamo a fine capitolo ;) S.



Capitolo Tre


 

La situazione era drammatica.

Marinette ormai aveva smesso di trattenere le lacrime, che le scivolavano copiose lungo le guance. Si trovava tra le braccia della sua migliore amica, ma era assolutamente inconsolabile.

Tutto quel che era rimasto del suo cuore era un ammasso sanguinolento.

I soccorsi ci avevano messo quasi otto ore a tirare fuori lei e Adrien dalla grotta nel parco di Perche, e questo perché in quelle otto ore a Parigi era successo il finimondo: approfittando della paura del papà di Marinette nell’apprendere l’incidente che aveva coinvolto la ragazza, un’akuma si era insediata dentro di lui. Per qualche oscura ragione, nemmeno Chat Noir si era palesato a salvare i cittadini dal panettiere che, sotto il nome di Baguettomme, stava trasformando in statue di pane tutti coloro che si frapponevano tra lui e la figlia. E la strada dalla panetteria al parco Perche era abbastanza lunga…

Quando erano finalmente riusciti ad uscire indenni da Parigi, i soccorritori avevano dovuto raggiungere le profondità del parco. Con molta cautela avevano dovuto mettere in sicurezza ogni singola pietra prima di procedere, per non rischiare che spostandone una di troppo, cadesse addosso ai ragazzi tutta la montagna.

Un nuovo accesso di singhiozzi le scosse il petto. Parigi in balia di un mostro, e non un mostro qualsiasi, suo padre. Il suo papà! Buono, dolce e col profumo di pane sulle mani! Reso un mostro da una maledettissima akuma! E Ladybug non era lì per proteggere lui e la città…

Ladybug non ci sarebbe mai più stata.

Non appena aveva raggiunto il pullman, Marinette aveva afferrato la borsa con gesti frenetici, ma il panico si era scatenato già non appena aveva visto che era aperta sul sedile.

“Ho preso il tuo cellulare sperando di poterlo utilizzare per telefonare, per chiamare aiuto…” aveva detto Alya in tono di scuse, porgendole l'oggetto, convinta che stesse cercando quello.

“Tikki! Dov’è Tikki?” aveva esalato Marinette in preda alla paura.

“Cosa cerchi? È tutto lì quello che c’era nella tua borsa…”

No, non era tutto lì, ma ad Alya non poteva spiegarlo. Tikki era sparita, e non aveva nemmeno la più pallida idea di dove fosse o chi potesse avergliela sottratta…

E in tutto questo, di Chat Noir non c’era alcuna notizia. Perché non si era mostrato, perché non aveva provato a fermare Baguettomme?

E cosa avrebbe potuto fare lei, da sola, senza poteri, per salvare il suo papà?

Fu nuovamente scossa dal pianto, e mente Alya la stringeva più forte, la professoressa annunciò che erano quasi arrivati a Parigi. Non avrebbero raggiunto il centro della città, ma si sarebbero diretti a scuola, dove i pochi poliziotti che ancora non erano stati trasformati in pagnotte, attendevano Marinette. Dato che Baguettomme voleva lei, si stava aspettando l’intervento dei super eroi per capire cosa fare e come tenere al sicuro la ragazza, spiegò la professoressa in tono rassicurante.

Marinette non voleva essere rassicurata.

Marinette voleva solo poter tornare a vestire i panni di Ladybug, e riprendersi il suo papà.


 

*


 

La situazione era drammatica.

Adrien teneva i pugni stretti fino a conficcarsi le unghie nei palmi. Era tesissimo.

Nathalie si era precipitata a Perche in elicottero, e lo aveva prelevato come fosse un bambino che aveva combinato una marachella. Adrien era riuscito a stento a prendere la borsa dal pullman, altrimenti avrebbe perso anche Plagg!

Ma la tragedia era un’altra.

Una volta sull’elicottero, l’assistente era stata molto chiara: sua padre era furioso, avrebbe denunciato la scuola e l’intero parco, per quello che aveva rischiato. Lo avrebbero riportato a casa e lì sarebbe stato al sicuro.

Adrien strinse i pugni ancora un po’. Se non fosse riuscito ad uscire, non avrebbe potuto fermare Baguettomme come Chat Noir, ma questo non poteva certo spiegarlo a suo padre! Ansioso e protettivo com’era, non avrebbe mai accettato che suo figlio fosse l’eroe che rischiava continuamente la vita per salvare la città e il mondo dal malvagio dominio di Papillon.

E con Ladybug scomparsa, non aveva idea di cosa potessero fare Rena Rouge o Carapace, anche quando si fossero mostrati. Se anche per loro valeva lo stesso patto che Ladybug aveva con Chloè, ossia di portar loro i Miraculous al bisogno, era probabile che non ne fossero in possesso in quel momento. E quindi che, ovunque e chiunque fossero, non avessero modo di intervenire.

Ma dov’era Ladybug? Otto ore… otto ore e lei non si era fatta vedere. Che le fosse successo qualcosa? Che Papillon fosse finalmente riuscito a catturarla? Gli mancò il fiato per la paura.

E mentre lei soffriva, lui cosa stava facendo? Il cascamorto con Marinette.

Oh Marinette… come aveva potuto comportarsi così con lei?

Se ripensava a quanto era successo nella grotta – guizzo nello stomaco – riusciva a stento a credere di essere stato lui, quella persona. Aveva provato a baciarla. E meno male che le voci dei soccorritori erano giunte appena in tempo… o si sarebbe probabilmente beccato il ceffone più sonoro della sua intera esistenza.

Anche se… non riusciva a spiegarsi perché, il solo pensiero di quel momento gli procurava quel vuoto nello stomaco. Forse era la vergogna di aver perso il controllo, d’altra parte davvero erano in carenza di ossigeno là sotto, e doveva essere stato sicuramente determinante. E c’era un’altra cosa che gli punzecchiava un angolo del cervello: aveva la sensazione che Marinette non lo avrebbe respinto. Quel momento, quel fatidico momento in cui l’aveva attratta a sé, con l’intenzione di baciarla, gli era sembrato che anche lei volesse la stessa cosa…

ma anche lei era a corto di ossigeno, non dimenticarlo. Era al buio, ferita ad una caviglia, tremante, e tu hai approfittato della sua debolezza. Sei un essere disgustoso, Adrien.

E tutto questo mentre, da qualche parte del mondo, probabilmente Ladybug lo chiamava disperatamente, e soccombeva tra le grinfie del loro più temibile avversario.

Adrien sentì Plagg agitarsi dentro la tracolla, e aprì appena la cerniera per infilare una mano all’interno e accarezzargli piano la testa. Non avevano ancora avuto modo di parlare, da quando era uscito dalla grotta, ma se non fossero riusciti a trovare un modo per sfuggire alla prigionia che suo padre gli avrebbe imposto, Adrien sapeva già cosa avrebbe fatto: avrebbe rinunciato al potere dell’anello di Chat Noir.

Il mondo aveva bisogno di qualcuno che potesse essere d’aiuto, non di un ragazzino viziato e impulsivo come lui.


 

*

 

 

La situazione era drammatica.

Tikki svolazzava da una parte all’altra del minuscolo spazio che aveva a disposizione, lanciando occhiate atterrite a destra e a sinistra, in alto e in basso, in cerca di un’uscita.

“Devo tornare subito da Marinette!”

“È fuori discussione!”

“Ha bisogno di me!”

“Tikki!” proruppe il gattino. “Non senti il rumore delle pale dell’elicottero? Come pensi di poter raggiungere Marinette, buttandoti giù e svolazzando in giro?!”

“Ma lei ha bisogno di me!” ripeté la kwami, continuando a guardare verso la cerniera della tracolla, chiusa tranne che per un minuscolo spiraglio. Si avvicinò come cercando di calcolare le possibilità di passare da quella fessura.

Plagg la tirò indietro dalla buffa coda e le mise le zampine sulle spalle. “Guardami, Tikki. Guardami!” urlò per ottenere l’attenzione della collega. “Per una volta, devi fidarti di me. E di Adrien.”


 

*

 

Quando arrivarono a casa, Gabriel Agreste attendeva il figlio sul tetto, segno della sua grande preoccupazione.

“Adrien, sono lieto che tu stia bene. Ti hanno già visitato?”

“I due medici che hai mandato con Nathalie? Sì, ripetutamente.” rispose il ragazzo. “Non è stata colpa della scuola papà. E nemmeno del parco. È stato un terremoto, hai sentito no? Non c’è motivo di fare nessuna azione legale, sono cose che possono capitare…”

Lo stilista liquidò con un gesto della mano le proteste del figlio, come non avessero alcuna importanza. “Questo lo valuterò io insieme ai miei legali. Adesso ti prego di andare in camera tua, è essenziale che tu sia al sicuro. La città è sotto l’attacco di un terribile mostro, e non posso permettere che ti accada null’altro.”

Adrien si lasciò guidare da Nathalie fino alla porta della propria stanza. Per quanta voglia avesse di opporsi, la cosa più importante in quel momento era parlare con Plagg, e per farlo aveva bisogno di essere da solo.

“Vuole compagnia, preferisce che rest…”

“No, Nathalie.” tagliò corto lui, ma scusandosi subito per la risposta brusca. “È che ho bisogno di riposare. È stata una giornata pesante, per me, e ho ancora quella brutta sensazione di claustrofobia che provavo nella grotta.”

Così tanta claustrofobia che non pensavi ad altro che baciare Marinette, disse una voce gelida nella sua mente. Sentendosi ancora peggio, Adrien chiuse la porta e girò due volte la chiave, poi spalancò la cerniera della borsa.

“Plagg, ho bisogno di te, sta succedendo…”

“Zitto.” Il gattino saltò fuori dalla borsa e gli posò una zampa intimidatoria davanti. “Abbiamo poco tempo, dobbiamo sbrigarci.”

Sbalordito da quell’atteggiamento così peculiare per il proprio kwami, Adrien non riuscì a ribattere.

“Dobbiamo fare in modo che Tikki raggiunga Ladybug il prima possibile.”

Adrien strabuzzò gli occhi, e mentre cercava di dare un senso a quelle parole, un esserino adorabile, rosso fragola, uscì dalla sua tracolla. I grandi occhi blu e le macchie nere sulla testa e sul dorso non lasciavano spazio ad alcun dubbio… lei doveva essere…

…“La kwami di Ladybug!”

“Certo che è lei!” confermò Plagg, come fosse ovvio.

“Ma cos’è successo? Perché non sei con lei, e soprattutto come sei finita nella mia borsa?!”

“Non c’è tempo, Adrien!” proruppe Tikki. “Mar…Ladybug ha bisogno di me per trasformarsi, altrimenti non potrà fare nulla per quel pover’uomo akumatizzato!”

“Ti porterò da lei, costi quel che costi.” promise Adrien determinato. “Dimmi solo cosa devo fare.”

“Trasformati e scopri dove si trova Marinette.” rispose Plagg.

Adrien sbiancò. “Cosa?”

“Baguettomme è suo papà, e vuole solo ritrovarla!” spiegò Tikki nervosamente, “Significa che dovunque sia Marinette, ci sarà il mostro e probabilmente anche Ladybug. Portami lì, a trovarla penserò io.”

Il ragazzo annuì. “Giusto. Che stupido, per un attimo… non c’è tempo, Plagg, trasformami!”


 

*


 

Gli studenti che avrebbero dovuto raggiungere la scuola erano ora raggomitolati dietro la sagoma dell’autobus che avrebbe dovuto portarceli.

Alya teneva ancora Marinette stretta tra le braccia, mentre un uomo di pane alto più di due metri ululava il suo nome, puntando il suo bastone a forma di Baguette e sparando in ogni direzione pericolosi raggi magici.

Bastava esserne sfiorati per tramutarsi in una pagnotta.

“Lasciami andare, Alya! Vuole me.” gridò ancora una volta Marinette. “È mio padre, non mi farà del male!”

“Non posso! È troppo pericoloso!” protestò l’amica, tenendola stretta, con l’aiuto di Nino e di Kim.

La voce alle loro spalle li fece sobbalzare. “Per una volta sono d’accordo con i tuoi amici, Marinette.”

Marinette pensò che non aveva mai gradito quel suono come in quel momento. “Chat Noir!” sussultò, voltandosi, insieme agli amici.

Il super eroe non la guardò, ma si rivolse ad Alya “Puoi lasciarla a me, non ti preoccupare. Mettetevi al sicuro. Io e Ladybug risolveremo questo pasticcio in men che non si dica.”

Marinette avvertì una fitta allo stomaco. Avrebbe dovuto dirgli che…?

“Vieni.” le disse lui prendendola in braccio, e saltando sul tetto più vicino. “Io e Ladybug abbiamo avuto dei problemi, oggi, come puoi intuire. Dobbiamo darle il tempo di ricongiungersi con la sua kwami, la sua…”

Marinette sbarrò gli occhi. “Tu sai dove si trova la sua kwami?”

Fraintendendo la domanda, Chat Noir saltò sul tetto vicino e rispose “Di solito no, ma oggi era con me.”

L’ennesimo ululato del mostro che era stato un abile panettiere li fece nascondere dietro un comignolo.

“Riesci a restare nascosta qui? Io prendo tempo. Non so quanto ce ne vorrà a Ladybug per entrare in azione…”

La ragazza annuì convinta. “Non ti preoccupare, Chat Noir, non mi muoverò da qui.”

Lo guardò allontanarsi in rapidi balzi e con una gioia ruggente in cuore, chiamò “Tikki!”

La coccinella, essendo rimasta sempre molto vicina a Chat Noir, la raggiunse in un baleno.

“Marinette!” gridò, fiondandosi tra le sue braccia. “Forza, non perdiamo tempo! Andiamo a salvare tuo papà!”

“Sì! Tikki, trasformami!”

La meravigliosa scarica d’energia che le infondeva avere l’essenza della sua kwami unita alla propria l’attraversò e la fece sentire, forse per la prima volta in quella giornata, di nuovo sé stessa. Non appena il rituale fu terminato, lanciò lo yo-yo e si affrettò a raggiungere il punto in cui Baguettomme stava trasformando in mollica i palazzi che lo circondavano, cercando di centrare uno sfuggente Chat Noir.

“Ehi, gattino, ti sono mancata?” gridò, ridendo di pura gioia selvaggia, mentre atterrava accanto a lui su un camion dei pompieri. Si era però dimenticata della caviglia infortunata, e fece una smorfia di dolore, solo in parte coperta dalla maschera. Lui, comunque, sembrò non farci caso.

“Bentornata, mia signora!” Gli occhi del collega s’illuminarono infatti di gioia. “Le persone importanti si fanno attendere, ma non ti sembra di esagerare?”

“Diciamo che quando questa storia sarà finita, dovrai darmi qualche spiegazione sul perché Tikki si trovasse con te.” L’eroina mise i pugni sui fianchi fingendosi offesa, e lui si strinse nelle spalle.

“Non sei l’unica in cerca di spiegazioni, fidati. Ma che ne dici di risolvere prima questa faccenda?”

Chat Noir la spostò all’ultimo istante da un pericoloso fascio di luce, tirandola verso di sé perchè non diventasse una bella forma di pane tonda. Averla così vicino gli ricordò come un pugno la sensazionedi poco prima, quando aveva avuto Marinette tra le braccia per metterla in salvo, e di ancora un po’ prima, quando invece l’aveva avuta tra le braccia per tutt’altro motivo, e sentì di nuovo le viscere aggrovigliarsi.

Si allontanò di scatto da lei. “Mentre io lo distraggo, tu usa il tuo Lucky Charm!”

Ladybug lo osservò perplessa. E dire che generalmente Chat Noir non si faceva scappare nessuna occasione per flirtare con lei…

Concentrati, Marinette, si disse.

“Lucky Charm!”

Lo yo-yo prese a volteggiare, e con uno sbuffo rosso materializzò tra le sue mani… una fotografia.

Una fotografia?!

Eppure, le bastò guardarla per capire cosa farci.

“Chat Noir!” gridò, saltando da una superficie all’altra per raggiungere il padre. “L’akuma sta nella baguette. Sarò io a distrarlo, tu pensa a romperla!”

“Va bene, milady!”

Quell’appellativo la congelò sul posto, un secondo prima che spiccasse l’ultimo salto. Si girò a guardare il compagno di diverse battaglie e un dubbio le attanagliò le viscere… possibile che…

Ci penserai dopo. Forza, Chat Noir si farà male se non distrai papà!

“Ehi, Baguettomme!” chiamò a gran voce, afferrando con lo yo-yo il braccio del mostro e sfruttando la presa per atterrarci sopra. Gli saltò in spalla, mentre lui cercava di cacciarla via come fosse un insetto. Ma lei gli piazzò davanti alla faccia qualcosa che lo avrebbe sicuramente attirato. “Guarda qui! Riconosci le persone in questa foto? Si, siete tu e la tua bambina, Marinette. Cosa stai facendo, Tom? Tutti sappiamo quanto bene vuoi alla tua piccola, e ora lei è nascosta da qualche parte, terrorizzata.”

Gli occhi dell’uomo di pane erano fissi sulla foto che lei teneva tra le mani, e non si accorsero dell’arrivo di Chat Noir.

Cataclisma!”

Ladybug si voltò appena in tempo per vedere la baguette andare in mille pezzi, e l’akuma volare via.

“Niente più malefatte, piccola akuma! Ladybug sconfigge il male!” esclamò gioiosa. “Presa! Ciao, ciao farfallina…”

Poi, lanciando in aria la foto, completò l’incanto. “Miraculous Ladybug!”

E tutto tornò come prima. Come quella mattina, quando ancora Parigi era un posto sicuro e suo papà l’uomo buono che era sempre stato. Accovacciato a terra, il panettiere non riusciva a capacitarsi di quanto era accaduto.

“Ben fatto, Chat… Chat Noir? Dove sei?!” L’eroina si guardò intorno spaesata, ma del collega non c’era nessuna traccia.

Si era comportato in modo strano quel giorno, lo aveva pensato anche quando era stata con lui come Marinette. Di solito era amichevole e gentile, ma poco prima aveva ostentatamente rifiutato di incrociare i suoi occhi. Il che non aveva alcun senso, considerando che con Ladybug si era comportato in modo quasi normale.

La ragazza si strinse nelle spalle e si affrettò ad accucciarsi dietro una macchina per riprendere le proprie sembianze e poter finalmente abbracciare il papà.


 

*


 

Sospirando, Marinette si lasciò finalmente cadere sul letto. Era stata una delle giornate più lunghe e più emozionanti della sua vita, ma tutto era finito bene. Circa.

“Mi dici che ci facevi con Chat Noir?”

Tikki esitò, restia a mentire alla sua adorata Marinette. “Ero con Plagg, il suo kwami.”

“Ah, qui c’è qualcuno che non mi ha detto tutto! Eri con Plagg, allora. E com’è, questo Plagg?”

La coccinella sprofondò nel cuscino accanto a lei. “Beh è tutto nero, con degli enormi occhi verdi, ama il formaggio ed è insopportabilmente irritante.”

Marinette rise e lei capì cosa stava pensando. “Oh no, non è assolutamente come pensi tu! Ci conosciamo da secoli, io e Plagg!”

“C’è una cosa che non capisco.” tornò seria la ragazza. “Io ti ho lasciato sul pullman della scuola. Ora tu mi dici che eri con Plagg… significa che anche lui era sul pullman?”

Tikki boccheggiò. “No, ecco, Chat Noir, eh lui…”

Marinette annuì. “Ho capito, Chat Noir dev’essere stato in quella zona? Ma per caso è una guardia del parco?”

La kwami la guardò incredula. Tanto brillante certe volte, tanto ottusa altre…

Marinette si accucciò su un fianco. Considerato chiuso l’argomento, si sentiva semplicemente lieta che Tikki fosse di nuovo con lei. Papà stava bene, al piano di sotto guardava la TV con la mamma, ripetendo di tanto in tanto “Mannaggia, mannaggia, cos’ho combinato, meno male che Ladybug mi ha salvato.”

Era arrivato il momento che aveva cercato di evitare e di rimandare per tutta la giornata.

Adrien.

“A cosa pensi?” la coccinella le si accoccolò accanto alla fronte. “Non sembra una cosa bella.”

“Ecco… non so cosa sia successo oggi con Adrien.”

“Che vuoi dire? Intendi perché sia caduta quella parete di roccia, o cosa ha causato il terremoto?”

Lei scosse il capo. “È quello che è successo dentro la grotta che non capisco.” Dopo un sospiro, si accinse a continuare. “All’inizio lui era la persona premurosa ma distaccata di sempre. Invece, quando siamo rimasti soli là dentro… è cambiato. Era… era un po’ come Chat Noir. Flirtava con me.”

Se i kwami avessero potuto sbiancare, Tikki l’avrebbe fatto. Fortunatamente, la ragazza era troppo presa dai ricordi per notarlo.

“Mi ha chiamata perfino milady… ti rendi conto? Io non riesco a credere che lui possa…”

“Possa, cosa?” la esortò la coccinella, incredula che finalmente la sua umana avesse fatto i dovuti conti.

“Possa pensare di copiare lo stile di Chat Noir per essere attraente!”

Tikki rotolò giù dal letto. La ragazza parve non accorgersene e continuò “Lui è già perfetto così com’è, non ha bisogno di fingersi diverso.”

“Marinette,” cominciò la kwami, rassegnata. “magari Adrien è fatto così, magari non te n’eri mai accorta perché fino a questo momento lui non aveva voluto far colpo su di te.”

Lei abbassò il capo e sprofondò con la testa nel cuscino. “È questo il punto. Sono convinta che lui non volesse far colpo su di me. Secondo me stava solo provando qualche tecnica per vedere se funzionava. Per provarla poi sulla ragazza che gli piace, quella di cui parlava sul pullman.”

Tikki si batté una zampa sulla fronte. “Se lo dici tu.”

“Quando sono arrivati i soccorsi, si è distaccato completamente da me. Mi ha tenuta a distanza e si è comportato in maniera perfino più fredda del solito. È evidente che qualche momento prima stesse recitando…”

L’altra non ribatté. Afferrò un lembo del lenzuolo e lo tirò su fino a coprire la sua adorata umana. “Dormi, amica mia. Te lo sei meritato. Se continui a pensarci ti si fonderà la testolina.”


 

*


 

“Non posso credere che tu abbia accettato di rimanere chiuso in camera, oggi.”

Adrien sospirò. “Va bene così, Plagg. Se salto un giorno di scuola non fa niente. Avevo bisogno di esercitarmi al pianoforte, esercitarmi davvero intendo.”

Addentando un triangolo di formaggio particolarmente gustoso, il kwami dovette aspettare di liberarsi la bocca quel tanto che bastava a parlare. “E invece il vero motivo qual è?”

Il ragazzo crollò sul divano, incassando la testa tra le spalle. “Non voglio vedere Marinette.”

Plagg restò interdetto, non aspettandosi quella risposta. “Pensavo ci tenessi alla sua amicizia… hai litigato con lei?”

“No.”

Adrien non disse altro. Accese la televisione e mise un videogame sparatutto, sperando di distrarsi abbastanza per non pensare a lei. Ovviamente, la monotonia dei movimenti del gioco, che tra l’altro conosceva a memoria, non fece altro che favorire il fluire dei pensieri.

Provava un’attrazione ormai solida per Ladybug, la compagna con cui aveva sconfitto più nemici di quanti potesse contarne. Lei gli aveva salvato la vita, e lui aveva fatto lo stesso. C’erano tanti momenti che gli tornavano alla mente con lei, momenti nei quali era bastato uno sguardo per leggersi nella mente, momenti in cui si erano mossi come se fossero guidati da un unico cervello, momenti in cui la sintonia tra loro era stata letteralmente magica… ma lei aveva ragione, quando diceva che in fondo non si conoscevano. Quello che c’era tra loro era un legame istintuale e profondo, tuttavia, in un certo senso, anche superficiale. Avrebbe voluto un’occasione per conoscerla meglio, ma finché non avessero deciso di rivelarsi le reciproche identità, era certo che non potessero superare quell’impasse.

E poi c’era Marinette.

Al contrario di Ladybug, di lei avrebbe saputo facilmente dire la canzone preferita, il cantante che ascoltava quando era triste e la musica che metteva quando era allegra; sapeva cos’avrebbe fatto nella maggior parte delle situazioni e al contempo non smetteva mai di sorprendersi di quanto fosse pasticciona.

Incredibilmente sorrise, guadagnandosi uno sguardo sempre più perplesso di Plagg.

Dal giorno prima, per una strana ironia della sorte, anche lei gli aveva salvato la vita…e il giorno prima, lo stesso giorno, aveva provato a baciarla.

Perché lo aveva fatto? Ed ecco il solito groviglio nello stomaco, ormai si stava abituando a sentirlo.

Se era davvero innamorato di Ladybug come credeva di essere, come aveva potuto provare delle emozioni così forti il giorno prima con la sua amica Marinette?

Amica

Avrebbe ancora potuto pensare a lei utilizzando quella parola?

Adrien non ne era più così sicuro.

Sapeva che c’era una domanda, nel profondo del suo inconscio, che andava formandosi, e stava facendo di tutto perché rimanesse lì, per non pensare quelle fatidiche parole… eppure ogni istante che passava era più difficile evitare che emergessero.

Una cosa era certa, gli occhi blu avevano su di lui un effetto disarmante.





Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felice milioni di scrittori.



 

Cantuccio di Silverphoenix: Ciao a tutti! Scusate se vi ho fatto attendere per questo terzo capitolo, ma ieri ho avuto un esame all'università che mi ha impedito di dedicare molto tempo alla scrittura... spero di aver rimediato con questo! Il quarto e ultimo arriverà a brevissimo, promesso! Fatemi sapere cosa ne pensate, mi raccomando eh!! =P a proposito.... grazie per le bellissime recensioni!!! ps. come avrete capito, ciò a cui facevo riferimento all'inizio del capitolo con l'asterisco era il fatto che Marinette e Adrien in questa storia vedono per la prima volta i kwami dell'altro. Ho preferito non modificare questo dettaglio perché mi piacevano molto le due scene a riguardo (quella in cui Adrien vede Tikki e quella in cui la stessa Tikki descrive Plagg alla sua Ladybug!)
A presto! Silver

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3822635