Legami fra le stelle

di mattmary15
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spazio: Ultima frontiera ***
Capitolo 2: *** Legami ***
Capitolo 3: *** Salto nel buio ***
Capitolo 4: *** Terra - Prima Parte ***
Capitolo 5: *** Terra - Seconda Parte ***
Capitolo 6: *** Capitani ***
Capitolo 7: *** Pericoli nello spazio ***
Capitolo 8: *** Il tutto per tutto ***
Capitolo 9: *** Lo spazio in cui il tempo si ferma ***



Capitolo 1
*** Spazio: Ultima frontiera ***


Prologo

Spazio: Ultima frontiera.

 

‘L’oscurità è un posto come tanti altri.’

Questo gli aveva detto Pike prima di dirgli che per lui c’era ancora speranza, che non doveva finire in una specie di riformatorio per colpa di quel suo carattere irrequieto e ribelle.

Ora, mentre le apparecchiature elettroniche si spegnevano una dopo l’altra, mentre il sangue dalla ferita al fianco saliva verso la paratia superiore del piccolo incrociatore invece che colare verso il basso, Jim guardò fuori e si rese conto che non appena anche la luce dell’indicatore del carburante si fosse spenta, si sarebbe ritrovato in quella stessa oscurità dalla quale aveva cercato di fuggire.

Il respiro si fece lento. A dispetto di ciò che dava a vedere a tutti e di ciò che tutti pensavano di lui, aveva paura di morire. La luce del segnalatore del carburante si spense. 

Il buio lo avvolse. Allungò una mano verso il vetro del grande oblò di prua senza raggiungerlo.

L’oscurità non era un posto come tutti gli altri.

Era il posto dove tutto finiva.

Si sentì esausto. Cosa doveva fare? Chiudere gli occhi e arrendersi? Aveva altra scelta?

La navicella se lo stava portando alla deriva. Chiuse gli occhi. L’oscurità non era sua nemica. Forse la sua ultima amante.

Si lasciò cullare dall’assenza di gravità e di rimpianti e sorrise.

 

Capitolo I

Scambi

 

Bones sollevò gli occhi al cielo.

“Per l’amore del cielo. Volete prendere questa cosa seriamente?” James continuava a ridere mentre Spock cercava di rimanere impassibile. Leonard invece agitava entrambe le mani.

“Dottore si calmi. La capacità del capitano di tendere i nervi dei suoi sottoposti è proverbiale ma ha capito perfettamente, mi creda.” Spock si sforzava di tranquillizzare Bones.

“Quando avrai finito di ridere, ne riparliamo Jim.” Disse il dottore sedendosi alla sua scrivania e versandosi da bere. Kirk si asciugò l’angolo di un occhio che aveva lacrimato per le forti risate e prese un lungo respiro. 

“Ok, Bones, sono serio. Ripeti tutto daccapo.”

“Due settimane fa sono stato al laboratorio della confederazione per fare analizzare alcuni campioni raccolti durante l’ultimo viaggio della Enterprise. Devo averli invertiti con quelli di un’altra nave. Me ne sono accorto solo quando sono tornato a bordo. Nei campioni c’è qualcosa che non va. Nelle provette c’è una sostanza che rigenera le cellule in modo anormale.” 

“Dottore,” intervenne Spock “a parte l’esempio già illustrato che tanto ha fatto ridere il nostro capitano su piselli giganteschi e su piante che crescono incontrollate, in che senso i campioni sono anormali?”

“Qualcuno che mi prende sul serio! Le cellule originali sono resistenti alle radiazioni e, anche se sottoposte a pesanti traumi, si ricompongono sempre. Ed erano fagioli, non piselli.”

“A quale genia appartengono? Sono terrestri?” Lo incalzò Spock mentre Kirk congiungeva le mani sotto al mento dimostrando di avere compreso il peso delle parole dell’amico.

“Di base. C’è però qualcosa che non é, come dire, umano. Una forza cellulare di quel tipo é più vulcaniana o romulana che terrestre. Un uomo con quel sangue sarebbe, come posso spiegare, un super uomo. E per di più è chiaramente un prodotto sintetizzato. Qualcuno sta creando super uomini.”

“O super soldati.” Intervenne per la prima volta Kirk.

“É esattamente quello che mi preoccupa.” Fece McCoy bevendo l’ultimo sorso del suo drink. Kirk batté entrambi i palmi sul tavolo e scattò in piedi energico come al suo solito.

“Dobbiamo darci da fare, allora. Scopriremo da dove vengono i campioni. Leonard, noi due torneremo al laboratorio e scopriremo da quale nave venivano.”

“Dissento.” Intervenne Spock. “Se la confederazione sta facendo degli esperimenti con del materiale sintetico, avrà le sue buone ragioni. Probabilmente, dottore, lei ha alterato esperimenti importanti e magari top secret. Non dovreste interferire oltre.” Bones schizzò in piedi allargando le braccia.

“Non mi sembra che fare degli esperimenti sugli esseri umani sia mai stato reso un affare legale. Su alcuna specie!”

“Questo è vero ma ogni logica porta a pensare che la federazione non eseguirebbe mai test illegali su esseri umani o umanoidi. Che interesse ne trarrebbe?”

“Stiamo perdendo tempo.” Jim era risoluto come suo solito. “Torneremo ai laboratori e metteremo i campioni a posto così lei sarà contento, Spock. Nel frattempo prenderemo tutte le informazioni che possiamo sulla loro provenienza. Così sarà contento anche lei, dottore. Ora posso bere il mio drink in pace?” Stava per portare il bicchiere alle labbra che il cicalino sulla scrivania di Bones trillò.

“Dottore, qui Scott. C’è il capitano da lei?” Jim sospirò e rispose.

“Qui Kirk, che c’é Scotty?”

“Devi venire subito. Hanno scambiato le bobine del propulsore dell’Enterprise. La bimba non si muoverà di un millimetro con quelle che hanno portato. Chi è il responsabile di questo pasticcio?” La voce alterata del capo della divisione ingegneria della USS Enterprise grattò nell’interfono.

“Stia calmo, Scotty, arrivo.” Kirk si alzò e sospirò di nuovo. 

“Se questa é la licenza, non vedo l’ora che ricominci il servizio attivo!” Kirk lasciò la stanza di McCoy. Se avesse potuto far sbattere la porta, lo avrebbe fatto. Il sibilo provocato dallo scorrimento del freddo metallo, non rese lo stato d’animo di Jim.

“Non mi piace quando dice queste cose.” Tagliò corto Leonard.

“Il disappunto di Jim è illogico. Il suo compito é quello di supervisionare ogni cosa sulla nave. Dovrebbe delegare di più. Non spetta al capitano di una nave verificarne l’equipaggiamento. Il signor Scott non dovrebbe chiamarlo per questo genere di cose.”

“E a chi dovrebbe delegare?  Provi lei a fare ragionare Scotty.”

“Io sono il responsabile del comparto scientifico. Ci sono molti ingegneri sulla nave, dottore.”

“Nessuno dotato di ciò che serve per tenere a bada Scott.” Spock piegò appena la testa di lato con fare interrogativo. Bones precisò.

“Amicizia. Ne ha mai sentito parlare, signor Spock?”

“La risposta, suo malgrado, é sì.” Il vulcaniano fece un cenno col capo e uscì dalla stanza.

 

La faccenda era più grave del previsto. Scotty era furioso. Quando Kirk lo raggiunse, aveva già cacciato mezza dozzina di magliette rosse dal ponte motori.

“Incompetenti. Qui nessuno sa niente di niente. Come si fa a sbagliare il modello di bobina per il propulsore? E il nucleo di curvatura! Sembra settato da un dilettante! Equazioni sbagliate! C’é qualcuno su questo dannato ponte che abbia mai aperto un libro di fisica?”

“Signor Scott, mi aggiorni! Qual é il problema?” Esclamò Jim cercando di distrarlo dal ritornello che probabilmente ripeteva da ore.

“Eccolo il problema!” Esclamò indicando due grossi contenitori metallici in cui facevano bella mostra di sé due pezzi identici di un motore.

“Non vanno bene per l’Enterprise?” Scott alzò gli occhi al cielo.

“No che non vanno bene. Non si vede?” Urlò facendo spallucce. Jim sorrise e avrebbe voluto confessargli che in effetti era così. Non tutti lo avrebbero capito ad occhio. Per fortuna non fece commenti perché sul lato superiore del contenitore c’era un numero di matricola che, chiaramente, non era quello dell’Enterprise.

“Va bene.” Fece Jim mettendo entrambe le mani sui fianchi. “Diamoci da fare. É inutile recriminare. Informerò il personale di terra che c’è stato un errore nella consegna.”

“Un errore! Sai quanto tempo ci farà perdere questo ‘errore’ come lo chiami tu?” Il capitano scosse la testa e stavolta azzardò una risposta.

“Due giorni?” La faccia di Scott divenne tutto un programma. Kirk pensò di averla fatta grossa. Probabilmente un inconveniente del genere avrebbe ritardato la partenza della nave di settimane. Scotty rise fragorosamente.

“Con chi pensi di avere a che fare? Se me le consegnano in serata, domattina saremo pronti.” Jim avrebbe voluto urlare che era stato un pazzo a far scoppiare un casino come quello per una cosa ridicola ma tacque. Prese il pad con la bolla di consegna e si girò rassegnato per tornare di sopra ma, nel farlo, finì addosso a Spock. Il primo ufficiale lo trattenne per le braccia evitandogli una caduta. Fu in quel momento che Jim lo sentì. Come una specie di brivido salirgli dai gomiti fino alla fronte. La sensazione gli diede un capogiro che gli fece cedere le gambe. Spock, stavolta, non lo resse. Come se anche il comandante avesse preso la scossa, lasciò andare gli avambracci di Jim che rovinò al suolo. Il vulcaniano lo guardò a terra con gli occhi sbarrati e chiese scusa.

“Mi perdoni, capitano. Riesce ad alzarsi?” Jim sollevò il capo e fissò i suoi occhi blu in quelli scuri di Spock.

“Ma che diavolo, Spock!”

“Chiedo scusa. Necessita di ausilio per alzarsi?” Jim scosse il capo rimettendosi in piedi.

“Scusi lei, andavo di fretta.”

“Dia a me quel pad. Mi occuperò io dell’increscioso inconveniente del reparto ingegneria. In fondo sono più idoneo di lei a risolvere questa situazione. Lei dovrebbe usare le poche ore di licenza che le rimangono per riposare.”

“Ho riposato a sufficienza, Spock.”

“Quando? Siamo arrivati sulla Terra cinque giorni fa. Dopo la festa a casa dell’ammiraglio Pike, c’è stata la questione dei rapporti arretrati, poi è stato impegnato con l’inventario, poi ha risolto il problema del passaporto della famiglia del signor Sulu, ieri ha presenziato ad una lezione dei nuovi cadetti dell’Accademia spaziale, contro il mio parere peraltro, e oggi questo. Non aveva detto che voleva andare a pescare?”

“Lo farò la prossima volta.”

“La prossima volta. Lo ha detto anche l’ultima volta che siamo stati qui. Si prenda la giornata libera. Mi occupo io del signor Scott.” L’idea che qualcuno si prendesse la rogna che aveva per le mani sembrava a Jim un dono del cielo. Allungò il pad e lo lasciò nelle mani di Spock. Nel farlo, sfiorò involontariamente il polso del comandante e la sua mente si riempì dell’immagine di un deserto battuto da forti venti. Rimase immobile a contemplare la bellezza di quel luogo fino a che la voce di Spock non lo scosse.

“Jim.” Non capitava spesso che Spock lo chiamasse per nome. Lui si era preso spesso quella libertà ma l’altro non ricambiava la cortesia quasi mai. Il tempo aveva insegnato a Kirk che quel comportamento faceva parte del retaggio degli insegnamenti di Vulcano.

“Spock, é strano.”

“Cosa é strano?” Jim parve sul punto di dire qualcosa, le labbra carnose appena aperte nell’atto di pronunciare una parola.

“Niente.” Disse soltanto. “Forse hai ragione. Occupati tu della sostituzione. Io prendo congedo per il resto della giornata.”

Spock lo seguì con lo sguardo fino all’elevatore con più preoccupazione nello sguardo di quella che lo aveva portato a seguirlo fino a quel momento.

 

Jim si buttò sul prato dell’Accademia della confederazione con le mani dietro la testa, la giacca dell’uniforme sbottonata. Guardò il cielo riempirsi per qualche istante di nuvole poi trascinate via dal vento. Il cielo era lo stesso che solcava con l’Enterprise eppure sembrava così diverso. Carico di promesse. Spesso, a bordo della sua nave, si era scoperto a pensare che la profondità del cosmo, affascinante e gelida, un po’ gli faceva paura. Era oscura come la soffitta della casa da cui scappava in cerca di libertà ogni volta che ne aveva l’occasione.

In quel momento invece, la luce del sole conferiva a quel cielo uno splendore strepitoso. Jim sentiva il calore sul volto e sorrise chiudendo gli occhi. Un momento di pace. Fu per quello che le voci aggressive che provenivano dal viale principale lo infastidirono. Si tirò sui gomiti e vide tre cadetti accerchiare un uomo alto e magro che sembrava non avere alcuna intenzione di attaccare briga con loro.

“Sparisci amico!” Lo minacciò uno.

“Non sono tuo amico.” Rispose l’uomo alzando entrambe le mani. Jim si alzò ma non si mosse.

“Allora sparisci, straniero.” A queste parole, pronunciate dall’altro cadetto, Jim prese a camminare.

“Il mio obiettivo é la biblioteca. Non ci sono restrizioni agli studenti, giusto?” Fece quello, mantenendo sempre le mani alzate, i palmi aperti verso i suoi interlocutori.

“Forse ci sono restrizioni per quelli come te. Sei romulano, vero?” Chiese il terzo cadetto. James capì. La ferita aperta da Nero in seno ai membri della confederazione era ancora troppo dolorosa per non comprendere le emozioni e la rabbia di quegli studenti. James però non poteva sopportare l’intolleranza. L’esperienza gli aveva insegnato che l’intolleranza era la prima e più feroce forma d’odio. Non si sbagliava neppure questa volta. Vide uno dei cadetti prendere qualcosa dalla sua borsa. Gli fu addosso prima che l’uomo con le mani alzate si voltasse.

“Non farlo, non ti conviene.” La voce di Kirk era sfrontata come il suo sorriso. Il cadetto lo riconobbe subito.

“Capitano Kirk!” A sentire il nome di Kirk, gli altri due studenti fecero un passo indietro. L’uomo alto e magro si voltò e abbassò le mani.

“Capitano, gliene dica lei a questo romulano!” Esclamò il ragazzo che sembrava il più giovane dei tre.

“Mi chiamate capitano. Sapete perciò che sono un capitano della confederazione e Romulus fa parte della confederazione. Ha tutto il diritto di accedere alla biblioteca.”

“Quindi è accorso in suo aiuto, capitano?” Disse sprezzante l’altro cadetto. Kirk rise. Una di quelle risate gioiose e calde che tanto lo avevano reso famoso.

“Sono venuto in vostro aiuto.”

“Ma se si era arreso!”

“Sbagliate a credere che avesse le mani alzate in segno di resa. Un altro affronto e vi avrebbe stesi. Tutti e tre.” Jim notò che l’uomo al centro della diatriba aveva accennato un sorriso malizioso. “Sparite adesso. Prima che vi faccia rapporto.” I tre cadetti non se lo fecero ripetere due volte.

“Credevo che lei non amasse ‘fare rapporto’.” Disse l’uomo facendo un cenno col capo in segno di ringraziamento.

“Questo lo ha letto nei rapporti su di me?” Chiese Jim sinceramente incuriosito infilando le mani in tasca.

“La sua fama la precede, capitano Kirk.”

“Ma non mi dica! E lei sarebbe?”

“John Harrison, piacere.”

“E, mi faccia indovinare, non è romulano.” John sorrise.

“Ha indovinato.”

“Mi dispiace per l’atteggiamento dei cadetti.”

“Sono conscio del mio aspetto, capitano. Somiglio più ad un romulano o ad un vulcaniano che ad un terrestre.”

“Non si butti via così!” Scherzò Jim facendogli un occhiolino e prendendo a camminar al suo fianco. John rise.

“Se gli standard umani sono i suoi, Kirk, sono semplicemente obiettivo.” Kirk, non seppe esattamente perché, si sentì arrossire. Era abituato a ricevere complimenti sul suo aspetto fisico eppure si sentì in difficoltà. L’altro se ne rese conto. “Non é comunque il suo aspetto quello che la distingue, capitano.” Stavolta Jim rispose di getto.

“Ah no?” L’uomo scosse il capo.

“É il suo carisma. Quei cadetti non hanno messo in dubbio la sua parola neppure per un momento. Un uomo come lei si ama o si odia, temo.”

“Non sa quanto ha ragione, signor Harrison. Anche se suscito l’odio più facilmente.” L’uomo si fermò costringendo Jim a fare altrettanto.

“Amore e odio sono due facce della stessa moneta. Lo ricordi prima di lasciarsi andare con troppa intensità ad uno dei due sentimenti.”

“Anche lei deve essere un tipo interessante, vero?”

“Appartengo alla schiera dei dimenticabili, credo. Io devo andare da quella parte. Ci rivedremo.”

“Davvero?” 

“Temo di sì.” Jim rise.

“Allora mi odia anche lei! E mi ha visto solo una volta.” John Harrison gli tese una mano.

“Non mi sbaglio quando classifico una persona e lei è uno che porta guai, capitano Kirk. Non se la prenda per il mio giudizio. E si ricordi delle due facce della moneta.” Jim strinse la sua mano un po’ titubante. L’ultima volta che aveva toccato Spock aveva preso una specie di scossa. Non accadde niente di simile.

L’uomo si girò e camminò fino a sparire dietro l’edificio delle federazione. Jim scosse il capo.

“Che razza di individuo!” Disse dando voce ai suoi pensieri. Prese la direzione degli hangar deciso a tornare a bordo dell’Enterprise. Se voleva aiutare Bones a rimettere a posto quei campioni per cui il dottore era tanto preoccupato, doveva farlo quella stessa sera. La licenza era quasi finita.

 

Spock si disse che non era niente. Che quello strano formicolio che sentiva sulla punta delle dita delle mani era del tutto naturale. Quello che non riusciva a considerare naturale e tantomeno logico era che, toccando Jim, aveva visto un deserto. Non il suo. Era un deserto spezzato da profondi canyon. Scosse la testa. Doveva essere il riflesso di un suo ricordo tornato improvvisamente nei suoi pensieri. Si sforzò di ricordare dove fosse. Quale parte del deserto vulcaniano era intervallato da quei profondi squarci nel terreno. La voce di McCoy lo riportò al presente.

“Signor Spock che ci fa nel mio ufficio?”

“Ho pensato che lei e il capitano avreste tentato di introdurvi nel laboratorio della federazione stanotte e, poiché sono convinto che senza un’adeguata supervisione finireste per mettere voi e tutto l’equipaggio dell’Enterprise in quelli che voi definireste grossi guai, è mia intenzione fare quanto mi è possibile per evitarlo.”

“Poi dicono che sono io il pessimista.”

“Si tratta di mero calcolo delle probabilità dottore.”

“Non stento a crederlo! Comunque Jim non è ancora arrivato e non so se ha risolto i problemi di Scott.”

“Riguardo a quelli, li ho risolti io stesso.” Bones sollevò un sopracciglio.

“Sul serio?”

“Perché non avrei dovuto?”

“Perché, e cito testualmente, ‘non sono problemi degli ufficiali della nave. Ci sono ottimi ingegneri sull’Enterprise!’”

“Questa argomentazione non ha avuto alcuna efficacia sul capitano pertanto me ne sono occupato io stesso. Questo è stato più convincente. Ha idea di dove sia adesso?” Bones scosse il capo e tirò un lungo sospiro lasciandosi cadere sulla sua poltrona.

“Forse non avrei dovuto parlare a Jim dei campioni.”

“Questa sua affermazione non ha alcun senso. Ha riscontrato un errore nelle procedure di esame dei campioni e ha avvisato il capitano come previsto dal regolamento della nave.”

“É stato ingenuo da parte mia parlargliene sperando che non reagisse senza infrangere le regole della federazione. E se ci scoprono?”

“Per questo motivo sono qui. Conosco i laboratori meglio di lei, McCoy.” Mentre ancora discutevano, la porta si aprì e Jim entrò con il suo solito passo deciso. La presenza di Spock non lo sorprese.

“Se é qui per farci desistere, sappia che ho già in mente un piano.” Spock con un passo gli fu di fronte.

“Non sono qui per questo.” Jim fece un’espressione incredula che costrinse Spock a continuare. “Ritengo di essere la persona più adatta ad entrare ed uscire dal laboratorio non visto e con i dati che lei ritiene indispensabile acquisire, capitano.” Jim incrociò le braccia sul petto e mise su un sorrisetto malizioso.

“Lei infrangerà la legge, Spock?”

“Lo farò.”

“Non le importa cosa potrebbero pensare di lei se ci scoprissero?”

“Dirò che ho eseguito gli ordini del mio capitano.” Jim lo guardò dritto negli occhi e se non avesse saputo che i vulcaniani non si perdono in dispute verbali, avrebbe detto che l’espressione di Spock era di pura soddisfazione.

“Mi sta bene. Bones prendi i campioni. Andiamo.”

Uscirono dall’hangar della Enterprise e raggiunsero i tornelli elettronici dell’edificio della confederazione. Spock digitò qualcosa su uno dei pad esterni e uno dei tornelli si aprì per farli passare. Jim li guidò lungo un corridoio laterale e poi su per una scala di emergenza che li condusse fino ad una balconata prospiciente ai laboratori. 

“Come entreremo nei laboratori da qui?” Chiese Bones che soffriva l’altezza.

“C’é un sensore lassù che comanda l’apertura di emergenza delle finestre.” Rispose Kirk indicando un punto parecchio più in alto che lanciava un segnale intermittente rosso e blu.

“E come pensi di arrivare lì, Jim?” Bones si portò le mani al viso. Kirk sorrise afferrando una struttura tubolare che partiva dalla balconata e si diramava fino al tetto dell’edificio. Con un’agilità invidiabile e col solito sprezzo del pericolo, Jim raggiunse il sensore e lo mise fuori uso. Le porte si aprirono tutte assieme. 

Bones si fiondò verso le macchine dalle quali aveva estratto i campioni sbagliati per rimetterli al loro posto. Spock invece entrò nei file di archivio per sapere da quale nave provenivano e verificare se ci fossero esperimenti in corso sugli stessi. Trovò tre file ma erano criptati così si limitò a copiarli e a far sparire le tracce del suo passaggio.

Una volta fuori diedero il segnale a Jim che rimise in funzione il sensore facendo richiudere tutte le finestre.

“Visto?” Li richiamò Kirk. “É andato tutto bene!” Concluse alzandosi in equilibrio sulla struttura. Si accorse all’ultimo istante di una guardia di vedetta sulla torre opposta. D’istinto si abbassò ma perse l’equilibrio e scivolò di sotto lungo la parete cercando un appiglio qualsiasi. 

Quando erano rimasti solo pochi centimetri di metallo sotto le sue mani e sentiva già i piedi penzolare nel vuoto, avvertì qualcosa con una mano e ci si aggrappò con tutte le sue forze. 

E accadde.

Di nuovo il vasto deserto si aprì davanti a lui. Il vento gli riempì di aria caldissima le narici. Si sentì soffocare prima che tutto intorno a lui vorticasse e la luce diventasse opprimente. Chiuse gli occhi per schermarsi e quando li riaprì vide prima il tenente Uhura poi se stesso. Fece fatica a riconoscersi. Jim capì che la luce fortissima che lo aveva accecato veniva proprio dalla sua figura. Si muoveva sulla plancia dell’Enterprise con una sicurezza che non aveva mai avuto. Di questo era certo. Qualcuno lo chiamò con una voce profonda e quella singola parola, ‘Jim’, suonò carica di passione. Stava per voltarsi a cercare la persona a cui apparteneva quella voce quando si accorse che si stava allontanando da quella visione. Ebbe paura di cadere e gridò.

“Spock!” Sbatté le palpebre un paio di volte prima di rendersi conto che stava penzolando giù dalla balconata e Leonard stava facendo una fatica tremenda per tenerlo. 

“Spock, dannazione! Mi scivola!” Mentre Jim si sforzava di trovare un appiglio che non c’era, si accorse che Spock era a terra e si teneva una mano stretta al petto. Il vulcaniano si alzò ugualmente e si allungò oltre la paratia per aiutare il dottore a tirarlo su.

Quando fu al sicuro, McCoy gli diede uno schiaffo sul braccio.

“Dannato! Mai una volta che non ti si debba raccattare, ricucire o somministrare un farmaco salvavita. Tu sarai la mia morte! Sappi che in quel caso dovrai pagare tu gli alimenti alla mia ex moglie!” Jim gli fece cenno di abbassare la voce poi si girò a guardare Spock.

“Stai bene?” Spock sembrava aver subito un trauma.

“Sono funzionale.”

“Che tradotto nella mia lingua vorrebbe dire?”

“In modo approssimativo bene.”

“Me lo farò bastare. Si é fatto male ad una mano?”

“Deve essersi stirato il polso per afferrarti al volo mentre scivolavi giù. Gli darò un’occhiata in infermeria. Ce ne possiamo andare da qui?” Bones era sempre più teso.

“Avete preso i dati?” Spock annuì. “Allora filiamo.”

Tornarono all’hangar per la stessa strada che avevano fatto per entrare e non ci furono ulteriori intoppi.

 

Spock si infilò sotto il getto d’acqua che altri avrebbero definito ‘bollente’. Nonostante il calore più che sufficiente a scaldarlo, tremava.

Non aveva avuto esitazione alcuna quando aveva visto Jim scivolare lungo la parete dell’edificio. Era scattato in avanti e lo aveva afferrato al volo. Nell’istante in cui aveva stretto la mano intorno alla sua però, aveva perso coscienza di sé. Una vasta distesa di terra brulla gli aveva riempito gli occhi poi non aveva visto niente altro che il cielo. Prima azzurro, poi terribilmente oscuro e sconfinato. Aveva provato terrore e aveva chiuso gli occhi. Se mai avesse pensato che fossero ricordi suoi, l’immagine di Pike che gli tendeva una mano prima e quella di McCoy che lo prendeva in giro dopo, gli avevano rivelato subito che era in atto un transfer con i pensieri di Jim. La cosa non aveva influito immediatamente sul suo subconscio. Continuava a tenere stretta la mano del capitano in quanto sapeva che se avesse interrotto il contatto, Jim sarebbe caduto di sotto. Involontariamente, lo sforzo per concentrarsi su un pensiero logico lo aveva condotto più a fondo nella mente dell’altro e si era ritrovato nella grande sala delle conferenze della federazione dove non c’era nessun altro a parte lui. Eppure non era ‘lui’. Lui guardava un altro se stesso e lo faceva con ammirazione, rispetto, quasi invidia. Era letteralmente attratto da quello Spock. Ci mise una frazione di secondo a capire che era Il modo in cui Jim lo stava guardando. Era stato troppo. Aveva dovuto interrompere il contatto con il capitano. 

Se il dottore non fosse stato lì, Jim sarebbe precipitato nel vuoto. Sentì il respiro accelerare. Sforzò ogni muscolo del suo corpo per costringersi a respirare più lentamente e riprendere il controllo.

Spinse la testa all’indietro e lasciò che l’acqua gli colpisse il viso. Doveva calmarsi. Se non ci fosse riuscito, quelle emozioni sarebbero fuoriuscite da lui incontrollate con conseguenze imprevedibili.

Chiuse l’acqua e infilò un accappatoio. In quel momento il cicalino del suo appartamento suonò.

“Chi é?”

“Spock, sono Kirk. Posso entrare?”

“In effetti non sono presentabile, capitano.” Dall’altra parte della porta sentì il capitano sbuffare.

“Spock, avanti, siamo uomini. Il mio cuore reggerà se la vedo in mutande.” Spock era ancora in preda ad a quel fastidioso senso di illogico smarrimento. Non seppe individuare un solo motivo logico per non aprire la porta dei suoi alloggi.

Jim entrò spedito ma esitò guardando Spock e chiese il permesso di sedersi.

“Prego. Di cosa ha bisogno, capitano?”

“Hai decifrato i dati che abbiamo preso al laboratorio?” Spock si passò un asciugamano sulla testa e rispose.

“Non ancora. Contavo di farlo dopo l’aspersione.” 

“La sua mano come va? Le fa ancora male?” Spock si guardò il palmo della mano destra e scosse appena il capo.

“È funzionale. Non ho dolore fisico.”

“Spock,” chiese allora Jim, “sta bene? Mi sembra, ecco, pallido.”

“Deve essere la temperatura esterna. Noi vulcaniani non amiamo il freddo.” Spock notò un cambiamento nell’espressione di Jim. Sembrava essersi rattristato. Gli occhi blu si fecero dolci. Spock si chiese se non fosse tutto nella sua testa.

“Scusami, Spock. Non ho pensato che é molto tardi e che tu eri contrario a questa cosa sin dal principio. Riposati. Ci sarà tempo per i dati.”

“Jim, aspetti.” Il capitano si fermò sulla porta. “Non voglio che si preoccupi per me. È illogico.” Kirk sorrise ma non al solito modo. Era un sorriso appena abbozzato, malinconico.

“Stavolta ti sbagli, Spock, preoccuparmi per te è assolutamente logico per me. Ma è altrettanto logico che tu non lo capisca.” Sembrava che stesse per lasciare gli alloggi quando strinse un pugno a mezz’aria e aggiunse. “Spock, non ti ho mai chiesto scusa per quello che ti ho fatto sull’Enterprise. Non avrei mai dovuto usare la morte di tua madre per farti perdere il controllo sul ponte di comando. È stato sgradevole.” 

“So che lo ha fatto su richiesta dell’ambasciatore.” Il pugno di Kirk sfiorò la porta.

“Non per questo è stato meno sgradevole.”

“Ma ha portato al successo della missione. Non sarei il suo primo ufficiale se la cosa mi avesse oltremodo offeso.”

“Lieto di saperlo.”

“Pensavo che fosse assolutamente chiaro.”

“Lo é adesso che hai parlato Spock. Io non sono in grado di leggere la tua mente anche se a volte ho la fortissima sensazione di sapere cosa stai pensando.”

“Questo, Jim, è altamente...” Non riuscì a terminare la frase.

“Illogico.” La concluse Kirk. Stavolta il suo sorriso era luminoso. “Buonanotte Spock.”

“Buonanotte capitano.”

Il vulcaniano tornò in bagno e infilò abiti puliti. Si guardò allo specchio e ripensò alle parole di Kirk.

Chiuse gli occhi. Decise che dormire non era necessario. Tornò nella camera da letto e si sedette a terra con le gambe incrociate. Doveva meditare e ritrovare la sua calma abituale.

 

Jim non aveva sonno. Camminò fino al turboascensore e scese al ponte motori. Scotty era, come al solito, appisolato su una sedia con una rivista sugli occhi. Si appoggiò ad una delle transenne e parlò con voce ferma.

“Riposo, signor Scott!” Scotty fece volare la rivista e saltò sulla sedia.

“Dannazione, ragazzo! Volevi uccidermi?”

“Dormi in servizio, Scotty?”

“Per tua informazione, il mio turno è finito un turno fa.”

“Lo immaginavo. Per questo sono venuto. Volevo sapere se Spock ha risolto il tuo problema di stamattina.”

“Puoi giurarci che lo ha fatto. La bambina ha polmoni nuovi di zecca ed è pronta per il prossimo giro. Sappiamo già dove andremo?”

“Domani prenderò le consegne da Pike.”

“E non dovresti dormire un po’?”

“Non mi riesce.”

“C’è qualcosa che non va?”

“Non lo so Scotty. Forse è davvero solo mancanza di sonno.”

“Allora la persona adatta con cui parlare é il dottore, no?”

“Domani, Scotty, domani. Se io soffro d’insonnia, non devo imporla al resto dell’equipaggio.”

“Grazie! Allora a me tocca il trattamento speciale?” Jim rise.

“Tu dormi con un occhio solo da che ti conosco! Comunque me ne vado. Ve bene?”

“Jim, aspetta.”

“Che c’é?”

“Ho scoperto quale era la nave indicata dal codice sulle confezioni delle bobine. Saranno stati gli imbecilli di quella nave a sbagliare la commessa.”

“Hai detto che Spock ha risolto.”

“Sì, ma io sono un ficcanaso lo sai.”

“Ha importanza?”

“Si chiama USS Jupiter. E ufficialmente non esiste.” Jim si rabbuiò.

“Degli esperimenti sul dna e una nave fantasma nello stesso giorno? Tieni per te la cosa, Scotty.”

“Agli ordini, capitano.”

Jim ritornò all’ascensore e da lì ai suoi appartamenti. Si buttò sul letto senza riuscire a prendere sonno. Si sforzò di usare la logica per ricomporre gli eventi di quella giornata che apparentemente non avevano alcun legame. Finì per ridere di se stesso. Lui non era Spock. Lui adoperava l’istinto.  È tutto l’istinto che aveva lo stava mettendo in guardia. Si alzò e andò alla scrivania.

“Diario di bordo del capitano,” pronunciò e lo schermo si accese. Poi ci ripensò “Annulla.” Lo schermo si spense. “Chiama ambasciatore Spock”. Lo schermo si riaccese e, qualche istante dopo il volto dell’anziano alter ego del suo primo ufficiale comparve sul monitor.

 

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Capitolo 2
*** Legami ***


Capitolo II

Legami

 

McCoy era stato tante cose nella sua vita.

Marito, padre, medico, cadetto, ufficiale. Quando era cambiato, aveva sempre tenuto una parte del vecchio se stesso con sé. In ogni caso mai, mai era stato un bugiardo. E questo non perché non sapesse mentire. Piuttosto perché la sua vita era semplice e le menzogne erano complicate. Almeno fino a che non aveva conosciuto James Tiberius Kirk.

Da allora la sua vita era diventata complicata e non solo per via delle bugie. 

Jim era una calamita vivente di guai. Probabilmente anche McCoy era uno di quelli. Del resto quando si erano incontrati, lui era un uomo finito. Non aveva prospettive. Fuggiva da una vita intera ridotta in macerie. Un fallimento. Jim non aveva fatto niente altro che essergli amico. Qualcosa che nessun altro su tutto il pianeta aveva fatto. Lui aveva ricambiato come poteva. 

E aveva continuato a farlo. Anche se significava rinchiudersi per mesi in una scatola metallica pressurizzata lanciata a velocità di curvatura nello spazio profondo. Oppure mentire all’ammiraglio Pike.

“Quindi non era il capitano Kirk quello che si è introdotto nei laboratori della federazione ieri sera? Sostiene che era nell’infermeria dell’Enterprise?”

McCoy non fece una piega e mostrò il proprio pad.

“Può controllare lei stesso. Il capitano non si è fermato un attimo durante tutta la licenza. L’ho messo a riposo forzoso da ieri pomeriggio alle diciannove zero zero.”

Pike fece un cenno con la mano come a far intendere che non avrebbe controllato il pad.

“Se lei dice che ha passato la notte in infermeria, non farò ulteriori indagini. Lei comprende, dottore, che se scoprissi che mi ha deliberatamente mentito, dovrei accusarla di tradimento e cospirazione.” Leonard sorrise guardandosi i piedi. Era un sorriso teso che però non lasciava trasparire esitazione.

“Ne sono consapevole, ammiraglio.” Pike si lasciò andare contro la poltrona e sospirò.

“Sono colpito. Che Kirk potesse gettarsi nel fuoco per raggiungere i suoi obiettivi, lo avevo capito. Che fosse in grado di spingere altri a fare altrettanto, questo non lo sapevo.” Leonard cercò di prendere quelle parole nella loro interpretazione più benevola ma qualcosa in lui si risentì. Strinse più forte le mani intorno al pad e rispose.

“Non sta a me valutare ma, per quanto posso testimoniare, il capitano Kirk non lascerebbe che qualcuno si gettasse nel fuoco al suo posto. Ora, se non ha altre domande ammiraglio, torno ai miei compiti.” Pike sorrise e lo congedò.

Non appena fu fuori, Bones maledisse se stesso e Jim. Per fortuna aveva pensato di registrare il suo nome e quello di Spock nel registro dell’infermeria altrimenti non avrebbe potuto fornire un alibi adeguato ai suoi comandanti. I polsi gli avevano tremato ma, a quanto pare, la sceneggiata aveva avuto successo. Certo si trattava di Pike e tutti sapevano che Pike aveva un debole per Jim. Se ci fosse stato Marcus al suo posto, le cose non sarebbero andate a quel modo. Decise che avrebbe impedito a Kirk di fare ulteriori indagini su quei maledetti campioni. Prima però doveva avvisarlo che Pike lo avrebbe interrogato sulla notte prima e che si aspettava di sentire che l’aveva passata tutta in infermeria.

Quando raggiunse il suo ufficio, la Chapel che gli avevano assegnato come infermiera, lo salutò cordialmente. 

“Dottore ha una visita.” 

“Ma entro in servizio fra un’ora! Non se ne può occupare lei, infermiera?” La donna scosse il capo mortificata. 

“Non penso proprio dottore.” Bones entrò nell’infermeria borbottando. Vedere Spock seduto alla sua poltrona peggiorò il suo umore.

“Dannazione, Spock, non poteva lasciarmi quest’ultima ora di pace?”

“Temo proprio di no, Leonard.” Era inusuale che il primo ufficiale si rivolgesse a lui chiamandolo per nome, così prese una sedia e si sedette di fronte a lui.

“Dimmi tutto.”

“Si tratta dei campioni. Ho decriptato i dati. Vengono da una nave spaziale ancorata ad una base in orbita nel sistema solare. I dati dicono che gli esperimenti riguardano settantatré soggetti. Quelli che ha trovato lei però si riferiscono ad un solo soggetto. Viene identificato come JH01 e appartiene alla specie terrestre. Tuttavia il suo dna é come incrociato con un isotopo artificiale. La natura dell’isotopo non è specificata ma sembra essere molto, molto vecchio. Una formula primitiva, azzarderei. I test fatti sui soggetti riguardano forza, intelligenza, resistenza, capacità di risolvere problematiche in situazioni critiche.”

“Sembra il corso dell’accademia spaziale.”

“Non esattamente dottore, si tratta per lo più di applicazioni militari.”

“Allora Jim aveva ragione! Quel ragazzo é veramente in gamba. Peccato che si cacci sempre nei guai. Stavolta rischia grosso.” Spock sollevò un sopracciglio. 

“Che é capitato?”

“Ricorda l’incidente al laboratorio? Beh, qualcuno se n’é accorto e ha riferito all’ammiraglio Pike che il capitano Kirk era sul tetto dell’edificio la notte che il sistema ha rivelato un’intrusione. Mi ha chiamato in quanto ufficiale medico per chiedermi se il capitano si trovava sulla nave l’altra notte.”

“E lei cos’ha detto?”

“Che era ricoverato in infermeria.”

“Dottore lei ha mentito!” Esclamò Spock indignato.

“Che avrei dovuto dire? Che eravamo lì tutti e tre a fare gli spioni?”

“É contravvenuto ad almeno cinque regole di condotta del regolamento della flotta.”

“Di più, credo. Che avrei dovuto fare?” Si lagnò Bones. “È stata tutta colpa mia.”

“Non é colpa sua se il capitano é spericolato e incosciente. Quello che dice é illogico.”

“Non potevo comunque dire la verità. Avrei coinvolto anche lei, Spock.”

“Lo avrei compreso.”

“Beh, Jim no! E comunque se avessi fatto davvero quello che ho detto a Pike, non sarebbe successo niente. E avrei fatto anche bene. Tra poco ci assegneranno un’altra missione e Jim non ha passato un solo giorno della licenza a riposo. Ultimamente dice che non dorme bene e ha sempre mal di testa.”

“Mal di testa?” Chiese improvvisamente interessato Spock.

“Sì. Ma a livello fisico sta bene. Credo sia stress. Dovrebbe scendere dalla nave, bere qualcosa e distrarsi.”

“Non so come assumere degli alcolici potrebbe in alcun modo favorire la salute del capitano.” Bones alzò gli occhi al cielo.

“E dovrebbe vedere gente. Persone che parlino la sua lingua non diavoli dal sangue verde che lo fanno ammattire con la logica!” Spock scattò in piedi.

“Io non sono ‘gente’. E non cerco di fare impazzire il capitano usando la logica. Semmai cerco di ricondurlo alla ragione. E comunque non é costretto a starmi ad ascoltare. Questo lo ha dimostrato in molte circostanze.” Bones sorrise mettendo entrambe le mani sui fianchi.

“Non se la prenda così, Spock. Sto scherzando, la sua amicizia per Jim è preziosa.” Spock abbassò gli occhi.

“Non so se si possa definire amicizia.” 

“Non sia ridicolo, Spock!” Esclamò Bones, “Cos’altro dovrebbe essere?” Il vulcaniano non rispose ma qualcosa nel suo sguardo preoccupò il dottore. “Spock, non mi faccia stare in ansia anche lei. Sta succedendo qualcosa?” Spock parve riaversi da quel momento d’incertezza.

“No. Però mi faccia una cortesia. Se i mal di testa del capitano dovessero continuare o peggiorare, mi avvisi.” Si alzò e lasciò l’infermeria senza dare all’uomo il tempo di fare ulteriori domande.

 

Aveva dormito male. Anche quella notte. 

Le parole dell’ambasciatore Spock gli avevano impedito di prendere sonno.

Immagini che non appartengono ai tuoi ricordi, dici? Come se non fossero pensieri tuoi? Credo di sapere di cosa si tratta ma ciò che posso dirti è che dovresti domandare a Spock. Io non posso spiegarti. Non sarebbe logico. E soprattutto non sarebbe giusto. Non stai impazzendo, questo é certo. Il fastidio che provi alla testa è del tutto naturale all’inizio del legame. Di più non posso dirti.’

Questo aveva detto lasciando Kirk nella confusione più totale. Il problema maggiore derivava dal fatto che da quando l’ambasciatore gli aveva detto di chiedere al suo primo ufficiale, aveva l’impressione di sentire la voce di Spock nella testa.

Si alzò e si fiondò sotto la doccia. Si strofinò i capelli e le spalle e cercò di sciogliere i muscoli della schiena sotto il getto dell’acqua calda. Il dolore alla testa era sottile ma incessante. Si infilò l’uniforme e uscì dalla stanza per raggiungere la sala del teletrasporto. Era stato convocato dall’ammiraglio Pike, probabilmente per ricevere le indicazioni sulla prossima missione dell’Enterprise e non voleva fare tardi. Fece una piccola deviazione per l’infermeria. 

“Bones, sei qui?”

“Jim, santo cielo che brutta faccia!” Fece il dottore guardandolo malamente. “Non hai dormito, vero? Quante volte ti ho detto che il riposo deve essere una priorità per te? Avanti chi ti sei portato a letto stanotte?” Kirk sorrise sedendosi sul lettino. La cosa sembrò strana a Leonard. Di solito doveva costringere l’amico a stendersi per le visite.

“Nessuno. É vero che non ho chiuso occhio ma la colpa è di questo dannato mal di testa che non passa. Puoi darmi qualcosa? Devo presentarmi da Pike e sono uno straccio.” Bones sussultò.

“A proposito di questo,” Disse voltandosi e armeggiando con dei farmaci, “c’è una cosa che devo dirti.” Si voltò e appoggiò una pistola a pressione contro il collo di Jim. Un fischio sordo segnalò ad entrambi che l’iniezione del farmaco era andata a buon fine.

“Ahi! Maledizione! Dì la verità, ti diverti a farlo.”

“No. E comunque sappi che ieri notte sei stato ricoverato in infermeria per tutto il tempo. Tu e Spock. Eravate a riposo forzoso.” Jim piegò la testa di lato con fare interrogativo. Con quell’espressione sul viso, non gli avrebbe dato quindici anni. “Qualcuno ha detto a Pike di averti visto sul tetto dei laboratori l’altra notte. Gli ho giurato che tu e Spock eravate ricoverati nella mia infermeria. Ti prego di reggere il gioco o sarò accusato di tradimento e cospirazione. Queste sono state le esatte parole di Pike.” Jim si alzò e gli mise entrambe le mani sulle spalle.

“Non temere amico mio, saprò tenere il gioco. Mi dispiace averti messo in questa situazione.” Disse tastandosi il collo dove l’ago lo aveva punto.

“Tecnicamente, questa volta, sono stato io a metterti in questa situazione. Credo però che quanto ti dirà Spock meriti attenzione.”

“Ha decifrato i dati?” Bones annuì.

“Sì. Sono davvero esperimenti su esseri umani. Jim che diavolo sta succedendo? Credevo che la federazione non facesse di queste cose.”

“Ne sappiamo poco. Ad ogni modo devo andare da Pike. A questo punto credo che voglia sentirmi sull’altra notte. Dubito che mi abbia convocato per darmi indicazioni sulla prossima missione. Quando tornerò, voglio te e Spock nel mio appartamento. Dobbiamo capire con cosa abbiamo a che fare. L’idea di esperimenti su esseri umani mi da i brividi.”

“E dobbiamo approfondire la faccenda dei tuoi mal di testa.” Gli urlò McCoy mentre Jim lasciava l’infermeria.

Kirk camminò a passo spedito fino alla sala teletrasporto. Vi entrò mentre gli uomini si mettevano sull’attenti.

“Capitano, siamo mattinieri? Dormito bene?” La voce di Scotty risuonò allegra nella stanza.

“Come no, Scotty!” Rispose Kirk posizionandosi nella cella del teletrasporto. “Uffici dell’ammiragliato. Dia energia.”

“Agli ordini, capitano.”  Sottili strisce di energia avvolsero orizzontalmente il corpo di Jim e lo smaterializzarono.

Quando la luce scemò, Kirk era nel palazzo della federazione. Raggiunse gli ascensori e, da lì, gli uffici di Pike. Bussò e attese.

“Avanti.”

“Capitano Kirk della U.S.S. Enterprise a rapporto, ammiraglio.” Pike lo guardò dritto in faccia e gli fece cenno con una mano che poteva sedersi.

“Come sta, capitano Kirk?” Il ragazzo prese posto occupando una delle sedie davanti alla scrivania.

“Abbastanza bene, signore.”

“Ha l’aria stanca. Qualche preoccupazione?”

“Niente di particolare. Solo piccole questioni da risolvere.”

“Niente che preveda l’accesso non autorizzato ai computer del laboratorio di analisi mediche della federazione, non è così Jim?” Kirk lo guardò dritto negli occhi.

“No, signore.”

“Jim, sai cosa c’è di peggio di un capitano incosciente?”

“Dipende, signore, sono io l’incosciente?” Pike sorrise.

“Quando ho letto il rapporto su come sei diventato facente funzione di capitano durante la crisi romulana, ho pensato che provocare fisicamente un vulcaniano con le caratteristiche del signor Spock fosse da incoscienti. Quante possibilità c’erano che ti uccidesse? Eppure, contro ogni logica, sei riuscito a far fare al signor Spock esattamente ciò che volevi.”

“Sono stato aiutato.”

“Questo lo so. Come so anche che c’è qualcosa in te, una specie di energia che ti spinge a osare cose che la maggior parte di noi nemmeno concepirebbe di fare.”

“Come ad esempio lanciarsi da un’astronave per raggiungere una piattaforma di tre metri di diametro ad una velocità di duecentocinquanta chilometri all’ora?” Pike scosse la testa.

“Come mentire ad un ammiraglio della federazione sapendo che se verrà scoperto, verrà degradato se non addirittura incarcerato per tradimento.” Jim si appoggiò allo schienale della poltrona e rimase in silenzio. “Sai cosa c’é di peggio di un capitano incosciente? Un capitano che non tiene al suo equipaggio e alla sua nave.” A quelle parole gli occhi di Jim saettarono. Tese la schiena e strinse i pugni.

“Non sono io quell’incosciente.” Disse con una tale fermezza nella voce da far tremare Pike. L’ammiraglio aprì un cassetto della scrivania e prese un pad.

“Qui ci sono i dettagli della prossima missione dell’Enterprise. Dovete verificare la situazione sul pianeta Nibiru. Le specifiche sull’incarico sono nel file. Spero tu abbia gradito la licenza.” Kirk afferrò il pad e si alzò.

“Sì, signore. Grazie.” Il capitano si girò e fece per raggiungere la porta quando la voce di Pike lo trattenne.

“Spero che guarderai il file della missione fino alla fine. Non sottovalutare niente.”

“Non lo farò, ammiraglio.”

“Jim.”

“Signore?”

“Mi é stato fatto rapporto dal signor Spock di un incidente riguardante la consegna errata di alcuni componenti del reattore dell’Enterprise.”

“Abbiamo risolto, ammiraglio.”

“Lo so. Pare che vi abbiano consegnato le bobine di un’altra nave in costruzione. Ha letto il rapporto del suo primo ufficiale, vero?” Jim esitò. Non aveva davvero la minima idea di quello che Spock aveva scritto in quel rapporto. “Quelle che avete restituito, sono state riassegnate. Partiranno domani per la stazione orbitante attorno a Giove col nullaosta di sicurezza dell’ammiraglio Marcus.” Jim fece un passo indietro.

“Giove, signore?”

“Perché me lo chiede, Kirk?”

“Credevo che le navi della flotta venissero tutte costruite sulla Terra.”

“É così.” Rispose Pike.

“Allora cosa le manda a fare su Giove l’ammiraglio Marcus?”

“Tutti i tuoi ordini sono nel file su Nibiru, Jim.”

“Ho capito, signore.” Sospirò Jim riguadagnando la porta.

“Jim!”

“Sì?”

“Dia un encomio al signor Spock. Nonostante il dottor McCoy gli avesse imposto il riposo forzoso in infermeria, l’altra notte ha comunque completato e certificato tutti i rapporti di bordo.” Concluse l’ammiraglio sorridendo maliziosamente. Jim bestemmiò nella sua mente in tutte le lingue che conosceva.

“Lo farò senz’altro.” Disse lasciando la stanza e ringraziando la sua buona stella se l’aveva fatta franca anche quella volta. Spock, però, l’avrebbe pagata.

 

Sulu non aveva ancora neppure sfiorato la cloche che sentì la porta della sala di comando aprirsi e chiudersi.

“Capitano in plancia!”

“Risposo, signori.” Disse Jim sedendosi sulla poltrona al centro della stanza. “Tenente Uhura,” proseguì rivolgendosi alla donna alle sue spalle che armeggiava con l’apparecchiatura delle telecomunicazioni, “apra un canale generale.”

“Canale generale aperto, capitano.” Disse lei immediatamente.

“Qui é il capitano Kirk. Abbiamo ricevuto l’incarico di svolgere un sopralluogo sul pianeta Nibiru. Si tratta di una missione di ricognizione. La partenza è prevista tra un’ora esatta. Tutti ai propri posti fra trenta minuti. Il dottor McCoy e il comandante Spock nei miei alloggi. Grazie.” Uhura chiuse il canale generale. “Uhura, chiami la sala motori.”

“Cosa c’é ancora? Trenta minuti sono appena sufficienti a scaldare la bimba. Prima di così non mi chiedete di andare a curvatura perché non é proprio possibile.” La voce del suo capo ingegnere lo fece sorridere.

“Scotty, non agitarti. Lascia la bimba al primo aiutante e raggiungimi nei miei alloggi. Vedi di fare in fretta. Abbiamo solo trenta minuti. Kirk chiudo. Signor Sulu, a lei la plancia. Prepari tutto per il decollo.” Sulu lasciò la sua postazione per accomodarsi sulla poltrona del capitano mentre questo lasciava il ponte di comando.

Raggiunse la sua cabina e vi entrò. Accese il pad che gli aveva dato Pike mentre si sbottonava l’alta uniforme che aveva indossato per incontrare l’ammiraglio. Una voce di donna riempì l’aria dettagliando le specifiche della missione su Nibiru. A quanto emergeva dagli ordini, un vulcano di considerevoli dimensioni si preparava ad eruttare. Il pianeta presentava varie forme di vita. Il compito dell’Enterprise era quello di calcolare i danni che l’eruzione avrebbe fatto e comunicarli al reparto scientifico della federazione. Jim stava per spegnere tutto prima che i dettagli della massa della colata lavica e delle conseguenze del suo impatto sul pianeta lo costringessero a lanciare il pad fuori dalla stanza, quando si accorse di una luce lampeggiante sul fondo del monitor. La toccò con un dito e l’immagine di Nibiru fu sostituita da quella di Pike.

Le bobine che il tuo capo ingegnere ha rispedito al mittente fanno parte del progetto della U.S.S. Jupiter. Si tratta di una nave spaziale della flotta la cui costruzione non é mai stata autorizzata. Non posso svelarti le motivazioni, sono secretate. Non posso neppure chiederti di verificare se la costruzione di una simile nave é mai cominciata. La stazione orbitante infatti è sotto la direzione dell’ammiraglio Marcus. Tuttavia la stazione di cui parliamo é sulla traiettoria che l’Enterprise deve percorrere per arrivare a Nibiru. Conto sulla tua capacità di risolvere situazioni senza via d’uscita.’

Jim spense il pad. Non fece in tempo a realizzare quello che aveva ascoltato che il cicalino alla porta annunciò visite.

“Avanti.” La porta si aprì lasciando entrare Spock, McCoy e Scott. Jim li fece accomodare.

“Per prima cosa un encomio a Spock!” Il vulcaniano assunse un’espressione di puro stupore. Jim rise ma con sarcasmo. “Ringraziamolo tutti per la sua precisione nello stilare i rapporti. Ha consegnato l’ultimo a Pike mentre avrebbe dovuto essere a riposo in infermeria.” McCoy si buttò entrambe le mani in faccia per la disperazione.

“La tua correttezza é snervante, Spock!” Il dottore lo guardò in cagnesco. Il primo ufficiale rispose a quello sguardo altrettanto malamente.

“Non potevo sapere che avrebbe dichiarato che mi trovavo in infermeria mentre non lo ero affatto, dottore. Prendersela con me é del tutto illogico.”

“Un momento!” Esclamò Scotty, “Ci risiamo, vero? State cospirando qualcosa in cui io non voglio assolutamente entrare!”

“Scotty, qui nessuno cospira niente.” Lo tranquillizzò Kirk. “Non ancora, almeno.”

“Che diavolo significherebbe questo?” Urlò Leonard.

“Calmatevi tutti. Vi spiego. Ieri Scotty mi ha rivelato di aver scoperto che le bobine erroneamente consegnate all’Enterprise, appartengono ad una nave che ufficialmente non esiste.”

“Non esiste? Probabilmente, capitano, intende dire che non è ancora stata completata e che quindi è assente dai registri della flotta.” Si affrettò a precisare Spock. Jim scosse il capo.

“Fino a ieri si poteva dire così. Oggi no. Ho avuto informazioni riguardo al fatto che la costruzione di questa nave non é mai stata autorizzata dall’alto comando della flotta.” Gli occhi di Spock, scuri e liquidi, brillarono.

“Informazioni certe? Da quale fonte provengono?”

“Sono informazioni certe. La fonte adesso non è importante. Questo fatto cambia le cose. Una volta partiti, vi informerò di ulteriori dettagli. Adesso però ho necessità che mi facciate il punto della situazione sui dati criptati che abbiamo preso al laboratorio.” Scotty si portò le mani alla testa per coprirsi le orecchie.

“Posso non ascoltare, Jim? Sono certo che sarebbe molto meglio per me.”

“Fà come ti pare, Scotty. Però mi servi qui. Devi chiarirmi un paio di cose. Allora encomiabile Spock, cosa hai scoperto dai file criptati?” Spock non parve afferrare le provocazioni e prese a raccontare.

“I campioni presi per sbaglio dal dottore nel laboratorio della federazione vengono da una nave spaziale ancorata ad una base in orbita nel sistema solare. I dati riportano esperimenti su settantatré soggetti. I campioni, invece, vengono da un solo esemplare identificato come JH01. L’esemplare appartiene alla razza umana sebbene il suo dna risulti incrociato con un isotopo artificiale dalla formula assai primitiva. Come ho già riferito aI dottore, i test sui soggetti riguardano forza, intelligenza, resistenza, capacità di risolvere problematiche in situazioni critiche tutte valutate in ambito militare.” Jim sprofondò nella sua sedia.

“Ha detto che la nave é ancorata ad una stazione spaziale all’interno del sistema solare?”

“Esatto, capitano.”

“Mi lasci indovinare. La nave é la U.S.S. Jupiter?” Spock e Scotty sussultarono quasi contemporaneamente mentre Bones passava con lo sguardo dall’uno all’altro. La pazienza non era il suo forte.

“Oh, al diavolo! Volete spiegare anche a me? O io sono solo quello che verrà accusato di tradimento e cospirazione?” Jim si affrettò a spiegare.

“I campioni e le bobine sono collegate alla stessa nave. C’è un legame fra di loro.” A quelle parole Spock sentì l’urgenza di alzarsi e dare le spalle a Kirk. 

“Certo non può essere una coincidenza. Campioni di un dna alterato e il progetto di una nave che non dovrebbe esistere.”

“Non é una coincidenza.” La voce di Kirk aveva abbandonato qualsiasi inflessione scherzosa. “Se ci fosse anche una sola possibilità che si tratti di una coincidenza, Pike non mi avrebbe chiesto di verificare se stanno costruendo la U.S.S. Jupiter nella stazione spaziale di Giove.”

“Un ordine di Pike?” Spock si voltò di scatto verso il suo capitano.

“Non ufficiale.” Bones sospirò.

“Che significa: non ufficiale?”

“Che Pike non ha autorità nel quadrante esterno del sistema solare.”

“E cosa pretende da noi? Che infrangiamo ancora le regole?” Strillò esasperato il dottore.

“Non voi. Solo io.” Jim stavolta parlò sorridendo ma Spock avvertì una tensione che in genere era assente in Kirk.

“Capitano, come pensa di entrare in una stazione spaziale della flotta stellare sotto l’autorità di uno dei suoi più ferrei ammiragli, il tutto mentre l’Enterprise dovrebbe viaggiare a velocità di curvatura verso la sua missione ufficiale di esplorazione di un pianeta di un altro sistema solare?” Spock era sinceramente curioso. 

“Per questo mi servi tu, Scotty. Ho un piano ma non funzionerà senza di te.”

“Ci risiamo!” Bones prese ad agitare le braccia “Non siamo neppure partiti e già parliamo di buttarti in qualcosa da cui uscirai come minimo ferito, tagliuzzato, contuso, lacerato nel migliore dei casi, morto negli altri!” Jim scoppiò a ridere.

“Bones, che ti porto a fare lassù altrimenti? Mi rimetterai tu a posto in qualsiasi caso. A proposito, quel farmaco che mi hai dato per il mal di testa ha fatto miracoli. Passo da te per un’altra dose più tardi.”

“Jim il farmaco che ti ho dato é un neurosoppressore. Non puoi assumerlo al bisogno!” Spock decise che era giunto il momento di restituire un po’ di logica a quella conversazione.

“Capitano, ritengo di dover fare alcune eccezioni al suo piano d’azione.”

“Spock.” Jim si sforzò di interrompere sul nascere quel discorso senza alcun effetto.

“Innanzitutto dovremmo valutare tutti i dati in nostro possesso.”

“Spock.” 

“Poi dovremo senz’altro valutare a rigor di logica una serie di alternative.”

“Spock.” Provò ancora Jim mentre Bones e Scotty ridacchiavano tra loro.

“Infine stilare una lista di possibili conseguenze e valutarne gli impatti.”

“Spock!” Stavolta la voce di Jim non lasciava margini di trattative. “Non ti ho neppure detto cosa ho in mente, che diavolo!” Il primo ufficiale non si scompose.

“Non c’è bisogno di sapere cosa ha pianificato. Qualunque sia il piano, di certo é carente di opzioni, di una seppur minima stima dei rischi e di certo é in assoluto spregio della sua incolumità!” Lo disse con calma e naturalezza.  Bones diede un colpetto al fianco di Scotty.

“Colpito e affondato. Una logica ineccepibile.”

“Siete congedati. Tutti e tre. Io vado sul ponte e che sia dannato se vi ascolterò un minuto di più!” 

Lasciarono la stanza insieme. Fu solo quando Jim raggiunse il turboascensore che si rese conto della figura alle sue spalle.

“Spock, che c’é ancora?”

“Nulla.”

“Allora perché mi segui?”

“Sto andando al mio posto, capitano.”

“Giusto.” 

“Capitano, il dolore alla testa é passato del tutto dopo la somministrazione del neurosoppressore?” Jim incrociò le braccia.

“Se ti preoccupano i miei mal di testa, dovresti evitare di farmeli venire!” Spock fece un passo indietro e si rabbuiò. Jim si affrettò a chiarirsi.

“Non dicevo sul serio. Dormo poco. Per questo ho questi fastidiosi mal di testa e, per rispondere alla tua domanda, no. Non del tutto, ma é sopportabile.”

“É stupefacente!” 

“Spock a volte non ti capisco. Sei contento che il farmaco non faccia effetto?” Jim glielo chiese puntando i suoi occhi blu in quelli scuri dell’altro. Si era ricordato in quel momento che l’ambasciatore gli aveva suggerito di domandare a Spock del ‘legame’ che gli procurava le visioni e il dolore.

“Assolutamente illogico. Ritenevo però che un neurosoppessore avrebbe inibito del tutto le capacità percettive del suo cervello, capitano.”

“Capacità percettive?” Chiese premendo il pulsante di blocco dell’ascensore. “Mai avute.”

“Questo non é esatto. Per quanto gli esseri della specie terrestre non risultino dotati di capacità telepatiche o extrasensoriali, in alcuni casi é possibile individuare soggetti con capacità percettive latenti. Voi umani lo chiamate ‘sesto senso’.”

“E questa capacità percettive cosa a che fare con il ‘legame’?” Lo disse di getto preparandosi a vagliare la reazione dell’altro.

“Chi le ha parlato del legame?”

“Che cos’é il legame?” Lo incalzò ancora.

“Tu cosa ne sai?” Il fatto che Spock avesse smesso di dargli del lei, gli fece una pessima impressione.

“Ne so poco quanto niente. Ma a quanto pare, tu ne sai più di me.” Spock stava per controbattere quando la voce di Sulu riempì il turboascensore.

“Capitano, in plancia. Dieci minuti alla partenza prevista.” Jim premette il pulsante per il riavvio dell’ascensore.

“Finiremo questa conversazione quando saremo fuori dall’atmosfera terrestre.” Spock non rispose.

 

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Capitolo 3
*** Salto nel buio ***


Capitolo III

Salto nel buio

 

Nyota non se ne capacitava. Mai aveva visto il suo capitano stare seduto sulla poltrona come se, la poltrona appunto, fosse fatta di spilli. Lui adorava quella sedia. L’aveva amata dal primo istante su cui vi aveva posato lo sguardo. Adesso però ci stava seduto come se fosse su carboni ardenti.

Non appena Sulu aveva annunciato l’uscita dell’Enterprise dall’orbita terrestre, era scattato in piedi.

“Comandante Spock con me. Signor Sulu a lei la plancia. Mantenga la rotta per il pianeta Nibiru in base alle coordinate già assegnate. Non superi la curvatura uno.”

“Agli ordini, capitano.”

“Posso sapere dove andiamo capitano?”

“Hai criticato il mio piano. Ebbene ora mi darai la tua opinione.” 

Entrarono nel turboascensore ma, ancora una volta, Jim lo bloccò.

“Ora dimmi ciò che sai sul legame.”

“Capitano, mi chiede di fare una cosa illogica. Ciò che per me é il legame, potrebbe non esserlo per lei. Sono fermamente convinto di non poterla aiutare.”

“Provaci almeno. O credi che sia così stupido?” Spock sospirò.

“Il legame é una correlazione mentale tra due persone che consente loro di percepirsi. Questa é la definizione tecnica che leggerebbe nei volumi vulcaniani di quella che sulla Terra è definita sociologia. Tuttavia l’intensità del legame ne cambia la struttura e gli effetti sugli individui che lo compongono.”

“Mi stai dicendo che se ho un legame di questo tipo con una persona, posso percepire i suoi pensieri?”

“Non é detto che sia così. Dipende dalla forza del legame e dalla capacità che i soggetti hanno di schermare le loro menti o connetterle tra loro.”

“Un essere umano può stabilire un legame con un vulcaniano?”

“I miei genitori avevano un legame sufficiente a percepirsi anche se non erano vicini ma mia madre non ha mai potuto percepire i pensieri di mio padre. Al contrario mio padre sapeva penetrare le barriere mentali di mia madre e leggere i suoi pensieri.”

“E io?”

“Tu cosa, Jim?”

“Io potrei creare un legame con un vulcaniano?” Lo chiese avvicinando il volto a quello di Spock, mettendo i suoi occhi in quelli dell’altro.

“Il legame, generalmente, nasce spontaneamente. Si tende tra due persone anche indipendentemente dalla loro volontà.”

“Quindi é come l’amore.” Spock si tirò appena un po’ indietro e fece un colpo di tosse.

“Non conosco la risposta a questa domanda.”

“Avanti, tu sei fidanzato con Uhura. Dovresti saperlo.”

“Non sono ‘fidanzato’ con il tenente.”

“Davvero? Mi sembrava che foste intimi.”

“Questo collegamento tra il legame e il tenente Uhura non è logico.”

“Invece è logico che io veda o senta cose che sono nella testa di qualcun altro?”

“É il legame.” Kirk sbottò.

“Il legame con chi?” Spock prese un respiro e strinse più forte le mani dietro alla schiena.

“Con me.”

“Con te, Spock?”

“Prima che lo domandi, Jim, sappi che non é stata una cosa intenzionale.” Jim arretrò e mise entrambe le mani sui fianchi sfidandolo con un sorriso sghembo sulla faccia.

“Mi stai dicendo che l’hai fatto ma che sei dispiaciuto?”

“Queste sono considerazioni prive di qualsiasi valore.”

“Ce l’hanno per me, il valore. Avanti, parla!”

“Ho semplicemente asserito che é nato nonostante mi sia sforzato di impedirlo attraverso la meditazione e l’utilizzo del principio logico.” Jim allargò le braccia.

“Perfetto! Quindi sei invischiato in questa cosa tuo malgrado!”

“Ammetto sinceramente che è così.”

“Bene. Allora prima scopriamo cosa c’è di vero sulla U.S.S. Jupiter, completiamo la missione su Nibiru e poi liberiamoci di questo legame.” Jim si voltò e riattivò l’ascensore. 

Spock non ebbe il tempo di aggiungere altro perché l’elevatore raggiunse il ponte motori e le porte si aprirono di scatto. Il capitano raggiunse Scott che era intento a monitorare l’efficienza del reattore a velocità di curvatura uno.

“Signor Scott, siamo qui per discutere i dettagli della missione.” Scotty sollevò gli occhi al cielo e guardò Spock.

“Quale parte dell’affermazione ‘non voglio essere coinvolto’ è risultata incomprensibile alle vostre farneticanti testoline?”

“Non guardi me, signor Scott. Ne so quanto lei.” Kirk, ancora contrariato per la conversazione avuta poco prima nell’ascensore, afferrò una sedia e si accomodò.

“Non facciamola troppo lunga. Il mio piano per scoprire se nella stazione orbitante intorno a Giove stanno costruendo la nave fantasma è semplice. Nel nostro viaggio verso Nibiru, ci passeremo affianco. Quando saremo abbastanza vicini, tu, Scotty, mi teletrasporterai a bordo.”

“A velocità di curvatura?” Gli occhi di Jim brillarono mentre annuiva.

“A velocità di curvatura sette.” Scotty scoppiò a ridere come se avesse appena ascoltato la freddura più esilarante dell’universo. “Lo abbiamo già fatto quindi risparmiamoci l’ironia.”

“Un momento, Jim, un conto è teletrasportare qualcosa a curvatura, magari due o tre. Un altro paio di maniche è farlo a curvatura sette. Inoltre devo essere io a ricordarti che teletrasportarsi alla cieca può essere molto rischioso? Senza il tuo intervento, il sistema di raffreddamento dell’Enterprise mi avrebbe ridotto ad un mucchio di cubetti in salamoia.” Spock intervenne.

“Quello che dice il signor Scott é più che sensato. Non conosciamo la struttura della base spaziale. Sarebbe già rischioso teletrasportarla alla cieca, capitano. Farlo a velocità di curvatura sette presenta il trentaquattro virgola sette di probabilità di essere lanciato nello spazio profondo senza protezioni.” Scott annuì.

“E poi perché fare una cosa simile? Potremmo simulare un guasto della nave e chiedere di ormeggiare per qualche ora alla stazione spaziale.”  Jim accavallò le gambe e ripose.

“Perché in quel caso, signori, saremmo controllati a vista. No. L’Enterprise deve passare lì vicino il più velocemente possibile. Questo ci si aspetta da una navetta che deve stimare i rischi di un’esplosione vulcanica delle proporzioni in corso su Nibiru. In questo modo, nessuno immaginerà un’intrusione non autorizzata.”

“In questo caso mi dice come pensa di tornare a bordo ammesso che vada tutto bene?” Chiese Scott.

“Mi farò trovare in un punto preciso della stazione spaziale e mi riporterete a bordo nella stessa maniera. 

“Quindi prima un triplo salto mortale senza rete e dopo un altro all’indietro!” Scotty allargò le braccia in segno di disappunto.

“Non facciamo la cosa più grande di quello che è. Una volta lasciata la nave, l’Enterprise raggiungerà Nibiru. Tutti si aspettano che una squadra scenda sul pianeta per i rilievi. La nave dovrebbe rimanere nell’orbita di Nibiru. Invece tornerà a prendermi. A quel punto ci toccherà fare rotta verso il pianeta appena in tempo per salvare i primitivi del luogo.”

“Salvare? Credevo che gli ordini fossero di controllare l’eruzione del vulcano.” Chiese Spock accigliandosi un po’.

“Signor Scott chiami il dottore e lo faccia scendere.”

“Urrà! Immagino la gioia di McCoy quando sentirà le novità.”

“Scotty lo chiami e basta.” Terminò Kirk piombando in un ostinato silenzio fino a che il dottore non arrivò precipitandosi fuori dall’ascensore.

“Cambiate almeno il cliché!” Esclamò appoggiandosi ad una paratia in preda all’ansia.

“Bones calmati. Sei qui per darci la tua opinione. Ritieni che la popolazione di Nibiru, per le  caratteristiche della propria specie, possa sopravvivere all’eruzione vulcanica presentata nel file della federazione?” Bones si raddrizzò e rispose con la cruda e necessaria verità scuotendo il capo.

“Sono una razza primitiva. Venerano il vulcano come un Dio. Non scapperanno neppure. Se lo facessero, comunque, non avrebbero come difendersi. Purtroppo è una specie destinata ad estinguersi.”

“Non c’è davvero soluzione?” Chiese Jim sinceramente preoccupato. Leonard lo guardò con un sentimento di ammirazione mista a perplessità. Come faceva quel benedetto ragazzo a prendersi a cuore un’intera civiltà di cui ignorava l’esistenza fino alla notte prima?

“No, Jim. A meno che il vulcano ascolti le loro preghiere e decida di non eruttare.”

“E non c’è modo di impedire che erutti?” Chiese lui carico di speranza.

“Non credo proprio.”

“Questo è inesatto, dottore.”

“Se il vulcano fosse trattato con la quantità esatta di un composto reattivo ipercongelante fatta esplodere al centro della massa lavica nel picco massimo della sua ebollizione con la medesima intensità della spinta esplosiva, la reazione eruttiva verrebbe inibita sul nascere.”

“Spock!” Bones allargò le braccia con disappunto.

“Mi dispiace dottore, ma dovevo correggere il suo errore.”

“Allora faremo così!” Esclamò tutto contento Jim battendo le mani sulle ginocchia. Spock comprese solo in quel momento che aveva innescato una reazione ben più pericolosa dell’eruzione vulcanica preventivata su Nibiru. Ancora una volta ricorse alla logica.

“Capitano, un conto é simulare uno scenario, un altro é attuarlo. Le variabili in gioco sono davvero varie e complesse. Le probabilità che la reazione che cerchiamo sia efficiente é del ventiquattro punto sedici per cento.” Jim sorrise sornione piegò la testa di lato con malizia. Spock aveva imparato a conoscere quell’espressione. Gliel’aveva vista fare la prima volta mentre mangiava una mela.

“Molte più di quelle che avevo di salvare la Kobayashi Maru.” Spock alzò gli occhi al cielo sinceramente esasperato.

“Hai barato.”

“Io sì ma tu non lo farai. Sono assolutamente certo delle tue capacità. Scott ti assisterà in ogni cosa. Dobbiamo tentare. Non lasceremo morire centinaia di nativi senza fare un tentativo. Siete d’accordo?”

“Ti ricordo solo che la prima direttiva impedisce alle navi della flotta di intraprendere qualsiasi azione tendente a modificare la naturale evoluzione delle specie che abitano i pianeti visitati.”

Kirk si mise una mano sul cuore e sollevò l’altra.

“Giuro solennemente che gli indigeni rimarranno all’età della pietra. Ok?” Spock guardò Scott che fece spallucce e Bones che invece sbuffò.

“Bene. E ora, mio caro dottore, andiamo in infermeria. Sto per essere teletrasportato a velocità di curvatura sette. Devi darmi qualcosa per il vomito.” Allungò il passo verso l’ascensore mentre Leonard lo inseguiva bestemmiando.

 

Quando furono soli e anche l’infermiera Chapel li ebbe lasciati, Kirk si sedette di fronte a Bones e si appoggiò con il mento sulle braccia. 

“Tira fuori lo scotch, Bones.”

“Stai per essere teletrasportato a velocità di curvatura sette. Non é il momento migliore per bere scotch.” Jim sorrise. Fece uno di quei sorrisi che stordivano le ragazze dell’Accademia e facevano loro cadere tutti i vestiti.

“Non immagino momento migliore.” Leonard dovette convenire che non aveva torto. Prese due bicchieri e li riempì a metà.

“Sai quello che stai facendo?”

“Come al solito.”

“Come al solito sì o come al solito no?” Jim fece tintinnare il suo bicchiere con quello nella mano dell’amico e bevve un sorso.

“Seguo il mio istinto.” Anche Leonard bevve un paio di sorsi.

“Esattamente quello che non volevo sentire.”

“Avanti, Bones. Non sarei io altrimenti.”

“Potresti essere un po’ meno tu e un po’ più Spock?” Jim rise di gusto poi si fece serio.

“C’è il rischio che accada.”

“Che intendi?” Bones poggiò il bicchiere sul tavolo e si avvicinò a lui col busto.

“Ricordi quei mal di testa di cui ti parlavo?”

“Come no! Altro motivo per cui ti sconsiglio come tuo medico e come responsabile sanitario dell’Enterprise di fare quello che hai progettato.”

“Beh, non sono stato totalmente sincero con te.”

“Vai avanti.”

“Il mal di testa é solo uno dei sintomi. Percepisco i ricordi di un’altra persona e, a volte, sento la sua voce nella mia testa.” Lo sguardo di McCoy si fece severo.

“Allucinazioni?” Jim scosse il capo.

“Sono gli effetti di una cosa chiamata ‘legame’. L’ha creata Spock anche se mi ha riferito di non esserne entusiasta e di aver cercato di impedire che accadesse.” Bones abbassò il capo.

“Quel bastardo mi ha mentito. Gli ho chiesto espressamente se c’era qualcosa che non andava e mi ha mentito.” Kirk versò altro liquore nei due bicchieri.

“I vulcaniani non mentono. Avrà evitato di risponderti. Sta diventando bravo in questo.”

“Chissà se é questo che fa con il tenente Uhura.”

“Perché tiri in ballo Nyota?”

“Jim, tu sia cos’é il legame per i vulcaniani?”

“Un collegamento telepatico o qualcosa del genere.” Bones sbatté il bicchiere sulla scrivania. Gocce di scotch schizzarono sul ripiano bianco.

“Io direi più una sacra unione. Quasi un matrimonio!” Jim sputò il sorso di liquore che aveva appena bevuto.

“Mi ha detto che non é un sentimento d’amore. Mi ha detto che il legame cambia a seconda delle persone che unisce.”

“Non ho dubbi su questo. Sono curioso però di sapere come dirà alla sua fidanzata che ha un legame con te.”

“Lui non vuole questo legame, non ha la benché minima importanza per lui. Quando questa missione sarà finita, troverà un modo per scioglierlo. Ora fai la tua magia con la quale mi inietti qualunque cosa nel collo e lasciami tornare sul ponte. Devo prepararmi per sbarcare.”

Bones gli iniettò due farmaci, uno per lo stomaco e l’altro per il mal di testa. Lo vide andare via mentre l’unico pensiero che lo ossessionava era parlare con Spock.

 

Spock stava armeggiando con la sostanza ipercongelante quando il cicalino del laboratorio suonò. Controllò l’ora e capì. Dovevano essere vicini alla stazione spaziale di Giove. Aveva evitato di proposito ulteriori contatti con Jim per non essere costretto a dare altre informazioni sul legame.

“Signor Scott a primo ufficiale. Il capitano é nella sala teletrasporto. Siamo pronti per i saluti.” Spock si alzò.

“Qui Spock, arrivo.”

Quando raggiunse la sala, Bones stava agganciando le cinghie di sicurezza di un jet pack.

“Credevo che si sarebbe fatto teletrasportare dentro la stazione, capitano.” Disse guardando Il dottore che misurava il livello di ossigeno del casco.

“É solo una precauzione, Spock.” Rispose serio Jim prima di fargli un’occhiolino non appena un preoccupatissimo Bones si fu voltato.

“Cosa posso fare?” La domanda avrebbe voluto essere meramente formale ma gli uscì con un’urgenza nella voce che stupì tutti, Scott compreso. Se ne accorse e si affrettò a precisare. “Posso ricontrollare le coordinate impostate dal signor Scott?”

“Gliene sarei grato, signor Spock.” Fece Jim per restituire un tono formale ad ogni cosa. Spock raggiunse il pad di controllo e riguardò le formule.

“Prego, faccia pure! Il pagliaccio qui non è mica l’ingegnere che ha inventato la formula per la transcurvatura!” Scott si allontanò dai comandi borbottando e raggiunse Jim. “Ascoltami, ragazzo, perché te lo dirò una volta sola. Fra dodici ore esatte, riporteremo l’Enterprise nel punto più vicino alla stazione spaziale. Tieni questo,” proseguì porgendogli una specie di rilevatore in miniatura “é un transponder. Ovunque tu sia fra dodici ore, attivalo e io ti riporterò a bordo. Tutto chiaro?”

“Dodici ore, transponder, attivazione, ritorno a casa.”

“Bravo Jimbo.” Disse infilandogli il casco in testa e tornando ai comandi del teletrasporto. Spock gli lasciò il posto. Jim si sfilò di nuovo il casco e lo chiamò.

“Spock, una parola.” Il primo ufficiale gli fu subito accanto. “Trova il modo di salvare Nibiru. Sopra ogni cosa però la nave, Spock. E l’equipaggio. Se devi scegliere tra l’equipaggio e qualsiasi altra cosa, scegli loro.” Spock sentì qualcosa di illogico metterlo in allarme. Jim gli afferrò il braccio. “Se dovesse succedermi qualcosa.” Spock non lo fece terminare.

“Capitano,” avrebbe voluto continuare anche se non sapeva come. Ci pensò Kirk a completare quella frase nell’unico modo possibile.

“No, Spock, sei tu il capitano. Signor Scott, apra un canale per la plancia. Signor Sulu, velocità di curvatura sette.” Sulu obbedì senza fiatare. Quando percepirono la maggiore velocità dell’astronave, Kirk reinfilò il casco.

“Scotty, energia.”

Bones tirò indietro Spock mentre le solite righe di luce avvolgevano il capitano e lo trasportavano lontano da lì. Spock non riuscì ad evitarlo. Gli parlò attraverso il legame.

Fa attenzione, Jim.

Forse fu solo la sua impressione ma vide gli occhi di Jim aprirsi per lo stupore.

E tu non rovinarmi la nave.

Lo sentì ridere nella sua mente. La luce svanì. Non c’era più. Lo aveva lasciato andare mentre credeva che lui odiasse il legame, che avrebbe fatto di tutto per scioglierlo. La voce di Bones lo scosse da quei pensieri.

“Sarà arrivato a destinazione sano e salvo?” Spock chiuse gli occhi per un momento e poi li riaprì parlando con voce ferma.

“Sì, dottore. Lo é. Auguriamoci che il capitano tenga in buon conto la nostra preoccupazione.”

 

Jim era tesissimo. Aveva fatto lo sbruffone fino alla fine con Spock ma, in verità, era terrorizzato. Quando percepì di nuovo il suo corpo, si appiattì contro una parete e si chinò per nascondersi. Benedì le capacità di Scotty. Era riuscito a spedirlo esattamente nei magazzini. A quanto pareva gli hangar erano deserti. Si sfilò il casco e lo ripose dietro alcune casse. Sorrise perché riconobbe quella che conteneva le bobine che Scotty aveva maledetto.

Sono nel posto giusto.

Si sfilò anche il jet pack e lo nascose affianco al casco. Impostò il phaser su stordimento. Non poteva dimenticare che si trovava comunque su una stazione orbitante della federazione. Erano ‘amici’. 

Si infilò nel corridoio meno frequentato e da lì nei condotti dell’aria che, secondo le planimetrie rubate da Scotty dagli archivi di Pike, dovevano arrivare dritti nel reparto ingegneristico. Scott era sicuro. Se stavano costruendo qualcosa, la stavano costruendo li.

Mano a mano che si avvicinava al suo obiettivo senza incappare in guai, Kirk guadagnava fiducia. Cercò di rimanere concentrato. Stava facendo attenzione, come gli aveva chiesto Spock. Quel pensiero lo fece sorridere. Smise immediatamente chiedendosi se anche a quella distanza, il vulcaniano potesse percepire il corso dei suoi pensieri.

Il rumore di passi spediti sotto di sé, lo fece irrigidire. Si fermò ipotizzando che qualcuno stesse percorrendo il corridoio. Si spinse fino ad una grata e guardò giù. Erano uomini con le casacche blu. 

Reparto scientifico, quindi. Che stia sbagliando direzione?

Seguì il percorso nel condotto fino ad una ventola. Lì girò a destra e scese lungo una scala. Toccò il suolo dietro una porta a tenuta stagna. Bypassò il sistema operativo e riuscì ad aprirla.

Si ritrovò in un laboratorio. Jim riconobbe gli stessi campioni che Bones aveva prima preso per sbaglio e poi rimesso a posto nel palazzo della federazione. Si avvicinò alle celle frigorifere e cercò i nomi dei file. Non fu difficile riconoscere la sigla di cui Spock gli aveva parlato: JH01.

Controllò il pad vicino alle celle. Richiedeva una password. Inserì la parola ‘Jupiter’ e, mentre il pad rivelava le informazioni che conteneva, Jim sorrise. Formule chimiche e indicazioni dei composti esaminati erano approfonditamente dettagliate. Copiò i file su un drive portatile e cercò di guadagnare l’uscita. 

I corridoi erano deserti. La cosa lo insospettì. Possibile che una stazione spaziale che sulla carta vantava almeno duemila persone, fosse così scarsamente frequentata? 

Continuò a camminare spostandosi da corridoi più stretti verso spazi più ampi che pensava fossero quelli principali. Fu così che si ritrovò in una spazio circolare in cui confluivano più corridoi. Su una parete c’era quello che, a tutti gli effetti, sembrava un ascensore. Vi entrò e parlò a voce alta.

“Ponte principale.” L’ascensore si mise in moto e si spostò verso l’alto. Quando le porte si aprirono, Jim non ebbe più dubbi. Di fronte a lui, ben piantata sulla parete, c’era una targa incisa.

“U.S.S.Jupiter flagship.” Erano accese solo le luci d’emergenza così osò accedere a quello che poteva essere soltanto il ponte di comando. La vista della plancia lo sconcertò. C’era la poltrona del capitano al centro della stanza ma, oltre a quella, c’erano solo altre due sedute. Come si poteva comandare una nave così grande con soli tre uomini in plancia? 

Camminò fino alla sedia e controllò il computer di bordo. Non servì né la scienza di Spock, né la preparazione tecnica di Scotty per capire che la nave aveva un assetto diverso dalla Enterprise e dalle altre navi che la federazione inviava in giro per lo spazio.

Attivò in maniera intuitiva il sistema per scoprire che anche il solo capitano avrebbe potuto condurre, dalla poltrona, tutte le attività necessarie a governare il vascello. Dal sistema di navigazione a quello di propulsione. Ciò che lo lasciò veramente sorpreso fu che, oltre ad avere un avanzatissimo sistema di difesa, la nave possedeva un significativo potenziale offensivo. Schiacciando pulsanti un po’ a caso, Jim attivò anche il menù delle armi. Rimase a fissare lo schermo che segnalava settantadue missili di ultima generazione che avrebbero potuto annichilire un intero pianeta. Si alzò dalla poltrona e decise che aveva visto fin troppo. Registrò sul drive e spinse quello che sembrava il pulsante di spegnimento. 

Invece tutte le luci della plancia si accesero e una voce riempì la stanza.

“Capitano in plancia. Sistema di navigazione attivato. Inizializzare propulsione, capitano?” Jim masticò un’imprecazione.

“Negativo. Spegni tutto.”

“Comando non presente. Iniziare conto alla rovescia inizializzazione propulsione?”

“No! Annulla!”

“Agli ordini, capitano.” Lo schermo si spense e Kirk sentì delle voci provenire dal corridoio. Doveva nascondersi, ma dove? Si infilò nella capsula Kelvin un attimo prima che la porta si aprisse.

“Jupiter, comando vocale AM11.” Un uomo si avvicinò e si sedette sulla poltrona. Stavolta le luci non si accesero ma la voce robotica del pilota automatico della nave rispose lo stesso.

“Capitano in plancia.”

“Stand by. Presenta lista ultimi comandi.” Il computer di bordo mostrò sullo schermo l’elenco degli ultimi comandi digitati in plancia. Kirk vedeva la sagoma di spalle. Non riusciva a riconoscerlo né a sentire bene la sua voce chiuso dentro la capsula di salvataggio. L’uomo si alzò e raggiunse lo schermo interattivo toccando le voci che lui aveva selezionato poco prima. Si chiese se la macchina avesse anche registrato l’apertura della capsula Kelvin. In quel caso era letteralmente fottuto. Trattenne il respiro facendo mente locale di aver già spento il computer prima di aprire la capsula in modalità manuale.

Un tonfo sordo lo scosse dai suoi pensieri. L’uomo di spalle aveva colpito con un pugno una delle consolle. Il comando visualizzato sullo schermo era quello relativo ai missili di ultima generazione. L’uomo si girò e riguadagnò l’uscita. Prima di lasciare il ponte di comando, parlò.

“Annulla ultimo.”

“Agli ordini capitano.”

“Offline.” Le luci si spensero insieme allo schermo. Le porte si chiusero. Kirk lasciò il suo nascondiglio e provò a seguirlo ma, quando raggiunse la sala circolare, i corridoi erano tutti deserti e del misterioso capitano non c’era più traccia.

 

C’era arrivato con estrema facilità.

Spock guardò la formula della reazione necessaria a bloccare l’eruzione vulcanica su Nibiru e prese un respiro. 

Si appoggiò allo schienale della poltrona e chiuse gli occhi. Suo padre gli aveva detto una volta che gli bastava chiudere gli occhi e pensare a sua madre che la sua mente riusciva a percepirla anche se lei era su Vulcano e lui su un pianeta distante anni luce. 

Quando provò a percepire Kirk, non sentì niente. Non ne fu sorpreso. La logica gli diceva che il legame era ancora troppo fragile e sottile perché lui potesse sentire Jim così lontano dal luogo in cui si trovava fisicamente.

Prese l’esatta quantità di agente ipercongelante come l’aveva calcolata nella sua formula e uscì dal laboratorio. Erano passate quattro ore e, tra meno di altre tre, sarebbero entrati nell’orbita di Nibiru.  Raggiunse il turboascensore e da lì, il ponte macchine.

“Signor Scott, é giunto il momento che mi aiuti con gli aspetti pratici del piano di salvataggio che il capitano ha ideato per i nostri nativi.” Scott sghignazzò.

“Crede che sia stato con le mani in mano finora?” Spock non si scompose.

“La prego, mi illumini.” Scott sollevò una scatola di metallo e la poggiò sul tavolo da lavoro.

“Le presento ‘la bomba’.”

“Quando smetterà di dare nomi a degli oggetti inanimati?” Scott fece una faccia offesa ma non lo era davvero.

“Questa é una bomba, capitano.”

“Facente funzione di capitano, signor Scott.”

“Per fortuna mia e dell’equipaggio! Non si offenda.”

“Non mi offendo. Continui.”

“Ad ogni modo, questo é l’innesco che mi ha chiesto di preparare.” Scotty premette un tasto sulla sommità della scatola e il coperchio scattò mostrando l’interno. “Dunque, meno di un chilogrammo senza reagente. Peserà un po’ di più quando lei l’avrà caricata. Ci sono quattro quadranti. Uno misura il calore, il secondo stima le vibrazioni, il terzo é il timer, il quarto l’innesco. Il funzionamento é semplice. Bisogna settare nei primi due quadranti i limiti di innesco, nel terzo il tempo a disposizione per allontanarsi dal dispositivo, attivare lo stesso con il pulsante collocato nel quarto. Potrebbe farlo un bambino.” Spock sollevò un sopracciglio. Scotty sospirò. “Intendevo dire che é semplicissimo. Per il nostro capitano sarà uno scherzo.”

“Dovrebbe scherzare mentre attiva una bomba?” 

“Ci rinuncio.”

“Comunque non sarà il capitano a farlo. Me ne occuperò io.”

“Lei?” Spock annuì. 

“Mancano ancora otto ore prima che Kirk torni a bordo, ammesso che vada tutto bene. Poi ci vorranno almeno altre tre ore per tornare nell’orbita di Nibiru. Rischiamo che il vulcano erutti. Una nave scialuppa con una squadra di ricognizione trasporterà il dispositivo quanto più vicino al vulcano. Lei tornerà con il signor Sulu e il dottor McCoy a prendere Kirk. Per quando sarete tornati, la missione su Nibiru sarà terminata.”

“Vuole settarlo senza di me?”

“Con tutto il rispetto, signor Scott, credo di poterlo fare.”

“Con tutto il rispetto, signor so tutto io, ci vogliono quattro mani per impostare i dati prima che il reagente si surriscaldi per tutta una serie di fattori che non starò qui a spiegarle!”

“Temperatura esterna del pianeta, surriscaldamento del suolo, magnetismo del nucleo, erosione della capsula interna del dispositivo da parte del reagente, dispersione, vuole che continui? La verità é che solo lei può riportare a bordo Jim tutto intero mentre l’Enterprise viaggia a curvatura sette. Per settare il dispositivo basteranno il mio cervello e le mani del guardiamarina Chekov.” Scott si dichiarò sconfitto.

“Questo a McCoy non piacerà. E neanche a Jimbo.” Spock consegnò il reagente.

“Avevo pensato di farlo io ma lo prepari lei. Io vado in plancia a comunicare gli ordini.”

Spock lasciò il ponte motori e raggiunse rapidamente quello di comando.

“Capitano in plancia.” Disse Sulu.

“Tenente Uhura apra un canale generale.” La donna obbedì e poi gli fece cenno che poteva parlare. “Qui facente funzione di capitano Spock. Siamo entrati nell’orbita del pianeta di classe M Nibiru. Tra poco una squadra di ricognizione si recherà sulla superficie del pianeta per svolgere la missione che ci é stata assegnata. Scenderemo con una lancia di perlustrazione. L’Enterprise farà un ulteriore girò a velocità di curvatura per esaminare l’ambiente circostante. Pronti a recuperare la lancia tra sei ore. Io guiderò la ricognizione per cui affido la nave al facente funzione di capitano signor Sulu. Chiudo.” Quando fu certo che Nyota avesse interrotto le comunicazioni con l’esterno, riprese a parlare. “Signor Sulu riporti la nave nell’atmosfera di Giove. Dovete recuperare il capitano tra tre ore esatte. Farete ritorno a Nibiru per quando io avrò terminato il resto della missione. Tenente Uhura, guardiamarina Chekov, gradirei la vostra collaborazione per la missione.” Nyota si alzò e annuì.

“A disposizione.” Disse guardando prima Spock e poi Chekov. Sulu si alzò prima che il suo compagno potesse farlo.

“Signore, se dovete portare una lancia nell’atmosfera instabile di un pianeta sconosciuto credo sia opportuno che mi unisca a voi.”

“Apprezzo la disponibilità signor Sulu ma mi serve che lei rimanga a bordo come facente funzione di capitano. Lei è il signor Scott siete responsabili della vita del capitano Kirk. Sono certo che il guardiamarina sarà in grado di pilotare la lancia. Inoltre mi servono le sue competenze tecniche per l’installazione di un certo tipo di attrezzatura su Nibiru.” Chekov non se lo fece ripetere.

“Agli ordini capitano.”

“Andiamo allora. Signor Sulu, a lei la poltrona.” L’uomo di origine asiatica non se lo fece ripetere. 

I tre membri dell’equipaggio, invece, raggiunsero l’ascensore.

“Solo noi tre?” Chiese Uhura quando furono soli.

“Solo noi tre. Inoltre quello che faremo su Nibiru é classificato con il protocollo di massima sicurezza.” La donna stava per chiedere altro ma l’ascensore si fermò al piano e le porte si aprirono. La faccia di McCoy coprì la visuale del corridoio a tutti.

“Signor Spock! Permette una parola?”

“Dobbiamo sbarcare dottore. Al nostro ritorno.”

“Non credo proprio!” Esclamò Leonard tirando per un braccio il vulcaniano.

“Andate avanti e preparate la lancia. Arrivo tra poco.” I due si allontanarono di qualche metro.

“Cosa c’é dottore?”

“C’é che sei un bugiardo.” Le parole di Bones fecero corrugare la fronte di Spock.

“I vulcaniani non mentono.”

“Lei sì.”

“Invece no.”

“Invece si. Quando ti ho parlato dei mal di testa di Jim sapevi benissimo cosa li provocava e non hai detto niente.”

“L’omissione non é una bugia. Sarebbe logico definire le cose in modo appropriato, dottore.”

“Non prendermi per i fondelli. Hai creato un legame con Jim e poi, come se fosse un pad mal funzionante, hai deciso di liberartene?” Le parole di McCoy ferirono Spock anche se non lo avrebbe ritenuto possibile. Le parole erano solo parole, non potevano cambiare i fatti. Era illogico prendersela a male. Eppure fu così.

“Chi le ha detto una cosa simile?”

“Chi altri se non Jim?”

“Allora il capitano ha male interpretato le mie parole.”

“Spock non ho voglia di chiacchiere. Jim é stato molto turbato da questa specie di collegamento psichico tra voi. Ha avuto anche delle ripercussioni sul suo stato di salute. Lui forse non sa cosa diavolo é il legame, né quali conseguenze abbia ma io sì e sarò maledetto se ti permetterò di farlo soffrire!”

“Questo astio denota un forte senso di appartenenza con il capitano. La disturba che io abbia teso un legame con lui perché é preoccupato per la sua salute oppure perché é quel tipo di legame che sperava di avere lei con il capitano?” Le parole gli uscirono dalle labbra cattive, incontrollate e Spock se ne vergognò subito. La reazione di Mccoy fu rabbiosa. Lo spinse con le spalle al muro e gli prese Il bavero dell’uniforme.

“Ero convinto che fossi suo amico, che fossi mio amico e io mi sono preoccupato per voi. Per tutti e due. Ma hai ragione tu. Sono in pena per Jim. Di una creatura che ha il fegato al posto del cuore non devo darmi alcuna pena. Pertanto prima di tagliare il legame, lasciami almeno il tempo di capire come fare ad evitare che sia Jim a soffrire.” Spock si liberò dalla presa di McCoy ma prima di andarsene si spiegò.

“I vulcaniani molto di rado interrompono volontariamente un legame. Soprattutto perché non nasce mai senza motivo. In genere lega spiriti affini. Quando un legame si spezza, perdiamo comunque una parte di noi. Irrimediabilmente. Crede che io farò eccezione?” Mentre si allontanava, la voce di Leonard lo richiamò. Ora era di nuovo la voce calda e sempre preoccupata del suo amico.

“Allora perché vuoi farlo?” Spock non si voltò.

“Perché preferirei perdere un pezzo della mia anima piuttosto che tenere legato Jim contro la sua stessa volontà.” Sparì dietro l’angolo lasciando McCoy in preda ad una terribile angoscia.

 

Alla fine Kirk aveva compreso che Scotty lo aveva teletrasportato non nella stazione spaziale ma proprio all’interno della U.S.S. Jupiter. Pertanto la riposta alla domanda Di Pike era affermativa. La nave la cui costruzione non era stata autorizzata era stata assemblata lontano dalla Terra e armata con un arsenale che altre navi della federazione non possedevano. 

A quel punto rimaneva da trovare la risposta alla domanda di McCoy. Cosa stavano facendo con il dna geneticamente modificato? Probabilmente soldati per la U.S.S. Jupiter. Però un pensiero lo tormentava. La nave sembrava costruita per navigare senza un vero e proprio equipaggio. Perché allora creare super soldati? Guardò l’orologio che segnava il conto alla rovescia per tornare sulla nave. Segnava tre ore punto quattro. Aveva ancora tempo. Trovò l’uscita della nave e scese nella stazione spaziale. Adesso era tutta un’altra storia. C’era un via vai di persone che sembravano tutte affaccendate in cose importantissime. Raggiunse una specie di magazzino e si cambiò d’abito. Doveva cercare di passare inosservato e non poteva farlo con la tuta spaziale. Indossò un’uniforme e un berretto e prese un carrello. Uscì dal magazzino come se fosse un normale operaio della stazione spaziale. Riuscì ad individuare i laboratori di ricerca e fece in modo di arrivarci. Per farlo dovette sbrigare davvero un paio di commissioni per degli ufficiali incontrati per caso. 

I laboratori della stazione spaziale erano tecnologicamente più avanzati persino di quelli della sede della federazione sulla Terra. Attivò un pad ma stavolta il nullaosta di sicurezza non fu bypassabile. Come poteva scoprire a chi appartenevano i campioni? Le porte si aprirono e una voce lo rimproverò.

“Lei cosa fa qui? Questi laboratori non sono accessibili al personale di servizio.” Jim si voltò e guardandosi i piedi farfugliò delle scuse accettabili. Quando stava per lasciare la stanza un’altra voce lo richiamò.

“Aspetti!” Jim si bloccò sul posto ma non si voltò. Porti questi referti all’ammiraglio Marcus. Ponte quattro.” Kirk allungò una mano e prese il pad teso verso di lui. Fece un cenno col capo e sparì dietro le porte scorrevoli. Tirò un sospiro di sollievo. 

Al diavolo! Non posso farmi vedere da Marcus. Mi terrò il pad e proverò a farlo decifrare a Spock. Certo che é proprio un peccato non venire a capo di questo mistero ma quando darò a Pike il drive con i dati sulla Jupiter, lui manderà una squadra qui a capire cosa sta succedendo. Mi conviene tornare sulla nave. Il jet pack e il casco sono lì.

Riuscì a tornare nei magazzini incolume e a recuperare la tuta spaziale. Non la indossò. Sarebbe stato più facile tornare sulla nave come un semplice fattorino. Fu quando stava per salire sulla Jupiter che una voce di donna urlò a gran voce.

“Fermate quell’operaio! Ha preso dei dati che appartengono all’ammiraglio!” Jim non pensò al fatto che erano stati veloci a scoprirlo. Agì. 

Si mise a correre spintonando chiunque gli ostruisse la strada. Fece perdere le sue tracce lungo gli intricati corridoi della Jupiter. I topi da laboratorio non sarebbero riusciti a stargli dietro. Anche se l’ammiraglia era più grande e complessa dell’Enterprise, rimaneva pur sempre una nave della federazione e lui le conosceva tutte a memoria. Tornò a nascondersi nei condotti e reinfilò la tuta spaziale. Mancava poco all’ora zero e sarebbe stato meglio recuperare almeno il casco. Gli tornarono in mente le parole di Scotty.

‘Prima un triplo salto mortale nel vuoto e poi uno alla rovescia.’ Sì, doveva recuperare il casco. Aveva promesso a Spock che sarebbe stato prudente. Uscì dai condotti e ritrovò la porta del magazzino. Non fece in tempo ad aprirla. Due uomini gli stavano sparando con dei phaser che non erano per nulla impostati su ‘stordimento’. Riprese a correre quando sentì un dolore fortissimo al fianco. Lo avevano colpito. Si sforzò di non cedere e svoltò l’ennesimo angolo cercando un nascondiglio che non c’era. Sollevò lo sguardo ma neppure un condotto passava da lì. Si voltò e impugnò il phaser. Poteva sempre lottare. Non si sarebbe arreso. L’ombra di uno dei suoi inseguitori si allungò sul pavimento indicando che ormai gli erano addosso quando sentì una mano afferrargli un braccio e tirarlo indietro. Alle sue spalle una porta grigia e piatta che lui non avevano notato si era aperta e chiusa. 

Si ritrovò in un locale di servizio buio con un’altra persona.

“Lascia andare il phaser.” Kirk ebbe l’impressione di conoscere quella voce. Fece quello che sapeva fare meglio: il temerario.

“Altrimenti che fai? Mi spari? Lo hanno già fatto e sono ancora in piedi.” L’uomo fece un passo e venne fuori dall’ombra. 

“Ancora in piedi per poco, capitano.” Disse sollevando entrambe le mani. Jim lo riconobbe e abbassò l’arma che era comunque ancora impostata su ‘stordimento’.

“John Harrison! Cosa ci fa lei qui?”

“La domanda é cosa ci fa lei qui, Kirk.” Jim sorrise mentre con una mano andò a tamponare la ferita al fianco.

“Visita di cortesia. Lei?”

“Io ci lavoro.” L’espressione di Jim cambiò.

“É agli ordini dell’ammiraglio Marcus?” 

“Sì.”

“Allora perché non ha lasciato che mi prendessero i suoi compagni?”

“Questa é una domanda molto intelligente. Diciamo che ho i miei motivi. Ora mi dia il pad con i dati che ha preso al laboratorio.”

“Allora sono questi che vuoi? Perché? Il tuo capo non condivide i suoi segreti con te?”

“E il tuo capo lo fa?”

“Io sono il capitano di una nave spaziale. Se la federazione mi da un’ordine, obbedisco.” Disse prima. “In genere.” Aggiunse poi. “A modo mio.” Concluse. Harrison sorrise.

“Allora siamo simili. Mi dia il pad, capitano.”

“Sai cosa c’è qui dentro? Sei a conoscenza degli esperimenti sul genoma umano?”

“Non sono il mio argomento preferito di discussione. Ho bisogno di quei file. Non mi costringa ad usare la violenza.”

“Stavi cercando questi anche a San Francisco?”

“E a Londra, a Vancouver e Tokyo. Contento?” Me li dia.” Il tono di voce dell’uomo adesso era minaccioso.

“Non mi ucciderà, Jhon. Lei, in fondo, non é romulano.” Harrison sorrise con malizia mostrando che aveva un phaser anche lui.

“La razza più crudele dell’universo é quella umana, Kirk. Vuole che glielo dimostri?” Jim allungò il pad e fece cadere lo sguardo sull’orologio. Mancavano pochi secondi all’ora zero. Non aveva il casco, non aveva il jet pack, ma era James T. Kirk e non credeva alle situazioni senza via d’uscita. Mentre Harrison allungava la mano non armata per prendere il pad, lui fece un passo indietro e, non appena l’orologio segnò lo zero, attivò il transponder. 

Quando Jhon Harrison riuscì a riaprire gli occhi e a capire cosa era stata quella luce fortissima, il capitano dell’Enterprise non c’era più.

 

Scotty l’aveva definito ‘uno scherzo’.

Spock ancora non riusciva a capire. Forse sarebbe stato facile per Kirk innescare un’arma come quella nel pieno di un’eruzione vulcanica. Lui, invece, riusciva a vedere solo i rischi e le conseguenze. Chiuse gli occhi, prese un respiro e poi parlò.

“Guardiamarina passi i comandi al tenente. Deve aiutarmi con l’attrezzatura.” Nyota si alzò e raggiunse la cloche. Gli diede il cambio decisa a proseguire la conversazione iniziata in ascensore.

“Ora vuoi dire che sta succedendo?” Spock le rispose con calma. In fondo era arrivato il momento di condividere tutte le informazioni.

“Quello che io e Chekov adesso programmeremo é un dispositivo in grado di controllare e fermare l’eruzione vulcanica che rischia di distruggere il pianeta e condurre ad estinzione la sua popolazione.”

“Non si é mai parlato di fermare l’eruzione!” Uhura dimostrò per l’ennesima volta, semmai c’è ne fosse stato bisogno, di essere molto, molto sveglia.

“Il capitano ritiene che, nel rispetto della prima direttiva, sia nostro compito salvaguardare una specie in via di sviluppo.”

“Nel rispetto della prima direttiva? Kirk? Perché non è qui lui? Tu sei quello delle direttive, lui quello con gli esplosivi. Te lo confesso, Spock, questa storia non mi piace per niente.”

“Nyota le tue perplessità sulla mia capacità di gestire situazioni critiche saranno analizzate più avanti. Ora gradirei che ti concentrassi nel tenere la lancia in posizione stabile. Rimani nella nuvola di fumo generata dal cratere in modo che i nativi non ci vedano. Io e Chekov prepareremo il dispositivo e sceglieremo il punto in cui collocarlo.” Chekov, che era rimasto affascinato dal dispositivo costruito da Scotty, aveva aperto l’innesco e stava impostando i dati.

“Ohi, ohi! Questo non va bene, capitano, non va bene per niente!”

“Cosa c’è guardiamarina?”

“Il secondo quadrante é impostato su vibrazione.”

“Lo so. Cosa c’è che non va?”

“L’epicentro di vibrazioni é dentro vulcano. Qualsiasi altra posizione, ohi, ohi!”

“Ha ragione, Chekov, qualsiasi altra posizione farà scattare l’innesco prima dell’esplosione di cui il reagente ha bisogno per attivarsi e congelare la lava.”

“Potete parlare nella mia lingua?” Gridò Uhura.

“Innesco deve andare dentro vulcano!” Gridò Chekov.

“Fantastico! La lancia non può scendere più di così. Il magnetismo del pianeta farà impazzire la telemetria del sistema di navigazione.”

“Signor Chekov ha calcolato la distanza minima per la maggiore approssimazione?” Chiese Spock. Il ragazzo annuì.

“Distanza minima é comunque dentro bocca di vulcano.” Spock non gli lasciò aggiungere altro. Si alzò e cominciò ad indossare la tuta spaziale.

“Cosa diavolo fai?” Gridò Uhura, “Pavel prendi il mio posto.” Nyota lasciò i comandi al guardiamarina e raggiunse Spock che armeggiava con l’attrezzatura. “Mi spieghi cosa stai facendo adesso?”

“La cosa più logica. Per la buona riuscita della missione occorre che l’innesco venga portato al livello zero del vulcano. La lancia é dotata di un cavo ad elevata resistenza adoperato per il traino dei materiali di stoccaggio. Lo userò come fune per calarmi nella bocca del vulcano e piazzare il congegno così la nave non dovrà scendere più di così e potrà mantenere la rotta. Appena ve lo comunicherò, riavvolgerete il cavo e mi tirerete su.”

“Ti ha dato di volta il cervello? E questa ti sembra la cosa più logica? Calarsi in un vulcano in procinto di eruttare con una bomba che esplode se viene toccata una certa temperatura?”

“E un certo livello di vibrazioni.” Aggiunse Spock.

“Vuoi mandarmi fuori di testa?” La voce di Uhura adesso era due toni più alta.

“Non vedo come potrei farlo senza ucciderti. Fisicamente é una cosa impossibile.”

“E infatti mi ucciderai! Dov’è la stima dei rischi? Che fine hanno fatto i calcoli che tanto ami sulle probabilità di riuscita di una simile idea?” Spock la guardò con aria interrogativa poi prese un sospirò e parlò.

“Hai ragione. Facendo i calcoli ci sono quarantadue punto quattro probabilità di successo.”

“É buona percentuale!” Esclamò Chekov dalla postazione di pilotaggio.

“Concordo.” Asserì Spock cercando di infilarsi il casco. Nyota gli bloccò le mani.

“Non é buona per niente. Praticamente é come tirare una monetina. Se esce testa sopravvivi e se invece esce croce muori.” Spock comprese che la valutazione di Uhura era di tipo emotivo.

“Il bene di molti viene prima di quello del singolo. Il capitano mi ha chiesto di fare un tentativo e io sono confidente di poter salvare i nativi con questo dispositivo. Salvaguardare la vita nell’universo é uno dei principi fondatori della federazione stellare. É ciò per cui ci siamo arruolati.” Nyota gli lasciò andare le mani a malincuore.

“Lo fai perché lui lo farebbe.” Disse sconfitta. Spock avrebbe voluto dire la verità. Perché i vulcaniani non mentono. Mai. La sua metà umana però si rifiutava di ammetterlo con chiunque tranne che con se stesso. Lo avrebbe fatto perché non fosse Jim a farlo. Stava già rischiando la vita in una missione non ufficiale. Avrebbe dovuto lasciare che al suo ritorno si buttasse letteralmente nel fuoco per salvare un pianeta sull’orlo della distruzione? Il pensiero tornò a quello natio. Non aveva potuto fare niente per salvare Vulcano. Aveva perso sua madre nell’impotenza più totale. Se non fosse stato per la ostinata volontà di Jim, avrebbe condotto l’equipaggio dell’Enterprise alla morte e non avrebbe potuto salvare neppure suo padre. Ora toccava a lui.

“Sì, lui lo farebbe. E non sarebbe in errore.” Si infilò il casco e aprì il portellone della lancia. Assicurò il cavo alla cintura magnetica della tuta e afferrò il dispositivo. “Grazie per aver tentato di dissuadermi. Hai un cuore gentile Nyota.” La donna sorrise e gli stampò un bacio sulla visiera dopodiché tutto ciò che sentì fu il ribollire della lava e il rumore stridulo del cavo che si srotolava verso il basso.

 

Leonard corse nella sala del teletrasporto non appena sentì il messaggio di Scotty che lo avvertiva che l’ora stabilita per riportare Jim a bordo era arrivata.

Quando la porta di aprì, il capo ingegnere era in piedi vicino alla console e batteva nervosamente un piede a terra.

“Allora?” 

“Allora mancano due minuti.”

“Ed é normale che non sia ancora qui?”

“Certo! Deve attivare il transponder esattamente al momento prestabilito.” Montgomery rispondeva senza alzare gli occhi dal timer che segnava il tempo residuo.

“Che succede se sbaglia?” L’ingegnere parve pensarci un momento su.

“Beh, dipende. Se anticipa si ritroverà fatto a pezzi dall’Enterprise, se posticipa finirà nello spazio.” Bones incrociò le braccia.

“Allora meglio che non anticipi. Potremo sempre recuperarlo se posticipa.”

“Se posticipa riapparirà più o meno all’altezza delle bocche di energia del motore a curvatura. Verrà incenerito.”

“Fantastico. Hai dato un meccanismo di precisione ad uno che ha fatto dell’approssimazione uno stile di vita.”

“O questo o niente. Ci siamo. Dieci, nove, otto, sette, sei, cinque, quattro, tre, due, uno, ora.” Scott attivò il teletrasporto ma nessuna sagoma compariva nel dispositivo.

“Dove diavolo é?” Bones fece un passo in avanti in preda all’angoscia. Guardò Scotty.

“Avanti, Jimbo!” Urlò proprio mentre la luce riempì la cabina e Kirk ricomparve a bordo. “Urrà! Lo sapevo che ce l’avresti fatta!” Quando la luce scemò, Kirk prese una boccata d’aria come se fosse stato in apnea per un lunghissimo tempo.

“Ragazzi, che bello essere a casa.” Disse piano, sottovoce, prima di accasciarsi.

“Jim, razza di bastardo, che ti sei fatto?” Gridò Bones chinandosi su di lui.

“Un colpo di striscio, tranquillo, sto” cercò di dire prima di perdere i sensi. Leonard lo distese sul pavimento e si accorse della macchia di sangue che si allargava intorno al foro lasciato dal colpo ricevuto all’addome.

“Scott, avvisa l’infermeria che sto portando lì il capitano. Devo operare subito. E occupati tu dei suoi effetti personali. Montgomery non se lo fece ripetere e quando il dottore raggiunse l’infermeria trascinandosi dietro Kirk, la Chapel aveva preparato già tutto l’occorrente per l’intervento che durò un’intera ora. 

Jim si risvegliò che l’Enterprise era quasi arrivata a destinazione.

“Che ti avevo detto?” Gli disse McCoy quando Jim aprì gli occhi e si sforzò di sorridergli, “Il tuo piano faceva schifo.”

“Vero.” Rispose in un lamento il capitano, “Eppure ha funzionato.”

“Lo sai che il colpo che ti ha ferito ti ha perforato lo stomaco? Sei vivo per miracolo.”

“Mi hai rimesso a posto?”

“Sì.”

“Allora é tutto ok. Come sta andando su Nibiru? Avete preparato il dispositivo per fermare l’eruzione del vulcano?”

“Se ne sta occupando Spock.” Gli occhi di Jim furono attraversati da un lampo.

“Che significa? E’ sceso su Nibiru senza di me?” McCoy alzò gli occhi al cielo.

“Ci risiamo, vero? Come pensavi di poter riuscire a tornare da una missione tanto rischiosa e poi gettarti subito in una cosa come quella?”

“Chi é andato con Spock?”

“Chekov e Uhura.”

“Soltanto?” Jim puntò i gomiti sul lettino. Leonard lo fece stendere.

“Non alzarti. Pare che per settare la bomba ipercongelante servissero solo quattro mani.”

“Chekov non è un ingegnere e Uhura non é un pilota.”

“E tu non sei immortale.”

“Chiama il ponte, voglio parlare con Sulu.” 

“Jim, devi riposare. Il fatto di aver suturato la ferita non significa che tu sia a posto. Un organo interno é stato sul punto di collassare. Devi tenere il tuo fisico a riposo per la giusta quantità di tempo.”

“Bones, é un ordine.” McCoy si alzò e, seccato, premette il tasto di chiamata sull’interfono. La voce di Sulu arrivo nitida e calma in risposta.

“Qui facente funzione di capitano Sulu, cosa c’è dottore?”

“Sono Kirk, signor Sulu.”

“Capitano é bello sentirla.”

“Grazie, é bello essere a bordo. Mi aggiorni sulla missione Nibiru.”

“Abbiamo interrotto i contatti con la lancia di ricognizione due punto due ore fa, capitano. Tra poco dovremo essere in grado di ripristinare le comunicazioni. Purtroppo il sistema operativo della lancia non é abbastanza potente per superare il raggio dell’atmosfera del pianeta.”

“Bene, mi avvisi non appena sarà in grado di ripristinare il contatto.”

“Agli ordini, capitano.”

“Signor Sulu.”

“Sì, capitano?”

“È tornato in tempo. Ottimo lavoro. Kirk chiudo.” Bones si risedette accanto al letto.

“Contento?”

“Neanche un po’. Che aveva in mente Spock? Una lancia di ricognizione sola per quanto? Sei ore almeno nell’atmosfera instabile di un pianeta mai visitato prima?”

“Avrà fatto i suoi calcoli come tu hai fatto i tuoi.”

“Non sei confortante, Bones. Però io ho trovato le mie risposte. Dove sono il drive e il pad che ho portato con me?”

“Ce li ha Scotty.”

“Bene, fagli sapere che deve tirare fuori tutti i dati.”

“Se conosco bene Scott e ne é capace, lo avrà già fatto.” Kirk rise. Poi tornò improvvisamente serio.

“Bones, appena saremo nell’atmosfera di Nibiru, devo tornare sul ponte. Devi rimettermi in piedi.”

“Impossibile.”

“Non é una bravata. É stata una mia idea. Salvare Nibiru, intendo. Ora Spock, Nyota e Pavel sono laggiù da soli. Pike mi ha detto che c’è solo una cosa al mondo peggiore di un capitano incosciente.”

“Davvero? E cosa? Un capitano morto?”

“Un capitano che non tiene alla vita del suo equipaggio.” Bones perse il sorriso anche se ironico. 

“Jim, per rimetterti in piedi dovrei darti dei farmaci molto forti. Il tuo stomaco non li sopporterebbe e non posso darti un gastroprotettore perché sei allergico. Quindi, come vedi, non posso farlo.”

“Fallo. Mi sento bene e non posso comandare la nave dall’infermeria.” McCoy ci pensò un attimo su e poi cedette.

“Ad una condizione. Promettimi che in nessun caso lascerai la nave. Voglio tenerti sotto controllo.”

“Ok, grazie.”

“Che tu sia maledetto!” Sputò tutto d’un fiato mentre si apprestava a preparare il medicinale.

 

Spock vide il cielo, seppure grigio, sparire per lasciare spazio al rosso della lava che ribolliva all’interno del cratere. Il tutto ad una tremenda velocità. Strinse al petto l’innesco e portò una mano al cintura per ridurre la velocità di discesa. Non fece in tempo a farlo. Qualcosa lo paralizzò. Un fortissimo dolore all’addome. Il respiro, che aveva mantenuto regolare per consumare quanto meno aria possibile, si spezzò. Un’altrettanto forte consapevolezza lo riempì. Quel dolore non era suo. Apparteneva a Jim. Era accaduto qualcosa a Jim. La sua mano andò all’addome e strinse più che poteva. Nel farlo, distaccò il cavo magnetico dalla cintura. 

Precipitò.

Non riusciva ancora a respirare ma ora non sapeva se per il dolore di Jim o la paura di morire. 

Prese un colpo tremendo che lo costrinse a lasciare andare l’innesco. La caduta di entrambi si arrestò su un pezzo di roccia miracolosamente libero da lava e abbastanza grande da consentirgli di non affondare nel magma.

Si alzò e sentì la voce di Uhura rimbombargli nelle orecchie dalla trasmittente nel casco.

“Spock! Spock, stai bene?”

“Sono sorprendentemente vivo.” Rispose. Il respiro era tornato normale il dolore all’addome sparito. “Uhura puoi metterti in contatto con l’Enterprise?”

“Non ancora!” Rispose la donna con concitazione. “Spock, puoi resistere otto minuti? Tra otto minuti sarò in grado di ristabilire i contatti con la nave madre. Ti riporteremo a bordo.”

“Non vedo come. Il cavo magnetico si é riavvolto automaticamente. É stato possibile calarlo solo grazie al mio peso. Ad ogni modo posso predisporre l’innesco nel tempo che ti serve per ripristinare le comunicazioni con l’Enterprise.”

“Aspetta un momento, vuoi comunque innescare la bomba?”

“É logico.”

“Morirai, Spock.”

“Morirò comunque se il vulcano erutterà. L’esplosione salverà il pianeta.” Uhura non rispose immediatamente. Non aveva senso discutere con il vulcaniano.

“Fa ciò che devi, io farò lo stesso.”

“Nyota!”

“Sì?”

“Quando contatterai l’Enterprise, chiedi se il capitano é a bordo.”

“Ricevuto.” La donna chiuse la comunicazione con Spock e cominciò a cercare un canale con la nave madre. Chekov la guardò con compassione. Sapeva che il tenente era qualcosa di più di una collega per il primo ufficiale e che lei gli voleva bene. Avrebbe voluto confortarla, sinceramente. Sapeva però che il modo migliore per aiutarla in quel momento era essere obiettivo ed efficiente.

“Tenente, non abbiamo otto minuti. Scialuppa é a limite di sopportazione calore. Precipiterà. Dobbiamo allontanarci.” Il tenente parve lottare con se stessa, poi parlò come un vero comandante.

“Quanto ci resta effettivamente?”

“Se miei calcoli sono esatti, sei minuti e ventidue secondi.” Uhura deglutì.

“Tieni la nave in assetto per cinque minuti. Se non riesco a contattare l’Enterprise fino a quel momento, inverti la rotta e prendi quota.” Chekov annuì e fece partire il countdown.

Erano passati due minuti quando Uhura ricevette il segnale di via libera al trasferimento del mayday. Inviò immediatamente il messaggio.

“Qui Uhura, abbiamo bisogno di aiuto immediato. Spock é nella gola del vulcano. Gli restano quattro minuti prima che l’innesco esploda.”

 

La voce di Sulu non era più così calma quando chiamò l’infermeria la seconda volta.

“Qui Sulu, capitano, se può, deve venire in plancia. Subito. Il signor Spock è bloccato nella gola del vulcano e il dispositivo che ha portato con sé sta per esplodere.” Jim non se lo fece ripetere. Grazie al farmaco che gli aveva iniettato Bones, saltò giù dal letto e corse fino alla sala di comando. Leonard non se la sentì di rimproverarlo.

“Capitano in plancia!” Esclamò Sulu mente riprendeva il suo posto al comando del sistema di navigazione evidentemente sollevato di non dover prendere alcuna decisione in quella situazione. Kirk chiamò la lancia.

“Tenente, qui Kirk.”

“Capitano, Spock é.” La linea era disturbata e per qualche secondo la voce della donna scomparve.

“Tenente? Sulu chiama Scotty.” Quando Jim sentì la voce dell’ingegnere nell’interfono non perse tempo. “Scotty in quanto può portare la nave sopra il vulcano? Dobbiamo teletrasportare Spock a bordo prima di subito.”

“Non meno di dieci minuti.”

“Sentito tenente?”

“Sì signore.” La voce di Uhura era sempre più debole.

“Può mettermi in contatto con Spock?” Jim sentì la donna chiamare il comandante.

“Spock, mi sentì? Il capitano é a bordo. Può sentirti.”

“Capitano ho innescato il dispositivo. Esploderà tra tre minuti.” Perfino in una situazione come quella, la sua voce era imperturbabile. “Mi dica, capitano, é ferito?” Jim attivò sullo schermo il conto alla rovescia. Due minuti e trenta secondi e Spock sarebbe morto.

“No, sto bene. Stiamo trovando un modo per portarla via di lì.”

“Capitano, non c’è niente che lei possa fare senza violare la prima direttiva.”

“Spock non starò qui a parlare della prima direttiva con te. Scotty ci deve essere qualcosa che possiamo fare.” La voce di Uhura s’intromise nella conversazione.

“Capitano, chiedo il permesso di scendere a prendere Spock con il cavo magnetico.” Spock intervenne con tempestività mentre l’orologio segnava due minuti.

“C’era solo una tuta termoresistente a bordo. Il tenente brucerà prima di arrivare in fondo.” Scotty si fece coraggio.

“Capitano posso teletrasportare una tuta sulla lancia!”  Chekov li avvertì.

“Ci vuole troppo a indossare tuta!” Bones si voltò a cercare lo sguardo di Jim ma il rumore delle porte che si aprivano e chiudevano gli confermò che il capitano era già andato.

“Spock!” Gridò Bones. “Puoi ritardare l’esplosione?”

“Solo di trenta secondi. Deve fare allontanare la lancia.” Rispose il comandante senza far trasparire alcuna emozione.

“Lo faccia!” Gridò ancora Bones.

“Fate allontanare la lancia.” Ripeté Spock.

“Lo faccia. Sulla lancia c’è Jim!”

 

Le porte della sala trasporti si aprirono. Kirk aveva già indossato la tuta. Il suo timer diceva che mancava meno di un minuto all’esplosione. 

“Scotty, ascoltami. Ho il transponder con me. Quando sarò sulla lancia riporta a bordo Uhura. Fa risalire Chekov appena te lo dirà. Poi attiverò il transponder.”

“Ma sarete due! Devo ricordare cosa é successo alla madre di Spock?”

“Mi porti giù ora!” Scotty lanciò un urlo isterico.

“Agli ordini!”

L’immagine di Kirk scomparve e, qualche secondo più tardi, apparve quella del tenente Uhura che corse via diretta alla plancia.

Jim invece si ritrovò sulla lancia.

“Capitano! Che bello vederla! Stiamo per morire?”

“Non oggi Pavel. Ascoltami. Mandami giù col cavo. Quando lo sentì riavvolgere, da il segnale a Scotty e torna a bordo.”

“Ma capitano! Lancia finirà fuori rotta e si schianterà!”

“Al resto penso io. Apri il portello. Ci vediamo sull’Enterprise.” Chekov obbedì e lui si ritrovò a penzolare nel vuoto. Anche se non sentiva il dolore all’addome, sapeva che la sutura d’emergenza di Bones stava andando a puttane. Quando individuò la sagoma di Spock, sganciò il cavo magnetico sperando che il segnale desse abbastanza tempo a Chekov di risalire. Toccò il suolo e  si sbilanciò all’indietro. Spock lo afferrò prima che cadesse nel magma.

“Perché sei qui?” Chiese il comandante.

“Per riportati a casa.” Disse Jim stringendogli la mano e attivando il trasponder. 

Non accadde nulla. Kirk guardò prima il dispositivo e poi Spock.

“Perché diavolo non funziona adesso?”

“Non posso dargliene la certezza assoluta ma ritengo che il magnetismo del pianeta sia arrivato al punto critico. Non avrei dovuto ritardare l’innesco di trenta secondi.”

“Abbiamo altri trenta secondi?” Chiese Kirk.

“Scotty! Mi sentì? Se ti é impossibile far risalire entrambi, riporta a bordo Spock!” 

“Jim, cosa fai?” Ora la voce di Spock era colma di confusione e tristezza. “Perché?” Quella era la domanda cruciale. Jim sorrise.

“Non c’è tempo per le spiegazioni. Prima l’equipaggio. Te l’ho già detto.” Fu allora che Spock parve quasi come risvegliarsi.

“Signor Scott, riporti a bordo il capitano. Lui è più importante!” La voce di Scotty quasi li assordò nei loro caschi.

“Signori basta! Stringetevi e smettetela di dire cazzate!” Spock non capì invece Jim si tirò addosso l’altro e lo strinse come se fosse parte di se stesso. Spock vide un onda di lava alzarsi. Li avrebbe spazzati via. Strinse entrambe le braccia intorno al busto di Jim. Con una gli coprì la testa. Gli avevano spiegato all’accademia delle scienze vulcaniana che bisogna sempre proteggere le parti vitali di un soggetto. Quello però che lo spinse a farlo non aveva a che fare con niente di ciò che gli avevano insegnato all’accademia delle scienze.

Jim era sceso all’inferno per salvarlo. Era, come spiegarlo, felice? Stava per morire ed era felice? Forse la parola giusta era completo. Integro. E una parola di formò nella sua mente.

T’hy’la.

Sentì Jim stringere più forte poi la luce li avvolse.

 

Tutto avvenne in un istante. 

Leonard urlava.

Scotty si passava le mani in faccia.

Uhura lo tirava indietro.

Chekov faceva avanti e indietro.

Lui si sentì passare delle braccia intorno al collo. Le allontanò. Si guardò le mani ed erano sporche di qualcosa di caldo e rosso. Le urla di McCoy lo terrorizzarono. Che stava succedendo?

“Spock, vieni via, lascia fare al dottore, vieni via.” La voce di Nyota era come una litania. Lui le afferrò i polsi e spostò la sua figura di lato.

Fu allora che lo vide. Leonard gli aveva sfilato la tuta e gli passava un tricoder lungo tutto il corpo. La maglia di tessuto ignifugo era completamente rossa dallo sterno in giù. Il corpo era inerte tra le braccia del dottore. Il viso, pallido, gli occhi chiusi e la fronte imperlata di sudore facevano pensare il peggio.

“Jim.” Si avvicinò come in preda ad un incubo e si chinò su di lui. “É vivo?” Chiese più a se stesso che a Leonard. Il dottore gli rispose senza smettere di provare a rianimarlo.

“Ancora per poco.”

“Era ferito.” Disse sottovoce ma il dottore lo sentì lo stesso.

“Sì. Mi aveva promesso di non scendere dalla nave ma quando si tratta di te, lui non ragiona.” Leonard guardò di nuovo i suoi strumenti poi lasciò andare il tricoder e strinse di più una delle mani di Jim.

“Jim, no, per favore. Non farmi questo!” 

“Leonard, posso?” Spock fece cenno a McCoy che voleva prendere il suo posto. Il dottore glielo affidò. Spock mise una mano sulla fronte di Jim e chiuse gli occhi.

T’hy’la tu sei ancora qui, io ti sento. Se questo legame é nato per un motivo, il motivo é questo: riportarti indietro. Questa non é la via d’uscita. Aprì gli occhi. Parlami con la tua voce. Guardami con i tuoi occhi. Stringi la mia mano con la tua mano.

In quel momento la mano di Kirk stretta in quella di Spock si mosse. Il vulcaniano aprì gli occhi. 

“Dottore, ora può intervenire.”

“Come diavolo hai fatto?”

“Fusione mentale. Ora tocca a lei.” Bones non se lo fece ripetere due volte.

 

Jim si svegliò in infermeria per la seconda volta di seguito in meno di ventiquattro ore. Stavolta però si sentiva un vero schifo.

Bones gli fu accanto in un attimo.

“So quello che pensi.” Disse piano.

“Che starei meglio se fossi morto?” Non riusciva a fare a meno di quel macabro sarcasmo anche quando riguardava se stesso.

“Esatto. E sappi che é merito mio.” Lo sguardo di Jim si fece interrogativo. “Così impari a mentirmi, brutto sconsiderato. Mi hai ingannato e io sono stato così stupido da crederti. Avevi giurato che non saresti sceso dalla nave.” Jim abbassò gli occhi sulle sue mani, una delle quali collegata, con un tubicino infilato sul dorso, ad una flebo.

“E tu me lo hai fatto promettere perché sapevi che lo avrei fatto. Ad ogni modo ti chiedo scusa. Guarirò?”

“Molto lentamente.” Rispose Bones stavolta posandogli una mano sulla fronte. “E non ti alzerai, non protesterai, non farai niente di niente.”

“Ci proverò.”

“Ci riuscirai perché io ti sto iniettando un potentissimo sonnifero.” Jim non poté protestare. I suoi occhi si chiusero e la sua testa si abbandonò su un lato.

“Era necessario?” La voce di Spock lo prese il medico alle spalle.

“Non mi sembra di aver dato ad alcuno il permesso di vedere il capitano. E la risposta alla sua domanda è sì. Era davvero necessario.”

“Sono certo che stavolta il capitano non si sarebbe alzato dal letto.”

“E hai questa certezza perché hai un legame con lui?” Adesso la voce di McCoy era di nuovo carica di accuse e risentimento. Spock si sforzò di comprenderlo.

“Credevo di aver spiegato le mie ragioni.”

“E io le ho ascoltate. Ero preoccupato per te quando hai lasciato la nave anche se mi costa ammetterlo. Forse quanto costerà a te ammettere che é stato illogico scendere in quel vulcano a quelle condizioni.” Spock annuì.

“Mi costa ammetterlo ma non al punto di mentire.”

“Allora perché diavolo lo hai fatto?”

“Ho obbedito agli ordini del capitano che mi ha chiesto di salvare Nibiru.”

“E proprio perché era un suo ordine, lui non ha potuto fare a meno di seguirti fin laggiù. Se dici di avere un legame con lui, allora dovresti sapere ciò che pensa e come si comporta meglio di chiunque altro!”

“Il piano avrebbe funzionato senza alcun intoppo. Avevo calcolato tutto fin nei minimi dettagli. L’unica cosa che non potevo prevedere é che avrebbero ferito Jim.” Bones spalancò gli occhi.

“Quindi é per questo che sei caduto? Hai percepito che Jim era in pericolo.”

“Sono deluso di me stesso e del mio scarso autocontrollo. Intendo rimediare. Mi auguro che la tua pessima opinione di me non peggiori ulteriormente.”

“E come intendi rimediare? Spezzando il legame?”

“Ho già promesso che ti lascerò il tempo di capire come evitare che il capitano ne soffra. A questo punto temo che sia l’unica soluzione. Credevo di poter schermare entrambe le nostre menti ma, a quanto pare, non sono in grado neppure di farlo per la mia.” Leonard guardò per terra. Sospirò e si lasciò cadere su una sedia.

“Fallo. Anche se sarà doloroso per entrambi. Preferisco avere due amici addolorati che morti.”

“La tua franchezza è vulcaniana, dottore.”

“Non ti va bene neppure così?” L’interfono che squillava interruppe la loro conversazione. La voce di Uhura riempì la stanza non appena il dottore aprì la comunicazione.

“Dottore, il signor Spock é li?”

“Sì, tenente.”

“Allora gli dica che il suo dispositivo é detonato con successo.” Bones non disse niente. Chiuse il canale di comunicazione e guardò Spock.

“Sentito?”

“Sono lieto che Nibiru sia salvo.”

“Intendevo il tono di voce di Uhura.” Capì che Spock non aveva colto nulla e proseguì. “Sei nei guai, Spock. Le donne terrestri sanno essere molto petulanti quando sono arrabbiate.”

“Nyota non ha alcun motivo di essere arrabbiata.”

“Ah no? Perché non hai creato un legame con lei invece che con Jim?” Spock si voltò per guadagnare l’uscita. Era andato in infermeria per parlare con Jim ma ora che l’uomo era sotto l’effetto dei farmaci, non aveva più motivo di restare. Non per dare spiegazioni a McCoy.

“Ho già detto che il legame é nato indipendentemente dalla mia volontà. Le faccende personali fa me e il tenente non sono di sua competenza. Buona giornata, dottore.”

Spock lasciò l’infermeria. Leonard si voltò a guardare il corpo di Jim abbandonato nel letto e si chiese se avesse fatto bene ad essere così franco con il primo ufficiale. Non aveva il coraggio di dare voce ai suoi pensieri. Temeva che se lo avesse fatto, se avesse detto ad alta voce ciò che pensava stesse succedendo fra Kirk e Spock, sarebbe diventato reale. Adesso però Jim dormiva. Aveva bisogno di riposo e cure. E lui gliele avrebbe garantite a qualunque costo. Pazienza se al signor Spock non andava bene. Se ne sarebbe fatto una ragione. In fondo, si disse, era la cosa più logica e lui comprendeva il pensiero logico meglio di chiunque altro.

 

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Capitolo 4
*** Terra - Prima Parte ***



Capitolo IV

Terra

 

Montgomery Scott era in paradiso.

Non solo gli era stato chiesto di mantenere la velocità di curvatura stabile a due ma gli era anche stato ordinato di decriptare alcuni file che il capitano aveva riportato a bordo da quello che lui chiamava ‘triplo salto mortale all’indietro’.

Il tutto lasciandolo in perfetta solitudine nel suo angolo preferito del ponte motori.

La tranquillità sarebbe durata fino a che McCoy, dall’alto della sua saggezza, avrebbe tenuto a riposo Jimbo. Dopodiché Scotty era certo che sarebbero ricominciati i guai. 

Almeno a giudicare da quello che aveva trovato sul drive della U.S.S. Jupiter.

Doveva avvisare almeno il comandante Spock, così lo chiamò e lo fece scendere dal ponte di comando.

“Signor Scott?”

“Comandante, la informo che ho decifrato tutti i file che il capitano ha riportato dalla Jupiter.”

“Abbiamo acquisito nuove informazioni rispetto a quelle che avevamo?”

“Altroché signore! Tanto per cominciare, non esiste alcuna sperimentazione umana. Non attualmente almeno.”

“Cosa intende?”

“Vado a spiegare.” Disse Scotty lanciando alcune immagini sul monitor del computer. “I dati attestano che il campione JH01 risale a circa duecento anni fa. Se sperimentazione umana c’è stata, é stata effettuata allora.”

“Interessante.”

“E non ho ancora finito. I test non riguardano solo prestazioni, come dire, fisiche, ma anche intellettive.”

“Intellettive? E’ logico presupporre che dal campione possano avere estrapolato elementi su cui riprodurre degli esperimenti, ma senza un soggetto vivo non è possibile riprodurre i suoi meccanismi mentali a meno che tutta la cultura di una specie non venga immagazzinata in un database ed esista una intelligenza artificiale così avanzata da formulare un pensiero logico nel modo in cui lo avrebbe fatto un individuo di quella specie.”

“Nah!” Esclamò Scott. “Ci sono pagine e pagine di dettato. È come se qualcuno stesse indicando il modo più opportuno di armare una nave spaziale. E mi creda, comandante, se le dico che fa davvero un gran lavoro. Avrei davvero paura di incrociare una nave simile.”

“Crede che possa essere la U.S.S. Jupiter?”

“Mi gioco le bobine che hanno dato vita a tutto questo casino. Ormai é chiaro che una nave che non dovrebbe esistere invece è nascosta in una stazione orbitante della federazione. É altrettanto chiaro che non é una nave come le altre. É più grande ed é armata fino ai denti. Inoltre pare che a pilotarla possa essere una sola persona. E questa persona dovrebbe avere le caratteristiche di un super uomo stando ai campioni esaminati da McCoy.” 

“Il capitano ha preso quei dati per un ordine non ufficiale dell’ammiraglio Pike. Scotty, prepari un file criptato che solo Pike possa aprire. Se quei dati finissero nelle mani sbagliate potrebbero incastrare sia Il capitano che l’ammiraglio. Ci sono ancora due giorni di viaggio fino al pianeta Terra a questa velocità di crociera. Non faccia parola con nessuno di quello che ha scoperto e scarichi tutte le informazioni sul mio pad personale.”

“Sì, signore.” 

“Signor Scott ho un’altra richiesta per lei. Appena rientrati sulla Terra deve riuscire a procurarmi tutti i dati degli ultimi cinque anni dell’ammiraglio Marcus.” Scotty incrociò le braccia.

“Questo ci darà delle rogne.”

“Hanno sparato al capitano sulla stazione orbitante. Non é il genere di cosa che va lasciata in sospeso.”

“Vendetta? Mi piace!” Spock alzò un sopracciglio.

“Vendetta? L’ordine generale numero tre attesta che la sovranità di ciascun membro della Federazione deve essere rispettata in tutti i suoi aspetti e che il personale della Flotta Stellare deve osservare tutti gli statuti, leggi, ordinanze, e regole di governo attualmente in vigore nella giurisdizione di un pianeta membro. I trasgressori di tali ordinanze sono soggetti a punizioni o correzioni determinate secondo la giurisdizione locale. Pertanto si tratta di fare applicare la legge.” Spock lasciò il ponte motori e Scotty si sentì libero di formulare i suoi pensieri a voce alta.

“Fa tanto il filosofo ma sempre di vendetta si tratta!” Si rimise al lavoro per creare un codice impossibile da decifrare.

 

Quando Sulu riferì a McCoy che stavano per rientrare nell’atmosfera terrestre, il dottore decise che era giunto il momento di sospendere il trattamento di coma farmacologico che aveva indotto in Jim. Ci vollero quasi due ore perché Kirk riuscisse a formulare una frase di senso compiuto al suo risveglio.

“Bentornato tra noi, bell’addormentato!” Lo canzonò Bones misurandogli la temperatura.

“Quanto ho dormito?”

“Cinque giorni.”

“Cosa?”

“Era il minimo sindacale! Ti informo che la ferita all’addome si è rimarginata. Ti farà ancora male per qualche giorno dato che il farmaco che mi hai costretto a somministrarti ha bruciato metà del tuo stomaco ma potrai mangiare normalmente. I polmoni sono in pieno recupero. Le due vertebre incrinate sono tornate a posto. La tua pressione sanguigna é ancora un po’ bassa. Dipende dall’emorragia e dal collasso cardiaco.”

“Bones, c’è qualche organo interno che non abbia avuto bisogno del tuo intervento?” Sbottò Kirk che mal tollerava di essere stato costretto a letto per tanto tempo.

“Il cervello. A quello ci ha pensato Spock.”

“Diavolo Bones! Ma che cavolo! Quindi Scotty ce l’ha fatta a riportarci a bordo tutti e due!”

“Non prendertela con me. Hai dato tu questa confidenza al vulcaniano senza sentimenti.”

“Noto una certa ostilità. È successo qualcosa mentre dormivo?”

“Puoi giurarci! Ha imposto turni massacranti a tutti e ci ha fatto vivere in costante allarme. Era convinto che qualcosa o qualcuno potesse essersi messo sulle tracce della nave.” Kirk si fece serio e si mise seduto. Era come diceva McCoy, il fianco faceva ancora male.

“E ha ragione? Nyota e Pavel?”

“A bordo. Il tenente Uhura sostiene che non ci sono forme di trasmissione nel giro di due anni luce. Non credo.”

“Avrà avuto le sue ragioni.”

“C’e un termine medico che spiega le sue ragioni: paranoia.” Kirk rise.

“Quando potrò uscire di qui?”

“Quando saremo atterrati a San Francisco.”

“Siamo già sulla Terra?” Bones annuì.

“Potevamo rientrare prima ma tu avevi davvero bisogno di riposo.”

“I file che ho preso sulla stazione orbitante. Devo farli avere a Pike.”

“Spock ha già preso un appuntamento per tuo conto con l’ammiraglio. Scotty ha decriptato tutto e poi ha creato un nuovo codice perché tu possa consegnarli all’ammiraglio in tutta sicurezza.”

“Ci sono novità?”

“Belle grosse. Il campione appartiene ad un uomo geneticamente modificato di duecento anni fa.”

“Sei serio?”

“Non scherzo mai sulle corse di cavalli e sugli esiti degli esami clinici. Ormai dovresti saperlo!”

“Questo mistero si infittisce. E io che pensavo di aver trovato le riposte!”

“Forse Pike ha i pezzi mancanti del puzzle.” Kirk annuì.

“A proposito di pezzi mancanti. È andato tutto bene su Nibiru?”

“Se vuoi sapere se gli indigeni sono salvi, la risposta é sì. Per il resto non direi che è andato tutto bene. Sei quasi morto.”

“Bones perché ti trascinerei per lo spazio pieno di pericoli e malattie se non avessi bisogno di te? Ora dimmi in che senso Spock ha messo mano al mio cervello.”

“Eri privo di sensi e io non riuscivo a rianimarti. Ha poggiato tre dita sul tuo viso e ha chiuso gli occhi.”

“Una fusione!” Esclamò Jim.

“Esatto. Non pensavo che ne fossi al corrente. Voglio dire, io ho studiato il fenomeno al corso di medicina, ma tu?”

“É stato l’ambasciatore Spock. Quando eravamo su Delta Vega mi ha trasferito i suoi pensieri perché sapessi cosa gli era accaduto senza fare troppi giri di parole.” Bones si grattò il mento.

“Quindi la tua mente e quella dello Spock del futuro sono entrate in contatto.”

“Sì. E allora?”

“Mi chiedo se non sia stato questo a generare il legame. Finora ho pensato che fosse Spock il responsabile della sua creazione. Rimane la cosa più probabile ma, in un certo senso, la tua precedente esperienza con l’ambasciatore potrebbe aver aiutato.” Jim si alzò sforzandosi di non perdere subito l’equilibrio.

“Adesso non é la priorità. Devo parlare con Pike il prima possibile. Dimettimi. Devo tornare sul ponte.

“Non potresti aspettare ancora qualche ora? Sono certo che Spock e Sulu sanno come far atterrare l’astronave.”

“Non é questo. Se qualcuno dovesse controllare i protocolli di atterraggio, voglio che risulti che c’ero io sul ponte.”

“Tu stai pensando a complotti in grande stile, amico mio.”

“Se avessi visto la Jupiter, ci penseresti anche tu.”

“Ok, vai con la mia benedizione!” Disse in modo teatrale. Jim corse a rivestirsi non prima di aver abbracciato l’amico.

 

Spock sussultò.

Aveva imparato a percepire la sua presenza dal ponte alloggi a quello medico. Sapeva perfino l’esatta frequenza del battito del suo cuore a riposo.

Adesso quello stesso cuore batteva molto più veloce e Spock sentiva che quella frequenza aumentava mano a mano che si avvicinava alla plancia.

“Signor Sulu annunci che il capitano è in plancia.” Disse risoluto alzandosi dalla poltrona. L’ufficiale di timone si voltò con fare interrogativo ma le porte si aprirono e James T. Kirk fece il suo ingresso sul ponte di comando con un sorriso luminoso come il sole.”

“Capitano in plancia!”

“Riposo, signori. Spock sono lieto di vedere che in mia assenza ha tenuto tutti sotto controllo!” A quelle parole i membri dell’equipaggio nascosero il sorriso sotto ai baffi. “Inoltre complimenti per aver salvato Nibiru.” Spock fece un cenno del capo.

“Il piano era suo, signore.”

“Allora é stato un grande gioco di squadra!” Disse dando al comandante una sonora pacca sulla spalla.

“Ci sono altri ringraziamenti che le devo, signor Spock?”

“Credo che siamo pari, capitano.” Kirk gli si avvicinò quel tanto che bastava perché gli altri ufficiali non cogliessero chiaramente le sue parole. “Questo lo devo ancora verificare.” Concluse prendendo posizione sulla poltrona.

“Signor Sulu, ci porti a casa. Tenente Uhura, chieda il permesso di atterrare.”

“Sì, signore. Qui U.S.S. Enterprise, chiediamo permesso di rientrare nell’atmosfera terrestre.” Ricevettero immediata conferma e Sulu riportò la nave prima nell’atmosfera e poi nella base spaziale della baia di San Francisco.

A motori spenti, il capitano si alzò.

“Signori, in libertà. La nave riceverà nuovi ordini domani. Siate tutti pronti a ripartire fra ventiquattro ore.” Si voltò e passò davanti a Spock. “Lei con me, comandante.” Il vulcaniano lo seguì nell’ascensore.

“Come si sente, capitano?”

“Come uno che è stato in coma per cinque giorni.”

“Ha un aspetto sano. Il suo colorito è buono e l’odore della sua pelle indica che i suoi processi chimici sono regolari.” Jim fece un passo indietro assumendo un’espressione stranita.

“L’odore della mia pelle?” Spock fece un colpo di tosse.

“L’olfatto dei vulcaniani è più sensibile di quello umano. Ci permette, tra le altre cose, di capire lo stato di deterioramento cellulare degli organismi viventi.”

“Non le voglio sapere queste cose, intesi Spock?”

“Illogico. Dovrebbe farle piacere sapere che posso anticipare in modo significativo un malfunzionamento del suo organismo, capitano.”

“A quello ci pensa Bones. A proposito! Cosa hai detto o fatto mentre dormivo che lo ha fatto innervosire così tanto?”

“Ho ragione di credere che il buon dottore mi ritenga responsabile per quanto avvenuto su Nibiru.”

“Impossibile!”

“Niente affatto.”

“Lo ha detto esplicitamente?”

“Non ce n’è stato bisogno e del resto le sue accuse sono fondate.” Jim premette il tasto di arresto dell’ascensore che li stava portando a terra.

“Non è stata colpa tua. È stata una mia scelta.”

“È stato irrazionale e contrario ad ogni regola disciplinare della flotta. Il capitano é la persona più importante della nave.”

“Spock il regolamento impone al capitano di tenere in considerazione sopra qualunque altra cosa il suo equipaggio.”

“Un solo membro.”

“Ti ho già detto che non pretendo che tu capisca.” Jim stava per dare nuovamente energia all’ascensore quando Spock lo fermò.

“Spiegami allora.” Kirk si grattò la testa in evidente disagio. Poi mise entrambe le mani sui fianchi nell’atteggiamento che assumeva quando aveva preso una decisione. Spock ricordava che, da bambino, aveva visto delle riviste di sua madre in cui un uomo con un mantello rosso e dalla forza sovrumana salvava il pianeta Terra da innumerevoli nemici. Prima di lanciarsi in quelle eroiche imprese quell’uomo metteva entrambi i pugni sui fianchi. Jim glielo ricordava.

“Vediamo, da dove posso cominciare? Beh ecco dal legame, direi.”

“Cosa c’entra il legame ora?”

“Spock, se vuoi che ti spieghi, proverò ma non interrompermi o non ci riuscirò mai.”

“D’accordo.”

“Dunque. Quando mi hai parlato del legame, hai detto che é un collegamento tra due persone. Un legame appunto. Sulla Terra gli esseri umani non sono in grado di comunicare telepaticamente eppure, in certi casi, sentono la presenza, il calore potrei dire, di un altro individuo in modo particolare. Come una madre che sa esattamente perché il suo bambino piange anche se questo non sa ancora parlare. Ha un senso per te?”

“Lo hai chiamato amore, quella volta.” Jim si sentì le guance andare in fiamme.

“Beh, é un sentimento. L’amore tra madre e figlio, tra fratelli, tra amici é un legame solo che invece di partire dalla mente, parte dal cuore.” Spock piegò la testa di lato mentre una delle mani di Jim puntava un dito all’altezza del suo petto.” L’intensità del suo sguardo era impossibile da sostenere. Spock sentì che la sua mente stava percependo i pensieri di Jim e dovette interrompere il contatto visivo per evitare che anche l’altro percepisse i suoi pensieri. Non stava dicendo nulla eppure a Spock parve di urlare. Così si appigliò di nuovo al pensiero logico.

“Il mio cuore non si trova lì, capitano.” Jim prese un lungo sospiro e poi guardò a terra.

“Forse con una fusione, capiresti.” Le sue parole presero in contropiede il comandante.

“Tu vorresti che io fondessi la mia mente con la tua?”

“Lo hai già fatto, no? Me lo ha detto Bones.”

“Quella non è stata una vera e propria fusione. Tu non eri cosciente.” Jim alzò lo sguardo e fece un passo in avanti.

“Non posso pretendere che tu capisca se mi rifiuto di condividere i miei pensieri con te.” Spock però fece un passo indietro.

“Non è necessaria. Inoltre intensificherebbe il legame e si era detto che avremmo proceduto a eliminarlo.” Stavolta anche Jim fece un passo indietro. 

“Perché tu non lo volevi. Lo hai detto chiaramente prima della missione su Nibiru.”

“Ho detto solo che è nato spontaneamente, non ho detto che mi sarebbe risultato gradevole scioglierlo ma, poiché lo hai chiesto espressamente, io lo farò.”

“Quindi a te non dispiace questo legame che hai con me?” Spock non mentì.

“Ne sono intimorito.” Jim sorrise.

“Non so dirti perché, ma ne ero certo.”

“Davvero?”

“Sì. Intimorisce anche me. Perciò che ne diresti se prima di scioglierlo, non ne capiamo di più? Magari tu comprenderai cosa ho nel cuore e io cosa hai nella mente.” Spock annuì. Poi parlò.

“Ho solo una domanda.”

“Spara.”

“Perché dovrei sparare?” 

“Spock è un modo di dire! Significa ‘chiedi senza paura’.”

“Tu ami il dottor McCoy?” A Jim andò di traverso la sua stessa saliva.

“Spock! Che cavolo di domanda è?”

“Hai detto che il legame è come l’amore. Il dottore è molto legato a te. I suoi sentimenti sono forti al punto che non ha esitato ad aggredirmi fisicamente. Tu ricambi questi sentimenti?” Jim strabuzzò gli occhi.

“Hai fatto a pugni con Bones?”

“Inesatto. Se avessi reagito, il dottore avrebbe avuto la peggio. Ho compreso il suo stato d’animo e ho lasciato che si sfogasse. La domanda, Jim.”

“Beh, io gli voglio molto bene.”

“Non comprendo la differenza.”

“Siamo come fratelli, ok? È più chiaro?” Chiese riattivando l’ascensore. Raggiunsero il piano prima che Spock potesse fare altre domande. 

Nell’hangar della stazione spaziale lo attendeva un ufficiale al servizio di Pike.

“L’ammiraglio le ordina di recarsi nei suoi uffici immediatamente.”

“Riferisca all’ammiraglio che lo raggiungerò subito.” Attivò la trasmittente e chiamò sia McCoy che Scott. Si ritrovarono tutti e quattro fuori dalla porta dell’ufficio di Pike. Furono ricevuti subito.

“Bentornati signori.” Pike li salutò formalmente ma li fece accomodare subito. “Com’è andata la missione su Nibiru?”

“Bene signore.” Fece Kirk. “Completata con successo. Abbiamo già trasmesso tutti i dati sull’eruzione alla sezione scientifica della base.” Pike fece solo finta di interessarsi alla trasmissione.

“In realtà la sezione scientifica sostiene che non c’è stata alcuna eruzione. A quanto pare, il vulcano, dopo una prima fase di attività, si è, come dire, raffreddato.” Kirk incrociò le dita delle mani e sorrise.

“Per fortuna di tutti. Non si registrano vittime tra i nativi per l’attività del vulcano.” Pike decise di tenere il gioco.

“Signor Spock cosa dice la prima direttiva?”

“Nessuna nave stellare può interferire con il normale sviluppo della vita e società di alcuna specie aliena, signore.” Rispose prontamente il comandante. Kirk lo guardò con disappunto.

“Capitano Kirk, le sembra che impedire l’eruzione di un vulcano pronto a spazzare via metà pianeta corrisponda a ‘non interferire’? Il rapporto del suo primo ufficiale è alquanto accurato rispetto al suo.” Kirk strinse di più una mano nell’altra e cercò di mantenere il sorriso. Non mancò di lanciare uno sguardo gelido al vulcaniano.

Se puoi sentire i miei pensieri, vai al diavolo Spock!

“Capitano! Ho dovuto fare rapporto!” Tento di difendersi a voce alta il comandante. Pike lo zittì.

“Lei non ha fatto nulla di sbagliato, signor Spock. Qui è il capitano Kirk a non aver ben compreso quali sono i suoi doveri.”

Spock percepì il dolore e la rabbia di Jim e se ne dolse.

“Signore, quello che non è scritto nel rapporto per ragioni di opportunità é che il capitano, quando siamo arrivati su Nibiru, non era in condizioni di dare ordini in merito. Si stava occupando di qualcosa di più importante.” Spock si rivolse direttamente a Pike sperando che capisse a cosa si riferiva. L’ammiraglio continuava a puntare il suo sguardo severo su Kirk. Jim sostenne lo sguardo. McCoy fece un colpo di tosse.

“Ammiraglio, signore, posso?”

“Se deve proprio, dottore, ma sappia che lei ha già abusato una volta della mia pazienza.”

“Ecco, io volevo solo dire che ci siamo consultati. Il capitano ci ha chiesto se esistesse un modo di salvare i nativi senza infrangere la prima direttiva e io mi sono ricordato che la specie prevalente sul pianeta, essendo molto primitiva, venera il vulcano come un dio. Abbiamo pensato che se fossimo riusciti a bloccare l’eruzione senza che i nativi sospettassero l’intervento di chicchessia, avrebbero semplicemente creduto che il vulcano avesse ascoltato le loro preghiere che, in sostanza, è il motivo per cui lo credono una divinità.” Pike si appoggiò allo schienale della poltrona.

“Vi siete consultati?”

“Sì.” Rispose Bones.

“Assolutamente!” Esclamò Scotty.

“È la verità.” Aggiunse Spock.

“Sì. Ma la responsabilità è comunque mia. Hanno tutti obbedito ad un mio ordine.” Concluse Jim.

“Può giurarci. L’avevo o no ammonita dal non mettere a repentaglio il suo equipaggio?”

“Sono tutti sani e salvi a bordo, signore.” Sì giustificò Kirk.

“Ne ha quasi persi tre. Tra cui il suo primo ufficiale.”

“L’ho anche recuperato affinché mi facesse rapporto, signore!” Stavolta Jim non riuscì a trattenersi. 

“Signore, posso?” Intervenne il vulcaniano.

“Oh Spock, diavolo no anche lei! Lei che usa la logica! Sa quante direttive oltre alla prima ha violato?”

“Tre, signore e quindici paragrafi.”

“Spock!” La faccia di Kirk era tutta un programma.

“Per l’appunto.” Preciso Pike. 

“Signore, il capitano ha portato a termine una missione delicatissima rimanendo ferito e nonostante questo mi ha salvato la vita. Se lo punisce per questo, dovrà punire anche me. Ho agito al di fuori di precisi ordini impartiti dal capitano durante una missione su un pianeta della federazione.” Pike non voleva mollare la presa.

“E a quale ordine avrebbe disobbedito?” 

“Il capitano mi aveva autorizzato a piazzare il dispositivo ipercongelante al di fuori del vulcano. Il signor Scott può confermarlo. Lo ha predisposto lui. Sono stato io a volerlo portare nel cratere.”

“Signor Scott, è vero?” Scotty passò con lo sguardo da Kirk a Spock e poi confessò.

“È vero.”

“Allora punirò tutti. Mi accompagnerete a bere qualcosa e, se vi rifiuterete, passerete la notte in gendarmeria. Fate schifo in quanto a disciplina, lasciatevelo dire, ma in quanto a spirito di corpo non ho mai visto un equipaggio come il vostro.”

“Grazie signore!” Esclamò Kirk.

“Non era un complimento, Jim. Ora andiamo. Per le quattro chiacchiere che ci toccano adesso, questo ufficio non è adatto.”

 

Il bar in cui Pike li aveva portati somigliava tanto a quello in cui Jim lo aveva incontrato la prima volta.

Si sedettero ad un tavolo in disparte e ordinarono un giro di scotch. Quello meno a suo agio era Spock. I suoi abiti civili non erano adatti ad un posto del genere e McCoy gliene aveva prestato di suoi. Dopo averlo preso in giro fino alle lacrime, Jim si sentì pronto per affrontare argomenti più seri. Si fece consegnare la chiavetta dati da Scotty e la passò a Pike.

“È quello che penso?”

“Sì, signore. La nave esiste. Mi creda se le dico che fa paura.” Pike si rabbuiò. Jim continuò. “Ho solo una domanda per lei. Pensa davvero che possano averla costruita senza che Marcus lo sappia?” 

“No. A questo punto no. Non dopo la sua firma sui moduli di trasporto delle bobine.”

“E’armata fino ai denti, signore. Potrebbe distruggere un pianeta con a bordo un solo uomo. Che razza di nave è?” Pike bevve tutto il contenuto del suo bicchiere.

“È ‘la’ nave. Il progetto risale al primo programma spaziale della NASA. A quell’epoca le navi si costruivano ancora per fare la guerra.” Scotty batté il suo bicchiere sul tavolo di legno.

“Signore, se le navi della federazione la intercettassero e ingaggiassero battaglia, verrebbero spazzate via. Bisogna informare i vertici, quelli più in alto di tutti.”

“Lo farò.” Spock intervenne.

“Aspetti. Se l’ammiraglio Marcus ha dato il via libera per la costruzione, forse non agisce solo. È logico pensare che abbia dei complici. Non abbiamo sufficienti informazioni per capire di chi fidarci.”

“E non è tutto!” Esclamò Bones che si passava il bicchiere da una mano all’altra. “C’é anche la faccenda dei campioni di dna alterato. Ormai ne possiamo parlare apertamente.” Pike annuì. “Si tratta di un campione che risale a duecento anni fa.”

“Ammiraglio, abbiamo bisogno di tutte le informazioni disponibili. Hanno sparato al capitano sulla stazione orbitante per quei dati.”  Spock provò a scardinare le ultime resistenze dell’uomo e Pike si versò un altro bicchiere.

“Tutto ciò che so è che si tratta di un programma chiuso. Archiviato. In realtà fu un fallimento. Si trattava di formare l’equipaggio della Botany Bay, una nave in grado di sostenere un viaggio notevolmente più lungo rispetto a quelli che venivano programmati a quel tempo. La curvatura era ancora sperimentale e per pensare di far partire un equipaggio per un viaggio verso un altro quadrante ci voleva molto più che immaginazione. Così cominciarono la sperimentazione genetica su un discreto numero di astronauti. Meno di un centinaio. La Botany Bay era stata progettata per funzionare con pochissimo personale.”

“Quindi la Jupiter è stata costruita sul modello della Botany Bay?” Chiese Kirk e Pike annuì. “Cosa andò storto?”

“I soggetti trattati inizialmente condividevano la missione. Tuttavia, una serie di esperimenti in cui  al personale fu ridotta libertà di movimento e autodeterminazione portò alcuni membri ad allontanarsi dagli obiettivi iniziali. Compresero che le reali possibilità di ritorno sulla Terra una volta spediti fuori dal sistema solare sarebbero state pari a zero e presero coscienza delle loro potenzialità. In particolare, l’uomo che era stato scelto come capitano della Botany Bay si ribellò. Piuttosto che ammettere le conseguenze del tentativo di migliorare la specie che il programma aveva portato avanti, lo chiusero. Non è mai stato reso noto che fine fecero gli uomini e le donne che avevano aderito al programma. Furono schedati sotto la voce ‘scomparsi’. L’unico file che esiste sulla Botany Bay si trova negli archivi di Londra. Non vi si può accedere se non dal quartier generale di quella sede.”

“È una cosa orribile.” Sentenziò McCoy. Pike non poté dire il contrario.

“Se ti hanno sparato, vuol dire che qualcuno ti ha visto sulla stazione orbitante.” Dedusse l’ammiraglio. “Ti hanno riconosciuto?”

“No, signore. Chi mi ha sparato non mi ha riconosciuto.”

“Lo ha fatto qualcun altro?” Pike lo chiese spiegando subito le sue preoccupazioni. “Se ti hanno riconosciuto, la tua vita potrebbe essere in pericolo.”

Spock, che si era rigirato il bicchiere di scotch tra le dita senza mai portarlo alle labbra, percepì l’esitazione del suo capitano. Sollevò lo sguardo e cercò di intuire il corso dei pensieri dell’altro.

 Alla fine Kirk si decise a sputare il rospo.

“Un uomo. Si chiama John Harrison. L’ho conosciuto qui un paio di settimane fa. Non sapevo a quell’epoca che lavorasse sulla stazione orbitante di Giove.” Pike parve incuriosito.

“Conosci il suo nome?” Jim raccontò la storia dall’inizio.

“Dei cadetti lo stavano importunando credendo che fosse di origine romulana. Io mi sono accorto subito che per quei ragazzi sarebbe finita male. Sembrava pericoloso. Sono intervenuto e ci siamo presentati anche se lui sembrava sapere molte cose di me. Non mi è sembrato malvagio.”

“Anche alla luce di ciò che è avvenuto su Giove?” Chiese Spock.

“Non è stato lui ha spararmi però era interessato al drive. Avrebbe ucciso per quella. Inizialmente ho creduto che lavorasse per Marcus ma ho avuto l’impressione che lui lo odi. Voleva i dati per sé.

Ha detto una cosa che mi ha lasciato perplesso.”

“Cosa?” Chiese Leonard trangugiando un altro bicchiere.

“Che la razza umana è la peggiore dell’universo.”

“Fantastico! Ce l’ha con tutta l’umanità?” Sbottò Scott.

“Non lo so. Non ne sono così sicuro.”

“Farò delle ricerche.” Intervenne Pike. “Fino a quando non sapremo qualcosa di più su Harrison, per favore Jim non andartene in giro da solo e fa attenzione. Non sappiamo se tornerà a cercarti, magari nel tentativo di riprendere il drive.”

“Sì, signore.”

Ordinarono un ultimo giro e si alzarono dal tavolo come avrebbe fatto un gruppo di amici che non si vedevano da anni e che stavano per riprendere ognuno la propria strada.

 

La notte volò nonostante nessuno dei quattro amici avesse riposato bene. Si erano fermati a pernottare nei loro vecchi alloggi dell’Accademia e Jim e Leonard avevano diviso la stanza. Spock aveva offerto ospitalità a Scotty. La mattina si ritrovarono nella foresteria. Risero tutti nel rivedersi addosso le loro vecchie tute da jogging dell’accademia. Tutti tranne Spock.

Il vulcaniano era parecchio di malumore.

“Sorrida, signor Spock! È un nuovo giorno.”

“Un nuovo giorno sulla Terra!” Gli fece eco Bones “Cosa ci può essere di più bello?”

“Salsiccia e bacon!” Esclamò Scotty. “Su Delta Vega avrei dato qualsiasi cosa per fare colazione così.”

“Sentito, Spock?” Kirk chiuse il giro di tavolo.

“È evidente che nessuno di voi ha riflettuto sulla situazione in cui ci troviamo.”

“Evidentemente! O avrei perso l’appetito.” Lo prese in giro il dottore mentre addentava una brioche.

“Allora vi enuncerò le mie considerazioni quando avrete terminato di fare colazione.”

“Oh no! Illuminaci!” Lo provocò Jim mentre Spock sembrava sempre più infastidito.

“Tanto per cominciare, stare qui non è prudente. Per sua stessa ammissione, capitano, ha incontrato per la prima volta il signor Harrison proprio all’Accademia.”

“Uno a zero per Vulcano, Jim.” Esclamò Leonard addentando il suo dolce e facendo sparire bocca e naso dentro alla tazza del caffè.

“Torneremo a bordo dell’Enterprise. Li nessuno può toccarci.” Rispose Jim.

“Per andare dove?” Gli Chiese Spock. “Qui abbiamo del lavoro da fare. Abbiamo le prove di qualcosa in cui è coinvolto l’ammiraglio Marcus. L’Enterprise è pur sempre una nave della flotta. Pike è stato chiaro. Dobbiamo tenere un profilo basso.”

“Due a zero per Vulcano!” Intervenne ancora McCoy offrendo una ciambella a Jim. L’uomo sorrise e la prese senza esitare.

“Altre considerazioni Spock?”

“Dobbiamo dare tempo all’ammiraglio di prendere le informazioni su Harrison e al nostro signor Scott di recuperare alcuni dati su Marcus. Li ha scaricati alcuni giorni fa su un server che ha hackerato su mia richiesta.”

“Davvero hai dato un ordine simile?” Chiese Jim sorridendo. Spock ebbe l’impressione che non lo stesse prendendo in giro stavolta. Era l’espressione di Jim che preferiva. Quella di stupore misto a dolcezza che faceva quando qualcosa lo sorprendeva. Per Spock che aveva imparato a trasformare ogni domanda in risposte, la curiosità spontanea di Jim era fonte di profondo sconvolgimento. Annuì. “Bene, allora immagino che dovremo trovare un posto dove stare per qualche giorno almeno fino a che Scotty e Pike non avranno le informazioni che ci servono. Proposte?”

“Deve essere un posto da cui posso accedere alla rete.” Disse Scotty bevendo un succo di frutta.”

“Un posto che conosciamo, dove sentirci al sicuro.” Precisò Bones.

“Lontano dalla longa manu di Marcus,” Aggiunse Spock “dove gente poco conosciuta sia facilmente individuabile per noi.”

“Questo esclude la maggior parte del pianeta, Spock.” Provò a ribattere Jim.

“Tutto tranne Iowa!” L’esclamazione di Leonard fece girare tutti nella sua direzione.

“Riverside è perfetta. Civilizzata quel che basta a tenerci in contatto con Pike e l’Enterprise ma abbastanza fuori mano per essere frequentata da chiunque non abbia radici laggiù. Li un John Harrison qualsiasi verrebbe subito notato!”

“Allora Riverside.” Disse Spock portandosi un centrifugato di verdure alle labbra.

“E la mia opinione non conta?” Sbottò Jim. “Non andremo a Riverside. Ci sono mille altri posti al mondo.”

“Jim, da quando non vedi tua madre e tuo fratello?” La domanda di Bones lo gelò sul posto.

“E questo cosa c’entra?”

“C’entra. Tuo fratello è uno stronzo ma tua madre ti adora. Quando sei diventato capitano le hai promesso che non ti saresti più comportato in modo avventato ma non sei stato di parola. Rischi la vita ogni giorno, anche adesso sei in pericolo. Vuoi davvero che l’ultima volta che l’hai vista sia otto mesi fa?” Jim si morse il labbro inferiore e istintivamente si voltò a guardare Spock. Non sapeva come ma sentiva il dolore che aveva colpito l’altro non appena Leonard aveva nominato sua madre. Il suo sguardo si infranse negli occhi scuri del vulcaniano.

Sono un idiota. 

Forse fu solo la sua impressione ma gli parve che Spock scuotesse appena la testa. Poi lo percepì nella mente. 

Non è nulla.

Rimase a fissarlo per un istante in più poi si decise.

“Ok. Riverside sia. Ma quando saremo lì, non ditemi che non vi avevo avvertito.”

 

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Capitolo 5
*** Terra - Seconda Parte ***


Terra - Seconda Parte

 

Leonard si trovò a maledire ogni miglio.

Jim aveva noleggiato un auto. Non una di quelle auto a trazione magnetica capaci di percorrere distanze innumerevoli in poche ore senza farti percepire lo spazio. E neppure un veicolo militare.

Aveva noleggiato una Chevrolet decappottabile rossa. Un pezzo da museo. 

Ci avevano messo ventotto ore, una sosta in un motel che Scotty aveva definito peggiore della base su Delta Vega, tre fermate in stazioni di servizio dove prendere qualcosa da mangiare e da bere.

Kirk non aveva mai, mai voluto mollare il volante. 

“Per una volta che posso pilotare, non vi permetterò di togliermi il gusto.” Aveva esclamato.

Leonard aveva sopportato le sue chiacchiere e le canzoni alla radio per il primo giorno. Poi aveva ceduto il posto a Spock sedendosi accanto a Scotty sul sedile posteriore e calandosi un berretto sugli occhi per dormire quanto più possibile.

“Che ne dici, Spock, c’è abbastanza deserto anche qui?” L’uomo non aveva mai smesso di guardare il panorama da quando il deserto aveva preso il posto della vegetazione. I grandi canyon poi, a Jim era parso gli avessero tolto il fiato. Almeno l’espressione che aveva, lo faceva supporre.

“L’avevo già visto.” Kirk abbassò il volume della radio e cercò di proseguire la conversazione.

“Davvero? Sei stato da queste parti?”

“No. Mai.”

“E allora come fai a dire di conoscerlo? Ti hanno fatto studiare anche l’Iowa all’accademia delle scienze vulcaniana?”

“Non essere ridicolo.” Kirk rise ma smise subito quando Spock continuò. “L’ho visto nei tuoi ricordi. Quando ti ho afferrato al volo sul tetto del laboratorio, il legame mi ha mostrato lo stesso deserto che vedo qui ora. Ammetto che è una vista gradevole. Molto affine all’ambiente in cui sono cresciuto. Decisamente meno caldo.” Jim annuì.

“Qui di notte può fare anche molto freddo.”

“L’escursione termica.”

“Sì, Spock, quella.” Jim lasciò che la canzone successiva alla radio coprisse il silenzio calato improvvisamente. Era una vecchissima canzone di Etta James, At last.

Spock l’ascoltò con attenzione. Jim se ne accorse perché ad un tratto, dopo poche note, aveva piegato la testa di lato.

‘At last my love has come along, my lonely days are over and life is like a song, oh yeah

At last the skies above are blue, my heart was wrapped up clover the night I looked at you 

I found a dream that I could speak to, a dream that I can call my own

I found a thrill to press my cheek to, a thrill I've never known, oh yeah 

You smiled, you smiled oh and then the spell was cast and here we are in Heaven

For you are mine at last.’

“Una poesia in musica.” Il vulcaniano lo disse sottovoce ma Jim lo sentì ugualmente.

“È una canzone.”

“Parla per figure retoriche.”

“Figure retoriche?” Jim lo invitò a spiegarsi.

“Nessun terrestre può lanciare un incantesimo sorridendo.” Lo disse con tutta la razionalità che era solito utilizzare in ogni cosa ma girò lo sguardo verso il capitano e lui sorrideva.

Guardava la strada e tamburellava con le dita sul volante. Sorridendo. 

“Sì. È un modo carino di dire che se la persona che ami ti sorride, puoi finire per innamorarti ancora di più. È un comportamento irrazionale Spock.”

“Quando tu sorridi, le persone intorno a te diventano irrazionali. Non succede con McCoy o con Scotty.” Kirk sorrise di nuovo, sempre senza distogliere lo sguardo dalla strada. 

“È perché lui ha gli occhi azzurri.” La voce di Bones li prese alle spalle. Il dottore però non si era mosso. Era ancora sprofondato nel sedile posteriore con il berretto tirato sugli occhi e le braccia incrociate sul petto.

“In effetti le mutazioni genetiche generano curiosità.”

“Visto dottore? Ora sono uno scherzo della natura!”

“Non tiratemi nelle vostre diatribe sterili. Svegliatemi quando saremo a casa.”

“Allora svegliati, perché siamo quasi arrivati.” Concluse Kirk imboccando una strada privata e rallentando.

L’auto si fermò davanti ad una casa di legno e mattoni con un ampio portico. 

Una donna aprì la porta e fece di corsa i pochi scalini che separavano la porta dal vialetto. 

“James!” Esclamò lanciando le braccia al collo di Kirk.

“Ciao mamma.” Rispose l’uomo ricambiando la stretta. 

“Stai bene? Sembri più magro dell’ultima volta che ti ho visto.”

“Tranquilla mà, il mio medico può garantire per me.” Jim si spostò di lato e McCoy si fece avanti e abbracciò la donna.

“Ciao, Winona. Sei bellissima come sempre.”

“E tu il solito galante! Come stai Leonard?”

“Bene. Grazie.” 

“Mamma, ti ricordi di Scotty?” Chiese Jim.

“Ma certo che mi ricordo di Montgomery. Quale mirabolante avventura mi racconterai stavolta?” Scotty l’abbracciò a propria volta e la sollevò appena da terra.

“Vulcani che esplodono e salti mortali all’indietro!” Esclamò.

“Spero non di Jamie.”

“No, mamma,” si affrettò a dire il figlio “e non chiamarmi a quel modo.” 

Jim si accorse che Spock era rimasto indietro. Aveva avuto modo di conoscere Winona alla sua investitura a capitano ma si erano scambiati poche parole. Quel giorno era presente anche suo padre e Spock era stato richiamato ai suoi doveri di figlio e di membro della ormai piccola comunità vulcaniana.

“Mamma,” Fece Jim attirando le attenzioni della donna, “lui è Spock il mio primo ufficiale.” Winona fece qualche passo verso di lui e si fermò per tendergli una mano.

“Mi ricordo anche di te, Spock. È un piacere rivederti.”

“Signora Kirk, è un piacere incontrarla di nuovo e trovarla in buona salute. Spero che non daremo troppo disturbo.” La donna sorrise e Spock si ritrovò a pensare che era bella e che quella gentilezza che aveva riconosciuto in Jim col tempo doveva averla presa da lei. Il sorriso no. Quello di Winona era sincero ma rimaneva un po’ tirato incapace di illuminare il resto del suo viso e i suoi occhi.

“Non dire sciocchezze. Siete i benvenuti, nessun fastidio.”

“Non è un po’ presto per dirlo?” La voce, decisa e quasi atona, veniva da un uomo fermo in piedi davanti al porticato. Spock alzò lo sguardo e gli sembrò di vedere doppio. Un uomo biondo e magro se ne stava con entrambe le mani poggiate sulla balaustra, il peso sbilanciato in avanti. Spock era certo che di spalle poteva passare per Jim. Tuttavia gli occhi erano di una tonalità scura di verde e le sue labbra più sottili e simili a quelle di Winona. Concluse che la somiglianza con Jim fosse più forte ad un primo sguardo ma, che a guardarli bene, i due uomini fossero piuttosto diversi.

“Samuel!” La voce di Winona arrivò perentoria e carica di biasimo.

“Sto scherzando mamma! Bentornato a casa, fratellino.” 

Spock era a conoscenza del fatto che Kirk avesse un fratello ma non aveva mai avuto modo di incontrarlo prima. Non fu positivamente colpito dall’uomo. Istintivamente portò le mani dietro la schiena e le unì. Era un gesto che faceva sempre quando si preparava a studiare le reazioni altrui. 

Jim se ne accorse e cercò di evitare di montare una discussione con Sam appena arrivati.

“Grazie, Sam. Entriamo, che ne dite?” 

Tutti seguirono Jim e Winona in casa. L’abitazione era arredata in vecchio stile, ordinata e pulita. McCoy si accomodò sul divano e scherzò sul fatto che una partita di football e una birra avrebbero trasformato quel divano in un angolo di paradiso. Scotty chiese di poter collegare il suo pad alla rete e Sam gli passò i codici di accesso locali. 

Spock vide Jim sparire su per le scale ma la sua attenzione cadde su una foto incorniciata sopra il comò. Ritraeva due ragazzi su una moto. La donna era Winona. Stava appoggiata alla motocicletta stretta tra le braccia del ragazzo che era seduto sul veicolo e che la teneva vicina a sé sorridendo. Spock capì subito che l’uomo ritratto insieme a Winona era George Kirk. Lo capì dal sorriso caldo e affascinante e dagli occhi azzurri. Gli stessi di Jim.

“Quello è George. Jamie gli somiglia molto, vero?” Winona gli era arrivata accanto senza che se ne accorgesse.”

“Una somiglianza impressionante.”

“Dolorosamente impressionante. Spock comprese.

“Suo marito è stato un eroe.”

“Io e Jamie non saremmo qui diversamente. Eppure, in certi giorni, neppure questa consapevolezza mi consola.”

“Non posso dire di essere esperto nel campo delle emozioni ma ritengo che non trovare sensata  la morte di una persona cara anche quando ha un grande significato sia del tutto normale.” A Winona scappò una risata.

“Leonard mi aveva detto che dialogare con te è un’esperienza particolare.”

“Il dottore parla di me con lei?” La donna abbassò gli occhi.

“Leonard mi tiene aggiornata. Jamie non chiama spesso. Io e lui abbiamo avuto un rapporto, come dire, travagliato. Dopo la morte di George, mi sono ritrovata spesso a pensare che il mio posto sarebbe dovuto essere al suo fianco sulla Kelvin. Lo avrei fatto. Se non fossi stata incinta, non ci sarebbe stato verso di staccarmi da George. Però stavo per partorire James. Non ho avuto neppure il tempo di pensare, scegliere.”

“Cosa avrebbe dovuto fare? La scelta più logica era salvare il bambino.”

“Lo so. Ma l’amore per George mi ha portata tante volte a pensare a mille se e mille ma. Credo che Jamie abbia percepito tutto questo quando era bambino. Non gli ho mai detto nulla ma lui sapeva lo stesso. Lui comprendeva il mio stato d’animo. A volte penso che è tutto collegato. La somiglianza di Jamie a suo padre, il fatto che si trova più a suo agio sull’Enterprise che a casa sua, che i miei sensi di colpa siano diventati i suoi. Che abbia combattuto contro l’uomo che ha causato la morte di suo padre e che sia diventato capitano. Se fosse così, anche tu sei legato a lui. Ho saputo che è stato l’ambasciatore Spock in qualche modo a causare il passaggio della nave romulana nel nostro tempo.” Spock abbassò lo sguardo, contrito.

“Me ne dispiaccio.” La donna, inconsapevole di quanto il vulcaniano non gradisse il contatto non necessario, gli mise una mano su un braccio.

“Non è mica stata colpa tua. Tu hai aiutato mio figlio. Io te ne sono grata. Inoltre hai pagato a caro prezzo il cambio degli eventi causato da Nero. Non ho mai avuto la possibilità di dirtelo.”

“Lo apprezzo molto. Grazie.”

“Bene. Allora io preparo la cena. Mi faresti la cortesia di andare a chiamare Jamie? Di certo si è rintanato in soffitta.”

Spock annuì e prese la via per le scale. Raggiunse la soffitta e trovò la porta aperta. Si chinò per entrare e vide che Kirk si era seduto sul pavimento, la testa piegata un po’ in avanti per evitare di toccare le travi del tetto. Guardava il contenuto di una scatola. Si schiarì la voce per attirare l’attenzione.

“Spock! Hai trovato il mio nascondiglio.”

“Me lo ha rivelato tua madre. Mi ha chiesto di riferirti che sta preparando la cena.” Jim tirò su col naso e fece per chiudere la scatola.

“Stai bene?” Jim lasciò andare il coperchio e, invece, prese qualcosa dal suo interno. Spock vide che si trattava di una fotografia. La voce di Jim era appena un sussurro.

“Non so perché lo faccio. Sono le foto della mia famiglia.” Spock si avvicinò e si sedette al suo fianco. La foto ritraeva i signori Kirk con un bambino. “È Samuel. Dopo la morte di mio padre, mia madre ha smesso di fare fotografie. Ci sono dozzine di foto qui. Io non ci sono da nessuna parte.”

Spock si sentì stringere il cuore. McCoy avrebbe riso per il fatto che stava ragionando in modo umano. Eppure si sentiva così. Probabilmente era il legame e quelli erano i sentimenti di Jim, ma non poté fare a meno di pensare che aveva creduto di essere diverso e pertanto rifiutato per tutta la vita. Lui però aveva avuto due genitori che avevano cercato di fargli comprendere come stavano realmente le cose. Kirk no. Aveva passato la sua vita a sentirsi di troppo. Forse solo sull’Entreprise non veniva perseguitato da quella sensazione. Sentì che doveva dire qualcosa.

“Su Vulcano non c’è l’usanza di fare foto. È il nome che ti danno alla nascita a dire chi sei e quale posto occuperai nel mondo.” Disse prendendo la foto che Jim aveva in mano e rimettendola nella scatola. “James, Tiberius, Kirk.” Jim spalancò gli occhi. Una lacrima, che si era coraggiosamente mantenuta in bilico tra le ciglia, cadde lungo la guancia sinistra. Spock gliela asciugò con una mano.

“Sono uno stupido.”

“Sei umano. La tua parte irrazionale ti impedisce di vedere ciò che per me è logico.”

“Che sono uno stupido?” Ribatté Jim.

“Che tuo padre ha trovato il coraggio di fare quello che ha fatto perché era coraggioso ma anche perché c’eravate tu e tua madre sulla Kelvin. Tua madre ha sofferto molto ma ti ama ed è molto fiera di te.”

“E tu come lo sapresti di preciso?” Spock si guardò la mano con la quale aveva asciugato le lacrime di Jim.

“Perché mia madre mi ha sempre detto che non importa ciò che una madre dice o fa. Nel suo cuore l’amore per suo figlio verrà sempre prima di qualsiasi altra cosa. E io ho sempre creduto a quello che mia madre diceva.”

“Sul serio?” Jim adesso sorrideva di nuovo. Era pronto di nuovo a prenderlo in giro. Spock se ne compiacque. 

“Sì.”

“Spock, grazie.”

“Scendiamo o faremo la parte dei maleducati.”

Si alzarono facendo attenzione entrambi a non battere la testa contro il soffitto e si chiusero alle spalle la porta della stanza con l’animo più leggero.

 

La cena trascorse velocemente e i quattro si ritrovarono sotto il porticato a chiacchierare e bere birra.

“Buone notizie.” Esordì Scotty. “Ho recuperato il collegamento col server hackerato. Non sarò in grado di recuperare i file prima di domani sera però. Avevo impostato un timer di sblocco. Aprirà la back door alle ventuno zero zero di domani. Per allora avremo tutto quello che la federazione sa su Marcus e anche quello che lui non vuole che la federazione sappia.”

“Bene,” disse Kirk, “per allora anche Pike avrà ciò che ci serve.”

“Quindi dobbiamo solo impegnare il tempo!” Esclamò Bones. 

“Ho portato con me i dati del drive.” Intervenne Spock. “Qui avrò tutto il tempo per approfondire le ricerche.”

“Io mi annoierò a morte.” Sospirò Jim.

“Ne potresti approfittare per riposare un po’. Stiamo parlando di ventiquattro ore e tu sei uscito dal coma solo un paio di giorni fa.”

“Sì ma ti ricordo che il coma me lo hai indotto tu e ho dormito per una settimana intera.”

“Questo perché con una ferita appena trattata ti sei fatto teletrasportare nella bocca di un vulcano che stava per eruttare con un transponder che amplifica il segnale. Sei clinicamente morto per undici secondi.”

“James!” La voce che interruppe il dottore apparteneva a Winona. La donna era in piedi sull’uscio con un vassoio in mano pieno di hot dog. Il volto trasfigurato in un’espressione di dolore e meraviglia.

“Mamma, non è come dice.”

“Un vulcano? Morto per undici secondi?”

“Mamma, lasciami spiegare.”

“James Tiberius Kirk avevi promesso!” Urlò lei prima di voltarsi e rientrare in casa. Jim si alzò e sospirò.

“Grazie, Bones.” Fece rientrando in casa per seguire sua madre. Questo McCoy se lo aspettava. Quello che non immaginava era che Spock scattò in piedi quasi nello stesso momento e li seguì.

Il comandante si fermò appena fuori dalla cucina e ascoltò madre e figlio discutere animatamente.

“Mi avevi promesso che non ti saresti più esposto come hai fatto con Nero.”

“Mamma, sono il capitano dell’Enterprise. Ho il dovere di espormi.”

“Avevi promesso! Credevo che le tue azioni dipendessero dal fatto che era una questione personale. Credevo c’entrasse con tuo padre e tutto il resto.”

“Anche questa volta era personale.”

“Sul serio? E come mai? Spiegami.”

Jim aprì appena le labbra come se stesse per dire qualcosa ma non gli uscì di bocca neppure un respiro. La donna si lasciò andare ad un sorriso sarcastico.

“Credevo l’avessi piantata con queste assurdità.”

“Assurdità? Abbiamo salvato un pianeta, mamma.”

“Smettila, Jim, smettila! La verità è che sono sempre e continuamente prove di coraggio a cui sottoponi te stesso. Abbatti un nemico? Sfidi un esercito. Sconfiggi anche quello? Ti lanci contro un nemico ancora più grande. Adesso un vulcano? Davvero? A che diavolo è servito?”

“A salvarmi la vita.” Le parole di Spock arrivarono basse e cariche di rammarico. Winona si voltò a guardare il vulcaniano che si sentì autorizzato a continuare. “Ho creduto di poter far detonare una bomba capace di impedire l’eruzione del vulcano e salvare così gli abitanti di quel pianeta ma ho commesso un errore di valutazione. Il capitano ha anteposto la mia vita alla sua sicurezza.”

Winona passò con lo sguardo da Spock a suo figlio.

“Personale, eh?” Jim si guardò le punte dei piedi. “Spock, vuoi portare questi ai tuoi compagni?” Disse porgendogli il vassoio. Il vulcaniano annuì. Afferrò il vassoio e lasciò la stanza.

“Mamma, mi dispiace. Forse non avrei dovuto farti quella promessa. Purtroppo in questo mestiere i rischi sono all’ordine del giorno.”

“Lo so. Lo so, ma non voglio perdere te come ho perso tuo padre. È così difficile da capire?”

“No.” Disse l’uomo. 

“Scusami, Jim. Dovrei ricordarmi che tu non sei tuo padre. Non ho fatto altro che caricarti di ansie e preoccupazioni. Tu hai dimostrato di essere altrettanto forte e coraggioso. Non devi dimostrare niente. Questo voglio che te lo ricordi.”

“Ci proverò mamma.”

“Vado a chiedere scusa ai tuoi amici. Sono stata maleducata.” 

Jim stava per seguirla quando la voce di suo fratello lo bloccò.

“O sei troppo furbo o sei troppo stupido.”

“E questo perché, Sam?” Adesso erano soli quindi Jim non aveva bisogno di fingere che il loro rapporto fosse migliore di quello che era.

“Chiunque altro sarebbe stato degradato se non addirittura espulso per aver violato la prima direttiva. Tu invece la fai franca. O sei troppo furbo per farti beccare oppure ti reputano troppo stupido per capire dove sbagli.”

“Per fortuna la mia valutazione non dipende da te!”

“Già, puoi dirlo forte. Puoi convincere la mamma di essere un eroe,” Disse Sam avvicinandosi al fratello e fronteggiandolo, “ma non puoi convincere me. Sei diventato capitano grazie ad una serie di fortunati eventi. Sotto l’uniforme resti il solito spaccone. Tu sai solo mettere nei guai te stesso e le persone che ti sono intorno. L’esempio di papà? Non ci sei nemmeno lontanamente vicino!” Jim strinse i pugni.

“Non farò questo gioco con te, Sam.”

“L’unico che gioca qui, sei tu. Giochi a fare il capitano, a fare l’eroe. Ti porti dietro la tua combriccola di disperati soltanto perché ti fanno sentire importante.”

“Bada a come parli, Sam. Puoi offendere me ma non ti azzardare a parlare male dei miei amici.”

“Un dottore fallito, un ingegnere spedito alla parte opposta del quadrante per la sua incompetenza e un vulcaniano rifiutato dall’accademia delle scienze!” Jim non sopportò oltre. Afferrò per il bavero della camicia Sam e lo spinse contro il muro.

“Bones è un medico eccellente, Scotty ha inventato il teletrasporto a curvatura e Spock, per tua informazione, beh è stato lui ha rifiutare l’accademia delle scienze. Ha scelto la flotta stellare e lo ha fatto liberamente non come hai fatto tu. Cos’era Samuel? L’ultima spiaggia?” A quelle parole Sam reagì liberandosi dalla presa di Jim e sferrandogli un pugno. Jim rovesciò a terra ma si rialzò immediatamente e si scagliò di nuovo contro il fratello. 

I rumori della colluttazione fecero rientrare tutti gli altri. Spock tirò indietro Jim mentre Bones e Scotty si affrettarono a bloccare Sam.

“Basta!” La voce della madre fermò i due ragazzi. 

“Ha cominciato lui, lo sai, lo fa sempre!” Esclamò Sam divincolandosi dalla presa di McCoy. Jim allargò le braccia e senza dire niente, uscì dalla casa.

 

Il bar sulla strada che portava da casa Kirk alla stazione spaziale da cui Jim e Leonard si erano imbarcati quando si erano conosciuti, non era cambiato per niente. Era sempre la solita bettola. Jim ci era arrivato con la Chevrolet con l’intento di ubriacarsi fino a che non si fosse scordato le parole di suo fratello. Venire corteggiato da una ragazza in abiti succinti non era previsto. E neppure fare a botte con un paio di bifolchi che accompagnavano la suddetta ragazza. Stava per soccombere quando uno dei due uomini che lo trattenevano cadde a peso morto. Jim si rialzò e vide Spock esercitare una leggera pressione anche sul collo dell’altro uomo che subì lo stesso destino.

“Spock!”

“Non può proprio farne a meno, vero? Attirare l’attenzione, intendo.” Jim scoppiò a ridere e si lasciò cadere sul pavimento.

“Volevo solo farmi una bevuta. Come sapevi che ero qui? No, non rispondere. Il legame, giusto?” Spock annuì e gli tese una mano. Jim l’afferrò e si tirò su. “Quindi è come avere un radiofaro sempre acceso addosso!”

“Non intendevo violare i suoi spazi, capitano. Sua madre era preoccupata.” Jim fece cenno al barista di servire altri due bicchieri.

“Posso perdonarti se bevi con me.”

“L’alcol non ha su di me lo stesso effetto che ha sui terrestri.”

“Spock, puoi fare una cosa per me?”

“Se è in mio potere.”

“Fingi. Fingi di bere con me e divertirti. Solo per stanotte.” Anche se la voce era la solita, gli occhi di Jim erano carichi di lacrime. Spock si sedette sullo sgabello al suo fianco e bevve.

“Non mi chieda di fare battute sul Kentucky Derby però. Sono oltre le mie possibilità.” Jim rise e pianse insieme. Avvicinò di nuovo il bicchiere alle labbra e bevve.

“È la seconda volta che mi vedi piangere oggi. Dobbiamo smetterla.”

“Credo aiuti. Almeno è quello che il legame mi trasmette.”

“Perché questo legame trasmette solo i miei segreti a te e nessuno dei tuoi a me?”

“Perché per me è più semplice sentire. Come quando ho toccato la tua mano e ho visto l’Iowa.”

“Beh, in quel momento anche io ho visto Vulcano.” Spock finì il liquore e si voltò a guardarlo negli occhi.

“Ha visto solo Vulcano?” Jim scosse il capo e ordinò un altro giro. Il barista versò altri due bicchieri di scotch.

“C’era Uhura e c’ero anche io.”

“Logico. Siete le persone con cui sono entrato più intimamente in contatto.”

“C’è davvero poca logica in questo legame, Spock. Però ammetto che è confortante. Non ero mai riuscito a piangere davanti a nessuno.”

“Eccellente. Sono l’uomo che fa piangere il capitano!” Jim scoppiò a ridere.

“Sei spassoso, quando vuoi, Spock.”

“Certo. Se lo dice lei, capitano.”

“Capitano, capitano, capitano. Non ti stanchi mai di chiamarmi così? Sai bene qual è il mio nome.”

“Sì Jim e so anche che hai bevuto un po’ troppo.”

“I tuoi stessi bicchieri.”

“Ti ho già spiegato che il mio metabolismo assorbe l’alcol in maniera differente. È meglio se rientriamo adesso.”

“No!” La vice di Jim si alzò di un tono e si fece perentoria.

“Jim, per favore.”

“Spock, c’era un motivo se non volevo venire qui. Lo so che ti sembra assurdo che non volessi rivedere mia madre. So che tu faresti qualsiasi cosa per rivedere la tua, per avere un’altra occasione. Ti sembrerò senza cuore. Però è sempre la stessa storia! Sam non mi perdonerà mai di avergli portato via nostro padre. Lui pensa che la sua vita sarebbe stata diversa se lui fosse sopravvissuto.”

“Illogico. In una linea temporale diversa lui sarebbe anche potuto non esistere.” Jim lasciò ricadere le braccia lungo il corpo.

“Allora perché non glielo spieghi tu? Lo fai sembrare così semplice.”

“La verità è sempre semplice.” Nell’udire quelle parole, Jim prese le chiavi dell’auto e gliele lanciò.

“Sai guidare?”

“Il meccanismo di funzionamento dell’auto è elementare. Sono certo di saper fare funzionare la macchina.”

“Allora guida tu. Io sono ubriaco.” 

Uscirono dal locale. L’aria era decisamente più fredda di quando erano arrivati al bar. Jim sprofondò nel sedile accanto al posto di guida.

“Come diavolo sei arrivato qui?”

“Ho chiesto un passaggio ad un camionista.”

“Tu sei fuori di testa!”

“Sono arrivato a destinazione.” 

“I camionisti da queste parti sono anche trafficanti, lo sai? Trafficano di tutto, compresi vulcaniani in cerca di passaggi. Potevano aggredirti.”

“Come hanno fatto i due uomini al bar?” Jim sorrise.

“Devi insegnarmelo quel trucchetto una volta o l’altra.” Prese un respiro. Quando lo lasciò andare una nuvoletta di fumo si staccò dalle sue labbra.

“Hai freddo?” Chiese Spock. Jim scosse il capo.

“E tu?” 

“No. Non gradisco queste temperature ma le sopporto.”

“Davvero credi che la verità sia semplice?” Chiese improvvisamente Kirk mentre l’auto manteneva un andatura che non li esponesse ad un vento eccessivo.

“La verità è semplice, sono le persone ad essere complicate. Il legame, ad esempio, è semplice contatto tra noi. Eppure io e te non siamo in grado di accettarlo per quello che è.” Jim incrociò le braccia. Ora che l’auto si muoveva, sentiva freddo, eccome.

“Credo di averlo capito. Insomma, né come funziona, né quali conseguenze avrà, ma credo di aver capito che questo legame è una cosa tua quanto mia. Voglio dire che non penso che tu lo abbia creato da solo. Credo sia partito da entrambi.” 

“Per essere ubriaco, fai pensieri piuttosto sensati.”

“Lo so che pensi che bere sia da irresponsabili ma volevo solo dimenticare le parole di Sam.”

“Tuo fratello è ostile. Non dovresti prendere in considerazione ciò che dice.”

“Stai cercando di consolarmi?”

“Sto solo dicendo ciò che penso.”

“Grazie Spock.” Il silenzio che cadde nell’auto portò il vulcaniano a dare un’occhiata di fianco. Jim dormiva. Rallentò ancora un po’ e, con una mano, gli buttò addosso la giacca dell’uniforme che aveva portato con sé ma che non aveva voluto indossare nel bar.

Quando raggiunsero casa Kirk, spense l’auto e i fari, scese e fece il giro della machina. Aprì lo sportello e sollevò Jim per un braccio. L’uomo disse qualche parola nel sonno ma non diede l’impressione di poter camminare da solo. Spock avrebbe potuto sollevarlo senza sforzo ma se lo trascinò dietro in quel modo. Il braccio di Jim intorno al collo e il suo dietro la schiena dell’altro. A quella vicinanza, il battito del cuore di Kirk suonava come un tamburo di guerra Klingon.

Se lo strinse ancora un po’ addosso per aprire la porta di casa. L’ingresso era buio. Imboccò la scala e salì abbastanza speditamente. Raggiunse la stanza del capitano e lo stese sul suo letto.

Gli sfilò le scarpe da ginnastica e la felpa e lo coprì con una coperta di lana che era adagiata sul letto. Si accorse che aveva ancora una guancia sporca di sangue. Raggiunse il bagno in camera e tornò con un asciugamano bagnato. Glielo passò sulla guancia e sulla fronte. A quel gesto, Jim mugugnò qualcosa che aveva a che fare con un ‘resta con me’. 

Lo stai chiedendo a me? 

Era una domanda rivolta a se stesso. Non pronunciò neppure una parola. Gli passò una mano tra i capelli imitando il gesto che Jim stesso compieva sempre quando li sistemava. Indugiò un istante e poi si alzò e lasciò la stanza. 

Ebbe improvvisamente caldo. Probabilmente aveva gestito la sua temperatura corporea per far fronte al freddo della notte terrestre e adesso doveva regolarla al contrario. Fece attenzione a non fare rumore ma la voce di Winona lo sorprese alle spalle.

“Non vai a dormire?” Si voltò e la salutò con un cenno del capo.

“Noi vulcaniani dormiamo meno dei terrestri. Volevo prendere una boccata d’aria.”

“Hai caldo? Ero convinta che qui avresti sofferto il freddo. I vulcaniani sono abituati a temperature molto più calde.”

“E’ così.” Disse lui ma non aggiunse altro.

“Vieni con me.” Disse lei prendendo uno scialle dall’appendiabiti.

Scesero le scale e lei lo guidò in cucina. Dal frigo tirò fuori una bottiglia e poi fece strada sul portico interno. “Questo giardino è mio. Anche quando George era vivo, non ci veniva mai con Sam. I ragazzi stavano di là e io rimanevo qui a guardare i fiori e a leggere. Sono solidagi. Crescono senza l’aiuto dell’uomo. Erano qui quando ho detto a George che aspettavo Jim. Erano qui anche quando sono tornata senza di lui. George diceva che a guardarli troppo a lungo, il bambino avrebbe finito con l’assomigliargli. Ed è stato profetico. Jim è selvaggio e resistente come un solidago.”

“La definizione gli si addice.” Winona sorrise e lo pregò di accomodarsi su una sedia di vimini. Gli servì un bicchiere di limonata.

“Assaggia.” Spock bevve e posò il bicchiere.

“È meno dolce di quanto mi aspettassi.”

“Per sapere qualcosa da te, occorre chiedere esplicitamente, vero signor Spock?” Il vulcaniano accennò un sorriso. Winona si versò un bicchiere di limonata e si sedette di fronte a Spock. I suoi capelli erano ancora di un castano chiarissimo e i suoi occhi vivaci nonostante l’età. Spock bevve un altro sorso di limonata. La donna tirò fuori un pacchetto di sigarette e se ne accese una.

“Fuma dottoressa?” La donna rise.

“Nessuno mi chiama più così.”

“Ma lei era una dottoressa della flotta. Una scienziata molto dotata. E dovrebbe sapere che il fumo deteriora permanentemente le cellule dell’organismo umano.”

“Si Spock, lo fa. Sai, quando George é morto ho rinunciato definitivamente al sogno di avere una figlia femmina e quindi di poter mai contare su qualcuno che proteggesse le mie creature. Mi sono rassegnata all’idea che erano Sam e Jim quelli che un giorno si sarebbero sentiti dire di proteggere ad ogni costo qualcun altro. Stasera ti ho visto rimboccare le coperte a Jamie e mi sono sentita scaldare il cuore. Ho pensato che avrei potuto osare chiedertelo.”

“Chiedermi cosa?” La donna prese un’altra boccata.

“Potresti prenderti cura di Jim? Almeno fino a che sarete su quella nave insieme?” Spock rimase in silenzio al punto che Winona ebbe timore di avere parlato troppo.

“Lo farò. Fino a che potrò, fino a che sarò vivo, avrò cura di lui. Lui è T’hy’la.” La donna fece un altro tiro e si alzò. Non disse più nulla. Girò alle sue spalle e si chinò ad abbracciarlo.

Quando le sue braccia si staccarono, Spock non disse nulla. La lasciò rientrare in casa. Lo aveva detto ad alta voce. 

T’hy’la.

Chissà se Winona aveva capito. Sperò che fosse così.

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Capitolo 6
*** Capitani ***


Capitolo V

Capitani

 

Jim si svegliò con un mal di testa da sbornia. Per sua fortuna metà giornata era passata. Scese in cucina e trovò McCoy che leggeva sul divano. Scotty stava riparando la lavastoviglie di sua madre mentre lei e Spock giocavano a scacchi.

“Sua madre é decisamente brava, capitano.” Disse muovendo una torre. 

“Sei un adulatore, Spock.” Gli fece eco lei.

“Lieto di vedere che vai d’accordo con almeno un membro della mia famiglia.”

“A proposito di famiglia,” disse Winona, “tuo fratello è stato alla base stamattina. Ha portato degli ordini per te da Christopher.” 

Jim finì di corsa il suo caffè e volò verso lo studio di suo padre. Sapeva che Sam ci aveva trasferito tutta la sua roba nonostante lui fosse contrario. Entrò senza bussare.

“Hai i miei ordini?” 

“Prego, entra pure!”

“Falla breve, Sam.”

“Ecco il tuo file. Pare che tu debba scaricarlo sul tuo pad, altrimenti non potrai leggerlo. Te lo sei portato dietro, vero capitano?” Sam Lo disse col solito sarcasmo di chi sa di prendere l’altro facilmente in castagna. Kirk gignò. 

“Spock lo avrà preso per me.”

“Allora non è il tu primo ufficiale, è tua moglie!” A quell’insinuazione Jim divenne rosso fino alle orecchie.

“Sei un imbecille Sam!” Disse voltandosi per guadagnare l’uscita.

“Attento fratellino! I vulcaniani sono esigenti a letto!” La risata di suo fratello fu l’ultima cosa che udì. Arrivò in cucina masticando amaro.

“Spock, tra i miei effetti c’è anche il mio pad?” Chiese chinandosi quasi vicino al suo orecchio per sussurrare la domanda.

“Ho pensato che servisse. Sbagliavo?” Fece il vulcaniano muovendo un alfiere. La donna rise.

“Mamma!” Esclamò Jim. “Vuoi prendermi in giro anche tu? Accomodati.”

“Io? Vorrei che soffiassi di nuovo sull’orecchio di Spock, dato che mi ha appena offerto la sua regina.” Spock si tese e guardò accigliato la scacchiera.

“Non credo proprio.”

“Ok voi due. Io vado di sopra.” Winona rise e mosse un pedone.

Jim si chiuse nella sua stanza. Perché non aveva ribattuto alle battute di Sam e di sua madre ma era arrossito e scappato via? Afferrò il pad e vi trasferì i file del drive di Pike.

Lesse per quasi due ore. Pagina dopo pagina sentì qualcosa montargli dentro. Non solo un forte senso d’ingiustizia ma anche rabbia, tristezza e angoscia. Un lieve bussare alla porta lo scosse.

“Jim, posso entrare?”

“Certo Bones, vieni.” L’amico entrò e si sedette sul letto accanto a lui.

“Tutto bene, lesioni facciali a parte?” Jim sorrise e lasciò il pad sul letto.

“Lo sai che conosco un solo modo per superare una lite con Sam.”

“Bere.”

“Appunto.”

“Ha funzionato?”

“In un certo senso.”

“Quelli sono i dati di Pike su John Harrison?” Kirk annuì. “E allora?”

“Non c’è niente su Harrison prima di dodici mesi fa. È un ufficiale della flotta stellare di stanza a Londra. Ha svolto diverse missioni tutte portate a termine con successo. Pare un esemplare modello.”

“Quindi, in sostanza, non abbiamo niente.”

“Non lo so, Leonard. Perché non ci sono file su di lui più vecchi di dodici mesi?”

“Pike cosa dice?”

“Pensa che se lavora per Marcus c’è la concreta possibilità che lui abbia cambiato la sua identità.”

“Quindi in realtà l’uomo che hai incontrato non si chiamerebbe John Harrison.”

“Già.”

“Quindi potrebbe essere in giro con un altro nome.”

“Possibile.”

“Dobbiamo dirlo a Spock e Scotty. Forse loro hanno qualche idea.”

“Anche io ho delle idee!” Esclamò Jim fingendo di essersi offeso.

“Sentiamo!” Esclamò Bones.

“Prima di parlare di Harrison, devi dirmi una cosa.”

“Più urgente di questo?” Chiese McCoy indicando il pad. Jim annuì.

“Hai accusato Spock di essere la causa della mia morte per undici secondi? Lo hai picchiato?” Bones mise le mani sui fianchi.

“Picchiato? Io sono un dottore, Jim, un dottore. Non picchio la gente.”

“Ma hai aggredito Spock.”

“Mi ha mentito. Ero arrabbiato e ho perso le staffe.”

“I vulcaniani non mentono.”

“Sì, questo lo raccontano per non dover rendere conto delle loro azioni.”

“Non mi piace che tu e Spock litighiate. Dovete riappacificarvi.” Bones alzò gli occhi al cielo.

“Non siamo mica bambini che hanno bisogno di incrociare i mignoli e giurare che non lo faranno più! È stato uno scambio di vedute e, per tua informazione, orecchie a punta non si è scusato.”

“E quale sarebbe la menzogna che ti ha raccontato?” Bones si passò una mano sulla faccia esasperato. “Bones?”

“È stato il legame a farlo precipitare nel vulcano.”

“Cosa?” Jim sentì la stanza prendere a girargli intorno.

“Esatto. Si stava calando nel vulcano quando tu sei svenuto sul ponte del teletrasporto per via della ferita. Il dolore si è trasmesso anche a lui ed è caduto.”

“Cristo! È stata colpa mia!”

“No!” Gridò Leonard. “È questo il punto. Voi due siete già abbastanza ‘legati’ senza il legame. Con questa cosa che vi unisce, tutto diventa un enorme casino. Per questo gli ho chiesto di scioglierlo.”

“Cosa avresti fatto, tu?”

“Jim, per il bene di entrambi.”

“Bones, con tutto il rispetto questa cosa spetta a noi deciderla.”

“Ma se tu non sai neppure cosa significa? Saresti davvero pronto a vivere il legame con Spock? Non hai mai avuto una relazione che durasse più di due notti!”

“Bones, è una mia decisione.” Leonard guardò dritto negli occhi azzurri di Jim e ci lesse una determinazione mia vista prima.

“Tu informati e poi decidi. Però sappi che non c’è in gioco solo la tua vita ma anche quella di Spock.”

“Se ci tieni così tanto a lui, chiarisci le cose. Non mi va che i miei migliori amici si tengano il broncio.”

“Io sono il tuo migliore amico. Se il legame si consolida, lui sarà il tuo T’hy’la.” Sbuffò Bones lasciando la stanza.

Dove ho già sentito questa parola?

Si disse che adesso doveva concentrarsi solo sui file di Pike e scese di sotto.

 

La partita di scacchi tra Spock e sua madre era finita e, non vedendola in giro, Jim chiese a Sam dove fosse.

“È uscita a fare un po’ di spesa. Ha preso la tua macchina!” Disse Sam uscendo a propria volta. Jim rise. Sapeva che la passione per la velocità l’aveva presa da lei. Si rivolse ai membri del suo equipaggio.

“Bene. Ho i dati di Pike. Vogliamo fare il punto?” Si accomodarono intorno al tavolo. “Riassunto delle puntate precedenti. Abbiamo una nave costruita senza autorizzazioni ufficiali della flotta stellare, la U.S.S. Jupiter. Alexander Marcus potrebbe essere il responsabile della sua costruzione ma le uniche prove a supporto di questa teoria sono la sua firma sui documenti di trasporto delle bobine e il file sugli esperimenti che ho preso sulla stazione orbitante che erano diretti a lui. Questo collega la Jupiter agli esperimenti e a John Harrison. Degli esperimenti sappiamo solo che risalgono a duecento anni fa e alla missione della Botany Bay. Di Harrison sappiamo quelli che ci ha fatto sapere Pike e cioè che è un membro della flotta.” Kirk fece una pausa.

“Sappiamo anche che è interessato a qualcosa che fa parte dei dati della Jupiter.” Aggiunse Spock.

“E che Harrison probabilmente non è il suo nome. Se tutte le info su di lui risalgono a dodici mesi fa, probabilmente prima aveva un altro nome.” Disse Bones. Scotty aggrottò la fronte.

“E se, lavorando per Marcus, avesse scoperto gli esperimenti e avesse cominciato ad indagare come abbiamo fatto noi?”

“Indagava da prima.” Precisò Kirk.

“C’é una cosa che non capisco. Qual é il movente? Cosa cerca questo Harrison? Le prove che Marcus è un traditore o piuttosto è un suo scagnozzo che sta cercando di infangare la faccenda.” Scott parlò rigirandosi il pad fra le mani.

“Harrison cerca qualcosa sulla Jupiter o sul suo progetto,” disse Jim, “di questo sono certo. Ha detto che aveva già tentato negli archivi di San Francisco, Londra, Tokyo e Vancouver. Credo voglia tradire Marcus.”

“Scusate se torno all’argomento esperimenti,” fece McCoy “ma se furono un fallimento, perché riesumarli?”

“Probabilmente perché erano nel progetto della Botany.” Rispose Spock. “Forse per costruire la replica in grande stile della Botany occorreva riprendere il file sugli esperimenti.” Kirk si alzò in piedi.

“La nave si comanda con un personale minimo. Forse una manciata di uomini. Magari devono essere uomini speciali. Magari sta studiando quegli esperimenti perché vuole rifarli. Vuole un super equipaggio per la Jupiter.” 

Spock stava per rispondere quando il telefono suonò. Jim andò a rispondere.

“Pronto?”

“Jim, sono la mamma. La macchina ha qualcosa che non va. Mi dispiace, non avrei dovuto prenderla senza il tuo permesso. Ho bisogno che vieni a prendermi.”

“Mamma, tu stai bene? Dimmi dove sei.” Gli uomini seduti al tavolo si alzarono tutti.

“Sì, sto bene. Un uomo molto gentile mi ha aiutata. Puoi venire a prendermi?”

“Certo. Dimmi dove sei. Mamma?” Jim sentì qualcuno parlare accanto a sua madre poi la voce della donna fu sostituita da quella di un uomo.

“Capitano? Sua madre si trova al miglio sessantacinque della strada tra Riverside e la vostra abitazione.” Jim strinse la cornetta più forte. “Sta bene. E io resterò con lei per accertarmi che non le accada nulla. Venga a prenderla subito.”

“Harrison se tocca mia madre!” A quelle parole Spock e Leonard fecero un passo in avanti.

“Non sarà necessario se verrà immediatamente. Sa già cosa portare per far ripartire la macchina, vero capitano? Ora la lascio. Sembra che sua madre cominci a preoccuparsi.” 

“Aspetti, Harrison!” Jim imprecò ma la comunicazione era stata interrotta. Kirk si voltò con uno sguardo teso. “Ci ha trovati. Ha preso mia madre. Me la restituirà se gli darò i dati.”

“Che bastardo! Usare una donna!” Esclamò Bones.

“Che intendi fare?” Chiese Spock.

“E me lo chiedi? Vado a riprendermi mia madre.” Jim si fiondò fuori di casa per raggiungere il garage. Aveva dato via la sua moto ma aveva ancora quella di suo padre. Sam non lo avrebbe mai perdonato. Stava per montare quando qualcuno gli afferrò il braccio.

“Ti sembra saggio andare da solo? Inoltre non puoi sapere cosa succederà se vai lì senza dati. La logica suggerisce che sia armato.” Lo sguardo di Spock lo bloccò sul posto. “Rifletti. È il momento di usare la razionalità. Se Harrison ha preso tua madre, conta sulla tua impulsività.” Jim sospirò.

“Hai ragione, ma cosa posso fare? Io devo andare.”

“Allora porta i file con te. Fa lo scambio.”

“Non posso dargli un vantaggio tattico simile! Non conosciamo le sue reali intenzioni.”

“Ho tolto dal pad tutto quello che lui non ha già visto sulla Jupiter. Non avrà altre risposte.” Gli occhi di Jim s’illuminarono.

“Sei un genio, Spock!” Gridò afferrandolo per le braccia. Il vulcaniano ne fu imbarazzato e balbettò qualcosa.

“Sì, io ti seguirò con gli altri. Scott ha chiamato tuo fratello. Gli ha chiesto di portare un veicolo militare.”

“Ok, lascio tutto nelle tue mani.”

“Jim. Prendi tempo e non fare niente di avventato. Sei ancora convalescente.” Jim sorrise.

“Non farmelo promettere, sai che è inutile.”

“Lo so.”

Jim salì in moto e partì.

 

Jhon Harrison era in piedi davanti alla macchina quando lui arrivò. Jim vide sua madre seduta sul sedile posteriore dell’auto.

Scese dalla moto e si avvicinò. Sua madre lo vide ma non si mosse.

“Bentrovato capitano! Sua madre è una donna molto intelligente. Ha capito che deve lasciarci parlare da soli.” Jim sorrise di sfida.

“So che lei è furba, tu invece no. Non dovevi toccarla.”

“E non l’ho fatto. Avevo solo bisogno di attirare la sua attenzione. L’ultima volta è andato via in modo molto maleducato.” Kirk allargò entrambe le braccia.

“Mi stava minacciando. Non mi piace essere minacciato.”

“Prima ho chiesto in modo gentile.”

“E in modo gentile io ho rifiutato.”

“Per questo siamo qui. Non posso fermarmi.”

“Allora ti rifarò la stessa domanda: perché vuoi quei dati?”

“Mettiamo in chiaro le cose. Non sono qui per fare conversazione. Ha portato i file?” Jim mostrò il pad. “Bene. Me li consegni e porti via sua madre. Non mi segua, ci sarebbero delle ripercussioni per entrambi.” Disse prendendo il pad dalle mani di Jim. Mentre Harrison tornava al suo veicolo Jim gli urlò dietro.

“Avrei capito!” Jhon si fermò e si girò a guardarlo. “Le sue motivazioni, io le avrei capite.”

“Sa qual è l’unico motivo per cui è ancora vivo, capitano?” Jim scosse il capo. “Nibiru.”

“Nibiru?”

“Ha dimostrato di anteporre il suo equipaggio persino alla vita. É quello che fa un capitano.”

“E lei è un capitano Harrison?” Sputò fuori di getto. Vide l’altro abbassare la testa poi sollevarla con uno sguardo incomprensibile.

“Lo sono stato ma ho perso il mio equipaggio. Un capitano senza equipaggio non è più niente.” Si voltò nuovamente e montò in auto allontanandosi. Kirk corse da sua madre.

“Mamma, stai bene?”

“Sì Jim, perdonami tesoro. Ho capito troppo tardi che quel tipo mi ha usata per arrivare a te.”

“Sta tranquilla. È tutto a posto.” 

In quel momento il rumore di un altro veicolo li interruppe.

“Jim!” La voce di McCoy li tranquillizzò. “Va tutto bene? State bene?”

“Sì, stiamo bene. È andato via con il pad. Spero che non ci metta troppo poco a rendersi conto che il pad è quasi vuoto!” 

“Cristo santo! Guarda come hai ridotto la moto di papà!” Le urla erano di Sam.

“Ci ho fatto solo un giro!” Sì difese Jim.

“Perché non prende la moto e torna a casa, Sam?” Anche se le parole di Spock suonavano gentili, il tono della voce era tagliente. Sam non disse nulla, prese la moto, scambiò uno sguardo d’intesa con sua madre e andò via.

“Dobbiamo rientrare anche noi,” Intervenne Scotty, “devo preparare l’attrezzatura per hackerare i file su Marcus.

“Mamma, sali sul veicolo militare con Scotty e McCoy. Io riporto indietro l’auto.” La donna annuì e montò in auto. Il veicolo partì immediatamente.

“Andiamo anche noi?” Chiese Jim a Spock. Il vulcaniano salì in macchina. Jim mise in moto e prese la stessa strada percorsa da Bones. “È andato tutto come avevi previsto.”

“Forse troppo semplicemente.”

“Non sei mai contento. Volevi che andasse tutto bene e che non facessi niente di avventato. È stato così e non sei soddisfatto.”

“Sono felice che tu stia bene.”

“Tu, felice?”

“Sto cercando di utilizzare una terminologia vicina al tuo modo di pensare, che non ti faccia venire il mal di testa.” Jim rise.

“Queste sono parole del dottore, non è così?”

“A proposito del dottore, non hai mai più risposto alla mia domanda.” Kirk comprese subito a cosa si riferiva.

“Ti ho risposto. Ti ho spiegato che siamo come fratelli.”

“E si tratta di una relazione esclusiva?” Jim frenò di colpo.

“Esclusiva? No!”

“McCoy mi ha chiesto di sciogliere il legame.”

“Ho già chiarito questa cosa con lui.”

“Te l’ha detto?” Chiese Spock.

“Ne sembri sorpreso. È questo che fanno gli amici. Si confrontano tra di loro. Se sbagliano, chiedono scusa e vanno avanti senza rancore. Non potreste fare questo tu e Bones?”

“Non c’è l’ho col dottore.” Jim girò la testa di lato.

“Sta zitto!”

“Non ti sembra una reazione eccessiva? Se vuoi, gli parlerò.”

“Spock, stai zitto un attimo. Lo senti?” Disse indicando l’aria con un dito. Un suono intermittente diventava sempre più veloce e intenso. Spock scese dall’auto e aprì il portabagagli. Jim lo seguì e quando vide il contenuto portò una mano alla bocca.

“Cazzo!” 

“Non la definirei l’espressione corretta per indicare questo oggetto.”

“Oh sì che lo è! È una bomba?” Spock vide lampeggiare un pad e lo avviò. L’immagine di Harrison comparve sullo schermo.

“Capitano, se sta guardando questo video vuol dire che ha fermato l’auto prima di arrivare a casa sua. Ho predisposto l’ordigno perché non si attivasse superando la distanza tra il luogo del nostro incontro e la sua abitazione. Non posso rischiare che si metta ad inseguirmi. Se lo ha fatto, salterà in aria tra meno di quattro minuti. Mi spiace ma le avevo promesso che se mi avesse messo i bastoni tra le ruote, ci sarebbero state conseguenze. È una bomba al dilitio. Se questo è un addio, lo saprò.”

Il messaggio terminò. Jim guardò Spock.

“In quattro minuti non riusciremo ad allontanarci a sufficienza per evitare le radiazioni conseguenti all’esplosione.” Disse Spock.

“Però posso allontanare l’auto da te.” Jim chiuse il cofano e tornò al posto del guidatore.”

“Jim no!” Esclamò il vulcaniano.

“Lasciami andare. Questa strada è trafficata, coinvolgeremo altre persone. So quello che faccio. L’ho già fatto, fidati di me. Devi lasciarmi andare o non farò in tempo.” Jim cercò di essere quanto più convincente possibile ma gli occhi di Spock erano carichi d’ansia. Così Jim si calmò e poggiò una mano su una di quelle di Spock, entrambe strette allo sportello della decappottabile. Quando percepì il contatto guardò i sui occhi.

Fidati di me, T’hy’la. 

Spock staccò entrambe le mani dallo sportello come avesse preso la scossa. Jim ingranò la prima e partì. 

Spock lo vide sterzare e abbandonare la strada principale. Prese la via del deserto. 

Non avrebbe dovuto farlo, eppure invece di correre nella direzione opposta a quella presa da Jim come avrebbe preteso la logica, Spock inseguì l’auto.

 

Jim accelerò ancora. Il suono della bomba nel bagagliaio era pressoché continuo ormai e questo significava che stava per esplodere. 

Si stava facendo buio così accese i fari e lo vide. Era il canyon che sfidava tutte le volte che voleva dimenticare il dolore che si portava dentro e scaricare l’adrenalina che gli serviva a farlo.

La manovra era semplice. Accelerare fino a qualche metro del canyon e poi sterzare. Era certo che la gravità avrebbe fatto il resto.

È così fece. La macchina volò giù nel canyon. Jim si lanciò appena in tempo per aggrapparsi al costone di roccia sotto di sé. 

Si ritrovò a penzolare nel vuoto. Entrambe le mani che cominciavano a scivolare per via della sabbia. L’esplosione arrivò qualche istante dopo. L’onda d’urto che lo investì non fu abbastanza forte per farlo cadere. Il piano, perlomeno, aveva funzionato.

Cercò un appiglio con i piedi e, sulle prime, gli sembrò di averlo trovato. Cedette dopo poco. Con uno sforzo ulteriore cercò di guadagnare qualche centimetro e ci riuscì ma sapeva di non avere la forza di tirarsi su. 

Lentamente si fece buio. Quanto poteva resistere ancora? 

Fu mentre sentì cedere il terreno sotto al braccio sinistro e pensò di essere spacciato che sentì una mano afferrargli l’altro braccio. Fu tirato con forza sopra il bordo del canyon e finì addosso al suo soccorritore.

“Spock! Che diavolo!”

“Non c’è di che, Jim.” Il capitano sentì la tensione nelle braccia venire meno e si lasciò andare contro il corpo del comandante.

“Perché lo hai fatto? La macchina poteva esplodere prima.”

“È colpa tua.” Disse il vulcaniano. 

“Mia?”

“Mi hai chiamato T’hy’la.”

“Già.” Sussurrò Jim che si sentiva sempre più sfinito.

“Non sai neppure cosa significa, vero?” Kirk strofinò la testa contro il petto di Spock. 

“Vuoi dirmelo?”

“Cosa pensavi significasse quando hai pronunciato quella parola?”

“Qualcosa di speciale.” Spock non poté impedirsi di sorridere.

“Compagno.” Kirk non si mosse.

“Compagni uniti dal legame?” Chiese sottovoce.

“Sì.”

“Ok. Ha un bel suono. Ma non chiamarmi così sul ponte di comando o ti strozzo con le mie mani.”

“Le possibilità che tu possa riuscirci sono del due punto ventiquattro per cento.” Jim fece forza sulle mani e sollevò la testa fino che fu ad un centimetro da quella di Spock.”

“Sempre una di più di superare il test della Kobayashi Maru, vuoi scommettere?” Spock rimase vittima del blu intenso degli occhi di Jim e sentì il pensiero logico abbandonarlo completamente. Jim era immobile, il respiro che gli usciva dalle labbra esitava sulle sue riscaldandole appena. Qualcosa di antico si risvegliò in lui. Non sapeva dargli un nome ma era violento e irrazionale. Un desiderio mai provato prima. Si mosse impercettibilmente in avanti e vide Jim rimanere ancora immobile. Le sue labbra appena tese in un sorriso di sfida. 

“Allora?” Chiese senza smettere di fissarlo con quei suoi occhi assurdi. Come poteva esistere quella tonalità di blu? Poggiò una mano sul suo viso e lo trattenne. Non sapeva cosa stava facendo esattamente, il suo corpo si muoveva da solo.

“Tu hai sorriso e l’incantesimo è compiuto.” Disse praticamente sulle sue labbra citando la canzone che aveva preso in giro quando erano arrivati in Iowa due giorni prima. 

Jim ebbe un sussulto. Stava per dire qualcosa quando il suo trasmettitore prese a suonare. Non si mosse ancora.

“Rispondi, Jim.” Disse Spock allontanandosi e aiutandolo ad alzarsi. Il capitano non fece una piega. 

“Qui Kirk.”

“Jim, santo Iddio, dove siete?” La voce di Bones era così alterata da percepirsi chiaramente anche senza il viva voce.

“Siamo a qualche miglio da casa. Abbiamo avuto un piccolo problema con la macchina. È tutto ok. Vi raggiungiamo. Voi preoccupatevi solo dei file su Marcus.”

“Ci sta lavorando Scott. Stai bene?” Jim avrebbe voluto rispondere con l’ennesima battuta macabra sulla sua salute ma Spock gli prese il ricevitore dalle mani.

“Dottore, prepari una fiala di trexadin. Il capitano è stato esposto a leggere radiazioni da dilitio. La sua temperatura corporea sta già salendo di tre gradi.”

“Portalo subito a casa, Spock.”

“Senz’altro. Spock, chiudo.” Il vulcaniano restituì il ricevitore al capitano.

“Così la mia temperatura corporea è salita di tre gradi? E tu dici che la colpa è del dilitio?” Fece Jim incrociando le braccia e mettendo un broncio che Spock avrebbe trovato adorabile quando ci avrebbe ripensato più avanti.

“Non ho dubbi su questo. Ti serve quell’iniezione. Andiamo.”

“Spock, stavo per credere che avessi un’anima.” Kirk prese a camminare verso casa e Spock gli fu subito accanto.

 

Trovarono Bones fuori dalla porta di casa. Kirk notò che aveva già quel maledetto aggeggio per le  iniezioni pronto all’uso.

“Non ti azzardare ad infilarmelo nel collo a tradimento!” Fece Kirk agitando una mano ma qualcosa lo bloccò sul posto. Una specie di spasmo. Si sentì cadere ma le braccia forti di Spock lo trattennero e lo sollevarono.

“Nel garage!” Gridò Bones. “In casa ci sono Scott e sua madre. Non voglio che le contagi.”

Spock non se lo fece ripetere. Sentiva il corpo di Jim scosso da tremiti e, se scientificamente sapeva che le radiazioni che lo avevano colpito non erano sufficienti ad ucciderlo, temeva che soffrisse.

McCoy aveva già preparato un materasso e delle coperte. Spock ci stese Jim sopra. Il dottore gli puntò la pistola al collo e iniettò il medicinale. Anche se non riusciva a parlare, Kirk dimostrò con gli occhi di non gradire.

Passarono dieci minuti prima che il respiro di Jim tornasse regolare. Spock e McCoy erano rimasti in silenzio fino a che il loro capitano aveva smesso di tremare.

“Il battito é regolare.” Asserì Spock.

“Lo so.” Rispose Bones che aveva appena passato il tricoder lungo il collo e il torace di Jim.

“Allora potrebbe assumere una compressa di trexadin per il contatto col capitano e andare a riposare.” Leonard sbottò.

“Sono io l’ufficiale medico, se mai non lo ricordasse comandante.”

“Ho la competenza per gestire la situazione attuale.”

“Questo lo lasci decidere a me.” Spock piegò la testa di lato con fare interrogativo.

“Noto una certa ostilità.”

“E io noto una certa interferenza.”

“Interferenza in cosa?”

“Nel mio rapporto con Jim. Che c’è? Ora che ha un legame con lei, pretende che non ne abbia con altri?”

“Non ho mai asserito una cosa simile. È probabile che lei si senta minacciato dal legame ma non ne ha motivo.”

“Non ho bisogno delle sue rassicurazioni, Spock!”

“E io non ho bisogno del suo permesso, dottore!”

“Eeeeee stop!” Le mani di Kirk si sollevarono contemporaneamente come a voler separare i due interlocutori. “Si può sapere che diavolo fate?”

“Jim resta tranquillo e buono. Stiamo solo parlando.” Disse Bones.

“A me non sembra proprio. Ora ascoltatemi bene. Punto primo: Bones, Spock non è responsabile di quello che è accaduto su Nibiru. Semmai è il contrario. Il legame c’è e per il momento rimane. Questo è un fatto.” Bones sbuffò. “Ascoltami, ascoltami Leonard! Non sappiamo cosa comporterebbe scioglierlo e per ora ce la siamo cavata a gestirlo. Non credi anche tu?”

“Sì, come si gestisce un cavallo senza le briglie.”

“Punto secondo: il legame con Spock non escluderà, né sostituirà mai quello che ho con te. Ok?” Jim si accorse che Bones sorrideva mentre Spock girò la testa di lato. “Punto terzo: Spock, la mia amicizia con Bones non interferirà con il legame che ho con te. Siamo compagni, ricordi? Punto quarto: non posso accettare, in nessuna maniera, che voi due non andiate d’accordo.”

“Mai andati d’accordo.” Precisò Bones.

“In effetti di rado.” Aggiunse Spock.

“Che non andiate d’accordo meno del solito, allora! Dio quanto è difficile! In considerazione di quanto ho detto e del fatto che sono il capitano e che ve lo ordino, datevi la mano e fatela finita!”

Spock tese la mano per primo. Bones lo guardò ancora un secondo in cagnesco poi la strinse con una delle sue.

“Contento, despota?” Disse agitando il braccio in modo eccessivo. Jim sorrise.

“Sì. Adesso chi dei due mi fa sapere se Scotty ha aperto quella dannata back door? Le ventuno sono passate da un pezzo.”

“Vado io.” Disse Spock alzandosi. “E comunque dovrebbe prendere quella compressa di trexadin, dottore.”

“Lo farò.” Quando la porta del garage si chiuse, Bones guardò di sbieco Jim. “Compagni?”

“È una lunga storia.”

“Già, lo immagino. Mi auguro che per una volta nella tua vita, tu sappia cosa stai facendo. Ti senti meglio? Il farmaco dovrebbe avere fatto il suo dovere.”

“Sto bene. Smettila di preoccuparti per me.”

“Non posso.” La voce di McCoy si caricò di tristezza. Jim poggiò una mano sul suo braccio. Il dottore la strinse con la sua.

“Ho poche certezze nella mia vita, Jim. Tu sei una di quelle.” Kirk non rifiutò il contatto ma lo ricambiò.

“Farò di tutto perché sia sempre così.” Leonard tossì, si divincolò e si alzò. “Vado a prendere quella dannata pillola così potremo rientrare tutti in casa. Qui fa freddo.” Jim gli sorrise e lo lasciò andare.

 

La notte passò in fretta. L’alba trovò i quattro membri dell’equipaggio dell’Enterprise intorno al tavolo. Discutevano già da un’ora.

“Quindi Marcus ha prestato servizio esattamente nei posti in cui Harrison dice di essere stato in cerca di informazioni sulla Jupiter.” Ribadì McCoy.

“Non solo, il figlio di puttana ha usato i suoi codici per accedere a tutte le informazioni sulla Botany Bay mentre era a Londra.” Scotty era il più alterato. La federazione lo aveva punito per insubordinazione quando aveva sostenuto di poter effettuare il teletrasporto a curvatura ma lasciava a piede libero chi trafficava con i segreti della flotta.

“Quello che ancora non colgo è il legame fra la nave e gli esperimenti.” Ammise Spock. “Posso capire che abbia voluto costruire una nave così colossale ma perché riaprire un esperimento dichiarato apertamente come fallito.”

“L’equipaggio.” Kirk uni le mani sotto al mento.

“Cosa c’entra l’equipaggio? Quale equipaggio?” Chiese Scotty.

“Harrison ha detto di aver usato mia madre per avere i file e che non mi ha attaccato direttamente per via di Nibiru.”

“Sapeva anche questo?” Chiese Spock. “Significa che accede frequentemente al database della flotta.” Jim annuì.

“Ha detto che mi riconosceva il merito di aver anteposto la vita del mio equipaggio alla mia. Perché è quello che fa un capitano. Qualcosa nei suoi occhi era diverso dal solito e io gli ho chiesto se anche lui era un capitano.”

“E cosa ha risposto?” Ora Leonard era davvero curioso.

“Che lo era ma che ha perso il suo equipaggio.”

“Illogico. Se lei pensa che Harrison si riferisse all’equipaggio della Botany Bay, allora deve considerare che quegli eventi ebbero luogo più di duecento anni fa.”

“Lo so, Spock ma è stato Scotty a dire che forse c’è di più perché oltre agli esperimenti sul dna c’erano anche esperimenti di altra natura, quelli per cui lei sostiene che ci voglia un essere vivo e vegeto!”

“Ricordo cosa ho detto ma tutto l’equipaggio della Botany Bay è stato dichiarato deceduto. Compreso il suo capitano.” Provò ad insistere Spock. Kirk però non voleva cedere. Si fidava sempre del suo istinto.

“Scotty nei file che ha rubato c’è qualche riferimento a cosa ne fecero della nave e dell’equipaggio?” Scott scosse la testa.

“No. La nave non è affatto menzionata. A parte per il file che Marcus ha scaricato sul suo pad sui progetti. Anche in quel file, però, non si dice nulla su che fine abbia fatto la nave quando il progetto è stato chiuso.”

“Signor Scott, posso dare un’occhiata alla lista?” Chiese Spock. Scotty gli passò il pad. Il vulcaniano gli diede un’occhiata e glielo rese.

“La lista dei file scaricati da Scotty non classifica le navi della flotta in base al loro nome di battesimo ma a quella del numero di serie del progetto. L’Enterprise si trova classificata alla voce NCC 1701. Bisognerebbe conoscere il numero del progetto della Botany Bay.”

“Maledizione!” Esclamò Jim. “Come facciamo a sapere qual è?”

“Se non è nel file di Marcus, dubito che lo troveremo scritto da qualche altra parte.” Sentenziò Spock. “Però possiamo escludere tutti i progetti seguenti alla numerazione LAA 0001. Si riferiscono tutti a progetti ancora esistenti. Mi sentirei di escludere anche quelli che vanno da ABB 0001 a DZZ 9999. Sono progetti troppo vecchi.”

“Sentito Scotty? Se escludi questi, quanti progetti rimangono?” Chiese Jim con rinnovato slancio.

Scott digitò alcuni numeri sul pad e rispose.

“Dodicimilaquattrocentoventidue.”

“Cosa?” Jim scattò in piedi. “Oh andiamo! Ci deve essere un modo!” Il trasmettitore di Spock suonò. Il vulcaniano rispose poi si allontanò dal tavolo.

“Nyota che succede?”

“E me lo domandi? Sei sparito da tre giorni. Siamo in licenza e tu non ti fai vedere per tutto il tempo?”

“Nyota sto lavorando.”

“Quindi sei con Kirk?”

“È la logica deduzione alla mia affermazione.”

“Dovevo immaginarlo!”

“Non capisco perché sei alterata. Stiamo svolgendo delle importanti indagini di cui non posso parlare.”

“E di cos’altro non puoi parlare, Spock?”

“Non capisco a cosa ti riferisci.”

“All’attaccamento morboso che hai per il capitano.” La voce di Uhura gelò il comandante.

“Di questo parleremo di persona.”

“Aspetta, non riattaccare. Ho un messaggio per il capitano.” Spock tornò al tavolo e passò il ricevitore a Kirk.

“Qui Kirk.”

“Capitano.”

“Uhura, che piacere sentirla!” Disse facendo una faccia interrogativa a Spock.

“Sì, certo. L’ammiraglio Pike mi ha chiesto di contattarla per comunicarle che deve presentarsi a rapporto. Ci sono nuovi ordini.”

“Grazie, Uhura, riferisca che saremo a San Francisco entro sera. Kirk chiudo.” Disse passando il ricevitore a Spock. “Il messaggio era per me e ha chiamato te, Spock?” Bones rise sotto i baffi che non aveva. “Va bene, ne riparleremo. Mio fratello ci ha lasciato il veicolo militare. Useremo quello per tornare alla base più in fretta. Scotty, durante il viaggio cominci a spulciare quei progetti.”

“Tutti e dodicimilaquattricentoventidue?” Si lamentò l’ingegnere.

“Rigorosamente.” Rispose Kirk. “A ognuno il suo. Io guido.” 

“Poveri noi!” Fece Bones.

 

Winona lo abbracciò e lo tenne stretto per qualche secondo.

“Non ti chiederò di farmi promesse che non puoi mantenere ma fa attenzione. Ricordati che ci sono tante persone che ti amano e che soffrirebbero se ti capitasse qualcosa.” Jim le lasciò un bacio tra i capelli.

“Rischi più tu con Sam che io tra le stelle! Ti voglio bene. Torno appena posso.”

Winona si staccò da lui e abbracciò prima Montgomery e poi Leonard.

“Abbiate cura gli uni degli altri.”

“Lo faremo, Winona. Ti aggiorno.” Rispose Leonard prima di raggiungere Scott sul veicolo. La donna si ritrovò faccia a faccia con Spock.

“Lunga vita e prosperità.” Disse il vulcaniano.

“Non posso che augurarti la stessa cosa.” Disse abbracciandolo e lasciando di stucco suo figlio che faticava a credere ai suoi occhi. “Sappi che c’è una madre che pensa a te come ad un figlio quaggiù.” Spock fece un cenno col capo.

“Sarò di parola.” Disse solo.

“Lo so,” rispose Winona “lui è T’hy’la.” Spock annuì. “Allora fate buon viaggio.” Spock salì in macchina e Jim, lanciando un ultimo sguardo a sua madre che lo salutava con una mano, partì.

“Ti sei fatto abbracciare?” Chiese al comandante seduto accanto a lui.

“È un modo comune di salutare per le persone di questo pianeta.”

“Tu odi il contatto non necessario.”

“Allora evidentemente era necessario.”

“Sì, Spock. Immagino di sì.” Concluse sorridendo.

Il viaggio volò. Anche perché Jim non rispettò nessuno dei limiti di velocità imposti per il suo veicolo e per la tratta che stava percorrendo con totale disappunto di Bones che minacciò più volte di vomitare addosso a Scott.

Quando raggiunsero San Francisco era sera. Chiamarono Pike e si incontrarono nello stesso bar che li aveva visti prendere le prime decisioni su quella faccenda. 

“Ce l’avete fatta!” Pike li stava aspettando davanti a cinque bicchieri di scotch.

“Lei sa come dare un caldo benvenuto, ammiraglio!” Esclamò Scotty sprofondando sul divano e afferrando un bicchiere.”

“Non c’è di che, signori.” Rispose Pike sollevando un bicchiere per brindare. Tutti lo imitarono. “È andato tutto bene?”

“Non direi, signore,” esordì Bones, “Harrison ci ha trovati e ha rapito la madre di Jim per scambiarla con i file. Noi gli abbiamo dato poco o nulla ma lui è stato generoso perché ci ha  regalato anche una bomba al dilitio che Jim ha dovuto fare esplodere con un numero da circo. Se ha sette vite come i gatti, se n’è giocate già tre in una settimana.” Pike guardò Kirk per avere conferma.

“Un gioco che facevo da ragazzo, niente di pericoloso. Bones esagera.”

“Lo immagino. Chi mi aggiorna?” Spock guardò Kirk che gli fece cenno di parlare.

“Abbiamo le prove che è stato Marcus a recuperare i file sulla Botany Bay. Ci sono i suoi codici ovunque nei database di Londra, Tokyo, Vancouver e San Francisco.”

“Gli stessi posti dove ha prestato servizio Harrison.” Disse Kirk. Spock continuò.

“L’ammiraglio ha dato il via libera per la costruzione e ha usato la stazione orbitante di Giove dove nessuno lo avrebbe infastidito. Harrison è legato a doppio filo con Marcus. Sappiamo che agisce alle sue spalle ma l’ammiraglio non lo sospetta o, se lo fa, lo porta con sé comunque.”

“Era un capitano.” Intervenne ancora Kirk.

“Questo non lo sappiamo con certezza.” Precisò Spock.

“Di quale nave?” Chiese Pike “Non risulta dai file.”

“Non lo so signore ma me lo ha detto quando ci siamo incontrati. Mi ha detto di aver perso il suo equipaggio.”

“Approfondiremo la questione.” Disse l’ammiraglio.

“Capitano c’è un aspetto che riguarda la faccenda dell’equipaggio che potrebbe essere rilevante.”

Disse Spock. “Dai file della Jupiter che il capitano ha riportato risulta che la nave è governabile con pochissimo personale. Ritengo logico supporre che Harrison sia uno dei membri deputati dall’ammiraglio Marcus alla sua guida.”

“Possibile.” Disse Pike sorseggiando il liquore.

“Ammiraglio ora cosa facciamo?” Chiese Jim.

“Tu che faresti, Kirk?” Tutti guardarono l’ammiraglio come fosse impazzito. Jim prese un respiro e rispose.

“Prenderei l’Enterprise e raggiungerei la stazione orbitante prima che quella nave venga varata. Non sappiamo perché Marcus l’ha costruita.”

“Invece lo sappiamo.” Bones quasi sputò il liquore. “Voi ragazzini non avrete creduto che me ne sarei stato in disparte a farvi fare il lavoro sporco. Sono un capitano anche io. E tu hai ragione, Jim. Bisogna fermarlo ma non potremo più farlo alla stazione spaziale di Giove. La nave ha lasciato il porto. Fonti certe mi hanno riferito che non è più lì. Ha preso la rotta per la zona neutrale.”

“La zona neutrale?” Chiese Spock. “Nessuna nave della flotta può attraversare quella zona del quadrante.”

“Mi dica qualcosa che non so Spock. Marcus ha un piano e quel piano riguarda l’inaugurazione della nuova colonia di Vulcano che si terrà fra meno di una settimana. Tutti i membri più influenti della federazione saranno là. Se la nave di Marcus senza codice né bandiera apparisse sui radar proveniendo dalla zona neutrale, cosa penserebbero tutti?” Spock era silenzioso e preoccupato.

“Quel bastardo ha una potenza di fuoco in grado di distruggere un pianeta su quella nave, ho visto le testate.”

“Dobbiamo avvisare tutti allora!” Esclamò Bones.

“Non possiamo. Non abbiamo alcuna prova. Le informazioni che vi ho dato vengono da un ufficiale in stanza alla stazione che non posso tradire. Il piano di attaccare Nuova Vulcano viene, invece, da una telefonata anonima. Ha chiamato direttamente la mia mia scrivania da un ufficio al piano inferiore e mi ha detto quelle esatte parole. Le telecamere del piano da cui sono stato chiamato erano fuori uso. Niente riconoscimento facciale.”

“Se fosse stato Harrison?” Chiese Kirk.

“E perché?” Gli fece eco Scotty. “Voleva ucciderci e ora vuole aiutarci? Oppure vuole aiutarci e ucciderci!”

“Quando ha chiamato?” Chiese Spock.

“Stamattina, prima che pregassi il tenente Uhura di contattarvi.” Spock si grattò il mento.

“È una tempistica compatibile con i suoi ultimi movimenti. Inoltre avrà scoperto che sul pad non c’era granché e quindi avrà pensato ad un’altra mossa. Non possiamo fidarci.”

“Invece dobbiamo!” Esclamò Jim. “Non abbiamo altra scelta. Dobbiamo contattarlo e trovare un accordo. Quell’uomo vuole Marcus quanto noi.”

“E anche se fosse, come lo troviamo?”

“Non dobbiamo trovarlo. Di certo è alla base. Deve trovare un modo per raggiungere la Jupiter. Quella nave è la sua ossessione.”

“Interessante.” Fece Spock rigirandosi il bicchiere di liquore tra le dita, l’unico ancora pieno. “Vuole fargli sapere che siamo interessati a dargli un passaggio?”

“Ma ti ha dato di volta il cervello? Quell’uomo è matto da legare!” Strillò Bones.

“No. Facciamo sapere in giro che l’Enterprise parte per Nuova Vulcano. Verrà lui da noi.”

“Le sembra prudente, capitano?” Chiese Spock.

“No, non lo è,” Intervenne Pike “ma per adesso è l’unica via d’uscita, vero Jim?” L’uomo annuì. “Allora la seduta è sciolta. Darò l’ordine per la partenza dell’Enterprise domani stesso.”

“Ammiraglio, ci serve una scusa credibile per far decollare la nave più importante della flotta o Marcus intuirà le nostre azioni.” Precisò Spock. Pike sorrise e ai presenti sembrò di vedere sul suo volto la stessa espressione di Kirk.

“Ce l’abbiamo già. Ed è la migliore. L’Enterprise scorterà su Nuova Vulcano l’ambasciatore Spock.” Il vulcaniano posò il bicchiere sul tavolo pensando che non bisognava mai sottovalutare un capitano. Anche se a riposo.

 

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Capitolo 7
*** Pericoli nello spazio ***


Piccole note dell’autrice:
Seppure con una lentezza disarmante, ingiustificata perchè la storia è già bella e finita, sono colpevolmente qui a presentare il sesto capitolo di una long iniziata per gioco in un fandom che non conoscevo e che ho approcciato con tutto il rispetto del caso.
I personaggi non mi appartengo e via dicendo.
Spero che continuiate a seguire questo viaggio fino alla fine.
Se la storia vi piace, lasciatemi un commento e sì, anche le parolacce vanno bene.
Non fosse altro che hanno appena annunciato il 4 film del reboot e io mi sto convincendo a scrivere un seguito.
Ditemelo se non serve. ;P
Grazie per il vostro tempo. Anche se vi sembra di sprecarlo, ogni minuto che passate a leggere questa storia per me è prezioso.
Mary.

 


Capitolo VI

Pericoli nello spazio

 

L’indomani la nave spaziale Enteprise era pronta alla partenza. Mancavano solo gli ultimi rifornimenti e le formalità per mollare gli ormeggi. Kirk raggiunse la plancia dopo aver fatto un buon sonno e una discreta colazione. Tra i tanti cibi liofilizzati a bordo, il caffè rimaneva vero e buono come sulla Terra.

“Capitano in plancia!” Esclamò Chekov.

“Buongiorno a tutti. Signor Sulu, come siamo messi con i preparativi?”

“Tutti in ordine, signore, pronti a partire. La sala motori ci informa che le camere al dilitio sono al massimo.”

“Perfetto. Tenente Uhura apra un canale generale.”

“Canale generale aperto.” Rispose subito la donna.

“Qui è il capitano Kirk. La nostra nuova missione è semplice. Dobbiamo scortare l’ambasciatore di  Vulcano fino alla sua nuova colonia. Partiremo tra venti minuti, non appena l’ambasciatore sarà a bordo. Nonostante si tratti di un incarico amministrativo, state pronti ad ogni eventualità. Tutti ai propri posti. Kirk, chiudo.” 

“Capitano, dov’é il comandante Spock?” Chiese Uhura avvicinandosi alla poltrona di comando.

“È sceso a ricevere l’ambasciatore.” Rispose dando uno sguardo al volto della donna. Aveva un’espressione contrariata. “Va tutto bene, tenente?”

“Non direi, signore, no. Ad ogni modo sono faccende private. Le discuterò con Spock appena potremo.” Jim la guardò negli occhi qualche istante poi annuì. L’interfono suonò e Uhura aprì il canale di comunicazione.

“Qui Spock, capitano l’ambasciatore è arrivato. Vuole scendere a dargli il benvenuto?”

“Arrivo.” Rispose Kirk. “Signor Sulu, a lei la plancia.” 

Jim si alzò e raggiunse l’ascensore. Quando le sue porte si aprirono sul ponte uno, Jim sorrise. Non si sarebbe mai abituato a vedere uno accanto all’altro i due Spock.

“Ambasciatore che piacere rivederla!” Disse allargando le braccia. Spock guardò l’ambasciatore e si stupì di vedere come questi ricambiasse l’abbraccio del suo capitano.

“È un piacere anche per me, soprattutto alla luce delle informazioni che ho avuto di recente. Dovrebbe tenere in maggior considerazione la sua vita, capitano.” Spock alzò gli occhi al cielo.

“Non ascolta nessuno su questo argomento.” Disse all’ambasciatore. L’anziano sorrise.

“È sempre stato così.”

“Non gli dia retta e poi c’è lui a coprirmi le spalle.”

“Mi fa piacere sentirlo. Quindi abbiamo fatto miglioramenti dall’ultima volta che ci siamo visti.” Spock sentì che quella conversazione lo avrebbe messo presto a disagio e così fu.

“Certo! Adesso abbiamo anche una specie di legame! Non so se sono contento che sappia sempre dove sono o che legga i miei pensieri. Devo ancora decidere!” 

“Capitano!” Esclamò Spock e l’ambasciatore rise.

“Certe cose non cambiano. Capitano è un piacere fare questo viaggio con voi.”

“È un piacere averla a bordo. Spero che cenerà con noi stasera.” L’ambasciatore annuì. “Spock, accompagna l’ambasciatore nelle sue stanze e salga sul ponte.”

“Capitano,” intervenne l’anziano, “chiedo il permesso di salire sul ponte con voi per qualche minuto.” Jim parve sorpreso poi, come avesse intuito qualcosa di importante, rispose.

“Ma certo. Venga.”

Quando le porte della plancia si aprirono, il vecchio Spock entrò sul ponte di comando lentamente, quasi con referenza. A Jim non sfuggì l’emozione che l’ambasciatore stava provando in quel momento. 

“Vuole sedersi?” Gli disse indicando la poltrona. Il vulcaniano scosse la testa. 

“Lo faccia lei, la prego, capitano.” Jim si accomodò.

“Allora, signor Sulu, facciamo vedere all’ambasciatore Spock come decolla l’Enterprise.”

“Motori pronti e ormeggi su, signore.”

“E il freno a mano?” Lo prese in giro Kirk strappando una risata anche all’ambasciatore.

“Tutto in ordine signore.”

“Allora ci porti fuori, signor Sulu.” La nave decollò senza intoppi. 

L’ambasciatore raggiunse Spock alla sua postazione e rimase a fissare Jim seduto alla poltrona di comando.

“Non si stanca mai di quella sedia.” Disse sottovoce. “Non lasciare che quella poltrona diventi tutto il suo mondo, Spock.” Il giovane vulcaniano guardò prima lui e poi il capitano.

“È già tutto il suo mondo.”

“Quello è un mondo di solitudine. Se hai un legame con lui, non lasciare che viva tutta la sua esistenza in quel mondo. Il mio Jim ne ha sofferto tanto e io non ho avuto il coraggio di fare molto.” Spock tornò a guardare il computer di bordo. L’ambasciatore tornò da Jim.

“Grazie per l’accoglienza, capitano. Raggiungo i miei alloggi adesso.”

“Vuole che l’accompagni?”

“So dove sono, grazie comunque. A più tardi.” Gli disse poggiandogli una mano sulla spalla. 

Jim sentì uno strano formicolio alla base del collo ed ebbe l’impressione di vedere se stesso mettere una mano su quella dell’ambasciatore che però era più giovane ed indossava l’uniforme blu del reparto scientifico. La sua mano destra si mosse sola e andò a coprire quella del vulcaniano cercando le sue dita. L’ambasciatore indugiò un istante, poi ritirò la mano.

“Mi perdoni, Jim.” Solo in quel momento Kirk si scosse e fece segno al vulcaniano che andava tutto bene. 

L’ambasciatore lasciò il ponte sotto lo sguardo sempre più confuso di Spock.

 

McCoy aveva il solito umore post decollo. Tendente al pessimo. Fece l’inventario con la Chapel un paio di volte e poi si decise a sedersi alla scrivania per mettere in ordine alcuni rapporti medici della missione precedente.

Come al solito sentiva un brutto presentimento. Inoltre sapere quello che sapevano solo lui, Spock, Scotty e Jim e cioè che si preparavano ad incontrare di nuovo Harrison, lo inquietava.

La porta dell’infermeria si aprì di colpo e Scotty comparve sull’uscio tenendosi una mano.

“Montgomery, siamo partiti da qualche ora. Che diavolo è successo?” Scotty entrò con lo sguardo di uno che ha assunto vari tipi di allucinogeni, tutti contemporaneamente.

“Ho avuto una folgorazione!” Disse mostrando la mano ustionata. Bones prese un anestetico e lo invitò a sedersi.

“Nel senso che hai infilato la mano in una delle bobine del motore?”

“Per distrazione.”

“A cosa diavolo pensavi?”

“Ricordi che il capitano mi ha ordinato di esaminare tutti quei progetti?”

“Già.” Bones storse le labbra.

“Erano troppi.”

“Così hai deciso di darti la scossa e bruciarti una mano?”

“No. Ho pensato. Ho cercato nel database qualunque cosa avesse a che fare con la parola ‘Jupiter’.”

“E hai trovato qualcosa?”

“Diavolo, sì! Altrimenti perché avrei infilato la mano per sbaglio nel redistributore di energia del motore a curvatura?”

“Vuoi sputare il rospo o devo versare dell’alcol sulla tua ferita?”

“JPT 0003.” Disse Scotty. Bones lasciò cadere l’alcol.

“Ahi!”

“Scusami. Quel figlio di puttana di Marcus! Noi credevamo che avesse chiamato la nave come la stazione orbitante su cui la stava costruendo, invece ha preso il nome dal progetto originario della Botany Bay!”

“Esatto! Jim impazzirà quando lo saprà!”

“Lo credo. Ora ti metto a posto la mano e poi lo avvisiamo.”

“Dammi retta, dottore, chiamalo ora. Quello che ho scoperto, vorrà sentirlo.” 

Bones non se lo fece ripetere due volte. Digitò il numero della plancia sul pad dell’interfono e la voce di Uhura rispose prontamente come al solito.

“Dottore, qui ponte di comando.”

“Tenente può chiedere al capitano di scendere in infermeria?”

“Sì dottore. Sarà subito da lei, Uhura chiudo.” 

Mentre aspettavano, Scotty si dondolò sulla sedia con le braccia incrociate mentre Leonard controllava alcuni esami. Non dovettero aspettare molto. Le porte dell’infermeria si aprirono lasciando entrare Kirk.

“Scotty, che ci fai qui? Sei ferito?” Chiese guardando la mano fasciata dell’ingegnere.

“Sì, cioè no, cioè sì ma non è niente.”

“Allora perché mi avete chiamato? Lo sapete che cosa sta succedendo e sapete che voglio controllare la rotta per Nuova Vulcano prima di entrare a velocità di curvatura.”

“Jim,” intervenne Bones, “ascoltalo.” Kirk si sedette di fronte a Scotty.

“Mi hai chiesto di controllare tutti i progetti che ho scaricato dal server di Marcus per scoprire cosa sa della Botany Bay. Beh, non mi andava di controllarli proprio tutti tutti, così ho cercato di affinare la ricerca.” Jim capì subito che il suo capo ingegnere aveva trovato qualcosa e cercò di fargli sputare subito il rospo.

“E?”

“Ho cercato nel database la parola Jupiter. Indovina cosa conteneva il progetto JPT 0003?” Chiese sorridendo sornione. Jim scattò in piedi.

“Il progetto della Botany Bay! La nave non si chiama come Giove ma come il progetto originale!”

“Esatto!” Esultò Scotty. “Ed è pieno di informazioni.”

“Parla Scotty! Non farti pregare!” Lo implorò Jim. Scotty rise e sparò la bomba.

“La Botany Bay non è mai stata distrutta, il suo equipaggio non è stato soppresso. L’uomo cui era stato affidato il comando della missione, il capitano della Botany Bay rubò la nave e caricò l’equipaggio. Il decollo forzato fece saltare in aria l’intera base in cui era stato sviluppato il progetto. La nave fu dichiarata dispersa nello spazio con tutto l’equipaggio.”

“Dispersa?” Scotty annuì.

“Sì, fino a un anno fa. L’ammiraglio Marcus l’ha ritrovata per caso e l’ha portata nella base orbitante intorno a Giove. È stata smantellata lì.”

“Smantellata. E l’equipaggio?” Bones alzò gli occhi al cielo.

“Sono passati duecento anni, Jim. L’equipaggio doveva essere morto da un pezzo.” Scotty fece un verso strano.

“L’ammiraglio non ne parla. Però i campioni vengono dalla Botany Bay.”

“Deve esserci qualcos’altro.” Disse in modo fermo Jim.

“Perché pensi questo?” Chiese Leonard.

“Perché Harrison è collegato in qualche modo alla nave. E lui ha detto di aver perso il suo equipaggio. Ha fatto il giro del mondo per trovare questi dati e si aspetta di trovarci qualcosa di importante.”

“In realtà è fissato con il sistema di armamento della dannata nave.” Intervenne Scotty. “Ho controllato gli accessi al database degli ultimi mesi. A parte quelli di Marcus e i miei, c’è un altro ID che ha avuto accesso ai file e ha consultato sempre quelli sugli armamenti della nave. Qualunque cosa stia cercando Harrison, non è legato all’equipaggio ma ai missili di ultima generazione della Jupiter.” Kirk non sembrava convinto. Bones gli poggiò una mano sulla spalla.

“Se orecchie a punta fosse qui adesso, ti direbbe di usare la logica.” Kirk sorrise.

“Bel problema. Io uso l’istinto di solito.” Bones non fece in tempo a replicare. L’interfono suonò. La voce di Spock risuonò limpida nella stanza.

“Dottore, qui comandante Spock. Riferisca al capitano che necessitiamo della sua presenza in plancia. Abbiamo ricevuto una richiesta di soccorso. Proviene da un veicolo mercantile cardassiano.” 

“Arrivo subito, comandante. Aprite un canale di comunicazione con la nave. Kirk, chiudo.” Quando sentì che la comunicazione con la plancia non c’era più, continuò. “Scotty, ottimo lavoro. Approfondisci più che puoi quello che hai scoperto. Credo che queste informazioni ci serviranno presto.” Fece per guadagnare l’uscita quando Bones lo fermò.

“Ti sembra prudente accettare una richiesta di soccorso mentre ospitiamo l’ambasciatore Spock a bordo?” Jim si voltò.

“Prudente? No. Ma se la richiesta viene dalla persona a cui sto pensando, sarà necessario.” Uscì di corsa.

 

“Qui è il comandante Spock della nave spaziale Enterprise battente bandiera della confederazione stellare. Identificatevi, abbassate gli scudi e comunicateci per quale motivo chiedete aiuto.” Spock stava ripetendo per la terza volta il messaggio quando Kirk raggiunse il ponte di comando. 

“Risponde?” Chiese. Spock scosse il capo. “Tenente Uhura, ci riceve? Può sentire le nostre richieste?” 

“Sì, capitano. I sistemi ci dicono che ha gli scudi abbassati ma non risponde alla nostra richiesta di identificazione. È ferma a portata di raggio traente.” 

“Riapra il canale.” La donna eseguì l’ordine. “Qui è il capitano Kirk della nave spaziale Enterprise. Identificatevi se volete aiuto.” Per un momento non accadde nulla poi Uhura fece segno che stava  per aprire il canale di ricezione.

“Capitano Kirk, è bello sentirla! Devo identificarmi? Seriamente?” Jim si sedette sulla poltrona.

“Signor Harrison! Non credevo che avrebbe avuto la faccia tosta di rivolgermi di nuovo la parola dopo aver tentato di uccidermi.” Dall’altro lato si sentì una risata sommessa.

“Non ci ho mai provato davvero, capitano. E lei lo sa.”

“Immagino che anche questa sua richiesta sia uno stratagemma per raggiungervi suoi scopi.”

“Non esattamente. È certamente vero che voglio salire a bordo dell’Enterprise ma è altrettanto vero che necessito di aiuto. Mi trovo a bordo di una nave merci cardassiana. Non ha né carburante, né ossigeno sufficiente per riportarmi su qualsiasi pianeta di classe M nelle vicinanze. Ciò significa che se lei, capitano,  non mi soccorrerà, io morirò.” Spock fece cenno ad Uhura di chiudere il canale. 

“Capitano, le devo ricordare io che quell’uomo è un bugiardo e un individuo senza scrupoli che non ha esitato ad armare una bomba al dilitio solo per garantirsi la fuga?” 

“No, Spock, non devi ricordarmelo. Ma è il nostro piano e sta andando alla perfezione. Harrison ci ha seguiti e si offre spontaneamente di salire a bordo. Lo prenderemo in consegna e finalmente sapremo tutto quello di cui abbiamo bisogno.”

“La logica impone che se se si offre spontaneamente di salire a bordo, è probabile che sia il suo piano farsi prendere in custodia. Non sono incline a favorire i suoi piani in alcun modo, anche quando coincidono con i nostri.” Jim chiuse gli occhi un momento e Spock sentì che aveva già deciso.

“Non posso tirarmi indietro proprio ora. È come una partita a scacchi. A volte bisogna cedere qualche pezzo per garantirsi la vittoria.” Spock fece cenno ad Uhura di riaprire il canale. Kirk parlò con fermezza.

“Io sono un capitano della federazione stellare. Non è mia abitudine abbandonare chicchessia alla morte. La porteremo a bordo. Ricordi bene una cosa, Harrison, la mia nave è la mia casa. Se qualcuno mi minaccia è un conto, ma se qualcuno mi minaccia in casa mia è tutto un altro paio di maniche.”

“Se avessi voluto attaccarvi, non mi sarei presentato con una nave merci, non crede?”

“Poche storie, Harrison. Un passo falso e la lancio su Delta Vega a bordo di una capsula di salvataggio. Lo farò fare al mio comandante. Ci tiene particolarmente ed ha esperienza.” Lo disse facendo l’occhiolino a Spock che allungò appena le labbra in una smorfia che sembrava un sorriso di soddisfazione.

“Ricevuto.”

Ci vollero solo pochi minuti perché la nave merci fosse portata in uno degli hangar più grandi dell’Enterprise. Harrison scese dalla navetta con entrambe le mani alzate sotto il tiro dei phaser degli uomini dell’equipaggio di Kirk. Camminò fino al capitano e si fermò davanti a lui.

“Eri così sicuro che non ti avrei lasciato morire là fuori.” L’uomo annuì.

“Io l’ho lasciata vivere sulla Jupiter.”

“Poi hai tentato di uccidermi in Iowa.”

“Solo una precauzione.”

“Perché sei qui?”

“Se mi ha lasciato salire a bordo saprà già che la Jupiter non è più attraccata alla stazione orbitante.” Kirk annuì.

“Marcus la starebbe portando a Nuova Vulcano per sabotare l’inaugurazione della colonia?”

“Non proprio. Possiamo parlarne in privato?”

“Questo non è un problema. Lei non si offenderà se anche io prendo le mie precauzioni.” Due uomini ammanettarono Harrison e lo scortarono fino ad una cella di massima sicurezza. McCoy, avvertito del loro arrivo, l’aveva preparata apposta. Una volta dentro, rimasero solo in tre con Harrison. Spock lo guardava come a voler capire quello che gli sfuggiva. McCoy, invece, col solito cipiglio arrabbiato. Jim ruppe ogni indugio.

“Allora, adesso devi dire quello che sai. E che possibilmente sia la verità.”

“Non ho mentito all’ammiraglio Pike. Marcus sta portando la Jupiter verso Nuova Vulcano.”

“Come fa ad esserne certo?” Chiese subito Spock.

“Scenario quarantadue.” Jim corrugò la fronte ma fu McCoy a parlare.

“Gli esperimenti di cui parlava Scotty, strategia militare.” Harrison annuì.

“Abbiamo elaborato diversi approcci militari e lo scenario quarantadue prevede l’attacco ad una colonia socialmente rilevante che provochi una reazione emotiva sufficiente.”

“Sufficiente per cosa?” Sbottò Bones.

“Per scatenare una guerra.” I tre uomini si guardarono tra loro. Jim parlò con voce ferma.

“Perché l’ammiraglio Marcus dovrebbe voler scatenare una guerra? Stai mentendo.”

“Se non crede a me, crederà ai morti.” Disse Harrison. “Marcus starà già preparando l’attacco.”

“La verità è che ripeti sempre la stessa storia!” Urlò Jim. “I motivi, quelli veri, quelli che ti hanno portato fino a qui, non c’è li hai ancora rivelati. Prima lavori per Marcus e poi lo accusi?” L’espressione di Harrison mutò in pura rabbia.

“Non ho mai lavorato per Marcus. Lui mi ha portato via l’unica cosa a cui tenessi. Ho fatto solo quello che era necessario per riaverla indietro. Mi ha tradito. Dopo avermi dato una nuova identità e avermi usato per i suoi scopi, mi ha confessato che non me l’avrebbe restituita mai più. Così ho deciso di lavorare alle sue spalle. Non solo per riprendermi ciò che è mio ma per vendicarmi.”

“Solo parole. Non adduci alcuna prova a testimonianza di quanto dici.” Lo interruppe Spock con la solita calma. Jim ne approfittò.

“Il tuo equipaggio. Questo ti ha tolto Marcus.” La rabbia di Harrison svanì lasciando il posto ad un’espressione di dolore.

“Mi aveva promesso che me li avrebbe restituiti tutti e settantadue, sani e salvi. Invece ha progettato di ucciderli. Non avevo altra scelta se non provare a farli fuggire di nuovo.”

“Di nuovo?” Chiese Spock cogliendo esattamente il punto a cui conducevano le parole apparentemente insensate di Harrison. “Qual è il suo vero nome?”

Lo sguardo dell’uomo si assottigliò in un’espressione crudele. Spock avvertì come un presagio. Una volta suo padre gli aveva parlato di membri anziani della loro comunità che avevano il dono di vedere eventi non ancora accaduti. Lui non aveva mai sperimentato niente di simile. Eppure, mentre guardava l’espressione sul viso di Harrison, Spock sentì una terribile sensazione di urgenza. 

“Il mio nome è Khan. Khan Noonien Singh.” Lo disse con un tono di voce tagliente quanto lo sguardo. Per un attimo nella stanza cadde il silenzio poi Bones batté il palmo di una mano sul tavolo.

“Vorresti farci credere che hai più di duecento anni, signor Khan?” La voce del dottore era carica di sarcasmo ma Harrison non accettò alcuna provocazione.

“Lei è un medico. Non dovrebbe essere difficile per lei immaginare come un uomo nato più di duecento anni fa sia potuto sopravvivere e rimanere giovane e in forze fino ad oggi.” Bones fu come folgorato da quelle parole.

“Ibernazione criogenica!” Harrison sorrise ma Spock non poté evitare di notare che anche quel sorriso aveva qualcosa di cattivo.

“Esatto. E’ stato Marcus a risvegliarmi.” 

Jim, che aveva ascoltato tutto in silenzio, si alzò e si sedette proprio di fronte a lui. Aveva la sua classica espressione sicura di sé.

“Ha risvegliato te e ha preso il tuo equipaggio.” Se possibile, la sua espressione si fece ancora più cattiva.

“Mi aveva promesso che se lo avessi aiutato con la Jupiter, me lo avrebbe restituito. Non l’ha fatto. Così ho preso l’iniziativa. Mentre lavoravo al settaggio della navicella, ho preso tutte le capsule criogeniche e le ho nascoste. Non volevo lasciargliele a nessun costo.”

“Quindi tutto quello che stai cercando è l’equipaggio.” Harrison si mosse molto più velocemente di quanto Spock potesse immaginare. Si gettò in avanti e batté entrambi i pugni ammanettati sul tavolo. Jim, però, non si fece intimidire e non si mosse. “E’ sulla Jupiter, altrimenti non rischieresti tanto per tornarci. Quello che non capisco è perché non l’hai recuperato quando potevi mentre eri nella stazione orbitante di Giove.”

“Crede che sia semplice far sparire settantadue capsule criogeniche operative?” Fu Scotty a saltare dalla sedia in quel momento.

“I missili!” Tutti si voltarono a guardare l’ingegnere. “Il nuovo modello di missile a bordo della Jupiter. Ce ne sono settantadue a bordo di quel modello.” Harrison sorrise.

“Esatto. Non ho trovato niente di meglio che nascondere le capsule criogeniche nei missili. Brutale ma efficace.” Spock si sedette accanto al suo capitano.

“Non abbastanza per metterli al sicuro. Se Marcus decidesse di usarli, che ne sarebbe di loro?” Harrison si rabbuiò.

“Per questo sono qui. Marcus vuole la guerra. Voi intendete fermarlo? In questa singola circostanza potremmo essere alleati. Dopodiché, ognuno per la sua strada. Io con il mio equipaggio e voi con il vostro ammiraglio.” Jim stava per controbattere quando la voce di Spock nella sua testa lo fermò.

Non sappiamo niente di questo equipaggio. Se le conclusioni del dottor McCoy sui test sono corrette, ci troviamo di fronte ad un uomo con caratteristiche fisiche e mentali speciali. Che accadrebbe se invece di uno, ce ne fossero settantatré?’ Jim elaborò una risposta nella sua mente sperando che Spock la sentisse.

Non possiamo comunque permetterci il lusso di rischiare che abbia ragione su Marcus. Questo non significa che dobbiamo fidarci di lui.’ Jim ebbe la sensazione che Spock lo avesse percepito e tornò a guardare Harrison.

“Credo che potremmo. Ad una condizione.”

“Dica.”

“Il capitano sono io. Si fa a modo mio. Questo significa che non ci saranno vittime inutili.” Harrison sorrise.

“Mi può andare bene.” Anche Jim sorrise.

“Non si aspetterà che le tolga le manette prima di arrivare sulla Jupiter!”

“Assolutamente no.” 

Bones lo fece alzare e lo accompagnò oltre la barriera della cella. Quando furono certi che l’uomo non poteva più sentirli, il dottore si rivolse a Jim.

“Ti sembra davvero una buona idea scendere a patti con lui?”

“Non sto scendendo a patti con lui. Glielo sto facendo credere.”

“E lo tradirai?” Gli chiese il dottore guardandolo dritto negli occhi. Jim scosse la testa.

“Salverò il suo equipaggio.” Scotty allargò le braccia.

“Tu non hai letto i rapporti del file JPT 0003. Quell’uomo è considerato un criminale internazionale.   Il suo equipaggio è composto da criminali.” Spock mise una mano sulla spalla dell’ingegnere.

“Non qui. Sono quasi certo che legga le labbra.”

“Andiamo allora,” disse Kirk, “abbiamo un piano da rispettare. Nuova Vulcano diventa sempre più vicina.” Lasciarono la stanza e Jhon Harrison si concesse di lasciarsi cadere sulla sua branda.

 

Spock aveva accompagnato Kirk ai suoi alloggi e aveva insistito perché due ufficiali rimanessero a guardia della sua porta. Jim aveva protestato ma non se l’era sentita di contraddire il primo ufficiale che sembrava veramente preoccupato dal fatto che, seppure sotto sorveglianza, a bordo si trovava anche Jhon Harrison.

“Dirai tu all’ambasciatore Spock che non potremo cenare insieme stasera?” Chiese Jim entrando nei suoi alloggi realmente dispiaciuto.

“Lo farò. E’ meglio anche per lui restare nella sua cabina.”

“Potresti fargli compagnia tu.”

“Io?” Esitò appena Spock. “Non lo ritengo opportuno. Meno tempo passiamo assieme e minore è il rischio di rivelarci cose che potrebbero influenzare il nostro futuro.” Jim sorrise con dolcezza.

“E sarebbe un male?”

“Altererebbe comunque il normale corso degli eventi.” Kirk si portò una mano alla tempia.

“Fermiamo questa conversazione sul nascere. So già che mi verrebbe mal di testa!” Spock fece un cenno col capo.

“Buonanotte, capitano.”

“Buonanotte, Spock.” 

La porta della cabina si chiuse. Il primo ufficiale si diresse verso le stanze dell’ambasciatore. Mentre stava per bussare, tentennò. Le parole di Jim gli tornarono alla mente insieme a quella sensazione di urgenza che lo aveva colto nel momento in cui aveva appreso le reali intenzioni di Harrison. Suonò e attese che l’altro se stesso aprisse la porta.

“Spock, buonasera!”

“Ambasciatore. Posso entrare?”

“Prego.” Spock fece qualche passo in avanti, quelli necessari affinché la porta si chiudesse alle sue spalle.

“Sono qui per comunicarle che stasera il capitano non potrà cenare in sua compagnia, ambasciatore.” A quelle parole, l’anziano Spock si rabbuiò.

“E’ successo qualcosa a Jim?” Il giovane Spock scosse la testa in segno di diniego. 

“No. Si tratta di precauzioni. Ma devo davvero spiegarlo?” Chiese con quel tono di voce per cui suo padre lo biasimava. Quel tono saccente che faceva sentire tutte le persone intorno a lui appena sotto al suo livello.

“Ho detto o fatto qualcosa che ti ha seccato, Spock?”

“Assolutamente no. Mi riferivo al fatto che il rapporto tra lei e il capitano va ben oltre il rispetto di quest’ultimo per lei e la stima che so lei gli porta.” L’ambasciatore sospirò, sorrise e si sedette lentamente sul letto.

“Comprendo il tuo disappunto.”

“Nessun disappunto.”

“Invece sei contrariato e ne hai tutte le ragioni. Sono andato oltre i limiti a me concessi. L’ho fatto consapevolmente e di questo mi dispiace. Hai tutte le ragioni per sentirti violato nei tuoi spazi.” Il giovane comandante non disse niente ma si sedette di fronte all’ambasciatore. Questi si sentì autorizzato a proseguire. “Tuttavia non hai nulla da temere da questo rapporto che c’è tra me e il tuo capitano. Nonostante la mia età mi abbia reso fragile emotivamente e la sua gioventù accenda in modo terribile il suo fascino, sono ancora perfettamente in grado di capire che lui non è il ‘mio’ Jim.” Spock lo guardò con aria interrogativa.

“Lei è attratto dal capitano?” L’ambasciatore rise con gusto.

“Tu no? E’ bello, brillante, coraggioso. Solo il mio affetto e i miei ricordi del Jim che ha vissuto nel mio tempo mi impediscono di sentirmi attratto da lui come un satellite dalla sua stella.” Spock si guardò le mani.

“E’ attraente, è vero, ma in quanto al coraggio direi che è sconsiderato. Non ha rispetto per la sua vita.”

“Questo non è vero. E’ audace e cova un gran senso del dovere.” Stavolta fu Spock a sorridere maliziosamente.

“Non ha il minimo senso del dovere.”

“E’ ancora troppo giovane per applicarsi e tu troppo giovane per riconoscere i suoi sforzi.”

“Può darsi.”

“Ad ogni modo, mi sforzerò di non lasciare trasparire oltre i miei sentimenti.” Spock si alzò ritenendo chiusa quella conversazione ma, quando raggiunse la porta non l’apri e si voltò di nuovo verso l’ambasciatore.

“Signore, so che abbiamo detto più volte che non ha senso parlare di quello che accaduto nella sua linea temporale perché il futuro è comunque cambiato ma posso lo stesso farle una domanda?” Spock annuì. “Durante i vostri viaggi a bordo dell’Enterprise avete mai incontrato un uomo di nome Jhon Harrison?”

L’ambasciatore chiuse gli occhi e unì le mani davanti a sé. Quando, dopo pochi istanti, riaprì gli occhi e guardò il se stesso più giovane, scosse il capo.

“No, non ho mai conosciuto un uomo con quel nome.” Spock fece un cenno del capo per ringraziare e lasciò la stanza.

 

L’indomani Kirk si alzò di buon ora carico di energie. Raggiunse la plancia per il primo turno e bevve un caffè seduto sulla sua sedia. Sul ponte di comando, per quel turno, c’erano solo il tenente Uhura e il guardiamarina Checov.

Mentre sorseggiava il caffè bollente, Kirk guardò di sottecchi Nyota. Si ricordava che la donna gli aveva confessato di essere arrabbiata ma anche che riteneva il motivo di quel suo umore affari personali. S’immaginava che, in qualche modo, riguardassero Spock ma non aveva idea del perché. Trattandosi di Nyota, non era prudente chiedere. Trattandosi di lui, non era capace di trattenersi.

“Non ho mai avuto modo di dirvi personalmente quanto ho apprezzato il lavoro di squadra che avete fatto su Nibiru.” Disse rivolgendosi ad entrambi ma guardando il suo pad.

“Siamo stati fortunati, capitano!” Fece Checov dalla sua postazione.

“Non è vero, siete stati coraggiosi a rimanere nella vostra postazione nonostante la situazione non fosse delle migliori là fuori.” Fu allora che sentì arrivare la voce di Uhura alle sue spalle.

“C’era Spock nel vulcano, signore. Mi chiedo come avremmo potuto fare diversamente.” Jim voltò la poltrona verso di lei e la trovò rigida e col viso severo a fissarlo.

“E’ il motivo per cui mi sto complimentando. Non avete lasciato un compagno in difficoltà.”

“Non un compagno. Il comandante Spock. Che stava seguendo degli ordini, signore. Ordini impartiti da lei.” Uhura era arrabbiata perché lui aveva messo in pericolo la vita di Spock. La cosa era logica persino per lui che non l’adoperava solitamente.

“Non ho ordinato a Spock di gettarsi nel vulcano.” Jim cominciava ad innervosirsi.

“Non ce n’era alcun bisogno! E’ bastato dirgli che l’avrebbe fatto e si è convinto che toccava a lui.”

“Non ho mai detto a Spock che mi sarei buttato nel vulcano! Non sono cose che si possono premeditare.” La donna scattò in piedi.

“No, non di certo! S’improvvisano! Lui ha voluto fare quello che avresti fatto tu! Ma lui non è come te!” Nyota fece un passo in avanti abbandonando ogni formalità.

“No, per tua fortuna non siamo uguali. Se lo fossimo ora ti accuserei insubordinazione. Invece ti ricordo che ci sono andato a riprenderlo nel vulcano e nessuno si è fatto male.”

“Per questa volta!” Esplose lei. 

“Ah!” Esclamò Jim “Questo è troppo! Il nostro lavoro presenta dei rischi ma non farei mai nulla che possa mettere l’equipaggio in pericolo. Soprattutto Spock! Mi sono preso tutte le responsabilità di quella missione perché le vostre decisioni, sono le mie decisioni. E tu lo sai. Sai quello che ho fatto. Eri qui mentre diventavo il capitano dell’Enterprise.” Stavolta l’espressione di Kirk era seria e lasciava trasparire il nervosismo dell’uomo.

Nyota non fece in tempo a replicare. Le porte della plancia si aprirono e Spock comparve sulla soglia.

“Che succede qui?” Nyota tentennò ma Jim sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori.

“Confronto di opinioni sulla missione Nibiru.” Spock piegò appena la testa di lato. 

“La missione è archiviata.” Tagliò corto Spock.

“Questo è tutto quello che hai da dire?” Chiese la donna rivolgendosi direttamente a lui. Spock si sedette alla sua postazione.

“Non c’è altro da dire su una missione conclusa e con successo.”

“In cui siamo quasi morti.” Gli occhi di Spock saettarono prima su di lei poi su Checov. Il guardiamarina tossì. Jim lo tolse da ogni imbarazzo.

“Avanti, Checov, non temere. Se vuoi dire la tua, fallo.”

“Era una missione per salvare popolo di Nibiru. Comandante è stato molto coraggioso. Lavoro di squadra. Come ha detto capitano.” Jim tornò a guardare Nyota.

“Visto?”

“Con tutto il rispetto, capitano,” fece lei mettendo le mani sui fianchi e arrivando a tu per tu con lui, “Checov non ha dovuto decidere fra la vita degli abitanti di Nibiru e quella del suo ragazzo!” Jim fece un passo indietro. Spock si alzò e fronteggiò la donna.

“Nyota! Queste non sono cose che riguardano il capitano! In effetti riguardano solo noi.”

“Peccato che non riusciamo mai a parlare, io e te da soli.”

“Anche questo non è affare del capitano.”

“Il capitano,” intervenne Jim “vi autorizza ad andare a discuterne in privato da qualche parte.”

“Capitano,” fece Spock “dobbiamo formulare gli adempimenti per il nostro arrivo a Nuovo Vulcano.” Jim si avvicinò a Spock e gli parlò sottovoce.

“E’ davvero arrabbiata. E credo anche che sia molto preoccupata per te. Dovresti parlarle. Io devo controllare il diario di bordo e fare gli adempimenti del turno alfa. Finirai prima di me.”

Spock non rispose. Si limitò a voltarsi e a portare Nyota fuori dalla plancia. Jim si lasciò andare sulla poltrona ed emise un lungo sospiro.

“Fidati Pavel, meglio affrontare un vulcano in eruzione che il tenente Uhura arrabbiata in quel modo.”

 

Erano chiusi nel turboascensore già da due minuti ma nessuno dei due parlava.

Spock decise che toccava a lui fare la prima mossa. Poteva percepire i sentimenti della donna. Era profondamente e sinceramente preoccupata per lui.

“Nyota, vuoi ascoltarmi adesso?” La donna sollevò lo sguardo e incrociò i suoi occhi.

“Parla.”

“Il modo in cui hai affrontato il capitano è sbagliato. Non ha fatto nulla perché tu scaricassi addosso a lui i sentimenti negativi che provi per me.”

“Tu lo difendi sempre. Quando è successo? Odiavi quell’uomo. Lo ritenevi un buffone irresponsabile.” Spock abbassò gli occhi sulle sue mani unite davanti a se. Uhura aveva ragione.

“Ha avuto ragione su Nero dal primo momento in cui ha analizzato la tempesta di fulmini. E’ vero, spesso si comporta in modo sconsiderato ma fa sempre la cosa giusta, anche quando non è la più logica. E’ una creatura strana ma affascinante.”

“Lo hai definito affascinante?” Ora la voce di Nyota si era alzata di due toni. “Non mi hai mai neppure lontanamente definita in un modo simile.”

“Nyota tu sei bellissima.”

“Ma a quanto pare non affascinante.” Ribatté la donna incrociando le braccia sul petto.

“La questione non riguarda Jim ma noi due.” Nyota accusò il colpo.

“Infatti. Non esiste più un noi due da molto tempo a questa parte.”

“La colpa di ciò è solo mia.”

“Non è vero! Lui prende tutto il tuo tempo. Sembra che non riesca mai a fare a meno di te e tu non ti sottrai. Mai!”

“Dopo la distruzione del mio pianeta e la morte di mia madre, l’unico pensiero logico che riuscivo a formulare era concentrarmi sul mio lavoro. Mi dispiace che il mio modo di affrontare il dolore, ti abbia turbata così tanto, Nyota. Ti assicuro che la stima e l’affetto che provo per te sono tuttora immutati.”

“Stima e affetto? Credevo che fossimo innamorati!” Ora lo sguardo della donna era come preda di un forte smarrimento.

“Ti ho spiegato più volte che i vulcaniani non provano sentimenti come voi umani. Le definizioni sono illogiche quando si parla di emozioni.”

“E allora dimmi, Spock, è illogico pensare che i tuoi sentimenti per Jim siano più forti di quelli che nutri per me?”

“Nyota, tu stai travisando il rapporto che c’è tra me e il capitano.”

“Ma davvero? Devo ricordarti quanto eri sconvolto quando siete tornati da Nibiru?”

“Senso di colpa.”

“E sulla Terra?”

“Obbedivo agli ordini.”

“Credevo che i vulcaniani non fossero capaci di mentire.” Disse lei in modo tagliente. Spock sospirò.

“Scambi ancora una volta la mia riservatezza per noncuranza. Non intendo negare in alcun modo che sia nato un legame fra me e Jim. Questo legame non sostituisce né esclude quello che c’è tra noi.” La donna fece un passo indietro allargando le braccia.

“Va bene Spock. Come vuoi tu. In fondo le definizioni sono illogiche, giusto?” Nyota riavviò l’ascensore e i due fecero ritorno sul ponte di comando.

Quando le porte si aprirono, Sulu sedeva sulla poltrona mentre Checov armeggiava ancora con i dati della rotta per Nuova Vulcano.

“Dov’è il capitano?” Chiese Spock.

“Ha lasciato il ponte qualche minuto fa, comandante.” Spock chiuse gli occhi e individuò Jim quattro ponti più sotto nella stanza di McCoy. Aveva detto a Uhura che un legame non ne escludeva un altro. Lo aveva fatto nella speranza che le parole di Jim sulla Terra fossero vere e che quello che univa il capitano al dottore non diventasse mai più importante di quello che lo legava a lui.

 

“Dimmi che ti avanza ancora qualcosa di forte!” Aveva esclamato entrando nella stanza in cui Bones faceva i suoi controlli sui campioni presi da Jhon Harrison. McCoy aveva sorriso sornione e aveva tirato fuori una bottiglia di scotch da un cassetto.

“Che ti è capitato?”

“C’è l’uragano Uhura sul ponte!” Bones riempì due bicchieri e ne porse uno a Kirk.

“Prima o poi doveva accadere.”

“Davvero?”

“Tu e orecchie a punta pensavate di fare i vostri comodi mentre lei rimaneva buona buona a guardare?”

“Non capisco di che parli.”

“Del legame.”

“Ah quello!”

“Ah quello? Ti ho spiegato che il legame è una specie di matrimonio. O no? Credevi che Nyota ti avrebbe lasciato il suo ragazzo senza combattere? Quella donna discende da una stirpe di guerrieri, lo sai?”

“Quando sono entrato in una competizione per la mano di Spock?” Esclamò Kirk ridendo e bevendo tutto d’un fiato il suo bicchiere.

“Come se non lo sapessi.” Disse Bones finendo anche il suo bicchiere.

“Ti sei fatto un’idea sbagliata Leonard.”

“E’ quello che ripeterete ad Uhura?”

“Io ad Uhura, non devo dire proprio niente. Quelli sono problemi di Spock!” Disse sorridendo e facendo segno a Bones di riempirgli di nuovo il bicchiere.

“Bell’amico!” Fece lui eseguendo.

“A proposito di amici. Come sta l’ultimo arrivato?” Chiese Kirk indicando la parete bianca alla sua destra. Bones toccò il suo pad e la parete si fece trasparente.

John Harrison apparve dall’altro lato del vetro seduto sul suo letto. Lui non poteva vederli né sentirli.

“Non ha detto una sola parola per tutto il tempo in cui è rimasto chiuso lì dentro. Ha mostrato interesse per il pad ma è scollegato dalla rete e quindi non ha potuto leggere nulla.”

“Hai prelevato dei campioni. Non ha parlato neppure con te?”

“Non ha risposto a nessuna delle mie domande. Ne ha fatta una su di te.”

“Cosa voleva sapere?”

“Se hai una famiglia.”

“E tu che gli hai detto?”

“Che siamo noi la tua famiglia.” Kirk sorrise.

“Ci posso parlare io, ora?”

“E’ tutto tuo.” Disse attivando audio e video della camera in cui era il prigioniero. Questi sorrise vedendo Jim.

“Buongiorno, capitano.”

“Buongiorno, Harrison. Vogliamo discutere le cose importanti stamane?”

“Sono a sua completa disposizione.”

“Bene.” disse Jim alzandosi e raggiungendo l’uomo. Solo la sottile parete di vetro li separava ora. “Tra poche ore saremo nell’atmosfera di Nuova Vulcano. Della Jupiter non c’è traccia. E’ sempre dell’idea che arriverà?” 

“Arriverà.”

“Vedremo. In quel caso cosa suggerisce l’uomo che ha contribuito a costruirla per metterla fuori servizio?”

“Prima devo recuperare le capsule criogeniche.” Jim allungò le labbra in una smorfia.

“Un abbordaggio. Interessante.”

“Non è obbligato a venire con me. Può controllare i miei movimenti con un localizzatore. Salire a bordo non sarà facile.”

“E lasciarle tutto il divertimento? Non si dimentichi che ci sono già stato una volta e, io, ci sono entrato di nascosto.”

“Ha usato il teletrasporto. Questa volta non sarà possibile. Marcus può scatenare una guerra senza sparare un solo missile. Sarà sufficiente apparire nell’atmosfera di Nuova Vulcano senza bandiera né autorizzazione.”

“Sarà sufficiente schermare i campi radio della colonia. Persino l’Enterprise dispone di una tecnologia simile. Dirotteremo la Jupiter prima che chiunque si accorga che è nello spazio aereo della federazione per muovere guerra.”

“Lei è ottimista.”

“Credo nei miei mezzi.”

“Sarà così ottimista anche quando le dirò come abbordare la nave di Marcus?”

“Me lo dica e lo scopriremo.”

“C’è un portello nell’hangar esplosivi. L’ho manomesso. Inviando un codice alla telemetria della nave metterà il portello in stand by. Questo lo farà aprire e chiudere ad intervalli di centoventicinque secondi.”

“Fantastico! Non ha pensato che se isoliamo i segnali, non potrà trasmettere il suo codice?”

“Posso farlo. Posso trasmetterlo da qualunque pad della federazione. Basta usare i codici di Marcus. Piuttosto mi ero settato sui due minuti perché contavo di essere già a bordo della nave. In effetti diventa complicato partendo da qui.”

“Pensava di essere sulla Jupiter? Perché ha cambiato i suoi piani?”

“Davvero me lo chiede, capitano? La colpa è sua. I suoi uomini hanno craccato i file di Marcus e l’ammiraglio si è convinto che solo io avessi fegato e mezzi per farlo. Ha cancellato il mio file dai server della federazione. John Harrison non esiste più.”

“A questo posso rimediare. Quando cattureremo Marcus, riabiliteremo anche il suo nome. Dovrà scontare comunque la pena per i suoi crimini tra cui, glielo premetto, c’è il rapimento di mia madre.”

“Una donna di grande temperamento. Non il suo. Ho preso informazioni. Lei ha il carattere di suo padre. Un vero peccato che sia morto prematuramente.”

“Ho ucciso l’uomo che ha causato la morte di mio padre. Cosa pensa farei a quello che ha minacciato mia madre?”

“Non nutro nessuna volontà di fare del male a sua madre. Io rivoglio solo il mio equipaggio. Voglio salvare le settantadue anime che la federazione stellare ha deciso di consegnare all’oblio.”

“Le prometto che salverò il suo equipaggio.”

“Non faccia promesse che non può mantenere. Allo stato dei fatti lei non può garantire la vita neppure del suo equipaggio. Come pensa di portare l’Enterprise così vicino alla Jupiter da centrare il tempo di apertura del portello senza che Marcus scarichi addosso alla nave tutta la sua potenza di fuoco?”

“Ha mai assaltato una nave da trivellazione romulana, Harrison?” Il capitano della Botany Bay piegò appena la testa di lato in modo interrogativo. “Lo immaginavo. E’ più facile farlo che spiegarlo. Avremo bisogno di un buon equipaggiamento e di una discreta dose di fortuna.”

“Io questo non lo spiego ad orecchie a punta!” Esclamò Bones alle loro spalle. Jim si voltò e gli fece l’occhiolino. 

“Questo spetta a me. Fallo scendere al ponte motori, fa venire due ufficiali a sorvegliare il nostro ospite e vieni anche tu. A dopo, signor Harrison.” Concluse lasciando la stanza.

 

Spock non chiese neppure il perché di quella convocazione in sala motori. Lasciò il ponte di comando sotto lo sguardo carico di disappunto di Nyota e raggiunse il turboascensore. 

Nei pressi della postazione di Scotty c’era sempre un grande via vai. Un sacco di ingegneri si contendevano il posto più vicino al loro capo. Nonostante Montgomery Scott fosse stato spedito su Delta Vega per insubordinazione, la sua scoperta del teletrasporto a curvatura lo aveva reso un mito vivente.

“Signor Scott.”

“Oh! Comandante! Già qui?”

“Che vuol dire? Se mi chiama, il minimo che ci si aspetti dal primo ufficiale della nave è che arrivi il più velocemente possibile.”

“Per carità! venga con me. Voi,” disse rivolgendosi ai suoi collaboratori, “tornate ai vostri posti. Aria!”

Spock seguì Scotty fino ad una camera in cui erano stivati degli esplosivi. Nella stanza c’erano Kirk infilato in una delle tutte da combattimento ravvicinato e Bones che bestemmiava al più piccolo movimento del primo.

“Morto.” Gli sentì dire. Vide Jim fare qualche passo indietro e simulare un altro salto.

“Morto.” Ripeté di nuovo il dottore. Di nuovo il capitano fece dei passi indietro fino al portello di uno dei cannoni phaser e poi simulò un salto in un’altra direzione. 

“Ancora morto!” Jim allargò le braccia e poi si sfilò il casco. Aveva la fronte imperlata di sudore e i capelli attaccati al viso.

“Diavolo, Bones! Potresti essere più collaborativo invece di limitarti a tirarmi le cuoia!” 

“Mi limito a constatare i fatti. Sei in una stanza piena di esplosivi. Se le fiamme del jetpack si propagano qui dentro, kaboom! E sei morto!” Spock decise che era il momento di intervenire.

“Cosa sta succedendo? Qualcuno vuole spiegarmi?”

“Spock! E’ sopravvissuto all’uragano Uhura?” Spock sollevò un sopracciglio.

“Non c’è nulla da dire di rilevante in proposito. Ha trovato un nuovo modo di mettere a repentaglio la sua vita a quanto vedo!” Bones sembrò tirare un sospiro di sollievo.

“Sia lodato il cielo! Spock glielo dica lei che è una follia e, per carità, salti la parte in cui calcola le probabilità di successo. Abbiamo capito che qualunque numero maggiore di uno è sufficiente a Jim per considerare il suo piano come valido.” Spock unì le mani dietro la schiena e guardò Jim per invitarlo a parlare.

“Harrison ha messo un bug di sistema in uno dei portelli dell’hangar della Jupiter. Una volta attivato, questo si aprirà ad intervalli di circa due minuti. E’ l’unica porta di accesso alla nave. Una volta dentro potremo dirottarla.”

“Quindi sta elaborando un piano sulla base delle informazioni di un bugiardo?”

“Abbiamo deciso di fidarci, no?”

“Credevo che il piano prevedesse che lui si fidi di noi e noi non di lui.” Kirk sbuffò mettendo le mani sui fianchi e lasciando andare il casco.

“Lo abbiamo preso a bordo per le sue informazioni. Ora che ce le fornisce dovremmo obiettare?”

“Come minimo!” Esclamò Spock. “Mi faccia parlare con lui, mi faccia verificare queste informazioni.”

“Potrai farlo. Ti darà i codici di Marcus.”

“Abbiamo già quei codici. Il signor Scott li ha hackerati dal file dell’ammiraglio.” La voce di Spock si faceva sempre più nervosa e quella di Kirk si adeguò immediatamente.

“Ti darà anche i codici di apertura del portello.”

“Del portello dell’hangar dei missili!” Intervenne Bones fulminato all’istante dallo sguardo di Jim.

“Immagino che usare il teletrasporto sia fuori discussione.” Scotty intervenne per spiegare.

“Se usiamo il silenzio radio per nascondere l’arrivo della Jupiter nello spazio aereo della colonia, non potremo usare il teletrasporto.” Spock guardò di nuovo la tutta da combattimento di Jim e si ricordò quando gliel’aveva vista addosso l’ultima volta.

“Quindi il piano è lanciarsi dall’Enterprise attraverso un ambiente privo di gravità usando un sistema ad alta propulsione con lo scopo di centrare un portello che si apre e si chiude ad intervalli regolari?” Jim annuì. Spock si accorse che non sorrideva. Era tremendamente serio.

“Non si azzardi a dire che può funzionare!” Strillò Bones agitando le braccia.

“Non può funzionare. Ammesso che le navi siano perfettamente allineate, che tra il punto di lancio e quello di arrivo non ci siano ostacoli che impongano cambi di traiettoria o che la colpiscano, ammesso che attraversi il portello nell’arco temporale corretto, una volta nell’hangar, il propulsore del jetpack, infiammerebbe qualunque oggetto con cui entrerebbe in contatto uccidendola all’istante.”

“Per questo facevo delle simulazioni.” Si giustificò Jim.

“Impossibile. Non possiamo conoscere l’esatta ubicazione del contenuto dell’hangar.” Disse Spock più teso che mai.

“Sentito? E non è logica,” esclamò Leonard, “è la realtà. Nessuno può cambiare la realtà.” 

Jim avrebbe voluto dire per l’ennesima volta che non credeva nelle situazioni senza via d’uscita ma si lasciò cadere a terra puntando le braccia sulle ginocchia. Bones si sentì in colpa nel provare sollievo ma fu Spock a parlare.

“A volte bisogna semplicemente accettare che una cosa è impossibile.” Jim sollevò lo sguardo per replicare ma fu distratto da Scotty che si torturava le mani.

“Scotty, che c’è? Parla.” L’uomo saltò sul posto per la sorpresa.

“Niente, non c’è niente. Pensavo.” Jim si rialzò.

“Pensavi a cosa?”

“A niente.”

“Scotty, non costringermi ad ordinarlo, parla.”

“Una persona non ce la può fare ma tu non hai mai pensato di andare da solo, giusto? Harrison deve venire con te.” Gli occhi di Spock lo gelarono sul posto. Kirk però lo esortò a continuare. “Se uno dei due spegne il jetpack diciamo quindici secondi prima di attraversare il portello, l’altro può lanciarlo al suo interno senza attivare alcuna esplosione. Ecco, l’ho detto. Che sia dannato!”

Bones si abbandonò contro la parete mettendosi le mani in faccia. Spock si mise tra Scotty e Jim.

“Non prenderai in considerazione nulla del genere. Si tratterebbe di affidare la tua vita a quell’uomo e questo è un rischio incalcolabile.” La risposta di Kirk sorprese tutti.

“Credi che non lo sappia? Credi che non abbia passato la notte a pensare che l’Enterprise di fronte alla Jupiter è come una macchinina di fronte ad un carro armato? Credi che non abbia pensato che un solo missile potrebbe farci saltare in aria tutti senza che possiamo fare nulla? Credi che non abbia pensato che Marcus potrebbe usarci per scatenare una guerra? Che potrebbe aver scoperto che ha a bordo tutto l’equipaggio della Botany Bay? Che non abbia pensato che magari li ha già uccisi tutti? Pensi anche tu come mio fratello che tutto ciò che voglio è un palcoscenico su cui esibirmi facendo il buffone?” Gli occhi di Jim si erano fatti lucidi. Spock scosse il capo.

“Dico solo che magari c’è un altro modo. Non mi piace sapere che, col silenzio radio, sarai solo con quell’uomo.” Lo sguardo di Jim brillò.

“Ma io non sarò solo.” Disse toccandosi una tempia con un dito. “Tu sarai sempre lì con me. E questo Harrison non lo sa.”

Spock non riuscì a replicare e si maledisse per questo. Odiava l’idea che toccasse a Jim risolvere quella questione e, ancora di più, che il suo piano potesse davvero funzionare.

 

Spock aveva visto Jim lasciare la stanza di corsa. Cominciava sempre così. Una sovraeccitazione che portava il suo capitano a sorvolare su qualunque rischio comportasse il piano geniale che credeva di avere formulato. In effetti i piani di Jim si rivelavano spesso geniali ma comportavano un sacco di rischi. Quando i rischi si materializzavano, in genere, trovava contromisure che definire estreme era riduttivo.

Seguiva perciò la fase in cui tutti, lui compreso, rimanevano col fiato sospeso per sapere se se la sarebbe cavata anche questa volta.

Spock era deciso a non trovarsi in quella situazione. Non dopo la battaglia contro Nero e la missione Nibiru. Non dopo il volo nel canyon.

Raggiunse la stanza di Harrison e, una volta dentro, ne bloccò l’accesso. Il prigioniero si alzò e lo guardò con aria interrogativa.

“Deve consegnarmi i codici di accesso del portello dell’hangar missili della Jupiter.”

“Ti occuperai tu di inviarli?”

“Sono sufficientemente qualificato.” Harrison rise.

“Non ne ho alcun dubbio. Questo significa che resterai a bordo dell’Enterprise. Non accompagnerai Kirk.” Spock si disse di non accettare alcuna provocazione.

“Farò ciò che il capitano mi ordinerà di fare.”

“Deve essere frustrante.”

“Mi dia i codici.” Harrison camminò fino al vetro e fissò i suoi occhi in quelli scuri di Spock.

“Sì, deve essere frustrante.”

“Che lei non capisca?”

“Non arrivare al cuore del capitano. Non comprendere i suoi più intimi desideri.” Le parole di Harrison erano taglienti e chirurgiche. Dette con l’intento di far male a Spock, ferirlo in modo preciso.

“Lei non sa niente del capitano.” 

“Scommettiamo?”

“Sono qui solo per i codici.”

“Ti piace fare credere a tutti di avere ogni cosa sotto controllo, vero? Eppure non puoi avere lui sotto al tuo controllo. Qualunque cosa tu faccia, lui avrà sempre la sua mente altrove. La sua missione conta sempre più di tutto. La sua nave conta sempre più di tutto. Non è vero?Ovviamente la tua logica non potrà mai comprendere quel suo stato d’animo ardito e impavido. Se fosse vissuto ai miei tempi, sarebbe stato uno di noi. Fiero e indomito. Noi due siamo simili.”

“Lei e il capitano siete così diversi da farsi meraviglia che apparteniate alla stessa razza.”

“Se ti piace pensarlo, signor Spock.”

“I codici.” Harrison sfilò dalla cintura un dischetto. 

“Eccoli.” Spock li afferrò e si voltò. “Signor Spock, chi accompagnerà il capitano sulla Jupiter?” Spock ricorse a tutta la sua forza interiore per non voltarsi, tornare indietro, abbassare completamente lo schermo che lo separava da Harrison e colpirlo fino alla morte. Si limitò a voltarsi e a rispondergli da quella distanza.

“Se allude al fatto che potrebbe rimanere da solo con il capitano, sappia che potrà anche avere l’occasione di fargli del male. In quel caso però, lei morirà. Io la ucciderò senza mostrare alcuna pietà.”

“E’ una minaccia?” Spock allungò le labbra in un ghigno.

“E’ una promessa.” Il vulcaniano sbloccò la porta e lasciò la stanza.

 

Jim era corso via perché aveva ancora una cosa da fare prima di discutere i dettagli del piano con i suoi compagni e con il suo alleato improvvisato.

Raggiunse gli alloggi dell’ambasciatore Spock e attese con impazienza che la porta si aprisse.

“Capitano!”

“Ambasciatore, posso entrare?”

“Certo, venga pure.” Kirk attraversò la soglia ad ampie falcate e raggiunse il centro della stanza. “Come posso aiutarla?” Jim si sfregò i palmi delle mani. Sembrava in imbarazzo.

“Ho un piano per fermare l’ammiraglio Marcus.”

“Mi sembra una buona notizia!” Esclamò l’anziano Spock sedendosi sul letto.

“Purtroppo è un piano che prevede poche vie d’uscita nel caso si mettesse male.”

“Sono la tua specialità.” Sospirò Spock.

“Lo so, lo so,” masticò amaro Jim, “ma non lo faccio di proposito. Non sempre.” L’ambasciatore lo guardò di sbieco. “Non stavolta, va meglio?”

“Come posso aiutarti?” Chiese abbandonando ogni formalità.

“Se riesco a raggiungere la Jupiter, la nave su cui si trova Marcus adesso, dovrò mantenere il silenzio radio. Questo significa niente comunicatori o teletrasporto. Mi chiedevo se ci fosse un modo per me di usare, ecco, il legame. Per comunicare con Spock, intendo. L’altro Spock.” L’ambasciatore sospirò ancora.

“Vieni qui, Jim, siediti.” Il ragazzo non se lo fece ripetere. “Da quando si è stabilito il legame?” Kirk ci pensò su un attimo e rispose.

“Da quando ho preso il comando dell’Enterprise.”

“E come si manifesta?”

“Ho delle visioni dei ricordi di Spock e, qualche volta, sento la sua voce nella mia testa.”

“Sei mai stato in grado di trasmettergli un pensiero? Ti sei mai reso conto del fatto che lui lo abbia, come dire, ricevuto?” Stavolta Jim rispose di getto.

“Credo, inconsapevolmente, di parlare spesso con lui. Nella testa intendo.” Disse gesticolando con una mano. “Non credo che lui mi senta o, se lo fa, non me lo ha mai fatto capire. Tranne una volta. In Iowa. Sono certo che ha sentito i miei pensieri.” Spock batté entrambe le mani sulle gambe.

“Non avete mai effettuato una fusione?”

“Non mentre io ero cosciente.”

“Capisco. Quindi Spock è più avanti di te in questa cosa. E’ logico.”

“Che vuol dire che è più avanti di me?” Chiese con una punta d’irritazione nella voce.

“Non arrabbiarti Jim. E’ normale. Non è sbagliato da parte tua pensare di fare affidamento sul legame. Io però non posso aiutarti. Solo Spock può. E sappi che ci vuole tempo.”

“Ho meno di dodici ore, bastano?” Il vulcaniano sorrise con dolcezza.

“Con il mio Jim ci sono voluti anni.” Gli occhi di Kirk si allargarono per lo stupore.

“Ma dai!” Esclamò. “O era un pessimo allievo o tu sei stato un pessimo maestro!” L’ambasciatore si perse un momento nei ricordi, poi parlò.

“Eravamo ottimi bugiardi. Tutti e due. L’orgoglio ha voluto il suo tempo per farsi da parte.”

“Quindi mi stai dicendo che non ci sono scorciatoie. O affronto Spock e quello che sta alla base di questo legame o il legame non crescerà?” L’uomo annuì.

“Sappi però che sono incline a credere che se da questo legame dipende la tua vita, Spock metterà tutto il suo impegno affinché cresca in fretta.” Jim si alzò ma quando raggiunse la porta, si fermò e fece un’ultima domanda.

“Bones mi ha parlato degli effetti negativi del legame. Spock è precipitato nel vulcano d Nibiru quando io sono stato ferito sulla Jupiter. Se il legame si acuisce, corriamo dei rischi?” Spock si alzò e lo raggiunse. Gli prese una mano e gli torse il polso fino a fargli male.

“E’ un sì?” Chiese Kirk massaggiandosi la parte indolenzita.

“Ricordatelo bene. Più è intensa la natura del legame, più farà male se si spezza.” Jim annuì e s’incamminò verso la stanza in cui era tenuto prigioniero Harrison.

 

Spock e Scotty discutevano animatamente quando Jim entrò di gran carriera nella stanza in cui tenevano rinchiuso John Harrison. Bones stava ancora trafficando con i campioni del suo sangue.

“Ebbene, facciamo il punto!” Esclamò Kirk facendo segno a Leonard di far partecipare anche il prigioniero. La parete divenne trasparente e l’uomo fece segno col capo che li vedeva e li sentiva.

“Abbiamo un piano, signor Harrison.” Disse Jim con la sua solita aria baldanzosa. “Se la Jupiter arriverà, useremo il sistema radio dell’Enterprise per oscurare lo spazio aereo di Nuova Vulcano. Marcus potrebbe fare fuoco subito ma sa che se la colonia non vede che la sta attaccando una nave che viene dalla zona neutrale, ogni sua azione non porterà alla guerra. A quel punto tenterà di capire da dove viene il disturbo radio.” Scotty intervenne.

“Ci vorranno almeno cinque minuti per il ripristino completo del sistema di navigazione della Jupiter e prima che capisca che il silenzio radio non dipende da questo ma da un agente esterno alla nave. Nel frattempo noi invieremo i codici per l’apertura del portello.” Toccò a Spock parlare.

“Nei cinque minuti di black out, il portello si aprirà due volte. Per abbordare la nave non potrete utilizzare la prima volta perché dovremo allineare l’Enterprise alla Jupiter. Avrete due tentativi ancora. Uno a nave spenta e l’altra a ripristino completo. Abbiamo equipaggiato le tutte da combattimento con sistemi a propulsione che vi consentiranno di attraversare lo spazio fra le due navi a gravità zero.” Harrison s’intromise.

“Non avete considerato che se entriamo nell’hangar esplosivi con i jetpack, c’è un’altissima probabilità di esplodere con essi.”

“Lo abbiamo considerato,” si affrettò a precisare Kirk. “Solo uno di noi due arriverà alla nave con il jetpack acceso. L’altro lo spegnerà quindici secondi prima di toccare il portello e si farà spingere all’interno dall’altro.” Lo sguardo di Harrison passò da Kirk a Spock. Jim lo prese come un segnale che l’altro aveva capito dove volesse andare a parare e concluse. “Io spegnerò il jetpack. Lei mi spingerà nell’hangar e solo in quel momento io la farò entrare.”

“E io dovrei fidarmi?”

“Ho già promesso che l’aiuterò a salvare il suo equipaggio ma se crede che le consentirò di arrivare a Marcus prima di me o anche senza di me, è un illuso o un idiota.” Jim incrociò le braccia in attesa della risposta di Harrison.

“Ha dimenticato un particolare. Con una manovra tanto rischiosa, la sua vita sarà totalmente nelle mie mani.” Lo disse guardando Spock. Il vulcaniano rimase a fissare Jim e non gli diede la soddisfazione di muovere un solo muscolo del viso.

“Ha detto mille volte che se avesse voluto uccidermi, lo avrebbe già fatto. O devo ritenere che le sue fossero solo chiacchiere? Inoltre ordinerò ai miei uomini di aprire il fuoco sulla Jupiter in qualunque caso lei attenti alla mia vita. Non potranno battere quella fottuta nave ma saranno certamente in grado di far saltare in aria il suo equipaggio.”

“Mi dia i miei uomini, non voglio altro.” Si limitò a dire Harrison.

“Allora si riposi. Siamo entrati nell’orbita di Nuova Vulcano. Se Marcus vuole simulare un attentato alla nuova colonia, ha quindici ore per farlo.” Harrison tornò al suo letto e Bones tolse audio e video.

“Bravi!” Esclamò il medico. “Vi siete mostrati tutti molto sicuri di voi. La verità è che questo piano fa acqua da tutte le parti. E se Marcus arrivasse sparando?” Spock cercò di dare voce al suo pensiero logico.

“Se avesse voluto attaccare un pianeta a caso, avrebbe attaccato la Terra. Se si è scomodato a venire fin qui è perché sa che Nuova Vulcano è una colonia ferita. Non accetterà neppure l’ombra di una minaccia. Hanno armi avanzatissime. Reagiranno immediatamente.”

“Siamo sicuri che non esista un altro modo?” Provò ad insistere il dottore. “Non potresti chiedere l’aiuto di tuo padre?”

“Se mio padre sapesse che un ammiraglio della federazione ha costruito una nave da guerra con l’intento di scatenare una battaglia all’interno della federazione, per prima cosa chiederebbe ai vulcaniani di uscire dall’alleanza dei pianeti.”

“Calmiamoci.” Intervenne Jim. “Ora dobbiamo concentrarci sul piano. Tutti ai posti di combattimento. Spock, lei con me.”

Ognuno tornò ai propri compiti quando mancavano quattordici ore all’inaugurazione della nuova colonia.

 

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Capitolo 8
*** Il tutto per tutto ***


Piccole note dell’autrice disperata:
Ultimo capitolo gente! Dopo resta solo l’epilogo.
Grazie a tutti per la pazienza.

 


Capitolo VII

Il tutto per tutto

 

Spock non si meravigliò che Jim volesse parlargli in privato. C’erano diverse questioni ancora da definire. Soprattutto come fare a far sbarcare l’ambasciatore Spock in quel trambusto. 

Tuttavia quando il capitano lo condusse nei suoi alloggi, il vulcaniano capì che era caduto in un’imboscata.

“Perché siamo qui?”

“Spock, rilassati. Voglio solo parlare.”

“Non potevamo farlo in plancia?”

“Non di questo argomento.”

“E di quale argomento si tratta?” Jim si fece serio. Assunse un’espressione decisa che Spock trovò addirittura comica tanto era l’impegno che lui ci stava mettendo.

“Del legame.” Un’imboscata appunto.

“Jim, ti sembra il momento più opportuno? Dopo quanto accaduto su Nibiru, avevamo deciso di cercare di capire entrambi qualcosa di più. Hai cambiato idea?”

“Affatto. Sto per andare su una nave con equipaggio ostile accompagnato da un uomo di cui non posso fidarmi in pieno silenzio radio e senza possibilità di usare il teletrasporto. Non credi che mi farebbe comodo sapere che sei lì con me?” Jim fece qualche passo verso di lui ma rimase ad una distanza che l’altro avrebbe considerato accettabile considerata la sua intolleranza per il contatto non necessario. Il volto di Spock assunse un’espressione contrita.

“Ho imparato che è impossibile impedirti di compiere qualcosa che hai già deciso di fare.”

“Cosa c’entra questo?”

“Credi che se fosse stato possibile in qualche modo, non avrei fatto quanto necessario per impedirti di gettarti in una missione come questa?”

“Dobbiamo fermare Marcus.”

“Ne sono consapevole. E io sarò lì con te. Il legame è già teso fra di noi. Se dovesse accaderti qualcosa, lo saprò.” Jim sgranò gli occhi.

“Mi stai dicendo che hai una padronanza di questa cosa tale che sei in grado di sentire i miei pensieri anche se non sono vicino a te.”

“Non sono stato in grado di sentirti mentre ero su Nibiru e ho avvertito il pericolo in cui eri solo quando sei giunto a bordo dell’Enterprise, ma se la Jupiter sarà così vicina alla nave, sarò senz’altro capace di avvertire la tua presenza mentre ti muovi.”

“E contavi di dirmelo?”

“Fa qualche differenza che tu lo sappia?” Jim allargò le braccia.

“Spock! Certo che fa differenza! Quando mi hanno sparato, tu sei caduto nella gola del vulcano! Ed eravamo distanti. Cosa accadrebbe se mi sparassero mentre tu sei sull’Enterprise?”

“Chi ti ha detto del vulcano?”

“Bones.”

“E’ illogico che il dottore te ne abbia parlato. Ti ha esposto ad un rischio emotivo.” Jim alzò gli occhi al cielo.

“Credo di cominciare a capire Uhura! Come puoi solo pensare che non possa preoccuparmi di quali sono gli effetti delle mie azioni sul legame e, di conseguenza, su di te?”

“Quello che dici è illogico.”

“Illogico?” Ora Jim stava urlando.

“Illogico. Devo dedurre che ci sono azioni che mettono a repentaglio la tua vita che potresti non commettere se lo volessi.” Jim aprì la bocca per ribattere ma non uscì alcuna parola. Spock continuò. “Non ti getteresti a capofitto in ciò che fai se le tue azioni ricadessero su di me?”

“Spock, ascoltami, un conto è lanciarsi da un portello di un’auto in corsa sperando di centrare una tazzina da caffè sapendo che puoi rompere solo le tue ossa e un’altro e sapere che se sbagli, saranno anche le ossa di un altro a rompersi.”

“Illogico.”

“Ti giuro che se dici ancora ‘illogico’ ti ammazzo con le mie mani.” Spock stava per dire ‘illogico’ ma si trattenne. Jim ne approfittò. “E’ così difficile per te accettare che non mi vada bene che sia solo tu a patire le conseguenze negative del legame?”

“Il legame non è il punto.” Stavolta fu Spock a fare due passi in avanti e a sollevare una mano. Quella raggiunse il volto di Jim ma non lo toccò. Rimase sospesa tra loro, incapace di ritirarsi ma neppure di completare l’azione per cui si era mossa.

“E qual è il punto? Spiegami.”

“Dopo Nibiru, quando sei svenuto per le ferite nella sala del teletrasporto e il tuo cuore ha smesso di battere, credi che il mio smarrimento sia dipeso dal legame? Credi che se ti spezzassi una gamba o un braccio non sarebbero la mia gamba o il mio braccio a sanguinare anche se ti trovassi a miliardi di anni luce dove il legame non può arrivare? Se c’è qualcosa che puoi fare per non rischiare la tua vita, falla. Non perché il legame mi trasferirebbe il tuo dolore ma perché il mio dolore se morissi, sarebbe indicibile.” E accadde. 

Jim percepì le emozioni di Spock anche se non si stavano toccando in alcun modo. Una lacrima gli cadde involontariamente dagli occhi. Fece un passo in avanti fino a che la mano di Spock gli toccò la pelle del viso. L’ansia, il dolore, l’affetto, la riconoscenza, l’amicizia, la stima, l’orgoglio e poi qualcosa di più profondo, intimo, violento quasi, lo investirono e poi rimbalzarono dal lui di nuovo verso Spock.

Quando però il vulcaniano percepì le emozioni che il contatto gli trasmetteva, erano diverse da come le aveva sentite fuoriuscire.

Erano gioia di vivere, coraggio, passione, desiderio, profondo senso del dovere e poi qualcosa di nascosto in fondo a tutto ciò, qualcosa di totalmente diverso. Nella mente di Spock si materializzò l’immagine dei solidagi. Selvaggi ma, in realtà, delicati.

Strinse la guancia di Jim e con il pollice gli asciugò le lacrime. 

“Tu sei T’hy’la.” Disse senza interrompere il contatto e Jim sollevò a propria volta la mano e la posò sul suo viso.

“Sì,” rispose, “come tu lo sei per me. Non farò niente che metta a repentaglio la mia vita ma se dovesse accadere, tu, T’hy’la, devi farmi una promessa. Proteggi te stesso dal dolore. Se dovessi causarti del male, sarebbe come morire due volte.”

Spock si rese conto che era la verità. Avevano fuso involontariamente i loro pensieri e ne stavano uscendo sconvolti. Trovò la forza di interrompere il contatto. Jim si sentì come svuotato e la sua testa prese a girare. Si accasciò e Spock lo tenne stretto per non farlo cadere.

“E’ il transfer.” Cominciò a dire Spock ma Jim gli mise una mano sulle labbra.

“Il transfer emotivo, lo so.”

“Te lo ha detto l’ambasciatore.” Jim rise ancora accasciato contro il petto di Spock.

“Sei geloso?”

“I vulcaniani non conoscono questo tipo di emozione.”

“Gli umani sì.”

“Stai presupponendo che essendo io per metà umano, sia per metà geloso?” Jim si sollevò e lo guardò negli occhi con un’espressione furba sul viso.

“Illogico!” Esclamò e rise. Spock fece altrettanto. Per la prima volta. “E’ bello vederti ridere.” Gli confessò Jim.

“E’ perché tu sei qui. Lontano da ogni pericolo. Anche se ho molta fiducia nei tuoi mezzi, quando sei là fuori sono sempre illogicamente teso.” 

“Dovrei arrabbiarmi ma ‘illogicamente’ ne sono felice.”

“Lo credo. Hai avuto ciò che volevi.”

“Intendi dire che il nostro legame si è rafforzato?”

“Al punto che dovresti essere in grado di parlarmi anche se non sono fisicamente vicino a te.”

“Davvero?” Esclamò Jim saltando in piedi. Il senso di smarrimento era sparito. “Proviamo!”

“Non essere ridicolo.” Fece Spock indignato. Jim sorrise piegando la testa di lato.

Non fare l’offeso Spock!’

“Jim!”

Allora mi senti!’

‘Sì. Qual è il motivo di tanta eccitazione?’

‘Potrò parlarti mentre siamo in plancia senza che gli altri ci sentano!’

“Jim! E’ così che vuoi usare il legame?” Jim si lasciò cadere sul letto.

“No. Voglio solo sapere che quando sarò là fuori, potrò contare sul tuo aiuto.”

“Non aspettare di essere in serio pericolo.”

“Spock, ricordi cosa ti ho detto prima di Nibiru? Qualunque cosa accada, la nave e l’equipaggio vengono prima di tutto. Quando Marcus capirà che c’è qualcuno che vuole sabotare i suoi piani, penserà ad Harrison. Potrebbe decidere di usare i siluri.”

“Se è furbo li userà come merce di scambio.”

“Se è furbo. Dobbiamo evitare ad ogni costo che scoppi una guerra tra la federazione dei pianeti e le forze che non ne fanno parte.”

“Alludi ai Klingon.”

“Soprattutto ai Klingon. Nuova Vulcano non deve pensare neppure per un momento di essere in pericolo. Tu sei la persona più deputata a fare in modo che non accada.”

“Farò tutto ciò che è in mio potere ma non chiedermi di scegliere tra la missione e la tua vita.”

“Non te lo chiederò. So che farai comunque la scelta giusta.” Spock aprì appena le labbra sottili ma non disse niente. “Faresti una cosa per me?” Continuò Jim.

“Dimmi.”

“Bones mi direbbe che devo riposare prima di una missione simile.”

“Ne avrebbe tutte le ragioni.”

“Mi aiuteresti ad addormentarmi?”

“E come dovrei fare?”

“Tu sei il genio della meditazione. Aiutami a scacciare l’ansia.” Jim lo disse senza credere davvero che l’altro l’avrebbe fatto ma Spock prese subito la cosa sul serio.

“Sdraiati.” Jim si lasciò cadere all’indietro. “Chiudi gli occhi.” Il capitano eseguì. Spock gli toccò con due dita la fronte. “Lasciati andare. Lascia andare il comando dell’Enterprise.” Spock sentì che Jim s’era teso nell’udire quelle parole. Continuò. “Non resistere, lascia andare la responsabilità della nave. Non è tua adesso.” Jim si rilassò. “Lascia andare il pensiero della missione. L’affronterai più avanti.” Spock avvertì che il respiro di Jim stava diventando più lento, profondo e regolare. Qualcosa però rimaneva a fare resistenza, ancora più giù, nel subconscio di Jim. Turbava il battito del suo cuore. Spock si fece strada in profondità e riprese. “Lasciati andare, Jim. Lascia andare le aspettative dell’ammiraglio Pike. Non è adesso che devi dimostrarti all’altezza.” Kirk contrasse i muscoli del viso ma ora era immerso in una sorta di dormiveglia e non aprì gli occhi. Non lo fece neppure quando Spock nominò suo padre. “Lascia andare quei dodici minuti in cui tuo padre ha salvato ottocento vite. Non pensarci ora. Dormi. Quando ti sveglierai avrai molto più che dodici minuti per fare la differenza.”

Spock vide il petto di Jim alzarsi un po’ di più e poi cedere nel suo respiro più profondo. Si concesse di fare scivolare le dita tra i suoi capelli ora che era consapevole che Jim era caduto in un sonno profondo.

Si alzò dal letto e prese una coperta. Gliela mise addosso come aveva fatto nella sua stanza in Iowa sebbene la temperatura della cabina fosse ottimale. Un comportamento illogico, ammise tra sé e sé.

“Buonanotte, T’hy’la.” Disse prima di lasciare gli alloggi del capitano dell’Enterprise.

 

Il suono dell’interfono svegliò Kirk di soprassalto.

“Capitano, qui Spock. La Jupiter è appena entrata nell’orbita esterna di Nuova Vulcano. Scotty sta per lanciare il silenzio radio.”

“Arrivo!” Esclamò Jim. L’uomo si lanciò fuori dalla sua stanza e prese la via per la sala comunicazioni sapendo che avrebbe trovato lì il capo dei suoi ingegneri. Mentre camminava, prese il comunicatore e chiamò Bones.

“Dottore, ci siamo. Prepari Harrison.” La voce di Leonard era cupa.

“Prima che andiate, voglio che passi in infermeria.”

“Non mi serve niente. Ho dormito splendidamente. Prendi Harrison e vieni nella sala di scarico. Mi raccomando, mi serve vivo!”

“Ah, ah. Era una battuta? Per uno che sta andando a correre il Kentucky derby con il cavallo zoppo, sei di buon umore!”

“Bones, niente metafore, ok? Muovi il culo! Chiudo.”

Quando entrò nella sala comunicazioni, Scotty armeggiava già con le attrezzature e i codici di Marcus.”

“Jimbo! Io sono pronto!”

“Scotty, quanto ci metterà il bug di sistema per mandare in tilt la telemetria della Jupiter?”

“Dipende dai tempi di reazione del loro ingegnere capo. Se è sveglio, farà riavviare subito i sistemi.”

“Allora non posso trattenermi. Devo raggiungere Bones ed Harrison all’hangar merci. Sei pronto?”

“Sono nato pronto!”

“Bene.” Jim ricontattò la plancia. “Signor Spock, qui siamo pronti. Dica al signor Sulu di allineare l’Enterprise non appena il signor Scott darà il suo ok. Io sto raggiungendo la sala di scarico merci. Non appena ci darà il segnale, io ed Harrison abborderemo la Jupiter. Da quel momento il capitano è lei, signor Spock. Conosce i suoi ordini.” La voce di Spock arrivò forte e chiara.

“Sì, capitano.”

“Kirk, chiudo.” Jim diede una sonora pacca sulla spalla di Scotty.

“Bene, Scotty, lo faccia. Silenzi tutta l’atmosfera di Nuova Vulcano. Spock le dirà cosa fare da questo momento in poi.” Disse dirigendosi verso l’uscita. Quando fu sul punto di andare, tornò sui suoi passi. “Scotty.”

“Sì, Jim?”

“C’è un ultimo ordine per te. Questo è personale e te lo manderò tra pochi istanti sul pad. Ha priorità assoluta e non deve essere disatteso in nessun caso. Se lo farai ti aspetta la corte marziale.”

“E’ qualcosa che non mi piacerà fare, vero?” Kirk sorrise ma non era uno dei suoi sorrisi grandi e caldi.

“Magari non dovrai fare proprio niente, ok? Grazie, Scotty.”

“Fà attenzione.”

Furono le ultime parole che Kirk udì mentre le porte della sala comunicazioni si chiudevano dietro di lui. Raggiunse la sala di scarico ed entrò. 

Harrison aveva già indossato la tuta da combattimento. Finì di cambiarsi proprio mentre Scotty lo avvisava che la Jupiter aveva messo in stand by tutti i sistemi. Jim inviò i suoi ultimi ordini all’ingegnere e chiamò la plancia.

“Signor Spock, qui siamo pronti. Calcoli il tempo e la traiettoria e ci dia il via libera.” Harrison si avvicinò.

“Quindi ci siamo. Sta per mettere la sua vita nelle mie mani, capitano.”

“Non me ne faccia pentire, Harrison. Ricordi gli accordi. A lei l’equipaggio, a me Marcus.”

“Scoprirà che sono un uomo di certi principi.” Bones tirò Jim indietro per un braccio.

“Una parola.”

“Dimmi in fretta.”

“Niente colpi di testa e tieni gli occhi aperti.”

“Tranquillo.”

“Non sto tranquillo per niente.” Jim gli mise entrambe le mani sulle spalle.

“Me la caverò come sempre.”

“Detesto il tuo ottimismo. E’ privo di qualsiasi fondamento.”

“Su questo ti sbagli. Si basa sul nostro operato. Siamo una bella squadra, vero?” Leonard avrebbe voluto dire che lo erano perché lui era il loro capitano. 

“Lo siamo. Torna. Anche con un supporto vitale minimo, ma torna.” Jim sorrise mentre la voce di Spock usciva dall’interfono.

“Capitano, ho inviato la rotta ideale calcolata per farvi raggiungere il portello della Jupiter entro due minuti e cinque secondi al sistema di navigazione delle tute. Se dovete farlo, va fatto adesso.”

“Sentito Bones? Esci. Ora tocca a noi.” Leonard non se lo fece ripetere e rimase dietro la paratia a guardare Jim ed Harrison prendere posizione davanti al portello.

“Qui siamo pronti, Spock. Prema il grilletto!” 

In plancia Spock ricontrollò i dati e avviò l’apertura manuale del portello della sala di scarico. Prima di premere il pulsante di apertura si accertò che l’unico sistema di comunicazione tra lui e Jim fosse attivo e funzionante.

‘Jim, qualunque cosa accada, sono qui.’ Attese un istante che gli sembrò lunghissimo poi la voce di Kirk gli rimbombò nella testa.

‘Lo so.’ Spock ruppe ogni indugio. Premette il pulsante e lo spazio risucchiò il capitano dell’Enterprise e quello della Botany Bay.

 

La traiettoria sul visore della tuta indicava una linea quasi diritta da attraversare in circa centoventicinque secondi. I due uomini la stavano percorrendo alla giusta velocità quasi spalla a spalla. Il piano prevedeva che Kirk diminuisse la sua più o meno a metà del tragitto per consentire ad Harrison di arrivare prima di lui e posizionarsi davanti all’apertura dell’hangar esplosivi della Jupiter. Quando Jim stava per considerare passato il peggio, un detrito colpì il suo casco mandando in tilt il visore della tuta. Non fece in tempo a bestemmiare nella sua testa che la voce di Spock lo raggiunse.

‘Jim, hai perso il sistema di navigazione della tuta. Alla cieca le tue possibilità di centrare il bersaglio sono prossime allo zero!’

‘Spock al mio ritorno parleremo di come dai le cattive notizie. Ora lasciami concentrare.’

Kirk ridusse la velocità come era nei piani ma quando girò appena la testa per guardare Harrison, si accorse che la sua velocità era aumentata e stava sparendo dal suo raggio visivo. Per un attimo si chiese se quella specie di superuomo aveva in mente di entrare nell’hangar da solo e di lasciarlo andare alla deriva nello spazio profondo. 

Se doveva contare solo sulle sue forze, cosa poteva fare? Qual era la scelta giusta? 

Si disse che avrebbe dovuto spegnere comunque il jetpack non appena avesse visto il portello cominciare ad aprirsi. Con un po’ di fortuna, la spinta inerziale lo avrebbe comunque avvicinato ad esso quel tanto che bastava a dargli una possibilità.

Si fidò di se stesso e compì la manovra come l’aveva immaginata nella sua testa. Quando spense il jetpack però, si rese conto che non avrebbe funzionato. L’atmosfera faceva troppa resistenza e si sarebbe arenato prima che avesse la possibilità di afferrare un singolo pezzo della Jupiter. 

Fu mentre cercava una qualsiasi altra opzione che lo vide. Harrison era esattamente dove avrebbe dovuto essere. Lo avverrò per un braccio e lo spinse dentro prima che il portello scattasse e si richiudesse. 

Una volta dentro, al buio e in silenzio, sorrise. Quel bastardo aveva mantenuto la sua parola. Ora toccava a lui. Disabilitò il sistema di apertura automatico del portello e, con i comandi manuali, fece entrare Harrison.

“Grazie, capitano.”

“Grazie a te!” Rispose Jim quando si fu tolto il casco ora gravemente danneggiato.

“Ora pensi di poterti fidare di me, Jim?”

“Non so se mi potrò mai fidare di te, John, questo non cambia che tu puoi fidarti di me.”

“Davvero?” Chiese l’uomo fronteggiandolo.

“Non tradirò la promessa che ti ho fatto.”

“Allora andiamo a togliere a Marcus il suo giocattolo.”

“Andiamo.” Concluse Jim mentre l’altro gli indicava uno stretto corridoio. Lo percorsero fino ad una biforcazione che Jim conosceva bene. Era quella sopra cui lo aveva teletrasportato Scotty la prima volta che era salito sulla Jupiter.

“Se Marcus è a bordo, è senz’altro sul ponte di comando. La Jupiter è impostata sui codici di Marcus. Da lì può controllare tutto. Dai cannoni a phaser alle rampe di lancio dei missili.”

“Quindi qual è il piano? Facciamo irruzione sperando che sia solo? Un pò troppo spregiudicato persino per due come noi.” John piegò la testa di lato.

“Ti tiri indietro proprio ora?” Jim rise.

“Dico solo che ho un’idea migliore.” Disse indicando il soffitto. Harrison capì al volo.

“Condotti di areazione?”

“Funzionerà.” Si infilarono nel condotto e raggiunsero la plancia. Marcus era lì in effetti. Apparentemente accompagnato da soli due uomini.

“E ora che facciamo, capitano?” Chiese Harrison.

“Ho un piano.”

“Intendi condividerlo, Jim?”

“Hai detto che Marcus comanda la nave dalla plancia. Hai detto anche che puoi usare i codici di Marcus da qualunque pad. Giusto?”

“Esatto.”

“Usa i codici per attirarlo fuori dalla plancia. Io prenderò il suo posto e metterò fuori uso i sistemi di lancio missili. Così metteremo in sicurezza il tuo equipaggio.”

“Dovremmo fare il contrario. Sono più qualificato di te ad interfacciare il sistema di comando della Jupiter. L’ultima volta hai quasi messo in moto la nave all’interno dell’hangar.”

“Incidente di percorso. Se pensi che ti metta al comando di una nave con un arsenale come quello della Jupiter, la fiducia che pensi possa nutrire in te è eccessiva.” John rise.

“D’accordo. Prima l’equipaggio.”

“Prima l’equipaggio.” Concluse Jim e John si allontanò.

Ci vollero pochi minuti prima che un segnale di allarme si accendesse sui monitor della plancia e Marcus in persona si alzasse dalla poltrona di comando e lasciasse il ponte. Fu il turno di Jim. Si calò dal soffitto e liquidò il primo ufficiale di Marcus col phaser. Col secondo, più grosso e meno collaborativo, ci vollero i pugni. Kirk si rese conto subito che la ferita all’addome che aveva riportato dopo la missione Nibiru non era affatto guarita adeguatamente. A poco era valso tutto il riposo forzato che gli aveva imposto Bones. Al primo colpo diretto al ventre, il dolore era stato fortissimo.

Nonostante ciò, Jim ebbe ragione anche dell’altro ufficiale e raggiunse il sistema di comando della Jupiter. Si ricordò di come l’aveva attivato Harrison.

Jupiter, comando vocale AM11.” La voce del sistema di navigazione rispose prontamente.

“Capitano in plancia.”

“Stand by. Presenta lista ultimi comandi.” Il computer di bordo, con me aveva fatto con Harrison,  mostrò sullo schermo l’elenco degli ultimi comandi digitati in plancia. 

Quando individuò quello relativo al sistema di lancio e navigazione dei missili di ultima generazione, dette l’ordine.

“Disabilità sistema puntamento e lancio missili. Rimuoverli tutti dai canali di lancio.”

“Agli ordini capitano.”

“Offline.”

“Capitano, comando offline incompatibile con sistema mantenimento navigazione. Confermare?” In effetti non poteva rischiare di mandare alla deriva la Jupiter. Rischiava di farla uscire dal raggio del silenzio radio dell’Enterprise o addirittura di farla precipitare nell’orbita gravitazionale di Nuova Vulcano.”

“Annulla ultimo. Modifica password di comando.”

“Modifica in corso. Indicare codice.”

“NCC1701”

“Password modificata.”

“Abbassa scudi.”

“Scudi abbassati.” 

“Annulla registrazione ultimo comando.”

“Registrazione annullata.” Disse la voce. E fu proprio in quel momento che le porte della plancia si aprirono e John Harrison comparve sulla soglia trascinando l’ammiraglio Marcus.

“Quindi è lei il traditore che ha dato asilo a questo pazzo squilibrato, Kirk? Pike pagherà insieme a lei quest’azione! Le ordino di liberarmi! Lei non sa chi è quest’uomo e cosa le farà! Cosa farà a tutti noi!” Jim ebbe la sensazione che la situazione sarebbe degenerata velocemente.

‘Spock, se puoi sentirmi, ascoltami bene. Gli scudi della Jupiter sono abbassati. Se perdi il contatto con me, fa fuoco sulla nave con tutto quello che hai a disposizione sull’Enterprise.’

Marcus volò a terra fino ai piedi di Kirk spinto da Harrison con la forza di un solo braccio.

“Lo sa. Sa benissimo chi sono e, per tua sfortuna, sa benissimo anche chi sei tu.” Disse John.

“Ammiraglio Marcus, lei è accusato dalla federazione dei pianeti di aver violato quattro direttive e diversi sotto paragrafi per cui verrà preso in consegna dall’equipaggio della U.S.S. Enterprise e condotto sulla Terra dove verrà processato.” Marcus si alzò con fatica e gli rise in faccia.

“Tu vuoi arrestarmi? Pike vuole processarmi? Non capite niente, voi non sapete niente. Anche se eviterete questa battaglia, la guerra è alle porte. Ovunque nell’universo, piccoli focolai di tensione e insoddisfazione già esistono. La guerra con i Klingon è inevitabile. E chi guiderà la federazione in una simile battaglia? Pike? E’ un sentimentale. Non ha la giusta cattiveria!”

“Mi dispiace signore ma non è gettando fango su Pike che guadagnerà qualcosa da questa situazione.”

“Invece pensi di guadagnarci tu a fare accordi con lui?” Disse urlando e indicando Harrison.

“Vuole solo il suo equipaggio.”

“E tu pensi di darglielo? Hai idea di cosa sia capace? Immagina altri settantadue come lui.”

“Questo non la riguarda più.” Disse Jim e fu allora che Marcus si mise a ridere.

“Ma tu non hai veramente intenzione di consegnarglieli vero?”

“Ho promesso che li avrei salvati e l’ho fatto. Sono fuori dai tubi di lancio. Non verranno mai usati come armi.” Lo sguardo di Jim era determinato e pulito. Marcus se lo sentì addosso come un coltello alla gola. Si girò verso Harrison.

“Non te li consegnerà. E’ un bugiardo. Sai come ha passato l’esame in Accademia? Ha barato. Ed è diventato capitano dell’Enterprise imbrogliando il suo comandante!” 

“Vede, ammiraglio,” disse Jim, “lui sa tutto di me. Ha usato i suoi codici per entrare nel mio file.” Marcus guardò Harrison e l’espressione soddisfatta dell’ex capitano della Botany Bay gli confermò le parole di Kirk. Marcus tirò un sospiro e mise le mani sui fianchi.

“Dunque mi devo arrendere.” I due capitani si guardarono un istante e quell’istante concesse a Marcus il modo di tirare fuori un arma nascosta sotto l’uniforme. Marcus sparò prima ad Harrison, mancandolo e poi a Kirk senza prendere neanche la mira ma ferendolo ad un braccio.

Harrison rispose al fuoco colpendolo all’addome. Marcus cadde a terra dolorante.

“Come hai osato!” Gridò John puntando la propria arma contro l’ammiraglio, Jim, tenendosi il braccio ferito con quello sano, si frappose tra loro.

“No! Hai promesso. E’ mio prigioniero. Uscirà da qui vivo.” Esclamò Jim.

“Togliti di mezzo!”

“Hai promesso!” Gridò ancora.

“Jupiter, comando vocale AM11.” Disse allora Harrison. 

“Stand by. Comando errato.” Rispose la macchina. John scosse il capo.

“Hai cambiato i codici di accesso del sistema di navigazione.” Jim non rispose. Rimase fermo tra il suo interlocutore e l’ammiraglio. “Non ti sei mai fidato di me.”

“Ho messo in salvo il tuo equipaggio.”

“Ma non hai intenzione di consegnarmeli.”

“Non adesso. O pensavi che ti lasciassi una nave come questa? La Jupiter deve essere restituita alla federazione. Rappresenta la prova dei crimini di Marcus. Tu verrai riabilitato. Ti verrà restituita una vera identità. Lo capisci? E’ la cosa giusta da fare.” Harrison gridò.

“La cosa giusta? Che ne sai tu di qual è la cosa giusta per il mio equipaggio? Io sono il loro capitano e questa è la mia nave, Jim.” Fu allora che Marcus afferrò Jim alle spalle e, facendo pressione sulla ferita al braccio, lo usò come scudo.

“Ordina alla nave di ripristinare i collegamenti con l’Enterprise. Ce ne andiamo da qui.” Lo minacciò Marcus.

“Dovremmo lasciargli la Jupiter?”

“La nostra vita viene prima di tutto, lo capisci?” Gridò Marcus.

“La missione viene prima di tutto!” Replicò Kirk. Non ebbe modo di dire più nulla. Sentì un forte dolore alla base dello sterno. Harrison aveva sparato. L’intensità del raggio phaser lo aveva passato da parte a parte uccidendo Marcus che cadde alle sue spalle.

Jim finì sulle ginocchia.

“Cos’hai fatto? Lo hai ucciso.” Sussurrò mentre un rivolo di sangue gli usciva dalle labbra. Harrison lo raggiunse e gli puntò la pistola alla testa.

“Il codice, Jim. Lo hai detto anche tu. La missione viene prima di tutto.” Kirk chiuse gli occhi.

‘Spock, ti prego, fai fuoco contro la Jupiter.’

 

Spock stava seduto sulla sedia di Kirk cercando di tendere il legame al massimo. 

Nyota lo guardava con aria preoccupata. Si alzò e lo raggiunse.

“Spock, sono sicura che il capitano sa quel che fa.” Lui non smise di fissare lo schermo della plancia dalla quale si vedeva la fiancata della Jupiter. 

Era enorme. Immensamente più grande dell’Enterprise. Si sforzò di concentrare ogni fibra del suo essere su Jim e lo individuò in un punto della nave molto vicino alla plancia di comando.

Almeno era riuscito a salire a bordo senza incidenti. All’apparenza sembrava che Harrison stesse di fatto collaborando. Fu, mentre era assorto in questi pensieri che lo sentì.

‘Spock, se puoi sentirmi, ascoltami bene. Gli scudi della Jupiter sono abbassati. Se perdi il contatto con me, fa fuoco sulla nave con tutto quello che hai a disposizione sull’Enterprise.’

Spock scattò in piedi. Sulu e Checov si voltarono quasi contemporaneamente.

“Che succede Spock?” Domandò Uhura.

“Nulla.” Rispose il comandante ma le porte della plancia si aprirono e l’ambasciatore Spock apparve chiedendo il permesso di salire sul ponte.

“Permesso accordato. Tutto bene ambasciatore Spock?” Chiese il primo ufficiale e l’ambasciatore annuì anche se nei suoi occhi leggeva che la domanda era un’altra.

“Posso restare? Da quel che ho capito, non potrò lasciare la nave fino a che Jim non sarà di ritorno.”

“Prenda pure il mio posto. Tutti pronti ad ingaggiare la Jupiter. Tenente Uhura, chiami il dottor McCoy.”

“Sì, signore.” Disse la donna aprendo le comunicazioni con l’infermeria.

“C’è già bisogno di me?” Chiese Bones con voce carica d’ansia.

“No dottore, ma voglio che tenga in allerta tutta l’infermeria. Ho ordinato di puntare le armi sulla Jupiter.”

“Comandante, con tutto il rispetto, è impazzito? Devo ricordarti io che Jim è ancora a bordo?”

“No, dottore. Io ho gli ordini del capitano. Lei ha i miei. Tenga pronta l’infermeria. Spock, chiudo.”

La voce di Bones che bestemmiava sfumò nell’interfono. Spock cercò di nuovo il capitano tendendo il legame e lo trovò che era ancora sul ponte di comando della Jupiter. Si alzò per raggiungere l’ambasciatore quando un dolore indicibile al petto lo costrinse a risedersi. Nyota gli fu subito accanto.

“Spock, che c’è?” L’uomo trattenne il respiro.

‘Spock, ti prego, fai fuoco contro la Jupiter.’ Il vulcaniano si alzò e strinse entrambi i pugni.

‘Non posso. E’ troppo rischioso.’ Non ricevette risposta. Sentì come un vuoto e un gelo avvolgerlo con violenza. Raggiunse la sua postazione dove adesso era seduto l’anziano Spock.

“Ho formulato male la mia domanda ieri. Durante i suoi viaggi, ha conosciuto un uomo di nome Khan?” Spock vide con terrore l’espressione assunta dal volto dell’altro se stesso.

“Ho giurato di non rivelarti mai niente delle mie avventure con l’Enterprise perché il tuo viaggio, devi farlo da solo. Detto questo Khan Noonien Singh è l’avversario più pericoloso che abbiamo mai incontrato. Non esiterà un solo istante nella sua missione di distruggervi tutti. Soprattutto Jim. Se ne avrà l’occasione, lo ucciderà senza pietà.” Spock si voltò di scatto verso Sulu. Un dolore lacerante al braccio lo investì al punto che urlò.

“Fare fuoco con tutti i cannoni a phaser contro la paratia della stiva della Jupiter. Ora!”

 

Jim dondolò appena in avanti. Harrison gli poggiò il phaser contro la fronte.

“I codici, Jim.” Kirk aveva percepito distintamente le parole di Spock.

‘Non posso. E’ troppo rischioso.’

Possibile che non avesse percepito le sue condizioni? La voce di Harrison lo riportò alla realtà.

“I codici, Jim. Non farmelo ripetere.”

“Credi che m’importi della mia vita, ridotto in queste condizioni?”

“Credi che la tua condizione non possa peggiorare?” Chiese afferrandogli il braccio ferito e stringendo fino a che l’osso non si spezzò. “Posso farti ancora più male. Immagino però che non otterrò niente in questo modo, giusto?” Chiese puntando l’arma verso uno degli uomini che Jim aveva stordito prendendo la plancia. “Vuoi portare anche loro con te?”

“Non farlo! Il codice di accesso è NCC1701”

“Sei disposto a morire per la missione ma non sei disposto a far morire nessun altro con te.”

“No. Non lo sono.” Harrison raggiunse la poltrona.

“Jupiter, comando vocale NCC1701.”

“Capitano in plancia.” Rispose la macchina.

“Stand by. Lista ultimi comandi eseguiti.” Sullo schermo comparvero gli ultimi dieci comandi impartiti al sistema di navigazione tra cui il riavvio del sistema completo della nave, la disabilitazione del sistema puntamento e lancio missili, la rimozione delle capsule dai canali di lancio e la modifica della password di comando. Harrison sorrise.

“Sei stato di parola.”

“Sono un capitano.” Rispose Jim facendosi forza sui talloni e tenendosi la ferita con l’unico braccio che era in grado di muovere. Fu allora che la nave fu investita dai phaser dell’Enterprise.

Una serie di allarmi si accesero sul monitor della Jupiter.

“Hai abbassato gli scudi della nave!” Jim sentì le forze venire meno. Nonostante questo, gli venne da sorridere. Anche se era scattato l’allarme rosso, la plancia non era stata colpita. Spock stava attaccando l’equipaggio di Harrison. L’uomo lo raggiunse e lo afferrò per il collo. “Chiama quel maledetto scherzo della natura e ordinagli di interrompere l’attacco!” Gridò stringendo il bavero della tuta insanguinata.

“C’è il silenzio radio, ricordi?”

“Siamo su una nave di ultima generazione, ricordi? E l’ho progettata io, ricordi anche questo?” Disse soffiandogli le parole quasi sulle labbra. “Può comunicare con le altre navi della flotta stellare su rete interna ad una distanza tanto ravvicinata.” Jim spalancò gli occhi.

“Hai mentito.”

“Credevi di essere l’unico ad avere un asso nella manica? Jupiter contatta NCC-1701.”

“Linea aperta, capitano.”

“Sullo schermo.”

 

“Comandante, riceviamo una trasmissione dalla Jupiter!” Gridò Uhura.

“Sullo schermo.” Spock aveva i nervi a fior di pelle nonostante a tutti apparisse calmo e tranquillo come al solito. Le vene della fronte però gli pulsarono in modo evidente quando sullo schermo della plancia comparve Harrison che teneva per il collo Kirk.

“Come volevasi dimostrare, due capitani per una sola poltrona sono troppi. Comandante, se ci tiene alla vita di Jim, teletrasporti sull’Enterprise i settantadue missili di ultima generazione della Jupiter.”

Spock non rispose. Guardava gli occhi di Jim e non riusciva a sentire nulla provenire dalla sua mente.

“Comandante, è sordo?” Spock si riebbe.

“No, non lo sono. Cosa farà dopo? Non ho alcuna garanzia che risparmi il capitano.”

“Vediamo di intenderci, Spock. Il vostro capitano può aver abbassato gli scudi della Jupiter e avervi permesso di colpirci, a prezzo della sua vita ovviamente. Questo non significa che la mia nave sia fuori combattimento. Posso ancora impostare l’autodistruzione.”

“E il suo equipaggio?”

“Vuoi fare questo gioco con me, signor Spock? Vogliamo vedere se è più caro a te quest’uomo o a me l’equipaggio nella stiva? Posso distruggere l’intera Enterprise e con il dilitio nelle gondole della nave spazzare via metà pianeta.” Fu allora che Jim parlò. La sua voce uscì a malapena.

“Spock, teletrasporta tutti i settantadue missili nella stiva della nave. Ci sono anche due persone sul ponte.”

“Sentito?” Disse Harrison mollando la presa. Jim ricadde al suolo ma fece forza su un braccio e si alzò. Spock contattò Scotty e diede l’ordine. Quando Jim vide i due ufficiali di Marcus sparire, parlò ancora.

“Dopodiché chiudi i contatti radio e distruggi la nave. Questi sono i miei ordini.” Disse con durezza. Harrison si voltò di scatto e lo colpì mandandolo a terra. Poi si avventò su di lui e lo sollevò di nuovo.

“Morirai. Annulla i tuoi ordini.”

“Non hai più niente con cui ricattarmi.” John si voltò verso lo schermo.

“Ma ho te, per ricattare lui!” Gridò l’uomo mostrando il volto tumefatto di Jim a Spock.

“Non puoi ricattarlo.” Disse Jim “Ho mantenuto la mia promessa salvando il tuo equipaggio e Spock non farà di me uno spergiuro disobbedendo ai miei ordini.”

Lo disse guardando lo schermo, sorridendo tra le lacrime che gli scendevano per il dolore e la tristezza.

“Signor Spock, lo ucciderò.” Disse Harrison con fredda determinazione. Spock sentì le unghie delle dita conficcarsi nella carne del palmo tanta forza aveva messo nello stringere i pugni. Non interruppe il contatto visivo con Jim fino all’ultimo.

“Lo ucciderai comunque. Io ho i miei ordini. E la mia fedeltà al capitano è assoluta.” Lo disse mentre premeva il pulsante che interrompeva ogni comunicazione tra l’Enterprise e la Jupiter.

“Spock!” La voce che aveva spezzato il silenzio che era caduto in plancia era di Bones.

Era arrivato mentre Jim stava ordinando al suo comandante di chiudere le comunicazioni con la Jupiter ma nessuno aveva fatto caso a lui. “Come hai potuto! Lo hai condannato a morte!” 

Spock non rispose al dottore.

“Signor Sulu, prepari i cannoni a phaser per fare fuoco contro la plancia della Jupiter.” Checov non riuscì più a rimanere in silenzio.

“Signore, capitano morirà in esplosione.”

“Fate come ho detto! Signor Sulu, a lei la plancia.” Disse allontanandosi.

Bones, Uhura e l’ambasciatore gli andarono dietro.

“Spock! Maledetto bastardo, come puoi aver fatto una cosa simile dopo che Jim ha rischiato di morire per tirarti fuori dalla gola di un vulcano!” Gridò Bones.

“Spock, per favore, fermati! Cosa vuoi fare adesso?” Nyota tentò di fermarlo nel corridoio ma Spock si divincolò.

“Spock!” Solo quando sentì la sua stessa voce, il vulcaniano si fermò. “Se Jim potesse parlarti, ti direbbe di non andare.” Nell’udire quelle parole, sia Bones che Uhura capirono.

“Non posso seguire la logica adesso. Tu, meglio di chiunque altro, dovresti capire.” L’anziano annuì.

“Io lo capisco.” Spock si voltò e raggiunse la sala teletrasporto. Dentro c’era solo Scotty. Spock non gli prestò attenzione. Infilò una tuta e si posizionò al centro della macchina per il teletrasporto.

“Spock, aspetta!” Lo richiamò Uhura. “È tutto assurdo! Stai disobbedendo agli ordini!”

“Nyota, mi dispiace farti soffrire, non posso fare diversamente. Signor Scott, ho impostato le coordinate per la Jupiter. Energia.” Bones tirò indietro Uhura ma non accadde nulla.

“Signor Scott!” Lo esortò Spock ma, quando questi fece un passo verso il capo degli ingegneri, si accorse che aveva le lacrime agli occhi e un’espressione addolorata.

“Mi dispiace comandante. Anche io obbedisco agli ordini.”

“Che diavolo dice? Le ho appena ordinato di dare energia al teletrasporto.” Scotty alzò entrambe le mani.

“Mi dispiace, il capitano mi ha ordinato di impedirle di usare il teletrasporto qualora lei mi avesse chiesto di raggiungere la Jupiter.”

“Scott, il capitano potrebbe essere già morto. Accendi il dannato teletrasporto.”

“Non posso, signore.” Disse Scotty con ferma determinazione.

“Capisco. Mi dispiace per quanto accadrà.” Disse tirando fuori il phaser e stordendo Scotty che cadde a terra come un peso morto.

“Spock, che diavolo!” Gridò Bones cercando di raggiungere l’ingegnere. Spock puntò l’arma verso di lui.

“Fuori di qui. Tutti e due.” Disse indicando anche Uhura. Il dottore camminò all’indietro portando con sé la donna. Quando furono nel corridoio, Spock chiuse la porta e la bloccò dall’interno.

Impostò di nuovo i dati per il teletrasporto e chiamò Sulu.

“Signor Sulu, faccia fuoco non appena avrò chiuso la comunicazione.”

“Agli ordini, signore.”

Spock attivò il teletrasporto e chiuse il canale di comunicazione con la plancia mentre si dematerializzava.

Quando riapparve sulla plancia della Jupiter, vide Jim in ginocchio davanti ad Harrison. L’uomo gli puntava l’arma alla testa. Stava per premere il grilletto quando la plancia fu invasa da decine di esplosioni.

 

Jim fu sbalzato all’indietro e perse i sensi. Harrison invece cadde a qualche metro da lui e, anche se ferito, si rese conto di quello che stava accadendo. Il ponte di comando era in preda alle fiamme. Raggiunse Kirk e gli spostò i capelli dal viso.

“Jim, hai avuto quello che volevi?” Kirk si lamentò aprendo gli occhi. Era davvero allo stremo. “I tuoi uomini ti rispettano al punto che non mettono in discussione i tuoi ordini anche se moralmente sbagliati.”

“Non uccidere Marcus era moralmente giusto e tu hai disobbedito.” Disse l’uomo tra i lamenti.

“Era un assassino anche lui.”

“Sì, lo era.”

“E lo sarai anche tu se la Jupiter precipiterà su Nuova Vulcano. Falla esplodere.”

“Dovrei morire per salvare i vulcaniani? Sono una razza priva di sentimenti, delle emozioni più basilari.”

“Ti sbagli su di loro. E comunque c’è una capsula Kelvin funzionante. Puoi salvare la tua vita.”

“E la tua vita?”

“Hai provato ad uccidermi fino ad ora. Che t’importa?”

“Se avessi voluto ucciderti, ti avrei spezzato il collo prima di entrare nella plancia di questa maledetta nave. Tu saresti stato un perfetto compagno per me.” A Jim venne da ridere ma il dolore all’addome lo bloccò.

“E’ tardi per fare i sentimentali.”

“Hai ragione. Jupiter, attiva autodistruzione camera dilitio.”

“L’ordine è irreversibile, capitano.”

“Attiva.” Disse Harrison sollevando Jim. “Ora abbiamo cinque minuti.” Lo disse rivolgendosi a Jim ma questi aveva perso di nuovo i sensi. Se lo issò addosso ma, quando alzò lo sguardo, lo lasciò ricadere a terra.

Di fronte a lui, phaser in pugno, c’era Spock.

“Ti avevo promesso che se gli avessi fatto del male ti avrei ammazzato.”

“Signor Spock! Tempismo perfetto. Meglio morire accanto a Jim che vivere senza di lui, vero?”

Spock non rispose. Sparò. Senza pietà. Come gli aveva garantito. Harrison si guardò prima il petto poi la propria mano insanguinata. Cadde in avanti mentre altre esplosioni riempivano l’aria.

Spock corse da Kirk e lo prese tra le braccia. Era davvero un miracolo che fosse ancora vivo.

‘T’hy’la, ti prego, rispondimi.’

Per un momento non accadde nulla. Poi, quando Spock stava per tentare una fusione con l’uomo, Jim mosse le palpebre e, a fatica, le aprì.

“Spock, tu sei qui.”

“Forza, ti tiro su.” Gli disse passandogli un braccio dietro la schiena e tirandoselo addosso. Lo trascinò fino alle capsule Kelvin e lo adagiò piano in una di esse. 

“Spock, no.”

“Non parlare. I tuoi segni vitali sono deboli. Devi tornare a bordo dell’Enterprise. In questa situazione, il teletrasporto è inutilizzabile. Le capsule sono la sola via d’uscita.”

“Spock, c’è una cosa che devo dirti prima che tu chiuda la capsula.” Spock esitò un attimo puntando i suoi occhi scuri e carichi di ansia in quelli blu e lucidi di Jim.

Questi allungò una mano come a trattenere il vulcaniano ma un colpo di phaser li costrinse ad ad allontanarsi. 

Spock si voltò e vide Harrison, in piedi, con lo sguardo pieno di rabbia. Chiuse d’istinto la capsula di Kirk.

“Vai!” Gli urlò e si infilò in quella di fronte. Quando la capsula si chiuse però, il segnale di emergenza lo avvertì che la chiusura era difettosa. Spock capì che non sarebbe mai riuscito ad abbandonare la Jupiter. Stava per lasciare la capsula quando, imprevedibilmente, lo sportello si chiuse. Spock si chiese quale miracolo fosse accaduto proprio mentre realizzò che i miracoli non esistevano. 

Jim gli sorrideva dall’esterno. Aveva forzato la chiusura della capsula con una spallata. Probabilmente con le ultime forze che gli rimanevano. Vide le sue labbra muoversi ma la sua voce gli arrivò attraverso il legame.

‘Mi dispiace, Spock, non posso permettertelo. Sei troppo importante per me.’

Spock sentì le lacrime pungergli gli occhi. Una devastante sensazione di impotenza lo colpì nell’istante stesso in cui vide Jim avvicinare la mano al pulsante di espulsione.

‘No, Jim, non farlo. Non spezzare il legame.’

‘Non lo sto facendo. Voglio solo che tu viva. Se tu sopravvivi, io lo farò con te.’

Il rumore dell’espulsione della capsula gli tolse il respiro. Rinchiuso là dentro, Spock non si sentì affatto in salvo. Neppure quando, poco meno di un minuto più tardi, la Jupiter esplose in un lampo di luce blu. Gridò come non aveva mai fatto in vita sua. Gridò il nome di Jim.

 

Jim vide la capsula schizzare via in alto. Spock era salvo. C’era n’era ancora una e per un momento pensò che avrebbe potuto provare a rimetterla in funzione ma, sapeva che una volta riaperte, le capsule Kelvin potevano essere richiuse solo dall’esterno. Inoltre, il colpo sparato da Harrison aveva lesionato la paratia. Si ricordò dell’uomo solo in quel momento e si voltò a cercarlo. Era seduto, dolorante e ferito, sulla poltrona del capitano.

Jim si trascinò fino a lui. Allora anche John lo vide.

“Non vuoi proprio morire, Jim.”

“Non dipende più da me.” Disse sedendosi a terra. Jim chiuse gli occhi. Quando aveva chiesto a Spock di aiutarlo a dormire, gli aveva sentito dire come in sogno di non pensare a suo padre e a quei dodici minuti da eroe. Si chiese se fossero passati almeno dodici minuti da quando aveva messo piede su quella maledetta nave. Il dolore divenne insopportabile. 

Non si rese conto di essere afferrato e trascinato fuori dal ponte.

Non si rese conto di essere caricato su di un minuscolo incrociatore. 

Non si rese conto che la voce che gli stava parlando era quella di Harrison.

“Tu hai mantenuto la tua promessa. Io non ho fatto altrettanto. Saresti stato un compagno perfetto. Ricordalo Jim, l’odio è una versione meno nobile ma più autentica dell’amore.”

L’incrociatore fu lanciato fuori dalla nave lungo il carrello dello scarico macerie solo pochi secondi prima che un’intensa luce azzurra avvolgesse la Jupiter ingoiandola per sempre.

A quella luce intensa, seguì l’oscurità più profonda che avesse mai visto. Solo le luci dei sistemi di navigazione dell’incrociatore illuminavano lo spazio circostante. Anche per quelle, come per lui, era solo una questione di tempo. 

‘L’oscurità è un posto come tanti altri.’

Questo gli aveva detto Pike prima di dirgli che per lui c’era ancora speranza, che non doveva finire in una specie di riformatorio per colpa di quel suo carattere irrequieto e ribelle.

Ora, mentre le apparecchiature elettroniche si spegnevano una dopo l’altra, mentre il sangue dalla ferita al fianco saliva verso la paratia superiore del piccolo incrociatore invece che colare verso il basso, Jim guardò fuori e si rese conto che non appena anche la luce dell’indicatore del carburante si fosse spenta, si sarebbe ritrovato in quella stessa oscurità dalla quale aveva cercato di fuggire.

Il respiro si fece lento. A dispetto di ciò che dava a vedere a tutti e di ciò che tutti pensavano di lui, aveva paura di morire. La luce del segnalatore del carburante si spense. 

Il buio lo avvolse. Allungò una mano verso il vetro del grande oblò di prua senza raggiungerlo.

L’oscurità non era un posto come tutti gli altri.

Era il posto dove tutto finiva.

Si sentì esausto. Cosa doveva fare? Chiudere gli occhi e arrendersi? Aveva altra scelta?

La navicella se lo stava portando alla deriva. Chiuse gli occhi. L’oscurità non era sua nemica. Forse la sua ultima amante.

Si lasciò cullare dall’assenza di gravità e di rimpianti e sorrise.

L’immagine di Spock che lo stringeva nel deserto sotto al cielo stellato dell’Iowa fu l’ultima cosa che la sua mente riuscì a richiamare. Poi fu il nulla.

 

La capsula Kelvin fu attratta a bordo dell’Enterprise dopo l’esplosione della Jupiter.

Bones e Scotty smontarono il portello e liberarono Spock. Uhura lo strinse forte a sé.

Spock non disse una parola. Guardò Scotty e questi gli sorrise dandogli ad intendere che non era arrabbiato per quello che il vulcaniano gli aveva fatto.

Si girò a guardare Bones. L’uomo aveva gli occhi rossi per il pianto.

“Ho fallito, dottore, non sono riuscito a salvarlo.” Bones gli mise una mano sulla spalla.

“Uno dei due doveva fallire e Jim non si sarebbe mai lasciato battere da te. Non l’ha mai fatto.” Uhura cominciò a piangere. Le sue lacrime resero tutto improvvisamente reale. Jim era morto.

Spock si sentì mancare l’aria nei polmoni. 

“Spock, respira.” Gli disse Bones.

“Sono funzionante.” Fece lui cercando di rimettersi in piedi. “Signor Scott contatti la plancia.”

“Spock, dovresti venire con me in infermeria adesso.”

“La plancia, signor Scott.” Scotty non se lo fece ripetere e contattò Sulu.

“Facente funzione di capitano Sulu.”

“Signor Sulu, qui Spock.”

“Comandante è bello sentirla. C’è stato il finimondo lì fuori.”

“Ripristini i contatti radio. Comunichi a Nuovo Vulcano che una nave della federazione dei pianeti è andata in avaria ed è esplosa. Comunichi che il numero delle vittime non è ancora noto ma che la maggior parte dell’equipaggio è stato tratto in salvo sull’Enterprise.”

“Si, signore. Sta bene, signore?”

“Si, signor Sulu.”

“Comandante?”

“Sì?”

“Che ne è stato del capitano Kirk?” Spock sentì ancora una volta il proprio respiro strozzarglisi in gola.

“Il capitano è” annaspò, “disperso.” Dall’altra parte non giunse nessuna risposta. Spock lasciò la stanza e corse fuori come se l’aria del corridoio fosse meno rarefatta di quella della sala di carico.

Aveva perso sua madre, quasi tutta la sua gente, eppure niente era paragonabile a quel dolore sordo che sentiva alla bocca dello stomaco.

“Spock,” Bones lo aveva seguito nel corridoio, “non torturarti, non è colpa tua. Jim non vorrebbe.”

“Leonard, ora non riesco a seguire la logica. Perdonami ma ho bisogno di stare solo.” S’incamminò verso il ponte panoramico e raggiunse lo spesso vetro oltre il quale si estendeva la vista dello spazio aperto.

Le lacrime gli scivolarono dagli occhi. Si lasciò cadere sul pavimento. Era quella la disperazione? Non si accorse neppure che qualcuno lo aveva raggiunto e gli aveva posato una mano sul capo.

“Quando volevi andare sulla Jupiter, mi hai chiesto se capivo e ti ho detto di sì. Capisco anche adesso quello che provi.” Spock si sforzò di rialzarsi e guardò l’ambasciatore negli occhi.

“Come ci riesci? Come fai a vivere sapendo che lui è morto?” L’anziano Spock sorrise amaramente.

“Non è stato così all’inizio. Quando ho realizzato che non l’avrei visto mai più, ho provato un dolore inspiegabile. Mi sembrava che la mia stessa vita non avesse più alcun senso. Ogni cosa sembrava avesse perso significato. Poi, un giorno, mentre soccombevo al mio dolore, mi è capitato in mano un appunto scritto di pugno da Jim. Avevo preso l’abitudine di torturarmi in quel modo. Sfogliavo i suoi libri, le sue fotografie, quello che di umano portava sempre con sé a bordo dell’Enterprise. M’illudevo che potesse riempire il vuoto lasciato dai suoi occhi, dalle sue labbra, dalle sue mani. Su quel foglio c’era il nome di un luogo che mi fece tornare in mente una cosa che mi aveva detto Jim un giorno che eravamo in licenza. Quel giorno, mentre se ne stava sdraiato sull’erba e io leggevo un trattato sui buchi neri, mi disse che presto o tardi saremmo stati troppo vecchi per le avventure nello spazio che ci piacevano tanto. Così gli chiesi cosa pensava avrebbe fatto una volta lasciato il comando della nave. Sai cosa rispose?” Chiese l’anziano Spock.

“Cosa?”

“Che avrebbe trovato un posto come quello in cui eravamo in quel momento. Un prato dove lui avrebbe riposato e io avrei potuto continuare a leggere tranquillo ad una condizione.”

“Quale?” 

“Di vegliare su di lui senza svegliarlo. Perché era stanco. Compresi che lo era davvero mentre lo diceva. In quel momento, il calore che provai nel ricordare quella conversazione mi fece capire che Jim era ancora lì con me nonostante il legame si fosse spezzato. Decisi che avrei continuato a vivere fingendo di vegliare il suo sonno su quel prato. Prima o poi, lo raggiungerò lì. Di questo sono certo. Ho onorato il legame con lui continuando a vivere la mia vita. Anche se il vuoto è angosciante, trova la forza dentro di te. Jim vorrebbe questo.”

Spock sgranò gli occhi. Sentiva dolore. Sentiva che gli mancava l’aria nei polmoni. Nonostante ciò non c’era alcun vuoto. La consapevolezza di cosa significava fu tremenda. 

“Ambasciatore, perdonami, devo andare.”

Spock corse sul ponte e, non appena lo vide, Sulu si alzò dalla poltrona.

“Comandante.”

“Signor Sulu usi il radar della nave per rintracciare qualsiasi oggetto grande quanto una capsula Kelvin. Signor Checov calcoli un perimetro entro il quale un oggetto simile può essere stato sbalzato dalla forza dell’esplosione della Jupiter. Tenente Uhura chiami l’infermeria.”

“Spock, che succede?” la voce di Bones era ancora rotta dal pianto.

“Dottore, prepari l’infermeria per un intervento d’urgenza.”

“Perché?”

“Non le posso rispondere ora. Lo faccia.”

“Ok.” Spock chiuse le comunicazioni.

“Allora signor Checov?”

“Circonferenza calcolata con dati esplosione troppo grande per scanner Enterprise. Occorreranno tre ore per verificare presenza oggetto in perimetro.”

“Non può affinare la ricerca? Non abbiamo tre ore. Una capsula Kelvin ha al massimo due ore di autonomia.”

“Posso se ho direzione.” Esclamò Pavel. Spock si sedette sulla poltrona del capitano e chiuse gli occhi.

‘T’hy’la dove sei?’

Inizialmente non sentì nulla poi, percepì il battito del cuore di Jim. Come era stato tanto stupido da fidarsi dei propri occhi più del proprio spirito?

“Signor Checov direzione sud, sud est.” Spock guardò il monitor fino a che qualcosa cominciò a brillare sullo schermo.

“Rilevo navetta tipo incrociatore a ore cinque signore.”

“E’ a portata di raggio traente?”

“Dobbiamo avvicinare Enterprise per usare raggio.”

“Signor Sulu, si avvicini prima che può all’incrociatore. Lo contatti e, se non risponde subito, comunichi al signor Scott di azionare il raggio traente. Io sarò già nell’hangar. A lei la plancia.”

Spock corse fuori e Uhura gli andò dietro.

“Spock pensi sia Kirk?”

“Non lo penso. Lo so. Manda il dottore al ponte inferiore.”

Uhura tornò indietro. Spock invece corse fino a raggiungere il turboascensore e, da lì, l’hangar di carico. Quando entrò, Scotty già trafficava con i comandi del raggio traente. Spock chiamò la plancia.

“Signor Sulu avete contattato l’incrociatore?”

“Sì signore, nessuna risposta. Checov dice che va alla deriva.”

“Abbassate gli scudi e restate in stand by.”

“Agli ordini.” Spock si rivolse a Scotty.

“Carichiamo quell’incrociatore.” Scott annuì e, con poche manovre, portò la nave fino al portello dell’hangar merci dell’Enterprise. Quando le paratie si chiusero Spock prese un cannone a phaser e raggiunse la nave. Sparò al portello ed entrò.

Sentì di nuovo l’aria mancargli nei polmoni non appena riconobbe il corpo di Kirk sul pavimento metallico della nave. Gli fu addosso in un istante seguito a ruota da Scotty.

“Jim, Jim, mi senti?” Disse tamponando la ferita che aveva all’addome. Il corpo del capitano era gelato. Scotty gli mise una mano sul collo e la ritirò velocemente.

“Spock, non respira. Il suo corpo è freddo. Dev’essere rimasto esposto all’aria esterna senza protezioni.” Lo disse sottovoce, quasi temesse di disturbare un momento troppo privato del comandante.

Spock scosse appena la testa come a voler negare l’evidenza e sollevò il corpo di Jim fino a che non sentì la sua testa nell’incavo tra collo e spalla.

‘T’hy’la, io ti sento ancora qui, com’è possibile?’ Fu allora che un gran trambusto riempì l’aria. Bones entrò nell’hangar facendo cadere a terra praticamente tutto quello che aveva tra le braccia.

“Spock!” Urlò il dottore. “Lo metta a terra e gli scopra il braccio!”

Spock non se lo fece ripetere. Lo distese sul pavimento e strappò via la maglia dal braccio sano di Jim. Bones si avvicinò e, in fretta e furia, gli iniettò un liquido scuro in vena. Non appena l’iniezione fu completata, si accasciò.

“Dottore cosa gli ha dato?” Chiese Spock agitato.

“Un siero.”

“Leonard,” lo interruppe perplesso Scotty “ti sei reso conto che è morto? Non possiamo smettere di torturarlo?” L’ingegnere lo disse con voce nervosa. Spock però gli mise una mano sulla spalla per calmarlo e gli fece cenno di guardare quello che lui aveva già percepito con la sua mente.

Il volto di Jim stava riprendendo colore. Il suo cuore batteva di nuovo all’interno della cassa toracica che, seppure a fatica, si alzava e abbassava. “Come diavolo ha fatto?” Gridò Scotty.

“Ho usato il sangue di Khan.” 

“Hai iniettato il sangue di uno psicopatico potenziato dentro Jimbo?”

“Che può fare? Ucciderlo?” Chiese ironicamente Bones. “Avanti Spock, lo sollevi e lo porti in infermeria. Non è per niente fuori pericolo.” Spock prese il corpo di Jim tra le braccia e si alzò. 

Gli altri due lo seguirono fino in infermeria. Mentre Bones preparava gli strumenti per operare, Spock depose Jim sul lettino.

“Spock, Scotty, ora dovete lasciarmi operare.” Disse Bones. Scotty lasciò subito l’infermeria. Spock esitò ancora un momento vicino al corpo di Jim. Bones cercò di rassicurarlo. “E’ merito tuo se lo abbiamo ritrovato. Lasciami fare quello per cui sono a bordo di questa nave.” Spock passò una mano tra i capelli di Jim e lasciò l’infermeria.

Fuori dalla porta tirò un profondo respiro. La voce di Nyota lo fece sussultare.

“Come sta?”

“Non è ancora fuori pericolo. Il dottore lo sta operando.”

“Dio solo sa come hai fatto a trovare quell’incrociatore.”

“E’ stato il legame, Nyota.” La donna non riuscì a nascondere la propria sorpresa.

“Mi hai sempre detto che tendere il legame era una decisione importante, che significava instaurare un rapporto per tutta la vita. Hai detto che era del tutto normale che stessimo insieme senza che fosse nato tra noi e adesso mi dici che tra te e il capitano c’è un legame?”

“Sì. Non ho fatto niente perché accadesse. Me ne sono reso conto quando siamo partiti per Nibiru ma credo sia nato quando abbiamo litigato sul ponte dell’Enterprise ed io gli ho lasciato il comando della nave.”

“E’ nato durante quella lite tremenda?” Spock annuì. “Capisco. Quindi è questo che ti spinge verso di lui. Qualunque cosa accada, ormai fa parte della tua vita.”

“Come ti ho detto, non intendevo ferire i tuoi sentimenti.”

“E io non intendo ferire i tuoi, Spock. Ora Kirk deve guarire.” Disse la donna andando via. Tuttavia si fermò di colpo e tornò indietro. Prese una delle mani di Spock e gli consegnò un oggetto. 

“L’ho trovato qui fuori. Dev’essere di Kirk. Forse, una volta finito tutto, gli farà piacere riaverlo.”

Spock si guardò il palmo della mano e vide il simbolo della flotta spezzato a metà e sporco di sangue. 

“Grazie, Nyota.” Lei sorrise e lasciò il ponte per tornare in plancia.

Spock rimase altre due ore in piedi dietro alla porta dell’infermeria. Quando questa si aprì all’improvviso, lasciando uscire il personale medico, Spock guardò all’interno e vide Bones chinato sul viso di Jim.

“Dottore?” Bones si sollevò di scatto. Aveva gli occhi lucidi come quelli di una persona che ha pianto a lungo. “Dottore? Jim è vivo?”

“Sì, Spock, è vivo. Non è del tutto fuori pericolo ma ho suturato le ferite allo sterno e allo stomaco e ho fermato le emorragie. Ho ridotto la frattura al braccio e medicato tutte le abrasioni.”

“Cosa c’è che non va allora?” Chiese Spock entrando e avvicinandosi al letto.

“Non riprende conoscenza. La sua temperatura corporea non risale.”

“Può avere a che fare con l’iniezione che gli ha fatto?” Chiese allora il vulcaniano.

“Vuoi la verità? Non ne ho la più pallida idea!” Rispose sconfortato Leonard. “Non è che abbia avuto poi tutto questo tempo per studiare il sangue di Khan. Ho fatto quello che ho fatto d’istinto.”

“Nessuno ti biasimerà per questo. Jim è vivo per via di quell’iniezione. Forse se lo portassimo nell’atmosfera di Nuova Vulcano e lo esponessimo alle temperature più calde del pianeta, forse migliorerebbe. Senza conoscere l’esatto effetto del sangue di Khan sull’organismo del capitano, è impossibile stabilire una terapia.”

“Non ci avevo pensato. Crede che sarebbe praticabile?”

“Chiederò al consiglio degli anziani.”

“Bada che diano il consenso anche al sottoscritto. Non lascerò Jim da solo.” Spock sorrise.

“Non ho mai pensato il contrario. Posso chiederti di lasciarmi qualche minuto con lui?” Bones sorrise a propria volta e annuì.

Quando fu certo che non ci fosse nessuno, Spock si chinò su Jim fino a che le sue labbra non sfiorarono la fronte dell’uomo.

“La tua mente nella mia mente, i tuoi pensieri nei miei pensieri.” Sussurrò a Jim il quale sembrò percepire la sua voce. Le sue palpebre si mossero appena. “Riposa, Jim, veglio su di te.” Disse finalmente consapevole che il legame era più forte che mai. 

Prese una sedia e si accomodò al fianco del letto. 

 

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Capitolo 9
*** Lo spazio in cui il tempo si ferma ***


Epilogo

Lo spazio in cui il tempo si ferma

 

Jim mosse lentamente le palpebre.

Un movimento impercettibile che sfuggì a Bones ma non a Spock.

Il vulcaniano poggiò il libro antico che stava leggendo sul mobile accanto al divano su cui era steso Jim e si voltò a guardare il volto dell’uomo.

McCoy, accortosi di quel gesto, si alzò dalla poltrona e si avvicinò.

Jim espirò profondamente e, finalmente, aprì gli occhi. Scoprì che era disteso su un divano con una coperta addosso. Ci mise qualche minuto per capire che non era a bordo dell’Enterprise. La luce che riempiva la stanza era calda e veniva da una fonte di calore. Mosse gli occhi e realizzò che c’erano piante e fiori tutto intorno a lui. Provò a girare la testa di lato e si accorse della figura accanto a sé. Un dolore lancinante al braccio lo costrinse a non fare ulteriori movimenti.

“Capitano, come si sente?”

“Spock.”

“Deve muoversi con attenzione, ha un braccio rotto. E’ ancora in convalescenza.” Jim non riusciva a credere a ciò che vedeva e sentiva. Spock era lì, vivo e vegeto. Lui era lì. 

“Dove sono, Spock?”

“Su Nuova Vulcano.” Fu la risposta ma a parlare era stato McCoy. “Come ti senti, Jim?”

“Dolorante.”

“E’ il minimo!” Esclamò Bones. “Avessi visto com’eri ridotto!” Jim provò ancora a muovere il suo corpo senza riuscirci. Spock gli passò una mano dietro alla nuca e lo aiutò a sollevarsi un po’.

“Grazie.” Sussurrò cercando di sorridere.

“Sono io che devo ringraziarti. Senza il tuo intervento, non sarei mai sopravvissuto. Ho visto la Jupiter esplodere. Ho creduto che tu fossi morto. Come hai fatto a lasciare la nave?” Jim prese un profondo respiro.

“Khan. Credo. Ero al limite. Ha detto qualcosa mentre mi caricava a bordo della scialuppa ma non sono riuscito a capire.”

“Perché Khan avrebbe fatto una cosa simile?” Chiese perplesso Bones.

“Qualunque sia il motivo per cui lo ha fatto, ti ha salvato la vita.” Sussurrò piano Spock.

“Tu gli hai salvato la vita, Spock. Se non avessi creduto nel legame, sarebbe andato alla deriva nello spazio e sarebbe comunque morto.” Asserì Bones.

“Mi hai trovato attraverso il legame?” Chiese Jim. I suoi occhi blu erano lucidi e commossi. Spock annuì.

“Ho creduto che se il legame era ancora vivo, allora lo eri anche tu.”

“Sai Spock, quando ho visto la capsula Kelvin lasciare la Jupiter, ho capito che avevo finito. Anche se avessi voluto, non avevo più forze. E poi il buio, è qualcosa di insopportabile da affrontare da soli. Credo che sia stato il legame a darmi un ultimo pensiero felice.” Bones gli mise una mano sulla spalla.

“L’importante è che tu sia qui e se dobbiamo ringraziare Khan per questo, personalmente lo farò. A tal proposito c’è una cosa che devo dirti.”

“Cosa?” Chiese Jim alzando lo sguardo.

“Ho usato il sangue di Khan per sintetizzare un siero che ti ho iniettato per risvegliarti dallo stato di coma in cui eri caduto dopo l’esplosione.” Spock osservò la reazione di Jim. L’uomo abbassò gli occhi sul braccio ingessato e poi li fissò nei suoi.

‘Io sono vivo e lui è morto.’

‘Non per colpa tua, T’hy’la. Io gli ho sparato.’ Jim si sforzò di sorridergli con dolcezza poi si voltò a guardare Bones.

“Hai fatto quello che ritenevi più giusto per salvarmi. Grazie Leonard. Sono in debito con tutti voi.”

“E la federazione è in debito con te!” Jim sollevò la testa per quanto poteva e vide Christopher Pike in piedi vicino ad un uomo vulcaniano che riconobbe. Spock si alzò e salutò gli ospiti.

“Si è appena svegliato, padre.” Disse con un tono che sembrava di rimprovero. Pike si affrettò a continuare.

“Chiedo scusa, Spock. Le mie intenzioni erano di fare visita a Jim poiché sapevo che le sue condizioni erano stazionarie. Trovarlo sveglio è fonte di enorme gioia per me. L’ambasciatore Sarek è stato molto gentile ad accogliermi e farmi da guida.”

“Ammiraglio,” fece Jim “è bello vederla.” Pike si avvicinò e poggiò una delle mani sull’ingessatura. 

“Hai portato a termine la missione con coraggio. Sono fiero di te, ragazzo.” Jim s’incupì.

“La nave è esplosa e Marcus è morto.”

“Dio mi perdoni ma Marcus ha avuto ciò che si è meritato. Quella nave non avrebbe mai dovuto esistere. L’ambasciatore Sarek è d’accordo con me che la versione data da suo figlio è un buon compromesso per evitare tensioni all’interno della federazione e tra la federazione e i popoli neutrali. La Jupiter ha avuto un incidente ed è esplosa. Marcus è tra le poche vittime. Anche il suo nome è salvo. Ha una figlia. Lo piangerà come un’eroe. Tu e il tuo equipaggio avete evitato una guerra.” Jim annuì e Pike continuò. “In quanto a te, ho letto il rapporto medico del dottor McCoy. Dice che l’atmosfera di Nuova Vulcano ti giova. Rimarrai qui fino a che non ti sarai ristabilito.” Un lampo di inquietudine attraversò gli occhi di Kirk.

“Mi sta sollevando dal comando dell’Enterprise?” Pike sorrise.

“No. Affatto. Ti meriti una licenza. Quando ti sarai ristabilito, tornerai al comando. Sceglierai tu la tua prossima missione. Mi avevi accennato all’idea di un viaggio ai confini del quadrante, sarai libero di andare dove vorrai. Nel frattempo rimetteremo a nuovo l’Enterprise.” Jim sorrise.

“Grazie, signore.”

“Pensa solo a guarire. Ok?” Jim annuì. “Dottore, una parola.” Bones seguì Pike fuori dal giardino.

Sarek si avvicinò a Kirk e si sedette dove fino a qualche minuto prima stava Spock.

“Capitano Kirk, non solo la federazione è in debito con lei. Ho fuso la mia mente con quella di Spock quando l’ha portata qui. So quello che ha fatto per lui. E so del legame.”

“Immagino disapprovi.” Lo interruppe Jim. Spock si affrettò ad intervenire.

“Jim, ti prego, lascia finire mio padre.”

“Spock è e sarà sempre figlio di due mondi. Tocca a lui scegliere il suo destino. I giorni in cui ho creduto di potergli indicare un cammino prestabilito sono finiti. Tuttavia, per quanto gli abbia significato tutte le conseguenze di un legame con una creatura come lei, capitano, devo confessare che nessuna logica può affrancarmi dalla preoccupazione che provo sapendo che lui è là fuori più di quanto non lo faccia la consapevolezza che lei è suo compagno.” Jim annuì. Sarek si alzò e gli mise una mano sul capo. “Oggi guadagno un figlio. Che il vostro legame sia forte e benedetto.” Lasciando il giardino, il vulcaniano passò accanto a Spock. 

‘A tua madre sarebbe piaciuto.’ 

‘Sì. Le sarebbe piaciuto molto.’ Sarek li lasciò soli.

“Spock.” La voce di Jim richiamò l’altro dai suoi pensieri.

“Dimmi, Jim.”

“Quanto ho dormito?”

“Due settimane.”

“E sono ancora ridotto così?” Esclamò Kirk.

“Eri morto. Ti ci vorrà una riabilitazione di circa un mese stando ai calcoli del dottore.”

“Un mese?”

“Approssimando per difetto.” Jim fece forza sul braccio sano per cercare di mettersi seduto. Spock gli fu accanto in due passi e lo aiutò. Lo sguardo di Jim cadde su un ciondolo che aveva al collo. Lo prese e lo osservò. Era il simbolo della flotta stellare. Sembrava saldato e lavorato con delle incisioni.

“Cos’è questo?” Spock glielo prese dalle mani.

“Quando Harrison ti ha colpito, si è rotto. L’ho riparato.” Jim lo riprese e lesse l’incisione.

‘Sono e sarò per sempre tuo amico.’ Jim piegò la testa di lato.

“Sono parole dell’ambasciatore Spock. Le ha usate per definire il nostro rapporto. Un rapporto che lui ha vissuto per decine e decine di anni. Volevo che sapessi cosa significa far parte della flotta per me. Anche se adesso puoi leggere i miei pensieri.” Kirk strinse il ciondolo.

“Lo porterò sempre. Mi dispiace averti dato la sensazione di voler spezzare il legame quando ho cercato di metterti in salvo sulla Jupiter.”

“Ho capito. Avevi previsto le mie azioni e hai persino chiesto a Scott di impedirmi di usare il teletrasporto.”

“Non ha obbedito. Ricordami di rimproverarlo quando tornerò a bordo.”

“A dire il vero, l’ha fatto. Ho dovuto usare il phaser su stordimento per liberarmene.”

“Spock!” Esclamò Jim mettendo su un’espressione indignata.

“Mi sono già scusato per questo.”

“Hai fatto qualcos’altro che dovrei sapere?”

“E’ tutto, ritengo.”

“Ok. Ora mi dici cos’è questo posto?”

“E’ il giardino pensile dell’abitazione della mia famiglia. E’ stato realizzato in modo simile a quello che mia madre era riuscita a coltivare su Vulcano.”

“E’ bellissimo.”

“Il dottore diceva che ti serviva un’ambiente più caldo e confortevole dell’infermeria della nave. Ho pensato che fosse adatto.” Jim si sbilanciò in avanti e sentì un forte dolore al petto. Si lamentò. “Jim, te ne prego, fa attenzione.”

“Aiutami a sdraiarmi.” Disse Kirk e Spock gli passò di nuovo le braccia dietro nuca e spalle e l’adagiò sotto la coperta. “Grazie.”

“Riposa. Devi dormire.”

“Credo proprio che lo farò. Sono stanco, Spock.” Il vulcaniano sentì qualcosa tirare dentro.

“Allora riposa, Jim. Veglierò su di te.”

“Lo so,” disse Jim chiudendo gli occhi, “non permettere a Bones di infilarmi aghi nel collo.” Spock avvicinò una mano al suo viso ma non lo toccò.

“Nessuno ti toccherà.”

“E tu non svegliarmi, ok?” Spock sentì un’ondata di emozioni fortissime colpirlo dolorosamente.

“Dormi serenamente. Tutto il tempo che vuoi. Quando ti sveglierai, scoprirai che sono ancora qui.”

Spock si risedette ai piedi del divano. Una mano al libro e una stretta a quella di Jim.

 

Fine.

Piccole note dell’autrice:
Siamo arrivati alla fine. Non sapete quanto è difficile salutare i personaggi di una storia che hai amato dalla prima all’ultima riga. O forse sì. Penso lo sappiate, ad essere sincera.
Ad ogni modo, questo non è un addio.
Arrivederci a tutti e grazie per il supporto. Se la storia vi è piaciuta, portatela con voi. Se no, detestate me, non lei. La  piccolina non ha colpe. 
Lunga vita e prosperità.
Mary
 

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