Rebelles

di Ariadne Taylor
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


La notte era già scesa su Bordeaux, e la luna risplendeva sui malandati grattacieli. I cittadini dormivano e nella città regnava un silenzio tale da farla sembrare quasi irreale, come in un sogno; si udiva solo il rumore dei passi dei soldati che giravano per le vie buie armati di manganello, scudo e torcia.
Da quando il Direttore era stato ucciso, quattro mesi prima, il Sommo Imperatore aveva dato l’ordine alle truppe militari di controllare giorno e notte, ventiquattro ore su ventiquattro, le varie provincie del Paese.
Sembrava tutto tranquillo, ma qualcuno si muoveva nell’ombra: ovviamente stando ben lontano dalle luci dei soldati. Benjamin era veloce, e in quel momento quella era una dote molto utile considerando che era in tremendo ritardo per la riunione. Charles lo avrebbe ucciso, quella sarebbe stata la volta buona.
Si incanalò in un vicolo stretto e giunse davanti a quello che si definirebbe un semplice muro, ma in pochi sapevano del segreto che nascondeva: bastava premere su un mattone in particolare per far aprire una porta. C’erano delle scale; il ragazzo scese due scalini alla volta, rischiando anche di inciampare, e finalmente arrivò davanti all’entrata del loro rifugio, che loro chiamavano Quartier Generale.
La riunione a cui doveva andare era quella dei Rebelles, di cui egli stesso era uno dei capi.
I passi di Benjamin rimbombavano in quel breve corridoio che lo separava dalla porta. Dopo qualche minuto arrivò in una sala dove si trovavano una ventina di persone sedute intorno ad un lungo tavolo, alla sua estremità si trovava un ragazzo dagli occhi castani, il secondo capo.
“Scusate il ritardo, ragazzi” disse il biondo, andandosi a sedere sull’altro capo della tavola in modo da avere Charles davanti a se.
“Hai avuto una nottata interessante, eh Roseman?”
“Chiudi quella boccaccia, Zack, se non vuoi beccarti una pallottola in testa” ringhiò Benjamin.
Camille riportò il silenzio schiarendosi la voce, le bastava anche quel semplice gesto per essere ascoltata.
“Ora che ci siamo tutti” disse, e lanciò un’occhiata eloquente all’altro capo – “possiamo cominciare con il motivo per cui abbiamo convocato questa riunione. Abbiamo ricevuto delle notizie da Lormon riguardanti un'insurrezione avvenuta ieri pomeriggio. Sembra che qualcuno abbia proclamato pubblicamente la sua approvazione nei confronti del nostro gesto di quattro mesi fa, o meglio, di quello che ha fatto Benjamin.”
Infatti era stato lui, quattro mesi prima, ad uccidere il Direttore scatenando una rivolta contro il Sommo Imperatore e il suo governo.
“La rivolta è ancora in vita, quindi? Era ora che a Lormon qualcuno si ribellasse, lì i cittadini sono in situazioni molto più miserabili delle nostre.” Disse Louisiana. La ragazza, pur avendo un aspetto dolce e benevolo, poteva facilmente diventare sadica e crudele. Era molto abile nel tiro con l’arco, imbeveva la punta delle frecce in alcuni veleni di serpente in modo da farle diventare letali, bastava anche solo toccarle per morire intossicati. Odiava le ingiustizie e forse era per quello che si era unita ai Rebelles: perché una dittatura non è mai giusta.
“Capite che influenza abbiamo sul popolo? Stiamo silenziosamente accendendo nei loro cuori lo spirito della rivolta, credo che presto giungerà il momento di uscire allo scoperto, anche se purtroppo non abbiamo idea di come fare, senza rimetterci la pelle. Se qualcuno ha qualche proposta, che parli pure” terminò Charles, guardando negli occhi tutti i presenti.
Passarono alcuni minuti di silenzio, poi Charles si alzò e proclamò la fine della riunione aggiungendo che se qualcuno aveva qualche idea poteva far recapitare il messaggio a lui o Benjamin in qualsiasi momento.
 
I Rebelles facevano parte del popolo, avevano una vita normale e un lavoro mal pagato, come tutti. Proprio per questo non davano nell’occhio.
Liam, per esempio, era il postino di un quartiere di Bordeaux. Non veniva pagato molto, ma almeno aveva una moto datagli dal governo; non che potesse utilizzarla fuori dagli orari di lavoro, ovviamente.
Felipe e Louisiana, come molti altri, lavoravano in una fabbrica. La loro vita era dura, perché lavoravano otto o dieci ore 
dipendeva dal volere del Sommo Imperatore  ma ricevevano uno stipendio misero con cui faticavano a pagare tutte le bollette e procurarsi da mangiare.
Perfino chi aveva un negozio suo in centro come Benjamin, che possedeva una piccola panetteria, era tenuto a dare, ogni mese, al governo una somma di denaro – un’extra alle tasse regolari – ricavata dai suoi guadagni.  Quella era una vera ingiustizia, ma chi aveva il coraggio di andare contro la legge? Le regole parlavano chiaro: chi disobbediva al governo poteva pagare anche con la vita. E i fatti degli ultimi anni insegnavano che non era solo un modo di dire per incutere paura, ma l'agghiacciante e cruda realtà.
Benjamin ci stava riflettendo proprio in quel momento, dietro al bancone del suo piccolo negozio.  Ad un tratto sentì la porta aprirsi e richiudersi subito dopo con un leggero tonfo; era entrato un cliente. 
“Ciao, Diego” lo salutò. Lo conosceva bene, quell’uomo abitava con la moglie Jasmine lì vicino e veniva a prendere il pane quasi ogni giorno.
“Ti porto il tuo solito pane, come stanno Jasmine e la piccola Eugénie?” domandò il giovane mentre gli consegnava un sacchetto con dentro due pagnotte fatte con la solita e unica farina di cui il suo forno disponeva. Il ragazzo si soffermò per qualche secondo ad osservare il volto del cliente: era stanco e rassegnato, gli occhi stavano perdendo la loro luce naturale e per la prima volta da quando lavorava lì – era già qualche anno –  si rese conto di come la tirannide stesse rovinando le persone: tutti avevano perso la speranza.
“Come sempre, Jasmine è stanca e Eugénie gira per la città dalla mattina alla sera tentando di racimolare qualche soldo, perché non possiamo permetterci di mandarla a scuola. Sai, vorrei tornare in Italia e rifarmi una vita lì con la mia famiglia.”
“Lo sai meglio di me che Lui non lo permetterà.”  Il tono di Benjamin era rimasto neutrale. Lo stato di Bordeaux  era isolato dal resto del mondo, sia geograficamente sia  economicamente.
“Ci vorrebbe una rivoluzione, sono stanco di vivere così. Mi chiedo che fine abbia fatto quella persona di quattro mesi fa, ricordi Benja? Quella che ha sparato al Direttore.”
Una scintilla di curiosità guizzò negli occhi azzurri del proprietario, che si sporse lievemente dal bancone e rispose a Diego, mantenendo sempre l’impassibilità e la freddezza che lo caratterizzavano: “Come dimenticarlo. Ma se lui tornasse, tu lo appoggeresti? Andresti contro il governo per reclamare la tua libertà?”
Il castano rimase sorpreso dalle domande dell’amico e scorse nei suoi occhi una strana luce, mai vista prima. Lasciò le monete sul bancone e si diresse verso l’uscita, solo quando fu davanti alla malandata porta di legno gli rispose: “Ti dico soltanto che quando ho visto il Direttore cadere a terra ho ricominciato a sperare.”
E nell’udire quelle parole Benjamin ebbe un’illuminazione.
 
Era una giornata nuvolosa, a Bordeaux. Fuori dalle mura del palazzo imperiale le guardie svolgevano il loro lavoro impeccabilmente, senza mostrare il minimo segno di cedimento al freddo di quel gelido gennaio.
Come ogni prima domenica del mese, era quasi ora del discorso di rito dell’Imperatore: ogni volta si affacciava dalle sue stanze e si mostrava al popolo, raccolto davanti alla reggia per assistere al loro governatore che a gran voce ribadiva le leggi fondamentali dello stato di Bordeaux, valide per i cittadini della capitale e anche per quelli di quei paesi limitrofi che erano sotto il controllo del piccolo stato indipendente.
Era di vitale importanza, secondo l’Imperatore, ricordare a tutti i suoi sudditi i precetti fondamentali che dovevano seguire nella loro vita quotidiana. Era uno dei tanti metodi che adoperava per mantenere quanto più possibile l’ordine e il  rispetto.
Aveva appena finito di salutare freddamente il suo pubblico e stava per partire, come solitamente faceva, dalle leggi sul lavoro e sui doveri che ogni operaio o piccolo imprenditore aveva nei suoi confronti, quando la chioma bionda di Benjamin si fece spazio silenziosamente tra la folla.
Il Direttore, braccio destro dell’Imperatore, era in piedi orgogliosamente al suo fianco, annuendo ad ogni affermazione di quest’ultimo, in segno di condivisione.
La rabbia bruciava nelle vene di Benjamin quasi quanto la fame nel suo stomaco. Non erano tempi facili per quelli come lui. E con la stessa intensità della sua rabbia stringeva la pistola nella tasca interna del suo cappotto.
Guardò la grande quercia ultracentenaria che si erigeva di fronte al palazzo, da sempre simbolo della longevità e prosperità del regno. Facendo attenzione a non farsi notare da nessuno, vi si arrampicò, sino ad uno dei rami più bassi, per poter scendere più facilmente dopo, senza far troppo trambusto.
Si mimetizzò perfettamente tra la chioma dell’albero, così folta anche d’inverno.
Era il momento dell’elencazione dei reati e delle relative pene.
Benjamin estrasse la pistola dalla tasca, e cominciò a studiare il suo obiettivo dal mirino.
Ad ogni parola pronunciata dall’Imperatore o dal Direttore, piena sempre più visibilmente d’odio e di disprezzo nei confronti di un popolo che sfacciatamente continuavano ad affermare di amare, Benjamin era un secondo più vicino al suo momento. Non era il caso di mettersi a tremare proprio adesso che era così vicino al suo obiettivo; ma cuore gli batteva nel petto, forte come dieci tamburi, veloce come il vento.
Tutto sembrò fermarsi nel momento in cui, finalmente premette il grilletto.
Pareva esserci stato un silenzio tombale fino ad allora, perché il boato dello sparo fece tremare la terra sotto i cittadini di Bordeaux, e Benjamin quasi perse l’equilibrio sul ramo, ma riuscì a rimanere abbastanza concentrato da cogliere con i propri occhi il momento esatto in cui il proiettile colpì alla testa il Direttore, freddandolo all’istante, e il suo corpo scomparve dietro al parapetto da cui erano affacciati lui e l’Imperatore, toccando il pavimento con un tonfo sordo.
Il popolo cominciò ad urlare: l’Imperatore era pietrificato, una sua guardia lo scortò al sicuro nelle sue stanze mentre un’altra si piegò sul corpo senza vita del Direttore. Le guardie fuori dalle mura cercarono di contenere e allontanare la  folla, e Benjamin approfittò del momento di confusione per scendere silenziosamente dall’albero e strisciare fino ad uno dei vicoli meno illuminati della città.
Fu qui che scoprì il passaggio segreto, quel minuscolo misterioso angolo di città abbandonato nel tempo. Da quel giorno divenne il suo rifugio.



Ho ripescato questa storia che avevo iniziato a sviluppare anni fa con una mia amica, (BenjAnto qui su efp) che ha il merito di avermi sempre dato le idee migliori. Non sarà una storia con moltissimi capitoli, ma sicuramente sarà intensa e spero che questa prima parte abbia stimolato la vostra curiosità e vi abbia almeno un po' invogliato a seguire i Ribelli nella loro missione. Come sempre mi fa piacere leggere i vostri pareri nelle recensioni!

Ariadne Writes.

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Charles Bailey era intento a preparare dei caffè dietro al bancone, come ogni giorno da un po’ di anni ormai. Guadagnava una miseria e ripeteva le stesse azioni meccanicamente, ogni giorno. Poca gente poteva ancora permettersi di andare a fare colazione in un bar; alcune persone non potevano permettersi di farla affatto.
Da quattro mesi la caccia all’uccisore del Direttore non aveva trovato pace, né tantomeno un colpevole. L’Imperatore aveva espresso la priorità, come al solito, di mantenere il più assoluto ordine, e non tentare di estorcere la verità ai cittadini con la violenza, ma mantenere un profilo più basso in modo tale che il colpevole, sentendosi poco il fiato sul collo, avrebbe potuto abbassare la guardia.
Charles udì qualcuno, fra i pochi clienti nel locale, dire qualcosa riguardo ad una possibile rivoluzione. Tentò di non mostrarsi attento a quelle voci, ma sentì una minuscola scintilla di speranza scaldargli il cuore.
Da quando aveva soccorso Benjamin, che si era ferito gravemente alla gamba scendendo dalla quercia – anche se lui inizialmente non sapeva perché – aveva sempre creduto che il popolo alla fine si sarebbe attivato. Forse pian piano tutto ciò si sarebbe finalmente realizzato.
Ricordò quanto tempo c’era voluto perché Benjamin si aprisse con lui, svelandogli il suo segreto. Aveva dovuto guadagnarsi la sua fiducia, e non fu facile, ma dopo alcune settimane il risultato fu talmente positivo che divenne con lui capo e fondatore dei Rebelles. Sapeva che avrebbero presto fatto proseliti, perché tutti erano ormai in condizioni disperate in quel Paese, e rischiare di morire per cambiare le cose sembrava ormai una scelta più allettante che lasciarsi morire sotto quel governo e basta.
L’unica cosa che temeva profondamente era la possibilità di venire ingannati da spie o da traditori. Era un rischio che sapevano di dover correre, ma Charles sperava, in cuor suo, che i loro compagni fossero tutti mossi dalle loro stesse, nobili intenzioni, e non dalla voglia di diventare degli eroi agli occhi dell’Imperatore. Chiunque la pensasse così, del resto, era un grande illuso: per l’Imperatore non c’erano e non ci sarebbero mai stati eroi.

La reggia del Sommo Imperatore era situata su una collinetta fuori dal centro di Bordeaux. Sembrava tanto la reggia di Versailles, o uno di quei castelli descritti nelle fiabe con un principe e una principessa. Peccato che non fosse realmente così: ci vivevano soltanto il Sommo Imperatore, la sua famiglia e i suoi consiglieri. Loro, al contrario del popolo, vivevano agiatamente e non gli mancava nulla. I loro figli non erano mai stati visti dalla popolazione, nessuno conosceva il loro sesso, il loro aspetto o la loro età. Restavano sempre dentro l’enorme castello, protetti dalle imponenti mura che lo circondavano.
Annalise Martin se ne rendeva conto solo in quel momento, seduta su uno dei rami del ciliegio più bello della reggia. Non aveva mai visto Bordeaux e il territorio dello stato in cui sorgeva il loro regno, la Francia, né sapeva come vivevano i cittadini loro sudditi. Suo padre, il Sommo Imperatore, Marcel De la Roche Martin, ne parlava come un luogo pericoloso, dove servivano costantemente truppe di soldati per riportare l’ordine. La giovane dai capelli d’oro, però, sentiva che c’era qualcosa che non le dicevano, aveva l’impressione che le stessero nascondendo qualcosa.
E poi c’era quell’ardente desiderio di uscire da quelle mura, di esplorare la Francia e tutto il resto del mondo. Più di una volta aveva avuto la tentazione di provare a scappare, oltre quelle mura enormi. Sentiva di non appartenere a quel posto, c’era come una vocina nella sua testa che gli ripeteva di fuggire via, di andarsene lontano e non tornare mai più. Faceva anche dei sogni strani ultimamente, e la cosa la inquietava parecchio.
 
Urla.
Volti di persone che corrono da tutte le parti.
Rumore di spari.
Poi c’è silenzio. È un silenzio strano, inquietante. Ho paura.
Un uomo si avvicina a me, non riesco a scorgere il suo volto. Poi la scena svanisce, ed è tutto nero.
 
“Anne! Che ci fai su quell’albero? Scendi!”
Una voce familiare fece uscire Annalise da quello strano stato di trance in cui si trovava.  Volse lo sguardo in basso, verso l’erba del giardino, e trovò due occhi castani a guardarla.
Sorrise leggermente nello scorgere la figura di Belle Louise Martin, sua sorella maggiore, nata appena un anno prima di lei, intenta a guardarla.
“Adesso arrivo”  le urlò di rimando, saltando agilmente giù dalla quercia.
“Senti Belle, tu hai mai pensato a cosa ci può essere fuori da queste mura?” le chiese mentre passeggiavano nell’enorme giardino della reggia.
La sorella inarcò il sopracciglio e la guardò con aria confusa. “Che intendi dire?”
L’altra si fermò di colpo e guardò i fili d’erba che brillavano al sole, un sorriso malinconico si dipinse sul suo volto.
“Non hai mai desiderato vedere Bordeaux, la Francia, o addirittura tutto il mondo? Non sei stanca di essere rinchiusa qui dentro?”
A quelle parole Belle spalancò gli occhi e la bocca, dopo quel discorso ne era sicura: la sua amata sorella era impazzita.
“Che stai dicendo?” le urlò contro, “Non si può andare fuori, è pericoloso! Papà ce lo ripete sempre!”
“Troppo pericoloso, dici? Io dico non è vero, e poi siamo abbastanza grandi per badare a noi stesse, non siamo più bambine – abbiamo diciotto anni! Papà ci nasconde qualcosa, me lo sento. Potremmo… scappare, anche solo per un giorno, soltanto per vedere Bordeaux. Che ne dici?”

 

Questo secondo capitolo è un po' più breve rispetto al primo, ma ci introduce un po' quella che è la vita anche oltre le mura della reggia di Bordeaux. Spero vi piaccia!
Ariadne Writes.

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


La notte era tornata su Bordeaux e, mentre tutti dormivano, i Ribelli pensavano ad infiniti piani, si arrovellavano per trovare la chiave che avrebbe garantito loro l’accesso alla libertà.
Avevano indetto un’altra riunione e si erano radunati di nuovo nel Quartier Generale.
Sembrava che Michael e Jeremy avessero un piano.
“Quindi è questa la vostra idea? Siete coscienti che è una cosa molto pericolosa da attuare? Potreste rimetterci la vita.” Hazel era molto saggia e sveglia, diceva sempre le cose come stavano, ma con una diplomazia impeccabile.
“Ne sono perfettamente consapevole, ma preferisco morire lottando per qualcosa in cui credo che morire di fame sotto un’oppressione. E poi tutti noi sappiamo che qualcuno di noi non ce la farà, ma il nostro sacrificio non sarà inutile, se il Paese sarà libero.”
Nello sguardo di Jeremy si poteva percepire tutta la sua volontà, la voglia di cambiare e il coraggio. Lo stesso che lo aveva spinto ad andare contro tutto e tutti, ad unirsi ai Rebelles e sostenere la rivolta. In quegli occhi azzurri c’era uno strano luccichio, che aveva convinto venti persone a seguire quella sua rischiosa idea.
Tutti i presenti lo guardarono in un muto assenso, erano pronti.
L’idea di Michael e Jeremy consisteva nel difendere attivamente i cittadini in modo da guadagnarsi la loro fiducia e il loro appoggio. Spesso i soldati, incaricati di “proteggere”  la popolazione approfittavano soltanto del loro ruolo: quasi ogni giorno si sentiva parlare di violenze e abusi. Il Sommo Imperatore non aveva mai fatto niente per fermare ciò: i soldati, nella gerarchia sociale, erano superiori ai comuni cittadini e andavano rispettati, avevano il libero arbitrio su coloro che erano reputati inferiori.
Il loro piano consisteva nel tentativo, ove fosse possibile, di bloccare i soldati ogni volta che assistevano a qualche abuso o ingiustizia. Sarebbero diventati una specie di protettori del popolo.
Ovviamente non potevano farsi riconoscere, come minimo il Sommo Imperatore ne avrebbe ordinato il sequestro e li avrebbe condannati a morte. Avrebbero nascosto il loro volto con delle maschere veneziane. Così, avrebbero potuto mantenere l’anonimato e insieme garantire la propria incolumità nei momenti in cui non operavano; allo stesso tempo avrebbero attirato l’attenzione del popolo e, almeno speravano, avrebbero smosso qualcosa.  Arthur, che lavorava nel negozio di abbigliamento della madre, avrebbe procurato tutto il necessario.
La vera Rivolta stava per cominciare.
 
Annalise era appoggiata all’umida parete dei sotterranei, le braccia conserte e gli occhi chiusi. Quel posto le era sempre piaciuto, era silenzioso e le sembrava essere avvolta da un alone di mistero.
Effettivamente, qualcosa di nascosto c’era: un passaggio sotterraneo che Belle aveva scoperto qualche mese prima. Non lo aveva mai percorso, principalmente per paura, ma era quasi sicuro che portasse in città. Annalise aveva deciso di percorrerlo la mattina seguente: finalmente avrebbe visto Bordeaux.
“Scusa il ritardo, Anne, ci ho messo un po’ di tempo per evitare tutti i servitori che girano per il castello.”
Davanti a lei si presentò Belle, avvolta da una mantellina scarlatta come la sua. Il cappuccio, calato sulla testa, faceva intravedere gli occhi castani e quel ciuffo ondulato che aveva sempre davanti al viso. Lei, al contrario di sua sorella, non era molto entusiasta di quella trasgressione: si era lasciata convincere solo per amor suo e perché sapeva che Annalise, altrimenti, sarebbe fuggita anche da sola; ovviamente lei non avrebbe mai potuto lasciare che ciò accadesse, non avrebbe sopportato il pensiero della sorella minore da sola, in balia di una città di cui non conosceva nulla e che era potenzialmente una fonte di pericolo.
Belle aveva ribadito più volte che le regole erano state state fatte per proteggere le persone, e pertanto bisognava rispettarle; almeno, era quello che le ripeteva sempre suo padre. Di fronte ad Annalise, però, non era riuscita a rifiutare. Forse era colpa della sicurezza che mostrava: riusciva sempre a rigirare le cose a suo favore. Inoltre, Belle si fidava ciecamente di lei. Sapeva che lei e Annalise si sarebbero protette a vicenda, in qualsiasi circostanza.
Era da quasi mezz’ora che camminavano lungo quel tunnel stretto e buio; la torcia illuminava il terreno fangoso sul quale camminavano, stando ben attente a non inciampare.
“Ah, ma quanto manca alla fine? È da tantissimo tempo che camminiamo senza aver trovato nulla! Temo che rimarremo imprigionate qui per sempre.”
Annalise sbuffò all’ennesima lamentela della sorella, odiava quando si comportava come una bambina viziata, facendo esaurire la sua già scarsa pazienza.
“Sarà passato solo un quarto d’ora, smettila di frignare e continua a camminare, lamentarti non serve a nulla.”  Quasi ringhiò le ultime parole e lei la smise… per poi ricominciare dieci minuti dopo.
A fermare l’istinto omicida di Annalise fu un qualcosa di indistinto in fondo a quell’immenso corridoio. La ragazza lo illuminò con la torcia e sorrise, felice di constatare che si trattava di una porta. Ci fu un istante di assoluto silenzio, le due ragazze avevano addirittura smesso di respirare.
“Anne?”
“Sì?”
“Secondo te quella è…”
Sì.
Subito le fanciulle corsero emozionate verso quell’uscita, Annalise finalmente felice di aver trovato quel che cercava, Belle improvvisamente dimentica delle sue preoccupazioni e trepidante di curiosità verso quel passaggio che si apriva sul mondo.
 
Michael alzò lo sguardo dal giornale che stava leggendo quando sentì la porta del negozio aprirsi. Tra tutte le persone che potevano varcare quella soglia, lui era l’ultimo che si aspettava di vedere.
Occhi come la notte e pelle caramellata, Timothy si era seduto sul vecchio pavimento di legno – il negozio era privo di sedie o tavoli – e lo guardava aspettandosi la fatidica domanda.
“Cosa ci fai tu qui?” Appunto.
Il ragazzino mostrò un sorrisetto furbo e, allungando le gambe per stare più comodo, disse: “I ragazzi sono tutti impegnati, così ho deciso di venire qui, non sei contento di vedermi, Mickey?”
Michael stentava a credere che il ragazzino che stava guardando in quel momento fosse lo stesso trovato due anni prima sotto un ponte insieme alla sorellina di sei anni. Non aveva mai capito per quale assurdo motivo li avesse accolti in casa sua, forse gli ricordavano lui durante la sua infanzia. Aveva dato loro vitto e alloggio a una condizione: non dovevano mai disturbarlo durante il lavoro e, ovviamente, Timothy non la rispettava. Era un ragazzo ribelle, il cui unico desiderio era essere libero. E sapeva che Michael non li avrebbe mai abbandonati di nuovo per la strada: in fondo, provava affetto per loro.
I Ribelli erano nati per i giovani come lui, con sogni nella testa e un futuro ancora da scrivere.
“Tu non puoi stare qui. E non chiamarmi Mickey: mi irrita, detto da te.”
Il tono che aveva usato poteva spaventare chiunque per la freddezza e l’irritazione, ma Timothy non era “chiunque”.
Il moro infatti, come se non avesse sentito, si avvicinò al bancone e sporse il busto in avanti, per vedere cosa stava leggendo l’altro. Ormai era abituato alla sua freddezza.
“Quello è il giornale di Noah, giusto?”
Il diciannovenne si limitò ad annuire leggermente.
A Bordeaux, come probabilmente in tutta la Francia, venivano venduti due giornali: uno era quello approvato dal Sommo Imperatore, che conteneva articoli falsi, dove si parlava del sovrano quasi fosse una divinità, sempre gentile e generosa; l’altro era venduto al mercato nero, costava un po’ di più dell’altro, ma dava informazioni vere sulla vita delle persone, sulle continue violenze che venivano perpetrate sui giovani e, da qualche tempo, trattava anche delle rivolte di Lormon, paese in cui, tra l’altro, erano nati Timothy e la piccola Eloise, e da cui erano fuggiti dopo la morte dei genitori per mano del governo.
La madre di Timothy era una straniera, e quando furono scoperti l'Imperatore aveva ritenuto inconcepibile un mescolamento della razza pura del Regno di Bordeaux con quella di un altro paese qualunque, e per questo la famiglia era stata perseguitata. I genitori erano stati trovati e uccisi, ma non prima di essere riusciti a mettere in salvo i figli, camuffandoli e nascondendoli su un carro che portava a Bordeaux. Lì, anche se in condizioni terribili, avrebbero potuto vivere come due dei tanti orfanelli della città, e forse avrebbero avuto un'opportunità in più di vivere una vita migliore. L'Imperatore diede la caccia ai due bambini per un po' di tempo, ma poi se ne dimenticò, preso da questioni di più rilevante importanza. I due bambini erano scesi dal carro di soppiatto dopo aver realizzato di essere a Bordeaux, aveva cominciato a piovere e avevano trovato riparo sotto ad un ponte. Fu lì che Michael li trovò, infreddoliti e spaventati, stretti l'uno all'altra. Non pensò neanche per un secondo di lasciarli lì, e li prese con se.
I giornali si potevano trovare in luoghi sconosciuti ai soldati, ed erano scritti da autori anonimi; il suo, Michael l’aveva preso da Noah, amico di Timothy, nonché figlio adottivo di Georgia e Zack, che li vendeva in una vecchia casa abbandonata un po’ fuori dal centro della città.
“Quando hai finito me lo fai leggere?”
Il diciannovenne sbuffò per l’ennesima domanda del ragazzino.
“Timothy, sta’ zitto o ti mando fuori a calci.”
 
Belle non si sarebbe mai immaginata Bordeaux  in quello stato. Certo, sapeva che il popolo era meno ricco della sua famiglia, ma lì si parlava di povertà vera e propria. Molte case e condomini avevano l’intonaco scrostato, i piccoli giardini sembravano incolti e non curati da anni, e in alcune case al posto di alcune finestre o porte d’entrata c’erano dei buchi rettangolari, da dove i ladri potevano entrare facilmente. La cosa che l’aveva lasciata davvero senza parole erano i volti delle persone che camminavano sulle strade rovinate: erano tristi e rassegnate, sembrava che non conoscessero alcuna forma di felicità.
Sicuramente suo padre non ne era al corrente, altrimenti avrebbe fatto qualcosa, doveva essere così.
Era talmente persa nei suoi pensieri da non accorgersi che si era allontanata da Annalise – ritrovarla in mezzo a tutta quella folla era impossibile. Subito fu in preda all’ansia, che cosa avrebbe fatto da sola in una città sconosciuta? Non sapeva dove andare o che cosa fare!
Anne gli aveva detto che se si fosse persa sarebbe dovuta andare davanti al passaggio segreto che le aveva condotte lì, solo che non ricordava più dove si trovava. Non aveva mai avuto un forte senso dell’orientamento, spesso si perdeva tra le numerose stanze della sua casa. Come biasimarla, però, sapendo che aveva trascorso tutta la sua vita rinchiusa in una reggia, prigioniera nella sua stessa dimora.
Stava per scoppiare a piangere in mezzo alla piazza, quando un negozio attirò la sua attenzione. Era piccolo, ma gli abiti esposti nella modesta vetrina erano davvero belli, nemmeno i sarti di corte ne avevano mai fatti di così raffinati. Si mosse quasi meccanicamente verso la porticina di legno, come se fosse sotto un incantesimo.
All’interno il locale sembrava ancora più piccolo, ma i pochi vestiti esposti erano bellissimi, in particolar modo un completo messo in mostra su un manichino al centro della stanza: giacca in pelle rossa, maglietta bianca e pantaloni di jeans scuri, un abbinamento semplice, che per questo a lei piaceva un sacco. Non aveva vestiti del genere, a palazzo; doveva sempre indossare vestiti o tailleur, non poteva “conciarsi come una comune cittadina”, riportando le parole del padre. Ne era talmente ipnotizzata che non si accorse degli scatoloni davanti a lei e vi inciampò, cadendo rovinosamente a terra e rovesciando tutto il loro contenuto sul pavimento polveroso.
“Ehi, ragazzina! Attenta a dove metti i piedi! Guarda che hai combinato!”
Davanti a sé comparve un ragazzo, probabilmente di due o tre anni più grande di lei, con i dei lunghi ricci biondo scuro e due occhi di un castano intenso. Lei scattò subito in piedi, mentre il giovane si inginocchiò e incominciò a raccattare i vestiti sparsi sul pavimento e rimetterli come capitava nelle scatole; in fondo ai clienti non importava granché che fossero spiegazzati, bastava avere qualcosa da mettere addosso. La fanciulla, nel frattempo, era rimasta immobile.
“Stavi guardando quel completo, giusto? Cosa ti interessa, la giacca, la maglia o i jeans?”  il commesso la ridestò dai suoi pensieri, aveva già finito di rimettere in ordine e lo stava scrutando, come per capire a cosa pensasse. Quegli occhi la mettevano in soggezione, sembravano trapassarle l’anima.
“Beh… in realtà tutto il completo.” rispose Belle con semplicità.
Tutto?”  ripeté l’altro, guardandola incredulo. “Hai idea di quanto costi?”
Si chinò ai piedi del manichino, raccogliendo un pezzo di carta rettangolare abbastanza grande; sopra c’erano scritti i prezzi dei singoli prodotti e il totale. Glielo porse indicandole il prezzo più alto. Nessuno a Bordeaux poteva permettersi l’intero completo, ma sua madre non poteva abbassare molto i prezzi, avevano delle tasse troppo alte da pagare. Arthur scrutò quel volto, aspettandosi di vederlo sorpreso; invece, la principessa non cambiò espressione, semplicemente prese i soldi dalla borsa a tracolla che aveva con se, e glieli porse. Non capiva che cosa ci fosse di tanto strano, non era una cifra così alta, credeva che fosse piuttosto nella media per il paese, da quel che sapeva delle condizioni economiche dei suoi sudditi.
I suoi occhi scuri si spalancarono meravigliati, con tutto quel denaro forse sarebbe riuscito ad arrivare a fine mese con meno problemi del solito.
Chi diamine era quella ragazza?
Ora che ci pensava, non l’aveva mai vista a Bordeaux e non sembrava appartenerci. Lo si poteva notare anche fisicamente: era bella, non che gli abitanti della sua città non lo fossero, anzi; ma la sua era un bellezza diversa. Il suo viso, le sue espressioni, non erano segnate dalla sofferenza e dal dolore, come quelle di tutte le persone che lo circondavano: erano pure, come quelle di un bambino o di un angelo. Le sue piccole mani non erano come quelle delle altre donne, piene di solchi e di sporcizia dovuti al duro lavoro, ma erano lisce e rosee.
Sì, sembrava decisamente un piccolo angelo delicato.  E poi aveva molti soldi, che nessuna persona normale possedeva. Forse in qualcuna delle province c’erano più soldi? Anche se era un’idea poco plausibile, date le condizioni critiche in cui versava tutto lo stato, Arthur giunse alla conclusione che quella giovane misteriosa fosse la figlia o una parente di qualche capo d’azienda; ma non gli importava più di tanto alla fine, se aveva soldi da spendere: grazie ai Ribelli, non ci sarebbero più state quelle differenze, nessuno avrebbe più patito la fame mentre solo poche persone avevano il privilegio di avere qualcosa di più sostanzioso sulla propria tavola.
Non ci sarebbero più state ingiustizie.
“Va bene, ecco a te, puoi provare i vestiti lì” le disse, indicandole un angolo del negozio.
“Grazie” rispose Belle.
Arthur rimase incantato quando vide la giovane uscire dal camerino, che consisteva sostanzialmente un vecchio ripostiglio con una tenda per garantire la privacy.
La giacca rossa si sposava perfettamente con il suo incarnato roseo, mentre i jeans aderenti le fasciavano elegantemente le gambe. Se l’avesse vista per strada, quasi sicuramente ci avrebbe provato.
“Penso che lo comprerò, mi piace come mi sta!”  esclamò lei prima di sparire di nuovo nel camerino. Tornò poco dopo, con indosso il suo abito blu scuro e la mantellina rossa, e gli porse i soldi con una mano, mentre con l’altra teneva i nuovi acquisti.
“Ecco a te. Hai per caso un sacchetto per metterci i vestiti?”
Arthur rise amaramente alla domanda della sua cliente rispondendogli: “Vorrei dirti di sì, ma i soldi scarseggiano quindi abbiamo tagliato alcune cose superflue, tra cui le buste.”
Lei rimase molto sorpresa all’affermazione del commesso, la situazione doveva essere ben più grave di quel che credeva.
Perché mio padre permette tutto questo?
Quella domanda apparve improvvisamente  nella sua mente e ci mise un po’ per farla sparire. C’era una spiegazione assolutamente logica per tutta quella povertà, doveva esserci.
“Ah, perdonami, non fa niente. Spero di ritornare qui molto presto, buona giornata.”
Lo disse con una nota di amarezza nella voce, perché sapeva di non poter tornare, era meglio non contravvenire troppe volte alle regole del padre.
Belle si diresse così verso l’uscita del negozio, con l’intenzione di ritrovare Annalise, che sicuramente era molto preoccupata per lei. Riuscì a far entrare i vestiti nella sua borsa, e mentre con la mano afferrava la maniglia della porta, sentì la voce del giovane chiamarla. “Ehi, aspetta! Perdonami la domanda indiscreta, ma non ti ho mai vista qui in giro, e io conosco praticamente tutti qui. Volevo semplicemente sapere, come ti chiami?”
“Belle... Noel. Tu?” Adoperò un cognome falso, non voleva che qualcuno scoprisse la sua vera identità.
“Arthur,  Arthur Woods.”

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ***


Annalise avrebbe dovuto immaginare che sarebbe finita così. In fondo conosceva Belle, sapeva che aveva sempre la testa fra le nuvole. Era bastato volgere per un momento lo sguardo verso la folla in piazza per realizzare un attimo dopo che lei era sparita nel nulla: non riusciva più a vederla.
Sbuffò, sperando che la sorella non si fosse cacciata in qualche guaio. Se la loro vera identità fosse stata scoperta, sarebbero stati guai seri; non potevano permettere che accadesse.
Con i suoi occhi chiari continuò a cercare la mantellina della sorella, ma la sua attenzione fu subito attirata dal rombo di un motore. Un camion nero si fermò nell’ampia piazza: era la prima volta che vedeva un veicolo così da vicino. Per un periodo aveva persino creduto che in quella città ne fossero privi.
Si rese conto di quanto ogni minuto passato fuori da quel castello le faceva sembrare sempre più assurdo il fatto di aver vissuto nello stesso luogo per diciotto anni, ricevendo solo passivamente tutte le informazioni sul mondo, ma senza mai toccarle effettivamente con mano. Non le era mai mancato nulla, a corte, forse per questo era stato difficile rendersene conto: giochi di tutti i tipi nell’infanzia; un’istruzione impeccabile con i migliori insegnanti del Paese; passatempi quali film, libri, strumenti musicali; perfino damigelle selezionate appositamente per intrattenere le due principesse.
La sua parte preferita era stata sempre, però, quella proibita: c’era una stanza, a cui lei non avrebbe dovuto avere accesso ma che con la sorella aveva imparato a scassinare. Lì c’erano film e libri che il re aveva ritenuto meglio non entrassero in loro possesso; ma loro ci andavano spesso, anche solo per passarci il tempo, e per leggere le storie d’amore più avvincenti, come quelle degli avventurieri che s’innamoravano in giro per il mondo, che erano le sue preferite. Si chiedeva però, adesso che era fuori da quelle mura, se non ci fosse di più oltre a quelle storie d’amore che il padre voleva loro nascondere. Si ripromise di cercare più accuratamente in quella stanza, una volta tornata a palazzo quella sera.
Un altro rombo del motore la distolse dai suoi pensieri e la riportò alla realtà: quel camion le trasmetteva uno strano senso di inquietudine, che divenne timore quando ne vide uscire una decina di uomini. Annalise li riconobbe subito: erano i soldati di suo padre. Il centro di addestramento si trovava vicino al castello e quando si arrampicava sugli alberi riusciva a vederlo; ogni quattro ore partivano dei camion diretti verso terre a lei sconosciute; almeno fino a quel momento.
Erano alquanto ambigui in quel contesto, vestiti completamente di nero e armati di scudo e manganello, nella cintura un paio di pistole.
Il popolo non sembrava stupito di vederli: tuttavia, cercava di stargli il più lontano possibile, qualcuno al massimo gli lanciava di sfuggita un’occhiata seccata o impaurita.  I soldati parlottavano tra loro e ad un certo punto cominciarono a camminare, o meglio, a marciare, per la strada. Annalise capì subito che si trattava di un turno di servizio d’ordine, suo padre ne aveva parlato durante una delle sue lezioni private: per proteggere il popolo dai numerosi malviventi, aveva organizzato delle pattuglie che assicurassero la giustizia nella capitale. In quel momento, però, le sembravano terribilmente sbagliati.
Dove i soldati passavano si creava un varco fra le persone, si vedeva benissimo che il popolo aveva paura di loro e la cosa che la disgustava di più era che i soldati sembravano godere di quell’atteggiamento: avevano un sorriso beffardo dipinto sui loro volti.
Non avrebbero dovuto rassicurare il popolo, invece di terrorizzarlo? Non avrebbero dovuto rapportarsi con loro in modo da avere la loro fiducia, essere umili e non prevaricare nessuno inutilmente?
Più tempo passava in quel posto, più tutti gli insegnamenti che aveva appreso nel corso della vita le sembravano una menzogna.
L’urlo di quella che le parve essere una donna la ridestò dai suoi pensieri.
“Si può sapere che cosa volevi fare, sporca ladra?
Cinque soldati avevano circondato una ragazzina, di circa quindici anni, e uno di questi la teneva per il polso urlandole contro. Da quel che aveva capito, la ragazza aveva rubato una mela ed era stata scoperta.
“I miei genitori non ce la fanno a sfamarci tutti, hanno appena perso il lavoro… e io devo portare qualcosa ai miei fratelli!” tentò di giustificarsi lei.
Annalise rimase sconvolta da quelle parole, l’ennesima illusione sgretolata. Fin da piccola le avevano detto che la città, nonostante tutto, fosse una luogo dove si viveva bene, le persone lavoravano ed erano piuttosto felici.

Menzogne.

Sul volto del soldato comparve un sorriso maligno e alcuni suoi compagni sghignazzarono.
“Se il denaro è un problema, puoi sempre pagare in natura, non è forse vero, puttanella?”
Alla bionda si raggelò il sangue alla vista degli occhi della ragazzina, pieni di terrore e disperazione, e quella parola rimbombava ripetutamente nella sua testa.
 
Menzogne.


Era una cantilena fastidiosa, una nenia asfissiante che si imprimeva come inchiostro su carta nella sua mente.
 
Menzogne.

Per la prima volta nella sua vita non sapeva che cosa fare, era completamente paralizzata dallo shock. Per anni aveva immaginato cosa ci fosse oltre quelle mura enormi, che sembravano volerla tenere rinchiusa in una prigione d’oro.
Era davvero quella la libertà? Povertà e abusi in ogni dove?
Pregò mentalmente affinché quella ragazza si salvasse e gettò qualche occhiata alle persone nella piazza, ma nessuno sembrava volerla aiutare.
Continuavano a camminare, testa bassa e sguardo fisso sulle scarpe o sui piedi scalzi, ma si poteva leggere la paura nei loro volti.
Il soldato afferrò anche l’altro polso della ragazza, che urlava disperata, a tal punto che un altro degli uomini lì presenti dovette tappare la bocca con una mano, e tenerla ferma con l’altra. Uno di loro cominciò a sbottonarsi i pantaloni, e afferrò la gonna della fanciulla, che piangeva e singhiozzava, senza però poter più proferire parola. Cominciò a dimenarsi sempre meno, stremata dallo sforzo e scoraggiata dalla forza degli uomini che la immobilizzavano.
Il cuore di Annalise batteva all’impazzata, sentì la fronte imperlarsi di sudore, l’empatia verso quella fanciulla era così forte che poteva sentire quelle luride mani su di se, il dolore della loro stretta e il terrore di quanto sarebbe successo di lì a pochi secondi.
 
Menzogne.

Mossa dalla paura e dalla rabbia allo stesso tempo, la fanciulla cominciò ad avanzare verso quei soldati. Voleva, doveva salvare quella innocente vittima. Non stava pensando alle conseguenze a cui il suo gesto avrebbe potuto portare, e nemmeno al fatto che avrebbe potuto farsi molto male; sapeva solo che era la cosa giusta da fare.
Qualcuno evidentemente ebbe la sua stessa idea, e la anticipò. Una freccia, comparsa dal nulla, infilzò la carne del collo del soldato, e questo cadde a terra inerme lasciando il polso della ragazza. Non ebbero nemmeno il tempo di capire cosa fosse successo, che anche gli altri quattro caddero al suolo, uno dopo l’altro, uccisi dalle frecce.
Tutti, in quell’enorme piazza, si fermarono.
Qualcuno aveva osato sfidare la legge.
E proprio quel qualcuno guardava dall’alto di un tetto di un palazzo la sua opera, il cappuccio nero ben calato in testa e l’arco in una mano. Louisiana.
Un sorriso soddisfatto le si dipinse sul volto, celato dietro la maschera decorata da ghirigori dorati.
Un altro passo era stato fatto.

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