Diario di una vita infelice.

di Chiaroscura69
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Oggi, domani e dopo ancora ***
Capitolo 2: *** Caro amico, amante, amore sfiorato e deturpato. ***
Capitolo 3: *** Amore ***
Capitolo 4: *** Il Fondo. ***
Capitolo 5: *** Nichilista ***
Capitolo 6: *** Connessione. ***
Capitolo 7: *** Rovi. ***
Capitolo 8: *** Il mio cordone ombelicale. ***
Capitolo 9: *** Depressione ***
Capitolo 10: *** Abbastanza. ***
Capitolo 11: *** Pianta ***
Capitolo 12: *** Specchio ***
Capitolo 13: *** Inadeguata ***
Capitolo 14: *** Labirintite ***



Capitolo 1
*** Oggi, domani e dopo ancora ***


Non so perchè sto scrivendo.
Mi trascina un inspiegabile malessere che non ho voglia di conoscere. Ho guardato talmente tanto a fondo nel mio abisso che ho perso troppi gradi di vista. Ora tutto mi appare sfocato, scostante e pericolosamente volubile.
Non mi so aggrappare a nessuna certezza.
Faccio sogni strani, che mi confondono. La mia psiche sembra non riuscire a reggere tutti gli stimoli che le provengono dai ricordi. Così il mio passato, che provo a scacciare durante il giorno, viene a tormentarmi la notte. Mi sveglio stanca, spossata e triste.
Non mi sembra giusto vivere, perchè ritengo che tante persone cercano di stare aggrappate alla vita il più possibile ma quella si sgancia, incurante, dalla loro presa. E poi ci sono io, che mi sveglio ogni giorno delusa di essermi svegliata ancora. Perchè se la vita è morire ogni giorno di più, se la vita è vedere i propri sogni estinguersi lentamente sotto i nostri propri occhi, sapendo di non poter fare nulla, allora non ha senso viverla.
Allora non si vive, si esite.
Ecco questa è l'unica cosa di cui io sono certa: esisto.
Esisto perchè respiro, perchè penso, perchè cammino. Non vivo perchè non amo, non spero, non sogno più.
Sono consapevole che non si possa ridurre tutto all'amore, anche perchè sarei subito accusata di essere una povera, sciocca, illusa, romantica delusa. E non è così. O perlomeno non è solo questo. Sì, l'amore mi ha fatto male e confesso che ogni giorno mi chiedo che abbia fatto di male per meritarmi certi trattamenti, ma se ci fosse un sogno, un obiettivo, una speranza, io non starei così male.
Ho sopportato tutto ciò che mi hanno fatto con l'unica prospettiva che io un giorno sarei andata via da qui e sarei diventata qualcuno, perchè avevo qualcosa che tutti gli altri non avevano: un talento.
Immaginatevi quale grande delusione debba essere stata per me scoprire che quel talento è talmente poco comune che in realtà lo hanno tutti. Sapevo sognare, sapevo essere ambiziosa. Sapevo guardare in grande. Ora non sono sicura di nulla, e mi sento così fragile che davvero mi chiedo come possa essere ancora viva.
Ho paura di vivere.
Ho paura di amare ancora.
E mi sento così sola.
Mi sento sola sempre, quando parlo con qualcuno, quando sono a lezione, quando ascolto musica, quando scrivo, quando leggo, quando respiro. Non c'è più nulla che allievi il mio malessere. Quando ero piccola ricordo che mi piaceva rifugiarmi nei libri fino a dimenticare il mio nome e la mia vita; ora, anche i libri sembrano ricordarmi beffardamente che i protagonisti hanno sempre un lieto fine.
Io no.
Davvero, non so perchè sto scrivendo. Oggi è stata una giornata triste, ma ormai lo sono tutte. Così sono veramente sorpresa quando ne capita una felice. Sì, perchè a volte mi sveglio forte e mi sembra di poter dominare tutti i miei problemi, mi sembra di poter essere ottimista riguardo al mio futuro. E mi sembra che non debba essere così complicato essere amati per ciò che si è. Mi sembra che non ci sia bisogno di mascherarsi sempre, che a volte si possa mostrare anche il proprio volto pieno di cicatrici e paure. Vorrei svegliarmi tutti i giorni così, ma purtroppo non dipende da me.
A volte ogni guizzo di allegria viene brutalmente spento dalla negatività di chi mi sta intorno, come un soffio leggero su una candela.
Non posso essere felice se mi rendo conto che chi ho accanto preferirebbe vedermi triste.
Ora la smetto di piangermi addosso.
Perchè le lacrime mi stanno prosciugando.

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Capitolo 2
*** Caro amico, amante, amore sfiorato e deturpato. ***


Caro amico, amante, amore sfiorato e deturpato,
ho pensato a lungo a come sarebbe potuta o dovuta finire tra noi, e ognuna delle mie alternative era migliore di questa.
Urlare soffocata dalle lacrime mi avrebbe logorata, ma anche aiutata ad accettare un addio che sarebbe stato inesorabile, certo, ma comprensibile.
Una risposta, una scusa, seppur banale e sciocca, mi avrebbe aiutata ad accettare la nostra separazione; avrei letto fra le righe, avrei sofferto comunque, ma non ti avrei odiato. Vedere i tuoi occhi freddi e vuoti mi avrebbe dilaniata nella certezza del mio amor non corrisposto, ma non te ne avrei mai fatto una colpa.
Tu invece hai lasciato pronunciare le parole più atroci alle labbra del Silenzio, la più crudele delle Entità.
Hai dato l'onore e l'onere di lasciarmi al Silenzio; ad un lungo, prolungato, infinito, Silenzio hai dato il potere di ferirmi.
Lui ha reso reali tutte le mie, anche solo accennate e vagheggiate, insicurezze.
Mi ha incollato addosso tutti gli interrogativi dolorosi che mi sono posta in quasti mesi. Che cos'ho fatto di male? E' stato sempre tutto un gioco per te?
Non ero alla tua altezza? Mentivi quando dicevi che ti mancavo? Hai sempre ritenuto la mia stranezza come un difetto e non come qualcosa che mi rendeva speciale, diversa da tutti? Sono superficiale? Scontata? Frivola? Sono inutile?
Il tuo Silenzio mi ha umiliata, mi ha reso consapevole che ai tuoi occhi non sono degna neppure di un piccolo chiarimento, di una misera spiegazione. Mi ha fatto credere di essere una persona davanti alla quale ci si dilegua, si scappa via a gambe levate, ma di soppiatto, sperando (e supponendo) che ella non se ne accorga.
Quale persona orribile ha disegnato il Silenzio!
Da vittima mi ha reso l'antieroina del tuo romanzo, crudele e stupida carnefice del tuo destino.
Ora però lo so, chi concede al Silenzio la possibilità di parlare al suo posto non è altro che un codardo e per tutte le colpe che io possa avere nella causa, tu ti sei macchiato di quella peggiore: mi hai mancato di rispetto. Come donna, come amica, come partner, come persona!
Comunque ti ringrazio per quei litri di profumo con cui fai il bagno ogni giorno, grazie a loro ogni volta che passi l'aria si riempie di te per interminabili istanti, e nei miei occhi si proiettano tutti quei ricordi dolorosi di noi che pensavo di aver dimenticato.
E non è facile poi spiegare alla gente perchè tutto ad un tratto mi adombro, mi viene da piangere e non sopporto di stare ferma nello stesso posto dove tu sei appena stato. Per lo più mi prendono per pazza, e chi invece mi capisce perchè sa come mi hai trattata, si chiede perchè ancora non me ne sia fatta una ragione.
Onestamente me lo chiedo anche io.
Ricominciare: ci ho provato infinite volte.
Ogni volta che ci provo succede qualcosa che mi fa star male e inevitabilmente, mi riporta da te.
Come quella volta che parlavo di una mia nuova fiamma, ho alzato lo sguardo e nella NOSTRA panchina, ti ho visto. Ti ho visto con un'altra.
Ricominciare: mi sembra impossibile.
E poi mi appari in sogno, impalpabile, eppure mi rendi estremamente consapevole della tua presenza. Svegliarmi è come strappare un cerotto dalla carne viva, ogni volta si riapre la ferita.
Mi son ripromessa che questa sia l'ultima lettera che ti scrivo, perciò non voglio concluderla così.
Sono bipolare lo sai, perciò ora che ti ho odiato con tutta me stessa ti dimostrerò anche che (mio malgarado) ti amo ancora.
In primis ti ho scritto perchè ho paura. In questo mondo, in questa vita frenetica che non da il giusto peso alle cose, ci rimane una sola cosa da cui non separarci mai:i ricordi. Ricordare ci aiuta a vivere, a non soffrire due volte per gli stessi motivi. I ricordi, perdonami il pleonasmo, ci ricordano chi siamo.
Che siano belli o terribilmente tristi dobbiamo a loro la nostra identità. Perciò spero di non dimenticarmi mai del primo sorriso che ci siamo scambiati, così come non voglio dimenticare l'ultimo sguardo di ribrezzo e rancore.
Tante volte mi sono detta: preferirei non averti mai incontrato. Ma ecco dove sbagliavo. Per tutta la vita non ho fatto che obliare, ho iniziato dai primi dolori infantili, fino a perdere quasi del tutto la coscienza della mia vita passata.
A cosa è servito?
A farmi sbagliare ancora e ancora; a non riconoscere più la mia immagine davanti allo specchio.
Per questo, oh amico, amante, amato e perso, ti scrivo e dimentico ancora una volta il mio orgoglio.
Voglio che tu mi guardi sempre con lo stesso ribrezzo dell'ultima volta, quel lontano 23 di Dicembre, cosicchè mi possa ricordare anche di quel primo sorriso sornione e di quegli occhi luminosi che ti porti appresso e che quel lontano Settembre, mi hanno rapita.

Addio, la tua Cèline.

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Capitolo 3
*** Amore ***


Sono partita.
Sono stata in luoghi diversi e mi sono dimenticata chi sono. Le mie preoccupazioni, i miei affanni, le mie angosce e le mie paure si sono magicamente attenuate.
Non sono scomparse, quello no. Ma se questo è ciò che la vita ha deciso di propormi come surrogato della Felicità allora posso anche accettarlo.
In fondo non si ha bisogno di una persona accanto per sentirsi completi, non si ha bisogno di un patrimonio illimitato per sentirsi soddisfatti, non si ha bisogno che tutto sia perfetto per sentirsi l'animo a posto.
Volevo scrivere oggi una pagina felice in questo Diario Infelice, ma non ci riesco. Non del tutto almeno.
La verità è che ho trovato straziante vedere le mani degli innamorati che si stringevano mentre passeggiavano guardando il panorama, e mi son chiesta se, in effetti, qualcuno mai guarderà me come quelle coppie facevano, alternando sguardi commossi e ammirati al paesaggio e al proprio profondo amore.
Mi son detta talmente tante volte che l'amore non esiste che vedere concretamente il mio mantra sciogliersi nella dolcezza di quelle mani e di quelli sguardi mi ha lacerata profondamente.
Mi son chiesta allora: se la Vita ha deciso di non farmi trovare l'Amore perchè non cancella il mio desiderio di trovarlo?
Dio, non ho chiesto io di avere l'anima tormentata da lui.
Voglio la forza di perseguire i miei obiettivi da sola, come han sempre fatto coloro che come me non hanno mai trovato la persona giusta. Ma non la ho, è un dato di fatto.
Posso fingere che non mi interessi, trovarmi degli svaghi, sorridere a comando, simulare la felicità, ma io intimamente lo so, sto marcendo.
Sta marcendo la donna che c'è in me. La giovane donna disposta a bruciare sul rogo per una stilla di amore rubato sta marcendo.
Si sta trasformando in una donna segretamente afflitta e queste, lo giuro, sono le più pericolose.
Una donna segretamente afflitta sfoga le sue frustrazioni su chi non se lo merita. Dimentica come si ama e non riconosce chi la ama davvero.
Ho paura.
Ho paura di non vedere, quando sarà il momento.
Ti prego, tu che verrai, tu che cercherai un luogo dove venire a trovare la donna che ero un tempo, non rimanere ucciso dalla mia freddezza.
Io mi armo di indifferenza quando vedo i miei amori passati che vivono felici con la donna che amano accanto, ma il cuore mi brucia, mi pulsa terribilmente forte, mi fa male. Perchè penso a cosa ho sbagliato, penso alle mie mancanze e ai miei difetti, penso al mio essere insignificante.
Ho amato poche volte veramente, potrei essere sicura di almeno due volte, ma non sono mai stata riamata. O almeno, non al momento giusto.
Posso dire però che se dovessi morire stanotte una cosa mi debba essere riconosciuta: ho fatto quasiasi cosa per amore.
Ed è questa la triste storia di chi ha amato davvero.

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Capitolo 4
*** Il Fondo. ***


Sono stanca.
Non nel senso di abbattimento fisico, ma morale. Per la prima volta nella mia vita sento di non riuscire più ad alzarmi. Perchè ho scoperto che l'espressione 'toccare il fondo' è terribilmente utopica.
Il fondo non esiste.
E' come cadere perennemente all'interno di una matrioska, tocchi il fondo e lo sfondi, sotto ce n'è un altro.
Questo dovrebbe farmi pensare che non mi dovrei lamentare del mio male perchè c'è sempre un male peggiore, giusto? Un po' come la legge di Murphy, se qualcosa può andare male sicuramente lo farà. E se può andare peggiò, andrà anche peggio.
Ma, diciamocelo, cosa c'è di confortante in questo?
Dovrei essere contenta che la mia vita si sfracelli contro il cemento alla velocità della luce solo perchè non muore ma si rigenera per sfracellarsi all'infinito? Beh, non lo sono, scusate.
Alcuni giorni mi sveglio così arrabbiata, così nervosa, così carica di odio e rancore che tutta la mia voglia di vivere si consuma in se stessa. E la cosa peggiore è che non so neanche a chi siano rivolte queste emozioni e questi sentimenti così forti. Sono tutti così confusi nel miasma di colpe altrui e personali che non ne distinguo nè l'origine, nè la destinazione.
Dunque mi avvelenano.
Sono stanca, sono così stanca che ogni notte pianifico uscite, serate diverse, atteggiamenti positivi, che si estinguono alle prime luci dell'alba lasciandomi un amaro in bocca orribilmente fastidioso.
Quel che è peggio quando sei giunto in una condizione di dolore perenne è che sei consapevole di non poter fare più nulla per cambiarla.
Hai fatto già tutto ciò che potevi.
Ho le mani legate dal mio Mostro invisibile, non so dargli un nome, non lo conosco neppure. Eppure condiziona talmente tanto la mia vita che potrei perfino pensare di affezionarmici e costruirci una famiglia.
Sto delirando, lo so.
A volte credo di essere pazza, altre volte invece ne sono certa. E si illudono, sbagliano, quelli che credono che la pazzia faccia vivere felici, che renda la vita piacevolmente ovattata, edulcorata, soddisfacente. Si illudono davvero, in realtà la Pazzia è solo l'ennesimo dito puntato contro da coloro che non capiscono, che non hanno problemi, che non hanno ancora sfondato abbastanza fondi.

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Capitolo 5
*** Nichilista ***


Come vive un depresso? Cosa prova durante l'arco di una giornata? Di una vita?
Non sono una psicologa, e non mi fido troppo degli psicoterapeuti. Niente da dire contro di loro, la verità è che mi spaventano. Mi spaventa la capacità che hanno di dare un nome alle sensazioni, alle emozioni e ai sentimenti indefinibili che provo.
Da poco ho scoperto di avere un disturbo ossessivo compulsivo di tipo passivo aggressivo. Me lo ha detto uno strizzacervelli, quindi è sicuramente vero. Ma sarete d'accordo con me; fa più paura con questa terminologia. Mi capita di avere in mente un susseguirsi di immagini violente, rivolte a me stessa o a chi mi sta vicino, di solito le persone o gli animali che il mio subconscio ritiene più fragili e quindi più facilmente danneggiabili.
Sono malata? Forse.
Forse lo sapevo già.
Comunque mi son già persa; ciò che volevo dire è: cosa direbbe uno psicoterapeuta di un depresso?
Io non lo so e nella mia ignoranza mi riservo dal dare definizioni generali, dunque, descriverò me stessa.
La mia vita è un susseguirsi di fasi; alcuni cicli pieni di euforia, allegria e fiducia per il futuro, altri (più lunghi e più intensi) di tristezza devastante e acquisizione della consapevolezza che ogni speranza per il futuro fosse un'illusione.
Oggi sto cercando di trattenere le lacrime da quando ho aperto gli occhi, nella mia stanzetta da ragazza universitaria di basso profilo economico, e mi sono chiesta per quanto ancora devo alzarmi e fingere che questo mondo, che questa vita, mi vadano bene.
Mi sento un fantasma, è come camminare con i vestiti più sgargianti in un mondo di ciechi. Sento di non essere abbastanza e fantastico spesso su come reagirebbe la gente con cui condivido la mia esistenza infelice se, per caso, morissi. Mi immagino il mio funerale: una pletora di persone che piagnucola, che in vita ha guardato le mie di lacrime e mi ha voltato le spalle. Immagino mia madre, che mantiene un contegno che non le appartiene, mentre pensa a quante volte non ha cercato di capirmi come avrebbe dovuto e mi ha fraintesa completamente, ridimensionandomi in una piccola, ingenua, donna. Mio padre sarebbe il più disperato, lo so, nel vedere la sua Elettra, che lo adorava come un dio, stesa su un letto funebre, la pelle bianca come avrebbe dovuto essere il suo abito da sposa, in un ipotetico matrimonio mai pervenuto.
Tuttavia cerco di non soffermarmi troppo sull'immagine edonistica della mia morte prematura, non vorrei che diventasse per me un'ossessione, o, peggio ancora, un'aspirazione.
Tornando alla depressione, io non mi definirei espressamente depressa.
Forse sono solo nichilista.
Nei cicli negativi della mia vita riesco coscientemente ad accettare che per me la felicità non esiste e non esisterà mai, il problema sono i cicli positivi. In questi ultimi la speranza si insinua come una sanguisuga, mi avvelena il cuore. Non riesco più a scindere i miei sogni illusori dalla mera realtà e costruisco castelli su castelli per aria, fino a quando un nuovo ciclo negativo non distrugge tutto.
A volte mi chiedo cosa trovino in me le poche persone che mi stimano profondamente e mi chiedo perchè io non sia per loro motivo di disturbo, dato che lo sono per me stessa. Oddio, adesso non voglio dire che mi odi o che mi disprezzi profondamente, per carità. Io credo di essere nella perfetta mediocrità, come tutti del resto.
Ed è proprio questo ad affliggermi.

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Capitolo 6
*** Connessione. ***


Connessione.
La parola di oggi è connessione.
Vivere in costante contatto con le altre persone mi porta a raggiungere il limite di sopportazione ogni giorno. Non perchè non mi piacciano le persone, non perchè sia misantropa o sociofobica ma solo perchè sento una connessione.
Nella terminologia comune questo processo è chiamato empatia: ciò che ti fa sentire tutto ciò che provano gli altri.
Per me è una connessione, un rapporto che mi permette di comprendere a fondo il dolore di ciascuno di quelli che mi circonda e sentirmi una piccola stilla di sofferenza del loro cuore.
Fa malissimo.
La connessione con gli altri ti ammorba, ti fa sentire ferita anche se non lo sei, ma, soprattutto, ti fa sentire impotente. Partiamo dal presupposto che io so di non essere abbastanza per il prossimo; non c'è mai stata una volta nella vita in cui qualcuno non me lo abbia fatto notare. Tuttavia sentire con estrema chiarezza il male che assedia l'animo altrui mi fa sentire ancora più piccola, ancora più insignificante.
Mi chiedo: l'amore, l'amicizia e il voler bene in generale non si basano anche sul saper alleviare il dolore?
Forse è per questo che non riesco a legarmi mai troppo a qualcuno, io ''sento'' troppo e agisco troppo poco.
La connessione con il prossimo mi ha sempre causato problemi, chiedetelo a qualsiasi empatico come ci si sente quando durante un litigio si sa di aver ragione ma si sente il dolore dell'altro e non si può fare a meno che arrendersi, e dargliela vinta.
Mi hanno chiamata debole per questo. Mi hanno detto che una vera donna non si fa mettere i piedi in testa pur di non ferire l'altro.
Io dico che c'è una parte di vero in questo, perchè nessuno deve farsi schiacciare, ma, d'altro canto, non posso fare a meno di riconoscermi una grande forza in quel momento.
Quanti di voi, di noi, sono capaci di mettere da parte il proprio dolore per evitarlo al prossimo? Pochi abneganti.
Ma io non parlo di fare il buon samaritano di turno, perchè la bontà si vede nel momento in cui si perdona per il semplice atto del perdono, spesso non per una ragione logica. Io parlo di connessione, di sentire nello stesso momento le medesime emozioni, di capire che se anche l'altro soffre si può raggiungere un compromesso.
E poi mi capita altrettanto spesso di percepire la gioia altrui, e lì si rivela il mio lato oscuro. So che dovremmo essere felici per i nostri familiari, per i nostri amici, per i nostri colleghi, se le cose prendono una svolta positiva e finalmente costoro trovano la propria serenità. Tuttavia la mia vita non mi ha mai fatto un regalo, non mi ha mai donato una stilla di felicità e inevitabilmente non riesco ad essere felice per loro. Mi sembra un'ennesima presa in giro, mi sembra di odiarli, di invidiarli e di disprezzarli, e allora passo all'analisi critica della loro vita, evidenziando tutte le azioni che hanno compiuto che non li rendono degni neanche di un quarto della felicità che hanno ottenuto. Analizzo la mia vita e mi sento male. Mi chiedo che tipo di bilancia usi il karma e mi chiedo se sia ancora il caso di credere nel buddismo, che di fatto non mi ha dato frutti.
Insomma in tutto ciò vorrei con tutta me stessa trovarmi sempre in un angolino di mondo isolato che mi permetta di non ricevere la connessione delle altre anime.

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Capitolo 7
*** Rovi. ***



Mi chiedi di fare un passo fra i rovi, assicurandomi che al di là ci sarà solo felicità, ma ancora stringono le lacrime di chi è fuggito da me urlando e io rimango a guardarti col desiderio negli occhi e le mani legate sui fianchi, in una posa statica e dolorante.
I tuoi occhi fanno promesse mai sentite prima; dicono: non li sentirai più. Non sentirai le voci dei ricordi. Dicono: sarò l'Ippocrate del tuo tormento, per ogni male ho una cura, per ogni ferita un rimedio.
Dicono sempre più forte: non dovrai più avere paura.
Sentirle è così semplice ma sfuggono via. La mia mente tenta invano di afferlarle e il cuore urla carpe diem!  E poi blackout, non sento più nulla, i tuoi occhi spariscono, la mia mano trema nel buio e muoio un'altra volta.
Non c'è speranza per noi.
L'ho capito il primo giorno che mi hai sfiorato l'anima e sei diventato il demiurgo del mio umore. Hai plasmato i miei sorrisi su frasi sciocche e ammiccanti, ma poi mi hai detto: io non sono così, volevo solo vederti sorridere. Hai spostasto mondi per potermi incontrare per pochi minuti, perchè hai deciso che non ne dovesse valere la pena, ma ne dovesse valere il tempo. Poi mi hai detto che i ricordi rimangono così struggenti e belli ai nostri occhi proprio perchè sono attimi accaduti una sola volta, ma che avresti rivissuto per sempre i momenti in cui ho spostato per te la mia tristezza dal petto all'aria.
Adesso ti aggiri nella mia vita con fare losco, lasci petali dietro di te perchè vuoi che io ti segua, mi chiedi di saltare il recinto e cadere sui rovi, promettendomi che che al di là ci sarà solo felicità, ma ancora stringono le lacrime di chi è fuggito da me urlando e io rimango a guardarti col desiderio negli occhi e le mani legate sui fianchi, in una posa statica e dolorante.

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Capitolo 8
*** Il mio cordone ombelicale. ***


Vivere lontano da casa mi ha fatto capire, in quest'ultimo periodo, che non ho mai riflettuto abbastanza sul legame che mi stringe alla mia famiglia.
Tutti noi facciamo affidamento sulla famiglia come se fosse la colonna più solida della nostra vita; la diamo per scontata la maggior parte delle volte e non ci soffermiamo mai sui singoli rapporti che intraprendiamo con ogni membro.
C'è una parte di mia madre in me che rinnegherò per sempre, è la stessa parte di cui mi affliggo quando i miei rapporti con le persone naufragano. Ho sempre vissuto con la consapevolezza che quell'inettitudine alla vita, quella mancanza di osmosi con l'esistenza stessa, fosse una mia pecca, un mio difetto. Invece col tempo ho visto nei miei fallimenti riflettersi quelli di mia madre.
Si può voler bene a qualcuno pur essendo consapevoli di tutti i suoi enormi difetti? Credo di sì, purchè non diventi la vittima dei difetti altrui.
E se lo diventi credi di essere in grado di sopportarlo tutta la vita perchè sei consapevole che qualunque cosa tu faccia quella persona non cambierà mai? Onestamente non lo so.
Vivere lontano dalla mia casa mi ha fatto capire che sono molto meno indipendente di quanto pensassi, sono un atomo indivisibile dal mio nucleo familiare, tuttavia, allo stesso tempo, mi ha resa consapevole del fatto che il mio benessere vive di solitudine.
C'è una parte di mio padre in me di cui sarò sempre orgogliosa, è la stessa parte che mi compiaccio di sfoggiare con vanagloria a me stessa, quando, negli attimi di riflessione, cerco di valutarmi in maniera oggettiva. Entrambi abbiamo la capacità di ''sentire'' in maniera diversa dagli altri, abbiamo il superpotere di saper andare oltre il dato effettivo, la realtà dei fatti, e vederci qualcosa di più profondo, di meno definito, di più vagheggiato. E' la parte di me che si traduce in ciò che scrivo, nei mondi che mi invento o nelle cose reali che mi piace trasfigurare nelle mie poesie. 
E' normale sentirsi in colpa di avere ereditato questa parte perchè non la si sfrutta o potenzia come si dovrebbe?
E' sbagliato sentirsi una ladra per averne rubato una stilla dal proprio padre?
Sono cresciuta con un 'educazione che, per quanto ottima, mi ha sempre portato a vivere come i greci nella cultura di colpa e di vergogna. I miei genitori hanno sempre usato con me la tecnica del 'bastona e sprona' e hanno ottenuto così una donna fragile, insicura, che non sa riconoscere neanche i propri successi.
Io e mio fratello condividiamo tante parti di noi senza saperlo, ogni giorno, parlando del più e del meno, le scopriamo come se portassimo alla luce delle tombe egizie, ammirati, affascinati e un po' intimoriti. Una sola, grande, differenza incombe fra noi: i nostri genitori.
Si possono crescere due figli come se uno dei due fosse il prescelto e l'altro un errore?

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Capitolo 9
*** Depressione ***


Chi crede al tuo dolore?
Chi mi crederebbe se dopo una risata spiegassi quanto mi sia costata? Se spiegassi che ho conosciuto il vero dolore quando per interi giorni ho digrignato i denti così forte da non urlare la notte?
La verità è che non mi crederebbero nemmeno se mi vedessero urlare. Si considera il dolore e tutte le patologie della sfera emotiva solo quando raggiungono l'ultimo stadio della malattia: il suicidio.
Una persona abbastanza abile è in grado di nascondere tutti gli altri stadi, una persona un po' meno abile nella maggiranza dei casi viene investita dall'indifferenza di coloro a cui chiede direttamente o indirettamente aiuto.
Spalancate gli occhi, siamo tutti forestieri della vita.
Leopardi lo sapeva, la vita è misera e l'unica cosa che ci accomuna tutti è proprio questo; la sofferenza. Ma noi siamo come tante federazioni con ideali simili e qualche differenza che si guardano con ostilità. Non c'è pace.
La più grande domanda che mi pongo e che continuerà a pormi per il resto della vita è: come puoi procurare ad un altro lo stesso dolore che ha dilaniato te per primo?
Io chiedo tante cose alla vita e cerco di darne tante in cambio ma prima del momento cruciale in cui spero che le mie richieste si avverino mi appello sempre ad una giustizia universale, c'è chi la chiama Dio, c'è chi le dà il nome di Karma, e in qualsivoglia modo si abbia l'ardire di chiamarla, io chiedo che tutto sia equilibrato. Non vengo mai esaudita.
Son pronta a rinunciare a significative parti di me pur di avere un po' di equilibrio: il mio dilagante e masochista altruismo, la mia propensione a voler curare, migliorare e cambiare la vita degli altri, la mia voglia di essere un contributo valido per il mondo, tutte parti che mi rendono ciò che sono, tutte accezioni positive del mio carattere; io le sacrificherei per un po' di sana, egoistica felicità.
Ma la vita mi guarda e ride di me.
Un famoso film dice che tutti noi siamo il miracolo di qualcuno, che siamo nati per questa precisa funzione. Ma se il mio miracolo io l'ho già dato, perchè devo essere sempre io a donarmi?
Dove diavolo si nasconde il mio miracolo?
Parlare agli altri di tutto questo sarebbe completamente inutile. La gente si sofferma nel cercare di farti notare il positivo della tua vita in una continua lotta a: ''chi sta peggio?'', con la ferrea volontà di dimostrarti che ovviamente stanno peggio loro.
''Hai una famiglia, hai degli amici, studi, hai il cibo tutti i giorni''
So queste parole a memoria.
Queste parole mi lasciano sempre ferma all'angolo di fronte al mio dolore.
Un dolore così non può essere spiegato. Come faccio a spiegare che mi sento spezzata? Non c'è una piccola parte di me che sia rimasta al suo posto, non riesco a più a ricompormi.
Un dolore così non può essere immagazzinato. Come faccio a svegliarmi una mattina e mettere la polvere sotto il tappeto? Non mi fido di nessuno e inizio a dubitare così fortemente di me stessa che starei meglio in una stanza sterile, isolata, al buio. Forse lì mi sentirei al sicuro.
Le persone ridono quando dici che stai entrando in depressione.
''Cavolo sei giovane, hai tutta la vita DAVANTI! "
Ma sono arrivata alla conclusione che il compendio è completamente sfavorevole. Se ci fosse la possibilità di avere una coscienza completamente formata prima di nascere e ci facessero vedere una breve anteprima di quella che sarà la nostra vita, quanti di noi, quanti di voi, considerando i brutti e i bei tempi, vorrebbero vivere?
Io avrei risparmiato la fatica a mia madre di espellermi.
Quindi credo che seguirò il mio solito modus operandi. Seppellirò tutto sotto strati di trucco scenico e interpretazioni favolose fino a quando non sarò sola e allora mi spezzerò di nuovo ogni giorno.
Tanto chi crederebbe al mio dolore?

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Capitolo 10
*** Abbastanza. ***


Abbastanza.
Ci pensate mai a cosa significhi? Mi tormento da sempre per questa risposta.
Cambiare vestito, cambiare pettinatura, cambiare scuola, lavoro, espressione, faccia, pensieri. Tutto in funzione di questo.
Come se ci fosse bisogno di un giudice più severo di noi stessi per renderci felici.
Essere abbastanza significa essere esattamente ciò che ogni determinata persona che incontriamo sta cercando in quel preciso momento? Vuol dire essere precisamente ciò che gli altri si aspettano da noi?
E in tutto ciò noi quanto contiamo?
Ogni giorno mi capita di dover omettere, modulare le parole, smorzare gli sguardi, fingere indifferenza o giubilo e mi sento costantemente sul palcoscenico con un pubblico che inevitabilmente non gradirà lo spettacolo. Quanto mi costerà tutto questo un giorno, quando ormai avrò smarrito anche la più piccola parte di ciò che mi rendeva me stessa?
Non sembra importante ora.
Ora che le priorità sono tutte proiettate verso l'Altro, adesso che per trovare me stessa devo frugarmi fra gli occhi del prossimo. Ma un giorno il mio intelletto distruggerà il velo di Maya e cosa ne sarà di me?
Essere abbastanza non è mai abbastanza.
Ci sono dei periodi in cui mi sembra tutto sotto controllo; ogni rapporto umano è regolato dalla giusta intensità, appaio a tutti la stessa persona. All'improvviso, però, una mezza parola, un'espressione del viso, un saluto diverso, mi fanno capire che qualcosa è già mutato. Non ho più nulla sotto controllo. Per quanto soddisfi la stima di qualcuno, qualcun altro mi fraintende ancora.
E vorrei gettare le maschere, far crollare il palcoscenico, urlare fino a far sgretolare i muri, fino ad affermare con la forza ciò che non sono stata in grado di affermare col sorriso, semplicemente me stessa.
Vorrei finalmente essere fiera di essere abbastanza per me.

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Capitolo 11
*** Pianta ***


Oggi ho deciso di condividere con voi la pagina di un diario che risale a quando avevo 15 anni, perchè ritengo che sia sempre molto rappresentativa della mia condizione di vita.
''Lei era un'osservatrice, nessuno la notava. Era lì sotto gli occhi di tutti ma in reltà non esisteva. Dunque a nessuno interessava neppure avvicinarsi alla sua anima, figuriamoci comprenderla.
Era come un vegetale piacevole alla vista, una pianta che quasi ti scoccia dover accudire. Nessuno si aspettava nulla da lei perchè è sempre stata statica e immobile.

Lei aspettava sempre, aspettava invano. Era questo il suo unico pensiero chiaro e assolutamente certo: il suo aspettare era vano. Tutto il resto dei suoi pensieri era una frana che si sbriciolava e si riformava ogni volta con un clinamen diverso.
Per chiunque era un oggetto, la consideravano alla stregua di un banco, di una penna, altri di un gioiello o un quadro, ma per quanto nobilitante fosse l'oggetto rimaneva comunque un oggetto. Un'entità senz'anima proiettata dagli occhi desiderosi del resto del mondo.
Ma se si fosse chiesto a lei, del resto, non avrebbe risposto nulla di differente; lei si sentiva una grù vecchia e arrugginita, molto più alta rispetto a tanti altri, in grado di superare molti uomini comuni, ma non in grado di superare sè stessa, tesa perennemente verso il cielo, irraggiungibile eppure
perfettamente contemplabile.
Questo rendeva il suo male ontologico, ma lei non poteva saperlo e credeva che non fare nulla e aspettare avrebbe fatto scemare tutto autonomamente e annegava il suo dolore nell'apateia, l'assenza di ogni passione.
Eppure talvolta non vi riusciva, era travolta da qualcosa, qualcosa di tanto elettrico da sconvolgerla e la sua lotta diveniva tutta tesa a nascondere la sua passione.
E chiudeva gli occhi, si nascondeva dietro una maschera variopinta, perchè sapeva quanto fosse traditrice il suo sguardo chiaro.
Pochi hanno mai capito cosa veramente l'agitasse, ancor meno le hanno dedicato un pensiero più lungo di qualche istante, nessuno glielo aveva mai chiesto, perchè tutti la preferivano spenta, immobile, accondiscendente.
Non si seppe mai cosa cambiò.
Proprio perchè la sua vita era sempre stata statica, nessuno si spiega come sia possibile che un giorno il vegetale avesse iniziato a vibrare mandando scossoni a tutto il vaso,
e avesse ricavato dalle sue ramificate radici delle esili gambe e strappato a morsi quelle che non volevano venir via. Nessuno capì mai come fosse possibile che si fosse scrollata di dosso la terra ancora attaccata e insieme ad essa tutti i funghi e i parassiti a lei ancorati.
Ansia e Terrore si chiesero come un essere così infimo e insignificante avesse potuto sfidarli e iniziarono, armati di forbici, a recidere tutte le radici che le permettevano di camminare, sbarrandole la strada.
La pianta incespicava, inciampava; le radici la impacciavano ma erano l'unica cosa che le permetteva di camminare.
Con il tempo cadde tante volte, imparò così a strisciare e poi a zoppicare ed infine capì come fabbricarsene altre''.

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Capitolo 12
*** Specchio ***


Ho letto un libro poco tempo fa in cui la protagonista cadeva affetta da una strana patologia: la ''malinconia razziale'', quest'ultima le impediva di guardarsi allo specchio, di guardarsi il volto e le mani senza incontrare l'''orrore'' di una pelle più ''scura del dovuto''. Ho cercato pertanto di definire la mia malattia nell'ottica del suo dolore e son giunta alla convinzione di essere piuttosto affetta da eisoptrofobia, una paura, cioè, del tutto irrazionale che porta a non voler vedere il proprio riflesso nello specchio.
Ho letto che la maggior parte delle persone soffre di questa patologia perché crede che vi sia una sorta di ''demone'' con il quale lo specchio ci mette in collegamento attraverso il nostro riflesso. Mi son chiesta perché, per una sola volta nella mia vita, non possa anche io avere una visione così ''spirituale'' e ''fantastica'' della questione.
L'unico demone che continuo a vedere è il mio volto camuffato.
Immaginatevi il terrore del proprio volto, con tutti quei particolari che ci sono così familiari, completamente stravolto. Gli occhi, che nel mio intento hanno sempre uno sguardo dolce e comprensivo, snaturati fino a diventare pallidi fari della gelida luce d'indifferenza. Il mio sorriso, talmente tanto sensibile da nascere in ogni momento e da aver creato due piccole rughette sui bordi delle labbra, imputridito fino a diventare un perverso e parossistico ghigno da clown dell'orrore.
Ogni volta temo di scorgere nel mio riflesso tutto ciò che mi ha allontanato con violenza e sdegno dal mio prossimo; ho paura delle impronte che le delusioni hanno lasciato nei miei occhi con una forza tale da renderli inquietantemente affossati da un profondo solco nero che ricorda le Fosse Ardeatine.
Il proprio volto, con tutti quei connotati che ci abituiamo a giostrare come faceva Mangiafuoco con i suoi burattini, completamente fuori controllo. Un gesto scherzoso, un movimento del sopracciglio destro per rimarcare la battuta che ho fatto per far ridere un amico in pena, trasformato in un'orrida smorfia di derisione malcelata mentre abbaio una risata che ha del grottesco.
Tutto assume le tinte fosche di un romanzo gotico e io mi sento addosso l'anima come un vestito sporco e unto di sensi di colpa e mancanze. Continuo a ricercare in me stessa tutte le peculiarità che mi rendevano felice di essere me e ogni giorno scopro in quale machiavellico modo la Vita ha scelto di deturpare le mie buone qualità fino a farle sembrare uno scherzo della natura.
Il mio estro, io che sono sempre stata fiera di lui, ora non riesco a non adoperarlo se non per ferire chi mi ha ferito.
Cosa direbbe la Poesia se avesse voce?
Sarebbe felice di prostituirsi di volta in volta ad ogni mia sofferenza?
Sarebbe orgogliosa di prostrarsi a parole piene di bile e risentimento?
O vorrebbe il perdono privandomi del mio piccolo orgoglio?
La Poesia è il mio specchio d'umanità, e adesso marcisce. Come il ritratto di Dorian Gray è poggiata in un angolo remoto della mia soffitta nascosta; non ho il coraggio di scostare il velo che la copre.
Come un naufrago mi aggrappo ai pezzi della vecchia me, che come stracci di ferro di una nave già troppo arrugginita mi feriscono e non mi tengono a galla ma mi trascinano ancora più in fondo, dove la nuova me, coi tentacoli di medusa mi si avvinghia tutta alle gambe.
I tentacoli sono velenosi e corrosivi, mi bruciano almeno quanto bruciano gli altri.

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Capitolo 13
*** Inadeguata ***


Ovunque mi trovi, in questo straccio di terra che la vita mi ha riservato, a lungo andare corrodo l'aria che respiro.
Ho creduto per tanti anni di essere la ragazza intellettualmente incompresa in famiglia, dove trovavo persone troppo pragmatiche per la mia mentalità sognatrice. Ho creduto per anni che l'ambiente sociale del liceo fosse troppo immaturo per me ed è per questo che me ne sentivo esclusa.

non sei poi così diversa da tutti gli altri

Mi ha gridato infine il cielo, un giorno qualunque.
Ed è stato peggio di ricordare l'inadeguatezza che mi percuoteva in tutte le sue pavide forme. La verità che improvvisamente è venuta a cercarmi, quando non aspettavo nessuno, ha urlato così forte che tutte le mie banali emanazioni si sono seccate. I rami rigogliosi che curavo con tanto orgoglio si sono rivelati per ciò che erano; banali aborti di talenti.
Di colpo ciò che per me era stato una salvezza è diventato il mio tormento. Ho capito che la mia vendetta, così ben articolata e selezionata negli anni, non era rivolta a coloro che mi avevano perseguitato, bensì alla me stessa del passato. Alla me stessa che non è mai cambiata. A colei che avevo finto di aver sotterrato con tutte le mie forze.
Io sono ancora così.
Lo so perché non ho meno paura di prima a ricamare il mio sottile filo di voce e a lanciarlo fra la gente, sostanzialmente ora ne ho cambiato il colore, ma sempre e solo nella mia testa.
Ed è così avvilente sapere che il mondo non saprà mai ciò che ho da dire e non conoscerà mai il modo puro e genuino con il quale avviluppo il senso alle parole. Tutto è sempre filtrato dal mio terrore.
Tuttavia la mia tendenza naturale gode nel strappare i veli sotto i quali si nascondono gli altri, nel bene e nel male. Vivo la mia vita pulendo le bucce di cui gli altri si ricoprono, non mi accontento mai di ciò che sembra. E qualunque cosa io scopra del prossimo non mi sconcerta, non mi delude. Per me il margine di errore è un confine troppo lontano da vedere negli altri e la mia materia grigia si mette in moto per trovare una soluzione per ogni punto di vista. Gioco a perdermi fra i pensieri di tutti e assumo molte maschere.
Per questo non capisco chi ha solo un punto di vista. Vedi solo te stesso perché sei troppo grande o troppo piccolo?

io sono tante cose e non mi vedo da nessuna parte

La cosa che mi sconcerta è il fatto che negli altri è semplice trovare lo scusante, la causale, il motivo di un dato pensiero, di un dato atteggiamento.
suo padre è di mentalità chiusa, mica poteva nascere femminista
sua madre l'ha abituata ad avere paura del diverso, naturale che sia razzista

Ma per me mai nulla, non una parola di conforto, né la spia più remota di un perdono.
Il serpente del senso di colpa mi attanaglia le viscere se uso la parola sbagliata, se i miei pensieri si spingono, in un momento di rabbia, più in là dell'accettabile.

non ti hanno ascoltato perché il tuo parere non era interessante
non sei abbastanza intelligente
io non studio medicina o ingegneria, quelle son facoltà difficili
letteratura, lingua? Tutte cose che chiunque può studiare da solo

hai solo da mostrare ma nulla da donare

Le parole stridono come il suono malato di un violino scordato quando gli occhi mi si riempiono di lacrime e a lettere chiare e scarlatte mi si tinge in volto sempre la stessa fiera.
Inadeguata.
E non nel senso di speciale, ma nel senso di sbagliata.
Nessuno mi ha dato gli strumenti per vivere in questa vita e il senso arrugginito delle cose mi rende lenta e terribilmente stupida.
Mi dispiace, nemmeno io avrei voluto incontrarmi.

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Capitolo 14
*** Labirintite ***


Ho varcato la soglia del possibile fino a confondere quali impulsi mi manda il mio più profondo io e quali mi vengono inviati dall’esterno. Sentire troppe voci intorno dà alla testa e mi porta alla perdizione totale di ogni convinzione assunta. La mia esperienza mi ha insegnato che la mia esperienza è totalmente inutile. Ognuno ha una sua verità e la mia è irrimediabilmente confusa nel miasma delle sfumature che ho conosciuto e ho deciso di accettare nella loro oggettività, ma alcune sono paradossali, opposte. Mi sono guardata improvvisamente dentro e ho avuto ancora paura. Una sensazione che non avrei mai voluto provare di nuovo scrutandomi in profondità.

Eppure, non mi concedo nessuna pausa.

Nel cervello si trova una zona, chiamata amigdala, che custodisce tutte le esperienze provate. È utile, perché quando ci sentiamo in pericolo ci proietta immagini già viste, riproduce nel corpo sensazioni già provate, e ci mette in allarme. A quel punto si possono fare principalmente due cose: scappare o combattere. Personalmente non sono mai stata brava a combattere, ma ora non è questo ciò che mi confonde. È che non riesco più a valutare l’oggettività del pericolo che corro. È tutto nella mia testa? Sono io che sto impazzendo?

Mi sento così sola.

Mi sembra di procedere a tentoni, mentre cerco di comprendere questo mondo lui mi inghiotte così profondamente che ne divento un ingranaggio, una pedina per rendere ancora una volta tutte le dinamiche sociali, funzionali, antropologiche, realizzabili. Ma io non le condivido, non mi piacciono, non mi ci trovo. Mi sento sempre un pesce fuor d’acqua nelle dinamiche della vita. Non sono mai al momento giusto nel posto giusto, non dico mai ciò che è giusto dire in quel momento. Guardo le cose in direzione diagonale rispetto al prossimo, noto l’imperscrutabile e mi sfugge la sostanza di ogni cosa.

Mi sento così inadeguata.

Tutti mi guardano, ma non mi ascoltano e tutti mi parlano, ma non mi ascoltano. Sembra che io sia una dispensa dove abbandonare i pensieri scomodi, i problemi irrisolvibili, i traumi mai superati. A fine giornata la capienza è ridotta ad un angolino per il mio magone e nulla di più, ma non c’è nessuno che mi lascia un po’ di posto nella sua dispensa. Io archivio dati altrui e il mio corpo li smaltisce in mille lacrime e sorrisi mancati. E io sono stanca di non sorridere più per davvero. Quando la luce che emana il tuo sorriso illumina solo gli altri inizi a scoprirti più oscura, più celata, più sottesa, quasi trasparente. Semplicemente a volte mi chiedo se agli altri importerebbe di me se anche io non gli ascoltassi. Se li guardassi con quegli occhi spenti con i quali fingono di osservarmi, se anche io ai loro sfoghi d’animo rispondessi con singhiozzi di frasi mai nate, vorrebbero ancora avermi intorno?

Eppure, mi piace guarire.

Ho sempre pensato che ogni persona in questo mondo abbia una funzione ben definita, al termine della quale si estingue il suo compito e lascia la Vita nel giusto. La mia visione da agnostica meccanicistica non è priva di falle e punti interrogativi, ma credere in questo mi fa pensare che ciò che faccio, ciò che sono, non sia una mia colpa e quindi che non possa fare altrimenti. Io guarisco: ho le mani da guaritrice, ho gli occhi che abbracciano, parole gentili, sorrisi splendenti e il puro desiderio di far sbocciare risate. Questo è il lato di me che piace agli altri. Ed è, in effetti, la cosa che so fare meglio. Instaurare legami di fiducia mi vien facile come respirare: c’è qualcosa in me che induce all’apertura, c’è qualcosa in me che mi induce all’ascolto.

Eppure, non riesco più ad assorbire nulla.

Vorrei solo lasciarmi questa vita alle spalle e iniziarne una dove la mia funzione sia differente e riposante. I miei occhi stanchi nascondono il male da troppo tempo. Ma io non conosco un modo inoffensivo per smaltire questo dolore. Così lo lascio lì a sprofondarmi di occhiaie e sospiri. Non riesco più ad alzare la testa e guardare la volta del cielo con la speranza che si mi infila fra le ciglia, mi avviluppa i capelli, mi riscalda di gioia. Non vedo più la mia immagine lanciata sulla Vita, non mi vedo più a viverla fra dieci anni, come l’ho sempre immaginata. Forse è arrivato il momento di lasciar perdere desideri del passato, arrendersi al fatto che la realtà non l’ho plasmata io e in nessun modo posso cambiare ciò che il destino ha scelto per me.

Eppure, io rimango sempre nello stesso posto.

Il glorioso futuro a lungo pianificato e vagheggiato mi guarda da una realtà parallela e ride di me. Mi sbeffeggia continuamente. Mi mostra ciò che sarei voluta diventare a questo punto della mia vita. Tutti mi lasciano, il tempo scorre. Io sono la mia unica costante, sono l’unico essere vivente che non cambia. L’unico cambiamento che si produce in me è la crescita biologica. La mia mente rimanda costantemente al passato. Una volta una persona che conoscevo mi disse che la malinconia lo annoia, le persone che hanno ancora gli occhi nel passato lo intristiscono. Ma il passato è l’unica cosa che mi rende felice perché è l’unica cosa che posso plasmare a mio piacimento, fondendo la realtà con le mie sensazioni.

Eppure, è traumatico svegliarsi.

Un giorno, improvvisamente, smetti di vagheggiare il tuo futuro meraviglioso e smetti di dilatare all’infinito il tuo passato: sono realtà troppo distanti. E il presente si affaccia con la potenza di una bomba atomica, ti schiaffeggia con la sua ineluttabilità. Non posso fingere di essere morta, ma lo vorrei. Vorrei una pausa da questa vita che mi ha gettata qui senza gli strumenti atti a viverla. La mia forza si piega con l’infuriare del vento, non ho più molta resistenza. Forse perché, fondamentalmente, non credo più di potercela fare. Ogni volta che chiudo gli occhi un velo di dolore grigio come il cemento, pesante come il piombo, mi devasta.

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