The New Girl

di Herm97
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** I ***
Capitolo 3: *** II ***
Capitolo 4: *** III ***
Capitolo 5: *** IV ***
Capitolo 6: *** V ***
Capitolo 7: *** VI ***
Capitolo 8: *** VII ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Pilot

 

La famiglia Granger imboccò il vialetto di una deliziosa villa a due piani, circondata da un grande giardino ben curato. L'erba, di un verde intenso, dava l'impressione di essere morbidissima, fresca, bagnata. Sulla sinistra della villa c'era un alto albero: la chioma immensa nascondeva una graziosa casetta appena costruita e tremendamente invitante; c'era persino un'altalena legata ad uno dei rami più spessi.

Caleb fermò l'auto e guardò Adele, la moglie, con un ampio sorriso. Lei ricambiò immediatamente; avrebbe voluto comunicargli quanto già le piacesse quel posto, ma le parole in questo caso erano superflue, quasi inutili. Senza dire una sola parola, i coniugi scesero dalla macchina e subito respirarono a pieni polmoni quella che stavano iniziando a definire aria di casa.

Jaime seguì i genitori un secondo più tardi, sbadigliando. Avendo passato più di quattro ore in viaggio, in quel momento non gli importava affatto di dare la sua opinione sulla casa. Era esausto e volentieri si sarebbe buttato sul letto a schiacciare un pisolino prima di cena.

L'ultima ad abbandonare il veicolo fu Heidi. Lei non era poi così felice di trovarsi lì, davanti alla nuova casa che i suoi genitori avevano acquistato. Si sentiva pesante e terribilmente nostalgica: si era dovuta lasciare alle spalle i suoi amici, la casa in cui era cresciuta, la scuola che amava alla follia. La sua migliore amica le aveva detto di pensare positivo, eppure ad Heidi sembrava un'impresa fin troppo complessa.

«Allora, che ve ne pare?» domandò Caleb ai figli, circondando le spalle della moglie con un braccio. «Pronti ad esplorare la nostra nuova casa?»

«Proprio carina» rispose Heidi con sarcasmo, alzando gli occhi al cielo.

«Heidi Jane Granger!» la riprese immediatamente Adele.

La donna si voltò nella direzione della figlia e la fulminò con lo sguardo. Heidi capì che forse era meglio evitare di dire altro. Jaime, che aveva assistito alla scena con le mani nascoste nei pantaloni, si avvicinò alla sorella e le arruffò i capelli, sussurrandole poi che presto si sarebbe ambientata.

«La fai facile tu» replicò allora Heidi, incrociando le braccia al petto. «Stai qui una settimana e poi parti per il college!»

«Vero,» annuì Jaime. «ma cerca di vederla in questo modo: durante l'ultimo anno di liceo, i mesi passano così velocemente che in un battito di ciglia avrai il diploma in mano e starai già preparando le valige per l'università»

«Se lo dici tu, Jaime...»

°*°

L'interno della nuova villa dei Granger era immensa e moderna, con alti soffitti e lampadari di cristallo. L'ingresso era simile alla hall di un albergo, solo leggermente più piccola e senza il bancone della reception. Le pareti erano color grigio chiaro, anonime; non c'era neanche un quadro, né una foto di famiglia. Le scale per raggiungere il piano superiore erano larghe, posizionate a circa sei metri davanti alla porta blindata.

Adele e Caleb avanzarono sicuri, i tacchi della donna che sbattevano sul parquet. Raggiungte le scale, entrambi si girarono e guardarono i propri figli con sorrisi ampi. Sembrava che i due fossero lì lì per annunciare qualcosa di importante, ma Adele e Caleb si limitarono ad indicare prima alla loro destra e poi alla loro sinistra.

Jaime e Heidi, all'unisono, corrugarono la fronte e a passo lento, quasi incerto, raggiunsero i luoghi che i genitori avevano appena indicato. La prima stanza che esplorarono fu il salotto: un divano ad angolo bianco era posizionato davanti al camino e, sopra quest'ultimo, fisso alla parete, si trovava un televisore al plasma dell'ultimo modello.

Una grande finestra dava sul giardino e, accanto ad essa, su entrambi i lati, due alte librerie ospitavano testi e storie da ogni dove. Sulla parete opposta, quella in cui c'era la porta a vetri che portava al retro della casa, c'era persino un mobile nel quale Caleb aveva messo i suoi alcolici preferiti.

Da lì, Jaime e Heidi tornarono indietro e, una volta superato nuovamente l'ingresso, passarono sotto ad un arco ed entrarono in una spaziosa cucina. Una penisola in marmo era stata posizionata in mezzo alla stanza e, sopra ad essa, vi era un cesto con della frutta fresca e invitante. I pensili, i mobili, il frigorifero e la lavastoviglie erano bianco perla e anche lì le pareti erano grigio chiaro; c'era poi un grosso orologio analogico che segnava le cinque del pomeriggio.

«Non è male, no?» chiese Jaime a sua sorella, circondandole le spalle con un braccio.

Lei annuì e allo stesso tempo disse: «Avrebbero comunque potuto usare colori un po' più vivaci»

Una volta usciti dalla cucina, Adele e Caleb vollero mostrare ai figli il piano superiore. Salirono la scala in silenzio e sotto i loro piedi qualche gradino scricchiolò piano. Sul corridoio si affacciavano cinque porte e Heidi si chiese immediatamente quale fosse la sua: poco prima di entrare, allungando il collo, aveva visto che una delle camere aveva un balcone.

Fu Caleb a prendere in mano il compito di fare da guida. Con lo stesso sorriso ampio dipinto in volto, l'uomo mostrò a Jaime e Heidi la camera degli ospiti, la quale aveva un letto matrimoniale e un armadio a specchi. Dopodiché, la famiglia Granger passò al bagno principale, che comprendeva sia una doccia che una vasca da bagno con idromassaggio incluso.

«Faremo a gara per avere anche solo cinque minuti di relax in quella vasca» commentò Jaime, guardandola con occhi sognanti.

«Io vado per prima» si prenotò immediatamente Heidi, ghignando. Jaime la spinse piano e lei scoppiò a ridere.

Da lì, i Granger si spostarono verso la camera padronale, quella di Adele e Caleb. La stanza era elegante, spaziosa, stupenda. Al suo interno vi era un comodo letto matrimoniale sul quale sostavano una quantità indefinita di cuscini; un alto armadio in legno era addossato ad una delle pareti – questa volta il grigio era scuro. Sui comodini, lampade dall'aspetto moderno riprendevano lo stile della casa.

Heidi puntò il suo sguardo sulla parte di camera dove c'erano le finestre e, con un secondo ghigno, constatò che lì il balcone non c'era affatto.

I colori che regnavano nella camera di Jaime erano il blu e il bianco. Il letto era ad una piazza e mezza e dieci centimetri sopra la testata era stata fissata una grossa "J" in legno. Dove solitamente viene posto un comodino, Caleb e Adele avevano preferito metterci una scrivania; il suo portatile era già lì e accanto c'era persino una foto che ritraeva lui e Beth, la sua fidanzata.

Quando Caleb aprì la porta della stanza di Heidi, la ragazza non riuscì a trattenersi. Lanciò un urletto e saltò, e nella sua mente fece il balletto della vittoria. Entrando in camera, il letto era stato posizionato sulla destra, addossato a due pareti; di fronte c'era il balcone che aveva tanto desiderato negli ultimi dieci minuti.

Come per il fratello, anche Heidi aveva la sua "H" in legno e qui i colori erano l'azzurro pastello e l'oro. Appesa ad un muro, sopra la scrivania, vi era una bacheca in sughero sulla quale Heidi avrebbe potuto attaccare tutte le sue foto preferite.

«Bene, il tour è finito» disse Adele, bagnandosi leggermente le labbra. «Adesso sarà meglio tirare giù le valige dall'auto e sistemare i vestiti. Heidi, mi raccomando: non buttarli nell'armadio come al tuo solito. Sii ordinata!»

Heidi alzò gli occhi al cielo. «Sì, mamma»

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Capitolo 2
*** I ***


Heidi

 

Il cielo, in questo preciso istante, è un dipinto meraviglioso. Colori caldi come il rosso, il giallo e l'arancione si mescolano fra loro, spazzando via l'azzurro che ha regnato per tutta la giornata. Le nuvole, bianche e spumose, giocano a rincorrersi silenziosamente.

Sposto lo sguardo dal mio armadio e i miei piedi si muovono in direzione del mio balcone personale, senza che io gli dica nulla. Una volta fuori, appoggio i palmi delle mani sulla ringhiera in ferro battuto e mi godo lo spettacolo, la mente che vola lontana dal luogo in cui mi trovo adesso.

Ripenso al fatto che ho appena finito di disfare i bagagli. Essendo una persona poco ordinata, una piccola parte di me si sente orgogliosa per il fatto che i miei occhi riescano ancora a vedere il pavimento della stanza. Non mi illudo, però: nel giro di una settimana, il caos avrà fatto ritorno.

Eppure, mi dico, ritornando in camera, adesso che ho sistemato ogni cosa è come se non potessi più tornare indietro.

Sì, perché nonostante siano passati ben tre mesi dal giorno in cui i miei genitori hanno sganciato la bomba, io ancora questo trasferimento non riesco a mandarlo giù. Per settimane li ho implorati di lasciarmi lì, ma la loro risposta era sempre e solo un secco "No".

Alla fine, ho dovuto dire addio ad ogni cosa a cui tenevo, e non è stato affatto semplice.

Ricordo ancora il giorno in cui Desiree, la mia migliore amica, è venuta a salutarmi prima che partissi. Aveva gli occhi gonfi e lucidi, il naso rosso, ma, sebbene anche lei si sentisse uno schifo, mi aveva guardata con un sorriso forte, coraggioso, positivo.

«Promettimi che guarderai questo cambiamento con positività, Heidi» mi aveva detto, stringendomi in un abbraccio – talmente stretto che, per un attimo, mi era sembrato di non aver aria nei polmoni.

«Un giorno, forse, potrò mantenere fede a questa promessa» le avevo risposto, ricambiando l'abbraccio.

Secondo lei, sarebbe andato tutto alla grante.

Mi siedo ai piedi del letto con un sospiro. Dovrei chiamarla, mandarle un messaggio per farle sapere che sono arrivata sana e salva, che mi manca già. Poi però ci ripenso: leggere anche solo il suo nome sul display del cellulare mi farebbe piangere.

Decido quindi di farmi due passi, così da esplorare un po' il vicinato. Forse, in questo modo, la mia mente si concentrerà su qualcos altro. Prima di uscire di casa, però, ho bisogno di fare un salto in bagno per darmi una rinfrescata: ho la sensazione di avere un alito spaventoso e voglio assolutamente lavarmi i denti.

°*°

Alzo il capo dal lavandino, chiudo l'acqua e guardo il mio riflesso attraverso uno specchio enorme.

La ragazza che ho davanti ha lunghi capelli rossicci, praticamente arancioni. Sono leggermente mossi, le punte che arrivano a sfiorare la metà della schiena.

Apre uno degli armadietti accanto a sé e tira fuori un beauty ordinato, dal quale tira fuori un rossetto rosso: il suo marchio di fabbrica. Se lo porta piano alle labbra, così da ripassare quel colore che, col passare delle ore, si era affievolito. Facendo ciò, la sua pelle chiara e le lentiggini risaltano notevolmente.

Sempre dal beauty, tira fuori il mascara. Se lo passa con delicatezza sulle ciglia dell'occhio destro e poi, nello stesso modo, passa a quelle dell'occhio sinistro. Le iridi, di due colori diversi – una marrone e l'altra verde –, sembrano illuminarsi.

«Desì ha proprio ragione quando dice che sono un vero schianto!» mi dico, facendomi l'occhiolino.

Sistemo i trucchi al loro posto, mi do un'ultima occhiata allo specchio e, con un sorriso tirato, esco dal bagno.

Al piano di sotto, trovo i miei genitori intenti a chiacchierare. Se ne stanno comodamente seduti sul nuovo divano e dalle loro espressioni non sembra affatto che si siano appena trasferiti.

Quasi avessero percepito la mia presenza, si voltano entrambi nella direzione. Papà mi sorride, mamma assottiglia lo sguardo.

«Dove credi di andare, signorina?» mi domanda infatti lei, abbandonando quella che è la sua postura rilassata per assumere quella severa e austera.

Mi volto nella loro direzione e mi stringo nelle spalle, prendendomi del tempo prima di rispondere. Fisicamente parlando, io sono molto più simile a mia madre: il colore dei capelli, i lineamenti del viso, la statura. Da mio padre ho preso solo il carattere e la passione per la musica.

«A fare un giro» rispondo. «Tornerò in tempo per la cena, promesso»

«Ti voglio a casa prima» replica mia madre, poi sposta lo sguardo sul suo orologio al polso. «Verso le sette e mezza devi essere già qui, intesi?»

Annuisco senza aggiungere una parola, sapendo benissmo che lei detesta i ritardatari.

Non appena mi chiudo la porta alle spalle, mi lascio andare ad un sospiro malinconico. I chilometri che ci sono fra la casa nuova e quella vecchia si fanno sentire sempre di più, e per un attimo sono tentata di tornare dentro e rifugiarmi in camera mia.

Faccio correre il mio sguardo sul giardino e, quando i miei occhi tornano sul viale, mi rendo conto che ci sono due persone che si fanno sempre più vicine. La donna tiene in mano quella che sembra una confezione di plastica, lui un piccolo vassoio chiuso da carta color porpora e un fiocco dorato.

«Ciao!» mi salutano all'unisono, non appena mi sono vicini.

Prima di rispondere, mi prendo un attimo per osservarli. Entrambi indossano abiti da ufficio, sulla mano sinistra hanno la fede – e lei anche un anello con un diamante. Mi guardano con un sorriso ampio e solare, quasi affettuoso.

La donna ha capelli neri, raccolti in uno chignon ordinatao, stretto, perfetto. I lineamenti del viso sono delicati, le iridi sono color nocciola e sulle labbra sottili c'è un filo di rossetto rosa carne. È alta e snella, il tubino grigio che le mette in risalto le forme.

Lui, invece, in giacca e cravatta, ha capelli ricci e castani, barba del medesimo colore. Gli occhi sono verdi, ma qualche pagliuzza color fieno. Dalla camicia si vede che ha un po' di pancetta, ma tutto sommato è proprio un bell'uomo.

«Salve» mormoro, mordendomi l'interno della guancia. «Posso fare qualcosa per aiutarvi?»

«Tu sei una dei Granger, giusto?» mi chiede l'uomo.

Io annuisco, a disagio. «Già»

«E' davvero un piacere, cara!» esclama la donna, mantenendo quel suo ampio sorriso sul volto. «Abbiamo conosciuto tuo padre, quando è venuto a comprare la casa»

Ancora una volta, mi ritrovo ad annuire, ma questa volta non ho niente da dire. Per un breve momento rimaniamo in silenzio, e forse loro stanno ancora aspettando che io mi presenti.

«Comunque,» riprende lui. «io sono Luis e lei è mia moglie Regina. Siamo i Turner e viviamo nella villa qui accanto»

«Avremmo tanto voluto che nostro figlio fosse qui, ma la sua...» continua lei. Fa una smorfia, quasi avesse una fastidiosa mosca che le gira attorno, poi aggiunge: «... ragazza, diciamo, si è presentata a casa nostra e hanno deciso di fare un giro»

Luis annuisce, poi sospira e infine si riapre in un sorriso. «Siamo venuti qui per darvi il benvenuto nel vicinato. Vi abbiamo portato una torta e un po' di pasticcini, spero non siate allergici a nulla»

«Grazie mille, davvero. Siete molto gentili» rispondo, dondolandomi sui talloni. «Se volete, i miei genitori sono in casa. Io stavo giusto andando a fare un...»

Non riesco a terminare la frase, perché all'improvviso Regina spalanca occhi e bocca. Si volta verso il marito per indicargli qualcosa, ma poi si ricorda che in mano tiene la torta per me e la mia famiglia. Sia io che il marito corrughiamo la fronte, poi io capisco.

Questa è la parte che più mi piace, quando conosco persone nuove. I miei occhi, uno verde e l'altro marrone, riescono sempre a lasciare tutti senza parole. Io solitamente li osservo con un sorriso compiaciuto, vanitoso, egocentrico, mentre loro balbettano. Proprio come sta facendo Regina in questo momento.

«Si chiama eterocromia» dico, soddisfatta. «E' molto rara»

«Wow!» esclama Luis, finalmente rendendosi conto che cosa sua moglie ha cercato di fargli notare. «Sono semplicemente fenomenali!»

Il mio ego fa una capriola e le mie labbra rosse si piegano in un mezzo sorriso.

Mi rendo conto che ancora non mi sono presentata, ma poco importa. Do una veloce occhiata all'orologio che ho al polso e, storcendo il naso, mi rendo conto che ho meno di mezz'ora di libertà – manco fossi in prigione. Allora mi schiarisco la gola, affermo che ho proprio voglia di farmi un giro e dico a Regina e Luis che i miei genitori sono in casa.

Senza dire altro, li supero velocemente. Da una tasca dei jeans tiro fuori un paio di cuffiette e, finalmente, mi immergo nella musica. Cammino restando sul marciapiede e ben presto mi ritrovo in città: supero un minimarket nel quale c'è pochissima gente, un parrucchiere e una pasticceria.

Guardandomi intorno, mi rendo conto che c'è un sacco di gente che mi guarda incuriosita. Non sono sicura che sia per i miei occhi, perché ricordo che papà aveva accennato al fatto che qui si conoscono tutti. Io, quindi, sono quella appena arrivata, la novità, una sconosciuta.

Senza rendermene conto, mi ritrovo in un parco.

Sulla mia testa, il cielo è ancora un dipinto di colori caldi sfumati fra loro. Il verde dell'erba, invece, è fresco e da un senso di calma. Osservo i genitori che chiamo i figli a gran voce, le altalene che si liberano in un batter d'occhio, sugli scivoli non viene più giù nessuno.

Trovo una panchina e mi ci siedo, incrociando le gambe sul legno scuro. Inspiro il profumo di quel parco e mi dico che, ogni volta che avrò bisogno di stare sola, questo sarà il posto adatto.

Purtroppo, però, oggi non è il mio giorno fortunato. Una mano dalle unghie lunghe mi si para davanti, facendomi sussultare un poco. Alzo il capo e incontro i volti di due ragazzi, che molto probabilmente hanno la mia età.

Lei, coi suoi capelli castani raccolti in una coda fermata da un fiocco rosa pastello, indossa pantaloncini di jeans a vita alta e una maglietta bianca attillata. Ha ciglia lunghissime, forse finte, gli occhi marroni scuri.

Lui, invece, ha i capelli neri e un poco ricci. Porta un paio di occhiali alla Harry Potter. I pantaloncini rossi e la maglietta a maniche corte grigia gli mettono in risalto la carnagione chiara. In una mano ha una sigaretta e, di tanto in tanto, se la porta alla bocca.

Per qualche strano motivo, questo tizio mi ricorda qualcuno, penso.

«Avete bisogno?» chiedo, togliendomi una cuffietta.

Le labbra della ragazza si piegano in quello che pare un sorriso tirato, che non raggiunge affatto gli occhi. «Qualcosa c'è, in effetti»

Io annuisco piano, facendole capire che sto ascoltando. In realtà, in questo momento, vorrei semplicemente che questi due se ne vadano: voglio restare sola. Forse, mi dico, se li assecondo poi mi lasceranno in pace.

«Potresti levarti dalla nostra panchina, per cominciare» prosegue lei, intrecciando le dita della sua mano con quelle del ragazzo. «Poi potresti, che ne so, non tornare mai più qui»

Sbatto un paio di volte le palpebre, confusa e sorpresa al tempo stesso.

«Che c'è, non ci senti?» aggiunge poco dopo.

Sorrido, facendo l'innocente. «Scusa, è che non ricordavo che le panchine dei parchi pubblici potessero appartenere alla gente. Se vuoi, posso darle una lucidata prima di andarmene»

Il viso della ragazza di blocca in un'espressione d'odio. Assottiglia lo sguardo, serra la mascella quasi fosse pronta ad attaccarmi e mi accorgo che sul viso del suo ragazzo è apparsa l'ombra di un sorriso divertito. Mi piacerebbe farglielo sparire, ma per il momento mi accontento della bava da rottweiler di lei.

Forse dovrei averne paura... Nah!

Trovo strano che ancora nessuno dei due abbia fatto commenti sulle mie iridi, ma il pensiero vola vià quando sento il cellulare vibrare. Abbasso il capo, nonostante la coppietta stia ancora aspettando che me ne vada, e leggo velocemente il messaggio di mio fratello Jaime.

«A quanto pare, sei fortunata Uovo di Pasqua» dico, alzandomi dalla panchina con gli occhi ancora puntati sul telefono.

Mi prendo un attimo per rispondere a Jaime e, nel frattempo, mi complimento con me stessa – addirittura dandomi un cinque mentale – per il soprannome che ho appena tirato fuori. So che potrei fare di meglio, ma al momento questo è quello che è venuto fuori.

«Sembra proprio che sia richiesta la mia presenza a casa» concludo, alzando la testa e guardando prima lei e poi lui. Gli rivolgo uno dei miei migliori sorrisi, poi aggiungo: «Speriamo di non rivederci, eh!»

Mi infilo nuovamente la cuffietta e riprendo ad ascoltare del sano rock, partendo con November Rain dei Guns N' Roses. Ripercorro la strada a ritroso convinta di essermi fatta una nuova nemica – ovvero Uovo di Pasqua.

Chissà come mai il suo ragazzo non ha praticamente spiccicato parola. Se n'è stato lì impalato per tutto il tempo, con la sigaretta che fumava e gli occhi che facevano avanti e indietro: prima su Uovo di Pasqua, poi su di me. Probabilmente si godeva lo spettacolo, o forse aspettava il momento giusto per salvare la sua damigella.

Tornata alla villa, vedo da lontano mio padre e mio fratello sistemare un lungo tavolo in legno sotto il grande albero – quello sul quale c'era stata costruita una piccola casetta. Poco dopo mia madre li raggiunge: in mano tiene una pila di piatti.

«Sulla penisola in cucina ho lasciato un vassoio con bicchieri, posate e tovaglioli» mi dice, non appena mi vede. «Portali fuori e aiutami ad apparecchiare, poi corri in camera tua e cambiati»

«Ciao anche a te» replico a bassa voce, sperando che non mi abbia sentito.

E questa volta ho fortuna, perché altrimenti avrebbe già iniziato a farmi la predica.

«Ti ho tirato fuori un vestito e te l'ho messo sul letto» riprende, mettendo i piatti sul tavolo.

«D'accordo» sbuffo. Mi fermo sulla soglia e mi volto nella sua direzione: «Domanda: perché così tanti piatti? Noi siamo solo in quattro»

«Sono passati Regina e Luis a salutarci venti minuti fa» mi aggiorna mio padre. «Li abbiamo invitati qui a cena»

Annuisco ed entro in casa, avviandomi verso la cucina per eseguire gli ordini di mia madre. In un battito di ciglia, sono di nuovo fuori con bicchieri, tovaglioli e posate. Mi avvicino al tavolo e sistemo ogni cosa tra uno sbuffo e l'altro.

Quando finalmente ho finito, salgo la scala correndo e raggiungo camera mia. Mi chiudo la porta alle spalle e sposto lo sguardo sul mio letto. Lì, proprio come aveva detto mia madre, trovo il vestito che devo indossare per la cena di stasera. Il colore della stoffa è di un grigio chiaro e bellissimo, che quando lo indosso fa risaltare sia i miei capelli che la mia carnagione; ha due semplici spalline sottili e la parte inferiore, quella della gonna, ha delle rifiniture in pizzo bianco. Mi arriva appena sopra il ginocchio.

È incredibile il fatto che mia madre sia bravissima nel tirare fuori dal mio armadio abiti che mi stanno bene sul serio. Spesso mi chiedo perché, al posto di fare l'avvocato, non si sia data alla moda. Avrebbe spaccato i culi a tutti gli stilisti, per dirla in parole povere e per niente da signorina.

Dopo aver indossato il vestito, scelgo un paio di sandali che non rovinino il look e infine fatto un salto in bagno. Fortunatamente non devo ripassare il rossetto, ma ho i capelli rossicci che sparano ovunque. Me li tiro su e faccio una coda alta.

«Pel Di Carota?» mi richiama Jaime, saltando l'ultimo gradino e raggiungendomi in bagno.

Sbuffo e alzo gli occhi al cielo. «Non puoi chiamarmi Weasley come fa Desì?»

A questo punto, credo che la cosa dei soprannomi sia proprio di famiglia.

«Mai» risponde Jaime, dandomi una spallata perché si possa specchiare anche lui.

Incrocio le braccia al petto e lo osservo mentre si passa una mano fra i capelli castani, che ha preso da mio padre. Cerca di sistemarsi i ciuffi ribelli, ma poco dopo si stufa e decide di lavarsi i denti. Quando lo vedo tirare fuori il profumo, mi fiondo su di lui e glielo rubo di mano.

«Oh no! L'ultima volta hai infestato casa con questo schifo!» esclamo.

«Ma che stai dicendo!» esclama lui a sua volta, cercando di strapparmi la boccetta di mano. «Questo profumo è buonissimo! Devo per caso ricordarti che me l'ha regalato Margaret?»

Scuoto il capo e tranquilliamente dico: «E lo sanno tutti che Margaret non ha buon gusto... a partire dal suo stesso ragazzo»

Jaime assottiglia lo sguardo, negli occhi marroni gli leggo tutti gli insulti che mi sta lanciando. So che vorrebbe saltarmi addosso, per riprendersi il profumo e probabilmente per uccidermi, ma la voce dei nostri genitori mette la parola fine a questo nostro incontro.

Uno a zero per Heidi, palla al centro.

«Non è finita qua, Rosso Malpelo» mi minaccia Jaime, dandosi un'ultima occhiata allo specchio prima di scendere al piano inferiore.

Io rimetto il profumo al suo posto e poi seguo mio fratello.

«Uuh, che paura!» dico, scoppiando a ridere.

Troviamo nostra madre sulla soglia di casa, le braccia incrociate sotto il seno e il suo sguardo severo. Se non fosse stato per Regina e Luis che, alle sue spalle, si stanno godendo un aperitivo, probabilmente avrebbe fatto una scenata. Questo, però, non vuole dire che non si risparmierà più tardi, quando i vicini se ne saranno tornati a casa.

Sul viso le appare un sorriso vagamente inquietante. «Coraggio! Luis, Regina e loro figlio Theodore sono qui fuori! Aspettavamo solo voi»

Deglutisco e noto Jaime fare lo stesso. Nel momento in cui nostra madre si volta, così da raggiungere il resto degli adulti, io e mio fratello ci scambiamo un'occhiata spaventata. Se qualcuno dovesse scattarci una foto, non dobuto che il risultato sarebbe il ritratto perfetto di due animali in preda al terrore.

«Ti prego, portami al college con te» lo supplico a bassa voce, seguendolo in giardino.

Il sole non è ancora tramontato, ma comunque si è già fatto più scuro. Quando lascio il vialetto in cemento per raggiungere il tavolo in legno sotto l'albero, l'erba fresca mi solletica i piedi attraverso i sandali.

Afferro mio fratello per un lembo della maglietta, ancora terrorizzata dal sorriso di mia madre e insieme ci avviciniamo a Theodore. È di spalle, per cui le uniche cose che posso notare di lui sono i suoi capelli neri e, beh, il suo splendido lato b.

«Forse Desì aveva ragione nel dire che questo trasferimento avrebbe portato anche cose buone» mormoro sempre a bassa voce, mordendomi un labbro.

«Ti prego!» si lamenta Jaime, alzando gli occhi al cielo. Non appena è vicino al figlio di Luis e Regina, gli da un colpetto sulla spalla e aspetta che si giri. «Hey! Io sono Jaime e questa è mia sorella...»

Ma non fa in tempo a finire la frase, perché io e Theodore ci guardiamo e spalanchiamo la bocca. All'unisono, ci indichiamo e: «TU?!»


 

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Capitolo 3
*** II ***


Heidi

 

A metà cena il sole è calato del tutto, e al suo posto sono apparse la luna e le stelle. Il cielo adesso è un manto scuro, di nuvole neanche l'ombra. Papà, che aveva calcolato tutto ore prima, ha tirato fuori un piccolo telecomando dai pantaloni e lo ha puntato verso l'alto: in un secondo, quel numero indefinito di lampadine che pendevano dai uno dei rami dell'albero si sono accese.

Mi sono chiesta più e più volte, nel giro di un secondo, quando abbia trovato il tempo di metterle su e come ho fatto io a non accorgermene.

«Dunque,» esordisce Luis, spostando lo sguardo da suo figlio a me. «com'è che vi siete conosciuti voi due?»

Apro la bocca per rispondere che la sua psicopatica ragazza mi ha gentilmente chiesto di levarmi di torno solo perché ero seduta sulla sua panchina, ma Jaime mi tira un calcio da sotto il tavolo e io noto immediatamente mia madre. È seduta all'altro capo del tavolo, di fronte ai mio padre e accanto a Regina. Mi sta mandando un messaggio chiaro: "Rispondi a dovere o per te sarà la fine".

Dato che ci tengo alla mia breve vita, deglutisco e fingo un sorriso. Sto quindi per rispondere a Luis, quando Theodore mi batte sul tempo.

«Ci siamo incrociati al parco» spiega, guardandomi con la coda dell'occhio. «Ha dato dell'uovo di Pasqua a Vanessa»

Jaime, che stava bevendo, quasi si strozza con l'acqua. Trattiene una risata, chiude gli occhi e cerca di calmarsi – e per colpa sua adesso sto quasi per scoppiare a ridere anch'io. Con un'occhiata d'intesa gli faccio capire che più tardi gli racconto ogni cosa.

«Io ti adoro già» commenta con gioia Regina, facendomi l'occhiolino.

In effetti, adesso che ci penso, poco prima che me ne andassi a spasso e raggiungessi il parco, Regina aveva quasi avuto un conato di vomito nel dire "ragazza di mio figlio". Forse fra loro non scorreva buon sangue, e la cosa si faceva ancora più interessante.

«E ci risiamo» commentò Theodore, alzando gli occhi al cielo.

«Non è un segreto che non mi piaccia affatto la ragazza di Theo» spiega Regina, e suo marito – seduto accanto a mio padre – annuisce. «Io credo faccia il figlo a mio figlio solo per i soldi, e perché lui tende a farle un regalo dopo l'altro»

«E da quanto stanno insieme?» domando io, trovando quella conversazione succulenta.

«Davvero?» mormora a denti stretti Theodore, lanciandomi un'occhiata assassina.

«Davvero, davvero» rispondo.

«Beh,» Regina si ferma un attimo per riflettere. «credo un annetto. Ma tante cose possono cambiare...»

Nel dire questo, mi sorride e gli occhi brillano di una strana luce. Dall'espressione, pare che stia già progettando il mio matrimonio con suo figlio. E questa volta sono io a strozzarmi con l'acqua, solo che in questo momento non c'è nulla di divertente. A quanto pare, però, quando mi volto verso Jaime per chiedergli aiuto, lui si sta divertendo eccome.

«Hai notato i suoi occhi, Theo?» prosegue Regina, come se niente fosse. «Non sono meravigliosi?»

«Eterocromia!» esclama Luis.

Per qualche strano motivo mi giro verso Theo, e lo trovo lì a fissarmi. Ha piegato un po' la testa, come un bambino curioso, e ha assottigliato lo sguardo. Sembra quasi che non si sia accorto, quando eravamo al parco, che ho le iridi di due colori diversi.

Apre la bocca per dire qualcosa, ma il fatto che mia madre si schiarisce la gola lo blocca. Lo vedo scuotere il capo e sbuffare, poi afferra un paio di crostini da uno dei cestini sul tavolo e si mette a mangiarli in silenzio. Io e Jaime ci guardiamo un secondo, e nello stesso istante ci stringiamo nelle spalle.

°*°

Arrivati al dolce, mia madre non fa che parlare di lavoro. Bombarda di domanda Luis e Regina, ascolta attentamente le sue risposte e sorride di tanto in tanto. Siccome Jaime non è di compagnia – ha finto di dover andare in bagno così da poter chiamare Margaret – e con Theo non voglio averci a che fare, mi concentro sugli adulti.

A quanto pare, Regina e Luis gestiscono un negozio d'alta moda. I loro fornitori sono Prada, Gucci, Versace, Luis Vitton, Dolce&Gabbana e chi più ne ha più ne metta. Hanno aperto subito dopo il college, qualche mese dopo essersi trasferiti nel quartiete. Nel giro di un anno, poi, si sono sposati ed è arrivato Theodore Benjamin Turner – anche detto Theo.

Mentre ascolto, mi sento come se mi avessero catapultato in uno di quei noiosissimi ricevimenti ai quali sono costretta a partecipare. Ritrovi dell'alta società, così li definisce mia madre; si tratta invece di una massa di ricchi con la puzza sotto il naso che si incontra in sale di alberghi lussuosi, o in ville gigantesche, con lo scopo di raccimolare una certa quota da dare in beneficenza.

La realtà dei fatti è molto più semplice: è un modo per vantarsi, è una gara senza fine su chi ha di più.

Adesso che ci penso, da ora in poi non avrò più la mia fedele compagna a questi stupidi ricevimenti. Non posso chiamare Desì ogni volta che ce n'è uno e farla venire qui.

Sarò sola!, urlo nella mia testa, e senza rendermene conto spalanco gli occhi. Completamente sola!

Jaime torna a tavola e mi da un colpetto sulla fronte. «Tutto bene, Fiammifero

«Sì,» si intromette Theo, sorridendomi sprezzante. «tutto bene, Fiammifero

«Okay. Tu,» e indico Theo. «nessuno ti ha dato il permesso di chiamarmi in quel modo. Il nostro rapporto non è ancora arrivato al livello "nomignoli" e mai ci arriverà. E tu,» e indico Jaime. «onestamente mi aspettavo di meglio. Questo è banale»

«Devo fare una lista così che tu possa approvarla?» mi chiede Jaime, corrugando la fronte. «Basta saperlo»

«Hai già provato con: "Pomodoro"?» suggerisce Theo.

«Cavoli!» mio fratello si da un colpo sulla fronte con la mano. «Questo proprio mi mancava!»

Io li guardo, sconvolta. È da quando sono piccola che spero che la gente tiri fuori nomignoli per il fatto che ho gli occhi di due colori diversi, ma pare che ciò che alla gente rimane impresso sia il colore dei miei capelli.

«Che fai, ti schieri con lui adesso?» do una spinta a Jaime e lo guardo, tradita. «Dovresti prendere le mie difese!»

«Te l'avevo detto che non era finita prima, quando mi hai rubato il profumo» replica lui con finta innocenza. «E pare che la mia vendetta sia appena cominciata»

Si volta verso Theo e gli mostra un sorriso divertito, compiaciuto. Io assisto alla nascita di questa strana amicizia e sbuffo, incrociando le braccia sotto il seno.

°*°

Salgo al secondo piano lentamente, in mano stringo tre lattine di coca-cola. Sono ghiacciate e le mie dita si stanno congelando; quando arriverò in camera di mio fratello saranno da tagliare via.

I Turner ancora non se ne sono andati e al momento sono al piano di sotto, insieme ai miei. Non so effettivamente di cosa stiano parlando, ma prima di salire ho sentito pezzetti di conversazioni: «... la scuola», «forse questo è il...», «... sabato prossimo!».

Sono le undici! Andate a casa vostra!

Scuoto il capo e con un piede apro la porta della stanza di mio fratello. Lui e Theo sono seduti sul pavimento ai piedi del letto, in mano stringono ognuno un joystick e i loro occhi sono fissi sulla televisione appesa ad una parete. Stanno giocando alla Play Station, i colpi di fucile che rimbombano per tutta la camera, uno dei due – o Jaime o Theo – che urla di comprire il proprio personaggio.

«Vi ho portato qualcosa da bere» dico, esausta.

Senza aggiungere altro, gli lascio sulla scrivania due lattine e me ne porto via una. Faccio per uscire quando sento mio fratello che mi chiama, e quando mi volto vedo che è ancora intento a giocare – e così anche Theo.

«Cosa vuoi?» gli chiedo, sbuffando.

«Non resti qui?» mi chiede Jaime a sua volta.

Mette in pausa e Theo si lamenta, poi entrambi si voltano verso di me. Jaime si alza e va a prendere le due coca-cola che gli ho messo sulla scrivania, ne tira una al suo nuovo amico e infine mi guarda, aspettando una mia risposta.

«Con voi due? A fare cosa?» replico, scuotendo il capo. «Sono stanca, Jaime, e vorrei andare a letto. Avevo intenzione di guardarmi un film, ma i miei occhi stanno per chiudersi da soli»

«Puoi giocare con noi» propone Theo. «Qualsiasi cosa tu voglia, purché si riprenda la partita»

Alzo gli occhi al cielo. «Davvero gentile da parte tua»

Alla fine decido di rimanere insieme a loro, solo che evito di giocare. Mi metto comoda sul letto di Jaime, proprio nel mezzo. Sistemo meglio i cuscini in modo tale che, nonostante io sia sdraiata, sia in grado di vedere la televisione.

«Sicura di non voler fare un tentativo?» mi chiede mio fratello, girandosi appena nella mia direzione. «Ti dico i tasti giusti questa volta»

«No, grazie» rispondo. «So che è una bugia la tua, e poi voglio riposare gli occhi»

«Il che significa che ti addormenterai qui e dovrò portarti di peso fino alla tua stanza» sbuffa divertito Jaime. «La casa cambia, ma Heidi rimane sempre la stessa»

«Li riposo solo due minuti, idiota» borbotto, chiudendo gli occhi. «In camera mia ci vado da sola, non preoccuparti»

Lui borbotta a sua volta qualcosa che non riesco a capire, sicuramente perché sono troppo stanca per concentrarmi davvero. Sento le mie palpebre farsi sempre più pesanti, le urla di Jaime e Theo sembrano allontanarsi, così come i colpi di fucile. L'ultima cosa che vedo, prima di addormentarmi, e confermare le parole di Jaime, è il personaggio di qualcuno che viene ucciso da quello dell'altro.


 

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Capitolo 4
*** III ***


Theodore

 

Al termine di quella che è la milionesima partita a Call of Duty, Jaime si alza dicendo che deve andare in bagno. Accanto a lui, la sua lattina di coca-cola è vuota, accartocciata su sé stessa. Prima che esca dalla stanza gli chiedo se può vedere a che punto stanno i nostri genitori: è tardi e vorrei tornarmene a casa.

Avevo dei piani per la serata, e di certo questa cena coi Granger non era quello che avevo programmato. No, io a quest'ora avrei dovuto essere ad una delle ultime feste organizzate prima dell'inizio della scuola. Sarei dovuto andare a prendere Vanessa, e magari, adesso, staremmo facendo...

Mi tirò su dal pavimento e mi sgranchisco le gambe, poi giro piano il collo. Sono indolenzito, con le gambe che fanno male dopo tutto quel tempo che ho passato seduto per terra. Mi allungo per prendere la mia lattina di coca-cola e ne bevo un sorso.

I miei occhi, involontariamente, si posano su Heidi. Lei se ne sta sdraiata sul letto di suo fratello, il torache che fa su e giù in un movimento regolare e tranquillo, l'ombra di un sorriso sulle labbra rosso sangue.

Dorme.

È strano, ma è da quando ci siamo incontrati al parco che non riesco a levarmela dalla testa. Nella mente mi si forma una versione sfocata del suo viso e io la riconosco per le sue labbra rosse, per i capelli rossicci e per gli occhi di due colori diversi. A poco a poco, come una cascata, salta fuori anche il resto del corpo e io non posso fare a meno di mordermi il labbro.

Sorrido nel ricordare il modo in cui ha risposto a Vanessa, per la questione della panchina. So che avrei dovuto prendere le difese della mia ragazza, e infatti lei poi me lo ha detto chiaro e tondo che si aspettava un mio intervento, eppure mi stavo divertendo un mondo.

Uovo di Pasqua. Heidi ha chiamato Vanessa in questo modo.

«I tuoi mi hanno detto di dirti che ti aspettano di sotto,» afferma Jaime, ritornando in camera. «ma, prima che tu vada, ho bisogno del tuo aiuto»

«Per fare cosa?» gli chiedo, appoggiando la mia lattina di coca-cola sulla scrivania.

Mi fermo un momento nell'osservare una vecchia foto che Jaime tiene accanto al suo portatile. Ritrae lui e sua sorella ad una festa di carnevale, forse delle elementari. Jaime è vestito da Batman, con maschera, mantello e tutto il resto, mentre Heidi ha la divisa di Hogwarts. Entrambi sorridono, a lei mancano due denti davanti, e si abbracciano guardando la macchina fotografica.

«Beh, è arrivato il momento di spostare il sacco di patate» mi risponde Jaime. «Questa è la prima notte che passo qui e voglio il mio letto tutto per me»

«D'accordo» mi stringo nelle spalle. «Che devo fare?»

Jaime si avvicina al letto e prende la sorella per le braccia. Tirandola, la trascina verso il bordo, poi piega le ginocchia e l'afferra per i fianchi. Se la carica su una spalla e infine si tira su, facendo un po' di fatica. Prima di voltarsi verso di me, si assicura che il vestito di Heidi non si alzi troppo, ma così facendo gli mette in bella mostra il sedere.

Non riesco a non sorridere, compiaciuto.

«Devi solo aprirmi la porta di camera sua» mi spiega Jaime.

Quindi lo seguo attraverso il corto corridoio e gli apro la porta che mi indica con lo sguardo. Faccio un passo indietro per lasciarlo passare e rimango sulla soglia ad aspettarlo, appoggiandomi con la spalla allo stipite della porta. Mentre attendo, mi guardo intorno.

La camera di Heidi è molto diversa da quella del fratello, l'unica cosa che hanno in comune è l'iniziale del nome – Jaime la "J" e Heidi l'"H" – in legno, proprio sopra la testata del letto. Quest'ultimo è addossato a due pareti ed è ad una piazza e mezza. La scrivania è ampia e spaziosa, e sopra, attaccata al muro, c'è una bacheca in sughero sulla quale Hedie ha già messo delle foto.

In una di queste c'è lei che fa la linguaccia a qualcuno, in un'altra Heidi è in compagnia di una ragazza dai capelli blu.

Poi i miei occhi si spostano sull'armadio, sulla piccola libreria – dove ci sono anche dei vinili – e...

«Lei ha il balcone?» mi ritrovo a dire, e stranamente ho la gola secca.

Jaime copre Heidi con un lenzuolo e le da un'ultima occhiata. Quando si gira verso di me, si stringe nelle spalle e dice: «Fra due settimane sarò al college. Era inutile che questa stanza capitasse a me»

Apro la bocca per dire qualcosa, anche se nemmeno io so esattamente cosa, ma non esce assolutamente nulla. Mi limito ad annuire, la mani nascoste nelle tasche dei pantaloni.

Rimango immobile a guardare il balcone di Heidi. Da dove mi trovo adesso, riesco a vedere camera mia. Improvvisamente, l'unico pensiero che mi invade la testa è: Dovrò tirare le tende ogni volta che ho Vanessa a casa.

E nemmeno io so il perché.

°*°

Fai ancora in tempo a venire alla festa, Theo!

Standomene sdraiato sul mio letto, rileggo per la terza volta il messaggio di Kaden, il mio migliore amico. I miei occhi si soffermano sulla parola "festa" e mi torna alla mente che, se non fossi stato costretto ad andare a cena dai Granger, a quest'ora mi starei divertendo con i miei amici e con Vanessa.

Lascio cadere il cellulare sul materasso e mi volto verso il comodino, giusto per dare una veloce occhiata alla sveglia che ho sul comodino.

11:45 pm.

Mi dico che non è poi così tardi, quindi riprendo il cellulare e chiedo a Kaden quanta gente c'è ancora. La sua risposta non si fa attendere: Aspettiamo l'alba, amico! Portati un costume, mi raccomando! Le ragazze hanno deciso di fare un tuffo in piscina ;)

Le mie labbra si piegano in un sorriso divertito e compiaciuto al tempo stesso. Mi alzo e raggiungo la pila di vestiti che, al momento, sostano sulla sedia della mia scrivania, in attesa di essere sistemati nell'armadio. Ne tiro fuori una maglietta pulita e un paio di bermuda che vadano bene anche come costume.

Appena mi sono cambiato, spengo la luce e apro piano la porta di camera mia. In punta di piedi, raggiungo il bagno e mi do una veloce controllata allo specchio: sistemo i capelli, pulisco gli occhiali e mi spruzzo un po' di profumo. Sempre in punta di piedi scendo le scale, sperando di non ritrovarmi i miei genitori davanti, e prendo le chiavi di casa.

Quando finalmente esco, sopra la mia testa c'è ancora il manto scuro disseminato da puntini luminosi, la luna è nascosta dietro una nuvola passeggera. Si è alzato un venticello fresco che muove piano le chiome degli alberi del giardino, i fili d'erba e i cespugli; nessun rumore.

Dato che non voglio farmi beccare dai miei, tiro fuori dal garage la mia moto e me la porto fino alla strada. Una volta che entrambe le ruote hanno toccato l'asfalto, ci salgo su e l'accendo, mettendomi subito dopo il casco. L'abituale scarica di adrenalina che mi investe ogni volta che guido la moto, inizia a prendere vita insieme al rombo del motore. Sorrido, do di gas e parto.

Non ci vuole tanto a raggiungere il posto in cui è stata organizzata la festa. Il parcheggio è pieno di auto parcheggiate alla bell'e meglio, la musica è talmente alta che potrebbe svegliare chiunque nel raggio di cinque chilometri. Fortunatamente, questa è una zona in cui non ci sono abitazioni: lo stabile veniva utilizzato come magazzino di una grossa azienda in passato, ma col tempo è stato trasformato in una discoteca con annessa zona piscina.

Parcheggio la moto dove so che, più tardi, la ritroverò con facilità e mi tiro via il casco. Passo una mano fra i capelli neri e spingo un po' più in su gli occhiali rotondi.

Forse, mi dico, dovrei passare alle lenti a contatto.

All'ingresso del locale mi trovo davanti un omone alto quasi due metri, i muscoli delle braccia che si tendono quando lui le incrocia al petto. È completamente calvo, gli occhi coperti da un paio di occhiali da sole – utilissimi, in effetti – e il naso che assomiglia vagamente ad una patata. La carnagione chiarissima viene messa in risalto dal suo completo nero.

Gli faccio un cenno di saluto col capo, nonostante non abbia idea di come si chiami, e lo supero. Quello mi lascia passare senza dire nulla e io, facendo solamente due passi, sono già nel mezzo della festa. Subito, l'odore di alcol mi colpisce, ma ha il retrogusto di fumo e sudore e altro, molto altro.

Scuoto il capo divertito e mi immergo nella folla danzante, facendomi largo con spinte leggere. Raggiunto il bar, che chiaramente è affollato, mi sbraccio per richiamare l'attenzione di uno dei baristi. Fortunatamente, uno di loro mi vede e si avvicina a me, tenendo in mano una bottiglia di rum.

«Cosa ti faccio?» urla, guardandomi con un sorriso sghembo.

«Per adesso un negroni» urlo in risposta.

Il barista annuisce e inizia a preparare il mio drink. Nel frattempo, io mi volto verso la pista da ballo e cerco di individuare o Kaden o Vanessa, ma la cosa è praticamente impossibile. Quando mi giro nuovamente, il barista mi sta allungando un bicchiere col mio negroni. Ne bevo un pochino e il gin brucia piacevolmente lungo la mia gola.

Qualcuno mi da una spinta e per poco il bicchiere non mi cade di mano. Sto per insultare pesantemente questa persona, ma all'improvviso mi blocco riconoscendo quell'idiota del mio mgliore amico.

«Kaden!» esclamo, scuotendo il capo. «Ma che ti salta in testa? Potevi farmi cadere il drink!»

Lui alza le mani in segno di resa e scoppia a ridere. «Stavo cercando di attirare la tua attenzione!»

Io scuoto il capo e prendo un altro sorso di negroni. Guardo Kader e noto che ha i capelli castani completamente bagnati, e poco dopo mi accorgo che persino i suoi vestiti gocciolano. Sono sicuro che qualcuno lo abbia buttato in piscina completamente vestito, ma dalla sua espressione divertita capisco che non ne è dispiaciuto.

Non è ubriaco, mi rendo conto, ma è sulla buona strada.

«Ti ho visto arrivare!» prosegue, facendo cenno al barista di avvicinarsi. «Ho provato a chiamarti, ma... sai com'è!»

E scoppia a ridere.

Io scuoto il capo divertito e gli chiedo dove posso trovare Vanessa. Prima di rispondere, Kaden si fa consigliare un cocktail da provare e, una volta deciso, guarda il barista che glielo prepara. A quel punto mi dice che la mia ragazza è nella zona piscina insieme alle sue amiche e al resto della nostra squadra di baseball: stanno giocando a pallavolo in acqua.

°*°

Vanessa è completamente ubriaca, a stento si regge in piedi. Continua ad allungarmi la sua roba: la borsetta, il vestito fradicio, i tacchi, il fiocco che ha in testa da oggi pomeriggio. Con un braccio cerco di tenere tutte ste cose, con l'altra la sostengo fino a quando non arriviamo alla mia moto.

«Ho bisogno che ti rivesti, Vane» le dico, ripassandole il vestito che gocciola a terra. «I tacchi posso metterli insieme al resto sotto la sella, ma vorrei evitare di riportarti a casa tua in intimo»

Lei sbiascica qualcosa di incoerente e si regge alla mia moto, poi chiude gli occhi e scoppia a ridere. Io la osservo attentamente mentre alzo la sella e ci infilo dentro tacchi, borsetta e fiocco, poi l'aiuto a vestirsi. Prima di farla salire, mi rendo conto che si ammalerà sicuramente se tiene quel vestito bagnato addosso, quindi cambio idea e le dico di levarselo.

«Vuoi che mi tolga anche questi?» mi domanda, sorridendomi con malizia e indicandomi reggiseno e mutandine.

Io mi mordo un labbro. «Non stasera»

Vanessa mi guarda con un'espressione delusa, ma subito questa si trasforma in una divertita. Batte le mani come una bambina quando vede che mi sto togliendo la maglietta, rimanendo a torso nudo.

«Metti questa» le dico, aiutandola ancora una volta.

La faccio salire sulla mia moto e io, temendo che possa cadere durante il viaggio, mi siedo dietro di lei. Le dico di tenersi stretta, in qualche modo, e poi accendo il motore. Kaden mi raggiunge proprio quando sto per partire: si è ripreso, adesso, ed è notevolmente più lucido di prima.

«Se vuoi la porto a casa io: sono in macchina» mi dice.

«Non preoccuparti» replico. «Ci penso io. Vieni da me più tardi? Ti devo presentare il mio nuovo vicino: ha una marea di giochi per la play che sicuramente ti piaceranno da impazzire»

Appena il suo cervello registra le mie parole, e soprattutto "play", i suoi occhi scuri si illuminano. Conosco il mio migliore amico e so perfettamente che non si lascerà sfuggire un'opportunità come questa.

E infatti, due secondi dopo, lui mi risponde: «Non posso venire adesso?»

Scuoto il capo divertito e gli dico di raggiungermi per pranzo, poi chiudo la mano a pugno e l'allungo. Kaden fa lo stesso e le nostre nocche entrano in contatto; prima di dare di gas, mi fa un cenno con la mano e si volta, incamminandosi verso la sua auto.

Concentrandomi sulla guida, e su Vanessa che continua a balbettare frasi incomprensibili, mi rendo conto che è davvero l'alba. In lontananza, dietro i palazzi più alti, il sole sta sorgendo, il cielo che si fa sempre più chiaro. Quando mi fermo ad un semaforo rosso, sento persino il cantare degli uccellini.

«Dobbiamo entrare di nascosto» mormora Vanessa.

Questa è la terza volta che vomita, e credo che adesso si sia ripresa da tutto quell'alcol che ha buttato giù alla festa. Forse non è proprio lucida lucida, ma una bella dormita e tanta acqua l'aiuteranno sicuramente.

«Ai miei avevo detto che sarei rientrata per le tre» continua, pulendosi la bocca col vestito bagnato.

«I miei non sanno nemmeno che sono uscito» mi stringo nelle spalle sorridendo. «Pensano che sia nel mio lettino a dormire, come un bravo bambino»

Sorride anche lei, poi da un'occhiata alla maglietta che le ho prestato e mi ringrazia. Io mi limito ad annuire, facendole poi cenno verso il retro di casa sua. Da lì, forse, sarà più facile entrare senza svegliare i suoi genitori.

Circa dieci minuti dopo, riusciamo a compiere la nostra missione. Rimango un attimo nella sua camera, Vanessa che fa avanti e indietro per recuperare le cose che gli servono per farsi una doccia. Io le sistemo i tacchi vicino alle altre scarpe, mollo il fiocco sulla sua scrivania insieme alla borsetta.

«Ti riporto la maglietta tra un paio di giorni, va bene?» mi dice, togliendosela e mettendola nella pila di vestiti da lavare.

Io annuisco e la ringrazio.

Diversamente da molti altri ragazzi, io detesto che una persona alla quale ho prestato dei vestiti poi non me li restituisca. Vanessa lo sa benissimo, quindi sono felice che mi abbia detto che, presto, quella maglietta tornerà in mio possesso.

Prima di salutarci, Vanessa fa scorrere l'indice sul mio torace e io, per qualche strano motivo, non sento niente. Agli inizi della nostra relazione, ogni volta che la nostra pelle entrava in contatto, io sentivo brividi ed elettricità a non finire, ma adesso...

La bacio velocemente, nonostante il suo alito sappia un po' di vomito, e mi convinco che è normale che non senta nulla adesso. Forse è perché sono stanco e perché anche io ho bisogno di riposare.

Forse...

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Capitolo 5
*** IV ***


Theodore

 

Una calda brezza invade la mia stanza, portando con sé il profumo della fine dell'estate. La tenda si muove appena e una macchia di luce mi colpisce dritto negli occhi, accecandomi e infastidendomi. Avrei preferito dormire ancora un po', ma pare proprio che qualcuno, da qualche parte, abbia piani diversi per me oggi.

Apro piano gli occhi e mi do mentalmente dello stupido: se solo avessi abbassato la tapparella quando sono tornato a casa sta mattina, forse a quest'ora sarei ancora nel mondo dei sogni. Sbuffando mi tiro su a sedere e volto il capo verso il comodino, dove c'è la sveglia.

11:45 am

Mi trascino fuori dal letto e raggiungo la finestra, poi spalanco le tende ed esco sul balcone con addosso solo i boxer. Respiro a pieni polmoni e mi guardo attorno: mia madre sta facendo del giardinaggio, mio padre legge il giornale a bordo piscina, nel giardino posteriore dei Granger ci sono Jaime e suo padre che preparano la griglia.

Con tutte le mie forze cerco di evitare di spostare lo sguardo nel balcone di fronte al mio, dove sono sicuro di trovare Heidi. Per qualche strano motivo, però, i miei occhi non danno ascolto ai miei ordini e si fissano sulla camera della rossa. Lei e sdraiata per terra, la parte inferiore delle gambe è sul letto. L'orecchio è nascosto dal cellulare, le labbra rosa carne sono piegate in un sorriso.

«Chissà con chi sta...»

Non riesco a completare la frase, perché mi arriva una forte pacca sulla schiena che, sicuramente, ha già lasciato un segno rosso sulla mia pelle. Quando mi volto, vedo Kaden buttarsi sul letto mentre si lascia andare in una breve risata. Io rientro in camera fulminandolo con lo sguardo e mandandolo a quel paese, poi mi avvicino alla pila di vestiti che ho sulla sedia della scrivania e cerco un paio di bermuda e una maglietta da metter su.

«Allora, quando mi fai conoscere questo nuovo amico con la play?» mi domanda Kaden.

Tirandosi su a sedere, si passa una mano fra i capelli castani nel vano tentativo di risistemarseli. Nell'attesa che io sia completamente vestito, fischietta e si guarda attorno, quasi fosse la prima volta che vede camera mia.

«Magari più tardi» rispondo, specchiandomi nello specchio – che poi è anche una delle ante del mio armadio. «Adesso è fuori in giardino con suo padre: stavano accendendo la griglia quando mi hai colpito alle spalle»

«Hey,» dice, puntandomi un dito contro e assottigliando lo sguardo. «vorrei ricordarti che questa guerra delle manate l'hai iniziata tu. Con questo siamo pari»

«Per ora» replico immediatamente, facendogli l'occhiolino.

Kaden si alza scuotendo il capo divertito. Si stiracchia e sbadiglia, poi sposta lo sguardo sul balcone. Decide di uscire e io lo seguo.

Io e Kaden prendiamo un respiro profondo nello stesso momento, entrambi guardiamo all'insù, verso il cielo. Un mare sospeso e infino, solcato da navi bianche e spumose; un piccolo stormo di uccelli si alza in volo e si allontana, facendosi sempre più piccolo.

All'improvviso sento Kaden trattenere il respiro e quindi mi volto verso di lui, trovandolo con la bocca spalancata e gli occhi puntati sul balcone di fronte al mio. Seguo il suo sguardo e vedo Heidi tirare fuori dal cassetto di un mobile il bikini, i capelli rossi che le cadono sulla schiena come le onde dell'oceano.

«Tu hai una nuova vicina e non mi dici niente?!» esclama Kaden, dandomi una spinta.

«Non è niente di che» sbuffo, girandomi sul posto e appoggiando la schiena alla ringhiera di ferro battuto.

«Non è niente di che?» ripete lui, guardandomi e indicando Heidi al tempo stesso. «Theo, ma l'hai vista? È... è... è una strafiga!»

Ridacchiando mi volto verso la stanza di Heidi e mi metto ad osservarla. Mostra il costume da bagno al telefono – che si trova sul letto – e fa una linguaccia, poi sposta i capelli rossi su una spalla. La maglietta e pantaloncini di quello che dovrebbe essere il pigiama le mettono in risalto la figura, lasciando scoperte le gambe lunghe e chiare.

Forse Kaden ha ragione...

Heidi scoppia a ridere e il suono della sua risata mi raggiunge come una folata di vento, insinuandosi nelle mie orecchie e raggiungendo rapidamente il cervello. Mi bagno le labbra e do una rapida occhiata al mio migliore amico, constatando che non sono l'unico che ha la bava alla bocca.

«Theo, hey!» esclama Jaime, attirando la mia attenzione.

Nello stesso momento in cui suo fratello mi chiama, Heidi si gira e spalanca gli occhi. Furiosa, si avvicina alla porta-finestra del balcone e mostra a me e a Kaden il dito medio, poi tira la tenda e lo spettacolo finisce.

Balbettando qualcosa che neanche io riesco a comprendere, sposto lo sguardo verso il giardino posteriore dei Granger. Jaime mi sta salutando con un ampio sorriso in volto, in mano stringe un coltello.

Mi vorrà sicuramente uccidere per aver spiato sua sorella, penso, sorridendo a mia volta.

«Jaime! Come va?» gli chiedo. Stringo piano la spalla del mio migliore amico e lo indico con la mano libera. «Questo è Kaden, volevo passare da te oggi pomeriggio e presentartelo. È un fan dei videogames!»

Jaime ci fa segno di scendere e di raggiungerlo. Quindi, mettendo da parte Heidi, le sue forme, i suoi capelli rossi e le iridi di due colori diversi, spingo Kaden fuori dalla mia stanza e insieme raggiungiamo il giardino.

Fra casa mia e quella dei Granger non c'è molta distanza. A dividerci uno steccato bianco alto al massimo un metro e venti centimetri. Troviamo Jaime proprio lì, coi gomiti sul legno tinteggiato e il coltello che ha usato per tagliare la carne che adesso cuoce sulla griglia. Io lo saluto con una veloce stretta di mano, poi gli presento nuovamente il mio migliore amico.

«Allora,» inizia Kaden, portando le mani sui fianchi e sorridendo. «sei tu il famoso nuovo vicino con la play e un'infinità di giochi?»

Jaime ridacchia e annuisce. «Proprio così»

E così i due avviano una conversazione su quale viodegame sia il migliore in assoluto, escludendomi completamente. Per una manciata di minuti fingo di ascoltarli, rispondendo con un veloce "Non saprei" ogni volta che vengo interpellato. Nell'attesa che questo scambio di opinioni termini, vedo Heidi uscire dalla porta sul retro e raggiungere suo padre.

Indossa il bikini che ha tirato fuori poco fa e per un istante mi sembra di avere un infarto. Ha legato i capelli in una coda alta, si è messa un paio di occhiali da sole e in una mano stringe un grosso telo da mare. Quando è abbastanza vicina, si mette in punta di piedi e bacia il padre sulla guancia, il quale a sua volta sorride e le fa un cenno verso la griglia.

«Stavo parlando con Desì» gli dice, stendendo il telo a bordo piscina.

«Che dice di bello? E come stanno i suoi?» domanda Caleb, spostando momentaneamente l'attenzione dalla figlia alla carne.

Heidi si stringe nelle spalle. «Stanno bene. Desì dice che i Nixon hanno organizzato una cena con delitto a casa loro. Si è divertita un mondo: lei e Margaret hanno fatto le detective per tutta la serata»

«Potremmo fare una cosa del genere anche noi. Che ne dici, pulce?» le chiede Caleb.

Heidi si stende sul telo e apre la bocca per rispondere al padre, ma proprio quando le parole stanno lasciando le sue labbra sento qualcuno che, alle mie spalle, urla il mio nome. Sia io che Kaden facciamo un salto di un metro, Jaime sussulta e si porta una mano al cuore. In meno di un secondo, due braccia mi circondano la vita e io mi ritrovo a respirare aria intrisa di un profumo a me conosciuto.

Faccio un giro sul posto ritrovandomi faccia a faccia con Vanessa, la mia ragazza. I capelli castani le cadono su una spalla in una treccia complessa, il codino non è altro che un piccolo fiocco color mirtillo. Indossa un paio di pantaloncini di jeans a vita alta e un top bianco, sulle labbra del rossetto scuro.

Vanessa si alza sulle punte delle scarpe da ginnastica e mi lascia un bacio a fior di labbra, saluta Kaden con un cenno della mano e, quando si accorge di Jaime, allunga un braccio verso di lui e si presenta. Lui le stringe la mano corrugando la fronte, confuso.

«Sono la ragazza di Theo» si affretta ad aggiungere, stringendo la presa sui miei fianchi.

Jaime annuisce piano, poi riprende a parlare con Kaden di videogames.

Curiosa come non mai, Vanessa da una veloce occhiata al giardino dei Granger. La sento trattenere il respiro quando vede la piscina, e poco dopo quasi si strozza con la sua stessa saliva. Sto per chiederle che le sia preso, ma mi basta alzare il capo e la risposta arriva senza che io dica nulla: Heidi si è alzata e sta raggiungendo il trampolino.

«Che ci fa lei qui?» sibila Vanessa, mollando la presa su di me e incrociando le braccia al petto.

«Ci abita» risponde prontamente Jaime, voltandosi verso la sorella.

A questo punto, Jaime alza gli occhi al cielo e fa un cenno col capo a me e a Kaden. Raggiunge il padre e insieme continuano a preparare il pranzo, chiacchierando di chissà che cosa. Vanessa rimane immobile fino a quando lui non è abbastanza lontano, quindi sbuffa e gli da dell'insopportabile – proprio come la sorella.

Vedo Kaden mordersi un labbro pur di non dirle ciò che pensa di lei, io che lo supplico di non aprire bocca.

Propongo a Kaden e Vanessa di rientrare in casa e di prepararci un panino, così poi possiamo uscire a prendere il sole e a fare una nuotata. Entrambi annuiscono e si incamminano. Prima di seguirli, do un'ultima veloce occhiata ad Heidi: si tuffa di testa nella piscina, si avvicina al bordo e cerca di schizzare sia Jaime che Caleb.

°*°

Vanessa esce dalla piscina aiutandosi con la scaletta, scuote i capelli e mi guarda con occhi maliziosi, mordendosi il labbro mentre mi si avvicina. Con eleganza si siede sul telo da mare che le ho prestato, poi si gira e prende a baciarmi. Per un attimo smetto di pensare a qualsiasi cosa, persino il fatto che non siamo soli svanisce nell'aria, poi Kaden si schiarisce la gola e quella magia si spezza.

«Guastafeste» borbotta Vanessa, tirando fuori dalla sua borsa l'iPod fucsia che le ho regalato per il suo ultimo compleanno. Prima di mettersi le cuffiette, e isolarsi nel suo mondo, si avvicina per mordermi un labbro e, sussurrando, aggiunge: «Aspetterò fino a quando saremo soli»

Una scarica di adrenalina mista ad eccitazione mi investe in pieno e un sorriso malizioso fa il suo ingresso sul mio volto. Vanessa si stende a pancia in giù e io le metto una mano sul fondoschiena e stringo un poco la presa sulla pelle, pregustandomi il momento in cui non ci sarà nessuno a darci fastidio.

Al posto di rientrare per farmi una doccia fredda, e magari qualcos'altro, decido di buttarmi in acqua. Per quasi mezz'ora faccio avanti e indietro nuotando, alternando lo stile libero a quello a rana; quando mi raggiunge Kaden iniziano le gare. Al termine di una di queste, esco dalla piscina e, gocciolante, mi avvicino allo steccato per invitare Jaime.

In giardino, però, lui non c'è. Ci sono solo i signori Granger, seduti ad un tavolo a chiacchierare e a godersi dei freschi apertivi. Li saluto velocemente e chiedo dove posso trovare loro figlio.

«Heidi ha trovato un pub in cui fanno musica dal vivo e ha chiesto a Jaime di accompagnarla» spiega Caleb.

Adele, la moglie, mi sorride e si alza dalla sedia. Mi dice di aspettarla e corre in casa, seguita dallo sguardo luminoso del marito. Io mi allontano solo un minuto, giusto il tempo di prendere il mio telo per asciugarmi. Quando torno allo steccato, Kaden sta parlando con Jaime.

«Mia madre ha detto che mi cercavi» Jaime mi sorride, sistemando il portafogli nella tasca posteriore dei jeans e giocherellando con le chiavi della macchina con la mano libera.

Io annuisco, ma poco dopo scuoto il capo. «Volevo chiederti se ti andava di venirei di qua per passare il tempo, ma tuo padre ha detto che tu e tua sorella state uscendo, quindi...»

«E' single?» chiede immediatamente Kaden.

Io alzo gli occhi al cielo e scuoto il capo con un sorriso dipinto in volto, mentre Jaime ridacchia piano. Prima che lui possa rispondere, però, Heidi esce dalla porta sul retro. Si è messa una maglietta grigia con su scritto "Metallica" e una gonna nera che le arriva a metà coscia, ai piedi porta un paio di vans nere e adagiato sulle spalle ha un giacchetto di jeans – toppe di diverse band che adornano il tessuto.

Si avvicina al fratello e si bagna le labbra prima di parlare, passando la lingua sulle labbra rosso sangue. «Andiamo?»

«Mi sa che dovremo rimandare la sessione "Play 4" ad un altro giorno, Kaden. Mi spiace» dice Jaime, dando al mio migliore amico una leggera pacca sulla spalla.

Kaden, però, non sembra minimamente interessato a ciò che Jaime ha appena detto. Infatti, lo trovo a fissare Heidi con la bocca leggermente aperta e gli occhi che fra poco prenderanno la forma di due cuoricini. Gli do una spintarella e lui sembra riprendersi.

Si schiarisce la voce, allunga la mano verso Heidi e dice: «Piancere, Kaden. Sei single?»

Lei guarda prima il mio migliore amico e poi la mano, infine gli stringe quest'ultima e si presenta a sua volta. Non appena Kaden si rende conto delle iridi di Heidi, lo vedo spalancare la bocca e balbettare cose senza senso; lei gli spiega velocemente che è semplicemente eterocromia.

«Comunque, per rispondere alla domanda di prima: sì, sono single»

E detto questo, trascina via suo fratello. Io e Kaden rimaniamo a guardarli fino a quando, girato l'angolo della casa, non svaniscono. Sento il mio migliore amico che si lascia andare in un sospiro e, pochi secondi dopo, mi raggiunge il rumore della superficie dell'acqua che si rompe.

Io rimango immobile sul posto fino a quando non vedo una parte della macchina di Jaime e Heidi che si allontana, percorrendo il viale d'ingresso della loro villa. Imitando Kaden, sospiro e scuoto il capo.

Ho qualcosa che non va... solo che, non capisco cosa.

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Capitolo 6
*** V ***


Heidi

 

Apro piano gli occhi e mi ritrovo a guardare l'oscurità più totale, non c'è neanche uno spiraglio di luce. Il silenzio è rotto dal cinguettare degli uccellini, di tanto in tanto dal motore di un'auto di passaggio. Mi rotolo su un fianco e, tastando la superficie dura del comodino, trovo il cellulare.

5:59 am

Tra meno di un minuto suonerà la sveglia.

È strana e divertente questa particolare parte di me: le mattine d'estate sono sempre piena di vita, attiva, pronta ad affrontare qualsiasi ostacolo si trovi sul mio cammino, ma non appena riprende la scuola mi trasformo in un orso che sta andando in letargo.

Fino all'anno scorso, frequentando lo stesso istituto, era Jaime che veniva a buttarmi giù dal letto. Una volta mi aveva persino versato dell'acqua gelata addosso, urlandomi che saremmo sicuramente arrivati in ritardo se non mi fossi alzata all'istante. Per questo, sto ancora progettando la mia vendetta.

D'un tratto mi rattristo.

Chi verrà a svegliarmi quest'anno, se Jaime parte per il college fra meno di due settimane?

Sospiro e, proprio in quel momento, il cellulare vibra ed emette un suono squillante. Per una manciata di secondi rimango a fissare il display che si illumina e si spegne ad ogni vibrazione, poi spengo la sveglia e mi allungo per cercare l'interruttore della luce. Passo lo sguardo sull'intera stanza e mi sorprendo nel constatare che ancora il disordine non ha preso il sopravvento.

Mi siedo sul bordo del letto e creo dei piccoli cerchi invisibili muovendo le spalle, il sonno che vuole costringermi a tornare nel mondo dei sogni. Sbadiglio una, due, tre volte e nello stesso momento allungo il più possibile gambe e braccia.

Appena sento che i miei muscoli si sono riattivati, mi alzo in piedi e raggiungo l'armadio. Tiro fuori un paio di pantaloncini neri della Nike e una maglietta azzurra della medesima marca; da un cassetto prendo un top sportivo e un paio di calze nere.

Mi vesto velocemente, lasciando il pigiama per terra, e raggiungo le tende spesse che nascondono la porta-finestra del balcone. La luce del mattino mi accoglie con un abbraccio caldo e rinfrescante al tempo stesso, il cielo è di un azzurro così luminoso che guardarlo troppo mi fa male agli occhi.

Sposto lo sguardo sul balcone di fronte al mio e noto che il mio vicino di casa non ha tirato del tutto le tende. Istintivamente allungo il collo e cerco di vedere meglio l'interno, nonstante la cosa sia abbastanza difficile. Riconosco la forma di quello che dovrebbe essere un armadio, poco distante una sedia e, naturalmente, parte del letto.

Tutto pare silenzioso, immobile.

Mentre mi lego in capelli in una coda alta mi chiedo se Theo stia ancora dormendo, ma subito mi do mentalmente della stupida. Scuotendo il capo mi rispondo da sola e, con un ultimo respiro profonto, torno in camera per prendere cellulare e cuffie.

In meno di un minuto sono già fuori casa. Chiudo la porta d'ingresso alle mie spalle cercando di non fare troppo rumore, pregando di non aver svegliato nessuno mentre scendevo le scale – soprattutto mia madre, che per giunta ha il sonno leggero. Mi abbasso e rifaccio i nodi alle scarpe da corsa, e quando mi tiro su punto il mio sguardo sul viale di casa e, subito dopo, sulla strada.

In mente ho già la mia destinazione, adesso devo solo correre.

Inizio piano così che i miei muscoli si mettano in moto per bene, ma a metà del viale ho già un buon passo sostenuto. Still waiting dei Sum 41 che mi da la carica ogni volta che i miei piedi si staccano da terra. Per un attimo mi viene questa folle idea di fermarmi e fingere di avere una chitarra elettrica in braccio, suonarla e scuotere i capelli come una rock star.

Raggiunta la strada mi accordo di non essere sola. Uovo di Pasqua è appoggiata con la schiena ad una macchina verde schifo, il mio vicino di casa che la bacia con un mezzo sorriso. Mezzo secondo più tardi si staccano e lei si volta per aprire la portiera dell'auto, io rallento quel tanto che basta per vederla tirare fuori una maglietta e passarla a Theo.

«Uovo di Pasqua, vicino» li saluto, quando si accorgono di me.

Chissà come mai lei gli stava ridando una maglietta?, mi chiedo. Forse non è il classico tipo che lascia capi di abbigliamento alla propria ragazza.

°*°

Il parco è vuoto quando finalmente lo raggiungo. Le altalene sono immobili come statue, sugli scivoli non c'è nessun bambino e nel box della sabbia ci sono palette e secchielli di plastica abbandonati. Raggiungo la panchina sulla quale ero seduta il giorno in cui ho incontrato Theo e la sua ragazza e, improvvisamente, mi fermo.

Inclino leggermente il capo e mi rendo conto che c'è qualcosa di diverso, e quando mi avvicino noto che su una delle assi di legno sono state incise delle parole.

«Vanessa e Theo» leggo a bassa voce, i Metallica che mi risuonano nelle orecchie.

Scuoto il capo e, per qualche strano motivo, mi ritrovo a sorridere. Sicuramente sarà stata un'idea di Vanessa di scrivere i loro nomi, probabilmente pensando che così facendo la panchina sarebbe veramente diventata loro proprietà.

Ma è davvero così stupida? Forse dovrei chiederlo a Theo.

Per una decina di minuti ripercorro la stessa strada, facendo il giro del parco più volte. La musica continua a cambiare, note che si mescolano a parole formando melodie strepitose. Di tanto in tanto rallento e uso il fiato per canticchiare, mantenendo comunque un tono di voce basso, perché se dovessi liberare quella pazza furiosa che ama il rock che c'è in me, sarebbe sicuramente la fine per tutti. Desì le ha persino dato un nome: Gill.

Adesso che ci penso, l'ultima volta che Gill è venuta allo scoperto è stata ad una festa in cui io mi ero ubriacata come pochi. Non sono una che beve tanto, anche perché conosco i miei limiti, ma quella sera avevo le mie ragioni. Desì mi è stata accanto per tutta la serata, comunque; mi aveva persino fatto restare a casa sua a dormire.

Il cielo solo sa che cosa mi avrebbe fatto mia madre, se solo avesse visto in che condizioni ero!

Senza neanche rendermene conto sono già tornata a casa. Riconosco il cancello d'ingresso e il lungo viale che porta alla villa, il giardino verde e rigoglioso l'albero con la chioma immensa che nasconde la casetta di legno che ancora non ho avuto modo di visitare. Sotto ad uno dei rami più grossi, mia madre e Regina stanno facendo yoga.

Fermo la musica e mi tiro via le cuffie, e allo stesso tempo smetto di correre e proseguo camminando. Raggiungo le due donne proprio mentre stanno assumendo la posizione sulla testa, le gambe tese in aria che oscillano un poco. Saluto entrambe iniziando a fare dello stretching, stendendo bene i muscoli delle gambe e delle braccia, e infine quelli della schiena.

Regina abbassa lentamente le gambe decidendo di cambiare posizione, e mostrandomi un sorriso dice: «Non sapevo fossi una a cui piace fare attività fisica, soprattutto di mattina»

«Aspetta che ricominci la scuola» replica mia madre, copiando i movimenti della sua nuova amica, il tono di voce che lascia intendere quanto poco sia divertita da ciò che sta dicendo. «Per tirarla giù dal letto serviranno secchi d'acqua e trombette da stadio»

Alzo gli occhi al cielo ed evito di rispondere, perché tanto so benissimo che, quando capita di avere una discussione, è lei quella che ha sempre ragione. Mi limito a rivolgere un finto sorriso a Regina, la quale, a sua volta, mi sorride.

Finisco velocemente quello che devo fare e le lascio sole senza dire altro. Entro in casa e mi fiondo immediatamente in cucina, tirando fuori dal frigorifero una bottiglietta d'acqua, fresca e semplicemente perfetta dopo la corsa. Butto giù il liquido trasparente in appena tre sorsi.

«L'ultima volta che hai bevuto così, Gill è apparsa come un Pokémon nell'erba alta»

Sì, lui sa di Gill.

Jaime entra in cucina con un'aria assonnata, i capelli castani che vanno in ogni direzione. Ha la maglietta del pigiama che si è alzata da una parte, lasciando in bella mostra uno dei suoi strepitosi tatuaggi. L'ultimo che ha fatto – una frase sulla libertà –, io, Margaret e Desì eravamo lì ad assistere; l'ago che gli bucava la pelle del fianco, le lettere che pian piano componevano una, due, tre parole.

«Gill non viene fuori con l'acqua» gli ricordo, ridacchiando. Torno seria e accartoccio la bottiglietta di plastica, buttandola nel cestino. «Comunque, grazie per ieri sera Jaime»

«Per cosa?» chiede lui, prendendo una scodella, il latte e i cereali. «Io non ho fatto assolutamente nulla, Rossa»

«Sei venuto con me in quel pub ad ascoltare musica che neanche ti piace» rispondo, avvicinandomi per abbracciarlo.

«Sei la mia sorellina, Heidi» mormora fra i miei capelli, ricambiando l'abbraccio. «Farei questo ed altro per te, e inoltre Desì non c'è qui. Con chi saresti andata ad ascoltare quei tizi coi capelli e le barbe lunghe?»

Sciogliamo l'abbraccio e lui si siede a tavola a fare colazione. Lo osservo i cereali nella ciotola, poi prende il latte e lo versa piano, rialzando il cartone dopo qualche secondo. Fa affondare il cucchiaio e mescola un paio di volta, poi alza il capo e mi avvisa che oggi pomeriggio Theo e Kaden, il tizio che ieri mi ha chiesto se sono single, verranno a casa nostra per giocare alla play.

Allungo una mano verso il cestino della frutta e prendo una banana. «D'accordo, basta che li tieni lontani da me»

«Perché? Che ti hanno fatto di male?» mi domanda, il cucchiaio che gocciola latte e cereali a metà fra la sua bocca e la scodella.

«Li ho beccati mentre mi spiavano ieri mattina» dico, storcendo il naso. «Stavo parlando con Desì e loro erano sul balcone di Theo a godersi lo spettacolo»

Jaime si porta finalmente il cucchiaio di cereali alla bocca e inizia a masticare. Come replica a ciò che gli ho appena detto, lui si stringe nelle spalle e continua a fare colazione come se niente fosse. Decido di lasciarlo da solo e, dopo aver buttato via la buccia della banana, esco dalla cucina e mi dirigo in bagno.

Il getto d'acqua tiepida lava via il sudore e la fatica, lasciando il posto al relax e al profumo di mandorla del mio bagnoschiuma preferito. I capelli assumono un colore più scuro, nella mia testa note di una melodia che solamente io posso udire. Chiudo gli occhi e immagino di essere a casa mia: Desì che mi fa compagnia seduta sul bordo della vasca e mi parla dell'ultimo ragazzo carino che ha incrociato nei corridoi, Margaret che urla a Jaime di smetterla di farle il solletico o se la farà addosso.

Quando esco dalla doccia, afferro il primo asciugamano a portata di mano e me lo metto addosso. Lascio i panni sporchi nella cesta apposita ed esco con cellulare e cuffie in mano, l'elastico dei capelli al polso. Attraverso il corto corridoio ed entro in camera mia, assicurandomi che Theo non sia in camera sua – così evitiamo che mi veda nuda. Fortunatamente lui sembra non esserci, quindi lascio andare un sospiro di sollievo e mi avvicino alla libreria.

«Quale disco metto?» domando a me stessa, ad alta voce.

Do una veloce occhiata ai vinili che, negli anni, mi sono comprata e alla fine scelgo quello più recente. Passo il palmo della mano sulla copertina e sorrido al gruppo che mi rivolge sorrisi fermi nel tempo, il titolo che spicca in caratteri di due gialli diversi: "Mamma Mia! Here we go again".

Lascio il disco sul letto e vado alla ricerca del giradischi, che cinque minuti più tardi trovo in una scatola che era stata messa nel mio armadio. Una volta che è tutto pronto, la mia camera viene invasa da vecchie canzoni rimodernizzate, le voci degli attori che hanno il potere di coinvolgerti.

Ballando – anche se in realtà faccio proprio pena – raggiungo la porta-finestra che da sul balcone. Do uno strattone alla tenda, quel tanto che basta perché la luce del sole entri per illuminare la camera, ma che dall'esterno non si veda niente – se non forse il letto. A quel punto chiudo anche la porta, poi lascio cadere a terra l'asciugamano e mi metto su l'intimo.

Dato che non ho poi così tanta fretta di vestirmi, raggiungo il computer e lo accendo. Sposto la freccetta del mouse sull'icona di Skype e avvio il programma, dieci secondi più tardi sto chiamando Desì. Lei ci mette un po' per rispondere, forse perché non era vicina al pc, ma quando finalmente vedo il suo bel viso sullo schermo non riesco a trattenere il mio: «Ciao amore!»

«Hey Weasley!» mi saluta lei.

I suoi capelli blu sono raccolti in una coda alta, stretta, e il septum risplende come al solito. È sdraiata sul letto e pancia in giù, la felpa del suo ex di due taglie più grande e le punte dei piedi che le toccano il capo.

«Che stavi facendo?» le chiedo, conoscendo benissimo la risposta.

«Devo mantenermi elastica» risponde lei. «Tu invece? Che sei tutta nuda»

Desì si mette seduta e fa una spaccata, si piega prima a destra e poi a sinistra, tornando però sempre prima al centro. Se dovessi fare io una cosa del genere, probabilmente poi Jaime sarebbe costretto a chiamare i soccorsi per farmi sbloccare.

Scuoto il capo e mi allontano dal computer, andando alla ricerca di vestiti da indossare. «Sono andata a correre. Ho appena fatto la doccia»

Trovo un paio di pantaloncini di seta rosa pastello e una canottiera bianca e in una manciata di secondi mi vesto. I capelli ancora gocciolano, ma poco importa, e la musica che ancora risuona in tutta la stanza. Ad un certo punto sento persino Desì canticchiare, e io ovviamente la seguo a ruota.

Io e Desiree ci siamo conosciute alle elementari, il primo giorno eravamo già compagne di banco. Avere una migliore amica come lei significa sentirsi completi anche quando non si ha nulla da dire, ed è davvero difficile trovare persone con questo potere. A noi non serve tirare fuori argomenti per intavolare una conversazione, o sforzarci di trovare qualcosa di interessante da dire; basta un po' di musica ed è fatta.

In poche parole: ci si diverte con poco.

Quando parte Dancing Queen, Desì si mette in piedi sul letto e prende a saltare, e per poco non fa cadere il computer. In ogni caso, io la imito e entrambe, cantando e saltando, scoppiamo a ridere ogni due per tre. Ovviamente poi lei deve mostrare che sa ballare – come se non lo sapessi – e si mette a fare spaccate in aria, mosse di danza contemporanea e chi più ne ha più ne metta.

«Il pubblico vuole venire a far festa con noi?» domanda ad un certo punto Desì.

Io, confusa, la guardo come per dire: "Ma che stai dicendo?".

Lei mi sorride e dice: «Oh, non te ne eri accorta? C'è anche tuo fratello. Hey Jaime!»

Spalanco gli occhi e mi volto. Sulla porta ci sono Theo, Kaden e Jaime: il primo è appoggiato allo stipite con le braccia incrociate al petto e un sorriso divertito dipinto sul volto, il secondo non fa che allungare il collo per vedere meglio la ragazza al computer e l'ultimo semplicemente saluta con la mano.

Sposto lo sguardo su tutti e tre, fermandomi però su mio fratello. Lui si stringe nelle spalle e mi dice che Kaden era impaziente di provare qualche nuovo gioco alla play e, quindi, sono passati prima.

«Sei proprio brava, sai?» mi dice Theo, facendomi l'occhiolino. «Ma credo che la tua amica sia molto meglio»

«Io ci ho provato ad insegnarle qualcosa, lo giuro!» esclama Desì, adesso ballando sulle note di Fernando. «Comunque qualcuno ci tiene a presentarmi il tipo che continua a guardami? Perché, tesoro, sei proprio carino e vorrei sapere il tuo nome. Io sono Desì, a proposito»

I tre si scollano dalla porta e decidono di entrare del tutto in camera mia. Jaime si avvicina e prende posto sulla sedia della scrivania, muovendo le spalle a tempo di musica. Kaden scatta in avanti e in un secondo è davanti al pc, si presenta alla mia migliore amica. Theo, invece, va verso il letto e si butta a peso morto sul materasso.

«Non avevi da fare con Uovo di Pasqua?» gli chiedo, esasperata.

Lui alza il busto e fissa i suoi occhi nei miei. «Non preoccuparti, Biscottino Dagli Occhi Rari: oggi sono libero di fare ciò che voglio»

«Biscottino dagli occhi rari?» ripeto, sorpresa. Scuoto il capo e incrocio le braccia sotto il seno. «Senti, mi sembra di averti già detto che il nostro rapporto non è ancora arrivato al livello nomignoli»

«Che dici, Heidi?» si intromette Jaime, mettendomi un braccio sulle spalle e facendo una pausa solo per darmi un bacio sulla guancia. «Theo è stato da me scelto per portare avanti la tradizione quando io sarò al college. Ciò significa che lui possiede il potere di chiamarti... com'è che l'hai chiamata?»

Theo si bagna le labbra e per qualche strano motivo qualcosa in me si risveglia – qualcosa di eccitante, caldo e che mi fa trattenere il respiro. «Biscottino Dagli Occhi Rari»

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Capitolo 7
*** VI ***


Heidi

 

Stacco gli occhi dal pc e li sposto sul calendario appeso accanto alla bacheca in sughero, il mese di Agoso che si riconosce per una vecchia foto dei Queen in bianco e nero. Con un sospiro malinconico e nostalgico, mi rendo conto che è praticamente passata una settimana dal giorno in cui ci siamo trasferiti, e ancora io mi sento fuori posto.

È orribile svegliarsi in un posto che si conosce appena, dove la gente che incontri per strada non fa altro che squadrarti dalla testa ai piedi come se volesse dirti che non appartieni alla loro favolosa comunità – o qualcosa del genere. Senza contare quei simpaticissimi personaggi che fanno una cosa o l'altra solo per mettersi in mostra, e per giunta si aspettano che la faccia anche tu.

L'unica nota positiva è che ieri, durante la mia corsetta mattutina, mi sono spinta oltre il parco e sono arrivata in centro, dove ho scoperto un negozio che vende dischi e libri insieme. Quando mi sono accorta della sua esistenza era ancora chiuso, ma le saracinesche erano già state tirate su e quindi gli ho dato un'occhiata attraverso una delle vetrine.

Forse oggi pomeriggio ci faccio un salto, mi dico. Tanto non ho assolutamente nulla da fare.

«Hai intenzione di startene a letto tutto il giorno?» mi chiede la mia migliore amica, e io riporto la mia attenzione sul computer.

Attraverso lo schermo vedo Desì infilarsi un paio di leggins grigi sopra il body rosa. I capelli blu le cadono sulla schiena come una stupenda cascata, il septum che brilla quando un raggio del sole colpisce la sua superfice. Per un momento esce dal mio campo visivo, e quando torna ha fra le mani una borraccia piena d'acqua e le classiche scarpe per la danza classica.

«Ho trovato un negozio che fa al caso mio» rispondo, tirandomi su a sedere e sistemando i cuscini perché possa appoggiarci la schiena. «Magari riesco a trovare quel vinile dei The Who che mi manca»

Desì annuisce distrattamente. Chiude il borsone e si guarda intorno in cerca di qualcosa, sparisce nuovamente dallo schermo e qualche secondo più tardi la vedo tornare coi capelli racchiusi in uno stretto chignon.

Le mie labbra si piegano in un sorriso nostalgico e nella mia testa raffiora un vivido ricordo.

Un paio di Halloween fa, io e Desì dovevamo partecipare ad una festa in costume e lei, saltellando dall'eccitazione, aveva proposto di vestirci da ballerine di danza classica. Ovviamente io avevo accettato, ma ad una condizione: avremmo sporcato body e tutù di sangue finto – naturalmente, questo comportava tagli finti sul viso e sulle braccia, un occhio nero e altro sangue che ci usciva dalla bocca.

Desì si era trovata pienamente d'accordo con la mia idea, decidendo che avremmo interpretato il ruolo di due ballerine morte, o qualcosa del genere. Così, qualche ora prima della festa, ci trovammo a casa sua per prepararci. La cosa che ricordo ancora, come se fosse ieri, è il dolore alla testa che ho avuto per quasi una settimana, per via dello stretto chignon che Desì mi aveva fatto.

Mi porto una mano ai capelli e faccio un'espressione che la mia migliore amica capisce al volo, e sul suo viso appare un ghigno divertito.

«Abbiamo vinto il premio per il costume migliore, Weasley» ridacchia, dandosi una sistemata al septum.

«Ne è valsa la pena, lo ammetto» dico, annuendo con un sorriso divertito.

I dieci minuti successivi io e Desì li passiamo a chiacchierare. Parliamo dell'estate che sta finendo, dell'inizio della scuola che si fa sempre più vicino e di molto altro ancora. Un paio di volte le ricordo che ha promesso di venire qui a festeggiare Halloween e il giorno del Ringraziamento, insieme a me e alla mia famiglia.

Poco prima di salutarmi per andare a lezione di danza, Desì tira fuori Kaden, il migliore amico del mio vicino di casa. Mi informa che è riuscita a farsi dare il suo numero e che, al momento, si stanno sentendo.

«Ma te sei contro le relazioni a distanza» dico, corrugando la fronte.

«Sì, ma l'hai visto?» replica immediatamente lei, dandomi della cieca con lo sguardo. «E' un figo pazzesco, Heidi!»

Io scuoto il capo divertita, rimanendola ad ascoltare mentre afferma che per ragazzi come Kaden – belli, in forma e con un viso dolcissimo – le relazioni a distanza sono contemplate. Decide poi di spostare la conversazione su Theo, ma dal pianerottolo fuori camera sua Margaret, sua sorella, la chiama.

Non appena sullo schermo riappare la chat di Skype, rimango ferma a guardare il tempo che abbiamo passato a parlare. Solo quando noto che Desì non è più online, mi ricordo che avrei dovuto dirle che mi manca e che vorrei poterla raggiungere alla scuola di danza per vederla ballare, perché ogni volta che si alza sulle punte è pura magia.

°*°

Mi infilo il vestito col logo dei Guns N' Roses e le Doc Marten nere e mi fiondo in bagno. Apro l'armadietto dove ci sono i trucchi miei di mia madre e tiro fuori il rossetto rosso, portandomelo subito dopo alle labbra. Passo un filo di mascara sulle ciglia, mi metto un filo di crema solare sul viso e infine do una pettinata ai capelli rossicci.

«Hey sexy!» mi dico, facendomi l'occhiolino da sola, davanti allo specchio.

Esco dal bagno e torno in camera solo per prendere una borsa, il portafoglio, il cellulare e le cuffie. Sospiro soddisfatta dando un'ultima occhiata a camera mia: il pavimento sta iniziando a sparire sotto i miei vestiti e al caos generale.

Con l'umore che tocca il cielo, scendo le scale fischiettando una delle ultime canzoni di Lenny Kravitz. Salto gli ultimi due gradini e subito mi dirigo verso la porta che da sul giardino posteriore: Jaime è in piscina a nuotare, mia madre sta prendendo il sole e mio padre sta chiacchierando con Luis, entrambi se ne stanno appoggiati allo steccato che divide le due ville.

«Dove vai conciata in quel modo?» mi chiede mia madre, limitandosi ad abbassare di poco gli occhiali da sole.

Cerco di non alzare gli occhi al cielo e mi mordo la lingua per non mandarla a quel paese.

Non è un segreto che io e mia madre siamo un po' come cane e gatto, e che a lei non piace assolutamente né il mio gusto in fatto di musica, né i vestiti che scelgo di comprare in sua assenza. Quelle poche volte che capita di andare a fare shopping insieme, io vado di corsa alla ricerca delle magliette delle band, jeans strappati e, in generale, vestiti scuri, mentre lei opta per un abbigliamento più sobrio e di classe.

Velocemente le spiego la storia del negozio di libri e dischi che ho trovato ieri mattina, ma lei sembra già aver perso l'interesse. Scuoto piano il capo e, senza farmi vedere, alzo gli occhi al cielo.

Decido che è meglio avvisare anche mio padre, quindi mi avvicino a lui e mi scuso per aver momentaneamente interrotto la sua conversazione con Luis. Ripeto la stessa spiegazione che ho dato circa trenta secondi fa a mia madre, avvisandolo che tornerò fra due ore al massimo e lui, in risposta, mi da un bacio sulla fronte e sorride.

Mi sto girando per andarmene, quando Luis mi richiama: «Theo deve andare a prendere Vanessa. Se aspetti cinque minuti, può darti un passaggio in città»

Ma quei cinque minuti si trasformano in cinque secondi, perché proprio quando sto per declinare l'offerta, Theo apre la porta che da sul retro e si avvicina a suo padre.

Indossa una canottiera bianca molto semplice, che naturalmente lascia in bella mostra i muscoli delle braccia, e un paio di pantaloncini da basket di non so quale squadra. I capelli scuri sono arruffati, non fa che tirare su gli occhiali alla Harry Potter e fra le labbra tremendamente invitanti tiene una sigaretta ancora spenta.

Un momento: tremendamente invitanti?! Le sue labbra?!

Scuoto il capo, sconvolta da ciò che ho appena pensato.

«Papà, io sto andando» mormora Theo, tirando fuori dalla tasca dei pantaloncini un accendino. Se lo porta vicino al viso e accende la sigaretta, poi aggiunge: «Torno per cena»

Vorrei andarmene, ma per qualche strano motivo non riesco a muovermi.

«Daresti un passaggio ad Heidi in città? Deve andare al negozio di dischi e, se non sbaglio, è sulla strada per andare da Vanessa» gli chiede Luis.

Finalmente Theo si accorge che ci sono anch'io e sposta i suoi occhi su di me. Si prende quasi un minuto per rispondere, durante il quale mi squadra dalla testa ai piedi e, un paio di volte, si porta la sigaretta alla bocca. Io incrocio le braccia al petto e sposto il peso prima su una gamba e poi sull'altra, aspettando di sentire Theo dire a suo padre che no, non mi darà un passaggio.

Perché è questo quello che mi aspetto da lui.

Passa ancora una manciata di secondi ed io inizio a perdere la pazienza, ma Theo mi sorprende dicendo: «D'accordo»

Saluta Luis e mio padre, poi mi dice di aspettarlo fuori dal cancello di casa mia. Io annuisco poco convinta e mi incammino senza dire più niente, seguendo lo steccato e quindi attraversando il viale d'igresso della villa. Un minuto più tardi sto superando il cancello e Theo, col G Wagon nero ultimo modello, si ferma proprio davanti a me – i finestrini sono colpetamente abbassati, dall'abitacolo arriva musica abbastanza decente.

«Sali, Reddy!» mi chiama, finendo di fumare la sua sigaretta e buttando il mozzicone a terra, dalla sua parte.

Io sbuffo per il nomignolo e faccio come mi dice.

Non appena ho chiuso la portiera e mi sono allacciata la cintura, Theo alza i finestrini e accende l'aria condizionata, un profumo di vaniglia che mi si insinua nelle narici. Spinge il piede sull'acceleratore e, allo stesso tempo, allunga una mano verso la radio per abbassarne il volume.

Con tutte le mie forze tento di non girarmi verso di lui, ma ad un certo punto cedo e mi metto ad osservarlo. Guida con attenzione, gli occhi che rimangono fissi e concentrati sulla strada e le mani stringono il volante con delicatezza. Per un po' rimane in silenzio, di tanto in tanto lo sento canticchiare le canzoni che trasmettono alla radio.

Come se lo vedessi per la prima volta, mi rendo improvvisamente conto che Theo è proprio un bel ragazzo. Anzi, imitando Desì che descrive Kaden: Theo è un figo pazzesco; persino di profilo non posso far altro che paragonarlo ad un dono dal cielo.

«Complimenti alla mamma» dico, e subito mi porto una mano alla bocca perché questa mia opinione doveva rimanermi in testa in forma di pensiero.

Theo ridacchia. «Riferirò»

Fingo di non sapere a cosa si riferisca e dico: «Come?»

«Beh,» risponde lui, staccando gli occhi dalla strada un solo momento per guardarmi. «è da un po' che mi stai fissando, quindi era ovvio che quel "Complimenti alla mamma" fosse rivolto a me»

Penso alla risposta migliore da dargli per vincere questa breve conversazione, ma dalla mia bocca non esce neanche una parola. Sconvolta da questo mio blocco improvviso, decido di fingere che non sia successo nulle e mi volto verso il finestrino. Solo che mi torna in mente una cosa e, nonostante mi morda la lingua diverse volte...

«Come mai Vanessa ti stava ridando una maglietta, qualche mattina fa?»

Sento Theo che si muove sul sedile, è forse a disagio?

«Non sono il tipo che lascia alla prorpia ragazza i vestiti che le ha prestato» dice, sospirando.

Annuisco, soddisfatta da questa spiegazione, e sposto finalmente la mia attenzione su altro. Per quasi cinque minuti rimango ad osservare come le villette, avvicinandoci sempre più alla città, si trasformano in palazzi. Essendo estate, c'è un sacco di gente in giro: chi stringe in mano borse che portano il logo di qualche negozio, chi sta portando fuori il cane, chi si sta semplicemente facendo una passeggiata con gli amici.

Mi mordo un labbro: A quest'ora, anche io sarei stata in giro coi miei di amici.

Sento la macchina che rallenta e, infine, si ferma esattamente davanti al negozio di dischi. Ammiro meravigliata l'insegna al neon, il via andare delle persone e qualcuno che addirittura balla a tempo di musica rovistando fra i vinili. Noto una ragazza che, in un punto vicino alla vetrina, prende un libro e lo annusa.

Mi sto forse guardando allo specchio?

«Senti, Shortcake, io avrei delle cose da fare»

La voce di Theo mi riporta alla realtà, facendomi rendere conto che sono ancora in sua compagnia. Mi volto per ringraziarlo, ma quando il suo nuovo nomignolo raggiunge il mio cervello cambio idea.

Assottiglio lo sguardo. «Non chiamarmi così»

«Preferisci Biscottino dagli occhi rari?» mi chiede, con finta innocenza.

Chiudo gli occhi e mi metto a contare fino a diedi a bassa voce, scacciando quella voglia di prenderlo a calci e mandarlo a cagare allo stesso tempo. Quando finalmente mi sono calmata, riapro gli occhi e lo trovo lì a fissarmi, le labbra piegate in un sorrise appena accennato.

Con difficoltà dico: «Ti ringrazio per il passaggio»

Quindi scendo dall'auto e rimango un momento fuori dal negozio, alle mie spalle sento uno dei finestrini che si abbassa e: «A più tardi, Shortcake!»

°*°

Nel cielo il sole sta lentamente andando a nascondersi dietro l'orizzonte, colori caldi che trasmettono un senso di pace e tranquillità. Uno stormo di uccelli si alza in volo, un aereo si allontana senza fare rumore e una nuvola assume la forma di quello che sembra un drago.

Supero il cancello d'ingresso e noto Jaime che mi viene incontro con lo skateboard, sul naso un paio di occhiali da sole e i capelli che si muovono ogni volta che lui riprende velocità. Tiene le mani nelle tasche, le labbra piegate in un sorriso rilassato.

«Hey, Ginger!» mi saluta, superandomi solo per curvare. «Dove sei stata di bello?»

Io gli mostro la busta, il logo blu formato da un disco e un libro aperto. «Mi sono lasciata trasportare un pochino»

Jaime si ferma e mi prende il sacchetto dalle mani e ne esamina il contenuto. Tira fuori il primo libro de "Il Trono di Spade" e legge velocemente la trama, poi prende i quattro vinili che ho comprato e ne osserva la copertina. Rimette tutto in ordine, mi passa la busta e afferma che ha proprio voglia di ascoltare uno dei dischi che ho comprato. Senza aspettarmi, riprende velocità in direzione della casa.

Velocemente salgo le scale e mi fiondo in camera mia, togliendomi le Doc Marten con poca cura. Faccio uno scatto verso l'armadio e tiro fuori il giradischi, posizionandolo poi sulla scrivania. Jaime entra nella stanza proprio quando sto mettendo su il vinile di Michael Jackson: Billie Jean è la prima a partire.

Io e Jaime ci lasciamo andare e insieme cantiamo a squarciagola, fregandocene di tutto e di tutti. Non so come, ma ad un certo punto ci ritroviamo persino sul balcone a saltellare. Jaime improvvisa un balletto, mi prende una mano e mi fa fare una giravolta.

Quando arriva Bad, sto urlando ancora più forte di prima.

Parte per la seconda volta il ritornello e io mi rendo conto che abbiamo degli spettatori. Sul balcone opposto, Vanessa e Theo ci stanno fissando: lei completamente scioccata, lui con un mezzo sorriso divertito sulle labbra. Io me ne frego e continuo a ballare senza sosta, Jaime che di tanto in tanto scoppia a ridere.

«And the whole world' has to answer right now, just to tell you once agian who's bad!»

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Capitolo 8
*** VII ***


Theodore

 

Sollevo lentamente la mano e mi porto la sigaretta alle labbra, il fumo che raggiunge i polmoni in un paio di secondi. Una piacevole sensazione di tranquillità prende possesso del mio corpo, facendomi sentire in pace col mondo intero. Lascio passare quindici secondi e poi alzo la testa verso il cielo: una nuvoletta bianca esce dalle mie labbra, aleggia nell'aria e infine sparisce.

Ripeto lo stesso processo tre o quattro volte, e non appena ho finito spengo il mozzicone nel posacenere che ho appoggiato sulla ringhiera del balcone. Medito sull'accendermi un'altra sigaretta, ma poi cambio idea e mi dico che è ora di andare a letto. Non è tardi e non ho nemmeno sonno, ma una bella dormita è quello che ci vuole.

Prendo il posacenere e lo porto in camera, abbandonandolo sul mobile che ospita vecchi trofei di baseball e dvd che non guardo da anni. Mi gratto il torace mentre raggiungo il letto, ricordandomi che più di un'ora fa mi sono tolto la maglietta mollandola da qualche parte nella stanza; prima di buttarmi sul morbido materasso mi tolgo anche i pantaloncini.

Quando la mia pelle entra in contatto col lenzuolo sorrido, constatando che è fresco e accogliente. Infilo le braccia sotto il cuscino e mi lascio andare ad un sospiro rilassato, gli occhi che si chiudono praticamente da soli.

Sogno il termine di un pomeriggio caldo e afoso, la pelle liscia e sudata di una ragazza che si strofina contro la mia, della musica che risuona da qualche parte, in sottofondo. Delle labbra si muovono insieme alle mie, e di tanto in tanto si piegano in un sorriso.

«Theo»

Una voce femminile mormora il mio nome più e più volte, l'alito caldo e dolce che si infrange prima sulla mia bocca e poi sul mento. Sotto lo stomaco si crea una sensazione eccitante, so che tra poco mi scioglierò in una pozza di piacere puro. Il letto cigola un paio di volte, delle unghie mi graffiano piano le spalle.

Dalla bocca della mia misteriosa compagna esce un gemito soffocato e, quando il mio cervello registra quel suono, capisco che sto per scoppiare.

«Non ancora» sussurra lei, leggendomi nel pensiero. «Non ancora, Theo»

E allora lo ripeto anch'io, nella mia mente: Non ancora, Theo. Non ancora.

Le mordo delicatamente il collo e respiro il suo profumo. La sua risata, leggera e melodiosa, invade la stanza. Faccio scivolare piano una mano su tutto il suo corpo, partendo dal collo e passando sopra a un seno; quando arrivo alla coscia, lei infila una mano fra i miei capelli e li tira piano.

«Theo» le sfugge un'ultima volta, prima di lasciarsi andare con un tremolio e, infine, con il relax più totale.

A quel punto, col fiatone e un sorriso compiaciuto, decido di aprire gli occhi. Vedo capelli arancioni e lunghi, naso e parte del viso coperti da lentiggini, pelle chiara come la luna e iridi di due colori diversi: una verde e l'altra marrone. Il rossetto rosso sulle labbra è sbavato.

Registro chi è. «Heidi?»

Mi sveglio di soprassalto, rendendomi conto che tutto quello che ho appena vissuto fa semplicemente parte di un sogno. Ho comunque il fiato corto e il cuore che va a mille, la fronte è imperlata di sudore e una delle mie mani è pericolosamente vicina all'elastico dei boxer.

Adesso la musica è svanita, il caldo e l'afa non ci sono più. Dalla porta-finestra che ho lasciato spalancata entra un'aria fresca, muove piano le tende e raggiunge i fogli che ricoprono la scrivania. Mi metto seduto e allungo il collo: il cielo è ancora coperto di stelle, ma della luna neanche l'ombra.

Chiudo gli occhi per una manciata di secondi e cerco di riprendere il controllo, sforzandomi in tutti i modi di non rivivere il sogno appena fatto. Il problema è che ancora mi sembra di sentire il respiro di Heidi, le sue labbra sulle mie, la sua risata e il modo in cui mi chiama tra un sospiro e l'altro. La domanda "Come mai c'era Heidi e non Vanessa?" mi muore sulle punta della lingua.

Decido di liberare la mente così da poter tornare a dormire e torno a stendermi, ma dopo dieci minuti capisco che il sonno non ha nessuna intenzione di accogliermi fra le sue braccia. Sbuffando, mi trascino fuori dal letto e recupero posacenere, accendino e pacchetto di sigarette.

Una volta fuori mi chiudo alle spalle la porta-finestra, così da non far entrare il fumo in camera mia. Ancora ricordo il giorno in cui i miei genitori mi hanno beccato a fumare: mia madre era sull'orlo delle lacrime e mio padre aveva la faccia rossa per la rabbia. Ogni sera dovevo sorbirmi una ramanzina dopo l'altra. Alla fine siamo arrivati ad un compromesso: niente fumo o cenere in casa, e a me sta benissimo.

Sto ancora pensando a quella volta in cui mia madre non ha fatto che chiedermi se fumassi spinelli, oltre alle sigarette, che mi rendo conto che sto fissando il balcone di fronte al mio. La porta-finestra è spalancata, le tende si muovono piano e, da qualche parte della stanza, c'è una lampada accesa.

«Che cosa stai facendo, Heidi Granger?» domando a bassa voce, appoggiando il posacenere alla ringhiera.

Dal pacchetto tiro fuori una sigaretta e me la porto alla bocca, un secondo dopo la sto già accendendo. Insipiro ed espiro, inspiro ed espiro, il fumo che entra ed esce dal mio sistema. Delle piccole nuvolette bianche lasciano le mie labbra e svaniscono nell'aria, la calma più totale che prende il sopravvento.

Spendo un momento per rivivere quella scena di qualche sera fa, quando Heidi e Jaime se ne stavano sul balcone a ballare una delle canzoni di Michael Jackson. Se mi concentro posso ancora vedere le loro espressioni: lui che ride ogni due per tre, lei che se ne frega completamente di chi la sta guardando – e giudicando, nel caso di Vanessa.

Posso ancora vedere i capelli arancioni di Heidi che le cadono sulla schiena come una cascata, le sue iridi, una marrone e l'altra verde, che si fondono per un misero secondo con le mie.

Nella stanza di Heidi torna l'oscurità, segno che lei ha appena spento la lampada. Rimango in silenzio, trattenendo persino il respiro, e ascolto. Purtroppo però, il mio udito non capta assolutamente nulla. Attendo qualche altro minuto e mi accendo una seconda sigaretta. Ho praticamente deciso di arrendermi quando, assottigliando lo sguardo, mi accorgo di una figura scura che si sposta verso la porta.

«Dove stai andando, Heidi Granger?» domando nuovamente, piegando leggermente il capo – cosa che faccio sempre, quando c'è la curiosità di mezzo.

Mi pare di vedere la porta di camera sua che viene aperta e poi richiusa, e qualche minuto dopo una macchia arancione che si avvicina alla piscina dei Granger attira la mia attenzione. Accendo la terza sigaretta mentre lei si siede sul bordo, immergendo piedi e parte delle gambe nell'acqua. Si lascia andare e sospira, i palmi delle mani che sfiorano l'erba e lo sguardo fisso al cielo.

Mi chiedo a cosa stia pensando, come mai sia sveglia a quest'ora e per quale motivo se ne stia lì tutta sola. Da quando lei e la sua famiglia si sono trasferiti qua accanto, Heidi non ha fatto altro che isolarsi. Spesso, quando io e Kaden andiamo da Jaime per giocare alla play, o anche solo per fare quattro chiacchiere, lei si chiude nella sua stanza ed esce solo poche volte.

Forse le manca casa sua, rifletto. E subito mi rendo conto che è l'opzione più plausibile.

Resto ad osservarla da lontano, standomene coi gomiti appoggiati alla ringhiera del balcone. Nonostante una piccola parte di me vorrebbe raggiungerla, il mio cervello mi consiglia di starle lontato per adesso – e non solo per quel sogno che ho fatto.

Heidi smette di guardare il cielo e abbassa il capo, i capelli le cadono ai lati del capo e le mani raggiungono in fretta il viso. Assottiglio lo sguardo e mi rendo conto che le spalle hanno iniziato a muoversi su e giù, scosse da silenziosi singhiozzi.

Mi mordo un labbro: e adesso che faccio?

Medito se scendere per andare a parlarne, rifletto sui pro e i contro e, istintivamente, tiro fuori un'altra sigaretta dal pacchetto e me l'accendo. Arrivato a metà, annuisco e mi dico che adesso la raggiungo e le chiedo che cos'ha, ma Jaime sbuca all'improvviso e le si avvicina. Prende posto accanto alla sorella e le mette un braccio sulle spalle, confortandola come solo lui sa fare; Heidi non ci pensa due volte e, girandosi verso di lui, lo stringe in un abbraccio.

Lo prendo come un segno.

Spengo la sigaretta nel posacenere, riapro la porta-finestra e torno a letto.

°*°

Il mattino seguente mi sveglio con la gola secca, la mascella serrata. Nonostante abbia la bocca chiusa, riesco a percepire il mio orribile alito: vorrei correre a lavarmi i denti, ma i muscoli delle gambe mi pregano di prendermela con calma, di non fare tutto di fretta – li assecondo.

Rimanendo ancora sdraiato, allungo un braccio verso il comodino per prendere i miei occhiali. Sbadiglio un paio di volte, allungo gli arti il più possibile e, solo allora, mi tiro su a sedere.

Dalla porta-finestra entrano i raggi del sole e il canto degli uccellini, le che tende si muovono piano, scosse da una leggera brezza estiva. Vorrei uscire e andare a prendere una boccata d'aria, ma il mio stomaco decide che forse è meglio scendere per la colazione. Un minuto più tardi, infatti, sto entrando in cucina, accompagnato dall'ennesimo sbadiglio.

Nell'aria c'è profumo di brioche alla marmellata appena sfornate e caffè caldo, accanto ai fornelli c'è un piatto con su una pila di pancake. Il mio stomaco fa un salto di gioia, festeggiando quelle prelibatezze che mia madre deve aver preparato prima di andare al lavoro; in tempo record mi sono già preso forchetta e coltello, i pancake e lo sciroppo d'acero.

Finisco di fare colazione con calma, spostando diverse volte lo sguardo verso la casa dei Granger. Da qui posso vedere la loro cucina e, se assottiglio lo sguardo, anche parte del loro salotto: sembra tutto così silenzioso. Qualche minuto più tardi però, mentre sto finendo di bere il caffè, vedo Heidi che si avvicina ad un mobiletto per prendere un bicchiere, poi va verso il rubinetto e fa scorrere l'acqua.

I capelli sono legati in una coda alta e stretta, qualche ciuffo è però scappato alla presa dell'elastico – lei non fa che portarseli dietro l'orecchio, dato che le cadono sul viso in continuazione. Le labbra sono piegate in un sorriso appena accennato, rilassato e calmo; tiene gli occhi puntati verso qualcosa che io, da qui, non posso vedere.

Sposto lo sguardo sul suo corpo, osservando gli stessi indumenti che indossava il giorno in cui l'ho vista andare a correre. I pantaloncini le stanno alla perfezione, la maglietta anche: mettono in risalto le sue curve. Per un attimo mi chiedo come sia la sua pelle al tatto, mi chiedo se è profumata come lo era nel mio sogno, poi scuoto il capo per levarmi il pensiero dalla mia testa.

Jaime la raggiunge con gli occhi pieni di sonno, i capelli arruffati e un enorme sbadiglio. Le lascia un bacio sulla fronte prima di prendere una scodella da un mobiletto e una scatola di cereali da un altro. Jaime va a sedersi a tavola, le dice qualcosa e lei, scoppiando a ridere, alza una mano e gli mostra il dito medio.

«Ti prego, dimmi che hai qualcosa da mangiare!»

Il mio migliore amico entra in cucina con le mani allo stomaco, sul viso l'espressione di chi non tocca cibo da giorni. Lo guardo corrugando la fronte, chiedendomi come mai non l'ho nemmeno sentito arrivare – né il motore della sua auto, né la porta d'ingresso... assolutamente nulla.

Forse ero troppo concetrato sui fratelli Granger nella villa accanto, penso.

Gli faccio un cenno col capo, indicandogli le brioche alla marmellata. «Prendine quante ne vuoi»

Kaden non se lo fa ripetere due volte e in meno di un secondo ha già mangiato metà di un cornetto. Divertito, mantengo lo sguardo sul mio migliore amico: ha la marmellata ai lati della bocca, addirittura sulla punta del naso; finito il primo cornetto si guarda le mani e decide di leccarsi le dita per pulirsi dallo zucchero. Alla fine, di brioche ne rimane solo una.

«Di caffè ce n'è ancora?» mi chiede, e senza aspettare risposta va alla macchinetta e si prepara una bella tazza del luquido scuro.

«Ma non potevi fare colazione a casa tua?» gli domando, finendo l'ultimo pancake.

«L'ho fatto» replica lui, con lo stesso tono di chi sottolinea l'ovvio.

Annuisco e torno a guardare casa Granger, ma la cucina è tornata ad essere vuota e silenziosa. Evito di chiedermi dove siano andati Heidi e Jaime e decido di alzarmi, lasciando piatto e tazza nel lavandino. Aspetto che anche Kaden faccia lo stesso, con la tazza di caffè che ha preso poco fa, e poi gli faccio segno di seguirmi in camera mia.

«Non andiamo da Jaime a giocare alla play?» mi chiede Kaden, mentre saliamo le scale.

Io scuoto il capo ed entro in camera, andando direttamente all'armadio per prendere qualcosa da mettermi – perché sì, sono ancora in boxer. Trovo una maglietta nera e un paio di pantaloncini bianchi che possono andar bene per la giornata, tanto più tardi dovrò cambiarmi per l'allenamenti.

«Ho promesso a Vanessa che saremmo andati in centro a fare un giro» spiego, infilandomi calze e scarpe. «Ha detto che avrebbe portato un'amica per te. Sapeva che saresti venuto qui, perché sei sempre a casa mia, e allora mi ha chiesto dirtelo»

Kaden alza gli occhi al cielo, esasperato. «Non è la prima volta che Vanessa si diverte a fare Cupido, Theo. L'ultima che mi ha fatto conoscere me la sono trovata sotto casa alle tre di mattina: si è attaccata al citofono e non se n'è andata fino a quando mio padre non ha minacciato di chiamare la polizia»

«Questa volta è diverso» replico, cercando di trattenere un sorriso divertito. «Mi ha assicurato che non è una pazza come quella là»

Lui scuote comunque il capo. «E' inutile che provi a farmi cambiare idea, Theo: non ci vengo e basta»

Da quando ha conosciuto l'amica di Heidi, attraverso Skype, Kaden non ne vuole sapere delle altre ragazze di qui. Continua a ripetermi che Desiree – la ballerina dai capelli blu – è perfetta per lui: spiritosa, bella, molto intelligente e talentuosa. Da una parte sono contento per lui, perché hanno molte cose in comune e si parlano da mattina a sera via messaggio, ma dall'altra ho sempre paura che qualcosa possa andar storto. Inoltre, bisogna tenere in conto anche la distanza.

«E allora che farai tutto il pomeriggio?» gli chiedo.

Kaden si stringe nelle spalle, poi il suo volto si apre in un sorriso. «Vado da Jaime e Heidi e sto con loro fino a quando non è ora di andare al campo per gli allenamenti»

Annuisco senza aggiungere altro e nel frattempo rifletto sul da farsi. Non ho moltissima voglia di passare il resto della giornata con l'amica di Vanessa, in realtà; se fossimo stati solo io e la mia ragazza ancora ancora, ma senza il mio migliore amico so già che mi toccherà fare quello che da pareri su questo o su quest'altro vestito – e magari persino tirare fuori i soldi come al solito.

No, adesso mando un messaggio a Vanessa e le dico che oggi non si fa nulla.

«Andiamo» dico a Kaden, facendogli un cenno verso il piano inferiore di casa mia. Lui mi domanda silenziosamente dove lo sto portando e io, stringendomi nelle spalle, gli rispondo: «Dai Granger»

°*°

Heidi entra in camera di suo fratello come una furia, buttandosi sul letto a peso morto. Incrocia le braccia al petto e, come una bambina piccola, batte le gambe sul materasso, con forza. Io e Jaime ci giriamo verso di lei, confusi, mentre Kaden continua a giocare alla play.

«Regina ha deciso di dare un party, a casa sua» spiega.

Io la guardo, confuso, perché non ho idea di cosa stia parlando.

«E ha invitato tutta la famiglia» sbuffa. Si gira verso di me e assottiglia lo sguardo, quasi fosse colpa mia il fatto che mia madre ha deciso di dare una festa – forse per dare il benvenuto nel quartiere alla famiglia Granger. «Io odio questo genere di party»

«Heidi, smettila» la rimprovera suo fratello. «Non è colpa di Theo»

«Non posso prendermela con Regina, no?» si lamenta lei, mettendosi a sedere. «O con la mamma per aver accettato»

«Ma non puoi nemmeno prendertela con me, Shortcake!» replico io, assottigliando lo sguardo. «Insomma, io neanche sapevo ci sarebbe stata una festa fino a quando non l'hai menzionata te»

«Come l'hai chiamata?» interviene Kaden, schiaccia il pulsante pausa e il suo omino sullo schermo della tv si blocca. Sorridendo divertito, si volta verso di me e ripete: «Shortcake

Jaime scuote il capo e richiama l'attenzione di tutti. «Ci andremo, Heidi. Fine della storia»

Heidi incrocia le braccia al petto con fare testardo, alza un poco il mento e dice: «Se non posso uccidelo per la festa organizzata da sua madre, allora posso farlo per aver usato quello stupido nomignolo»

Io sorrido, divertito. «Ma se lo adori»

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