You move me

di LaMusaCalliope
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CHAPTER ONE: A kiss on the cheek means Friendship ***
Capitolo 2: *** CHAPTER TWO: A hug means I Care ***
Capitolo 3: *** CHAPTER THREE: A kiss on the forehead means I Comfort You ***
Capitolo 4: *** CHAPTER FOUR: Looking away means Hiding Your Feelings ***
Capitolo 5: *** CHAPTER FIVE: Raising eyebrows and winking means Flirting ***
Capitolo 6: *** CHAPTER SIX: Smiling at eachother means I Like You ***
Capitolo 7: *** CHAPTER SEVEN: Looking at you lips means Waiting For A Kiss ***
Capitolo 8: *** CHAPTER EIGHT: A kiss on the lips means I Love You ***
Capitolo 9: *** CHAPTER NINE: Holding hands means You're A Happy Couple ***
Capitolo 10: *** CHAPTER TEN: A kiss on the nose means Laughter ***
Capitolo 11: *** CHAPTER ELEVEN: A kiss on the ear means You Are Special ***
Capitolo 12: *** CHAPTER TWELVE: A nibble on the ear means Warming Up ***



Capitolo 1
*** CHAPTER ONE: A kiss on the cheek means Friendship ***


YOU MOVE ME

Chapter one
 A KISS ON THE CHEEK MEANS Friendship

 
Erano venti minuti che Kurt era seduto su quella sedia, con la testa mollemente poggiata sul palmo della mano e gli occhi che vagavano distratti sulle pagine del libro di Algebra.
Se la sua intenzione, quando si era accomodato, era stata quella di studiare, dopo quello che era successo di certo non ci sarebbe riuscito.
Come ogni altro pomeriggio, lui e Blaine erano andati prima in caffetteria e poi, bicchieri fumanti alla mano, nella sala comune della Dalton per studiare, aiutandosi per gli esami di fine trimestre. Era stato tutto come al solito, con le pause passate a commentare l’ultimo numero di Vogue o il singolo in cima alle classifiche e i momenti di studio in silenzio, con Kurt che, ogni tanto, aveva gettato uno sguardo al volto concentrato ma pur sempre adorabile del ragazzo di fronte a lui intento ad evidenziare tutto il libro.
Poi il telefono di Blaine aveva iniziato a squillare, riempiendo la sala comune con le note dell’ultima canzone di Katy Perry, segnalando l’arrivo di un messaggio, ed entrambi si erano beccati i rimproveri degli altri studenti e anche di qualche professore.
Kurt aveva letto il nome di Nick sullo schermo illuminato dell’amico, seguito da una serie di frasi in maiuscolo che gli avevano fatto pensare ad un’emergenza.
Non appena Blaine aveva finito di leggere il messaggio, aveva lanciato a Kurt uno sguardo a metà tra lo scocciato e il rassegnato, aveva chiuso i libri con un tonfo e li aveva riposti nella sua borsa.
«Scusami, Kurt ma devo andare. Nick ha combinato il solito disastro. Torno appena ho finito» aveva detto Blaine, prendendo la borsa e la giacca blu dalla sedia.
Ed era in quel momento che era successo: il ragazzo, come se fosse stata una cosa naturale, si era chinato su Kurt e aveva lasciato un bacio sulla sua guancia che, nell’istante immediatamente successivo, si era tinta di un rosso ancora più acceso di quello sui bordi della cravatta della divisa.
Blaine, per fortuna, non se ne era accorto, come non aveva notato i suoi occhi sgranati per la sorpresa di quel gesto che avevano vagato allarmati per tutta la sala, o il battito cardiaco tremendamente accelerato; aveva biascicato un “torno presto” giusto un po’ imbarazzato ed era sparito oltre l’elegante porta di legno.
Kurt aveva guardato un’ultima volta gli altri ragazzi nella sala, tutti troppo concentrati sui loro libri per aver notato quello che Blaine aveva fatto.
Distrattamente, aveva passato le dita sulla guancia, aveva chiuso gli occhi e, per un istante, era riuscito a sentire ancora una volta la sensazione delle labbra morbide di Blaine sulla sua pelle e le emozioni che quel gesto gli aveva provocato.

Ci stava pensando da venti minuti, il libro di Algebra ormai abbandonato ad un angolo del tavolino di legno e un sorriso distratto ad illuminargli il volto ancora arrossato.
Ogni volta che abbassava le palpebre, ecco che la scena gli si ripresentava, il respiro gli mancava nei polmoni e le labbra invisibili di Blaine erano di nuovo sulla sua guancia.
Kurt non sapeva come interpretare quel gesto. Forse Blaine non ci aveva pensato, forse era stato qualcosa di automatico, qualcosa che per il più giovane era normale.
Più cercava di dargli un senso, più si sentiva oppresso, come se avesse avuto un enorme peso sul petto, come se avesse voluto scoppiare a piangere per la gioia e per la frustrazione allo stesso tempo.
Ed era esattamente quello che stava per fare, con gli occhi già lucidi che pizzicavano per le lacrime che volevano uscire, se Blaine non fosse rientrato dalla stessa porta da cui era sparito ormai mezz’ora prima, sedendosi sulla stessa sedia e guardandolo con la stessa espressione dolce di sempre.
«Non hai idea di cosa sia successo» iniziò Blaine, tirando fuori di nuovo i libri e aprendoli sul tavolo. Mentre parlava, raccontando di come Nick, Jeff e quel pazzo di David avessero avuto la brillante idea di trasformare la stanza di Blaine e Nick in un laboratorio di chimica, facendo esplodere un composto, Kurt non faceva altro che guardarlo, gli occhi fissi su quelle labbra rosee e dolci e, come aveva potuto constatare sulla sua pelle, morbide. Era come ipnotizzato.
«Sai, Kurt» Blaine pronunciò il suo nome, spostando lo sguardo sui suoi occhi azzurri, «sono felice che almeno il mio migliore amico sia sano di mente».
Blaine gli sorrise, quel sorriso raggiante che gli illuminava il viso e che contagiava sempre anche Kurt che, in quel momento, si ritrovò ad alzare un sopracciglio, sorpreso.
«Sono il tuo migliore amico?» gli chiese, il cuore che batteva forte e il respiro trattenuto.
«Certo!» rispose Blaine con quel tono che assumeva sempre quando stava dicendo qualcosa di ovvio, mentre sfogliava il volume di Algebra alla ricerca della pagina con gli esercizi.
Mentre anche lui si rimetteva al lavoro, Kurt ripensò a tutte le ore passate a pensare a cosa rappresentasse per Blaine, quando la risposta era sempre stata ovvia.
Non poteva negare di aver sempre sperato, dal primo momento in cui l’aveva visto su quelle scale, di poter essere qualcosa di più di un amico. E ci sperava ancora ma, per il momento, gli bastava sapere che, tra tutti i suoi pazzi amici alla Dalton che conosceva da più tempo, per Blaine Kurt era più importante.
Forse un giorno avrebbe ricambiato i suoi sentimenti, forse un giorno il più giovane avrebbe capito che quello che li legava non era amicizia ma qualcosa di più profondo che nemmeno Kurt era riuscito a comprendere a pieno; c’era ancora tempo per quello, però. Il bacio sulla guancia e la rivelazione non del tutto scontata di Blaine erano più che sufficienti per quel pomeriggio.
Con la mente che ogni tanto tornava a quel gesto e con gli occhi che si spostavano sempre più spesso dalla pagina alla figura di Blaine di fronte a lui, Kurt riprese a studiare, la bocca che non voleva saperne di smettere di sorridere e sulla guancia ancora la sensazione dolce delle labbra del ragazzo.

 

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Capitolo 2
*** CHAPTER TWO: A hug means I Care ***


Chapter two
A HUG MEANS I CARE

 
Da quando lo aveva conosciuto, Blaine non aveva smesso un attimo di parlare.
Prima del trasferimento di Kurt alla Dalton, si erano sentiti parecchie volte per telefono e Blaine era stato ore a raccontargli degli Warblers, del nuovo pezzo che avevano provato, del nuovo numero di Vogue o del musical che avrebbero dovuto vedere assolutamente. Poi Kurt si era trasferito e allora Blaine gli chiedeva di ascoltarlo mentre ripeteva la materia su cui avrebbero avuto il test il giorno dopo, o gli faceva sentire quella nota che, in quella canzone che stavano provando con gli Warblers, sarebbe stata perfetta.
E a Kurt piaceva ascoltare Blaine, gli piaceva il tono della sua voce mentre cantava, sempre pulita e intonata, gli piaceva il modo in cui i suoi occhi cambiavano colore a seconda delle emozioni che stava provando e gli piaceva il suo sorriso mentre lo guardava, quel sorriso che gli faceva sempre girare per un secondo la testa e gli faceva venire le farfalle nello stomaco.
Blaine parlava tanto, e non solo con Kurt. Ogni riunione con gli Warblers era un incubo: aveva sempre una protesta da fare o una proposta da avanzare e i membri del consiglio – soprattutto David – si infuriavano per le sue idee bizzarre, sbattevano il martelletto e iniziavano tutti ad urlare. La stanza si riempiva delle urla acute di David, degli sbruffi sonori di Thad e della voce un po’ più alta rispetto alle altre di Blaine che, quasi sempre, l’aveva vinta su tutto.
Quel giorno di fine febbraio però la sala in cui si erano riuniti gli Warblers era stranamente silenziosa: i tre ragazzi del consiglio erano seduti al solito tavolo lungo, blaterando di qualche canzone da portare a qualche festival scolastico, e nessuno stava parlando.
Kurt, dal suo comodo posto sul divano, osservava di sottecchi Blaine, dall’altra parte della sala, seduto su un bracciolo, composto e silenzioso, gli occhi bassi e i capelli un po’ più liberi dalla morsa del gel. Era strano, Kurt lo sapeva: David aveva appena proposto una canzone sconosciuta degli anni Ottanta e lui non aveva battuto ciglio, non si era opposto, non aveva fatto nulla per fermare il martelletto che, sbattuto ancora una volta sul tavolo, aveva dichiarato terminata la riunione. Era troppo strano.
Kurt vide gli altri uscire, lanciando anche loro qualche sguardo a Blaine che si era alzando dal bracciolo e stava litigando con la tracolla della borsa.
«Blaine?» lo chiamò dopo averlo raggiunto, e lui si fermò, strattonando ancora una volta il manico di cuoio e mettendoselo finalmente in spalla. I suoi occhi, puntati in quelli azzurri di Kurt, erano di un colore spento e aveva delle terribili occhiaie, il volto era pallido e un riccio gli era caduto sulla fronte.
«Ciao, Kurt» disse con una voce fiacca e atona, e gli sorrise, le labbra forzatamente tirate.
«Va tutto bene? Mi sembri strano. Voglio dire, non hai nemmeno fermato David dal proporre quella canzone assurda» cercò di ridere ma lui non ricambiò: non riusciva a vedere Blaine così. Sapeva, sentiva anzi, che qualcosa non andava, lo avrebbe capito chiunque, ma Kurt non riusciva a sopportare quello sguardo spento e triste. Vide Blaine passarsi una mano tra i capelli, rendendoli ancora più disordinati, e farsi ancora più serio.
«È solo che …» iniziò Blaine e si guardò intorno, come alla ricerca di un appiglio che lo aiutasse a continuare quel discorso. Poi, i suoi occhi si fermarono su Kurt e divennero più sicuri e meno timorosi, riprendendo quasi quella vitalità che sembrava essere sparita.
Blaine sbuffò ancora e, ancora una volta, si passò una mano tra i capelli, ormai del tutto liberi dal gel. Se non fosse stata una situazione delicata, Kurt sarebbe scoppiato a ridere alla vista di quei ricci che sparavano in tutte le direzioni, rendendo la testa dell’amico simile ad un fungo; poi, probabilmente, con la voce timida e il volto in fiamme, gli avrebbe chiesto di poterli toccare e forse Blaine glielo avrebbe lasciato fare, per una volta. Ma non era il caso, non con l’amico in quello stato a cui non era affatto abituato.
«Ho litigato con mio padre» disse alla fine Blaine, a metà tra un sussurro e un sospiro. Rassegnato, si lasciò cadere di nuovo sul bracciolo del divanetto dietro di lui e Kurt lo imitò.
«Tuo padre?» gli chiese e Blaine annuì quasi impercettibilmente, lo sguardo fisso in basso, sulla punta dei mocassini fuori moda della Dalton.
«Lui non è come il tuo. Non mi ha mai accettato davvero. Ieri sera ho chiamato a casa, come ogni altra settimana, e ha risposto lui al posto di mia madre. Mi ha chiesto se avessi cambiato idea riguardo “quella cosa”» Blaine smise di torcersi le mani solo per simulare le virgolette a mezz’aria, gli occhi che non avevano intenzione di cambiare il soggetto della loro attenzione.
«Io gli ho detto di no e lui ha iniziato a dirmi le solite cose: che è una fase, che passerà, che devo solo uscire con una ragazza e poi si aggiusterà tutto» a quel punto Blaine rise, ma non era la sua solita risata spensierata e serena, piena di gioia e di felicità. Era una risata triste e piena di sarcasmo, un suono così estraneo al modo di essere di Blaine che a Kurt si spezzò il cuore. Stava per dirgli quanto gli dispiacesse e che presto sarebbe andato tutto bene, che poteva contare su di lui e che lo avrebbe aiutato perché a Kurt importava così tanto di Blaine che vederlo soffrire lo faceva stare male. Ma non fece in tempo perché l’altro riprese a parlare, la voce intrisa di rabbia e dolore insieme.
«Gli ho detto che non era così, che uscire con Rachel non aveva fatto altro che confermare ciò che pensavo già. Gli ho detto che deve rassegnarsi ed accettare il fatto che sono gay al cento per cento. Mi ha attaccato il telefono in faccia e io non l’ho richiamato» Blaine alzò le spalle, come per sminuire l’intera faccenda, ma Kurt non se la bevve.
Non ci pensò due volte: con un coraggio che non pensava affatto di avere si sporse e abbracciò l’amico. Rimase immobile per un istante che sembrò durare un’eternità, aspettando una qualsiasi risposta di Blaine e quasi tirò un sospiro di sollievo quando lo sentì stringersi a lui, come se avesse bisogno di un sostegno. Consapevole che non potesse vederlo, Kurt si concesse un sorriso, felice di poter essere lui a sostenerlo per una volta.
«Mi dispiace, Blaine ma tuo padre dovrà imparare ad accettarti per quello che sei, è questo il suo compito. Tu non devi fare altro che essere te stesso. È questo che tuo padre deve capire, e lo farà prima o poi» gli sussurrò, il respiro che solleticava il collo di Blaine e andava a finire sui capelli ricci che accarezzavano la guancia di Kurt. Il più piccolo si abbandonò completamente all’abbraccio, poggiando la testa sulla spalla del più grande e lasciandosi sfuggire qualche singulto.
Kurt non sapeva cosa dire, quella situazione era così nuova per lui che aveva il timore di sbagliare. Inoltre, era così strano per lui poter finalmente tenere Blaine tra le braccia, che gli sembrò quasi di star sognando e temette che l’amico potesse sentire il battito fin troppo accelerato del suo cuore. Non poteva farci nulla però: in quel momento, con la testa di Blaine sulla spalla e le sue mani che lo stringevano, Kurt si sentì finalmente a casa, al sicuro, come raramente gli era capitato di sentirsi.
Gli accarezzò la schiena finché non sentì il respiro farsi più regolare e solo quando si fu finalmente calmato, Blaine si allontanò da Kurt, poggiandogli le mani sulle spalle come faceva sempre, un gesto che scaldava il cuore del più grande ogni volta.
«Grazie Kurt. Davvero, ne avevo bisogno. Mi conosci così bene» disse alzandosi, gli occhi lucidi per le lacrime ma anche per qualcos’altro: era come se, con quell’abbraccio, Blaine avesse ripreso un po’ di quella vitalità che lo caratterizzava e di questo Kurt non poté che esserne contento. Si guardarono negli occhi per un istante e, in quell’istante, il più grande cercò di fargli capire quanto fosse importante per lui, quanto gli importasse di ciò che gli succedeva, perché tutto ciò che voleva era vederlo sorridere ancora una volta.



ANGOLO AUTRICE: è ufficialmente passata la mezzanotte e io, come ogni volta, pubblico una storia. C'ho messo un po' a scrivere questo capitolo, tra lo studio e il timore di uscire fuori dal personaggio, sia per Blaine che per Kurt. Ho ricontrollato e riletto centinaia di volte, riscritto interi paragrafi e, nonostante tutto, non ne sono convinta al cento per cento.
Però, devo dire, scrivere dei Klaine ai tempi della loro amicizia alla Dalton è bello!
Like ever, fatemi sapere, se vi va, cosa ne pensate. Spero di aggiornare presto, tenetevi pronti per un po' di fluff nei prossimi capitoli.

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Capitolo 3
*** CHAPTER THREE: A kiss on the forehead means I Comfort You ***


CHAPTER THREE
A KISS ON THE FOREHEAD MEANS I COMFORT YOU
 
Era dicembre e se c’era qualcosa che Blaine amava più di tutto era la Dalton imbiancata dalla neve.
Gli piaceva svegliarsi la mattina e guardare fuori dalla finestra quel paesaggio fiabesco, gli piaceva finire le lezioni e correre fuori a fare pupazzi di neve o a improvvisare battaglie all’ultimo fiocco con i suoi amici Warblers, gli piaceva rientrare da quei pomeriggi e sorseggiare una cioccolata calda mentre faceva le ore piccole per studiare e gli piaceva stare sotto le coperte la notte mentre fuori nevicava in silenzio.
Quell’anno, lo sapeva, gli sarebbe piaciuto tutto di più perché ci sarebbe stato Kurt da trascinare fuori e da convincere a sdraiarsi sulla neve per fare l’angelo, infischiandosene dei pantaloni della divisa; Kurt, con cui avrebbe tanto voluto cantare un duetto natalizio. Ci sarebbe stato Kurt e questo bastava a Blaine per fargli amare la neve un po’ di più.
Quando David lo aveva svegliato a suon di cuscinate, quel sabato mattina, e gli aveva urlato con la bocca piena di dentifricio che finalmente aveva nevicato, Blaine era saltato giù dal letto e, alla velocità della luce, aveva fatto una doccia, aveva indossato la divisa della Dalton, aveva sistemato i capelli ed era corso in corridoio, diretto verso la stanza che Kurt condivideva con Jon. Non vedeva l’ora di trascinarlo fuori per unirsi agli Warblers che, come gli aveva spiegato David mentre si stava preparando, avevano rimandato le prove del pomeriggio per una battaglia a palle di neve a cui avrebbe partecipato tutta la Dalton. Sarebbe stata la cosa più epica mai vista e Kurt non poteva di certo perdersela.
Erano settimane che ne parlavano, con Blaine che gli aveva raccontato di come l’anno precedente avessero creato un pupazzo di neve e poi lo avessero vestito con la divisa della Dalton. Kurt si era lasciato trascinare dall’entusiasmo del più giovane e insieme avevano fantasticato su quella giornata così tanto che Blaine non vedeva l’ora di viverla, finalmente.
Con il sorriso che gli illuminava il volto, aveva bussato alla porta dell’amico, urlando un “sono Blaine” che non era riuscito affatto a celare la sua eccitazione che, non appena la porta venne aperta, scomparve del tutto perché Kurt, ancora in pigiama, era in uno stato pietoso: aveva il naso arrossato, gli occhi lucidi e i capelli, che solitamente erano ordinati e pieni di lacca persino di prima mattina, in quel momento gli ricadevano scomposti sulla fronte. Si reggeva alla porta e tirava continuamente su con il naso, stringendo in una mano un fazzolettino. Nonostante la sua aria malaticcia però, Kurt sorrideva elettrizzato, desideroso quanto lui di uscire fuori e godersi quella giornata che avevano aspettato per così tanto tempo.
«Ciao, Blaine» gli disse con una voce nasale così diversa da quella a cui l’altro era abituato, ma con lo stesso sorriso di sempre, uno di quelli che, inspiegabilmente, gli scaldava il cuore.
«Kurt, stai bene?» gli chiese il più giovane, sinceramente preoccupato per la sua salute.
«Sì, Blaine. Stai tranquillo, è solo un po’ di raffreddore. Passerà subito, non ti preoccupare. Preparati piuttosto a mangiare neve, perché ti distruggerò» non appena finì la frase, Kurt starnutì nel fazzoletto e questo non fece che incrementare le ansie di Blaine che stava vedendo i piani della giornata sfumare.
«No, tu non stai bene per niente» Blaine, sospirando, gli mise una mano sulla fronte e sentì che, oltre ad essere un po’ sudata, era anche e soprattutto bollente. «Questo non è raffreddore, è febbre. Kurt, stai scottando!»
«Blaine, ascoltami: abbiamo progettato questa giornata settimane fa e non posso perdermela per qualche linea di febbre» ribatté Kurt soffiandosi ancora il naso, gesto che fece perdere tutta la credibilità delle sue parole.
Blaine scosse la testa e sbuffò. Anche lui aveva aspettato con ansia quella giornata, ma non poteva permettere a Kurt di uscire fuori con quel freddo e rischiare che peggiorasse.
Proprio in quel momento, Jon uscì dal bagno, con indosso la divisa della Dalton e la cravatta slacciata e appesa al collo come fosse una sciarpa; lo salutò con un sorriso mentre metteva a soqquadro.
«Ehi, ragazzi! Gli Warblers ci stanno aspettando nel cortile. Che fate, venite?» chiese mentre con una mano si infilava il cappello e con l’altra cercava di indossare il cappotto pesante.
«Kurt ha la febbre» spiegò semplicemente Blaine, tornando a guardare l’amico.
«Caspita! Mi dispiace, amico. Ti perderai tutto il divertimento. Blaine, ti aspetto lì» disse Jon e, quasi urtando il più giovane ancora fermo sulla porta, corse via con la stessa allegria che avrebbe avuto un bambino.
«Non sto male così male, Blaine» Kurt incrociò le braccia al petto e mise su quell’espressione testarda che assumeva ogni volta che credeva di avere ragione ma che sapeva di avere torto. Blaine si stupì della facilità con cui riusciva sempre a capire cosa gli passasse per la testa, e del modo in cui era in grado di decifrare ogni singola espressione sul suo volto.
«Sì che stai male. Avanti, fammi entrare» disse Blaine sorridendogli in modo dolce. Kurt si fece da parte e lo guardò interrogativo.
«Cosa vuoi fare? Gli Warblers ti stanno aspettando e…» ma Blaine non lo fece nemmeno finire di parlare: gli mise le mani sulle spalle, lo guardò dritto negli occhi e continuò a sorridergli.
 «Avevamo programmato questa giornata insieme e andare là fuori a divertirmi senza di te non sarebbe la stessa cosa. Ti faccio compagnia e mi assicuro che tu ti riposi e, nel frattempo, mettiamo su qualche DVD della tua collezione» a quelle parole il mezzo soprano rimase senza fiato e il rossore sulle guance si accentuò in un modo tale da fargli sentire caldo.
«Però il film lo scelgo io» obiettò quindi, cercando di dissimulare quel tumulto di emozioni che stava provando con un sorriso trattenuto.
«Ovviamente» lo assecondò Blaine e andò a sedersi sulla sponda del letto rifatto di Kurt che, nel frattempo, stava inserendo un DVD nel lettore del televisore. Il più grande raggiunse l’amico sul letto ed entrambi si sdraiarono mentre sullo schermo comparivano le prime scene di Chicago. Si sdraiarono per stare più comodi, qualche centimetro a dividere le loro spalle, il film partì e, per i primi minuti, entrambi erano troppo concentrati sulle vicende del film per badare ad altro. Kurt, che nel frattempo si era infilato sotto le coperte per il freddo, si addormentò nel bel mezzo di Cell Block Tango e, senza ovviamente rendersene contò, poggiò la fronte bollente sulla spalla di Blaine. Il ragazzo si voltò fino a che i capelli del più grande gli solleticarono la guancia. Distolse l’attenzione dal film e si concentrò sui lineamenti dell’altro, così rilassati e tranquilli che non se la sentiva di svegliarlo. Gli poggiò la mano sulla fronte per sentire la temperatua, attento a non disturbarlo, e Kurt si mosse, strofinando teneramente il naso sul collo di Blaine.
Forse non era così che aveva programmato di passare la prima giornata di neve, ma gli piaceva prendersi cura di Kurt, confortarlo, fargli capire che per lui ci sarebbe sempre stato. Per questo, sempre delicatamente, poggiò la testa su quella dell’amico, gli tirò su le coperte e gli depositò un leggero bacio sulla fronte.

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Capitolo 4
*** CHAPTER FOUR: Looking away means Hiding Your Feelings ***


Quella mattina Blaine si era svegliato nel modo più terribile: la prima cosa che aveva avvertito non appena aveva preso coscienza, era stato il lancinante mal di testa, seguito a ruota da un forte conato che, ancora non sapeva spiegarsi come, era riuscito a trattenere, così da non sporcare le lenzuola morbide e bianche che, e di questo ne era più che certo, non appartenevano affatto al suo letto. La seconda cosa che aveva sentito era stata una voce profonda che veniva da qualche parte sotto di lui e che piano piano si stava avvicinando; era una voce che sapeva di conoscere, di aver già sentito una volta da qualche parte, ma lo stato in cui versava Blaine non gli aveva permesso di identificarla in tempo. Per controllare chi fosse che, ad un certo punto imprecisato della giornata, avesse iniziato a parlare di uova in camicia – procurandogli anche un certo appetito –, Blaine si era alzato e si era tolto di dosso tutte quelle coperte. Una luce accecante lo aveva colpito e la testa aveva preso a dolergli e a girargli insieme, impedendogli di identificare al meglio la figura sfocata che si trovava in piedi davanti a lui. Blaine ricordava di aver sentito l’ombra farneticare delle scuse e di averla vista andare via, spalancando la porta della stanza. A quel punto, era ricaduto pesantemente sul cuscino, aveva chiuso gli occhi e aveva cercato di fare mente locale su chi fosse e, cosa più importante, su dove si trovasse. Non aveva fatto in tempo a formulare nella sua testa il suo cognome che un conato di vomito lo aveva investito e quella volta trattenerlo era stato più difficile del previsto.

«Mi dispiace» Blaine era seduto per terra, vicino al gabinetto, deciso a non rovinare nessun altro lenzuolo o asciugamano di quella casa, mentre Kurt, con una faccia a metà tra il contrariato e la pena, era appena entrato nel bagno con dei vestiti puliti per lui.
«Che ti sia da lezione: mai più bere dai bicchieri che ti passa Puck» Blaine rise e abbassò la testa, come faceva sempre quando era in imbarazzo. Kurt lo guardò e pensò che anche con i capelli tutti scompigliati, le occhiaie, il volto pallido e dei vestiti sporchi che puzzavano di alcol e vomito, era in grado di affascinarlo come nessun altro. Avrebbe continuato a guardarlo sorridere con quell’espressione a metà tra l’imbarazzato e il divertito per tutta la vita, e probabilmente lo avrebbe fatto se Blaine non avesse alzato gli occhi su di lui, costringendolo a distogliere lo sguardo e a puntarlo sulle meno interessanti mattonelle della doccia, nella speranza che non si fosse accorto che si era fermato un momento di troppo a fissarlo.
«Ti ho preso dei vestiti puliti, i più piccoli che avessi» Kurt sottolineò l’ultima frase, soprattutto per alleggerire il peso degli occhi ambrati di Blaine su di sé che, lo sentiva dalle guance sempre più bollenti, lo stava facendo arrossire. Se c’era una cosa che adorava fare quasi più di studiare il suo volto, era prenderlo in giro per la differenza d’altezza che c’era tra i due ma, soprattutto, gli piaceva vederlo fingere di alterarsi e sbuffare sonoramente, proprio come stava facendo in quell’istante.
«Devo ringraziarti davvero, Kurt, e non solo perché mi stai prestando i tuoi costosissimi vestiti, ma per tutto» disse Blaine, indicando la camera del ragazzo che arrossì leggermente al pensiero che no, non lo aveva sognato, e che sì, aveva davvero passato tutta la notte con Blaine.
«Poteva andarti peggio e dormire con Rachel» cercò di sdrammatizzare Kurt e stavolta fu Blaine a dover distogliere lo sguardo per l’imbarazzo. Se una parte di lui sapeva a cosa stava pensando, riportandogli alla mente la terribile scena del suo migliore amico gay e della sua migliore amica che si baciavano davanti a lui, incuranti di tutto e di tutti, un’altra stava tentando in tutti i modi di giustificare quell’imbarazzo, quella risata calda che di solito seguiva sempre le sue battute sarcastiche ma che invece, quella volta, era stata sostituita da un semplice sorriso accondiscendente. 
E mentre raccomandava a Blaine di non rovinargli la giacca di Alexander McQueen della scorsa collezione, mentre chiudeva la porta del bagno e scendeva le scale, diretto in cucina per preparare la colazione, mentre faceva cadere un paio di aspirine in un bicchiere d’acqua per Blaine, Kurt cercò di non focalizzarsi su quanto era accaduto tra il ragazzo e Rachel la sera prima, concentrando i suoi pensieri su un’unica immagine, quella del volto serenamente addormentato di Blaine che riposava accanto a lui, i capelli ricci che gli ricadevano morbidi sugli occhi chiusi e le lunghe ciglia nere che gli sfioravano le guance. Ripensò a quanto il cuore aveva iniziato a battergli forte nel petto quando il ragazzo, probabilmente senza essersene reso conto, aveva cercato la sua mano e l’aveva stretta, intrecciando con un gesto automatico le dita, come se fosse qualcosa di abitudinario, e Kurt, approfittando dell’incoscienza dell’altro, aveva fatto altrettanto, senza dover nascondere i suoi sentimenti, almeno per quella volta.
Quel pensiero fu il suo unico appiglio.



NOTE AUTRICE: Lo so, stento a crederci anche io. Ho aggiornato finalmente questa raccolta e credetemi quando vi dico che non è stato affatto facile. Come forse noterete dal sommario, per motivi di trama sono stata costretta a scambiare il capitolo quattro, FLIRTING, con il quinto, HIDING YOUR FEELINGS, e nella prossima puntata ne capirete la motivazione. 
So, siamo finalmente giunti a "Blame It On The Alcohol" e al bacio con la Berry. Ho voluto davvero tanto parlare di tutti quegli istanti che i RIB non ci hanno regalato, soprattutto perché ci sono dei buchi di trama enormi che andrebbero riempiti (ma lo sapevate che Westerville e Lima distano più di un'ora e mezza di viaggio in auto?), e quindi ci sto provando io con questa raccolta. Dato che passerò molto tempo a casa, spero di riuscire ad aggiornare presto, in settimana. 
Fino ad allora, buonanotte!

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Capitolo 5
*** CHAPTER FIVE: Raising eyebrows and winking means Flirting ***


«Allora, avete seriamente dormito assieme?»
Blaine, che stava sorseggiando il suo caffè mattutino nella caffetteria della Dalton, quasi non si strozzò quando sentì Nick fargli quella domanda. 
Sì, lui e Kurt avevano dormito assieme, ma era un dettaglio dello scorso weekend su cui la mente di Blaine non si era concentrata a lungo, troppo occupata a rivivere ogni istante di quel bacio con Rachel prima, e ogni parola urlata contro Kurt dopo. Non era stata sua intenzione dire davvero quelle cose, non avrebbe mai voluto ferirlo o offenderlo in alcuna maniera. Semplicemente, si era stupito di quanto l’amico fosse sembrato sconvolto dal fatto che a Blaine, quel bacio con Rachel, non era dispiaciuto affatto, anzi! Aveva passato i successivi tre giorni a pensarci, e a non parlare con Kurt, finché un pomeriggio la ragazza lo aveva baciato di nuovo e lui aveva capito che era stato tutto frutto dell’alcol. Quando poi era tornato dal bagno, in fila ad aspettarlo non c’era più Rachel, ma Kurt, con il suo bicchiere fumante in mano e un sorriso incerto sul volto. Ovviamente avevano chiarito ed erano rientrati alla Dalton insieme, chiacchierando come al solito e scherzando su quanto era successo, come un evento appartenuto ad un’altra vita.
Purtroppo per loro, non avevano messo in conto il fattore più importante e a volte più inquietante di quella faccenda: gli Warblers. Negli ultimi tempi, i ragazzi del Glee Club si stavano comportando sempre meno da adulti responsabili e maturi e sempre più da ragazzine urlanti, tutti occhi a cuore e gridolini ogni volta che lui e Kurt parlavano, anche solo del prossimo numero da preparare, o semplicemente si sorridevano.
Per questo quando Nick fece loro quella domanda nella caffetteria della Dalton, non si stupirono tanto per la malizia nel suo sguardo, quanto invece per il fatto che gli Warblers, in qualche modo, erano venuti a conoscenza di quel dettaglio neanche troppo importante, ma che per loro era di fondamentale importanza approfondire.
Non che lui stesso non lo avesse fatto, ma non ci si soffermava mai per troppo tempo.  
«Quindi, avete dormito insieme?» chiese ancora Nick insistendo, dato che né Blaine né Kurt – il primo troppo occupato a richiedere le ordinazioni e il secondo ad affondare la faccia nella sciarpa di cashmere della Dalton – sembravano intenzionati a voler rispondere.
«Prenderò il vostro silenzio come un “Oh, Dio. Sì ed è stato assolutamente pazzesco!”» il commento di Nick fece arrossire ancora di più Kurt, che diventò dello stesso colore del risvolto della sua giacca.
«E anche se fosse, dove sarebbe il problema, Nick? Ero troppo ubriaco per guidare e Kurt, molto gentilmente, mi ha ospitato a casa sua. Quindi sì, abbiamo dormito insieme» rispose quindi Blaine, prendendo un altro sorso dal bicchiere fumante.
«Ed è stato pazzesco?» insistette Nick, facendo arrossire ancora di più Kurt. Blaine, per tutta risposta, intenerito dalla timidezza del suo migliore amico e deciso a stuzzicarlo un po’, alzò le sopracciglia con fare eloquente e gli fece l’occhiolino, sorridendogli in maniera quasi complice; se ne andò alla ricerca di un tavolo libero dove potersi sedere, lasciando un Kurt incapace di respirare ancora in fila con Nick che, a bocca aperta per la scena a cui aveva appena assistito, gli chiese speranzoso: «Quindi?».
Era troppo per lui. Scuotendo la testa e alzando gli occhi al cielo, cercando di non pensare troppo al fatto che Blaine avesse esplicitamente flirtato con lui – forse con l’unico obiettivo di ucciderlo –, seguì il suo migliore amico al tavolo.
«Mi fanno tanta pena. Da quando hanno iniziato ad essere così insistenti?» chiese Kurt, cercando di dissimulare il rossore sulle sue guance e bevendo il suo latte macchiato.
«Sarà colpa delle troppe prove» gli rispose Blaine ridendo. Guardò l’amico oltre il bicchiere di carta e ripensò a quanto era successo poco prima in fila con Nick. Non sapeva bene perché lo avesse fatto, gli era semplicemente sembrato naturale. Mentre lo osservava sorseggiare la sua bevanda e lo ascoltava distrattamente parlare sulla mancanza di attività extra scolastiche alla Dalton, Blaine si concesse per la prima volta da domenica di soffermarsi a pensare che sì, lui e Kurt avevano dormito insieme. Non era stata la prima volta, c’erano già state occasioni in cui uno dei due, stanco durante le loro maratone di musical, si fosse addormentato sulla spalla dell’altro che però, puntualmente, aspettava sempre la fine del film per tornarsene nella propria camera. Quella domenica invece Kurt non lo aveva lasciato dormire su un divano, né tantomeno lo aveva fatto lui, cedendogli quindi il letto. Anzi, dopo essersi messo il pigiama, si era steso accanto a lui e, Blaine lo aveva sentito, gli aveva accarezzato i capelli finché non si era addormentato.
Era per questo che gli era sembrato così naturale, poco prima, flirtare con lui, perché avevano davvero dormito insieme? Blaine non sapeva dirlo, ancora troppo confuso per fare chiarezza su ciò che provava per il suo migliore amico, ma una cosa doveva riconoscerla: Nick aveva ragione. Blaine ricordava del modo dolce in cui le dita di Kurt erano scivolate tra i suoi ricci, di come lui stesso avesse cercato la mano dell’altro e l’avesse stretta, trovandola morbida e calda, e di quanto fosse stato pazzesco. 


Note dell'autrice: 
Welcome back!
So, scrivere questo capitolo è stato a dir poco terribile. Credo che attualmente ne esistano una decina di versioni diverse, nessuna simile in alcun modo alle altre. Questa, la definitiva, è uscita fuori un po' breve e mi spiace perché, iniziando domani il secondo semestre, purtroppo non so bene quando potrò tornare a scrivere e a postare. Sappiate che ho intenzione di scriverla tutta e di pubblicarla, anche un po' per volta. Abbiate pazienza, vi prego, e se lasciaste una recensione in cui mi dite cosa ne pensate di questa raccolta, ne sarei ancora più felice. So, thank you for being there and see you as soon as possible!

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Capitolo 6
*** CHAPTER SIX: Smiling at eachother means I Like You ***


«Ho chiesto a Nick di uscire»
Quando Jeff pronunciò quella frase, non sapeva di certo che, facendolo, aveva firmato la condanna a morte di un amico.
Era da San Valentino che tra Nick e Jeff era cambiato qualcosa: se all’apparenza sembravano gli stessi di sempre, complici e inseparabili, per Kurt e Blaine era più evidente che gli sguardi che si lanciavano e i sorrisi che si rivolgevano non erano più così disinteressati come prima. Era chiaro, quei due si piacevano, ed era solo questione di tempo prima che anche i diretti interessati lo capissero e facessero il primo passo.
«Secondo me sarà Nick» aveva detto Blaine una volta quando, in camera di Kurt, si erano chiesti chi sarebbe stato il primo ad accorgersene. L’amico aveva tirato su il volto, spostando l’attenzione dalla sua copia di Vogue fresca di stampa per spostarla su Blaine, e lo aveva guardato con un’espressione aggrottata.
«Jeff, vorrai dire» aveva quindi replicato, tornando a leggere la rivista. Blaine era rimasto sorpreso dalla sicurezza dell’altro, come se quella che aveva appena detto era un’ovvietà su cui non si poteva che essere d’accordo.
«Perché dovrebbe essere Jeff? È troppo timido» ed era vero. Tra i due, era Nick quello scaltro, quello senza peli sulla lingua, quello che parlava senza pensare, schiettamente e sinceramente. Soprattutto, era quello che i segreti non sapeva nemmeno cosa fossero e, non appena qualcuno gli raccontava un pettegolezzo, non riusciva a non condividerla con il resto del mondo; il suo account Twitter sembrava la telecronaca di una dodicenne fatta di caffeina. Jeff invece era più un tipo riservato, silenzioso, che durante le riunioni preferiva stare in un angolo con le cuffie alle orecchie piuttosto che partecipare alle discussioni degli Warblers. Era quello che rideva dubbioso alle battute inappropriate di Jon, quello che avrebbe preferito una serata a vedere Twilight piuttosto che andare ad una festa; era persino Team Edward!
«Proprio per questo. È timido ma è anche sincero. A Nick non saprebbe nascondere nulla, non sa tenere i segreti. Quando mente, arrossisce e balbetta, l’hai visto con il professor Diaz ieri mattina!» a quelle parole, a Blaine era venuta in mente un’altra dichiarazione, fatta da un’altra persona introversa. Quando Kurt gli aveva confessato i suoi sentimenti il giorno dopo San Valentino, aveva passato tutta la notte sveglio a pensarci, a riformulare la frase cliché che gli aveva rifilato come scusa e a rivalutare le opzioni. Stare con Kurt lo avrebbe reso più felice di ciò avevano già, della loro splendida, solida amicizia? Si era rigirato nel letto finché non era sorta l’alba e la sveglia non era suonata, dandogli qualcos’altro a cui pensare. Non appena però la sua mente si svuotava, i suoi pensieri si affollavano tutti intorno a quella dichiarazione, persino dopo quello che era successo con Rachel.
«Appunto, sa che combinerebbe un disastro. Nick è più diretto e, non appena capirà cosa prova per Jeff, non vedrà l’ora di dirglielo, fidati»
«Scommettiamo?» Blaine aveva inarcato un sopracciglio, sorpreso dalla proposta dell’altro, incuriosito da cosa si sarebbe inventato.
«Se Jeff si dichiara per primo, tu dovrai accompagnarmi a fare shopping» a Blaine era quasi sfuggito un gemito di soffocata sofferenza. Sapeva com’era, fare shopping con Kurt: avrebbero girato decine e decine di negozi, alla ricerca di qualcosa che poi l’amico avrebbe provato e, subito dopo, riposto sulla gruccia perché gli metteva troppo in risalto i fianchi o perché quel colore lo faceva sembrare più pallido di quanto già non fosse. Una tortura psicologica, oltre che fisica.
«Accetto» Blaine aveva teso, un po’ controvoglia, una mano verso Kurt, «ma tu dovrai vedere Guerre Stellari con me, se lo fa Nick». L’occhiata che l’amico gli aveva lanciato mentre gli aveva stretto la mano per sigillare l’accordo, Blaine lo sapeva, non l’avrebbe mai dimenticata, ma era anche stato sicuro della sua vittoria.
Oh, se si sbagliava!

«Davvero?»
Blaine era felice che Jeff avesse finalmente capito cosa provava per il suo migliore amico, ma non era decisamente pronto ad un pomeriggio di shopping selvaggio con Kurt Hummel, per questo non poté impedirsi di suonare disperatamente sconvolto alle orecchie del biondo davanti a lui. Kurt, infatti, gli rifilò una gomitata tra le costole, costringendolo a correggere l’intonazione della domanda.
«Davvero?» riprovò, sperando di essere sembrato il più sinceramente felice possibile. Kurt, per contro, quasi saltava sulla sedia dalla contentezza e non riusciva a capire se era per un appuntamento da organizzare o per una vittoria da riscattare. Blaine sperò si trattasse della prima.
«Quando?» i suoi occhi azzurri gli brillavano per la contentezza e sorrideva teneramente a Jeff. Era davvero contento per i ragazzi, Blaine lo sapeva e si chiese se sperasse in un finale del genere anche per loro due… Blaine scosse la testa e allontanò quello strano pensiero che ogni tanto faceva capolino nella sua mente; piuttosto, si rese conto che l’idea di dover passare un intero pomeriggio insieme a Kurt a girare per negozi non lo impauriva quanto avrebbe creduto, anzi, era quasi elettrizzato.
«Be’, stavamo provando quella coreografia per Animal, quella che ci ha fatto vedere Jon ieri, e durante una pausa gliel’ho chiesto e lui ha detto di sì» mentre parlava, Jeff si torceva le mani, come quando era nervoso. E forse lo era davvero, considerato cosa aveva appena fatto.
«Hai pensato a cosa fare?» chiese Blaine e Kurt lo guardò, forse stupito che si fosse ripreso così in fretta dalla sconfitta.
«Al cinema e poi a cena. Ho trovato un ristorante perfetto sulla statale» gli occhi di Jeff si illuminarono mentre raccontava di come sperava sarebbe andata la serata.
«Quindi è una cosa seria!» esclamò Kurt, se possibile più emozionato del biondo.
«Be’, sì. Anche se sono così nervoso… e se non piacessi a Nick?» i due sarebbero scoppiati a ridere di gusto se l’espressione di Jeff non fosse stata così preoccupata e insicura. Com’era possibile che non si fosse accorto del modo in cui Nick lo guardava, di come gli sorridesse e di quanto fosse realmente preso da lui?
«Sii te stesso e andrà tutto bene» tentò di rassicurarlo Blaine, accompagnando l’affermazione con un sorriso gentile.
«Non dimenticare però di essere carino con lui» continuò Kurt.
«Offrigli la cena»
«Chiedigli come sta»
«Interessati alle sue passioni»
«E ridi alle sue battute»
«Prendilo per mano»
«Fagli capire che tieni a lui in ogni modo possibile»
Per tutto lo scambio di battute Blaine e Kurt si erano guardati senza smettere un istante di sorridersi, e Blaine non avrebbe mai voluto farlo. Gli piaceva quella loro complicità, quel modo tutto loro che avevano di capirsi senza parlare, di essere sempre d’accordo su tutto – o quasi. Gli piaceva il modo in cui le labbra di Kurt si distendevano in un sorriso dolce quasi automatico ogni volta che i loro occhi si incontravano, in totale sincronia con quelle di Blaine. Gli piaceva come gesticolava quando parlava di qualcosa che lo rendeva felice, proprio come in quel momento; gli piaceva la sua voce, il suo essere in grado di toccare ogni nota con una semplicità e una naturalezza tali che lo sorprendeva ogni volta.
«Nick ha ragione, prendetevi una stanza!» Jeff, che aveva assistito alla scena in silenzio, si alzò dalla sedia, li salutò velocemente con un gesto della mano e si diresse verso l’uscita della caffetteria, dove un Nick sorridente lo stava aspettando.
Blaine, leggermente imbarazzato dal commento del biondo, guardò Kurt che stava cercando di nascondere il fin troppo evidente rossore sulle guance dietro le pagine, ormai quasi consumate, di Vogue.
Distolse lo sguardo, puntandolo sugli spartiti del nuovo numero che avrebbero dovuto preparare, ma le note e le parole diventavano segni neri che si confondevano, troppo distratto da quei pensieri che lo avevano assalito poco prima.
«Sembra che qualcuno dovrà accompagnarmi in città il prossimo weekend. Preparati, Anderson, non ne uscirai vivo» Kurt aveva parlato senza staccare gli occhi dall’articolo sulla nuova linea di Versace, ma Blaine poteva vederlo, il suo sorriso vittorioso, e non poté fare a meno di imitarlo. Scosse la testa, fingendosi scocciato, ma di nuovo alla sola idea che il prossimo fine settimana avrebbe passato un’intera giornata in compagnia di Kurt, il cuore di Blaine saltò un battito. E mentre lo osservava con la coda dell’occhio, mentre si perdeva nella piega del suo sorriso, cercando di memorizzare più dettagli possibili della sua espressione concentrata, un pensiero prese forma nella mente del ragazzo e sapeva che non avrebbe potuto fare nulla per ignorarlo.
Gli piaceva Kurt?



ANGOLO DELL'AUTRICE: 
I did it! Questo capitolo è venuto due volte più lungo dei precedenti, specialmente perché in questo capitolo a Blaine inizia a sorgere un dubbio: gli piace Kurt? Come sappiamo, lui lo realizza al 100% nella 2x16, ma non credo che sia successo tutto in due minuti di canzone, right? Ecco, mi sarebbe piaciuto che i RIB avessero esplorato di più il personaggio di Blaine, la sua introspezione, e invece... Well, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e, come sempre, se volete dirmi cosa ne pensate, non vi mangio. 

PS: sì, ho di nuovo cambiato l'ordine dei capitoli, ma vi assicuro che adesso è definitivo. 
 

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Capitolo 7
*** CHAPTER SEVEN: Looking at you lips means Waiting For A Kiss ***


Quando Blaine entrò nella caffetteria, la prima cosa che sentì fu la risata cristallina di Kurt. Ci mise un po’ a trovarlo nella folla che riempiva il locale: era di spalle, appoggiato elegantemente ad una colonna, la tracolla in spalla e il suo solito latte macchiato tra le mani. Quasi si dispiacque di non poter vedere l’espressione dell’amico in quel momento, ma poteva immaginarla benissimo: gli occhi chiusi, la testa buttata all’indietro e le labbra tirate in un sorriso che mostrava i denti piccoli. Stava parlando con Nick e Jeff. Anche loro ridevano, la testa del biondo sulla spalla del moro mentre le loro dita si intrecciavano dolcemente, e Blaine quasi invidiò quella loro complicità.
Il giorno dopo il loro primo appuntamento, Nick aveva quasi intontito gli amici su quanto Jeff fosse fantastico, raccontando più di una volta ogni secondo della serata che avevano trascorso insieme. Blaine lo aveva ascoltato sorridendo, pensando a quando un giorno anche lui sarebbe tornato nella sua stanza alla Dalton dopo un appuntamento con qualcuno, con le tanto chiacchierate farfalle nello stomaco e il sonno che non avrebbe voluto saperne di arrivare. Mentre Nick parlava, si era chiesto chi sarebbe potuta essere quella persona che gli avrebbe fatto provare tutte quelle emozioni, e gli occhi erano andati su Kurt, che stava ascoltando l’amico con la testa poggiata sulla mano e un sorriso intenerito sulle labbra. Lo aveva guardato e gli era venuto in mente quel pensiero che lo aveva assillato per più di una settimana, quella domanda a cui ancora non era riuscito a dare una risposta. Poteva davvero essere lui, quello giusto, quello che stava cercando da così tanto tempo?

La voce della cassiera che lo chiamava lo fece ritornare alla realtà. Recuperò il suo cappuccino e si voltò verso il punto in cui prima aveva sentito i tre ridere: Nick e Jeff se ne stavano andando, mano nella mano e teste vicine, quasi si stessero sussurrando un segreto. Kurt era rimasto da solo, appoggiato contro la colonna, la tracolla pesante ormai abbandonata a terra. Sorseggiava il suo solito latte macchiato e si guardava intorno, come alla ricerca di qualcosa o di qualcuno. Non appena i suoi occhi azzurri si puntarono su di lui, Blaine lo vide sorridere e alzare una mano per salutarlo. Si allontanò dalla fila e si diresse, con una certa agitazione, verso l’amico. Ancora non sapeva come affrontare Kurt: dopo che aveva fatto quella chiacchierata con Burt qualche giorno prima, non avevano parlato molto e mai di ciò che era successo, se non quando l’amico lo aveva ringraziato, non senza un certo imbarazzo, per ciò che aveva detto al padre. Quando però gli fu davanti e lo vide sorridergli come al solito, tutta la preoccupazione sembrò sparire, lasciando il posto ad un altro tipo di agitazione, la cui natura Blaine non era sicuro di voler indagare.
«Parlano ancora del loro primo appuntamento?» chiese all’amico, anche se conosceva già la risposta.
«Sono un disco rotto» si sorrisero con complicità e Blaine notò che aveva del latte sull’arco di cupido. L’amico gli riferì tutto quello che Nick e Jeff gli avevano raccontato, ma lui non lo stava ascoltando, gli occhi che non riuscivano a staccarsi dalle labbra di Kurt, come ipnotizzato. Pensò che gli sarebbe piaciuto baciarle, anche solo per sapere se fossero davvero così morbide come sembravano.
«Aspetta. Hai del…» disse e ciò che fece dopo pietrificò Kurt: Blaine si era avvicinato e, con dolcezza, gli aveva passato un dito sul labbro superiore. Adesso sapeva perché l’insegnante della sua vecchia scuola lo aveva chiamato Porcellana: la sua pelle era liscia, priva di imperfezioni e Blaine avrebbe volentieri passato il resto dei suoi giorni ad accarezzarla se solo non avesse notato Wes e Jon camminare nella loro direzione sorridendo e confabulando.
Mentre i ragazzi li raggiungevano, mentre Kurt alzava gli occhi al cielo in risposta alle solite battute su loro due, mentre sentiva il cuore riprendere a battere normalmente, Blaine finalmente capì.

Ormai era diventato un pensiero fisso.
Blaine non poteva farci nulla: ogni volta che chiudeva gli occhi, rivedeva la scena come al rallentatore che, puntualmente, si interrompeva sempre allo stesso punto che si ripeteva ancora e ancora, in loop nella sua mente, facendogli andare le guance in fiamme e scuotere la testa come per cacciare via quel pensiero.
«Mi spieghi che hai? Stai fissando quella pagina da venti minuti, cosa c’è di così interessante?» gli chiese la sera David. Blaine si riscosse dai suoi pensieri e si girò a guardare il compagno di stanza sdraiato a pancia in giù sul letto che lo guardava con un cipiglio preoccupato. Cosa aveva… non lo sapeva nemmeno Blaine, cosa avesse in quei giorni. Scosse la testa, non riuscendo a trovare una risposta alla sua domanda e tornò a concentrarsi su quella pagina di Storia che la sua mente proprio non ne voleva sapere di memorizzare, troppo occupata a rivivere ogni secondo di quel pomeriggio appena passato.
«Amico, sei sicuro? Sei strano ultimamente» David incalzò e, dal rumore che fecero le molle arrugginite del vecchio materasso, Blaine capì che probabilmente si era messo a sedere. Non sapeva bene cosa rispondergli. Se gli avesse detto la verità, se gli avesse confessato quello che aveva finalmente capito, probabilmente nel giro di venti minuti si sarebbe ritrovato la stanza piena di Warblers urlanti in preda ad un’anormale eccitazione; era però anche consapevole che non era bravissimo a mentire. Non sapeva proprio dirle, le bugie.
Fece un profondo respiro, chiuse l’inutile libro di Storia e, rassegnato, si girò completamente verso David che ancora lo guardava, quasi studiandolo, per capire cosa ci fosse che non andava in Blaine.
Se ne sarebbe pentito, era vero, ma aveva anche bisogno di parlarne con qualcuno o sarebbe impazzito. E poi, un consiglio non poteva di certo fargli male, no?
«Questa conversazione non deve uscire da questa stanza» iniziò Blaine, ma sarebbe stato inutile. Immaginava che David, non appena avessero finito di parlare, sarebbe andato a spifferare tutto a Nick e Wes che poi avrebbero diffuso la voce, finché anche il diretto interessato ne fosse venuto a conoscenza. Il solo pensiero fece girare la testa di Blaine per l’imbarazzo.
«Dettagli piccanti, Anderson? Va bene, spara. Sono tutto orecchie» David si era messo più comodo sul letto, incrociando le gambe e facendosi più interessato. Ovviamente…
E mentre Blaine pronunciava ad alta voce quelle parole che per giorni lo avevano tormentato, consapevole che stava facendo l’errore più grande della sua vita, non poté impedirsi di sorridere.
«Mi piace Kurt.»



ANGOLO AUTRICE: Sono finalmente riuscita a completare questo capitolo.
Purtroppo, mi sono ritrovata in una di quelle situazioni in cui si ha perfettamente chiaro cosa deve succedere e come, ma nessuna idea sul modo in cui scrivere il tutto. Speravo di riuscire a pubblicare entro il 15 marzo il capitolo 8, A KISS ON THE LIPS MEANS I LOVE YOU, ma dato l'andamento di questo, ne dubito. Ci proverò lo stesso, in ogni caso.
So, see you as soon as possible, I hope.
Come al solito, se volete farmi sapere cosa ne pensate, le recensioni sono sempre ben accette.

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Capitolo 8
*** CHAPTER EIGHT: A kiss on the lips means I Love You ***


Avrebbe duettato con Blaine alle Regionali.
Kurt non riusciva a pensare ad altro mentre decorava la piccola bara di Pavarotti. Quando aveva detto a Blaine che gli Warblers sembravano più i suoi coristi che i suoi compagni, non aveva di certo voluto ferirlo, né aveva immaginato che quella conversazione avrebbe portato ad un riscontro così positivo. Eppure non poteva fare a meno di chiedersi per quale motivo Blaine avesse scelto lui per il duetto, senza nemmeno fare le audizioni. Ormai conosceva le voci dei ragazzi ed erano tutte tanto valide quanto sottovalutate, da quella delicata ma potente di Wes a quella dolce e sempre intonata di Nick, per non parlare di quella di Jon che, anche se preferiva il beat boxing e la danza, era un ottimo cantante. Kurt sperava che non l’avesse fatto solo per accontentare un suo capriccio. Ammettere di essere geloso del fin troppo alto numero di assoli di Blaine con il diretto interessato era stato uno sbaglio, ma con lui non poteva impedirsi di essere sincero. Ogni volta che parlavano, era come se le parole, tutte, anche quelle che sarebbero dovute rimanere nella sua testa, fluissero via, prendendo forma in una frase che, molto spesso, Kurt avrebbe preferito tenere per sé.
Ma perché lo aveva scelto per quel duetto?
«E quello cos’è?» Kurt era così perso nei suoi pensieri che non aveva sentito Blaine entrare nell’aula studio completamente vuota. Alzò lo sguardo e se lo ritrovò davanti, con un sorriso strano sul volto, come se fosse nervoso, che però non lo rendeva meno bello e perfetto ai suoi occhi. 
«Sto decorando la bara di Pavarotti» disse, riprendendo ad incollare le perline sul coperchio, ma la sola presenza dell’amico lo metteva in uno stato di agitazione tale che le mani non smettevano di tremargli.
«Puoi smettere, allora. Ho la canzone perfetta per il nostro numero e dovremmo provarla»
«Quale?» chiese Kurt mentre, dentro di sé, pregava non si trattasse dell’ennesima hit di Katy Perry. Quasi gli mancavano i Journey del professor Schuester…
«Candles, di Hey, Monday» annunciò Blaine con una certa soddisfazione e Kurt non poté fare a meno di alzare le sopracciglia, decisamente sorpreso dalla scelta dell’altro.
«Sono colpito! Di solito scegli tra le Top 40» disse, sorridendo, sollevato di non dover cantare niente che avesse a che fare con pavoni equivoci o fuochi d’artificio. Quella canzone gli piaceva, Finn la cantava spesso sotto la doccia o la sparava a tutto volume nella sua stanza quando studiava, e Kurt si era ritrovato più di una volta a canticchiarla a mezza voce insieme a lui.
«Be’, vedi, avevo bisogno di un pezzo un po’ più emotivo» Blaine si sedette e solo allora notò che anche le sue, di mani, tremavano leggermente. Perché era così agitato?
Kurt lasciò da parte quello che stava facendo e si concentrò solo sull’altro, su quelle ultime parole sibilline. «Perché hai scelto me per cantare questa canzone?»
Blaine cambiò espressione, facendosi d’un tratto più serio, e distolse lo sguardo, fissandolo prima sul tavolo e poi su un punto lontano. Chiuse gli occhi e prese un respiro.
«Kurt, c’è un momento in un cui dici a te stesso “Oh, eccoti qua!”. Ti cerco da una vita» la voce di Blaine tremava leggermente e le labbra si distesero in un sorriso ancora più nervoso, ma non per questo meno autentico. Il cuore di Kurt aveva iniziato a battere forte e non sembrava affatto intenzionato a rallentare; era come diviso in due: una parte di lui sapeva, inconsciamente, dove tutto quel discorso sarebbe andato a finire, ma l’altra non osava sperarci, timorosa di essere di nuovo illusa e ferita.
«Vederti cantare Blackbird, questa settimana, è stato quel tipo di momento per me, su di te…» I suoi pensieri si annullarono completamente nel momento in cui Blaine, avvicinandosi a lui, gli prese la mano.  Non riusciva a concentrarti su nient’altro che non fossero le dita del moro che stringevano le sue teneramente, come se ogni nervo del suo corpo si fosse concentrato in quei punti in cui le loro mani si toccavano.
«Tu mi emozioni, Kurt» e il modo in cui lo disse, con la voce tremante ma sicura e gli occhi lucidi fissi nei suoi, gli mozzò il fiato in gola. «E questo duetto sarebbe una scusa per passare più tempo con te…» e nel momento in cui lo sguardo di Blaine si spostò dai suoi occhi alle sue labbra, Kurt capì cosa sarebbe successo. Mentre lo guardava avvicinarsi titubante, Kurt pensò che probabilmente era così che sarebbe dovuto essere il suo primo bacio.
Le labbra di Blaine era morbide sulle sue, più di quanto avesse pensato, e lo disorientarono a tal punto che gli ci volle un momento di più per rendersi conto di ciò che stava davvero succedendo. Non appena realizzò che sì, Blaine lo stava davvero baciando, e che no, quello non era un sogno, Kurt portò una mano sulla guancia del ragazzo, sentendosi finalmente libero di poterlo accarezzare, e approfondì quel bacio che aveva aspettato per fin troppo tempo.
Quando si separarono, a Kurt sembrò come se gli avessero tolto l’aria dai polmoni tutta d’un colpo. Fece cadere la mano sul tavolo, producendo un forte rumore, ma non se ne curò, gli occhi che non riuscivano a staccarsi da Blaine, le labbra che non volevano saperne di smettere di sorridere.
«Dovremmo… Dovremmo provare» disse il ragazzo davanti a lui, passandosi una mano sul volto con aria imbarazzata ma talmente felice che il suo cuore smise di battere a quella vista.
«Pensavo lo stessimo già facendo» Kurt, se possibile, sorrise ancora di più prima di tornare a baciarlo. Un braccio di Blaine gli cinse la vita, avvicinandolo ancora di più a lui, mentre Kurt portò le mani alla base del collo dell’altro, le dita che sfioravano i capelli ricci e morbidi lì dove erano liberi dal gel.
Ti amo. Quella frase attraversò la sua mente come un lampo e sentì l’urgenza di dirglielo, di urlarglielo con tutta la voce che aveva in corpo, di cantarglielo con le sue canzoni preferite, ma si limitò a baciarlo, ancora e ancora, le labbra che non volevano saperne di separarsi dalle sue.
Ci sarebbe stato il tempo giusto per quello, ma non in quel momento, quando l’unica cosa che Kurt voleva fare era stringere Blaine tra le braccia e perdersi nei suoi occhi cangianti, godendo di quegli istanti che aveva aspettato per fin troppo tempo. 




ANGOLO DELL'AUTRICE:

Ce l'ho fatta! Ancora non riesco a credere che siano passati nove anni da quel meraviglioso bacio.
Aspettavo questo capitolo da quando ho iniziato a scrivere questa raccolta. Questo episodio rimarrà per sempre uno dei miei preferiti tra tutte le stagioni, e mi sono sempre chiesta cosa avesse provato Kurt in quel momento in cui - finalmente - Blaine ha capito la natura dei suoi sentimenti per lui. I really hope che questo capitolo vi piaccia. Scriverlo è stato bellissimo e Candles in sottofondo non poteva di certo mancare durante la stesura. 
A presto con un nuovo capitolo!

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Capitolo 9
*** CHAPTER NINE: Holding hands means You're A Happy Couple ***


Kurt non poteva credere che quanto stava vivendo non fosse un sogno.
Tutto gli sembrava così irreale e così perfetto che nemmeno nelle sue più liete fantasie avrebbe potuto immaginare qualcosa di simile. Certo, gli Warblers avevano perso le Regionali e la voce di Pavarotti, ma Blaine aveva ragione: loro si erano trovati e sì, era decisamente meglio di un trofeo destinato a prendere polvere su una delle mensole già piene nella sala canto della Dalton.
Ancora non era riuscito ad abituarsi al modo in cui Blaine lo guardava, gli occhi dai mille colori che lo fissavano con un’intensità tale da togliergli l’aria dai polmoni e fargli girare la testa. Quando lo guardava – e succedeva spesso – Kurt doveva faticare per ricordare al cervello come funzionasse quella faccenda del respirare, ma era nulla in confronto alla libertà che provava nel poter finalmente ricambiare quello sguardo con uno altrettanto carico di felicità e di amore, senza la paura che Blaine si allontanasse. Anzi, in più di un’occasione era successo l’esatto contrario ed era più di quanto avesse mai osato immaginare. Non aveva mai pensato che un giorno si sarebbero ritrovati insieme a fare lunghe passeggiate nel cortile con le spalle che si sfioravano ad ogni passo, a passare le serate e i pomeriggi l’uno nella camera dell’altro, a parlare abbracciati e a baciarsi, o a provare con gli Warblers, a cantarsi canzoni, a dedicarsi testi e a duettare. In quei momenti in cui Kurt e Blaine si prendevano per mano e si guardavano negli occhi, incuranti dei ragazzi che li osservavano adoranti, esistevano solo loro due e la musica.
No, Kurt non si sarebbe mai abituato al calore confortante della mano di Blaine nella sua, le dita che gli accarezzavano distrattamente il dorso, tracciando cerchi imperfetti con il pollice; né si sarebbe abituato alla stretta allo stomaco che provava ogni volta che si baciavano, ed era qualcosa che accadeva più spesso di quanto entrambi fossero disposti ad ammettere.
Una parte di Kurt non voleva affatto abituarsi a tutto quello. Non voleva rendere i gesti di Blaine e i suoi sentimenti qualcosa di scontato o di prevedibile, preferiva stupirsi ogni volta come fosse stata la prima. Ed era così: ogni sguardo del ragazzo, ogni bacio sulla guancia o sulle labbra, ogni abbraccio e carezza, ogni volta che le loro dita si intrecciavano erano di una spontaneità tale che Kurt non poteva fare a meno che rimanerne sorpreso e desiderare che quei momenti non finissero mai, che potessero rimanere uniti per sempre. Era come se i loro corpi fossero due poli opposti di una calamita: eternamente attratti l’uno dall’altro, completamente incapaci di dividersi. Ogni pretesto era buono per sfiorarsi, per rassicurarsi della presenza dell’altro accanto a sé. Ogni istante che passavano da soli era prezioso, ma non era mai abbastanza: un bacio durava troppo poco, una singola carezza passava come brezza sulla pelle. Anche se Kurt sapeva che la Dalton non era il McKinley e che gli Warblers erano totalmente diversi dai giocatori di football, ricordava fin troppo bene la paura che lo aveva attanagliato negli ultimi mesi al suo vecchio liceo, portava ancora i lividi sulla schiena per tutte le volte che Karofsky lo aveva spinto contro un armadietto e gli occhi gli bruciavano ancora per le granitate che gli avevano tirato in quei due anni. Non voleva assolutamente rivivere quelle esperienze, né tantomeno voleva farle rivivere a Blaine, costringerlo a scappare di nuovo, a lasciare i suoi amici un’altra volta.
Doveva però ammettere che più di una volta gli era capitato di immaginare come sarebbe stato camminare con lui, mano nella mano, per i corridoi del McKinley, salutare Brittany e Artie che parlavano vicino gli armadietti e dirigersi verso l’aula canto. Proprio come avevano fatto quella sera, alla Notte dei Negletti, in cui lo aveva visto aggirarsi per la scuola, la sua scuola, con una spontaneità e naturalezza tali che non aveva potuto fare a meno di seguirlo con lo sguardo in ogni suo gesto e di concedersi ad un sogno ad occhi aperti in cui loro potevano davvero essere felici insieme, a Lima. Poi, quando era arrivato Karofsky e la magia era finita, Kurt aveva capito che non poteva permettere che Blaine corresse il suo stesso pericolo di essere picchiato e insultato ogni giorno, non finché David e le persone come lui fossero rimaste in quella scuola.
La Dalton, per loro fortuna, era un ambiente completamente diverso con persone totalmente diverse che trattavano tutti esattamente allo stesso modo, dove Kurt poteva permettersi di stringere la mano di Blaine mentre andavano insieme alle prove e persino di scambiarsi un bacio a fior di labbra mentre studiavano con gli Warblers senza che questi li giudicassero. Anzi, il più delle volte i ragazzi li tormentavano con commenti e risatine, ma entrambi sapevano che erano contenti per loro – forse anche troppo contenti.
Kurt e Blaine erano soli nella stanza del moro e non riuscivano a staccare gli occhi dal pavimento.
Quando Kurt era entrato, aveva trovato il fidanzato – gli faceva ancora un certo effetto chiamarlo così e non poteva mai impedirsi di sorridere – chino sul tappeto, intento a rigirarsi tra le dita un oggettino circolare di plastica colorata.
«Blaine, va tutto bene?» doveva ammettere che la situazione all’inizio gli era sembrata strana ma quando si era avvicinato e il ragazzo gli aveva mostrato quello che aveva tra le mani, anche lui si era seduto e aveva continuato a fissarlo con aria confusa. Intorno a loro quegli oggetti li circondavano a centinaia.
«Quelli siamo noi, vero?» la domanda di Blaine era superflua ma Kurt aveva annuito in risposta, incapace tanto di parlare quanto di capire. Prese in mano anche lui uno di quegli oggetti e se lo rigirò tra le dita: una spilletta leggera e piccola, colorata sul davanti, con una foto – sicuramente scattata di nascosto – ed una scritta a caratteri un po’ troppo grandi che sembrava urlargli contro in una lingua che non conosceva.
«“Klaine”» lesse Kurt, affatto sicuro della pronuncia.
«Sembra il nome di un Paese in Europa»* commentò Blaine, «secondo te cosa vuol dire?» si rigirò ancora la spilletta tra le dita, osservandola, come se così facendo avesse potuto capirci di più di quella strana situazione.
Se l’era chiesto anche Kurt, cosa significasse quella bizzarra parola, ma non appena fece per pronunciare il nome del ragazzo, capì.
«Oh, Santa Chanel!» esclamò quindi, portandosi una mano sulla fronte sinceramente sconvolto.
«Cosa?» chiese l’altro allarmato e confuso.
«Blaine, pensaci. Non ti dice nulla questa parola?» ma la faccia del ragazzo fu una risposta più che sufficiente.
«È l’unione dei nostri nomi! K – Laine, come Kurt e Blaine! È da pazzi, semplicemente da pazzi» ormai Kurt stava urlando, leggermente scosso da quella rivelazione.
«Non è così grave» commentò Blaine con un’alzata di spalle, la spilletta ancora stretta tra le dita.
«Non è così grave? Questi pazzi ci hanno scattato foto di nascosto e li hanno usati per creare centinaia di spillette con i nostri nomi sopra. Tu come li chiami?»
Kurt era così sconvolto che aveva dovuto tirarsi in piedi e aveva iniziato a percorrere la stanza a grandi falcate e a scuotere la testa con aria di disapprovazione.
«Però sembriamo davvero felici…» commentò Blaine e allora Kurt tornò a sedersi, concentrandosi sulla foto che uno degli Warblers – poteva scommettere tutti i suoi numeri di Vogue che si trattava di Nick – aveva scelto: li ritraeva di spalle mentre camminavano per il cortile della Dalton, si tenevano per mano, le dita intrecciate, e stavano ridendo di qualcosa che uno dei due aveva detto. Kurt non ricordava nemmeno che giorno fosse, né quale fosse l’argomento di tanta gioia, ma per la prima volta si rese conto di come appariva il suo volto quando guardava Blaine: nel corso degli anni, lo specchio gli aveva sempre restituito un riflesso sbiadito di se stesso che lui aveva tentato di colorare con abiti ed accessori; per la prima volta, vedeva un’immagine di sé che gridava gioia, felicità ed amore. Per la prima volta, capì cosa volesse dire essere innamorati, e sapeva perfettamente come ci si sentiva nel guardare qualcuno in quel modo e venir ricambiati con lo stesso sguardo, carico degli stessi fortissimi sentimenti.
«No» disse Kurt, dando un bacio sulla guancia di Blaine e poggiandosi alla sua spalla mentre continuava a guardare la spilla, «noi siamo felici, non lo sembriamo soltanto».
Il moro girò la testa verso di lui, gli occhi cangianti illuminati dal sorriso che gli stava rivolgendo e che venne subito ricoperto dalle labbra di Kurt. Ed eccolo di nuovo, quel pugno che stringeva lo stomaco in una morsa strettissima, intenzionato a tutti i costi di non lasciarlo andare, quella stretta a cui non si sarebbe mai abituato e mai avrebbe voluto abituarsi.
Aveva appena portato una mano ad accarezzare la guancia di Blaine, il cui braccio si era spostato a cingergli la vita, quando sentirono la porta della stanza spalancarsi e un click! decisamente fuori luogo.
Kurt, non sapeva nemmeno lui con quale forza di volontà, si separò dal ragazzo, si alzò in piedi e lanciò uno dei suoi peggiori sguardi arrabbiati al gruppo di ragazzi che aveva davanti.
«Credo che siamo nei guai» commentò Jon cercando di togliere dal bordino della giacca la spilletta incriminata.
«Possiamo spiegare tutto, non è come pensate!» ma Nick, la macchinetta fotografica ancora accesa tra le mani, non aveva fatto in tempo a finire la frase che Kurt era già nei corridoi della scuola a corrergli dietro, cercando in tutti i modi di strappargliela di mano. Mentre sentiva il fiato mancargli, si chiese quante altre foto avessero di loro due in quella macchina e quali momenti avessero immortalato. Con le guance che gli diventavano rosse un po’ per la corsa e un po’ per l’imbarazzo, Kurt si disse che l’avrebbe scoperto presto e che gli Warblers, quella volta, non l’avrebbero di certo passata liscia.




ANGOLO AUTRICE: 
Abbiamo il capitolo! 
Mi dispiace tantissimo di averci messo così tanto a scrivere un capitolo che non è nemmeno poi così lungo (appena tre pagine di Word), ma non avevo affatto idee e non mi venivano le parole: insomma, il classico blocco dello scrittore. But here we are, face to face, with a new chapter!
Gli Warblers che fangirlano ci stavano troppo e sono i miei Warblers preferiti; mi dispiacerà tantissimo dirgli addio tra qualche capitolo, sincerely.
But I hope you're enjoying this story e che, se vi va, di farmi sapere cosa ne pensate. 
Al prossimo capitolo!!
*Sì, è una citazione di Darren e Chris.


 

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Capitolo 10
*** CHAPTER TEN: A kiss on the nose means Laughter ***


A Blaine mancava Kurt, non poteva negarlo.
Seduto alla scrivania, mentre cercava di memorizzare tutte quelle formule e dimostrazioni di Algebra, Blaine non riusciva a non pensare ad altro.
Niente era più lo stesso: non lo erano le lezioni, senza di lui che gli sussurrava cattiverie sull’outfit della professoressa di turno; non lo erano le prove con gli Warblers, diventate più silenziose senza la sua voce squillante e la sua mano sempre alzata per dare suggerimenti, o i suoi occhi che lo seguivano sorridendo mentre cantava. Gli mancavano le colazioni al Lima Bean, i pomeriggi trascorsi a studiare e a tenersi per mano sotto il tavolo e le serate passate a vedere musical o a sfogliare i nuovi numeri di Vogue.
Blaine sapeva che ora che era tornato al McKinley dai suoi amici era più felice, soprattutto considerato che la faccenda di Karofski sembrava essersi risolta, ma lui non poteva fare a meno di sentirsi uno straccio. Si era così abituato all’idea di avere il ragazzo sempre accanto a sé, che non aveva mai davvero riflettuto sul fatto che un giorno sarebbero stati costretti a separarsi. Tutto era cambiato da quando Kurt era apparso nella sua vita, su quelle scale che percorreva ogni giorno, migliorandogliela e sconvolgendogliela. Poi era tornato tutto come era prima di conoscerlo, solo con la consapevolezza che Kurt c’era, anche se si trovava ad un centinaio di chilometri da lui, e ci sarebbe sempre stato.
Finché non finisce il liceo, pensò Blaine, perché Kurt gli aveva parlato dei suoi piani per il futuro, sapeva perfettamente cosa avrebbe fatto una volta diplomato, ed era così ovvio che quando avevano avuto quella conversazione, Blaine si era stupito di non averlo pensato prima. New York era la sua meta, ovviamente. La città di Broadway, dei Tony Awards, del Met Gala e della Julliard, la scuola in cui aveva deciso avrebbe proseguito i suoi studi. E Blaine? Kurt gli aveva detto che avrebbe potuto seguirlo nella Grande Mela, una volta finito il liceo, e lui gli aveva detto di sì immediatamente, senza pensarci un istante di troppo.
Ora che Kurt si era trasferito, aveva capito quanto la sua presenza era diventata fondamentale nella sua vita, ed era sempre più convinto di quella risposta.
Blaine passò le dita tra i capelli ingellati e chiuse il libro di Algebra. Non gli interessava dell’esame del giorno dopo, in quel momento voleva solo stare con Kurt.
Prese il telefono e si spostò sul suo letto, decisamente più comodo della scrivania su cui stava studiando. Avrebbe voluto chiamarlo, sentire la sua voce anche se distorta dal gracchiare metallico del telefono, ma che era sempre meglio di quel silenzio in cui gli sembrava di star soffocando. E stava per farlo se il cellulare non avesse iniziato a vibrare, segnalando l’arrivo di un messaggio. Quando lesse il nome del mittente, il cuore di Blaine iniziò a battere più forte e con il sorriso più ampio di cui fosse capace, aprì la casella dei messaggi.
Non hai idea di cosa abbiamo appena provato con il Glee!
Faremo Lady Gaga, Blaine. Di nuovo! Riesci a crederci?
Ho una cosa da mostrarti, sei libero questo weekend?

 
Mentre leggeva il messaggio, Blaine poteva quasi immaginarselo accanto a lui, con un sorriso enorme e gli occhi che gli brillavano, battere le mani e parlare di quanto fosse eccitato all’idea di dover cantare di nuovo una canzone della sua artista preferita. Riusciva quasi a sentire la sua voce salire di un’ottava man mano che parlava, per poi riprendere fiato e chiedergli, con una voce più calma, di potersi vedere.
Cero! Vengo a prenderti per fare colazione.
Non vedo l’ora di rivederti

 
Stava per aggiungere altre tre parole, ma non lo fece e inviò il messaggio così come era.
Ci pensò Kurt a scrivergliele e a spedirgliele, facendo battere il cuore di Blaine ancora più velocemente e rendendolo triste e felice assieme.
Mi manchi tanto…
 
Si prese ancora un istante per leggerle e rileggerle, per immaginare la voce di Kurt sussurrargliele, come se avesse il timore di aver detto troppo, e all’improvviso era come riaverlo lì accanto a lui.
Mi manchi tanto anche tu <3
 
Gli rispose, stringendo il telefono al petto in attesa di una sua risposta. Mancavano solo due giorni al sabato, due giorni interi di astinenza prima della sua dose settimanale di Kurt Hummel.
Mentre guardava lo sfondo del suo cellulare – una foto di quelle che gli avevano scattato gli Warblers di nascosto – decise di non voler pensare a cosa sarebbe successo una volta che Kurt avrebbe finito il liceo, o a quanto sarebbero stati distanti l’uno dall’altro, voleva solo concentrarsi su quello che sarebbe sicuramente successo quel weekend: avrebbe riavuto Kurt tutto per sé, seppur per poco.
Chiuse gli occhi e, mentre immaginava di stringerlo tra le braccia, mentre sognava di baciarlo di nuovo, Blaine si addormentò col sorriso sulle labbra per la prima volta in quella settimana.

Quel sabato mattina Blaine si era svegliato troppo presto e l’unico motivo per il quale non si era ancora addormentato al volante erano due occhi azzurri che lo guardavano dal lato del passeggero. Alla radio stavano passando If You Say My Eyes Are Beautiful di Whitney Houston e Jermaine Jackson e, non appena i cantanti avevano intonato le prime note, Kurt e Blaine l’avevano seguiti a ruota, alternandosi nelle strofe e creando un duetto degno di quel nome.
A Blaine sarebbe piaciuto girarsi a guardarlo mentre gli cantava il ritornello, perdersi nella sua voce e nei suoi occhi, ma la strada quella mattina era particolarmente trafficata e, se volevano evitare incidenti, avrebbe fatto meglio ad accontentarsi di sorridere e di lanciargli solo qualche fugace occhiata di sfuggita.
Gli era mancata la sensazione di avere il suo sguardo su di sé, così come gli era mancato il suono limpido della sua voce quando prendeva una nota particolarmente alta, o la morbidezza delle dita che si intrecciavano alle sue ogni volta che si fermavano e Blaine toglieva la mano dal volante. In quelle brevi occasioni, Kurt poggiava la testa sulla sua spalla, assumendo una posizione che non doveva essere delle più comode, e chiudeva gli occhi mentre canticchiava sottovoce le parole della canzone e gli lasciava qualche bacio leggero sulla mascella, rendendo Blaine più felice di quanto non lo fosse stato da quando aveva lasciato il cortile del McKinley con l’aria più melanconica di cui fosse capace.
Il Breadstick’s non era lontano dalla casa degli Hummel, e a Blaine quasi dispiaceva dover interrompere quel viaggio in auto.
Fermata la macchina nel parcheggio, Kurt stava per scendere, parlando di quale cheesecake avrebbe poi ordinato e lamentandosi del servizio lento del ristorante, quando Blaine lo tirò per la manica della giacca elegante che aveva scelto per l’occasione, facendolo ricadere sul sedile del passeggero, e lo attirò a sé per un bacio. Ecco cosa gli era mancato di più in quella settimana: le labbra morbide di Kurt sulle sue, la mano di lui sulla sua guancia e quella sensazione di essere finalmente completo, di sentirsi giusto.
«Mi sei mancato» gli disse Blaine e gli sorrise.
«Anche tu» rispose l’altro, poi il moro gli prese il volto tra le mani e gli lasciò un piccolo bacio sul naso leggermente all’insù. Kurt rise come faceva sempre lui, con un suono soffocato e chiudendo gli occhi, ma senza allontanarsi di un centimetro dal volto di Blaine. Gli era mancata la semplicità della loro felicità, tenerlo per mano intrecciando le dita alle sue, guardarlo negli occhi, sorridergli e vederlo sorridere a sua volta. E, lo sapeva, sarebbe tornato a mancargli lunedì, quando sarebbe andato a lezione senza di lui, poi alle prove con gli Warblers e in caffetteria.
«A che pensi?» gli chiese Kurt baciandogli il dorso della mano ancora stretta tra le sue dita, e il cuore di Blaine perse un battito.
«A niente» disse e lasciò una carezza sulla guancia di Kurt, chiedendosi se quegli zigomi fossero già così pronunciati una settimana prima.
«Cosa dovevi mostrarmi?» gli chiese invece, ed era la domanda giusta perché gli occhi del suo fidanzato si illuminarono per l’entusiasmo.
«Guarda» disse e scese dall’auto, lasciando aperto lo sportello. Si sbottonò la giacca velocemente, la tolse, poggiandola accuratamente sul sedile del passeggero, e indicò la t-shirt che stava indossando. Conosceva Kurt da più di sei mesi oramai e, in tutto quel tempo, non lo aveva mai visto mettere una semplicissima maglietta, tantomeno una con uno slogan! Solo quando lesse cosa c’era scritto Blaine capì perché aveva deciso di mostrargliela.
«Born this way!» urlò infatti Kurt, confermando la sua teoria.
«LIKES BOYS» lesse Blaine ad alta voce e sorrise. «Mi piace»
«Oh, non è finita qui. Ne ho fatta una anche per te» Kurt rientrò in auto e prese la bustina anonima che aveva poggiato sul sedile posteriore non appena era salito in macchina. Quando l’aveva notata, Blaine aveva provato a chiedergli cosa contenesse, ma il ragazzo lo aveva zittito con un bacio e gli aveva intimato di partire perché aveva fame, e lui aveva eseguito perché sapeva cosa succedeva quando Kurt era affamato.
«La prima idea era quella di scriverci HOBBIT» al ché Blaine rispose con una faccia a metà tra il contrariato e il divertito. «Ma poi ho pensato che c’è una parte di te che nemmeno io conosco ed ho avuto l’illuminazione, quindi eccola qua».
Kurt gli diede la bustina, al cui interno Blaine trovò un involucro di stoffa bianca ben piegata. La tirò fuori e la aprì: a caratteri neri – e anche piuttosto grandi –, per tutta la larghezza del busto, c’era scritto CURLY HAIR. Blaine non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere.
«Ti piace?» gli chiese Kurt, non sapendo come interpretare la sua reazione.
Per tutta risposta, Blaine scese dall’auto e indossò la t-shirt direttamente sopra la polo, poi fece il giro della macchina fino ad arrivare di fronte a Kurt, gli prese il volto tra le mani e lo baciò, le labbra di entrambi distese in un sorriso.
«Lo prendo per un sì, allora» commentò Kurt senza fiato, sistemandogli il colletto della polo fuori dalla maglietta.
Blaine annuì e torno a baciarlo, pensando che non si sarebbe mai stancato della sensazione che provava ogni volta che le loro labbra si sfioravano.
E forse lunedì sarebbe stato di nuovo triste, forse Kurt gli sarebbe mancato più che mai, ma mente gli prendeva la mano, mentre lo ascoltava parlargli dell’esibizione del numero della settimana e delle magliette degli altri, Blaine decise che avrebbe fatto di tutto per rendere quegli istanti che avrebbero trascorso insieme i più preziosi possibile.



Angolo autrice: I did it!
Lo so, il mio ultimo aggiornamento risale all'Età della Pietra, e mi scuso tantissimo, ma siamo alle porte della sessione estiva, e la maggior parte del mio tempo libero è stata impiegata in ulteriore studio. 
But here we are again!
Il capitolo non è lunghissimo, di per sé, ma solo perché lo sarà il prossimo, quindi tenetevi pronti per fogli di pergamena un po' angst. 
Ho sempre pensato a cosa avrebbe scritto Blaine sulla sua maglietta, e credo che questa risposta sia tra le più popolari. Ecco perché ho deciso di inserire questo tema nel capitolo, per riflettere meglio sulla personalità di Blaine. A differenza di Kurt, non si è mai sentito totalmente a disagio con la consapevolezza di essere gay. Certo, ha avuto i suoi momenti di dubbi, ma poi ha compreso che era ciò che era, e che gli è sempre andata bene, nonostante anche ciò che ha passato. Per quanto riguarda la sua altezza, non credo sia stata qualcosa che abbia inciso particolarmente sul suo carattere o sulla sua formazione. Invece, la lotta contro i suoi capelli riccissimi è stata protagonista di diversi dialoghi, primo fra tutti durante il Promosaurus. And so... 
Dopo questo poema più lungo del capitolo stesso, vi lascio con la promessa di aggiornare il prima possibile, dato che il capitolo 11 è in stesura. 
A presto!

P. S. Happy Pride Month, everybody!

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Capitolo 11
*** CHAPTER ELEVEN: A kiss on the ear means You Are Special ***


Quando Kurt lo aveva invitato a cena al Breadsticks, Blaine aveva immaginato che volesse semplicemente rivederlo. Poi gli aveva stretto le mani e lo aveva guardato in quel modo, come se in lui vedesse il suo intero universo, con gli occhi accesi di entusiasmo e le labbra distese in un sorriso. Gli aveva fatto quella domanda, con la voce un po’ tremula e speranzosa, e a Blaine era caduto il mondo addosso. All’improvviso, il vociare continuo che li circondava si era trasformato negli insulti di quei ragazzi, nelle grida sommesse del suo amico e nei suoi stessi singulti trattenuti. Le mani morbide e gentili che stringevano le sue erano diventate pugni e calci ben assestati, dati per fare male, per ferire, per denigrare. 
Una stretta che doveva essere piena di preoccupazione di Kurt gli aveva fatto portare la mano al volto. Blaine aveva chiuso gli occhi un istante dietro il palmo. Non voleva piangere, non davanti a Kurt.
«Il Prom…» aveva detto con la voce ridotta ad un sussurro.
«Cosa non va nel Prom, Blaine?» il tono di Kurt era a metà tra il preoccupato e il deluso. Meritava una spiegazione, però. E gliel’aveva data, con gli occhi che un po’ gli bruciavano per le lacrime trattenute e il tono di chi sta raccontando un evento qualunque che gli era capitato durante la giornata, e non l’episodio che gli aveva cambiato la vita in tutti i modi possibili.
Mentre Blaine raccontava, i particolati gli erano tornati alla mente: il parcheggio illuminato dai fari delle auto accese, i ragazzi appostati contro gli alberi o nei sedili posteriori intenti a baciarsi, la voce del suo amico che ancora non riusciva a credere a quale meravigliosa serata avessero vissuto, la musica sparata ancora a tutto volume nonostante non fosse rimasto quasi nessuno, e poi quella voce che pronunciava quella parola. Blaine ricordava che, non appena l’aveva sentita, aveva avvertito il sangue gelarsi nelle vene e una morsa stringergli il petto. Aveva avuto paura e aveva quasi iniziato a pregare che il padre del suo amico si fosse sbrigato ad arrivare. Ma era stato inutile. Erano tanti, troppi per due ragazzi mingherlini, e i pugni e i calci troppo forti per non mettersi ad urlare e a piangere. Poi c’era stato l’ospedale, i genitori e Cooper che lo avevano guardato preoccupati mentre si riprendeva, i lividi che lentamente erano spariti dal volto e dal costato. Ma c’erano cicatrici che sarebbero rimaste per sempre e il ricordo di quella terribile notte era tra queste.
Per tutto quel tempo, Kurt lo aveva guardato con la stessa preoccupazione che aveva visto negli occhi della sua famiglia, e Blaine si era sentito in dovere di tranquillizzarlo, facendogli capire che quello che era successo non lo rendeva meno orgoglioso del suo coming out, e il volto di Kurt aveva assunto un’aria che avrebbe detto quasi cospiratoria.
«È perfetto» aveva detto infatti e Blaine aveva aggrottato le sopracciglia, giusto un goccio preoccupato per ciò che il suo fidanzato poteva avere in mente.
«Non sei riuscito ad affrontare i bulli alla tua scuola, ma puoi farlo alla mia. Possiamo farlo insieme!» aveva continuato, sempre con quell’espressione da furbetto che stava facendo girare la testa a Blaine.
«Ma ci tengo a precisare che se la cosa ti mette a disagio, allora possiamo anche lasciar perdere il ballo. Magari andiamo al cinema» ed ecco che era tornato serio di nuovo e, di nuovo, lo aveva guardato in quel modo, con un misto di tenerezza e dolcezza, e Blaine proprio non sapeva come avesse fatto a trattenersi dall’alzarsi in piedi e dal baciarlo lì, davanti a tutti.
«Sono pazzo di te» gli aveva detto invece e l’entusiasmo di poco prima era tornato negli occhi di Kurt, illuminandolo come una stella illumina il cielo.

Quando Kurt aveva deciso di invitare Blaine al Prom organizzato dal McKinley, si era immaginato che lo avrebbe guardato con gli occhi cangianti lucidi di sorpresa mista a felicità, che avrebbe accettato, annuendo semplicemente perché le labbra erano troppo impegnate a sorridergli per poter emettere anche solo un suono più o meno articolato. Si era immaginato la loro entrata nella palestra del liceo, abbastanza vicini per sentire la presenza dell’altro ma non troppo da toccarsi; aveva visto, sul nero delle palpebre chiuse, Quinn e Finn andare loro incontro, salutarli e, probabilmente, fare di tutto per assicurarsi il loro voto come Re e Reginetta. Poi sarebbe stata la volta di Mercedes, che avrebbe apprezzato l’outfit di Kurt e salutato Blaine con un sorriso. Aveva immaginato la musica, la band che alternava lenti a brani da discoteca, le mani di Blaine che lo stringevano a lui, i suoi capelli rigorosamente pieni di gel che gli solleticavano il mento mentre poggiava la testa sulla sua spalla e ballavano sulle note di un classico degli anni Ottanta.
Aveva immaginato questo e tanto altro nei giorni che avevano preceduto il Prom, ma quello che Kurt stava in realtà vivendo in quel momento era ben lontano da ogni sua più rosea aspettativa.
Quello che stava vivendo non poteva essere la realtà.
Era un incubo e, in quel momento, Kurt non riusciva a trovare un modo per risvegliarsi.
Perché il nome che era uscito dalle labbra del preside Figgins, quello che era scritto sulla busta che conteneva l’identità della Reginetta del McKinley, non era il nome di Lauren Zizes o di Quinn Febray, né quello di nessun’altra ragazza. Il nome e il cognome che il preside aveva pronunciato davanti al microfono, con la voce insicura e un po’ tremante, era il suo. Kurt Hummel era la Reginetta del ballo.
Non appena lo aveva sentito, non appena aveva riconosciuto quelle tre sillabe che lo componevano, con l’acca aspirata all’inizio del cognome e la r del nome che si confondeva tra la vocale e la T, Kurt aveva deciso che l’unica cosa che poteva fare era scappare. Lui, che non si era mai tirato indietro, che aveva affrontato a muso duro le minacce e le spinte, che non si era mai lasciato intimorire da un volo in un cassonetto, aveva deciso che non c’era nient’altro da fare che uscire da quel luogo gremito di persone che credeva suoi amici, compagni di scuola, insegnanti.
Come aveva potuto illudersi che li avrebbero semplicemente ignorati, loro che non si lasciavano sfuggire alcuna occasione pur di sminuire e ferire qualcuno?
Mentre correva per i corridoi quasi vuoti del suo liceo, si accorse che i passi che rimbombavano non erano solo i suoi. Qualcuno lo stava seguendo, qualcuno che lo stava chiamando con una voce che avrebbe riconosciuto tra mille e che gli chiedeva di fermarsi.
«Non mi sono mai sentito così umiliato» urlò Kurt quando Blaine fu davanti a lui, con in volto l’espressione più ferita che gli avesse mai visto.
«Siamo stati così stupidi!» lacrime calde iniziarono a cadere e Kurt non fece nulla per fermarle, non ne aveva la forza. «Abbiamo pensato che, dato che non ci stavano prendendo in giro o non ci stavano picchiando, allora voleva dire che non interessava a nessuno, come se ci fosse stato chissà quale tipo di progresso. Ma non è cambiato niente» Kurt si passò una mano sul volto, tentando di asciugare quelle lacrime che non volevano saperne di smettere di scendere.
«È stato solo uno stupido scherzo» disse Blaine e forse, per chi lo aveva fatto, lo era stato davvero: uno scherzo per divertirsi ancora una volta alle spalle della sofferenza e dell’umiliazione di qualcun altro.
«No, non lo è. Tutto quell’odio… Avevano solo paura di esprimerlo a voce, e così hanno usato il voto segreto. Sono diventato lo zimbello della scuola» le lacrime ripresero a scendere ancora più copiose di prima, e di nuovo Kurt non fece nulla per fermarle, non ne aveva la forza. Il solo pensiero di dover tornare nella palestra, di dover affrontare tutte quelle persone, lo paralizzava.
Blaine intanto si era seduto sul pavimento del McKinley, la schiena poggiata contro gli armadietti, e lo guardava.
«Non vorresti almeno sederti?» gli chiese, con quegli occhi cangianti e tristi fissi su di lui. Kurt smise di camminare avanti e indietro per il corridoio – non si era nemmeno accorto di averlo fatto per tutto quel tempo – e restituì lo sguardo al suo fidanzato. Nei suoi occhi arrossati, c’erano più lacrime ma rabbia; non per quanto era successo, o almeno non solo, ma anche per Blaine, a cui avrebbe voluto regalare un Prom degno di quel nome, per sostituire quella triste e terribile esperienza dell’anno prima.
«Questo ballo non doveva essere una sorta di redenzione?» sbottò quindi, «Non doveva toglierti quel groppo in gola che hai da quando hai lasciato il tuo vecchio liceo?» Blaine abbassò lo sguardo un istante, per poi rialzarlo su di lui, e fu ciò che servì a Kurt per continuare a parlare.
«Se ce ne andiamo, anche io vivrò con quel groppo in gola» ormai nella sua voce non c’era più alcuna traccia di debolezza e della tristezza che lo avevano assalito fino a poco prima, ma una nuova forma di determinazione.
«Quindi cosa vuoi fare?» chiese Blaine, ma la risposta la sapeva già, la sapevano entrambi.
«Tornerò in palestra e mi farò incoronare. Mostrerò loro che non mi importa se mi urleranno contro o sussurreranno alle mie spalle, non possono toccarmi» Kurt si inginocchiò davanti a Blaine, infischiandone dello sporco che si sarebbe trasferito sui suoi leggins, e lo guardò negli occhi con una sicurezza che non pensava di avere. «Loro non possono toccare noi o ciò che abbiamo». Vide Blaine sorridergli e fu l’ultima cosa di cui aveva bisogno. Il ragazzo gli passò un fazzolettino e Kurt si soffiò il naso, asciugandosi con forza le lacrime. Blaine, nel frattempo, si era alzato e gli stava tendendo una mano.
«Sei pronto?» gli chiese, e Kurt, per tutta risposta, accettò il suo aiuto e si alzò in piedi. Intrecciò le dita a quelle del suo fidanzato e, insieme, si diressero verso la palestra.
Davanti le porte chiuse, Kurt lasciò la mano di Blaine e prese un profondo respiro lì doveva continuare da solo e vincere quella guerra che lo stava distruggendo da anni.
Aprì le porte della palestra ed entrò.

Blaine osservò Kurt farsi largo tra la folla. Lo vide salire sul palco, indossare la coroncina e stringere tra le mani quel ridicolo scettro. Sentì la sua voce, fiera come non mai, fare una battuta su Kate Middleton e l’applauso degli studenti – gli stessi studenti che l’avevano messo su quel palco e che erano stati la causa delle sue lacrime.
Vide Karofski indietreggiare, rifiutando il ballo con Kurt, e con questa l’unica occasione che avrebbe avuto quella sera di essere se stesso; vide il suo fidanzato, solo al centro della pista, che si guardava intorno smarrito, e non Blaine proprio non poté impedirsi di fare quel passo avanti e di fargli quella domanda.
«Posso avere questo ballo?» e il sorriso che apparve sul volto del ragazzo fu una risposta più sufficiente del suo “sì” sussurrato.
Finalmente, poté stringere Kurt tra le braccia, lo scettro tra le loro dita intrecciate, come se fosse un premio per il coraggio di entrambi: coraggio di essere lì, coraggio di esporsi, coraggio di essere se stessi senza il timore di essere giudicati.
Mentre Santana e Mercedes intonavano Dancing Queen degli ABBA, Blaine si sentì felice e orgoglioso insieme. Avvicinò le labbra all’orecchio di Kurt e gli lasciò un dolce bacio leggero sul lobo, un bacio solo loro, che nessun altro avrebbe visto.
«Sei una persona speciale, Kurt Hummel» sussurrò e poggiando la guancia accanto alla sua, la sentì riscaldarsi e tendersi in un sorriso.
Fu in quel momento, con il suo fidanzato tra le braccia e il significato di ciò che aveva fatto ancora nell’aria, che Blaine lo capì. Non fu una rivelazione o una scoperta, piuttosto si sentì come se avesse appena messo a fuoco qualcosa che aveva avuto troppo sotto gli occhi per vederlo chiaramente.
Perché a Blaine non piaceva solamente Kurt, non era solo pazzo di lui, ne era follemente, perdutamente innamorato.

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Capitolo 12
*** CHAPTER TWELVE: A nibble on the ear means Warming Up ***


«No, voglio andare a casa tua».
A Blaine sembrò che la voce di Kurt, anche se amplificata dall’Auditorium vuoto, non fosse stata altro che un sussurro, come un segreto rivelato all’orecchio, arrivando persino a dubitare di aver sentito bene, o di aver compreso il vero significato che si celava dietro quelle poche parole. Eppure, gli occhi azzurri del suo fidanzato sembravano dire esattamente quello che lui sperava di aver sentito: erano fermi, fissi nei suoi e lo guardavano con amore, sicurezza e totale fiducia. Il sorriso che era spuntato sulle sue labbra però, si ritrovò a pensare Blaine mentre le fissava, desideroso di tornare a baciarle, tradiva un tremore che, con tutto il tempo che avevano passato insieme, aveva imparato ad attribuire al nervosismo. Era lo stesso sorriso che Kurt gli aveva rivolto prima di cantare insieme alle Regionali dello scorso anno e lo stesso che gli aveva visto fare poco prima di baciarlo per la prima volta.
Quel nervosismo nel suo sorriso fu la conferma di cui Blaine aveva bisogno.
«Okay» rispose semplicemente e gli prese di nuovo la mano, intrecciando le loro dita. Mentre si dirigevano verso il parcheggio, in religioso silenzio, a Blaine tornò in mente un’altra sera, con un’altra macchina ed un altro parcheggio.
Allo Scandal si era comportato così male con Kurt che aveva temuto non avrebbe voluto rivolgergli più la parola. Quei giorni che avevano passato senza parlarsi erano stati un inferno per entrambi: Blaine ricordava cosa volesse dire sentire la mancanza di Kurt, non avere la possibilità di baciarlo, di sentire la sua voce o anche solo di guardarlo negli occhi, e di certo non voleva rivivere l’esperienza.
Salirono in auto, la mano di Blaine sulla chiave, pronta a mettere in moto e partire. Si girò a guardare Kurt e lo sorprese a fissarlo.
«Sei sicuro?» si sentì chiedere e all’improvviso si rese conto che il suo ragazzo non era l’unico ad essere nervoso. Il pensiero di ciò che stavano per fare faticava a concretizzarsi nella sua mente in un’immagine nitida. Dopo che ne avevano parlato come qualcosa che poteva aspettare, dopo che lo aveva – giustamente – rifiutato allo Scandal, stavano davvero per farlo?
Kurt annuì mentre continuava a guardarlo negli occhi con quella fiducia che gli fece venire le vertigini.
«Solo se lo vuoi anche tu» gli rispose e la sua voce era bassa, quasi roca; a Blaine tornò in mente quel ragazzino imbarazzato che non aveva avuto il coraggio di guardarlo negli occhi dopo aver cantato Animal. In quel momento, in Kurt di lui non c’era più traccia.
«Okay» disse Blaine di nuovo, dandosi poi dell’idiota. Era come se la sua mente non fosse più in grado di articolare frasi più lunghe di due parole, troppo concentrata su quello che sarebbe potuto succedere di lì a poco.
Girò le chiavi nel quadro, mise in moto e partì.

Blaine non ricordava che per andare a casa sua dal McKinley ci si mettesse tutto quel tempo. Da quando c’erano tutti quei semafori, e perché si ostinavano a diventare rossi proprio quando loro stavano per passare?
Le dita di Kurt erano intrecciate alle sue sul cambio e il pollice accarezzava il dorso della sua mano in movimenti circolari che gli provocavano i brividi per tutto il corpo. Controllando che il semaforo fosse ancora rosso, Blaine si girò verso di lui, gli posò una mano alla base della nuca e lo attirò verso di sé per un bacio che divenne qualcosa di totalmente diverso da quanto erano abituati. I denti di Kurt imprigionarono il labbro inferiore di Blaine in un morso che non aveva nulla dell’innocenza che da sempre associava al suo fidanzato, e si ritrovò a mugolare quando sentì i clacson suonare dietro di loro, obbligandoli a separarsi e a rimandare quel bacio di ancora qualche istante.
Quando finalmente parcheggiarono nel vialetto degli Anderson, Kurt e Blaine quasi corsero fino al portone, le chiavi che non volevano saperne di entrare nella toppa, e poi fino alla porta della stanza.
Entrarono in camera.
Blaine accese la luce e ringraziò mentalmente i suoi genitori per essere sempre così assenti.
Kurt era sulla porta e lo guardava, aveva le guance rosse e gli occhi lucidi e Blaine pensò che fosse la cosa più bella della sua vita. Gli si avvicinò, gli mise le mani sui fianchi, stringendo leggermente il gilet, con il timore di sgualcirlo, e strofinò il naso contro quello di Kurt. Sentì il suo respiro affannato mozzarsi quando finalmente lo baciò di nuovo. Le mani di Kurt si unirono dietro il suo collo a sfiorargli i capelli e a tirarlo ancora più vicino.
Se i baci precedenti erano stati calma, dolcezza e amore, questo aveva qualcosa in più: c’era urgenza e qualcosa che, non appena Blaine realizzò cosa fosse, gli fece girare la testa. Perché il modo in cui Kurt aveva iniziato a baciargli il collo, in un punto proprio sotto l’orecchio, e il modo in cui gli mancò il respiro non appena sentì i denti del suo ragazzo sfiorare leggermente il lobo, non poteva che essere sinonimo di una parola che mai avrebbe pensato di attribuire ad una persona come Kurt Hummel: passione.
Si diressero verso il letto di Blaine, si tolsero velocemente scarpe, gilet e maglioncino, e si sdraiarono. Kurt si accoccolò accanto a lui e iniziò ad accarezzare distrattamente la spalla di Blaine, facendogli un leggero solletico quando passava sulla clavicola. Si guardarono negli occhi, in silenzio, per un tempo che parve insieme lunghissimo ed effimero, finché la mano di Blaine, che prima si trovava sul polso di Kurt, non si spostò sulla sua guancia. Passò il pollice sullo zigomo e, quando il suo ragazzo chiuse gli occhi a quella carezza, non resistette oltre e tornò a baciarlo.
E non si resero conto come o quando i vestiti finirono ai piedi del letto, sostituiti da mani inesperte e labbra che si cercavano con necessità.
Alla luce dell'abat-jour, la pelle pallida di Kurt creava un contrasto quasi ipnotizzante con quella olivastra di Blaine, e voleva accarezzarne ogni centimetro. E così fece, lasciando sul petto e sul collo di Kurt decine di macchioline violacee che fecero mugolare il ragazzo sotto di lui - un suono, scoprì Blaine, che lo faceva impazzire e di cui non si sarebbe mai stancato. 
I baci divennero più frenetici e caotici, le mani più affamate e desiderose di toccare, e Blaine, per un momento, ebbe paura: di non essere abbastanza per Kurt, di non essere quello giusto, per la smorfia di dolore che il ragazzo sotto di lui stava tentando di nascondere in un sorriso. Ebbe paura, ma durò solo un istante, finché Kurt, puntellato sui gomiti, con le lacrime che gli rigavano il volto - se per il dolore o per l'intensità delle emozioni che stava provando, nemmeno lui seppe dirglielo -, si protese verso di lui e lo guardò negli occhi. 
«Mi fido di te, rilassati» e lo baciò delicatamente sulle labbra, come lo aveva baciato la prima volta, come lo aveva baciato in Auditorium, e a Blaine bastò. La paura scomparve, lasciando il posto al desiderio di compiere quel passo con il ragazzo che amava. 
E accadde e fu magico, totalmente diverso da come Blaine lo avevo immaginato, in un modo sorprendentemente migliore: fu dolcezza, imbarazzo, ma soprattutto fu amore. 
Prima di addormentarsi, con Kurt stretto tra le braccia, accostò le labbra al suo orecchio e lasciò una scia di baci lungo tutto il collo, fino alla pallida cicatrice che quella sera era stata già bersaglio delle sue attenzioni.
«Ti amo così tanto» gli disse in un sussurro, stringendolo ancora un po' a sé. 
Sentì Kurt girarsi nel suo abbraccio e il suo respiro caldo che gli solleticava la clavicola. Lo vide alzare il volto per strofinare il naso contro il suo e, con un sorriso che gli scaldò il cuore già colmo di gioia, gli disse:
«Ti amo tanto anche io, Blaine Devon Anderson» e chiuse gli occhi, abbandonandosi contro il suo petto.

Quando Blaine si svegliò la mattina dopo, la prima cosa che percepì fu un qualcosa di pesante all'altezza del petto, di una pesantezza piacevole, come un cuscino caldo. Poi sentì le carezze sulla spalla, delicate come piume al punto che pensò fossero frutto della sua immaginazione. Non voleva aprire gli occhi, voleva godere ancora un po' delle sensazioni che stava provando: le gambe di Kurt intrecciate comodamente alle sue, i capelli di lui che gli solleticavano il mento, il suo respiro sul collo.
Quante volte aveva immaginato e sognato di potersi svegliare un giorno, in quella posizione, con Kurt accoccolato stretto a lui, le pelli nude finalmente libere di toccarsi, con un braccio che gli cingeva la vita e la sua testa poggiata sul petto? Infinite, probabilmente, ma la realtà era tutta un'altra storia. Nel momento in cui i ricordi di ciò che era accaduto la notte precedente sfiorarono la mente di Blaine, si sentì sopraffare da un misto di emozioni: c'era la tenerezza, l'amore, la dolcezza e, ovviamente, l'eccitazione. Perché quello che avevano fatto quella notte era stata la cosa più eccitante della sua vita e una non troppo piccola parte di Blaine desiderava tanto che si ripetesse quanto prima. 
Quando Kurt si rannicchiò ancora di più contro di lui, Blaine si costrinse ad aprire gli occhi. Per un primo istante rimase quasi accecato dal tiepido sole invernale che entrava dalle finestre ma, dopo aver sbattuto le palpebre ed aver messo a fuoco, fu grato di essersi svegliato anche solo per l'immagine che gli si presentò: Kurt lo stava guardando, gli occhi all'altezza del mento, e aveva un sorriso intenerito stampato in faccia. Le sue guance, già leggermente arrossate, si colorarono ulteriormente quando notò che lo stava osservando, e fece per allontanarsi da lui, ma Blaine fu più rapido e lo abbracciò più forte, stringendoglisi contro. Non appena sentì Kurt rilassarsi tra le sue braccia, sorrise, poggiando delicatamente il mento sulla sua testa, beandosi della morbidezza dei suoi capelli castani al mattino, quando non erano ancora stati trattati con chili e chili di lacca.
«Buongiorno» sussurrò, chiudendo gli occhi. 
«Buongiorno» gli rispose Kurt, sistemandosi in modo che l'orecchio fosse a stretto contatto con il cuore di Blaine, che in quel momento batteva forte per la felicità. 
«Da quanto sei sveglio?» gli chiese e Kurt si allungò un po' oltre la spalla del suo fidanzato per leggere l'ora; così facendo, i loro corpi entrarono ancora più in contatto e, ora che sapeva cosa si provava, Blaine non era così sicuro di essere in grado di separarsi da lui, né tantomeno di volersi allontanare. 
«Da un po', ma è ancora presto» gli rispose Kurt, riprendendo la posizione precedente, «torniamo a dormire». Le parole però arrivarono poco nitide alle orecchie di Blaine, in parte perché soffocate dal suo petto e in parte perché Kurt, su quella pelle, aveva iniziato a lasciare una serie di baci umidi fino alla mascella, facendo capire che le sue intenzioni erano tutt'altre che rimettersi a dormire fino al suono della sveglia. E mentre lui si sdraiava sul letto e Kurt si spostava sopra di lui, in una posizione più comoda, mentre lo baciava finalmente sulle labbra, Blaine capì che del suo fidanzato non ne avrebbe mai avuto abbastanza, non quando il suo corpo stava sviluppando una dipendenza dalle sue mani morbide e dalle sue labbra piene. 
Quella mattina, quando la sveglia suonò, nessuno di due si prese la briga di metterla a tacere: la lasciarono suonare e loro continuarono ad amarsi ancora un po'.

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