Aspettando Marzo

di MissRosalie42
(/viewuser.php?uid=1091238)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Gelosia ***
Capitolo 2: *** L'ora del tè ***
Capitolo 3: *** Un segreto ***
Capitolo 4: *** Buona Pasqua ***
Capitolo 5: *** Libri e giraffe ***
Capitolo 6: *** Shopping ***
Capitolo 7: *** Doppio giro di birre ***
Capitolo 8: *** Iceberg ***
Capitolo 9: *** Relazioni complicate ***
Capitolo 10: *** Paure ***
Capitolo 11: *** Perdersi tra la folla ***
Capitolo 12: *** Novità ***
Capitolo 13: *** Imboscata ***
Capitolo 14: *** Bene ***
Capitolo 15: *** Chiacchiere tra ragazzi ***
Capitolo 16: *** Messaggi ***
Capitolo 17: *** Cioccolata e confessioni ***
Capitolo 18: *** Uno scopo nella vita ***
Capitolo 19: *** Chiarimenti ***
Capitolo 20: *** Radio Gossip ***
Capitolo 21: *** Messaggi (in)desiderati ***
Capitolo 22: *** Triste realtà ***
Capitolo 23: *** Biscotti ***
Capitolo 24: *** Notte fonda ***
Capitolo 25: *** Decisioni ***
Capitolo 26: *** Non sapere niente ***
Capitolo 27: *** Ragazzi gentili ***
Capitolo 28: *** Aiutare gli amici ***
Capitolo 29: *** Una serata movimentata ***
Capitolo 30: *** Quotidianità ***
Capitolo 31: *** Primo giorno e primo in classifica ***
Capitolo 32: *** Argomenti spinosi ***
Capitolo 33: *** Una nuova prospettiva ***
Capitolo 34: *** Compiti e programmi ***
Capitolo 35: *** Illuminazione ***
Capitolo 36: *** Il ragazzo perfetto ***
Capitolo 37: *** WhatsApp ***
Capitolo 38: *** Zero sentimenti ***
Capitolo 39: *** Appuntamenti ***
Capitolo 40: *** Merende e canzoni ***
Capitolo 41: *** Baci ***
Capitolo 42: *** Messaggi, sorrisi e lacrime ***
Capitolo 43: *** Restare amici ***
Capitolo 44: *** Confessioni ***
Capitolo 45: *** Una sorpresa romantica ***
Capitolo 46: *** Brutte notizie ***
Capitolo 47: *** Paranoie ***
Capitolo 48: *** Partenza ***
Capitolo 49: *** Il ritorno del mago ***
Capitolo 50: *** Un incontro inaspettato ***
Capitolo 51: *** Cuori spezzati ***
Capitolo 52: *** Mancanze ***
Capitolo 53: *** Rinsaldare amicizie ***
Capitolo 54: *** Normalità ***
Capitolo 55: *** Finalmente una gioia ***
Capitolo 56: *** Buon San Valentino ***
Capitolo 57: *** Sincerità ***
Capitolo 58: *** Relazioni e preoccupazioni ***
Capitolo 59: *** Quando le cose vanno male ***
Capitolo 60: *** Andare e restare ***
Capitolo 61: *** Accontentarsi ***
Capitolo 62: *** Amori diversi ***
Capitolo 63: *** Emme ***
Capitolo 64: *** Un team imbattibile ***
Capitolo 65: *** Provocazioni ***
Capitolo 66: *** Il tutorial ***
Capitolo 67: *** Conversazioni tra amici ***
Capitolo 68: *** La verità ***
Capitolo 69: *** Passerà ***
Capitolo 70: *** Non è mai troppo tardi ***
Capitolo 71: *** Sava ***
Capitolo 72: *** Prima dei Contrabbandieri ***
Capitolo 73: *** Dramaaaaaaaaa ***
Capitolo 74: *** Parlarsi ***
Capitolo 75: *** Chiusura ***
Capitolo 76: *** Traguardi ***
Capitolo 77: *** Incantava ***
Capitolo 78: *** Scrivere ***
Capitolo 79: *** Viaggio ***
Capitolo 80: *** Atlantico ***



Capitolo 1
*** Gelosia ***


(Questa fanfic è il seguito della mia fanfic "Another point of view" ma può essere letta anche da sola.
Inizia con la tombolata del 21 dicembre (descrivendo l'ultimo capitolo della mia fanfic precedente da un punto di vista esterno invece che da quello specifico di Elia (ma seguendo comunque quello che succede ad Elia e cambiando qualche cosa per non farvi leggere proprio una copia)) e uscirà un capitolo al giorno fino a marzo (ci proverò) come se fossero delle clip. Infatti spero di pubblicare presto (domani mattina) il famoso tè di Martino con la mamma di Niccolò in modo da mettermi in pari e pubblicare domani sera il capitolo ambientato proprio il 23 dicembre.
Parlerò di tutti i personaggi e cercherò di non inserire cose che potrebbero essere spoiler per chi non ha visto la serie originale norvegese.)

Capitolo uno
Gelosia
21 dicembre


La tombolata era iniziata bene e stava andando avanti benissimo, anche se effettivamente ancora nessuno aveva davvero giocato a tombola, se si escludeva l'estrazione dei Contrabbandieri per decidere chi avrebbe provato a conquistare l'argentina per primo.
Le ragazze erano ancora sedute in cerchio, rovistando in mezzo ad un mucchio di cianfrusaglie nella speranza di trovare qualcos'altro che non fossero matrioske di Putin da mettere in palio per i premi della tombola. Soltanto Eva non c'era, era andata al bagno.
Niccolò era rimasto per fatti suoi in cucina. Si sentiva bene quella sera, per fortuna, però voleva prendersi un momento per sé per mangiare un'altra fetta di panettone e pensare a Martino. Lo aveva un po' spaventato quello che Marti gli aveva detto sull'erba, e anche se aveva tentato di dirlo scherzando, era davvero preoccupato che anche il suo nuovo ragazzo potesse diventare qualcuno che pensasse solo a dirgli cosa poteva e non poteva fare. Forse, però, si stava preoccupando senza motivo. Martino non era così, non era quel tipo di persona, non era come Maddalena. Sequestrargli l'erba era una cosa giusta, che sicuramente avrebbe fatto anche lui a parti invertite. Era il momento di crescere, per tutti e due, non solo per Martino. Per vivere minuto per minuto non bastava l'amore, anche se era fondamentale. Entrambi avrebbero fatto la loro parte, il che significava che Martino sarebbe stato paziente e comprensivo, e lui dal canto suo avrebbe seguito la terapia senza lamentarsi. Prese un'altra fetta di panettone e lanciò un'occhiata fuori dall'angolo cottura. Lì vicino, appoggiato al muro con una spalla, c'era Elia, che non sembrava affatto contento.
Il motivo per cui non era contento era molto semplice: stava osservando Giovanni, intento a flirtare con l'argentina. I due piccioncini erano dall'altra parte della stanza, vicino la porta d'ingresso. Gio sembrava completamente a suo agio, ma Elia lo conosceva bene e riusciva a individuare piccoli segni che tradivano il suo nervosismo, come il modo in cui a volte stringeva brevemente i pugni mentre gesticolava. Dell'argentina invece non sapeva praticamente nulla, se non che fosse la ragazza più bella della scuola, però sembrava trovare piacevole la compagnia di Giovanni, perché sorrideva molto.
"Geloso?"
Quasi alle sue spalle era spuntato un amico di Marti, Filippo, che era anche il fratello di Eleonora. Elia non lo aveva mai incontrato prima di quella sera, ma Martino aveva raccontato a lui e agli altri ragazzi come lo aveva conosciuto e quanto d'aiuto fosse stato per lui. 
Fu preso alla sprovvista, perché era talmente concentrato su Gio e l'argentina da non averlo visto avvicinarsi, addirittura non si era accorto che Filippo lo stava osservando di sottecchi già da un bel po'.
"Cosa?" fece confuso, fissando per un istante i capelli ossigenati dell'altro. Doveva ammettere che erano fighi.
Filippo gli porse la mano. "Non siamo stati ancora presentanti ufficialmente. Filippo" gli disse con un sorriso appena appena accennato.
Elia gli strinse la mano con fermezza. "Elia" si presentò, e anche lui sorrise, ma il suo fu un sorriso pieno, ampio.
"Dicevo..." Filippo lanciò un'occhiata all'altra parte della stanza, indicando brevemente con la testa Giovanni, prima di tornare a fissare i suoi occhi in quelli di Elia. "...la bella sta cercando di fregarti il ragazzo?"
Ci mise qualche istante di troppo a capire quello che intendeva dire Filippo, e la sua espressione tradì lo stupore. "Che?!? No, no!" esclamò. Però non era offeso, anzi, era divertito. "Il contrario. Io sono etero" spostò lo sguardo sull'argentina e continuò a  guardarla mentre aggiungeva: "Ci siamo giocati chi doveva provarci con lei, e io ho perso." Poi alzò gli occhi al cielo, rassegnato nei confronti della propria sfiga.
Filippo tirò indietro la testa, con le sopracciglia aggrottate. "Ah sì?" domandò, con una leggera risata. "Solo donne? Sei sicuro?" strinse gli occhi per guardarlo con fare inquisitorio, senza però perdere il sorrisetto a fior di labbra. "Di solito il mio gay radar non sbaglia mai."
Il sorriso di Elia si allargò. "Sicuro" confermò, però non appena ebbe pronunciato a voce alta queste parole il sorriso sfumò dal suo volto. Deglutì, leggermente a disagio, e distolse gli occhi dal nuovo amico di Martino, pentendosi un attimo dopo di quell'enorme figura di merda.
C'erano state alcune - poche - volte in cui Elia si era sentito attratto da un ragazzo. Ad esempio Giovanni stesso, la prima volta che lo aveva incontrato. Era stata una leggera cotta che era passata in un paio di giorni, proprio come tutte le volte che gli era capitata una cosa simile, quindi non aveva mai davvero preso in considerazione l'idea di non essere eterosessuale.
Elia sperò che Filippo non cogliesse il leggero disagio che aveva preso possesso di lui, ma Filippo lo aveva notato eccome.
"Niente ragazzi quindi, eh?" insistette quest'ultimo. E subito dopo con lo sguardo lo squadrò da capo a piedi, lentamente. Poi, con un sorriso sghembo, guardando Elia dritto negli occhi, aggiunse: "Peccato." Gli fece l'occhiolino e si allontanò senza permettere a Elia di replicare, raggiungendo la sorella e le sue amiche, sedendosi in bilico sul divano ma facendo in modo di dare le spalle a Elia.
Elia, dal canto suo, si sentiva il volto in fiamme. Quel ragazzo aveva appena flirtato pesantemente con lui. Non gli era mai successa una cosa simile prima d'allora. Era un po' imbarazzato, però... non riusciva a trattenere un sorriso, mentre fissava da lontano le sue spalle e quei capelli biondi che sì, alla fin fine erano davvero fighissimi.
Era ancora perso nei suoi pensieri quando venne raggiunto da Niccolò.

Fine capitolo uno.

(Spero che questo primo capitolo vi sia piaciuto, in tal caso se vi va condividete pure su twitter :) sono ben accette anche le recensioni, sia positive che negative, mi interessa molto scoprire il vostro parere per migliorarmi. A domani con il tè a casa Fares!)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** L'ora del tè ***


Capitolo due
L'ora del tè
22 dicembre


Martino fece un respiro profondo.
Poi un altro.
Poi un altro ancora.
Fissava la porta chiusa di casa Fares, con i pugni stretti nascosti nelle tasche del giubbotto e spostando il peso da un 
piede all'altro. 
Se c'era mai stata una volta in cui era stato più nervoso di così, non la ricordava.
Aveva già incontrato la madre di Niccolò, ma stavolta era diverso.
Stavolta sembrava una presentazione ufficiale, e adesso lui sapeva dei disturbi di Nico, e la signora Fares sapeva che lui 
sapeva, e quindi forse se ne sarebbe parlato? E cosa mai avrebbe potuto dire Martino sull'argomento? Si era informato il 
più possibile, ma aveva ancora tanto da imparare, e aveva paura di fare la figura dello sciocco.
Fece un ultimo respiro, poi finalmente bussò.
Ad aprirgli la porta fu il suo sorridente ragazzo.
"Ciao" lo salutò Nico, e subito si sporse per dargli un bacio.
Marti gli posò la mano sulla guancia e gliela accarezzò con il pollice. "Ciao" rispose quando si separarono, e poi, quasi 
con orrore, notò la signora Fares alle spalle del figlio.
Di sicuro quel pomeriggio non sarebbe potuto iniziare in maniera più imbarazzante.
Però la signora Fares sembrava serena. Era vestita di tutto punto e se ne stava al centro della stanza con le spalle dritte 
e le mani unite, ma un leggerissimo sorriso le velava le labbra.
"Buonasera, signora Fares" la salutò subito, sfilandosi di fretta il cappello dalla testa.
"Buonasera. Prego, accomodati" disse la donna, cominciando a fare strada verso la cucina.
Martino scambiò uno sguardo con Niccolò e si rilassò un poco, perché lo vide sorridere tranquillo. 
Si tolse giubbotto e sciarpa, che Nico gli sequestrò subito per appenderli all'ingresso, e si avviò. Conosceva bene la casa.
La tavola era apparecchiata di tutto punto per il tè delle cinque, come se fossero a Buckingham Palace. C'erano tre teiere 
con tre infusi diversi, tazze, almeno cinque tipologie di biscotti, latte, zucchero, e persino una torta fatta in casa.
Martino sentì il profumo del caffè e volse lo sguardo ai fornelli, dove c'era una grossa caffettiera.
Non era sicuro di essere riuscito a trattenere lo stupore, e infatti Niccolò scoppiò a ridere.
"Le avevo detto che stava esagerando" disse.
La signora Fares lanciò un'occhiataccia al figlio, però poi si rivolse a Martino. "Ci tenevo a fare buona impressione. Ho 
paura che il nostro primo incontro non sia stato dei più piacevoli, e volevo farmi perdonare." Addirittura fece un sorriso.
"Grazie, signora Fares, non ce n'era bisogno" replicò Marti, un po' imbarazzato.
"Chiamami pure Anna."
"Oh, non credo di poterlo fare" disse in uno slancio di sincerità, che provocò le risa sia di Nico che della madre.
Questo ruppe un po' il ghiaccio, e trascorsero la mezz'ora successiva a bere tè e chiacchierare.
Niccolò aveva già raccontato tutto di Martino alla madre, ma lei gli fece comunque molte domande, soprattutto sulla scuola 
e sulle sue passioni. Martino si ritrovò per la prima volta ad ammettere a voce alta di quanto gli piacesse lavorare al 
programma della radio, e che stava prendendo seriamente in considerazione l'idea di trasformarlo in un mestiere.
"Davvero?" Nico lo guardò sorridendo dolcemente. Era una novità per lui, ma pensandoci bene sembrava proprio una cosa 'da 
Martino'. Con la radio della scuola era bravo, e lui, che era forse l'unico ad ascoltare la rubrica di Marti e Sana, 
aveva intuito l'impegno e la passione con cui ci lavorava ultimamente.
Marti rispose con un sorriso e la signora Fares si sentì di troppo. Martino le sembrava un bravissimo ragazzo ed era molto 
pentita di come si era comportata con lui solo pochi giorni prima. Purtroppo all'epoca non aveva ancora capito bene la 
situazione e quali fossero i sentimenti del figlio. Adesso, però, era pronta a rimediare. Se Niccolò aveva scelto questo 
Martino, ci doveva essere un motivo. Soprattutto, un motivo doveva esserci se Martino era rimasto nonostante il disturbo 
di Nico. 
In quel momento si sentì la porta d'ingresso aprirsi.
"Dev'essere rientrato tuo padre" disse la signora Fares, con un'occhiata al figlio.
Il signor Fares li raggiunse in cucina mentre ancora si stava togliendo il cappotto.
"Oh, tu devi essere Martino!" esclamò con un gran sorriso, tendendo la mano all'ospite e presentandosi.
Martino ricambiò sia il sorriso che la stretta di mano. La somiglianza di Nico con il padre era impressionante, non se lo
era aspettato.
"Tesoro, vieni un secondo di là con me?" disse il signor Fares alla moglie, poi aggiunse: "Cose di lavoro" come a voler 
rassicurare i ragazzi.
Appena i genitori furono spariti alla vista, Niccolò si avvicinò subito per dare un bacio al suo rosso preferito.
"Troppo imbarazzante?" gli domandò.
"Per la verità no, mi aspettavo peggio" rispose Martino, tirando fuori il cellulare. Prima gli era arrivato un messaggio, 
ma non lo aveva letto per non essere maleducato.
Era di Filippo. Diceva: Comunque ieri mi sono scordato di dirti che il tuo amico Elia è un gran figo
Marti gli rispose velocemente: Mi dispiace, ti è andata male, gli piacciono le ragazze.
E la risposta gli arrivò un istante dopo. Vedremo, con una faccina ammiccante.
Marti alzò gli occhi al cielo e gli sfuggì una risata, poi girò il telefono per far leggere la conversazione a Nico, che 
rise a sua volta, proprio mentre i signori Fares tornavano in cucina.
"Allora, di cosa parlavate di bello?" chiese il padre di Niccolò allegramente, prendendo posto.

Fine capitolo due.

(Questo capitolo ovviamente è ambientato nella giornata di ieri quindi stasera cercherò di pubblicare quello ambientato oggi per mettermi in pari. Spero vi sia piaciuto!)

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Un segreto ***


Capitolo tre
Un segreto
23 dicembre

La vigilia della vigilia di Natale, un centro commerciale, la folla, gli ultimi regali da acquistare.
Eleonora era tornata da Manchester per le vacanze natalizie, sarebbe ripartita in pochi giorni e le altre ragazze non avevano alcuna intenzione di sprecare il poco tempo a disposizione da trascorrere con lei.
Quel pomeriggio erano uscite tutte e cinque per scambiarsi i regali.
Dopo un giro tra i negozi e qualche acquisto dell'ultimo minuto, si erano sedute ad un tavolo del McDonald, con davanti cinque milkshake al cioccolato.
"Ok, inizio io!" esclamò Eva, curiosissima. Il suo regalo da parte delle ragazze era in una busta piccola e sottile, come se fosse un biglietto. Due secondi dopo stringeva tra le mani una gift card per rinnovare il suo abbonamento a Spotify.
Sana tirò fuori da una busta una scorta di eyeliner e matite per gli occhi nere, e anche tre rossetti.
Federica fu sommersa da orecchini di tutte le forme, colori e dimensioni esistenti. "Ragazze, io vi amo!" commentò.
Silvia ricevette quaderni, penne, matite e altri articoli di cancelleria molto belli, inclusa una tazza personalizzata che diceva Ascolta Radio Osvaldo!.
Per Eleonora, invece, le ragazze l'avevano buttata sul sentimentale, dato che avevano sentito molto la sua mancanza nei due mesi precedenti. Le avevano regalato un album che racchiudeva quasi tutte le fotografie che avevano scattato da quando erano diventate amiche, e tra una foto e l'altra c'erano un sacco di messaggi colorati scritti a mano.
"Per ricordarti quanto ti vogliamo bene, nei prossimi mesi" disse Eva, mentre Ele sfogliava le pagine con le lacrime agli occhi.
"Ragazze, questo è il regalo più bello che io abbia mai ricevuto" rispose.
Silvia, che le era seduta accanto, la abbracciò stretta, e tutte le altre si alzarono per trasformarlo in un abbraccio di gruppo. Non ci volle molto affinché Eleonora non fosse più l'unica a piangere commossa.
"Vi voglio bene, ragazze" borbottò Fede, tirando su col naso.
"Vi voglio bene anch'io" replicarono in coro le altre.

Dopo lo scambio regali e dopo che Eleonora ebbe aggiornato le amiche su altri dettagli della sua nuova vita in Inghilterra che non aveva ancora raccontato, decisero di fare un altro giro di milkshake.
"Stavolta alla fragola" propose Silvia. Lei, Fede ed Eva si alzarono per andare a prenderli, mentre Ele e Sana rimasero al tavolo per tenere il posto.
Per l'ennesima volta quel pomeriggio, Eleonora diede un'occhiata al telefono e cancellò senza neanche leggerle alcune notifiche.
Sana se ne era già accorta prima e se ne accorse anche in quel momento.
"C'è qualcosa che non va?" chiese all'amica.
Eleonora la guardò in viso con espressione seria. Dopo aver riflettuto per qualche istante, decise di aprirsi con lei. Doveva pur farlo con qualcuno, altrimenti sarebbe esplosa per il senso di colpa. Senza dire nulla, sbloccò il cellulare e mostrò a Sana la chat su whatsapp con Edoardo.
Era piena di messaggi in cui lui le chiedeva di uscire, le diceva che voleva conoscerla meglio, addirittura le raccontava alcune cose che lo riguardavano e che gli succedevano. Andando indietro con la cronologia di messaggi, Sana scoprì che andava avanti così dalla festa di compleanno di Federica. Le risposte di Ele erano sempre molto vaghe, ma a volte rispondeva in maniera più dolce e cortese del solito.
Sana alzò lo sguardo dal telefono per restituirlo alla proprietaria, e l'espressione con cui la stava guardando Ele le fece male. Non l'aveva mai vista così abbattuta.
"Mi sento una stupida" disse infatti la ragazza, stringendo le labbra, e infilando il telefono nella borsa quasi con violenza. "Lo so benissimo che è uno stronzo, e che è off limits perché Silvia è ancora super presa da lui. Ma non sono riuscita a convincerlo a smettere di scrivermi, e..." si interruppe, senza sapere come continuare.
"Perché non lo hai bloccato?" chiese Sana con tranquillità.
Eleonora non rispose subito, però poi disse: "Perché non volevo."
Rimasero a guardarsi negli occhi in silenzio per un po'.
"Mi prometti che resterà un segreto tra noi?" le chiese Ele, con la tristezza negli occhi. "Per favore" aggiunse.
Sana annuì. "D'accordo" rispose.
Sembrava sbagliato ad entrambe non raccontare alle amiche di tutti quei messaggi, e delle insistenze di Edoardo per un appuntamento, però a che scopo far soffrire Silvia? Tanto Ele aveva comunque intenzione di ignorarlo, come specificò due secondi dopo.
Certo, doveva ammettere che alcune delle cose che lui le scriveva facevano pensare che quel ragazzo non fosse poi soltanto un pezzo di merda. Però...
Le altre ragazze tornarono allegramente con i cinque milkshake alla fragola e per fortuna per il resto della giornata neppure Silvia tirò fuori l'argomento Edoardo.

Fine capitolo due.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Buona Pasqua ***


Capitolo quattro
Buona Pasqua
24 dicembre 


"Evaaa!"
La ragazza, in camera sua, sbuffò. Si stava mettendo lo smalto e non aveva nessuna intenzione di rispondere alla madre, che da quella mattina sembrava una pazza isterica. Era sempre così, alla vigilia di Natale, perché la sera sarebbero dovuti andare a casa della zia di Eva per il cenone, e la signora Brighi odiava andare a casa della sorella. Tra le due donne c'era sempre stata molta competizione, fin da quando erano bambine, su qualsiasi cosa. Avevano due figlie della stessa età e tentavano di rendere persino loro oggetto di competizione. Per fortuna, le due cugine erano mature abbastanza da non portare avanti quell'insana situazione, e andavano molto d'accordo.
"EVAAA!" strillò ancor di più la signora Brighi.
"Dio mio che palle, mà" disse Eva a voce alta, ma stava parlando tra sè.
Aprì la porta della sua stanza. "Che vuoi?!" urlò alla madre.
"Dov'è la mia gonna nera nuova?!" chiese la donna da camera sua.
"E che ne so io, non l'ho proprio vista!"
La madre continuò a lamentarsi ma Eva richiuse la porta. Proprio in quel momento le arrivò un messaggio sul cellulare.
Ei bella! Ci becchiamo in queste vacanze?
Era Federico. Per la verità, Eva non aveva tutta questa voglia di 'beccarlo'. Non stavano davvero insieme, ed Eva era sicura che lui vedesse altre ragazze oltre lei. Non che le importasse più di tanto, perché in effetti non aveva mai visto Fede come un potenziale ragazzo serio, con cui avere una relazione seria.
In generale, per il momento Eva voleva stare da sola. Inutile prendersi in giro, non aveva ancora superato Giovanni. Era stata lei a chiudere la storia, ma non lo aveva fatto per mancanza d'affetto. Le cose non sono mai così semplici. Quello non era il momento giusto per loro due, e anche se si era ingelosita nel vederlo flirtare con l'argentina alla tombolata, non sarebbe mai tornata da lui. Non prossimamente, almeno.
Non lo so. Ci sentiamo tra qualche giorno, rispose a Fede, e la loro conversazione finì così.

Anche Giovanni quella sera aveva un cenone della vigilia con i parenti.
In quel momento gran parte di loro era a tavola, ma Gio era seduto sul divano e tra le braccia stringeva il fratellino, che aveva gli occhi gonfi di lacrime. Era caduto e si era fatto male al gomito. Niente di grave, però aveva sentito molto dolore, così Gio lo stava consolando.
"Alla tua età ancora piangi, ma smettila, non sei mica una femminuccia!" esclamò uno zio. Per la precisione, lo zio che Gio detestava da morire. Quasi in ogni famiglia c'è un elemento di cui si farebbe volentieri a meno.
"Scommettiamo che se adesso ti spezzo le gambe ti metti a piangere pure tu?" replicò duramente Giovanni, guardandolo con disprezzo. Ignorò il rimprovero del padre sulla sua maleducazione e anche la risposta acida dello zio, ma abbassò la testa verso il fratellino e gli sussurrò qualcosa per farlo ridere.
Più tardi, quando ormai il dolore al gomito era passato e il ragazzino stava giocando con i cuginetti, Gio si allontanò con il cellulare, con l'idea di mandare un messaggio all'argentina. Durante la tombolata avevano parlato di vedersi per prendere un caffè insieme qualche volta, ma Gio era stato troppo codardo per chiederle con fermezza un appuntamento vero e proprio. Voleva mandarle un messaggio di auguri di buon Natale e approfittarne per chiederglielo adesso.
Scrisse prima nella chat dei Contrabbandieri, chiedendo ai ragazzi se fosse una buona idea.
Mentre aspettava una risposta, gli arrivò invece un messaggio da parte di Eva.
Lo lesse e sorrise.
C'era scritto soltanto 'Buona Pasqua'.
Era una cosa idiota che Giovanni aveva fatto il Natale precedente, nel tentativo di fare lo spiritoso e farsi bello agli occhi di lei. Aveva fallito miseramente e Eva lo aveva sempre preso bonariamente in giro per questo. Gli mancava molto scherzare con lei.
I Contrabbandieri cominciarono a scrivergli nel gruppo, ma lui non lasciò la chat di Eva. Continuò a fissare il messaggio per qualche minuto, rispose mandandole un cuoricino azzurro e poi mise via il cellulare.

Fine capitolo quattro

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Libri e giraffe ***


Capitolo cinque
Libri e giraffe
25 dicembre


Martino e sua madre avevano appena finito di lavare i piatti e spazzare per terra, dopo il loro pranzo di Natale per due.
"Mi dispiace se quest'anno è stato così triste" disse la donna all'improvviso, con gli occhi bassi. Era in piedi vicino alla tavola e stringeva forte lo schienale di una sedia, come a cercarne il sostegno.
Martino le si avvicinò e le diede un abbraccio. La sentiva così piccola e fragile tra le sue braccia che gli venne da piangere.
Riuscì a trattenersi e, con il viso nascosto nei capelli insolitamente sciolti della madre, disse: "Sai una cosa? Questo è stato uno dei Natali più belli degli ultimi anni."
E non lo disse soltanto per farle piacere, ma perché era vero. Per una volta l'atmosfera natalizia non era stata rovinata dalle tensioni tra i suoi genitori, e anche se avevano pranzato solo in due, esattamente come tutti gli altri giorni, era stato un bellissimo Natale.
Martino era felice. Aveva un ragazzo che adorava, degli amici che gli volevano bene per come era, nuovi interessi, nuove belle persone nella sua vita, e la madre era finalmente serena. Cos'altro poteva desiderare?
Rimasero abbracciati per un bel po'. La mamma lo stringeva fortissimo e sembrava non volerlo lasciare più, e Marti lasciò che fosse lei ad allontanarsi per prima. 
Suonò il campanello.
"Eccolo" disse la madre, con un sorrisetto. 
Martino si precipitò alla porta. Quando la spalancò si ritrovò davanti un sorridente Niccolò. Con una mano stringeva una grande scatola impacchettata con carta regalo con piccole renne disegnate e almeno tre fiocchi rossi giganti, con l'altra un vassoio pieno di biscotti natalizi fatti in casa dalla signora Fares coperti con carta trasparente decorata con delle stelline.
Martino lo vide così carico di doni e rise, prima di piegarsi verso di lui per un tenero bacio.
"Dove hai lasciato la slitta, Babbo?" lo prese in giro.
"I miei dovevano uscire e mi hanno dato un passaggio" rispose Nico. Entrò in casa e si ritrovò davanti la madre di Martino che li guardava con una strana espressione. Non era turbata, anzi, aveva uno sguardo dolce ma un po' malinconico.
Ci furono le presentazioni, mangiarono qualche biscotto seduti a tavola tutti insieme, poi la madre di Martino si rese conto di non aver mai chiesto al figlio una cosa.
"Come vi siete conosciuti?" chiese in quel momento, ad entrambi e portandosi alle labbra una tazza di tè.
"Al primo incontro della radio" rispose Marti.
Niccolò annuì. "Sì" aggiunse. "Ci sono andato apposta."
Martino lo guardò sorpreso. "Cosa?"
Nico si limitò a sorridergli.
"In che senso?" insistette il ragazzo.
"Un giorno Silvia e Sana ne stavano parlando in corridoio e Sana aveva detto che ti eri iscritto" Niccolò si strinse nelle spalle.
"Ma... ma quindi sapevi chi ero?" Marti sembrava davvero sconvolto, e la madre rise.
"Ti avevo visto il primo giorno di scuola, in cortile. Ho avuto una cotta per te dal primo momento, ma mi ci sono volute due settimane per trovare il coraggio di parlarti" Niccolò rise insieme alla madre di Marti mentre Martino stesso restò imbambolato a fissarlo, con la bocca spalancata per l'incredulità. 
"Cioè... mi stai dicendo che io mi sono fatto cinquantamila film mentali pieni di disperazione perché non sapevo cosa pensavi di me... e invece per tutto il tempo ti piacevo già così tanto?"
Nico non rispose, si limitò a sorridergli e gli strinse la mano sotto il tavolo.
La mamma di Martino se ne accorse e decise di levare le tende. Disse a Nico che era stato un piacere conoscerlo - "Finalmente!" -, si raccomandò di ringraziare la signora Fares per i biscotti, poi annunciò di andare in camera sua a riposare.
Quando la sentirono chiudere la porta della sua stanza, Nico si voltò allegramente verso Martino. "Vuoi aprire il tuo regalo?" gli chiese.
Martino, invece di rispondere, gli prese il viso tra le mani e lo baciò. "L'ho portato in camera mia" disse infine.
Ci andarono mano nella mano, senza smettere di sorridere.
Quando entrarono nella stanza, la prima cosa che Nico notò fu una pila di libri presi in prestito dalla biblioteca, impilati per terra vicino la porta. Erano tutti di Stefano Benni. Stava per dire qualcosa a riguardo ma Martino cominciò a baciarlo di nuovo. Raggiunsero il letto e si accoccolarono senza smettere di baciarsi.

"Ok, adesso sono pronto per i regali" disse Martino, un bel po' di tempo dopo, dando a Nico un ultimo bacino sul naso.
Si alzò per andare a prenderli e finalmente Niccolò vide una cosa sul comodino del suo ragazzo. Oltre ad un altro libro di Benni, che probabilmente stava leggendo in quei giorni, c'era un piccolo peluche a forma di giraffa.
"E questa?" gli chiese, indicandola.
"L'ho vista ieri mattina in un negozio. Non ho resistito, mi fa pensare a te" rispose Martino, raggiungendolo con i regali e sedendosi a gambe incrociate sul letto. Nico lo imitò, senza sapere cosa dire. Non aveva parole per quanto si sentiva fortunato.
"Prima tu" disse Marti, porgendogli un pacchetto squadrato.
Niccolò scartò alcuni DVD. Erano tutti film di Wes Anderson. Spalancò gli occhi. "Sono proprio quelli che mi mancano... te ne sei ricordato." Aveva un sorriso gigante mentre se li rigirava tra le mani.
Poi toccò a Martino. Il regalo da parte di Nico si rivelò essere un grande portafoto da appendere, ma senza cornice. Perché la cornice era stata disegnata. Sotto il vetro, al centro di un cartoncino, Niccolò aveva incollato la stampa di una delle foto che avevano scattato nei giorni precedenti, in cui c'erano non solo loro due ma anche i Contrabbandieri, e tutt'intorno alla foto aveva disegnato a mano una bellissima cornice di ghirigori colorati con varie sfumature di blu e grigio.
Martino non riusciva a staccare gli occhi dalla foto e dal disegno, commosso.
"Buon Natale, Marti." Niccolò gli prese una mano e gli baciò le dita.
"Buon Natale, Nico", rispose Martino, con le lacrime agli occhi e un gran sorriso sulle labbra.

Fine capitolo cinque

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Shopping ***


Capitolo sei
Shopping
26 dicembre
 
L’immagine riflessa nello specchio era quella di una ragazza demoralizzata. Non riusciva neppure a fissare il proprio viso, aveva gli occhi fissi sui fianchi, più nello specifico sul bottone dei jeans che era ben lontano dal chiudersi.
Rimase immobile a contemplare desolata quella visione, con le braccia che le ricadevano sui fianchi e i pantaloni aperti. Era talmente assorta nei suoi pensieri che non sentì neppure bussare. Una volta, due, tre.
Dopodiché la porta si aprì.
“Fede?” chiese Sana, mentre la sua testa spuntava nella stanza. Federica la vide riflessa nello specchio e si riscosse.
“Ciao!” Tentò di esibire un sorriso e un tono di voce più naturali possibile.
Sana entrò nella stanza e si richiuse la porta alle spalle, mentre Fede cominciava a sfilarsi i pantaloni quasi con violenza.
“Tua madre mi ha detto che non eri ancora pronta, così mi ha fatta salire” spiegò la nuova arrivata. Impossibile non notare la rabbia dei gesti di Federica. “Tutto bene?”
“Sì, sì, solo che per sbaglio ho preso dei jeans vecchi, li devo buttare” rispose, mentre in mutande rovistava nell’armadio alla ricerca di un pantalone che era sicura le entrasse.
Sana si avvicinò ai jeans che Fede aveva appena gettato per terra e li riconobbe. Avevano dei ricami molto belli sulle tasche e se li ricordò perché li avevano comprati insieme soltanto un mese prima. Li raccolse da terra, li piegò e li posò sul letto dell’amica.
Fede se ne accorse e continuò a fissare dentro il suo armadio, senza dire nulla e interrompendo la sua ricerca. Aveva sempre cercato di evitare che il suo corpo influenzasse il suo modo di vivere. Tutte le prese in giro che subiva sin dalle elementari avevano smesso di farla stare male già da molto tempo. Andava regolarmente dal medico e tentava di tenere sotto controllo il suo peso, ma non era facile e a volte, come durante le feste di Natale, esagerava. Ed ecco i risultati. Questa cosa adesso la faceva stare male. Eleonora, Eva, Silvia e persino Sana, che il suo corpo non lo mostrava mai, erano bellissime e magre e potevano indossare quello che volevano.
Sana, da parte sua, non sapeva cosa dirle. Non era la prima volta che notava un certo disagio di Fede con il suo corpo, e come sempre la cosa le dispiaceva molto. Federica era una delle persone più simpatiche che conoscesse, era intelligente ed era anche molto bella, nonostante i kg di troppo. Però sicuramente dirglielo in quel momento non l’avrebbe aiutata.
“Ti aiuto a scegliere qualcosa?” le propose, facendo un passo in avanti. “Tanto stiamo andando solo a fare una passeggiata, e si muore di freddo. Infatti io ho messo la tuta.” Afferrò un lembo dei suoi pantaloni della tuta e lo agitò, anche se Fede aveva ancora il viso nascosto dentro l’armadio.
La verità era che Federica aveva gli occhi lucidi e si stava davvero sforzando per non piangere. Fece un respiro profondo e disse semplicemente “Ok” mentre prendeva dalla sedia lì vicino la tuta che si era sfilata da poco e che aveva tenuto addosso in casa in quei giorni di festa.
Mentre Fede si rivestiva, Sana disse: “Io dovrei fare un po’ di shopping in questi giorni. Mi servono delle scarpe nuove perché le mie vecchie nere si sono distrutte, poi mia madre per sbaglio mentre li lavava mi ha rovinato dei maglioni” aggiunse. “Se ti servono dei jeans possiamo andare insieme al centro commerciale prima di capodanno. Sai già cosa mettere alla festa? Io no, in effetti dovrei comprare qualcosa anche per quella sera.” Interruppe il monologo e infilò le mani nelle tasche del giubbotto.
Fede si era rivestita e si stava aggiustando il trucco davanti allo specchio. “Neanche io so cosa mettere” disse. “Per me va bene andare anche domani.” Per fortuna aveva riacquisito un tono di voce normale e non le veniva più da piangere.
“Perfetto. Chiediamo anche alle altre?” In altre circostanze Sana non avrebbe mai fatto questa domanda, perché la risposta non poteva che essere positiva, ma stavolta sentiva di dover chiedere il permesso, la ragione di quella spedizione di shopping, anche se camuffata, era chiara ad entrambe.
“Dopo vediamo” rispose infatti Fede.
 
Dopo l’ennesimo selfie davanti al Colosseo –“Quanto mi era mancato!” esclamò Ele, guardandolo con gli occhi a cuoricino- Eva si schiarì la voce.
“Ragazze! Ragazze! A rapporto!” esclamò, mettendo via il cellulare.
Le cinque amiche si radunarono in cerchio.
“Dobbiamo parlare di capodanno” proseguì la rossa. “Federico mi ha chiesto di andare insieme alla festa ma io non so cosa fare.”
“Ma digli di sì, no?!” Eleonora alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
“Non lo so, sarebbe il primo appuntamento ‘in pubblico’” fece il gesto delle virgolette con le mani. “Tutte le altre volte che siamo stati insieme a una festa ci siamo andati separatamente. Se adesso ci andiamo insieme cosa dovrebbe significare? Che siamo una coppia? Io non ho voglia di fare coppia con lui.”
“Non è di certo materiale da marito” commentò Sana con una risata. “Ma andare insieme a una festa non mi sembra un contratto. Che t’importa?”
“È perché pensi ci sarà anche Giovanni?” chiese Ele.
Silenzio.
“Eva, ma davvero?!” Fede sembrava esasperata, esattamente come le altre. “Adesso basta con questa storia, ti prego. Se vuoi tornare con Giovanni torna con lui e basta, no?”
“No, è solo che non mi va di sbattergli in faccia me e Federico così platealmente” tentò di giustificarsi Eva.
“Veramente io ho sentito che lui alla festa ci andrà con Sofia. L’argentina” disse Sana.
Eva la guardò sorpresa. “Davvero?” sembrava essersi rattristata.
“Sì. Me lo ha detto Marti.”
Eva recuperò il controllo, sorrise e disse: “Ottimo, allora non c’è problema” e addirittura tirò fuori il cellulare dalla borsa proprio in quel momento per dire a Canegallo che alla festa sarebbero andati insieme.
“Tuo fratello alla fine ha detto che viene?” domandò Silvia a Eleonora, con aria sognante.
“Te lo ricordi che Filo è gay, vero?” rise Ele, e le altre si unirono alla risata.
“Sì, è solo che è simpatico” Silvia si strinse nelle spalle. Poi, con entusiasmo, aggiunse: “Ci sarà anche Edoardo!”
Ele e Sana si scambiarono uno sguardo, ma fu talmente veloce e discreto che le altre non se ne accorsero.
“Comunque Filo ha detto che viene” Eleonora cercò di cambiare discorso. “Ha detto che lo fa solo per stare me il più possibile, visto che devo partire in anticipo rispetto al previsto, però mi è sembrato strano mentre me lo diceva, secondo me ha anche un altro motivo.”
“E voi sapete già cosa mettere?” volle sapere Eva. “Io non ne ho idea. Ho pochissimi vestiti e li ho già messi tutti troppe volte quest’anno.”
“Io e Sana pensavamo di andare a fare shopping apposta” disse Fede, lanciando un’occhiata veloce a Sana, e guardando per terra subito dopo. Poi però trovò la forza di guardare in faccia anche le altre. “Andiamo tutte insieme?”
La trovarono tutte un’ottima idea.

Fine capitolo sei

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Doppio giro di birre ***


Capitolo sette
Doppio giro di birre
27 dicembre
 
Il pub era stracolmo, sembrava un sabato sera invece di un giovedì, ma per tutti gli studenti era ancora un giorno di vacanza.
Ad un tavolo ad angolo un po’ in disparte stavano seduti cinque ragazzi davanti a quasi altrettante birre.
Niccolò aveva preso una bibita analcolica e Martino lo aveva notato subito. Anche gli altri tre, in realtà. Però nessuno di loro aveva fatto commenti.
“Quindi alla fine le ho scritto solo se voleva venire alla festa con me e davvero zì, non me l’aspettavo un sì così veloce. Ma tipo che neanche il tempo di farmi finire di scrivere!” Giovanni stava raccontando di come aveva chiesto all’argentina di andare con lui alla festa di capodanno.
“Cioè questa qua la mattina di Natale non aveva niente di meglio da fare che stare a parlare al telefono con te? Forse è una fortuna che te la sei presa tu, fra. Una così disperata non la voglio mica” scherzò Elia, cercando di trattenere le risate e mandando giù un sorso di birra.
“Io spero solo di riuscire a rimorchiare a questa festa. Non dico che voglio addirittura scopare, ma una così disperata da baciarmi a mezzanotte la troverò, no?” Luchino guardò speranzoso gli amici, che per tutta risposta restarono in silenzio soffocando le risate.
Martino pensò che fosse il caso di cambiare argomento.
“Domani esco con Filo” disse. Elia si attaccò subito al bicchiere, mentre Gio e Luchino lo guardarono confusi, così Marti spiegò: “Filippo, il fratello di Eleonora. Quello che era alla tombolata.”
“Ah sì sì mi ricordo zì” disse Giovanni, mentre l’altro annuiva.
“Volete venire con noi? Penso che andiamo a fare aperitivo da qualche parte” li invitò.
“Io non posso” disse Niccolò, che era stato stranamente silenzioso tutta la sera.
“Io c’ho una cena in famiglia, che palle” disse Luchino.
“Io mi sa che vi raggiungo dopo se rimanete in giro. Venite qua a Trastevere?” domandò Gio.
“Penso di sì” rispose Martino, allungando una mano sotto il tavolo per prendere quella di Nico. Voleva parlargli, ma non lì davanti a tutti. Niccolò ricambiò la presa e strinse forte le dita del ragazzo.
Martino guardò Elia. “E tu?”
Elia mandò giù un ultimo sorso di birra e disse soltanto: “Ti faccio sapere domani.”
Nel frattempo Luchino aveva finito il suo boccale, e anche Giovanni. “Ricarica?” chiese il primo.
“Sì, dai” Gio si alzò per aiutarlo, ed Elia lo imitò, prendendo anche il boccale quasi vuoto di Marti. “Anche il tuo?” Martino annuì. “Tu, Nico? Vuoi qualcosa?” chiese Elia, ma l’altro rispose di essere a posto così.
Quando rimasero soli, Martino sorrise a Niccolò e gli diede un bacio dolce sulla guancia. “Tutto bene?”
Nico abbassò lo sguardo sulle loro dita intrecciate. “Non ti ho detto una cosa.”
Marti rimase in silenzio per un po’, poi disse. “Non è vero che ieri avevi il telefono scarico. Sei stato male? Per questo non mi hai risposto ai messaggi?”
Nico annuì, sempre continuando a fissare le loro mani. Cominciò ad accarezzare il dorso della mano di Marti con il pollice. “Non volevo farti preoccupare. Non è stato un episodio grave, ma forse non sarei dovuto uscire stasera, non mi sento a posto al cento per cento.”
“Ma perché non me lo hai detto? Avrei capito.” Martino sollevò l’altra mano per accarezzare il viso di Niccolò.
“Non volevo rinunciare a un’uscita con te e i tuoi amici. Non mi va che questa cosa condizioni il nostro rapporto” rispose.
Martino prese il mento di Nico con le dita e lo costrinse ad alzare il viso per guardarlo, come aveva fatto quella sera sul terrazzo. “Ascoltami bene” iniziò a dire, quando Niccolò lo guardò finalmente negli occhi. “Questa cosa non condiziona il nostro rapporto, ne fa semplicemente parte. Come tante altre cose. Belle o brutte. Non voglio obbligarti a parlarmene se non te la senti, ma spero che tu sappia che se vuoi, puoi farlo.”
Niccolò avvicinò il viso al suo e lo baciò. “Lo so” disse.
In quel momento li raggiunsero gli altri, con i boccali di nuovo pieni.
“Dovrete dividervi la mia” disse Martino, lasciando la mano di Niccolò e alzandosi. “Noi andiamo a casa.”
“Perché?” chiese Luchino, guardando prima uno e poi l’altro.
Giovanni si limitò a scambiare uno sguardo con Marti, e capì subito. “Ch’avranno voglia de scopà, no?!” disse, per salvare Nico dall’imbarazzo. “Che cazzo de domande fai pure te” la buttò sul ridere ed Elia gli diede manforte.
Una volta che i due piccioncini si furono allontanati, Luchino attaccò tutto un discorso su come volesse iscriversi anche lui al progetto della radio perché magari così poteva trovare l’amore pure lui. La verità era che si era preso una piccola cotta per Silvia e voleva avere l’occasione di parlarle senza che gli amici lo prendessero in giro.
Elia però lo stava ascoltando soltanto con un orecchio; era intento a rimuginare su quanto gli convenisse uscire con Marti e Filo il giorno dopo.
 
Giunti a casa Fares, la madre di Nico non sembrava in vena di chiacchiere in allegria.
“Ti avevo detto di non uscire” disse risentita al figlio, che pareva già di suo molto abbattuto. “Mi dispiace che tu abbia dovuto fare tutta la strada in autobus fino a qui solo per riaccompagnarlo” aggiunse, rivolta a Martino.
“Non è un problema, signora Fares. Non si preoccupi” e per rafforzare il concetto prese la mano di Nico e la sollevò per baciargli le dita.
Sulle labbra del signor Fares comparve un sorriso e persino l’espressione della moglie si addolcì.
Ormai Martino aveva perso ogni imbarazzo.
“Vuoi restare qui a dormire? Si è fatto tardi” propose il padre di Nico.
Prima di rispondere, Marti guardò il suo ragazzo, il cui viso parve riaccendersi a quella prospettiva.
“Certo” rispose allora, con un sorriso.

Fine capitolo sette

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Iceberg ***


Capitolo otto
Iceberg
28 dicembre
 
“Ecco a lei, Rose.”
Filippo posò la birra davanti al piatto di Martino. Per se stesso aveva preso un cocktail. Mentre era al bancone per i drink, Marti aveva già saccheggiato il buffet per entrambi, quindi cominciarono subito a mangiare.
“E allora? Mi stavi dicendo di questo qui che ti ha mollato mentre io ero a Milano” riprese il discorso Martino.
“Frena frena frena. Non mi ha mollato lui, l’ho mollato io” ci tenne a precisare Filo. “E comunque in realtà non stavamo nemmeno insieme. Non voglio una relazione.”
“Neanche se arriva la persona giusta?”
“Ma adesso che sei fidanzato devo sorbirmi sempre tutti i tuoi discorsi sognanti da gran romanticone?”
Marti rise. “No, no. Però se un giorno arriva un ragazzo che ti fa innamorare, non puoi farci niente, no?”
Filo assunse un’espressione esasperata. “E invece a quanto pare devo” bofonchiò. Beh, poco male. In fondo era contento che Martino fosse così innamorato e ancora un po’ ingenuo. Vista la difficile situazione di Niccolò, era un bene che riuscisse a conservare quel tipo di magia il più a lungo possibile. Lo osservò mangiare una pizzetta e quasi si commosse, come se Marti fosse per lui un fratellino da proteggere.
“Quando mi imbatterò in un iceberg che abbatterà tutte le mie difese, allora ne riparleremo” disse.
“Sai che è inquietantissima questa metafora, vero?”
“Quindi vuoi cambiare argomento?” domandò Filippo, speranzoso.
“No. Sono curioso di sapere come funziona.”
“Ma come funziona cosa, esattamente?” non riuscì a trattenere una risata.
“Tra ragazzi gay” specificò Martino. “Cioè, io mi sono ritrovato con un ragazzo prima ancora di accettare con me stesso di essere gay, praticamente. Non ho idea di come funzioni quando sei gay e vuoi trovare l’amore.”
“Punto primo” Filo mise giù la forchetta di plastica e sollevò il pollice. “Tra gay funziona esattamente come tra etero. Punto secondo” sollevò anche l’indice. “Non tutti i gay vogliono trovare l’amore sempre e in ogni momento. Ogni tanto alcuni vogliono solo qualcuno con cui scopare, esattamente come gli etero.” Infine tirò su anche il medio. “Io, ad esempio, in questo momento della mia vita voglio solo scopare. Lo dico sempre quando conosco un nuovo ragazzo, eppure loro si innamorano perdutamente di me, alla fine” si strinse nelle spalle. “Faccio questo effetto, che ci posso fare?”
Martino sorrise. “Io non mi sono innamorato di te, però.”
“Soltanto perché il tuo cuore era già impegnato.”
“Probabile” annuì Marti, cercando di fare il serio per prenderlo in giro.
Continuarono a mangiare e a bere parlando di argomenti più frivoli. Filippo avrebbe voluto parlare di Elia, ma si trattenne. Non sapeva neanche perché. Era un ragazzino etero incontrato a una festa. Punto. Il suo gay radar magari si era sbagliato, e anche se così non fosse stato, di certo un amico di Marti non era materiale per una scopata e basta, per quanto bono potesse essere. E comunque di certo non era il ragazzo più bello che avesse mai visto, eh. Tutto questo pensare a lui non aveva senso. Ecco cosa succedeva a concentrarsi troppo sugli esami: si usciva di testa.
Conclusero l’aperitivo e uscirono tra i vicoli di Trastevere.
“Scrivo ai ragazzi che siamo qui” disse Martino, quando ebbero raggiunto piazza Trilussa. “Gio sta arrivando.”
Filo si sedette sui gradini di fronte la fontana di Ponte Sisto, mentre l’amico scriveva ai Contrabbandieri.
“Ti dispiace se chiamo un attimo Nico?”
“Vai, vai!” Filo fece un gesto con la mano come per cacciarlo via. “Salutamelo!” gridò, mentre Marti si allontanava di qualche passo per fare la telefonata.
Anche Filippo tirò fuori il cellulare e cominciò a distrarsi su Instagram, tanto che trascorse un buon quarto d’ora senza che se accorgesse. Martino era ancora al telefono quando un paio di scarpe si fermarono proprio davanti a lui. Filo alzò lo sguardo e si ritrovò davanti il riccioluto.
“’sera” esclamò, alzandosi.
“Ciao” lo salutò Gio.
Rimasero un attimo a fissarsi in imbarazzo. Erano stati nella stessa casa per una serata intera, ma in realtà non avevano mai parlato.
Infine Filo fece un sorriso sghembo. “Tu sei quello con cui dovrò competere per fare da testimone al matrimonio di Martino e Niccolò” gli disse.
“Non c’è gara, zì. Sarò io e basta.”
Filippo stava per dire qualcos’altro ma venne interrotto dal ritorno di Martino.
“Ciao, fra” diede un colpetto sulla spalla di Gio. “Elia non viene?”
“No, ma non m’ha detto perché.”
Filo rimase in silenzio, ma Martino si ricordò comunque del messaggio. Rise e lo raccontò a Giovanni, mentre stavolta tutti e tre si sedevano sui gradini, Marti al centro.
“Chissà, magari con i ragazzi sarebbe meno sfigato che con le ragazze” fu il commento di Gio, ma stava ovviamente scherzando. Lui e Marti non avevano idea dei reali pensieri di Elia.
“È un peccato però” rifletté Martino. “Sicuramente lui ci sarebbe stato con te soltanto per una botta e via, senza cercare di essere il tuo iceberg.”
“Iceberg?” domandò Gio, curioso.
Martino gli spiegò la faccenda di Jack, Rose, fiducia e iceberg, e alla fine Giovanni si ritrovò, non troppo incredibilmente, a pensare ad Eva.
 
Più tardi quella sera si scattarono un selfie.
“Lo mando ai Contrabbandieri” disse Marti. “Ma domani lo faccio vedere anche a Niccolò. Gli dispiace di non essere venuto.”
Il cellulare di Gio vibrò per la foto ricevuta nel gruppo Whatsapp e per i commenti degli altri due, e lo sbloccò per togliere la notifica.
“Posso vedere la foto?” chiese Filippo, allungando il collo.
“L’ho mandata anche a te” disse Martino, ma Filo non si ritrasse. La verità era che voleva leggere i messaggi.
Giovanni gli mostrò il cellulare, ma l’unica cosa che aveva scritto Elia era stata un pollice in su. Luchino, invece, stava rosicando per non essere potuto uscire con loro.

Fine capitolo otto

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Relazioni complicate ***


Capitolo nove
Relazioni complicate
29 dicembre
 
Federico si era appoggiato alla porta d’ingresso di casa sua, come a volerle sbarrare il passaggio, mentre lei si infilava il giubbotto e cercava la borsa. Sbuffando, si accorse finalmente che era scivolata dietro il divano.
“Come se non fossi già in ritardo” borbottò tra sé.
“Annulla l’uscita e resta qui con me, no?” propose Fede, con quello che sperava fosse un sorriso accattivante.
“No” rispose secca Eva, senza neanche guardarlo in viso, assicurandosi solamente di aver preso il cellulare.
“Mi fai sentire una sgualdrina!” esclamò Federico con vocina volutamente melodrammatica, battendosi una mano sul cuore.
“Piantala” replicò la ragazza, ma le scappò un sorriso. Lo raggiunse e gli diede un rapido bacio sulle labbra.
Lui si spostò e le aprì la porta.
“Ci vediamo il trentuno sera. Sii puntuale” si raccomandò Eva.
“Agli ordini, madame!”
Quando Eva fu uscita, Fede tornò in camera sua per dare una sistemata al letto. Certo che si erano divertiti, eh. Con Eva passava sempre i momenti migliori. Non che fosse più brava a letto di quanto lo fossero altre ragazze con cui era stato, ma c’era qualcosa in lei che rendeva le cose migliori, speciali.
Gli piaceva persino restare a chiacchierare con lei dopo averlo fatto. E non aveva mai fretta se la chiacchierata avveniva prima di fiondarsi tra le lenzuola, come invece succedeva sempre con le altre, persino con la sua ultima ragazza fissa.
Ogni volta che aveva una relazione non riusciva mai a considerarla seria, andava comunque in giro con i suoi amici a flirtare e rimorchiare e in vita sua non era mai stato fedele a nessuna.
Da quando frequentava Eva, però, le cose erano diverse. Non stavano davvero insieme quindi non si era fatto problemi ad andare a letto con le altre, ma quando succedeva avrebbe preferito stare con Eva. Non aveva più voglia di andare in giro il sabato sera con Edoardo a caccia di ragazze. Andava per abitudine, ma l’unica con cui voleva passare il tempo era Eva.
 
“Eccola, finalmente!” esclamò Federica, quando sentirono il campanello.
Sana si alzò dal pavimento della sua stanza per andare ad aprire la porta. I genitori e il fratello sarebbero stati fuori fino a tarda sera, così aveva invitato le amiche. Erano stufe dello shopping e faceva troppo freddo per vedersi all’aperto.
Quando raggiunsero le altre, Eva le trovò sedute a gambe incrociate su un tappeto al centro della stanza, circondate da ciotole di patatine, popcorn e bicchieri pieni di coca-cola.
“Avete davvero il coraggio di mangiare ancora dopo tutti i pranzi e cene di questi giorni?!” domandò Eva, cominciando a svestirsi di sciarpa e cappello.
“Ovvio” rispose Sana, riprendendo poco accanto a Eleonora e affondando le dita tra i popcorn lì vicino.
Quando anche la rossa si fu unita al cerchio sul tappeto, la fissarono tutti.
“Beh?” chiese la ragazza.
“Eri da Canegallo?” chiese Fede, ammiccando.
Eva abbassò lo sguardo. “Sì.”
“Ormai fate coppia fissa” commentò Ele.
“Se un giorno io ed Edoardo staremo insieme, potremo fare le uscite a quattro!” esclamò Silvia, con la sua solita aria sognante.
Eleonora distolse subito gli occhi e si avventò su una ciotola di patatine. Sana se ne accorse ma ovviamente non disse nulla.
“Non credo proprio che saremo mai una coppia vera” precisò ancora una volta Eva.
“Perché no? Si capisce che Federico ti piace un sacco” disse Silvia.
“Non lo so, ragazze. Non sono convinta.”
Ne parlarono ancora per un po’, anche se né Eva né Ele avevano voglia di andare avanti con l’argomento.
Eva non voleva ammettere che usava Federico come distrazione e come valvola di sfogo, perché sentiva da morire la mancanza di Giovanni ma non credeva che fosse il caso di riavvicinarsi a lui. Adesso che usciva con l’argentina, poi…
Eleonora invece continuava a parlare con Edoardo ogni giorno. Adesso che sapeva che lei era tornata a Roma, le scriveva più spesso e le chiedeva di uscire. Ele trovava sempre una scusa ma non riusciva mai a dirgli un ‘no’ definitivo. Qualcosa in lui ormai la intrigava, ma Eleonora combatteva con se stessa. Da un lato c’era la voglia di conoscerlo meglio, dall’altra c’era la consapevolezza di tutti quei comportamenti di cui era già a conoscenza e che lo rendevano uno stronzo. Non voleva fare la parte della ragazza ingenua che cade tra le braccia del figo puttaniere di turno, come aveva fatto Silvia.
Si sentì molto in colpa per questo pensiero. Voleva bene a Silvia. Ma a volte era così sciocca! Le lanciò un’occhiata. Era l’unica che non stava sgranocchiando niente, anzi, aveva preso fisicamente le distanze da tutto il cibo in quella stanza.

Fine capitolo nove

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Paure ***


Capitolo dieci
Paure
30 dicembre
 
Martino lanciò un’occhiata a Niccolò e sorrise, poi gli baciò la guancia.
Erano a casa Fares, sdraiati sul letto con il computer sulle gambe, per vedere un film. Non erano neppure a metà e Nico si era già appisolato, con la testa sulla sua spalla.
Spense il computer, e nel silenzio udì alcuni rumori provenire dalla cucina. Con la massima attenzione cercò di liberare il braccio, sistemando dolcemente la testa di Niccolò sul cuscino. Si assicurò che stesse ancora dormendo, gli sistemò le coperte fino al collo, gli diede un altro bacio, sulla fronte questa volta, poi si alzò.
Facendo meno rumore possibile, sistemò il computer sulla scrivania, rimise le scarpe e spense la luce. Si sentiva quasi un ladro.
Prima di uscire dalla stanza, però, lanciò un’ultima occhiata al ragazzo. Era la cosa più bella che avesse mai visto.
In cucina il signor Fares stava trafficando ai fornelli. Quando lo vide entrare, agitò una spatola. “Stasera frittata!” esclamò allegramente, come al solito. Il signor Fares era un tipo piuttosto allegro.
“Nico si è addormentato” rispose Martino.
“Ha mangiato a pranzo?”
“Sì, ha ripulito il piatto.”
“Bene, allora questa volta lo lasciamo dormire. Anna è andata a fare un po’ di spesa, ti dispiace cominciare ad apparecchiare? Scommetto che sai già come muoverti” con la spatola indicò vagamente la credenza con i bicchieri e il cassetto con le posate.
Marti sorrise. “Sì, lo so.”
Era molto strano per lui essersi integrato così in quella famiglia. Lui una famiglia unita non l’aveva mai avuta, anche quando era piccolo il padre non era mai stato troppo presente, e in casa raramente si respirava un’aria rilassata. Soprattutto dopo il primissimo incontro con la madre di Nico, Martino non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi a cena con i genitori del suo ragazzo, senza neppure che lui fosse presente!
Cominciò ad apparecchiare con il sorriso sulle labbra.
“Martino, devo chiederti una cosa.” Il signor Fares spense il fuoco sotto la padella, si voltò verso la tavola e incrociò le braccia.
Martino perse un battito. Quel tono di voce era ben diverso dal solito. Si voltò a guardare il padre di Nico. Non sembrava arrabbiato, solo tremendamente serio.
“Certo” rispose titubante, poi si maledisse per non aver mantenuto un tono di voce fermo.
Il signor Fares captò il disagio e addolcì il tono. “So che vi frequentate da poco tempo, ma Niccolò sembra davvero preso da te. Ho bisogno di sapere quanto è serio il tuo impegno con lui. Se sei qui per restare.”
Non attese molto per avere una risposta.
“Non vado da nessuna parte” disse Martino, e stavolta la voce era decisa.
“Non mi riferisco a stasera, o ai momenti in cui il suo umore è altalenante. Mi riferisco ai momenti veramente brutti. Non so nemmeno se hai una vaga idea di come possano essere i momenti brutti.” Il signor Fares pareva molto triste.
“C’ero io a Milano con lui, quella notte. Mi sono fatto un’idea. Sto andando da uno psicologo, mi sto informando.” Se possibile, la voce di Martino si fece ancora più sicura. Stava prendendo un po’ sul personale quella mancanza di fiducia in lui, ma cercò comunque di mantenere un tono educato. Al posto del signor Fares, probabilmente, avrebbe fatto lo stesso per proteggere suo figlio.
“Davvero?” sembrò piacevolmente colpito dalla cosa. “Non lo sapevo.” Sorrise di nuovo, ma era ancora un sorriso triste. “Mi dispiace. Sei giovane per affrontare tutto questo.”
“Anche Nico è giovane.” Marti fece un bel respiro. “Senta, io capisco che avete dei dubbi su di me. Lo so che questa è una roba seria e onestamente sono pure spaventato perché ho paura di combinare qualche casino, di dire o fare una cosa sbagliata. E sto imparando un sacco di cose nuove e la maggior parte ancora non le capisco bene, e anche questo mi fa paura.” Sentì che gli occhi gli si stavano riempiendo di lacrime. Era la prima volta che si sfogava. Pianificava di uscire con Gio, uno dei prossimi giorni, e riversargli addosso tutte le sue insicurezze, e invece era finito a parlarne col padre di Niccolò. Fece un altro gran respiro, e trattenne le lacrime, perché non voleva distogliere lo sguardo da quello del suo interlocutore. “Però la cosa che mi fa più paura di tutte, è non stare con lui. Io non vado da nessuna parte” ripeté.
Poi il signor Fares fece una cosa inaspettata. Si avvicinò a Martino e lo abbracciò.
“D’accordo” disse, tenendolo ancora stretto. Le lacrime di Marti finalmente scivolarono sulle sue guance, e il ragazzo fu contento che l’altro non potesse vederle. Poi l’uomo continuò: “Volevo solo essere sicuro del tuo impegno, perché in questo caso ti coinvolgeremo di più. Ti faremo sapere quali medicinali deve prendere, quando avrà appuntamento con i dottori.” Lo lasciò andare e gli posò le mani sulle spalle, per nulla turbato dal vederlo piangere. “Non volevo mettere in dubbio i tuoi sentimenti, ti chiedo scusa.”
Martino spazzò via le lacrime con la mano e annuì.
Sentirono la porta d’ingresso aprirsi.
“Eccomi, scusate il ritardo!” strillò la signora Fares dall’ingresso.
“Vado a darle una mano con la spesa. Tu torna pure da Nico, tanto non si mangia prima di un quarto d’ora” il signor Fares sorrise e sembrò recuperare il suo solito atteggiamento.
Martino non se lo fece ripetere due volte e tornò in camera dal suo ragazzo.
Stava ancora dormendo, così Marti si distese di nuovo accanto a lui, da sopra le coperte, e appoggiò il viso ancora bagnato di lacrime sul petto di Niccolò, circondandogli i fianchi con un braccio.
Questo gesto parve svegliarlo. Anche Nico alzò un braccio e circondò le spalle di Marti. “È finito il film?” borbottò, senza neppure aprire gli occhi.
“Scusami, non volevo svegliarti” disse Martino, invece di rispondere.
“Scusami tu. Forse è colpa di una nuova pillola che sto prendendo, mi porta sonnolenza.” Finalmente aprì gli occhi e si chinò in avanti per baciare Martino sopra la testa. “Tutto bene?”
Martino rafforzò la stretta. “Assolutamente sì.”

Fine capitolo dieci

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Perdersi tra la folla ***


Capitolo undici
Perdersi tra la folla
31 dicembre
 
I suoi genitori erano andati via da mezz’ora, quindi Niccolò aveva cominciato a ‘cenare’.
Aveva tirato fuori tutte le schifezze che era riuscito a trovare in casa, e adesso se ne stava svaccato sul divano, circondato da patatine, cioccolata, biscotti, popcorn, coca-cola e aveva deciso di concedersi pure qualche bicchiere di vino.
Accoccolato sotto le coperte, con la TV ancora spenta, scrisse un SMS a Martino.
Sei già alla festa?
Il ragazzo gli rispose un minuto dopo.
Quasi. Sto andando. Tu come stai? <3
Nico sorrise.
Tutto sommato bene. Mi dispiace non poter essere lì con te, mi mancherai <3
Non arrivarono altri messaggi, e Niccolò ci rimase un po’ male, perché passò un minuto, due, cinque, dieci.
Quando smise di controllare compulsivamente l’orario, suonarono alla porta.
“Impossibile…” mormorò tra sé, alzandosi, eppure ci stava sperando con tutto se stesso. Se avesse aperto la porta e dall’altra parte non ci fosse stato Martino, si sarebbe messo a piangere per la delusione.
 
“Sorpresa” disse dolcemente Marti, sulla soglia, senza riuscire a trattenere un enorme sorriso, quando vide l’espressione di Niccolò.
Nico fece un passo indietro per lasciarlo entrare, senza dire nulla. Si limitò ad accarezzargli una guancia, commosso. “Dovresti essere ad una festa con tutti i tuoi amici.”
Martino si tolse il giubbotto. “Per carità” disse, fingendo orrore. “Mi hanno detto che faranno il karaoke.”
Si avvicinò a Nico, talmente tanto che i loro petti e i loro fianchi si toccarono, e gli baciò un angolo della bocca.
“I miei non ci sono” disse Niccolò, quasi senza voce.
“Lo so. Chi pensi che li abbia fatti uscire?”
Cominciarono a spogliarsi lì nell’ingresso, senza neanche aspettare di raggiungere la stanza di Nico.
 
Eleonora cambiò bruscamente direzione per l’ennesima volta, quella sera. Evitare Edoardo non era facile.
Beh, per forza. Lui la stava sicuramente cercando.
Per fortuna le luci erano soffuse, il locale era su più livelli ed era strapieno. Anche così, però, ogni tanto se lo ritrovava a pochi metri. Per ora era abbastanza sicura che lui non l’avesse ancora vista. Indossava un vestito elegante nero, senza accessori colorati, senza paillettes, senza brillantini, senza nulla che potesse attirare l’attenzione. Si sentiva quasi ridicola a dover prendere tutte queste ‘precauzioni’.
“Ele, ti prego, è ridicolo, non possiamo fare così tutta la sera.”
Ah, già, c’era Sana con lei, e Sana sapeva, quindi aveva capito benissimo chi stava cercando di evitare. Anche l’amica era vestita completamente di nero, ma per lei era la normalità. Quella sera aveva una gonna lunga a pieghe davvero stupenda.
“Dove l’hai comprata?” le chiese, indicandola con la mano e parlando a voce alta, per sovrastare la musica.
“È di mia madre. E non cambiare argomento!” strillò Sana di rimando.
“Hai ragione, scusa.” Ma parlò a voce bassa e Sana non la udì.
Forse doveva tagliare la testa al toro e andare lei stessa a parlare con Edoardo, così si sarebbe tolta il pensiero e lui non l’avrebbe più cercata per il resto della serata.
“Vado da lui” disse all’amica, che si limitò ad annuire.
Quando Edoardo la vide arrivare, smise di ballare e, senza una parola a Chicco Rodi, che stava lì con lui, si mosse per andarle incontro.
“Buonasera, bellissima. L’aria inglese ti ha fatto bene, sei ancora più splendida.” Detto questo le prese una mano per farle il baciamano.
Eleonora era talmente scioccata che non si ritrasse e non disse nulla. Non lo vedeva da mesi e non lo ricordava così… sfacciato. E così bello. Tranne per i capelli, ovviamente. Quelli erano sempre uguali.
“Tutto bene?” le chiese ancora lui, con un sorriso compiaciuto.
Adesso avrebbe pensato di averla lasciata senza parole, e la cosa la irritò, anche se era la verità.
“Ciao” gli disse, alzando un poco il mento e cercando di darsi un tono. “Per la nostra uscita dovrai aspettare. Tra pochi giorni parto e non ho tempo da perdere con te, nel frattempo.”
Edoardo accusò il colpo con stile. “Sei stai cercando di farti desiderare il più possibile, sappi che sono già al limite” e si leccò le labbra con aria maliziosa.
Ad Ele scappò una smorfia schifata. “Facciamo così. Tu mi stai alla larga per il resto di questa serata, e quando tornerò da Manchester avrai due appuntamenti invece di uno. E te li puoi scordare entrambi se parli di me a Silvia.”
Edo sorrise, pregustando già persino il secondo appuntamento. “Silvia sarebbe la solita biondina, giusto?”
Eleonora sospirò rassegnata e si allontanò, senza neppure degnarlo di un ultimo sguardo. L’unica cosa che voleva in quel momento era tornare da Sana e trovare suo fratello.
 
Coincidenza volle che Filo fosse proprio vicino la porta d’ingresso del locale quando Elia, Luca e Giovanni entrarono. Il trio si disperse subito, ognuno puntò in direzioni diverse. Gio verso la pista da ballo, Luca verso i bagni ed Elia verso il bar.
“Mi serve qualcosa da bere” disse alla ragazza che aveva di fianco, una delle sue migliori amiche.
“Ti aspettiamo qua” rispose lei, riferendosi anche al resto del gruppo di amici con cui erano usciti.
Filippo si avviò verso il bar facendo a zig zag tra la folla di giovani, cercando di capire in che punto si fosse fermato Elia, ma non era facile con tutto quel casino e le luci basse e colorate.
Quando finalmente lo vide, si fermò a pochi metri di distanza. Stava molto bene quella sera, anche se indossava solo un paio di jeans scuri, con sopra una maglietta e una giacca nere. Aveva i capelli un po’ disordinati e un’aria rilassata.
Ma cosa diamine stava facendo? Mettersi a stalkerare un ragazzino era davvero troppo. Doveva darci un taglio. Anche perché era chiaro che Elia non volesse vederlo, e le probabilità che non fosse interessato solo alle donne erano parecchio scarse.
Girò su se stesso per tornare indietro e si imbatté nella sorella. “Ei” la salutò, sorridendo anche a Sana. “Buonasera.”
“Hai visto le altre?” gli chiese Eleonora.
Lui indicò un punto sulla pista da ballo dove c’erano proprio Federica, Silvia ed Eva. Non ballavano, erano ferme e fissavano un punto non troppo lontano con aria inebetita.
 
Quando le due ragazze raggiunsero le amiche, scoprirono che stavano guardando Giovanni e l’argentina, mentre ballavano insieme appiccicati e ogni tanto si scambiavano baci appassionati.
Eva sembrava impietrita.
“Tutto bene?” domandò Eleonora, prendendola per mano.
“Sì, certo” rispose la rossa. Si liberò della stretta e avanzò a passo di marcia verso il bancone del bar.
Evitò con maestria Elia che, con un drink per ogni mano, stava evidentemente cercando Luchino, e avanzò con decisione finché non si ritrovò davanti Federico, in fila per prendere da bere anche per lei.
“Non riesci a starmi lontano neppure due secondi, eh?” fece lui con un sorrisetto, quando se la ritrovò davanti, ma non riuscì a dire nient’altro perché Eva gli gettò le braccia al collo e cominciò a baciarlo.
 
Mezzanotte.
Quasi. Mancavano cinque minuti o giù di lì. Un brutto momento per perdere di vista il gruppo di amiche. Beh, non che Eva avesse trascorso con loro chissà quanto tempo. Era stata appiccicata a Federico tutta la sera.
Federica e Sana erano sicuramente quelle che si erano divertite di più, tutto il tempo in mezzo alla calca, a ballare.
Lei invece aveva passato la maggior parte della serata con Eleonora, tristemente. Non perché Silvia non volesse stare con lei, certo che no, ma perché doveva sempre essere così bella? Anche con un vestito super semplice, Eleonora brillava. Lei invece si sentiva sempre così anonima, persino con addosso un vestito rosso fuoco e scollato, come quella sera. Sperava di riuscire a conquistare di nuovo Edoardo, ma ogni volta che provava ad avvicinarsi a lui, il ragazzo sembrava quasi scappare via da lei.
“UN MINUTO!” urlò qualcuno al microfono del DJ.
Silvia sbuffò.
“Ciao” udì una voce alle sue spalle.
Si voltò e vide Luca, l’amico di Martino.
“Ciao” gli rispose, guardandosi intorno alla ricerca delle altre ragazze. Ma dove diavolo erano finite? Si era allontana giusto cinque minuti! Controllò il cellulare, ma non aveva campo.
Rivolse di nuovo gli occhi a Luchino. “Cerchi qualcuno?”
In verità Luchino cercava Elia, o Giovanni, ma rimase imbambolato a guardare Silvia in quel bel vestito. Era sempre carina, Silvia, ma quella sera era davvero sexy!
“Sei bellissima” disse infatti, invece di risponderle.
E aveva un’espressione talmente adorante e sincera, che per una volta la ragazza non si chiese se fosse una presa in giro, come faceva sempre quando qualcuno le faceva un complimento.
“TRE… DUE… UNO…”
Silvia si sporse in avanti, prese il viso di Luchino tra le mani, e lo baciò.
 
Un altro che al termine del conto alla rovescia aveva le labbra impegnate, oltre a Giovanni ed Eva con i rispettivi accompagnatori, era Filippo.
Elia lo stava fissando da dietro una colonna.
Si era perso Luchino, ma aveva trovato Filo.
Non era la prima volta che lo vedeva quella sera, non passava inosservato con quella camicia rosa e la cravatta argentata, ma era sempre stato in gruppo, circondato da amici. Adesso, invece, era praticamente avvinghiato a questo ragazzo con un fisico niente male. Sulla faccia non poteva esprimersi, era coperta da quella di Filippo.
Perché si era dato tanto da fare a flirtare con lui, se poi era fidanzato? Certo che doveva essere stronzo.
In realtà Filo quel ragazzo lo aveva conosciuto giusto un’oretta prima, era un mago nel rimorchiare alle feste. Ma questo, Elia non lo sapeva.

Fine capitolo undici
 
(To be continued…
(semplicemente perché il capitolo che pubblicherò domani è strettamente collegato ma sarà ambientato dopo la mezzanotte. PS: buon anno nuovo))

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Novità ***


Capitolo dodici
Novità
1 gennaio
 
Nel momento in cui era scoccata la mezzanotte, Silvia lo aveva baciato. Questa non se l’era proprio aspettata. A lui Silvia piaceva tantissimo, anche se i suoi amici lo prendevano in giro. Sì, magari era una ragazza un po’ strana, però sembrava tanto dolce, ed era bellissima. Era proprio cotto, non poteva farci niente.
Quando si ritrasse, lo guardò fisso per qualche secondo. Luchino avrebbe voluto dire qualcosa, ma era ancora troppo sconvolto.
La ragazza fece un respiro profondo. “Non farti strane idee” disse, agitando minacciosamente l’indice davanti alla sua faccia. Però prima di voltargli le spalle gli sorrise.
Luchino cominciò ad agitarsi. “Oddioddioddioddio” si guardò intorno. “ODDIO!” esclamò a voce alta, e poco mancò che si mettesse a saltellare.
Cominciò a correre su e giù per il locale, finché non capitò addosso ad Elia.
“EI!” sbottò l’amico, poi lo guardò in faccia. “Ah, sei tu.” Non sembrava per niente contento, ma sulle prime Luca non ci fece caso.
“NON PUOI CAPIRE COSA MI È SUCCESSO” cominciò il biondino, afferrando Elia per le braccia e agitandogliele con energia. “Era partito il conto alla rovescia, no, zì, e io ti stavo cercando, ma invece ho trovato SILVIA. Silvia, hai capito? Quella della radio di Martino, e appena è finito il conto alla rovescia NON PUOI CAPIRE ELIIIII MI HA BACIATO!”
Davanti a tutto quell’entusiasmo, nonostante il malumore, Elia si sciolse.
“Grande zì” gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. “E mo? Dove l’hai lasciata?”
“È andata via e ha detto che non significava niente” ma il grande sorriso inebetito persisteva sul volto di Luchino. “Però secondo me le piaccio. Io appena la rivedo le chiedo di uscire. Anzi chiedo il suo numero a Martino. Ormai non mi ferma più nessuno!”
 
Giovanni stava osservando Luchino raccontare qualcosa ad Elia con una certa agitazione. Inclinò la testa e strizzò gli occhi, come se ci fosse la minima possibilità di leggere il labiale dell’amico.
Il via vai di gente si intensificò e li perse di vista, però continuò a fissare la folla, senza in realtà vederla.
“Cosa guardi?” gli chiese l’argentina.
Gio tornò a concentrarsi su di lei e le sorrise. “Niente” rispose.
In verità avrebbe preferito mollarla lì in mezzo alla pista per trascorrere il resto della serata con gli amici.
Sofia era perfetta: bella da mozzare il fiato, simpatica, intelligente, gentile, spiritosa. E baciava da Dio.
Però lui, quelle famose farfalle nello stomaco, non le sentiva. Si stava sforzando in tutti i modi, ma quella povera ragazza non suscitava in lui alcuna emozione. Era una piacevole compagnia ed era molto più che piacevole baciarla, ma… dov’era la scintilla? Non sapeva nemmeno di averne bisogno prima di sperimentare la sua assenza.
Con Eva, la scintilla non aveva mai dovuto cercarla. Era semplicemente esplosa la prima volta che le aveva rivolto la parola.
A proposito di Eva, sentì una stretta allo stomaco, ma stavolta per niente piacevole. Ogni volta che aveva incrociato la sua strada l’aveva sempre vista azzeccata a quello stronzo di Canegallo. E meno male che Eva aveva detto che quel bacio, quando stavano ancora insieme, non significava niente. Un po’ stronza magari lo era pure lei.
“Ciao ragazzi.”
Si voltò e vide Sana, che stava scambiandosi due baci sulle guance con l’argentina.
“Buon anno!”
Si fecero gli auguri. Sana gli piaceva. Non la conosceva bene, ma Martino parlava di lei come se fosse una a posto.
“Sai dirmi per la radio? Hai parlato con Silvia?” chiese Sofia a Sana. Lui non aveva idea di cosa dovessero discutere, quindi ne approfittò per restarsene in silenzio con i propri pensieri.
“Sì, ti stavo cercando per dirti proprio questo. Ha detto che se vuoi unirti al progetto non c’è problema, non c’era una scadenza per le iscrizioni.”
“Perfetto. Grazie! Non vedo l’ora!”
 
Sana salutò Sofia e Giovanni e raggiunse di nuovo Federica. Mentre si avvicinava le sorrise e le fece una linguaccia. Quella sera si erano divertite un mondo. Fede sembrava molto a suo agio, indossava un abitino nero con dei leggins che le stava davvero benissimo, ed era ricoperta di accessori dalla testa ai piedi: orecchini, collane, bracciali. Tintinnava ad ogni passo. Aveva messo persino i tacchi, lei che non li metteva quasi mai. Per fortuna la malinconia dell’altro giorno, quando c’era stato il problema dei pantaloni, sembrava essere sparita.
“Che ha detto?” domandò Fede appena fu raggiunta.
“Che si iscrive” rispose Sana, perdendo il sorriso.
“Cazzo!” anche Fede non era per niente contenta. Lei e Sana avevano scambiato quattro chiacchiere con l’argentina alla tombolata di Marti, ed era una ragazza molto simpatica, avevano parlato della radio e via dicendo. Il problema era che adesso l’argentina stava con Giovanni, e alla radio c’era anche Eva, ed Eva chiaramente non la poteva vedere, l’argentina.
“Che casino” disse Fede, dando voce ai suoi pensieri.
“Sì però Eva non è una bambina e ormai sta praticamente con Canegallo. Sopravviverà!” Sana avrebbe voluto dirlo con tono risoluto, ma parve soltanto incerta.
 
Lontano dal locale della festa dove stavano ballando tutti i loro amici, Martino e Niccolò erano nel letto di quest’ultimo.
Erano nudi sotto le coperte, rivolti l’uno verso l’altro, appiccicati e con le gambe intrecciate, si fissavano negli occhi.
Nico si sporse oltre la spalla di Marti per sbirciare la sveglia sul comodino.
“La mezzanotte è passata” disse.
“Auguri, allora” rispose Martino, baciandolo.
“Ci siamo persi l’inizio dell’anno nuovo!”
“Non ce lo siamo perso. Io me lo ricordo molto bene cosa stavamo facendo” replicò ancora, con un sorriso malizioso.
Niccolò rise e gli lasciò qualche leggero bacio sul collo, poi lo guardò di nuovo. “Ti amo” sussurrò.
Il sorriso di Martino avrebbe potuto illuminare tutta Roma. “Ti amo anche io” rispose senza esitazione.

Fine capitolo dodici

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Imboscata ***


Capitolo tredici
Imboscata
2 gennaio
 
Eleonora non si limitò ad aprire la porta di casa, praticamente la spalancò. Silvia, Sana, Eva e Fede erano arrivate tutte insieme e la travolsero in un abbraccio.
L’indomani Ele sarebbe ripartita, e cominciavano già a sentire la sua mancanza.
Attraversarono il corridoio e passando davanti al salotto videro Filippo sdraiato sul divano, intento a scorrere la home di Netflix sul televisore, alla ricerca di qualcosa da vedere.
“Ciao, meravigliose” le salutò con un sorriso.
“Sempre meglio, quei capelli” commentò Eva con una piccola risata, ma non era di scherno. Da quando si conoscevano si divertivano a prendersi in giro le capigliature.
Filippo, infatti, proprio quella mattina aveva tinto di rosa shocking una ciocca al lato della testa.
“Zitta te, che sei una roscia!”
 
In camera di Eleonora, Eva e Sana si sistemarono sul pavimento. Avevano portato zaini, libri e quaderni, perché avevano dei compiti in classe per tre giorni di fila appena fosse ricominciata la scuola, e ancora non avevano studiato nulla. Le altre tre si sedettero a gambe incrociate sul letto.
“Che figo che è tuo fratello” sospirò Silvia, guardando Ele.
Fede rise. “Ho un buon proposito per questo nuovo anno: smettiamola di prendere cotte per ragazzi gay.”
“Mi stava raccontando che alla festa di capodanno a momenti scopava nei bagni con questo qui che aveva conosciuto dieci minuti prima” Ele scosse la testa rassegnata. “E adesso questo lo sta tartassando di messaggi su Instagram perché vuole rivederlo.”
“E perché non ci esce?” domandò Eva, mentre Sana le afferrava il mento con la mano per costringerla a rimettere la testa sul libro.
“Lui è fatto così. Dice che vuole concentrarsi sull’università e non vuole una relazione seria.” Abbassò un po’ la voce. “Secondo me è perché l’ultimo anno di liceo è stato mollato dal fidanzato con cui stava da due anni. È saltato fuori che lo tradiva da un po’ con un altro e aveva deciso di stare con quello lì, così ha mollato Filo. Mio fratello non se lo aspettava proprio, ricordo che è stato malissimo.”
“Ha perso fiducia nell’amore?” chiese Silvia con aria triste.
Eleonora ci pensò un po’ su. “No” rispose infine. “Forse solo per sé, credo. Non vuole innamorarsi più solo perché ha paura di soffrire di nuovo.”
 
Dopo un paio d’ore in cui Sana ed Eva avevano studicchiato con l’aiuto delle amiche, decisero di uscire. Non fecero neppure in tempo a girare l’angolo del palazzo, che si scontrarono con Edoardo, Federico, Chicco Rodi e Rocco Martucci.
“Stronzo!” borbottò Federico, dando un pugno sulla spalla ad Edoardo. “Me lo potevi dire.” Poi guardò Eva e fece un cenno di saluto con la testa. A dispetto della reazione iniziale, non sembrava troppo turbato. O almeno questa fu l’impressione che cercò di dare.
Eva si limitò a mormorare un “Ciao”.
Federica sorrise appena vide Chicco e lo salutò con la mano. Lui ricambiò e le fece l’occhiolino.
“Ciao, Edoardo” disse Silvia con aria un po’ troppo sognante. Sana le diede un pizzicotto sulla mano. “Ahi!”
“Ciao, ragazze” rispose Edoardo, ma anche se il saluto era rivolto a tutte, aveva gli occhi fissi su Eleonora.
“Cosa ci fate qui?” domandò subito la ragazza, incazzata nera.
Federico, Chicco e Rocco spostarono lo sguardo su Edo. Con una scusa, li aveva trascinati lui in quella zona. In un messaggio insolitamente cortese, Ele gli aveva detto che sarebbe partita il giorno seguente, e lui voleva rivederla un’ultima volta prima di dover aspettare mesi.
“Un giro” rispose, vago.
Quella era un’imboscata vera e propria e ad Eleonora non piacque affatto.
“Beh, buon proseguimento” disse con voce dura, afferrò Silvia per un polso e cominciò a camminare. Le altre le seguirono.
“Quando parti?” le urlò dietro Edoardo.
Ele si morse la lingua. Stava quasi per rispondergli ‘Lo sai benissimo quando parto!’.
“Domani” rispose Sana, al suo posto. Le due ragazze si scambiarono un’occhiata.
“Posso salutarti?” chiese il ragazzo avvicinandosi, senza distogliere lo sguardo da Eleonora.
Lei non rispose e lui si chinò per baciarle le guance, poi le accarezzò una ciocca di capelli. “Buon viaggio.”

Fine capitolo tredici

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Bene ***


Capitolo quattordici
Bene
3 gennaio
 
Eleonora era partita quella mattina.
Le ragazze non erano andate in aeroporto per un addio struggente tra le lacrime come si vede nei film, ma erano comunque malinconiche. Salutarla era stato ancora più difficile della prima volta, perché adesso sapevano com’era sentire la sua mancanza.
Eva non riusciva neppure a concentrarsi sullo studio.
A onor del vero, a turbarla non era soltanto la partenza di Ele.
Federico continuava a chiederle di vedersi, ma lei non ne aveva voglia e stava finendo le scuse per rifiutare. Non sapeva neppure perché non voleva dirgli chiaro e tondo che non le andava di vederlo in quei giorni. Di certo non per non ferire i suoi sentimenti (sempre che Fede li avesse, dei sentimenti), perché non stavano davvero insieme, e sapeva che proprio il giorno dopo la festa di capodanno lui si era visto con un’altra della scuola.
Il punto era che, in fondo, Eva non era materiale per relazioni aperte di quel genere. Non ce la faceva proprio ad andare a letto con più di un ragazzo alla volta e nemmeno le stava bene che Federico la considerasse soltanto una tacca sul muro. Il problema era proprio che non voleva ammetterlo, non voleva ammettere di non essere in grado di reggere una relazione del genere.
Le arrivò un nuovo messaggio, ma stavolta nella chat di gruppo con le amiche:
Sana: Stasera pizza?
Fede: Andata
Ele: Vengo anche io! Ah, no…
Sana: Adesso ci deprimiamo
Fede: Infatti
Ele: Scusate ragazze ahahaha
Silvia: Ci sono anche ioooooo
Eva: Non sono molto in vena…
Ele: Che succede?
Sana: Why!?
Eva: Niente di che
Fede: Dai, non farti pregare!
Silvia: Dai Evaaa
Sana: Tutte o nessuna
Ele: Adesso sei costretta
Eva: Ricattatrici
Sana: Lo prendo per un sì
 
Alla fine Federica propose la pizzeria preferita di Eva per cercare di tirarla su di morale, anche se l’amica non voleva ancora confessare il motivo del malumore.
Pessima scelta.
Mentre seguivano la cameriera che le stava accompagnando al tavolo, videro sedute in un angolo della sala delle persone ben note.
Sembrava proprio un’uscita a quattro, e infatti lo era: un ragazzo del terzo anno di cui Eva non ricordava il nome sedeva accanto ad Emma Covitti e aveva un braccio intorno alle sue spalle. Di fronte la ragazza era seduta la sua migliore amica, la famosa argentina. E ovviamente, con lei…
“C’è Giovanni” mormorò Federica.
Eva lo aveva già visto. “Ci venivamo spesso insieme, qua.” Lo aveva detto per spiegare che non era poi tanto strano averlo incontrato, ma la voce le uscì incerta.
In quel momento Emma le vide e agitò una mano per salutarle. Tutte ricambiarono e le sorrisero.
Si girarono anche Sofia e Giovanni.
Quando Gio vide Eva, il sorriso gli morì sulle labbra. Rimase a fissarla negli occhi finché le ragazze non si allontanarono per andare finalmente a sedersi al loro tavolo.
“Tutto ok?” gli chiese Sofia, che sapeva del passato tra Eva e Giovanni. Però lui era stato molto vago su come fosse il loro rapporto, quindi non sapeva se era stata una storia d’amore importante oppure no.
“Sì, certo” rispose Gio. Tornò a concentrarsi sulla sua pizza, ma improvvisamente gli era passato l’appetito.
 
Con la coda dell’occhio aveva sbirciato il tavolo delle ragazze e aveva visto che avevano finito e stavano per uscire.
Giovanni diede un bacio sulla guancia di Sofia, poi si rivolse a tutti.
“Scusatemi, esco un secondo, devo… telefonare a mia madre.”
Si infilò in fretta il giubbotto e, ricordandosi al volo di prendere il cellulare dal tavolo, uscì dal locale.
Le aspettò non lontano dalla porta, vicino ad un muro senza finestre, e chiese ad Eva di parlarle un secondo. Le altre ragazze aspettarono il via libera della rossa, poi si avviarono verso la fermata dell’autobus.
Quando rimasero soli, Giovanni non riuscì neppure a guardarla negli occhi.
“Allora?” domandò Eva, un po’ spazientita. E anche un po’ arrabbiata. Senza motivo, ovviamente. Lei gli aveva sbattuto in faccia Federico, di certo Gio era autorizzato ad uscire con l’argentina. Ma comunque…
Finalmente Giovanni alzò lo sguardo. “Come stai?”
“Bene.” Il tono di Eva si addolcì.
“Bene” ripeté lui.
Bene, invece di Mi manchi.
Bene, invece di Ti amo ancora.
Rimasero a guardarsi in silenzio per un po’, poi Gio le sorrise e tornò dentro, lasciandola da sola e con il cuore un po’ più pesante.

Fine capitolo quattordici

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Chiacchiere tra ragazzi ***


Capitolo quindici
Chiacchiere tra ragazzi
4 gennaio
 
Mamma Rametta era di nuovo al cinema, stavolta non da sola ma con una collega di lavoro, così Martino aveva riunito i Contrabbandieri nel suo salotto.
Niccolò era sul divano, con Marti seduto ai suoi piedi sul tappeto. Elia era seduto accanto a Nico, ma a distanza, perché stava al cellulare e non voleva far vedere lo schermo agli altri.
Anche Luchino e Giovanni erano seduti per terra, con la schiena contro il mobile dov’era il televisore.
“Comunque alla fine io davo quasi completamente le spalle al loro tavolo, quindi non è che mi sono concentrato su di lei” stava raccontando Gio. “Però quando sono uscite, sono uscito pure io per andare a parlarle.”
“Ma sei serio?!” esclamò Martino esasperato, e Niccolò mosse la gamba alla quale il ragazzo era appoggiato per dargli un colpetto.
“Ahi! Che c’è?!” si lamentò.
“Si vede che è innamorato, dai” disse Nico. “Non trattarlo così.”
“Ma davvero, zì?” Elia alzò gli occhi dal profilo Instagram di Filippo. “Ci stai ancora sotto? E l’argentina allora?”
Sotto gli occhi di tutti gli amici, Giovanni rimase in silenzio.
“Sei andato a parlarle e beh? Che le hai detto?” chiese infine Luchino.
“Niente” rispose Gio.
“In che senso ‘niente’?” indagò Martino.
“Nel senso che le ho chiesto come stava, lei ha risposto che stava bene, io non ho detto più niente e me ne sono andato. Che figura di merda, raga.”
Elia trattenne una piccola risata, Luchino si fece pensieroso, perché in fondo lui di figure di merda ne aveva fatte di ben peggiori, Marti e Nico invece lo guardavano con un sorriso affettuoso. Quando si è innamorati si vede tutto con il filtro dolcezza.
“Comunque non è che voglio tornare con lei, eh” specificò Giovanni.
“Ne sei proprio sicuro?” gli chiese Niccolò, con tono scettico e divertito.
Elia rise e abbassò di nuovo lo sguardo sul cellulare. Filippo gli sorrise da una foto ed Elia si sentì sporco, come se stesse facendo chissà cosa di sconcio e proibito. Uscì dall’app in fretta e furia e addirittura mise il cellulare in tasca.
“Sì, sono sicuro. Non dimentichiamoci che lei ha baciato un altro mentre stavamo insieme, e che adesso se lo scopa.” Gio distolse lo sguardo dagli amici. “Comunque anche se ci amavamo non eravamo compatibili insieme, ci siamo feriti a vicenda un sacco di volte, lo sappiamo tutti.” Sembrava quasi che stesse parlando tra sé.
Martino si sentiva ancora in colpa per quello che aveva fatto a Gio ed Eva l’anno precedente, e alzò un braccio per cercare la mano di Nico sul divano e stringergliela.
“Sì, ma dimentichiamo Eva per un attimo” riprese il discorso Elia. “Cosa vuoi fare con Sofia? Cioè, zì, è l’argentina. Vuoi davvero mollarla? Cos’è che non ti piace?”
“Avete già scopato?” domandò Luchino, con il suo solito tatto.
A Gio sfuggì una risata. “Zì, ma saranno cazzi miei.”
“Allora la risposta è no” disse Martino.
“Pure te ti ci metti?!?!” si lamentò Giovanni, ma stava ridendo insieme agli amici.
“Dai, chissenefrega se avete scopato, rispondi a me.” Elia cercò di richiamarli all’ordine.
“Boh zì ma che ne so, non mi smuove niente.” Poi vide che gli altri ridacchiavano. “Non in quel senso!!”
“Senti” disse Nico con serietà. “Se non vuoi stare con lei e se mentre sei con lei pensi a un’altra, allora mollala. Non è giusto ingannarla. Io l’ho fatto con Maddalena e me ne pento ogni giorno.”
Martino rafforzò la stretta alla mano del ragazzo. “Ma la tua situazione era diversa” gli disse, girando la testa per guardarlo.
Niccolò ricambiò la stretta. “Sì, ma non sono mica tanto sicuro che giustificasse la mia stronzaggine, sai?”
Ci fu qualche altro attimo di silenzio in cui tutti sembrarono assorti nei propri pensieri.
“Vabbè, zì, io mi sa che la mollo” disse infine Giovanni.
 
Più tardi quella sera parlarono di cose più leggere, tipo il bacio tra Luchino e Silvia e di come lui avesse deciso di provarci con lei, perché quel gesto gli aveva acceso la speranza.
“Me lo dai il suo numero di telefono?”
“Va bene, fra, ma mi devi promettere che non comincerai a tartassarla di messaggi” rispose Martino.
“Giuro!” Luchino si portò una mano al petto.
“Il cuore è dall’altro lato” gli fece notare Elia, e tutti risero.

Fine capitolo quindici

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Messaggi ***


Capitolo sedici
Messaggi
5 gennaio
 
Casa di Sana, sabato pomeriggio.
Mancavano due giorni al ritorno a scuola, e Sana e Silvia stavano studiando come matte. O almeno, Sana lo stava facendo. Silvia continuava a distrarsi con il telefono.
“Vuoi concentrarti, per favore?”
Silvia fece un versetto infastidito e a malincuore posò il cellulare.
Era sdraiata sul letto di Sana, mentre la padrona di casa era seduta alla scrivania.
“Hai solo hijab neri? Non ne hai di altri colori?”
Sana si voltò per lanciarle un’occhiataccia. “Studia!
Ma in quel momento fu proprio lei a ricevere un messaggio.
“E adesso chi è che si distrae?” la apostrofò Silvia con la sua solita vocina cantilenante.
Sana controllò il telefono.
“Eva vuole sapere se abbiamo noi il suo quaderno di matematica” disse.
“Non mi pare” rispose Silvia, infilando la testa nel proprio zaino.
Sana fece lo stesso. “Idem” disse a voce alta, poi rispose al messaggio.
Studiarono in silenzio per un po’, poi furono interrotte dalla madre di Sana, che portò loro tè e biscotti.
“Tua madre è così gentile” commentò Silvia, quando furono di nuovo sole, mentre immergeva un biscotto nella tazza.
Sana non disse nulla, stava sorseggiando il suo tè senza distogliere gli occhi dal libro di greco.
Allora anche Silvia si zittì e cominciò a far vagare lo sguardo per la stanza della sua amica. Non era la prima volta che ci entrava ma non si era mai soffermata sui dettagli. Alle pareti erano appese fotografie e citazioni di donne di cui Sana aveva parlato insieme a Martino nel programma alla radio. Quasi tutto il mobilio, invece, era molto anonimo, anche se su alcune mensole c’erano varie foto incorniciate, per la maggior parte con la sua famiglia e con le amiche.
Le sfuggì un sospiro, mise via i biscotti e soffiò sul tè ancora caldo.
“Scusami” disse Sana all’improvviso, alzando la testa dal libro e posando la tazza. “Non voleva essere acida, oggi.”
“Lo sei stata tutto il pomeriggio, però” le fece notare Silvia, non con rancore ma come in cerca di una spiegazione.
“È solo che ho tante cose per la testa. Lo studio, la radio…” il segreto di Eleonora e i rimproveri della madre, che non era contenta di come stava affrontando l’adolescenza perché sembrava allontanarsi sempre di più dalla sua cultura. Proprio quella mattina avevano avuto una brutta discussione.
“Ti perdono” le disse Silvia, ma Sana era di nuovo persa nei suoi pensieri. “E questo chi è, adesso?”
Sana si riscosse. “Chi?”
Silvia stava guardando il cellulare. “Un messaggio da uno che non conosco.” Lo lesse. “Oddio, è l’amico di Martino.”
“Quale?”
“Quello basso.”
“Luca?”
“Sì. Quello che ho baciato alla festa di capodanno.”
Come, prego?” Sana spalancò gli occhi, poi le sfuggì una risata.
“Avevo bevuto” si giustificò immediatamente Silvia.
“Non avresti dovuto” la rimproverò l’amica, ma il tono non le uscì serio come sperava, perché stava ancora ridendo.
“Mi ha chiesto di uscire” Silvia la guardò con gli occhi sgranati. “Ma è pazzo?”
“Leggi” le ordinò Sana, e riprese a bere il tè. Stava morendo di curiosità.
“Dice: Ciao Silvia sono Luca l’amico di Martino scusami se ho chiesto il tuo numero a lui ma volevo dirti che mi ha fatto piacere incontrarti alla festa e che sei molto carina e volevo sapere se ti andrebbe ti uscire con me una di queste sere ciao” lo lesse così, tutto d’un fiato, poi guardò Sana con aria sconvolta. “E che gli dico?”
“Ma come ‘che gli dico’?” Sana rise. “Digli di sì.”
“Ma io non ci voglio uscire” replicò Silvia, come se fosse ovvio.
“E perché no? Sinceramente tra gli amici di Marti sembra l’unico decente.”
“Ma sei matta? È Giovanni quello più bello, ma tanto è ancora pazzo di Eva.”
“Non mi riferivo alla bellezza” mormorò Sana, alzando gli occhi al cielo.
“Dai Sana aiutami! Che gli dico?”
“Ma perché non vuoi uscirci?”
“Perché, beh, magari adesso che ricomincia la scuola, pensavo che potrei provare a diventare di nuovo amica di Edoardo, e poi magari chiedergli di uscire di nuovo. È diventato più gentile ultimamente, no?”
Sana non rispose. Pensava al segreto di Eleonora, a tutti i messaggi che Edoardo le mandava e che cominciavano a non dispiacerle più. L’amore tra adolescenti doveva per forza essere così complicato?
“Lo so che pensi che sia una pessima idea” aggiunse Silvia, abbassando lo sguardo sui biscotti. Fu tentata di prenderne un altro ma resistette.
“Senti.” Sana fece un respiro profondo. “Edoardo non vorrà mai uscire seriamente con te. Anzi, se proprio lo vuoi sapere, dubito che nei prossimi anni uscirà mai seriamente con una qualsiasi ragazza, con una vera relazione e tutto il resto. E anche se dovesse succedere, non sarà con te. Lo so che lui ti piace, ma ti ha già fatto capire che non vuole stare con te e non cambierà idea.”
Non era giusto che dovesse toccare sempre a lei fare la stronza, ma Silvia a volte viveva troppo tra le nuvole e qualcuno doveva pur dirle per il suo bene come stavano le cose. Non lo faceva con cattiveria, ma proprio perché le voleva bene. E poi c’era la faccenda di Ele, ovviamente. Quando Silvia lo avesse scoperto, perché sicuramente sarebbe successo, ci sarebbe stata malissimo. Meglio se per quel giorno si fosse almeno tolta Edoardo dalla testa.
Silvia non disse nulla per un po’ e Sana temette di vederla scoppiare in lacrime. Si alzò e si sedette sul letto accanto a lei, abbracciandola.
“Facciamo così” le disse. “Per il momento preoccupiamoci di questo Luca. Scrivigli che in questi giorni sei molto impegnata per lo studio, e basta.”
“Sì.”
“Ma non trattarlo male, perché è stato carino.”
“Non volevo trattarlo male” disse Silvia a voce bassa. “È stato carino anche alla festa, altrimenti mica lo avrei baciato.”
Anche se le parole di Sana l’avevano ferita, sapeva che anche quando sembrava una stronza in realtà pensava di dire qualcosa di giusto. E in fondo neppure lei era così ingenua da pensare che sarebbe stato facile avere un’altra occasione con Edoardo e riuscire a conquistarlo.
Silvia ricambiò brevemente l’abbraccio di Sana, poi rispose a Luchino.

Fine capitolo sedici

(Scusate il ritardo nella pubblicazione, ma almeno sono riuscita a non saltare il giorno. Volevo anche ringraziare tutti voi che state seguendo e commentando questa storia <3)

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Cioccolata e confessioni ***


Capitolo diciassette
Cioccolata e confessioni
6 gennaio
 
Quando la madre di Marti si svegliò era tardi, e quando uscì dalla sua stanza, ancora in pigiama, lo trovò già seduto a tavola a fare colazione. Perlomeno era ancora in pigiama anche lui.
“Ce l’abbiamo fatta a uscire dal letto, eh” scherzò il figlio, alzandosi per andarle a riempire la tazza di caffè.
“Buongiorno” replicò la donna, con uno sbadiglio. Poi notò una calza della Kinder sul tavolo. “E questa?”
“È per te” rispose Martino, portandole il caffè e sorridendole. Mamma Rametta aveva un debole per il cioccolato Kinder.
“Scusa, hai detto che tu eri troppo ‘vecchio’ per la calza della Befana e non l’hai voluta, però per me va bene?”
“Se non ti va…” disse Marti, e fece per avvicinarsela, ma la madre fu più veloce e la tirò a sé mentre finalmente si sedeva.
“Non ci provare” gli disse ridendo. La aprì ed estrasse due Kinder Sorpresa, passandone uno al figlio.
Bevvero il caffè, mangiarono, addirittura si misero a montare le sorprese uscite dagli ovetti.
Se le stavano ancora rigirando tra le mani quando la donna chiese: “Hai sentito tuo padre?”
Martino annuì. “Mi ha chiamato per sapere se andavo a pranzo da lui oggi, ma gli ho detto che non posso. Abbiamo ospiti qui.”
“Marti, non va bene sparare cazzate. E lo so che sei arrabbiato, ma non è giusto escluderlo così dalla tua vita.”
“Risparmiami il discorso. Tanto per cominciare lo escludo quanto mi pare.” C’era un pizzico di rabbia nella sua voce, ma non era destinato alla madre, era col padre che era ancora incazzato nero. “E non era una bugia. I genitori di Gio saranno tutto il giorno in ospedale da una cugina che si è rotta non ho capito cosa, e l’ho invitato a pranzo qui con il fratello.”
Cosa?” Mamma Rametta si guardò intorno come se si aspettasse di vederli spuntare da un momento all’altro. “E quando pensavi di dirmelo?!”
“Ieri sera, dopo averli invitati, ma mi pare che qualcuno qui abbia fatto le ore piccole e sia tornato a casa dopo che mi sono addormentato.” Inarcò un sopracciglio e aspettò spiegazioni con un sorrisetto che non riuscì a trattenere.
La madre abbassò lo sguardo con aria colpevole. “Scusa. Lucia e Marianna mi hanno portato in questo localino a Trastevere troppo carino, e…”
Lucia e Marianna erano sue colleghe di lavoro e amiche. Nelle ultime settimane non solo aveva ricominciato a uscire, ma aveva anche smesso di farlo da sola e si era lasciata di nuovo coinvolgere dalle amiche che aveva trascurato a lungo.
“…e quindi alla fine abbiamo fatto tardissimo e non ce ne siamo neanche accorte.”
Martino scosse la testa con aria di finto rimprovero. “Così non va proprio bene. Sei in punizione, non esci per una settimana.”
“Scemo!” Mamma Rametta rise e diede un leggero schiaffo amichevole sulla mano del figlio. “Comunque cosa dovrei preparare? Non ho neppure fatto la spesa! E Niccolò? Viene anche lui a pranzo?”
“No, è partito per l’Umbria con i suoi ieri mattina. Tornano stasera tardi, probabilmente” rispose il ragazzo, con il lieve sorriso che non mancava mai quando si parlava di Nico. “Comunque la spesa l’ho fatta ieri. Cuciniamo io e Gio, non ti preoccupare.”
Mamma Rametta rivolse uno sguardo malinconico all’angolo cucina. “Addio!” esclamò con melodramma. “È stato bello finché è durato, mi dispiacerà vederti prendere fuoco, ogg-”
“Ah ah ah” finse di ridere Marti, tirandole in testa il fogliettino delle istruzioni di un Kinder Sorpresa.
 
Più tardi, quel giorno, in casa Rametta si respirava un’atmosfera serena e rilassata.
Avevano finito di pranzare ma ancora nessuno aveva avuto fretta di sparecchiare e lavare i piatti.
La madre di Marti era ancora seduta a tavola con il fratellino di Giovanni, stavano giocherellando con le sorprese degli ovetti che il piccolo Garau aveva trovato nella calza che Martino gli aveva regalato.
I due ragazzi, invece, erano sul divano a giocare a Fifa.
“Senti…” disse Gio, lanciando un’occhiata al fratellino. Lui e la madre di Marti erano concentratissimi e c’era musica natalizia in sottofondo, così si sentì libero di parlare. “L’ho mollata.”
L’amico mise la partita in pausa. “Sofi? L’hai davvero lasciata?”
“Sì, ieri sera.”
Si guardarono negli occhi.
“E come stai?”
“Bene” rispose Giovanni. “Cioè, zì, ancora mi chiedo cosa cazzo c’ho che non va per stare con una come l’argentina e mollarla, però per il resto sto bene.” Si sforzò di sorridere.
Sembrava così abbattuto, dietro quel sorriso, che a Martino si spezzò il cuore.
“Gio. È colpa mia” gli disse.
“Sono io che ho pescato quel cazzo di numero, zì. Col senno di poi dovevo lasciarla ad Elia, adesso saremmo tutti più contenti. Lui di sicuro.”
“No, mi riferivo ad Eva. È colpa mia se tu ed Eva vi siete lasciati.”
“È colpa mia pure quella, Marti. Mia e sua.”
“No” Martino fece un bel respiro e posò addirittura il joystick. “Ti devo dire una cosa. È colpa mia.”
“Lo so che cosa mi devi dire” disse Gio con serietà. Sperava da tempo che prima o poi Martino trovasse il coraggio di parlargliene.
“Davvero?” Marti sembrava ancora più in agitato di quando stava per confessargli la verità. “Te lo ha detto Eva?”
“Zì, ti prego. Non sono così idiota. L’ho capito da solo che eri stato tu a far scoppiare il casino.”
Martino rimase in silenzio.
“Avevamo un sacco di problemi” continuò Giovanni. “Se fossimo stati felici non ci avresti mai fatto una cosa del genere. Lo so.”
Marti annuì. “Te lo giuro” confermò. “È solo che… il fatto che stavi con lei ma ci stavi male, e poi il fatto che stavo male io perché ero…” si interruppe.
“Geloso?” gli suggerì Gio con un sorriso.
“Sì, un po’ geloso” ammise l’amico.
“Allora è proprio vero che non ti faccio schifo.” Ormai stava proprio gongolando.
“Bè, qualsiasi cosa fosse, sappi che mi è completamente passata, ok?” e sollevò persino le mani in segno di resa.
“Ah, tranquillo zì, tu e Nico insieme siete talmente smielati che nessuno potrebbe avere dubbi sui tuoi sentimenti.”
E la conversazione si concluse con le risate di entrambi.

Fine capitolo diciassette

(Mi sa che la sto portando troppo per le lunghe quindi penso che i prossimi capitoli saranno un po’ più corposi e cercherò di far procedere le varie storyline più velocemente. Se avete voglia di dirmi se i capitoli vi vanno bene così come li sto scrivendo o se anche voi vorreste un’accelerata, ogni parere è ben accetto!)

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Uno scopo nella vita ***


Capitolo diciotto
Uno scopo nella vita
7 gennaio
 
Il rientro a scuola era stato faticoso per tutti, ma soprattutto per Martino e Niccolò, che avevano studiato ben poco durante le vacanze natalizie.
Finalmente avevano un po’ di tregua, perché era iniziato l’intervallo.
Nico e Luchino raggiunsero Marti, Gio ed Elia in classe di questi ultimi.
“Abbiamo portato i caffè” esordì Luchino, spuntando dalla porta con un bicchiere per mano. Subito dietro di lui fece la sua comparsa Niccolò, che invece portava un quaderno rigido a mo di vassoio con sopra quattro bicchieri.
“Ce n’è uno in più” disse Elia, afferrando il primo bicchiere dal quaderno che l’amico gli aveva avvicinato.
“No, è che questi sono tutti e due miei” specificò il biondino, cominciando a bere il primo caffè e sedendosi su un banco vicino a Giovanni.
Niccolò invece finì il giro con il vassoio improvvisato e si sedette accanto al proprio ragazzo, però Marti scolò in fretta il suo caffè.
“Scusate, ma io vi abbandono cinque minuti” disse, alzandosi con un saltello.
“’ndo vai, zì?” chiese Gio.
“Da Sana” rispose semplicemente Marti.
 
E infatti raggiunse la ragazza in classe, dov’era piuttosto sicuro di trovarla. Era seduta in un angolo dell’aula, con la testa china sul quaderno. Scriveva freneticamente.
Martino entrò e bussò su un banco per attirare la sua attenzione.
Sana alzò la testa. “Ciao” disse, sorridendo appena lo vide.
“È un brutto momento?”
“Qualsiasi momento sarebbe brutto oggi, quindi tanto vale” e chiuse il quaderno. “Che succede?”
“Niente, volevo solo sapere come ci organizziamo per mercoledì” rispose Marti.
“Cavolo! La radio!” Sana si portò una mano alla fronte e cominciò a massaggiarsela con le dita. “Me n’ero proprio scordata, non ho preparato niente, non ho neanche deciso di chi parlare.”
“Posso?” domandò Marti, tirando fuori un foglietto dalla tasca e sventolandolo.
Sana attese, curiosa.
“Ada Lovelace. Era una matematica” lesse il ragazzo. “Poi avevo pensato ad Amelia Earhart, che era un’aviatrice, c’è pure nel film Una notte al museo, lo conosci, no?” la guardò per un momento. “E poi magari potremmo parlare di Cleopatra. Era una forte e la conoscono tutti, più o meno, ma non l’abbiamo ancora nominata.”
“Sono impressionata” disse Sana, e lo era davvero. Martino l’aveva sempre aiutata con impegno negli ultimi tempi, ma era la prima volta che proponeva qualcosa di sua iniziativa.
“Ti piacciono?” chiese lui, un po’ incerto.
“Molto. Le conosco vagamente ma non ho mai approfondito. Lo so che hai anche tu una marea di roba da ripassare in questi giorni, ma pensi di riuscire a scriverne due entro mercoledì?”
Martino si avvicinò di qualche passo, prese una sedia e si sedette davanti al suo banco. “Ci provo. Ma va tutto bene?”
Sana sembrava un po’ preoccupata, infatti. Attese un po’ prima di rispondere, e quando lo fece, non lo guardò in viso ma giocherellò con un angolo del quaderno.
“Non sono andata molto bene nelle ultime interrogazioni. Devo recuperare.”
“Pensi di non farcela?” Martino appoggiò un braccio sul banco. Era come se volesse farle sentire la sua vicinanza senza però toccarla. Sembrava un argomento un po’ scemo, qualche interrogazione andata male, ma ormai il ragazzo aveva imparato a conoscerla e sapeva che se appariva così abbattuta probabilmente c’era qualcos’altro sotto.
“Certo che ce la faccio, per chi mi hai presa!?” Sana si riscosse e lo guardò come faceva sempre, con un sorrisetto che sapeva di disapprovazione tradito da occhi inteneriti.
Martino alzò le mani. “Ovvio, ovvio” le sorrise. “Comunque visto che le ho scelte tutte e tre io, le preparo tutte e tre io. Non è un problema per questa volta, tanto oggi e domani ho poco da studiare.”
Era una bugia, ma sperava di poter chiedere aiuto a sua madre, che adorava il programma e probabilmente era anche l’unica ad ascoltarlo.
Si alzò e si avviò alla porta, ma prima di uscire si girò di nuovo verso Sana. “Grazie per avermi coinvolto questa cosa della radio. Mi piace. Penso… penso che continuerò a farlo, dopo aver finito il liceo.”
“Davvero?” Sana era piacevolmente sorpresa.
“Sì. Non ho mai avuto qualche aspirazione, non mi è mai piaciuto niente così tanto da decidere di farlo come lavoro. A parte giocare a Fifa, ma non mi sembra una carriera che mia madre approverebbe.”
Sana rise.
Martino continuò. “È come se finalmente avessi uno scopo nella vita” le disse. “Grazie per avermi ricattato.”
“Grazie a te per l’aiuto” sorrise lei. Anche Sana ultimamente sentiva di aver trovato uno scopo nella vita, una passione che voleva approfondire, ma non era ancora pronta a svelarla a qualcuno.
“E sono contento anche che siamo diventati amici” aggiunse Marti.
“Beh, adesso non ti allargare!” esclamò Sana, alzando gli occhi al cielo.
 
Quando Martino tornò nella propria classe, vide i suoi amici radunati con le teste chine sul suo banco.
“Che succede?” domandò.
Gio ed Elia stavano mostrando a Luchino, e soprattutto a Niccolò, tutte le ‘N’ che Marti aveva scarabocchiato in un angolo del suo libro di inglese.
“Infami del cazzo!” li apostrofò, ma quando suonò la campanella per segnare la fine dell’intervallo, stavano ridendo tutti e cinque.

Fine capitolo diciotto

(Volevo precisare una cosa sulla nota che ho lasciato ieri: il mio progetto prevede di pubblicare un capitolo al giorno fino a quando mancheranno una decina di giorni o una settimana circa all’inizio della nuova stagione, quindi non intendevo dire che voglio accelerare le cose per finire prima. Comunque vada, finirò pochi giorni prima del ritorno della serie. Però sto pensando a come far procedere la storia e se la terza stagione partirà a inizio marzo invece che a fine marzo (non ho idea di quando potrebbe partire) ho paura di non fare in tempo a sviluppare bene le storyline. Quindi ho deciso di scrivere capitoli un po’ più lunghi dove far succedere più cose, come se fossero due clip al giorno invece di una. Grazie per i commenti e i consigli!)

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Chiarimenti ***


Capitolo diciannove
Chiarimenti
8 gennaio
 
In teoria Elia avrebbe dovuto avere fretta, perché quella mattina le prime due ore aveva un compito in classe e non mancava molto al suono della campanella, ma non era proprio dell’umore giusto per farsela di corsa. Anzi, era quasi tentato di fare tardi appositamente ed essere lasciato fuori, tanto comunque non aveva studiato granché.
Con il giubbotto ben stretto, perché in quei giorni si gelava (almeno per gli standard romani), le mani in tasca e lo zaino in spalla, girò l’angolo della strada che circondava il cortile della scuola, e la prima cosa che vide fu Filippo.
Era lontano, vicino al cancello d’ingresso, e parlava con Eva.
Anche lui era ben coperto e aveva persino un cappello che nascondeva i capelli platino, ma era impossibile non riconoscerlo, anche a quella distanza e tra il via vai di ragazze e ragazzi che entravano a scuola.
Filo salutò Eva con un bacetto su entrambe le guance, poi si voltò proprio nella direzione di Elia per incamminarsi e andarsene. Aveva tirato fuori il telefono, quindi non si accorse subito di lui.
Per un folle momento Elia pensò di nascondersi. Dove? In mezzo alla strada, pronto a farsi buttare sotto da un’auto? Dietro un albero, così se lo avesse visto lo stesso avrebbe dovuto spiegare cosa diamine stava facendo? Ma poi, perché mai avrebbe dovuto nascondersi?!? Era un semplice amico di Marti, non un serial killer che gli dava la caccia.
Cercò di mantenere il controllo, ma non si mosse, restò fermo all’angolo della strada in attesa che Filippo gli andasse a sbattere contro.
Ma non successe, perché Filo alzò gli occhi dal telefono a pochi metri di distanza, e lo vide subito.
Sorrise. “Ei, buongiorno” lo salutò, colmando la distanza con passi rapidi.
“Ciao” rispose Elia, che si sentiva vulnerabile, come se Filippo potesse leggergli nel pensiero che aveva passato in rassegna tutte le sue foto su Instagram. Peccato non potesse sapere che Filippo aveva fatto lo stesso.
“Come va?” chiese Filo, sempre con il sorriso. Al contrario di Elia, era abbastanza rilassato. In primo luogo, si era aspettato di poterlo incontrare. Anzi, aveva sperato di incontrare Marti per salutarlo, ma doveva essere già dentro. E poi, aveva deciso di smetterla di fantasticare su quel ragazzo, di toglierselo dalla testa. Non lo conosceva neanche bene, era ridicolo frasi stregare da lui in quel modo.
“Bene. Stavo…” Elia lanciò un’occhiata all’edificio. Ma certo che stava andando a scuola, no?! Non completò la frase e cercò di recuperare un po’ di dignità. “Tu cosa ci fai qui?”
“Eh, sapessi…” rispose Filo, con fare misterioso e divertito.
“Il tuo ragazzo viene a scuola qui?” gli scappò proprio di bocca, e se ne pentì l’istante dopo.
Filippo tornò serio. “Quale ragazzo?” chiese, sinceramente sorpreso.
C’era poco che Elia potesse fare. Mentire dicendo che Martino gli aveva detto qualcosa non sembrava una grande idea. “Ho visto che eri alla festa di capodanno, e stavi con un ragazzo” rispose, optando per la più semplice e imbarazzante verità.
Filo assorbì l’informazione. Elia sembrava a disagio, e se ne rallegrò. Non perché lo facesse rallegrare il disagio del ragazzo in sé, ma perché significava che forse aveva avuto ragione, e che il loro primo incontro non lo aveva lasciato indifferente.
“Ho portato ad Eva un quaderno, lo aveva dimenticato in camera di Eleonora durante le feste” spiegò. Poi decise di aggiungere: “Non ho un ragazzo. Quello di capodanno era uno incontrato lì, non so che fine abbia fatto.” Lo disse con nonchalance e un sorriso.
“Ah” fece Elia, che non sapeva come prendere quell’informazione.
Filippo interpretò erroneamente quella reazione. Il loro primo incontro non lo aveva lasciato indifferente, ok, ma forse non in senso positivo.
“Ei, senti” Filo gli posò una mano sulla spalla, si maledisse l’istante dopo e la tolse. Poi fece un respiro profondo. Aveva combinato un casino e adesso doveva rimediare. “Mi dispiace se a casa di Marti ti ho messo a disagio, in qualche modo.” Aveva un tono tranquillo, sulle labbra un sorriso velato, una voce rassicurante.
Elia ne rimase ancora più affascinato, anche se lo scopo di Filippo non era assolutamente quello.
“Magari ti ha dato fastidio il mio modo di fare” continuò Filo. “Ma in realtà era solo un complimento. Comunque non è che adesso dobbiamo farne un affare di stato, eh. Giuro che sono venuto qui per Eva, non per stalkerarti.”
Elia capì il malinteso. “Lo so, lo so. Scusa, non volevo farti passare per un maniaco.” Finalmente sorrise anche lui. “Non mi hai dato fastidio alla tombolata. Anzi, per una volta è stato bello non essere invisibile, le ragazze di solito non mi calcolano.”
“Pazze” commentò Filo, toccandosi il piercing al labbro con la lingua. Questa cosa di smettere di flirtare con Elia stava fallendo miseramente.
“Già.” Elia distolse lo sguardo, nella speranza che fissare il muretto della scuola lo frenasse dal dire cose imbarazzanti.
“Ok, devo andare” disse infine Filippo. Tutta quella tensione tra loro gli stava sfuggendo di mano, ma sperava vivamente di non essere il solo a percepirla.
“Sì, anche io.” Elia lo guardò di nuovo.
Si sorrisero, si salutarono, e poi ripresero a camminare in direzioni opposte, senza voltarsi indietro.

Fine capitolo diciannove

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Radio Gossip ***


Capitolo venti
Radio Gossip
9 gennaio
 
Primo incontro per il gruppo della radio dopo le vacanze natalizie, ma anche primo incontro per la nuova iscritta: l’argentina.
Silvia era in piedi al centro dell’aula. Dietro di lei, sedute ad un banco, c’erano Eva, Fede e Sana. Di fronte, invece, c’erano tutti gli altri.
La nuova arrivata era seduta accanto alla sua amica Emma, su un paio di sedie in prima fila. Emma era visibilmente contenta, mentre Sofia sembrava curiosa e un po’ divertita. Le avevano dato Osvaldo da tenere in grembo durante il discorso, in segno di benvenuto.
Proprio dietro le due ragazze, seduti col sedere su un banco, c’erano Marti e Nico, quest’ultimo con la mano posata sul ginocchio del suo ragazzo. Ogni tanto lo accarezzava con il pollice, oppure si sporgeva verso di lui per sussurrargli qualcosa all’orecchio.
“Dunque, adesso che abbiamo finito con le presentazioni” disse Silvia, e tutti si voltarono a guardare l’argentina per un secondo. “Direi di andare avanti. Oggi devono registrare Sana e Martino, subito dopo Chiara e Luisa e per ultimo Stefano…”
Trascorsero una buona mezz’ora a programmare i turni delle due settimane successive, e a decidere gli argomenti. Sofia sarebbe stata di aiuto un po’ a tutti per quel primo incontro, in modo da capire come funzionava, e poi avrebbero trovato un programma anche per lei.
Eva aveva cercato in tutti i modi di essere cordiale. Anche troppo, per la verità. Infatti l’argentina aveva iniziato ad evitarla. Insomma, Sofia non aveva niente contro Eva. Quando aveva iniziato a frequentare Giovanni, sapeva che erano stati insieme, e anche se lui non glielo aveva detto, aveva capito che era stata Eva a lasciarlo. E quando Giovanni aveva lasciato lei, non ne era stata sorpresa e non si poteva dire che la cosa l’avesse devastata. Era stata un po’ male, perché Giovanni le piaceva moltissimo, ma in fin dei conti aveva sempre avvertito una certa distanza da parte sua e la loro storia non era mai stata intensa ed epica come quelle dei film. Sofia voleva di più, e Giovanni chiaramente non aveva ancora superato Eva, ma la colpa non era della rossa.
Detto questo, l’argentina era piuttosto sicura che invece Eva, al contrario, avesse un problema con lei, perché si comportava in maniera esageratamente gentile, come se la odiasse ma volesse dimostrare di adorarla.
In quel momento, Eva era seduta ad un banco con Federica, a parlottare di qualche cosa.
“Emma!” esclamò Sofia a voce bassa, facendo cenno alla sua amica di avvicinarsi. Emma e Fede lavoravano insieme allo stesso programma radio.
“Cosa c’è?” sussurrò di rimando la riccia.
“Andiamo da quelle due” e con un cenno della testa indicò Eva e Fede. “E comincia a parlare di qualche cosa con Federica, qualunque cosa, basta che fai capire che io e Giovanni ci siamo lasciati.”
Emma annuì. “Allora non sono solo io. Eva si è comportata in maniera strana tutto il pomeriggio.”
 
“Oh oh” fece Federica, con la testa china sul foglio ma gli occhi che guardavano in alto, dritto davanti a lei.
Eva alzò la testa e vide Emma e l’argentina avvicinarsi. Rivolse loro il miglior sorriso che fu in grado di tirar fuori.
Emma iniziò subito a parlare con Federica di cosa avrebbero potuto parlare il mercoledì successivo, visto che toccava a loro registrare. Sofia spostava lo sguardo da una all’altra come se fosse tremendamente interessata, ed Eva ne approfittò per concentrarsi di nuovo sui compiti.
“Ah, Fede, ti ricordi quel ragazzo di cui ti avevo parlato? Quello che era in pizzeria l’altra sera quando ci siamo incontrate” stava dicendo adesso Emma.
“Sììì quel gran figo. Com’è che si chiama? Me lo sono scordata.”
“Massimo. Ha smesso di scrivermi e poi a scuola mi ha detto che non vuole più uscire con me, ma non mi ha detto neanche il perché.”
“Perché è un bel po’ stronzo, direi” si intromise Sofia.
“Almeno adesso siamo tutte e due di nuovo single e possiamo andare a caccia insieme” le disse Emma, poi guardò Federica. “Sei libera di unirti a noi quando vuoi, a meno che non ci nascondi un fidanzato segreto da qualche parte.”
Eva si trattenne giusto in tempo dall’alzare la testa. Gio e l’argentina non stavano più insieme? Perché? Con il piede diede un colpetto sotto il banco a quello di Fede, e l’amica capì al volo.
“Ah, aspettate, ma come! Non stavi con Giovanni? Lo hai lasciato?” chiese a Sofia.
A questo punto Eva alzò lo sguardo, ma l’argentina era concentratissima su Federica.
“Mi ha lasciata lui” rispose semplicemente.
Eva ne fu abbastanza sorpresa, quasi scioccata. L’argentina era il sogno di tutti i ragazzi della scuola, e Gio la mollava? Riusciva persino ad immaginare le prese in giro che doveva aver subito da Elia.
 
“… e alla prossima!” esclamò Martino nel microfono, mentre Niccolò, dall’altro lato del vetro, con una mano gli mostrava un pollice in su e con l’altra chiudeva gli altoparlanti.
“Grazie, grazie mille” gli disse Sana, accarezzando i fogli su cui Martino aveva scritto le cose da registrare.
“Figurati” rispose Marti. “Ma non ti ci abituare, dalla prossima ricomincerai a fare tu quasi tutto il lavoro pesante.”
“Ovviamente” Sana alzò gli occhi al cielo, ma sorrise.
Fuori ad aspettarli trovarono Eva.
“Posso parlarti?” domandò subito a Martino.
“Da soli?” il ragazzo si preoccupò.
Eva si guardò intorno, ma c’erano solo loro due, Niccolò e Sana. I due ragazzi che avevano aiutato Nico con la registrazione erano già usciti e Chiara e Luisa non erano ancora entrate.
“No, volevo solo chiederti se è vero che Giovanni ha lasciato l’arg- Sofia.”
“Cosa?” fece Sana, guardando anche lei Martino. Non se lo aspettava neppure lei.
Marti scambiò un rapido sguardo con Nico, poi le rispose semplicemente di sì.
“Come mai?” Eva neppure si rendeva conto di fare domande scomode. Voleva solo risposte. Quando vide che l’amico non diceva nulla, aggiunse: “Me lo devi.”
“Non stava bene con lei” disse allora il ragazzo. Ed era la verità, in fondo.
Silenzio. Niccolò distolse lo sguardo e fece persino un passetto indietro. Sana invece sembrava molto curiosa di avere altri dettagli, forse addirittura più dell’amica.
“Capisco” disse Eva. E chiusero l’argomento.

Fine capitolo venti

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Messaggi (in)desiderati ***


Capitolo ventuno
Messaggi (in)desiderati
10 gennaio
 
“Ma questa roba è immangiabile!” esclamò Federica, con una smorfia di disgusto.
“Ma cos’è?” chiese Silvia, mentre addentava uno dei tre biscotti che aveva preso come merenda.
Erano sedute al tavolo di una caffetteria, circondate da libri, quaderni e tazze di tè.
“Dovrebbe essere una crostatina ai mirtilli” rispose Fede. “Ma se questi sono mirtilli, io sono Angelina Jolie.”
Silvia si sporse per dare un’occhiata all’oggetto incriminato. Sembravano proprio mirtilli.
“Tieni, prendi un biscotto” e porse il piattino all’amica.
Fede la guardò un po’ preoccupata. “No, tranquilla. Grazie. Adesso prendo qualche altra cosa.”
Ordinò anche lei alcuni biscotti e continuarono a studiare per un po’ in silenzio, poi sentirono vibrare un telefono.
“È il tuo” disse Fede.
Silvia controllò lo schermo. “Oddio, è di nuovo quel Luca.”
“Quale Luca?”
“L’amico di Martino.”
“Che vuole?”
“Mi ha chiesto di nuovo di uscire.”
Federica strabuzzò gli occhi. “Di nuovo? Cioè?!?!”
Silvia le raccontò brevemente della festa e di quando stava studiando con Sana e lui l’aveva invitata a uscire.
“E te lo ha chiesto di nuovo? Coraggioso!” commentò Fede.
“Vorrei che la smettesse, così potrei smettere di dirgli di no” piagnucolò Silvia.
“Secondo me potresti anche uscirci.”
“Scordatelo.”
“È carino.”
“Allora escici tu.”
“Non è il mio tipo.”
“Nemmeno il mio” disse duramente Silvia.
“Secondo me invece sì” e tornò con la testa sui libri.
Silvia osservò il messaggio. Luca era stato di nuovo molto carino. E il giorno prima lo aveva incontrato in corridoio, a scuola, e l’aveva salutata in maniera gentile. Le piaceva come lui la guardava, la faceva sentire come se fosse una delle ragazze più belle e popolari della scuola, anche se non era per niente vero.
Non aveva intenzione di uscirci, ma non voleva neppure ferirlo, e stavolta si sforzò di rispondergli in maniera più gentile. Lo ringraziò dell’invito, si scusò per essere impegnata anche questo weekend, addirittura aggiunse un ‘magari la prossima volta’.
“Come ti sembra?” chiese, porgendo il telefono a Fede prima di mandarlo.
Federica lo lesse. “Sei un po’ melensa ma si capisce che stai cercando di scaricarlo perché non ci vuoi uscire. Però secondo me va bene.”
“Ok.” Silvia premette il pulsante di invio e sperò di poter dichiarare chiusa la faccenda.
 
Più tardi, quella sera, a moltissimi chilometri di distanza, anche ad Eleonora arrivò un messaggio che avrebbe preferito non ricevere.
Edoardo: Buonasera, bella fanciulla. Come sta trascorrendo questa magnifica serata?
Eleonora: Sono fuori con un’amica
Edoardo: Hai già sostituito tutte le tue amiche italiane?
Eleonora: Certo che no, non essere ridicolo
Edoardo: Cosa fate di bello?
Eleonora: Siamo in un pub. Ho ordinato qualcosa che non ho la più pallida idea di cosa sia
La ragazza fissò la conversazione. Male. Malissimo. Aveva deciso di rispondere a monosillabi, e invece…
Edoardo: Tutti questi mesi in terra straniera e ancora non ti sei abituata a come mangiano male gli inglesi?
Eleonora: Non mangiano poi così male
Edoardo: Il tuo piatto preferito?
Eleonora: Amatriciana
Edoardo: Intendevo inglese!!!
Eleonora: Lo so, ti prendevo per il culo
Emise un lamento. Ecco, adesso ci scherzava pure.
“What’s happening?” le chiese l’amica, mentre affogava il suo fish and chips in una strana salsina.
“Nothing” rispose. “I should stop talking with this guy…” agitò il telefono. “…but I can’t.”
“Follow your heart, darling.”
Cuore?! Ma quale cuore?! Per amor del cielo. Doveva smetterla davvero. Edoardo non era assolutamente il ragazzo giusto per lei e Silvia lo adorava ancora alla follia.
Edoardo: Ah ah ah, che spiritosa. E allora? Non vuoi dirmelo?
Eleonora: Baked potato
Edoardo: Ottima scelta
Eleonora: Conosci?
Edoardo: Sì, sono stato a Londra qualche volta ed è anche il mio piatto preferito. Conosco un posto a Roma che le fa da Dio. Appena torni ti ci porto
Eleonora: È arrivata la mia ordinazione e ancora non capisco cosa sia. Spero di non morire avvelenata
Edoardo: Lo spero anche io, non posso vivere senza di te
Eleonora: Smettila. A dopo
Edoardo: Non vedo l’ora
‘A dopo’. Gli aveva davvero scritto ‘a dopo’. Maledizione.
Quando più tardi salutò l’amica e si avviò verso la fermata dell’autobus per tornare a casa, decise di telefonare a Filippo. Aveva davvero bisogno di confidarsi con lui.
Il fratello rispose dopo il primo squillo.
“La mia sorellina preferita!”
“Ciao, Filo.” Ele sorrise al solo sentire la sua voce. Provava una fortissima nostalgia di casa. Le mancavano i genitori, la sua stanza, la scuola, ma soprattutto il fratello e le amiche.
“Come stai?” domandò Filippo.
“Bene. Che stai facendo? Possiamo parlare un attimo?”
“Sono a casa. Certo che possiamo parlare. È successo qualcosa?”
“No, volevo solo un consiglio.”
“Spara.”
Eleonora esitò un momento. “Mettiamo che ci sia questo ragazzo. Ok?”
“Oooook.”
“Mettiamo che per tante ragioni non dovrebbe piacermi. Ma proprio tante. E sono tutte buone ragioni.”
“Però ti piace” disse Filo, e anche se Ele non poteva vederlo, intuì che stava sorridendo.
“No, non mi piace.”
“Mi hai chiamato per un consiglio o per prendermi in giro? Stai parlando con me, carina.”
“Vorrei che non mi piacesse” confessò allora la ragazza. “Perché, oltre alle ragioni per cui non può piacermi, non voglio che mi piaccia.”
“Ele, luce degli occhi miei, non puoi controllare i tuoi sentimenti.”
“Tu ci riesci benissimo, mi pare” rispose la ragazza, un po’ indispettita.
“Se volevi farmi un complimento, grazie” replicò Filippo, ridendo. Poi tornò serio e fece una breve pausa. “Comunque non è vero che ci riesco.”
“Mi stai dicendo che ti piace qualcuno?” Eleonora ne fu sorpresa.
“Stavamo parlando di te, mi pare” la scimmiottò lui.
La sorella sospirò. “Non so cosa fare. Non so nemmeno bene cosa provo, vorrei solo che sparisse così da non doverci pensare più” disse.
“Lo hai conosciuto lì?”
“No, è della mia scuola a Roma.”
“Lo conosco?”
Ele non rispose.
“Allora?”
“Forse” disse infine, mentendo. Filo sapeva perfettamente chi era Edoardo, ma lei non era pronta a confessarlo. “Devo salire sull’autobus, adesso. Un consiglio veloce, al volo?”
“Prima di decidere di tagliarlo fuori dalla tua vita, cerca di capire cosa provi per lui. Solo così potrai decidere se vale la pena oppure no di lottare contro le ragioni per cui secondo te non dovreste stare insieme. Ma non allontanarlo a priori.”
“Possiamo dire che questo consiglio vale anche per te?”
“Buonanotte, sorella” tagliò corto lui, che non aveva nessuna intenzione di parlare di sé.
“Notte, Filo. E grazie.”
 
Sdraiato di schiena sul suo letto, Filippo si lasciò cadere il cellulare accanto e fissò il soffitto della sua stanza.
E così Eleonora si era presa una cotta, e bella pesante. Com’era successo a lui, un tempismo perfetto.
“No, cor cazzo proprio!” esclamò a voce alta, rimproverando i suoi stessi pensieri. Nessuna cotta, per lui. Nessuna. Enne, o. No.
Però non riusciva a far altro che pensare: speriamo che il ragazzo misterioso non sia Elia.

Fine capitolo ventuno

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Triste realtà ***


Capitolo ventidue
Triste realtà
11 gennaio
 
“Non ci credo!” esclamò Eva, raddrizzandosi.
Era stesa sul divano di casa sua, ma con Federico, e aveva la testa appoggiata sulle gambe di lui, mentre parlava al telefono con Eleonora. Si mise seduta e continuò ad ascoltare il racconto dell’amica.
Fede sbuffò sonoramente, ma Eva nemmeno se ne accorse.
Erano già almeno dieci minuti che quelle due parlavano al telefono, e Federico stava perdendo la pazienza. Lui stesso non era di certo un santo, ma pensava che con Eva le cose fossero un po’ diverse. Non la ignorava mai. Non la trattava male. Addirittura non vedeva altre ragazze, com’era suo solito fare. Insomma, non la trattava come un oggetto, e lo irritava che lei invece lo considerasse proprio questo. Per la prima volta in vita sua stava rispettando una partner, e questo era il ringraziamento.
Eva lo chiamava quando si annoiava o quando aveva voglia di scopare, e basta. Non erano mai andati ad un appuntamento, se si escludeva la festa di capodanno. E lui l’aveva invitata più di una volta.
Adesso se ne stava seduta quasi dandogli le spalle e sembrava talmente assorta nella conversazione al telefono da non accorgersi neppure che lui era presente. Mise subito alla prova questo dubbio.
Si alzò, tirò fuori dalla tasca un vecchio scontrino, prese una penna dal mobile nell’ingresso, scrisse due parole, lasciò lo scontrino sul tavolo, sotto gli occhi assenti di Eva, si infilò il giubbotto e lo zaino in spalla, poi tranquillamente, senza dire una parola, andò alla porta e uscì di casa.
Eva se ne accorse solo venti minuti dopo, quando terminò la telefonata. Credeva che Fede fosse andato in bagno, invece trovo il suo messaggio: abbiamo chiuso.
 
“Non mi hai detto com’è andata con Emma” disse Niccolò, sollevando la mano di Marti e dandogli un bacio sulle nocche.
Era sera, faceva freddo ma non pioveva, si stava bene, i turisti erano pochi e i fori romani illuminati rendevano l’atmosfera molto romantica. Dovevano raggiungere Filippo alla gay street, ma avevano deciso di fare il giro lungo per passeggiare un po’ da soli.
“Direi bene” rispose Martino. “All’inizio è stato un po’ imbarazzante.”
“Ci credo!”
“Però poi si è scusata con me, e ha detto che anche il fratello è dispiaciuto.”
Nico annuì. “Sì, lunedì appena è entrato in classe è venuto subito da me a chiedermi scusa.”
“Lo hai perdonato?” gli domandò Martino, guardandolo negli occhi.
“Ho accettato le sue scuse” rispose cautamente Nico.
“Ma non lo hai perdonato.”
“Ancora no. Tu hai perdonato Emma?”
“È più complicato con Emma” rispose Marti. “Anche io mi sono comportato di merda con lei. Sarebbe un bel po’ ipocrita da parte mia non perdonarla, no?”
Finalmente Martino ed Emma erano usciti insieme per andare a bere quella famosa cioccolata calda. Probabilmente non sarebbero mai stati dei grandi amici, ma Martino era comunque contento di aver chiarito con lei. L’uscita era andata bene, lei non era più arrabbiata e lui si sentiva il cuore più leggero.
Continuarono a camminare mano nella mano, chiacchierando tranquillamente, finché non furono interrotti da un gruppo di ragazzi molto più grandi di loro che, passandogli accanto, fischiò e cominciò a chiamarli ‘froci’ con disprezzo, e altri aggettivi decisamente poco gentili.
Erano ormai a poca strada dal Colosseo, dove c’era decisamente più folla, e gli sconosciuti non si avvicinarono e non mostrarono tendenze violente sul piano fisico, ma li schernirono in maniera pesante e si allontanarono tra le risate.
Martino e Niccolò si erano fermati, si tenevano stretti e Marti stava quasi stritolando la mano di Nico.
Quando quella gentaglia fu sparita alla vista, Niccolò accarezzò il viso del ragazzo con l’altra mano.
“Tutto bene?” gli chiese.
Erano rimasti entrambi calmi, ma Martino sembrava parecchio turbato. Era ovviamente la prima volta che gli succedeva qualcosa del genere, se si escludevano le risatine a scuola, ma quei momenti erano solo irritanti. Stavolta, invece, si era spaventato.
Il discorso di Filippo era ancora ben impresso nella sua mente, e aveva avuto paura che quella gente si avvicinasse. Come avrebbe potuto proteggere Nico se non era in grado neppure di proteggere se stesso? Possibile che non potessero neppure passeggiare e tenersi per mano?
Martino si rese conto di quello che stava facendo e allentò la stretta alla mano di Niccolò.
“Sì” rispose, e fece per avvicinarsi e baciarlo ma si trattenne all’ultimo momento.
Nico non sembrò rimanerci male. Capiva.
“È tutto a posto” gli disse, e fu lui a sporgersi per baciargli dolcemente la guancia.
Quel gesto tranquillizzò Martino e proseguirono, anche se lui rimase silenzioso per tutto il tragitto.
Quando arrivarono nel bar preferito di Filippo, lo trovarono già lì a parlare con la barista.
“Buonaseeera!” li salutò non appena li vide, saltando giù dallo sgabello.
Nel bar l’atmosfera era piuttosto tranquilla. Non c’era tantissima gente e la musica non era alta.
I ragazzi lo salutarono e Filo capì subito che qualcosa non andava. Si voltò verso l’amica barista. “Per me il solito e per questi due la birra migliore che hai stasera” disse con un sorriso.
“In arrivo!” rispose allegramente lei.
Poi i tre ragazzi raggiunsero un tavolino vuoto in un angolo del locale e si sedettero, Filo su una sedia e i due piccioncini su un divanetto.
Filo e Nico cominciarono subito a togliersi il cappotto, ma Martino appariva ancora sovrappensiero.
“Che succede?” chiese il finto biondo.
Niccolò spiegò brevemente del loro incontro, mentre finalmente anche Marti si metteva a suo agio.
Il cocktail e le due birre arrivarono prima che Filippo potesse esprimersi, ma lo fece appena il cameriere si fu allontanato.
“Mi dispiace” disse. “Questo mondo pullula di stronzi così. Purtroppo è stata la prima volta ma non sarà l’ultima.”
“Non me lo aspettavo, tutto qua” disse Martino.
Filippo sorrise. “I tuoi amici ti hanno abituato troppo bene. Non sono tutti come loro.”
Niccolò intrecciò le dita con quelle di Marti e gliele baciò di nuovo, senza dire nulla. Anche lui si era spaventato, anche se lo nascondeva meglio di Martino. Come poteva essere altrimenti? Che gli omosessuali venissero picchiati in mezzo alla strada e ridotti in fin di vita, o addirittura uccisi, per la sola ragione di esserlo, era un dato di fatto. Persino nel 2019, era una triste realtà. Spaventarsi era naturale, era il minimo.
Però avevano continuato a tenersi stretti, non si erano vergognati, le parole di quella gente non li avevano allontanati, e questa Niccolò la considerava una grande vittoria.

Fine capitolo ventidue

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Biscotti ***


Capitolo ventitré
Biscotti
12 gennaio
 
Era un sabato sera poco movimentato per le ragazze, che si trovavano a casa di Federica. C’era anche Eleonora, seppur in videochiamata. Erano in cucina e stavano preparando dei biscotti con le gocce di cioccolato. Eva, Fede e Sana avevano deciso di preparare dei biscotti invece di una torta perché sembrava che ultimamente fossero l’unico dolce al quale Silvia non riusciva a resistere.
“Ma che cosa sarebbero?” chiese Eleonora, che da dentro il computer si sporgeva per vedere meglio.
“Stelle!” rispose Sana, avvicinandosi alla telecamera con uno stampino a forma di stella.
“Solo stelle?” chiese ancora.
“Sì, avevano solo queste al supermercato” disse Fede.
Le ragazze circondavano il tavolo della cucina, ognuna aveva un panetto di pasta da stendere e uno stampino. Il computer con la faccia di Eleonora le osservava da un ripiano accanto ai fornelli.
“Devi stenderla più sottile” disse Silvia a Sana, passandole di nuovo il mattarello.
“Non voglio farli troppo sottili” disse l’amica.
“Ma poi non cuoceranno bene all’interno.”
“Da quando sei un’esperta pasticcera?”
“E tu lo sei?”
“No” rise Sana, che infatti era una pessima pasticcera e anche una pessima cuoca in generale. Non amava cucinare e non aiutava quasi mai la madre. Preferiva lavare i piatti.
Continuarono a preparare biscotti chiacchierando con Eleonora, poi rimasero in attesa che fosse pronta la prima infornata.
 
Contemporaneamente, nel cuore di Trastevere, alcuni amici erano in piedi fuori da un locale con un bottiglia di birra in mano per ciascuno, circondati da altri giovani rumorosi. Il chiacchiericcio era quasi assordante.
Chicco Rodi e Rocco Martucci stavano parlando di calcio, mentre Federico ed Edoardo stavano parlando di Eleonora.
“Non so più che cosa fare, le ho provate tutte” stava dicendo Edoardo.
Fede mandò giù un sorso di birra. “Devi solo aspettare che torni in Italia, amico.”
“Sì ma se non faccio nulla nel frattempo, quando tornerà non ne vorrà più sapere di me.”
“Mi pareva che già ora non ne volesse sapere di te” disse Fede con una risata.
Edoardo gli diede un pugno scherzoso sulla spalla. “Certo, certo. Sfottimi pure. Non mi pare che a te le cose vadano meglio.”
“Io almeno ci ho scopato.”
“Touché.” Edoardo butto giù qualche sorso di birra. Osservò di sottecchi l’amico.
“Che vuoi?” fece Federico, che se n’era accorto.
“Tutto a posto, vé?” domandò Edo.
“Tutto a posto, fratè. Non mi metterò a frignare sulla tua spalla perché na tipa m’ha snobbato.”
“Lo so” sorrise Edoardo. “Però, se ti va, la mia spalla c’è.”
Federico annuì.
 
“Dai ragazze, adesso raccontatemi qualcosa voi. Quando ci sentiamo ho l’impressione di parlare sempre e soltanto io!” si lamentò Eleonora.
“Beh tesoro sei tu che fai la vita interessante” replicò divertita Fede.
“Io avrei una novità” disse Eva, con voce bassa e seria.
“Sarebbe?” domandò Sana.
Tutte le ragazze guardarono la rossa.
“Credo che Federico mi abbia lasciata” disse.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Ma quindi stavate insieme?” Sana era perplessa.
“No” si affrettò a precisare Eva. “Però qualsiasi cosa fosse, ha detto che ‘abbiamo chiuso’” citò il bigliettino.
Ancora silenzio, e fu di nuovo Sana a romperlo.
“E tu stai bene?”
“Sì, certo, sto bene” rispose. “Non è che fossi innamorata o roba simile.”
“A giudicare dalla tua faccia non stai molto bene” fece notare Federica.
Ed era vero. Eva non aveva mai considerato Federico qualcosa di più di una distrazione, di un ragazzo con cui divertirsi e passare il tempo. Anche per lui era lo stesso e le cose avevano funzionato sempre benissimo. Sapeva che prima o poi avrebbe messo fine a quel rapporto, ma il fatto che fosse stato lui a chiuderlo e in maniera così inaspettata l’aveva turbata.
“In realtà ci sono rimasta male” confessò.
Silvia, che era seduta accanto a lei, le mise un braccio intorno alle spalle.
“Come mai si è tirato indietro?” chiese.
“Non lo so. Lo stavo un po’ trascurando quella sera, ma mi sembra una reazione esagerata.”
Sana allungò il braccio per posarle una mano sul ginocchio con fare rassicurante.
“Non ne hai parlato con lui?” chiese Eleonora dal computer.
“Non ancora” rispose la rossa. “È successo ieri, pensavo di aspettare di incontrarlo a scuola. Eravamo a casa mia e a un certo punto mi sono distratta e ho scoperto che se n’era andato lasciandomi un bigliettino.”
“Non gli hai scritto neanche un messaggio? E lui non ha scritto a te?” domandò Fede.
“No. Ma non è che fosse una storia seria. Davvero. Non mi deve niente.”
“Ti deve rispetto” replicò Sana duramente. “Non si trattava più di qualche bacio rubato a una festa. Avrebbe dovuto almeno spiegarti le sue motivazioni, non andarsene in quella maniera.”
“Hai ragione. Ma è tutto a posto, non vi preoccupate” disse Eva, ma non sembrava convinta. Aveva una strana sensazione, come se le sfuggisse qualcosa.

Fine capitolo ventitré

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Notte fonda ***


Capitolo ventiquattro
Notte fonda
13 gennaio
 
“Tesò, ma stai sempre qua?!” scherzò la barista, e Filippo le rispose con un sorriso.
Quella sera aveva solo voglia di uscire e ubriacarsi. Tutti i suoi amici gli avevano dato buca per un motivo o per l’altro, ma lui non poteva proprio restare in casa a far nulla.
“Il solito?” chiese la ragazza, mentre tirava fuori il bicchiere.
“Non ancora” rispose Filo, guardandosi intorno.
“Aspetti qualcuno?” domandò una voce alle sue spalle con uno strano accento.
Filippo si voltò e vide uno dei ragazzi più boni che avesse mai incontrato in vita sua. Aveva i capelli castano chiaro ondulati, due occhi azzurri penetranti, gli zigomi scolpiti direttamente da qualche dio e un sorriso accattivante.
Ne rimase talmente incantato da dimenticarsi di rispondere.
La barista ridacchiò e si allontanò per dedicarsi a un’altra coppia, e lo sconosciuto si presentò. Aveva un nome francese. Ecco spiegato lo strano accento.
“Posso offrirti da bere?” chiese il francese.
“Tutto quello che vuoi” rispose Filo, con un sorriso ammiccante.
Venti minuti dopo erano seduti su uno dei divanetti a baciarsi appassionatamente. I drink che avevano ordinato giacevano sul tavolino, intonsi. 
 
Quando il francese lo abbandonò dopo averlo sedotto erano ormai le due di notte. Anzi, le due del mattino, e quando Filippo arrivò a casa erano ormai le tre.
Alla fine non si era ubriacato per niente, ma non poteva dire di aver sprecato l’uscita. Da un lato gli dispiaceva che il francese non avesse voluto proseguire la loro serata in un luogo più intimo, ma dall’altro ne era sollevato, perché non si sentiva in vena al cento per cento.
I suoi genitori dormivano già. Si lavò e svestì il più silenziosamente possibile, poi mise il pigiama e si infilò sotto le coperte. Diede un’occhiata al telefono. Rispose ai messaggi, tra cui alcuni di sua sorella, e infine aprì Instagram.
La prima foto che vide era di Martino. Uno scatto di lui, Luchino ed Elia di quella mattina al campo di calcetto. La osservò a lungo. Poi, maledicendosi, cliccò sul profilo di Elia e poi su ‘Segui’.
Elia lo ricambiò nemmeno due minuti dopo.
“Al diavolo…” borbottò tra sé, e gli scrisse un messaggio privato.
Filo: A quest’ora ancora sveglio? Non hai scuola domani?
Elia: Infatti sto studiando. Tu non hai lezione?
Filo: Nel tardo pomeriggio. Comunque non ci credo che stai studiando
Elia: E hai ragione. Però dovrei
Filo: Spero di non averti svegliato io con la notifica
Elia: No, ero già sveglio. Tu invece come mai pensi a me a quest’ora?
Filippo rise, impressionato dall’audacia. Non si aspettava qualcosa di così diretto da parte sua, visto che di persona tendeva ad evitare anche il suo sguardo. Forse la protezione dello schermo gli dava più sicurezza.
Filo: In realtà ho cliccato sul tuo profilo per sbaglio, stavo cercando un’altra persona
Elia: Ah scusami allora
Filippo rise di nuovo, ma stavolta per la tenerezza. Sembrava davvero che Elia ci fosse rimasto male.
Filo: Scherzavo. È che oramai ci ho preso gusto con la parte dello stalker
Elia: Allora scusami di nuovo per questa cosa, non ti volevo offendere l’altro giorno
Filo: Nessuna offesa, è tutto ok!
Elia: Che lezione hai domani?
Continuarono a chiacchierare ancora un po’. Parlarono delle lezioni di Filippo in università, dell’ultimo compito in classe di Elia, e poi una cosa tira l’altra e si ritrovarono a parlare di qualunque cosa, di musica, di viaggi, di film…
Quando Filippo si rese conto che erano le cinque del mattino, rimase sinceramente stupito. Non aveva idea di stare parlando con Elia da così tanto tempo.
Filo: È tardissimo
Elia: Infatti mi stavo quasi addormentando sul telefono
Filo: Mi dispiace di averti tenuto sveglio fino a mo, tra due ore devi uscire di casa
Elia: Tranquillo, non è la prima volta che faccio na stronzata del genere, sopravviverò
Filo: Mi sento in colpa comunque. Per farmi perdonare prima o poi ti offrirò da bere
Elia: Ci conto. Adesso stacco. Buonanotte, più o meno
Filo: Buonanotte, più o meno, anche a te

Fine capitolo ventiquattro

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Decisioni ***


Capitolo venticinque
Decisioni
14 gennaio
 
Lunedì mattina, intervallo.
“Madonna zì, che faccia di merda che c’hai oggi” disse Gio, seduto sulla cattedra, con i piedi su una sedia. Martino annuì. Guardavano Elia, che invece non si era neanche alzato dal proprio posto, e aveva le braccia e la testa distese sul banco.
“Grazie, eh” rispose l’amico. Davanti a sé aveva già due bicchieri di caffè vuoti e stava aspettando che Niccolò gli portasse il terzo.
“Non hai dormito stanotte?” gli chiese Luchino.
“No.”
“Che hai fatto?” s’informò Gio.
“Ho scopato.”
“La prossima volta giocati il rapimento alieno” suggerì Marti.
“È più credibile” aggiunse Giovanni.
“Stronzi” li accusò Elia.
“Dai, che hai fatto?” insistette Luchino.
“Niente zì, non riuscivo a dormire. Basta” si lamentò Elia, con un sonoro sbadiglio. Evitò accuratamente di guardare in faccia gli amici, come se avessero potuto leggergli negli occhi la verità.
Niccolò rientrò in aula.
“Ecco a te” disse, cercando di trattenere un sorriso divertito, mentre lasciava il caffè accanto a Elia.
“Grazie” bofonchiò il ragazzo.
Poi Nico raggiunse Martino e si divisero un Kinder Bueno.
“Neanche io stanotte ho dormito bene” disse Luchino.
“Non si direbbe” commentò Elia, mandando giù il caffè in un sol sorso. L’altro, infatti, sembrava fresco come una rosa.
“Che problemi c’hai, tu?” domandò Giovanni, scuotendo la testa. “Avanti, sentiamo.”
“Silvia” disse il biondino, e lo fece con un tono talmente sognante che scoppiarono tutti a ridere.
“Ancora niente?” chiese Niccolò.
“Niente. Però gliel’ho chiesto solo due volte.”
“Beh meno male, altrimenti ti avrebbe già mandato a fanculo” disse Martino, addentando lo snack.
“Ma è sempre stata gentile. E non ha mai detto che non voleva uscire, solo che non poteva.”
“Quando ti dicono che non possono significa che non vogliono” chiarì Elia.
“Magari non possono davvero” disse Nico.
“Nel caso di Luchino, vuol dire che non vogliono davvero” scherzò Gio.
“Dai regà” sbuffò lui, che aveva preso davvero a cuore la missione di uscire con Silvia. Da capodanno non riusciva a togliersela dalla testa.
“Fa’ vedere” ordinò Giovanni.
Luchino gli lanciò il telefono e Gio andò a leggere la conversazione. In realtà l’amico aveva ragione, nei due messaggi di rifiuto, Silvia era stata molto carina. Quando lui ed Eva stavano ancora insieme, le due ragazze non erano amiche da molto, ma Gio ricordava che a sentir Eva, Silvia non era una di quelle ragazze stronze col sesso maschile.
“Forse non tutto è perduto” commentò, restituendo il cellulare al proprietario.
Nico mandò giù un morso di Bueno e poi disse: “Scusa ma perché non fai come me?”
“E cioè?” Luchino lo guardò con tanto d’occhi, come se si aspettasse una grande rivelazione.
“Iscriviti alla radio, no?” rispose Nico con un’alzata di spalle, lanciando un’occhiata a Marti e sorridendo.
“Giusto!” esclamò Giovanni, dandosi una pacca sulla gamba. “Per questi due ha funzionato. Così puoi avere una scusa per vederla e parlarle in ogni momento.”
“Basta che non esageri” precisò subito Elia. “Che se no sei inquietante.” Altro sbadiglio.
“Secondo voi se mi iscrivo alla radio non si infastidirà?” Luchino non sembrava per niente convinto. “Secondo me va a finire che mi caccia via.”
“Non può” rispose Marti. “Non può vietare alla gente di partecipare. E anche se potesse, abbiamo bisogno di più gente possibile, quindi non lo farebbe mai.”
“E se non le stai appiccicato tutto il tempo sicuramente non le darà nemmeno fastidio” aggiunse Nico. “Vero?” chiese poi gongolando al suo ragazzo, dandogli anche una gomitata. Martino rise.
“Andata!” esclamò Luchino. “Radio Orlando sia!”
“Osvaldo” lo corresse Martino ridendo.
“Senti” fece Gio, voltandosi completamente verso Nico. “Ma te come facevi a saperlo?”
“Cosa?”
“Che io sono gay” rispose Marti al posto di Giovanni.
“Non lo sapevo. Lo speravo soltanto” disse Nico, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro. Ogni tanto non ci credeva neanche lui a quanto fosse stato fortunato.
“Che culo” commentò infatti Gio, scuotendo la testa, come se fosse incredibile che qualcuno potesse avere una tale fortuna.
Elia, che aveva appena finito di sbadigliare con il mento ancora appoggiato ad un braccio, sollevò lo sguardo su Martino. Non ricordava altre occasioni in cui l’amico avesse ‘etichettato’ chiaramente il proprio orientamento sessuale, ma stavolta lo aveva fatto con precisione e naturalezza. Non aveva detto ‘che mi piacciono anche i maschi’. Aveva proprio detto ‘gay’.
Lo invidiava per essere riuscito a fare chiarezza, mentre lui era di nuovo confuso come quando era alle medie e si era preso le prime cottarelle per dei ragazzini, oltre che per delle ragazzine.
Sbadigliò ancora, e decise che finalmente si sarebbe confidato con Martino.

Fine capitolo venticinque

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Non sapere niente ***


Capitolo ventisei
Non sapere niente
15 gennaio
“Elia! Ciao!” esclamò sorpresa mamma Rametta, ritrovandosi il ragazzo alla porta.
“Buonasera, signora” la salutò lui, con un largo sorriso.
La donna rimase impalata a fissarlo per qualche secondo. “Perdonami, prego, entra.”
Lo lasciò passare e poi richiuse la porta. “Scusami, non ti aspettavo. Martino non mi ha detto nulla” disse ancora.
“Non lo sapeva nemmeno lui. Mi scusi lei, signora, spero di non disturbare.” Elia la guardò di sottecchi. Aveva una metà del viso truccata e l’altra no. Era un po’ buffa, ma lui si trattenne dal ridere.
Poi Martino mise la testa fuori dalla porta della sua camera in fondo al corridoio e li vide fermi lì, davanti alla porta.
“Mi sembrava, infatti” bofonchiò, con la fronte aggrottata. Quando gli era parso di sentire la voce di Elia, era sicuro di essersi sbagliato, e invece! Uscì completamente dalla sua stanza e li raggiunse.
“Che succede, fra?” chiese subito all’amico, perché non era un comportamento da Elia quello di presentarsi a casa sua all’improvviso.
“Niente, tranquillo zì, ti volevo solo chiedere un paio di cose” rispose, ma iniziava ad innervosirsi. Dannazione, si era sentito così sicuro di sé mentre raggiungeva casa dell’amico, e invece adesso si stava vergognando da morire.
“Bene, allora io vi lascio” sorrise la padrona di casa. “Marti, tesoro, offrigli qualcosa.”
“Sì, mamma.” Martino alzò gli occhi al cielo, poi si accorse della sua faccia. “Stai uscendo?”
“Sì” rispose lei allegramente, e salutando un’ultima volta Elia tornò a chiudersi in bagno.
“Vuoi qualcosa? Acqua? Birra? Cibo? Anche se non so cosa è rimasto dall’ultima spesa” domandò Marti.
“No, niente.”
Martino cominciava a preoccuparsi. “Ok allora.”
I due amici si avviarono in camera da letto ed Elia chiuse la porta. Non entrava in quella stanza da parecchio, e la prima cosa che vide fu la foto incorniciata con il disegno di Niccolò appesa in bella vista sulla cassettiera. Sorrise e riprese a guardarsi intorno. Anche quella giraffa sul comodino era nuova.
“Dimmi” gli disse Martino, sedendosi sul letto, con la schiena contro il muro e le gambe distese.
Elia lo raggiunse, tolse le scarpe e si sedette a gambe incrociate all’angolo opposto, con il rischio di cadere di schiena se non fosse stato attento.
“Ieri hai detto che sei gay” esordì senza preamboli.
Martino sorrise. “Storia vecchia, ormai.”
“Non proprio” replicò Elia, senza guardarlo in faccia. Si mise a giocherellare con un filo del suo calzino.
“In che senso?”
“Hai sempre detto che ti piaceva Niccolò ma alla fine non hai mai risposto davvero alla domanda di Luchino.”
Calò il silenzio, durante il quale Martino rifletté. Per un momento pensò che per Elia fosse un problema che a lui piacessero solo i ragazzi, ma era assurdo.
“Non capisco” disse infatti.
“Quando stavi con Emma…”
“Non ci stavo davvero, con Emma” precisò subito, quasi per abitudine. “Scusa, continua.”
“Lei ti piaceva, o no?”
“Non in quel modo. È simpatica, carina, non era brutto passare il tempo con lei, ma quando la baciavo non provavo niente, e non mi attirava molto l’idea di farci qualche altra cosa” rispose Martino, con una tranquillità che solo poche settimane prima sarebbe stata impensabile.
“E quand’è che ti sei accorto che ti piaceva Niccolò?” Finalmente Elia lo guardò negli occhi.
Martino sorrise. “Lo so che sembra melodrammatico, ma… dal primo momento in cui l’ho visto.”
“Ma allora sapevi già che eri gay, no?”
Quando l’amico non rispose subito, Elia cominciò ad agitarsi di nuovo. Poche altre volte in vita sua era stato così ansioso.
Martino si guardò intorno come a cercare ispirazione, poi però lo fissò negli occhi. “Non ci avevo mai riflettuto troppo. Mi erano piaciuti altri ragazzi prima di Nico, ma mai così tanto. E poi con nessuno di loro era mai successo nulla, quindi non avevo avuto l’occasione di capire bene che cosa provavo. Non lo so, sinceramente.”
Elia distolse di nuovo lo sguardo da Marti e rifletté su quello che gli aveva appena detto.
“Elì ma che succede?” In realtà Martino ormai aveva intuito la ragione di tutto quel discorso, ma quasi gli pareva strano. Elia sembrava così preso dalle ragazze. E lo sembrava genuinamente, non come lui quando si sforzava di farsi piacere Emma.
“Mi piacciono le ragazze” disse infatti Elia, con fermezza. “Però ho conosciuto un ragazzo…” aggiunse, con voce molto più incerta.
Un largo sorriso si dipinse sul volto di Martino.
Stava per dire qualcosa, ma sentirono la porta del bagno aprirsi.
Esco! Ciao ragazzi!” urlò mamma Rametta dal corridoio.
“Ciao, mà!”
“Buona serata, signora!”
Rimasero in silenzio finché non la sentirono uscire di casa.
Elia deglutì. “Tutto qua” disse.
“Tutto qua?!?” A Martino scappò una risata. “Tutto qua col cazzo, fratè. Chi è questo ragazzo?”
“Non è importante.”
“Sì che lo è.”
“Lasciamo perdere, okay?” Senza guardare Marti negli occhi, si alzò.
Martino seguì il suo esempio. “No, ei, non andartene, ok?”
Si piazzò davanti a lui e l’altro fu quasi costretto a guardarlo.
“Cosa succede con questo ragazzo?” chiese ad Elia.
Elia sospirò. “L’ho visto solo un paio di volte. La prima volta ci ha provato con me. E anche la seconda ha detto una cosa… stava tipo flirtando, capito?”
“Ok… e tu?”
Il momento della verità.
“A me ha fatto piacere” rispose.
“Mmm…” Martino si sedette sul bordo del letto. “Ti ha fatto piacere perché lo hai preso come un complimento o perché… boh… perché ti piaceva lui?”
Elia non rispose.
“Pensi di essere bisessuale?” Certe volte era meglio una domanda diretta.
“È la prima volta che un ragazzo ci prova con me” disse Elia.
“E prima hai sempre pensato solo alle ragazze?”
Marti interpretò il silenzio dell’amico come una negazione.
“Qual è il problema?” gli chiese allora. Dopo il modo in cui loro avevano reagito al suo coming out, faticava a credere che Elia avesse qualche problema ad ammettere di voler uscire con un ragazzo.
“È che non so cosa pensare. Anche se altre volte ho pensato che mi piacesse un ragazzo, è sempre passato tutto subito. Come hai detto che è successo anche a te, nessuno ha mai ricambiato i miei sentimenti e nessuno di loro era gay… che io sappia” aggiunse, e gli sfuggì un sorriso. “E quindi non è mai stata una possibilità quella di uscire con qualcuno di loro. Non so se sono bisessuale, in realtà speravo che potessi dirmelo tu. Sono un idiota.”
Martino rise. “Pensi che vorresti uscire con questo ragazzo che hai incontrato? Passarci del tempo insieme?”
“Non riesco a smettere di pensare a lui” Elia cominciò a fare avanti e indietro sul posto, un paio di passi per volta. “Sento che la testa tra poco mi esploderà.”
“Lo prendo per un ‘sì, eccome se ci uscirei’?” domandò Marti con un sorriso.
Elia si fermò e annuì. “Già…” rispose con un sospiro.
“E allora buttati. Non può succedere nulla di male. E se alla fine scopri che era una sbandata passeggera e preferisci uscire solo con le ragazze, magari lui ha una sorella.”
Elia sorrise. Beh, Filippo una sorella ce l’aveva, ed era anche bellissima.
“Scusa se ti sono piombato in casa all’improvviso per farti questo discorso di merda.”
“Scusa se faccio cagare come consulente matrimoniale e non so aiutare nemmeno me stesso.”
Si abbracciarono, poi andarono a prendersi una birra e a fare una partita a Fifa.

Fine capitolo ventisei
 
(Lo so che ho parlato di Elia per tre capitoli di fila, ma mi sembrava coerente con la storia che queste cose avvenissero in successione e non con giorni di distanza)

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Ragazzi gentili ***


Capitolo ventisette
Ragazzi gentili
16 gennaio
 
Per prima cosa, Silvia vide la faccia sorpresa di Sana, poi udì bussare sulla porta già aperta dell’aula dove si tenevano le riunioni di Radio Osvaldo.
“Ciao” fece una voce alle spalle della ragazza. Era familiare, ma non la riconobbe subito.
Sana sorrise e ricambiò il saluto, e anche Silvia si voltò.
Sulla porta, con aria molto imbarazzata, c’era Luca, l’amico di Marti.
“Ciao…” disse la bionda, titubante. “Ti sei perso?”
Sana trattenne una risatina.
“No” rispose subito Luchino. “Volevo unirmi alla radio. Martino ha detto che andava bene.”
Silvia rimase a fissarlo con la bocca aperta.
“Certo che va bene” intervenne Sana, senza perdere i modi cordiali, nonostante fosse anche lei piuttosto sorpresa. “Ma sei in anticipo per la riunione di oggi. Perché non ripassi dopo? Magari vai a prendere Martino e ti assicuri che non arrivi in ritardo come al solito. Noi qui dobbiamo ancora iniziare a sistemare l’attrezzatura.”
“Posso darvi una mano” si offrì il ragazzo.
“Grazie ma è complicato, te lo spiegheremo insieme agli altri in queste settimane.” Il tono di Sana era gentile ma talmente deciso che Luchino non se la sentì di insistere.
“Ok, allora…” indugiò sulla porta.
“Tra un quarto d’ora iniziamo ufficialmente” precisò ancora la ragazza.
Nel frattempo, Silvia non aveva detto nulla. Aveva continuato a guardare Luca con aria un po’ svampita.
Quando il ragazzo se ne fu andato e le due amiche rimasero di nuovo sole, Silvia sembrò tornare in sé.
“E allora? Che ti prende?” domandò Sana.
“Perché è venuto qui?” si lamentò Silvia.
“Per partecipare alla radio, magari?”
“Non è vero. Perché non mi lascia in pace?” si lasciò cadere su una sedia e incrociò le braccia.
“Io davvero non ti capisco” Sana scosse la testa. “Muori dietro ad un ragazzo che ti ha detto chiaramente che di te non gliene frega nulla, ma ti arrabbi con uno che con te si è comportato sempre in maniera gentile e che addirittura si è preso la briga di unirsi a un progetto di cui non gli importa, pur di conquistarti. Smettila di fare la bambina.”
“Non sto facendo la bambina!” replicò Silvia, alzando finalmente lo sguardo.
“Sì, invece. Non vuoi uscire con lui, va bene, non sei obbligata. Ma invece di arrabbiarti perché quel poverino sta tentando di dimostrare quanto ci tiene ad uscire con te, dovresti sentirti lusingata che qualcuno si impegni così tanto per te.”
Silvia rimase a guardarla in silenzio con espressione quasi mortificata, quindi Sana continuò in tono più gentile: “Sono sicura che non è venuto qui per darti fastidio, forse vuole solo l’occasione per farsi conoscere da te.”
“Lo so” disse finalmente Silvia. “Però non è giusto. Non è lui che dovrebbe interessarsi a me così.”
Sana non sapeva cosa dire. Ovviamente l’amica si riferiva a Edoardo, lo stesso Edoardo che l’aveva trattata malissimo e che cercava in tutti i modi di avvicinarsi a Eleonora. Perché le relazioni a quell’età dovevano essere così complicate? Sana non vedeva l’ora di arrivare ai cinquant’anni, forse per allora ci sarebbe stata una tregua.
Più tardi, durante la riunione, Silvia introdusse Luchino al resto dei partecipanti con la stessa gentilezza che aveva usato per l’argentina, e addirittura ricambiò il sorriso che lui le regalò prima di uscire, a riunione finita. Subito dopo se ne pentì, ma sul momento le era venuto naturale. In fondo Sana aveva ragione, e lei adorava il modo in cui la guardava Luca, la faceva sentire bene.
 
Quella sera, le ragazze stavano appunto raccontando a Eleonora, nel gruppo che avevano su Whatsapp, della mossa audace di Luchino pur di conquistare la sua bella, quando alla giovane Sava squillò il telefono.
Era Edoardo.
Era la prima volta che le telefonava, di solito si era sempre limitato a scriverle.
La ragazza era stesa sul suo letto di Manchester, e si mise improvvisamente a sedere, fissando lo schermo del cellulare.
“Cazzo” esclamò sotto voce, parlando a se stessa.
Il telefono continuava a squillare e lei non sapeva se rispondere.
Poi, finalmente, prese una decisione.
“Pronto?”
“Avevo perso le speranze” disse Edoardo, e si capiva che stava sorridendo.
Eleonora ignorò il commento. “Dimmi” disse nervosamente.
“Volevo solo sentire la tua voce, è passato un secolo dall’ultima volta.”
“Sono passate due settimane” precisò lei.
“Praticamente una vita” commentò Edoardo.
La ragazza non sapeva cosa dire, e infatti non disse nulla.
“Comunque, a parte queste stronzate, avevo solo voglia di chiacchierare con te come si deve” disse Edo.
“Di cosa?”
“Smettila di usare quel tono.”
“Che tono?!” esclamò adesso Eleonora, indispettita.
“Il tono di una che sta disinnescando una bomba. Preferisco questo qui, il solito tono con cui mi mandi a fanculo.”
Suo malgrado, Ele sorrise.
“Di cosa?” ripeté la ragazza, ma stavolta cercando di essere il più naturale possibile.
“Di qualsiasi cosa” rispose Edoardo.
“Bene, allora. Comincia” disse lei, e si distese di nuovo di schiena sul letto, fissando il soffitto.
Ed Edoardo cominciò. Le parlò davvero di qualsiasi cosa. Di come andavano le cose a scuola, dei compiti in classe, delle simulazioni dell’esame di maturità, delle uscite con i suoi amici, di una festa che volevano organizzare…
Anche Eleonora si fece trascinare dalla conversazione. Commentò tutto quello che lui le diceva e iniziò a raccontare qualcosa di sé, di come trascorreva le giornate a Manchester, tra lo studio e le uscite con le amiche che aveva conosciuto lì.
“Quindi non ti senti mai sola?” le chiese Edoardo.
“In realtà sì” confidò la ragazza. “Non sono mai sola sola, e poi sento le ragazze a Roma ogni giorno, però mi manca uscire con loro, mi sento tagliata fuori.”
“Non ti raccontano cosa succede qui a scuola?”
“Sì, ma non è la stessa cosa.”
“No, hai ragione” commentò lui.
Ci fu qualche secondo di silenzio.
“Senti molta nostalgia di casa, vero?” domandò Edoardo, con un tono di voce dolce che Eleonora non gli aveva mai sentito prima e non credeva potesse esistere.
“Sì. Mi manca anche mio fratello.”
“Sono sicuro che anche tutti loro sentono la tua mancanza.”
E adesso Ele si aspettava di sentirgli dire che anche Edoardo stesso sentiva la sua mancanza, per tornare alla carica con quello che sembrava il corteggiamento più lungo e inutile della storia, e invece non disse nulla.
Aveva davvero avuto la decenza di non paragonarsi alla sua famiglia e alle sue amiche più strette?
Com’era possibile che il ragazzo che aveva trattato Silvia come uno straccio adesso fosse in grado di ascoltarla e capirla in quel modo?
Chiacchierarono ancora un po’, e quando si salutarono Eleonora aveva le idee più confuse che mai.

Fine capitolo ventisette

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Aiutare gli amici ***


Capitolo ventotto
Aiutare gli amici
17 gennaio
 
“Lo hai già visto?” chiese Spera.
“No, il padre me lo ha detto stamattina mentre ero già in classe” rispose Martino. Tamburellava nervosamente con il piede, non riusciva a fermarsi.
La sera prima Niccolò era stato male e, quando quella mattina Martino aveva ricevuto la telefonata del signor Fares, si era agitato molto, così gli amici durante l’intervallo lo avevano portato da Spera.
“Secondo me lo ha fatto apposta, altrimenti di sicuro avresti saltato la scuola senza motivo” disse Giovanni.
Matino si voltò verso di lui. “Senza motivo?” chiese, irritato.
“Marti, non puoi farti bocciare” disse Luchino. “Hai già fatto un sacco di assenze.”
“Non avrebbe senso saltare la scuola ogni volta che sta male, non puoi farci niente, non sei il suo medico” aggiunse Elia, cercando di farlo ragionare.
“Tanto ci hai parlato al telefono, no?” domandò Gio.
Martino annuì. “Tre volte.”
“In tre ore” specificò Gio. “E hai già detto che vai da lui immediatamente appena usciamo da qui.”
Martino annuì di nuovo, ma sembrava ancora indispettito. A volte si sentiva molto solo nell’affrontare la situazione con Niccolò. Sapeva che gli amici gli volevano bene, ma a volte sembrava che non capissero al cento per cento. Forse perché non erano loro quelli innamorati e che affogavano nella preoccupazione ogni volta che non ricevevano la risposta a un messaggio entro due minuti.
Era sbagliato, e Martino lo sapeva, ma faceva davvero molta fatica a non preoccuparsi. Non lo dava a vedere di fronte a Nico, ovviamente, ma era difficile.
Giovanni gli mise una mano sulla spalla. “Lo sai che non lo diciamo con cattiveria.”
“Lui ci piace” confermò Luchino.
“Ma non puoi mandare a puttane la tua vita se non è necessario” disse Elia. Ormai neppure si scusavano più con lo psicologo per le brutte parole.
“Di sicuro Niccolò non vorrebbe che venissi bocciato per colpa sua. La cosa lo farebbe stare una merda” concluse Gio.
Fu questo, più di tutto il resto, a calmare Martino. Gio aveva ragione, e Nico gli aveva detto mille volte che non voleva essere trattato come un paziente da lui. Guardò uno ad uno gli amici, poi fermò lo sguardo sul dottor Spera, con aria interrogativa. Ormai si fidava di lui ciecamente. Che differenza rispetto al loro primo incontro!
“Beh, mi pare che abbiano già detto tutto loro” gli disse lo psicologo con un sorriso.
Marti si stropicciò gli occhi. “Scusate” disse, mortificato.
“Tranquillo, zì” lo rassicurò Elia, mettendogli la mano sull’altra spalla.
“Ti ho preso una cosa” disse il dottore. Si abbassò per aprire un cassetto e ne tirò fuori un paio di libri, che posò sulla cattedra e spinse verso Martino.
“Cosa sono?” domandò Luchino, sporgendosi per leggere i titoli.
“Libri universitari. Forse potranno rispondere a qualche tua domanda e preoccupazione sul disturbo di Niccolò. Preferisco che consulti questi piuttosto di vederti andare su internet.”
“Namacissi!” esclamò Luchino.
“Namacissi” ripeté Spera con serietà.
Martino ne prese uno e cominciò a sfogliarlo. Si fermò su una pagina e lesse un paragrafo.
“Non ci capisco un cazzo” disse con una smorfia di disperazione.
“Dai, zì. Ti aiutiamo noi. Quattro teste sono meglio di una” disse Gio.
“Però ragazzi, mi raccomando” intervenne Spera. “Se avete dei dubbi venite da me, oppure parlatene con i genitori del ragazzo. Questi libri servono a chiarirvi le idee in linea generale, ma non ci troverete delle verità assolute, là dentro. Mi sono spiegato?”
I quattro ragazzi annuirono all’unisono.
“Grazie” disse Marti.
Spera sorrise.
 
Un minuto dopo lo psicologo andò a prendersi un caffè e li lasciò di nuovo a fare l’esercizio di fiducia.
Elia, in piedi e appoggiato alla cattedra, chiese invece di poter parlare.
Era molto nervoso e finalmente capì perché era stato così difficile per Martino confidarsi con tutti loro.
“Sicuro, zì. Spara” fece Giovanni, abbandonandosi contro il muro con una spalla.
Luchino tornò a sedersi e Martino restò in piedi al centro della stanza, interrogandolo con lo sguardo.
Elia annuì e Marti sorrise.
“E allora?” Giovanni spostò lo sguardo dall’uno all’altro.
“Niente, regà. Vi devo confessare una cosa.”
“Sei gay pure tu!” disse Luchino, spalancando gli occhi.
Elia rise. “Quasi…” rispose.

Fine capitolo ventotto
 
(Prima di andare avanti con la fanfiction volevo dirvi che non scriverò mai un capitolo con Niccolò che sta male, ma ne parlerò sempre indirettamente come in questo caso. Non sono un’esperta sull'argomento e preferisco non scrivere nulla che potrebbe rivelarsi inadatto, offensivo, fuorviante e inaccurato.)

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Una serata movimentata ***


Capitolo ventinove
Una serata movimentata
18 gennaio
 
Silvia aveva appena aperto l’app di Instagram, ed Eva, seduta accanto a lei, sbirciò. C’era una foto appena pubblicata da Edoardo, era un selfie con Federico. Riconobbe il divano, pochi minuti prima era stata lei a sedersi lì. Alzò lo sguardo e intravide i due ragazzi nella stanza accanto, che ridevano e scherzavano con degli amici.
Federico l’aveva evitata per tutta la sera, lì a quella festa di diciotto anni di una ragazza che Eva neppure conosceva bene. Le vere invitate erano Silvia e Federica, lei e Sana stavano facendo da +1.
Avrebbe voluto parlare con lui per chiarire la loro situazione, qualunque essa fosse, ma lui chiaramente non voleva e lei quella sera non era dell’umore giusto.
Silvia era distratta da una conversazione proprio con Sana, quindi lasciò l’app aperta. Eva diede un’altra occhiata e notò una Storia di Giovanni.
“La guardiamo?” Non sentì neppure la domanda.
Gio pubblicava raramente qualcosa su Instagram, quindi Eva era curiosa, ma non le andava di usare il proprio telefono.
“Eva? Ei, Eva?”
Silvia stava cercando di attirare la sua attenzione.
“Cosa?” fece Eva, sollevando lo sguardo.
“La guardiamo?” chiese di nuovo Silvia, sollevando il telefono.
Sul viso di Eva si dipinse un sorriso colpevole. Anche Silvia sorrise e cliccò sulla faccia di Gio.
Era un video. Giovanni non si vedeva, ed Eva ne fu delusa, però si sentiva la sua risata in sottofondo. Il protagonista era Elia, che dall’Altare della Patria fingeva di volersi stendere in cima alle scale per rotolare giù. Era evidente che aveva bevuto. In realtà, persino dalla risata di Gio, Eva si accorse che anche lui era un po’ brillo. L’inquadratura si spostò su Luca, che guardava Elia e rideva.
Poi il breve video finì.
“Niente di che” disse Silvia.
“Già” commentò Eva. Da quando aveva scoperto che Gio aveva lasciato l’argentina, aveva pensato mille volte di tornare da lui, ma poi si era sempre data della stupida. Era il momento di imparare la lezione: tra lei e Gio non poteva funzionare. E poi al momento stava ancora un po’ male per come era finita tra lei e Federico. Si sentiva confusa, e l’unica cosa che voleva davvero era stare da sola, anche se sentiva la mancanza di entrambi.
“Vado a prendermi qualcosa da bere” disse Eva, quasi sottovoce, e si alzò.
Silvia la guardò allontanarsi. Fede e Sana stavano parlando di qualche cosa tra loro, e la bionda sbloccò di nuovo il telefono.
Cercò il profilo di Giovanni e riguardò la Storia. Fermò il video su Luca. Dopo la radio non le aveva più chiesto di uscire né l’aveva contattata. Quella mattina si erano incrociati in corridoio durante l’intervallo, ma si era limitato a salutarla. Forse gli era già passata la voglia di uscire con lei? Sarebbe stato comprendibile, in fondo a scuola era pieno di ragazze molto più belle di lei.
 
Gio scoppiò a ridere.
“Che c’è?” chiese Elia.
I tre ragazzi stavano aspettando l’autobus lì a piazza Venezia, di fronte all’Altare, seduti su una panchina.
“Filippo ha risposto al video” rispose l’amico.
“Che video?” domandò Luchino.
“Ho messo su Instagram il video di Elia che vuole rotolare giù per le scale.”
Elia si irrigidì. Non era un problema che Gio avesse pubblicato il video. Non era il primo di quel genere che vedeva la luce e ormai conservare la dignità col resto della scuola lo preoccupava in misura minima. Però non si aspettava che Filippo commentasse ed era nevoso su cosa potesse aver detto. Come con Martino, quando Elia si era confidato il giorno precedente, non aveva voluto svelare il nome del ragazzo.
“Dice di tenerti d’occhio perché se bevi anche solo un altro bicchiere di birra ti troveremo ad arrampicarti sul Colosseo” lesse Giovanni a voce alta.
“Non sono così ubriaco!” esclamò Elia.
“Già, diglielo a Filippo che lui ste cose le fa al naturale” commentò Luchino con una risata.
Più tardi, tornato a casa, Elia decise di rispondergli lui stesso, in privato come la volta scorsa.
Elia: Non ero così ubriaco
Filo: Ovvio
Elia: Sono serio
Filo: Ti credo
Elia: Non mi pare
Filo: Se è vero che non sei ubriaco, dimostramelo
Elia: E come faccio?
Filo: Sono in un bar a Trastevere con degli amici. Raggiungeteci e ti offro l’ultimo cocktail
Elia: Sono già tornato a casa
Filo: Peccato
Elia: Sarà per la prossima volta
Filo: Me lo segno
 
Stava quasi per addormentarsi quando sentì il telefono vibrare. Controllò e scoprì che si trattava di un messaggio dell’argentina.
“Cazzo” borbottò Gio, mezzo addormentato.
La ragazza chiedeva di poter parlare con lui lunedì, a scuola.
Giovanni esitò, poi le rispose che non c’erano problemi.
Non aveva la più pallida idea di che cosa volesse, ma di certo non poteva rifiutarsi di parlarle, no?

Fine capitolo ventinove

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Quotidianità ***


Capitolo trenta
Quotidianità
19 gennaio
 
Casa Fares. Avevano appena finito di pranzare e avevano deciso di guardare tutti insieme un film su Netflix, al televisore in salotto.
La signora Fares era seduta composta in un angolo del divano, ma abbracciava un cuscino. Seduto nella poltrona accanto c’era il signor Fares, che aveva allungato il braccio per tenerle la mano.
Il padre di Niccolò lanciò uno sguardo al figlio. Nico e Martino erano seduti stretti stretti sul resto del divano, Nico con le gambe sui cuscini, completamente accoccolato sul petto di Martino. Sembrava stanco ma sereno. Il suo ragazzo, invece, sembrava sprizzare dolcezza da tutti i pori. Aveva dormito lì quella notte, era rimasto a colazione e a pranzo, e abbracciava Nico come se fosse la cosa più preziosa dell’universo, senza vergogna anche se aveva i signori Fares accanto. Addirittura ogni tanto si distraeva dal film per baciare Niccolò sulla testa.
Il signor Fares doveva ammettere di avere un debole per Martino. Gli era piaciuto dal primo giorno in cui lo aveva incontrato, e il modo in cui lui e Niccolò si guardavano lo faceva sempre sorridere di tenerezza. Era contento che il figlio avesse lasciato Maddalena e fosse riuscito a conquistare Marti. Non che Maddalena fosse antipatica, anche lei gli piaceva, ma da quando a Nico era stato diagnosticato il disturbo, lei aveva cambiato atteggiamento.
In apparenza sembrava ancora innamorata, ma il signor Fares aveva capito che in realtà era arrabbiata con il mondo. Il suo ragazzo ideale non era poi così perfetto, e lei avrebbe dovuto farci i conti. Si era ritrovata in una situazione in cui non voleva essere, ma per affetto e testardaggine aveva trasformato la sua relazione in una missione umanitaria.
Maddalena era sempre stata argomento di discussione tra i signori Fares. Il padre di Niccolò non la voleva intorno, aveva smascherato la situazione addirittura prima che riuscisse a farlo il figlio stesso, mentre la moglie si era affezionata alla ragazza e, a dirla tutta, le faceva comodo un’altra persona che li aiutasse a prendersi cura di Nico.
Con Martino la situazione era molto diversa. Anche se l’inizio era stato turbolento perché Niccolò non era stato onesto fin dal primo giorno, avevano iniziato la loro storia con piena consapevolezza delle difficoltà, e per il momento stava funzionando a meraviglia.
 
“Qualcuno ti scrive” disse Nico al ragazzo. Aveva il telefono di Marti da qualche parte dietro la schiena, tra i cuscini del divano, e stava vibrando. Lo prese e glielo passò.
Il film era finito, i signori Fares erano andati a trovare la sorella della signora Fares e i due ragazzi erano rimasti a casa a recuperare qualche serie televisiva.
“È Gio” disse Martino. “Ci sta chiedendo se domani sera vogliamo uscire. ‘Chiedilo anche a Nico’, ha detto.”
Niccolò non disse nulla, e Martino lo strinse ancora di più a sé.
“Gli dico che non puoi?” Marti gli baciò la guancia.
“Non me la sento” si scusò Nico.
“Non è un problema.” Spostò il bacio dalla guancia alle labbra e per qualche minuto rimasero in silenzio a baciarsi e coccolarsi.
“Però potremmo invitarli qui” disse a un certo punto Niccolò.
“Potremmo? Potresti, vuoi dire” rise Martino.
“Oramai praticamente nei weekend vivi qui.”
“Mi dispiace” disse Marti. “Non vol-”
Nico lo zittì con un bacio. “Non mi stavo lamentando” disse poi.
“Tu no, ok, ma magari i tuoi sì. Non mi ero reso conto di quanto temp-”
Un altro bacio. “I miei ti adorano” lo rassicurò il ragazzo. “Esattamente come avevo previsto.”
“Davvero?” Marti sorrise compiaciuto. I signori Fares erano sempre gentili con lui e lo trattavano come uno di famiglia, ma sentirlo dire da Niccolò con quella sicurezza gli piacque molto.
“Certo. Anzi, mio padre ti vorrebbe qui sempre, anche quando sto benissimo. È geloso ogni volta che io passo i weekend da te.”
Il sorriso di Martino si allargò.
“Dai, invitali qui” riprese il discorso Nico. “Pizza, birra, televisione, Fifa, e il riscaldamento acceso.”
“Basta l’ultima cosa per convincere Elia” commentò Martino, riprendendo in mano il cellulare. La prima chat su WhatsApp era quella dei Contrabbandieri, subito sotto c’era quella con Sana e poi c’era quella con Filippo. Lesse il nome dell’amico e improvvisamente si ricordò.
“Cazzo, io domani sera dovrei uscire con Filo. Mi ero completamente scordato.”
“Invita anche lui allora, così lo conosco un po’ meglio.”
“Basta che non entrate troppo in confidenza, mi sa che sei esattamente il suo tipo” scherzò Marti.
“Il mio cuore è già impegnato.”
“Non solo quello.” Martino infilò una mano sotto la felpa di Niccolò e gli accarezzò i fianchi seguendo il bordo dei pantaloni della tuta.
“Tutta roba tua, tranquillo” gli sussurrò Nico all’orecchio, sorridendo.

Fine capitolo trenta

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** Primo giorno e primo in classifica ***


Capitolo trentuno
Primo giorno e primo in classifica
20 gennaio
 
“Questo è il massimo della velocità?” chiese il personal trainer.
“Sì” rispose Federica, un po’ in imbarazzo. Era sul tapis roulant, ma praticamente camminava invece di correre. Anche così, comunque, dopo solo un minuto era già stanca.
“Ok, allora vai avanti così un’oretta. Se senti il bisogno di fare una pausa va bene, ma non più di due, e che non durino più di un minuto ciascuna, mi raccomando.” L’uomo le sorrise e si allontanò.
Fede continuò a camminare sul macchinario. Aveva trovato una palestra non molto lontana da casa sua, aperta tutti i giorni dalla mattina presto alla sera tardi, con personal trainer disponibili e persino degli spogliatoi che sembravano puliti. Insomma, non aveva assolutamente scuse per non andare.
Natale era passato e si era ripromessa di perdere qualche kg, così la madre le aveva preso un appuntamento con una nutrizionista e lei si era iscritta in palestra. Quello era il primo giorno e già si sentiva parecchio a disagio. Era circondata da gente super atletica che usava tutti quegli strani aggeggi con facilità e sicurezza, lei invece non sapeva neppure a cosa servivano, per questo aveva chiesto di iniziare con il più familiare tapis roulant.
Dopo una decina di minuti, l’uomo che stava correndo sul tappeto accanto al suo se ne andò, e fu sostituito da un’altra persona, ma lei era talmente concentrata sul conteggio delle calorie sul suo schermo da non accorgersene.
“Guarda un po’ chi si rivede.”
Per poco non le prese un colpo. Voltò di scatto la testa, con gli occhi spalancati, e si ritrovò davanti niente meno che Chicco Rodi.
“Ciao” lo salutò.
Perfetto, adesso aveva un’ulteriore ragione per sentirsi in imbarazzo. Di solito non era timida con i ragazzi, ma quella non era una situazione in cui si sentiva a suo agio. In tuta, struccata, sudata… non è proprio la condizione ideale in cui incontrare un ragazzo popolare a scuola che hai baciato a una festa.
Lui sembrò non notare il disagio di Fede.
“Che si dice al liceo?” le chiese, mentre impostava la velocità del tapis roulant. Ovviamente andava molto più veloce di quanto andasse lei.
“Da quando te ne sei andato la situazione è più tranquilla.”
“Ah, quindi una noia mortale.”
Fede rise. “Già, più o meno.”
“Non sapevo venissi in palestra qua.”
“Oggi è il primo giorno” replicò, spostando lo sguardo di nuovo sullo schermo. Stava valutando l’idea di aumentare la velocità, ma poi decise che era meglio di no. Già così stava faticando tantissimo, l’ultima cosa di cui aveva bisogno era stramazzare al suolo davanti a Rodi.
“Io ci vengo da qualche mese” la sua voce cominciava ad essere leggermente affannata. “È arrivato un cameriere nuovo che fa arrampicata e mi sono iscritto anche io. È una figata pazzesca ma mi sono dovuto rimettere in forma” alzò un braccio e lo fletté per mostrare i muscoli inesistenti.
La ragazza cercò di trattenere una risata. Poi aggrottò le sopracciglia. “Cameriere?”
“Sì, nella pizzeria dove lavoro.”
“Non sapevo lavorassi in pizzeria” commentò Fede.
“Beh, io non so come ti chiami” sorrise Rodi. “Quindi siamo pari.”
“Federica”. Fece per allungare una mano ma si trattenne, era tutta sudata.
Il ragazzo le diede un pugno amichevole sulla spalla. “Piacere!”
“Fai il cameriere anche tu?”
“Ho iniziato così, poi mi hanno spostato in cucina. I proprietari sono napoletani e sto imparando a fare le pizze nel forno a legna.”
Sembrava piuttosto soddisfatto. Chicco Rodi il pizzaiolo.
Fede sorrise, perché ce lo vedeva bene.
“Magari qualche volta vengo a mangiare lì così posso valutare la tua bravura.”
Si pentì subito di aver detto una cosa del genere e si preparò ad un commento sul cibo e sul suo peso. Era inevitabile, ogni volta che parlava di mangiare con persone che non erano i suoi amici, arrivavano le battutine idiote, come se per una persona grassa mangiare fosse un pensiero fisso e bisognasse farglielo notare deridendola.
“Figo!” esclamò invece Rodi, e le spiegò dove si trovava la pizzeria, come si aspettasse davvero che lo andasse a trovare.
Trascorse una mezz’oretta, in cui corsero (o camminarono, nel caso di Fede) in silenzio, scambiando qualche parola solo ogni tanto, poi Chicco Rodi spense il suo tapis roulant.
“Vado a fare un po’ di pesi” le disse, flettendo di nuovo i muscoli del braccio e strizzandole l’occhio con aria complice. “Ci si becca prossimamente!” e si allontanò.
 
Quella stessa sera, ma un paio d’ore più tardi, Giovanni ed Elia suonarono il campanello di casa Fares.
Niccolò aprì la porta e li fece entrare.
Luchino e Filippo erano già lì, e stavano sistemando i cartoni delle pizze sul tavolino in salotto. Martino, invece, era in cucina a prendere le birre dal frigo.
“Ohh è arrivato l’ubriacone” scherzò Filippo, appena Elia e Gio li raggiunsero.
“Non eravamo poi così ubriachi” disse Luchino, divertito.
“Già, già… così mi è stato detto…” borbottò Filo.
Giovanni aggrottò le sopracciglia a quel commento, e lanciò un’occhiata veloce ad Elia, che però per una volta non stava ricambiando il suo sguardo.
Niccolò richiamò la loro attenzione appena Martino li raggiunse. “Bene!” esclamò. “Finalmente ci siamo tutti. Adesso buttiamoci sulle pizze prima che diventino fette di ghiaccio.”
“Scusate, regà, la principessa si è fatta attendere” disse Elia, che era passato a prendere Gio in motorino e aveva dovuto aspettarlo davanti al portone per almeno quindici minuti.
“Mio fratello si era chiuso in bagno, che cazzo dovevo fa, zì” replicò l’altro, lasciandosi cadere sul divano.
Marti e Nico si sedettero vicini sul tappeto, Filippo si impossessò della poltrona, e Luchino ed Elia raggiunsero Gio sul divano.
La televisione era accesa, ma nessuno la guardava. Mangiarono e chiacchierarono in tranquillità. Parlarono soprattutto del progetto fotografico di Filippo, che aveva ancora un sacco di lavoro da fare. Poi però, quando ormai i cartoni delle pizze erano quasi completamente vuoti, si ritrovarono a parlare di Luchino e Silvia.
“Quindi non le hai chiesto di nuovo di uscire, giusto?” domandò Gio.
“Ancora no. Però alla radio è stata carina con me” rispose Luchino, guardando Nico e Marti alla ricerca di una conferma.
“Molto carina” confermò Martino.
“Daje!” sorrise Luchino, sempre più speranzoso. “Forse almeno lei non mi piazzerà in fondo alla sua lista” aggiunse, lanciando uno sguardo di finto rimprovero a Niccolò.
“Cosa?!?” Nico diede una spintarella a Martino. “Non posso credere che glielo hai detto!”
“Sì che ce lo ha detto” intervenne Elia. “Si può sapere com’è possibile che ci sia Gio al primo posto e non io?!?”
Niccolò rise e non fece in tempo a rispondere perché Filippo prese la parola.
“Ma de che state a parlà?”
“Nico ha fatto una classifica degli amici di Marti che si scoperebbe” spiegò Giovanni. “E io ovviamente sono in cima” annuì soddisfatto.
“In cima, ma comunque dopo di me” precisò Martino.
“Ehhh… più o meno…” fece Niccolò, senza riuscire a trattenersi dal ridere.
“Stronzo!” gli strillò Martino in faccia.
“Dai che scherzo, amore” gli prese una mano e gliela baciò.
Amore! Farò indigestione di zucchero stasera” commentò Filippo, ma era intenerito sul serio.
“E la tua classifica qual è?” gli chiese Luchino. “Anzi, non so se lo voglio sapere. So stanco di esse l’ultimo pe tutti quanti!”
“Tanto si sa che al primo posto ci sono comunque io” disse Gio, stiracchiandosi e incrociando le braccia dietro la testa.
“Il primo posto non ve lo dico.” Filo li guardò uno ad uno. “Ma vi dico l’ultimo.” I suoi occhi si incrociarono con quelli di Luchino, che stava già per sospirare sconsolato, quando Filippo indicò Martino. “È questo roscio qui” disse.
“Cioè io sarei meno scopabile di Luchino, per te?” Marti si finse indignato, ma rideva come tutti gli altri.
“Ebbene sì” rispose Filo.
“Ah, questa è proprio pesante, zì” disse Gio.
“Povero Marti.” Niccolò lo baciò su una tempia.
Povero Luchino mai, eh?!” si lamentò il biondino.
Povero povero povero Luchiiiiino” lo presero in giro Elia e Gio contemporaneamente, e tutti risero.
A fine serata aiutarono Nico a mettere in ordine, e Filippo ed Elia si ritrovarono da soli a portare le bottiglie vuote di birra in cucina.
Gli altri erano ancora a portata d’occhio e di orecchio, ma nessuno stava facendo caso a loro due.
Elia teneva lo sguardo basso, ma Filo ad un certo punto gli sbarrò la strada e lo costrinse a guardarlo negli occhi.
Non dissero nulla per qualche secondo, poi Filo si sporse verso di lui.
“Comunque… sei tu il mio primo in classifica” gli sussurrò all’orecchio.
E in quel momento Elia ebbe l’istinto fortissimo di baciarlo, e probabilmente lo avrebbe anche fatto, se Filippo gliene avesse dato il tempo. Invece si era allontanato subito e aveva raggiunto di nuovo gli altri, ed Elia era rimasto da solo con i suoi pensieri.

Fine capitolo trentuno

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Argomenti spinosi ***


Capitolo trentadue
Argomenti spinosi
21 gennaio
 
“Eccola” mormorò Giovanni.
“Dai, fraté, non ti mangia.” Martino gli diede una spintarella.
L’argentina lo stava aspettando seduta su un muretto nel cortile della scuola.
Giovanni sospirò, si fece forza e le si avvicinò, sotto gli occhi un po’ divertiti dei suoi tre migliori amici, che poi se ne andarono finalmente a mangiare qualcosa.
“Ciao” le disse, appena fu a portata d’orecchio.
“Ciao” rispose lei, con un luminoso sorriso.
Improvvisamente il ragazzo si dimenticò del perché l’avesse lasciata. Rimase lì in piedi a guardarla.
Sofia si alzò e si sporse timidamente per baciargli le guance in segno di saluto. Lui si chinò leggermente per facilitarle il compito e poi le sorrise a sua volta.
“Come stai?” domandò la ragazza.
“Bene, e tu?”
“Anche io.”
Si sorrisero imbarazzati per qualche secondo.
“Di cosa volevi parlarmi?” chiese infine Gio.
Lei non rispose subito, ma pensò per un momento se non fosse il caso di andare dritta al punto senza troppi giri di parole, e decise che era la cosa migliore.
“Ti ricordi del matrimonio di mia cugina?”
Giovanni annuì, e capì subito. “Dovevamo andarci insieme” disse.
“Sì. Mi chiedevo se ti andasse ancora di accompagnarmi.”
Gio rimase in silenzio. Così, a occhio, non gli sembrava una grande idea. Sofia dovette leggergli nel pensiero.
“Lo so che sarebbe strano, ma...” distolse lo sguardo. “I miei genitori non possono venire, nessuna delle mie amiche può accompagnarmi quella sera, non ci sarà nessuno che conosco, sarà pieno di parenti che non ho mai visto, e io devo andare per forza perché devo fare da damigella.”
Erano tutte cose che Giovanni sapeva già, era proprio per tutti quei motivi che si era offerto di accompagnarla il giorno che ne avevano parlato, quando stavano ancora insieme.
“Non dobbiamo andare come coppia, è ovvio. Possiamo andare come amici” concluse l’argentina.
Gio le sorrise. “Non c’è problema, Sofi” disse. “Ti accompagno volentieri.”
“Davvero?” chiese sollevata la ragazza.
“Certo” rispose Giovanni. Non ci vedeva nulla di male nell’accompagnarla. Anzi, avrebbe mangiato bene e gratis, si sarebbe divertito e avrebbe trascorso del tempo con Sofia, di cui un po’ sentiva la mancanza. Anche se le cose non avevano funzionato sul piano romantico, era una ragazza simpatica ed era sempre stato bene con lei.
Poi, visto che nessuno dei due aveva mangiato niente da ora di colazione, si avviarono insieme ai distributori.
 
“Grazie, Gio.”
Eva si immobilizzò. Era la voce dell’argentina. Saltò giù dal banco e si avvicinò alla porta dell’aula vuota in cui si trovava. Era la classe di Silvia, che era andata al bagno, e lei la stava aspettando.
“Prego.”
Eva si morse le labbra. Sì, quello era Giovanni. Si erano fermati proprio in mezzo al corridoio, davanti alla porta dell’aula. Con la massima attenzione, si spostò in modo da poterli vedere, sperando di non essere vista.
Pareva che Giovanni avesse aiutato Sofia a portare dei caffè fino a lì, ed Eva si ricordò che l’aula dell’argentina era proprio accanto a quella di Silvia.
“Stasera vado a fare shopping. Appena prendo il vestito ti mando una foto. Di sicuro sarà lungo ed elegante” disse Sofia al ragazzo, sorridendo.
“Agli ordini, signora!” esclamò Gio. “Sia mai che la mia giacca non si abbini al tuo abito principesco” aggiunse ridendo.
“Sarà un matrimonio chic, cosa credi” disse Sofia scherzosamente. “Mia cugina è una tipa sofisticata” continuò poi, un po’ più seriamente.
“No problem.” Gio si chinò per lasciarle un bacio sulla guancia. “A più tardi.”
I due si mossero ed Eva indietreggiò alla velocità della luce per allontanarsi dalla porta ed evitare di essere vista.
Erano tornati insieme. Ovviamente… perché non avrebbero dovuto? Sofia era stupenda. E adesso lui andava addirittura a conoscere la famiglia di lei.
“Eva, tutto bene?” le chiese la voce preoccupata di Silvia, che doveva essere tornata dal bagno senza che neppure se ne accorgesse.
Eva annuì, ma in realtà non stava bene per niente.
 
Mamma Rametta riemerse dai meandri della sua stanza e raggiunse i due giovani in cucina, seduti al tavolo, circondati da libri, quaderni e con il computer acceso.
“Tutto bene?” domandò.
“Sì, madre” scandì Martino con tono esasperato.
Sana trattenne una risata.
“Vuoi dell’altro tè?” domandò la madre di Marti alla ragazza.
“No, grazie, signora” rispose lei gentilmente, con un sorriso.
“D’accordo, allora vi lascio lavorare.”
“Brava, altrimenti non avrai niente da ascoltare la settimana prossima” replicò Martino.
“Ei, non si parla così alla vostra fan numero uno!” Mamma Rametta rise e si allontanò nel corridoio.
“Ecco qua” disse Marti, allungando un foglio a Sana.
“Perfetto…” commentò Sana tra sé, leggendo velocemente.
“Cos’ha di speciale questa puntata?” chiese il ragazzo.
Sana alzò gli occhi dal foglio. “In che senso? È una puntata come le altre.”
“Non è vero.” Martino si lasciò andare sullo schienale della sedia, incrociò le braccia e la guardò con un sorrisetto. “È la prima volta che vuoi lavorare al programma con giorni di anticipo, incontrandoci per pomeriggi interi e analizzando ogni singola parola di quello che diremo.”
Sana non rispose, non si era aspettata quell’interrogatorio.
“Ed è anche la prima volta che hai scelto un tema preciso” aggiunse Marti. “Come mai per questa puntata vuoi parlare solo di scrittrici?”
“Non c’è una ragione precisa, mi andava soltanto di scegliere un tema, una volta tanto.”
“Non me la bevo.”
Martino ormai aveva imparato a conoscere Sana. Radio Osvaldo le era sempre stata a cuore, soprattutto per Silvia e perché ci teneva a fare bella figura in tutto ciò che faceva. Ma stavolta c’era una maggiore dedizione, anche solo nel modo in cui parlava della vita di quelle donne, che lo faceva sospettare che la affascinassero particolarmente.
“Ti piace scrivere?” le domandò improvvisamente. Si era reso conto che spesso l’aveva vista scrivere su carta o al computer, anche quando non stava studiando. Non ci aveva mai pensato seriamente prima di quel momento, ma adesso gli si era accesa la lampadina.
Sana, che aveva ricominciato a leggere, si fermò, ma non alzò lo sguardo.
Era un argomento delicato per lei, e non aveva voglia di affrontarlo. Si sentiva nuda quando scriveva, vulnerabile. Era una sensazione bellissima, ma allo stesso tempo la spaventava. E il solo fatto di scrivere, di sperare un giorno di vedere un suo libro esposto in una libreria in centro a Roma, la entusiasmava e deprimeva al tempo stesso. Era un sogno che l’appassionava ma che a volte la faceva sentire una stupida, motivo per cui non ne aveva mai parlato con nessuno.
“Sono brava nei temi di italiano” rispose, in un tono quasi glaciale.
Martino recepì il messaggio e lasciò cadere l’argomento.

Fine capitolo trentadue

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Una nuova prospettiva ***


Capitolo trentatré
Una nuova prospettiva
22 gennaio
 
“Ciao!”
“Ciao” Eleonora si voltò e rispose in italiano, senza neppure farci caso. Quando se ne rese conto, sorrise sorpresa. “Ci conosciamo?” chiese al ragazzo dietro di lei in fila da Starbucks. Aveva un viso molto familiare.
“Non ancora. Piacere, Domenico.” Lo sconosciuto allungò una mano ed Ele gliela strinse.
“Eleonora” si presentò, poi rimase un attimo senza parole perché, strano a dirsi, era il primo italiano che incontrava a Manchester. Non il primo che incrociava la sua strada, quello no, ma il primo con cui stava parlando per davvero.
“Come sapevi che sono italiana?” indagò.
“Anche io sono qui quasi tutte le mattine. Ogni tanto ti ho sentita parlare al telefono.”
Non era strano, perché Ele e Filippo avevano l’abitudine di sentirsi quasi tutte le mattine.
La ragazza non replicò e cercò di capire che tipo fosse. Era molto alto, con i capelli e gli occhi castani e la carnagione chiara. Doveva avere sui vent’anni al massimo e dal modo in cui parlava e in cui si muoveva, sembrava molto disinvolto.
“Giuro che non sono uno stalker” disse, visto che lei era rimasta in silenzio. Il modo in cui aveva pronunciato la parola ‘stalker’ era impeccabilmente british. “E giuro anche che non origlio le tue conversazioni di proposito, è stato un caso. Sentir parlare in italiano attira la mia attenzione.”
Aveva un sorriso molto bello e sembrava sincero.
“Non volevo accusarti” rispose Ele cordialmente. “Sei in Inghilterra per studiare?”
Nel momento in cui gli fece quella domanda, si accorse che pian piano l’avanzare della fila l’aveva portata al bancone, era il suo turno. Ordinò e tirò fuori il portafoglio per pagare, ma il ragazzo si sporse oltre la sua spalla e guardò la ragazza alla cassa.
“It’s on me, Claire” disse, poi guardò Eleonora. “Posso? Mi piacerebbe fare colazione con te stamattina, se non vai di fretta.”
Eleonora esitò, poi sorrise. “Va bene” rispose.
La ragazza dietro il bancone, Claire, sorrise e posò su un vassoio l’ordinazione di Ele e anche un altro bicchiere.
“Your coffee, Dom. Have a nice day!” li salutò allegramente entrambi.
Mentre Domenico prendeva il vassoio, ad Eleonora si accese la lampadina.
“Tu lavori qua!” esclamò, seguendolo ad un tavolo libero non molto lontano.
“Esatto” rispose lui. “Ti avevo detto che non sono uno stalker.”
Ecco perché aveva un viso così familiare. Quel ‘Dom’ era scritto sulla targhetta della sua divisa.
Si sedettero e il ragazzo cominciò subito a sorseggiare il suo caffè.
Eleonora invece era ancora sorpresa di non averlo riconosciuto subito. Nessun mistero che sapesse che era italiana, le mattine come quella in cui entrava in caffetteria senza parlare al telefono erano davvero rare.
“Spero che quel famoso Filo non sia il tuo ragazzo” disse Domenico per rompere il ghiaccio, e la ragazza rise.
Cominciarono a chiacchierare ed Ele scoprì che Domenico aveva la stessa età di suo fratello, che era nato e cresciuto a Bologna, ma che la madre era originaria di Manchester, così subito dopo il diploma si era trasferito per provare un’esperienza all’estero e conoscere meglio gli zii e i cugini.
Domenico era simpatico, gentile, e faceva dei discorsi interessanti. Eleonora fu presa talmente tanto dalla conversazione, che dimenticò di controllare l’orario e saltò la prima lezione.
 
Più tardi quella mattina, ma a Roma, finalmente suonò la campanella dell’intervallo al liceo Kennedy.
Eva si alzò ed uscì dall’aula alla velocità della luce, prima ancora che Gio avesse il tempo di alzare lo sguardo dai libri. Tanto lo sapeva che lui, Elia e Martino sarebbero rimasti in classe ad aspettare Luchino e Niccolò, come ogni giorno. Mai una volta che potesse starsene tranquilla a ripassare per le ore successive.
Non che non avesse di meglio da fare, lei e le altre ragazze si incontravano quasi sempre in cortile, ma quel giorno era particolarmente incazzata col mondo, e la sola esistenza di Giovanni le faceva venire voglia di spaccare una sedia.
Oppressa dal bisogno di una cioccolata calda, si avviò ai distributori e, prima ancora di accorgersene, si ritrovò davanti Federico, che inseriva le monetine per il suo caffè.
Non c’è pace, oggi, pensò, anche se in realtà quella giornata a livello pratico non aveva niente di diverso dalle solite.
“Ciao” salutò la ragazza, con un sorriso appena accennato.
Federico le lanciò un’occhiata e si limitò a un cenno con la testa.
Sembrava… ferito. Lui!?
“Mi devi una spiegazione” disse allora Eva, cominciando ad arrabbiarsi di nuovo.
Federico la guardò ancora e sollevò un sopracciglio. “Io?” chiese.
“Sì, tu. Te ne sei andato da casa mia senza dirmi niente e mi hai lasciato un misero bigliettino.”
“Forse ero stanco di venire trattato di merda” rispose lui, chinandosi per prendere il suo caffè. Le voltò le spalle e cominciò ad allontanarsi.
“Ei!” lo chiamò Eva, raggiungendolo e piazzandosi davanti a lui in mezzo al corridoio. Un paio di persone la urtarono per sbaglio passando, ma lei nemmeno se ne accorse.
“Non capisco” disse ancora la ragazza. Non era più incazzata, solo sinceramente confusa.
Fede sospirò e mando giù il caffè con un unico sorso. “Quella sera mi hai ignorato per tutto il tempo. E non solo quella sera. Le due notti che hai passato interamente da me, la mattina dopo quando mi sono svegliato te l’eri svignata. Te lo ricordi? Carino da parte tua” commentò sarcasticamente. “E se escludiamo Capodanno, non c’è stata una singola volta in cui sei uscita con me. In pubblico, intendo. Anche se te l’ho chiesto cento volte. Va bene che sono bravo a scopare, ma venire usato solo come una bambola gonfiabile dopo un po’ ha rotto i coglioni persino a me.”
Eva fece un passo indietro, quasi sotto shock. L’ultima cosa che si aspettava era una risposta del genere. Si era davvero comportata così male con Fede?
Si morse le labbra e abbassò lo sguardo, colpevole, perché la risposta era sì. Si era comportata davvero di merda, e quasi non ci aveva fatto caso, perché tanto lui era solo quel cazzaro di Federico, che cosa poteva mai importargliene? E invece a quanto pare gli importava.
“Mi dispiace” disse, guardandolo di nuovo negli occhi. “Non mi ero resa conto che…” non sapeva come continuare.
“Che me ne fregasse qualcosa?” concluse per lei Federico, con voce tagliente.
Eva annuì.
Sembrava davvero dispiaciuta. Il ragazzo si intenerì e gli scappò un altro sospiro. “Senti, non importa, ok?”
“Importa” replicò la rossa. “Ti chiedo scusa.”
“Scuse accettate.” Fede sollevò il bicchierino vuoto come se stesse brindando a quel momento, poi fece per andare via un’altra volta. Invece dopo due passi si fermò e si girò nuovamente verso di lei.
“Senti. Ti va di ricominciare da capo? Di vederci e tutto il resto” chiese alla ragazza.
Eva non rispose subito. Per quanto assurdo potesse sembrare, le mancava stare con Fede. Però sapeva anche che una storia con lui non l’avrebbe mai portata da nessuna parte.
“Non posso vivere una storia così.”
“Così come?” Stavolta fu il turno di Federico di essere confuso.
“Senza un impegno serio, con te che vai a letto con altre cento ragazze. Ci ho provato nelle ultime settimane, ma proprio quando abbiamo chiuso mi sono accorta che non fa per me. Questo non giustifica il modo in cui ti ho trattato e ti chiedo ancora scusa, ma io voglio dei sentimenti veri, una relazione vera. Se vuoi stare con me, devo essere l’unica.”
Fede alzò gli occhi e poi scosse la testa incredulo. Mosse qualche passo per avvicinarsi a lei.
“Eva, cazzo, svegliati” disse con voce profonda e sicura, guardandola negli occhi. “Possibile che tu non te ne sia accorta? Da un bel po’ di tempo eri già l’unica.”
Poi si chinò in avanti, le accarezzò il viso con una mano e la baciò sulle labbra.

Fine capitolo trentatré

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Compiti e programmi ***


Capitolo trentaquattro
Compiti e programmi
23 gennaio
 
C’era un bel movimento quel pomeriggio, alla sede della radio.
Silvia chiamò con un cenno della mano Eva, e la invitò ad avvicinarsi a lei e a Federica.
“Che succede?” domandò la rossa raggiungendo le amiche. Aveva visto che avevano appena finito di parlare con Emma e l’argentina.
“Emma mi ha chiesto di poter mollare il programma con me per lavorare con Sofia” disse Fede.
“Che stronza” commentò Eva.
“No, dai, la capisco” replicò l’amica, anche se in effetti ci era rimasta un po’ male.
“Sei troppo buona.”
“Ragazze” intervenne Silvia, per richiamarle all’ordine. “Ho già risolto il problema.”
“Davvero?” Entrambe inarcarono un sopracciglio.
“Sì, davvero” rispose la bionda. “Tu” disse guardando Eva “inizi a lavorare al programma di Fede, e io ti sostituisco con Luca. Tanto dovevamo trovare un posto anche a lui.”
Eva sorrise. “Non sarebbe più semplice se noi due continuassimo a lavorare insieme e Luca si unisse al programma di Fede?”
Federica cercò di contenersi, anche se aveva le labbra tirate in un sorriso divertito. “Già” disse soltanto.
Ma Silvia era preparata a quell’obiezione. “Lui è venuto qui per vedere me, è evidente” disse, scegliendo di utilizzare un tono leggermente presuntuoso. “Con Fede sarà svogliato mentre con me lavorerà come si deve per non deludermi.”
In effetti quel ragionamento non faceva una piega.
“Certamente” disse Eva, poi si voltò verso Federica e le porse la mano. “Socia…?”
Fede gliela strinse. “Al lavoro!” E si allontanarono, ancora con espressioni divertite per come Silvia aveva rigirato la frittata.
Rimasta sola, la bionda si avvicinò a Luchino, che stava parlando in un angolo con Martino e Niccolò.
“Non dovreste lavorare?” domandò alla coppia.
“Il mio turno comincia tra dieci minuti” le rispose Nico.
“Beh, comincia ad andare di là e aiuta Stefano a chiudere.”
“C’è già Sana ad aiutarlo” la informò Martino.
“E allora andate ad aiutare lei” concluse Silvia categorica, cercando di non farsi influenzare da quanto fossero dolci quei due che si tenevano per mano in ogni momento.
I due ragazzi si guardarono per un istante, perplessi, poi obbedirono e Luchino rimase solo con la ragazza.
“Io non ho ancora un programma” le disse, sorridendo.
“Ce l’hai da adesso” rispose lei.
“Qual è?” domandò Luchino, con un entusiasmo che la ragazza non aveva previsto. Sembrava che si stesse interessando alla radio per davvero.
“Abbiamo fatto un po’ di sostituzioni e tu lavorerai con me al posto di Eva” rispose.
Il ragazzo spalancò gli occhi, perché questa non se l’aspettava proprio.
“Daje!” esclamò, con un enorme sorriso. “Quando iniziamo?!”
“Registriamo mercoledì prossimo, ma nei prossimi giorni ti scriverò per metterci d’accordo sugli argomenti” e stavolta anche Silvia gli sorrise.
Si guardarono negli occhi in silenzio e sorridenti per qualche secondo, poi Silvia disse che aveva da fare e raggiunse di nuovo Eva e Fede.
Luchino invece restò un po’ inebetito in quell’angolo di aula a pensare che per una volta i suoi sforzi per conquistare una ragazza stavano quasi funzionando e dovette trattenersi dal saltellare per la felicità come un bambino.
 
Elia: Sei ancora a scuola?
Marti: È quasi ora di cena, sono a casa da un pezzo. Ma che ti credi che ci tengono in ostaggio là dentro?
Elia: Ma che ne so zì, quella Silvia pare un’invasata
Marti: Un po’ lo è, ma in senso buono
Elia: Buono a sapersi. Mica c’erano compiti di fisica per domani?
Marti: Non ho controllato, studio dopo cena. Chiedi a Gio
Elia: Fatto, non mi risponde. Dai controlla un attimo
Marti: Aspè
Marti: No, solo latino e storia
Elia: Grande
Marti: L’hai fatta la versione?
Elia: No, domani copio la tua
Marti: Scordatelo. Non so neanche se riesco a finirla
Elia: Allora copio quella di Gio
Marti: Come va col ragazzo misterioso?
Elia: Non è che stiamo insieme, non c’è niente che dovrebbe andare
Marti: Ti piace ancora?
Elia:
Marti: Lo hai sentito ultimamente?
Elia:
Marti: E tu piaci ancora a lui?
Elia: Penso di sì
Marti: Mi raccomando non sprecare troppe parole
Elia: Scusa, è che davvero non so che dirti. Sta situazione di merda non la capisco bene nemmeno io
Marti: Buttati e digli che ti piace anche lui
Elia: Non è così semplice
Marti: Niente è mai semplice
Elia: Lo so, altrimenti non sarei stato single tutta la vita
Marti: E allora buttati… che è morbido
Elia: PESSIMA
Marti: Però lo so che hai riso
Elia: Stronzo. A domani
Marti: Cia

Fine capitolo trentaquattro

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Illuminazione ***


Capitolo trentacinque
Illuminazione
24 gennaio
 
La campanella segnò la fine delle lezioni e tutta la scuola si precipitò fuori dall’edificio. Tutti, tranne Martino e Niccolò, che decisero di fermarsi qualche minuto dal Dott. Spera.
Gli altri tre membri dei Contrabbandieri, invece, si unirono alla calca nel cortile.
“Ei, c’è Filippo” disse Luchino, con lo sguardo rivolto al cancello.
Elia e Giovanni alzarono le teste e lo videro. Ormai lo conoscevano abbastanza bene da riconoscerlo senza problemi anche a quella distanza e con i capelli platino nascosti dal cappello.
Il maggiore dei Sava se ne stava appoggiato con nonchalance al tronco di un albero sul marciapiede proprio di fronte l’ingresso del cortile.
I tre ragazzi uscirono dal cancello per andargli incontro e finalmente anche lui li notò.
Si salutarono con tranquillità, nessun imbarazzo tra Filippo ed Elia. La presenza degli amici riuscì in qualche modo ad eliminare ogni possibile tensione, ma non durò molto.
“Ma che ci fai qua, zì?” domandò Gio.
“Aspetto Martino. Mi deve fare da modello per delle foto.”
Gli altri tre scoppiarono a ridere e Filippo non riuscì a trattenersi e si unì alle risate.
“Sì, lo so, ma per la verità lo ha già fatto una volta ed è piuttosto bravino. Tanto deve solo guardare per terra la maggior parte delle volte, il lavoro difficile lo faccio io” aggiunse.
“Ah, ecco!” esclamò Gio con un’ultima risata, poi controllò il telefono. “Sentite, io devo andare, devo passare a prendere mio fratello.”
“Anche io devo correre, pranzo in famiglia. Di nuovo” disse Luchino con una smorfia.
I due ragazzi salutarono e lasciarono Elia e Filippo da soli.
“Mi sa che non usciranno da lì tanto presto” disse Elia, giusto per rompere il silenzio, indicando la scuola con un cenno della testa. Distolse anche lo sguardo, un po’ perché non voleva specificare cosa stavano facendo Martino e Niccolò, un po’ perché adesso che erano rimasti soli continuava a risuonargli in testa la voce bassa di Filippo che gli diceva di essere il suo primo in classifica. Senza contare che subito dopo quel fatto a lui era venuta voglia di baciarlo.
Filippo percepì il disagio dell’altro e si maledisse per l’ennesima volta per il modo in cui stava gestendo quella sua stupida cotta per uno stupido amico di quello stupido di Martino.
“Mi sa che devo chiederti scusa di nuovo” gli disse.
“Per cosa?” Finalmente Elia lo guardò in faccia, sorpreso.
“Per quello che ti ho detto l’altra sera, da Nico.”
“Per come lo hai detto, soprattutto.”
Elia si portò una mano davanti alla faccia. Merda. Merda merda merda, lo aveva proprio detto a voce alta.
Filo rise. “Sì, anche per come l’ho detto.” Non riusciva a smettere di sorridere.
Ormai il viso di Elia sembrava aver preso fuoco.
“Beh, senti, non c’è problema, ok? Non è la fine del mondo.” Stava cercando di salvare in tutti i modi quella poca dignità che gli rimaneva, ma stava evidentemente fallendo.
“Il problema c’è, invece.” Filo smise di ridere. “Tu sei etero, hai detto. No? Quindi dovrei smettere di punzecchiarti” disse, proprio per punzecchiarlo ancora di più.
Elia continuò a fissare le radici dell’albero lì vicino.
Filippo si fece più serio, e stavolta parlò non per flirtare, non per punzecchiarlo, ma solo per essere chiaro.
“E poi è un problema perché anche se tu fossi bisessuale o addirittura super gay, io non sono in cerca di relazioni serie. Cioè, non voglio un fidanzato e cose del genere.”
Elia rimase in silenzio, perché non si aspettava un discorso così.
“E tu non sei esattamente il primo ragazzo carino incontrato in un gay bar, no?” continuò Filippo. “Sei uno dei migliori amici di Marti.”
“Sì” commentò Elia sommessamente. Era ancora un po’ frastornato.
“Sì cosa?”
“Sì la faccenda dell’amico di Marti” rispose. Poi chiuse gli occhi sperando che il marciapiede lo inghiottisse.
Filippo sorrise. Elia non gli aveva mai fatto così tanta tenerezza come in quel momento.
“Ei… siamo a posto?”
Elia si riscosse. “Sì, certo. Te l’ho detto, non è un problema. Sei tu che ne stai facendo un affare di stato”. Riuscì persino a sorridere con tranquillità.
 
Martino e Niccolò nel frattempo erano usciti, e li videro.
Elia e Filippo chiacchieravano e si sorridevano. Sembravano un po’ imbarazzati, ma allo stesso tempo era come se tra loro ci fosse dell’intimità che Martino non aveva mai notato prima.
E poi, l’illuminazione.
Era Filippo. Era Filippo il ragazzo per cui Elia si era preso una cotta. Porca miseria!
Mentre attraversava il cortile tenendo per mano Niccolò, Martino rifletté su quanto stava osservando. Conosceva abbastanza entrambi da poter dire che il modo in cui si parlavano e si guardavano era molto diverso da quello che usavano in presenza degli amici. Stavano flirtando, non aveva dubbi, e la conferma gli arrivò presto.
“Vedi quello che vedo io?” gli chiese Nico con un sorriso.
“Me sa de sì” rispose Marti.
“Sarà un problema?”
“Non ne sono sicuro…”
Quando li raggiunsero fecero finta di niente, e Martino decise di farsi i fatti suoi, almeno per il momento.

Fine capitolo trentacinque

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** Il ragazzo perfetto ***


Capitolo trentasei
Il ragazzo perfetto
25 gennaio


“Mi vedete bene adesso?” domandò Eleonora, inclinando un poco lo schermo del computer.
“Perfetto!” esclamò Sana dall’altra parte della videocamera.
Le quattro ragazze romane erano a casa di Eva e si erano strette sul divano per rientrare nell’inquadratura.
Ele le guardò sorridendo. Era incredibile quanto sentisse la loro mancanza, nonostante parlassero tutti i giorni. Uscire con loro, vederle, abbracciarle, vivere le giornate insieme… era tutta un’altra cosa.
“Allora, qualche novità?”
“Niente che non ti abbiamo già raccontato” rispose Eva.
“Invece una cosa c’è” disse Fede, con aria maliziosa, dando una gomitata a Silvia.
“Non è niente di che” borbottò la bionda.
“Ti ricordi che Luca si è iscritto alla radio?” chiese Sana a Eleonora.
Ele annuì, poi rispose anche a voce alta, perché la qualità del video non era proprio il massimo.
“Silvia ha deciso di lavorare con lui” disse Eva.
Ormai tutte stavano guardando Silvia con un sorriso sotto i baffi.
“Soltanto perché co-”
“Perché così lavora meglio, blablabla, sì, abbiamo capito.” Fede alzò gli occhi al cielo.
“Comunque si sta comportando benissimo” aggiunse Sana.
“Chi? Silvia o Luca?” rise Eleonora.
“Che spiritose” bofonchiò ancora Silvia.
“Dai, io trovo che sia un ragazzo molto carino” disse Ele.
“Anche io” approvò Sana.
“Idem” intervenne Fede.
“Di certo meglio lui di Elia” aggiunse Eva.
“Non ho nessuna intenzione di uscire con lui” specificò Silvia. Per quanto, ormai, la prospettiva di un appuntamento con quel ragazzo non sembrava più così terribile. Si era rivelato molto più simpatico, maturo e intelligente di quanto credesse. E poi c’era sempre quel modo bellissimo in cui la guardava e le parlava.
Eleonora osservò Silvia con un sorriso. Sembrava essersi persa un momento nei suoi pensieri su Luca. Meglio così.
“E invece voi vi ricordate quel ragazzo italiano che mi ha offerto la colazione l’altro giorno?”
“Ovvio” rispose Eva.
“Il ragazzo dei sogni” le fece eco Fede.
“Tutti tu li trovi.” rise Sana.
“Che succede con lui?!” domandò finalmente Silvia.
“Stamattina lavorava quando sono andata in caffetteria, e mi ha invitata ad uscire domani sera.”
Le ragazze cominciarono ad agitarsi e parlottare e lei le fermò subito agitando convulsamente le mani.
“Frenate ragazze, stop!” Rise. “Non è un appuntamento romantico. È un’uscita con il suo gruppo di amici e io porterò anche un paio delle ragazze del corso.”
“Vabbè, non sarà un appuntamento, ma lui ti piace, vero?” chiese Sana. “Cioè, ti piace piace, vero?”
Le altre aspettarono la risposta in silenzio.
Ele non aveva smesso di pensare a Domenico neanche per un secondo negli ultimi due giorni. Era un ragazzo fantastico, perfetto, il suo ragazzo ideale. Ed era anche molto carino.
“Sì” disse, quasi sottovoce. “Ma non so se succederà mai qualcosa” aggiunse in fretta, perché le altre si stavano già entusiasmando.
“Perché no?! Sei pazza?!” esclamò Fede, chinandosi verso lo schermo per farle vedere bene la sua faccia indignata.
“Lui abita qui e io tra due mesi tornerò a Roma” rispose semplicemente Eleonora.
“Secondo me dovresti almeno provare a dargli una possibilità, vedere come vanno le cose” disse Eva.
“Come tu stai facendo con Federico?” Ele incrociò le braccia con aria di rimprovero.
Eva distolse lo sguardo dalla videocamera. “Usciamo stasera” borbottò.
“Ma perché?!” Eleonora non riusciva proprio a farsene una ragione.
“Secondo me fa bene” disse Fede, mettendo un braccio sulle spalle della rossa e stringendola brevemente a sé.
“Voglio davvero dargli una possibilità.” Adesso il tono di Eva era più deciso.
Eleonora la trovava una perdita di tempo. Eva era ancora follemente innamorata di Giovanni, non importava che dicesse in continuazione il contrario. Una cosa era divertirsi con Fede senza impegno, ma iniziare con lui una storia seria? Sarebbe finita malissimo, lo sapeva.
Però tutte queste cose le tenne per sé.
“D’accordo” disse invece. Non voleva fare la guastafeste, e poi in fondo sperava davvero di sbagliarsi e che Eva potesse ritrovare un po’ di pace il prima possibile.

Dopo un’altra mezz’ora di chiacchiere con Ele, le ragazze se ne andarono e lasciarono Eva a prepararsi per l’appuntamento.
Federico passò a prenderla con la macchina di Edoardo e arrivò puntualissimo. Talmente puntuale che Eva sospettò fosse arrivato in anticipo e avesse aspettato le otto in punto per telefonare e dirle di scendere.
Quando salì in auto, fu contenta di aver messo un vestito e addirittura i tacchi, perché anche lui era tutto in tiro.
“Sei bellissima” fu la prima cosa che le disse, e poi la baciò.
La portò nel locale più costoso e chic di Trastevere per offrirle l’aperitivo e si comportò da perfetto gentiluomo tutta la sera.
Eva era lusingata dagli sforzi di Fede, perché sapeva bene che di solito non era così che si comportava con le ragazze.
Trascorsero una serata molto piacevole e lei riuscì a rilassarsi.
Addirittura, quando fu ora di tornare a casa, non le chiese di restare a dormire da lui e non si autoinvitò a salire a casa sua anche se sapeva che quella notte i genitori di Eva non c’erano. Sembrava che volesse dimostrarle che non era uscito con lei solo per il sesso, e la ragazza lo apprezzò. 
Al momento di salutarsi, stavolta fu lei a prendere l’iniziativa e baciare lui. Pomiciarono in macchina per un po’.
“Adesso vado” disse infine Eva.
“D’accordo.” Fede sorrise. “Però voglio uscire di nuovo con te.”
Anche lei sorrise. “Ci sto.”
Quando finalmente fu di nuovo sola in camera sua, Eva si lasciò cadere distesa sul letto. Incrociò le mani sulla pancia e fissò il soffitto.
Era stata una serata piacevolissima e Federico sembrava veramente cotto e intenzionato a vivere una relazione con impegno. Davvero sbagliava a dargli una possibilità?
“No” si rispose a voce alta.
C’era sempre il fantasma di Gio a perseguitarla, ma lui adesso era tornato con l’argentina e non c’era niente di male a dare una chance a un ragazzo che invece voleva stare proprio con lei. Ok, Fede non era il ragazzo perfetto sotto molti punti di vista, ma in fondo non lo era neanche Giovanni.

Fine capitolo trentasei

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** WhatsApp ***


Capitolo trentasette
WhatsApp
26 gennaio
 
Rodi: È questo il tuo numero?
Fede: Di chi? E tu chi sei?
Rodi: Sono Chicco Rodi. E tu sei Federica vero?
Fede: Sì sono io. Dove hai preso il mio numero?
Rodi: L’ho fregato dal registro della palestra. Come mai ieri non sei venuta?
Fede: Illegalissimo
Rodi: Allora?
Fede: Non mi andava
Rodi: Avevi giurato che saresti venuta un giorno sì e uno no. Neanche giovedì c’eri. E ieri mi hai costretto a fare i pesi da solo
Fede: Che fai mi controlli?
Fede: E comunque potevi chiedere a chiunque di aiutarti con i pesi
Rodi: Sì mi sono auto proclamato tuo personal trainer e tu sei più simpatica di tutti gli altri
Fede: Non rompere Rodiiiiiiiiiii
Rodi: Oggi ti aspetto
Fede: Non dovresti lavorare? Le pizzerie sono aperte il sabato
Rodi: Intendevo stamattina
Rodi: Anzi, adesso
Fede: Sei matto? Sono le nove, non so nemmeno perché sono già sveglia
Rodi: Alza il culo e vieni in palestra
Fede: Ma a te che te ne frega se salto un giorno di palestra
Rodi: Hai mezz’ora. Muoviti
Fede: Mi sono persa il momento in cui ti ho autorizzato a darmi ordini
Rodi: Quando siamo diventati amici
Fede: Siamo diventati amici?
Rodi: Sei seria?
Fede: Ti prendo per il culo. Tolgo il pigiama e ti raggiungo
Rodi: Che cazzo di stronza sei. Muoviti!
 
Gio: Ciao, tutto bene?
Eva: Sì perché
Gio: Come mai ieri non c’eri?
Eva: Dovevo andare in un posto con mamma, niente di che
Gio: Ok. Quella di storia ci ha divisi in gruppi per il progetto
Eva: Finalmente
Eva: Aspetta siamo in gruppo insieme?
Gio: Ebbene sì, ha pescato dei biglietti
Eva: Capito. Chi altro?
Gio: Carmine e Tiziana
Eva: Ok, grazie di avermi avvisato
Gio: Di niente
Gio: Per il resto come va? È da un po’ che non parliamo
Gio: Seriamente, voglio dire
Eva: Va tutto bene, niente novità esaltanti nella mia vita
Gio: Come va con le amiche?
Eva: Lo sai come va con le amiche
Eva: A te come va con l’argentina?
Gio: Perché mi fai questa domanda?
Gio: E perché mi tratti come se ce l’avessi con me?
Eva: Non ce l’ho con te
Gio: Se lo dici tu
Eva: Però non mi rispondi
Gio: Perché non mi piace il tono in cui mi stai parlando
Eva: Lasciamo perdere
Gio: Sì, è meglio. Ci vediamo in classe, ciao
Eva: Ciao
 
Edo: Buonasera, bellissima
Ele: Ciao, Edoardo
Edo: Chiamami Signor Incanti, grazie. Come stai oggi?
Ele: Anche oggi benissimo, la distanza da te mi fa sempre più bene
Edo: Lo so che ormai non mi odi più
Ele: Non sai proprio niente
Edo: E so anche che in fondo ti piace parlare con me
Ele: Se anche mi piacesse, in questo momento non posso farlo
Edo: Come mai?
Ele: Sono fuori
Edo: Vai a divertirti con le amiche? Cosa si fa di bello il sabato sera a Manchester?
Ele: Sono a una festa
Edo: Mi raccomando, comportati bene
Ele: Mi comporto come mi pare
Edo: Lo so, Eleonora. Stavo solo scherzando
Ele: Ok. Adesso devo chiudere, mi stai facendo fare la figura della maleducata
Edo: Se non avessi voluto parlarmi non avresti proprio aperto la chat
Ele: Le tue risposte sono sempre stupide e prevedibili
Edo: E invece scommetto che prima o poi riuscirò a sorprenderti
Ele: Ti saluto
Edo: Buona serata, Ele
Ele: Grazie
Ele: Anche a te. Ciao!
 
Marti: Ti devo chiedere una cosa
Elia: Che succede?
Marti: È Filippo?
Elia: Chi?
Marti: Lo sai chi. Il ragazzo che ti piace
Elia: Ti ha detto qualcosa lui?
Marti: No, l’ho capito da solo
Elia: Ok
Marti: Quindi è lui?
Elia:
Marti: Ti va di parlarne?
Elia: Non c’è niente da dire
Elia: Ma quindi lui non ti ha proprio parlato di me?
Marti: Non ancora
Elia: Capito. Vabbè tanto non penso lo farà
Marti: Perché dici così?
Elia: Perché dice che non vuole storie serie
Marti: Sì lo so
Marti: Ma tu sei a quel punto?
Elia: Che punto?
Marti: Quello in cui vorresti una storia seria con lui?
Elia: Ma sei scemo
Elia: Ti ho detto che ho una cotta, non che lo voglio sposare
Elia: Non me ne frega niente di lui
Marti: Va bene. Com’è andata da Gio?
Elia: Tranquillo, birra e film. Tu sei ancora da Nico?
Elia: Comunque non lo dire a nessuno che è lui per favore
Marti: Sì resto qua stanotte. Ovvio che sto zitto
Elia: Salutamelo
Marti: Ricambia. Notte
Elia: Notte!

Fine capitolo trentasette

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** Zero sentimenti ***


Capitolo trentotto
Zero sentimenti
27 gennaio
 
Con le spalle appoggiate al muro del suo palazzo, lì dove parecchie settimane prima lo aveva aspettato Martino, Filippo era assorto nella sistemazione della macchina fotografica nell’apposito borsello.
Stavolta era lui ad aspettare Marti, che doveva aiutarlo ancora una volta con delle fotografie.
Mentre si stava assicurando di aver chiuso bene una delle tasche laterali, sentì dei passi avvicinarsi.
Alzò la testa e si ritrovò davanti l’ultima persona che si aspettava.
“Ciao” lo salutò Elia, fermandosi a due metri da lui, accennando un sorriso.
“Cosa fai qui?” gli chiese, sorpreso, senza neanche salutarlo.
“Martino ha avuto un contrattempo, e ha mandato me.” Elia abbassò lo sguardo.
“Il mio giorno fortunato” commentò Filo, e a quelle parole l’altro alzò di nuovo gli occhi su di lui e sorrise.
Si avviarono insieme in un piccolo parco lì vicino.
Camminarono in silenzio, ed Elia seguì Filippo all’interno del parco e cominciò a guardarsi intorno come se fosse completamente rapito dal paesaggio, anche se era un parco romano come tutti gli altri: sentieri, prati, alberi, panchine, altalene e altri giochi per bambini. C’era anche un laghetto. Per fortuna era praticamente vuoto, a parte una donna che stava portando a passeggio il cane.
La verità era che cercava una scusa per non guardare in faccia Filippo e non parlare con lui. Come aveva potuto pensare che sarebbe stata una buona idea? C’era troppo disagio tra loro, lo trovava quasi insopportabile. Avrebbe dovuto dire a Marti di mandare Gio o Luchino al posto suo.
Si fermarono quasi al centro del parchetto.
“Dovrai toglierti il giubbotto” lo avvisò il fotografo, pronunciando le prime parole da quando avevano iniziato a muoversi.
“Lo so, Martino mi ha messo in guardia” rispose Elia, cominciando a spogliarsi e rabbrividendo mentre restava con solo una felpa grigia addosso. Almeno aveva smesso di piovere. Posò il giubbotto su un’altalena. “Cosa devo fare?”
“Appoggiati qui” gli disse Filo, indicando la spalliera di una panchina rivolta verso una zona giochi. “Però guarda da quest’altro lato, vero il laghetto.”
“Ok.” Elia eseguì, strofinandosi le braccia.
“Mi dispiace” disse Filippo.
“Per cosa?”
“Per il freddo.”
“Non c’è problema.”
“Allora… mettiti in una posa naturale, rilassata… e guarda l’orizzonte.”
“Va bene.” Il neo modello ci provò. “Così?”
“Perfetto.”
Filippo cominciò a scattargli foto da varie angolazioni. Finalmente si rilassò, perché fino a quel momento c’era stata un po’ di tensione tra loro, ma adesso avevano qualcosa da fare e su cui concentrarsi.
Ad un certo punto si fermò e restò immobile ad osservarlo. Dio, quant’era bello Elia, mentre se ne stava lì a morire di freddo con un sorriso sulle labbra. Era la prima volta che Filo si prendeva una cotta così grossa, dopo essere stato mollato dal suo fidanzato storico. Ne aveva conosciuti di più boni, sia chiaro, e con alcuni di loro era anche finito a letto. Ma Elia aveva qualcosa che lo stregava completamente, sarebbe rimasto a guardarlo in silenzio per ore.
Il finto modello si accorse che la macchina fotografica aveva smesso di scattare. “Che succede?”
“Odio dovertelo dire, ma dovresti smettere di sorridere” rispose Filo.
Questo li fece sorridere entrambi ancora di più.
“Scusa.” Elia si riscosse e cercò di tornare serio.
“Non c’è bisogno che ti scusi, capisco benissimo che passare il pomeriggio con me sia il sogno di ogni ragazzo. Dopo avrai tutto il tempo per sorridere e sospirare con aria sognante.”
“Ti piacerebbe” rise Elia.
“Ah, è proprio così che andrà” replicò Filo, scattandogli una foto a tradimento.
Era come se avessero rotto di nuovo il ghiaccio e continuarono a scattare foto nel parco per una mezz’ora, poi finalmente Elia si rivestì.
Si avviarono di nuovo verso il palazzo e salirono sul famoso tetto di Titanic, stavolta però non c’erano lenzuola da piegare.
“Devo toglierlo di nuovo?” domandò Elia, cominciando già a tirare giù la zip del giubbotto.
“Esatto. Mi piacciono i ragazzi che capiscono subito quando devono spogliarsi davanti a me” scherzò Filippo.
“Te le sogni di notte queste battute?” replicò l’altro, che però stava effettivamente ridendo.
“Forza, non perdere tempo.” Filippo gli diede un colpettino per farlo voltare verso il paesaggio. “Guarda Roma quant’è bella” disse, sollevando per l’ennesima volta quel giorno la macchina fotografica.
Elia si appoggiò al muretto e si perse davvero in quella vista.
“Quassù è stupendo” disse.
Filippo annuì anche se l’altro non poteva vederlo, e gli scattò un’altra foto.
“È romantico” continuò Elia. “Scommetto che c’hai portato un sacco di ragazzi qui, d’estate, a fare picnic sotto le stelle.”
“In realtà no” rispose Filo, abbassando la macchina.
Elia si voltò verso di lui. “Ah no?”
Il fotografo scosse la testa. “Niente romanticismo per me, ricordi?”
“Zero sentimenti” disse Elia.
“Zero sentimenti” confermò Filo.
 
Quando ebbero finito, Filippo invitò Elia in casa, per spostare le foto sul computer e vedere insieme com’erano venute.
Elia sapeva che avrebbe dovuto rifiutare, ma non ci riuscì. Stare con Filippo era come una droga e non voleva rinunciarci, nonostante tutte le buone ragioni.
In casa non c’era nessuno, e Filo ebbe il buon senso di non portare l’ospite in camera sua.
Per prima cosa, gli offrì una cioccolata calda. La prepararono insieme in cucina, chiacchierando del corso di laurea di Filo e di tutte le altre sessioni di fotografie a cui avrebbe dovuto lavorare.
Poi si spostarono in salotto. Filippo andò a prendere il computer dalla sua stanza e lo posò sul tavolino, accanto alle due tazze mezze vuote, poi si sedette vicino ad Elia sul divano, e le loro ginocchia si toccarono.
Improvvisamente entrambi erano di nuovo a disagio.
Ignorando quella sensazione, Filo cominciò a lavorare, e quando le foto furono sullo schermo, tutti e due cominciarono a rilassarsi nuovamente, concentrandosi su di esse e commentandole.
Poi arrivò la foto che Filippo aveva scattato ad Elia mentre stava ridendo al parco.
Era ovviamente la foto più naturale di tutte, ed era anche la più bella fino a quel momento.
“Questa è la mia preferita” disse Filo, con sincerità.
“È imbarazzante” replicò Elia, che la stava guardando attraverso le dita della mano che si era portato davanti alla faccia.
Filippo rise e si abbandonò contro lo schienale del divano.
Elia abbassò la mano e posò lo sguardo sulla ciocca di capelli rosa dell’altro. Quando gliel’aveva vista la prima volta aveva pensato che gli si addiceva moltissimo.
“Dovresti tingerli tutti” disse, indicandola.
“Nah, diventerei troppo figo” commentò l’altro.
“Lo sei già” rispose Elia, e poi finalmente si decise a fare quello che bramava da parecchio tempo ormai.
Si chinò verso Filippo e fece per baciarlo, ma quello si ritrasse.
“Frena” gli disse, spostandosi.
Elia chiuse gli occhi, imbarazzato. “Scusa.”
“Non eri etero, te?” domandò Filo, con il tono di chi sapeva che era una stronzata.
“Ok, forse non sono etero proprio al cento per cento” rispose Elia, voltandosi quasi a dargli le spalle, ma senza alzarsi. Iniziò a fissare i propri piedi.
“Ei.” Filippo gli posò una mano sulla spalla. “Tu mi piaci, lo sai. Sono io che ho iniziato tutta questa storia. Ma io non vado bene per te. Zero sentimenti, ricordi?”
Elia finalmente lo guardò di nuovo in faccia. “Non mi pare di aver parlato di sentimenti.” Fece un respiro profondo. “Senti… io non so nemmeno… non ho mai baciato un ragazzo, non so…” Si tormentava le mani, nervosamente. “Volevo solo provare a capire… Magari ti bacio e mi fai schifo, capì?”
“Allora volevi usarmi come cavia?” domandò candidamente Filo. Non sembrava offeso o arrabbiato.
“Solo perché hai detto che tanto di me non te ne frega niente, giuro” si giustificò Elia.
Ma Filippo non aveva mai detto una cosa del genere. Aveva sempre parlato in maniera generica, perché in fondo non sarebbe mai riuscito a dire che di Elia non gliene fregava niente.
“Quindi non è che ti sei innamorato di me o roba simile, giusto?” gli chiese, per sicurezza.
“Assolutamente no!” rispose Elia.
“Vuoi solo capire cosa ti passa per la testa?”
“Sì.”
Non era il primo ragazzo confuso che incrociava la strada di Filo. Persino Martino rientrava nella categoria.
“Ne sei sicuro? Al cento per cento?”
“Ti ho detto di sì” ribadì ancora una volta Elia.
Allora Filippo tolse la mano che aveva ancora sulla spalla di Elia, e gliela posò sul ginocchio.
Mentre si guardavano negli occhi, Filo cominciò ad accarezzargli lentamente la gamba, spostandola sempre di più verso l’interno coscia.
Elia aveva il fiato corto, le cose avevano preso una piega che non aveva previsto. Continuò a fissare Filippo negli occhi, ma ad un certo punto non riuscì più a resistere.
Nel giro di un secondo si tirò su, con una gamba scavalcò Filo e gli si sedette in grembo, gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
Dopo il primo momento di sorpresa, Filippo si lasciò andare e rispose al bacio.
Si baciarono quasi con disperazione.
Elia continuava ad accarezzargli il viso e il collo, e Filo lo teneva stretto per i fianchi.
Solo quando la mano di Filippo finì sotto la felpa di Elia, il ragazzo si rese conto che quel bacio non era affatto un bacio ‘per provare’. Era il bacio appassionato di due amanti e questa cosa non andava bene per niente.
“Basta” disse Filo a mezza voce, staccandosi con fatica dalle labbra di Elia.
Elia aprì gli occhi e appoggiò le mani sullo schienale del divano per tenersi dritto.
Restarono a guardarsi in silenzio mentre riprendevano fiato.
“Non ti affezionare, capito?” gli disse Filippo, parlando anche a se stesso, ma lo fece con un sorriso, che Elia ricambiò.
“Capito. Ma è stato il bacio più bello della mia vita” rispose l’altro in uno slancio di sincerità di cui si pentì subito. Arrossì fino alla punta delle orecchie.
“Non fatico a crederlo” commentò Filo con la solita ironia.
Elia rise e un po’ goffamente si tolse dalle gambe di Filippo e si risedette al suo posto sul divano.
“Comunque…” Filippo riprese un’espressione seria. “Anche per me è stato bello” disse guardandolo negli occhi. “Ma non deve succedere mai più.”
“Lo so, ti ho già detto che va bene così” rispose Elia, ma questa era una stronzata, come tutte le cose che gli aveva detto prima. Non era vero che voleva capire cosa provava verso i ragazzi, lo aveva già capito benissimo, così come aveva capito di essersi irrimediabilmente preso una cotta per Filo. E se l’unico modo per tenerlo vicino era quello di mentire sui suoi sentimenti, allora avrebbe detto senza esitazione tutte le bugie necessarie a frequentarlo.

Fine capitolo trentotto

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** Appuntamenti ***


Capitolo trentanove
Appuntamenti
28 gennaio
 
“Questo l’ho già fatto… anche questo…” borbottò tra sé Eleonora, sfogliando le pagine del libro che stava studiando. Era distesa sul letto della propria stanza, nella casa che divideva con altri tre studenti lì a Manchester per seguire dei corsi. Non aveva legato particolarmente con nessuno di loro, ma erano simpatici. Comunque, in quel momento aveva casa tutta per sé e il silenzio regnava sovrano. Per fortuna, perché nel weekend aveva studiato davvero poco e doveva recuperare un sacco di capitoli.
Era da poco passata l’ora di pranzo quando suonò il campanello, e pensò subito che uno dei coinquilini avesse scordato le chiavi. Capitava spesso.
Alla porta, però, c’era altro ad aspettarla.
Il corriere di un fioraio era lì per recapitarle ben cinque mazzi di fiori.
Mentre l’uomo li portava dentro con un sorrisetto di fronte alla sua espressione sbigottita, Ele si rese conto che erano tutti diversi. C’era un mazzo di tulipani, uno di iris gialli, uno di orchidee, uno di rose rosse e persino un gigantesco mazzo di margherite.
Quando fu di nuovo sola, circondata da fiori nel piccolo ingresso dell’appartamento, si rese conto di cosa era appena successo.
“Non ci credo…” sussurrò a se stessa, ma l’uomo aveva detto che erano proprio per lei.
Spostò lo sguardo da un mazzo all’altro, e la colpì il pensiero di non avere abbastanza vasi in cui metterli.
E cosa avrebbero detto i coinquilini? Probabilmente l’avrebbero presa un po’ in giro ma anche invidiata.
Soltanto vicino ai tulipani c’era un bigliettino, che Eleonora aprì con mani tremanti.
Non conosco il tuo fiore preferito, spero sia tra questi. Con affetto, Edoardo.
La ragazza dovette sedersi per terra, spalle al muro. Sbatté le palpebre e poi rilesse il bigliettino. Doveva ammetterlo: quello era uno dei pensieri più dolci che qualcuno avesse mai avuto per lei.
Rimase in contemplazione dei fiori e del bigliettino per qualche minuto.
Poi prese il cellulare.
Ele: Grazie per i fiori, non dovevi
Edo: Volevo
Ele: Sono tutti meravigliosi, non so davvero cosa dire
Edo: Mi basta sapere che ti ha fatto piacere riceverli
Ele: Tantissimo
Ele: Penso di non meritarlo, non sono mai stata molto gentile con te
Edo: Eleonora io non voglio più che tu esca con me quando tornerai a Roma
Ele: Non capisco
Edo: Non voglio che tu esca con me solo perché ti sto ricattando. Ho smesso da molto tempo di ricattarti, te ne sarai accorta ormai, no? Io spero che un giorno deciderai di uscire con me perché hai voglia di farlo, perché vorrai davvero conoscermi meglio
Passò un po’ di tempo prima che Eleonora riuscisse a rispondere a quel messaggio, e in quei faticosi minuti a Edoardo si spezzò il cuore, per poi ricomporsi e farlo sorridere di sollievo appena lesse la risposta.
Ele: È già così
Ele: Voglio già conoscerti meglio
Ele: Davvero
Edoardo le mandò un cuoricino, e la conversazione finì.
Eleonora stava cercando una sistemazione per tutti quei fiori, possibilmente in camera sua, nascosti alla vista degli altri, quando le arrivò un altro messaggio sul telefono. Era convinta fossero le amiche. Fremeva dalla voglia di raccontare loro cosa era appena successo, ma come avrebbe potuto? Il suo senso di colpa nei confronti di Silvia era alle stelle già prima di quel gesto così romantico, adesso non sarebbe neppure riuscita a guardarla negli occhi.
Invece era Domenico.
Avrebbe quasi preferito che fosse Silvia.
Il ragazzo la stava invitando ad uscire. Il giorno dopo doveva andare all’ennesima festa e le chiedeva di accompagnarlo.
Anche se non lo aveva precisato, era chiaro che fosse un invito solo per lei. Nessuna uscita di gruppo, stavolta, anche se la meta era una festa affollata. Insomma, era una specie di appuntamento.
Eleonora accarezzò il petalo di un tulipano e fu tentata di rifiutare, ma il suo pensiero andò a Sana, che l’avrebbe sicuramente incoraggiata a uscire, e accettò.
 
Contemporaneamente, a Roma, si pensava a tutt’altro.
“Ma domani Elia viene?” domandò Gio.
“Me sa de no, oggi c’aveva la febbre a trentanove” rispose Marti.
“Poveraccio” commentò Nico.
Erano a casa di Martino, seduti al tavolo, a studiare. O meglio, Gio e Nico studiavano, mentre Marti lavorava alla registrazione successiva di Radio Osvaldo.
Niccolò allontanò leggermente il libro e si accasciò sullo schienale della sedia con un sospiro.
“Non ti distrarre” lo rimproverò Giovanni.
“Sono stanco.”
“C’hai la maturità quest’anno!” esclamò ancora Gio.
“Che palle.”
Giovanni gli riavvicinò il libro. “Solo altri due capitoli e poi pausa” gli disse.
“Sì, mamma” bofonchiò Nico, raddrizzandosi.
Gio gli diede uno schiaffetto sulla nuca.
“Guarda che se mi faccio bocciare di nuovo è meglio. Così sto un altro anno con voi” disse Niccolò. “Vuoi mettere vedere tutti i giorni nei corridoi della scuola l’amore della mia vita?” domandò come un ruffiano, stringendo brevemente la mano di Martino.
Il suo ragazzo non riuscì a evitare di sorridere, però replicò: “Mettiamola così, invece: se ti fai bocciare, ti mollo.”
“Non è vero” disse Nico, tornando serio.
Martino non fece in tempo a rispondere perché Giovanni battè forte una mano sul tavolo.
“Basta chiacchiere! Tu, studia!” picchiettò sul libro di Nico. “E tu, scrivi!” puntò il dito contro Martino.
Niccolò sbuffò un’altra volta. “Pure lui dovrebbe studiare.”
“Lui non ha la maturità. E poi quando sarà un conduttore radiofonico di successo potremo vantarci di averlo incoraggiato fin dall’inizio. Avremo un capitolo tutto per noi nella sua autobiografia.”
Entrambi gli altri due ragazzi risero, ma appena Nico rimise la testa sul libro, Martino scambiò uno sguardo con Giovanni.
In quel momento Gio stava scherzando, ma nelle ultime settimane era davvero stato di supporto a Marti per quella faccenda della radio, come sempre. Gliene era grato e glielo fece capire con un sorriso.
Giovanni annuì e poi si rimise a studiare anche lui.
Più tardi furono interrotti da mamma Rametta, che fino a quel momento era rimasta nascosta tra la sua camera e il bagno.
“Ciao ragazzi.”
“Buonasera, signora” dissero quasi in coro Gio e Nico.
“Dove vai conciata così?” domandò Marti, con gli occhi spalancati.
Come, prego?” replicò la madre, con aria vagamente irritata, mentre si infilava il cappotto.
La donna indossava un abito nero molto semplice ma piuttosto sofisticato rispetto al suo solito stile, si era truccata con attenzione e aveva messo i tacchi eleganti. Doveva anche aver fatto qualcosa ai capelli, pensò il figlio, perché quei boccoli non erano di certo naturali.
“Dove stai andando?” ripeté Martino, scandendo le parole come se la madre non avesse sentito perché era sorda.
“Esco” rispose seccamente lei.
“Sta benissimo con quel vestito” le disse Niccolò, lanciando un’occhiataccia al suo ragazzo.
“È vero” le sorrise Giovanni.
Mamma Rametta li ringraziò e poi scomparve oltre la porta d’ingresso.
“Sempre un signore tu, eh” commentò Gio, rivolgendosi a Marti e scuotendo la testa.
“Sì ma dove cazzo sta andando tutta tirata a lucido in quel modo?!”
“Magari ha un appuntamento galante” suggerì Niccolò.
Mia madre?!”
Gli altri due risero di fronte a quel tono sconvolto, poi Giovanni si alzò e cominciò a raccogliere i suoi libri.
“Vado anche io, va” disse, mentre Nico gli passava un evidenziatore e una matita, che infilò nello zaino.
Martino lo accompagnò alla porta e i due innamorati rimasero soli.
Nico era ancora seduto al tavolo quando Marti lo raggiunse, trascinandosi la sua sedia per sistemarsi vicino a lui il più possibile.
Si sedette, lo guardò negli occhi e gli prese le mani.
“Lo sai che scherzavo prima, vero?” domandò a Nico. “Anche se ti fai bocciare di nuovo, non vado da nessuna parte.”
Niccolò non rispose ma sorrise.
Quel silenzio colpì molto Martino. Ogni tanto dimenticava che con il suo ragazzo certe cose non poteva darle per scontate, e in quel momento fu contento di aver capito in tempo che non poteva lasciare correre lo scambio di battute di prima.
“Da nessuna parte, capito?” ribadì Marti. “Non ti libererai mai di me.”
“Capito” sorrise Niccolò, e si chinò in avanti per baciarlo.
Per quella sera misero da parte lo studio e si traferirono in camera di Martino.

Fine capitolo trentanove

Ritorna all'indice


Capitolo 40
*** Merende e canzoni ***


Capitolo quaranta
Merende e canzoni
29 gennaio
 
Fede e Rodi uscirono insieme dalla palestra, borsoni in spalla.
Lei aveva i capelli spettinati per averli asciugati in tutta fretta, lui invece li aveva addirittura ancora bagnati.
“Ti prenderai la polmonite” lo rimproverò Fede.
Il ragazzo per tutta risposta tirò fuori un cappello dalla tasca del giubbotto e se lo calcò ben bene sulla testa.
“Risolto” disse. “Vai a casa adesso?”
“No, mi passa a prendere la mia amica Sana” rispose Federica, poi guardò il telefono. “Ma le ho detto le sette per stare larga, quindi adesso devo aspettarla.”
Rodi indicò con la mano il bar di fronte. “Merenda?”
“Andata.”
Una volta dentro si sedettero ad un tavolino vicino la vetrina e Chicco insistette per offrirle tè e biscotti, manco fosse la regina Elisabetta.
“Non lavori stasera?” gli chiese Fede, dopo averlo ringraziato con un po’ di imbarazzo. Non era sciocca e sapeva che lui non aveva una cotta per lei o cose del genere, era solo genuinamente gentile, come un amico.
“Giorno libero” rispose lui.
Tè e biscotti arrivarono, mentre Fede con un messaggio avvisava l’amica che la stava aspettando al bar.
“Che programmi hai per stasera?” domandò il ragazzo.
“Vado a cena a casa di Sana. Studiamo insieme.”
“Mamma mia che palle studiare.”
Federica rise. “Purtroppo mi tocca ancora per un po’.”
“E cosa vuoi fare dopo?”
“Non ho ancora deciso. Forse l’università.”
“Secondo me dovresti fare la personal trainer.”
“Ah ah ah, che spiritoso” disse Fede, mentre si univa alle risate di Chicco.
La ragazza continuava ad essere abbastanza imbranata con tutti i macchinari della palestra, per quanto i personal trainer ufficiali e Rodi stesso provassero ad aiutarla. Anche al tapis roulant procedeva ancora alla velocità di una tartaruga.
Però, stranamente, non aveva voglia di arrendersi. I primissimi giorni erano stati duri, ma le cose andavano meglio. Forse era solo la suggestione, ma si sentiva più in forma e a fine mese si sarebbe pesata per scoprire se c’erano stati miglioramenti effettivi.
In più, trascorrere le pause tra un esercizio e l’altro con Chicco Rodi era piacevole. Non ci avrebbe scommesso neppure una lira, ma aveva trovato in lui un buon amico. Andavano molto d’accordo, avevano addirittura parecchi interessi in comune, e il ragazzo nascondeva un bel cervello dietro la reputazione da cazzone che si era guadagnato a scuola.
Bevvero, mangiarono e chiacchierarono, finché Rodi non spostò lo sguardo fuori la vetrina e poi indicò la strada con un cenno della testa.
“Mi sa che alla tua amica non lo hai detto che vengo in palestra con te.”
Federica seguì con gli occhi lo sguardo di Rodi e vide Sana, parcheggiata con il muso della macchina 50 dritto verso di loro. Li stava fissando a bocca aperta.
Scoppiò a ridere. “Te la saluto” disse.
“Buono studio.”
“Grazie. E grazie per il tè.”
“Figurati. Ci vediamo giovedì.”
Una volta che Fede fu entrata nella macchinina, Sana si voltò a guardarla con gli occhi spalancati.
“Quello è Chicco Rodi?” domandò sgomenta.
“Guarda che ci vede, cerca di contenerti” rispose Fede, girando la testa verso il bar e salutando con la mano il ragazzo, che scoppiò a ridere.
Sana imitò l’amica senza capire che stavano facendo gli idioti tra di loro, era ancora un po’ sconcertata, poi accese il motore e si misero in strada.
“E allora?”
“Allora cosa?” Fede si divertì a prenderla in giro.
“Lo sai benissimo cosa.”
“Ma niente, andiamo in palestra insieme, tutto qua. Siamo amici.”
“Ma una volta vi siete baciati a una festa, o sbaglio?” domandò Sana con tono da interrogatorio.
“Sì ma non vuol dire niente. Ero presa dal momento quella volta. A mente fredda non fa per me. Però è simpatico.”
“D’accordo” concesse Sana, ma con il tono di chi prima o poi sarebbe tornato sull’argomento.
 
Filo: Febbre?
Elia: Hai tirato a indovinare?
Filo: Marti ha fatto la spia
Filo: Mi dispiace, mi sento in colpa
Elia: Non ti preoccupare, nonostante il freddo mi sono divertito. Se ti serve un modello anche per le prossime foto mi offro volontario
Filo: Secondo me ti sei divertito di più DOPO le foto
Elia: Ti sembra strano? Tu sei il sogno di ogni ragazzo, no? Parole tue
Filo: Puoi dirlo forte
Elia: Sei anche molto modesto
Filo: Fa parte del mio fascino
Elia: Non posso contraddirti
 
La serata con Domenico si stava rivelando tranquilla.
Lui ed Eleonora si erano dati appuntamento direttamente ad una fermata dell’autobus vicino alla casa della festeggiata, si erano salutati senza imbarazzo ed erano entrati insieme.
Per la maggior parte del tempo lui l’aveva presentata a un po’ di altri invitati ma non si erano mai separati.
Avevano preso da bere insieme, avevano preso da mangiare insieme, si erano seduti vicini sul divano.
“Grazie per essere venuta” le disse Domenico.
Ele sorrise. “Conosci quasi tutti qui.”
“Lo so” anche il ragazzo sorrise. “Non ti ho invitata perché avevo paura di non avere nessuno con cui parlare, se è questo che hai pensato. Mi fa piacere la tua compagnia, tutto qui.”
“Non volevo dire quello” replicò Eleonora, arrossendo leggermente.
L’amica di Domenico che compiva gli anni aveva una casa bellissima ed enorme, con un pianoforte al centro del salotto.
Il ragazzo lo indicò. “Ti ho mai detto che suono?”
Eleonora scosse la testa, poi sorrise quando lo vide alzarsi in piedi.
Lo guardò attraversare la strada e raggiungere lo sgabello del piano.
Domenico si tirò su le maniche della camicia, guardò Eleonora negli occhi e mimò con le labbra ‘È per te.’, poi cominciò a suonare.
Tutti si zittirono e si voltarono verso di lui. C’era qualche faccia sorpresa, ma la maggior parte della gente, quella che lo conosceva, semplicemente si mise comoda da qualche parte ad ascoltarlo. Chiaramente non era la prima volta che faceva una cosa del genere e sembrava quasi che non stessero aspettando altro.
Eleonora capì subito il perché.
Domenico era davvero bravo. Ma non bravo come uno che ha imparato a suonare per hobby durante le scuole medie. Era bravo come uno che potrebbe salire su un palco vero e beccarsi gli applausi.
Riconobbe quasi subito il brano. Era Shallow di Lady Gaga, la canzone della colonna sonora di un film che era uscito da poco al cinema. Lei amava quel pezzo, e Domenico lo sapeva. Che avesse imparato a suonarlo apposta per lei?
Il modo in cui suonava la stregò e, per la seconda volta nel giro di due giorni, un ragazzo era stato in grado di lasciare Eleonora senza parole.

Fine capitolo quaranta

(Incredibile che siano passati già quaranta giorni in cui ho pubblicato quaranta capitoli senza saltare un giorno, mi sembra ieri di avere iniziato! Approfitto di questa riflessione per ringraziarvi di seguire questa storia e soprattutto grazie a chi commenta e mi fa sapere il proprio parere perché mi aiuta a migliorare il più possibile. Spero possano piacervi anche i prossimi quaranta!)

Ritorna all'indice


Capitolo 41
*** Baci ***


Capitolo quarantuno
Baci
30 gennaio
 
Luchino uscì dalla sala di registrazione della radio super emozionato.
“È stato pazzesco!” esclamò, con un sorriso a trentadue denti.
Silvia si fece contagiare dall’allegria e ricambiò il suo sguardo sorridente.
“Complimenti, sei stato bravissimo” gli disse Eva con un tono abbastanza sorpreso. Li aveva aiutati con la registrazione ed era rimasta molto colpita.
“Grazie!” Luchino sembrava davvero su di giri. Non si era aspettato di riuscire ad essere così d’aiuto a Silvia.
Anche la bionda era stata colpita dalla naturalezza e simpatia di Luca davanti al microfono, ma cercava di non darlo a vedere.
“Sono d’accordo anche io” disse, con il tono più serio che riuscì a tirar fuori.
“Grazie, Silvia” rispose Luchino, con voce decisamente più dolce rispetto a quella che aveva usato per ringraziare Eva.
La rossa notò lo sguardo perso di Luca e si affrettò ad uscire, tirandosi dietro il ragazzo che l’aveva aiutata, così Silvia e Luchino rimasero soli a firmare il turno.
“Non pensavo fosse così” le disse il ragazzo.
“Cioè?” domandò Silvia, mentre scriveva il suo nome sulla bacheca.
“Non capivo perché a Martino piace così tanto. Non capivo neanche perché ci metti tutto questo impegno. Però devo ammettere che anche se preparare le puntate a volte è palloso, quand-” si interruppe all’improvviso. “Cioè, le parti che ho dovuto preparare da solo” si affrettò ad aggiungere. “Le parti che abbiamo preparato insieme erano… cioè…” Il viso di Luchino cominciò ad imporporarsi.
Quella settimana avevano parlato un paio di volte al telefono e si erano anche visti per qualche minuto nel cortile della scuola per accordarsi sul programma, e per il ragazzo erano stati momenti preziosi su cui aveva costruito parecchi castelli in aria, smontati puntualmente da Gio ed Elia.
“Anche per me è stato bello lavorare insieme” ammise Silvia in un sussurro, un po’ per salvarlo dall’imbarazzo e un po’ perché era la verità. “E sei stato molto bravo, sul serio.”
Luca sfoggiò per l’ennesima volta un enorme sorriso. Firmò sulla bacheca, poi le si avvicinò quasi in punta di piedi, e rimase con il viso a pochissima distanza da quello di Silvia per qualche secondo, in modo che la ragazza avesse tempo di spostarsi se avesse voluto.
Ma Silvia rimase ferma, inclinò solo un po’ il viso, e Luchino le diede un leggerissimo bacio sulla guancia.
“A domani” le disse, guardando per terra.
“Ciao” sussurrò Silvia, talmente piano che dubitò lui l’avesse sentita.
Ma lui l’aveva sentita eccome.
Noncicredo noncicredo noncicredo, pensò alla velocità della luce, reprimendo la voglia di prendersi a schiaffi per vedere se stava sognando. Perché non stava sognando, vero? Con Silvia le cose andavano molto meglio, non poteva sbagliarsi. La stava conquistando. Lentamente e con fatica, ok, ma ne valeva la pena.
 
Martino e Niccolò invece avevano lasciato l’aula dove si riuniva la redazione di Radio Osvaldo solo pochi minuti prima.
“Oggi abbiamo un passaggio” disse Marti, sollevando la mano che stringeva quella del suo ragazzo per baciargli le dita.
“Come mai?”
“Filo ha detto che passava a prenderci perché, cito: mi deve parlare” rispose con un sorriso.
Niccolò scoppiò a ridere. “Scommetto che sta per lasciarti.”
“Vorrà dire che avrò un amante di meno, per fortuna me ne restano altri otto.”
“Io sono incluso tra gli altri otto?” chiese Nico, fingendosi realmente interessato.
“No, tu sei il fidanzato ufficiale, sei a parte.”
Misero piede fuori, nel cortile, e lo videro subito. Li aspettava appoggiato al tronco del solito albero, sul marciapiede davanti al cancello della scuola.
Lo raggiunsero e si salutarono. Niccolò si accorse subito che Filippo non era completamente a suo agio come al solito e scambiò uno sguardo con Martino. Erano abbastanza sicuri di sapere di cosa volesse parlare Filo.
Venti minuti dopo, Nico era appena sceso dalla macchina di Filippo, che lo aveva depositato davanti casa sua, e Martino rimase finalmente solo con lui.
“Allora?” gli chiese con tono gentile.
“Allora” ripeté Filo.
“Allora” fece di nuovo Martino.
“Allora” disse ancora Filippo.
“Te prego, basta” rise Marti, e Filo lo imitò.
“Ok, ok. Basta. Ti volevo solo raccontare una cosa.”
“A-ha.” Martino si voltò verso di lui con un sorrisetto, che l’amico non poteva vedere perché intento a guardare la strada.
“Ho conosciuto un ragazzo.”
“A-ha” disse di nuovo Martino.
“Che cazzo vuol dire quel a-ha?” Filo gli lanciò una breve occhiataccia.
“Niente, scusa. Dimmi.”
“Allora” per l’ennesima volta. “Ho conosciuto un ragazzo. Da qualche tempo. Però ci siamo solo baciat-”
Tu ed Elia vi siete baciati?!” esclamò Martino, sconvolto.
Breve silenzio.
“Come sai che è Elia?”
“Ne ho parlato con lui, ma sta’ tranquillo, vi avevo sgamati da prima. Lui lo ha solo ammesso” rispose. “Come te adesso” aggiunse con un sorriso.
Anche Filippo sorrise.
“Ti piace?” domandò Martino.
“Mmm…” Filo si prese qualche momento per rispondere alla domanda. “Dipende da cosa intendi.”
Martino incrociò le braccia e voltò leggermente il busto verso di lui, per quanto gli permetteva la cintura di sicurezza.
“Intendo: ti piace e vorresti frequentarlo come si deve?”
“Cosa intendi con ‘come si deve’?” chiese Filo, con tono di voce colpevole.
“Intendo seriamente, non co-” si diede una pacca nervosa sul ginocchio. “Cazzo, Filì. Lo sai che intendo.”
“Ma lui cosa ti ha detto?” volle sapere Filippo, con lo stesso tono di prima.
“Stai evitando di rispondermi.”
Era vero, e infatti continuò a stare in silenzio.
“Se non te ne frega niente di lui come di tutti gli altri che frequenti, perché cazzo l’hai baciato? Lo sai che è un mio amico, lo sai ch”
“Ei, stiamo calmi.” Filo non aveva nessuna intenzione di passare per chissà quale mostro insensibile. “È lui che ha baciato me. E, per la cronaca, glielo avevo detto che era una pessima idea.”
“Ok, scusa” disse Marti.
“Lui dice che non vuole frequentarmi in quel senso, comunque” aggiunse l’amico.
“Ah no?”
“No. A te che ha detto?”
Martino ci rifletté, e durante quel silenzio Filippo sospirò e riprese il discorso.
“Mi ha detto che voleva solo avere delle esperienze con un ragazzo perché non ne aveva mai avute, ma che non gli interessa avere una storia seria con me.”
“A me in realtà non ha detto niente” ammise Martino. “Però, Filo, ti prego, qualunque cosa dovesse succedere tra voi, non giocare con i suoi sentimenti. Tu magari ci sei abituato e hai il cuore di pietra, ma lui non è come te.”
“D’accordo” rispose Filippo, proprio mentre parcheggiava di fronte a casa dell’amico.

Fine capitolo quarantuno

Ritorna all'indice


Capitolo 42
*** Messaggi, sorrisi e lacrime ***


Capitolo quarantadue
Messaggi, sorrisi e lacrime
31 gennaio
 
Filippo chiuse il libro con uno scatto, in un gesto improvviso di disperazione. Non ce la faceva proprio più a studiare per quel giorno.
Si stiracchiò e si alzò dalla scrivania. Prima tappa: cucina, perché stava morendo di fame.
Si impossessò di un pacco di biscotti già aperto e tornò in camera sua, dove finalmente prese il cellulare, che aveva messo in modalità silenziosa.
Trovò una marea di notifiche, inclusi parecchi messaggi su WhatsApp. Alcuni erano di Eleonora, altri dei suoi amici, e poi ce n’era uno di Elia.
Decise di rispondere prima a tutti gli altri anche se moriva dalla voglia di parlare con il ragazzo. Stava cercando di autoconvincersi che di Elia non gliene fregava niente, che poteva aspettare.
Fu un minuto lunghissimo e in effetti gli altri messaggi a malapena si sforzò di leggerli, figuriamoci di rispondere. Poi, finalmente, aprì la chat che realmente gli interessava.
Elia: Come va lo studio?
Filippo sorrise. Come faceva a saperlo? Poi si ricordò di aver postato una foto su Istagram al riguardo, circa un’ora prima. Ok, mistero risolto, Elia non era un mago, eppure Filo continuò a sorridere.
Filo: Finalmente pausa biscotti. Tu come stai?
Elia: Sarai contento di sapere che la febbre mi è passata
Filo: Daje!
Si sedette sul letto, mise in bocca un altro biscotto e fissò la conversazione. Voleva aggiungere qualcosa, ma non sapeva cosa.
Passò un minuto, due, tre.
I biscotti erano quasi finiti.
Entrambi erano online ma non scrivevano niente, poi finalmente Elia ruppe il silenzio.
Elia: Che fai questo weekend?
Filippo sorrise di nuovo, ma stavolta era un sorriso triste.
Filo: Per ora niente di particolare
Elia: Ti va di fare qualcosa insieme? Uscire?
Filippo posò il telefono sul letto e si alzò, mettendosi a camminare in cerchio per la sua stanza.
“Cazzocazzocazzo” borbottò, fermandosi infine con le mani sui fianchi e lo sguardo rivolto al soffitto.
Lo sapeva che sarebbero andati a finire così. Ed era un problema enorme, davvero gigantesco.
Soprattutto perché, anche se sapeva che non doveva uscire con lui, moriva dalla voglia di rivederlo.
Si maledisse e riprese il telefono, dove trovò un nuovo messaggio.
Elia: Non ti sto chiedendo un appuntamento galante, te lo dico prima che pensi male. Solo un’uscita senza impegno
Filo: Non so se è una buona idea
La richiesta di Martino risuonava nelle orecchie di Filippo come se gliela stesse ripetendo proprio in quel momento. Non voleva giocare con i sentimenti di Elia, non era mai stata questa la sua intenzione, ma quello stramaledettissimo ragazzo era per lui come una calamita.
Elia: Lo capisco se ti sei già stancato di me. Però potresti farmi da guida alla gay street, così mi trovo qualcun altro con cui passare il tempo
“Se solo lo sapessi…” mormorò tra sé Filippo, che di lui non si era stancato affatto, anzi, era il contrario.
Ok, cosa fare adesso? Non voleva illuderlo che tra loro potesse nascere qualcosa, ma in realtà Elia sembrava aver colto perfettamente il messaggio.
Filo: Allora ci sto. Sabato sera?
Elia: Andata
 
“Ma tu non hai freddo?” domandò mamma Rametta al figlio, mentre si stringeva ancora di più la coperta addosso.
“No” rise Martino, accucciandosi contro la sua spalla.
Se ne stavano seduti sul divano a guardare puntate su Netflix, con due tazze di cioccolata calda ormai vuote e abbandonate sul tavolino.
Non parlavano mai molto durante quelle serate a guardare serie tv, anche se negli ultimi mesi il loro rapporto era migliorato tantissimo. La verità era che a volte le parole a loro non servivano e bastava stare insieme e condividere qualcosa.
Dopo un po’ sul cellulare della donna arrivò un messaggio.
“Metto in pausa?”
“No, no” rispose, mentre iniziava a leggerlo.
Un minuto dopo stava ancora fissando il telefono, così Martino si voltò finalmente verso di lei e notò che aveva gli occhi lucidi.
“Mà? Che succede? Chi è?” domandò preoccupato, tirandosi su a sedere più dritto.
“Niente” rispose lei con un sorriso triste, bloccando lo schermo.
Ma il figlio non si fece scoraggiare.
“Non è vero che non è niente. Dimmi che succede.”
Una delle lacrime che mamma Rametta stava trattenendo le scivolò lungo la guancia.
“È una stupidaggine.”
“Non mi pare” replicò Martino, posandole una mano sul braccio e stringendoglielo delicatamente attraverso la coperta.
La madre non rispose subito, però poi confessò:
“L’altra sera sono uscita con un uomo.”
Martino non sapeva cosa rispondere. Gio e Nico avevano avuto ragione. Non sapeva come prendere la notizia. Insomma, il padre era addirittura andato a vivere con un’altra donna e suo figlio, perché la madre non avrebbe dovuto rifarsi una vita sentimentale alla stessa maniera? Era solo che… non ci era abituato, ecco. L’aveva sempre vista innamorata di suo padre, e poi quando era rimasta da sola a stento usciva di casa e incontrare uomini era l’ultimo dei suoi pensieri. Invece adesso le cose andavano meglio e questa era una novità per entrambi.
“Ok” rispose infine Marti. “Non è andata bene?” Cosa si chiedeva in questi casi? Si sentiva un idiota.
“Per lui no, evidentemente.” Mamma Rametta tirò su col naso.
“Non… non vuole rivederti?”
La donna scosse la testa.
Il ragazzo non sapeva proprio cosa dire, così si limitò a passarle un braccio intorno alle spalle e a stringerla a sé, dandole un bacio sulla tempia.
Questo gesto ebbe l’effetto di farla sfogare.
“Lo so che è stupido, tesoro. Non dovrei stare qui sul divano a piangere per un uomo, di nuovo. Non lo conosco neanche bene. Ci siamo visti solo quella volta, praticamente.” Tirò ancora su col naso e si asciugò una lacrima con un lembo della coperta. “Non ci siamo neanche baciati.”
A Martino scappò un sorriso sotto i baffi, davanti a quella confidenza che sarebbe stata più adatta per un’amica che per un figlio. Era un po’ a disagio e imbarazzato, perché era la prima volta che parlavano così apertamente, come se fossero amici, però era molto contento che la madre avesse deciso di confidarsi con lui proprio come lui faceva con lei da sempre, nonostante i problemi degli ultimi tempi. Adesso che avevano ricominciato a parlarsi era felice che non fosse più a senso unico.
“Non mi aspettavo che sarebbe stato così… sai, dopo…” Mamma Rametta si interruppe.
Stavolta Martino la incoraggiò a proseguire.
“Cosa?” domandò il ragazzo, stringendola un po’ più forte.
“Dopo tuo padre… dopo che se n’è andato… mi aspettavo che essere lasciata da uno di cui non mi importa, con un messaggio, non mi sarebbe importato più di tanto. Invece è stato quasi come aggiungere benzina sul fuoco…”
Adesso non si sforzava neanche più di trattenere le lacrime, era semplicemente scoppiata a piangere in singhiozzi.
“Mamma…” mormorò Martino, accarezzandole le spalle, con la guancia posata sulla sua spalla. “Questo tipo è solo un cretino che non sa che si perde. E anche papà è un cretino. E uno stronzo, per come... Ma non sono tutti così. La prossima volta andrà meglio.”
Il ragazzo si sentì un po’ stupido nel dire certe cose banali, ma la donna apprezzò comunque.
“Grazie” gli disse in un sussurro.
Non si erano guardati in viso neppure un secondo durante tutto quel discorso, però adesso stavano meglio.
Mamma Rametta aveva bisogno di sfogarsi, e il figlio aveva bisogno di capire cosa provava.
Martino la aiutò ad asciugarsi le lacrime con un altro lembo di coperta.
“Gli rispondi?” le chiese.
“Penso di sì. È stato gentile. Però più tardi.” Ormai aveva assunto di nuovo un certo contegno. “Ci siamo persi mezza puntata!” esclamò, indicando il televisore.
Marti rise. “Possiamo tornare indietro: il bello della tecnologia, madre.”
“Senza che sfotti, cretino!”
“Non ti sfotto, ma lo so che ai tuoi tempi…”
“Scemo!” Mamma Rametta prese il cuscino lì accanto e glielo sbatté in testa, poi scoppiarono a ridere entrambi.

Fine capitolo quarantadue

Ritorna all'indice


Capitolo 43
*** Restare amici ***


Capitolo quarantatré
Restare amici
1 febbraio 


“Indecisa?”
Sana sobbalzò.
Accanto a lei, senza che se ne accorgesse, era spuntato Giovanni.
“Scusa, non volevo spaventarti” disse il ragazzo, che però non sembrava per niente dispiaciuto, visto che stava ridendo.
“Ciao anche a te” disse indispettita, però poi un angolo della bocca le si piegò in un leggero sorriso.
Giovanni si sporse verso uno degli scaffali della libreria che Sana stava fissando e prese un libro a caso.
Narrazione e invenzione” scandì, leggendo il titolo.
“Devo fare un regalo” mentì subito la ragazza.
Ma quante possibilità c’erano che un ragazzo della sua scuola, e che per giunta conosceva, la beccasse in una grande libreria del centro a comprare un manuale di scrittura creativa?
“Beh, questo non mi sembra granché” replicò lui, sfogliandolo.
“Sei un esperto?” chiese Sana con un pizzico di scetticismo.
“No” rispose Gio con un sorriso, rimettendo il tomo a posto.
Sana cominciò a guardarsi i piedi, aspettando che lui se ne andasse, invece poi si accorse che aveva tirato giù un altro libro.
“Questo sembra più bello” disse Giovanni, leggendo delle pagine a caso. Poi lo richiuse e le lesse il titolo: “Scrivere a fumetti.
“Non mi interessano i fumetti” lo informò Sana.
Si avvicinò anche lei allo scaffale e tirò giù un libro. “Corso di scrittura creativa” lesse.
Lezioni di scrittura creativa.” Gio aveva posato il manuale sui fumetti e ne aveva preso un altro.
Sana si affiancò al ragazzo per guardare con lui le pagine con gli esercizi.
“Mi piace questo” disse ancora Giovanni, e glielo passò.
Sana continuò a sfogliarlo per fatti suoi, mentre il migliore amico di Marti continuava a spulciare tra gli scaffali.
Mezz’ora dopo erano entrambi seduti per terra, circondati da decine di manuali, e già un paio di volte dei commessi erano andati a chiedere loro se avevano bisogno di aiuto ma i due ragazzi li avevano mandati via con un sorriso.
“Quindi? Hai deciso?” domandò alla fine Giovanni.
“Questo” Sana sollevò Lezioni di scrittura creativa.
“Ottima scelta, signorina, sono sicura che non se ne pentirà” disse Gio, imitando una voce pomposa.
Sana sorrise. “Grazie per l’aiuto.”
“Di niente.”
“Ma tu cos’eri venuto a fare qua?”
“Cercavo un libro.”
“Ma dai!”
Giovanni rise. “Arthur Conan Doyle.”
“Hai già letto qualcosa?” si interessò Sana.
“Solo Uno studio in rosso e Il mastino dei Baskerville. I più famosi, insomma.”
“Allora adesso tocca a te!”
Sistemarono tutti i manuali di nuovo al loro posto, tranne quello che Sana aveva deciso di comprare, poi si avviarono nella sezione gialli.
Impiegarono molto meno tempo a trovare qualcosa per Giovanni, che alla fine scelse Il segno dei quattro e Le avventure di Sherlock Holmes, che era la prima raccolta di racconti.
“Grazie per l’aiuto anche a te” disse a Sana con un sorriso. “Ora devo andare, devo passare in lavanderia a ritirare una giacca. Che palle.”
“Vai in qualche posto elegante?” domandò la ragazza, a cui Eva non aveva detto di aver origliato quella conversazione tra Gio e l’argentina.
“Accompagno Sofia al matrimonio della cugina.”
“Ah.” Sana era sorpresa. “Siete tornati insieme?”
“No, no. Però glielo avevo promesso, insomma, è una storia lunga. Comunque andiamo come amici.”
“Se lo dici tu” disse la ragazza con un sorrisetto malizioso.
Giovanni rise. “Davvero, abbiamo deciso di restare amici, non credo che torneremo mai insieme.”
Per salvare le apparenze, alla cassa Sana fu costretta a farsi impacchettare il manuale, e quando uscirono e si salutarono, si ritrovò a capire come mai lui e Martino fossero migliori amici. Avevano trascorso poco tempo insieme, ma si era rivelato un ragazzo intelligente e simpatico. Improvvisamente decise che, se un giorno le fosse stato chiesto seriamente di dare un parere sulla vita amorosa di Eva e avesse dovuto scegliere uno tra Giovanni e Federico, avrebbe parteggiato per il riccioluto.

“Vado a pagare” disse Domenico, alzandosi.
“Facciamo a metà” replicò subito Eleonora, prendendo la borsa che aveva appeso ad un lato della sedia.
“Assolutamente no, ti avevo detto che avrei offerto io, e poi ieri a pranzo hai pagato tu per tutti e due. Una volta a testa.” Le sorrise e si allontanò dal tavolo.
Erano in un pub, e quella era la prima volta in cui uscivano veramente da soli. Il pranzo del giorno prima di cui parlava Domenico non contava, perché lo aveva raggiunto da Starbucks a fine turno e avevano semplicemente mangiato lì insieme.
Questa volta, invece, lui le aveva proprio chiesto di uscire, un vero appuntamento. Eleonora avrebbe voluto rifiutare, ma Eva, Sana, Fede e Silvia l’avevano convinta ad andare.
Era un venerdì sera piuttosto freddo, lì a Manchester, e quando i due ragazzi uscirono dal locale rabbrividirono.
“Ci manca solo la neve” disse Dom con una smorfia.
“Non ti piace la neve?” domandò Eleonora.
“Non particolarmente. A te?”
“Nemmeno a me” rispose Ele, anche se in realtà non la disprezzava. Quando lo scorso anno aveva nevicato a Roma era stato un vero e proprio evento e lei ne era stata felicissima. Il Colosseo innevato aveva un certo fascino. Però probabilmente non sarebbe stata così entusiasta della neve se avesse dovuto averci a che fare spesso, con tutto il freddo e i disagi che portava. Nah, in fondo nemmeno a lei piaceva così tanto la neve.
Passeggiarono senza meta e in silenzio per un po’.
“Sono stato bene stasera” le disse a un certo punto Domenico.
“Anche io” rispose la ragazza, sorridendo sinceramente.
Dom si fermò in mezzo al marciapiede.
Non c’era nessuno, persino le auto scarseggiavano. Era un bel viale alberato e illuminato da decine di lampioni, ad Ele sembrava di essere in un film.
Il ragazzo si girò per guardarla negli occhi, sollevò una mano e le accarezzò una guancia.
Quando Domenico si chinò verso di lei per baciarla, Eleonora fece un passo indietro.
Lui le sorrise. “Me lo aspettavo” disse. “Ma valeva la pena provarci.”
“Mi dispiace” e le dispiaceva davvero. “Tu sei fantastico, adoro stare con te, però… io a marzo torno a Roma” disse.
“Lo so” rispose Dom, distogliendo lo sguardo. “Vorrei che tu potessi restare qui.”
“Non posso” disse soltanto lei.
“Sono un idiota. Lo sapevo che non era una buona idea.” Domenico continuò a fissare un punto lontano, sembrava che non riuscisse a trovare il coraggio di guardarla di nuovo negli occhi.
“Ti consola sapere che tra noi non può esserci niente perché sei così tanto il mio ragazzo ideale che poi separarmi da te sarebbe una sofferenza troppo grande?” domandò Ele con un sorriso, cercando di sdrammatizzare.
Domenico scoppiò a ridere e la guardò di nuovo negli occhi. “Lo so che stai mentendo” disse. “Ma apprezzo il pensiero.”
“Non sto mentendo” replicò la ragazza, inarcando le sopracciglia.
“Sento che c’è qualcos'altro che ti frena davvero.”
Eleonora non disse nulla, perché in fondo sapeva che Domenico aveva ragione. Non sapeva cos’era a farle mantenere le distanze da un ragazzo perfetto come lui, ma qualcosa c’era.
“Comunque… mi dispiacerebbe pensare di aver rovinato tutto provando a baciarti” proseguì Dom. “Spero che… spero che vorrai continuare a… cioè, vorrei che restassimo amici.”
Ele si alzò sulle punte per mettergli le braccia intorno al collo e stringerlo. Lui ricambiò l’abbraccio.
“Certo che siamo amici” disse la ragazza, e Dom la strinse un po’ di più a sé.

Fine capitolo quarantatré

Ritorna all'indice


Capitolo 44
*** Confessioni ***


Capitolo quarantaquattro
Confessioni
2 febbraio
 
“E quindi abbiamo deciso di restare amici” concluse Eleonora, dallo schermo del computer di Sana.
Le quattro ragazze sedute per terra, su un tappeto, ammutolirono.
“Lo so che disapprovate” continuò Ele. “Ma non so cosa dirvi, sinceramente. Non voglio stare con lui, e basta.”
Sana, che era ancora l’unica a sapere di Edoardo, non si sorprese. Eleonora poteva negarlo fino allo sfinimento, ma non era indifferente al ragazzo coi capelli di merda. Anzi, era sicura che in cuor suo l’amica avesse una grandissima cotta per Edoardo Incanti, grande almeno quanto quella di Silvia.
“Vabbè, ci stai spezzando il cuore, ma ce ne faremo una ragione” scherzò Fede, per allentare la tensione, e tutte le altre scoppiarono a ridere.
“Adesso per favore possiamo cambiare argomento?” chiese l’amica a distanza.
“Eva è sempre più innamorata di Federico” disse allora Silvia.
“Non è vero!” esclamò la rossa. “Però sì, le cose vanno bene, per il momento.”
“Lui si comporta bene?” domandò Ele.
“Stranamente sì.”
Questo riportò alla mente di Sana la conversazione che aveva avuto con Giovanni il giorno prima, e raccontò alle ragazze di aver scoperto che lui e l’argentina erano rimasti amici e che sarebbero andati ad un matrimonio insieme ma senza implicazioni sentimentali.
Durante tutto il racconto, sia Sana che le altre lanciarono occhiate ad Eva, curiose di sapere quale sarebbe stata la sua reazione. In apparenza, però, l’amica non diede loro soddisfazione, perché a parte abbassare lo sguardo, mantenne un atteggiamento distaccato. Però cercò subito di cambiare argomento.
“Scusa, ma dov’è che lo hai incontrato?”
“In libreria” rispose Sana. Poi decise che era il momento di parlare con le amiche. “Cercavo dei manuali di scrittura creativa.”
“Secondo me non ti servono” disse Silvia con semplicità.
“In che senso?” domandò Sana, che si aspettava una reazione molto più solenne, neanche stesse confessando di aver ucciso qualcuno.
“Sei già bravissima” chiarì Eva.
“Scommetto che se ti impegnassi potresti addirittura scrivere un libro. Uno di quelli veri, un romanzo, qualcosa pubblicato con una casa editrice” aggiunse Silvia.
“Forse i manuali servono più per aiutare a gestire le idee che a insegnare a scrivere” fece notare Eleonora, dallo schermo.
“Sarebbe una cosa pazzesca se pubblicassi un libro. Tutti i tuoi temi in classe che ho letto sono perfetti” disse con serietà Eva.
“E anche il programma in radio è scritto benissimo” aggiunse Eleonora.
“Con quello mi aiuta Marti…” intervenne debolmente Sana, che era stata mandata in confusione da quella reazione.
“Dovresti partecipare a qualche concorso!” si entusiasmò Fede. “Sai, per tastare il terreno.”
Sana si abbandonò ad un largo sorriso. “Lo faccio già. Ho spedito alcuni miei raccont-”
“Possiamo leggerli?!” volle sapere ancora Federica, e anche le altre la fissarono curiose.
“Perché no…”
Sana si alzò per raggiungere il cassetto chiuso a chiave della sua scrivania e tirò fuori alcuni fogli stampati e anche un quaderno scritto a mano. Ad Eleonora dovette inviare i file per e-mail.
Mentre osservava le amiche tutte concentrate nella lettura, sospirò di sollievo. Un po’ di entusiasmo e di incoraggiamento era tutto ciò di cui aveva bisogno. Aveva avuto paura che le amiche potessero considerarlo un passatempo un po’ sciocco, e il rispetto che stavano dimostrando per questa sua passione le riempì il cuore.
 
Elia spostava il peso da un piede all’altro, con le mani in tasca, e gli occhi che cercavano una testa biondissima all’orizzonte. Era un po’ nervoso, ma allo stesso tempo non vedeva l’ora di rivedere Filo.
“Qui ci starebbe benissimo una foto” esclamò una voce familiare.
Elia si voltò e sorrise a Filippo.
“Il Colosseo alle tua spalle, la luce dei lampioni, persino il vento che ti sposta i capelli” continuò il ragazzo.
“Sai che è il mio posto preferito?” disse Elia, mordendosi poi le labbra nervosamente, perché non aveva previsto di fargli quella confessione che non aveva mai fatto a nessuno.
“Il Colosseo in generale, o questo specifico marciapiede di fronte alla gay street?” domandò Filippo con una risata. Ma era una risata dolce, non di scherno, così Elia si sentì a suo agio nel rispondere con la verità.
“Il Colosseo in generale” disse. “In realtà, quella zona lì.” Tirò fuori una mano dalla tasca e indicò una zona in ombra senza lampioni sul retro, dove la gente passava ma non si fermava mai di sera, infatti anche in quel momento era deserta. I turisti notturni si fermavano tutti dove le foto si scattavano molto meglio, ovvero sul davanti dell’imponente edificio e dov’era l’Arco.
“Davvero?” domandò a voce bassa Filo, seguendo con lo sguardo la mano di Elia e affacciandosi per vedere meglio. In effetti sembrava una zona un po’ abbandonata. “Il posto ideale per riflettere in solitudine, eh?” commentò.
“Già” rispose soltanto Elia.
Si guardarono negli occhi per qualche istante, poi si avviarono insieme verso la gay street.
Passeggiarono per un po’ e incontrarono alcuni amici di Filo, ma decisero di prendere da bere nel suo locale preferito, lo stesso bar dove alla fine si fermava sempre e dove lavorava una sua amica.
Si sedettero al tavolo più isolato dell’intera sala, entrambi sul divanetto, l’uno vicino all’altro.
L’amica di Filippo portò subito loro il cocktail preferito dal biondo e una birra per Elia, poi si dileguò.
“Allora, ti piace?” domandò Filo a voce alta per sovrastare la musica, sporgendosi verso di lui e guardandolo negli occhi a pochi centimetri di distanza.
“Cosa?” chiese Elia, con un filo di voce, spostando lo sguardo sulle labbra di Filo.
Filippo rise per il fraintendimento e si tirò indietro. Con una mano indicò il locale.
“Questo posto” disse, urlando ancora di più per evitare di doversi avvicinare di nuovo.
“Sì, sì” rispose Elia, arrossendo e portandosi il boccale di birra alle labbra. Mandò giù parecchi sorsi prima di posarlo sul tavolo.
Intanto la musica cambiò. Il pezzo rock che aveva reso difficile la conversazione fino a quel momento si trasformò in una canzone pop uscita da poco, che Elia conosceva e adorava.
Si sta bene così… con gli occhiali da sole…”
Si sta bene così… con gli occhiali da sole…” Cominciò infatti a canticchiarla tra sé, seguendo il ritmo con la testa, con lo sguardo ancora fisso sul boccale davanti a lui.
Filippo sorrise e lo osservò in silenzio per un pochino, poi si chinò verso di lui con l’intento di prenderlo in giro.
“Mengoni? Ma davvero?” gli chiese, divertito.
Anche Elia rise e si voltò a guardarlo. Poi cominciò ad intonare a voce più alta, seguendo il tempo.
“…per scappare da tutto… bisogna farlo insieme….”
“…per scappare da tutto… bisogna farlo insieme….”
Continuarono a guardarsi negli occhi.
“…e dire adesso mi butto… dentro a un mare di bene…”
“…e dire adesso mi butto… dentro a un mare di bene…”
Ormai i loro visi erano vicinissimi, e Elia gli stava praticamente cantando la canzone in faccia.
Nessuno dei due stava più ridendo.
“…disinfettare col sale… ogni ferita ogni male…”
“…disinfettare col sale… ogni ferita ogni-”
Fu Filippo a cedere per primo. Portò una mano dietro la nuca di Elia e lo avvicinò a sé per baciarlo.
Quando le loro labbra si toccarono non capirono più nulla e si persero completamente in quel bacio, quasi stendendosi sul divanetto e stringendosi il più possibile.
Dopo un tempo infinito, fu Elia ad allontanarsi, ma di poco, in modo che Filippo potesse ancora tenerlo stretto con la mano che gli accarezzava il collo.
“Non avevi detto che non doveva succedere mai più?” gli chiese ironicamente, sussurrando.
“Sta’ zitto” replicò Filippo con un sorriso, colmando di nuovo la distanza tra le loro labbra.

Fine capitolo quarantaquattro

Ritorna all'indice


Capitolo 45
*** Una sorpresa romantica ***


Capitolo quarantacinque
Una sorpresa romantica
3 febbraio
 
Martino aprì la porta di casa sbadigliando.
“Ancora così stai?” esclamò Niccolò, guardando il suo pigiama e ridendo.
“Buongiorno” borbottò Marti, facendo un passo avanti per dargli un bacino sul naso. “Ma che ore sono?”
“Quasi le dieci” rispose Nico, mentre Martino si faceva da parte per farlo entrare in casa.
“Buongiorno” lo salutò mamma Rametta dalla cucina.
“Buongiorno, signora!”
“Non ti aspettavamo” aggiunse la donna, e anche lei sbadigliò.
“Infatti” disse Martino, ma sorrise al suo ragazzo e gli baciò di nuovo il naso. “Però non mi lamento.”
Niccolò ricambiò il sorriso. “Dai, vestiti. E sbrigati, che ho lasciato la macchina in doppia fila.”
“Dove andiamo di bello?” domandò il padrone di casa, cominciando ad avviarsi in camera sua.
“Sorpresa!”
 
A Martino furono bendati gli occhi appena entrato in auto, e persino quando parcheggiarono Niccolò insistette per guidarlo fuori dal veicolo e per un tratto di strada.
“Siamo in un parco?” domandò curioso Marti, spostando la testa come per guardarsi intorno, anche se effettivamente non vedeva nulla.
“Come hai fatto?” chiese Nico sconvolto, piazzandoglisi davanti per controllare la benda.
“Si sentono gli uccellini. E poi c’è tipo… odore di erba? Di alberi.”
Entrambi risero.
“Ancora qualche passo.” Niccolò lo guidava tenendogli una mano sulla spalla.
Ad un certo punto Martino iniziò a sentire parecchie voci, e un bel po’ erano di bambini.
“Ma dove siamo?!” esclamò ancora, mentre la curiosità lo divorava.
“Qui” gli sussurrò Nico all’orecchio, togliendogli finalmente la benda dagli occhi.
Erano davanti all’ingresso del Bioparco di Roma.
“Ci sei mai stato?”
“No” rispose Marti, travolto dallo stupore.
“Ottimo. Allora lascia che ti presenti le mie amiche giraffe.”
 
Le giraffe furono davvero la prima meta.
Martino fece mettere in posa Nico vicino ad una di loro e poi pubblicò la foto su Instagram.
“Sei proprio bono in questa foto, sai?” disse il rosso, osservandola bene.
“Solo in quella foto?” finse di indignarsi Niccolò, sfregando il naso contro quello di Marti.
Il suo ragazzo non rispose subito, ma lo baciò.
“Ok, sei proprio bono sempre” disse infine. “Non so davvero come mai ti sei abbassato a frequentare uno come me.”
“Devo regalarti uno specchio” commentò Niccolò, scuotendo la testa rassegnato.
Proseguirono il giro, sempre tenendosi per mano, e scambiandosi un bacio ogni tanti.
C’era anche una zona picnic e mangiarono lì con un pranzo al sacco che aveva preparato Nico.
Quando fu il momento di andare via, passarono di nuovo nella zona delle giraffe.
“Noi andiamo!” le salutò Martino, fingendo di parlare con loro. “Grazie per lasciare che il vostro amico qui si prenda cura di me.” Inviò loro un bacino con la mano e Niccolò rise.
“Adesso si va a casa mia” lo informò quest’ultimo, mentre salivano di nuovo in macchina.
“Ah sì?”
“Sì. I miei non ci sono.”
“Questa giornata è iniziata benissimo ma a quanto pare non fa che migliorare” commentò Martino.
 
Più tardi erano entrambi distesi nel letto di Nico, nudi, con soltanto le lenzuola addosso.
Avevano fatto l’amore per ore ed era quasi ora di cena.
“Aspettami qui” gli sussurrò Niccolò, dandogli un bacio sulla fronte e alzandosi senza neppure infilare i boxer.
“Ah, non vado proprio da nessuna parte” rispose Marti, sistemandosi comodamente con le mani dietro la testa.
Mentre Nico frugava nei cassetti della sua scrivania, Martino decise di smettere di fissare il sedere del suo ragazzo e si guardò intorno. Dal cassetto del comodino spuntava un foglio, anzi, uno spartito scritto a mano, a matita. In cima c’era scritto ‘Em’ con la grafia di Nico, ma il resto della parola era nascosto dentro il cassetto.
Marti fece per aprirlo, ma Niccolò gli saltò letteralmente addosso. Spinse il foglio dentro e lo baciò.
“Niente che tu debba vedere” gli disse. Poi si mise a sedere a gambe incrociate ma si coprì con il lenzuolo.
Martino fece lo stesso.
“Cos’è?” gli chiese con un sorriso, indicando la scatolina blu che Niccolò aveva tra le mani.
“Un regalo” rispose.
“Per me? Perché?” domandò Marti sorpreso. Poi si fece d’un tratto serio. “Cosa succede? Stamattina il bioparco con le giraffe, poi il picnic romantico, e adesso un regalo. Che succede?”
“Niente domande” rispose Nico. “E comunque niente di cui tu debba preoccuparti.”
“Dimmi che succede” insistette Martino.
Niccolò distolse lo sguardo e si rigirò il pacchetto tra le mani.
“Ho solo anticipato San Valentino” disse, con un’alzata di spalle come a voler sminuire la faccenda, ma comunque non riuscì a guardarlo di nuovo negli occhi.
Il suo ragazzo allungò una mano per accarezzargli il mento e poi girargli il viso in modo che lo guardasse.
“Perché?”
Niccolò esitò un momento, ma poi rispose. “Mercoledì parto.”
“Parti?” ripeté Martino sorpreso.
“Sì. Con mio padre. E torno il diciassette.”
Martino era completamente spiazzato. “E dove vai?” mormorò.
“Ho delle visite mediche da fare a Torino.” Gli vennero gli occhi lucidi. “Mi dispiace.”
L’altro si spostò per avvicinarsi a lui. “Perché quella faccia adesso?” chiese con un sorriso.
“Perché ti sto rovinando San Valentino.”
Martino rise. “Ma sei scemo?!” si sporse in avanti e lo baciò. “Mi hai appena regalato la giornata migliore della mia vita. Ma che me ne frega del quattordici febbraio!”
Anche Nico sorrise. “Ok” disse. “Allora apri il mio regalo.”
Martino prese il pacchetto e lo aprì.
Dentro c’era un braccialetto di corda. Era intrecciato a mano con del filo rosso, in maniera piuttosto complicata.
“Lo hai fatto tu?” chiese, mentre lo tirava fuori, senza parole.
Niccolò annuì.
“È bellissimo” mormorò Marti, provando ad infilarselo da solo. Nico intervenne per aiutarlo.
Si guardarono negli occhi, felici e rilassati, come mai erano stati prima in tutta la loro vita.
“Mi sento una merda” disse poi Martino, spezzando la magia.
“Perché?” domandò Nico allarmato.
“Perché tu sei così romantico. Ti vengono in mente tutte queste sorprese bellissime come quelle di oggi, e poi mi fai questi regali stupendi, e io invece…” Distolse addirittura lo sguardo.
“Spero tu stia scherzando” gli disse Niccolò, accarezzandogli una guancia, e poi i capelli e il collo. “Tu hai deciso di restarmi accanto nonostante tutti i miei problemi. Mi sopporti quando sto male. Mi ami per come sono. Questa è la cosa più romantica del mondo, per me.” Lo baciò sulle labbra. “Non potrebbe mai esistere niente di più romantico di questo, per me.”
Continuarono a coccolarsi nel letto per un po’, poi finalmente si vestirono e Niccolò decise di preparare la cena.
Una carbonara, in ricordo dei vecchi tempi, ma stavolta la cucinarono come si deve.

Fine capitolo quarantacinque

Ritorna all'indice


Capitolo 46
*** Brutte notizie ***


Capitolo quarantasei
Brutte notizie
4 febbraio
 
Era l’intervallo di un triste lunedì mattina, e le ragazze si erano date appuntamento in quel bagno mezzo rotto all’ultimo piano dove nessuna andava mai.
Eva aveva appena finito di parlare e subito dopo era calato un silenzio di tomba.
Tutte guardavano Silvia.
Sana le si avvicinò e le prese la mano. “Stai bene?” le chiese.
In realtà sia lei che le altre conoscevano benissimo la risposta a quella domanda.
Silvia, comunque, non sembrava particolarmente affranta.
“Sì, sto bene” rispose con voce ferma.
Le altre ragazze si guardarono.
“Non fate così” aggiunse la bionda. “Non sono stupida.”
“Nessuna di noi pensa che tu sia stupida” disse Fede.
“E allora basta. Non facciamone un affare di stato.” Tentò di divincolarsi dalla stretta di Sana, ma la ragazza strinse le dita ancora di più.
“Non sei stupida, ma sappiamo quanto tieni a lui. Non è da stupidi starci male e farne un affare di stato” intervenne Eva, che era stata costretta a fare da ambasciatrice di brutte notizie.
“Tanto non è che fossimo destinati a stare insieme, no?”
Sembrava che Silvia cercasse sostegno nello sguardo delle altre e loro non mancarono di darglielo.
“Lo sappiamo che ti piace, ma… è evidente che non era il ragazzo per te” disse Sana.
“Il mare è pieno di pesci” aggiunse Fede. “Ce n’è sicuramente uno che fa per te.”
“Sì ragazze, lo so che mi ero soltanto illusa, possiamo cambiare argomento? Possiamo tornare in classe?”
Silvia aveva gli occhi lucidi.
Le ragazze la circondarono e poi si unirono in un abbraccio di gruppo, chiudendola in mezzo.
“Basta, basta, sto beneee!” esclamò cercando di allontanarle, ma adesso sorrideva.
“Dobbiamo uscire una di queste sere, fare qualcosa di divertente tutte insieme” propose Sana.
“È vero, ultimamente ci siamo viste praticamente soltanto per studiare. Quand’è che siamo diventate così noiose?” domandò retoricamente Eva.
“Perché non andiamo da qualche parte tipo Cinecittà World oppure Rainbow Magicland?” suggerì Fede.
“Perché fa freddo!” rispose Silvia, e le altre due scoppiarono a ridere.
 
Uscirono dal bagno e si divisero. Silvia e Fede andarono al distributore, mentre le altre due si diressero verso il cortile per aspettarle là.
Sana ed Eva incrociarono il cammino con Giovanni ed Elia.
Si fermarono e si salutarono. C’era un po’ di freddezza tra Gio ed Eva, che faticavano ancora a comportarsi come semplici compagni di classe, ma in compenso Gio e Sana sembravano migliori amici di lunga data.
 
“Allora zì. Stavi dicendo?!”
“Niente di che” sbuffò Elia.
“Eddai” Gio gli diede una gomitata.
Prima che incontrassero Eva e Sana, stava cercando di tirargli fuori il nome del ragazzo misterioso che popolava i suoi sogni. In realtà aveva già un forte sospetto, ma non voleva fare nomi per primo.
“Non c’è bisogno di fare tutte ste scene, zì. È solo uno con cui mi vedo ogni tanto. Niente roba seria, niente sentimenti” disse Elia, che però sembrava un po’ a disagio nel dire queste parole.
“Una ragione in più per dirci chi è, no?!”
“Hai rotto il cazzo, zì” rise Elia.
“Vabbè, per oggi mi arrendo.”
 
Quando le ragazze si allontanarono, Eva guardò Sana con tanto d’occhi.
“Mi sono persa qualcosa? Tu e Gio siete amici, adesso?”
“Certo. Sei gelosa?” rise Sana.
“Non c’è pace” borbottò la rossa. Si voltò per lanciare un’ultima occhiata a Gio, e questo le fece ripensare alla conversazione avuta pochi minuti prima nel bagno. Chiese a Sana cosa ne pensasse.
“Mi pare l’abbia presa piuttosto bene” commentò la ragazza.
“Sì, viste le circostanze.”
“Sarà almeno un anno che in campo sentimentale prende solo batoste, in effetti” rifletté Sana.
“Mio Dio, ti ricordi quando pensavamo che potesse essere incinta?” Eva si portò una mano al viso.
“Ci faccio ancora gli incubi la notte. Silvia con un figlio di Edoardo a sedici anni. Che incubo. Che incubo!”
Eva annuì. “E cosa pensi riguardo il resto? Secondo te sto sbagliando?”
“Se c’è qualcuna che sbaglia, non sei di certo tu” la rassicurò Sana.
“Quindi pensi stia sbagliando lei?”
“È complicato.”
“Perché dev’essere sempre tutto complicato?!”
“Perché siamo sfigate” rispose semplicemente Sana.

Fine capitolo quarantasei

(Lo so che è un po’ crudele un capitolo così vago ma scoprirete presto cosa succede)

Ritorna all'indice


Capitolo 47
*** Paranoie ***


Capitolo quarantasette
Paranoie
5 febbraio
 
L’intervallo era quasi finito, e Silvia attraversava i corridoi della scuola per tornare in classe. Camminava a testa bassa, cercando di evitare la marea di gente che come lei si spostava in fretta per essere in aula prima del suono della campanella.
Mise il piede sul primo gradino di una rampa di scale per salire al suo piano e finalmente alzò lo sguardo.
Luchino e Niccolò erano proprio davanti a lei, ma stavano scendendo.
“Ciao, Sì!” la salutò Nico con un sorriso, appena si incrociarono sul pianerottolo.
“Ciao” rispose a mezza voce lei, che aveva già spostato lo sguardo su Luca.
Il biondino non disse nulla, ma la fissò negli occhi, inclinò la testa di lato in un breve cenno di saluto, e le sorrise come faceva sempre, come se la sola vista della ragazza gli avesse illuminato l’intera giornata.
Mentre i due ragazzi si allontanavano alle sue spalle, lei si voltò leggermente per seguirli con la coda dell’occhio.
Forse Luca non era carismatico come Edoardo, non era alto, non era popolare a scuola… però non era nemmeno brutto. Silvia si chiese come mai fino a poco tempo prima lo avesse sempre visto bruttino. Aveva degli occhi azzurri stupendi, e in generale era davvero molto carino.
Aveva sempre trovato Niccolò molto bello e adesso, vedendoli insieme, non avrebbe più detto che Luca sfigurava accanto a lui.
In fondo anche in Luca c’era un certo fascino. E poi era sempre così gentile. Probabilmente era il ragazzo più gentile che avesse mai incontrato. La trattava con molto rispetto e non le aveva mai detto qualcosa che l’aveva ferita, e la cosa che la lasciava un po’ perplessa era che non si comportava in quella maniera solo con lei, ma con tutti. Era una persona… buona.
Le sfuggiva comunque il motivo per cui aveva chiesto proprio a lei di uscire, con tutte le ragazze bellissime che c’erano lì a scuola.
Comunque, forse le sue amiche avevano ragione. Forse erano queste le cose ovvie, le qualità che doveva possedere un ragazzo. Forse tutti i ragazzi dovevano comportarsi come Luchino, sempre.
Non aveva senso esaltarsi se Edoardo le buttava lì un ‘ciao’ in cortile come se fosse una cosa straordinaria. Lei meritava molto di più.
 
Elia: Stai studiando?
Filo: Stavo per iniziare
Elia: Ok allora non ti rompo. Volevo solo sapere se ci rivediamo
Filo: Intendi da soli?
Elia:
Filo: Lo so che l’altra sera è stata colpa mia, ma per me non è cambiato niente
Elia: La smetti di ripetermelo ogni cinque minuti? Guarda che ho capito
Filo: Dici che hai capito però eccoci di nuovo qua a parlare di uscire
Elia: Perché sei così sicuro che voglio uscire con te perché sono follemente innamorato? Mi sembri un po’ presuntuoso
Filo: Non ho detto questo
Elia: Ma evidentemente lo pensi. Ti sembra così strano che io possa volere le stesse identiche cose che vuoi tu? Zero sentimenti e tutto il resto
Filo: È così? Davvero non te ne frega niente se tra una settimana mi giro e ti dico che non voglio vederti più oppure che oltre te sto vedendo altri ragazzi? Perché fino ad ora mi stai dimostrando il contrario
Elia: Soltanto perché in realtà lo so che vuoi vedermi anche tu e che ti stai facendo solo mille paranoie inutili. Se fra una settimana davvero non vorrai vedermi più non sarà un problema, mi troverò un altro ragazzo o un’altra ragazza con cui spassarmela senza impegno esattamente come fai tu. Stessa cosa se mi dici che non ci sono soltanto io
Filo: Sicuro?
Elia: Affermativo
Filo: Questo weekend ho ancora delle foto da scattare. Non mi serve un modello ma possiamo andare insieme. Fino ad allora devo stare chiuso a studiare
Elia: Andata
 
Elia non credeva di aver mai detto così tante stronzate tutte insieme in vita sua.
Il problema era che Filippo lo aveva completamente stregato e quella sera al gay bar era stato tutto meraviglioso. E anche se dopo averlo baciato Filo gli aveva ricordato che quel bacio non significava niente, per Elia aveva significato tutto.
Non sopportava l’idea che una serata del genere non si ripetesse mai più, ed era convinto che anche Filippo mentisse facendo l’indifferente. Elia non poteva credere che non ci fosse neppure il minimo sentimento nel modo in cui il ragazzo lo guardava, lo baciava e lo toccava. Ed era piuttosto sicuro di essere l’unico con cui Filo si frequentava al momento.
Il suo piano, quindi, era quello di trascorrere con lui più tempo possibile, nella speranza che anche Filippo si innamorasse di lui.
Perché alla fine questo era successo: Elia, per la prima volta nella sua vita, si era innamorato.

Fine capitolo quarantasette

Ritorna all'indice


Capitolo 48
*** Partenza ***


Capitolo quarantotto
Partenza
6 febbraio
 
La campanella segnò l’uscita da scuola e tutti si precipitarono fuori dall’aula.
Martino lo fece più nervosamente del solito.
Giovanni ed Elia lo accompagnarono fino alla classe di Niccolò, dove ad aspettarli, oltre al ragazzo, c’era già Luchino.
“Insomma c’ho proprio la scorta oggi?” scherzò Nico.
“Volevamo salutarti, zì” replicò Gio, dandogli una pacca sulla spalla.
Si avviarono fuori tutti insieme e attraversarono il cortile senza parlare tra di loro, ma limitandosi a salutare chi conoscevano e scambiare al massimo due parole, prima di dirigersi a passo di marcia verso il cancello.
Una volta fuori, fu il turno dei saluti veri e propri.
“Lo so che non te stai a fa la vacanza, ma divertiti più che puoi” gli disse Elia, abbracciandolo brevemente.
“Io ci sono stato una volta a Torino, è figa. Vai al museo egizio!” si raccomandò Luchino, imitando Elia nell’abbraccio a Niccolò.
“Scrivi e chiama, eh. Non sparire.” Anche Gio lo strinse forte. “Nel frattempo i tornei di Fifa e calcetto so sospesi.”
“Lo spero bene!” Niccolò finse di minacciarli uno ad uno.
“È tardi, regà” fece Martino, lanciando un’occhiata al telefono.
“Andiamo, andiamo!”
E con un ultimo saluto agli amici, i due innamorati si allontanarono e percorsero mano nella mano il marciapiede lungo il viale che affiancava la scuola. In fondo alla strada li aspettava una fermata dei Taxi.
Salirono, chiesero di andare alla stazione Termini e si tennero per mano tutto il tempo, lanciandosi ogni tanto occhiate e sorrisi un po’ malinconici.
In stazione non ci volle molto a trovare il signor Fares, perché si erano dati appuntamento in un posto ben preciso. Lo videro da lontano con accanto la sua valigia e quella del figlio.
“Tua madre non c’è?” gli chiese Marti, mentre si avvicinavano sempre di più.
“Doveva lavorare, l’ho salutata stamattina.” Una piccola pausa. “Tanto ci siamo abituati” aggiunse con voce triste.
Martino gli strinse forte la mano. Niccolò gli aveva spiegato che ogni tanto capitava che andasse a fare delle visite in altre città con medici diversi, raccomandati dal suo stesso medico e a volte addirittura con lui presente. Ad esempio, era quello il vero motivo per cui conosceva Milano.
Salutarono il padre di Nico e controllarono il binario del treno.
“Vi tocca salutarvi qui, ragazzi. Senza biglietto non puoi accedere al binario” disse l’uomo, rivolgendo un sorriso triste a Martino, quasi come se volesse scusarsi. Poi si avvicinò al ragazzo e lo abbracciò brevemente. “Ci sentiamo in questi giorni. Stammi bene.” Gli diede un’ultima pacca sulla spalla e poi si allontanò di qualche passo e rivolse loro le spalle, per dare un po’ di privacy.
Martino e Niccolò si guardarono negli occhi.
“Lo so che starai via solo dieci giorni ma è la prima volta che ci separiamo e mi sembrano dieci anni” disse Marti, con un sorrisetto nervoso.
Nico si sporse verso di lui, gli prese il viso tra le mani e lo baciò.
“Anche tu mi mancherai da morire.”
“Vorrei poter venire con te.”
“Io invece no. Di solito non ne esco bene, non voglio che mi vedi al mio peggio.”
“E io invece voglio vedere tutto.”
“Smettila” rise Niccolò.
“Di fare cosa?” Stavolta fu Martino a baciarlo.
“Di essere così.”
“Così come?”
Nico non rispose ma scosse la testa, mordendosi le labbra per trattenere il sorriso.
“Innamorato?” continuò Marti, baciandolo di nuovo.
Niccolò lo attirò a sé per i fianchi e rimasero abbracciati qualche secondo.
Poi si salutarono definitivamente e Martino aspettò di vedere i due viaggiatori sparire lungo il binario, da lontano, prima di tornare indietro a prendere l’autobus per tornare a casa. Sarebbero stati dieci giorni molto difficili.
 
Gio: È partito?
Marti:
Luca: Stai già piangendo?
Elia: Hahahahaha
Marti: Quanto sei spiritoso
Gio: Luchì abbi pietà di sto poveraccio
Elia: Oppure no, per me si può continuare a sfotterlo fino al 17
Luca: Anche per me!
Marti: Cazzo se siete stronzi
Gio: <3
Marti: STRONZISSIMI
Marti: Ma quindi stasera pizza da me?
Luca: Daje
Elia: Andata
Gio: Ovvio

Fine capitolo quarantotto

Ritorna all'indice


Capitolo 49
*** Il ritorno del mago ***


Capitolo quarantanove
Il ritorno del mago
7 febbraio
 
“E Marti?” chiese Luchino, entrando in classe dei suoi amici, che era quasi completamente vuota. Durante l’intervallo come sempre si disperdevano tutti nei corridoi e in cortile.
“Giù” rispose semplicemente Elia, riferendosi all’ufficio, se così poteva essere chiamato, del Dott. Spera.
Giovanni era seduto sul banco, con i piedi sulla sua sedia, mentre Elia stava scarabocchiando qualcosa alla lavagna.
“Non cancellare l’esercizio zì” gli ricordò Gio. “Che se no quella t’ammazza” aggiunse, parlando della professoressa di matematica.
Invece di rispondere, l’amico posò il gessetto e si voltò a guardare gli altri due. Adesso anche Luchino aveva preso posto su una sedia vicino a Giovanni.
“Regà ve devo dì na cosa.”
“Co ‘sto tono, zì?” chiese Gio, accennando un sorriso.
“Dicci tutto” lo incoraggiò Luchino.
Sembrava che già sapessero esattamente cosa doveva dirgli, ed Elia se ne accorse. Decise di fare finta di niente.
“Avete presente quel ragazzo?”
Entrambi annuirono e si morsero le labbra nel vano tentativo di trattenere un enorme sorriso, quasi una risata.
A vederli così anche ad Elia scappò da ridere.
“È Filippo Sava” disse.
“Scioccante” commentò Gio, chiaramente ironico.
“Non l’avremmo mai detto, fratè” aggiunse Luchino, fingendo di spalancare gli occhi con incredulità.
“Sì, sì, vabbè, basta” si lamentò subito Elia. “Ma ve l’ha detto Marti?”
“Ah ma quindi a Martino lo avevi detto?” domandò Giovanni. “Che stronzo, zì!”
“No, non glielo avevo detto. L’aveva capito.”
“Ah beh allora tutto normale” replicò.
“Infatti, non ci voleva mica un genio” rise Luchino.
“Ma si capisce sul serio?” il tono di Elia si era fatto preoccupato.
“Ve magnate co l’occhi, zì!” Giovanni scoppiò a ridere.
“Ma lui non diceva che non voleva stare con nessuno?” Luchino cominciò subito a fare il pettegolo.
“Infatti non stiamo insieme” rispose Elia, alla velocità della luce.
“Quindi vi vedete solo per fare le zozzerie?” Gio si stava divertendo un mondo.
Elia arrossì. “Più o meno. Non facciamo niente di che.” Distolse lo sguardo, un po’ imbarazzato. “Comunque, come dice lui: zero sentimenti.”
“Ok quindi per lui non ci sono sentimenti. Neanche per te?” Luchino sembrava dubbioso, e anche Giovanni si fece attento alla risposta.
“Neanche per me” garantì Elia, sentendosi in colpa per quella bugia grossa quanto tutta Roma.
Ci aveva riflettuto bene, e aveva deciso di mantenere la scena anche con i suoi amici. Se avesse detto loro la verità, sapeva esattamente come avrebbero reagito.
Non poteva mica dire ‘regà, io sono pazzo di Filippo ma lui non vuole storie serie quindi anche io fingo di non volerne pur di continuare a frequentarlo nella speranza che prima o poi anche lui voglia stare davvero con me’. Se l’avesse fatto, avrebbero tentato di scoraggiarlo in tutti i modi.
Gli avrebbero detto che non avrebbe funzionato, che sarebbe stato inutile, che quella situazione lo avrebbe solo fatto soffrire spezzandogli il cuore, gli avrebbero detto che non era giusto.
Ma lui tutte queste cose, ovviamente, le sapeva già. E se al suo posto ci fosse stato qualcun altro, avrebbe dato esattamente gli stessi consigli.
Il punto era che anche se sapeva di sbagliare, non voleva sentirselo dire. Voleva sbagliare e affrontarne le conseguenze, perché era troppo debole per resistere.
“Sicuro, zì?” gli chiese Gio, che non sembrava per niente convinto.
“Sicuro. Se vi aspettate i nuovi Martino e Niccolò vi sbagliate di grosso” rispose, aggiungendo un ‘purtroppo’ nella sua mente.
“Perché solo io resterò solo come un cane?!” si lamentò Luchino, con un sospiro.
“Ma le cose non andavano bene con Silvia?” Elia lo guardò aggrottando le sopracciglia.
“Sì ma non credo che uscirà mai con me.”
“Non puoi saperlo. Perché non la inviti fuori per San Valentino?” propose Giovanni.
“E dove la porto?”
“Ma che ne so, zì. Intanto invitala. Manca una settimana.”
“Non è che devi presentarle un programma” aggiunse Elia.
“Anzi, se fai il vago è meglio, altrimenti mandi a puttane tutti gli sforzi fatti fino a mo per non sembrare appiccicoso” continuò Gio.
“Sì, giusto. Ma non lo so. Non è che mi va tanto di sentirmi dire di no. Poi San Valentino è pure na serata particolare. Magari la invito dopo.” Luchino sembrava molto titubante.
“No, zì, sbagliato.”
“E tu e Filo che fate a San Valentino?” il biondino cercò di cambiare argomento.
“Non facciamo niente, non stiamo insieme” ribadì Elia, un po’ a disagio.
Giovanni non mancò di accorgersene. “Non bastava Marti…” mormorò. “Dovrò salvarvi tutti.”
“Che?” Luchino si sporse verso di lui, non aveva sentito bene.
Elia fece altrettanto. “Non ho capito” disse.
“Cosa non hai capito? Di che parlate?” giunse finalmente la voce di Martino, che mise piede in aula. Stava rimettendo il cellulare in tasca. “Nico vi saluta.”
Gli altri tre sorrisero.
“A quanto pare il Mago dell’Amore deve tornare in servizio” gli rispose Giovanni.
Martino rise e si accarezzò il polso sinistro, dove portava il braccialetto di corda rossa di Niccolò. “Non c’è riposo per gli eroi” commentò.
“Assolutamente no” disse Gio con aria rassegnata.
Poi suonò la campanella e Luchino si precipitò di corsa fuori dall’aula.

Fine capitolo quarantanove

Ritorna all'indice


Capitolo 50
*** Un incontro inaspettato ***


Capitolo cinquanta
Un incontro inaspettato
8 febbraio
 
Una tipica giornata, per Eleonora. La mattina aveva seguito i corsi, poi era tornata a casa, aveva pranzato con una delle coinquiline, e aveva studiato per qualche ora.
Poi, la sera, era rimasta sola, come succedeva spesso. I ragazzi che vivevano con lei facevano decisamente molta più vita mondana e raramente trascorrevano del tempo nell’appartamento. Lei ne era contenta, perché così poteva studiare o rilassarsi in santa pace.
In quel momento era stesa a pancia in giù sul letto, con il computer, decidendo cosa guardare su Netflix appena fosse arrivato Domenico, che in effetti doveva essere lì a momenti.
Avevano deciso di restare amici e la cosa stava funzionando. Dalla sera dell’appuntamento, quella era già la seconda volta che si vedevano a casa di lei per guardare un film insieme e per il momento lui non sembrava intenzionato a voler oltrepassare i limiti.
Le arrivò un messaggio sul cellulare, che teneva lì accanto, e per un folle istante fu tratta in inganno dalla lettera E con cui iniziava il nome del mittente. Pensò fosse Edoardo, che era sparito da qualche giorno. Nessun messaggio, chiamata o notifica di alcun genere. Completamente scomparso. E adesso lei si ritrovava a sobbalzare ogni volta che il telefono le si risvegliava, ed era delusa quando leggeva un nome che non era quello del ragazzo. Come aveva fatto a ridursi in quello stato? Il buonsenso, comunque, le diceva che non era il caso di scrivergli per prima.
Il messaggio era di Eva, che non le aveva scritto nel gruppo con le ragazze ma in una chat privata.
Sei sola?, diceva.
Eleonora pensò che volesse telefonarle, così le rispose in fretta.
L’istante dopo, suonò il campanello.
Portandosi dietro il cellulare per rispondere subito ad un’eventuale chiamata, si alzò pigramente dal letto e salterellò con solo i calzini ai piedi fino alla porta d’ingresso.
Non era Domenico.
Si ritrovò davanti la sua migliore amica.
 
Ci furono strilli e abbracci e anche qualche lacrima.
Eva la stava abbracciando talmente stretta da toglierle il fiato, e anche se Ele notò subito i due ragazzi dietro l’amica, se ne fregò altamente e continuò a stringerla e a dirle quanto aveva sentito la sua mancanza.
Poi si staccarono ed entrambe rivolsero l’attenzione ai due rimasti sul pianerottolo.
Davanti c’era Edoardo, che la guardava con un enorme sorriso, e dietro di lui Federico, che sollevò una mano per salutarla.
“Sorpresa!” esclamò Fede.
“Ciao, Eleonora” le disse Edo, che moriva dalla voglia di avvicinarsi a lei e abbracciarla, ma non osava.
“Ciao” mormorò la ragazza, senza fiato sia per l’abbraccio con Eva sia per quella visione che non si sarebbe aspettata neanche tra un milione di anni.
Fece qualche passo indietro insieme alla rossa e li fecero entrare.
 
Come spiegarono rapidamente a Eleonora, Edoardo aveva ricevuto un grosso regalo in anticipo per i suoi diciotto anni, che consisteva in un buono molto consistente in un’agenzia di viaggi. Lui e Fede avevano già in programma di andare da qualche parte quell’estate, magari proprio in Inghilterra, ma avevano deciso invece di anticipare la vacanza e portare anche Eva per andare lì a farle una sorpresa.
Erano atterrati da poco, prima di passare da Ele erano solo andati in albergo a posare le valigie, e sarebbero ripartiti domenica.
Edoardo sembrava molto imbarazzato, come se l’idea che aveva creduto bellissima e geniale, adesso che si era realizzata, fosse soltanto stupida.
Ele li fece accomodare in camera sua.
“Vado a prendervi qualcosa da bere… tipo… tipo l’acqua” borbottò un po’ a disagio.
Eleonora si trascinò l’amica in cucina e lasciarono i ragazzi seduti sul letto.
“Come vi è saltato in mente?!” domandò Ele, appena furono fuori portata d’orecchio degli altri due, prendendo la rossa per le spalle e parlando comunque il più a bassa voce possibile.
Lui mi ha trascinata in questa storia. È venuto da me prima ancora di andare da Fede” rispose Eva, anche lei sussurrando.
“Davvero?” Ele sembrava sorpresa.
“Sì!” esclamò la rossa, cercando di sussurrare. “Gli ho detto che mi sembrava un’idea assurda e che era pazzo ma mi ha detto che vi sentite da mesi.” Adesso il tono era un po’ accusatorio. “E poi ne ho parlato con Sana perché non sapevo cosa fare e lei ha detto che è vero.” Di nuovo il tono accusatorio.
Eleonora abbassò lo sguardo, colpevole. “Mi dispiace” disse solo.
“Fai bene. Avresti potuto dircelo. Siamo le tue migliori amiche, non dovrebbe esserci spazio per l’orgoglio.” Eva le si avvicinò e spostò la testa fino ad entrare di nuovo nel campo visivo dell’amica. Le sorrise.
Ele ricambiò il sorriso. “Non era solo per orgoglio. Silvia lo sa?”
Eva annuì.
“Cos’ha detto?”
“L’ha presa benino, credo.”
“Non è arrabbiata con me? Mi sento come se… la stessi tradendo.”
“Non penso che sia arrabbiata. Non tanto per Edoardo, credo, forse più perché ce lo hai tenuto nascosto.”
“Ho sbagliato” ammise. “Le parlerò il prima possibile. Mi dispiace.”
In quel momento suonò di nuovo il campanello.
“Cazzo!” esclamò Eleonora, e si precipitò alla porta.
 
Se Domenico era sorpreso di incontrare tre amici di Roma di Ele all’improvviso durante quella che doveva essere una loro serata film, non lo diede a vedere. Con la sicurezza nei modi che lo contraddistingueva si presentò a tutti, confidò ad Eva che aveva sentito tanto parlare di lei, e addirittura disse che gli dispiaceva di non averlo saputo prima perché in quel caso non si sarebbe messo in mezzo a quella reunion.
Con la massima educazione Eleonora lo invitò a restare e propose di andare a fare un giro per la città tutti insieme.
Domenico stava per rifiutare e lasciarli da soli, però si accorse dell’atteggiamento di Edoardo.
Era un atteggiamento sulla difensiva, preoccupato, e allo stesso tempo molto irritato. Era chiaro che il ragazzo avesse una grossa cotta per Eleonora.
Le cose che poteva fare, quindi, erano due: lasciare carta bianca al romano e andare via, oppure restare per vedere come si comportava e capire che tipo era.
Domenico era sicuro di non avere alcuna possibilità con Ele in senso romantico, ma non per questo voleva lasciarla al primo che capitava. Quell’Edoardo doveva essere degno della meravigliosa ragazza che era Eleonora.
Quindi, alla fine, restò.
 
Edoardo prese la notizia nella maniera peggiore e in cuor suo stava ribollendo. Non ci voleva un genio a capire che quel Domenico vedeva Eleonora molto più che come un’amica. Era bello, affascinante, più grande, e sembrava pure simpatico e intelligente. Insomma, era il ragazzo ideale per la signorina Sava. E da come lei si comportava con lui, da come lo guardava, sospettò che dovesse esserci qualcosa tra i due, anzi ne era sicuro.
In un momento di distrazione di tutti gli altri, Federico mise una mano sulla spalla di Edo e lo guardò scuotendo la testa e trattenendo una risata.
“Fregato!” gli sussurrò all’orecchio, ed Edoardo non poté fare a meno di sbuffare.

Fine capitolo cinquanta

(Nessun palo (come Ludo Besse insegna, non sono una brava allieva), ho solo pubblicato più tardi del solito. Il mistero della conversazione in bagno delle ragazze è svelato, parlavano di questo weekend!)

Ritorna all'indice


Capitolo 51
*** Cuori spezzati ***


Capitolo cinquantuno
Cuori spezzati
9 febbraio
 
Non faceva caldo, il nove di febbraio a Roma sarebbe stato impossibile, però c’era il sole e non tirava vento, quindi tutto sommato stavano bene.
Si erano visti ad uno degli ingressi di Villa Borghese, dal lato di piazzale Flaminio, si erano salutati con un bacio e poi si erano inoltrati nel parco passeggiando in silenzio.
Filippo ogni tanto faceva qualche scatto di prova fermandosi pochi secondi, ed Elia lo prendeva in giro indicandogli gli alberi più ‘fotogenici’, i ciuffi d’erba più verde e addirittura un piccione ‘nato per fare il modello’.
Filo sopportava lamentandosi che stava disturbando un artista al lavoro, ma in realtà rideva sotto i baffi.
Arrivarono al Giardino del Lago e fu il momento di mettersi al lavoro sul serio.
“C’è una luce fantastica” disse Filippo, guardando nella macchina ma senza scattare.
“Se lo dici tu” rispose Elia.
“Non ne capisci proprio niente, vero?” rise l’altro.
“Penso sia già tanto se riesco a scattare selfie” anche a Elia scappò una risata.
Per venti minuti buoni, Elia aspettò pazientemente seduto su una panchina, lo sguardo rivolto al laghetto. C’era il tempio di fronte a lui, e tantissima gente che navigava con le barchette di legno in affitto. Per la verità, la maggior parte remava a caso con la speranza di muoversi, ma tuttalpiù spaventava qualche paperella.
Quello, comunque, ero lo spettacolo che stava cercando di immortalare Filippo.
Elia ne seguiva i movimenti, lo guardava allontanarsi a destra e a sinistra cercando le angolazioni migliori, tutto concentrato sulla fotografia.
“Ne è appena uscita una fantastica!” gli urlò Filo da qualche metro di distanza, guardandolo con un enorme sorriso, che Elia ricambiò.
Filippo lo raggiunse con una corsetta, si chinò su di lui, lo baciò dolcemente sulle labbra e poi si allontanò di nuovo dandogli le spalle.
Era il tipico spettacolo che avrebbe offerto una coppia di innamorati. Una coppia vera, che stava insieme sul serio.
Elia non poté evitare di pensare che quella situazione lo avrebbe ucciso. Quando Filippo si fosse stancato di lui, ne avrebbe sofferto terribilmente. Già così il suo cuore rischiava di spezzarsi in ogni momento al pensiero che Filo non ricambiasse i suoi sentimenti. Ai suoi ignari amici sarebbe toccato l’ingrato compito di raccogliere i pezzi.
Dopo aver sbattuto le palpebre per ricacciare indietro le lacrime, Elia si alzò e raggiunse Filippo, che si era fermato in un punto a controllare gli scatti già fatti.
Lo raggiunse da dietro e lo circondò con le braccia.
Filo sorrise e voltò la testa per farsi dare un bacio, ed Elia lo accontentò.
“Venute bene?” domandò, lasciandolo andare.
“Perfette” rispose Filippo. “Ci spostiamo?”
Elia annuì.
Le due ore successive proseguirono in questa maniera, in varie parti del parco. Elia si aggrappava ad ogni momento in cui si fermavano su una panchina a pomiciare come i due adolescenti che erano, cercando di salvare ogni istante e ogni sensazione nella sua memoria, in previsione del giorno in cui avrebbe dovuto rinunciarci per sempre.
 
A Manchester, invece, la giornata era trascorsa diversamente.
Eleonora aveva fatto da guida turistica ai tre amici, ed erano rimasti sempre tutti insieme, su richiesta privata di Eleonora a Eva. La giovane Sava, infatti, non voleva restare sola con Edoardo.
La sera prima, lei e Domenico avevano accompagnato i tre romani al loro albergo, perché Dom aveva insistito per accompagnare Ele a casa, e alla ragazza era sembrata la cosa migliore. Il disappunto di Edoardo era evidente, ma in quel momento non gliene importava.
Arrivati lì, poi, aveva fatto salire Domenico in casa e si erano chiusi in camera sua a parlare.
“Lo sai che quell’Edoardo è completamente pazzo di te, vero?” aveva domandato il ragazzo con una risata.
Eleonora aveva annuito. “Ti giuro che non lo capisco.”
“Io sì” aveva commentato Dom.
“Scusami” aveva mormorato Ele, imbarazzata.
Il ragazzo aveva riso ancora. “C’è qualche motivo in particolare per cui lo fai soffrire in questo modo?”
“Non voglio stare con lui. Ha trattato di merda una mia amica, l’ha illusa e insultata. È uno stronzo, va a letto con tutte e le tratta come oggetti, non gli importa di nessuna. È spocchioso, arrogante, insensibile, antipatico, e stupido!”
“Wow” aveva detto Domenico, scoppiando a ridere.
Adesso Eleonora, mentre passeggiava per le vie di Manchester tra lui ed Eva, gli lanciò un’occhiata e rifletté su come lo aveva dipinto a Dom. Ovviamente alcune delle cose che aveva detto erano vere e innegabili. Ma le altre? Ormai l’Edoardo che conosceva era ben diverso da quello di parecchi mesi prima. Le persone potevano davvero cambiare e migliorare?
Razionalmente pensava e sperava di sì. Altrimenti il mondo sarebbe stato un posto terribile, no? Ma aveva paura di sbagliarsi e che nel caso di Edo fosse tutta una presa in giro. Era confusa e spaventata di uscirne con il cuore spezzato. Però, come le aveva fatto notare la sera prima Domenico, un ragazzo che avrebbe solo voluto portarsela a letto non si sarebbe preso tanto disturbo.
“Magari adesso io ed Eva andiamo a farci un giro per fatti nostri, eh?” propose Federico, tirando a sé la rossa e circondandola con le braccia.
Eva guardò Eleonora con un sorriso mortificato, ma Ele le aveva già chiesto tanto e le aveva rovinato la mini-vacanza con il ragazzo, quindi poteva cedere per qualche ora.
“Ci vediamo al pub alle otto, allora” disse sorridendo.
“Grazie!” Eva si divincolò da Fede, la raggiunse per darle un bacino sulla guancia e poi si allontanò insieme al ragazzo.
“Quindi il tuo piano per evitarmi tutto il tempo è appena fallito” commentò Edoardo, le mani in tasca, accennando un sorriso ma velato di tristezza.
Ele sospirò. Si sentiva piuttosto in colpa, perché la giornata era trascorsa in maniera molto piacevole, esattamente come tutte le conversazioni telefoniche che avevano avuto negli ultimi mesi. Forse stava davvero esagerando e mettendo l’orgoglio prima della realtà dei fatti?
“C’è qualcosa che vuoi fare?” gli domandò, evitando di rispondere a quel commento.
“Solo stare un po’ con te. Mi va bene anche passeggiare. Però se andiamo da qualche parte a prendere un caffè o un tè o una cioccolata o quello che vuoi… sto morendo di freddo.”
Risero entrambi e si avviarono lungo la strada, camminando vicini.
Prima di raggiungere una caffetteria molto carina che Eleonora frequentava con le amiche inglesi, cominciò a fioccare.
Edoardo si fermò per ammirare il fenomeno, ed Ele gliene fu grata, perché anche lei moriva dalla voglia di starsene lì a guardare la neve volteggiare nell’aria. Perché aveva detto a Domenico che la neve non le piaceva?
Si tolse un guanto, sollevò una mano e raccolse un fiocco sul palmo, guardandolo incantata.
Edoardo intanto la guardava con un sorriso ammaliato, lei se ne accorse e improvvisamente pensò a Silvia, perché quello era esattamente lo sguardo che l’amica rivolgeva proprio a lui.
Mise in tasca la mano e guardò con durezza Edoardo.
“Sei stato molto invadente venendo qui” gli disse. “Ai limiti dello stalking.”
Il sorriso di Edo scivolò via dal suo viso.
“Stai un po’ esagerando. Bastava una tua parola ieri e sarei sparito. E questo lo sai benissimo.”
Eleonora non replicò, perché in fondo era vero, però continuò a fissarlo con aria incazzata.
“Mi sembrava che le cose tra noi andassero bene” continuò il ragazzo. “Se non proprio alla grande, almeno abbastanza bene da non disturbarti la mia presenza qui. Ti chiedo scusa se invece ti ha dato fastidio, in fondo lo sapevo che stavo esagerando. Ma volevo vederti tantissimo e non sono venuto da solo proprio per questo. Sentivi nostalgia delle tue amiche e allora volevo fare una cosa carina per te portando Eva.”
Edoardo distolse lo sguardo dagli occhi di Eleonora prima di proseguire il discorso: “Lo so che non sono un ragazzo perfetto come quell’amico tuo di ieri sera, lo so che mi sono comportato di merda con tante ragazze, ma non sono un mostro irrecuperabile, e speravo potessi darmi una seconda possibilità. Conoscermi bene, almeno, prima di giudicarmi.”
Eleonora non sapeva cosa dire, e infatti restò in silenzio, a fissarlo.
Edoardo capì che sarebbe stata più dura del previsto, e si maledisse per lo stronzo che era stato e per come aveva trattato Silvia, perché solo ora, attraverso gli occhi di Eleonora, capiva quanto fosse stato crudele.
“Siamo stati bene oggi, no?” disse il ragazzo, cercando di salvare il salvabile, mentre la neve si faceva sempre più fitta. “Continuiamo così fino a domani, ti va?” Fece una piccola pausa. “Amici?”
“Mi piacerebbe” rispose Ele, dopo un attimo di esitazione, con un debole sorriso.
E fecero davvero così, sfruttando quel tempo insieme per conoscersi meglio, senza pretendere nulla l’uno dall’altra.

Fine capitolo cinquantuno

Ritorna all'indice


Capitolo 52
*** Mancanze ***


Capitolo cinquantadue
Mancanze
10 febbraio
 
“Grazie per essere venuta” mormorò Eleonora, con la testa sepolta nei capelli rossi di Eva.
“Mi mancherai un sacco, meno male che sarai a casa tra un paio di mesi. È una tortura” rispose l’altra, stringendola forte per le spalle.
I saluti tra Ele e Federico furono meno cerimoniosi e poi lui ed Eva si allontanarono verso la navetta che li avrebbe portati in aeroporto, lasciando un po’ di privacy a Edoardo.
“Grazie per aver portato Eva qui. È stato un bel gesto” gli disse subito Eleonora, cercando di fare ammenda per il modo in cui lo aveva attaccato la sera prima.
“È stato un piacere” rispose lui, guardandola sorridendo. “Magari ti ha fatto piacere vedere anche me?” domandò, sollevando un sopracciglio con aria maliziosa.
“Assolutamente no” rispose Ele, ma trattenendo un sorriso, che lui notò.
Il ragazzo si chinò verso di lei e le diede un bacio sulla guancia, indugiando con le labbra sulla sua pelle più di quanto fosse necessario.
“Ci rivediamo a marzo” le disse.
“Ci rivediamo a marzo” confermò lei.
 
Mamma Rametta aveva le mani piene di buste, ma il figlio era messo persino peggio.
“Dove, adesso?” chiese Martino, mentre uscivano dall’ennesimo negozio.
Avevano deciso di dedicare una giornata al centro commerciale per fare shopping prima della fine dei saldi e la donna si era data alla pazza gioia, in pratica si stava rifacendo l’intero guardaroba. Anche le buste che portava il ragazzo, infatti, erano piene di acquisti della madre, lui aveva comprato solo un paio di jeans fino a quel momento.
“Mi serve un nuovo fondotinta” rispose lei.
Martino sbuffò e la donna rise.
“Aspettami qua, dai.” A mamma Rametta scappò un’altra risata e posò le buste su una panchina.
Qualche minuto dopo essere rimasto solo, stravaccato su quella panchina e circondato da buste, tirò fuori il telefono dalla tasca e trovò dei messaggi che non aveva sentito arrivare. Erano del signor Fares, su WhatsApp, ma erano da parte di Niccolò.
Martino sorrise mentre scorreva le decine di foto che il ragazzo gli aveva mandato dal Museo Egizio. L’ultimo messaggio diceva di chiamarlo quando poteva.
“Pronto?”
“Buonasera.” Marti sorrise mentre lo salutava.
“Ti amo” gli disse Nico.
“Così, all’improvviso?” rise Martino.
“Sì. Mi manchi da morire.”
“Anche tu” sospirò. “Questa settimana mi sembrerà lunga una vita.”
Chiacchierarono per un po’, ma Martino cominciò a preoccuparsi, perché lo sentiva giù di morale.
“C’è qualcosa che non va?” gli chiese. Anche la sera prima, quando si erano dati la buonanotte, sembrava un po’ triste.
“Non ci fare caso. Sono un po’ spossato. Succede sempre così” rispose Niccolò, vago.
Nonostante i mesi trascorsi insieme e tutto quello che c’era tra loro e che avevano affrontato, l’argomento della sua malattia era ancora qualcosa che preferiva evitare, vergognandosene e non volendo caricare Martino di un peso così grande.
“Parlami, Nico. Ti amo, puoi dirmi qualsiasi cosa.”
Dopo un attimo di esitazione, Niccolò decise di accogliere l’invito, e si sfogò.
Quando mamma Rametta raggiunse di nuovo il figlio, erano passati ad argomenti più leggeri e lo trovò così sorridente e con un’espressione così dolce che capì subito chi ci fosse dall’altra parte della telefonata, anche da lontano.
“Salutamelo” mimò con le labbra, una volta che si fu avvicinata.
Martino riferì il saluto e poi i due innamorati chiusero la conversazione.
“Ti manca?” chiese la madre, sedendosi accanto a lui cercando di non schiacciare le buste.
“Tantissimo” mormorò il ragazzo.
La donna gli accarezzò una guancia guardandolo con occhi pieni di tenerezza.
“Dai, basta.” Martino si staccò da lei, ma senza essere rude, e si rimise in piedi.
Raccolsero le loro cose e si rimisero in marcia.
Ad un certo punto la loro strada si incrociò con quella di una persona conosciuta.
“Dottor Spera!” esclamò Martino, sorpreso di trovare lo psicologo della scuola.
“Ah! Ciao, Martì!” sorrise lui, fingendo di notarlo solo in quel momento. In realtà lo già visto avvicinarsi, ma aveva fatto finta di niente perché non sapeva se per il ragazzo andava bene far sapere alla madre di conoscerlo.
“Mamma, lui è lo psicologo della scuola” disse invece Martino, che evidentemente aveva parlato alla madre di quegli incontri.
I due adulti si strinsero la mano e si presentarono.
Cominciò dunque una conversazione cortese e di circostanza, e poi successe una cosa strana, che Martino non poté fare a meno di notare.
Ci fu un lampo nello sguardo di Spera, una cosa tremendamente familiare, e al ragazzo occorse qualche secondo per riconoscerlo. Quell’espressione con cui Spera stava guardando sua madre e il tono di voce con cui le stava dicendo quanto il figlio fosse un bravo ragazzo, erano gli stessi con cui Luchino guardava e parlava a Silvia.
Marti spostò lo sguardo su mamma Rametta e si accorse che lei stava apprezzando quel tipo di attenzione.
Fece un passo indietro. Sua madre e Spera stavano… flirtando?!

Fine capitolo cinquantadue

Ritorna all'indice


Capitolo 53
*** Rinsaldare amicizie ***


Capitolo cinquantatré
Rinsaldare amicizie
11 febbraio
 
Giovanni stava andando a prendere caffè per tutti con un quaderno in mano da usare come vassoio, quando vide Sana al distributore e sorrise tra sé.
“Ei” la salutò, avvicinandosi.
La ragazza alzò la testa improvvisamente.
“Ciao!” esclamò, sorridendo anche lei. In quel momento la macchinetta finì il suo caffè e si chinò per prenderlo. “Tutto bene?” gli chiese.
“Non c’è male” rispose Gio. “È piaciuto poi il manuale?”
“Cosa?” Sana sembrava confusa.
“Il manuale. Di scrittura. È piaciuto?”
Sana si ricordò di aver finto che fosse un regalo. “Um… alla fine me lo sono tenuto” disse, un po’ a disagio.
Il ragazzo si limitò a sorridere.
“Tu invece? Stai leggendo Sherlock?”
“Non ho ancora iniziato.”
“Male!” finse di rimproverarlo Sana, mentre si spostava per lasciargli prendere i caffè.
“Senti…” disse Giovanni, con il tono di chi vuole iniziare un discorso serio che sa non piacerà all’altra persona. “Ti posso chiedere una cosa? Ma Eva… sta ancora con quel Federico?” Guardò Sana di sottecchi, senza aspettarsi davvero una risposta.
Quella mattina la rossa era arrivata in classe stanca e stravolta e aveva addirittura copiato i compiti dalla compagna di banco perché ‘non ho avuto tempo questo weekend’. Così l’aveva sentita dire.
Sana non rispose subito. Non sapeva se parlare, ma in fondo non si trattava di un segreto e prima o poi Giovanni lo avrebbe saputo comunque.
“Sì, sono andati insieme a Manchester a trovare Eleonora, questo weekend” disse a voce bassa e con un tono quasi di scusa.
“Ah.” Questo fu l’unico suono che uscì dalla bocca di Giovanni.
“Comunque forse di queste cose dovresti parlarne con lei, no?”
Gio si limitò ad annuire e a fissarla.
“Il caffè è pronto” disse la ragazza dopo un po’.
Lui lo prese senza dire una parola e cominciò con fatica a inserire gli spicci per il successivo.
“Dai qui, ti aiuto.” Sana, che nel frattempo aveva già mandato giù la sua bevanda e anche buttato il bicchierino nel cesto lì accanto, prese il quaderno e il bicchiere dalle mani di Giovanni e lo lasciò muoversi liberamente.
“Sei ancora innamorato di lei?”
Non voleva fare una domanda così diretta e lo sapeva che non erano fatti suoi, però non riuscì a trattenersi.
“No, ma sei matta?” replicò Gio, senza guardarla in faccia e con un tono che non avrebbe convinto neppure un bambino.
“Ok” rispose pacatamente Sana, senza insistere, osservandolo con un sorriso triste.
 
Gio: Allora com’è andata la vacanza?
Eva: Come lo sai?
Gio: Era un segreto?
Eva: No. Però avresti potuto chiedermelo stamattina in classe
Gio: Lo so…
Eva: Gio? Che cosa stiamo facendo?
Gio: In che senso?
Eva: Non ho capito se vuoi che siamo amici o se stai facendo una scenata
Gio: Ti sembra una scenata questa?
Eva: No, ma non capisco
Gio: Voglio che siamo amici
Gio: Sul serio
Gio: Allora com’è andata?
Eva: Bene, Ele mi manca
Gio: Le avete fatto una sorpresa o lo sapeva?
Eva: Sorpresa. La sua faccia sconvolta è stata stupenda hahaha
Gio: Ci credo, le sarà venuto un colpo. Com’è Manchester?
Eva: Bella! Ha anche nevicato mentre eravamo lì
Gio: Figata
Eva: Sì. Magari ci tornerò un giorno per visitarla più tranquillamente e con più tempo e di sicuro quando farà meno freddo hahaha
Eva: Adesso devo uscire con mamma, dai ne riparliamo domani in classe
Gio: Ok, a domani
 
Federica stava addentando l’ultima fetta di margherita quando venne raggiunta dal pizzaiolo, lì al suo minuscolo tavolo ad angolo dove era seduta da sola.
“Piaciuta?!” esclamò entusiasta Chicco Rodi, grembiule legato al collo e mani e viso sporche di farine, in tutto il suo splendore.
“Buonissima” bofonchiò Fede, con la bocca piena.
“Bene così!” Rodi fece un largo sorriso. “Offre la casa.”
Ci fu una breve discussione in cui Federica tentò di convincerlo a lasciarle pagare il conto, che venne interrotta solo dall’arrivo di una ragazza nera, altissima e molto bella.
“Chì, ma stai qua. Ti cercavo in cucina” disse la nuova arrivata, rivolgendosi al ragazzo. Poi abbassò lo sguardo su Fede, sorrise e la salutò cordialmente.
Federica pensò subito che si trattasse della ragazza di Rodi, e pregò con tutto il cuore che stessero insieme da pochi mesi e che non l’avesse tradita con lei quando si erano baciati a quella famosa festa.
“Fede, lei è Becca, mia sorella” disse Chicco. “Bec, Federica è una mia amica della palestra. Ma ci conosciamo dalla scuola.”
“Piacere.” Becca allungò la mano e Federica la strinse, un po’ sorpresa.
Poi tornò a rivolgersi al fratello. “Mi servono le chiavi di casa.”
“Sono nella tasca del mio cappotto, sta nel guardaroba dietro la cassa” rispose lui.
“Non te le riporto, ti apro io quando torni, tanto rientro prima di te.” Spostò di nuovo lo sguardo su Federica. “È stato un piacere” le disse sorridente. “Buona serata!” e si allontanò.
Fede sollevò le sopracciglia. “Tua sorella?”
“Adottata” rispose Rodi tranquillamente. “Un paio d’anni prima che nascessi io. Era ancora una neonata ma mia madre dice che già allora sembrava alta due metri.” Rise e si mise a sedere accanto a Fede, prendendo un pezzo di cornicione che la ragazza aveva lasciato e mordendone un pezzo.
“Sembra simpatica” sorrise Fede. “Scommetto che sarebbe d’accordo nel farmi pagare il conto.”
“Non ci provare. Ti ho invitato io, sei mia ospite, offro io.”
E la questione fu chiusa.

Fine capitolo cinquantatré

Ritorna all'indice


Capitolo 54
*** Normalità ***


Capitolo cinquantaquattro
Normalità
12 febbraio
 
“Sì, l’ho visto tutto, avevamo la giornata libera.”
La voce di Niccolò arrivò un po’ gracchiante dal telefono in vivavoce, mentre il ragazzo rassicurava Luchino sull’essere riuscito a visitare per bene il Museo Egizio di Torino.
Era l’intervallo e come al solito i Contrabbandieri se ne stavano nella classe di Martino a cazzeggiare, ma oggi avevano telefonato a Nico tutti insieme.
Chiacchierarono ancora per un po’ e infine lo salutarono.
Appena la telefonata ‘di gruppo’ fu conclusa, calò il silenzio.
Fu Giovanni a romperlo.
“Sta bene?” chiese a Martino.
“È un po’ scombussolato, credo.”
“Penso sia normale” commentò Luchino, mettendosi a sedere. Fino a quel momento erano stati tutti in piedi attorno a Martino che reggeva il cellulare.
“Praticamente noi ne usciamo scombussolati ogni volta che parliamo con Spera” fece notare Elia. “E quello non è niente in confronto alle visite di Nico.”
“Sì, infatti.” Marti annuì.
Gio gli diede una pacca sulla spalla e lo guardò con quella sua espressione rassicurante che riusciva sempre a calmare l’amico.
Martino, comunque, sembrava voler cambiare argomento, ed Elia decise di sacrificare Giovanni.
“Senti, tu…” lo guardò. “Ma stamattina? Con Eva?”
“Vero! Che cazzo è successo che non sappiamo?!” Anche Martino si voltò verso il riccioluto.
“Cosa? Che succede?!” Luchino non aveva idea di cosa stessero parlando.
“Stamattina lui ed Eva si sono salutati come se stessero di nuovo insieme” spiegò brevemente Elia.
“Non è vero!” smentì subito Gio. “Ci siamo salutati in modo amichevole.”
Poi raccontò agli amici quello che aveva saputo da Sana il giorno prima, Manchester, Federico e tutto il resto, e anche che non era riuscito a trattenersi e le aveva scritto. Addirittura fece loro leggere la conversazione.
Dopodiché calò di nuovo il silenzio.
“Ma tu sei convinto?” chiese Elia.
“Non sono più innamorato di lei, zì. Giuro. Però anche prima di metterci insieme la prima volta, noi due eravamo amici. Mi manca parlarle ogni giorno e basta.”
Elia era quasi sicuro che Gio stesse mentendo a se stesso proprio come lui stava mentendo agli amici, ma decise di non fare ulteriori commenti perché non gli sembrava il momento.
Martino non era dello stesso avviso.
“Non sei più innamorato di lei, o non vuoi più essere innamorato di lei? C’è una differenza bella grossa, fra.”
“Tutte e due” rispose Giovanni.
“Io non vi capisco davvero” disse Luchino, spostando lo sguardo da Gio a Elia.
“Non capisci mai un cazzo, tu” scherzò Elia.
“Di che stai a parlà, mo?” domandò Gio.
“Tu che vuoi essere amico di Eva però dici che non la ami più, e quest’altro che s’è trovato lo scopamico. Ma na relazione normale no?”
“Io ho una relazione normale” si indignò Martino.
“Beh zì, adesso sì, ma pure voi avete iniziato che era na tragedia, tra te che facevi lo stronzo con noi e con Emma e Nico che faceva lo stronzo con te e la ragazza” gli fece notare Giovanni.
Marti alzò le mani in segno di resa. “Nessuno è perfetto” disse, e tutti scoppiarono a ridere.
Però non voleva lasciar cadere l’argomento dello ‘scopamico’.
“Ma quindi tu e Filo davvero scopate?” chiese ad Elia.
“Ma na carovana de fatti vostri non ve la sapete fa?”
“È solo che mi sembra strano che nessuno di voi due voglia stare insieme. Sento come se questa storia dovesse finire in tragedia peggio di come è iniziata la mia.”
“Non viviamo in una serie tv, Martì. Scialla.”
“Io però la penso come lui, zì” disse Gio.
“Cioè?”
“È che non sembra una cosa da te” azzardò Luchino.
“Ma perché, come sapete cosa è da me e cosa no in una relazione? Manco ne ho mai avuta una. Si vede che questo è da me.”
Elia cominciava a diventare nervoso. In realtà i suoi amici lo conoscevano benissimo, ma continuava a non aver voglia di sentirsi dire che stava sbagliando, visto che oltre a saperlo perfettamente, aveva deciso di continuare a sbagliare. Un comportamento pessimo, è vero, ma non poteva farci niente.
“Comunque… parlando di altro, che è meglio…” intervenne Gio. “Domani vai in radio, vero?”
“Sì che vado” rispose Luchino, che stava controllando il cellulare e non aveva visto chi stava guardando l’amico.
“Parlavo con Marti” rise Gio.
“Sì, perché?”
“Niente. Però devi andare.”
Passarono il resto dell’intervallo a discutere, perché i tre amici volevano sapere da Gio come mai quell’insistenza, ma il ragazzo mantenne la promessa fatta il giorno prima e non si lasciò scappare neppure mezza parola.

Fine capitolo cinquantaquattro

Ritorna all'indice


Capitolo 55
*** Finalmente una gioia ***


Capitolo cinquantacinque
Finalmente una gioia
13 febbraio
 
Sana, in piedi in un angolo circondata dalle amiche, si rilassò soltanto quando finalmente vide Martino varcare la soglia dell’aula in cui si riunivano per i pomeriggi alla radio. Un paio di giorni prima, quando aveva parlato con Giovanni ai distributori, gli aveva chiesto di assicurarsi che sarebbe andato, visto che la settimana precedente sia lui che Niccolò avevano saltato la riunione.
Ma oggi c’era. Entrò insieme a Luchino ed entrambi si diressero come al solito verso uno dei banchi in fondo, per sedervisi sopra. La ragazza non avrebbe mai smesso di domandarsi qual era il problema di quei ragazzi con le sedie.
“Ci sono tutti?” le domandò Silvia, aggrottando le sopracciglia.
“Mi pare di sì.” Sana si guardò intorno un’ultima volta.
“Manca Niccolò, no?” intervenne Fede.
“Mi ha detto che non viene neanche questa settimana” rispose la bionda, un po’ risentita, poiché non conosceva la vera ragione di quelle assenze.
“Non è venuto neanche a scuola negli ultimi giorni” aggiunse Eva, per rassicurare l’amica che il ragazzo non stava boicottando soltanto la radio.
“Va bene” disse Silvia, poi si allontanò dalle altre e si mise al centro dell’aula, schiarendosi la voce il più rumorosamente possibile.
Il chiacchiericcio si spense lentamente.
“Annuncio!” esclamò Silvia con entusiasmo, sorridendo e quasi saltellando sul posto. “Abbiamo ottenuto il permesso per fare una piccola gita!” Si voltò verso le amiche, che ricambiarono i sorrisi.
Anche tutti gli altri cominciarono ad entusiasmarsi.
“Solo noi della radio?” domandò Emma, che era seduta insieme all’argentina in prima fila, come sempre.
“Sì, è una gita apposta per noi!” Si vedeva lontano un miglio che Silvia non vedeva l’ora di dare quella notizia, che si teneva ormai da un po’ di giorni. “Ma non sappiamo ancora quale insegnante ci accompagnerà.”
La ragazza si morse le labbra, senza smettere di sorridere.
“E insomma, dove andiamo?” domandò un ragazzo di nome Stefano, con una risata intenerita, perché era chiaro che Silvia volesse qualcuno che glielo chiedesse, per dare una risposta ad effetto.
“In uno studio radiofonico!” rispose, quasi urlando. “Uno vero” specificò. “Faremo uno stage! Passeremo la giornata lì per vedere come funzionano le cose in uno studio radiofonico professionale, seguiremo la messa in onda dei programmi e potremo parlare con tutti gli addetti ai lavori e gli speaker. Alla fine avremo anche un attestato!”
Tutti reagirono in maniera entusiasta, quasi al livello di Silvia. Cominciarono a chiacchierare e ad agitarsi, perché la prospettiva di quella gita piaceva davvero. In un modo o nell’altro si erano tutti appassionati al lavoro che stavano facendo, e per loro era una bellissima opportunità.
Si levò anche qualche ‘grazie!’ da sopra il chiacchiericcio, quindi Silvia si ritenne soddisfatta.
“Silenzio! Shhhh!” Ottenne di nuovo l’attenzione di tutti. “Sarà la prima settimana di aprile” li informò. “Ma non sappiamo ancora il giorno preciso” si voltò a guardare le amiche, come per avere una conferma, e le altre annuirono. “Perciò nel frattempo impegnatevi, perché hanno detto che potremo partecipare attivamente anche in alcuni dei programmi. Mi raccomando, non voglio fare brutte figure.”
L’annuncio era concluso e Silvia decise di lasciare che ne parlassero in libertà prima di richiamarli all’ordine e spedirli a lavorare. Era davvero felice che fossero tutti così contenti.
 
Quando si furono calmate le acque, tutti ripresero i loro ruoli, e nell’aula delle riunioni rimasero in pochi.
Silvia era seduta da sola a un banco a studiare per un compito in classe del giorno dopo.
Luchino le si avvicinò cautamente.
La ragazza se ne accorse e alzò lo sguardo su di lui, con un lieve sorriso.
“Bella questa cosa dello stage” le disse Luchino, ricambiando il sorriso.
“Grazie.”
Ci fu un attimo di silenzio imbarazzato.
“Per caso… domani… ti va di andare insieme da qualche parte? Cioè, di uscire? Tipo… tipo un appuntamento?” Luchino si infilò le mani in tasca per evitare di stringersi le dita nervosamente, mentre guardava negli occhi Silvia con aria speranzosa.
“Domani è San Valentino” fece notare la ragazza.
“Sì, sì, lo so, infatti se hai già un impegno… cioè, è ovvio che ce l’hai, mi dis- insomma, non importa.”
Il ragazzo stava per voltarsi e andare via quando Silvia lasciò cadere la matita sul quaderno e lo afferrò dolcemente per un polso che usciva dalla tasca, per trattenerlo.
“A che ora?” gli chiese, sorridendo.
Come riuscì Luchino a non svenire per la felicità e la sorpresa resterà per sempre un mistero.
 
Nel frattempo, Martino era andato ad aiutare Federica ed Eva a registrare il loro programma.
Alla fine del turno, mentre firmavano le presenze, le fermò per parlare.
Eva pensò che volesse parlarle di Giovanni, quindi disse di andare di fretta e sparì oltre la porta, ma Fede si fermò.
“Volevo sapere come avete fatto a organizzare lo stage alla radio?” le domandò Marti, con un sorriso da un orecchio all’altro. Gli interessava parecchio, visto che sperava che quello potesse essere il primo di una lunga serie. Prima, quando Silvia aveva dato l’annuncio, gli era sembrato troppo bello per essere vero.
“Non so i dettagli” rispose la ragazza. “In realtà sono state soprattutto Silvia e Sana a organizzare, con alcuni prof. L’idea è stata di Sana, ovviamente.” Aggiunse l’ultima parola guardandolo con un sorrisetto.
“Non capisco” disse Martino, sinceramente confuso da quell’ammiccamento.
“Ma dai, Martì!” Fede rise. “Sana lo ha fatto per te. Per il fatto che questa roba ti piace e magari la vorresti fare anche dopo la scuola. Come lavoro, cioè, no? Ha detto che poteva esserti utile uno stage del genere, no? E alla fine è una figata per tutti.”
Gli sorrise e poi lo lasciò lì, come un idiota, a fissare la bacheca con i turni appesa al muro.
Ogni tanto Martino si chiedeva cosa avesse fatto di buono al mondo per meritare degli amici come i Contrabbandieri o come Sana, ma la domanda restava sempre senza risposta.

Fine capitolo cinquantacinque

(Mi dispiace per chi ha pensato che fosse una sorpresa romantica da parte di Nico, non volevo illudervi, pensavo di essere stata chiara con la giornata al Bioparco hahaha quindi vi avviso che davvero non ci saranno altri festeggiamenti di San Valentino per Marti e Nico (non perché sono cattiva (ma un po’ sono cattiva) ma perché succederanno altre cose nei prossimi capitoli per le quali c’è bisogno di una certa coerenza negli avvenimenti).
Spero che la vera ragione per cui Martino non poteva perdersi la riunione vi piaccia lo stesso. A domani! E grazie infinite a tutti quelli che seguono e commentano questa storia)

Ritorna all'indice


Capitolo 56
*** Buon San Valentino ***


Capitolo cinquantasei
Buon San Valentino
14 febbraio
 
Elia: Ei che fai oggi?
Filo: Cinema con un amico, sorry
Elia: Tranquillo
Elia: Divertiti!
 
Gio: E allora? Quanto ci metti a controllà st’agenda hahaha
Elia: Idiota
Elia: Comunque sì, ci sono
Gio: Sicuro? Non ti vedi con Filippo?
Elia: Non stiamo mica insieme
Gio: Giusto, allora dove facciamo?
Elia: Casa di mio padre è libera
Marti: Da me c’è mia madre, ha detto che non esce, però ci lascia tv e divano
Luca: Non so cosa mettere
Gio: Ecco che inizia a rompere
Marti: Jeans e camicia
Luca: Che jeans? Che camicia?
Elia: Vabbè senti accannala e vieni a giocare a fifa pure te
Luca: TU SEI MATTO
Gio: Scherzava
Marti: Rilassati
Elia: Non si può più fare una battuta eh
 
Nico: Buon San Valentino amore <3
Marti: Buon San Valentino a te <3 tra dieci minuti ti chiamo <3
Nico: Non posso rispondere. Mi faccio sentire io
Marti: Ok <3
 
Edo: Lo so che probabilmente starai per uscire con Domenico ma volevo farti sapere che se fossi stata a Roma ti avrei invitata ad uscire e ti avrei portata nel ristorante più bello che conosco, e poi a bere una cioccolata calda accompagnata da biscotti a forma di cuore, perché sarò anche uno stronzo, ma sono anche un inguaribile romantico. Buon San Valentino Ele.
Ele: Forse in fondo, ma proprio in fondo, mi sarebbe piaciuto essere a Roma oggi. Buon San Valentino Edo.
 
Appena entrarono nel locale, Luchino cominciò a guardarsi intorno spasmodicamente, sperando che avessero rispettato alla lettera la sua prenotazione. Alla fine lui e Silvia avevano scelto il locale preferito della ragazza, un posto dove si facevano aperitivi un po’ chic. Giovanni ci era già stato con Eva, e gli aveva raccomandato di farsi dare uno dei tavoli con i divanetti ad angolo, così sarebbero stati seduti vicini ma quasi uno di fronte all’altra. Era il modo migliore per parlarsi, guardarsi, ed eventualmente prendersi per mano e baciarsi. Questo era il piano di Luchino, infatti.
Infine individuò il tavolo con il suo nome sopra ed era uno dei tavoli giusti, per fortuna.
Si sedettero, ordinarono qualcosa da bere e poi restarono finalmente soli, seppur circondati da una marea di altra gente nel locale.
Alla fine il ragazzo aveva messo un jeans chiaro e una camicia blu scuro, senza giacca, perché secondo Gio era esagerata, però Luchino, guardando Silvia, si pentì di non averla indossata.
Silvia infatti era splendida. Aveva acconciato i capelli in un modo che Luchino non avrebbe neanche saputo descrivere, ma che sembrava complicatissimo, aveva i capelli raccolti da un lato e le ricadevano in boccoli sull’altra spalla. Era anche truccata parecchio. Non sembrava, in realtà, ma il ragazzo notò i brillantini un po’ ovunque. Ci voleva impegno per truccarsi tanto e sembrare al naturale, no? E il vestito era elegantissimo, nero e rosso brillante, e le stava davvero bene.
Addirittura Luchino si sentiva un po’ a disagio, perché non si sentiva all’altezza di lei. E come un idiota ancora non le aveva fatto neppure un complimento.
“Sei bellissima” le disse, senza fiato.
Silvia sorrise e arrossì lievemente. “Grazie. Anche tu stai molto bene.”
Si guardarono intorno senza incrociare gli occhi finché non arrivarono i loro drink e alcuni piatti pieni di leccornie.
Erano entrambi molto nervosi e per rompere il ghiaccio Luchino iniziò a mangiare e a parlarle della radio, della registrazione successiva alla quale avrebbero dovuto lavorare.
Anche Silvia si sciolse parlando di un argomento che le piaceva così tanto, ma si limitava a bere e a spiluccare giusto qualcosina dai piatti.
Tra le cose da mangiare c’erano tante cose un po’ raffinate, come risottini, frittatine e bruschette con strana roba sopra, ma c’erano anche altre cose più rustiche, come delle pizzette.
Silvia ne aveva mangiucchiata una e aveva lasciato il piccolo cornicione nel piatto.
“Posso?” disse Luchino, indicandolo. Aveva notato che Silvia non stava mangiando quasi niente.
La ragazza annuì, convinta che volesse mangiarlo lui.
Luchino invece lo prese e ci spalmò sopra sia il ketchup che la senape.
“Prova” le disse, con un sorriso, mentre le posava di nuovo il cornicione ‘condito’ nel piatto.
“Che schifo. Sei matto?” disse Silvia, con una smorfia a metà tra disgusto e risata.
“Prova!” insistette Luchino, e la ragazza si fece coraggio.
Il primo morso fu incerto, il secondo più deciso.
“Sai? Non è male” disse infine, e lo mandò giù tutto.
Continuarono a mangiare, bere e chiacchierare e tutto divenne sempre più naturale.
Ad un certo punto, Silvia addirittura anticipò la mossa di Luchino.
Individuò la mano del ragazzo posata sul divanetto e la coprì con la sua.
Luchino restò immobile, come se avesse paura di fare o dire qualcosa di sbagliato che le facesse cambiare idea, e fu la ragazza a parlare.
“Come mai ti sei impegnato tanto per uscire con me?”
Questa domanda spiazzò Luchino ancora più del gesto.
“Tu mi hai costretto a impegnarmi” rispose. Poi si rese conto di quanto male suonasse quella frase. “Voglio dire, la prima volta che te l’ho chiesto mi hai detto di no, e anche la seconda, cosa potevo farci? E quindi sono venuto in radio, e…” si interruppe. “Comunque mi piace, la radio. Non partecipo solo per te” ci tenne a specificare.
“Sì, però…” Silvia lo interruppe. “Con tutto questo impegno saresti potuto uscire con qualunque altra ragazza.”
Luchino faticava a capire, e restò in silenzio.
“Perché ti sei preso tanto disturbo per uscire proprio con me?” chiese infine Silvia, nella maniera più chiara possibile.
Luchino aggrottò le sopracciglia. “Perché volevo uscire con te.”
“Con me” ripeté Silvia.
“Sì” confermò Luchino, voltando il palmo della mano su cui era posata quella della ragazza per intrecciare le loro dita.
Silvia, tristemente, non era abituata ad essere trattata così. Era la prima volta che un ragazzo che ormai anche ai suoi occhi era bello, simpatico e intelligente, voleva uscire proprio con lei, nonostante tutti i difetti che credeva di avere.
La ragazza sorrise timidamente, si sporse verso di lui e lo baciò sulle labbra, come aveva fatto a quella festa di Capodanno che sembrava lontana milioni di anni.
Luchino ricambiò il bacio e sollevò la mano libera per accarezzarle la guancia e i capelli e tenerla stretta a sé per la nuca.
“Buon San Valentino” disse Silvia, quando si staccarono.
“Buon San Valentino” rispose Luchino, sorridendo.

Fine capitolo cinquantasei

(Mi dispiace per i fan di Elia e Filippo che volevano qualcosa di romantico ma non mi sembrava coerente con tutta la loro storia e in realtà adoro Silvia e Luchino quindi mi piaceva l’idea di riservare il capitolo a loro due
p.s. buon San Valentino a tutti hahahah)

Ritorna all'indice


Capitolo 57
*** Sincerità ***


Capitolo cinquantasette
Sincerità
15 febbraio
 
“Eccoti” esclamò Martino, affacciandosi nell’aula di Sana e, finalmente, trovandola.
“Che succede?” domandò lei, sollevando lo sguardo dal portatile.
Martino attraversò la stanza vuota, com’era quasi sempre durante l’intervallo, e andò a sedersi di fronte al banco dell’amica, rubando la sedia a qualcuno.
“Ti ho cercata anche ieri ma non c’eri.”
“Ero in cortile con le altre.”
“Anche all’entrata e all’uscita da scuola non ti ho trovata.”
“Sono entrata presto e uscita tardi, avevo da ripassare. È finito l’interrogatorio?”
“Volevo ringraziarti” sorrise Martino.
Sana addolcì lo sguardo, anche perché l’amico non sembrava completamente sereno.
“Per cosa?”
“Per lo stage alla radio. Mi hanno detto che sei stata tu. Per me.”
La ragazza sorrise. “L’ho fatto per tutti, tu mi hai solo dato indirettamente l’idea.”
“D’accordo” si arrese Marti, con una leggerissima risata. “Comunque grazie.”
All’improvviso, alle spalle del ragazzo, giunse la voce di Eva.
“Martino che persecuzione che seiiiii!”
A questa esclamazione si aggiunsero alcune risa, nello specifico quelle di Silvia e Federica.
“Sparisci” gli disse Sana, agitando una mano con fare scherzoso.
“Agli ordini.” Martino si alzò e fece un piccolo inchino a Sana e poi anche alle altre ragazze. Il suo sguardo indugiò su Silvia, perché la sera prima Luchino aveva mandato ai Contrabbandieri un messaggio vocale lungo dieci minuti, alla faccia di tutte le canzoni di questo mondo, e aveva raccontato di quanto fosse stato magnifico il loro appuntamento di San Valentino.
Quando se ne fu andato, le amiche si sedettero vicino a Sana, che avviò una videochiamata con Eleonora.
“Eccomi!” esclamò la ragazza, comparendo sullo schermo. “Oddio come siete belle!”
Le ragazze sorrisero.
“Basta, adesso devi raccontare” disse Fede, rivolgendosi a Silvia.
La bionda, infatti, la sera prima aveva scritto nella loro chat di gruppo: La serata è andata bene. Io e Luchino stiamo insieme!, e poi aveva detto che le avrebbe aggiornate tutte con i dettagli il mattino successivo.
E fu proprio quello che fece. Narrò della serata e si dilungò su quanto Luchino fosse meraviglioso e un ottimo baciatore.
Il racconto prese dieci minuti buoni, e ormai non c’era più molto tempo per chiacchierare di altro, ma dopo che tutte si furono dichiarate molto felici per Silvia, fu proprio lei stessa a cambiare argomento.
“Ele e tu?”
Eleonora parve turbata, persino attraverso la pessima risoluzione della videochiamata.
“Io cosa?” chiese. “Ve l’ho detto ieri, sono stata con le ragazze del corso, a casa di una di loro. Quelle con cui andrò a Parigi. Film e popcorn.”
“Sì ma Edoardo?” incalzò Silvia. “Ti ha scritto? Scommetto di sì. E anche Domenico.”
Eva, Sana e Fede assistevano a quello scambio di battute in religioso silenzio. Sapevano che tra Eleonora e Silvia c’era stata una lunghissima telefonata la sera della domenica del weekend di Eva a Manchester, ma quello di cui avevano parlato e come avevano chiarito la situazione ‘Edoardo’ non era mai stato spiegato alle altre.
“Domenico l’ho visto solo a colazione. Aveva il turno. Ma abbiamo parlato come se fosse un giorno normale” rispose infine Ele. Fece una pausa prima di continuare. “Edoardo mi ha mandato un messaggio.”
Silvia sorrise e le altre ragazze si sentirono incoraggiate a fare lo stesso.
“E quindi? Leggicelo, no?!” esclamò Federica.
Anche Eleonora sorrise, e obbedì alla richiesta.
Mentre le amiche discutevano del messaggio di Edoardo, Sana si prese un momento per riflettere. Era bello che finalmente non ci fossero più segreti tra loro, si sentiva il cuore più leggero.
Poi la campanella suonò, le altre ragazze si alzarono in fretta e furia, salutando a stento, correndo fuori dall’aula per raggiungere le loro classi.
“Sono andate” disse Sana rivolta al computer, con un’alzata di spalle.
“Tanto ora devi andare anche tu” rise Eleonora. “Ci sentiamo più tardi in chat.” Si baciò il palmo della mano e poi le soffiò quel bacio attraverso lo schermo.
Anche Sana rise, finse di acciuffarlo, se lo portò al cuore e poi chiuse la videochiamata.
 
Quella sera, Martino se ne stava stravaccato sul divano di casa. Faceva zapping in tv senza trovare niente da vedere e senza la voglia di aprire Netflix o di fare una partita a Fifa. Continuava a lanciare occhiate al cellulare sul tavolino, nella speranza di vederlo illuminarsi.
Sua madre spuntò dal corridoio. Indossava dei pantaloni e un maglioncino semplice, ma si era truccata e sistemata i capelli e aveva messo una delle sue collane preferite, quindi Martino capì che stava per uscire.
“Cinema?” le chiese, sforzandosi di sorriderle.
“Non proprio, tesoro.”
La donna lo raggiunse e si sedette sul bordo del divano.
“Devo dirti una cosa” disse mamma Rametta, solennemente.
Martino si raddrizzò un poco.
“Che succede?” Il ragazzo cominciava a preoccuparsi.
“Ho un appuntamento stasera.”
“Ne abbiamo già parlato, mà” disse il figlio. “Non c’è prob-”
“Marti…” lo interruppe lei. “È con il tuo insegnante. Il dottor Spera.”
Martino sorrise.
“Se ti dà fastidio, non ci uscirò. So che vai da lui a parlare di te e di Niccolò e che la situazione è delicata. Guarda, lo chiamo adesso e gli dico che non se ne fa niente. Davvero. Sii sincero.”
Sembrava piuttosto agitata e il ragazzo cercò di rassicurarla.
“Lo sapevo già” rispose. “Non c’è nessun problema, lo giuro.”
“In che senso lo sapevi già?”
Adesso Martino rise di fronte allo sbigottimento della madre.
“Si vede che anche lui la considera una situazione delicata, perché ieri mi ha chiesto il permesso di invitarti fuori. Chi pensi che gli abbia dato il tuo numero di telefono?”
Mamma Rametta arrossì. “Pensavo lo avesse preso da qualche parte tra i documenti della segreteria della scuola…”
“Se, vabbè, mà. Tu guardi troppe commedie romantiche in televisione.” Martino si rimise comodo affondando nuovamente tra i cuscini del divano. “Però devo ammettere che non mi aspettavo agisse così in fretta. Vai e salutamelo. Divertiti. Avete la mia benedizione.” Gli scappò una risata.
La donna si alzò sorridente, si sporse verso di lui dandogli un bacio sulla fronte che lo lasciò tutto sporco di rossetto, poi afferrò cappotto e borsa e uscì in tutta fretta.
Martino passò qualche secondo a fissare la porta richiusasi alle spalle della madre, sperando che la serata andasse bene, quando finalmente gli arrivò un messaggio. Lesse il nome di Niccolò sullo schermo e sorrise.

Fine capitolo cinquantasette

Ritorna all'indice


Capitolo 58
*** Relazioni e preoccupazioni ***


Capitolo cinquantotto
Relazioni e preoccupazioni
16 febbraio
 
Uno squillo. Due squilli. Tre squilli. Quattro squilli. Cinque…
“Pronto?”
“Buonasera signora Fares” disse Martino, velocemente, quasi affannato, contento che finalmente qualcuno avesse risposto alle sue dannate telefonate.
“Ciao, caro” rispose lei, con voce un po’ triste, come se sapesse già come sarebbe andata quella telefonata.
“Ho chiamato per… perché…” si ritrovò un po’ spaesato, ma incrociò gli occhi di Giovanni che lo incoraggiarono a proseguire.
“Non riesco a contattare Niccolò da ieri sera. Mi ha scritto un messaggio un po’ strano, ho provato a chiamarlo ma non mi ha mai risposto. E anche stamattina ho provato a chiamare lui, e suo marito, e ho provato anche a pranzo, e nel pomerig-”
“Ho capito, ho capito” lo interruppe la madre di Nico, dall’altro capo della telefonata. Poi sospirò e rimase in silenzio.
Martino guardava disperato Gio, Elia e Luchino, che lo fissavano senza sapere cosa dire, seduti su una panchina in un parco, proprio accanto a Castel Sant’Angelo. Lui invece era in piedi, e faceva piccoli passi avanti e indietro, incapace di star fermo.
“Sta bene?” domandò allora, con una punta di disperazione nella voce.
“Sì, sta…” la signora Fares era titubante. “È stato meglio, come puoi immaginare. È in uno dei suoi momenti no, li hai già visti.”
“Sì ma… non mi aveva mai tagliato fuori, prima.”
“Perché tu non glielo hai permesso. Adesso è lontano, le cose sono un po’ diverse.” Un altro sospiro. “Mi dispiace, Martino. È sempre imprevedibile. Quando tornerà starà meglio. Comunque ho parlato con mio marito, la situazione è sotto controllo, non devi preoccuparti.”
Martino la ringraziò e chiuse la telefonata, poi guardò gli amici, che erano altrettanto in pensiero.
“Ha detto che non sta bene, ma che la situazione è sotto controllo e che non devo preoccuparmi.”
I tre ragazzi rimasero in silenzio, senza saper cosa dire di fronte all’espressione affranta del migliore amico.
“Facile per lei” commentò infine Gio, volendogli offrire tutto il sostegno possibile. “Ma sono sicuro che se ci fosse stato davvero da preoccuparsi, te lo avrebbe detto.”
Martino annuì.
“Scrivigli qualcosa” disse Elia.
“Giusto, così sa che stai pensando a lui” approvò Luchino.
“Avrò telefonato almeno cinquanta volte oggi. Lo sa che sto pensando a lui.”
“Sa che vuoi parlargli, ma non sa cosa vuoi dirgli e cosa provi” disse Gio.
Martino abbassò lo sguardo sul cellulare. Non scrisse nulla, ma parlò ai ragazzi.
“Vi dispiace se vi mollo per stasera? Non sono tanto in vena, preferisco andare a casa.”
“Ovvio, zì” replicò Gio, alzandosi e sorridendo mentre gli dava una pacca affettuosa sulla spalla.
“Facci sapere se ci sono novità” aggiunse Luchino, mettendosi in piedi pure lui.
Elia imitò i suoi amici. “Andrà tutto a posto, zì.”
Martino annuì e si sforzò di sorridere.
 
Dopo che Marti se ne fu andato a prendere l’autobus per tornare a casa, anche Luchino li abbandonò, per raggiungere Silvia, con cui aveva un appuntamento.
“Perché non vi unite a noi?” domandò Elia, riferendosi a se stesso, a Gio, a Emma e al nuovo ragazzo che stava frequentando, all’argentina e alla cugina di quest’ultima, con cui dovevano vedersi in un localino a Trastevere.
“Perché vogliono stare da soli, eh zì?!” iniziò a sfottere Giovanni, scompigliando i capelli a Luchino.
“Siete solo invidiosi!” si difese il biondino spettinato, appiattendosi di nuovo i capelli con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
Poi anche lui se ne andò e Gio ed Elia rimasero soli. Si avviarono alla fermata dell’autobus e arrivarono a Trastevere quasi perfettamente in orario.
I due Contrabbandieri conoscevano il nuovo ragazzo di Emma soltanto di vista, ma sapevano che frequentava anche lui il corso della radio, mentre la cugina dell’argentina, Isabella, non l’avevano mai vista, perché frequentava un’altra scuola.
La bellezza era una cosa di famiglia, perché anche lei, come Sofia, era da mozzare il fiato.
Appena Giovanni la vide, poco mancò che gli uscisse fuori un apprezzamento spontaneo ma poco educato. Però, anche se aveva avuto una chance con Sofia, capì subito che stavolta avrebbe dovuto lasciare il campo all’amico. Non che si sentisse particolarmente generoso, ma Gio conosceva abbastanza bene Elia da sapere che anche lui era rimasto folgorato e, cosa ancora più incredibile, questa Isabella sembrava ricambiare l’amore a prima vista di Elia.
Trascorsero una serata tranquilla, bevendo cocktail, birra e mangiucchiando patatine fritte, e Isabella, che si era seduta strategicamente proprio di fronte ad Elia, passò tutto il tempo a parlare con lui, come se gli altri non esistessero.
Elia era un ragazzo un po’ ingenuo, ma non fino al punto di non accorgersi che la ragazza stava flirtando con lui. E se anche non se ne fosse accorto da solo, ci avrebbero pensato le gomitate e le occhiate di Gio a farglielo notare.
Isabella era bellissima, quanto l’argentina se non di più, e sembrava anche simpatica. Di certo aveva una voce melodiosa che incantava chiunque, persino il nuovo ragazzo di Emma.
Pensò che avrebbe tanto voluto chiederle di uscire, e che se l’avesse fatto sicuramente lei avrebbe accettato. Poi pensò a Filippo e alla loro relazione che non sapeva come definire, e pensò ancora all’amico con cui Filo era uscito a San Valentino. Elia aveva sofferto tantissimo al pensiero di quell’uscita, e di quello che probabilmente era successo dopo, sicuro che il tipo di cui parlava non fosse per niente soltanto un amico. D’altra parte non c’era esclusività tra di loro, quindi Filippo in teoria non aveva fatto niente di male, la colpa era soltanto di Elia, che pur sapendo in cosa si stava andando a cacciare aveva deciso di farlo lo stesso.
 
Marti: Ciao Nico. Sto pensando a te e al nostro San Valentino anticipato. È stata la giornata più bella della mia vita. Non vedo l’ora di vivere la prossima, sempre insieme a te. Buonanotte.

Fine capitolo cinquantotto
 

Ritorna all'indice


Capitolo 59
*** Quando le cose vanno male ***


Capitolo cinquantanove
Quando le cose vanno male
17 febbraio
 
Marti: Sto andando
Filo: Vai da solo?
Marti: No, passa a prendermi la madre e andiamo insieme in stazione
Filo: Non lo hai sentito nemmeno oggi?
Marti: No
Filo: Quanto sei preoccupato da 1 a 10?
Marti: Mille
Filo: Andrà tutto bene
 
Marti: Sto andando
Elia: Sei già per strada?
Marti: No, sto ancora aspettando la madre
Luchino: Ma Nico lo sa che ci sarai anche tu in stazione?
Marti: Sì, glielo hanno detto
Gio: E lui?
Marti: Non lo so, ma visto che non mi hanno detto che non posso andare penso che vada bene
Gio: Anche se sta male sarà contento di vederti
Marti: Non lo so
Elia: Ti ama, certo che sarà contento
Luchino: Infatti
Marti: Non lo so raga, so solo che sto in ansia
Gio: È normale. Mi raccomando facci sapere come vanno le cose. Noi siamo qua
 
Giovanni quella sera se ne stava steso sul letto, con uno dei libri di Sherlock Holmes accanto, messo da parte per controllare il cellulare.
Aveva davanti una foto pubblicata da Federico su Instagram quel pomeriggio. Fede era da solo nel selfie, con il Colosseo alle sue spalle, ma in un angolo si vedevano spuntare dei capelli rossi che Giovanni sapeva perfettamente a chi appartenessero. E la didascalia della foto, che diceva Giornata da turisti, oltre a parlare al plurale aveva tra gli hashtag #tagliamidallafotocomestiledivita  e #dicecheèvenutamaleintutte.
Assalito da un’improvvisa voglia di vomitare, fece per mettere via il telefono quando gli arrivò un messaggio di Martino nella chat privata.
Marti: Sono sotto casa tua. Scendi?
Gio: Sali tu, sono da solo
Quando aprì la porta, si ritrovò davanti il migliore amico come non lo aveva mai visto.
Martino aveva gli occhi rossi e gonfi di chi aveva pianto ininterrottamente per un bel pezzo, e l’espressione distrutta. Persino la sua postura lasciava intendere quanto si sentisse devastato.
Non lo lasciò neppure entrare in casa. Appena lo vide, Giovanni lo abbracciò stretto, e lasciò che Marti si aggrappasse a lui con tutto il suo peso, scoppiando a piangere sulla sua spalla.
Poi entrarono, si sedettero sul piccolo divano e nessuno dei due disse nulla.
Martino pianse, dicendo frasi sconnesse su Niccolò e su quello che era successo che Giovanni non riuscì a capire, e quindi l’amico si limitò a tenergli un braccio intorno alle spalle per lasciarlo sfogare.
Quando Marti si fu ripreso abbastanza da asciugarsi definitivamente le lacrime e parlare decentemente, Giovanni seppe cos’era successo.
Inizialmente in stazione le cose non erano andate malissimo. Niccolò stava male, ma Martino lo aveva già visto in quelle condizioni. Durante il viaggio in macchina verso casa Fares si erano addirittura tenuti per mano, ma poi le cose erano degenerate. Niccolò aveva voluto che Martino andasse via, non voleva farsi vedere in quello stato e aveva detto che era meglio per tutti e due se avessero smesso di frequentarsi. Niccolò aveva accusato Martino di stare con lui per pietà e che prima o poi lo avrebbe comunque lasciato e quindi tanto valeva chiuderla subito. Tutto quello che aveva potuto dire Marti per rassicurarlo non era servito a niente, e a un certo punto Niccolò gli aveva addirittura messo tra le braccia giubbotto e sciarpa gridandogli di andare via perché non voleva vederlo più. A quel punto il signor Fares era intervenuto, perché il figlio sembrava instabile e Martino molto provato da quel confronto. Il padre di Nico aveva suggerito che Marti se ne andasse davvero, con la promessa di fargli sapere appena le cose fossero andate meglio, e lo aveva accompagnato in auto fin sotto casa di Giovanni.
Al termine del racconto, Martino guardò il migliore amico con occhi imploranti, come se l’altro potesse offrirgli esattamente il conforto di cui aveva bisogno.
Il problema era che Gio non poteva. Come nella maggior parte dei casi, l’unico che poteva mettere fine alla sofferenza di Marti era proprio colui che gliela stava infliggendo. Niente di quello che avrebbe potuto dire Giovanni sarebbe servito a niente.
“Lo so che starà meglio e che poi torneremo insieme” disse Martino a un certo punto.
Giovanni gli sorrise debolmente ma con affetto.
“E allora perché mi guardi così?”
“Perché ho paura che invece mi abbia lasciato sul serio.”
“Non è così” disse Gio con voce ferma.
“E sei invece è così? Se non cambia idea? Se davvero ha deciso che sta meglio senza di me?”
“Non è possibile. Lo sai che ti ama. Anzi, lo sai che vuole stare con te.”
“Lo sapevo fino a dieci giorni fa” rispose angosciato Martino, e in quel momento Giovanni si rese davvero conto di quanto doveva essere stata dura quella serata per il migliore amico.
“Non puoi sapere che cosa succederà” gli disse allora Gio. “Ma io conosco te, ormai conosco anche lui, e soprattutto conosco voi insieme. Le cose si aggiusteranno, e la prossima volta che andranno male, poi si aggiusteranno di nuovo. Sarà difficile ogni volta, ma voi potete farcela.”
Martino si lasciò andare ad un debole pianto silenzioso e Giovanni si limitò a starsene seduto accanto a lui in silenzio, spalla contro spalla.
 
Marti: Anche se è andata come è andata, per me è stato bello rivederti oggi dopo tutti quei giorni di lontananza. Spero di sentirti presto, non mi arrendo. Buonanotte, Nico. Ti amo.

Fine capitolo cinquantanove

(Volevo avvisarvi che ho finito di programmare la fanfiction e tutto quello che succederà. Si concluderà ufficialmente il 10 marzo, al capitolo 80. Tutte le storie avranno una conclusione quindi se qualche personaggio verrà trascurato nei prossimi capitoli non preoccupatevi perché prima o poi arriverà il suo momento. Approfitto come sempre per ringraziare chiunque segua questa storia, soprattutto a chi commenta sempre lasciandomi un parere. Grazie infinite <3)

Ritorna all'indice


Capitolo 60
*** Andare e restare ***


Capitolo sessanta
Andare e restare
18 febbraio
 
Martino era da solo. I Contrabbandieri si erano offerti di accompagnarlo, ma era una di quelle volte in cui preferiva andare da solo.
Il dottor Spera lo guardò con un sorriso affettuoso.
“Ti senti più tranquillo adesso?” domandò.
Martino annuì.
In realtà il professore non gli aveva detto niente di troppo diverso da quello che gli avevano detto i suoi amici o di quello che si sforzava di pensare lui stesso, ma sentirlo da un adulto che sapeva davvero di cosa stava parlando era stato rassicurante.
“Non ti aspettavi che potessero succedere cose del genere?” chiese ancora Spera. Sapeva bene che durante la loro relazione Martino e Niccolò avevano affrontato parecchi momenti negativi, ma fino a quel momento i due ragazzi erano stati relativamente fortunati, perché l’episodio più grave restava quello di Milano. “Forse pensavi che situazioni come quella di Milano sarebbero state molto più rare” gli disse infatti. “Mi dispiace non sia così.”
Martino guardò il soffitto con insistenza, nel tentativo di trattenere le lacrime.
“Stavolta non è stato come a Milano” rispose. “Quella volta non stavo capendo niente, e comunque non avevamo il rapporto che abbiamo adesso, e poi non mi aveva mandato via.” Fece una piccola pausa per respirare. “Non mi aveva mandato via” ripeté con voce spezzata.
Il ragazzo abbassò lo sguardo e fissò negli occhi il professore.
“Ieri mi ha mandato via” mormorò con un filo di voce.
Parlarono per un’altra decina di minuti, Martino si riprese e infine si alzò dalla sedia sgangherata e si avviò alla porta, ma prima di uscire si voltò di nuovo verso il dottor Spera.
“Com’è andata con mia madre?” gli domandò a bruciapelo, cogliendolo di sorpresa.
“Lei non ti ha detto nulla?”
In realtà mamma Rametta aveva detto a Martino che la serata era andata ‘bene’, senza sbilanciarsi, ma dal tono e dal sorriso il figlio aveva capito che per lei era andata davvero bene e che non voleva parlarne forse per paura di illudersi.
Quindi Marti scosse la testa e aspettò la risposta di Spera.
“È andata bene” disse allora il prof, con un sorriso. “Per me, almeno. Spero anche per lei. Tu sei proprio sicuro che la cosa non ti crei problemi?”
“Sì, sono sicuro.”
“Allora non ti dispiace se la invito di nuovo fuori? Anzi, se hai qualche suggerimento…”
Martino sorrise. “Le piace il cinema. E la cucina cinese.”
 
Edo: Ciao Eleonora. Come stai?
Ele: Io bene, e tu Eduardo?
Edo: Non sei divertente
Ele: È da un po’ che non ti fai sentire, stavo quasi iniziando a preoccuparmi
Edo: Nemmeno tu ti sei fatta sentire
Ele: Sono stata impegnata
Edo: Voglio sentire la tua voce
Ele: Appena tornerò a scuola non riuscirò a evitarti ogni giorno, quindi sicuramente la risentirai
Edo: A volte non capisco se stai scherzando oppure se sei seria quando mi dici queste cose. Posso chiamarti o mi chiudi il telefono in faccia?
Ele: Prometto che rispondo
 
Ele: Sono stata un’ora al telefono con Edoardo
Eva: Pochissimo
Ele: Dai non prendermi in giro. Come si comporta lì?
Eva: Che io sappia non si vede con nessuna da quando sei partita
Ele: Sicura?
Eva: Fede non è proprio uno che sappia tenere la bocca chiusa eh e Edo stesso non è molto discreto, penso che in qualche modo l’avrei scoperto se fosse andato a letto con qualcuna ma ovviamente non te lo posso dire al 100%
Eva: Non ti fidi ancora di lui?
Ele: Non lo so
Ele: Tu ti fideresti?
Eva: Io mi sto fidando di Federico, fai un po’ tu
Ele: Vero…
 
“Comunque non era granché” disse Becca, mentre lei, il fratello e Federica uscivano dal cinema.
“Non era poi tanto male, dai” disse Fede.
“Regà ma state male, è un film pazzesco” Chicco Rodi alzò gli occhi al cielo, indignato.
“Se lo dici tu.” Becca fece lo stesso gesto esasperato, e Federica rise.
Anche se non erano fratelli di sangue, si vedeva che erano cresciuti insieme. Caratterialmente si somigliavano molto. Becca era una tosta e Fede la adorava.
“La tua parte preferita sicuramente è quella in cui le due ragazze entrano a scuola di notte” disse.
“Invece no. Io avrei saputo girarla molto meglio” si vantò Rodi.
“Di che parlate?” domandò Becca, incuriosita.
“Non lo sa?!?!” Fede guardò l’amico con tanto d’occhi e scoppiò a ridere, così entrambi le spiegarono il tutorial che il ragazzo aveva girato insieme a Rocco Martucci.
“Tu e l’amico tuo siete pazzi” commentò la sorella.
“Può darsi” poi Chicco guardò Fede. “Proprio l’altro giorno pensavamo di girarne un altro. Devo pur dare qualcosa al mio pubblico anche adesso che sono andato via. Ti unisci a noi?”
Gli occhi di Federica si illuminarono. “Assolutamente sì” rispose.
 
Marti: Ciao Nico. Lo sai che mia madre esce con Spera? È surreale, vero? Però la cosa non mi dispiace. Tu invece come stai? Ti penso sempre, ogni secondo. Buonanotte.

Fine capitolo sessanta

Ritorna all'indice


Capitolo 61
*** Accontentarsi ***


Capitolo sessantuno
Accontentarsi
19 febbraio
 
Filo: Ei, è da un po’ che non ti fai sentire, ti sei già stancato di me?
Elia: Sono stato un po’ preso dallo studio
Filo: In realtà anche io. Hai da fare domenica? Ho casa libera
Elia: Domenica non posso proprio, cose di famiglia, scusa
Filo: Sabato? Devo finire il progetto, mi mancano alcune foto
Elia: Ti serve un modello?
Filo: No, era solo per vederci
Filo: Se ti va ancora di vedermi per stare insieme, ovviamente
Elia: Sì che mi va, perché non dovrebbe. Mi fai sapere dove e a che ora?
Filo: Sì il tempo che mi organizzo e ti dico tutto
 
“Lo hai già letto questo capitolo” disse Silvia.
“Cosa?” borbottò Eva, riemergendo dai propri pensieri.
“Lo hai già letto” ripeté l’amica, indicando il libro su cui Eva avrebbe dovuto studiare e concentrarsi. Sana annuì per confermare.
“Ah, sì” disse l’altra, distrattamente, girando una pagina.
Silvia e Sana rimasero in silenzio per un po’, guardandola.
“Anche quello” le disse infine Sana.
“Davvero?” fece la rossa, sorpresa. “Non ricordo niente.”
“Sì. Eva, ma stai bene?”
La ragazza scosse la testa.
Silvia le si avvicinò, strisciando sul tappeto per mettersi proprio accanto a lei. Sana, che era seduta sul letto, scivolò giù e si sedette anche lei per terra di fronte alle amiche.
Le tre ragazze erano a casa di Eva. Avevano trascorso la prima parte del pomeriggio perdendosi un po’ in chiacchiere, soprattutto su Luchino, che sembrava ormai l’argomento preferito di Silvia, e poi finalmente avevano deciso di mettersi a studiare seriamente.
“Che succede?” domandò ancora la bionda, con estrema gentilezza.
“Fede… Federico. Vuole portarmi a una cena di famiglia questo weekend.”
Silvia e Sana attesero qualche altro dettaglio, che non arrivò.
“E cosa c’è di brutto? Sei nervosa? Guarda che sei stupenda e meravigliosa e bellissima e simpatica, nessuno può fare una figura migliore di te” le disse Silvia, mentre Sana sorrideva intenerita.
Eva le sorrise, riconoscente.
“Non è questo. È che semplicemente non mi va.”
Le due ragazze osservarono l’amica con attenzione. Non sembrava particolarmente turbata, solo un po’ triste.
Sana si schiarì la voce.
“Non ti va di conoscere la sua famiglia perché potrebbe essere un po’ imbarazzante, o non ti va di ufficializzare la tua relazione con Federico in generale?”
Eva rimase in silenzio. Nessuno sapeva leggerle nel pensiero come Sana, neppure Eleonora o Giovanni. Era una specie di dono naturale.
“Ha fatto qualcosa di brutto? Ha baciato un’altra o cose simili?” chiese Silvia.
“No, no” si affrettò a chiarire Eva. “Soltanto che… lo so che abbiamo solo diciassette anni ma…” si interruppe, incapace di trovare le parole per esprimere come si sentiva.
“Se pensi al tuo futuro, lui non c’è” continuò Sana per lei.
“Esatto.” Eva la guardò dritta negli occhi. “Non parlo di un futuro lontano eh, tipo matrimonio e figli. Non voglio neanche pensarci a queste cose” disse ancora. “Ma parlo di cose semplici. Tipo festeggiare la maturità, o frequentare il primo anno di università. Quando penso a come sarà la mia vita in quei momenti, voi ci siete sempre, ma lui no.”
Calò il silenzio, perché le due ragazze non sapevano cosa dire.
“Io lo vedo il mio matrimonio con Luca” disse poi Silvia. “E la nostra casa, e i figli, e stare con lui per tutta la vita. Lo so che è sciocco perché potrebbe succedere qualunque cosa nel frattempo e queste cose potrebbero non succedere mai, ma adesso io sto bene con lui, mi piace come mi sento con lui, penso che mi sto innamorando davvero di lui. Se sei innamorata è normale pensare a queste cose anche se sono un po’ sceme e lontane, no?”
Il silenzio persistette, con Eva che guardava Silvia confusa.
A Sana sfuggì un sorriso.
“Quello che vuole dire è che forse non sei innamorata di Federico.”
“Sì, infatti” confermò Silvia, che non aveva capito che Eva non aveva afferrato quello che voleva dirle. “Perché stai con lui? Solo perché è bello?”
Bello… non esageriamo” bofonchiò Sana.
Eva e Silvia risero.
“Sto bene con lui” rispose semplicemente Eva.
“Da quando vi conosco non avete fatto altro che dirmi che non dovevo accontentarmi” disse Silvia, in tono un po’ risentito. “Però tu puoi accontentarti in questo modo? Non vale.”
“Non mi sto accontentando!” si difese la rossa.
“Secondo me sì” replicò la bionda, con il tono di chi la sa lunga.
Eva guardò l’altra, in cerca di solidarietà.
“Non avrei mai pensato di dirlo, ma Silvia ha ragione su tutta la linea” sentenziò Sana.
 
Marti: Nico, ti prego, rispondimi. Mi manchi così tanto che mi sento soffocare.

Fine capitolo sessantuno

Ritorna all'indice


Capitolo 62
*** Amori diversi ***


Capitolo sessantadue
Amori diversi
20 febbraio
 
“Cosa vuoi fare questo weekend?” le chiese Luchino, appena ebbe mandato giù un boccone del panino che stava non mangiando ma praticamente divorando.
Silvia rise, perché era una scena un po’ buffa.
Erano uno di fronte all’altra nel cortile della scuola, lui con il sedere appoggiato al muretto alto, lei in piedi di fronte a lui.
“Non lo so. Vorrei stare anche un po’ con le ragazze” disse, perché era da un po’ che non uscivano tutte insieme semplicemente per divertirsi.
“Va bene.” Luca si sporse verso di lei per lasciarle alcuni bacetti sulle guance e sulle labbra.
Silvia rise divertita.
Fino a quel momento non si erano mai visti a casa di uno dei due e non erano ancora andati a letto insieme. Le amiche le avevano suggerito di non fare le cose di corsa, perché ricordavano ancora bene tutto il dramma che c’era stato con Edoardo, e anche a Silvia sembrava una buona idea. In fondo stavano insieme da nemmeno una settimana e Luchino comunque non aveva mai fatto intendere di avere fretta, anzi, ogni tanto ancora sembrava genuinamente stupito che lei semplicemente lo prendesse per mano.
“È tutto a posto per oggi?” domandò la ragazza.
“Tutto cosa?” fece Luca, dando un altro morso al panino.
“La radio” precisò Silvia.
“Perché? Abbiamo il turno noi oggi? Registriamo?”
Silvia spalancò gli occhi.
“Non dirmi che ti sei…” cominciò a dire, tutta agitata, ma il ragazzo scoppiò a ridere.
“Scherzo scherzo scherzo” le disse. “È tutto appostissimo, parola di Luchino.”
La ragazza si rilassò con un sospiro.
I due innamorati si guardarono negli occhi, in silenzio, per circa tre secondi, poi lei gli gettò le braccia al collo e cominciò a baciarlo.
Luca mise addirittura via il panino per stringerla a sé.
 
“Vomitevoli” commentò Gio.
“Ma stai zitto che tu ed Eva eravate pure peggio” replicò Elia con una risata.
“Davvero?” l’amico si voltò sorpreso verso di lui.
“Davvero sì, zì, cazzo!” Elia rise ancora e addentò anche lui il suo panino.
I due amici erano seduti su una panchina dall’altro lato del cortile e ogni tanto gettavano un’occhiata a Luchino e alla sua nuova ragazza.
Il cellulare di Elia vibrò e lui si affrettò a controllare chi fosse, nella speranza di vedere il nome di Filippo ma, invece, era Isabella, la cugina dell’argentina.
Decise di non leggere subito il messaggio e rimise in tasca il telefono.
“Tutto a posto?” domandò Gio, che aveva notato la faccia delusa dell’amico.
Elia annuì.
In quel momento videro avvicinarsi Martino, che era andato da Spera come ormai faceva ogni giorno. Al contrario di Elia, stava fissando il cellulare con un sorriso, seppur debole, mentre avanzava verso di loro un po’ goffamente per non vedere dove camminava.
Elia e Giovanni si guardarono.
“È Nico?!?” chiese subito Gio, quando Marti fu a portata d’orecchio.
Il lieve sorriso scivolò via dal viso del ragazzo.
“No” rispose. “Da lui ancora niente.” Si sedette accanto ad Elia. “Era Filippo, voleva sapere se c’erano novità.”
Elia si irrigidì. Aveva tanto sperato di sentirlo di nuovo, e invece Filo scriveva a Marti. Certo, non era la stessa cosa, ma si sentì comunque un po’ tradito.
Poi ripensò alla loro conversazione del giorno prima. Quando Filippo lo aveva invitato a casa sua, sottolineando che sarebbero stati da soli, Elia era andato nel panico. Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato, e una parte di lui non vedeva l’ora, perché Filo gli smuoveva tutte le parti giuste. Però un’altra parte di lui era terrorizzata perché quella sarebbe stata la sua prima volta e non aveva idea di come comportarsi. Per questo aveva inventato una scusa e aveva detto che domenica non poteva vederlo.
“Dice che andrà a trovare Eleonora” stava dicendo ancora Martino.
“Tutti a trovare Eleonora a Manchester” borbottò Gio, così piano che nessuno dei due amici lo sentì.
“Quando?” domandò invece Elia, sperando che la sua voce nella realtà non suonasse così nervosa come lo era nella sua testa.
“Tra una decina di giorni” rispose tranquillamente Marti.
Rimasero tutti e tre in silenzio mentre osservavano da lontano Silvia e Luchino mangiarsi la faccia a vicenda.
“Comincio a sentirmi un guardone, zì” rise Elia.
“Dovrebbero trovarsi una stanza” aggiunse Gio, anche lui ridendo.
Martino si limitò a sorridere.
“Com’è andata da Spera?” chiese Giovanni, spostando lo sguardo dalla coppietta all’amico.
Anche Elia si girò a guardare Martino e gli mise una mano sulla spalla.
“Come al solito” rispose lui. “Più che altro mi lascia sfogare. Non può fare promesse, e poi non è lui il medico di Niccolò quindi non conosce al cento per cento la situazione.”
“Ma hai parlato coi genitori?” chiese ancora Gio.
“Sì, ieri pomeriggio ho sentito il padre” disse Marti, spalancando le palpebre e guardando in alto, ricacciando indietro un paio di lacrime. “Dice che non sta ancora bene, ma che sta migliorando. Stava per dirmi una cosa che mi riguardava, credo…” si interruppe per un momento. “Però poi ha cambiato idea. Quindi non so se è una cosa buona, tipo che ha detto che gli manco, o se è una cosa brutta, tipo che continua a dire che non vuole vedermi più.”
“Ne hai parlato con Spera di questa cosa, zì?” chiese Elia.
Martino annuì. “Però non mi ha chiarito le idee.”
Rimasero tutti e tre in silenzio per un po’, riflettendo.
Poi Gio decise di cambiare argomento.
“E tra lui e tua madre?” domandò con un sorrisetto.
Anche Martino sorrise.
“Si sentono al telefono tutte le sere e stasera escono un’altra volta.”
“Quindi casa libera?”
Il ragazzo annuì.
“Fifa?” chiese Elia.
“Invitiamo pure…?” Gio indicò con la testa il punto in cui Luchino era ancora impegnato a sbaciucchiare la sua ragazza.
“Se resterà ancora qualcosa di lui quando Silvia avrà finito” disse Marti, e risero tutti e tre.
 
Marti: Puoi anche ignorarmi, ma io non mi arrendo. Non ho intenzione di dirti che non posso vivere senza di te Nico, perché posso farlo, posso dimenticarti prima o poi, anche se ci vorrà del tempo e sarà doloroso, capito? Posso vivere senza di te, ma non voglio. Io non voglio stare senza di te Nico, non voglio. Voglio stare con te, non mi importa quanto è difficile, ti amo così come sei e continuerò a ripetertelo per tutta la vita se sarà necessario, perché voglio farlo. Non vado da nessuna parte. Ti amo, e mi manchi. Ti prego, permettimi di stare con te, se anche tu vuoi stare con me.

Fine capitolo sessantadue

Ritorna all'indice


Capitolo 63
*** Emme ***


Capitolo sessantatré
Emme
21 febbraio
 
Martino era appena rientrato a casa dopo la scuola quando sentì il cellulare vibrargli in tasca. Mentre richiudeva la porta d’ingresso dietro di sé e lasciava cadere lo zaino per terra, controllò distrattamente chi fosse, sicuro che si trattasse della madre che gli mandava la lista della spesa. Sapeva già che avrebbe trovato i soldi sul tavolo, quella mattina lo aveva avvisato.
Invece non era la madre, era Niccolò.
Gli si fermò il cuore per un istante.
Quando puoi verresti a casa mia?
Il messaggio diceva soltanto questo.
Senza neppure rileggerlo una seconda volta, Martino si precipitò di nuovo fuori di casa.
 
Nessuno rispose al citofono, ma qualcuno aprì il portone.
Martino corse su per le scale, facendo i gradini a due a due. Non aveva mai avuto tanta ansia addosso in tutta la sua vita, nemmeno quando lo stava aspettando quella sera a Bracciano.
La porta dell’appartamento era socchiusa. Si fermò sul pianerottolo ad ascoltare. Dall’interno provenivano le note di un pianoforte.
Con le mani tremanti, Marti spinse la porta ed entrò, la richiuse e poi seguì la musica, mentre si toglieva il giubbotto e lo lasciava cadere su una sedia all’ingresso, perché nell’appartamento faceva molto caldo. A volte quando Niccolò stava male sentiva freddo come se fosse febbricitante, e il riscaldamento era sempre al massimo.
Nico era seduto sullo sgabello del pianoforte. Era ovviamente lui a suonare.
Non era una melodia che Martino conosceva, non era una canzone che gli avesse mai suonato prima.
Anche così, in penombra, spettinato, in pigiama e con l’espressione affranta, gli sembrò bellissimo, il ragazzo più bello che avesse mai visto, l’unico che fosse degno di essere guardato.
Niccolò teneva lo sguardo fisso sui tasti, oppure ogni tanto chiudeva gli occhi, ma non si voltò mai a guardare il ragazzo.
Continuò a suonare e Martino rimase immobile e in silenzio a qualche metro di distanza, a guardare come le dita di Nico scivolavano sui tasti con naturalezza. Era una visione che lo aveva sempre affascinato, amava quando Niccolò suonava per lui.
Poi arrivò la fine, le mani si fermarono ma lo sguardo non si alzò.
Regnava il silenzio.
“È bellissima” disse Martino dopo un po’, con voce rotta.
“L’ho composta per te” rispose Nico in un sussurro.
Marti non si aspettava che rispondesse, ma ne fu felice.
“Posso sentirla di nuovo?” chiese, avvicinandosi a lui.
Lo sgabello era abbastanza largo per entrambi e Niccolò si spostò per fargli spazio. Quando si sedette e finalmente i loro corpi si sfiorarono dopo tutti quei giorni di sofferenza, a Martino sfuggì una lacrima di commozione.
Mentre Nico ricominciava a suonare, Marti osservò lo spartito. Era lo stesso che aveva visto nel cassetto del comodino e che il suo ragazzo gli aveva nascosto. Il titolo completo non era ‘Em’, ma ‘Emme’. ‘M’. La sua iniziale.
Quando ebbe finito di suonare, erano tutti e due in lacrime.
“Mi dispiace” disse allora Niccolò, con voce spezzata.
Martino appoggiò la sua fronte a quella del ragazzo, che sulle prime si allontanò ma poi si avvicinò un’altra volta e gli concesse quel gesto.
“Lo so” disse Marti.
“Non pensavo davvero quelle cose.”
“Ah no?” sorrise Martino, spostandosi solo per baciargli una lacrima sulla guancia, e poi riportando di nuovo la fronte su quella di Niccolò.
“Forse ogni tanto le penso davvero” mormorò Nico a voce ancora più bassa.
“So anche questo” commentò Marti, stringendogli una mano. L’altro non si scansò, ma nemmeno ricambiò la stretta.
“Le penseresti anche tu al posto mio” continuò Nico.
“Probabilmente sì.” Adesso Martino si staccò da lui perché voleva guardarlo negli occhi. “Però non sono vere. Non sto con te per pietà, non mi fai pena. Sto con te perché sei pieno di talento” indicò il pianoforte. “Perché sei dolce, spiritoso, gentile… romanticissimo” sorrise. “Perché sei intelligente, e sei pure bellissimo.” Gli diede un altro bacio sulla guancia. “Queste cose e tante altre cose che non so nemmeno spiegare mi hanno fatto innamorare di te. Ecco perché sto con te. E quando stai male è difficile anche per me, è vero…” Niccolò tentò di distogliere lo sguardo da lui ma Martino glielo impedì e continuò “…ma quei momenti sono solo una goccia nell’oceano rispetto a quanto mi sento bene con te. Quindi non vado da nessuna parte, te l’ho detto.”
Niccolò finalmente sorrise e lo baciò delicatamente sulle labbra, anche se con molta lentezza, come se la cosa gli costasse un certo sforzo.
Poi si abbracciarono delicatamente e rimasero ognuno con il viso immerso nel collo dell’altro per un po’, infine Martino propose di andare in camera di lui per farlo riposare.
“Va bene, ma sarà un po’ imbarazzante per me. Non prendermi in giro” rispose Nico, mentre tenendosi per mano si spostavano nella sua stanza.
“Perché?” chiese Marti, cercando di nascondere la preoccupazione.
Se ne accorse presto. Sulla parete sopra il letto di Niccolò erano attaccati alcuni post-it colorati, su cui Nico aveva trascritto tutti i messaggi che Martino gli aveva inviato da quando si erano allontanati, domenica.
“Quindi anche io ti sono mancato” commentò Martino mentre si toglieva le scarpe, con un sorriso che andava da un orecchio all’altro.
“Lo sai benissimo che mi sei mancato. Anche se ho det-”
Marti lo interruppe con un bacio, che Niccolò ricambiò con un po’ di esitazione.
“Lo so” gli disse Martino sorridendo, cercando di metterlo più a suo agio possibile.
Si distesero vestiti uno di fronte all’altro, Nico sotto le lenzuola mentre Martino, dopo un attimo di indecisione, fuori dalle coperte, perché fino a quel momento Nico gli era sembrato un po’ rigido con il contatto fisico e non voleva forzarlo.
Marti rimboccò le coperte sotto il mento di Niccolò, ma non riuscì a resistere e lo avvolse anche con un braccio da sopra le coperte per tenerlo stretto il più possibile adesso che lo aveva ritrovato, poi cautamente appoggiò di nuovo la fronte contro quella di Niccolò, chiudendo gli occhi.
Passarono parecchi minuti, forse anche mezz’ora oppure un’ora, e Martino era convinto che Nico si fosse addormentato, ma evidentemente non era così.
“Ti amo” gli sussurrò infatti a un certo punto.
Marti aprì gli occhi. “Ti amo anche io.”
Niccolò si liberò dalla stretta delle coperte e poi sollevò quanto riuscì il lembo, visto che Martino vi era disteso sopra.
“Mi raggiungi?” mormorò.
Marti non se lo fece ripetere due volte. Con un gran sorriso si infilò sotto le lenzuola e i due innamorati si abbracciarono stretti, senza più stoffa tra loro se non quella dei vestiti.
“Forse dovrei avvisare mia madre che non andrò al supermercato” disse Marti, ridendo.
“Tua madre e il dott. Spera quindi, eh?” rise anche Nico.
“Assurdo” commentò Marti.
Si guardarono negli occhi, con due sorrisi enormi e finalmente entrambi sereni, scambiandosi qualche bacio ogni tanto.
Quando i genitori di Niccolò rientrarono quella sera, li trovarono così, abbracciati nel letto e addormentati.

Fine capitolo sessantatré

Ritorna all'indice


Capitolo 64
*** Un team imbattibile ***


Capitolo sessantaquattro
Un team imbattibile
22 febbraio
 
“Ok, riferirò. Comunque penso che ti perdonerà” disse Martino.
“Oppure Luchino la convincerà a perdonarti” aggiunse Gio.
Erano entrambi chini sul telefono di Martino, e parlavano con Niccolò in vivavoce. Se ne stavano nella loro aula, vuota come al solito durante l’intervallo.
“Mi dispiace davvero di aver perso tutti quei turni in radio” disse Nico, dall’altro capo del cellulare. Erano ormai tre mercoledì di fila che non si presentava per registrare e aveva paura che Silvia lo avrebbe cacciato dal gruppo.
“Fino ad ora si è dimostrata comprensiva. L’altro ieri quando sono andato alla riunione… ovviamente non sono sceso nei dettagli ma le ho detto che non stavi molto bene. All’inizio non sembrava convinta, ma non sei venuto neanche a scuola e lei se n’è accorta quindi alla fine ha detto che per il momento poteva passarci sopra. Poi è davvero presa da Luchino quindi in questi giorni non gliene importerebbe molto comunque” spiegò Marti, cercando di rassicurarlo in tutti i modi possibili.
“Grazie per avermi coperto anche quando eri arrabbiato con me” disse Niccolò, con voce dolce.
Giovanni si sentì di troppo in quella conversazione che improvvisamente era diventata privata e raddrizzò la schiena per allontanarsi dal telefono, istintivamente, anche se in effetti quel gesto non poteva evitargli di ascoltare.
“Non sono mai stato arrabbiato con te” replicò Martino, con lo stesso tono gentile.
Poi scese un silenzio un po’ imbarazzante.
“Ok, basta, che di questo passo mi viene il diabete” sdrammatizzò Gio, e tutti e tre risero.
“Sono un po’ stanco, mi rimetto a letto” disse Nico.
“Ci vediamo stasera?” chiese Marti, titubante.
“Sì, ti aspetto. Ma prima fai i compiti, non voglio i tuoi voti sulla coscienza. Dico ai miei che arrivi per cena, ok?”
“Affare fatto” sorrise Martino.
“Ciao Gio!”
“Ciao zì.”
E chiusero la telefonata.
Martino rimise il cellulare in tasca e guardò il migliore amico.
“Che c’è?” chiese Gio, cominciando a passeggiare per l'aula stiracchiandosi le braccia.
“Come ti è parso?” Marti sembrava preoccupato.
“Un po’ giù” rispose sinceramente Giovanni. “Ma è normale, no? Poi già che ha voluto salutare anche me è un buon segno, no?”
Infatti era stato Nico a chiedere a Martino di mettere la telefonata in vivavoce, per parlare anche con Gio, che non sentiva da ben prima che smettesse di parlare persino con Marti stesso.
“Sì, infatti” annuì il ragazzo. “Però mi aspettavo quasi che non volesse vedermi oggi.”
“Ma ieri è andato tutto bene, no zì?” Gio gli mise la solita mano rassicurante sulla spalla. “T’ha chiamato lui, s’è scusato, t’ha detto di restare. Me pare na cosa bella, no zì?”
Martino annuì di nuovo. Aveva raccontato tutto a Giovanni, tranne della musica e dei post-it, perché erano cose intime che voleva restassero solo tra lui e il suo ragazzo.
“Forse per qualche giorno sarò un po’ paranoico.”
“Ti abbiamo sopportato in condizioni peggiori” commentò Gio.
Martino rise e così lo trovò Sana, quando fece il suo ingresso.
“Ciao ragazzi” salutò allegra, entrando con il portatile stretto al petto.
Martino e Giovanni la salutarono.
“Dobbiamo parlare di alcune cose” disse la ragazza senza preamboli, rivolta al rosso. “Mercoledì ho un compito in classe e nei prossimi giorni devo studiare, quindi dobbiamo accordarci adesso per il programma e dovrai fare tu quasi tutto.”
Si riferiva ovviamente alla radio.
“Agli ordini!” esclamò Marti, bonariamente rassegnato.
“Vi lascio lavorare” disse Giovanni, e fece per andarsene.
“Puoi restare se vuoi” replicò Sana, che si era seduta proprio al banco che Gio divideva con Elia e stava accendendo il computer.
Giovanni inarcò le sopracciglia guardando il migliore amico, trattenendo una risata.
“Di che parlerete?” si finse interessato.
“Lo so che non ci ascolti” bofonchiò Sana, alla ricerca della cartella giusta.
Martino si sedette accanto a lei.
“Vi ascolto sempre!” si offese Giovanni.
“Ci ascolta solo mia madre” disse Marti, divertito.
Quando Sana fece partire il browser non si accorse che c’era già una finestra aperta, quella di una dei concorsi ai quali aveva partecipato. Cercò di chiudere in fretta la pagina, ma Gio fu più veloce a parlare.
“Stai mettendo in pratica gli insegnamenti del libro?” le domandò, riferendosi al manuale di scrittura creativa che avevano comprato insieme.
Martino guardò Sana con attenzione per studiare la sua risposta.
“Con scarsi risultati, a quanto pare” commentò lei un po’ inacidita. Infatti la pagina si era aperta su una classifica e il suo nome non era tra i primi posti, quelli che garantivano la pubblicazione del racconto in una raccolta.
“Sono sicuro che il prossimo andrà meglio” disse ancora Gio. “Vi lascio davvero a lavorare, vado a cercare Elia e Luchino.”
“Luca è in cortile con Silvia” lo informò Sana.
“Ormai lo abbiamo perso” rise Marti.
“E a me resta solo Elia. Bella merda” scherzò Giovanni. “Sarà al distributore a scolare caffè” e con un ultimo sorriso uscì dalla classe.
Ci fu silenzio per qualche momento, rotto solo dal suono della tastiera e del mouse, su cui Sana picchiava con violenza alla ricerca dei file giusti. Si sentiva esposta.
“Quindi partecipi ai concorsi?” rincarò la dose Martino, senza alcuna intenzione di provare pietà per lei proprio adesso che si era aperto uno spiraglio per quella conversazione.
“Sì” rispose piano Sana, che adesso che era rimasta da sola con Martino era un po’ imbarazzata.
“Bella” commentò Marti. “È difficile?”
Sana sorrise per quella dimostrazione di interesse. “Cosa intendi?”
“Cioè non devi seguire delle tracce? Sono difficili?”
“Alcune sono un po’ più complicate ma la maggior parte sono abbastanza libere” rispose.
“Quindi non hai partecipato solo a questo concorso qua?”
La ragazza si maledisse per la sua lingua lunga e si limitò ad annuire.
“Un giorno mi fai leggere qualcosa?”
La domanda era stata posta con sincera curiosità, senza neppure una nota di scherno nella voce.
“Perché no?” rispose Sana, più tranquilla di quando la conversazione era iniziata.
“E scrivi solo racconti?”
“Ma non ce li hai dei fatti tuoi a cui pensare?”
“Questi sono fatti miei. Già adesso siamo un team imbattibile, no? Ci vedo tra dieci anni ad avere un programma in radio tutto nostro, io che faccio lo speaker e tu che scrivi le puntate.”
“Scusa perché io non posso fare anche la speaker?” si indispettì Sana.
“Non pensavo ti piacesse così tanto” rispose Marti.
La ragazza si limitò a stringere le labbra, perché in fondo l’amico aveva ragione.
“Fra dieci anni magari le radio non esisteranno neanche più” disse allora.
“Questa è cattiveria gratuita” si lamentò Martino.
“Stiamo perdendo tempo” commentò Sana, aprendo finalmente il file giusto.
Si guardarono in viso. Dopotutto, avevano imparato a volersi bene.
“E allora, lavoriamo o no?” la rimproverò Martino.
Sana rise e cominciò a spiegargli di chi avrebbe voluto parlare nella registrazione successiva.

Fine capitolo sessantaquattro

Ritorna all'indice


Capitolo 65
*** Provocazioni ***


Capitolo sessantacinque
Provocazioni
23 febbraio
 
Elia uscì dal portone del palazzo stringendosi ben bene nel giubbotto per contrastare una folata di vento freddo e si guardò intorno. Individuò quasi subito la macchina di Filippo e si incamminò.
“Ciao” disse, aprendo la portiera ed entrando nel caldo della vettura.
“Ciao” sorrise Filo.
Ci fu un momento di imbarazzo tra loro. L’ultima volta che si erano visti, a Villa Borghese, le cose erano andate benissimo, ma la loro ultima conversazione in chat era stata fredda rispetto alle solite. Filippo non riusciva a capirne il motivo, perché un po’ ingenuamente non si era reso conto di non essere uscito con lui proprio il giorno di San Valentino per trascorrere la serata con quello che, a tutti gli effetti, era solo un amico, e pure etero. Peccato che Elia non lo sapesse.
Poi fu proprio Elia che non riuscì più a resistere e quasi si avventò su Filippo per baciarlo, con ben poca grazia e dolcezza.
“Ohhhhhh stavi in astinenza?” rise Filo, quando finalmente Elia si staccò da lui per respirare.
“Scusa” mormorò Elia, distogliendo lo sguardo mentre diventava rosso in viso.
Filippo si intenerì. “Figurati” gli mise una mano sul ginocchio. “Continua pure.”
Pomiciarono in macchina per qualche altro minuto, consapevoli del fatto che il padre di Elia abitasse in una stradina piuttosto isolata e che il traffico di auto e persone era davvero scarso, quindi nessuno li avrebbe disturbati, e infatti fu così.
Mentre si baciavano la mano di Filippo cominciò a risalire lungo la gamba di Elia come aveva fatto ormai parecchie settimane prima, il giorno del loro primo bacio, ma Elia cercò di interrompere quel momento con il massimo della scioltezza di cui fu capace.
“Allora” disse, allontanandosi dalle labbra di Filo. “Qual è il programma di oggi?”
Filippo si rimise composto e accese la macchina.
“Quartiere Coppedè” cominciò a spiegare, mentre si metteva in strada. “Alcune foto col sole, poi dovremo trovare il modo di perdere un po’ di tempo…” ammiccò, ed Elia sorrise “…e poi ne devo scattare altre dopo il tramonto.”
Arrivarono a destinazione, parcheggiarono con molta fatica nel trovare un posto, poi Filippo si mise al lavoro.
Elia lo osservava da lontano, seguendolo ogni tanto a distanza quando l’altro era troppo preso da quello che stava facendo per dargli retta e assicurarsi di non essere stato abbandonato. Elia amava vederlo così concentrato quando scattava, tanto che non gli dispiaceva per niente essere un po’ ignorato.
Ad un certo punto Filippo si mise a controllare le foto già fatte sulla macchina fotografica con espressione di disappunto.
“Che succede?” domandò Elia avvicinandosi.
“Non mi fanno impazzire.”
Elia gli sfiorò la guancia con il naso per farlo sorridere, e quando ci riuscì lo baciò.
Anche se fu un bacio breve, attirò l’attenzione.
Un uomo che passava sul marciapiede di fronte li apostrofò in malo modo.
“Problemi???” gli urlò dietro Filippo, ma lo sconosciuto non rispose, li guardò un’ultima volta con disprezzo e poi si allontanò velocemente.
Quell’incontro scosse un po’ Elia.
“Tutto a posto?” Filippo lasciò cadere la macchina fotografica, che teneva appesa al collo, e gli accarezzò delicatamente il viso con entrambe le mani.
Il ragazzo annuì, ma era la prima volta che gli succedeva una cosa del genere.
“Scusa” era un po’ imbarazzato per aver dimostrato quella debolezza. Filippo se ne accorse e tentò di rassicurarlo ricoprendo lo sconosciuto di insulti e facendogli capire che era quell’uomo ad aver sbagliato e non lui per esserci rimasto così male.
“È una cosa che… succede spesso?”
Filippo non rispose subito perché sapeva che Elia avrebbe dato moltissimo peso alle sue prossime parole.
“A volte” disse infine, semplicemente, cercando di essere sincero. “Non sempre in maniera così brusca.”
Elia annuì per dare segno di aver capito. “A volte, a scuola… un giorno io e Gio…” gli scappò un sorriso. “Abbiamo fatto a botte.”
Filippo aggrottò le sopracciglia. “Tra di voi? Per-”
“No, no, zì. Non tra di noi” si affrettò a chiarire Elia. “Con tre idioti, subito dopo scuola. Avevano visto Marti e Nico uscire dal cancello tenendosi per mano e stavano dicendo cose… tipo quanto gli facevano schifo… e cose così. Non si erano accorti che io e Gio eravamo proprio dietro di loro.”
“Marti non me l’ha mai detto” sorrise Filo.
“Non lo sa” specificò Elia. “Comunque ci tengo a dire che hanno iniziato loro a menare le mani, noi stavamo solo parlando” e anche in quel momento alzò le braccia in segno di resa, per rimarcare il concetto.
“E chi ne è uscito vincitore?” Filippo infilò le dita nei passanti del jeans di Elia e lo tirò a sé finché i loro fianchi e i loro petti non si toccarono.
“Loro, ed è pure stata una cosa breve” rispose Elia, quasi senza fiato per quel contatto. “Penso di avere ancora un livido sul fianco. Però ne è valsa la pena lo stesso.”
A Filo scappò da ridergli praticamente in faccia ed Elia, tutt’altro che offeso, lo baciò.
Poi il fotografo tornò a scattare e l’altro lo aspettò pazientemente appoggiato a un muro, osservandolo da lontano come aveva fatto fino a quel momento.
 
“Finito!” esclamò Filippo, tornando quasi saltellante da Elia, che non si era mosso dall’ultima volta che lo aveva lsciato indietro. Lo baciò di nuovo. “Che facciamo adesso?” e lo guardò con quel sorriso sghembo e ammiccante che aveva scombussolato Elia fin dal loro primo incontro.
“La smetti?”
Filippo rise. “Di fare cosa?”
“Lo sai benissimo.”
“Non lo so.”
“Di provocarmi così.”
“Non posso farci niente.” Filo si strinse nelle spalle. “È che tu sei… così…” sorrise, non trovando le parole.
Elia si irrigidì, un po’ imbarazzato e un po’ offeso. “Inesperto?” disse, distogliendo lo sguardo.
Filippo fece un passo indietro. “Ma che dici?” domandò perplesso. Poi si rese conto di cosa doveva aver pensato Elia. “Pensi che io lo faccia perché mi fa ridere la tua reazione alle mie provocazioni?”
“Che ne so, zì” replicò l’altro, quasi irritato.
Filippo dovette davvero sforzarsi moltissimo per non ridere. “Non è così.” Gli si avvicinò di nuovo e gli baciò il collo. “È perché sei stramaledettamente bono.”
“Certo” disse Elia con sarcasmo, e sbuffò persino.
“Te lo ricordi la prima volta che ti ho provocato?” chiese Filo. “A casa di Marti. Ti garantisco che quella sera pensavo tu fossi un gay navigato, quindi… non mi aspettavo di certo quella reazione, altrimenti mi sa che non mi sarei proprio avvicinato.”
Elia lo guardò negli occhi e si accorse che era sincero. “Ok” gli disse. “È solo che a volte… già quello che siamo… cioè quello che facciamo non ha importanza, non significa niente. Noi non siamo niente. No? Se mi prendi pure in giro…” distolse lo sguardo.
“Non ti prendo in giro. Scusa se ti ho dato questa impressione.” Lo baciò di nuovo sul collo.
Per il resto del pomeriggio misero da parte le effusioni. Andarono a prendere un gelato, passeggiarono in un parco lì vicino dove Filippo non perse occasione per scattare altre foto, e poi cenarono al McDonald.
Dopo aver mangiato tornarono nella zona che era stata il set fotografico prima che il sole sparisse all’orizzonte e Filo si rimise subito al lavoro, però stavolta lo fece chiacchierando con Elia invece di lasciarlo da solo ad aspettare.
 
La giornata era finita, i due ragazzi erano tornati alla macchina e Filippo aveva riaccompagnato Elia a casa. Parcheggiò nel punto esatto in cui lo aveva aspettato quando era passato a prenderlo, e prima che Elia scendesse si guardarono intensamente negli occhi.
Quella che doveva essere una relazione leggera e senza impegno in realtà era diventata qualcosa di diverso. Tutti i ragazzi che Filo aveva frequentato negli ultimi due anni erano stati per lui dei meri pezzi di carne, invece per un motivo o per un altro lui ed Elia si erano conosciuti davvero e avevano trascorso del tempo insieme come amici, cosa che lo aveva portato ad affezionarsi a lui. Questa cosa lo metteva in agitazione e infatti in quel momento in auto si respirava un’aria un po’ tesa.
“Vabbè, allora vado” disse Elia, senza accennare neppure a togliersi la cintura di sicurezza.
Se la tolse invece Filippo, e poi si chinò verso di lui con espressione maliziosa ma, invece di baciarlo, fece scattare la cintura del passeggero.
“Allora vai” disse Filo dopo averlo liberato, senza perdere quell’espressione provocatoria che ormai Elia sapeva bene cosa significava.
“Fra cinque minuti?” chiese, avvicinando le labbra al viso dell’altro.
“Anche dieci” rispose Filo, e finalmente iniziò a baciarlo.
Ma non si limitò a questo. Gli mise di nuovo la mano sul ginocchio, e mentre si baciavano la portò sempre più su. La fece arrivare sul cavallo dei pantaloni di Elia e là la fermò e continuò a stuzzicarlo, totalmente preso dal desiderio che aveva di lui.
Tra questo e i baci, Elia era ormai senza fiato, ma per quanto la situazione fosse piacevole e volesse anche lui abbandonarsi a quello che stava succedendo, non si sentiva completamente a suo agio.
“Siamo in mezzo alla strada” disse, anche se non era quello il problema. “Potrebbero vederci.”
“Non credo” replicò Filo, troppo preso dal momento per accorgersi della nota di panico nella voce dell’altro. Portò la mano ancora più in alto, sotto il giubbotto e sotto la maglietta di Elia, e quando le sue dita furono a contatto con la pelle nuda si fermò improvvisamente.
 “È tutto ok?”
“Sì” si affrettò a rispondere Elia, un po’ ansimante. Era appena venuto, e se ne stava vergognando enormemente, come se fosse un crimine.
Filippo probabilmente gli lesse nel pensiero perché contemporaneamente abbassò lo sguardo e gli riportò la mano sul cavallo dei pantaloni, per controllare il suo sospetto.
“Molto più che ok, eh?” disse divertito. “Rilassati, non c’è niente di male… anzi!”
“Ma siamo in mezzo alla strada” ripeté Elia, sperando che Filo interpretasse tutto quel disagio e quell’ansia come paura di essere scoperti, anche se la strada non solo era isolata ma anche buia.
Filippo ritrasse la mano e si allontanò un po’ da lui, tornando a sedersi composto sul suo sedile.
“Hai ragione” disse. Poi sorrise. “Però ci meritiamo un premio per aver resistito fino a ora, per tutte queste settimane” aggiunse scherzosamente. “Penso sia inutile dire che voglio scoparti dal primo momento in cui t’ho visto.”
“Già” quella schiettezza fece ridere davvero Elia, che cominciò anche a rilassarsi di nuovo, almeno un pochino. “Mi dispiace di essere impegnato domani” mentì spudoratamente.
“Sei sicuro che è tutto ok? Mi dispiace se ho esagerato.” Adesso anche Filippo si sentiva a disagio perché, per quanto l’altro cercasse di nasconderlo, si capiva che c’era qualcosa che non andava. Indicò con una mano se stesso ed Elia. “Non è quello che vuoi?” chiese, riferendosi a loro due insieme.
“Sì, sì” Elia si agitò un po’ e si sporse verso di lui, afferrandogli il collo della maglietta e portando i loro visi a breve distanza. Lo guardò negli occhi cercando di fargli capire quanto lo desiderasse, terrorizzato all’idea che lui invece volesse mettere fine a qualunque cosa fosse quella loro relazione.
“Ok” Filippo si rilassò e lo baciò.
Elia lo lasciò andare, fece un respiro profondo e rimasero entrambi in silenzio a fissare il muro privo di finestre contro cui avevano parcheggiato.
Quando la situazione nei pantaloni di Elia fu tornata quasi alla normalità, il ragazzo aprì finalmente la portiera mettendo un piede fuori.
“Ci sentiamo, allora?”
Filo annuì e si sorrisero.

Fine capitolo sessantacinque

Ritorna all'indice


Capitolo 66
*** Il tutorial ***


Capitolo sessantasei
Il tutorial
24 febbraio
 
Federica diede un’occhiata al telefono e vide che la mezzanotte era ormai passata un pezzo, quindi era effettivamente domenica.
“Quando manca?” chiese, seduta sul sedile posteriore della macchina di Rocco Martucci.
“Ci siamo quasi” rispose Chicco Rodi, che era seduto al posto del passeggero. “Sei nervosa?”
“No” rispose prontamente la ragazza, anche se lo era eccome.
Aveva raccontato a sua madre che avrebbe dormito a casa di Eva. Quando aveva chiesto all’amica di coprirla, non aveva voluto raccontarle i dettagli e le aveva detto che sarebbe stata una sorpresa, e per fortuna Eva si era detta disposta comunque a reggerle il gioco, in caso ce ne fosse stato bisogno.
La sera prima era super eccitata per la notte che la aspettava, ma adesso che si stavano inoltrando in una zona in periferia di Roma che non conosceva, cominciava a preoccuparsi.
“Ci siamo” disse Martucci, infilandosi in un vicolo cieco, passando attraverso un cancello rotto e aperto, e spegnendo poi il motore.
“Dove siamo?” domandò Fede, guardando fuori dal finestrino.
Rodi scese per primo e le aprì la portiera. Lo spazio non era molto ma Federica riuscì comunque a sgusciare fuori.
“Eccolo qua” disse il ragazzo, dando un paio di pacche sul muro che stavano costeggiando per uscire dal vicolo. La strada non era trafficata, passava solo un’auto ogni tanto, e l’edificio era isolato e chiaramente abbandonato. Persino il lampione più vicino era spento.
“Cos’è?” chiese di nuovo Federica, che cominciava a spaventarsi.
Rodi le indicò un’insegna scolorita sopra il portone d’ingresso.
“Un teatro!” esclamò la ragazza, facendo qualche passo avanti, affascinata.
“Già” disse Martucci. “È abbandonato da na decina d’anni, penso.” Tornò alla macchina ed aprì il cofano, tirando fuori un borsone che pareva molto pesante. Ne tirò fuori tre torce elettriche e poi se lo mise in spalla.
“Mi sento una ladra” disse Fede, prendendo una torcia.
“Mi sa che non c’è un cazzo da rubare” rispose Chicco, ridendo.
“Ma non ci siete già stati?” La ragazza era perplessa.
“Mai” rispose Rocco.
“Questo è un tutorial improvvisato” spiegò Rodi.
Illuminando per bene le erbacce che circondavano il posto facendo attenzione a dove mettevano i piedi, fecero un sopralluogo veloce e dopo alcune riflessioni decisero che la via migliore per entrare era una finestra bassa che aveva già il vetro rotto.
Mentre Fede illuminava, Rodi ruppe ancora un po’ il vetro intorno alla maniglia della finestra.
“Mi sembra di stare in un film” sussurrò la ragazza, eccitata e terrorizzata allo stesso tempo.
“Ci sei, più o meno” disse Martucci, sollevando il cellulare. “Un bel sorriso per i nostri spettatori!” esclamò, iniziando a girare il video.
Rodi infilò una mano tra i vetri rotti, girò la maniglia della finestra e riuscì ad aprirla.
“Ecco il primo passo” disse con fare cospiratorio, guardando la videocamera. Poi si arrampicò dentro illuminando il pavimento sotto di sé per essere sicuro di non cadere.
Martucci gli passò il telefono e lo seguì.
Federica esitò. Rodi se ne accorse e rimise di nuovo il cellulare in mano a Rocco.
“Comincia a esplorare” gli disse. Poi si girò verso la ragazza. “Serve una mano?”
“Mi sa che non ce la faccio.”
“Ce la fai” replicò Rodi. Posò la torcia a terra in modo che illuminasse il soffitto disperdendo un po’ di luce intorno a loro e allungò entrambe le mani per aiutare Federica.
Con un po’ di fatica riuscì a scavalcare anche lei. L’amico le aveva detto di vestirsi comoda ma lei non aveva pensato che avrebbero dovuto fare così tanti sforzi fisici.
“A posto?” domandò Rodi.
Fede annuì e raggiunsero Martucci. Attraversarono insieme una hall, trovarono un bar e, anche se era vuoto, fecero un po’ gli idioti davanti alla telecamera, filmando ogni angolo di quel posto tetro e polveroso che però aveva anche un certo fascino. Quasi ogni cosa era rotta, sedie e tavoli, carta da parati, persino le tende erano strappate. Sembrava quasi che il posto non fosse semplicemente abbandonato ma che altre persone fossero andate lì a distruggerlo.
Poi dovettero forzare una porta. Stavolta ci pensò Martucci, che tirò fuori dal borsone un piccolo martello e spaccò direttamente la serratura.
“Rapido e indolore!” disse ridendo il ragazzo, rivolto alla telecamera, che stavolta stava reggendo Federica. Spinse la porta e lui e Chicco illuminarono la sala.
Decine di file con centinaia di posti a sedere e poi in fondo, completamente spoglio, c’era il palco.
“Adoro” sussurrò eccitata Federica. Rodi si girò per sorriderle.
Cominciarono a scendere passando tra le file di poltrone. Erano talmente impolverate che era quasi difficile dire che erano rosse, e alcune erano completamente distrutte.
Federica si chinò su una poltroncina. “Sembra rosicchiata” disse.
“Topi” spiegò Rodi, e alzò le spalle come se fosse una cosa da niente, però poi inquadrò ben bene con il telefono. “Mi dispiace” disse, rivolto al pubblico immaginario di Youtube. “Niente bestiacce in questo tutorial, almeno per il momento…” guardò Fede e sollevò le sopracciglia, pensando di spaventarla alla prospettiva di ritrovarsi circondati da roditori, ma lei scoppiò a ridere.
Martucci intanto era arrivato in fondo al teatro, e aveva scavalcato per raggiungere sedie e leggii posizionati per l’orchestra in un incavo davanti al palco.
Rodi mollò il telefono in mano a Fede e si avvicinò al borsone che l’amico aveva abbandonato per terra, tirando fuori un pesante faretto e posizionandolo al centro della platea, proprio davanti al palco e a Martucci. Accese la luce e improvvisamente la sala sembrò illuminata a giorno.
“Da dove salta fuori quello?” chiese Federica ammirata, stando ben attenta a filmare tutto.
“Mio padre è un fotografo” rispose Rocco, facendo segno a Chicco si spostare un po’ il faretto perché lo stava accecando. “Lo usa sui set.”
Rodi prese di nuovo il telefono dalle mani di Fede e lo fissò sotto il faretto, in modo che riprendesse sia l’orchestra fantasma che Martucci stava fingendo di dirigere, sial il palco alle sue spalle, poi prese per mano Federica e corsero insieme verso le scale che davano accesso al palco.
Avanzarono con cautela, per paura che il legno potesse cedere, ma il pavimento sembrava piuttosto agibile.
Martucci continuava a sventolare le mani fingendo di dirigere un’orchestra invisibile e cominciò persino a canticchiare un motivetto senza parole che a Fede ricordava vagamente una canzone degli ABBA.
Rodi le si mise di fronte, fece un piccolo inchino e allungò un braccio con la mano aperta.
“Permette questo ballo, signorina?” le chiese.
Federica rise, lo prese per mano e cominciarono a danzare in maniera ben poco aggraziata, lui con le mani sui fianchi di lei, e lei con le braccia sulle spalle di lui.
Continuarono a ridere, scherzare e fare gli idioti per un bel po’, poi finalmente decisero di esplorare qualche altra stanza, inclusi i bagni e i camerini degli attori.
 
La serata si concluse un’ora dopo, quando uscirono attraverso la stessa finestra da cui erano entrati. Ridacchiando come degli ubriachi ma guardandosi intorno con circospezione, tornarono sul davanti dell’edificio e filmarono un saluto finale agli spettatori del tutorial.
Una volta messo via il cellulare, la ragazza pensò fosse ora di andarsene da lì. Quella notte Fede sarebbe rimasta a casa di Rodi, la sorella aveva un letto in più in camera. Ma Martucci guardò Chicco, prima di aprire la macchina.
“Souvenir?” chiese.
“Ovvio” rispose l’altro.
Federica era confusa.
“Ogni volta che giriamo un tutorial prendiamo un souvenir” spiegò Rocco.
Rodi nel frattempo aveva tirato fuori dal borsone tre targhette, che dovevano essere appartenute allo staff del teatro. Non si distinguevano bene i nomi sopra, perché erano molto rovinate, però le clip funzionavano ancora. Se le appuntarono tutti e tre al petto e poi, finalmente, si misero in macchina per tornare a casa.

Fine capitolo sessantasei

Ritorna all'indice


Capitolo 67
*** Conversazioni tra amici ***


Capitolo sessantasette
Conversazioni tra amici
25 febbraio
 
Niccolò era finalmente tornato a scuola. Come sempre, durante l’intervallo i Contrabbandieri si erano riuniti. Luchino aveva addirittura rinunciato a trascorrere la pausa in cortile con Silvia per precipitarsi in classe dei suoi amici.
Niccolò e Martino erano seduti insieme su un banco, appiccicati, con le mani strette e le dita intrecciate.
Gio era appoggiato alla cattedra di fronte a loro, con le braccia incrociate.
Elia era alla lavagna a scarabocchiare, ma stava ascoltando e partecipava alla conversazione.
“Eccomi!” esclamò Luchino, varcando la soglia dell’aula.
“Ciao, Luchì” lo salutò Nico con un sorriso.
“Come stai?” chiese il biondino, raggiungendolo e stringendolo in un rapido abbraccio che costrinse Martino a farsi da parte con una risata.
“Bene” rispose Niccolò, un po’ in imbarazzo, ma non per la manifestazione d’affetto. “Quindi finalmente sei uscito con Silvia, eh?”
“Stiamo insieme” precisò Luchino orgoglioso, e tutti gli altri sorrisero.
“E quindi?” riprese il discorso Giovanni, mentre Luchino si sistemava seduto su un banco lì accanto.
“Quindi se faccio pochissime assenze fino alla fine dell’anno, riuscirò a dare l’esame” disse Nico.
“E se recuperi con i voti” aggiunse Martino.
“Vabbè allora se dovemo mette sotto a studià” concluse Gio.
“C’avemo na voglia, zì” ridacchiò Elia.
“Abbiamo sbagliato scuola tu e io” scherzò Niccolò.
“Parli con me?” Elia si girò, perché stava dando le spalle a tutti.
Nico annuì. “Dovevamo andarcene all’artistico.”
“C’hai ragione. Ve’ che capolavoro!”
Indicò il disegno che aveva fatto alla lavagna. Era una caricatura di Giovanni incazzato con le orecchie fumanti.
“Fedelissimo alla realtà” commentò Luchino. Risero tutti.
“Sì sì, ridete zì, intanto qua siete tutti persi senza de me.”
“Vero” concesse Martino, stringendo forte la mano di Nico.
Elia tornò a concentrarsi sull’opera d’arte e gli altri ripresero a parlare del più e del meno.
“Che è sto rumore?” chiese a un certo punto Luchino.
“Zì, è il tuo telefono” disse Gio, dando una pacca sulla spalla di Elia.
Il ragazzo andò a recuperare il cellulare sul banco.
“Chi è che te manda ottocento messaggi de fila?” chiese Gio con una risata.
“È Filippo?” chiese invece Martino.
“No” rispose Elia con decisione, anche se era proprio Filippo.
“La cugina dell’argentina?” domandò Luchino, con tono malizioso.
“Ah poi me dovete spiegare pure sta storia” intervenne Nico.
Elia rise. “C’è poco da spiegare, zì.”
“Allora… è lei?” Giovanni era troppo curioso per lasciar cadere l’argomento.
“No, zì, è mi padre” rispose Elia, cercando di scoraggiarli. Non aveva ancora neppure trovato il coraggio di aprire la chat. Quello che era successo sabato lo tormentava. Aveva paura di aver fatto una figura di merda.
Gli amici ricominciarono a chiacchierare e lo lasciarono perdere. Lui si appoggiò con le spalle al muro, il più lontano possibile dagli altri ragazzi, e lesse cosa Filippo gli aveva scritto.
Filo: Tutto ok?
Filo: È da sabato che non ti fai vivo
Filo: Ho scoperto che anche domani sera ho casa libera
Filo: Ci sei? Non c’è l’intervallo a quest’ora?
Filo: Mi dispiace se ti sto rompendo durante una lezione
Filo: Comunque ovviamente era sottinteso che ti sto invitando da me
Elia deglutì e poi guardò in alto, pensieroso.
“Tutto a posto, zì?” domandò Gio, che se n’era accorto.
“Sì, sì. Mio padre cerca na cosa, non mi ricordo dove l’ho messa.”
La spiegazione bastò e Giovanni non insistette.
Con il chiacchiericcio degli amici in sottofondo, Elia fece un bel respiro e tornò a fissare la chat aperta. Il quel momento era combattuto, ancora di più che all’inizio di tutta quella storia, quando doveva decidere se chiudere definitivamente con Filo oppure andare avanti fingendo di volere le stesse cose che voleva lui. Adesso era più difficile, perché a scontrarsi erano paura e desiderio, ed erano entrambi molto forti. La voglia di andare a letto con Filippo, però, vinse. In fondo prima o poi doveva succedere, quindi doveva mettere da parte l’insicurezza e buttarsi. Digitò la sua risposta con dita tremanti.
Elia: Non stai rompendo, sto con gli altri a cazzeggiare. Per domani ci sono. A che ora?
Filippo rispose subito, era stato online per tutto il tempo. Elia lesse l’orario, confermò che andava bene e poi infilò il cellulare in tasca.
 
Edo: Come sta la ragazza più bella di Manchester?
Ele: Quando la vedo glielo chiedo
Edo: Ti basta trovare uno specchio
Ele: Peccato che io non sono di Manchester
Edo: Dai hai capito cosa intendevo
Edo: Perché devi fare sempre così?
Ele: Io sono così
Ele: Non ti sta bene?
Edo: Secondo me invece fai così soltanto con me
Ele: Non è vero
Edo: Credevo avessimo deciso di essere amici, tratti così i tuoi amici?
Ele: I miei amici non mi dicono in continuazione che sono bellissima
Edo: Dovrebbero visto che lo sei
Edo: E comunque secondo me lo fanno
Ele: È impossibile discutere con te
Edo: Arrenditi e smettila allora
Ele: Poi ti annoieresti
Edo: Sono pazzo di te, non riusciresti mai ad annoiarmi
Ele: Era una battuta…
Edo: Lo so, ma volevo ricordarti lo stesso che sono pazzo di te
Ele: Stai tranquillo che me lo ricordo benissimo
Edo: Quando torni a Roma?
Ele: Quando me lo confermano sarai il primo a saperlo

Fine capitolo sessantasette

Ritorna all'indice


Capitolo 68
*** La verità ***


Capitolo sessantotto
La verità
26 febbraio
 
Quando Elia suonò il campanello della porta di Filo aveva ancora gli auricolari nelle orecchie, ma a quanto pareva il padrone di casa era sull’uscio ad aspettarlo, perché aprì immediatamente.
“Ciao” esclamò Elia, sorpreso di vederselo davanti l’istante dopo aver bussato.
L’altro non rispose e non gli diede tempo di dire nient’altro, semplicemente lo afferrò per il giubbotto, lo trascinò oltre la porta nel suo salotto e cominciò a baciarlo con impeto.
“Occhio!” disse Elia, ridendo, quasi senza fiato, cercando di salvare le cuffie mentre Filippo gli baciava il collo e gli tirava giù la zip del giubbotto.
“Cosa senti?” Filo lo lasciò andare ma gli strappò il cellulare di mano, ignorando le proteste si mise a sbirciare la sua playlist.
Elia si arrese e ne approfittò per continuare a svestirsi.
“Mengoni di qua… Mengoni di là…” rise Filippo, lanciandogli un’occhiata. Elia si era tolto il giubbotto e ora se ne stava con una mano posata sulla zip della felpa, indeciso.
“Via anche questa” disse il biondo ossigenato, aprendola al posto suo. Mentre Elia la sfilava e restava solo con una maglietta, Filo continuò a far scorrere le canzoni. “Un po’ di rock americano… ci sta… indie italiano, non mi stupisco… ah ma abbiamo pure Cesare Cremonini!”
“Dai smettila” rise Elia, riprendendosi il cellulare. Lo chiuse in una tasca del giubbotto insieme agli auricolari. Poi portò di nuovo lo sguardo su Filippo.
Si fissarono negli occhi un istante e improvvisamente si avventarono di nuovo l’uno sull’altro.
Prima di uscire di casa, Elia si era ripromesso di lasciarsi indietro tutte le paranoie che lo attanagliavano. Voleva andare a letto con Filo, Filo voleva andare a letto con lui, ed era proprio quello che sarebbe successo. Zero drammi e zero sentimenti, solo sesso, così sarebbero stati tutti contenti.
Senza togliersi mani e labbra di dosso, si spostarono attraverso il corridoio in camera di Filippo, dove Elia non era mai stato. Appena ci mise piede gli sfuggì un sorriso. Era tutto molto colorato, alle pareti c’erano poster sul Pride e stampe di fotografie che Elia riconobbe come scattate da Filo, perché ormai conosceva il suo stile. Ai piedi del letto c’era una valigia aperta con dentro alcuni vestiti piegati.
“Dove vai?” gli chiese, mentre Filo gli mordicchiava il lobo dell’orecchio provocandogli un piccolo gemito.
“Ele” rispose semplicemente Filippo, che non aveva alcuna voglia di perdersi in chiacchiere. Si staccò dal ragazzo, lo guardò col suo sorriso sghembo e provocante sapendo che lo avrebbe mandato fuori di testa, e poi si sfilò la maglietta.
Elia si avvicinò e gli posò una mano sugli addominali appena accennati. Si baciarono di nuovo, stavolta più lentamente, e mentre Filippo lo stringeva a sé per i fianchi, con una dolcezza che non si aspettava, Elia capì che non poteva farlo.
Si staccò dal ragazzo e fece qualche passo indietro.
“Che succede?” Anche Filo indietreggiò, preoccupato di poter aver fatto qualcosa per turbarlo.
“Non posso” disse Elia, distogliendo lo sguardo. “Scusami.”
In altre circostanze forse Filippo si sarebbe avvicinato per tentare di metterlo di nuovo a suo agio, ma l’espressione di Elia era così dura e ferita da scoraggiarlo completamente. Recuperò la sua maglietta dal pavimento e la infilò di nuovo prima di fare un paio di passi in avanti.
“Stai bene?” domandò, nel tono più rassicurante possibile.
“No. Mi sento un idiota. Non dovevo accettare. Però tu continuavi a…” fece un verso di rabbia, incazzato con se stesso, e si sforzò per non guardare in faccia Filippo.
“Pensavo che lo volessi anche tu” disse Filo, confuso.
“Io voglio” rispose Elia, che adesso sembrava frustrato. “Sei tu che non vuoi.”
“Ma che dici?”
“Non nel modo in cui voglio io.”
Restarono entrambi in silenzio, mentre quella confessione faceva effetto su entrambi. Elia perse rabbia e frustrazione e si sentì finalmente libero da quel peso, mentre Filippo si scontrò con la realtà una volta per tutte. Aveva capito benissimo cosa intendeva Elia, forse lo aveva sempre saputo e per egoismo aveva deciso di ignorare quella consapevolezza, ma sentiva anche il bisogno di ascoltarlo a voce alta.
“Spiegami” disse soltanto.
Elia alzò la testa per guardarlo. Oramai era fatta, tanto valeva concludere in bellezza, pensò.
“Non è solo la mia prima volta con un ragazzo. È la mia prima volta in generale” disse, talmente stravolto che non provava neppure imbarazzo. “Pensavo che non me ne fregasse niente di come succedeva perché volevo farlo con te… però non mi va che per me significhi qualcosa e per te no. Per me tu… significhi qualcosa.” Distolse di nuovo lo sguardo. Aveva sempre pensato che prima o poi gli avrebbe confessato i suoi sentimenti, ma non era mai stato in circostanze del genere. “Non voglio che per me sia la serata più bella e importante della mia vita e per te invece sia solo un'altra serata in cui sei andato a letto con un ragazzo a caso di cui non ti frega niente.” Concluse così il suo discorso, fissando il pavimento.
Filippo avrebbe tanto voluto dirgli che non era vero che lo considerava un ragazzo a caso di cui non gli fregava niente, ma era spaventato a morte.
“Mi hai mentito per tutto questo tempo, vero?” domandò invece. Si chiese se almeno all’inizio Elia non provasse niente per lui o se già dal loro primo bacio provasse qualcosa di più.
Elia annuì. “Mi dispiace.”
Filippo non sapeva cosa dire. Erano ormai due anni che rifiutava categoricamente qualsiasi coinvolgimento emotivo con un ragazzo, la ferita lasciata dal suo ex bruciava ancora e si era ripromesso di non permettere più a nessuno di fargli così male. Eppure adesso non era lui ma Elia quello che stava soffrendo.
Visto che Filo non diceva nulla, Elia fece un profondo respiro.
“Ho sbagliato a non dirti la verità, scusa, ho sbagliato a fingere che anche per me… ho sbagliato a venire qui stasera. Ho sbagliato tutto” si voltò e uscì dalla stanza. “Me ne vado.”
L’ultima frase arrivò ovattata alle orecchie di Filippo, che era rimasto immobile al centro della sua camera mentre Elia era ormai nell’ingresso.
Poi finalmente si riscosse e lo seguì.
“Aspetta!”
Elia si era già rimesso addosso felpa e giubbotto e stava avviandosi alla porta.
“È stato già abbastanza patetico fino ad ora, non c’è bisogno di continuare. Me ne vado.”
“No!” Filippo lo raggiunse e si mise tra lui e la porta. “Guardami” disse, perché Elia fissava il pavimento. “Guardami” ripeté, allungando la mano per accarezzargli la guancia e incoraggiarlo ad alzare la testa. Elia finalmente lo guardò. “Non sei patetico, e non ti devi scusare. Io mi devo scusare. Perché in fondo lo sapevo che eri… che ti stavi… che…” non riusciva a dirlo a voce alta, aveva troppa paura. “Mi dispiace, Elì. Non posso stare con te come vorresti tu.”
“Sì, lo so” replicò Elia duramente, cercando di aggirarlo per uscire.
Filippo gli impedì ancora una volta di passare.
“Non mi va di vederti andare via così. Mi dispiace se ti ho ferit-”
“Tu non hai fatto niente” lo interruppe Elia. “È stata colpa mia. Tu sei stato chiaro fin dall’inizio ed è stata colpa mia se siamo arrivati fino a questo punto. Mi passerà. E giuro che non renderò imbarazzanti le uscite con Martino e gli altri” si sforzò di sorridere e poi raggiunse finalmente la porta. Aprì, guardò un’ultima volta Filippo, e poi se ne andò davvero.
Filo rimase solo in quella casa vuota che gli pesava sulle spalle come se ne avesse appena ucciso tutti gli abitanti. Cosa cazzo aveva appena combinato?
“Hai spezzato il cuore ad Elia” si rispose, in un sussurro appena appena udibile.
Era vero, ma allora perché si sentiva come se invece fosse stato il suo cuore ad andare in pezzi?

Fine capitolo sessantotto

Ritorna all'indice


Capitolo 69
*** Passerà ***


Capitolo sessantanove
Passerà
27 febbraio
 
“È colpa mia” disse Martino.
A Giovanni venne un colpo, addirittura saltò da seduto. Non si era neanche accorto che il migliore amico lo aveva raggiunto sulla panchina nel cortile della scuola sistemandosi accanto a lui.
“Che cosa?” domandò, con il cuore che pian piano rallentava il battito dopo quello spavento.
“Tu ed Eva” rispose Marti, con voce sconsolata.
In effetti Giovanni stava proprio fissando Eva, dall’altra parte del cortile. Era completamente appoggiata al corpo di Federico, che a sua volta era appoggiato al muretto e la abbracciava da dietro. Con loro c’erano Edoardo, Rocco Martucci e Federica.
“Ancora con questa storia, zì?” Gio distolse finalmente lo sguardo da quel gruppetto. “Non è colpa tua.”
Rimasero qualche attimo in silenzio, con Martino che ancora guardava verso la rossa e la sua compagnia, e Gio che si fissava le scarpe, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia, come se stesse per vomitare.
Marti gli posò una mano sulla spalla e rimasero così, zitti e pensierosi.
“Dov’è Niccolò?” chiese infine Giovanni, sollevando la testa.
“È rimasto in classe. Sta ripassando per un’interrogazione. Elia?”
“Non lo so.” Raddrizzò anche la schiena. “Hai notato che è stato strano tutta la mattina?”
Martino annuì.
“Ah, eccolo!” disse poi Gio, accennando un sorriso.
Elia stava camminando verso di loro insieme a Luchino.
“E Silvietta?” domandò Marti, appena furono a portata d’orecchio.
“Cazzo zì, stamo a fa l’appello stamattina” rise Giovanni.
Anche Martino rise, mentre Elia e Luchino si sedevano per terra di fronte a loro.
“Diglielo” disse subito Luchino, rivolto ad Elia, senza neanche salutare gli altri due.
“Cosa?” fece Marti.
“L’ho trovato in classe vostra da solo a pia-”
“E stai zitto!” Elia diede un pugno sulla spalla di Luchino, ma non mirava a fargli male, solo a zittirlo.
“Che succede zì?” Gio scambiò una rapida occhiata con Marti prima di fissare negli occhi Elia. In effetti erano un po’ arrossati.
“Diglielo” insistette Luchino, visto che Elia non si decideva a parlare.
“Va bene, va bene” fece un grosso respiro e distolse lo sguardo dagli amici. “Vi ho raccontato un sacco di cazzate.”
Gli altri tre non dissero nulla, aspettavano che fosse l’altro a parlare. Luchino già sapeva, ma non voleva anticipare nulla.
Elia fece un altro respiro profondo. “Non è vero che io e Filippo scopavamo così per hobby.”
Gio e Marti si scambiarono un’altra occhiata ma restarono in silenzio, quindi Elia continuò.
“Cioè… ci frequentavamo ma… non l’avevamo mai fatto. Stavamo per farlo ieri ma io mi sono tirato indietro.”
Gli amici sapevano che Elia non aveva mai fatto sesso quindi la cosa non sembrò loro strana.
“Ma zì, guarda che ci sta. Pure io la prima volta stavo pieno di paranoie. Non è mica un problema, è normale” disse Gio.
“E se ti preoccupi di aver fatto una figura di merda, non devi. Conosco Filo, non è il tipo che perde stima di te pe ste robe” aggiunse Marti.
“Non è quello” disse Elia, riuscendo finalmente a guardarli. “Cioè sì, un po’ pure quello. Ma il punto è che per lui non avrebbe significato niente, no?”
Ci fu un’altra piccola pausa.
“Perché lui non vuole relazioni serie…” disse piano Martino, dopo un po’.
“Ma tu sì” aggiunse subito Giovanni. “E la vuoi con lui, vero? Vuoi stare con lui.”
Elia annuì, mentre gli occhi gli si riempivano di nuovo di lacrime che cercava di trattenere.
“Anche il nostro Elia si è innamorato” Luchino sorrise e gli mise un braccio intorno alle spalle.
“Non era vero niente di quello che vi dicevo, che non me ne fregava un cazzo eccetera. Sono sempre stato completamente… non ha importanza, comunque” Elia era riuscito a ricacciare indietro le lacrime. Si mise a giocherellare con un filo d’erba che sbucava dalla ghiaia. “Nemmeno lui lo sapeva. Ieri sera gliel’ho detto, lui ha ribadito che non vuole stare con me, e l’abbiamo finita là.”
“Non è che non vuole stare con te, frà” disse Martino. “Non vuole stare con nessuno. Non so quanto ti abbia raccontato. A me ha detto qualcosa. Ha preso una bella batosta dal suo ex, è stato proprio male, a un certo punto è finito in ospedale. Un po’ lo capisco se non vuole più relazioni serie, però… Mi dispiace.”
“Mi passerà” ripeté Elia per la seconda volta nel giro di due giorni, sperando che fosse vero.
Seguì l’ennesimo minuto di silenzio.
“Spero che a te passi prima di quanto ci sta mettendo a me” borbottò infine Gio.
Tutti si voltarono a guardarlo.
“Lo sapevo” Martino scosse la testa, coprendosi gli occhi con una mano.
“Cazzo zì, pure te però no” sospirò Elia.
“Ma di che parlate?” chiese Luchino, leggermente confuso.
“Eva” rispose semplicemente Marti.
“Eh lo so regà ma che ci posso fare” Giovanni sbuffò. “Non me la tolgo dalla testa.”
“E che hai intenzione di fare?” domandò Elia.
“E tu? Che hai intenzione di fare con Filippo?” replicò Gio.
“Io non posso farci niente, zì.”
“Esatto.” Gio lanciò un’occhiata a Eva, che stava ancora abbracciata a Federico. “Lei sta con quell’idiota adesso. È felice e contenta e io non voglio rovinarle tutto, soprattutto ora che abbiamo ripreso a parlare come due persone normali.”
Anche gli altri tre si girarono a guardare il gruppetto di Eva.
“Ma poi…” disse Marti dopo un po’ “…da quand’è che Fede è amica di Rocco Martucci?”
 
Filo: Come stai? Mi dispiace veramente per ieri. Forse dovremmo parlare

Fine capitolo sessantanove

Ritorna all'indice


Capitolo 70
*** Non è mai troppo tardi ***


Capitolo settanta
Non è mai troppo tardi
28 febbraio
 
Filo: Ieri ti ho scritto ma non mi hai risposto, magari non hai visto il messaggio. Dovremmo parlare. Domani parto, ci sei stasera?
Elia: Non ci sono
Elia: Comunque non abbiamo niente da dirci, è tutto ok, non ti preoccupare. Sto bene. L’altro giorno ho esagerato, è uscita fuori una cosa più grande di quella che è. Ci siamo divertiti per un po’ però io ho capito che voglio una relazione seria, fine della storia
Elia: Una relazione seria in generale, non intendevo con te. Davvero Filo non facciamone un affare di stato per favore. Prima o poi doveva finire e basta. Ci siamo divertiti e stop
Filo: D’accordo, ma possiamo parlare quando torno? Dopo il weekend
Elia: Va bene, ma davvero per me è tutto a posto
Filo: Sì anche per me, è solo che non mi piace come ci siamo salutati
Elia: D’accordo. Divertiti da Eleonora
Filo: Grazie
 
“Ci stanno pure i froci” disse un ragazzo, ridendo di gusto. Un altro ragazzo e una ragazza che erano con lui si accodarono alle risate di scherno. Nemmeno la musica a tutto volume della festa riuscì a nascondere quello che aveva detto, e soprattutto come lo aveva detto.
Edoardo e Federico gli stavano passando accanto proprio in quel momento. Fede seguì il loro sguardo e intravide Niccolò e Martino che parlavano con il festeggiato.
“Sono dei coglioni” commentò Fede a mezza voce, e non si riferiva ai due innamorati. Ma Edo non lo stava ascoltando.
“Magari possiamo scegliere meglio le parole da usare, eh?” Edoardo si era piazzato davanti al gruppetto e li guardava con aria di sfida.
“Se no che succede?” chiese il ragazzo che aveva parlato, e lui e gli amici ridacchiarono. La ragazza lo guardò addirittura con aria di sufficienza, delusa che uno come Incanti si impicciasse in quel modo di quelle faccende.
“Se no magari ti spacco la faccio” rispose Edoardo.
“Ok, basta.” Federico afferrò il migliore amico per un braccio e gli diede uno strattone per tirarlo via da quei tre, però prima di allontanarsi si girò a guardarli in faccia e stavolta quando li apostrofò con la parola ‘coglioni’ lo fece forte e chiaro.
“Andiamo a cercare Rocco, va” aggiunse, mentre lui e Edoardo attraversavano il locale cercando di evitare tavoli e persone con le bibite in mano.
Edo lanciò un’ultima occhiata di fuoco al gruppetto. Sapeva che erano tutti e tre compagni di classe di Niccolò, così come il festeggiato, che era un suo amico. Invece quei tre non li conosceva bene, non ricordava nemmeno i loro nomi, ma conosceva Niccolò, non solo perché per settimane tutta la scuola aveva parlato della prima relazione gay dichiarata nel loro liceo, ma perché a volte a educazione fisica avevano giocato in squadra insieme ed erano sempre andati molto d’accordo. Niccolò gli piaceva.
“Adesso penseranno che stai diventando frocio pure te” disse Federico, scherzando, perché si era accorto che Edo li stava ancora guardando.
“Siamo così anche noi?” gli domandò Edoardo, improvvisamente serio. “Non gay, intendo. Come… come loro.”
Entrambi si fermarono. Per fortuna erano vicino ai bagni, zona poco trafficata di persone e dove la musica non era assordante.
“Ma che stai a dì?” Fede rise. “Non siamo mica omofobi noi. Anzi guarda, l’amico di Eva mi sta pure quasi simpatico. E Niccolò è uno a posto, no?”
“Non mi riferivo a quello” disse Edo. “Vabbè, lascia perdere.” Poi si guardò intorno, come se notasse solo in quel momento l’assenza della rossa. “Ma lei non viene?”
Federico scosse la testa. “No, un diciott’anni in settimana la madre non glielo fa fare, e poi viene già a quello di sabato.” Diede una pacca sul braccio dell’amico. “Che volevi dire prima?”
“Siamo pure noi così stronzi?” chiese allora Edo. “Noi non facciamo commenti sui froci, ok, ma li facciamo sulle ragazze. È così che sembriamo? È così che sembrano quelle cazzo di X sul muro?”
Per la verità era da un bel po’ che non aggiornavano il muro, da ben prima che smettessero di scopare con una ragazza diversa a ogni festa.
“Penso di sì” rispose piano Fede.
“Forse allora siamo dei coglioni pure noi” commentò Edoardo.
Federico sorrise. “È per caso Eleonora Sava a parlare?”
Anche Edo non riuscì a trattenersi dall’incurvare le labbra. “Forse.”
“Però sono d’accordo” disse Fede.
“Ci sta Rodi stasera?”
“Ha detto che veniva ma non l’ho ancora visto.”
“Vabbè, cerchiamo Martucci allora. Tanto dove sta uno sta pure l’altro.”
 
Rodi: Ancora sveglia?
Fede: Sono appena le undici, per chi mi hai presa
Rodi: Ci sei per un nuovo tutorial?
Fede: Adesso??
Rodi: Sì, ti passo a prendere con Rocco. Ci sono pure Edo e Fede
Fede: Che succede?
Rodi: Abbiamo deciso di smettere di fare i coglioni. Non è mai troppo tardi no? Allora ci sei?
Fede: Ma cosa dico a mia madre??
Rodi: Inventati qualcosa dai
Fede: Ma dove andiamo?
Rodi: A scuola
Fede: A fare che? Che tutorial volete girare?
Rodi: Insegniamo a un po’ di gente come cancellare dei graffiti dal muro

Fine capitolo settanta

Ritorna all'indice


Capitolo 71
*** Sava ***


Capitolo settantuno
Sava
1 marzo
 
“Non posso credere che sei davvero qui” disse Eleonora, con un enorme sorriso, guardando Filippo che si lasciava cadere sulla poltroncina in camera sua.
Il ragazzo era già in pigiama, dopo essere appena uscito dalla doccia. Aveva detto alla sorella che era troppo stanco per andare in giro quella sera. In realtà il problema non era la stanchezza, ma la scarsa voglia di divertirsi.
Ad Ele andava benissimo, perché neppure lei si sentiva in vena di fare baldoria. La ragazza era seduta a gambe incrociate sul letto. La stanza ora sembrava minuscola, con il sacco a pelo e la valigia di Filo che occupavano tutto il pavimento.
“Che mi racconti, splendore?” chiese Filippo, guardandola con tenerezza. Amava sua sorella e le era mancata tantissimo. “Come va con Mr. Perfezione?” Quello era il soprannome di Domenico.
“Ci vediamo quasi tutti i giorni a colazione e abbiamo le nostre serate film, ma non ha più provato a baciarmi.”
“E con Eduardo?” rise Filo.
“Lui non va bene per me” disse Ele, secca.
“Siamo suscettibili sull’argomento, eh?” scherzò ancora il fratello.
Alla fine nelle scorse settimane si erano raccontati tutto. Eleonora aveva raccontato della sorpresa che Edoardo le aveva fatto andando fino lì in Inghilterra portando anche Eva, e Filo le aveva confidato che si sentiva solo con un ragazzo da parecchie settimane e che era diverso da tutti i ragazzi che aveva frequentato, anche se non aveva voluto dirle chi fosse.
“Perché invece non parliamo del ragazzo che ti ha fatto perdere la testa?”
“Perché nessun ragazzo mi ha fatto perdere la testa” rispose subito Filippo, sulla difensiva.
“E cosa mi dici di quello che stavi frequentando?”
“Uno dei tanti.” Ma pronunciando quella frase distolse lo sguardo, perché non poteva mentire in faccia alla sorella in quel modo.
“Filo, ti prego. Sei stato tu a dirmi che non era uno dei tanti.”
“Non ingigantire la cosa, dai.”
Eleonora lo guardò con aria di rimprovero, si alzò e raggiunse la valigia del ragazzo. Era aperta e in cima ai vestiti c’era un libro, un romanzo. Lo prese e poi tornò a sedersi sul letto.
Filippo la osservò in silenzio, consapevole di essere stato scoperto, perché sapeva esattamente cosa c’era in quel libro, ovviamente.
Ele sfogliò alcune pagine, trovò un segnalibro ma passò oltre, finché non ritrovò quello che stava cercando e che aveva visto per sbaglio prima, quando stava spostando le cose di Filo per fare un po’ di spazio e il libro era cascato per terra. Sfilò una fotografia e la sventolò.
“E allora?” gli chiese, sorridendo con dolcezza.
Filippo sulle prime non disse niente. Quella era la foto che aveva scattato ad Elia la prima volta che erano usciti insieme da soli, quando Elia aveva posato per lui nel parco vicino casa, il giorno del loro primo bacio. Era la foto che gli aveva scattato a tradimento mentre il ragazzo rideva. Quel giorno aveva detto che era la sua preferita, ed era la verità, infatti il giorno dopo l’aveva fatta stampare.
“È una bella foto” disse infine, ma senza troppa convinzione. Non poteva proprio mentire a Eleonora.
“Filo, ti prego” ripeté la sorella. “Arrenditi. Lo sapevo che prima o poi sarebbe arrivato il tuo iceberg. Ti sei innamorato.”
Si guardarono, lei con un sorriso dolce e lui con un sorriso triste.
“Che vuoi che ti dica, Eleonò?”
“Dimmi come ti senti” sussurrò la ragazza, vedendo che gli occhi di Filo cominciavano a riempirsi di lacrime. Quando aveva raccontato alle amiche la storia di Filippo, lo aveva fatto in maniera molto vaga, perché quelli non erano fatti suoi e non spettava a lei raccontarli, ma non aveva mai dimenticato cos’era successo. Anni prima, nelle settimane successive alla rottura con il suo ragazzo, Filippo si era completamente lasciato andare. Non mangiava, non riusciva a dormire bene, non usciva di casa, non parlava. Non aveva mai confessato la causa di quel suo malessere, ma Eleonora l’aveva capita lo stesso. Un giorno Filippo si sentì così male che furono costretti a chiamare un’ambulanza. Da quel momento le cose andarono meglio, perché cominciò a riprendere in mano la propria vita, a mangiare e a uscire con i suoi amici, ma ci volle molto tempo prima che ricominciasse a dormire bene. E quando riuscì a superare anche le notti, se ne uscì fuori con quella storia dell’iceberg e zero sentimenti.
“Non lo so come mi sento, Ele” Filippo sospirò. “Tu lo conosci?”
“So chi è: Elia” rispose Ele, osservando la foto. “So che va in classe con Eva ed è uno dei migliori amici di Martino, ma personalmente non lo conosco benissimo. Abbiamo parlato poche volte.”
Il ragazzo distolse di nuovo lo sguardo e sorrise al pensiero di quello che stava per raccontarle. “Mi ha detto che… vabbè, non ha detto proprio che si è innamorato di me, però… insomma, intendeva quello.”
“Filo ma questa cosa è bellissima.” Eleonora si strinse la foto al petto, genuinamente felice. “Se tu provi per lui le stesse cose, dovr-”
“No, non è una cosa bellissima” la contraddisse Filippo, con la voce rotta dal pianto che stava per arrivare. “Non ti ricordi com’è andata l’ultima volta che mi sono innamorato?”
Eleonora posò la foto sul comodino e batté la mano sul letto accanto a sé per fargli cenno di raggiungerla. Il fratello non se lo fece ripetere e si precipitò ad abbracciarla.
La sorella lo strinse e gli accarezzò i capelli platinati.
“Le cose saranno diverse questa volta” gli disse con tono incoraggiante.
“E perché dovrebbero?” Filippo parlò senza neppure spostare la testa dall’incavo della sua spalla.
“Perché tu non sei più la stessa persona che eri quando è successo quello che è successo. Sei più forte adesso. Io lo so che odi te stesso per come hai sofferto, perché anche se sapevi che non meritavi di stare così male non riuscivi a reagire. Ma devi smetterla di odiarti e di punirti e soprattutto devi smetterla di pensare che le cose siano uguali a com’erano prima. Il dolore che hai affrontato ti ha cambiato e ti ha reso più forte, e tu dici sempre che invidi la mia risolutezza e il mio modo di affrontare i problemi, ma Filo, dove pensi che io abbia imparato a essere così?”
Filippo si staccò da lei quanto bastava per guardarla in viso.
“Da te” continuò la sorella. “Perché anche se ci hai messo un po’ di tempo, hai imparato la lezione e hai ripreso in mano la tua vita e hai fatto tutto il possibile per non commettere più lo stesso errore.”
“Mi sono innamorato di Elia.” Filippo si asciugò una lacrima, mentre pronunciava per la prima volta quelle parole a voce alta. “Mi pare un errore abbastanza grosso.”
“Smettila!” Adesso sembrava quasi che Eleonora fosse arrabbiata. “L’errore è stato farti divorare dal dolore, non innamorarti. Ma quella lezione l’hai imparata.”
Filippo sorrise tra le lacrime. “Non avevo idea che pensassi queste cose. Perché questo discorso non me lo hai mai fatto prima?”
Anche Eleonora sorrise con gli occhi lucidi. “Perché degli altri ragazzi non t’importava niente. Di Elia sì.”
“Sono autorizzato ad avere paura lo stesso, o mi cacci fuori di casa?”
“Sei autorizzato soltanto se mi prometti che non ti lascerai scappare l’occasione di essere felice.”
Filippo si distese sulle lenzuola e se la trascinò dietro, facendole appoggiare la testa sul suo petto.
“Sai che questo discorso vale anche per te, vero?” le disse.
“Con Edoardo è diverso. Lui è uno stronzo, te lo ricordi?” rispose Eleonora, stringendo forte la maglia del pigiama del fratello.
“Se io sono diventato più forte, lui può essere diventato meno stronzo.”
“Perché ti metti a difenderlo adesso? Lo hai sempre odiato anche tu” ribatté Ele, sentendosi quasi tradita.
“Non l’ho mai odiato. Non mi piaceva per quello che aveva fatto a Silvia. Però da quello che mi racconti con te si è sempre comportato bene.”
“Cosa importa se con me si comporta bene ma con le altre no?”
“Hai ragione.” Filippo le accarezzò i capelli. “Ma nella vita tutti sbagliano. Se anche lui ha imparato dai suoi errori, dovresti dargli una possibilità.” Fece una piccola pausa. “Certo che noi due in quanto a relazioni siamo proprio sfigati” concluse.
La sorella stava per replicare ma le suonò il telefono. Allungò la mano sul comodino e controllò. Era una delle ragazze nella chat di gruppo, precisamente Federica.
Fede: I ragazzi mi hanno detto di non dirlo a nessuno finché non postano il video ma non resisto più
Eva: Che ragazzi?
Sana: Dirci cosa?
Silvia: Quale video?
Eva: Un tutorial di Chicco Rodi come quello del teatro?
Fede: Foto in arrivo, aspettate
Eleonora si raddrizzò a sedere.
“Tutto ok?” domandò Filo, tirandosi su e appoggiandosi sui gomiti.
La foto arrivò. Era il muro delle X, completamente ripulito. Eleonora si portò una mano alla bocca, sorpresa.
Fede: Ele lo devi sapere
Fede: È stata un’idea di Edoardo
Eva: Non è più il vecchio Incanti di una volta
“Fammi vedere!” esclamò Filo. Le prese il cellulare di mano e lesse. Sapeva già la storia del muro. Guardò la sorella. “Questa non è solo una dichiarazione d’amore. Questa è una dichiarazione di intenti” disse divertito.
“Spero non lo abbia fatto per me” disse la ragazza con un filo di voce, ricambiando lo sguardo.
“Io spero che lo abbia fatto per se stesso” replicò Filippo.

Fine capitolo settantuno

Ritorna all'indice


Capitolo 72
*** Prima dei Contrabbandieri ***


Capitolo settantadue
Prima dei Contrabbandieri
2 marzo
 
I cinque Contrabbandieri erano a casa di Martino, quella sera. Giovanni era seduto al centro del divano. Accanto a lui, da un lato c’era Niccolò e dall’altro Luchino. Il tavolo era stato spostato di lato, e al centro del tappeto Martino ed Elia erano seduti per terra, giocando a Fifa mentre gli altri tre guardavano e commentavano, ma soprattutto sfottevano bonariamente.
Ad un certo punto scoppiò una discussione piuttosto accesa tra Elia e Luchino su come Elia dovesse muovere i giocatori, e Martino stava morendo dalle risate.
“Grazie Luchì, continua a distrarlo” disse Marti, mettendo a segno un altro goal.
Anche Niccolò rideva, ma smise quando si accorse che Giovanni sembrava assente, con la testa da tutt’altra parte. Si sporse verso di lui per avvicinarsi il più possibile e sussurrare.
“Tutto a posto?” domandò.
Giovanni si girò a guardarlo, e sospirò con un sorriso triste.
“Sono stato meglio.”
“Che succede?”
“Niente, ho appena visto una storia su Instagram di Eva… sta a una festa con quello là.”
Niccolò gli mise una mano sulle spalle. “Mi dispiace.”
“Vabbè zì, prima o poi mi passa.”
“Ancora Eva?” chiese Luchino, che si era finalmente accorto della conversazione parallela che avveniva accanto a lui.
Elia mise in pausa la partita e anche lui e Martino si voltarono a guardarlo.
Giovanni annuì.
 
Eva non conosceva nessuno a quella festa, a parte Fede ed Edoardo. Neppure il festeggiato. Infatti se ne stava seduta con i due ragazzi su un divanetto del locale, desiderando con tutta se stessa di essere da un’altra parte. Il locale era rumoroso, buio, e l’ultima volta che ci era stata era con Giovanni.
“Edoà, te lo vai a fare un giro?” chiese a un certo punto Federico.
Edoardo lanciò un’occhiata ad Eva, che ricambiò lo sguardo perplessa. Ma Edo sembrava sapere esattamente cosa stava per succedere. Le rivolse un cenno di saluto con la testa, diede una pacca sulla spalla di Fede e poi si alzò, lasciando da sola la coppia.
Eva sorrise al ragazzo, pensando che volesse solo un po’ di privacy per pomiciare, invece Fede le accarezzò dolcemente i capelli rossi.
“Ti sento distante stasera” le disse.
La ragazza si sforzò di sorridere ancora di più. “È solo che mi sento un po’ fuori posto.”
“Potevi dirmi che non volevi venire.”
“Ma volevo.” Gli diede un leggero bacio sulle labbra. Ed era la verità. Stare con Federico non era mai stato un peso per lei, ma sempre un piacere, soprattutto da quando avevano iniziato a frequentarsi come una coppia normale.
Federico sospirò e distolse lo sguardo. “Ti sento distante da un po’ di tempo, non solo da stasera. A Manchester siamo stati bene, però dopo...”
Eva non sapeva cosa dire, poi sembrò perdere il controllo di sé. Basta stupidaggini, era il momento di essere sinceri al cento per cento.
“Oddio, Fede… io… tu mi piaci. Davvero. Te lo giuro.”
Fede rise. “Lo so.”
“Lo sai? Sul serio? Non voglio che pensi che sto con te solo perché non voglio stare da sola. Anzi stare da sola era proprio quello che volevo. Ma poi abbiamo iniziato a conoscerci e stare con t-”
“Lo so che stai con me perché ti piaccio” la interruppe lui. “Ma non è abbastanza, no?”
La rossa rimase in silenzio.
Il ragazzo aveva provato e riprovato quel discorso decine di volte negli ultimi due giorni, sperando che invece Eva gli desse un segno, qualcosa che gli facesse pensare ‘forse dopotutto posso stare zitto’, ma non era andata così, e adesso si ritrovava a parlare con un nodo in gola.
“Tu non sei innamorata di me, ma la cosa peggiore è che non lo sarai mai.”
Eva era ancora innamorata di Giovanni. Non del Giovanni bugiardo, ma del Giovanni buono, gentile, comprensivo, spiritoso, sorprendente e amorevole che era sempre stato prima e dopo quelle bugie. Aveva commesso un errore, ma non esistevano ragazzi perfetti, solo ragazzi che imparavano dai loro errori e cercavano di porvi rimedio. Non aveva mai smesso di amare Gio e almeno per il momento nel suo cuore non c’era spazio per nessun altro.
Questo Fede ormai lo sapeva bene, infatti aveva deciso di non accontentarsi più. Lui ed Eva stavano bene insieme, ma non era abbastanza.
“Penso che dovremmo lasciarci” disse infine il ragazzo.
Restarono qualche secondo in silenzio, mentre entrambi metabolizzavano quell’affermazione.
“Ti manca andare a letto con una ragazza diversa ogni sera, eh?” scherzò Eva, accarezzandogli una guancia.
“Esatto, non vedo l’ora di ricominciare.” Federico sorrise, felice che entrambi fossero già in grado di sdrammatizzare, e le strinse l’altra mano tra le sue.
 
“Il Mago dell’Amore ha bisogno d’aiuto, stavolta” disse Luchino.
“Il Mago dell’Amore ha bisogno di mettersi l’anima in pace una volta per tutte” replicò Gio.
“Non è così che funziona, zì” commentò Elia tristemente.
“Te la senti di guidare?” chiese Martino al suo ragazzo. Sapeva che era arrivato in macchina, ma sarebbe rimasto a dormire da lui e forse non gli andava di mettersi al volante, visto che era quasi mezzanotte ormai.
“Sì, certo. Ma perché? Dove andiamo?” rispose Niccolò, che non aveva idea di cosa passasse per la testa del rosso.
“Gio. Guardami” disse Marti, visto che il migliore amico stava facendo di tutto per evitare di guardare in faccia gli altri ragazzi.
Giovanni cedette e guardò Martino negli occhi.
“Sei innamorato di Eva? Vuoi tornare con lei? Vuoi stare con lei e fare le cose per bene, questa volta, senza più bugie?”
“Sì, zì. Cazzo, sì” rispose lui. “È l’unica cosa che voglio.”
Martino si girò a guardare Elia, che ricambiò il suo sorriso complice. C’era stato un tempo in cui i Contrabbandieri non esistevano, ma esisteva un piccolo gruppo di amici: Elia, Martino e Giovanni, con Eva. Non era stato sempre un periodo rose e fiori, ma aveva avuto i suoi momenti buoni.
I due ragazzi guardarono Gio.
“Allora c’è poco da fa, zì” disse Elia, cominciando ad alzarsi.
Martino si sporse verso Giovanni e gli mise una mano sul ginocchio. “Andiamo a riprendercela” e sorrise.

Fine capitolo settantadue

(To be continued…
(il capitolo che pubblicherò domani è strettamente collegato ed è ambientato subito dopo la mezzanotte, come quello di Capodanno))

Ritorna all'indice


Capitolo 73
*** Dramaaaaaaaaa ***


Capitolo settantatré
Dramaaaaaaaaa
3 marzo
 
Riuscirono a parcheggiare poco lontano dal locale dove si svolgeva la festa. C’era un sacco di gente fuori, che fumava o chiacchierava con i bicchieri in mano. I Contrabbandieri esitarono prima di avvicinarsi, fermi all’angolo della strada, quasi come se stessero per tentare una rapina.
“Non ci sono buttafuori” disse Luchino, alzandosi sulle punte per vedere meglio dietro le macchine parcheggiate di fronte all’ingresso.
“Anche quando fanno feste private non chiudono l’ingresso agli altri clienti” disse Giovanni.
“Vero. Possiamo entrare senza problemi” confermò Niccolò, perché anche lui ci era già stato.
“Ma li avete visti, vero?” fece Elia.
“Chi?” domandò Luchino.
“Incanti e Canegallo” rispose Martino. “Sulla destra, vicino al portone verde.”
Anche Luchino, Niccolò e Giovanni li individuarono, a pochi metri dall’ingresso del locale. Stavano fumando e non avevano per niente un’aria allegra.
“Ma Eva dove sta?” chiese Gio, che cominciava ad innervosirsi.
“Non lo so, frà. Adesso entriamo e la cerchiamo” gli rispose Marti.
Si guardarono negli occhi tutti e cinque, si diedero forza a vicenda e poi si incamminarono lungo il marciapiede come se stessero andando a combattere.
Inevitabilmente, passarono davanti ai due ragazzi, che avevano appena spento le sigarette sul fondo di un bicchiere di birra.
Federico li vide subito.
“Che cazzo ci fai tu qua?” esclamò, sbarrando la strada al gruppetto, ma fissando solamente Giovanni.
Gio non si fece intimidire. “Togliti di mezzo” disse con tono fermo.
“Non le dai neanche il tempo di respirare eh? Cazzo, cosa sarà passata? Un’ora?” Tutti si accorsero della rabbia con cui Fede stava sputando quelle parole. “Oppure ti ha chiamato lei? Eh?”
“Non ho idea di quello che stai dicendo” rispose Giovanni, con altrettanta rabbia, ma anche con sincerità. “E comunque fatti i cazzi tuoi.”
Martino, Niccolò, Elia e Luchino furono velocissimi a stringersi attorno a Giovanni, mettendosi tra lui e il pugno di Canegallo, ma ancor più veloce fu Edoardo, che conosceva bene il miglior amico e aveva previsto la prossima mossa. Con uno scatto fulmineo, Edoardo fermò a mezz’aria il braccio di Federico con entrambe le mani.
Forse un cazzotto se lo meritava, quel Giovanni, ma Edo non aveva intenzione di lasciare che Fede finisse nei guai.
“Magari stiamo calmi, eh?” intervenne Niccolò, mettendosi tra i Contrabbandieri e gli altri due. Scambiò uno sguardo con Edoardo e, anche se non si dissero nulla, tacitamente concordarono sulla necessità di evitare drammi.
Fede abbassò il braccio ma non perse l’espressione torva. Lui e Giovanni continuarono a guardarsi con aria di sfida.
Poi qualcosa sembrò spezzarsi in Federico. Si arrese completamente. Indietreggiò di un paio di passi e si fece da parte per far passare i Contrabbandieri, senza mai staccare gli occhi da Gio.
“È ancora dentro” gli disse, riferendosi a Eva.
Giovanni giudicò saggio non dire più nulla. Fece un cenno con la testa per dare segno di aver capito, poi proseguì verso la porta, con gli altri al seguito.
Mentre passavano, Edoardo diede una pacca sul braccio di Niccolò, che accennò un sorriso.
Entrare nel locale li stordì, a causa della musica forte e delle luci soffuse, che non erano l’ideale dopo l’emozione forte dello scontro con Canegallo.
“Non la troverò mai” urlò Gio per farsi sentire sopra la musica.
“Ci dividiamo?” propose Luchino.
“Non stiamo mica in un cazzo de film, zì” rise Elia.
“Mi devo preoccupare?” chiese invece Martino, rivolto al suo ragazzo.
“De che?” replicò Nico, perplesso.
“Cos’era quella roba con Edoardo Incanti?” alzò le sopracciglia.
“Geloso?” Niccolò rise, poi prese Martino per la nuca e lo avvicinò a sé per baciarlo.
Scusate??” Giovanni infilò le braccia tra i due ragazzi, allargandole per separarli. “Siamo in missione, qui!”
“Scusa! Scusa!” esclamarono in coro i due innamorati.
“Forse potevamo cambiarci i vestiti, almeno” bofonchiò Elia. Infatti loro cinque indossavano jeans, felpe e tute, mentre tutti nel locale erano eleganti.
Cominciarono tutti e cinque a guardarsi intorno, alla ricerca della testa rossa della loro amica, ma non era facile con tutte quelle luci stroboscopiche.
“…Marti?!”
Martino si voltò di scatto. Alla fine era stata Eva a trovare loro.
La guardò negli occhi, sorrise emozionato, poi si spostò per far entrare il migliore amico nel campo visivo della ragazza.
Quando Eva vide Gio sbucare tra la folla, dietro Martino, rimase di sasso. Il ragazzo le stava dando le spalle, ma avrebbe riconosciuto quei ricci ovunque.
Lasciarlo era stata la cosa più difficile che avesse mai fatto, ma l’aveva fatta perché in quel momento sentiva che era la cosa giusta da fare. Poi per qualche mese era rimasta sola, ed era stata bene. Ma il fantasma di Giovanni non aveva mai smesso di perseguitarla, perché non era riuscita a spegnere i sentimenti per lui. Non li aveva spenti neanche Federico, che si era rivelato un compagno quasi perfetto nelle ultime settimane.
E allora Eva sorrise a quelle spalle e a quella testa ricciuta, quasi rise, perché se lui era lì per lei, allora forse stare insieme non poteva essere poi così sbagliato.
“Zì!” sussurrò Elia a Giovanni, e quasi lo prese di peso per farlo voltare.
Mentre Gio girava su se stesso e si ritrovava davanti il viso sorridente di Eva, gli altri quattro si dispersero tra la folla.
Eva sollevò una mano e l’agitò in segno di saluto.
Gio cominciò a camminare verso di lei, evitando le persone che si muovevano e ballavano intorno a loro.
“Ciao” le disse, quando fu a pochi centimetri dal viso di lei.
“Io e Fede ci siamo lasciati” fu la prima cosa che disse la ragazza.
“Bene” replicò Giovanni, col cuore in tumulto.
“Bene?” Eva rise.
Anche Giovanni finalmente sorrise, poi le prese il viso tra le mani. “Ti amo, Eva”.
La baciò, e fu una specie di liberazione per entrambi, come se all’improvviso tutte le cose sbagliate fossero tornate al posto giusto.
“Ti amo anche io.”

Fine capitolo settantatré

Ritorna all'indice


Capitolo 74
*** Parlarsi ***


Capitolo settantaquattro
Parlarsi
4 marzo
 
Giovanni controllò per l’ennesima volta il cellulare.
“Frà ma basta!” esclamò esasperato Luchino, che era in squadra con lui.
I Contrabbandieri si erano riuniti al bar vicino la scuola. Le lezioni erano sospese per Carnevale, ma non avevano voluto rinunciare a vedersi.
“Scusate, è Eva” disse Gio, con un sorriso gigante.
“Ma alla fine che avete fatto ieri sera? A parte scopare” domandò Elia, mentre metteva a segno un altro goal e Niccolò gli batteva il cinque.
“In realtà siamo solo andati a mangiare una pizza. Abbiamo deciso di ricominciare da capo, come se non fossimo mai stati insieme. Un appuntamento alla volta.”
“Che palle” commentò Luchino.
“Ha parlato l’esperto” scherzò Martino.
“In realtà, ieri sera, mentre Gio si mangiava la pizza…” Luchino lasciò la frase in sospeso con un sorrisetto malizioso.
Elia e Martino spalancarono gli occhi, sconvolti.
“Anche il nostro Luchino è diventato grande!” esclamò Giovanni, mettendogli le braccia intorno alla testa e strofinandogli i capelli.
“Com’è andata?” chiese Niccolò, divertito dalla reazione degli altri.
“Spero bene. Silvia ha detto benissimo. Ha detto che sono più bravo di Edoardo Incanti!” si vantò il ragazzo.
Martino e Giovanni si scambiarono un’occhiata cercando di trattenere le risate.
“Silvia è andata a letto con Edoardo Incanti?” Elia pareva più sconvolto da questo che da tutto il resto.
La discussione sulle avventure di Luchino continuò per un bel po’, finché non fu interrotta dalla voce sorpresa di Marti.
“C’è Filo” disse.
Gli altri quattro, che stavano ancora giocando a biliardino, mollarono tutto e si voltarono verso la porta del bar.
C’era effettivamente Filippo, con i capelli platinati spettinati e l’aria stanca. Sollevò una mano per salutarli senza però avvicinarsi.
Anche i Contrabbandieri gli sorrisero e lo salutarono da lontano.
Martino stava per incamminarsi verso di lui ma Elia lo fermò.
“Aspetta. È qui per me.”
Adesso spostarono tutti gli occhi su Elia, che a disagio si allontanò dal gruppo di amici con lo sguardo basso e le mani in tasca.
Martino prese il suo posto accanto a Nico ma nessuno di loro quattro ricominciò a giocare. Fissavano tutti gli altri due, che si guardavano imbarazzati mentre uscivano dal bar.
“Che sta succedendo?” chiese Marti.
“Da giorni Filippo vuole parlare con lui” disse Luchino, a cui Elia aveva mostrato i messaggi. “Dice che si sono separati bruscamente e vuole chiarire le cose.”
“Ci sta, zì” commentò Gio. “In fondo siamo tutti amici, probabilmente non vuole che le cose siano imbarazzanti.”
“Non lo so…” mormorò Martino, che non era convinto di quella versione.
 
Non si allontanarono di molto, giusto quel che serviva per raggiungere un angolo della strada isolato e parlare con tranquillità.
“Come stai?” domandò subito Filippo.
“Sto bene, te l’ho detto.” Elia gli sorrise, non riusciva a non farlo.
Senza saperlo, senza farlo apposta, Filo aveva fatto tanto per lui. Gli aveva regalato una maggiore consapevolezza di sé, gli aveva regalato il primo amore. Elia gli sarebbe sempre stato grato di questo, anche se l’altro non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti.
Questi erano i pensieri dolci ma tristi del più giovane, mentre guardava negli occhi il ragazzo che aveva dato una svolta alla sua vita.
Filo invece avrebbe voluto dirgli subito quanto aveva sentito la sua mancanza. E voleva ammettere di aver sbagliato, che quella storia del non provare sentimenti non funzionava più proprio per colpa di Elia. Avrebbe voluto dirgli che voleva stare con lui, ma di andare piano perché per lui era difficile.
E stava per farlo, ma Elia lo precedette.
“Sono contento che stiamo parlando perché in realtà volevo dirti che spero tu non ti sia pentito di…” distolse lo sguardo.
Filippo fece un passo avanti. “No. Ovvio che no. Perché me lo chiedi? Tu ti sei pentito?” Adesso era preoccupato di averlo forzato senza accorgersene in qualcosa che non aveva mai voluto.
Elia alzò di nuovo la testa. “Assolutamente no” disse. “Però io alla fine ti ho fatto perdere tempo quindi pensavo ch-”
“Ma sei scemo!” Filo scoppiò a ridere. “Guarda che non sono una macchina che pensa solo al sesso eh.”
“Ah no?” Elia alzò un sopracciglio, ridendo anche lui.
“No” Filippo fece un respiro profondo, pronto a confessargli finalmente cosa provava, ma fu interrotto di nuovo.
“Comunque non è il caso che ti preoccupi di come sono finite le cose tra noi” disse Elia, cercando di nascondere il nervosismo. “Non c’è bisogno che ti preoccupi dei miei sentimenti. Sei gentile, ma davvero… io sono a posto. Anzi, mi sono ripreso talmente bene che sto frequentando una ragazza.”
Questa Filippo non se l’aspettava. “Ah sì?” di sforzò di sorridere.
“Sì.”
In realtà non si poteva dire che stesse frequentando Isabella. Parlavano spesso e avevano deciso di uscire, ma ancora non era andati ad un vero appuntamento. In quel momento, però, Elia stava facendo di tutto per salvare la propria dignità, e non ci vide niente di male a ingigantire un po’ le cose.
“Capito” commentò Filippo.
Ecco cosa succede ad abbassare le difese, pensò con rabbia. Pensi di aver trovato qualcuno con cui valga la pena rischiare, e invece ti ritrovi pugnalato alle spalle.
“Vuoi entrare?” domandò Elia, che non desiderava altro che cambiare argomento. “Stiamo per andare a pranzare al Mc.”
“No, grazie, in realtà vado di fretta” mentì Filo. “Me li saluti tu gli altri?”
“Certo” rispose titubante Elia. Aveva notato il turbamento di Filippo ma era troppo ingenuo per riuscire a spiegarselo.
 
Fede: Domani facciamo qualcosa?
Silvia: Io devo uscire con Luca
Eva: Anche io
Ele: Devi uscire con Luca anche tu?
Fede: Hahahahaha
Eva: No!
Eva: Devo uscire con Gio ovviamente
Eva: Che pignole
Silvia: Giù le mani dal mio ragazzo
Sana: Fate le cose a tre col povero Luchino Colosio? Che zozzone che siete ragazze
Eva: Daiiiii
Ele: Hahahahaha
Fede: Adesso che siete fidanzate ci abbandonerete sempre?
Sana: Ma che ce ne facciamo di queste due, chiama Rodi e Martucci che andiamo a festeggiare come si deve
Eva: Non ci provate a farci sentire in colpa eh
Silvia: Per una volta che abbiamo una gioia!

Fine capitolo settantaquattro

(Morale del capitolo: parlate chiaro con le persone! (scusate dopo tutta questa sofferenza forse non dovrei fare la spiritosa))

Ritorna all'indice


Capitolo 75
*** Chiusura ***


Capitolo settantacinque
Chiusura
5 marzo
 
“Me lo sono perso” disse Gio.
“Dai, ormai è grande!” Eva gli diede un bacino sulla guancia.
“Sì ma i suoi amici sono dei delinquenti, non mi fido.”
La rossa, Silvia e Luchino risero.
“Eccolo là” Luchino indicò con una mano un punto non troppo distante da loro.
Il fratellino di Giovanni era con i suoi amici. Lì a Piazza del Popolo c’erano un sacco di bambini e ragazzini mascherati. Il minore dei Garau e i suoi compagni si erano vestiti tutti da zombie.
Eva controllò il cellulare.
“È qui” disse, leggendo un messaggio. “Alla metro. Vado.”
Gio la baciò dolcemente sulle labbra e lui e gli altri due la guardarono allontanarsi.
C’era un sacco di gente per quel Carnevale, perché per fortuna era bel tempo. Eva fece non poca fatica ad attraversare la folla e i bambini festanti e un paio di volte si beccò manciate di coriandoli in piena faccia.
“Eccoti” le sussurrò una voce maschile all’orecchio, mentre due braccia la stringevano da dietro, ma delicatamente per non spaventarla. Eva, comunque, quelle braccia le conosceva benissimo.
“Ciao Fede.”
Sorrise tra sé, contenta che il ragazzo si mostrasse da subito tranquillo e non arrabbiato, come invece temeva.
La lasciò andare e si ritrovarono faccia a faccia.
“Dimmelo subito: sei tornata con quello là?” domandò Federico.
Eva annuì, colpevole. “Ma vogliamo fare le cose con calma.”
Fede sospirò. “Cosa vuoi da me allora?”
“Niente, Fe” rispose Eva. “Ti va di fare una passeggiata?”
Passeggiarono. Cercarono di evitare bimbi e schiamazzi il più possibile. Passeggiarono e parlarono di quello che era successo sabato sera e di tutta la loro storia e alla fine Federico prese Eva per le spalle e la fece fermare. La guardò in faccia con aria seria, ma si intenerì quando le spostò un coriandolo dai capelli.
“Insomma volevi parlarmi per chiedermi di restare amici? Questo è tutto, no?”
Eva abbassò gli occhi. “Sì” rispose semplicemente.
“Cosa ne pensa Giovanni di questa cosa?” domandò Fede con tono sarcastico.
“È importante quello che penso io. Quello che voglio io” disse Eva, alzando di nuovo la testa.
“E quello che voglio io, invece?”
“Certo che lo è.”
Federico rise, ma era una risata amara. “Io non voglio essere tuo amico, Eva. Non esiste che adesso cominciamo a uscire tutti insieme come se niente fosse. Non voglio stare con te, ma vorrò sempre portarti a letto.”
Eva non sapeva cosa dire.
“Non voglio che smettiamo di rivolgerci la parola” continuò il ragazzo. “Ma non posso essere tuo amico.”
 
Eleonora era a casa, stava studiando. Ai piedi del suo letto c’era una valigia aperta che aspettava di essere riempita e la ragazza si stava sforzando molto per concentrarsi sui libri e non guardarla.
Cominciò a squillarle il telefono. Controllò e fu sorpresa di leggere il nome di Edoardo.
“Pronto…?” rispose incerta.
“Ciao, bellissima.”
“È successo qualcosa?”
“No, volevo solo sentire la tua voce.”
Eleonora allontanò il telefono dall’orecchio e sospirò. Davanti a sé aveva uno specchio e osservò per un momento la propria immagine riflessa. Non le piaceva la ragazza malinconica che stava ricambiando il suo sguardo.
“Torno a Roma tra due settimane” disse, avvicinando di nuovo il telefono.
“Davvero?”
Anche senza poterlo vedere in faccia, Ele riuscì ad avvertire il sorriso con cui aveva pronunciato quella domanda.
“Sì. Però preferirei che non ci sentissimo più fino ad allora.”
“Che vuoi dire?”
Adesso il tono di voce era preoccupato, ai limiti del panico.
“Niente telefonate, niente messaggi. Ci rivediamo a scuola appena torno.”
“Perché? Non capisco. Pensavo che le cose andassero bene.”
“Non andranno mai bene finché tu sarai lì e io sarò qui a rimuginare su di te.”
“Rimugini su di me, eh?” Edoardo cercò di stuzzicarla di nuovo ma era troppo nervoso.
“Smettila, per favore.”
“Ele ti prego ma qual è il problema? Finché sarai lì comunque non succederà niente tra di noi. E prima che tu dica qualcosa: lo so che anche quando sarai qui non è detto che uscirai con me, anche se ti posso garantire che te lo chiederò tutti i giorni. Che male c’è se parliamo nel frattempo?”
Eleonora non fece in tempo a rispondere. In quel momento la porta della sua camera si spalancò.
“Sweetheart? Ho bussato ma mi sa che non hai sentito” le sorrise Domenico, sulla porta.
“Ah, adesso capisco qual è il problema” disse Edo al telefono, con tono seccato, perché aveva sentito la voce dell’altro ragazzo.
“Ti dispiace un secondo?” chiese Ele a Dom, indicando il cellulare.
“Ah, scusa. Vado in cucina, la tua coinquilina sta facendo il tè. Ne vuoi?”
Eleonora annuì e aspettò che Domenico uscisse chiudendosi la porta alle spalle.
“Edo?”
“Non abbiamo più niente da dirci, no?”
“Non è come pensi. Domenico non c’entra niente. Ma io sono confusa, tu mi hai mandata in confusione.”
Restarono per un po’ in silenzio.
“Edo?” sussurrò di nuovo Eleonora.
“Ti prego, non tagliarmi fuori” disse Edoardo, quasi in tono supplicante.
“Ho bisogno di riflettere. Da sola. Ci vediamo tra due settimane.” E chiuse la comunicazione.
La ragazza alzò di nuovo lo sguardo verso lo specchio. Era confusa e spaventata dai sentimenti che provava per Edoardo ma non sarebbe mai riuscita a fare chiarezza continuando a messaggiare con lui a distanza. Adesso si pentiva di come lo aveva trattato il weekend in cui era venuto a Manchester. Col senno di poi, quei giorni avrebbe dovuto approfittarne per capire le tante cose che adesso la mandavano in confusione. Aveva paura che Edoardo fosse ancora lo stronzo che era l’anno precedente, aveva paura di cascare nella sua rete.
Abbassò lo sguardo sul cellulare.
Mi dispiace, non volevo essere così brusca. Lo so che ti sto trattando una merda, capirei se decidessi di lasciarmi perdere. Ma ho davvero bisogno di riflettere.
Inviò il messaggio e subito dopo lo bloccò.

Fine capitolo settantacinque

Ritorna all'indice


Capitolo 76
*** Traguardi ***


Capitolo settantasei
Traguardi
6 marzo
 
“Il momento della verità!” esclamò il personal trainer.
“Mamma mia però non mettetemi ansia” si lamentò Federica con una smorfia, mentre il trainer e Chicco Rodi scoppiavano a ridere.
Erano in palestra e dopo settimane di duro lavoro finalmente per Fede era giunto il giorno di pesarsi. Doveva scoprire se era riuscita a perdere i kg che aveva concordato con l’istruttore.
“Apriamo le scommesse?” suggerì Rodi scherzosamente.
“Taci” lo rimproverò la ragazza, che era troppo nervosa per dargli corda.
Con movimenti lenti mise entrambi i piedi sulla bilancia e raddrizzò la schiena. Sollevò la testa e guardò il soffitto, rifiutandosi di guardare da sola i numeri.
“Quante storieee” si lamentò Rodi, che non riusciva proprio a fare il serio.
“Silenzio, su” borbottò il personal trainer della palestra. Osservò lo schermo della bilancia e poi sorrise. “Complimenti, signorina” disse in tono fintamente formale. “Non solo ha perso i kg che aveva come obiettivo, ne ha perso addirittura uno in più!”
“YESSSSSSSSS” Fede alzò i pugni al cielo e anche Chicco Rodi fece un saltello per festeggiare.
“Te l’avevo detto!” esclamò il ragazzo.
“Ok ok adesso basta, tornate agli esercizi” rise il trainer, e li lasciò soli.
“Bisogna festeggiare” suggerì Rodi.
“Assolutamente” Federica scese dalla bilancia. “Questo weekend abbiamo da fare ma il prossimo magari io e le amiche possiamo venire in pizzeria.”
“Andata” Rodi sollevò una mano e Fede non mancò di battere il cinque.
“Non posso crederci che ho perso davvero tutti quei kg.”
“Te lo avevo detto che ce l’avresti fatta. E poi si vede” il ragazzo fece un passo indietro e con la mano indicò Fede dalla testa ai piedi.
“L’altro giorno uno dei miei jeans mi stava un po’ largo” sorrise lei.
“Visto? Io ho sempre ragione.”
La ragazza si girò verso lo specchio a parete che era accanto alla bilancia e si osservò a lungo in silenzio.
“Sei bella” le disse Rodi, in maniera così spontanea e semplice che sarebbe stato impossibile non credergli.
“Sarò ancora più bella tra qualche mese” borbottò Federica sorridendo, un po’ in imbarazzo.
“Veramente eri bella anche prima.”
Si guardarono attraverso lo specchio. Anche il ragazzo sembrò essere un po’ imbarazzato.
“Voglio dire che sei bella adesso ma non perché sei dimagrita. Sei sempre stata bella. Solo che prima non te lo avevo detto. Quindi te l’ho detto adesso. Capito, no?”
Fede si girò per guardarlo negli occhi. “Grazie” disse.
“Però adesso sei più in forma per scavalcare cancelli e finestre. Quindi meglio così. I tutorial non si girano da soli, no?”
Si sorrisero, un po’ rossi in volto, e poi si avviarono insieme verso la zona con i pesi.
 
Martino sentì le chiavi di casa nella serratura e si voltò verso Spera.
“È arrivata” disse.
“Meglio tardi che mai” rispose il professore con una risata, mentre pesava la pasta.
Mentre mamma Rametta entrava in casa esclamando un “Sono qui!”, il figlio controllò l’acqua nella pentola. Mancava poco affinché bollisse.
Trafelata, la donna li raggiunse all’angolo cottura.
“Scusate, mi hanno trattenuta a lavoro. Però sono passata a prendere i dolci” disse, posandoli sul tavolo. Poi si accorse che il suo nuovo compagno stava aiutando in cucina. “Ma lo hai messo a sgobbare?!”
“Non è colpa mia se è arrivato con due ore di anticipo” si difese Martino. “Comunque cucina meglio di te. Ormai è tutto pronto.”
“Mi piace cucinare” Spera si strinse nelle spalle, poi sorrise e si avvicinò alla madre di Marti per darle un bacetto sulle labbra.
Mamma Rametta sparì in camera sua per cambiarsi e mettersi comoda e dieci minuti dopo trovò anche la tavola apparecchiata.
Suonarono alla porta.
“Vado io” disse, ma i due uomini erano impegnati ai fornelli e non le badarono.
“Buonasera” sorrise Niccolò, quando la madre del suo ragazzo gli aprì la porta.
“Ciao tesoro.” La donna lo abbracciò stretto.
“Ho portato i dolci” disse Nico.
“Ah, anche io. Il pegno dei ritardatari” rise e lo fece entrare.
“Ciao, ragazzo!” esclamò il dott. Spera, con lo strofinaccio in spalla e una macchia di ragù sulla camicia.
“…’sera prof.” Il nuovo arrivato si sforzò di non ridere di fronte a quella scenetta.
Martino gli sorrise da lontano, agitando un mestolo.
Un’ora e mezza più tardi avevano finito di cenare, i due adulti si erano appisolati sul divano guardando un film e i due ragazzi avevano appena finito di pulire la cucina.
“Che carini” sussurrò Niccolò, indicando il dott. Spera e mamma Rametta. Lui aveva messo un braccio sulle spalle di lei e la donna si era addormentata sulla sua spalla.
Spensero le luci ma lasciarono accesa la televisione.
“Anche noi quando saremo vecchi faremo questa fine?” rise Martino, sforzandosi anche lui di mantenere la voce bassa. “Crollati per il sonno alle nove e mezza di sera?”
Si presero per mano e si avviarono nella camera del ragazzo.
“Non sono poi così vecchi, dai” disse Nico, mentre chiudeva la porta.
Martino lo guardò con tenerezza. Gli mise le braccia intorno al collo, accarezzandogli la nuca, e cominciò a baciarlo lentamente, mentre Niccolò lo stringeva per i fianchi.
“E poi pensi che staremo ancora insieme fra trent’anni?” chiese Nico, quando si staccò per prendere fiato.
“Certo” rispose Marti. “Anzi, io a Natale mi aspettavo la tua proposta di matrimonio, come mi avevi promesso a Milano, e ci sono rimasto un po’ male.”
“Sei serio o stai scherzando?” Niccolò si allontanò di un passo per guardarlo bene in viso.
“Un po’ tutt’e due” sorrise Marti.
“Che fine ha fatto il minuto per minuto?”
“Viviamo minuto per minuto i prossimi trent’anni. E anche più di trenta. Tutti gli anni che ci restano.” Gli diede un bacino sul naso. “Questo era quello che intendevo io.”
“Ah sì?” Niccolò sorrise e lo baciò sul collo. “Mi piace.”

Fine capitolo settantasei

Ritorna all'indice


Capitolo 77
*** Incantava ***


Capitolo settantasette
Incantava
7 marzo
 
Filippo sobbalzò per lo spavento.
“Ma che cazzo…?”
Qualcuno bussava alla porta di casa sua. Non stava suonando il campanello, ma batteva forte il pugno sul legno, ripetutamente.
Per un istante sperò con tutto se stesso che fosse Elia, che non sentiva da quando si erano visti lunedì, ma quel modo di fare non gli sembrava il suo stile.
Sbirciò dallo spioncino e vide Mr. Capelli di Merda.
Ecco, questa era una cosa che Filo non si sarebbe mai aspettato.
Aprì la porta.
“La prossima volta bussa più forte, eh” disse, incrociando le braccia.
“Scusa” disse frettolosamente l’altro. “Ciao. Io sono Edoardo” allungò una mano.
Filippo non la strinse.
“Lo so.”
Questa reazione prese Edo in contropiede. “Lo sai?”
“Sì, lo so.”
“E tu sei Filippo, no? Il fratello di Eleonora.”
“In carne e ossa.”
Tutta quell’ostilità da parte di Filo preoccupò non poco Edoardo. Evidentemente Ele gli aveva parlato di lui e a giudicare da come lo stava trattando non doveva aver detto cose lusinghiere.
“Mi fai entrare?”
Filippo alzò gli occhi al cielo e fece qualche passo indietro. Edoardo entrò e Filo chiuse di nuovo la porta.
“Cosa vuoi?”
“Eleonora ha bloccato il mio numero. Non vuole parlare con me.”
Il tono di voce era così affranto che per un attimo Filippo provò pietà per lui. Ma fu solo un attimo.
“Avrà avuto le sue buone ragioni.”
“No, non le ha!” Edoardo cominciò a fare avanti e indietro per il corridoio dell’appartamento, nervosamente. “Ha detto che la confondo, che deve riflettere, che parleremo quando tornerà a scuola.”
“A me sembrano piuttosto buone. Non ti ucciderà aspettare.”
Edoardo si fermò davanti a Filippo. “Devi aiutarmi.”
“Io non devo fare proprio niente” replicò l’altro, ma la voce gli si incrinò un poco, perché negli occhi di Edo vide tanta disperazione che gli ricordò un po’ se stesso.
“La sto perdendo” disse Edoardo. Si accasciò con la schiena contro una parete. Tutta la stima e l’affetto che aveva conquistato da parte di Eleonora gli stavano scivolando via senza che potesse trattenerli.
“Senti…” Filippo fece un bel respiro per raccogliere un po’ di pazienza. “Stai mettendo su un bel melodramma. Quando vi rivedrete potrai ricominciare a tormentarla come hai fatto fino a mo.”
“Voglio vederla adesso. Mi sono innamorato di lei e non gliel’ho neppure detto.” Fece una pausa in cui i due ragazzi si guardarono negli occhi per riflettere su quell’affermazione. “Cosa succede se nel frattempo decide di restare con quel Domenico?” domandò ancora Edo, dando per scontato che Filo sapesse di Dom e che Ele gli avesse mentito e tra i due ci fosse davvero una relazione.
“Sant’iddio…” Filippo si portò una mano alla testa e cominciò a massaggiarsi la fronte. Poi ripensò al messaggio che la sorella gli aveva inviato quella mattina, in cui gli diceva che era passato soltanto un giorno e già sentiva la mancanza di Edo.
“Parto” disse poi Edoardo, come se fosse stato colto da un’illuminazione. “Torno a Manchester. Prendo il primo aereo e vado da le-”
“Stop!” esclamò Filippo, e adesso scoppiò a ridere. “Amico, stai esagerando. Ele vuole solo tempo per riflettere sui suoi sentimenti per te. La cosa potrebbe persino rivelarsi a tuo vantaggio. È questione di giorni ormai, mettiti l’anima in pace.”
“Non posso. Non voglio perderla. Deve sapere che la amo, che non sono più uno stronzo.”
“Quando la rivedrai glielo dirai” disse Filippo, che si sentiva come un maestro che non riesce a insegnare una cosa elementare a un bambino.
“Ho aspettato anche troppo. Vado da lei. Glielo dico e poi la lascio da sola a riflettere tutto il tempo che vuole.” Edoardo si incamminò di nuovo verso la porta d’ingresso. “Grazie per l’aiuto” disse a Filippo.
“Ma quale aiuto?” il ragazzo alzò di nuovo gli occhi al cielo. “Aspetta.”
Edo si fermò con la mano sulla maniglia.
“Tu non mi piaci” continuò Filo. “Ma Ele è pazza di te, quindi voglio aiutarti sul serio. Devi fidarti. È solo spaventata.”
Il ragazzo sorrise al pensiero che Eleonora fosse pazza di lui.
“Davvero pensi che sia una cattiva idea andare a Manchester?”
Edoardo sembrava stanco, provato da quei due giorni in cui l’unica ragazza di cui gli fosse mai importato l’aveva tagliato fuori.
Filippo lo guardò e poi ripensò a tutto quello che Eleonora gli aveva confidato, e al messaggio di quella mattina.
“Soltanto perché non è più lì” rispose, arrendendosi.
Edo aggrottò le sopracciglia. “È tornata a Roma?”
“Seguimi.”
Filippo lo condusse in camera sua. Sulla scrivania c’era la foto di Elia e la nascose alla velocità della luce sotto un libro. Mentre cercava qualcosa nel cassetto, Edoardo si guardò intorno.
“Belle foto.”
“Grazie.”
Filo trovò finalmente la sua agenda, copiò un indirizzo su un foglietto di carta e lo porse a Edo.
“Non farmene pentire” disse soltanto.

Fine capitolo settantasette

(Non gli Incantava che speravate dal titolo, lo so, scusate per questa piccola illusione ma non ho resistito)

Ritorna all'indice


Capitolo 78
*** Scrivere ***


Capitolo settantotto
Scrivere
8 marzo
 
Sana stava perdendo tempo guardando le storie su Instagram delle amiche, mentre aspettava che Martino la raggiungesse nella sua aula, che a quell’ora era vuota, dove avrebbero lavorato insieme alla prossima registrazione della radio. Sorrise davanti a un boomerang buffo di Silvia e Luchino dove si strofinavano i nasi l’uno contro l’altro, e poi le arrivò la notifica di una e-mail.
Trattenne il fiato, perché il mittente era uno dei concorsi di scrittura ai quali aveva partecipato, quello più complesso e a cui aveva mandato un racconto al quale teneva moltissimo.
Mise via il cellulare e accese il portatile che aveva abbandonato sul banco, perché voleva leggere a tutto schermo.
“Per favore per favore per favore” cantilenò in un sussurro.
Finalmente trovò il coraggio di controllare.
Aveva vinto.
Non il primo posto, ma il secondo. Una cifra di denaro meno consistente, ma che avrebbe comunque sfruttato per migliorare il proprio stile, e soprattutto la pubblicazione del suo racconto all’interno di una raccolta che sarebbe stata stampata.
Per l’emozione le vennero gli occhi lucidi e si alzò in piedi, facendo qualche passo in tondo, senza sapere come contenere quella felicità e quella soddisfazione.
Quando Martino arrivò la trovo ancora così.
“Tutto bene?” le chiese prima ancora di salutarla.
Sana si voltò lentamente verso di lui e annuì, poi girò il portatile facendogli capire di dare un’occhiata.
Martino si avvicinò incuriosito, senza neppure togliersi lo zaino dalle spalle.
“Cosa???” esclamò con un sorriso, leggendo le prime righe. “Ma è pazzesco!”
Finì di leggere e poi fece una cosa che non aveva mai fatto prima. Abbracciò la ragazza. La strinse fortissimo, come quando abbracciava Giovanni, e sorrise quando sentì le braccia di Sana ricambiare la stretta.
“Congratulazioni” le disse, con la guancia premuta contro l’hijab.
“Grazie, Marti.” Gli strofinò la schiena per fargli capire che il momento di tenerezza era finito.
Martino la lasciò andare e la guardò con un sorriso da un orecchio all’altro.
“Bisogna festeggiare!” esclamò.
“Bisogna preparare il programma” tentò di riportarlo all’ordine lei, ma sorrideva.
“Dai Sana!”
“Smettila.”
“Non fare la rompicoglioni!”
Marti chiuse il portatile, lo prese e cominciò ad avviarsi fuori dall’aula.
“Ei! Torna qui!” Sana allungò un braccio per raccogliere il suo zaino da terra e poi lo seguì.
Andarono al solito bar lì vicino la scuola.
Sana volevo solo un caffè ma Martino insistette per festeggiare come si deve e le offrì anche un cornetto e dei biscotti.
Il ragazzo cominciò anche a pregarla di poter leggere il racconto in questione.
“Facciamo così” disse Sana. “Appena mi arriva il libro, potrai leggerlo direttamente da là.”
“Ci sto” sorrise Marti. Poi si ricordò di che giorno era. “Ti ho portato una cosa” disse. Si chinò per frugare nello zaino e tirò fuori un rametto di mimosa ben confezionato, con carta velina nera, roselline di plastica nere, finte coccinelle nere con i pois verdi e un bigliettino nero.
La ragazza scoppiò a ridere.
“Lo so che è una stronzata, il consumismo eccetera” si giustificò subito Martino. “Ma a mia madre fanno piacere queste cose e allora ho pensato di prendere qualche rametto in più anche per te ed Eva.”
Sana accettò la composizione dalle mani di Marti e la osservò con un sorriso divertito. “Anche tua madre ed Eva si sono beccate tutto questo nero?”
“No, è tutto in tuo onore” rise il ragazzo, mentre lei leggeva il biglietto.
Era molto semplice, diceva solo Buona festa della donna ad una delle mie preferite.
“Grazie, Marti.”
Sana era molto commossa. Era un gesto semplice ma lui era stato molto carino. “Grazie davvero” gli sorrise con gli occhi un po’ lucidi e poi cercò di riprendere il controllo di sé. “Ma abbiamo comunque un casino di cose da fare. Mettiamoci al lavoro.”
“Agli ordini, capo.”
 
Elia fissava il cellulare con aria malinconica. L’unica cosa che desiderava era un messaggio da parte di Filippo, e invece se ne stava lì a cercare il coraggio per chiamare Isabella e dirle che a causa di un contrattempo non poteva più uscire con lei.
In realtà non esisteva alcun contrattempo. Da un lato voleva uscire con quella ragazza: era stupenda, simpatica, intelligente… interessata a lui! Cosa più unica che rara. Il tempismo, però, era pessimo. Se l’avesse conosciuta qualche settimana più tardi le cose sarebbero state diverse, ma adesso il cuore e la mente di Elia erano ancora occupati da Filo. Non riusciva a liberarsene, nonostante ci provasse con tutto se stesso.
Alla fine le scrisse un messaggio. Lei rispose subito che non c’erano problemi e che avrebbero recuperato un altro giorno.
“Magari fosse così facile…” mormorò tra sé il ragazzo.

Fine capitolo settantotto

Ritorna all'indice


Capitolo 79
*** Viaggio ***


Capitolo settantanove
Viaggio
9 marzo
 
Edo: Sono sull’aereo. Ti tengo aggiornato
Filo: Ma anche no
Edo: Siete proprio fratello e sorella
Filo: Dovrai abituarti
Edo: Magari… A dopo!
Filo: Buon viaggio
 
Quella sera, quando Filippo scese finalmente dall’autobus a piazza Cavour, non aveva ancora ricevuto alcun messaggio da parte di Edoardo.
Quel ragazzo era fuori di testa. Attraversare gli oceani soltanto per dire a Eleonora che era innamorato di lei e poi tornare indietro. Ok, non proprio gli oceani, ma comunque…
“Ciao!”
La voce di Niccolò lo riportò alla realtà.
“Ei!” Si abbracciarono. “E gli altri?”
“Sono il primo” rispose Nico. “Per una volta nella mia vita sono puntuale” e rise.
Avevano appuntamento con Martino, Sana, Giovanni ed Eva per andare al cinema.
Niccolò sembrava molto sereno. Filippo conosceva bene la sua situazione, era stato uno dei primi ad aiutare Martino nell’affrontarla, e ogni tanto si chiedeva come facessero a far funzionare quella relazione così complicata.
“Posso farti una domanda?” gli chiese improvvisamente.
“Certo” rispose Niccolò, senza perdere il sorriso.
“Come… come hai fatto a… senti, non voglio sembrare brusco o indelicato, ti giuro…”
“Filo non ti preoccupare. Chiedi e basta.”
“Ok… Come hai fatto a tenerti Martino? Cioè… tu sei fantastico e Martino sarebbe stato un idiota a mollarti, ma… è stato difficile… cioè è difficile far funzionare la vostra relazione?”
Niccolò scoppiò a ridere di fronte al disagio di Filippo e anche per quello che aveva detto.
“Non è facile” rispose poi, riacquistando serietà. “Ma ti sbagli. Non sono stato io a convincerlo a restare. È stato lui a convincermi a non mandarlo via.”
“Ah” fece Filippo, senza sapere cosa dire, perché non l’aveva mai vista da quella prospettiva.
Niccolò sorrise e continuò a parlare. “Io ho sempre cercato di proteggerlo, ma Marti ha sempre lottato per me… per stare con me” disse. “Senza neanche rendersene conto ha lottato per me prima ancora di scoprire che… sai…”
“Sì, ho capito.” Filo sorrise.
“Anche quando lo mando via… lui riesce sempre a capire che non è vero” aggiunse Nico. “Che lo faccio per proteggere lui o me stesso. Ma sa che lo amo e continua a lottare per me. Non so cosa ho fatto di buono nella mia vita per meritarmelo.”
Quella conversazione continuò a dar da pensare a Filippo anche quando finalmente furono raggiunti da tutti gli altri. Entrarono nel cinema, comprarono i biglietti, i popcorn, si misero in fila, si sedettero, le luci si spensero… e Filo continuò a pensare ad Elia.
Era vero che Elia aveva superato tutto quello che avevano vissuto? Che era completamente interessato a quella ragazza?
Sulle prime Filippo ci aveva creduto, ma adesso non ne era più così sicuro. I suoi sentimenti erano forti, possibile che quelli dell’altro fossero invece svaniti così in fretta?
“Filo, tutto bene?” chiese Giovanni, che era seduto accanto a lui. “Hai ‘na faccia…”
Sullo schermo per fortuna c’era ancora la pubblicità.
“Sì, tranquillo” rispose Filippo.
Magari era arrivato anche per lui il momento di lottare per quei sentimenti.
 
Mentre osservava la Torre Eiffel con le lacrime agli occhi per la commozione, Eleonora pensava a quanto fosse fortunata. Aveva trascorso degli indimenticabili mesi a Manchester e conosciuto tante persone che adesso aveva il privilegio di chiamare amiche.
Una di loro, che frequentava i suoi stessi corsi, era una ragazza francese che aveva invitato lei e alcune altre ragazze del corso per un weekend a Parigi, nell’albergo di lusso del padre, in pieno centro, con vista Torre Eiffel.
In quel momento stavano proprio tornando in hotel dopo una bellissima serata tutte insieme. Avevano cenato al ristorante e poi erano andate a ballare.
In piena notte Parigi era meravigliosa, forse ancor più che di giorno. Le luci, la tranquillità… l’atmosfera sembrava magica.
“El… he’s here!” le sussurrò una delle sue amiche, prendendola per un braccio.
“What are you talking about?” chiese Eleonora, aggrottando le sopracciglia.
Si guardò intorno e poi finalmente lo vide.
Edoardo era appoggiato al muro accanto all’ingresso dell’albergo, stretto nel suo cappotto, tremante di freddo. Il portiere lo guardava con un sorriso pietoso. Probabilmente la stava aspettando da ore.
Le amiche la guardarono e non riuscirono a trattenere le risatine. Tutte sapevano chi era Edoardo. Non era riuscita a nascondere i suoi sentimenti nelle ultime settimane e le ragazze avevano insistito per sapere tutto di lui e della loro storia.
La lasciarono lì imbambolata a fissare il ragazzo, affrettandosi verso le enormi porte a vetri.
Il passaggio del gruppo di amiche attirò l’attenzione di Edoardo, che alzò la testa e le fisso una ad una, ma non ne riconobbe nessuna, finché finalmente non guardò dritto davanti a sé e vide la ragazza che aspettava.
Il viso di Edo si illuminò. Raddrizzò la schiena staccandosi dal muro, senza togliere le mani dalle tasche, e fece qualche faticoso passo in avanti, ancora intorpidito dal freddo.
Ecco, era il suo momento. Doveva dirle che l’amava.
La bellezza di Eleonora lo lasciò come sempre senza fiato, e quando la vide sorridere, sorrise anche lui.
Erano ancora lontani, lei non si muoveva, e anche lui si sentiva pietrificato, ma avrebbe urlato quello che aveva da dirle, se necessario.
Non ce ne fu bisogno.
Eleonora cominciò a correre, finché non lo raggiunse e gli gettò le braccia al collo, sollevandosi sulle punte dei piedi.
Edoardo la strinse fortissimo mentre Ele posava le labbra sulle sue e lo baciava, e poi spostava quel bacio con foga su qualsiasi centimetro della sua faccia e infine tornava alla bocca.
“Ti amo” provò a dirle Edo, con una leggera risata, inebriato da quel momento.
Lei fu colta alla sprovvista e si allontanò un poco. “Cosa?” chiese, col viso stravolto e il rossetto rosso completamente sbavato, che adesso era tutto sul viso di Edoardo.
“Ti amo” ripeté il ragazzo. “Lo so che era questione di giorni e poi avrei potuto dirtelo a Roma, ma mi hai reso un uomo disperato.”
Ele affondò il viso nel collo del ragazzo e si tennero stretti a lungo.
“Resti con me?” sussurrò la ragazza.
“Tutto il tempo che vuoi” rispose Edoardo, baciandola.

Fine capitolo settantanove

(Domani pubblicherò l'ultimo capitolo... sono già triste :( mi mancherà questa fanfiction)
 

Ritorna all'indice


Capitolo 80
*** Atlantico ***


Capitolo ottanta
Atlantico
10 marzo
 
Filippo già da parecchio aveva smesso di controllare il cellulare. Ormai erano passate più di ventiquattro ore dalla partenza di Edoardo e ancora non aveva ricevuto aggiornamenti né da lui né da Eleonora. Poteva solo sperare che fossero troppo impegnati a scopare per pensare a lui.
Stava controllando alcune stampe del suo progetto. Aveva disposto tutte le foto sul letto e almeno la metà erano con Elia, di quella volta che gli aveva fatto da modello al parco e sul tetto.
Come se non bastasse, in quel momento dalle casse del portatile, su cui era aperto Spotify, partirono delle note familiari.
Riconobbe subito la canzone, era quella di Mengoni che Elia gli aveva cantato quella sera alla gay street.
Nonostante la malinconia che si portava dentro, non poté fare a meno di sorridere.
Non so ma ho come ho come l’impressione
Non so ma ho come ho come l’impressione
che per scappare da tutto bisogna farlo insieme
e dire adesso mi butto dentro un mare di bene
In fondo era proprio quello che Filippo aveva cercato di fare da anni: scappare. Da cosa? Dalla sofferenza. E con quale risultato? Forse non aveva sofferto più, ma non era mai stato veramente felice. Forse stava solo aspettando la persona giusta che volesse scappare con lui?
disinfettare col sale ogni ferita ogni male
ed asciugarci col sole a noi basta l’amore
La paura che qualcuno potesse di nuovo spezzargli il cuore era tanta, e non sapeva se era in grado di reggere un’altra delusione, ma se non si fosse abbandonato ai suoi sentimenti non lo avrebbe mai scoperto. Eleonora aveva ragione, lui non era più il ragazzino insicuro e ferito di un tempo, le cose stavolta sarebbero state diverse.
puoi nuotare fino ad un’isola deserta con me
e attraverso l’Atlantico solo per stare con te
Doveva smetterla di aspettare che le cose andassero a posto da sole, doveva lottare per quello che voleva, per Elia. Filo aveva insegnato a Martino ad essere orgoglioso di se stesso, adesso era giunto il momento che Filippo imparasse da Marti a lottare per la persona che amava.
Fuori c’è una tempesta ed ho solo te in testa
solo tu mi fai stare bene e mi riporti la quiete
Negli ultimi anni nessuno prima di Elia lo aveva fatto sentire così. Quando era con lui si sentiva bene, al sicuro, tranquillo, si divertiva. E ne voleva sempre di più. Anche solo un messaggio da parte di quel ragazzo lo faceva sorridere e gli riempiva il cuore.
Valeva la pena lottare per tutto questo, anche se avrebbe significato soffrire di nuovo.
Prese il telefono che aveva abbandonato da almeno un’ora per evitare distrazioni mentre lavorava, e trovò dei messaggi da parte di Martino. Non li lesse e cercò Elia in rubrica.
Telefonò, ma non ottenne nessuna risposta.
Riprovò. Niente.
Controllò le chat.
Marti: Stasera viene un po’ di gente a casa, pizza e film. Ti unisci a noi?
Marti: Filoooo rispondiiii devo sapere quanta birra prendere
Marti: Vabbè facciamo che vieni, ti aspettiamo hahaha
Filippo scosse la testa e rise, poi lo chiamò.
“Ei che succede? Perché non mi hai risposto?” gli disse subito Martino.
“Ho letto adesso. Senti ma stasera da te c’è anche Elia?”
Pausa.
“Ha detto di no, che non gli andava tanto di vedere gente” rispose infine Marti. “È successo qualcosa? C’entri qualcosa tu?”
“Non lo so. Sai dove può essere? A casa del padre?”
“Ha detto che avrebbe fatto un giro per conto suo, non gli piace stare chiuso in casa quando è di cattivo umore. Filo ma lui sta bene? Gli hai detto qualcosa?”
“Sì, starà bene. Anzi, fa’ ‘na cosa… ordina la pizza pure per noi due. Arriviamo.”
 
Il sole non era tramontato da molto e il Colosseo era stranamente vuoto di turisti. Filippo passò tra i pochi rimasti senza neppure guardarli, con decisione e a passo svelto. Aveva una meta precisa in mente e non si sarebbe fermato finché non ci fosse arrivato.
Aveva provato e riprovato a chiamare Elia durante tutto il tragitto, ma non aveva mai ricevuto risposta.
Fece il giro intorno all’imponente edificio, allontanandosi sempre di più dalla zona turistica e ritrovandosi sul retro, dove i lampioni erano solo sulla strada, lontani.
Nonostante questo, lo vide subito. Se ne stava appoggiato alle mura di fronte al Colosseo, mani in tasca e un’aria da dannato che fece sorridere Filo. Sembrava completamente perso nei propri pensieri.
Ci mise parecchio ad accorgersi che il ragazzo che si stava avvicinando silenziosamente non era un semplice turista curioso ma Filippo, talmente tanto che ormai erano a pochi metri di distanza.
Un’espressione sorpresa si dipinse sul volto di Elia.
“Cosa ci fai qui?” domandò.
Filo sorrise. “Attraverso l’Atlantico solo per stare con te…” rispose, canticchiando leggermente, e si pentì subito di quella stupidata. Sentì il viso andargli in fiamme, ma mentre distoglieva gli occhi, imbarazzato, si accorse del sorriso di Elia, e allora fu incoraggiato a reggere il suo sguardo.
Ormai erano vicinissimi, ma Elia nonostante il sorriso continuava a stare in silenzio.
“Come va con quella ragazza?” chiese allora Filippo.
Ancora silenzio.
Filo sospirò. “Dico davvero” disse.
“Che intendi?” Elia aveva il cuore in gola. L’ultima cosa che si aspettava era veder spuntare Filippo quella sera.
“La canzone” spiegò Filo. “Stare con te.”
“Vuoi… vuoi stare con me?”
L’altro annuì.
“In che modo?” domandò Elia con tono di voce duro, quasi arrabbiato.
Ben mi sta, pensò Filippo.
“Senti… io lo so che è colpa mia quello che è successo tra di noi e so anche quello che ti ho sempre detto da quando ci siamo conosciuti, ma le cose non sono più così. Da quando noi abbiamo iniziato a vederci io non sono stato con nessun altro. E non perché mi è mancata l’occasione. Sono merce richiesta, sai” tentò di sdrammatizzare quel momento, in cui si sentiva terribilmente nervoso.
Elia gli sorrise, col cuore che batteva a mille, troppo spaventato per illudersi che Filippo stesse per dirgli proprio quello che voleva sentirsi dire.
Filo continuò il suo discorso. “L’unico motivo è che pensavo solo a te. Volevo solo te. E prima che arrivassi tu, sai come funzionava per me? Entravo in un bar, rimorchiavo, scopavo col ragazzo di turno e finiva là.” Sorrise amaramente. “Se erano particolarmente bravi, ci scopavo pure un altro paio di volte” si strinse nelle spalle. “Ma poi comunque basta. Non me li portavo in giro a scattare foto solo per avere la loro compagnia e per strappargli un bacio ogni tanto.”
Per l’ennesima volta, Elia fraintese quello che Filippo stava cercando di dirgli. “Mi stai dicendo che se quella sera avessimo scopato, poi mi avresti mollato subito dopo?”
“Cosa???” Filippo si avvicinò a lui ancora di più. “Ma mi stai ascoltando?” Sollevò una mano e gli accarezzò dolcemente una guancia. “Sto dicendo che tu per me sei stato diverso dagli altri dal momento in cui ti ho conosciuto.”
Elia fece un passo indietro per sottrarsi al contatto con la mano di Filo.
“Ma allora perché mi hai sempre trattato come se io per te non valessi niente?”
“È proprio questo il punto, non ti ho mai trattato come se per me tu non valessi niente!”
Era vero. Elia si era sempre sentito speciale ed era per questo che ci aveva sperato fino all’ultimo. “Ok, ma comunque non è quello che dicevi. Mi hai sempre dett-”
“Perché sono terrorizzato!” esclamò Filippo, con voce rotta. “L’ultima volta che mi sono permesso di amare un ragazzo, mi ha ferito così tanto che mi stavo lasciando morire. Non voglio che mi succeda mai più una cosa del genere.”
“Ma allora perché sei qui, adesso?” Elia fece addirittura un altro passo indietro. “Sai benissimo che non posso prometterti che non ti farò mai del male. Non posso giurarti sulla mia vita che non ti lascerò mai o che mi comporterò sempre come il fidanzato migliore del mondo, nessuno può promettere cose del genere.” Distolse lo sguardo e cercò di ricacciare indietro le lacrime prima di guardarlo di nuovo negli occhi. “Queste cose le sai benissimo, no? Allora perché sei qui? Solo per sbattermi in faccia quello che potrebbe esserci tra di noi, ma che non succederà mai?”
“No” mormorò Filippo. “Sono qua perché anche se sono terrorizzato all’idea che potrai ferirmi… sono ancora più spaventato all’idea che non lo scoprirò mai.” Gli sorrise. “Perché mi sono innamorato di te.”
Elia rimase senza parole.
“Ti amo” disse di nuovo Filippo. “Hai capito?” continuò a sorridere. “Non mi importa se stai uscendo con quella ragazza. Sono qui perché voglio stare con te. Voglio lottare per te. Voglio riconquistarti.”
Elia fece qualche passo in avanti e si avvicinò di nuovo a Filo. Si guardarono negli occhi.
“Ti odio per averci messo così tanto” mormorò Elia.
“Mi odio anche io per lo stesso mot-”
Elia lo interruppe con un bacio. Fu un po’ come se fosse un primo bacio, perché era la prima volta che entrambi volevano la stessa cosa e provavano gli stessi sentimenti. Senza badare a tutto ciò che li circondava si persero completamente in quel momento, accarezzandosi in viso e abbracciandosi.
Quando le loro labbra si separarono, Filippo appoggiò la fronte su quella di Elia, mentre entrambi tenevano ancora gli occhi chiusi.
“Questo vuol dire che mi perdoni?” sussurrò.
“Sì” rispose Elia. “E vuol dire che anche io sono innamorato di te e che voglio stare con te e anche che questo è il momento più bello della mia vita.”
Filippo rise. “Mi dispiace rovinarlo, allora, ma siamo attesi altrove.”
“Cioè?” chiese Elia, confuso.
 
“Usa il sottobicchiere!” strillò Sana a Giovanni. Mamma Rametta le aveva detto che si fidava solo di lei e l’aveva lasciata al comando di quella serata, mentre lei invece usciva con Spera. E Sana stava prendendo il compito seriamente.
“Frequento questa casa da una vita, so che devo usare il sottobicchiere” borbottò Gio, anche se lui e Marti non li usavano mai, quei maledetti sottobicchieri. Con molta delicatezza posò la bottiglia di birra al posto giusto. “Contenta?” domandò.
Sana fece una smorfia di disapprovazione per quell’atteggiamento, ma Giovanni le diede una spallata amichevole per farla sorridere, e ci riuscì.
Erano tutti seduti per terra, tranne Nico, che stava stravaccato sul divano.
“Questo l’ho già visto” disse Eva. “Anche questo. E anche questo.”
“Ma li hai visti tutti???” esclamò Silvia, che stava scorrendo la home di Netflix con il telecomando.
“Questo l’ho visto anche io” disse Luchino.
“Non troveremo mai un film che nessuno di noi ha visto, regà!” rise Niccolò.
“Non c’è qualcosa che è uscito in questi giorni?” urlò Federica dall’angolo cucina. Lei e Martino stavano tagliando le pizze e riempiendo le ciotole di popcorn.
“Una commedia” rispose a voce alta Eva, per farsi sentire.
“Con Liam Hemsworth!” esclamò Silvia. “Sì, per me possiamo guardare questo.”
“Con Liam Hemsworth uh uh uh” le fece il verso Luchino, mettendo il muso. Silvia rise e lo baciò.
“Se c’è Liam Hemsworth voglio guardarlo anche io” disse Nico.
“Il prossimo che nomina Liam Hemsworth viene sbattuto fuori di casa” minacciò Martino, guardando torvo Niccolò, che nel frattempo se la rideva.
Marti e Fede stavano finalmente consegnando a tutti le pizze. Dopodiché raggiunsero Nico sul divano. Martino si era appena accoccolato contro un fianco del suo ragazzo quando suonarono il campanello.
I quattro Contrabbandieri si scambiarono uno sguardo.
“Elia?” ipotizzò Luchino con un filo di voce.
“Non lo so…” rispose Gio.
Martino fece per alzarsi ma Sana gli fece cenno di stare comodo.
“Vado io” disse, perché era la più vicina alla porta.
 
Martino ci stava mettendo una vita per andare ad aprire, e i due innamorati non riuscirono a resistere e si scambiarono un altro bacio lì, sul pianerottolo, tenendosi per mano, così quando la porta si aprì fu quello lo spettacolo che si ritrovò davanti Sana, e anche tutti gli altri, che sporgevano le teste per sbirciare.
La ragazza rise. “Buonasera.”
Elia e Filippo sorrisero imbarazzati.
“Ciao” esclamarono in coro.
Sana si spostò per lasciarli passare, decisamente sorpresa per quella svolta inaspettata.
Quando i nuovi arrivati entrarono in casa, tutti si alzarono per andare a salutarli e abbracciarli. Nessuno fece commenti sul fatto che fossero insieme, nemmeno le ragazze, che erano completamente all’oscuro di tutta la loro storia, ma dai loro sorrisi si capiva che erano tutti contenti.
Mentre prendevano posto sul tappeto insieme agli altri, Filippo estrasse il cellulare dalla tasca per controllare i messaggi, e finalmente ne trovò un paio da parte di Eleonora.
Aprì la chat e la prima cosa che vide fu una fotografia. Era un selfie scattato con la Torre Eiffel sullo sfondo, al tramonto, dove Ele baciava la guancia di un sorridente Edoardo. Sotto, un messaggio che diceva: Thanks, bro. I love you.
Filippo sorrise e si guardò intorno. I suoi amici ridevano, scherzavano, erano sereni. Elia gli strinse la mano e lui ricambiò la stretta, poi scattò una foto alle loro mani intrecciate e la mandò alla sorella.
 
Ognuno di loro sapeva che non sarebbe stato sempre tutto così bello e così tranquillo, ma per il momento lo era, quindi misero da parte le preoccupazioni e trascorsero una serata meravigliosa.
E alla fine guardarono il nuovo film con Liam Hemsworth.

Fine capitolo ottanta

Fine.

(Questa fanfiction è iniziata con Elia e Filippo e quindi mi andava di chiudere con Elia e Filippo, ma alla fine ci sono tutti perché non potevo non metterli tutti, li adoro indistintamente.
Mi dispiace di aver dato un po’ più spazio ai Contrabbandieri rispetto alle ragazze ma in fondo questa storia serviva a me (e spero anche a voi) a placare la nostalgia, e le ragazze le stiamo per vedere nella nuova stagione mentre i ragazzi chissà se li rivedremo mai dal punto di vista di uno di loro.
Ci tengo a ringraziare tantissimo tutti quelli che hanno letto, seguito e soprattutto commentato questi ottanta capitoli. Ogni parola che mi avete scritto è stata preziosa e super incoraggiante nel continuare e l’ho apprezzata tantissimo. Grazie! Mi sembra ancora incredibile essere riuscita a rispettare la pubblicazione ogni giorno. Grazie a voi che siete arrivati con me fino alla fine. Fatemi sapere se vi piacerebbe leggere qualche altra cosa prossimamente, magari qualche one-shot. Sono sicura che mi mancherà scrivere di questi personaggi, ormai ci sono affezionata.
Spero che questo lungo viaggio vi sia piaciuto quanto è piaciuto a me. Alla prossima! <3)

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3812684