E.T. – Führ mich ans Licht

di La_Sakura
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


ET - Capitolo 1

Where in the world

Can my lover be?

Where in this wonderful world

Is there someone for me?

 

Julia si tirò dietro la blindata dell’appartamento e, dopo aver chiuso con quattro mandate, si diresse velocemente verso le scale, scendendole in fretta. Il ticchettio delle scarpe col tacco risuonava lungo i corridoi.

I vicini non ne saranno entusiasti… pensò storcendo leggermente le labbra. D’altronde non poteva fare altrimenti, quel giorno si sarebbe svolto il CdA dell’azienda per cui lavorava e aveva bisogno di essere “in ordine”.

Quando finalmente uscì di casa e si diresse verso la macchina estraendo le chiavi dalla lussuosa Louis Vuitton, per poco non le venne uno scompenso: appoggiato alla sua fiammante Fiat 500 rossa c’era qualcuno. Qualcuno che le sorrise.

«Buongiorno!»

«Buongiorno…» rispose lei, schermandosi lo sguardo con gli occhiali da sole.

«Ho bisogno di un passaggio…»

«E ti sei preso la briga di venir fin qui a piedi per scroccare un passaggio fino al lavoro?»

«A dir la verità ero da queste parti… a piedi… e beh, mi sei subito venuta in mente tu…»

«Sali in macchina Genzo, e smettila di dire stupidaggini. Non ho tempo da perdere.»

«Sei sempre così gentile?»

«Solo quando rischio di fare tardi al CdA dell’azienda per cui lavoro, e tu dovresti essere preoccupato tanto quanto me, se non di più! Spero che tu non abbia intenzione di presentarti vestito così!»

Mentre Julia si immetteva nel traffico, Genzo si controllò gli abiti: in effetti indossava ancora i jeans della sera precedente e la polo era tutta stropicciata.

«Farò una doccia nel bagno che mi sono fatto costruire in ufficio. – disse sornione – Ordine del giorno?»

La ragazza sbuffò e gli indicò la borsetta appoggiata sul sedile posteriore:

«È tutto lì dentro, se vuoi darci un’occhiata. Faresti meglio anche a farti la barba, sembri un senzatetto…»

«Mi piace così, mi dà un’aria più vissuta.» fu il commento del nipponico mentre si controllava il volto nello specchietto del parasole.

Julia sospirò, mentre varcava il cancello automatico salutando il custode. Gli edifici della Wakabayashi Corp. Deutschlands si stagliarono davanti a loro: la sede tedesca della ditta era a 3 piani, composta prevalentemente da enormi vetrate specchiate e oscurate.

L’ingresso ai garage, direttamente sotto la struttura, era introdotto da un’altra sbarra automatica regolata con le targhe delle automobili che avevano il permesso di entrare, e dava su una rampa semicircolare. Julia la percorse a velocità ridotta, fino al posto a lei riservato, accanto a quello del Direttore Generale.

«Ancora non ho capito perché tu parcheggi qui mentre io parcheggio più lontano…» mormorò Genzo, chiudendo la portiera dell’auto.

«Perché io lavoro tutti i giorni, tu vieni saltuariamente, e sei anche uno sportivo, quindi puoi permetterti di fare due passi!»

«Sì, ma inizio ad avere una certa età… »

Julia non riuscì a trattenere un sorriso divertito mentre si dirigeva verso l’ascensore, sempre seguita dal ragazzo.

«Ti senti vecchio?»

«Quest’anno sono trenta.»

Le porte dell’ascensore si aprirono, e Julia e Genzo si diressero verso la reception.

«Buongiorno, Judith;  Herr Wakabayashi è già arrivato?»

«Buongiorno, Fräulein Wagner; La aspetta nel suo ufficio per un briefing. Buongiorno anche a Lei.» aggiunse poi, rivolta a Genzo.

Il ragazzo la salutò con un cenno, e continuò a seguire Julia: entrarono insieme dopo che dall’interno sentirono il perentorio «Avanti!» di Wakabayashi Senior.

«Ah, ben arrivati, vi stavo aspettando! Julia, è tutto pronto?»

«Assolutamente, Herr Wakabayashi. Ecco il dossier che mi ha richiesto.»

Estrasse dalla borsa un plico di fogli a caratteri minuscoli, che il padre di Genzo scrutò velocemente.

«Ottimo lavoro. Direi che siamo pronti. O quasi…» aggiunse poi, notando l’abbigliamento del figlio.

«Oh, non far caso a me, papà, sarò splendente per il tuo CdA.»

«Il nostro CdA.» lo corresse il padre.

«Vado a prepararmi mentre voi definite gli ultimi dettagli. A dopo. – si alzò e si diresse verso la porta – Ah, e grazie del passaggio, Julia.»

Wakabayashi senior osservò la ragazza, sua assistente personale da circa otto anni, e non poté fare a meno di sorridere divertito.

«Quindi Genzo era a piedi e tutto stropicciato perché…»

«Perché ha passato la notte da qualche parte vicino a casa mia, probabilmente da qualche sua groupie.» mise subito in chiaro la ragazza, senza alzare lo sguardo dai documenti. Il padre di Genzo sospirò, cercando di non farsi notare, e si sedette di fronte a lei, concentrandosi sui documenti della riunione.

 

Genzo entrò che era già tutto cominciato, ma almeno ora aveva un aspetto più decente e curato. Suo padre stava illustrando, grazie a un grafico, l’andamento degli ultimi sei mesi delle vendite e degli acquisti della Wakabayashi Corp. Deutschlands. L’assistente, accanto a lui, monitorava costantemente le reazioni dei presenti, senza ovviamente farsi notare, ma Genzo sapeva bene che il padre voleva essere tenuto al corrente di ogni movimento facciale dei suoi azionisti per annotare eventuali malumori.

«In conclusione, possiamo dichiararci soddisfatti, perché nonostante la crisi che ha investito il mondo occidentale, siamo ancora sulla cosiddetta “cresta dell’onda”, grazie a qualche piccolo accorgimento riguardante spese e sprechi vari.»

«Sì… – intervenne Herr Hagner, picchiettando l’indice sul tavolo in maniera svogliata – ma vogliamo parlare di quello che sta succedendo alla Nihon no Wakabayashi Corp.? Mi sembra che questo punto non sia presente all’ordine del giorno…»

Wakabayashi cercò di trattenere la stizza e inspirò profondamente, tentando di formulare la risposta migliore.

«Vede, Herr Hagner… – cominciò, andando a sedersi sulla poltrona presidenziale – il fatto che la situazione della Nihon no Wakabayashi Corp. non sia sull’ordine del giorno è dovuto al fatto che, se non se ne fosse accorto, ci troviamo in Germania… – alcuni dei soci ridacchiarono – Discuterò della situazione della filiale giapponese durante il mio prossimo viaggio; se è così interessato può venire con me.»

Herr Hagner socchiuse gli occhi con aria di sfida e continuò col suo discorso.

«Il fatto che la sede principale di tutta questa azienda sia in difficoltà non è di buon auspicio.»

«Le holding dislocate nei vari paesi sono sì attaccate alla sede madre, ma sono comunque autonome. Non dovrebbe essere preoccupato per la nostra sorte…»

«Divento molto preoccupato, Herr Wakabayashi, quando si tratta di un investimento. E nella sua azienda ho investito parecchio tempo e denaro!»

«Se posso permettermi, Herr Hagner – Julia si alzò e iniziò a distribuire dossier ai presenti – vorrei appunto illustrare l’andamento azionario dell’ultimo periodo della sede nipponica, onde allontanare qualsivoglia dubbio possa insorgere sulla solidità aziendale.»

Herr Hagner fu visibilmente contrariato nel notare che l’assistente personale di Herr Wakabayashi aveva ragione, ma fu ancora più contrariato dall’intervento del giovane Wakabayashi che ne seguì.

«Va da sé, che chi non è contento dell’andamento aziendale, può sempre uscire dal CdA. Lei non ha fiducia nel futuro, Herr Hagner?»

L’uomo digrignò i denti, ingoiò il rospo e appoggiò il dossier sul tavolo, fissando i presenti con aria fintamente soddisfatta.

«Ho piena fiducia nella Wakabayashi Corp. Deutschlands, altrimenti non sarei qui.»

«Bene, se non ci sono altri punti da discutere, io direi che possiamo andare a pranzo.»

 

«Ottimo lavoro, Julia. Rimango ogni giorno più stupito dal tuo operato.»

«Ho solo fatto il mio dovere.»

«Hai fatto molto di più, come sempre del resto. Mio padre fa proprio bene a fidarsi così tanto di te.»

«Mi auguro che la stima che Herr Wakabayashi nutre nei miei confronti non sia malriposta.»

Genzo si voltò verso di lei e la fissò serio.

«Julia, non scherziamo: mio padre teme come la peste il giorno in cui ti stancherai e deciderai di cambiare azienda, e lo sai. Hai dimostrato in più di un’occasione di valere molto, sia a livello professionale che umano e noi tutti qui siamo felici di averti con noi.»

L’assistente rimase colpita da quelle parole e fissò il ragazzo con aria perplessa: Genzo aveva sempre dimostrato di apprezzare il suo lavoro, ma non si era mai lanciato in osservazioni così aperte e dirette, non era da lui. Arrossì leggermente, premendo il pulsante del piano della mensa. Appena arrivata, si diresse a prendere il vassoio senza guardarsi intorno, e scrutò annoiata l’offerta di cibo esposta sul bancone. Alla fine optò per una porzione di lasagne alle verdure e una coca light. Dopo aver pagato con il tesserino aziendale, si diresse verso il tavolo dove era solita pranzare con Martha.

La ragazza la raggiunse poco dopo, avvolta nel suo classico completo gessato da receptionist della Wakacorp.

«Oggi niente dieta?» ridacchiò Julia, notando il pasto dell’amica – schnitzel e patatine fritte.

«Ho un assoluto bisogno di cibo-spazzatura! Stamattina è stato un inferno!»

«Per via del CdA?»

«Non solo: devo organizzare la festa di carnevale, e non ho la più pallida idea di cosa fare!»

«Grande, Frau Wakabayashi l’ha assegnata a te?»

«Sì, ma ti assicuro che non so se gioire o disperarmi…»

«Vedrai che troverai qualcosa, e organizzerai una festa sensazionale.»

«Mmh, vedremo… Senti, gira voce che stamattina ti sia presentata in azienda con lui.»

«Me lo sono trovato sotto casa, avrà passato la notte da una delle sue donnacce e gli serviva un passaggio.»

«”Donnacce”?»

«Definirle “puttane” sarebbe troppo esagerato, queste sono persone che sperano di incastrarlo per farsi mantenere a vita. Spero per lui che sia abbastanza intelligente da usare ogni tipo di precauzione.»

«Uh, parli del diavolo...»

La presenza di Genzo in azienda non passava inosservata: alto (nonostante le origini asiatiche), fisico atletico, sguardo tenebroso e perennemente serio, quasi imbronciato. Normalmente si presentava in tuta e scarpe da ginnastica, quel giorno invece il pantalone elegante nero e la camicia grigio chiaro lo rendevano ancor più affascinante. Si diresse senza esitazioni verso il tavolo dove Julia e Martha stavano pranzando, e noncurante del fatto che probabilmente aveva interrotto una conversazione privata, puntò le mani sul tavolo e fissò l’assistente dritto in volto.

«Mio padre ci vuole nel suo ufficio.»

Herr Wakabayashi necessitava del loro intervento per qualche questione urgente, a quanto pareva, ma lei non si lasciò intimorire: non era niente che non avrebbe potuto aspettare la fine del suo sacrosanto pranzo.

«D’accordo, finisco qui e…»

«Non hai capito – la interruppe subito il calciatore – Ora! Immediatamente! Subito!»

Senza scomporsi, Julia lo fissò alzando un sopracciglio, quindi tornò a concentrarsi sul suo piatto e continuò a mangiare, fino a che non terminò le lasagne, sotto lo sguardo irritato di Genzo e divertito di Martha.

«Ora possiamo andare. – disse poi, pulendosi la bocca con l’angolo del tovagliolo –Martha, ci pensi tu al vassoio, per favore?»

«Vai pure, ci vediamo stasera. Ti aspetto, ok?»

Julia le fece l’occhiolino e seguì Genzo verso l’ufficio del padre. Il ticchettio dei tacchi risuonava nei corridoi momentaneamente vuoti per via della pausa pranzo. Genzo precedeva di qualche passo la giovane, ma la fece entrare per prima nell’ufficio.

«Ah, ragazzi, molto bene. Accomodatevi. Julia, hai pranzato vero?»

«Sì, Herr Wakabayashi, non si preoccupi.» rispose sedendosi sulla poltrona indicatale dal titolare e accavallando le gambe. Nel farlo, lanciò un’occhiata divertita a Genzo come a voler dire “Te l’avevo detto”. Il ragazzo finse di non cogliere e prese posto accanto a lei, osservando il padre avvicinarsi al mobiletto degli alcolici.

«Ragazzi, sono fiero di voi. Genzo, la tua presenza nei CdA sta facendo capire che direzione abbiamo intenzione di prendere, e tu, Julia, beh…» si avvicinò e porse loro un bicchiere contenente un liquido ambrato.

«Non sono un’estimatrice di brandy, Herr Wakabayashi.» Julia annusò il contenuto del bicchiere storcendo lievemente il naso.

«Oh, solo per un brindisi, cara. Vorrei brindare a noi. A noi e a voi. Finalmente siete usciti allo scoperto.»

Julia dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non sputare il brandy che stava cercando di sorseggiare finemente. Herr Wakabayashi continuò imperterrito, parve non notare nemmeno la défaillance della ragazza.

«Con voi due al comando, posso lasciarvi il timone dell’azienda e…»

«Frena! – lo interruppe Genzo, che aveva bevuto il suo brandy tutto d’un fiato – Non ho nessuna intenzione di smettere col calcio. Ho ancora qualche anno da sfruttare.»

«So bene quanto conti per te questo… sport – non poté celare il disprezzo nel pronunciare quella parola – ma io ormai non sono più in grado di seguire le varie filiali. Il jet lag non lo digerisco più tanto bene.»

«Herr Wakabayashi – anche Julia aveva seccato il liquore tutto d’un fiato, più per darsi coraggio che per altro – credo che Lei abbia frainteso la situazione di stamattina…»

«Dettagli. – liquidò l’intervento della segretaria con un gesto della mano – Ad ogni modo, l’appunto di Herr Hagner non era totalmente sbagliato, dovremo organizzare un sopralluogo in Giappone, ma ne parleremo più avanti. Ora potete andare.»

Appena furono fuori dall’ufficio, Julia diede uno scappellotto a Genzo.

«Ahi!»

«Te lo meriti! Non hai nemmeno smentito le parole di tuo padre!»

«Beh, che c’è di male! Se credere che io e te abbiamo una relazione lo rende felice, perché dovrei smentire!»

«Perché non è la verità!»

«Andiamo, che fastidio ti dà! E poi che ne sai che un giorno non ci fidanziamo veramente?»

Julia sollevò un sopracciglio e osservò il ragazzo: fece per dire qualcosa, ma preferì trattenersi. Gli voltò le spalle e si diresse verso il proprio ufficio, sospirando.

§§§

 

 


 

 

Bentrovata, gente!! Sono così emozionata per la pubblicazione di questa fanfiction. Perché? Ma ve lo spiego subito!!

Succede che un giorno cambi vita. Basta ritmi sfrenati, basta ore e ore di macchina per raggiungere l’ufficio. E ti ritrovi con molto, molto, MOLTO tempo libero XD

E quindi che fai, non riprendi in mano una storia che è dal 2012 che ti ronza in testa? No, diciamo la verità: è stata scritta quasi tutta nel 2013, circa… poi la Real Life ha preso il sopravvento ed è finita in un cassetto, nella classica sottocartella di una cartella di una cartella in una cartella del PC XD

Ci sono due persone nello specifico, a parte tutti voi che mi state dando fiducia, che devo ringraziare dal profondo del cuore, e sono OnlyHope e Melanto. La prima perché ripetutamente, negli anni, mi ha lanciato segnali per farmi capire che dovevo riprendere in mano E.T.; la seconda, beh, quante persone conoscete che betano una storia, dandoti consigli importanti, e a distanza di anni la ri-betano nuovamente? XD

Che altro devo dirvi? Ah, sì!

Le canzoni da cui prende spunto il titolo sono due:

la principale è “E.T.” di Katy Perry, più precisamente la versione con Kanye West (infatti è proprio in quel video che si sente l’incipit che ho messo all’inizio). Per tutta la durata della storia, questa canzone mi ha martellato in testa, e vi assicuro che le citazioni che trovate in giro (volontarie e non) NON sono casuali per niente. Praticamente è la canzone che mi ha dato la storia! In quel periodo ero particolarmente intrippata con questa cantante, e adesso che sono andata a un suo concerto (2 giugno 2018, Unipol Arena di Bologna… uno spettacolo!!) non potevo di certi esimermi dal finire questa long-fic.

La seconda è una canzone tedesca che ho beccato girovagando per il web (non vi sto a raccontare i voli pindarici che mi hanno portato a trovarla LOL), e mi sono subito innamorata del testo (la trovate qui se volete ascoltarla.) Lo so cosa state pensando: la musica tedesca non è nelle vostre corde. E soprattutto: la musica tedesca vi ricorda immediatamente i Rammstein *ride* va bene, non ne farò una tragedia… capisco di essere un caso patologico LOL.

Beh, questo è quanto, per ora. Spero che possiate amare questa storia come l’ho amata io… ah, un appunto: per favore… leggete i nomi alla tedesca XD si chiama Julia, si pronuncia “iulia”, la J si legge come una “i” in tedesco.

Grazie per il vostro tempo

Enjoy

Sakura chan

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


ET - Capitolo 1

Arrivata a casa, gettare la borsa sul divano e fiondarsi in bagno per riempire la vasca di acqua bollente e oli essenziali fu un tutt’uno. Indossando un accappatoio e raccogliendosi i capelli in una crocchia disordinata, tornò in salotto per prendere un cd di musica “chill out” e per grattare la testa a Romeo, accoccolato sul divano. Il felino emise un mugolio di piacere e sollevò il capo, mantenendo gli occhi chiusi, per seguire la mano della padrona che si allontanava da lui.

Prese il cellulare dalla borsa e lo portò con sé in bagno, per evitare di doversi alzare di scatto nel caso qualcuno l’avesse cercata, quindi tornò nella stanza piena di vapore acqueo, fece partire il cd nel lettore, si tolse l’accappatoio, chiuse il rubinetto ed entrò. Il contatto con l’acqua bollente la fece sobbalzare, ma appena finì di introdursi all’interno della vasca, gli oli essenziali la aiutarono a sciogliere la tensione della giornata e le impedirono di pensare che sì, in effetti era estremamente calda.

Ripensò alla giornata lavorativa appena trascorsa, il CdA era stato soddisfacente, nonostante le obiezioni mosse da Herr Hagner, e la stima che Herr Wakabayashi nutriva per lei aumentava di giorno in giorno, e faceva sì che lei ci mettesse anima e corpo in quel lavoro che era arrivato così, per caso, otto anni prima.

Chiuse gli occhi e appoggiò la testa al bordo della vasca, godendo del tepore dell’acqua, e ritornò con la mente al giorno del suo colloquio alla Wakabayashi Corp. Deutschlands: quel giorno decisamente la sua vita aveva iniziato a cambiare.

 

«Sei sicura che sia una buona idea?»

«Perché no? – la spronò Julia – In fondo è una festa di carnevale. A me come tema sembra ottimo.»

Martha giocherellò col cibo nel piatto per qualche istante, poi alzò lo sguardo verso Julia.

«Ho paura di fare brutta figura… Frau Wakabayashi è molto esigente e…»

«Martha, le feste di carnevale devono essere estrose. Secondo me la tua idea è valida, non è mai stato proposto un tema del genere, però ci sta. Spero solo che Magda quest’anno eviti di “farsi notare”…»

La receptionist ridacchiò ricordando quando, l’anno precedente, Magda Kleber dell’ufficio acquisti aveva iniziato a ballare sul tavolo dei cocktail, e nello scatenarsi ne aveva rovesciato uno sul vestito di Julia.

«Ci ho messo tre mesi per pulire quell’abito…» commentò Julia, scuotendo la testa.

«Stavi benissimo vestita da antica romana…»

«Pensavo preferissi Marcantonio.» sghignazzò Julia. In effetti Martha aveva passato la serata a sbavare dietro a Genzo, vestito da Marcantonio, mentre i signori Wakabayashi rappresentavano Cleopatra e Cesare.

«Ambigua la sua scelta, ma devo ammettere che stava molto bene. Chissà quest’anno cosa sceglierà.»

«Se vuoi vederlo ancora più nudo puoi sempre scegliere “Beach party” come tema della festa!» rispose Julia, e scoppiò a ridere vedendo l’amica arrossire vistosamente.

Finì il suo pranzo, riconsegnò il vassoio e tornò nel suo ufficio per concludere la relazione sul CdA che Herr Wakabayashi le aveva chiesto per quel pomeriggio stesso. L’inverno era nel suo pieno e una leggera neve stava ricoprendo col suo manto il capoluogo bavarese. Si ritrovò a pensare quanto sarebbe stato bello quella sera godersi una bella tazza di cioccolata calda con la panna avvolta nel suo plaid preferito sul divano, in compagnia di un buon libro. Si riscosse dai pensieri e rilesse le ultime righe del paragrafo, ma proprio non riusciva a concentrarsi, la settimana lavorativa era stata particolarmente stancante.

Si guardò intorno, allungando le braccia avanti a sé per stiracchiarle; il suo ufficio era arredato in maniera molto sobria, non era abituata a certi sfarzi: una scrivania in mogano e due poltrone, poste di fronte alla porta d’ingresso ma leggermente spostate verso la parete alla sua sinistra, a ridosso della vetrata, mentre alla sua destra c’era un piccolo mobile anch’esso in mogano, contenente tutti i file e i dossier, accumulati in quegli otto anni di lavoro. Alle sue spalle, il muro bianco era completamente spoglio, se non per una gigantografia di New York al tramonto: sognava di visitare quella città più o meno dall’età di 11 anni, quando per la prima volta aveva avuto una professoressa proveniente dagli Stati Uniti.

Cercò di scuotersi nuovamente, doveva necessariamente terminare la relazione per Herr Wakabayashi, o sarebbe rimasto molto deluso da lei. Rilesse per l’ennesima volta gli appunti, e ricominciò a muovere velocemente le dita sulla tastiera per adattare i concetti buttati giù durante la riunione ad un linguaggio più formale. 

 

Romeo decise che il sonno di Julia era già durato abbastanza e la svegliò in malo modo, balzando sul cuscino e cominciando a miagolarle nell’orecchio. La ragazza aprì un occhio di malavoglia e lo osservò con aria minacciosa:

«Non ti azzardare, immondo ammasso di pelo. È sabato mattina.»

Il felino non si curò delle obiezioni della padrona e le avvicinò il naso al viso, per poi miagolarle di nuovo in pieno volto. Julia sbottò e si alzò dalle coperte, dirigendosi decisa verso la cucina, ben sapendo che cosa voleva il suo “adorato” micio. Riempì la ciotola rossa con i croccantini secchi e la pose a terra sulla tovaglietta plastificata, poi vi pose di fianco la ciotola azzurra e la riempì a sua volta con acqua fresca. Il gatto manifestò l’apprezzamento strusciandosi contro le sue gambe e riempiendola di fusa.

«Sì, sì… ruffiano…» mormorò sbadigliando.

Erano le otto e un quarto, e a dirla tutta non era neanche una levataccia così esagerata.

Si stiracchiò, sollevandosi in punta di piedi, e si diresse in bagno per concedersi una doccia prima di gettarsi sulle faccende di casa. La prospettiva di passare il weekend a pulire l’appartamento non la allettava, ma d’altronde non aveva altra scelta, dato che durante la settimana il tempo da poter dedicare alle pulizie era poco e la voglia era ancora meno. Tornò in cucina in accappatoio e il suo sguardo cadde sul dossier della Nihon no Wakabayashi Corp. che Herr Wakabayashi le aveva dato da studiare. Il capo aveva espresso il desiderio che lei lo accompagnasse al meeting che si sarebbe tenuto a Tokyo di lì a poco, e la cosa la onorava ed elettrizzava allo stesso tempo. Genzo si era dimostrato favorevole alla sua presenza, soprattutto perché, in questo modo, avrebbe potuto concentrarsi sull’amichevole di beneficenza a cui il Giappone partecipava per raccogliere fondi per il terremoto che aveva colpito Haiti. Due piccioni con una fava per il portiere. Mentre per lei, quel viaggio, significava un upgrade non indifferente all’interno della Wakabayashi Corp. Deutschlands. La stima che aveva di lei Herr Wakabayashi, tra l’altro fondata e ben ripagata, aveva raggiunto livelli ineguagliabili. E lei amava il suo lavoro, lo amava dal primo giorno in cui aveva messo piede all’interno dell’edificio. Non era stato facile trasferirsi a Monaco, aveva abbandonato il luogo in cui era cresciuta per crearsi la sua indipendenza e il suo futuro. Sorrise al pensiero del suo arrivo in quella grande città che non conosceva, senza un amico, senza nessuno che la potesse aiutare. Il fatto di avercela fatta da sola, con le proprie forze, la riempiva d’orgoglio.

Si accorse che il cellulare vibrava sul tavolino del salotto e si diresse velocemente a prenderlo: un sms della sua amica Heidi le preannunciava il suo ritorno in città e le chiedeva se avesse programmi per quella sera.

Sorrise ripensando all’amica così non perse tempo e la chiamò:

«Sei già sveglia?»

«Sì, non preoccuparti… sei rientrata?»

«Sono appena arrivata. Il tempo di riposarmi poi sono tutta per te! Non ci vediamo da troppo tempo e mi devi raccontare! Ti va di andare al ristorante giapponese stasera?»

Julia sorrise al pensiero della combinazione ma non disse nulla: avrebbe aggiornato la sua amica quella sera davanti a un bel piatto di hosomaki e uramaki misti.

 

«Un altro brindisi a questa splendida notizia!»

Heidi le riempì nuovamente il bicchiere con la weiss che aveva ordinato per accompagnare la loro cena: sorrise all’amica, bevve un altro sorso di birra, poi posò il bicchiere e la fissò dritta negli occhi:

«Avanti, racconta: hai fatto progressi con J.R.(1)

«Oh Heidi, non ricominciare ti prego. Tra me e Genzo non c’è nulla.» sbuffò, non potendo però fare a meno di sorridere dell’appellativo che l’amica aveva usato.

«Julia, tra te e NESSUN uomo c’è nulla. Te ne stai chiusa in casa, passi le tue giornate al lavoro.»

«Il lavoro mi impegna molto, la sera sono stanca, non ho molta voglia di uscire.»

«E durante i fine settimana?»

«Durante i fine settimana a volte esco con Martha, altre volte me ne sto in casa. Tutto nella norma direi.»

«Eh no, non c’è niente nella norma. Tesoro, perché ti chiudi così?»

«Io sto bene! – calcò sull’ultima parola – Non vi dovete preoccupare per me.»

Heidi voltò lo sguardo verso il kaiten sushi che girava accanto a loro e sospirò.

 

«A dir la verità… anche io devo dirti una cosa…»

Julia sollevò il sopracciglio con aria perplessa e appoggiò il bicchiere col cocktail che stava bevendo. Si erano spostate in un pub in centro, dalle parti della Marienplatz.

Heidi si mosse sulla sedia e iniziò a giocherellare con il sottobicchiere della propria birra. Era nervosa, si vedeva.

«Mi devo preoccupare? Qualche problema con Daniel?»

«No, anzi… – arrossì vistosamente – È proprio di questo che ti volevo parlare… io e lui… ecco… – prese una scatolina dalla borsa e la aprì di fronte all’amica, mostrandone il contenuto – Mi ha chiesto di sposarlo…»

«Oh mio Dio! – esclamò Julia afferrando l’oggetto e osservando lo splendido diamante che portava – Heidi, ma è meraviglioso! È una notizia fantastica! Avete già fissato la data?»

«Sì, pensavamo a Settembre, così nel frattempo i suoi finiranno di ristrutturare l’appartamento qui a Monaco e noi potremo andarci a vivere.»

«Oh Heidi! – Julia la abbracciò di slancio con gli occhi pieni di lacrime – Mi sembra ieri che vi siete conosciuti!»

«Ed è stato tutto merito tuo. Proprio per questo io vorrei chiederti se vuoi farmi da testimone.»

«Io? Da testimone alle tue nozze? Ma sei sicura?»

«Non vorrei nessun altro…» disse sorridendo.

«Per me è un piacere e un onore.» rispose Julia, annuendo e porgendo il bicchiere verso l’amica per brindare.

Mentre stavano chiacchierando delle dinamiche della proposta, Julia sentì una presenza alle sue spalle, e una voce la distrasse.

«Credevo che tu fossi tutta casa e lavoro!»

Si voltò e incrociò le iridi ebano di Wakabayashi, che la fissavano sorridenti.

«E tu non dovresti essere a letto? Domani poi ti addormenti tra i pali.»

Il ragazzo scavalcò i divanetti e si sedette tra le due ragazze.

«Non ti preoccupare per me, so quello che faccio. – le fece l’occhiolino – Sono qui con un paio di compagni di squadra, tra poco rientriamo.»

«Ti presento Heidi Weber, la mia ex coinquilina.»

«Molto lieto, Genzo Wakabayashi.»

«È un piacere conoscerti, Genzo. Julia mi ha parlato molto di te.»

La ragazza fulminò l’amica con lo sguardo proprio un attimo prima che lui si voltasse verso di lei con aria sorpresa, per poi tornare a guardare Heidi.

«Veramente? Non sapevo di essere così famoso.»

«Non ti montare la testa, avrò parlato male di te un paio di volte, non di più.» lo schernì Julia, bevendo un sorso di cocktail. Genzo scoppiò a ridere gettando la testa leggermente all’indietro.

«Su quello non avevo dubbi! Che fate di bello, ragazze?»

«Heidi mi ha appena comunicato che a settembre si sposerà.»

«Veramente?»

«Eh sì… – mormorò la futura sposa, arrossendo – Dopo tanto…»

«State insieme da molto?»

Genzo sembrava seriamente interessato, la cosa impressionò Julia, che rimase in disparte in silenzio ad osservare la scena con una punta di scetticismo.

«Da sei anni. È stata lei a farci conoscere.»

«È stata lei? A quei tempi allora ancora usciva e conosceva gente?»

Julia incassò il colpo, ma non disse nulla: si limitò a fulminarlo con lo sguardo mentre lui la prendeva in giro.

«Oh sì, eravamo uscite io e lei, serata sole donne. Siamo andate in discoteca, non ci andavamo mai, Julia non poteva…»

«Heidi!» la ammonì. Il nipponico si voltò a guardarla ma lei ricominciò a parlare subito.

«Beh praticamente lui era lì, bello come il sole, con dei suoi amici. Io non mi attentavo ad avvicinarmi e così lei è andata là e gli ha chiesto se poteva presentargli una sua amica!»

«Lui l’ha vista e il suo sguardo si è illuminato. Il resto l’avete fatto tutto voi.» terminò Julia.

«Bella storia. – annuì Genzo – Starei qui a chiacchierare tutta sera con voi, mie care, ma il dovere mi chiama. Arrivederci! – disse a Heidi facendo l’occhiolino – Cupido, noi ci vediamo lunedì mattina.»

«Vieni in ufficio?»

Annuì e salutò le ragazze, agitando la mano;  non appena fu abbastanza lontano, Heidi si voltò verso Julia con aria sognante.

«Ma è sempre più figo!»

La ragazza scoppiò a ridere di gusto.

«Non esagerare: è un bel ragazzo ma niente più.»

«Tu non sei normale, lo sai? Ma lo vedi come ti tratta? È come se avesse un occhio di riguardo per te.»

«Per forza: sono otto anni che mi faccio il mazzo nell’azienda di suo padre, e sinceramente sono brava nel mio mestiere.»

«In compenso in quanto a relazioni umane sei scarsa…»

«Sempre lì andiamo a sbattere, eh? Non ho fretta, arriverà.»

«Julia, hai 27 anni! Che c’è che non va in te?»

«Non c’è nulla che non vada in me, Heidi! Semplicemente non corro dietro agli uomini come fanno tante mie coetanee solo perché i “famigerati trenta” si avvicinano e han paura di rimanere zitelle. Ho ottenuto la mia indipendenza e non ci tengo così tanto a perderla, lo sai.»

Heidi aprì bocca per contraddirla, per dirle che un rapporto amoroso non sempre implica la perdita di indipendenza, anzi! Ma sapeva bene che per l’amica quell’argomento era chiuso, così si limitò a sospirare e finire di bere la sua birra.

 

 

1J.R. – il riferimento è alla serie televisiva Dallas. Primogenito di Jock e Miss Ellie, affarista senza scrupoli, lingua tagliente, ambizioso, diabolico. È il simpatico cattivo della serie. (cit. da Wikipedia). Essendo Genzo figlio del magnate Wakabayashi, Heidi, non conoscendolo, l’ha assimilato a questo personaggio.

 

 

Non mi sarei mai aspettata un’accoglienza così calorosa come quella che mi avete riservato. Dire che sono commossa è un eufemismo, vi sono davvero grata per tutti i messaggi di supporto che mi avete inviato.

In questo secondo capitolo, veniamo introdotti un pochino nella cosiddetta sfera privata di Julia, e continuiamo a scoprire questo Genzo così scanzonato, come l’avete definito (ADORO!) e su di giri.

Sono contenta che abbiate anche apprezzato la mia Julia, è una ragazza semplice ma che rispecchia molte di noi: per quanto mi riguarda, è un mix di ciò che sono, ciò che avrei voluto essere, chi ho incontrato lungo il mio percorso. Il tutto con un’aggiunta di cannella, che non fa mai male XD

Bene, vi lascio e torno nei miei meandri, perché vi ricordo che, sì, questa fanfiction è terminata, ma il calderone bolle, bolle, bolle! E chissà cosa ne uscirà MUAHAHAHAHAHA

Un grosso abbraccio

Sakura

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


ET - Capitolo 1

Genzo bussò alla porta dell’ufficio di Julia e attese la sua conferma prima di entrare.

«Disturbo?»

«No, assolutamente. Avevi bisogno?»

«Mi puoi confermare le date del viaggio? Mi hanno appena chiamato quelli della Nazionale per la partita di beneficenza e ho paura che le date si sovrappongano.»

«Sì, dunque… – Julia prese l’agenda e iniziò a sfogliarla – partiamo il 31 e rientriamo il 12.»

«Le date andrebbero bene, un po’ una sfacchinata…»

«Il meeting con i soci è il 1° Febbraio non appena arriviamo. Poi tuo padre ne ha fissato un altro per il 10 alle ore 8:30…»

«Merda! Lo sapevo che non poteva tutto coincidere alla perfezione. Quello lì va spostato.»

«Non si può, Genzo. Lo sai che i tuoi connazionali sono abbastanza fiscali su…»

«Il 9 ho la partita, non ho voglia di giocare a Nankatsu alla sera ed essere a Tokyo alla mattina! Non mi va di…»

«Troveremo una soluzione, non è il caso di allarmare Herr Wakabayashi: si tratta di un viaggio di circa 150 km che puoi benissimo affrontare.»

«Vado a parlargli, vediamo di risolvere la situazione.»

Prevedo guai! pensò Julia, e decise di seguirlo.

 

«No no e poi no, Genzo! Non se ne parla neanche! Non posso spostare il meeting solo perché tu devi giocare una stupida partita di calcio!»

«La mia “stupida partita di calcio”, come la chiami tu, è una partita per raccogliere fondi per i terremotati di Haiti! È per una nobile causa! Mamma, digli qualcosa per favore!»

Julia si sentiva tremendamente in imbarazzo: si era ritrovata nel bel mezzo di una diatriba familiare. Genzo e suo padre stavano urlando da quasi mezz’ora e non accennavano a voler smettere. Lei e Ochiyo se ne stavano in disparte: una con lo sguardo abbassato, Frau Wakabayashi con aria insofferente. Quando il figlio la chiamò in causa, lei si limitò a fare spallucce.

«Entrambi avete motivazioni valide, ma non è urlando come dei gorilla selvaggi che risolverete la questione.»

Julia aveva sorriso impercettibilmente pensando al paragone, ma poi aveva continuato a fissarsi la punta delle scarpe, imbarazzata.

«Ah, ma bene! Sei passata dal “diamo contro a mio figlio” al “diamo ragione a entrambi”. In ogni caso mai una volta che tu prenda le mie parti.»

A quelle parole, Herr Wakabayashi si alzò dalla scrivania, rosso in volto, e si avvicinò minacciosamente al figlio, che era rimasto in piedi per tutto il tempo della discussione.

«Non osare parlare così a tua madre, sono stato chiaro?»

«Tu non sei nella condizione di dirmi cosa devo o non devo fare! Te ne sei sempre fregato di me e adesso pretendi di comandare?»

«Mentre tu correvi dietro a uno stupido pallone io creavo tutto questo! Per la mia famiglia! – la rabbia nelle sue parole era concreta, e si riversava tutta su quel figlio che pareva ingrato di fronte a tutto ciò che gli aveva dato – Credi che mi sia divertito a stare lontano da casa? Credi che mi piacesse lavorare invece di vederti crescere? Ma ho dovuto farlo per te! Per darti un futuro migliore!»

«Avrei preferito qualche Natale in più insieme e meno soldi per il compleanno!»

«Tu mi rinfacci che non c’ero, ma quando ho potuto ho fatto tutto quanto, per te! Persino farti venire in Germania per seguire il tuo sogno! E non ho mai ricevuto un minimo di gratitudine da te, mai!»

«Io il mio posto in squadra me lo sono guadagnato con la tenacia e i miei sforzi! Non ti devo nulla!»

«Non mi devi nulla? NON MI DEVI NULLA?! Io…»

Herr Wakabayashi si bloccò. Il dito indice della mano destra sospeso a mezz’aria. Gli occhi spalancati e fissi sul figlio.

«Papà…?»

«Aah…» l’uomo iniziò a tremare e le gambe gli cedettero. Genzo lo sorresse al volo, con gli occhi sbarrati dalla paura, e lo sdraiò a terra. Ochiyo era come paralizzata, la mano tremante davanti alla bocca, incapace di emettere alcun suono.

Julia reagì in un attimo: si avventò sul telefono e compose il diretto della reception.

«Martha, sono Julia. Chiama immediatamente un’ambulanza. Herr Wakabayashi sta avendo un infarto o qualcosa di simile! Sbrigati!»

Aprì la finestra per far arrivare più aria, poi prese delicatamente Frau Wakabayashi e la fece sedere sul divanetto. Nel frattempo Genzo stringeva la mano del padre che respirava a fatica e lo fissava con terrore.

«Herr Wakabayashi, – Julia si inginocchiò accanto a lui – ho già chiamato l’ambulanza, sarà qui tra pochi minuti. Cerchi di respirare lentamente, andrà tutto bene.»

«Hai detto infarto? Mio padre sta avendo un infarto?» mormorò Genzo, bianco come un cencio.

«Vai da tua madre. – il ragazzo non si mosse – Genzo, va’ da tua madre. – rimase impassibile a fissarla, con lo sguardo perso nel vuoto – Genzo, vai da tua madre, per Dio!»

Il ragazzo si risvegliò e si alzò di scatto, notando solo in quel momento lo stato di shock in cui si trovava Ochiyo: le si sedette accanto e la abbracciò, mentre lei scoppiava a piangere e il suo corpo veniva scosso dai singhiozzi.

I soccorsi arrivarono poco dopo, scortati da Martha. Julia si spostò immediatamente e lasciò che i paramedici compiessero il loro dovere. La situazione era grave, così lo caricarono sulla barella e lo portarono via in ambulanza.

«Lo portiamo al Deutsches Herzzentrum.» disse uno di loro, rivolto a Julia, la quale annuì e si diresse verso Genzo e sua madre.

«Stammi a sentire, adesso tu lo segui in ospedale, queste sono le chiavi della mia auto. Appena arrivi là mi mandi un messaggio con le indicazioni per raggiungervi. Io prendo l’auto di tuo padre e porto a casa tua madre, mi assicuro che prenda qualcosa per calmarsi poi ti raggiungo in taxi. Genzo, hai capito? Hai sentito cosa ti ho detto?»

Il ragazzo riacquistò la lucidità e annuì, prese con decisione le chiavi che gli porgeva la ragazza e corse fuori dall’ufficio. Julia fece un respiro profondo e si avvicinò a Ochiyo: le prese le mani e gliele strinse forte, inginocchiandosi davanti a lei.

«Andrà tutto bene. Genzo sta andando là. Io lo raggiungo tra poco, prima la porto a casa. Va bene?»

Ochiyo annuì e si alzò pian piano. Rifiutò l’acqua che Julia le voleva offrire e si appoggiò a lei mentre uscivano. I dipendenti le guardarono, ma nessuno si azzardò a dire niente. Martha fece un cenno a Julia, portandosi la mano destra al volto e mimando la cornetta del telefono: la ragazza annuì. Fece accomodare Ochiyo nell’auto di Herr Wakabayashi e la portò a casa.

 

Trovò Genzo seduto sulle sedie della sala d’aspetto, curvo, con la testa tra le mani. Quell’immagine le toccò profondamente il cuore: in tanti anni non l’aveva mai visto in tali condizioni, anche perché non si erano mai presentate occasioni simili.

Si avvicinò a lui e gli posò una mano sulla spalla: il ragazzo sussultò al contatto e alzò di scatto la testa.

«Sei tu!»

Si alzò e la abbracciò forte, come se quel contatto lo aiutasse a dissipare le nubi che avvolgevano la sua mente. Julia ricambiò cercando di essere il meno distaccata possibile.

«Che ti hanno detto?» gli chiese poi, quando lui si decise a sciogliere l’abbraccio.

«Lo stanno operando d’urgenza. A quanto pare aveva la carotide occlusa al 90%, o che ne so io… – lei annuì – Mi hanno detto che… faranno il possibile…»

«Ne sono certa, adesso stiamo qui e aspettiamo che finiscano. Tua mamma è a casa, ho parlato con la cameriera e le ho lasciato anche il mio numero di cellulare. Le abbiamo dato del valium per farla riposare.»

«Ma tu… non hai da fare?» Genzo si accorse in quel momento che non sapeva nulla della vita privata della ragazza. Poteva avere un ragazzo a casa che la aspettava, o i genitori. Magari un fratello o una sorella. O semplicemente degli impegni.

«Niente che non possa essere rimandato, quindi stai tranquillo. Andrò a casa quando saprò qualcosa di concreto sulle condizioni di salute di tuo padre.»

«Grazie…»

 

Il tempo sembrava non scorrere mai in quella sala d’attesa; Julia aveva sfogliato tutte le riviste che aveva trovato, Genzo non si era mosso dalla sedia e continuava a fissare il vuoto davanti a sé. Gli pareva impossibile che stesse accadendo veramente. Era lui la causa del malessere di suo padre? Sarebbe sopravvissuto? E se ce l’avesse fatta, l’avrebbe perdonato? E se non avesse superato l’intervento…

Le porte scorrevole si aprirono e ne uscì un medico in camice bianco.

«Wakabayashi?»

Genzo e Julia si alzarono e si avvicinarono a lui, trepidanti.

«Sono il figlio…» mormorò Genzo.

«L’intervento si è presentato subito difficile, Herr Wakabayashi aveva la carotide quasi completamente occlusa. Suo padre non aveva mai fatto dei controlli? Mi sembra strano che con un’occlusione di questo tipo non avesse sintomi… – Genzo scosse la testa in segno di diniego e il medico continuò – Ad ogni modo, pare che sia andato tutto bene, anche se è difficile stabilire ora il quadro clinico del paziente. Vi consiglio di andare a casa a riposarvi. Possiamo vederci domattina, direi intorno alle nove, se per voi va bene.»

«Posso vederlo?» chiese Genzo. Il medico rifletté per qualche istante, fissando il ragazzo negli occhi. Poteva percepire la sua angoscia, era lì davanti a lui, impregnava le iridi color ebano.

«Herr Wakabayashi non è cosciente, ed è in terapia intensiva. C’è un vetro che separa le due sale, è il massimo che posso fare.»

«Grazie, dottore.»

«Vai, – gli disse Julia, appoggiandogli la mano sulla spalla – io ti aspetto qui.»

Rimase pochi minuti lì, a fissare suo padre collegato a una macchina. Poteva sentire il bip regolare attutito dai vetri, osservava il petto che si alzava e abbassava lentamente, quasi con fatica. Non l’aveva mai visto così, incosciente, inerme, alla mercé del destino di cui si era sempre vantato esserne l’artefice. Ognuno si crea il proprio destino, Genzo… era solito ripetergli da piccolo, e adesso era lì, in lotta tra la vita e la morte. Sentì una fitta alla bocca dello stomaco, come se una morsa gliela stesse stringendo; il dolore salì lungo la gola, chiudendogliela, e obbligandolo ad aprire le labbra per poter respirare, alla ricerca di una boccata di ossigeno. Gli occhi iniziarono a pizzicare, cos’è che gli stava scendendo lungo la guancia, una lacrima?

La asciugò con la manica della camicia, scosse il capo per allontanare quella sensazione tanto dolorosa quanto opprimente, e tornò nella sala d’attesa dove Julia, seduta composta su una sedia, stava controllando il cellulare.

La vide alzare lo sguardo quando le porte scorrevoli si aprirono, e, dopo averlo scrutato un attimo, gli sorrise dolcemente.

«Andiamo a casa, sarai stanco… domattina ti accompagno di nuovo qui prima di andare in ufficio.»

«No, io… preferisco rimanere qui.»

La ragazza lo fissò perplessa, alzando il sopracciglio.

«Nella sala d’attesa del reparto di terapia intensiva? Non credo che il tuo allenatore sarà contento di sapere che ti sei spaccato la schiena dormendo su queste seggiole. »

«Non ho… voglia di andare a casa… da solo…»

Julia soppesò mentalmente la situazione: non poteva decisamente lasciarlo lì, ma l’alternativa qual era?

«Va bene. – si sedette accanto a lui – Restiamo qua, allora. »

Genzo la guardò stralunato.

«No, tu vai a casa. »

«Ceeeerto. – gli rispose – Ti lascio qui da solo a logorarti per quello che è successo.»

«Hai già fatto abbastanza, Julia. Vai a casa, per favore.»

«Ho un’idea: andiamo da me, abito più vicino alla clinica rispetto a te. Ho un comodissimo divano-letto in salotto sul quale potrai rimuginare finché vorrai, e se ti verrà voglia di riposarti, potrai farlo.»

Genzo strabuzzò gli occhi, sorpreso.

«A casa tua?»

«Beh, è chiaro che non puoi dormire qui, Genzo, a parte che non so nemmeno se sia possibile. Ho chiamato a casa dei tuoi e tua madre sta ancora riposando.»

«Non voglio occuparti casa: che diranno i tuoi, o…»

Con un sorriso divertito sulle labbra, Julia si accomodò accanto a lui.

«Vivo da sola, Genzo: niente genitori impiccioni, né fidanzati gelosi. Solo un divano letto che ti aspetta, se vuoi… che tu dorma qui è escluso, non è di certo un posto in cui puoi permetterti di rilassarti come si deve.»

«Questo pragmatismo da dove ti salta fuori?»

«Sono… abituata a gestire situazioni difficili…» rispose lei, distogliendo lo sguardo. Finse con noncuranza di cercare qualcosa nella borsa ma Genzo aveva colto un lampo nei suoi occhi e capì di aver toccato un tasto dolente.

«Grazie…» mormorò semplicemente, e si accorse che era la seconda volta nel giro di poco che la ringraziava di cuore.

 

 

Ben trovate, mie care fanreader! Eccoci arrivate al primo momento clou della storia, il malore di Herr Wakabayashi. Questo apre a nuove possibilità, nuovi mondi, nuove concezioni de… ok, la smetto, in realtà vorrei trovare qualcosa da scrivere ma non ho ancora preso il caffè XD Vi abbraccio forte e rimango in attesa delle vostre impressioni, se vorrete. Un bacione Sakura chan

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


ET - Capitolo 1

Aprì la porta blindata e accese la luce: Genzo si trovò davanti un ambiente piccolo ma accogliente. Di fronte all’ingresso c’era un salottino composto da un divano rosso, situato di fronte a un mobile che conteneva la tv e un piccolo impianto stereo a cui era collegato un lettore MP3 di ultima generazione. Alle spalle del divano c’era la cucina, posta in una rientranza nel muro e semi-chiusa da una penisola in cartongesso su cui notò una tazza e una confezione di cereali.

«Stamattina ho fatto tardi e non ho avuto tempo di sparecchiare.» si giustificò Julia, notando lo sguardo del ragazzo sui resti della sua colazione.

«Stavo osservando i colori della tua cucina, in realtà…»

Spiccava il frigo in stile anni ’50 color rosso acceso, sulla sinistra; poi partiva un ripiano in quarzite bianca che arrivava fino alla penisola di cartongesso; i mobili erano laccati ludici, con la differenza del colore, che per quelli posti in basso era rosso come il frigorifero, mentre per i pensili posti in alto era bianco. Nella parte di muro tra le due file era posizionato un pannello bianco decorato con delle farfalle dipinte.

«È allegra. – rispose lei di rimando – Così è più piacevole svegliarsi alla mattina…»

«Mi piace come hai arredato questa casa, è… essenziale.»

Julia si diresse in cucina mise due sgabelli rossi all’esterno della parete di cartongesso e iniziò a sistemare.

«Preparo qualcosa da mangiare, ti va?»

Genzo annuì sedendosi sullo sgabello ed emettendo un grosso sospiro; Julia gli voltò le spalle e mise a scaldare una padella, dove poi fece saltare degli straccetti di carne bianca con un po’ d’olio, rosmarino e sale grosso. Dal freezer tirò fuori un pacchetto di patatine fritte surgelate, ne versò un po’ in una teglia e le mise a cuocere nel forno. Il portiere rimase in silenzio per tutto il tempo, con lo sguardo vacuo.

«Ecco qua. Spero che ti piaccia. Dopo ti preparo degli asciugamani se vuoi farti una doccia, così nel frattempo apro il divano-letto. Fai come se fossi a casa tua e… che c’è?»

Genzo era saltato sulla sedia ed era scattato in piedi, guardando per terra.

«E questo cos’è?»

«Come “cos’è”? – esclamò Julia ridendo e alzandosi per raggiungere l’oggetto dello spavento del ragazzo – Un gatto, non vedi? – disse poi, prendendolo in braccio – Romeo, non si spaventano gli ospiti!» sgridò il felino, che si beò delle coccole della padrona socchiudendo gli occhi.

«Romeo? Romeo e Julia?(1)»

«Sì, me l’ha regalato Heidi già “battezzato”… che ci vuoi fare! – liberò il felino e si lavò le mani nel lavello della cucina – Non sei allergico o robe simili, vero? Altrimenti stanotte dovrò chiuderlo in bagno.»

«Ma no figurati povera bestia, lascialo libero, in fondo è casa sua…»

 

Julia si svegliò di soprassalto: aveva sentito un verso strano provenire dal salotto. Corse a vedere cosa fosse successo e non appena accese la luce la dinamica le fu subito chiara: Genzo era a sedere sul letto e guardava con odio Romeo che, ai piedi del letto, fissava lo sconosciuto con aria di sfida muovendo la coda a destra e sinistra. Si avvicinò ai due, e non appena si sedette a gambe incrociate sul letto, il gatto le si posizionò in grembo.

«Scommetto che ti ha morso i piedi…» disse, accarezzando la testolina rossa del felino.

«Quello non è un gatto, è un mostro!» rispose il portiere, guardandolo con aria minacciosa.

«Sei stato tu a dirmi che potevo lasciarlo libero, io volevo chiuderlo in bagno.»

«Se avessi immaginato che avrebbe attentato alla mia vita, ti avrei chiesto di chiuderlo fuori di casa!»

La ragazza scoppiò a ridere, cosa che il gatto non gradì particolarmente perché tirò su la testolina e miagolò infastidito.

«Esagerato…»

«Scusami, non volevo svegliarti…» disse Genzo dopo qualche minuto di silenzio, sdraiandosi nuovamente.

«Non ti preoccupare, ho il sonno leggero e dormo poco… come ti senti?»

Fece spallucce.

«Come uno che sta rischiando di perdere il padre… e che si è accorto di avere molte, troppe cose in sospeso con lui. Con la famiglia in generale, direi. Mi sento un idiota al momento.»

«Cerca di non colpevolizzarti troppo, Genzo. Sono cose che purtroppo possono capitare, anche se non ci piace sentircelo dire. L’importante è che l’operazione sia andata bene e che adesso tuo padre si riprenda. Avrai modo di farti perdonare, se mai ce ne fosse bisogno.»

«Ho sempre dato per scontato troppe cose con loro. Forse perché sono arrivato “inaspettatamente”, o forse perché erano spesso in giro per il mondo a curare gli affari. Sta di fatto che mi sono autoconvinto di un sacco di cose negative.»

Julia si stupì di quella confessione, era la prima volta che parlava con lui di questioni non interenti al lavoro o alla sua carriera di calciatore.

«Lo sai che al lunedì tuo padre prima di iniziare qualsiasi cosa si legge tutte le pagine sportive e confronta i pagellini?»

«No, non lo sapevo…» un sorriso amaro comparve sul volto di Genzo.

«E quando arriva qualche cliente straniero, e inevitabilmente si inizia a parlare di calcio, devi vederlo come gongola quando ti elogiano, o come si inalbera quando dicono qualcosa di storto su di te. Lo so che ha un carattere un po’ rude, e a volte anche brusco nei tuoi confronti… ma ti vuole bene, credimi.»

«Se non lo sai tu che sei la sua assistente personale… ti ha mai dato fastidio lavorare così a stretto contatto con lui?»

«Che intendi?»

«Beh sai, lui è un uomo, tu una donna… so di certe voci che sono circolate un paio di anni fa.»

«Alle voci ci ha pensato Ochiyo, fortunatamente. Ho un ottimo rapporto con tua madre, è stata lei a volermi fermamente, dopo il primo colloquio.»

«Chissà cosa la aveva colpita di te…» la schernì.

Julia lo fulminò con lo sguardo.

«Il fatto che, sebbene fossi senza esperienza, mi ero candidata per un posto del genere. Assistente personale del Direttore Generale. Ci voleva del fegato.»

«Sono contento che quel posto sia andato a te. Sei in gamba… sì, forse non sei il massimo della simpatia, però…»

«Ma tu guarda questo! – esclamò Julia colpendolo col cuscino – E io che ti permetto anche di farti mordere dal mio gattino.» e così dicendo cercò di stemperare la situazione, dato che come primo “colloquio informale” col figlio del suo capo poteva bastare.

«”Gattino”? Quell’ammasso di pelo peserà 15 kg!»

«Non scherzare, ne pesa sì e no 5…»

«Ah beh, scusa! Proprio una piuma, eh?»

Julia gli fece la linguaccia e si alzò dal letto.

«Lo porto con me, così non ti disturba più… spero! Buonanotte, Genzo.»

«Buonanotte, Julia. E buonanotte anche a te, immondo felino!»

 

Il medico li fece accomodare nel suo studio e si sedette alla scrivania: attese che Julia e Genzo fossero comodi, quindi appoggiò i gomiti sul tavolo e incrociò le dita davanti al mento.

«Penso sia chiaro che la situazione è grave. Herr Wakabayashi aveva una stenosi carotidea, vale a dire un restringimento del lume dell’arteria carotidea. Ancora non ci spieghiamo come abbia potuto sottovalutare i sintomi, ad esempio il formicolio al braccio sinistro, o alla testa. Ad ogni modo siamo fortunatamente arrivati in tempo, credetemi, quando dico “fortunatamente” non uso un termine a caso.»

Julia si voltò verso Genzo e lo vide contrarre la mascella e stringersi le ginocchia fino a sbiancarsi le nocche. Aveva deciso di accompagnarlo dato che Frau Wakabayashi era ancora sotto shock e non era in grado di sostenere l’incontro col medico; non voleva lasciare a Genzo l’incombenza di rimanere solo a conoscere le sorti del padre, e soprattutto voleva sincerarsi personalmente delle condizioni del suo titolare.

«Il quadro clinico è complesso. La parte sinistra del corpo è rimasta offesa, al momento non sappiamo dire se recupererà l’uso e la sensibilità della gamba e del braccio – Genzo sbiancò – e nemmeno se tornerà al 100%. È una condizione veramente critica.»

«Dottore, – lo interruppe Julia – che sia una condizione critica lo avevamo capito, e se potesse smettere di ripeterlo in continuazione eviteremo di dover ricoverare un calciatore svenuto. – e con la testa indicò Genzo al suo fianco, pallido e con lo sguardo perso nel vuoto – Se non ho capito male l’intervento è andato bene, no?»

«Sì, l’intervento è andato bene. Abbiamo liberato la carotide dall’occlusione e il paziente ha reagito bene. Adesso lo terremo qualche giorno in terapia intensiva, poi se tutto andrà come deve andare lo sposteremo in reparto.»

«Lui è cosciente? Si è svegliato?»

«Sì, è debole, come potete ben immaginare, ma è sveglio e cosciente.»

«Credo che tu debba vedere tuo padre, Genzo.» gli suggerì Julia, alzandosi dalla sedia.

«Mi scusi, signorina…?»

«Wagner. Julia Wagner.»

«Signorina Wagner, lei ha rapporti di parentela con Herr Wakabayashi?»

«Sono la sua assistente personale – rispose Julia, appoggiando la borsetta sulla sedia e iniziando a cercare qualcosa all’interno – con delega… ah, eccola. – prese un foglio e lo porse al medico – Con delega scritta e firmata personalmente da Herr Wakabayashi e da sua moglie per quanto riguarda la conoscenza delle sue condizioni di salute.»

Genzo spalancò gli occhi e iniziò a spostare lo sguardo alternativamente da lei al foglio di delega, attonito.

«Me lo vuoi spiegare?»

«Ne parliamo dopo. » lo freddò.

Il medico finì di leggere il foglio, lo porse a Julia e annuì.

«È tutto regolare. Possiamo andare.» disse, e li scortò fino alla terapia intensiva.

Li fece entrare uno alla volta dopo aver fatto loro indossare un camice e una cuffietta per i capelli. Quando fu il turno di Julia, questa entrò e si sedette accanto al letto, sorridendo al suo titolare.  

«Ci ha fatto spaventare, lo sa?»

«Eh, credo di essermi spaventato pure io questa volta… avete parlato con i medici?» gracchiò l’uomo, a fatica.

«Sì, anche se a un certo punto il chirurgo non voleva parlare con me.»

«Gli hai fatto vedere la delega?»

«Sì, ho dovuto, ma Genzo non l’ha presa molto bene… non gliene aveva parlato?»

«Rientrava tra le cose che avrei dovuto e voluto fare… ce ne sono tante…» sospirò l’uomo.

«Herr Wakabayashi, lei adesso deve pensare solo a guarire. Avrà tutto il tempo che vorrà per parlare con suo figlio.»

«Martha ha la mia agenda: controlla gli appuntamenti di oggi e pensaci tu, per favore.»

«Non si preoccupi, me ne occupo io.»

 

«Hai intenzione di dirmi qualcosa riguardo a quella “delega”?»

«Cosa vuoi sapere?»

«Perché ce l’hai?»

Julia inchiodò al semaforo e si voltò verso Genzo.

«Si può sapere perché ti dà così fastidio? È una delega che Herr Wakabayashi e Ochiyo mi hanno fatto prima che tu venissi a giocare a Monaco. Se fosse successo qualcosa a tuo padre mentre Ochiyo era via e tu eri ad Amburgo, chi avrebbe potuto sentire dai medici come stavano le cose? Me la rinnovano tutti gli anni per abitudine, non perché ce ne sia effettivo bisogno.»

«Allora perché l’hai usata? C’ero io!»

«Genzo, ma che hai? Sei geloso? Ti dà fastidio? Ho semplicemente voluto parlare con Herr Wakabayashi, sia per sapere come stava che per chiedere conferma di cosa avrei dovuto fare da oggi in poi. Nevrotico.»

Parcheggiò l’auto inchiodando nuovamente, spense il motore e si affrettò a scendere. Non si prese nemmeno la briga di controllare che Genzo la stesse seguendo mentre premeva il pulsante dell’ascensore, ma quando vi salì il ragazzo la seguì.

«E sei sempre così premurosa con mio padre? Ora capisco le voci! Ti sei comportata come una primadonna vanesia e saccente!»

Julia lo ignorò e non appena le porte si aprirono uscì dall’ascensore e si diresse verso la postazione di Martha: Wakabayashi non mollò la presa.

«Non rispondi? Chi tace acconsente, dicono!»

«Dicono anche che il silenzio è d’oro, caro il mio idiota! – Martha la fissò a bocca aperta mentre le porgeva l’agenda di Herr Wakabayashi – E adesso, se non ti dispiace, tu continua pure a farti delle seghe mentali, io ho del lavoro da sbrigare, e dovrebbe interessarti dato che l’azienda, al momento, è tua!»

Lo lasciò lì, attonito, con la consapevolezza di aver esagerato. Si voltò verso Martha, che lo fissava ancora a bocca aperta.

«Acidella la tua amica…» le disse. La receptionist fece un sorriso tirato e tornò a concentrarsi sulle sue mansioni.

 

1 Romeo und Julia: Romeo e Giulietta in tedesco. Banale, scontato, ma… lo adoro XD

 

 

Ben ritrovate amiche mia, nella nuova puntata di "Un medico in corsia" *ridacchia*

Lo so, scusate, non c'è nulla da ridere... la situazione, qui, è abbastanza grave, Herr Wakabayashi ha preso una batosta non indifferente, e Genzo non l'ha ancora digerita molto bene. In più, capisce che il ruolo di Julia all'interno dell'azienda e con i suoi genitori è sempre stato più attivo di quanto pensasse: cosa passerà per la testa del nostro SGGK ora? 

Vi aspetto alla prossima puntata, sempre sintonizzate sullo stesso canale *blink* 

Baci, Sakura 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


ET - Capitolo 1

 

Entrò nell’ufficio di suo padre e la vide intenta a leggere dei documenti: si sedette di fronte a lei, che non lo degnò di uno sguardo.

«Sì, ho esagerato. – Julia alzò un sopracciglio ma continuò a evidenziare delle frasi sui fogli – Non avevo alcun diritto di dire ciò che ho detto, soprattutto perché ti conosco da sette anni…»

«Otto.» lo corresse.

«… otto anni e ho molto rispetto per il tuo lavoro.»

Julia appoggiò l’evidenziatore e osservò il ragazzo.

«Cosa vuoi?»

«Chiederti scusa, e ringraziarti per ciò che hai fatto per me ieri sera. Nessuno aveva mai… cucinato per me.»

La ragazza lo fissò negli occhi.

«Non pretendo che tu mi conosca a fondo, o che sappia di me cose personali: non parli con tuo padre di te, figuriamoci se devi parlare di me. Ma non ti permetto di mettere in dubbio la mia integrità morale. Questo proprio non lo accetto. Io stimo molto i tuoi genitori e mai nella vita mi sognerei di immischiarmi nel loro matrimonio, come diamine ti può essere venuta in mente una cosa del genere? Io sono qui per lavorare, e il fatto che io mi sia affezionata ai tuoi è solo perché… sono riconoscente, ecco tutto!»

Genzo aveva notato la nota di esitazione nella voce di Julia, ma preferì non indagare: aveva già commesso abbastanza guai per quel giorno, e decise di sorvolare per non farla arrabbiare ulteriormente. Prese l’agenda del padre e lesse gli impegni della giornata. Dopo qualche minuto di silenzio il telefono squillò col triplice trillo della chiamata interna: Julia rispose in viva voce.

«Dimmi, Martha.»

«Julia, non ho fatto in tempo a fermarlo: Herr Hagner sta venendo in ufficio, e dalla faccia che ha, direi che sia imbufalito!»

«Lascialo venire, sono qui con Genzo. Non passarci chiamate.»

«Agli ordini!»

Herr Hagner spalancò la porta dell’ufficio senza nemmeno bussare.

«Buongiorno. Mi dicono che nel Baden-Württemberg non sia più di moda chiedere permesso prima di entrare in una stanza.»

«Facciamo le spiritose, Fräulein Wagner? Secondo lei mi sono sparato tutti questi chilometri per farmi prendere per i fondelli?»

«Non mi permetterei mai, Herr Hagner. – rispose Julia, per nulla intimorita, alzandosi e facendo cenno all’uomo di sedersi accanto a Genzo – Stavamo appunto controllando i documenti che ha inviato a Herr Wakabayashi.»

«I documenti che ho inviato sono strettamente confidenziali, Fräulein Wagner, non vedo come lei possa…»

«Herr Hagner – Genzo intervenne – immagino che sappia che le condizioni di salute di mio padre non sono ottime. – lo fissò negli occhi e, non ottenendo risposta, continuò – Immagino quindi che sappia anche che, finché mio padre non si rimetterà al 100%, sarò io a farne le veci. E naturalmente Fräulein Wagner ricoprirà il ruolo che ha sempre ricoperto in questa sede. Non vedo come la Wakabayashi Corp. possa fare a meno di lei.»

Günther Hagner estrasse un fazzoletto di stoffa dalla tasca e si asciugò la fronte madida di sudore, proseguendo poi sulla testa afflitta ormai da anni da calvizie.

«Il dossier che ho inviato riguarda dati allarmanti sull’acquisizione della filiale in Sudamerica. Pare che i maggiori esponenti dei cartelli della droga stiano cercando di metterci i bastoni tra le ruote.»

«Addirittura?» esclamò Genzo, prendendo il plico di fogli che Julia gli porgeva.

«Non è un gioco, qui si parla di un’acquisizione che potrebbe portare molti posti di lavoro, e se la gente iniziasse a lavorare onestamente, loro avrebbero meno persone da poter sfruttare. Dobbiamo valutare bene la situazione prima di procedere.»

«Non è ancora stato fissato nessun incontro, – intervenne la ragazza – la trattativa è a un punto morto.»

«E ci deve rimanere!» esclamò Herr Hagner con troppa veemenza.

«L’acquisizione è fortemente voluta da mio padre, per aprire un nuovo mercato in America Latina. Non capisco tutta questa riluttanza.»

Infastidito dal tono di voce del ragazzo, Herr Hagner strinse gli occhi fino a ridurli a una fessura e si sporse in avanti.

«E da quando il SGGK è diventato un genio della finanza?»

Genzo scattò in piedi contemporaneamente a lui, e iniziarono a guardarsi in cagnesco, i volti vicini: Julia si affrettò a pararsi in mezzo a loro per dividerli.

«Signori, vi prego. Non mi sembra né il luogo né il momento adatto per un incontro di boxe. Siamo persone adulte e civili, possiamo discuterne in maniera controllata. Genzo, siediti, e lei, Herr Hagner, un minimo di contegno, per cortesia.»

I due obbedirono ma non smisero neanche per un secondo di sfidarsi con lo sguardo: Julia decise quindi di prendere la parola.

«Penso che sia il caso di attendere di poter parlare con Herr Wakabayashi della questione, fino ad allora le do la mia parola che nessuna decisione verrà presa senza prima aver convocato un CdA. Le può bastare?»

«In questo momento la sua parola, Fräulein Wagner, vale quanto quella di Herr Wakabayashi, quindi sì, mi può bastare. Ora, se volete scusarmi, credo che rientrerò a Ulm immediatamente.»

Uscì dalla stanza sbattendo la porta, ma i due cercarono di non dare troppo peso alla questione. Si guardarono negli occhi per qualche istante, poi fu lei a parlare.

«SGGK?»

Genzo sorrise.

«Super Great Goal Keeper!»

«W la modestia, Wakabayashi!»

Il ragazzo rise, poi tornò serio e prese il dossier in mano.

«Non mi convince… deve esserci dell’altro.»

«Sono d’accordo con te. Tutti i soci sono favorevoli all’acquisizione, tranne lui, che ha aspettato il malore di tuo padre per esprimere la sua perplessità.»

«Non aveva mai accennato a questo dossier?»

«Controllo personalmente le e-mail che riceve tuo padre e no, non gliene aveva mai parlato. Per questo dubito della sua parola.»

«Dove sono i documenti dell’acquisizione?»

«In cassaforte. Tuo padre voleva che rimanessero riservati fino all’incontro con i venditori.»

«Che però non è stato fissato…» citò le parole della ragazza.

«Non proprio, Genzo. – Julia si alzò e si diresse verso la cassaforte, nascosta dietro a un quadro, digitò la combinazione e ne estrasse una cartellina gialla che gli porse – Tuo padre aveva organizzato un incontro a Osaka, per il prossimo viaggio.»

«Quello che avresti dovuto fare con lui?»

«Esatto. Adesso non so proprio come faremo. Rimandare l’incontro è pericoloso, non vorrei che i sudamericani facessero saltare l’affare.»

«Hai tu i contatti con loro?»

«Sì, ho tutto io. Se verrà concluso, sarà la mia prima compravendita.»

Genzo notò orgoglio nelle parole dell’assistente, e la cosa gli diede una carica inaspettata: se un’estranea, esterna alla famiglia, aveva così tanto a cuore le sorti di un accordo della Wakabayashi Corp., perché lui doveva essere da meno? Era la prima volta che si sentiva invogliato all’idea di lavorare lì dentro, galvanizzato al pensiero di realizzare un accordo che avrebbe portato nuovi introiti.

«Ce la faremo.» disse, risoluto. Julia lo guardò e, sorridendo, annuì.

 

Il bollettino medico di Herr Wakabayashi sembrava un resoconto di guerra: i punti salienti erano riposo assoluto per almeno sei mesi, e probabile perdita permanente della sensibilità del braccio sinistro. Frau Wakabayashi passava più tempo possibile accanto al marito, e aveva lasciato a Martha l’incombenza di tenere dietro ai suoi impegni.

Julia e Genzo, dopo aver parlato con lui, avevano preso il timone dell’azienda, e si stavano preparando per la trasferta in Giappone.

«E la partita?»

«E la partita… passerà in secondo piano…»

«Mi dispiace…» mormorò Julia, appoggiando i fogli che stava leggendo e avvicinandosi a lui.

«Anche a me. È la prima volta che salto un match, e anche se è un’amichevole mi sento… in colpa verso i miei compagni.»

«Loro capiranno. – gli disse, posando una mano sulla sua spalla – E poi non è detto che tu non riesca a partecipare. Faremo il possibile per…»

«Non importa. – disse lui, scostandosi da lei e dirigendosi verso la porta – Adesso il mio posto è qui.»

Uscì dalla stanza senza aggiungere altro: si poteva percepire il suo stato d’animo, confuso, combattuto, infelice, preoccupato. E come biasimarlo? Però ammirava il modo in cui si era fatto carico di quella responsabilità: non una volta in cui si fosse lamentato, non una volta in cui avesse fatto intuire a suo padre che non voleva. Aveva semplicemente annuito e gli aveva promesso che avrebbe fatto del suo meglio. Herr Wakabayashi aveva annuito a sua volta, Julia aveva notato gli occhi lucidi, ma era stato giusto un secondo, prima che l’uomo li chiudesse e li congedasse.

Si riscosse dai suoi pensieri e tornò a sedersi alla scrivania: sollevò la cornetta e compose il numero del centralino.

«Judith, per cortesia, mi chiama l’agenzia viaggi? Vorrei la conferma che sia tutto sotto controllo.»

«Subito, Fräulein Wagner.»

 

La hostess la svegliò delicatamente e le annunciò l’imminente atterraggio. Appena mise a fuoco la divisa della Lufthansa, Julia capì che non stava sognando e che stava veramente per mettere piede in Giappone. Si stiracchiò e si mise a sedere comoda, poi si volse a osservare Genzo, seduto accanto a lei. Il ragazzo per quasi tutto il tempo non aveva parlato né mosso un muscolo, si era limitato ad osservare fuori dal finestrino. Julia si chiese se avesse dormito, se si fosse riposato un minimo, ma non ebbe il coraggio di domandarglielo. Da quando aveva dovuto prendere il posto di suo padre nel gestire gli affari di famiglia si era rabbuiato. Julia temeva che, dovendo forzatamente occuparsi della Wakabayashi Corp. durante la convalescenza del padre, Genzo si sentisse oppresso dal peso della responsabilità.

Tornò ad osservare i passeggeri cercando di concentrarsi su qualcos’altro ma la sua mente finiva sempre lì: l’aver assistito al malore che aveva colto il suo titolare le aveva provocato un senso di impotenza che quasi mai nella vita aveva sperimentato. Fortunatamente i paramedici erano giunti in tempo e lo avevano salvato, ma la situazione era estremamente delicata e lei si trovava a gestire due fuochi opposti. Sì, perché da una parte aveva Herr Wakabayashi che le chiedeva resoconti dettagliati sull’andamento aziendale, dall’altra aveva Genzo e sua madre che cercavano di tenerlo fuori dal lavoro per permettergli di rilassarsi. Ma Herr Wakabayashi non ne voleva sapere di riposarsi, per lo meno non se questo significava fregarsene della sua azienda. Sobbalzò leggermente al contatto del velivolo con la pista di atterraggio e si aggrappò ai braccioli del seggiolino mentre sentiva la pressione della frenata. Genzo si voltò e la guardò sorridendo.

«Va tutto bene?»

«Sì… sì. Ero sovrappensiero…»

Aspettarono che la gente scendesse per poter prendere i propri bagagli a mano con calma, quindi si diressero verso il controllo passaporto e il successivo ritiro bagagli. Genzo non parlava e lei cominciava a essere stufa di questo silenzio pesante e carico di tensione. Ma la stanchezza iniziò a prendere il sopravvento e non appena raggiunsero la limousine della famiglia Wakabayashi si addormentò, mentre lo chauffeur ancora caricava le loro valigie.

 

Non si poteva certo dire che il suo fosse stato un sonno ristoratore, ma per lo meno era riuscita a fare una doccia e rilassarsi; la giornata che li aspettava era parecchio impegnativa e dovevano mantenersi sul chi vive per non lasciar trasparire nessuna preoccupazione. Se i soci della Nihon no Wakabayashi Corp. avessero anche solo lontanamente sospettato che le condizioni di Herr Wakabayashi erano peggiori di quanto lasciato trapelare, il titolo rischiava di crollare. Dovevano altresì fare in modo che i soci si fidassero di Genzo, cosa che non era mai stata possibile dato che il ragazzo non aveva quasi mai partecipato a riunioni così importanti. Come ultima cosa, Julia doveva guadagnarsi la stima di tutti dando sfoggio delle proprie competenze, cosa non semplice data la famosa misoginia dei soci della famiglia Wakabayashi.

Bussò alla porta comunicante che dalla sua camera permetteva di entrare in quella di Genzo e rimase in attesa qualche secondo, poi non ricevendo risposta decise di scendere nella hall per iniziare a familiarizzare con quel luogo così diverso dallo standard a cui era abituata. Trovò Genzo che discuteva con lo chauffeur, quindi si avvicinò e lo salutò con un leggero inchino come le aveva insegnato. L’uomo ricambiò e si allontanò lasciandola da sola con Genzo.

«Andiamo a far colazione, avrai di che sfamarti con l’international breakfast che offrono qui!»

«Mmh, non vedo l’ora. Sento già il profumo delle uova strapazzate!»

La sala delle colazioni era enorme e alcuni ospiti erano già seduti a tavola intenti a mangiare. Tavoli rotondi coperti da candide tovaglie erano disposti intorno al buffet rettangolare sul quale i camerieri in divisa si accingevano costantemente a mantenere pieni i vassoi di cibo. Da una parte si potevano trovare brioches e croissant di ogni tipo, sia al naturale che con il ripieno di marmellata o miele; dalla parte opposta vi erano tutti i tipi di salato, uova, formaggio, affettati; alle due estremità i dispenser di latte, caffè, acqua calda per il tè e succhi di frutta di almeno quattro o cinque gusti diversi.

«Incredibile… – mormorò Julia, andando a sedersi al tavolo su cui Genzo aveva appoggiato la chiave della propria stanza – Non avevo mai visto nulla di simile.»

«Direi che sia uno dei migliori hotel in circolazione, ed è pieno di ospiti. Sicuramente non vogliono correre il rischio che qualcuno rimanga a bocca asciutta. Che ti porto da bere?»

«Prenderò un po’ di caffè, grazie… e del succo d’arancia.»

Osservò il buffet con golosità, indecisa su cosa mettere sotto i denti, poi optò per le uova all’occhio di bue e del bacon arrostito. Avvicinò il piatto al viso per annusare le fragranze del cibo e notò con piacere che era ancora molto caldo.

«Mangia, avrai bisogno di forze per affrontare la giornata – la spronò Genzo, sebbene non ce ne fosse bisogno – Dopo che ti avrò fatto fare il tour di ricognizione della ditta, ci chiuderemo nell’ufficio di mio padre e studieremo le mosse per il meeting. Voglio che tutto sia perfetto, non voglio lasciare nulla al caso e soprattutto non voglio che nessuno dei soci dubiti delle nostre capacità professionali.»

«Sono felice di sentirti parlare così. Hai proprio l’attitudine da leader.»

«Non è dare ordini che mi spaventa: quando gioco a calcio sono abituato a dirigere la mia difesa in modo da bloccare gli attacchi avversari.»

Si bloccò lì. Julia intuì che la frase sarebbe dovuta continuare, ma capì che il ragazzo non era pronto ad ammettere che, a spaventarlo, era il dover prendere il posto di suo padre, uomo d’affari di successo. Immaginò che probabilmente Genzo non si sentiva all’altezza della situazione, e forse questo era uno dei tanti motivi per cui aveva sempre preferito il calcio agli affari di famiglia.

«Non ti devi preoccupare, hai di fianco la migliore assistente del mondo. Chi può batterci?» disse quindi, facendogli l’occhiolino e addentando un pezzo di bacon croccante. Genzo sorrise, scuotendo la testa, e iniziò a imburrare il pane tostato.


Genzo ce l’ha fatta e, a modo suo, si è scusato con Julia. Una Julia che comunque non gliela fa passare liscia, per nulla intimorita da lui, e gliele canta per bene.

Iniziamo ad entrare nel vivo della storia, con questa trasferta in Giappone in cui i nostri amici dovranno metterci la faccia con la sede centrale dell’azienda. Benché Genzo sia un Wakabayashi, avrà di che sudare per farsi rispettare dai soci di suo padre!

Avere Julia al suo fianco, sarà di aiuto?

Lo scopriremo, come sempre, solo su Rieduchesional Ciannel. *ride*

Grazie per l’attenzione, a presto!

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


ET - Capitolo 1

 

 

«Il traffico di Tokyo non assomiglia a quello di nessun’altra città in cui sono stato.» le confermò Genzo mentre lo chauffeur li conduceva verso l’edificio di proprietà della famiglia Wakabayashi.

«Anche il fatto che giriate contromano sinceramente mi confonde…»

«Non sei mai stata in Inghilterra?»

Julia scosse la testa negativamente. Genzo sorrise e tornò a guardare fuori dal finestrino. Ennesimo momento di silenzio. Lo osservò attentamente e poté notare come i muscoli del collo e della mascella fossero contratti: era teso come una corda di violino. Allungò una mano e la poggiò sull’avambraccio del ragazzo, che sussultò tornando a osservarla.

«Andrà tutto bene…» gli mormorò dolcemente. Dopo qualche secondo di straniamento, il volto di Genzo si rilassò e le sorrise a sua volta, posandole una mano sulla sua.

«Lo so, ho la migliore assistente del mondo al mio fianco.» rispose, facendole l’occhiolino.

Non seppe spiegarsi il perché, ma quel contatto e la nota calda nella voce di Genzo la fecero avvampare, si affrettò quindi a spostare la mano e a tornare nel proprio angolino all’interno della limousine. Finse di prendere delle carte dalla ventiquattrore nera che Herr Wakabayashi le aveva consegnato e cercò di concentrarsi sugli andamenti finanziari degli ultimi quattro anni.

 

Lo stile dell’edificio della Nihon no Wakabayashi Corp. era in linea con quello della sede tedesca: moderno e raffinato, ma non esagerato. L’impiegata alla reception li accolse con un profondo inchino e li fece accomodare nell’ufficio del padre di Genzo, dove lasciarono le ventiquattrore. La receptionist chiese qualcosa a Genzo, che annuì, al che la ragazza si inchinò nuovamente e svanì nel corridoio.

«Julia-san, mi sa che dovrai impegnarti per imparare almeno qualcosa di giapponese.» la schernì Genzo mentre la conduceva all’interno dell’edificio per il giro di ricognizione.

«Ci rinuncio in partenza! È troppo difficile per me…»

«E perché mai? Guarda che la grammatica non è impossibile da imparare…»

«Sì ma tutti quei…. “cosi” arzigogolati!»

Genzo si bloccò di colpo nel corridoio e scoppiò a ridere: Julia non capì cosa poteva aver provocato così tanta ilarità in lui.

«Quei “cosi”, come li definisci tu, sono kanji. Sono linee ben definite che seguono una logica e una coerenza “spirituale”, non sono fatte a caso. Hanno un inizio e una fine. Un po’ come le parole in tedesco che hanno una struttura.»

«Sì, ma noi non ci mettiamo a disegnare tetti e casette per dire l’ora. Puoi dirci che abbiamo parole lunghissime e impronunciabili, ma non che siano impossibili da scrivere!»

«Il mio insegnante delle elementari impallidirebbe a sentirti parlare di “tetti e casette”.»

Julia fece spallucce e continuò a guardarsi intorno per familiarizzare con l’edificio, anche se in linea di massima come struttura ricordava la sede di Monaco: i Wakabayashi si erano sicuramente affidati allo stesso architetto e allo stesso interior designer. Non le dispiaceva, in fondo: era semplice e nello stesso tempo denotava stile ed eleganza. Annuì leggermente mentre finivano il tour.

«Sei soddisfatta?» le domandò Genzo, quando rientrarono nell’ufficio del padre.

«Sì beh, devo dire che è un bell’edificio, grande e ben strutturato. L’organizzazione sarà sicuramente all’altezza di quella tedesca, non ne dubito affatto. Mi chiedevo se l’architetto e il designer fossero gli stessi per tutte le sedi.»

Genzo sorrise e si sedette alla scrivania, unì i polpastrelli e fissò la sua assistente con uno sguardo enigmatico.

«Davvero non lo sai?» chiese poi, appoggiando i gomiti sul vetro che ricopriva la scrivania ebano e sostenendosi il mento.

«Non so cosa?»

«È mia madre l’architetto.»

«Veramente? Frau Wakabayashi ha curato gli allestimenti di tutte le sedi?»

«Esattamente. Quando ero piccolo era spesso in giro per il mondo a occuparsi personalmente delle ristrutturazioni delle varie filiali. - un’ombra passò sugli occhi del ragazzo, ma Julia fece finta di nulla - Voleva tenere sotto controllo l’andamento dei lavori. È sempre stata una maniaca, del controllo intendo…»

«Beh sì, posso capire. L’azienda di famiglia… sai com’è.»

«Già… a quanto pare l’unico che non se ne vuole occupare sono io… ma tant’è. – si alzò e si diresse verso di lei – Adesso siamo in ballo e dobbiamo ballare. Forza, andiamo a salutare il Direttore della Filiale.»

 

Ryo Watanabe li accolse nel suo ufficio con calore: appoggiò una mano sulla spalla destra di Genzo e con l’altra gli strinse la mano in maniera vigorosa. Un saluto tipicamente occidentale, quasi americano, pensò Julia, e in effetti quando iniziarono a parlare inglese la ragazza notò l’accento statunitense del Direttore.

«Ho gestito per anni la filiale di Santa Monica, di giapponese ormai ho solo le sembianze. Sono tornato in Giappone da poco per i miei nipoti. Cosa non si fa per la famiglia.» aggiunse poi, strizzando l’occhio verso Julia.

«L’ex direttore che gestiva la sede di Tokyo stava per andare in pensione – aggiunse Genzo, appoggiando il bicchiere d’acqua sulla scrivania e accavallando le gambe – e noi non abbiamo perso tempo nel chiedere a Ryo di prendere il suo posto.»

«Lavorare per la famiglia Wakabayashi è un piacere e un onore, Genzo. Lo sai. A proposito, come sta tuo padre?»

Genzo chiuse gli occhi per un istante, e quando li riaprì cercò di non lasciar trasparire la preoccupazione che lo avvinghiava nonostante il suo distacco.

«Poteva andare peggio, molto peggio. Per fortuna io e Julia eravamo con lui e siamo potuti intervenire in tempo. I soccorsi sono arrivati tempestivamente e hanno arginato la situazione. Ma non ti nascondo che ne avrà per un po’ e adesso deve riposarsi…»

«Sì, capisco. Ikemoto è una persona forte e determinata, sono sicuro che ce la farà. Ma il problema non è questo, e tu lo sai bene, ragazzo mio.»

«I soci…»

«La tua predisposizione allo sport, che personalmente condivido, soprattutto dati i risultati, ha creato una notevole diffidenza nei tuoi confronti che sarà difficile da abbattere.»

«Ne sono consapevole, Ryo. Per questo mi avvalgo dell’aiuto di Julia. Conosce il mercato molto bene, lavora gomito a gomito con mio padre da quando ha messo piede alla Wakabayashi Corp. Deutschlands, e mio padre si fida ciecamente del suo operato. Gode della piena stima e fiducia di mio padre, e anche della mia.»

Julia si voltò verso il ragazzo e sorrise leggermente, chinando appena appena il capo nella sua direzione in segno di ringraziamento.

Il volto di Ryo si illuminò e sorrise alla giovane.

«Niente difetti quindi!»

«Lavorativamente parlando, direi di no, anche se potrebbe essere scambiata per presunzione. Mi piace il mio lavoro e mi piace l’azienda. Siamo qui per dimostrare che l’assenza di Herr Wakabayashi non influirà sull’andamento della Wakabayashi Corp.!»

Ryo annuì più volte, gli piaceva il carattere di Julia, ed era convinto che il meeting sarebbe andato bene. Il Blackberry della giovane squillò, al che la ragazza lo estrasse dalla borsa, controllò chi fosse, chiese scusa e uscì dalla stanza per rispondere.

Non appena fu fuori, Ryo si voltò verso Genzo.

«Assistente personale? Tutto qui?»

«Non iniziare, Ryo. È l’assistente di mio padre.»

«Ed è una ragazza intelligente, che sa il fatto suo, e anche bella. Non dire di no.»

«E lavora per me.»

«Certe donne, Genzo, non bisogna farsele scappare.»

 

«Herr Wakabayashi! Sono le tre di notte lì in Germania! Non dovrebbe essere al telefono! Dovrebbe dormire e riposarsi!»

«Mi sono alzato per andare in bagno e ho pensato di sentire com’era andato il volo. Tutto bene? Genzo sta bene?»

«Sì, è andato tutto bene, ma se suo figlio scopre che sono al telefono con lei si arrabbierà, e non poco! Adesso torni a dormire, la chiamo io a meeting concluso.»

«Julia…» mormorò piano.

«Mi dica…» rispose lei, un po’ pentita del tono di voce con cui gli aveva intimato di tornare a dormire.

«Grazie per tutto ciò che stai facendo… so che ti sto chiedendo molto, so che lo stai facendo perché è il tuo lavoro e perché ci tieni all’azienda ma…»

«Herr Wakabayashi, mi creda – lo interruppe lei addolcendo il tono di voce – quando vedrà il conto delle spese di viaggio non sarà più così felice all’idea di farmi girare per le varie sedi!»

L’uomo scoppiò a ridere di gusto e Julia sorrise rincuorata da ciò: le sembrava che stesse già un po’ meglio rispetto a quando l’aveva visto prima di partire.

«Ora la saluto, torno da Genzo. Si riposi, buonanotte.»

«A te, mia cara. Buon lavoro.»

Chiuse la comunicazione e si appoggiò al muro del corridoio. Quell’uomo già da molto tempo aveva smesso di essere un capo e aveva iniziato a essere una sorta di padre. Era l’unico a sapere la reale situazione familiare di Julia, e l’aveva aiutata in tutti i modi possibili, per questo lei gli era estremamente riconoscente. Non era solo un legame lavorativo, c’era anche dell’affetto. D'altronde, come le aveva detto in più di un’occasione, lui non aveva avuto figlie femmine, e questo era un rimorso che un po’ lo accompagnava.

Rientrò in ufficio e si accomodò accanto a Genzo, che la guardò con aria interrogativa ma lei minimizzò con un cenno del capo.

«Vogliamo procedere?» domandò Ryo. Entrambi annuirono e capirono che da quel momento avrebbero iniziato a fare sul serio.

 

I muscoli del volto erano perennemente contratti ma, nonostante questo, Genzo ostentava una sicurezza di sé che avrebbe fatto impallidire i migliori uomini d’affari. La sua compostezza era la stessa di quando si trovava tra i pali, serio e concentrato su ciò che gli accadeva intorno.

Il meeting si svolgeva in inglese proprio perché erano in videoconferenza con Santa Monica: Akio Wakabayashi era la versione adulta di Genzo, i capelli brizzolati ricordavano quelli del padre, mentre gli occhi erano dello stesso color nocciola di Frau Wakabayashi. I due si erano comportati in maniera molto fredda nei saluti, forse anche per via dell’ambiente formale del meeting.

Julia si era seduta accanto a Genzo e prendeva appunti su ciò che riteneva fondamentale e su ciò che le catturava di più l’attenzione. La cosa principale che aveva notato subito era l’atteggiamento degli astanti, molto diverso da quello dei soci tedeschi, a cui era abituata. I giapponesi avevano un’attitudine diversa, difficile da inquadrare per lei; si ostinò comunque a cercare di captare qualsivoglia segnale.

Venne interpellata un paio di volte per illustrare l’andamento finanziario delle sedi europee e per definire i dettagli per un successivo meeting tra la sede di Santa Monica e quella tedesca. Akio Wakabayashi si congedò non prima di aver comunicato al fratello che l’avrebbe contattato privatamente per questioni personali. Genzo annuì e si rabbuiò, quasi come se la cosa lo infastidisse.

Alla fine del meeting Julia e Genzo erano accanto alla porta che salutavano i partecipanti con un perfetto inchino in stile giapponese e una stretta di mano occidentale. Julia sorrideva delicatamente e ringraziava chi si soffermava a complimentarsi per l’ottimo lavoro svolto nell’elencare attività e passività delle sedi del Vecchio Continente.

Non appena rimasero soli (Ryo aveva un paio di telefonate da fare), Julia emise un sospiro lunghissimo e si sedette sulla sedia più vicina per togliersi le tanto odiate scarpe col tacco. Genzo sorrise e si sedette accanto a lei, distendendo le gambe.

«Odio questi aggeggi! Sono uno strumento di tortura inventato dagli uomini per vendicarsi di noi donne…»

«Addirittura!»

«Credimi: se non mi sentissi in dovere di vestirmi in maniera un po’ femminile, non li indosserei mai!»

«Mi sa che dovrai abituartici però. Finché mio padre non si riprenderà sarà tutto sulle nostre spalle. E dovrai vestirti elegante. Hai gusto, mi piace quel tailleur.»

Julia osservò il vestito che indossava: un semplice tailleur giacca/gonna al ginocchio color antracite a tinta unita, e una camicetta azzurra con uno scollo a V.

«Dici? È una delle poche cose eleganti che ho.»

«Andremo a fare shopping, prima di rientrare in Germania. Conosco un paio di boutique dove potrai scegliere qualcosa di nuovo. – si alzò e uscì dalla sala riunioni – Fa’ con calma, vado a fare un paio di telefonate.»


Ed eccoci qui, immersi già nell'ambiente lavorativo nipponico: la pressione che sentono Julia e Genzo è dovuta dal fatto che devono assolutamente apparire calmi e controllati, nonostante l'incertezza del malore di Herr Wakabayashi (che comunque non si rassegna a seguire le indicazioni dei medici: ne conosco un'altro, così... *guarda il BigBoss di sottecchi*).

Abbiamo anche i primi contatti "fisici" tra i nostri due amici, e - oppallà - Julia arrossice. Beh, d'altronde Genzo è un pezzo da 90 *ride*

Grazie a tutti per l'affetto e il sostegno che mi date, tengo molto a questa storia e sapere che piace anche a voi mi rende molto felice *sorride* 

Un bacione e a prossima settimana! 

Sakura 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


ET - Capitolo 1

 

Quando Julia raggiunse Genzo nell’ufficio del padre, lo trovò seduto alla scrivania, col MacBook aperto, intento a scrivere velocemente. Il ragazzo alzò appena lo sguardo dallo schermo giusto il tempo per sorriderle, poi si concentrò nuovamente su ciò che stava facendo.

La giovane si sedette di fronte a lui e iniziò a rileggere i propri appunti per impostare la relazione. Rimasero in silenzio per qualche minuto finché lui non chiuse di scatto il laptop.

«Direi che possiamo andare a pranzo, se sei d’accordo.»

Non si era nemmeno accorta dell’orario, erano già le 13 passate, ma il suo stomaco, quasi a compiacere la proposta, iniziò a borbottare.

«Per me va bene, tra l’altro sentivo giusto un buon profumino provenire dalla mensa.»

«Aggiudicato!»

La sala mensa era affollata, saranno stati più di un centinaio di dipendenti intenti a consumare il loro pasto. La maggior parte di essi erano uomini in giacca e cravatta, tra di loro qualche donna vestita in maniera sobria. In un angolo, quasi a suggellare la differenza tra i due mondi, una ventina di occidentali si erano appropriati di una tavolata e chiacchieravano in maniera tranquilla.

Ryo alzò un braccio verso Genzo e Julia, che lo raggiunsero in un attimo.

«Julia, lascia che ti presenti il tuo equivalente qui alla Nihon no Wakabayashi Corp.: lei è Daisy Mannington. Lavorava con me a Santa Monica, non ha esitato a seguirmi qui quando le hanno proposto il lavoro.»

«Piacere di conoscerla, io sono Julia Wagner.»

L’americana si alzò appena e le strinse la mano: aveva circa 40 anni, il fisico atletico fasciato da un succinto abito in raso color confetto, i capelli raccolti in una crocchia e tenuti fermi da due bastoncini in stile giapponese dello stesso colore del vestito. Trucco perfetto, abbronzatura da lampade. Un cyborg, più che una donna, pensò Julia, limitandosi comunque a sorridere mentre si sedeva tra Ryo e Genzo.

Daisy iniziò a tempestare Genzo di domande sulla salute di suo padre, mentre se lo mangiava con gli occhi: il ragazzo, dal canto suo, rispondeva con calma e aplomb senza quasi rendersi conto della voracità sessuale dell’americana. Julia si limitò a mangiare il suo riso in silenzio, annuendo di tanto in tanto e osservando l’ambiente circostante. Il jet lag iniziava a farsi sentire e quando Genzo le chiese se volesse per caso andare in albergo a riposarsi qualche ora, accettò di buon grado.

«A questo punto credo che possiamo vederci direttamente domattina per fare il punto della situazione, che ne dite? Per te può andare, Julia?»

«Non c’è nessun problema, Ryo.»

«Nel caso, mi trovi sul cellulare.» concluse Genzo prima di montare sulla limousine. Lo chauffeur li accolse con un lieve cenno della testa e li condusse in hotel.

 

«Grande la mia Julia! Sono così orgogliosa di te!»

La voce squillante di Heidi la travolse, dovette allontanare il telefono dall’orecchio per non rischiare di rimanere sorda.

«Sì, anch’io sono contenta; è andata bene. Adesso rimarremo ancora qualche giorno qui per controllare le ultime cose, poi dopo la partita di beneficenza torneremo a Monaco…»

«Con Genzo tutto bene, vero? Immagino che tu non ti stia ammazzando di chiacchiere con lui…»

«Credo che senta la pressione e la responsabilità dell’incarico… è normale… io cerco solo di fare il mio lavoro per aiutarlo al meglio, poi il resto è tutto nelle sue mani.»

«Ma sì dai, andrà tutto bene…»

«Era presente in videoconferenza anche uno dei suoi fratelli…»

«Veramente?!»

«Sì, dirige la filiale di Santa Monica… Herr Wakabayashi mi aveva accennato qualcosa, e… ops, bussano alla porta, ci sentiamo, ok?»

«Ok, un abbraccio!»

Bussarono di nuovo, Julia lanciò il Blackberry sul letto e corse ad aprire.

«Ehi, Genzo, tutto bene?»

Il ragazzo era pallido. Scosse la testa in senso di diniego e abbassò lo sguardo: Julia si scostò per farlo entrare.

«Ho parlato con Akio… Dice che ha parlato con mamma e Takayuki…»

Indicò al ragazzo il letto, per farlo accomodare.

«Che ti ha detto?»

«Mia madre ha raccontato loro come si sono svolti i fatti… la litigata, l’ictus… e loro mi hanno dato la colpa.»

«Che cosa?!»

«Dicono che i medici sono stati categorici, è stato lo sbalzo di pressione a scatenare il tutto. Mio padre non si ricorda di aver avuto dei segnali premonitori e…» al ragazzo sfuggì un singhiozzo. Julia era rimasta impietrita, non sapeva che dire. Come potevano accanirsi su di lui? Stava facendo di tutto per mandare avanti l’azienda, si stava impegnando a fondo.

«Di che tipo di “segnali” parlano i medici?»

«Non saprei… sono stati vaghi… Julia, tu pensi davvero che sia colpa mia?»

«Ma stiamo scherzando? Genzo, è un ictus! Lo sai che è la terza causa di morte in Europa?»

«Io mi sento in colpa…»

Quella rivelazione scatenò una reazione inaspettata in lui. L’ebano delle sue iridi si inumidì, come un pozzo profondo che veniva pian piano riempito da acque nere. Sbatté le palpebre e le lacrime rigarono il volto, raggiunsero la punta del mento e da lì caddero sulle mani appoggiate sulle ginocchia.

Julia ne osservò il percorso senza riuscire a proferire verbo: non era abituata a questo tipo di rapporto con il ragazzo... Eppure da quando avevano iniziato a lavorare gomito a gomito qualcosa era cambiato, come se fossero passati a un livello successivo, più profondo, un’amicizia che andava al di là dell’ufficio. Si sedette accanto a lui e gli passò un braccio attorno alle spalle: Genzo le appoggiò la testa nell’incavo della clavicola, lasciandosi andare a un pianto sommesso. Rimasero così per un tempo incalcolabile, entrambi persi nei propri pensieri, fino a quando Genzo si scostò da lei. Si asciugò gli occhi, poi si alzò, dandole le spalle, e senza dire nulla uscì dalla stanza. La giovane rimase basita a osservare la porta chiusa, le braccia ancora sollevate e lo sguardo attonito. Si lasciò cadere sul letto e scosse il capo, non avrebbe mai capito fino in fondo i Wakabayashi.

 

Genzo non si riferì mai all’episodio del pianto, né parlò più dei suoi fratelli o delle accuse riguardanti il malore del padre. Né lei si scompose del fatto che lui sembrasse ignorarla, o almeno, così le pareva. Possibile che quel ragazzo riuscisse a passare dal “Ti prego, confortami” al “Scusi, ci conosciamo?” in così poco tempo? Il suo psicologo si sarebbe sfregato le mani davanti a un caso simile.

«Julia, sei con noi?»

Si accorse che Ryo le stava scuotendo la mano davanti al volto e si riscosse dai pensieri: arrossì delicatamente e si scusò, adducendo a un mal di testa per giustificare la sua mancanza di concentrazione. Daisy le offrì subito una compressa per il dolore, mentre Genzo la fissava con aria interrogativa: lei gli fece l’occhiolino e tornò a concentrarsi sull’argomento della riunione.

 

«Stai meglio?» le chiese il giovane mentre stavano rientrando in albergo.

«Sì, decisamente, grazie. Daisy deve avermi dato una di quelle bombe in commercio negli Stati Uniti.»

«Domani ci spostiamo a Osaka, ti va di uscire a cena stasera? Abbiamo sempre cenato in albergo, mi piacerebbe farti vedere qualcosa della città.»

«Volentieri. Tra l’altro mi dispiace di aver boicottato il tuo shopping…»

L’atmosfera tra di loro era gelida. Dopo il picco dello sfogo di Genzo, i due si erano allontanati, come se avessero deciso di raffreddare il rapporto per evitare situazioni imbarazzanti. In realtà Genzo avrebbe voluto sfogarsi nuovamente, parlare ancora con lei, ottenere consigli non solo lavorativi ma qualcosa gli impediva di farlo, come se fidarsi di lei una volta avesse già messo in pericolo la sua incolumità. Dal canto suo Julia non era abituata a dover pensare a qualcun altro, era sempre stata sufficiente a sé stessa.

Seduti nel sedile posteriore della limousine, guardando entrambi fuori dal finestrino, pensavano involontariamente alla stessa cosa, al loro rapporto, e a cosa ne sarebbe stato una volta rientrati in Germania.

«Sei nervosa? Per l’incontro con i sudamericani, intendo…» specificò subito il ragazzo.

«Un po’… mi chiedo come reagiranno quando vedranno noi due anziché Herr Wakabayashi. Ma abbiamo svolto un ottimo lavoro e sono sicura che andrà bene.»

«Sempre ottimista.»

«Devo, il pessimista lo fai già tu.»

Quella frase, buttata lì apparentemente a caso, gelò Genzo: si stava comportando così male da farle credere di essere un pessimista cronico? Lui non vedeva tutto nero… decise che le avrebbe detto qualcosa, qualunque cosa: glielo doveva.

«Akio e Takayuki sono sempre stati molto uniti: tra loro c’è un solo anno di differenza e sono cresciuti insieme senza particolari problemi. Poi sono arrivato io: loro erano adolescenti, e non capivano, o forse si erano riscoperti tutto a un tratto gelosi dei loro genitori. Fatto sta che si sono sempre comportati come se io non ci fossi. Poi, sono diventato un calciatore, un calciatore famoso. E loro, nel loro piccolo, hanno iniziato ad essere orgogliosi di me. Credo che nessuno di loro si sia mai perso una partita. Ma ormai… io sono diffidente, sono cresciuto così. – si voltò verso di lei, che continuava a guardare fuori dal finestrino – Non ho mai avuto… nessuno che mi coccolasse quando ero piccolo, e credevo di non meritarlo.»

«A volte ci convinciamo di cose che pensiamo che siano, e invece non sono. L’importante è non farsi abbattere.»

«Akio è sposato con una ragazza americana, per questo vive a Santa Monica; Takayuki è rimasto in Giappone, gira per le varie sedi e gestisce i contatti. »

«Sarà per questo che non ho mai avuto l’occasione di incontrarli.»

«Se io non fossi stato in Germania, non avresti conosciuto neanche me.»

Quell’affermazione le scatenò un brivido lungo la spina dorsale: si voltò verso di lui e lo vide tormentarsi le mani; gliele liberò, in modo che non potesse più farlo.

«Lascia stare, non ne vale la pena: queste sono preziose. La dirigenza del Bayern potrebbe uccidermi se sapesse che ti ho permesso di toglierti le pellicine.»

La guardò con lo sguardo pieno di gratitudine e le sorrise sincero.

 

«Questi sono i migliori uramaki che io abbia mai mangiato!» esclamò Julia, riempiendo nuovamente la ciotolina di terracotta con la salsa di soia e disperdendoci, all’interno, una punta di wasabi per intingerci l’ultimo uramaki che aveva nel piatto, nonostante lo sguardo di disapprovazione di Genzo.

«Sì, ho notato che ti piacciono parecchio. Vuoi che ne ordiniamo ancora?»

«No per carità, potrei scoppiare. Ma grazie per avermi portato in un vero sushi bar.»

«Non sapevo che ti piacesse il cibo giapponese.»

«Non sai molte cose di me.» rispose lei, bevendo un sorso di birra e guardandolo con sguardo finto malizioso.

«Sentiamo, cosa c’è da sapere?»

Si pulì la bocca con il tovagliolo per creare un po’ di suspense.

«Per esempio che sono nata in Svizzera, a Lucerna. Sono tornata in Germania a pochi mesi, sono cresciuta a Wolfach, nella Foresta Nera. Sono circa 360 km da Monaco.»

«I tuoi che facevano?»

«Sono cresciuta con i nonni…»

A Genzo non sfuggì la scintilla che aveva attraversato gli occhi nocciola di Julia. Non gli era sfuggita per niente. Era una scintilla di dolore, velata di malinconia. Lei bevve un ulteriore sorso di birra e continuò il suo racconto.

«A 19 anni, dopo aver tentato inutilmente la strada universitaria, ho deciso di trasferirmi a Monaco: mi ha sempre affascinato come città, e devo dire che non mi ha deluso per niente. Ho iniziato a lavorare per la Wakacorp ed eccoci qua.»

«Come hai conosciuto Heidi?»

«Ci siamo trovate a dividere l’appartamento: lei frequentava la LMU(1), studiava Scienze Sociali, e cercava una coinquilina. Sono stati gli anni migliori della mia vita, da quel punto di vista.»

«Diceva che non potevi uscire, o sbaglio?»

A Julia si formò quasi un groppo in gola, e cercò di scioglierlo dissimulando indifferenza.

«In realtà… è una storia vecchia e…»

«Una storia che ti rabbuia non è una bella storia, chiaramente. – disse Genzo, annuendo –Sono il primo a dire che non è facile raccontare di sé.»

«Non è solo difficile… in quel periodo frequentavo una persona, un ragazzo, per questo non amavo tanto uscire. Lui era molto geloso e io volevo evitare le discussioni.»

«Mi stai dicendo che non voleva che tu uscissi con le tue amiche?»

«Non se lui non era presente, perché non poteva sapere cosa avrebbero fatto gli altri uomini con me e diceva che la cosa lo uccideva. Ho capito che era una bugia quando...»

Julia trattenne il respiro: doveva raccontarglielo o no? Era un grandissimo atto di fiducia, quello di raccontargli quel particolare del suo passato. Solo Heidi ne era a conoscenza, e solo perché vivevano insieme, in quel periodo.

«Mi ha chiuso in camera, una sera… ha letteralmente girato la chiave nella toppa e se l’è portata via, per impedirmi di andare a una festa di compleanno.»

Genzo la fissava immobile, a sentire il racconto gli si era gelato il sangue nelle vene.

«Stai scherzando!?»

«No… per fortuna Heidi è tornata a casa a cercarmi e mi ha aperto con la chiave della sua stanza: erano tutte uguali… mi ha convinto a lasciarlo anche se io ero davvero innamorata…»

«Che ne è stato di lui?»

«Ha provato a ricontattarmi più e più volte, ma Heidi e Daniel mi spalleggiavano e mi hanno aiutato a rompere tutti i ponti. Deve avere trovato un’altra donna nel giro di breve tempo, perché è sparito. Mi ritengo fortunata, non oso immaginare cosa sarebbe potuto succedere, a che livello di cattiveria sarebbe potuto arrivare…»

«Non l’hai denunciato?»

«Non c’erano gli estremi per farlo, era un caso isolato. E poi probabilmente se n’è proprio andato via da Monaco perché non l’ho più visto.»

Genzo annuì e d’istinto le prese la mano.

«Mi dispiace…»

Lei gli posò a sua volta una mano sulla sua, senza alzare lo sguardo, e sorrise.

«Va tutto bene, è passato tanto di quel tempo che ormai è solo un ricordo spiacevole. Te l’ho detto, sono stata molto fortunata.»

Decise di cambiare argomento, voleva farla sorridere, non farla stare male. Sciolse le mani che si stavano ancora tenendo e si alzò.

«Andiamo a fare una passeggiata dai, così entrambi ci scrolliamo di dosso i cattivi pensieri.»

Camminarono per un’ora, nel centro di Tokyo, che non era affollato sia data l’ora sia per il giorno infrasettimanale. Ogni tanto Genzo faceva una battuta oppure cercava di spiegare qualcosa e il suo tedesco arrancava, allora Julia scoppiava a ridere gettando la testa all’indietro, i lunghi capelli che ondeggiavano mentre lei si asciugava le lacrime.

Rientrarono in albergo che ancora ridevano, il concierge li guardò divertito.

«Buonanotte Genzo, grazie per la serata. E grazie per avermi fatto svagare.»

«Grazie a te. Ci vediamo domattina alle otto e mezza per la colazione, ok?»

«Ok…» rispose lei, sorridendo. Si guardarono per qualche secondo negli occhi, entrambi incerti sul da farsi, finché Genzo non si sporse e le posò un bacio sulla guancia. Quando si tirò indietro le fece l’occhiolino e si voltò per raggiungere la stanza.

Julia aprì la porta e la richiuse, vi si appoggiò e si guardò le mani. Tremavano. Merda… pensò. Non era il momento per farsi prevaricare dai sentimenti.

 

 

1 Ludwig-Maximilians-Universität München: è la seconda università della Germania.


I fratelli di Genzo - che vivono lontani dalla Germania, e questo spiega perché non si siano precipitati immediatamente al capezzale del padre - se la prendono con lui per il malore che ha colto Herr Wakabayashi. A nulla servono le parole di Julia, che si è evidentemente informata sulla percentuale di morte in Europa per questo malore (dato che - al 2013 - era corretto, purtroppo ai tempi non mi sono segnata le pagine da cui li ho presi, ma basta fare una piccola ricerca su Google per rendersi conto di quanto siano allarmanti i dati). Genzo si sfoga, e poi si alza e se ne va, una volta consolato. E non ne riparla, per orgoglio o per cosa, al momento, non è dato saperlo. 

E finalmente, Julia ci racconta un po' di sé: non molto in realtà. Scopriamo che è nata in Svizzera e cresciuta con i nonni in una cittadina del Baden-Württenberg. Perché proprio Wolfach? Perché nella primavera del 2013 ero in vacanza in Provenza, e ho conosciuto dei signori tedeschi che mi parlavano di una delle ultime Brauerei statali della Germania. Quando sono tornata a cercare la città, che aveva un nome che assomigliava molto a Wolfach, ahimé non ho trovato nulla, quindi la mia memoria sicuramente mi ha tradito... ero però in fase di stesura di ET, e la città da cui proveniva Julia era ancora indicata con una bella XYZ, così ho cercato sulla cartina la località, e ho pensato "Perché no?". Mi sono consolata così XD 

Lucerna, invece, è una città svizzera in cui ho passato alcuni periodi della mia infanzia, andando a trovare una pro-zia. Diciamo quindi che questa scelta è stata dettata più da un legame affettivo che altro. 

Un'altra piccola curiosità riguarda Julia che scioglie il wasabi nella salsa di soia: i giapponesi tendono a non farlo, loro preferiscono mettere pezzettini di wasabi direttamente o tra riso e pesce, o sui maki, e siccome io soffro di una rara dipendenza da wasabi (più ne mangio, più ne mangerei XD) ho felicemente adottato questa tecnica, e scasso le pelotas a tutti quelli che non lo fanno XD (vi metto QUI il link che mi ha cambiato la vita). 

Adesso, però, vi saluto, perché a questo giro le note sono quasi più lunghe del capitolo XD 

Vi abbraccio forte, con Julia e Genzo ci riaggiorniamo settimana prossima :) 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


ET - Capitolo 1

 

 

Dire che non aveva chiuso occhio era un eufemismo: era rimasto tutta notte sdraiato sul letto fissando il soffitto come un ebete. Nella mente risuonavano chiare le parole di Ryo Watanabe “Certe donne, Genzo, non bisogna farsele scappare…” e anche se lui non voleva darci peso, sapeva benissimo cosa intendeva. Fino ad allora aveva sempre considerato Julia come un’ottima impiegata, una risorsa preziosa per l’azienda e una ragazza piacevole con cui fare due chiacchiere. Passare così tanto tempo con lei gli aveva dato modo di conoscerla a fondo, non solo come collaboratrice, ma anche come persona e come donna.

Un trillo lo fece sobbalzare dal letto, era il telefono di cortesia che suonava.

«Moshi-moshi.»

«Genzo, sono Julia, sono le nove meno un quarto!»

«Oh, porca miseria, mi sono appisolato! Merda! Faccio una doccia e scendo al volo! – la sentì ridacchiare dall’altra parte – Perdonami, ma stanotte non ho chiuso occhio!»

«Fai con calma, ti aspetto giù.»

Quando la raggiunse, si sentiva mortificato e si presentò a lei con la faccia da cane bastonato.

«Vuoi stare tranquillo? Non è niente di grave. Adesso facciamo colazione e poi partiamo subito, vedrai che i piani non verranno alterati.»

«Come ho fatto ad essere così stupido. Punto sempre la sveglia di cortesia e…»

«Vuoi la verità? Mi sono svegliata per caso alle 8:25… – rise – Quindi ero in ritardo tanto quanto te. Ci siamo persi in chiacchiere ieri sera e questo è il risultato, ma siamo qui e non rischiamo di perdere il treno, quindi va tutto bene.»

Genzo annuì e le aprì la porta che conduceva alla sala colazioni.

 

«L’incontro è tra un’ora nella sede della Nomura Securities(1), tuo padre è incredibile.» esclamò Julia, affascinata dal fatto di poter entrare in quell’edificio.

«Sì, credo che si debbano dei favori a vicenda… e comunque è un bene farlo lì, in questo modo manterremo la riservatezza. Possiamo recarci là, intanto, e ringraziare chi di dovere.»

«Sono d’accordo, è meglio mantenere buoni rapporti, e poi vorranno sapere di tuo padre.»

Dopo aver sbrigato le formalità relative ai saluti, vennero fatti accomodare in una saletta dove tutto era predisposto per il meeting: sul tavolo trovarono addirittura dei dolcetti e delle bibite.

Quando i sudamericani arrivarono, Julia era tesa come una corda di violino: ci pensò Genzo ad accoglierli sorridendo, e facendo loro il gesto di accomodarsi.

 

«Señorita Wagner, è stato un vero piacere incontrarla di persona, e non vediamo davvero l’ora di venire a Monaco per incontrare di persona il Señor Wakabayashi. Quanto al mitico portero qui presente – si voltò verso Genzo e gli diede una pacca sulla spalla che lo fece sbilanciare in avanti – grazie ancora per averci dedicato il suo prezioso tiempo

«Grazie a voi, Herr Wakabayashi sarà felicissimo di incontrarvi, e scusate ancora se i suoi problemi l’hanno obbligato a rimanere in Germania.»

«Non si preoccupi, señorita! La salute prima di tutto! E comunque notiamo con piacere che si è premurato di mandare qui i suoi migliori collaboratori!»

Sanchez diede una nuova pacca sulla spalla a Genzo, che barcollò per l’ennesima volta, ma sorrise e non diede a vedere che, sì, stava per perdere la pazienza.

«Sarà un onore per noi avervi ospiti alla Wakabayashi Corp. Deutschlands.»

«E noi verremo sicuramente! Adíos!»

Non appena rimasero soli nella stanza, Genzo e Julia si diedero il cinque, felici.

«È andata molto meglio di quanto mi aspettassi!» esclamò la ragazza, tornando a sedere e scrivendo gli ultimi due appunti sul suo fidato block notes.

«La mia spalla non è d’accordo ma non stiamo a sottilizzare! Per festeggiare stasera ti porto a mangiare gli okonomiyaki

«Che?»

«Una specialità culinaria di Osaka, vedrai…»

 

Il ristorante in cui la portò era di poche pretese, nonostante questo però Julia, quella sera, si sentiva come una ragazzina al primo appuntamento, e non seppe spiegarsi il perché. Non era la prima volta che cenavano insieme, e non era nemmeno la prima volta che la portava fuori per mangiare, eppure quella sera era stato particolarmente galante: le aveva offerto il braccio per uscire dall’albergo, le aveva aperto la portiera per salire e scendere dal taxi, le aveva persino aperto la porta del ristorante. Arrossì quando le versò addirittura l’acqua nel bicchiere dalle divertenti sfumature turchesi.

«So che è presto per dirlo, ma dovremmo festeggiare.»

«Non sarebbe meglio essere scaramantici e farlo solo una volta che ci sarà la firma del señor Sanchez in calce al contratto?»

Genzo sorrise.

«Forse. Ma è stato tremendamente affascinante vederti contrattare con loro.»

Julia si sentì avvampare e decise di dissimulare bevendo dell’acqua.

«Ad ogni modo – continuò il portiere – appena rientreremo dovremo organizzare il CdA che abbiamo promesso a Herr Hagner.»

«Dovremo scontrarci con lui, non sarà facile.» rimarcò Julia, posando il bicchiere sul tavolo e concentrandosi sull’orlo del tovagliolo.

«Dovrà sottostare al volere della maggioranza, e sono sicuro che gli altri soci accetteranno, non sono stupidi, sanno quanto valore può dare un’acquisizione del genere.»

«Stare al comando ti piace più di quanto tu non dia a vedere.» commentò lei, notando il piglio dittatoriale con cui aveva appena parlato.

«Sono nato per questo.»

«Il modesto…»

Il cameriere arrivò con le ordinazioni, zuppa di miso e okonomiyaki per due; Julia osservò i piatti e aspettò che Genzo iniziasse a mangiare.

«Dobbiamo usare una strategia adeguata, magari ne parliamo con tuo padre.»

«Sì, mi dispiace disturbarlo, ma è l’unico che può dirci come agire. Gliene parliamo quando torniamo a casa, con calma.»

«L’hai sentito?»

«Sì, poco fa. La situazione è leggermente migliorata, ma data l’età lo tengono costantemente monitorato. Non sa ancora quando lo rimanderanno a casa ma lui sostiene che sarà a breve.»

«Gli hai parlato dei tuoi fratelli?»

Genzo tacque.

«Dovresti farlo. Non è giusto che si accaniscano su di te.»

«Magari più avanti glielo dirò, adesso non è il caso di agitarlo…»

«Mmmh, d’accordo… caspita questo okonomi-coso è delizioso!»

«Sono felice che ti piaccia.»

«Devo ammetterlo, in questi giorni ho mangiato bene, non pensavo.»

«Solo mangiato?»

«In che senso?»

Genzo fece una pausa, poi scosse la testa e la fissò sorridendo.

«Hai divorato tutto ciò che trovavi in giro, che è diverso!»

«Non è vero! – esclamò Julia, avvampando – Non è assolutamente vero!»

Genzo rise di gusto, mentre Julia a testa bassa moriva di vergogna.

«Ma dai che sto scherzando! Però è bello vederti arrossire, sembri quasi umana.»

 

Welcome to the danger zone

Step into the fantasy

You are not invited to the otherside of sanity

 

«Io? Io SONO umana. Sei tu che sei un alieno, il marziano paratutto del Bayern.»

 

They calling me an alien

A big headed astronaut

 

«Sono più umano di quello che pensi, semplicemente mi nascondo.»

«Sì, quello l’avevo notato. Però devo dire che con me sei sempre stato carino, fin da quando ho iniziato a lavorare da voi.»

You’re so hypnotizing

Could you be the devil

Could you be an angel

 

«Mi trovo bene, mi metti a mio agio, e non mi tratti come un cretino o come un Dio sceso in terra, per fortuna!»

«Tu? Un Dio sceso in terra? Ma non scherziamo!»

«Ma sentila, quella che è sempre acida e non sorride mai!»

«Io sorrido solo quando ce n’è bisogno, Wakabayashi.»

«Quindi con me non c’è bisogno?»

Julia raggiunse il livello massimo di imbarazzo.

«Che vuoi dire?»

«Che non ridi mai con me…»

«Perché tu mi metti in soggezione… e comunque sei il figlio del capo, nonché mio attuale e probabilmente futuro capo. Non posso sbottonarmi troppo con te.»

«Ah, andiamo! Che stupidaggine è mai questa! Siamo coetanei, anche se ricopro un ruolo superiore al tuo non devi sentirti in imbarazzo.»

«Beh, comunque sono un’assistente, sai a quanti corsi ho partecipato in questi anni? Per essere la migliore bisogna tenersi aggiornate…»

«Tu mi intrighi, lo sai? Credo che ci sia un mondo da scoprire, dentro di te. Brindiamo alla nostra amicizia, per favore?»

Ci pensò su qualche secondo, poi alzò il bicchiere e lo fece tintinnare contro quello di Genzo.

«Alla nostra amicizia…»

 

1 Nomura Securities: è la prima agenzia di cambio del paese, fondata proprio a Osaka nel 1925.


I nostri amici stanno, giustamente, portando avanti il loro lavoro, ma dopo l'incontro con Herr Sanchez, il pensiero vola automaticamente in Germania e al temibile Herr Hagner, che li aspetta al varco per il CdA.

Le cene galeotte fanno sì che questi due si aprano sempre un po' di più, dopotutto stanno vivendo una situazione che per Julia è quasi surreale, e non manca di rimarcare che lui è il figlio del capo, quindi anche per lei è difficile capire che rapporto mantenere con lui... 

Oh mamma, che intrecci... ma ve l'avevo preannunciato, sarà un percorso tutto in salita ;) 

Intanto grazie per l'affetto, a mercoledì prossimo :*

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


ET - Capitolo 1

 

«Genzo non andrà alla partita…»

«Mi prendi in giro…» rispose Ryo Watanabe, fissando Julia con gli occhi spalancati, come se quello che gli aveva appena comunicato fosse addirittura inimmaginabile.

«No, sono seria. È stata una sua scelta: la mattina seguente dovrebbe essere qui per l’ultimo meeting prima di rientrare.»

«Vuoi dirmi che non ha nemmeno provato a protestare? – la ragazza abbassò lo sguardo – Che c’è?»

«Ryo… quando Genzo ha provato a chiedere di spostare il meeting… è stato il momento in cui Herr Wakabayashi è stato male…»

Il nipponico la fissò con gli occhi ancora più spalancati e la bocca aperta: ora il cerchio si chiudeva, e finalmente aveva una spiegazione plausibile sul fatto che Genzo fosse così ligio al dovere.

«Non oso immaginare come possa sentirsi…» commentò infine, risiedendosi e facendo aderire il dorso allo schienale della sedia.

«Tu no, ma io sì. Lo vedo ogni giorno: sono convinta che gli piaccia prendersi cura degli affari della Wakabayashi Corp., anche se non lo ammetterebbe mai. Ma sono altresì convinta che avrebbe preferito occuparsene in maniera diversa, e non perché costretto dal malore di suo padre. E rinunciare alla partita, benché per lui sia come tradire i suoi compagni, è l’unico modo che ha trovato per punirsi…»

«Noi non possiamo permetterlo, dico bene?»

Julia non capì cosa intendesse finché non lo vide alzare la cornetta, sorridente: fece due o tre telefonate e alla fine la guardò sorridendo e annuendo.

«Chiama Genzo: temo che dovremo spostare il meeting al pomeriggio.»

 

«Cosa?»

Genzo fissava incredulo Watanabe.

«Non ammetto discussioni: il meeting si farà alle 17:30, non mi interessa se è troppo tardi. Non vorrai farmi ricredere sulla buona opinione che ho nei tuoi confronti.»

Ryo aveva usato la tattica giusta: se avesse detto a Genzo di aver spostato il meeting per permettergli di giocare la partita, quest’ultimo non avrebbe mai e poi mai accettato. Ma mettendolo come un dato di fatto, e sottolineando che non accettava ricorsi (benché sul suo volto fosse stampato un sorrisetto soddisfatto), il portiere si sarebbe sentito meno in colpa verso l’azienda. E così fu, perché dapprima incredulo, il ragazzo tramutò lo sguardo in un sorriso che partiva dal cuore, riconoscente verso quell’uomo che gli permetteva di correre dai suoi compagni di squadra.

«Questo vuol dire che posso giocare l’incontro!»

«Ah, perché, hai una partita?» Ryo gli fece l’occhiolino e Genzo sorrise ancora di più. Si voltò quindi verso Julia.

«Non so cos’abbiate combinato ma grazie!»

«Io? Io che c’entro? – gli sorrise la ragazza – Ora però è meglio che avvisi i tuoi compagni...»

«Hai ragione!»

Fece per correre via ma arrivato a metà del corridoio si voltò e chiamò l’assistente.

«Julia! – la ragazza si voltò – Vuoi venire con me a Nankatsu?»

Rimase sorpresa dalla richiesta, ci pensò qualche secondo poi acconsentì.

 

«Ma questo povero autista ti porta ovunque?» commentò Julia quando arrivarono davanti a villa Wakabayashi a Nankatsu. Il ragazzo sorrise e annuì.

«In fondo è il suo lavoro.»

«Poveretto, si fa un sacco di chilometri.»

Genzo prese il trolley di Julia dal bagagliaio della macchina e si caricò in spalla il suo borsone, quindi congedò lo chauffeur. La cosa sollevò la ragazza che pensò che l’uomo potesse finalmente riposarsi.

«Hai bisogno di fare una doccia, di cambiarti o robe simili?» le chiese mentre le faceva strada verso villa Wakabayashi.

«Dipende da cos’hai intenzione di fare.»

«Vorrei raggiungere i ragazzi all’Ozora Stadium, ma non vorrei lasciarti qui da sola. Puoi venire con me.»

«Mi porterò dietro il MacBook, così potrò controllare qualche e-mail.»

«Siamo d’accordo allora, vado a prendere l’auto. Ti aspetto fuori tra dieci minuti!»

Julia entrò nella stanza che Genzo aveva fatto preparare dalla domestica per lei: una classica stanza degli ospiti con un letto matrimoniale posto sulla destra, di fronte alla porta che conduceva al bagno. Davanti a lei si apriva una portafinestra che illuminava tutta la stanza e dava sul balcone. Appoggiò il trolley per terra e ammirò la carta da parati color vinaccia adornata da alcune finiture color oro, mentre dal soffitto pendeva un lampadario in vetro molto elaborato, con la montatura dorata. Entrò in bagno e fu immersa in un mondo verde acqua: piccolo, con le pareti rivestite da un mosaico 2x2, una specchiera illuminata su tutti i lati e un box doccia semitrasparente, il cui plexiglass era picchiettato da gocce d’acqua azzurrine.

Aprì il trolley e ne estrasse la custodia del MacBook, poi prese la borsetta e scese in cortile: Genzo la stava aspettando a bordo di una BMW Z3 nera.

«Ci trattiamo bene!» esclamò allacciandosi la cintura. Per tutta risposta il ragazzo aprì la capotte, nonostante la stagione, e indossò gli occhiali da sole.

Imboccarono la strada per raggiungere l’Ozora Stadium, lo stadio che la città aveva ristrutturato per i mondiali del 2002 e che era stato dedicato proprio al capitano della Nazionale: a Julia piaceva la sensazione che si provava ad avere il vento tra i capelli, così chiuse gli occhi e si lasciò cullare, alzando leggermente la testa e godendo di quel sole che tentava timidamente di fare capolino e riscaldare le fredde giornate invernali.

Quando raggiunsero la destinazione, Genzo chiuse la capotte.

«Non è il caso di esagerare, non vorrei che ti ammalassi che poi mi tocca fare tutto da solo!»

«Saresti perso senza di me!»

Raggiunsero l’ingresso del campo da calcio e mentre il portiere correva a salutare i compagni, Julia rimase un attimo in disparte, sedendosi sulla panchina dell’allenatore, momentaneamente vuota.

Osservò con un sorriso la gioia di quei giovani nel rincontrarsi: sapeva che molti di loro giocavano in paesi diversi, e che una delle poche occasioni che avevano per stare insieme era, appunto, la Nazionale. Decise di accendere il portatile per controllare le e-mail che aveva precedentemente scaricato dalla casella di posta di Herr Wakabayashi, così non si accorse delle ragazze che avevano raggiunto il gruppetto e che la stavano osservando con aria incuriosita.

 

«Genzo! »

Tsubasa fu il primo a correre incontro all’amico, seguito poi dal resto dei compagni; Taro fu invece il primo a chiedergli delle condizioni di salute di suo padre.

«Sarà una cosa lunga, ma mio padre ha la pelle dura, e ce la farà.»

«Sì, lo sappiamo tutti che i Wakabayashi sono difficili da abbattere.» commentò Hyuga, con rispetto.

«Adesso sei tu che ti occupi degli affari dell’azienda?» chiese il Capitano.

«Sì, è così. Non sarà facile far conciliare il calcio con il lavoro ma posso avvalermi dell’aiuto dell’assistente personale di mio padre.»

«Chi è? Quella ragazza là?» domandò Morisaki incuriosito. 

«Sì, è lei.»

«Tuo padre ha proprio gusto nello scegliersi le assistenti.» commentò il solito Ishizaki, ricevendo un buffetto in testa da Yukari che aveva appena raggiunto il gruppetto insieme a Sanae, Yayoi e Yoshiko.

«Ma voi non avete di meglio da fare che seguire la Nazionale?» commentò Genzo, prima di avvicinarsi per abbracciare Sanae.

«Sareste persi senza di noi, Wakabayashi.» commentò Anego, ridacchiando. Adorava Genzo, quello attuale: quello ombroso che aveva conosciuto durante l’infanzia era solo un lontano ricordo.

«Non ci presenti la tua amica?» gli chiese Yukari, incuriosita anch’ella dalla figura femminile che, seduta sulla panchina dell’allenatore, muoveva velocemente le dita sulla tastiera. I lunghi capelli castano castano-rossi ondeggiavano, mossi dalla leggera brezza fredda che spirava; l’incarnato pallido risaltava rispetto al cappotto nero che la avvolgeva.

 

Julia alzò lo sguardo quando sentì Genzo chiamarla, e vide che le faceva dei gesti per farla avvicinare. Alzò un sopracciglio e posò con diffidenza il portatile sulla panchina, per poi avviarsi a passo lento verso di lui.

«Julia, vorrei presentarti la mia squadra – le disse in inglese – Ragazzi, questa è Julia Wagner, mia preziosissima collaboratrice alla Wakabayashi Corp. Deutschlands.»

Il gruppetto di nipponici si presentò uno ad uno, e Julia si trovò inondata di nomi assurdi: alla fine decise di fare una scrematura, e gli unici che riusciva a ricordare erano Ryo (come Watanabe) e Taro. Con le ragazze fu più facile, in quanto erano solo quattro.

«Che ne dici di andare a prendere qualcosa da bere mentre i ragazzi fingono di allenarsi?» le propose Sanae.

«Ti ringrazio, ma ho del lavoro da sbrigare…»

«Aah, andiamo! – Genzo si intromise parlandole in tedesco – Puoi leggere le e-mail anche stasera, o domani!»

«E se i sudamericani avessero…»

«Niente da fare! – Genzo la fece voltare e la sospinse verso le ragazze – Vai e divertiti, al lavoro penseremo più tardi.»

Julia sbuffò, ma si ritrovò costretta ad accettare dato che, in fin dei conti, Genzo era il suo capo.

 

«E così lavori per la famiglia Wakabayashi da otto anni?»

Julia annuì e posò la tazza firmata Starbucks sul tavolino.

«Ho iniziato facendo le mansioni più disparate, poi pian piano mi hanno affidato compiti sempre più specifici. Ora mi occupo del controllo e della gestione delle filiali europee, oltre che a gestire personalmente l’agenda di Herr Wakabayashi.»

«E con Genzo come ti trovi?» Sanae pose la domanda che stava a cuore un po’ a tutte, dato che il portiere era rimasto uno dei pochi scapoli del gruppo.

«Diciamo che fino a prima del malore di Herr Wakabayashi non lavoravamo spessissimo insieme, avevamo seguito solo un paio di progetti; Genzo ha sempre messo in chiaro che la sua priorità era il calcio, e suo padre, seppur malvolentieri, l’ha sempre assecondato.»

«Come sta?»

Julia non rispose subito: si ritrovò combattuta, da una parte il suo aplomb da perfetta assistente, dall’altra il fatto di fidarsi di queste ragazze che, in fin dei conti, erano amiche di Genzo da una vita. Optò infine per una via di mezzo.

«Guarirà. Non sarà facile, e non sarà veloce, ma è una persona forte e in gamba. Di sicuro è una batosta che non ci voleva ma… ce la farà.»

«Lui come l’ha presa?»

Il riferimento di Yukari era chiaramente a Genzo; Julia fece spallucce.

«Non posso dirvi nello specifico, io lo conosco in un contesto completamente diverso dal vostro: posso dirvi che si sta assumendo le sue responsabilità lavorative…»

Non le sfuggì un sorrisetto di Sanae, al che alzò un sopracciglio e la osservò con aria scettica.

«Scusa, non volevo offenderti, – si difese subito la moglie del Capitano – è che vedendo come lui si è comportato con te, è strano sentirti dire che noi lo conosciamo meglio. Perché è questo che intendevi, giusto?»

«Se non sbaglio vi conosce da una vita, avete vissuto un sacco di esperienze insieme, direi che sia un po’ diverso da lavorare nella stessa azienda.»

Sanae non rispose, si limitò a sorseggiare il suo tè: forse si sbagliava, eppure Wakabayashi le era sembrato molto diverso rispetto alle volte precedenti. Ma probabilmente c’entrava anche la faccenda di suo padre. Non se lo sapeva spiegare, così decise di non indagare oltre e di attendere di parlarne col marito, quella sera, per verificare cosa ne pensasse lui, dopo aver passato un intero pomeriggio col portiere.


Ed eccoci a Nankatsu, con l'immancabile Ozora Stadium (banale e scontato, ma ci sono così affezionata che non posso staccarmene!). E Julia decide di seguire Genzo nella sua città natale, così conosce i ragazzi della Golden Generation, e soprattutto le manager. Che sono donne. E sono pettegole per natura XD 

Passeremo un paio di giorni, qui, quindi posate le valigie, ci vediamo mercoledì prossimo ;) 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


ET - Capitolo 1

«A dir la verità sono un po’ stanca… – lo sguardo del portiere si rabbuiò subito – Ma tu puoi andare, non sei obbligato a stare qui con me.»

«No, non ti lascio da sola. Se non ti va di uscire…»

«Genzo, – gli appoggiò una mano sulla spalla per tranquillizzarlo – da quant’è che non passi del tempo con loro? Da quanto non passi una serata spensierata?»

«Ma con te le serate sono tutte spensierate… cioè… – troppo tardi, si rese conto di aver espresso a parole ciò che pensava da un po’, ma cercò di correggere il tiro – con te riesco a non pensare alla condizione di mio padre, e anche il lavoro è più… leggero.»

Julia storse la bocca, poi sorrise, divertita.

«E che gelato sia, allora… ma solo perché è divertente vederti imbarazzato!»

Si riferiva alle battutine che Ishizaki aveva lanciato al portiere quando erano rientrati a villa Wakabayashi: lei non capiva il giapponese, ma dal modo in cui aveva reagito Genzo aveva intuito che lo stessero prendendo in giro.

«Crudele!» rispose lui, tirandosi dietro la porta d’ingresso.

Raggiunsero gli altri nell’albergo in cui alloggiavano e si recarono a piedi in gelateria: tutti ridevano, scherzavano, si prendevano in giro. A turno si avvicinavano a Julia per farle domande, per chiacchierare, oppure semplicemente per sfottere Wakabayashi. Dovette ammettere che aveva fatto bene ad accettare di uscire, si respirava un’atmosfera serena e amichevole. Sorrise all’ennesima battuta di Ishizaki, che per non farla sentire estranea cercava (con scarsi risultati) di parlare inglese. Il trillo del Blackberry la risvegliò dai suoi pensieri.

«È l’ufficio…» disse a Genzo, che controllò subito l’orario e calcolò mentalmente il fuso. Fece spallucce e le fece cenno di rispondere.

«Wagner.»

«Fräulein Wagner, sono Judith. Ho brutte notizie: la Lufthansa ha indetto uno sciopero ad oltranza e tutti i voli sono stati cancellati.»

«Che cosa?!» Julia scattò in piedi, e nel farlo le cadde a terra la borsetta che si aprì e rovesciò il contenuto sul pavimento. Genzo si chinò insieme a lei per raccogliere le cose sparse e nel frattempo mimò con le labbra un “Was ist los?”(1) a cui Julia non rispose.

«L’agenzia viaggi mi ha appena inviato la comunicazione, e le ho telefonato subito per informarla. Al momento non possono garantire il vostro volo di rientro.»

«Ma è assurdo!»

«Mi vuoi dire che succede?» Genzo si stava innervosendo nel sentire il tono di voce alterato della ragazza, la quale annuì.

«D’accordo, Judith, ne parlo con Genzo e la richiamo.» chiuse la comunicazione e guardò il ragazzo con aria sconsolata.

«Hanno cancellato il volo.»

«Eh!?»

«Pare che la Lufthansa abbia indetto uno sciopero e al momento hanno cancellato tutti i voli… compreso il nostro.»

«Non è un problema, cambieremo compagnia e ci faremo rimborsare il biglietto. Chiama subito Judith o Martha e chiedi loro di contattare l’agenzia.»

Si allontanò per chiamare l’amica mentre Genzo spiegava ai suoi amici ciò che era successo.

«Wakabayashi Corp. Deutschlands, buongiorno, sono Martha.»

«Martha, ciao, sono Julia…»

«Julia! Ho appena letto l’e-mail dell’agenzia viaggi! È un disastro!»

«Ne ho parlato con Genzo e ha chiesto di prenotare un altro volo con un’altra compagnia aerea.»

«Come? No, non è possibile…»

«Sì, invece: se lo sciopero è della Lufthansa, potremmo cercare di volare con l’Air France, o la British, che ne so…»

«Ma lo sciopero non è della Lufthansa: lo sciopero è dei controllori di volo su tutto il territorio tedesco. Non c’è modo di rientrare in Germania in aereo, al momento…»

«Stiamo scherzando spero! Noi dobbiamo rientrare! Non possiamo rimanere qui, insomma…»

«Questa qua non capisce proprio un cazzo… scusa la volgarità eh, ma Judith come al solito... Ad ogni modo cerca di stare tranquilla, mancano ancora quattro giorni al rientro, io mi attivo subito per cercarti una soluzione e stai certa che la troverò! Sabato c’è la festa di carnevale organizzata da me e tu DEVI esserci!»

«Conto su di te…»

Tornò al tavolo e si sedette sconsolata accanto a Genzo, che la osservò e con aria concitata disse.

«Quindi?»

Julia sentì tutti gli sguardi puntati su di sé e decise di dare la “splendida” notizia in inglese, in modo da rendere tutti partecipi del disastro.

«Non è uno sciopero Lufthansa, è uno sciopero dei controllori di volo tedeschi. Si sa quando inizia, non si sa quando finisce…»

Genzo imprecò in giapponese, lo capì dal modo in cui lo guardarono i suoi amici. Si alzò e, senza dire nulla, si allontanò con passo deciso. Julia lo osservò, poi si voltò verso i nipponici.

«Non mi sta lasciando qui, vero?»

«Ti conviene raggiungerlo…» le suggerì Sanae, e lei colse al volo.

«Genzo! Genzo! WAKABAYASHI!»

Il ragazzo si fermò e aspettò che l’assistente lo raggiungesse. Aveva le mani serrate a pugno e si riusciva a scorgere un lieve tremore che percorreva il suo corpo.

«Genzo… che c’è?»

«Che c’è? Mi chiedi anche che c’è? C’è che mi si sta rivoltando addosso un mare di merda che neanche ti immagini! C’è che se non riusciamo a rientrare in tempo per la partita di Bundesliga potrei finire fuori squadra per il resto della stagione! C’è che mi sto prendendo le mie responsabilità, ma a quanto pare non è mai abbastanza, né per la mia famiglia né per i soci in affari! C’è che sono stufo di sentirmi così… così… così stupido!»

Diede una manata al muro di un edificio e vi si appoggiò, nascondendo il volto nell’avambraccio; il respiro affannoso per la rabbia e lo sfogo, il corpo scosso da tremiti leggeri che facevano guizzare i muscoli allenati. Julia lo guardava, immobile, senza sapere cosa dire o cosa fare. Era la seconda volta che Genzo sfogava i suoi sentimenti davanti a lei, e tutto ciò che riusciva a fare era stare lì a guardarlo, a fissarlo come un’ebete senza proferire verbo. Fu un attimo, si fece coraggio e si avvicinò a lui, gli tolse il braccio che era appoggiato al muro e se lo passò attorno alla vita, facendo lo stesso con l’altro, quindi gli passò le braccia attorno al collo e lo abbracciò premendogli la testa sulla propria clavicola. Lo sentì singhiozzare sommessamente, così iniziò ad accarezzargli la nuca. Rimasero lì, così, per dieci minuti buoni, lui appoggiato a lei, lei che sorreggeva lui, come il gigante e la bambina. Genzo si sollevò solo quando sentì in lontananza delle voci, probabilmente i compagni di squadra, quindi prese per mano Julia e iniziò a camminare velocemente verso l’albergo dove avevano lasciato la macchina. Da lì, si diressero verso villa Wakabayashi, sempre in silenzio, e tranne quando salirono in macchina e quando scesero, il ragazzo non mollò mai la mano di Julia: continuò a stringerla, come se il farlo gli infondesse calore e forza.

Arrivarono a casa, lui si diresse verso la scala: esitò un attimo prima di salire, come se volesse voltarsi verso di lei e dirle qualcosa, ma non lo fece, non disse nulla, non fece nulla. Salì le scale e si chiuse in camera, Julia sentì distintamente il rumore della porta della stanza che veniva sbattuta.

Sospirò e, dato che non aveva sonno, decise di provare a guardare un po’ di tv in salotto, non prima di aver indossato la tuta che usava come pigiama. Si raggomitolò sul lungo divano di pelle nera e iniziò a fare zapping: tanti canali sconosciuti, che parlavano in una lingua sconosciuta, finché non trovò un bel film vecchio, in inglese, e si mise a guardarlo.

 

Inutile, non riusciva a prendere sonno, così decise di andare in cucina a vedere se sua madre avesse ancora la riserva di tisane rilassanti. Si stupì, mentre scendeva le scale, di sentire il rumore della tv accesa; si affacciò alla sala e vide lunghi capelli castano-rossi sparsi sul bracciolo del divano. Si avvicinò in silenzio e sorrise vedendo Julia raggomitolata su di esso, con la testa appoggiata appunto al bracciolo, la bocca semi aperta, che dormiva beata, incurante degli spari che provenivano dalla televisione.

Le accarezzò la testa e sorrise nuovamente sentendola mugugnare qualcosa; si chinò su di lei e le parlò in un sussurro.

«Non dormiresti meglio nel tuo letto?»

Mugugno di risposta.

«Ti aiuto ad alzarti?»

Altro mugugno. Genzo sospirò, divertito dalla situazione. Si spostò quindi di fronte al divano, valutò la situazione e decise di portarla in camera, per farla riposare meglio. Le passò un braccio sotto alle spalle, l’altro sotto le ginocchia e la sollevò: si meravigliò di quanto fosse leggera, ma in effetti era uno scricciolo di un metro e sessanta. Ebbe un sussulto quando lei gli si aggrappò, passando le braccia intorno al collo e appoggiando la testa contro il suo petto. Sì, sentì anche le guance avvampare (proprio lui!) ma cercò di non darci peso, fortunatamente lei stava dormendo e non poteva notarlo, né sfotterlo.

«Meno male che non c’è Ishizaki…» mormorò, salendo le scale e facendo attenzione a non sbilanciarsi.

Aprì la porta della camera affidata a Julia col gomito destro, e passò di lato, cercando di non farla sbattere contro lo stipite, quindi appoggiò un ginocchio sul letto e la adagiò piano: fece per sollevarsi ma lei non mollò la presa da dietro al suo collo. Rimase chino su di lei, i respiri vicini, poteva sentire il calore del suo fiato sul suo volto. Arrossì ulteriormente, Merda! pensò, ma non voleva svegliarla, non avrebbe saputo come giustificare la situazione; decise di sdraiarsi accanto a lei: forse, in quel modo, avrebbe allentato la presa e lui sarebbe potuto uscire. Julia però, nel sonno, mugugnò qualcosa e si mosse, lasciandolo finalmente libero, poi si voltò sul fianco sinistro, verso di lui: si posizionò il braccio sotto alla testa e passò quello destro attorno alla vita di lui, stringendosi al suo petto.

Merda doppia! pensò Genzo, sempre più imbarazzato. Che doveva fare? Forse se aspetto un po’, prima o poi si volterà dall’altra parte…

Si sistemò come meglio riuscì, puntando il gomito destro sul cuscino e osservandola mentre dormiva: ogni tanto muoveva il naso, era buffa, oppure sollevava il sopracciglio destro (cosa che le aveva visto fare spesso anche da sveglia, quando qualcosa non la convinceva), ma rimaneva comunque ancorata a lui. Si accorse di essersi addormentato solo il mattino seguente, quando aprì gli occhi di scatto e vide la stanza inondata dalla luce del giorno: Julia dormiva supina, con la testa voltata verso destra, il braccio di quel lato accanto alla fronte, quello sinistro appoggiato al petto di Genzo. Il ragazzo si alzò delicatamente, per non svegliarla, e decise di andare a fare una corsetta per distendere i muscoli e schiarirsi le idee.

 

 

1

Was ist los?: Che succede?


A me personalmente, non è mai capitato, però può succedere che gli operatori del settore incrocino le braccia fino a nuovo ordine, e quando ti trovi in queste situazioni, devi sperare di non avere appuntamenti fissi, perché rischi di dover mandare a monte tutti i tuoi piani. 

Per Genzo è stata la cosiddetta goccia che ha fatto traboccare il vaso, un vaso che - per inciso - era già al limite della tracimazione. Julia si ritrova così travolta nuovamente dalle emozioni del portiere, che non riesce più a trattenersi. 

Sembra che questi due stiano empatizzando sempre di più l'uno con l'altra: piccoli passi per loro, grandi passi per noi che li osserviamo LOL

L'appuntamento è, come sempre, per mercoledì prossimo. Vi abbraccio forte e vi ringrazio per l'affetto con cui mi seguite. 

Baci, Sakura 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


ET - Capitolo 1

Aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per abituarsi alla luce del sole che illuminava la stanza. Si alzò e si accorse di essere in camera: non ricordava di essere salita. Accese il Blackberry sul comodino per controllare che ore fossero, poi si stiracchiò e decise di farsi una doccia per darsi una svegliata. Ripensò alla sera precedente, allo sfogo di Genzo e al suo rinchiudersi, dopo essersi mostrato così vulnerabile, e ripensò che era la seconda volta che succedeva, e la dinamica era sempre la stessa: la cercava, si sfogava, e poi fuggiva come se si vergognasse di ciò che aveva fatto. Si guardò allo specchio, i capelli bagnati che ricadevano pesanti sulle spalle, facendo scorrere goccioline sulla pelle candida; li strofinò con un asciugamano, poi indossò al volo i vestiti del giorno prima e scese al piano di sotto per fare colazione. Sentì dei rumori provenire dalla cucina, così si affacciò e vide Genzo intento ad accendere il fuoco sotto a una padella.

«Buongiorno. – la salutò – Ho pensato di prepararti la colazione.»

Non lo disse, ma lei sapeva che era un tentativo di ringraziamento per la sera precedente, e lo apprezzò molto. Si avvicinò e si mise a sedere sul ripiano in quarzite, osservandolo divertita.

«E cosa staresti cercando di preparare?»

«Omelette al formaggio.»

«Wow… – dondolò le gambe facendole rimbalzare contro lo sportello – Come ti senti?»

«Affamato.» le sorrise. Capì che il discorso non si sarebbe mosso più di tanto da lì, quindi sorrise di rimando e scese dal ripiano per dirigersi verso la tavola e iniziare ad apparecchiarla. Il Blackberry di Genzo cominciò a vibrare dalla sedia su cui era stato appoggiato.

«Ti suona il telefono.»

«Saranno quelli della Nazionale.»

Lo sentì parlare in giapponese, non se ne curò e continuò ad apparecchiare, fino a quando non le si parò davanti una corpulenta donna asiatica, dai capelli bianchi raccolti e con un grembiule che le copriva un kimono colorato, che la guardò con disapprovazione e le tolse di mano i tovaglioli di carta che stava per posare sulla tavola. La donna le disse qualcosa, ma lei non capì, e Genzo era nell’altra stanza. Si sentì come in trappola e scosse la testa in senso di diniego, per farle intuire che non capiva cosa le stesse dicendo, ma la donna interpretò il gesto come una risposta alla sua domanda, e sbuffò contrariata. Genzo rientrò dopo aver chiuso la telefonata, salutò la donna con affetto: lei gli disse qualcosa, voltandosi a guardare Julia per poi voltarsi di nuovo verso di lui, al che il ragazzo scoppiò a ridere e (evidentemente) le spiegò la questione.

«La domestica ti ha chiesto se ti piaceva il Giappone… e tu a quanto pare hai risposto di no.»

«Ma non ho neanche capito se mi aveva fatto una domanda!» si giustificò.

«Lo so, gliel’ho detto, tranquilla. Le ho risposto che il Giappone ti piace molto ma che fai fatica a imparare la lingua.»

«Potevi dirle che non la imparerò mai… erano i tuoi compagni?»

«Sì, per l’allenamento di oggi pomeriggio.»

«Molto bene. Io proverò ad informarmi per questo maledetto sciopero.»

«Ah… non vieni?»

Genzo sembrava quasi deluso.

«Verrò stasera alla partita, ma oggi pomeriggio voglio valutare bene la situazione per il nostro rientro.»

«D’accordo…» e tornò ai fornelli per finire di cucinare.

 

Lo stadio era decisamente affollato, ed essendo una partita di beneficenza c’erano anche molti giovanissimi. Julia si trovava in tribuna insieme alle W.A.G.S., e la cosa la faceva sorridere. Aveva appena conosciuto Maki e Azumi, e quest’ultima si era seduta accanto a lei.

«So come ci si sente in queste situazioni. Si è un po’ come un pesce fuor d’acqua. – le disse in un tedesco dal divertente accento francese – Ma basta poco per entrare nel gruppo.»

«Posso immaginare, ma io sono qui per lavoro.»

«Sì, lo so, Taro mi ha raccontato di Monsieur Wakabayashi. Spero che tutto si risolva per il meglio. Ho visto Genzo parecchio teso.»

«Davvero l’hai notato?»

«Sì, certe cose le percepisco. E ho anche notato che rispetto a oggi pomeriggio, è meno nervoso. Durante l’allenamento è stato serio tutto il tempo e non ha quasi parlato, mentre stasera quando siete arrivati, sorrideva.»

Quando Julia capì doveva voleva andare a parare, arrossì vistosamente e si voltò verso il campo; Azumi scoppiò a ridere attirando l’attenzione delle altre ragazze.

La partita, un’amichevole tra il Giappone e una squadra composta da elementi di altre nazioni, finì 3 a 3; Genzo aveva preso un goal e parato un rigore, l’altro portiere ne aveva presi due. Le era sembrato che dopo aver parato il rigore, si fosse sistemato la visiera guardando nella direzione in cui si trovava lei, ma si convinse che fosse solo un’illusione ottica, forse dovuta dalla suggestione alle parole di Azumi.

Aspettarono i ragazzi all’uscita, dentro ai cancelli, mentre fuori c’erano un nugolo di fans che li attendevano per avere gli autografi dei loro beniamini. Mentre era lì che chiacchierava con Sanae, si sentì chiamare.

«Wagner?»

«Schneider!»

«Che ci fai qui?»

«Io e Genzo siamo in viaggio di lavoro, non te l’ha detto?»

«Mi aveva detto che sarebbe venuto in Giappone per sostituire suo padre in un meeting e che forse avrebbe saltato l’amichevole, ma non avevo capito che ci saresti stata anche tu. Ti trovo bene, dovresti tornare al Sabor de Cuba, ci manchi…»

«Purtroppo ho sempre meno tempo… però potrei farci un salto una qualche sera. Senti, lo sai che Heidi si sposa?»

«Lo so, sì, Daniel mi ha chiesto di fargli da testimone!»

«Ma dai, non ci credo! Io sarò la testimone della sposa invece!»

«Grandioso, allora ci vestiremo in abbinato! Oh, eccolo qua il nostro portiere paratutto! Complimenti!»

Gli diede una pacca sulla spalla mentre si univa a loro, a Julia sembrò contrariato.

«Tutto bene?» gli chiese.

«Gli altri volevano andare a mangiare qualcosa da qualche parte, ti va o sei stanca?»

«Come vuoi, dipende quanto sei stanco tu, SGGK.» lo prese in giro. Il ragazzo fece una smorfia che doveva somigliare a un sorriso e si voltò verso il compagno di squadra.

«Come fai a tornare in Germania? Ho sentito dello sciopero.»

«Ti stupirò con effetti speciali, nipponico: volo su Parigi, poi da lì vado ad Amburgo a trovare i miei zii… scenderò a Monaco in treno, direi…»

«Potremmo fare così anche noi: volare su un’altra destinazione e farci venire a prendere.» osservò Julia.

«Potrebbe essere la prima buona idea che è passata per questa testolina bacata, Kaiser.»

«Statemi bene, buon lavoro e buon rientro!»

«Anche a te, ciao!»

«Avevo rimosso che lo conoscevi…»

«Frequentavamo un locale di latino-americani, anni fa, insieme a Heidi e Daniel.»

«Quelli che si sposano?»

«Esatto: lui è molto amico di Daniel, e a quanto mi ha appena detto, sarà anche il suo testimone di nozze.»

«Mi piacerebbe vedere il Kaiser inamidato!»

«Solo per prenderlo in giro!»

Genzo scoppiò a ridere e attirò l’attenzione dei nipponici che li stavano aspettando davanti al cancello: lei li raggiunse e si unì al gruppo delle ragazze, mentre i calciatori uscirono per primi per firmare gli autografi.

 

La proprietaria del locale era una corpulenta donna sulla sessantina, che a quanto pareva conosceva bene i ragazzi della Nazionale (specialmente quelli originari della città) e li aveva fatti accomodare in una saletta a parte, seminascosta da una tenda. I ragazzi si comportavano come se fossero di casa, la salutarono e la abbracciarono calorosamente, e la donna aveva quasi le lacrime agli occhi da tanto che era commossa. Julia si limitò ad accennare un inchino, lo stesso fece la corpulenta padrona di casa, abbozzando un sorriso anche verso di lei.

«Quella è la mamma di Mamoru Izawa.» le disse Genzo quando si furono accomodati.

«Ecco perché vi tratta tutti come se foste figli suoi.»

«Sì, decisamente!»

«Che si mangia?»

«Credo che stasera sperimenterai il top della cucina giapponese. Sapendo che molti di noi vivono all’estero, quando ci troviamo qui ci vizia, e ti assicuro che lo sa fare bene perché è una cuoca provetta!»

«Sono molto curiosa allora, e già vedere che stanno portando dei maki misti mi rende molto felice!»

 

Mangiarono e bevvero fino a notte inoltrata, ridendo e scherzando, alternando l’inglese al giapponese per non far sentire Julia esclusa, e quando non ce la facevano Genzo e Azumi traducevano prontamente alla ragazza ciò che veniva detto. Lei si sentì a suo agio, il cibo le piacque molto, ma fu soprattutto l’atmosfera che la rilassò e le fece, dopo tanto, tirare un sospiro di sollievo.

Genzo aveva alzato leggermente il gomito e quando l’autista li scaricò davanti a casa, lei dovette aiutarlo perché barcollava pericolosamente.

«Mi sa che abbiamo esagerato col sakè, eh, Wakabayashi?» lo schernì lei.

«Pfui… sono stato… in condizioni peggiori…»

Aprirono la porta di casa a fatica, e Julia iniziò a condurlo verso le scale; nel tragitto passarono davanti a uno specchio e lei non poté fare a meno di ridere.

«Beh? Che c’è di divertente?»

«Guardaci, sembriamo Gulliver con una lillipuziana!»

Genzo focalizzò lo sguardo sullo specchio e quando realizzò che la differenza di altezza era davvero notevole (almeno venti centimetri) scoppiò a ridere sguaiatamente e si sedette sulle scale. Rideva talmente di gusto che fece spuntare il sorriso persino a Julia, che decise di sedersi accanto a lui e aspettare che gli passasse la ridarella.

«Erano… anni che… non mi divertivo… così…»

«È un piacere vederti tanto a tuo agio con loro, si vede che è il tuo habitat naturale.»

«E pensare che sono sempre stato un po’ orso. È solo da pochi anni che sono più spontaneo. Forse ho acquisito più fiducia in loro, non so.»

«Al di là di tutto si vede che ti vogliono bene, anche se mi hanno raccontato che da piccolo eri un bel peperino!»

«Che ti ha raccontato quella pettegola di Sanae-chan?»

«Chi?»

«Sanae… in giapponese aggiungiamo il suffisso –chan per le persone con cui siamo più in confidenza…»

«Quindi io sarei qualcosa tipo…»

«Tu sei la mia Jucchan.» disse Genzo, sdraiandosi sulle scale.

«Jucchan… sembra una marca di chewing-gum…»

Genzo sghignazzò divertito dal paragone. Rimasero in silenzio per un po’, lui sdraiato sulle scale con gli occhi chiusi, lei seduta accanto a lui con lo sguardo perso nel vuoto, immersa nei suoi pensieri. Si scrollò e si voltò verso il calciatore.

«Coraggio, alzati, è tardi e domani dobbiamo tornare a Tokyo per l’ultimo meeting e per sistemare i nostri voli di rientro.»

Il portiere annuì, sempre con gli occhi chiusi, quindi si alzò ed evitò accuratamente lo sguardo della ragazza. Julia non gli diede importanza, gli prese il braccio destro, se lo passò attorno al collo e, aiutandosi col corrimano, salì le scale, non senza qualche problema di equilibrio. Portò Genzo fino davanti alla porta della sua stanza e fece per allontanarsi.

«Uffa, io però ieri sera almeno ti ho portata fino al letto.»

Julia si gelò, rimase immobile mentre il ragazzo armeggiava con la maniglia: si voltò che lui aveva già aperto la porta.

«Che hai detto?»

«Passa una buona notte, Jucchan…» le disse dallo spiraglio della porta prima di chiuderla e lasciarla lì, nel corridoio. Ecco perché non si ricordava di essere andata in stanza: perché non c’era andata da sola. Evidentemente Genzo l’aveva trovata addormentata sul divano e si era preso la briga di riportarla in camera per farla dormire comodamente. Avvampò al pensiero di Genzo che la faceva alzare dal divano o, ancora peggio, che la prendeva in braccio… cercò di pensare solo a quanto era stato carino a non farle passare la notte lì sopra, e scosse la testa per togliersi da lì tutti gli altri pensieri.

 

Genzo scese che lei aveva quasi finito la colazione.

«Mamma mia che brutta cera, Wakabayashi…»

«Non bevevo così tanto sakè da troppo tempo… e penso che non ne berrò così tanto per altrettanto tempo!»

«Una volta tornati a Tokyo, puoi andare in albergo a rilassarti: io ho chiamato Ryo e gli ho chiesto di darmi una mano con i voli, ha trovato un’alternativa su Vienna.»

«Sono nelle tue mani… Jucchan.» aggiunse poi, facendole l’occhiolino.

«Abbiamo sprazzi di lucidità. – lo prese in giro – La cosa mi fa piacere.»

«Ti è piaciuta la cena ieri sera?»

«Altroché! Ho apprezzato in particolare il tamagoyaki

«Caspita! Abbiamo studiato!»

«Azumi mi aiutava a capire cosa stavo mangiando mentre tu ti sbronzavi.»

«Pensi che getterai ancora molto sale sulla mia ferita?»

«Oh, non ti preoccupare, con un paio di aspirine la tua ferita guarirà. – si alzò e subito la domestica accorse a prendere i suoi piatti – Vado a finire di preparare la valigia, così quando sei pronto possiamo partire.»

Lo lasciò lì da solo a consumare il suo asagohan: Genzo rimuginò sul fatto che era stata un po’ fredda con lui, quella mattina, e mentre rientravano a Tokyo non proferì verbo, anzi, indossò gli occhiali da sole e finse di dormire (anche se probabilmente si era appisolato davvero) fino all’arrivo.

Dal canto suo, Julia era persa nei pensieri; in quei giorni si era avvicinata parecchio a lui, e adesso qualcosa le si era acceso dentro, come una sorta di campanello d’allarme, una sirena che risuonava nel suo cervello.

Non ti dimenticare che rimane sempre e comunque il figlio del tuo capo, nonché tuo attuale capo… sei proprio una scema…

 


Iniziamo col ballo del Pinguino, un passo avanti e tre indietro. E nel nostro show fa il suo ingresso anche Karl-Heinz Schneider, che conosce già Julia (i famosi amici di amici) e parla di questo Sabor de Cuba. Che sarà mai? *ridacchia* 

Vi dico solo che c'è chi si è fatto grasse risate, per questa scelta, che verrà spiegata ampiamente più avanti. 

Ma parliamo della storia: avete appena letto il capitolo 11, siamo entrati nella seconda decade della storia, che conta... rullo di tamburi... 40 capitoli! 

Ebbene sì, mi sono lasciata prendere un po' la mano, anzi, diciamo che sono stati i personaggi a dirigersi verso lidi un po' diversi da quelli che ci eravamo preposti. Ma va bene così. Intanto affrontiamo una questione per volta, questa trasferta in Giappone sarà un buon punto di partenza per diverse ramificazioni della storia *strizza l'occhiolino*.

Un bacione e a mercoledì!

PS: Non un commento su Azumi, please. Non sono pronta XD 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


ET - Capitolo 1

Ryo la accolse sorridente come sempre, e si informò subito su Genzo.

«Ieri sera ha festeggiato un po’ troppo, l’ho mandato a riposarsi in albergo.»

«La solita assistente perfetta. Vieni, voglio mostrarti il piano di volo: sarà una sfacchinata, ma almeno rientrerete in Germania senza dover aspettare la fine dello sciopero. Per il rimborso dei biglietti ho già contattato chi di dovere, non saranno rimborsati al 100% ma qualcosa dovremmo recuperare. Ho anche pensato che forse i bagagli vi conviene farveli spedire, così non dovete portarveli dietro nei vari spostamenti, sempre che non abbiate delle cose che vi servono assolutamente.»

«Sono solo vestiti, penso che potrò farne a meno per qualche giorno.» rispose Julia, sorridendo.

«Vi ho prenotato con la Japan Airlines per domani, volerete da Narita fino a Heathrow, e da lì ripartirete per Vienna; direttamente dall’aeroporto prenderete il treno per Monaco, e in 5 ore sarete a casa. Mi spiace, non ho potuto fare di meglio.»

«Sarà una sfacchinata, è decisamente meglio che lasciamo i bagagli qui. Quanto costerà spedirli?»

«Di questo non ti devi preoccupare: me ne occupo io personalmente. L’importante è che non lasciate nulla di valore o di fragile.»

«Perfetto, ti ringrazio, Ryo. Sei stato prezioso.»

«Senti, com’è andata a Nankatsu? Spero che Genzo ti abbia trattato bene.»

«A quanto pare avete tutti molta premura, a questo proposito. Anche le amiche di Genzo, le W.A.G.S. – disse sorridendo – erano molto preoccupate del fatto che lui potesse essere scortese nei miei confronti.»

«Beh, – disse sedendosi sulla poltrona e accavallando le gambe – devi sapere che Genzo è sempre stato un personaggio un po’ particolare, quasi ostile verso il resto del mondo. Sicuramente dipenderà dal rapporto che ha con la sua famiglia.»

«Sì, ho notato che i suoi fratelli lo trattano un po’ come Cinderella

Il direttore scoppiò a ridere, e la cosa lasciò Julia perplessa.

«Chissà perché, ma non me ne stupisco. Ikemoto ha sempre avuto una predilezione per Genzo, tanto da oscurare il lavoro degli altri due. C’è anche da dire che loro sono ormai uomini realizzati, mentre Genzo è comunque il “cucciolo” della famiglia.» terminò lui, mimando il gesto delle virgolette.

«Faccio un po’ fatica a idealizzare Genzo come un orsacchiotto di peluche…»

«E infatti non lo è mai stato. Ma era il più piccolo, ed è su di lui che Ikemoto ha riversato tutto sé stesso, compresa la prosecuzione dell’impero della Wakacorp. La passione di Genzo per il calcio è sempre stata un ostacolo, nella testa di suo padre, ed è per questo che non ha mai approvato, sebbene non abbia mai fatto nulla per impedirgli di realizzarsi.»

«Herr Wakabayashi è una persona molto particolare, va conosciuta a fondo per apprezzarla.»

«E se ti dicessi che Genzo è la sua fotocopia sputata?»

«Veramente?» Julia rimase colpita dall’affermazione.

«Akio e Takayuki hanno preso molte cose anche da Ochiyo, come la dolcezza o la riflessività. Ma Genzo, oh my God… Genzo mi ricorda Ikemoto ai tempi d’oro, quando ha deciso che la Wakabayashi Corp. doveva diventare una potenza mondiale e quindi si è impegnato giorno e notte per realizzare questo progetto. Genzo è uguale, è un lottatore, non si arrenderà mai all’evidenza delle cose, ma ci dovrà sbattere la testa contro più e più volte. In questo, secondo me, tu gli sarai molto di aiuto.»

Il sopracciglio di Julia si alzò automaticamente, sentendo quella frase.

«Che intendi?»

«Che tu sai il fatto tuo, Julia. Sai cosa vuoi dalla vita, o per lo meno dimostri di saperlo. Ti ho visto al lavoro e ho compreso appieno il motivo per cui Ikemoto ha deciso di dividere lo scettro del potere tra te e Genzo. Perché tu puoi sopperire alle mancanze di suo figlio, mancanze che non sono dettate dalla negligenza, bensì dal carattere impulsivo che si ritrova. Ikemoto si rivede in Genzo e ha capito che per non fargli commettere errori avrebbe dovuto affiancargli una persona come te, una persona che lo metta in condizioni di imbroccare la via corretta.»

«Sono… molto colpita da queste parole, Ryo. Devo dire che sono anche molto lusingata… ma non credo che Herr Wakabayashi voglia dividere lo scettro del potere tra me e Genzo. Credo che voglia semplicemente che io lo aiuti a prendere il comando dato che al momento non può farlo personalmente.»

«Ti stai sottovalutando.»

«Al contrario: il fatto che Herr Wakabayashi abbia voluto che io accompagnassi Genzo in questo viaggio mi fa capire quanta stima abbia di me, ma rimango comunque una semplice assistente.»

«Eh sì, credo proprio che tu ti stia sottovalutando… ora va’ in albergo, alle 17:30 ultima riunione e poi potete riposarvi un giorno intero prima di ripartire.»

Il tono di Watanabe non ammetteva repliche, così Julia annuì e uscì dall’ufficio. All’esterno dell’edificio c’era lo chauffeur che la aspettava, la salutò con un breve inchino e le aprì la portiera della limousine. Durante il tragitto, la ragazza continuò a ripensare alle parole del direttore, poi ripensò alla reazione di Herr Wakabayashi quella mattina in cui lei e Genzo erano arrivati insieme. Non poteva negarlo, il suo capo si era dimostrato particolarmente felice all’idea che tra lei e il figlio potesse esserci del tenero. Ma lei escluse categoricamente la questione: no, assolutamente no. I motivi per cui la cosa non poteva funzionare erano molteplici.

 

«Julia, non accetto di farmi buttare giù dal letto alle sette del mattino per sentirti dire delle sciocchezze.»

«Oh avanti, Heidi, non ti può che far bene svegliarti a quest’ora! E poi tu hai l’obbligo morale di ascoltarmi dato che è anche colpa tua se adesso ho queste idee in testa!»

«Colpa mia se ti sei accorta che ti piace J.R.? Non credo proprio!» commentò l’amica, divertita. La conversazione si faceva interessante e forse valeva la pena starla ad ascoltare.

«Tra me e Genzo non può funzionare, punto! Come credi che potrei gestire la situazione al lavoro, eh?»

«Tu sei la Dea della Wakabayashi Corp. Deutschlands, nessuno oserebbe pestarti i piedi, incapperebbero nell’ira funesta del capo supremo!»

«Non dire sciocchezze… porca miseria, Heidi, porca miseria!»

Sentì la biondina scoppiare a ridere all’altro capo del telefono, e se da un lato la cosa la infastidì, dall’altro non riuscì a prendersela: la situazione era talmente comica che, vista dall’esterno, poteva sembrare davvero il trailer di una sit-com.

«Julia, adesso voglio che ti calmi e che ti riposi: tra pochi giorni torni a casa e ne parleremo a quattr’occhi, e possibilmente ad un orario decente. Finché sei lì devi cercare di fare buon viso a cattivo gioco, anche perché è possibile che l’affiatamento che hai notato sia dovuto solo al fatto che siete dall’altra parte del mondo soli soletti, e dovete collaborare gomito a gomito. Tesoro, stai tranquilla, non voglio sentirti agitata…»

«Promesso. Adesso ti lascio tornare ai tuoi sogni, Rapunzel!»

«Sì, sfotti pure: intanto il mio Principe è già Azzurro, il tuo finché non lo baci rimarrà ranocchio!»

«Questa me la paghi, Weber!»

«Buonanotte!»

 

Si tirò su di scatto dal letto all’ennesimo colpo alla porta: guardò l’orario, erano solo le 16.30, non era in ritardo. Si accorse che i colpi venivano dalla porta che separava la sua camera da quella di Genzo, così si avvicinò e la aprì.

«Mi ero preoccupato, saranno dieci minuti che busso.»

«Scusami. – disse lei, scostandosi per farlo entrare – Mi devo essere appisolata e Morfeo ha preso il sopravvento.»

«Io non riuscivo più a dormire…»

«Ah, e quindi mi hai svegliato?» osservò lei, caustica.

«Altrimenti stasera non dormiresti più.» le rispose, facendole l’occhiolino e gettandosi a sedere sul suo letto per prendere il Notebook.

«Stavo rispondendo a varie e-mail sull’account di tuo padre…» si giustificò. Il ragazzo la ignorò e aprì il browser per navigare in rete, dopo essersi assicurato che il portatile fosse connesso al wi-fi.

«Che stai facendo?» esclamò lei quando lo vide cliccare sull’icona azzurra del social network.

«Mi faccio gli affari tuoi, mi sembra ovvio.»

«Non mi sembra il caso!» esclamò cercando di portargli via il suo prezioso strumento di lavoro, senza successo.

«Avanti, che sarà mai. Intanto, facciamo amicizia – e con il tasto di ricerca digitò il suo nome per poter entrare nel proprio profilo – così non sarò più costretto a rubarti il pc per curiosare.»

«Come mai così di buon umore, Wakabayashi?»

«Uuh, siamo passate al cognome, devi essere proprio offesa…» commentò lui con un sorrisetto sardonico stampato sulle labbra.

«Riderai meno quando dovremo tornare a casa, eccome se riderai meno!»

«Watanabe ha stabilito l’itinerario?»

«Altroché! – rispose Julia porgendogli un foglio – Eccolo qui, divertiti!»

Il ragazzo scorse il foglio e strabuzzò gli occhi.

«Ma siamo matti? Ma è un suicidio!»

«Può darsi, ma è l’unico modo per poter tornare in tempo per il weekend.»

«Se metto le mani su chi ha organizzato lo sciopero…»

«Non me lo dire, siamo sulla stessa barca: se non torno in tempo per la festa, Martha potrebbe non rivolgermi più la parola.»

«La festa in maschera! Quasi me ne dimenticavo… quale hai detto che era il tema?»

«Lo spazio.»

«Dovrei vestirmi da astronauta?» ironizzò lui.

«Puoi vestirti anche da esserino verde con le antenne: ha allestito tutta la sala con i pianeti del Sistema Solare, i muri saranno ricoperti di fasci di luce per simulare la Via Lattea e le varie stelle che ci sono.»

«Anche Aldarion 8?»

«Ma che idiota!»

«Ehi, ci sono: potrei vestirmi da Mazinga!»

«Fare il sonnellino pomeridiano ti ha reso un emerito imbecille.» disse lei, guardandolo torva. Lui le sorrise e posò il portatile sul letto.

«Va bene, ho capito che qui non sono gradito, andrò a cambiarmi per la riunione. Ci vediamo giù.»

«A dopo… Mazinga!»

 

Il meeting, in realtà, era più che altro un saluto formale a Genzo e Julia, e un ringraziamento per la loro visita alla Nihon no Wakabayashi Corp.. Era stato allestito un piccolo buffet al quale Julia attinse molto volentieri (ultimo cibo giapponese originale prima del ritorno in patria), e tutti furono davvero cortesi con lei, sforzandosi di parlare in inglese per non farla sentire a disagio.

«Spero di vederti presto, Julia: è stato davvero un piacere e un onore lavorare con te!»

«Vale lo stesso per me, Watanabe: ti aspetto in Germania per renderti il favore alla Wakacorp. Deutschlands!» rispose, felice di potergli dare del tu.

«Non mancherò, soprattutto per venire a trovare Ikemoto. Non vedo l’ora che si riprenda.»

«Te lo saluterò volentieri, promesso.» lo rassicurò Genzo.

«Che farete stasera, ora che siete finalmente liberi da tutti gli impegni?»

«Pensavo di portare Julia a visitare la città: non può venire a Tokyo e non vedere il Palazzo Imperiale.»

«Sono d’accordo. Potresti anche portarla a cena in quel famoso ristorante…» aggiunse Watanabe, strizzando l’occhio a Genzo. Il ragazzo non ribatté e finse di concentrarsi sul buffet, mentre il Direttore della Filiale si allontanò ridacchiando. Julia guardò prima lui poi il portiere, e gli diede una gomitata nello sterno.

«Ahi! Si può sapere cos’ho fatto stavolta?»

«Lasci che la gente insinui!»

«Tanto lo faranno comunque, anche se mi picchi!»

«Potresti almeno evitare di gongolare quando lo fanno.»

«Non è colpa mia se siamo la coppia preferita della Wakacorp.» sogghignò. Julia ci rinunciò, alzò gli occhi al cielo e si allontanò da lui per cercare la toilette.


Genzo e Julia sono pronti per rientrare in Germania, e voi? Siete pronte per vedere cosa accadrà, una volta in terra teutonica? 

Un abbraccio

Sakura 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


ET - Capitolo 1

Non appena la vide entrare, Martha uscì dal desk della reception e le corse incontro per abbracciarla.

«Mi sei mancata! Mi devi raccontare un sacco di cose!»

«Fammi riprendere, ti prego, sono ancora scombussolata dal fuso orario.»

«D’accordo ti concederò un po’ di tempo, ma prima devo farti assolutamente vedere questo!»

Tornò dietro la reception, si chinò e estrasse dalla borsa una copia di Bild. Scorse qualche pagina poi finalmente trovò ciò che cercava e porse il tutto a Julia. L’articolo parlava dell’amichevole pro Haiti che si era giocata all’Ozora Stadium di Nankatsu qualche giorno prima, e in un angolo, in mezzo alle W.A.G.S., c’era un cerchietto rosso attorno alla sua faccia, e poco più in basso c’era un'altra foto che ritraeva lei e Genzo che ridevano, vicini. Sbarrò gli occhi, li alzò verso Martha, tornò ad abbassarli sull’articolo e li alzò nuovamente verso l’amica.

«Ok, – esordì Martha – meglio che tu non legga l’articolo.» fece per toglierle il tabloid dalle mani, ma Julia fu più svelta. Era un elogio ai giocatori che avevano prestato il loro nome per questa iniziativa, fino a metà articolo non diceva niente di che. Poi, iniziarono le insinuazioni che lei tanto odiava. Lesse ad alta voce mentre si dirigeva verso il suo ufficio, seguita da Martha.

«L’SGGK, il portiere paratutto del FC Bayern München, oltre a dedicarsi agli affari di famiglia in seguito al malore del padre, il magnate Ikemoto Wakabayashi, pare dedicarsi anche agli affari di cuore: si è infatti portato questa ragazza (che lavora alla Wakabayashi Corp. Deutschlands) con sé fino all’altra parte del mondo, forse solo per compagnia, forse per farle conoscere il suo regno. La giovane sembra aver apprezzato molto il paese del Sol Levante, chissà se presto usciranno allo scoperto. Intanto, il pararigori più famoso del mondo si gode la spensieratezza della sua breve vacanza.»

Sbatté la rivista sulla scrivania e si mise le mani nei capelli.

«Julia…»

«Odio queste cose, non sai quanto…! Le invasioni nella vita privata mi fanno impazzire, le detesto! La gente si deve fare gli affaracci suoi!»

«Tesoro, purtroppo è normale, sei uscita con Genzo…»

«Non sono uscita con Genzo! – sbraitò – Siamo andati in Giappone per lavoro, non per una visita di piacere! Non sono andata a vedere la partita perché sono la sua groupie o per fare presenza! Maledetta me e quando ho accettato di seguirlo a Nankatsu. Potevo rimanere a Tokyo a lavorare!»

«Julia…»

«No, guarda, lasciami sbollire, davvero. So che non è colpa tua. Non mi passare telefonate per favore.»

Martha abbassò lo sguardo, poi annuì e uscì dall’ufficio, chiudendosi la porta alle spalle.

Julia si lasciò andare di peso sulla sedia, e si passò nuovamente le mani tra i capelli. Sentì il Blackberry suonare nella borsa, così si alzò e lo andò a prendere; quando lo estrasse, il nome che lampeggiava sul display la fece tentennare.

Genzo W.

«Non sai stare senza di me, eh?»

«Buongiorno! Ti credevo ancora a letto a ronfare, e invece sei già operativa in ufficio.»

«Dormirò nel weekend, ormai è vicino. Tu stai andando agli allenamenti?»

«Sì, sto passando a prendere Schneider. Hai saputo la notizia bomba?»

«Quale?»

«Che stiamo insieme!» esclamò il portiere, divertito.

«Non capisco cosa ci trovi di così divertente! Odio le infiltrazioni di questo tipo nella mia privacy!»

«Lo so, ma evidentemente dici così perché non hai visto le inflessioni del titolo in Borsa…»

Le si accese un campanello nella testa, si sedette e avviò il pc.

«No, infatti non le ho guardate…»

«Il malore di mio padre ha causato un brusco arresto all’ascesa delle azioni… ma se tu guardi, il giorno in cui è uscita la Bild…»

«Il titolo ha guadagnato cinque punti percentuali… non ci posso credere!»

«E invece sì, è la forza dell’amore!»

«Non credo che nella testa degli investitori ci siano cuoricini e farfalline. – il pragmatismo prese il sopravvento su Julia – Credo più che sia il fatto che ti abbiano visto con una donna, al di là che stiamo insieme oppure no. Mentre coloro che mi conoscono, nell’ambiente, hanno dato una dimostrazione di fiducia. Abbiamo riguadagnato il terreno perso. Questo significa che abbiamo la fiducia dei soci, Genzo!»

«Bel colpo, Wagner! Ci vediamo più tardi.»

«Buon allenamento!»

Chiuse la comunicazione e riguardò il grafico sullo schermo del pc: un sorriso soddisfatto le si disegnò sulle labbra, mentre aderiva allo schienale della sua sedia.

 

Si guardò nuovamente allo specchio: il trucco, il vestito, i capelli. Tutto era come Heidi aveva sapientemente studiato.

«Sicura che le aliene si vestano così?»

«Oh sì, su Saturno quel vestito è all’ultimo grido. Dai scema, che sei splendida.»

Era avvolta da un tubino argentato che Heidi aveva cucito con le sue mani, da brava fashion stylist quale stava cercando di diventare. Ai piedi un paio di stivali con le zeppe che la biondina aveva ricoperto dello stesso tessuto luccicante del vestito per abbinarli, e una pochette appesa a una catenella dorata.

I capelli erano raccolti in uno chignon morbido, Julia si era rifiutata di farseli tirare su da tutte le parti come da idea iniziale: aveva comunque un contegno da mantenere. Occhi truccati con uno smokey eyes argento e azzurro che arrivava fino alla tempia per allungare lo sguardo.

«E ora il tocco finale!»

Estrasse dalla borsetta un pacchettino dal quale tirò fuori tre coppie di brillantini di diverse dimensioni, da incollare lungo la linea di eye liner che metteva in risalto lo smokey.

«Quest’anno nessuna potrà farti sfigurare! Direi che sia il mio vestito meglio riuscito.»

«Te lo presterò da mettere in qualche sfilata, quando riuscirai a organizzarla.»

«Potresti sfilare tu, in fondo è tuo.»

«Sì, certo, modelle nane se ne vedono tutti i giorni!» sghignazzò Julia. Heidi non le diede retta e le passò il cappotto.

«Ti porto là io, poi ti arrangerai con un taxi per tornare a casa. E, mi raccomando… voglio sapere tutto!»

«Genzo non verrà, ha la partita.»

«Oh, peccato… peccato davvero!»

 

Il deejay picchiava con musica da discoteca, posizionato su quello che sembrava il suolo lunare, con una bandiera degli Stati Uniti come copri-consolle; c’erano un tavolo da cocktail per ogni pianeta del Sistema Solare, e ognuno aveva i colori di riferimento come da immaginario collettivo.

«Lo vuoi un Plutone, per cominciare?»

«Ma non era stato declassato?»

«Eh, lo so, – Martha la prese sottobraccio – ma era una scusa per avere un cocktail in più!»

Il barista versò i due Plutone in due bicchieri di plastica colorata e li porse alle ragazze.

«Ti sei ispirata a Sailor Moon per i colori?»

«Lo ammetto, un po’ sì! Ma non è stata una cattiva idea!»

«Il mio piccolo genio del male!»

«Ma lo sai che Heidi ha fatto un ottimo lavoro col tuo vestito? Sei uno schianto!»

«Mmmh… – Julia si guardò le gambe – per i miei gusti è un po’ corto.»

«Non dire sciocchezze! Senti, com’è andata in Giappone con Genzo, paparazzate a parte?»

«Abbiamo svolto un ottimo lavoro e, guardando i dati in Borsa, possiamo dire di aver convinto gli azionisti. Sono molto contenta.»

«Ok, questa è la risposta da Personal Assistant. La risposta da Julia Wagner qual è?»

La ragazza bevve un lungo sorso dal cocktail pensando a una definizione adatta a descrivere il suo viaggio di lavoro.

«Direi che è stato… assurdo.»

«Non male. Continua.»

«Siamo passati dal “siamo colleghi” al “ehi, brindiamo alla nostra amicizia”. Ma sono sicura che adesso le cose torneranno come prima; ora che lui riprenderà gli allenamenti, la patata bollente ce la rimbalzeremo a vicenda.»

«Non oso immaginare come abbia reagito quando gli hai detto dello sciopero…»

Le gote di Julia avvamparono sentendo nominare quell’episodio: l’abbraccio in mezzo alla strada era stato così spontaneo e intimo che tutt’ora, a ripensarci, rimaneva senza respiro.

«Ha reagito male, ovviamente, col suo solito caratteraccio. – minimizzò – Per fortuna Herr Watanabe è riuscito a trovarci questa soluzione di rientro.»

«Credo sia quel signore che mi ha contattato per spedire le valigie.»

«Esatto, proprio lui.»

«Sai, – disse a un tratto Martha – quando ho visto le foto sulla Bild, per un attimo ho pensato che tra te e lui… beh, sì, insomma…»

Julia scoppiò a ridere.

«Ma dai!»

«Me lo diresti, vero?»

Martha puntò lo sguardo verso l’amica e la fissò con aria seria.

«Saresti la prima a saperlo…»

Alla receptionist bastò, e dopo aver finito il suo Plutone, trascinò l’amica in pista a ballare.

 

Quando se lo ritrovò davanti, quasi le cadde il Saturno di mano. Era fasciato in una tuta blu della famosa marca con le tre bande laterali color argento, scarpe da ginnastica anch’esse argentate con il baffo blu sull’esterno, e in testa due antenne.

«Addirittura?» lo schernì lei. Lui si tolse il cerchietto da cui partivano le due molle sottili che sorreggevano le palline blu e glielo porse.

«Me l’ha portato Maria Schneider, dice che è perfetto per il costume da alieno.»

«Un alieno firmato dalla testa ai piedi.»

«Sono appena uscito dallo spogliatoio e sono corso qui subito, almeno per far presenza, non riuscivo a indossare giacca e cravatta. Non vado bene?»

Arretrò di un passo e allargò le braccia per farsi squadrare: Julia alzò un sopracciglio.

«Accettabile, anche se dal SGGK mi aspettavo qualcosa di più.»

«Potrei offrirti da bere per farmi perdonare della mia mancanza?»

«Scegli il pianeta.» gli sorrise lei.

«Sai, – disse lui, avvicinandosi – mi piacerebbe portarti sulla Luna, ma vedo che lì ci si va solo per fare quattro salti. – indicò la consolle del deejay – Opterei per Marte.»

«Mmh, Wakabayashi, il pianeta rosso fuoco.»

«Preferisco chiamarlo il pianeta rosso passione.»

«Stai per caso flirtando con me, SGGK?»

Genzo si era avvicinato a lei, pericolosamente quasi: aveva oltrepassato la soglia oltre la quale Julia non faceva passare nessun uomo da anni. Eppure con lui era diverso: aveva mentito a Martha, tra lei e il portiere c’era qualcosa. Qualcosa di indefinito, ancora, ma che le faceva battere il cuore a mille e le imporporava le gote.

Genzo si allontanò appena e si scostò per farla passare, indicandole il tavolo marziano.

«Devo dire che questo vestito ti sta davvero bene, da dove vieni?»

«Saturno, a quanto pare.» rispose lei, indicando il piccolo pianeta con gli anelli che Heidi aveva ricamato sopra al cuore. Genzo si avvicinò e sfiorò con le dita il ricamo, e Julia pregò che non potesse sentire i suoi mille battiti al minuto.

 

Your touch magnetizing

Feels like I am floating

Leaves my body glowing

 

«Bello…» disse lui, sorridendole.

«I vostri cocktail.»

La ragazza colse al volo l’occasione per svicolare e prendere i due bicchieri rossi che il ragazzo stava porgendo da dietro al bancone. Lo ringraziò con un sorriso e tornò dal portiere.

«Che te ne pare? Secondo me, Martha ha fatto un ottimo lavoro.»

«Sì, è stata brava, e poi ha fatto tutto in pochissimo tempo. Abbiamo dei collaboratori speciali, qui alla Wakacorp., non credi?»

«Sì, voi Wakabayashi siete molto fortunati. Senti, come sta tuo padre?»

Genzo si guardò intorno.

«Non qui, vieni, andiamo nel suo ufficio.»

Lo seguì e cercò di ignorare lo sguardo divertito di Martha che li osservava allontanarsi dalla sala. Cercò di tenere il suo passo lungo il corridoio, ma il ragazzo sembrava pressato, come se avesse bisogno di sfogarsi.




Ed eccola, la famosa festa: non tutta, per lo meno. Lo so, lo so, vi ho lasciate un po' in sospeso, ma credo che già qui di carne al fuoco ce ne sia, per lo meno, per chiacchierare! 

Di ritorno dal Giappone, Julia scopre che la sua amata privacy è stata "violata", e che le insinuazioni che tanto odia ora sono a livello nazionale. Era chiaro che la sua presenza alla partita non sarebbe passata inosservata, e vuoi mai che Das Bild perda l'occasione per un po' di sano gossip? *ridacchia* 

Genzo invece, come sempre, lascia che gli altri insinuino, soprattutto in questo caso in cui il titolo sembra non risentirne, anzi. 

Ora chissà cosa dovrà dirle di così importante? 

Lo scopriremo mercoledì prossimo, su Rieduche... ah no, scusate XD la forza dell'abitudine *ride*

Un abbraccio forte

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


ET - Capitolo 1

Genzo aprì la porta e fece passare Julia che accese la luce: si trovarono davanti a Magda Kleber seduta sulla scrivania con la gonna sollevata e le gambe allacciate a Jürgen Schmidt, il responsabile dell’ufficio acquisti.

«Che cazzo state facendo nell’ufficio di mio padre?»

I due, paonazzi dalla vergogna, si allontanarono l’uno dall’altra e cercarono di coprirsi alla bell’e meglio, mentre Julia osservava la scena con la mano sopra alla bocca per coprire la risata che stava per nascere.

«Voi due dovete essere impazziti! Herr Schmidt mi meraviglio di Lei! – tuonò minaccioso il portiere. I due abbassarono lo sguardo – Meritereste una nota di demerito, o una sospensione! Ma dico io, non avete altri luoghi dove andare a scopare? »

«Herr Wakabayashi, io…»

«Taci! – le intimò – Uscite da qui, non voglio più vedervi neanche in cartolina!»

I due uscirono a testa bassa e Genzo sbatté la porta alle loro spalle: sentirono un risolino sommesso provenire dall’esterno.

«Io sono senza parole, dovrei licenziarli come minimo! Sulla scrivania di mio padre!»

«Puoi fare di loro quello che vuoi, Herr Wakabayashi… – gli sorrise Julia, facendogli notare come lo aveva chiamato la giovane impiegata – ma credo che siano già abbastanza mortificati.»

«Direi che mio padre non ti ha passato il suo caratteraccio…»

«Che volevi dirmi di lui?»

«I medici non vogliono dimetterlo: temono che la situazione possa aggravarsi, data l’età. Gli stanno dando dei farmaci che diluiscono il sangue, ma questo non basta a farli stare tranquilli. Io credo che siano eccessivamente scrupolosi, dato il personaggio, ma mi fido di loro, e se tenerlo ancora in osservazione servirà a farlo stare meglio, allora non c’è problema. Ad ogni modo, lui si sente relativamente bene, e mi ha chiesto di te.»

«Andrò a trovarlo domani pomeriggio.»

«Vuole che convochiamo immediatamente un CdA per l’acquisizione sudamericana. E vuole che ce ne occupiamo noi. Vuole anche che io ti promuova a General Manager.»

«Che cosa?»

Julia non poteva credere alle sue orecchie: il posto di General Manager, vacante da anni, era il più ambito alla Wakabayashi Corp., in quanto si trattava della figura più importante dopo l’Amministratore Delegato. Da un decennio ormai, da quando Herr Mahler, di cui lei aveva solo sentito parlare, era andato in pensione, nessuno aveva più occupato quella posizione. Semplicemente perché nessuno è all’altezza di quel posto, Julia, le aveva risposto Ikemoto in persona un giorno, giustificando l’assenza di quella figura fondamentale che avrebbe potuto aiutarlo in tante questioni delicate.

«Genzo, io… non so che dire…»

«Allora di’ semplicemente di sì!»

Julia gli si lanciò al collo e lo abbracciò.

«Grazie, Genzo! Oh mio Dio, sono così… felice!»

Il ragazzo, dapprima stupito della sua reazione, reagì a sua volta stringendola fra le braccia: non riusciva a dire nulla, poteva solo pensare alla serenità che le dava averla così vicino. Respirò il suo profumo mentre lei continuava a ringraziarlo.

«… e non puoi capire cosa significhi per me!»

Fu un attimo: lei aveva sciolto appena l’abbraccio per poterlo guardare in faccia e lui, come ipnotizzato, aveva posato le labbra sulle sue.

Dopo un primo momento di smarrimento, Julia aveva appoggiato le mani al petto di Genzo e vi aveva fatto pressione per allontanarlo e allontanarsi; lo aveva guardato con uno sguardo smarrito e confuso, quindi si era voltata ed era uscita velocemente dall’ufficio.

Lui era rimasto lì, imbambolato come un ebete, a fissare la porta chiusa.

«Ma che cazzo faccio?»

 

«E se n’è andata senza dirti nulla?»

«Mi ha semplicemente… guardato con quello sguardo da cane abbandonato, si è voltata ed è corsa via.»

«E tu non le sei corso dietro?»

Genzo scosse la testa, e appoggiò la fronte al tavolino del pub dove lui e il Kaiser si stavano bevendo la loro consueta birra della domenica sera.

«Sono un coglione. – disse, sbattendo leggermente la testa sul tavolo – Coglione. Coglione. Coglione.» E ad ogni ripetizione corrispondeva una testata di maggiore intensità.

«Ora fermati, so bene che in quella zucca non c’è molto, ma direi che non sia il caso di aprirla qui, davanti a tutti. Quello che hai fatto è semplicemente un gesto istintivo, non devi colpevolizzarlo, né colpevolizzarti.»

«Io l’ho baciata! Ho baciato l’assistente personale di mio padre!»

«Hai baciato la tua General Manager ti suona meglio?» Lo schernì Schneider.

«Karl.» ruggì il portiere.

«Io non capisco perché ti preoccupi tanto: puoi liquidare l’argomento senza neanche starle a spiegare il tuo comportamento. Non ti verrà a chiedere delucidazioni, ne sono certo. E sarà meno imbarazzante di quello che pensi se entrambi farete finta di nulla.»

 

«E non andare da lui a chiedere spiegazioni: gli uomini si aspettano questo genere di cose da noi donne. Tu domattina ti presenti in ufficio bella come il sole, accetti il posto che ti hanno offerto e ti comporti in modo professionale come sempre.»

«Mi ha baciata…»

«Non ti ha baciata! Ha tentato di farlo, ma tu sei scappata!»

«Heidi, ha posato le sue labbra sulle mie! Lui! Il mio…»

«Quando la smetterai di vederlo come un titolare e comincerai a vederlo per quello che è, cioè un uomo a cui interessi?»

«È sbagliato…»

«Mamma mia, è grave… stai mangiando gelato?»

«Al cioccolato.» annuì Julia, anche se l’amica dal telefono non poteva vederla.

«Allora è ancora più grave di quanto pensassi… comunque, tu dai retta a me, vedrai che non succederà nulla di irreparabile, e presto archivierete l’argomento. Sempre che questo sia ciò che volete… è ciò che vuoi?»

Julia non rispose, si limitò ad affondare la posata nella vaschetta di gelato per estrarne un’enorme cucchiaiata.

 

«Cooosaaa?!»

Julia tappò la bocca di Martha e le intimò di tacere. La prese per mano e la portò nel suo ufficio.

«Non ti ho confidato questa cosa in gran segreto, durante la pausa caffè, per fartela urlare a mezza Wakacorp.!»

«Ecco perché sei scappata via! Mio Dio, che cosa romantica…»

Julia guardò l’amica, spalancando gli occhi.

«Romantica? Trovi romantico che mi baci mentre siamo chiusi nell’ufficio di suo padre, dopo che ha appena cacciato Magda Kleber e Jürgen Schmidt, tra l’altro.»

«Andiamo, quello non era un bacio.»

«Su quello siamo d’accordo…» sospirò Julia.

«Sembra quasi che ti dispiaccia… che non sia un vero bacio, intendo.»

«Ma che sciocchezze vai dicendo! – avvampò – Se avessi voluto un vero bacio non l’avrei spostato!»

«La reazione a caldo non conta, probabilmente anch’io avrei reagito così. Ma adesso, tu, come ti senti? E sii sincera per cortesia.»

Julia si lasciò andare di peso sulla sedia, e fissò il soffitto mentre ruotava a destra e sinistra con il girevole. Rifletté un istante, poi sospirò.

«Confusa… tanto tanto confusa… e imbarazzata…»

Sentirono bussare alla porta.

«Avanti…» disse Julia stancamente. Genzo fece capolino.

«Buongiorno. Cercavo proprio voi due. Fräulein Gomez, si accomodi pure anche lei.»

La receptionist spalancò gli occhi e si sedette di fronte a Julia, mentre Genzo, sfogliando le carte che aveva in mano, si avvicinò all’ex assistente.

«Questo è il contratto, è stato stipulato stamattina. – le posò i fogli sulla scrivania, senza neanche guardarla – E questo invece è per lei, Fräulein Gomez.»

«Di che si tratta?» chiese la receptionist, allarmata.

«Come forse saprà, è stato offerto a Fräulein Wagner il posto da General Manager… – Martha si voltò verso Julia e le sorrise con gli occhi – Questo significa che avremo bisogno di una nuova assistente che segua mio padre, me e Fräulein Wagner. Ne ho discusso a lungo con i miei genitori, e in particolare mia madre non ha potuto fare a meno di notare l’impegno, ma soprattutto la professionalità, con cui sono stati seguiti i suoi lavori in questo periodo di assenza. Per questo motivo, Fräulein Gomez, vorremmo offrirle il posto di Personal Assistant attualmente vacante.»

«E se io non accettassi il posto?»

«Julia!» esclamò Martha, fissandola con gli occhi spalancati.

«Beh, credevo che sabato sera tu lo avessi accettato.» rispose Genzo, rimanendo impassibile.

«Potrebbero essere cambiate delle cose…» ribatté lei, stringendo gli occhi a due fessure.

«In tal caso – Genzo si alzò – vi lascio il tempo necessario per riflettere. Fatemi avere sulla scrivania i contratti firmati – aprì la porta – o in bianco. La decisione è vostra, il futuro idem.»

Uscì dall’ufficio senza aggiungere altro.

«Ma che ti è preso?» la rimproverò la receptionist in odore di promozione.

«Sta facendo finta di nulla! Non lo sopporto…»

«Oh mio Dio… Julia, non era quello che volevi? Dimenticare l’episodio?»

«Non lo so…» si imbronciò la giovane.

«Per l’amor del cielo, scrivi il tuo nome su quelle dannate carte e portagliele. Hai il futuro a portata di firma!»

Julia sbuffò.

«Io questo posto lo voglio… e voglio anche che tu ricopra il mio ruolo…»

«E allora… – Martha prese il contratto e lo firmò – tieni, porta i nostri fogli a Genzo. SUBITO!» le intimò. La ragazza firmò e si alzò per raggiungere il ragazzo nell’ufficio del padre.

 

«Avanti!»

Entrò a testa bassa e si avvicinò alla scrivania.

«Noi… abbiamo firmato i contratti.»

«Molto bene – annuì Genzo – sono molto felice della vostra decisione. Davvero.» aggiunse poi alzando lo sguardo e sorridendole. Ma non era uno di quei sorrisi che lei aveva imparato a conoscere nell’ultimo periodo. Era un sorriso formale, di circostanza.

«Genzo, io… – il ragazzo la fissò dritto negli occhi, ma con uno sguardo indecifrabile; aveva alzato una barriera con lei – sono felice anch’io.»

In realtà avrebbe voluto dirgli altro, dirgli che le dispiaceva, dirgli che… non lo sapeva nemmeno lei cosa avrebbe voluto dirgli. Ma si accontentò di quella frase che le suonò vuota.

«Lasciamoci il passato alle spalle, e iniziamo questa nuova avventura.» concluse Genzo, sedendosi e iniziando a usare il computer. Alla ragazza non rimase altro che uscire, chiudendosi la porta dietro di sé.

«Dovremmo essere entrambi più felici, di questa nuova avventura…» mormorò, incamminandosi lungo il corridoio.




Uno strappo nella linea degli eventi, una reazione a caldo che fa trasparire tutto il dilemma interiore della ragazza, contrapposto all'impulsività di Genzo. 

E ora? 

Il ruolo che si è giustamente guadagnata all'interno dell'azienda rischia di stringerla in una morsa, se non si decide a mettere da parte l'orgoglio; certo è che la sua è una reazione più che plausibile (alzi la mano chi non ha mai avuto pensieri contrastanti di questo tipo! E non mentite *ridacchia*). 

Herr Wakabayashi (che è Ikemoto, non Genzo *ride*) decide a lasciar andare un pezzettino di azienda, lasciando che Julia ricopra un ruolo molto importante all'interno della stessa; ma i soci sono sempre in agguato, chissà ora il terzetto alla guida della Wakacorp. cosa dovrà affrontare. 

Stay tuned, sempre su questi schermi <3

Vi abbraccio forte 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


ET - Capitolo 1

 

Fece un lungo respiro e si decise a entrare: erano esattamente un anno, tre mesi e otto giorni che non metteva piede al Sabor de Cuba. Dubitava persino di ricordarsi ancora qualche passo… ma era giunta al limite, aveva e sentiva il profondo bisogno di pensare a qualcosa che non fosse il lavoro. Per la prima volta da un anno, tre mesi e otto giorni.

L’atmosfera che la avvolse le fu subito profondamente familiare, e la cosa la tranquillizzò e la rasserenò immediatamente. Notò Heidi e Daniel già in pista e li salutò con un cenno della mano: i due le sorrisero, sinceramente felici di vederla lì. Raggiunse il tavolo che da cinque anni era loro, e vi trovò il gruppo solito dei ragazzi.

«Wagner! Ma che bello! Sono così felice di vederti!» esclamò Karl-Heinz Schneider, il primo a notarla.

«Anche per me è una gioia essere qui, ciao a tutti!»

Il coro di “Ciao” e “Bentornata” la avvolse e lei si beò di tutto quel calore. Si sedette accanto al Kaiser e ordinò una soda.

«Vuoi lanciarti?» le chiese.

«Oh, Karl, sono un po’ arrugginita…»

«Allora è proprio il momento giusto per lanciarsi! Andiamo!»

La trascinò in pista: all’inizio fu dura, ricordarsi i passi fu più complicato del previsto, ma Karl era il ballerino perfetto, avevano ballato insieme da subito e la loro sintonia ricomparve in breve tempo.

Nonostante cercasse di non darlo a vedere, la malinconia che le velava gli occhi era ben visibile, così non appena furono da sole in bagno, Heidi partì all’attacco.

«Deve essere una situazione davvero tragica, per spingerti a tornare qui dopo tutto questo tempo. Mi fa piacere che tu voglia riprendere a uscire, ma temo che non sia solo per l’infinito affetto che nutri nei nostri confronti.»

«Ho bisogno di non pensare al lavoro, almeno per due sere a settimana…»

«Le cose non vanno bene?»

«Oh no, vanno benissimo: con Martha c’è sintonia perché ci capiamo al volo e abbiamo lo stesso metodo lavorativo, e con Genzo non ci sono problemi perché al momento ci stiamo occupando di cose diverse e quindi… non dobbiamo parlarci…»

«Oh, tesoro… guardati…»

Neanche se ne era accorta che le si erano riempiti gli occhi di lacrime: si limitò a fare spallucce e ad asciugarseli con un fazzolettino.

«Adesso abbiamo in ballo delle cose molto più importanti, alla Wakabayashi Corp., non c’è il tempo materiale per stare a disperarsi. È per questo che ho bisogno di serate come questa…»

Heidi la abbracciò forte.

«Noi siamo qui per questo, tesoro… ti voglio bene!»

 

«Non ci capisco una parola di spagnolo! – esclamò, lanciando i documenti sulla scrivania e alzando la cornetta per comporre l’interno di Martha – Senti, puoi venire qui? Herr Sanchez ha mandato dei documenti da usare per il CdA, ma sono tutti in spagnolo e sto rischiando di bruciarli da un momento all’altro!»

«Non ti agitare! Arrivo subito!»

La sua fidata assistente, che fortunatamente per lei era bilingue, la raggiunse in un batter d’occhio e le tolse i documenti da sotto al naso prima che li lanciasse davvero dalla finestra.

«Allora, vediamo un po’… questi sono i dati di bilancio degli ultimi tre anni, mentre questo… questo è il documento della Camera del Lavoro argentina che attesta la solidità del Gruppo. Questo qui invece… mmh… sembra essere una lista… forse i dipendenti…»

«Sono troppo pochi per essere i dipendenti di un gruppo così. Forse sono gli azionisti.»

«Sì, potresti aver ragione… cercherò qualche informazione, se non ti dispiace.»

Genzo entrò in quel momento.

«Julia, mi ha telefonato Herr Krause da Amburgo, dice che non riesce a rimandare l’impegno e chiede di spostare il CdA di un giorno. Pensi sia fattibile? Buongiorno, Martha.»

«Fammi controllare… sì, direi che si possa fare. Martha, per favore, redigi la nuova convocazione: non appena avremo la conferma informale di tutti i soci, potrai inviarla.»

«Vado subito.»

L’assistente uscì, chiudendosi la porta alle spalle e lasciandoli soli. Genzo continuò a leggere i fogli, in piedi di fronte alla scrivania, mentre Julia scriveva al pc.

«Herr Hagner ha dato subito la disponibilità?»

«Dice che verrà col figlio, vorrebbe introdurlo all’interno della Wakabayashi Corp., ma credo che sia una scusa.»

«Sì, lo credo anch’io. – si sedette di fronte a lei e appoggiò i fogli – Sono demolito.» aggiunse poi, stiracchiandosi.

«Sì, ti capisco… – Julia smise di scrivere e si voltò verso di lui, appoggiandosi allo schienale della sedia – Che dici, ci facciamo un caffè?»

«Offri tu?» chiese lui, sorridendo. Per un attimo, Julia lo rivide come quando erano in Giappone. Ma fu un attimo.

«Mi toccherà. Dai andiamo.»

La porta si spalancò e Herr Hagner fece il suo ingresso: era paonazzo e visibilmente accaldato. Dietro di lui, Judith era rossa di vergogna per non essere riuscita a fermarlo.

«Ma che modi sono? – esclamò Julia – Judith, le persone si annunciano, non gli si corre dietro!»

«Mi dispiace Fräulein Wagner, io…»

«Torni al suo posto, – si intromise Genzo – e si faccia spiegare da Fräulein Gomez come si lavora.»

Judith tornò alla sua postazione con la coda tra le gambe, lasciandoli soli con la collera di Herr Hagner.

«Mi avete preso per il culo! – esclamò irato – Mi avete bellamente preso per il culo!»

«La pregherei di mantenere un linguaggio adeguato al luogo in cui ci troviamo.»

«Me ne sbatto del luogo in cui siamo! Avete fatto un incontro in gran segreto con Sanchez quando io vi avevo chiesto di non farlo!»

«Herr Hagner non so davvero di cosa…»

«Balle! – la interruppe lui, facendo un passo verso Julia che, istintivamente, ne fece uno indietro – Credi di essere qui a giocare? Qui c’è in gioco il futuro di un’azienda  multinazionale e di un sacco di persone!»

«Ma lei chi si crede di essere per venire qui a urlare nella mia azienda!» tuonò Genzo, indispettito dal tono usato dall’uomo.

«Di tuo, qua dentro, c’è solo il cognome, Dio ci scampi dal giorno in cui metterai le mani sulla holding!» lo rimbeccò, gli occhi ridotti a due fessure, il respiro affannoso.

«Se ne vada, Herr Hagner. – Julia aveva un tono calmo ma deciso, e lo fissava con sguardo duro – Esca da questo ufficio, da questa azienda e da questa città. La verità è che a lei non interessa il futuro della Wakabayashi Corp., chissà per quale motivo è così contrario a questa acquisizione, e guarda caso proprio quando il proprietario non può essere qui a dire la sua opinione. Non si deve dimenticare che l’azienda è ancora nelle mani solide di Herr Wakabayashi! Esca da qui e cerchi di calmarsi, al CdA potrà dire la sua davanti a tutti i soci, sperando che lei riesca a mantenere un contegno e un decoro adatti al buon nome dell’azienda!»

Günther Hagner la fissò con odio profondo, si avvicinò a lei di un passo, ma stavolta Julia non indietreggiò: l’uomo alzò il dito indice e glielo puntò davanti al naso, lei continuò a fissarlo dritto negli occhi.

«Non finisce qui: me la pagherai, ragazzina…»

Si voltò e uscì dall’ufficio senza prendersi la briga di chiudere la porta: Julia e Genzo si affacciarono al corridoio per avere la conferma che uscisse dall’edificio. Non appena le porte d’ingresso scorrevoli si chiusero alle sue spalle, entrambi tirarono un sospiro di sollievo.

«Lo vuoi ancora quel caffè? – le chiese Genzo, posandole una mano sulla spalla – Offro io.»

Si recarono davanti al distributore di bevande calde, Genzo inserì la chiavetta e premette il pulsante dell’espresso; Julia appoggio la testa al lato della macchinetta e chiuse gli occhi.

«Stai bene?» le chiese il ragazzo, porgendole il bicchierino di plastica.

«Sono solo un po’ stanca… ne sono successe di cose nell’ultimo periodo, non credi?»

Cercò di non darlo a vedere, ma quella frase lo colpì esattamente nel punto in cui Julia voleva che colpisse: prese il suo bicchierino del caffè e si appoggiò con la spalla alla macchinetta. Ora erano l’uno di fronte all’altra.

«Vorrei dirti di prenderti qualche giorno di ferie, ma…»

«Fa niente – lo interruppe – adesso abbiamo delle priorità. Quando ci saremo sistemati un po’, allora te le chiederò. Poi ho ricominciato a uscire durante la settimana e…»

«Sei tornata alla vita sociale?» la schernì lui. Stavano avendo il primo dialogo normale dalla sera del semi-bacio: ne fu contenta.

«Ho seguito il consiglio di Schneider e sono tornata al Sabor de Cuba. Ci troviamo lì il lunedì e il giovedì come ai vecchi tempi. È divertente, anche se oggettivamente sono parecchio arrugginita.»

«Non sei un po’ rigida per ballare la salsa?»

Julia rise.

«Me lo dicono tutti, ma quando mi vedono in pista si ricredono.»

Gli fece l’occhiolino, lanciò il bicchierino vuoto nel contenitore della plastica e tornò nel suo ufficio, chiudendosi la porta alle spalle. Genzo seguì ogni sua mossa finendo di bere il suo caffè.

 

Tutto era pronto per il CdA: i tavoli, le sedie, l’OdG davanti alla poltrona su cui normalmente si sedeva Herr Wakabayashi. Julia guardò la stanza e si ritenne pienamente soddisfatta: Martha la raggiunse.

«Sono nervosa che non ne hai idea…»

L’ex receptionist aveva raccolto i capelli mori in una coda alta, e indossava un completo giacca e pantalone neri, con una camicetta bianca. Le vertiginose scarpe col tacco le adornavano i piedi, ma lei sembrava non risentire del fastidio, al contrario della General Manager che, fasciata nel suo adorato completo grigio (rientrato da poco dal Giappone), già lamentava il male causato dai tacchi alti.

«Voglio che tu ti metta qui – le indicò il posto accanto alla sinistra di Genzo, spostato al lato del tavolo – annoterai le osservazioni principali, su cui discuteremo in seguito. Io mi metterò dall’altra parte, di fronte a te.»

«Credi che Herr Hagner verrà?»

«Ne sono certa. Non perderà occasione per insultare me e Genzo, additandoci come traditori. Ancora vorrei sapere come ha fatto a scoprire dell’incontro a Osaka…»

«Credi che ci sia una talpa?»

«Sì, ma non all’interno della Wakacorp.; c’è qualcosa che non mi convince ma ancora non riesco a capire cosa. Ho un campanellino in testa che continua a trillare da quando si è presentato per la prima volta in ufficio da me e Genzo, ma non riesco a dargli un senso.»

«Quell’uomo non mi è mai piaciuto, mai. E in più, mi fido ciecamente del tuo sesto senso.»

Sentirono bussare e si voltarono mentre la porta si apriva: Genzo entrò e osservò le ragazze.

«Caspita, adesso sì che sono un uomo fortunato!»

«Buongiorno, Genzo. – lo salutò Julia, cercando di mascherare l’imbarazzo per il complimento ricevuto – Sei pronto?»

«Mai stato più pronto in vita mia. Sono solo un po’ preoccupato per Herr Hagner…»

«Non credo che davanti ai soci possa comportarsi come si è comportato con voi: ha comunque un decoro da mantenere. – asserì Martha, appoggiandosi al tavolo e incrociando le braccia al petto – Penso che il suo sia un modo per intimorirvi, per far vacillare il gruppo.»

«Ma a che scopo? – esclamò Julia – Siamo in una situazione difficile, dobbiamo rimanere uniti e fare gioco di squadra.»

«A meno che lui non abbia interessi di altro tipo…»

Quell’affermazione di Genzo fece trillare nuovamente il campanello nella testa di Julia.

«Come ha scoperto dell’incontro a Osaka?»

I due si fissarono, muti: Martha passava lo sguardo dall’uno all’altro senza capire cosa i due si stessero silenziosamente dicendo.

«Ne riparliamo. – Genzo interruppe il flusso di coscienza – Adesso andiamo ad accogliere i nostri soci.»




E così, Julia fa un passo avanti e ricomincia a uscire con quel gruppo di persone che aveva momentaneamente abbandonato per concentrarsi sulla sua carriera, e lo fa per evitare di stare in casa a rimuginare sul suo rapporto con Genzo. Anche solo parlarne, infatti, le provoca la reazione che abbiamo visto. 

Dall'altro lato abbiamo la situazione alla Wakacorp. che si fa ancora più calda, con un tenace Herr Hagner che si mostra in tutta la sua arroganza, facendo trillare parecchi campanelli nella testa dei personaggi. 

È tutto pronto per il CdA, il primo dopo la promozione di Julia e Martha: cosa succederà?

Stay tuned

Un abbraccio infinito 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


ET - Capitolo 1

 

«Conosco il gruppo di Sanchez da parecchi anni – Herr Friedrich prese la parola in maniera pacata, come era sua abitudine – e sinceramente sono favorevole all’acquisizione. È un gruppo solido che ha sedi in tutto il Sudamerica, potrebbe essere una nuova apertura per la Wakabayashi Corp., davvero non condivido i timori di Herr Hagner.»

L’uomo, preso in causa, strinse la penna in mano, ma non disse nulla: il figlio, accanto a lui, ascoltava con attenzione gli interventi degli altri azionisti.

«Herr Hagner ha tutti i diritti di esprimere le sue perplessità, – intervenne Herr Neumann – anche se queste risultano essere incomprensibili.» era il socio più anziano, ed era anche colui che cercava di mantenere i CdA su toni più placidi.

«Nessuno è qui per giudicare Herr Hagner, – Julia prese la parola – siamo qui semplicemente per valutare la fattibilità o meno dell’acquisizione del Grupo-SCH. Come ho promesso a Herr Hagner quando si è presentato qui la prima volta a esprimere la sua opinione, nessuna decisione verrà presa senza il parere di voi soci. Certo è che non bisogna dimenticare la volontà di Herr Wakabayashi, che rimane la persona con il maggiore potere qui dentro.»

«Fräulein Wagner, noi la conosciamo da anni ormai, e abbiamo stima di lei e del suo operato. Sebbene la sua promozione sia stata approvata a pieni voti, non deve dimenticarsi che la parola non spetta a lei, in certi casi, ma a Herr Wakabayashi o, in sua assenza, al qui presente Genzo.»

La stoccata di Herr Haas arrivò dritta a Julia, che alzò le mani e si voltò verso Genzo: il ragazzo non aveva detto una parola da quando era iniziata la riunione, aveva continuato a rigirarsi la penna tra le mani battendola ripetutamente sul tavolo. Ora tutti gli sguardi erano puntati su di lui, in attesa di un suo intervento: non volava una mosca. Julia trattenne il respiro.

«Genzo… – lo chiamò piano Martha – tocca a te.»

Il ragazzo alzò lo sguardo, e fu allora che i soci si resero conto di trovarsi davanti non un ragazzo menefreghista, non un calciatore, bensì il degno successore di Ikemoto Wakabayashi. Si alzò in piedi e si schiarì la voce, lo sguardo fiero e per nulla intimorito dalla platea esigente che si trovava di fronte.

«Io e il mio team – indicò Martha e Julia – abbiamo analizzato per giorni i pro e i contro di un’eventuale acquisizione del Grupo-SCH. Non vi nascondo che non sarà una cosa facile, la concorrenza è agguerrita, e il periodo finanziario non è dei migliori. Ma noi possiamo contare su una cosa che non tutti i gruppi hanno: la fiducia. Da quando mio padre ha aperto la sede qui in Germania, ben venticinque anni fa, nessuno di voi ha mai osato mettere in dubbio una sua scelta, benché a volte, si sa, certe decisioni abbiano portato a conseguenze negative. Ma è la legge del mercato, a cui nessuno si può sottrarre. Il leitmotiv della Wakabayashi Corp. Deutschlands è sempre stato la chiarezza, i nostri affari sono sempre stati limpidi, nessuno di noi ha mai agito alle spalle di altri. – si guardò intorno per incrociare lo sguardo di ciascuno dei soci – Mio padre ha analizzato ben prima di me lo stato del Grupo-SCH, e se ha ritenuto di dover sottoporre l’acquisizione al giudizio di voi soci in affari e azionisti, lo ha fatto perché aveva sicuramente già capito quanto fosse importante per noi, per l’avanzamento dell’azienda, per poter mantenere quello status di leader mondiale che ci caratterizza da anni, da decenni anzi. Ognuno di voi ha investito risorse in questo gruppo, credete davvero che il nostro modo di ripagarvi sia un’acquisizione non controllata? Credete davvero che ci occuperemmo della questione con leggerezza e superficialità? Lo ammetto – si risedette e giunse le mani davanti al mento – forse non sono la persona adatta per chiedervi fiducia, per anni ho lavorato all’ombra di mio padre, presenziando poco alle riunioni importanti. Ma questo non significa che io non sia interessato al bene dell’azienda. Su questo edificio, come su tanti altri sparsi in tutto il mondo, c’è il mio cognome, il cognome di mio padre, dei miei fratelli, dei miei nipoti e dei miei figli, se gli Dei vorranno. Credete davvero che io voglia mandare all’aria tutto questo? Io appoggio e sostengo l’acquisizione del Grupo-SCH.»

Si appoggiò allo schienale della sedia e contemporaneamente batté i palmi delle mani sui braccioli. La platea, che lo aveva ascoltato incantata e rapita, lo fissava ancora: tutti erano stupiti e piacevolmente colpiti dalle sue parole, persino il figlio di Herr Hagner annuiva leggermente con la testa.

L’attenzione degli astanti fu attirata da due mani che iniziarono ad applaudire: si voltarono verso l’ingresso, dove videro Herr Wakabayashi, appoggiato allo stipite della porta, con la stampella accanto alla gamba, che applaudiva e guardava il figlio.

«Herr Wakabayashi! – Julia scattò in piedi – Da quanto tempo è lì?»

«Abbastanza per essermi accorto di aver lasciato la mia ditta in mano a due ragazzi, e di aver trovato un team affiatato e combattivo. – afferrò la stampella e si avvicinò al figlio, appoggiando una mano sulla spalla di Martha mentre le passava accanto – Non avresti potuto usare parole migliori, Genzo, e mi meraviglio che nessuno si sia ancora alzato per applaudirti e per riconoscerti i tuoi meriti. Ah, no, troppo tardi, Herr Neumann, adesso è semplice. Voi tutti per anni vi siete lamentati del fatto che mio figlio – gli appoggiò una mano sulla spalla con orgoglio – non fosse all’altezza di prendere il mio posto, o che il mio team fosse troppo giovane e troppo inesperto per poter guidare l’azienda. Adesso vi trovate di fronte a tre giovani, che hanno sì trent’anni appena, ma che hanno usato ogni mezzo a loro disposizione per presentarvi un CdA all’altezza delle aspettative, e non credo che queste siano rimaste deluse. Devo ammettere che anche io, come voi, nonostante la cieca fiducia che nutro nei confronti di Fräulein Wagner, ero un po’ preoccupato all’idea di lasciare il tutto in mano loro, ma non si sono di certo fatti prendere dal panico, e non hanno esitato a trovare un aiuto all’interno dell’azienda stessa, per poter proseguire il lavoro. – si sedette sulla poltrona di Julia, che gli aveva lasciato il posto, dopo che lui stesso aveva rifiutato quella su cui sedeva Genzo – La mia opinione riguardo l’acquisizione la sapete. E sapete anche come la pensa il team direttivo qui presente. Ora tocca a voi scegliere.»

Si voltò verso la platea dei soci e azionisti e li guardò uno a uno negli occhi. Julia si avvicinò a Genzo, posando una mano sullo schienale della sedia, e trattenne il respiro: era la resa dei conti.

 

Salutarono tutti mentre uscivano, stringendo mani e congratulandosi a vicenda: Genzo, accanto a suo padre, sorrideva leggermente, e si inchinava appena quando qualcuno si complimentava per il carisma.

«Ikemoto, questo ragazzone è decisamente tuo figlio» disse Herr Neumann, salutandoli con un sorriso.

Chris Hagner si presentò davanti a Julia e le tese la mano.

«So che ci sono state delle incomprensioni con mio padre, spero che tutto si possa risolvere in fretta.»

La ragazza lo fissò, alzando un sopracciglio, ma strinse comunque la mano tesa del giovane.

«Mi piacerebbe approfondire certi aspetti dell’acquisizione, – aprì la giacca del completo ed estrasse un bigliettino da visita da una tasca interna – potremmo organizzare un incontro.»

Le fece l’occhiolino e, dopo aver salutato anche Genzo e Martha, uscì per raggiungere il padre.

Il terzetto rimasto si voltò verso Herr Wakabayashi.

«Lei non dovrebbe essere qui.» lo rimproverò Julia.

«Hai ragione, ma dovevo controllare cosa stavate combinando: ho dato un’occhiata ai conti del viaggio e mi sono venuti i capelli bianchi!» scherzò l’uomo, avvicinandosi a una sedia per mettersi comodo.

«Che ti hanno detto i medici?» gli chiese Genzo, premuroso.

«Che sono vecchio, ma non ancora morto. Ma devo rallentare i ritmi lavorativi. Fräulein Gomez, complimenti per la promozione.»

«La ringrazio, Herr Wakabayashi. Per me è un onore.» e inchinò leggermente la testa. L’uomo annuì e guardò il trio con orgoglio.

«Avete svolto un ottimo lavoro, ma il difficile verrà ora: avete ottenuto la piena fiducia dei soci, e questo è un dato positivo, ma ora dovete chiudere la trattativa con quel buontempone di Sanchez nel modo migliore. Per prima cosa, – si alzò a fatica, aiutandosi con la stampella – lo chiamerete e lo inviterete qui. Prenoterete una stanza nel solito albergo che usiamo per gli ospiti d’onore, Martha sa di quale parlo, e gli direte che sono pronto a incontrarlo. Il secondo passo sarà convincerlo a vendere nel più breve tempo possibile, sono sicuro che lui vorrà aspettare dopo l’estate per verificare l’andamento in borsa delle nostre azioni dopo il cambio che c’è stato al vertice, ma voi dovete convincerlo che non ci sono problemi. E infine, – si avvicinò all’uscita, quindi si voltò –andrete in Argentina a siglare l’accordo. Si sentirà a suo agio e sarà onorato del fatto che vogliate concludere l’affare a casa sua. È tutto chiaro?»

I tre annuirono.

«Bene, ora me ne torno a casa: ho promesso a mia moglie di rilassarmi, e adesso so che posso farlo. Avremmo piacere di avervi a cena tutti e tre, una di queste sere. Martha, chiama Ochiyo per metterti d’accordo. – la giovane annuì, felice che fosse già passato dal Lei al tu – Buona giornata. Siate fieri di voi stessi.»

I tre si guardarono ammutoliti: un grande passo era stato fatto quel giorno, e loro ne erano stati gli artefici.

 

«Lo sapevo! Ne ero convinta! E adesso ne ho le prove!»

Martha era entrata come un tornado nell’ufficio di Herr Wakabayashi dove Genzo e Julia stavano schedulando l’arrivo di Sanchez.

«Di che parli?»

«Quel campanello che ti suonava in testa ha acceso una spia nel mio cervellino, piccolo ma funzionale. – si sedette di fronte a loro e sparse sulla scrivania un plico di fogli – Così sono andata su Google e ho provato a fare delle ricerche sul Grupo-SCH. Il gruppo è solido, blablabla, tutte cose che sappiamo già. Quello che non sapevamo è che sono in trattativa con un'altra azienda per vendere.»

«Che cosa?!» Genzo prese il foglio che Martha le porgeva, anzi, quasi glielo strappò dalle mani.

«Proprio così, miei cari. C’è un qualcun altro interessato. E questo qualcuno è la Weisemann AG.»

«Stai scherzando! – Julia aprì la propria agenda ed estrasse il biglietto da visita di Chris Hagner – È la ditta di quel fottuto bastardo!»

«Hai capito perché non voleva che ci interessassimo all’acquisizione?» esclamò Genzo, alzandosi in piedi e lanciando il foglio. Martha si appoggiò una mano sul mento, mentre Julia continuava a fissare il bigliettino da visita del figlio di Herr Hagner.

«A che pensi?» l’assistente interruppe il suo flusso di pensieri.

«Penso che dovrei uscire con Chris Hagner.»

«Scusa?» Genzo si voltò e la fissò come se avesse appena detto di voler scalare l’Everest.

«Pensaci: perché ha voluto a tutti i costi lasciarmi il suo biglietto da visita? E perché l’ha fatto quando suo padre non c’era? Dubito che lui non lo sapesse.»

«Che idea ti sei fatta?» le chiese il nipponico, avvicinandosi.

«Che mi credano corruttibile. O che vogliano convincermi a far saltare l’affare. Non lo so. Ma ho solo un modo per scoprirlo.»

«Julia, quel ragazzo non mi piace, non mi piace per niente!» sentenziò Martha, incrociando le braccia al petto.

«E credi che a me piaccia? Ma voglio vedere cos’ha in mente. Lo chiamerò e vedrò a che gioco vuole giocare.»

«Direi che abbia trovato pane per i suoi denti.» concluse Genzo, annuendo leggermente.

 

«Sono davvero contento che tu abbia accettato il mio invito a uscire.»

Il giovane Hagner si sedette di fronte a Julia dopo averle accostato la sedia al tavolo, e le sorrise. La giovane sorrise a sua volta e si sistemò il tovagliolo sulle gambe.

«A dir la verità, credevo si trattasse di un’uscita informale.» si guardò intorno, l’aveva portata a cena fuori nel ristorante più “in” di tutta Monaco, dopo essere passato a casa a prenderla.

«Lo è, – rispose il ragazzo, versandole un po’ di vino nel bicchiere – solo che così destiamo meno sospetti.»

«E che sospetti dovremmo destare?» chiese lei, portandosi il bicchiere alla bocca e bagnandosi appena le labbra col vino bianco.

«Beh, il braccio destro dei Wakabayashi con il figlio di Herr Hagner…»

«Wakacorp. contro Weisemann, un bel titolo per i giornali.»

«Sì, so bene che sei abituata ai giornali scandalistici.»

Julia tossì appena mentre appoggiava il bicchiere sul tavolo, e Chris Hagner sorrise di sbieco capendo di aver centrato l’obiettivo.

«Si chiamano giornali scandalistici proprio perché cercano lo scandalo, e quando non lo trovano se lo creano.»

«Ti è piaciuto il Giappone?»

«Mi sono trovata bene, è un bell’ambiente.»

«E i giapponesi?»

«Scusa?»

«Si sono comportati bene con te o sono stati scortesi?»

Il doppio senso di quella domanda non sfuggì a Julia, tuttavia la ragazza decise di stare al gioco: era davvero curiosa di vedere dove volesse andare a parare il figlio di quella serpe in seno che era Herr Hagner.

«Beh, sai… sono molto particolari da gestire, io ho una discreta esperienza a riguardo...»

Il ragazzo si chinò in avanti verso di lei e sussurrò:

«E il giovane Wakabayashi come lo gestisci? Dentro o fuori dal letto?»

Julia si chinò in avanti a sua volta e lo guardò con uno sguardo malizioso.

«Mi sembrava strano che tu fossi interessato a parlare con me, ora capisco dove vuoi arrivare, e credo che me ne andrò.»

Si tolse il tovagliolo da sopra le gambe e lo posò sul piatto: Chris fece il giro del tavolo e le prese un gomito.

«Aspetta, mi spiace, siamo partiti col piede sbagliato…»

«Oh, no no… – disse Julia, con la stessa voce languida di poco prima – sei partito esattamente con il piede con cui volevi partire, e adesso togli la tua mano dal mio braccio o inizio a strillare come un’aquila.» il ragazzo mollò la presa e Julia ne approfittò per alzarsi e uscire dal locale.

«Julia, aspetta!»

Si fermò davanti all’ingresso e iniziò a guardarsi intorno per vedere se arrivasse un taxi; dietro di lei, il ragazzo cercava di catturare la sua attenzione con ogni mezzo.

«Ti prego, Julia, credimi, non intendevo quello che ho detto, io cercavo solo un modo per avere la tua attenzione! Andiamo… io… io so di tua madre!»

Julia rimase pietrificata sentendo quelle parole: la pochette le cadde di mano, e il giovane Hagner si chinò velocemente per raccoglierla. La ragazza aveva gli occhi sbarrati, nella testa risuonavano quelle poche parole, come un gong. Si voltò dopo qualche minuto.

«Ora hai la mia attenzione…»




Ed ecco che iniziamo ad entrare nel vivo della storia: il CdA ha incoronato il nostro trio, dando piena fiducia al loro operato, MA finalmente abbiamo scoperto a cosa sono dovute le reticenze di herr Hagner, una vera serpe in seno, per citare Julia. 

E ancora più importante, entra in scena un particolare che finora non era stato preso in considerazione: la reazione di Julia alle parole di Chris Hagner riguardo sua madre. Parole che riescono ad attirare completamente la sua attenzione. 

Lo so, lo so, vi sto lasciando in sospeso, ma che ff sarebbe, se così non fosse? *ridacchia* 

Mercoledì prossimo è Santo Stefano, conto di riuscire comunque ad aggiornare, sempre che io non venga inglobata dai parenti XD 

Un abbraccio e Felice Natale a tutt* 

Sakura 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


ET - Capitolo 1

«Che bastardo figlio di puttana!» esclamò Martha quando Julia ebbe finito il suo racconto. Heidi annuì, guardando rispettivamente prima una poi l’altra: aveva raggiunto l’amica non appena aveva ricevuto la telefonata, già dal tono si intuiva che c’era qualcosa che non andava.

«A quel punto tu che hai fatto?» le chiese.

«Sono tornata dentro e ho terminato la cena: lui mi ha raccontato di come ha fatto a scoprire di mia madre, e dell’uso che vuol fare suo padre di queste informazioni…»

«Cosa ti fa pensare che fosse sincero? Io non mi fido.» Martha aveva il fuoco negli occhi.

«Perché sua madre è nella stessa clinica in cui si trova la mia.»

«Oh mio Dio…»

«Già… sono le stesse parole che ho usato io.»

«Come può quel lurido verme di Herr Hagner fare una cosa del genere quando sua moglie è…»

«Non lo so e non mi interessa. La cosa che mi preme di più è di proteggere mia madre, non voglio che i media la trovino, né che la tartassino. Lei ha bisogno di tranquillità, e là l’ha trovata.»

«Se non fosse che nella stessa clinica vive Frau Hagner.»

«Suo marito non va mai a trovarla, stando a quello che mi ha detto Chris. Non sopporta di vederla così.»

«Che le è successo?»

«Non mi ha raccontato la storia precisa, ma da quel poco che mi ha detto pare che soffrisse già di depressione… non riesco a odiarlo in questo momento. Aveva 14 anni quando l’hanno portata là. È dovuto crescere da solo, Herr Hagner non mi sembra un padre amorevole e affettuoso.»

«Non lasciarti impietosire, chi ti dice che non si siano messi d’accordo?»

«Non me lo dice nessuno, per questo penso che andrò a trovare mia madre, nel fine settimana.»

«Sei sicura?» Heidi si pentì subito di averle posto quella domanda, ma le era nata spontanea: da quanto ne sapeva lei, era dal suo trasferimento a Monaco che non andava a farle visita. O forse era andata là quando l’avevano spostata in quella clinica privata? La giovane parlava mal volentieri della donna che l’aveva messa al mondo.

«Possiamo venire con te?»

Julia alzò lo sguardo verso Martha: la sua assistente la fissava seria, con uno sguardo che non ammetteva repliche. Aveva sì chiesto se potevano, ma in realtà aveva già deciso.

«In tre ci terremo compagnia durante il viaggio.» annuì Heidi. La manager abbassò lo sguardo per qualche istante, come se ci stesse riflettendo, quindi tornò a guardare le amiche con gli occhi pieni di lacrime ma il sorriso stampato sulle labbra.

 

Quando vide la clinica sbucare in mezzo agli alberi della Schwarzwald(1), Julia ebbe un tuffo al cuore: non ci veniva spesso, ma era sempre come la prima volta in cui vi si era recata, quando avevano trasferito sua madre. La SWK(2) era la migliore nel settore, non poteva chiedere di meglio, e soprattutto era l’unica soluzione giusta: dopo la morte di sua nonna, Opa(3) non poteva occuparsi adeguatamente della figlia.

Parcheggiarono l’auto nel piazzale riservato ai parenti degli ospiti della struttura, e si diressero verso l’interno; Julia era silenziosa, non parlava, fasciata nel suo cappotto nero sembrava minuscola, i capelli ramati che le coprivano il volto mentre camminava a testa bassa. Li spostò da davanti al viso solo quando entrò e si diresse verso la reception.

«Buongiorno signorina, posso aiutarla?»

«Buongiorno, cercavo Frau Wagner.»

La compunta receptionist della SWK iniziò a ticchettare sulla tastiera.

«Frau Diete Wagner?»

«Proprio lei.»

«Mi mostra un documento, Fräulein…?»

«Wagner, Julia Wagner.» le diede la carta d’identità che aveva tenuto a portata di mano. Sapeva che non l’avrebbero riconosciuta. La receptionist controllò i dati con quelli che aveva nel pc e le riconsegnò il documento.

«Venga, Frau Wagner è nella sala da tè.»

«Ti aspettiamo fuori…» le sussurrò Martha; annuì e seguì la ragazza che la attendeva per farle strada.

Quando raggiunsero la sala, Julia riconobbe l’odore di disinfettante che la sua mente associava costantemente alla struttura: era un odore forte e pungente che saliva subito alle narici e le provocava anche un leggero mal di testa. Individuò la madre, in un angolo: con una tazza in mano, guardava fuori dalla finestra. Era illuminata dai timidi raggi del sole che facevano capolino dalle nubi cariche di pioggia: era bella come se la ricordava, anche se sempre più magra.

Si avvicinò e si sedette accanto a lei.

«Buongiorno.»

«Buongiorno a lei, signorina. – le rispose la madre, voltandosi verso di lei e sorridendole –Come sta oggi?»

Julia sorrise alla domanda.

«Sto bene grazie, e Lei, Diete?»

«Oh, io sono un po’ in pensiero… – la vide accarezzarsi il ventre – è da qualche giorno che non sento la mia piccolina muoversi nella pancia…»

«I medici mi hanno assicurato che sta solo dormendo.»

«Ah sì? Bene, mi fa molto piacere… – la donna abbassò lo sguardo e continuò ad accarezzarsi la pancia – Sarà bellissima, spero…»

«Lo sarà di sicuro, Diete, se prenderà da lei. Ha degli occhi stupendi, lo sa?»

«Oh, lei è troppo buona… mi perdoni, non mi ricordo il suo nome.»

«Julia… mi chiamo Julia.»

«Ah, veramente? – gli occhi della donna si illuminarono – Anche la mia piccolina si chiamerà così. Non è un bel nome?»

«Lo è… lo è…»

«Vedo che abbiamo visite oggi.»

Peter si avvicinò a Julia e le porse la mano, lei si alzò per stringergliela.

«Si chiama come la mia bambina, lo sa, Peter?»

«Quante coincidenze, non è vero, Diete?»

La donna sorrise a entrambi, poi riprese in mano la tazza da tè che aveva  momentaneamente appoggiato sul tavolino davanti a sé. Julia si allontanò con l’inserviente.

«Dovresti passare più spesso, Julia, le fa bene vederti.»

«Non sa neanche chi sono…»

«Lo so, ma percepisce il bene che le vuoi, e questo la fa stare serena.»

«Sei troppo sentimentale!» lo schernì, appoggiandogli una mano sulla spalla.

«Come va a Monaco?»

«Herr Wakabayashi ha avuto dei problemi di salute, aveva una carotide quasi completamente occlusa…»

«Sì, l’ho sentito…»

«Per questo mi ha dato una promozione, ora sono il braccio destro di suo figlio, che ha temporaneamente preso il suo posto.»

«Perché, prima non lo eri?»

«Beh, adesso è ufficiale. – gli fece l’occhiolino – Senti, Peter… io vorrei farti una domanda su un’ospite della struttura.»

«Sai che non posso…»

«Lo so, ma… mi basterebbe che tu mi facessi dei cenni con la testa… potrebbero essere anche cenni involontari…»

«Prova a dire, vediamo cosa posso fare.»

«So che c’è una donna, all’interno della struttura, si chiama Frau Hagner – il ragazzo si guardò intorno e annuì leggermente – che ha avuto più o meno gli stessi problemi di mia madre – il ragazzo scosse la testa come a dire “Sì, circa” – e volevo sapere se qualcuno la viene a trovare, ogni tanto.»

L’inserviente rimase in silenzio qualche minuto: conosceva Julia da quando sua madre era stata portata lì alla Schwarzwaldklinik, e sapeva che era una brava ragazza, ma comunque il suo lavoro e la sua etica morale gli impedivano di diffondere notizie riservate riguardanti gli ospiti della struttura.

«Vedi, – Julia incalzò – il fatto è che il marito di questa donna ha scoperto che mia madre è qui, e ha intenzione di fare un pessimo uso di questa informazione. Tu sai quanto io ci tenga alla privacy, e sai anche quanti progressi ha fatto mia mamma da quando è qui…»

Il ragazzo capitolò.

«Il marito di Jutta non viene mai a trovarla, il figlio, invece, è spesso qui: devi vedere come la coccola, la accarezza, sta ore e ore con lei. E lei… non parla neanche… sono 10 anni che non dice una parola.»

«Caspita…»

Le indicò con un cenno del capo una donna che fissava il vuoto davanti a sé, seduta su una sedia a rotelle, lunghi capelli neri che incorniciavano un viso pallido e scarno.

«Non capisco come certa gente possa sfruttare le disgrazie altrui per i propri scopi…» disse l’inserviente, scuotendo la testa.

«Non saprei neanche a cosa gli serva sapere che mia madre è ricoverata qui. Comunque io voglio solo proteggerla, qui sta bene, è serena, non voglio essere costretta a spostarla da qualche altra parte.»

«Se avrò delle notizie, ti contatterò.»

«Ti ringrazio.» lo salutò con una stretta di mano e dopo aver gettato un ultimo sguardo su sua madre, si sistemò la borsetta a tracolla e uscì dalla struttura. Fuori, Martha e Heidi la aspettavano davanti all’auto, ma non dissero nulla: si limitarono a salire in macchina, ma quando videro il leggero sorriso che incurvava le labbra della loro amica, furono sollevate e si sorrisero a vicenda.

 

«Martha.»

Genzo attirò l’attenzione dell’assistente che era seduta di fronte a lui intenta a controllare dei dati.

«Che cos’ha Julia? Da un po’ di giorni la vedo assente…»

«Ha un po’ di pensieri per la testa…» minimizzò Martha.

«Ci sono problemi?»

L’assistente non rispose e si morse il labbro: avrebbe voluto dire a Genzo ciò che era successo ma Julia non l’avrebbe presa bene. Lei ci teneva molto alla sua privacy e sua madre era un argomento tabù: già si era stupita che avesse accettato la compagnia sua e di Heidi per il viaggio.

«Ok, ho capito che non caverò un ragno dal buco.»

Si alzò e attraversò il corridoio per bussare alla porta dell’ufficio di Julia: la trovò impegnata a scrivere a computer.

«Ciao, Genzo.» gli disse stancamente.

«Julia, sono un po’ preoccupato.»

«Che succede?» chiese lei, smettendo di scrivere e concentrandosi su di lui.

«Sono preoccupato per te: da quando sei andata a cena fuori con quel tipo, sei… strana. Sembri apatica. È successo qualcosa?»

La ragazza sospirò e si passò una mano tra i capelli: non ne aveva parlato con Genzo perché avrebbe dovuto spiegargli troppe cose, e ancora non se la sentiva, soprattutto dato che il loro rapporto al momento era molto ballerino.

«È una storia lunga…»

«Ho tempo.»

«Genzo, ti prego… sono stanca morta, tra pochi giorni Herr Sanchez sarà qui e ancora non sappiamo com’è messa la trattativa tra lui e Herr Hagner. Abbiamo altre cose su cui concentrarci.»

«Ma non capisci che lo vedo che non sei in forma? Non me ne frega niente della trattativa, io sono preoccupato per te!»

Julia sussultò: lo era davvero? Dallo sguardo sembrava di sì. La guardava con gli occhi spalancati e le labbra chiuse in un linea dritta, dura. Vedeva la mascella contratta e percepiva la tensione.

«Ti prometto che mi riposerò e mi riprenderò. Sono ancora scombussolata dal viaggio in Giappone, e la promozione, e il CdA… sono grossi cambiamenti, per me.»

«Sicura che sia solo questo?»

Si fissarono negli occhi: si impose di non abbassare lo sguardo, o lui avrebbe capito che c’era anche altro. No, non poteva, non ancora.

«Sì, Genzo. È tutto qui.»

«D’accordo. – si alzò e le voltò le spalle – Quando poi vorrai raccontarmi cosa è successo a cena con Chris Hagner, sai dove trovarmi.»

Se ne uscì dalla stanza senza aggiungere altro, infastidito dal fatto che lei gli stesse palesemente nascondendo qualcosa: e se quell’Hagner le avesse offerto un posto di lavoro? E se ci avesse provato con lei? Quale delle due opzioni lo infastidiva di più? Entrambe, probabilmente, perché in entrambi i casi avrebbe perso lei.

 

 

 

1è la Foresta Nera, che si trova nel Baden-Württenberg, la regione limitrofa alla Baviera.

 

2 SWK sta per Schwarzwald-Klinik, la clinica nella Foresta Nera – lo so, lo so... era una di quelle cose che avevo messo giusto per andare avanti, convinta che avrei trovato un nome più serio in un secondo momento, ma… mi ci sono affezionata. Lo sapete che sono tremendamente sentimentale.

 

3è il vezzeggiativo per Großvater, cioè nonno. Usato sia dai bimbi che in generale, indica affetto. 




Sono stata molto fiduciosa nel pensare di riuscire a postare di mercoledì: ieri sono uscita di casa alle 10 del mattino, e sono rientrata quasi all'una di notte, manco fossi stata trattenuta dal Ballrog. Ma vabbè, ormai siamo qui, e finalmente abbiamo incontrato la madre di Julia. Beh, incontrato è una parola grossa: abbiamo visto dove si trova, e iniziamo a capire come mai la ragazza ci tenga tanto alla sua privacy. 

In tutto questo, sta tenendo Genzo fuori da tutto, giustificandosi che spiegare la situazione sarebbe complicato. Ma il ragazzo ne soffre, e ha paura che la giovane si allontani da lui, e inizia a manifestare gelosie per Chris Hagner... che succederà? 

A mercoledì prossimo, un abbraccio grande, vado a riprendermi da questi tre giorni intensi! 

Sakura 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


ET - Capitolo 1

«Te lo giuro, vederti così è una pena.»

Karl era stato categorico, mentre terminava il suo terzo mojito. Quella sera a Julia non andava di ballare, così si erano messi in un angolo a chiacchierare.

«Sono solo molto stanca.»

«Sì, sì, me l’ha detto anche Genzo, che gli hai detto che sei stanca…»

Alzò lo sguardo e lo puntò negli occhi glaciali del Kaiser.

«Tu e lui parlate di me?»

«Ovviamente, siamo amici, e lui si sfoga con me.»

Julia sentì automaticamente le guance avvampare.

«Quindi sai anche che…?»

«Certo!» e stavolta il ragazzo rispose con un sorriso beffardo.

«E non mi hai detto niente!» esclamò la ragazza, mettendosi dritta sulla sedia.

«E che avrei dovuto dirti? “Ehi, lo sai che Genzo mi ha raccontato che ti ha baciato e tu sei scappata?”»

«No, ma avresti potuto dirmi qualcosa… che ne pensi?» aggiunse poi, giocherellando col ghiaccio del bicchiere.

Il ragazzo posò il suo bicchiere vuoto e lo fissò per qualche istante, cercando le parole giuste per dire ciò che pensava.

«Non è di certo l’uomo che consiglierei a mia sorella…» disse infine.

They say

Be afraid

You’re not like the others

futuristic lovers

«E che ti ha fatto di male?»

«Nulla! È che… cavoli, starci assieme in squadra è già tanto difficile che non saprei come possa essere avercelo in casa… come ti ci sei trovata in Giappone?»

Julia bevve un lungo sorso del suo mojito.

«Fin troppo bene…»

Different DNA

They don’t understand you

«Ahia…»

«Karl, così non mi aiuti!»

«Che c’è da aiutarti? Lui ci ha provato e tu sei scappata, più o meno come fai da anni ormai…»

«Grazie…»

Il ragazzo ordinò altri due mojito e si fermò ad osservare il cameriere mentre pestava lime e menta sullo zucchero di canna.

«Se ti fa battere il cuore dovresti buttarti.»

«Mi fa battere il cuore e girare le palle…»

Scoppiarono a ridere entrambi, tanto che il cameriere li osservò torvo quando portò loro i cocktails.

«Torniamo a casa in taxi. – lo rassicurò il capitano del Bayern. – Sì, è tipico di Genzo far perdere la pazienza: è da quando lo conosco che lo penso e, credimi, io lo conosco da molti anni!»

«Non so che fare, Karl… io stavo bene, avevo il mio equilibrio, il mio mondo, e adesso è andato tutto in frantumi. A volte ci provo, a far finta che… che non sia successo niente, che il mio stomaco non si riempia di farfalle quando ci sfioriamo, o quando lui mi guarda. Ma sono una fottuta ipocrita, perché è la prima persona dopo anni che mi fa provare certe cose. Finora sono sempre riuscita a tenere a bada i miei sentimenti, ma lui… lui ha trovato la chiave dello scrigno dentro cui li avevo chiusi, ha abbattuto i muri di cinta che avevo faticosamente sollevato e ha liberato tutto… senza ritegno…»

«E la cosa ti infastidisce?»

«Molto! Karl, porca miseria… mi conosci! Da quant’è che non esco con qualcuno?»

«Penso di essere stato l’ultimo uomo con cui sei andata a letto, dopo che ti sei liberata dello squilibrato.»

«Karl… – lo rimproverò lei con una nota di biasimo – Appunto…» aggiunse poi.

«No, appunto lo dico io, che magari è ora che ti rifai una vita. Io capisco tutto, la delusione, l’acquisizione della libertà personale, eccetera, eccetera, ma che male c’è a lasciarsi andare un po’? Non dico che Genzo sarà l’uomo della tua vita, ma se non ti butti non lo scoprirai mai!»

«Non lo voglio scoprire… voglio rimanere nel dubbio…» piagnucolò la ragazza.

«Bevi, che è meglio.» concluse il Kaiser, tracannando il suo mojito.

 

«Ma dov’è Julia?»

«Non lo so, Genzo, solitamente alla mattina è sempre puntuale.»

«Tra poco devo scappare agli allenamenti, porca miseria!» tuonò il portiere, battendo il piede per terra e facendo trasalire Judith, che da dietro alla reception guardava lui e Martha attendere la General Manager.

Le porte scorrevoli si aprirono e la persona tanto attesa fece il suo ingresso: jeans, sneakers e occhiali da sole scuri, un abbigliamento che da anni non utilizzava più per andare al lavoro. Non appena li vide lì ad attenderla, aggrottò la fronte e si avvicinò.

«Buongiorno, eh?» commentò Genzo, ironico.

«Lascia stare, ho un cerchio alla testa che non ti dico…»

«Che hai combinato?» le chiese Martha, divertita. La giovane si indirizzò verso il distributore dell’acqua e con la chiavetta prese una bottiglia di naturale.

«Ieri sera sono uscita e ho esagerato con i mojito.»

«Dovrei venirci anch’io al Sabor de Cuba, magari pure io mi sbronzo con qualche sudamericano figherrimo!»

Julia bevve un lungo sorso d’acqua, infischiandosene che fosse gelida, e scosse la testa.

«Niente sudamericani, solo tedeschi in vena di confidenze.»

«Se avete finito le chiacchiere da parrucchiera, vorrei fare il punto della situazione prima di andare agli allenamenti.» le interruppe Genzo, scocciato. Julia gli voltò le spalle e si diresse verso il proprio ufficio, seguita da una divertita Martha. Appoggiò la ventiquattrore sulla scrivania e si diresse subito verso la finestra per chiudere le lamelle della veneziana.

«Mi dà fastidio la luce…» si giustificò.

«Dunque – Genzo si sedette e andò subito al sodo, il ritardo della sua Manager l’aveva infastidito parecchio – Sanchez arriva domenica, mandiamo l’autista a prenderlo in aeroporto e lo portiamo in albergo.»

«Andrò anche io, così faccio accoglienza.» lo interruppe Martha.

«Va bene. – rispose lui, freddamente – Lunedì mattina l’autista lo porta qui, gli facciamo fare il giro della ditta, lo portiamo a pranzo da qualche parte, lo facciamo stare a suo agio insomma. Tutto chiaro? – Julia annuì stancamente – Entro la fine della settimana voglio che i termini del contratto siano definiti, e voglio anche che sia definito l’incontro successivo in Argentina… Julia, ma mi stai ascoltando?!»

«Sì, Genzo, ti sto ascoltando, ormai so a memoria tutte queste cose, le ripeti ininterrottamente da quando abbiamo prenotato il volo a Sanchez.»

«Bene allora, – il ragazzo si alzò – direi che non ci sia nulla da aggiungere. Buon fine settimana, ragazze.»

«Ecco, l’hai fatto incazzare…» la rimproverò Martha quando Genzo se ne fu andato. Per tutta risposta Julia fece spallucce, si alzò e prese in mano la ventiquattrore.

«Se ne farà una ragione.»

«Dove vai?»

«A casa, a riposarmi. Ne ho bisogno e ne ho diritto. Se mi cerchi, mi trovi sul cellulare. Per favore avvisa tu Strauss che mi prendo un giorno di ferie.»

«Ok, ma…»

«Ci sentiamo.» la liquidò mentre usciva dall’ufficio. Martha rimase lì qualche secondo poi scoppiò a ridere.

«Sono proprio fatti l’uno per l’altra.»

 

«Schneider, sembra che tu ti sia fatto una pera, per favore, puoi provare a far finta di correre, per lo meno?»

All’ennesimo richiamo del mister, Genzo si avvicinò al Kaiser.

«Si può sapere che ti prende?»

«Nottata difficile…»

Una lampadina si accese nella mente del SGGK.

«Ah, sì? Sai, anche Julia stamattina è arrivata al lavoro in ritardo e in condizioni quasi indecenti.»

Il Kaiser non rispose ma continuò a trotterellare lungo il perimetro del campo; Genzo non mollò la presa.

«C’è niente che mi devi dire?»

Silenzio.

«Allora?»

Muto.

Genzo sbuffò e si allontanò, non senza bofonchiare un “Bell’amico di merda…”.

Karl finse di non sentirlo, anche se la frase era giusta, dal punto di vista del portiere. Ma non aveva voglia di giustificarsi con lui, non dopo che aveva passato la notte insonne a sudare mojito e reidratarsi con litri di acqua. C’era mancato poco che rimettesse anche l’anima; forse, se avessero bevuto quell’ultimo mojito che invece aveva rifiutato, sarebbe successo.

Si fermò al lato del campo e si portò le mani sui reni, gettando la testa all’indietro. Suo padre lo raggiunse.

«Non stai bene?»

«Non sono in forma...»

«Vai a farti la doccia, con te ne riparliamo domani.»

Accolse la decisione come se fosse manna dal cielo, e si diresse velocemente verso gli spogliatoi. Fece una doccia semigelata per ripigliarsi un attimo, quindi si sedette di peso sulla panchina posta di fronte al suo armadietto. Sentiva la testa pulsare proprio sopra al sopracciglio sinistro, non riusciva nemmeno a pensare! Aprì l’armadietto per indossare la tuta del FC Bayern e sentì il telefono squillare.

1 nuovo messaggio – Julia

Lo aprì e lo lesse con curiosità.

Sono uno straccio, e ho persino litigato con Genzo, stamattina… Sto affogando nel gelato… letteralmente…

Il ragazzo sorrise divertito e mentre si strofinava l’asciugamano sui capelli pensò a una risposta da darle.

Il mister, nonché mio padre, mi ha cacciato dall’allenamento, direi che siamo sulla stessa barca. Genzo è di pessimo umore. Pensi di chiamarlo o vuoi farci perdere il campionato?

La risposta non si fece attendere.

Avevo una mezza idea di scrivergli… adesso che mi dici così, penso che lo farò, o tutti voi mi darete la caccia.

Il ragazzo ci pensò su qualche istante, poi sorrise divertito.

Siete fatti l’uno per l’altra…


 

 


 

 


Torno da voi rotolando per deliziarvi (?) con questo nuovo capitolo. Ho letto tutte le vostre recensioni, ma per motivi di tempo non sono ancora riuscita a rispondervi: ma vi penso tanto, e le vostre parole mi riempiono il cuore di gioia, sapevatelo! 

Intanto vi auguro un buon 2019, sperando che porti tanta gioia, fortuna, e più CT per tutti *ride*

Un abbraccio 

Sakura 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


ET - Capitolo 1

 

Ancora non capiva perché Karl avesse insistito tanto affinché lo raggiungesse al Sabor de Cuba. E ancora di più non capiva perché avesse accettato di farlo. Adesso si trovava spaesato in un posto pieno di bailarini di salsa, merengue o qualunque cosa fosse, tutti col sorriso a trentadue denti stampato in faccia, e con abiti svolazzanti e pieni di lustrini.

«Ma dove sono capitato…» mormorò, appoggiandosi alla balaustra del soppalco da cui poteva vedere la pista da ballo.

Vide subito Karl, appoggiato al bancone, che beveva un drink semitrasparente e chiacchierava con un’appariscente ragazza mulatta. Sembrava essere a suo agio, al contrario di lui che si vedeva lontano un miglio che non apparteneva a quel mondo. Si raddrizzò e cercò le scale per raggiungere il compagno di squadra, almeno avrebbe bevuto qualcosa prima di ritirarsi nella propria tana.

«Genzo! Che bella sorpresa! Mi fa piacere vederti qui! Tieni!» Schneider prese un drink dal bancone e glielo porse.

«Cos’è?» chiese con diffidenza.

«Mojito!»

«Pensavo di trovarti in pista a fare quattro salti.»

«Sto aspettando la mia damigella, ma a quanto pare si fa attendere. Se vuoi nel frattempo ti insegno due passi!»

«No, ti ringrazio, sono piuttosto legnoso nel ballare.»

«Oh, eccola.»

Karl indicò la folla, e sulle prime non la notò. Poi la folla stessa si aprì appena per lasciarla passare e lui rimase senza parole: Julia sembrava appena uscita da un concorso di danza. Indossava un vestito monospalla metà argento e metà verde, che le arrivava al ginocchio, il cui orlo era a fronzoli, alcuni più lunghi, altri più corti; ai piedi aveva scarpe da ballo argentate, in abbinato al vestito, con la punta aperta e il tacco a ronchetto.

«Karl, dove diavolo è la tua divisa?» esclamò, palesemente irata nel vedere il ragazzo con indosso la tuta del FC Bayern.

«Adesso vado a cambiarmi, tranquilla, l’esibizione è tra mezz’ora…»

Con gli occhi socchiusi e le braccia conserte, Julia passò lo sguardo dal Kaiser a Genzo. «Ciao…» gli disse poi, quasi in un sussurro.

«Con questo vestito sembri ancora più… saturniana…» le disse, prima di portarsi la cannuccia alla bocca. La ragazza alzò un sopracciglio e lo fissò divertita.

«E questo è niente. Vedrai, più tardi, come ti farò volteggiare!»

«Che intendi dire?!» il ragazzo la guardò con gli occhi spalancati.

«Non sei venuto per la dimostrazione di ballo?»

Karl intervenne.

«Certo che è venuto per la dimostrazione, adesso lo porto con me, mentre mi cambio, e gli spiego bene come funziona. Andiamo, Genzo!»

«Cos’è che sarei venuto a fare io?» lo redarguì il portiere non appena furono soli.

«Non ti avrei mai tirato fuori di casa se ti avessi detto in che cosa consisteva la serata, così ho detto una bugia a fin di bene.»

«Tu vorresti che io mi mettessi a ballare latinoamericani come una checca isterica?»

«Ti prego, Genzo, non fare così… A ballare latini si cucca un sacco!»

«Karl…»

«Senti, la situazione tra te e Julia è più tesa di una corda di violino, e io sinceramente sono un po’ stufo di starmene nel mezzo. Siete entrambi miei amici e vi voglio bene, e proprio per questo…»

«… proprio per questo decidi di farti gli affaracci nostri.»

Karl si allacciò i pantaloni della sua “uniforme”, che erano in abbinato con il vestito di Julia in quanto avevano una gamba verde e una argentata, mentre la parte in vita, che collegava i due pezzi, era anch’essa di un vivace color argento. Si tolse il sopra della tuta per indossare la maglietta verde.

«Va bene, allora se davvero non ti interessa conquistare Julia, o fare qualcosa con lei o che so io, vedi di recuperare il buon umore e la carica sportiva. Siamo a un punto cruciale del campionato e non possiamo permetterci errori di nessun tipo.»

«Mi stai parlando da amico?»

«Ti sto parlando da capitano, Wakabayashi.»

Lo fissò con lo sguardo glaciale che riservava ai suoi avversari più temibili. Genzo lo sostenne, come era abituato a fare, e annuì.

«Bene. – disse poi il Kaiser, soddisfatto – Adesso andiamo a farti imparare un po’ di bachata.»

 

Vederli volteggiare in pista era un piacere per gli occhi, e se il suo giudizio poteva essere quello di un profano, il fatto che tutto intorno il pubblico li stesse applaudendo confermava la sua opinione. La carica e la sintonia con cui si muovevano erano incredibili, catturavano l’attenzione e riuscivano a far sì che tutti tenessero gli occhi incollati su di loro. La canzone finì nell’esatto momento in cui Karl piegò Julia all’indietro in un leggero casquè. La folla li applaudì e loro due si inchinarono verso i quattro lati della pista da ballo per ringraziare il pubblico, mentre lo speaker ripeteva i loro nomi e la scuola di ballo che rappresentavano.

«Siete una potenza!» esclamò Genzo, quando i due lo raggiunsero.

«Erano secoli che non facevo un’esibizione così entusiasmante!» rispose Julia, ancora col fiatone.

«E non hai voluto eseguire il nostro cavallo di battaglia…»

«No, Karl, per quello c’è tempo.»

«Siete molto affiatati…» commentò il nipponico.

«Sono anni che balliamo insieme, anche se la testona, qui, è parecchio che fa uccel di bosco…»

Karl diede un buffetto in testa a Julia, che arrossì vistosamente e fu ben contenta di notare l’arrivo di Heidi e Daniel (anche loro con la divisa verde e argento).

«Genzo! Che piacere rivederti! Se vuoi iniziare a ballare, devi assolutamente venire all’Happy Dance

«Ciao, Heidi, anche per me è un piacere. – la salutò, stringendo poi la mano a Daniel per presentarsi – E…  no, mi dispiace, ma non credo che prenderò lezioni di latini!»

«Dici così perché non hai mai provato» Julia lo prese per mano e lo trascinò in una pista a lato, più piccola di quella dove si era esibita con Karl, in cui alcune coppie con vestiti diversi (probabilmente appartenenti ad altre scuole) si allenavano per l’esibizione.

«Guarda che non ne vale davvero la pena…» le disse il portiere quando lei gli prese entrambe le mani e le intrecciò alle sue, portandole ad altezza spalle e allontanandosi leggermente da lui per permettergli di osservare la posizione delle gambe.

«Non dire sciocchezze! Non hai nemmeno provato! Avanti, è facile, questo è il passo base della bachata, vedi? Due passi verso destra, e al secondo un colpo d’anca, poi due passi verso sinistra, e al secondo fai lo stesso colpo d’anca. Esatto, così.»

«Mi sembra di essere un tronco d’albero trascinato dalla corrente…»

«Stai andando bene, devi solo scioglierti un po’... Rilassa le spalle… il bacino deve essere più morbido… così, senti.»

Gli posò le mani sulle proprie anche e circondò il suo collo con le braccia, continuando con i 4/4 della bachata e accentuando i movimenti del bacino per far capire al ragazzo cosa intendeva. Genzo si sentiva un perfetto imbecille perché per la seconda volta era a pochi centimetri dal viso di Julia, e stava per rifare lo stesso errore commesso nell’ufficio di suo padre. Distolse lo sguardo da lei e incontrò gli occhi divertiti del Kaiser che, accanto a Heidi e Daniel, li sfottevano bellamente.

«Hai capito?»

«Aehm… sì, scusa… è che mi sento in imbarazzo…»

«Perché?»

Julia aveva alzato gli occhi su di lui e sembrava davvero non capire a cosa si riferisse il ragazzo: per lei era semplicemente una lezione di ballo. Non capiva l’effetto che aveva su di lui, in quel momento, mentre si muoveva sensuale nei quattro passi base di bachata.

«Sono legnoso, te l’ho detto…»

Allontanò le mani da lei e fece cadere le braccia lungo il corpo, fissando un punto indecifrato del pavimento. La ragazza non si scompose, gli appoggiò una mano al petto e si sollevò in punta di piedi per posargli un bacio su una guancia.

«Secondo me sei bravissimo, ma ancora non lo sai.»

Gli fece l’occhiolino e si allontanò, raggiungendo i tre osservatori: Karl le porse un mojito che lei accettò di buon grado, mentre Heidi e Daniel ripetevano i passi della loro esibizione.

 

Al terzo mojito decise che doveva darsi una calmata o il giorno successivo non avrebbe parato nemmeno il tiro di un bambino di terza elementare. Si sentiva la testa pesante e i rumori erano ovattati. Accanto a lui, Karl continuava a ridere come un disperato e a bere come se il giorno dopo non ci fosse stata la partita.

«Capitano, credo che dovremmo smettere di bere…» gli disse, allungandogli il bicchiere. Il Kaiser fece cozzare il proprio contro quello del portiere.

«Prosit, SGGK. La vita è una sola e va vissuta.»

«Anche la carriera è una sola, Karl: datti una calmata.»

«Genzo – si sporse verso di lui e lo fissò con gli occhi ridotti a due fessure – quando la nostra carriera sarà finita, cosa ci rimarrà, se non ci creiamo un mondo che vada al di fuori del calcio? Lo sai, io ero come te. Anche quando ho iniziato a prendere lezioni di ballo, lo consideravo uno spreco di tempo e lo facevo solo per fare un favore a Daniel. Ma poi  mi sono trovato in questo mondo di gente a cui piace la mia compagnia perché sono io, e non perché sono il Kaiser, il capitano del Bayern o chissà che altro. Quante persone conosci a cui piaci perché sei Genzo?»

Il portiere si voltò verso la pista dove Julia stava ballando insieme a Daniel.

«Poche…» mormorò, tenendo lo sguardo fisso sulla sua General Manager e rimanendo abbagliato dal suo sorriso.

«Genzo… quante volte l’hai vista così felice?»

«Mai…» rispose dopo qualche secondo. Distolse lo sguardo da Julia e bevve un lungo sorso di mojito.

«Vedo che hai capito a cosa mi riferisco! Alla nostra, Genzo!»




Ok, lo ammetto: anche a me fa un certo effetto immaginare Karl vestito di sbrilli e luccichii, ma è necessario ai fini della storia, quindi nonostante lui fosse restio (lo dice lui stesso XD), alla fine ha ceduto e ha scoperto pure che gli piace! 

Diciamo che in questo capitolo, dobbiamo ringraziarlo parecchio per aver preso il toro per le corna e aver deciso di far passare una serata insieme a quei due: se avessimo aspettato loro CIAONE proprio. *ride*

Così Genzo può godersi Julia in un ambiente diverso da quello lavorativo, in cui la ragazza si trova completamente a suo agio, tanto da riuscire a interagire con lui senza imbarazzo. E lui? 

Vi lascio con una piccola curiosità: Happy Dance esiste davvero, è il nome della scuola di ballo che ho frequentato anni fa, specializzata in latino americani (ma io frequentavo il corso di hip hop). 

No comment sulla mia legnosità a riguardo XD in confronto Genzo è sciolto XD 

Un abbraccio 

Sakura 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


ET - Capitolo 1

 

«Se è vero che due come voi devono dare il buon esempio, mi spiegate perché siete in queste condizioni? Per la miseria, guardatevi: sembrate due pivelli al primo giorno di allenamento in una squadra da Bundesliga! Siete bianchi come un cencio e non vi reggete in piedi! A trent’anni non siete in grado di gestirvi, vi ubriacate al sabato sera prima di un match importante! Si può sapere che vi è preso? NO! TACETE! Non voglio saperlo!»

Le grida di Franck Schneider risuonavano per tutti i corridoi dell’Allianz Arena, mentre i due chiamati in causa rimanevano impassibili davanti a lui a sorbirsi la mangiata di faccia che meritavano.

«Siete due incoscienti, dovreste essere gli esempi da seguire e invece vi comportate come dei ragazzini! Schneider, non ti è bastato saltare l’allenamento di venerdì? Sbronzarsi durante la settimana non è più sufficiente? Esistono ottimi centri di disintossicazione dall’alcol, vuoi che ti ci spedisca a calci in culo?»

«Non sono un alcolizzato, mister…»

«Taci! Imbecille! Non voglio sentire volare una mosca! Wakabayashi, sei sveglio o stai ancora pensando ai litri di rhum che ti sei scolato ieri sera?»

«Era mojito, mister, ed era anche ottimo.» rispose il portiere per nulla intimorito dalla ramanzina. Qualcuno dei compagni si lasciò scappare una risatina.

«So come siete fatti, vi conosce bene ormai, e so anche come farvi abbassare la cresta. – si voltò e fece per uscire dallo spogliatoio, ma si fermò sulla soglia e parlò girando le spalle al gruppo – Schneider, Wakabayashi, guarderete la partita dalla tribuna. Per oggi siete sospesi.»

La reazione dei compagni di squadra fu decisamente più vivace di quella dei due presi in causa: iniziarono a lamentarsi rumorosamente e le loro voci si sovrapposero l’un l’altra, mentre Karl e Genzo si limitavano a riempire il borsone e a caricarselo sulle spalle.

«Dove state andando? Vi ho detto che starete in tribuna.»

«Con tutto il rispetto, mister – il portiere prese la parola, mentre si calcava il cappellino in testa – se devo guardare i miei compagni giocare, preferisco farlo da casa.»

Superò l’allenatore e si incamminò lungo il corridoio.

«Mi associo al giapponese!» commentò Karl, e lo raggiunse velocemente.

Il mister li guardò e scosse la testa con biasimo, quindi tornò nello spogliatoio per definire i dettagli della partita.

 

Seduti al loro solito tavolino nascosto dietro a una colonna, in procinto di trangugiare la consueta birra domenicale, il capitano del Bayern e il SGGK chiacchieravano tranquillamente infischiandosene del servizio televisivo che parlava della sonora batosta inflitta alla loro squadra dal Borussia Dortmund. Il barista li osservava e si chiedeva il motivo della loro assenza dalla squadra, dato che nessuno aveva rilasciato dichiarazioni al riguardo. Non gli sembravano così malconci, né zoppicanti, Wakabayashi non aveva problemi alle mani… E allora che caspita era successo?

Portò loro le due birre rosse senza neanche andare a chiedere l’ordinazione, ormai conosceva i gusti dei due ragazzi, ma una volta posati i boccali sul tavolo, tardò un attimo ad allontanarsi.

«Tutto bene, Hans?»

«Sì, ecco io… mi chiedevo…»

«Stiamo bene. – lo interruppe Karl, capendo dove volesse arrivare il ragazzo – Non siamo infortunati. Tranquillo.»

«Abbiamo perso tre punti, oggi.»

«Ne guadagneremo altri, non ti preoccupare.» lo rassicurò Genzo, prima di sollevare il boccale per brindare con il compagno di squadra. Il barista sospirò rassegnato e tornò dietro al bancone.

I due rimasero un po’ in silenzio, immersi nei propri pensieri.

«Stavolta tuo padre non ce la farà passare liscia…» mormorò Genzo.

«Già… era davvero inferocito… l’abbiamo combinata grossa.»

«Sarei proprio curiosa di sapere cos’avete combinato di così grave da farvi cacciare!»

Da dietro alla colonna sbucò Julia, sorridente e anche piacevolmente sorpresa di vederli.

«Ehi, che ci fai qui?» Karl, che dava le spalle alla sala, le fece spazio e le offrì il ginocchio per permetterle di sedersi.

«Aspettavo Heidi, ma mi ha appena scritto che non ce la fa a uscire, quindi penso che tornerò a casa…»

«Non ti bevi una birra con noi?»

«No, devo ancora mangiare, e poi non vorrei mai disturbare i vostri discorsi da ometti.»

«Ti vedo particolarmente felice e sorridente.» constatò Karl.

«Ho ancora l’adrenalina dell’esibizione di ieri sera!» rispose lei, sorridendo felice.

Genzo osservò la scena quasi come se fosse stato uno spettatore esterno, e le parole  di Karl della sera precedente gli ripiombarono in testa. “L’hai mai vista così felice?

Come un’illuminazione, o come un fulmine a ciel sereno, ecco la risposta che tanto attendeva: Julia era felice quando c’era Karl. Erano le uniche volte in cui l’aveva vista sorridere. Si calò la visiera del berretto sugli occhi e trangugiò un sorso di birra.

«Genzo, sei musone stasera…» lo ammonì Julia, sedendosi tra loro due dopo che Karl l’aveva convinta a cenare lì.

«Sono solo un po’ stanco.» rispose, con malcelata freddezza. La osservò da sotto la visiera mentre scorreva il menù per decidere che mangiare, e sorrise quando la sentì ordinare Bratwurst e patatine fritte, il tutto accompagnato da una birra weiss media.

«Ma ce la farai poi a mangiare tutto?»

«Non sottovalutarmi, Genzo: oggi ho fatto grandi pulizie in casa e ho una fame che mangerei anche un orso come te.»

«Mi sembra che abbiamo già fatto questo discorso, non ero io l’orso.»

«Dai ammettilo, da quando siamo tornati in Germania sei peggiorato!»

«Da dove ti viene tutta questa allegria alla domenica sera, poi…» la schernì Karl.

La ragazza li osservò entrambi, poi abbassò lo sguardo e iniziò a giocherellare con un sottobicchiere in cartone.

«La verità è che… sono felice. Sto bene… è una sensazione strana perché… non credo di averla mai provata così intensamente…»

Karl allungò una mano per accarezzarle i capelli.

«Era ora…»

«Già… lo so…»

Genzo si sentiva tremendamente a disagio, come se la scena non lo riguardasse. La cosa che più lo infastidiva era… cavolo, era proprio non essere la causa della felicità della ragazza. Tracannò l’ultimo sorso di birra e appoggiò pesantemente il boccale sul tavolo, catturando l’attenzione degli altri due.

«Devo andare. I miei mi aspettano.»

«Stai scherzando?! – esclamò Karl – La domenica sera è sempre stata nostra!»

«Mi spiace, ci rifaremo settimana prossima. Buona serata.»

Lasciò 20 € sul tavolo e se ne andò, indossando la giacca mentre si dirigeva verso l’uscita. Julia si mosse lentamente e prese il suo posto, piazzandosi di fronte al Kaiser.

«Adesso me lo spieghi?» disse poi, indicando con un cenno del capo la direzione presa dal portiere.

«A questa reazione forse posso dare una spiegazione… – il ragazzo bevve un sorso di birra, guardandola con occhi maliziosi – Credo che il nostro amico sia un tantino geloso del  nostro rapporto.»

«Sciocchezze!» esclamò Julia, arrossendo e cercando di celarlo, voltò lo sguardo in un'altra direzione; ma in realtà era una spiegazione plausibile che collimava con tutte le reazioni strane che aveva avuto da quando aveva scoperto che lei e Karl si conoscevano.

«Pensi di usare quest’arma a tuo vantaggio?»

«Karl, possiamo cambiare argomento? La cosa sta iniziando a infastidirmi…»

«Come siamo permalose… abbiamo la coda di paglia o siamo in pre-mestruo?»

«Karl!»

«Non posso farci niente, mi diverto da matti a prenderti in giro! Tu e Genzo siete due soggetti perfetti…»

 

«E se lo portassimo a ballare latini? Non è aperto il Sabor de Cuba stasera?»

L’idea di Martha era tanto assurda quanto perfettamente fattibile: Herr Sanchez era arrivato da quattro giorni e non avevano ancora concluso assolutamente niente, benché la sua presenza in azienda si facesse sentire, e non poco: col suo spirito sudamericano, molto diverso dalla freddezza teutonica, arrivava al mattino e salutava tutti con strette di mano e pacche sulle spalle. Prendeva il cappuccino alle macchinette e si piazzava nell’ufficio di Martha per parlare un po’ in spagnolo.

Pranzava con Julia, a cui decantava le bellezze dell’Argentina, soprattutto riguardo al cibo, che trovava migliore rispetto a quello tedesco.

Quando Genzo era presente in azienda parlavano ore e ore di calcio, e concludere la trattativa sembrava impossibile.

L’unico momento in cui si era dedicato un pochino di più agli affari erano state le due ore che aveva trascorso con Herr Wakabayashi, chiusi in ufficio, anche se a giudicare dalle grasse risate che ogni tanto si sentivano difficilmente avevano concluso qualcosa.

«Sì, è aperto…» annuì Julia, poco convinta.

«Se non sbaglio il giovedì è la sera in cui ti trovi con gli altri, dico bene?»

La ragazza annuì, senza lasciar trasparire la sorpresa per il fatto che il portiere si ricordasse dei suoi impegni.

«Allora aggiudicato, portatelo lì. Fatelo cenare, fatelo ballare, fatelo bere, qualunque cosa, ma domattina voglio che mi implori di firmare la compravendita!»

«Tu non vieni?» gli domandò Martha, alzandosi per uscire.

«Ho un impegno, vi raggiungo più tardi.»

Martha annuì, soddisfatta della risposta, e uscì; Julia rimase lì in piedi pensando a cosa mai avrebbe potuto trattenere Genzo dal cercare di convincere Sanchez a firmare.

«Non credi che sia meglio che ci sia anche tu?» gli buttò lì, fingendo di recuperare le proprie cose dalla scrivania.

«Ho un impegno, programmato da tempo, che non posso disdire, ma vi raggiungerò, tranquilla.»

«Ah…»

«C’è qualche problema?» il ragazzo posò la penna e la fissò con sguardo neutro.

«No, figurati. – arrossì e distolse lo sguardo – Era solo un suggerimento, un’osservazione.»

«Puoi andare.» le disse, alzandosi e voltandole le spalle.

«Mi stai cacciando dal tuo ufficio?»

«Ho solo detto che puoi andare.»

Julia alzò il sopracciglio e sperò che il proprio sguardo trafiggesse la schiena del nipponico, quindi girò sui tacchi e uscì dall’ufficio non prima di aver sbattuto volontariamente la porta, aprendola. Genzo espirò l’aria che aveva trattenuto in quei secondi, mentre sperava che lei non obiettasse o non gli chiedesse spiegazioni. Voleva semplicemente che lei uscisse dal suo ufficio perché averla lì davanti gli causava sbalzi umorali peggiori di quelli di una donna incinta, e non voleva che lei cogliesse, nel suo sguardo, nulla che la facesse dubitare della freddezza con cui la stava trattando.

Non sarebbe stato facile lavorare con lei, doveva solo sperare che suo padre si riprendesse e potesse tornare operativo il prima possibile.

Sentì Martha dare appuntamento a Julia per quella sera, poi sentì il ticchettare delle scarpette con tacco basso della sua Manager passare davanti al suo ufficio: continuò a fissare il vuoto davanti a sé, sempre dando le spalle alla porta, e quando realizzò che lei se ne era andata e non si era neppure fermata da lui, ciò che provò non fu sollievo, bensì una tristezza infinita che lo avvolse come un bozzolo.




Sono un po' emozionata nel pubblicare questo capitolo perché indica che siamo a metà strada: il capitolo 20 di 40 è online. 

Se ripenso a quando ho terminato la storia e ho deciso di pubblicarla, dopo tutti questi anni in cui era stata rinchiusa, quasi mi commuovo. 

La storia è sicuramente maturata e cresciuta, una parte di essa è andata persa, un'altra è stata recuperata (appunti sparsi presi in spiaggia), altre sono state modificata secondo il mio gusto attuale. 

Certo è che non potrei essere più orgogliosa di così, di questa mia piccola creatura. 

E ringrazio tutti voi per l'accoglienza e l'affetto che mi donate, capitolo dopo capitolo, non sapete quanto sia prezioso per me. 

La RL mi sta riassorbendo di nuovo, certo, non in maniera totale come successo negli ultimi anni, ma novità all'orizzonte catturano la mia attenzione. La scrittura rimarrà sempre al mio fianco, spero di poter terminare almeno una delle storie che ho in corso ^^ 

Vi abbraccio forte, grazie di tutto 

Alla prossima settimana!

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


ET - Capitolo 1

«Questa carne salada non è speciale come quella che facciamo noi, ma devo ammettere che è molto buona!»

«Uno dei cuochi è argentino, non avevo dubbi che avrebbe apprezzato il cibo.»

«E così, señorita Wagner, lei balla Latino-americano, eh? Una bella scoperta!»

«Mi diverto anche molto, Herr Sanchez, lo devo proprio ammettere.»

«Siete una bella squadra, alla Wakabayashi Corp., sono contento di avervi conosciuto. Sarà un piacere lasciare il Grupo-SCH nelle vostre mani.»

«A questo proposito…» Martha cercò l’approccio, ma il sudamericano la fermò subito.

«Señorita Gomez, non vorrà davvero parlare di lavoro adesso, mentre ci gustiamo la cena!»

L’assistente scosse la testa disillusa e ricominciò a mangiare, mentre Julia rideva sotto i baffi: quell’uomo era un osso duro!

Dopo cena si piazzarono su un divanetto e l’uomo si fece portare una caraffa di cocktail colorato non meglio definito.

«Questo è… nostro?» mormorò Martha, deglutendo rumorosamente.

«Credo di sì: tu bevi e sorridi, per carità!» rispose Julia a denti stretti, tornando poi a sorridere verso Herr Sanchez.

«Perché non ti butti in pista a ballare?» le chiese.

«Oh no, io… sono abituata a ballare col mio cavaliere.»

«E dov’è?» incalzò l’uomo, sorridendo sornione.

Mai come in quel momento l’arrivo di Karl fu tempestivo e provvidenziale: il ragazzo, seguito da Genzo e Maria Schneider, la raggiunse al tavolo e le allungò una mano. «¿Quieres bailar?»

Julia, piacevolmente colpita e sotto lo sguardo divertito di Herr Sanchez che applaudiva, allungò la mano per prendere quella di Karl, che la afferrò subito e la fece alzare di scatto, facendo aderire i loro corpi.

«Coraggio, – le sussurrò – scateniamo le reazioni degli altri uomini del tavolo!»

«Tu sei matto…» le rispose lei, decisa comunque a stare al gioco. Karl schioccò le dita (evidentemente si era messo d’accordo in anticipo col deejay del locale) e, mentre si spostava verso la pista, le luci furono abbassate, e una musica lenta si diffuse.

«Un tango?! Karl, io non…»

«Ssh… seguimi e basta…» le disse, facendole l’occhiolino. Vista dall’esterno, la situazione era parecchio ambigua, con i loro visi a pochi centimetri l’uno dall’altra; Karl posò la mano sulla schiena di lei e la attirò ulteriormente a sé, posizionando l’altra mano in aria per far sì che lei vi posasse sopra la sua, cosa che Julia fece immediatamente. Iniziarono a scivolare sulla pista da ballo, mentre le note del violino riempivano la sala. Destra, sinistra, un giro, un volteggio, gli sguardi fissi l’uno nell’altra: tutti osservavano rapiti la scena, come se i due stessero raccontando una storia. Maria, entusiasta, si aggrappò al braccio di Genzo, che li guardava con la stessa attenzione degli altri spettatori, ma con sentimenti contrastanti dentro di sé.

La musica finì e Karl piegò Julia all’indietro in un raffinato casquè, mentre la ragazza lasciava andare completamente la testa e chiuse persino gli occhi; quando la risollevò, si guardarono felici.

«Dios mio, ragazzi! Un tango eccellente! Complimenti!»

«La ringrazio.» rispose Karl, inchinandosi leggermente.

«Erano anni davvero che non lo ballavo…» aggiunge Julia, con un leggero fiatone.

«Cavoli, siete magnifici!» mormorò Martha, con gli occhi lucidi per l’emozione; la Manager le fece l’occhiolino e le sorrise. L’unico che sembrava non esprimere nessuna opinione, non solo a voce ma anche con il corpo, era Genzo: se ne stava lì in un angolo, con Maria Schneider ancora aggrappata al braccio, e lo sguardo perso nel vuoto.

Quando Julia notò la confidenza con cui la sorellina del Kaiser trattava Genzo, le si formò un nodo in gola: era lei, il suo impegno per la serata?

«Scusate, io… esco a prendere una boccata d’aria…»

Scappò fuori dal locale senza dire altro, giusto il tempo di afferrare giacca e borsetta. Vide passare un taxi e quasi meccanicamente alzò la mano per fermarlo: salì a bordo e diede l’indirizzo di casa. Una volta nella vettura, estrasse il Blackberry per comunicare alla sua amica all’interno le sue intenzioni: non poteva certo dirle la verità, così usò la scusa più banale che le venne in mente.

«Julia sta andando a casa, teme di avere un calo di pressione…» Martha lesse il messaggio che aveva appena ricevuto.

«Così improvviso?» chiese Karl, preoccupato.

«Dice che le tremavano le gambe e ha preferito prendere un taxi che era qui fuori… non so… più tardi proverò a chiamarla.»

«Penso che sia anche l’orario giusto per rientrare, che ne dite?»

Herr Sanchez si alzò in piedi e si avviò verso l’uscita del locale, seguito da Genzo che lo affiancò per chiacchierare. Karl si avvicinò a Martha.

«Mi puzza molto…»

«Anche a me.» annuì la ragazza. Avrebbe indagato il giorno seguente, questa volta Julia non le sarebbe sfuggita come suo solito.

 

«Sei sicura di star bene? Sei pallida come un cadavere…»

«Non ho dormito granché, e mi gira la testa…»

«Ti sei provata la pressione dopo ieri sera?» Martha la fissò con sguardo preoccupato.

«È solo stanchezza, stai tranquilla…» la rassicurò Julia.

Herr Sanchez le raggiunse in quel momento e le salutò con la sua solita cordialità.

«Genzo verrà oggi?»

«Sarà qui nel primo pomeriggio, Herr Sanchez…» rispose la Manager, porgendogli un espresso che aveva appena estratto dalla macchinetta del caffè.

«Muy bien, credo che noi quattro avremo di che parlare, non appena lui sarà qui.»

«Che voglia finalmente firmare?» sussurrò Martha a Julia non appena l’uomo si fu allontanato.

«Non lo so, ma chiama Genzo: vorrà avvertire suo padre.»

«Vuoi chiamarlo tu?»

«No, non importa. Mi trovi nel mio ufficio.»

A pranzo Martha notò che la Manager aveva mangiato pochissimo e che era particolarmente fiacca.

«Non appena tutta questa storia sarà conclusa, una settimana di ferie non me la leva nessuno!»

«Andiamo insieme? Ti va?»

«Perché no, – rispose Julia, spostando svogliatamente i broccoli da un punto all’altro del piatto – potrebbe essere un’idea carina…»

«Julia… che c’è? E non mi dire che stai poco bene perché non ci credo che sia solo quello…»

La ragazza sospirò, smettendo di torturare la verdura nel piatto: lasciò andare la forchetta e si passò entrambe le mani nei capelli.

«Sento molto il distacco da Genzo. Lo vedo distante, menefreghista… e ci sto male. Karl dice che è geloso del rapporto che ho con lui, io penso semplicemente che… non ci sia interesse.»

«E quel bacio?»

«Ha sondato il terreno, per vedere se c’era qualche possibilità. Ha voluto valutare il livello del mio coinvolgimento, forse anche per gestire il lavoro, non so… sta di fatto che il rapporto adesso è molto professionale e poco umano.»

«Già lui di umano ha ben poco, qui in azienda intendo. Eppure, con te è sempre stato diverso, è sempre stato… come dire…»

«Infatti credevo di avere un rapporto privilegiato, ma mi sbagliavo. Forse è per il fatto che suo padre mi vede di buon occhio che ha deciso di trattarmi in maniera diversa, ma adesso che suo padre non c’è…»

«Questa situazione è assurda, comunque… Prima ci prova con te e poi…»

«Credo che ci sia qualcosa con la sorella di Karl…»

Martha sgranò gli occhi.

«Ne sei sicura?»

«Non hai visto ieri sera come gli stava appiccicata?»

«Hai capito la Kaiserin…»

 

Genzo sbatté ripetutamente le palpebre, non era sicuro di aver compreso appieno ciò che Herr Sanchez aveva appena comunicato a lui e a suo padre; dal canto suo, Herr Wakabayashi non mosse un muscolo, per evitare di lasciare trasparire emozioni.

«Siete d’accordo?»

Il sudamericano incalzò i Wakabayashi per ottenere una risposta, poi si voltò verso Julia e Martha che cercavano di nascondere la sorpresa e la gioia per quanto appena comunicato.

«Direi… che siamo assolutamente d’accordo. – disse infine Genzo, annuendo – La bozza del contratto sarà pronta a breve, il tempo di avvisare il nostro avvocato e potrà firmarla.»

«Perché solo una bozza, Genzo? Non vuole concludere la trattativa?»

Questo spiazzò ulteriormente il portiere, che si voltò leggermente verso il padre: a cosa era dovuta tutta quella fretta? Perché aveva tergiversato per una settimana, e adesso voleva firmare a tutti i costi il contratto definitivo?

«Herr Sanchez, pensavamo di firmare il contratto definitivo a Buenos Aires, i miei ragazzi possono raggiungerla e…»

«Non c’è assolutamente bisogno che “i suoi ragazzi” salgano su un aereo e si sorbiscano tutte quelle ore di volo per una firma. Sono favorevole a vendervi la mia azienda, ho avuto modo di curiosare in giro per la Wakabayashi Corp. in questi giorni, ed è quanto di più simile alla mia idea di perfezione aziendale ci sia in circolazione. Le due ragazze sono brave e competenti, suo figlio è un ottimo uomo d’affari e avrà una grande carriera, qui dentro, una volta conclusasi quella calcistica.»

«Herr Sanchez, – intervenne Martha: era l’ora di tirare in ballo la Weisemann AG – per quanto riguarda le altre trattative che ha in corso…»

«Non ci sono altre trattative in corso, sono decadute tutte. Su questo avete la mia parola.»

Julia annuì: si fidava della sua parola, era un uomo d’affari serio, nulla nel suo passato lasciava trasparire motivi per diffidare. Alzò lo sguardo verso i suoi diretti superiori, che parvero soppesare la situazione. Genzo mormorò qualcosa in giapponese al padre, che annuì a più riprese, per poi alzarsi dalla sedia con un sorriso ampio e luminoso.

«Grazie per la fiducia, Herr Sanchez. Grazie davvero. Ci recheremo dal nostro avvocato per firmare il contratto di compravendita che redigerà nel frattempo. Apporremo le nostre firme e gliene daremo una copia autenticata.»

«Muy bien allora. Andiamo!»

Herr Wakabayashi si alzò dalla sedia e fece cenno a Herr Sanchez di seguirlo.

«Martha, per cortesia, vieni con noi. Ci sarai utile. Ragazzi – si rivolse a Julia e Genzo, ancora attoniti sulle rispettive sedie – ottimo lavoro!»

Il volto dell’assistente si illuminò con un profondo sorriso e seguì immediatamente il titolare, quasi timorosa che questi potesse cambiare idea da un momento all’altro. Rimasti soli, i due si guardarono per qualche secondo.

«Non mi sembra vero…» mormorò Julia, incredula.

«Eppure…»

La Manager si alzò e iniziò a muoversi in maniera sconclusionata per la stanza, tenendosi indietro i capelli con entrambe le mani.

«Voglio dire, insomma, fino a ieri quest’uomo non lasciava trasparire nulla e adesso se ne esce che vuole firmare… che ci cede il gruppo... ce l’abbiamo fatta... – si bloccò e osservò Genzo, che si era alzato in piedi a sua volta – Noi ce l’abbiamo fatta! Genzo! La nostra prima compravendita!»

Non aspettò nessuna risposta, bensì si diresse verso di lui e lo abbracciò, entusiasta e felice. Aveva quasi le lacrime agli occhi per la contentezza mentre continuava a ripetere che quello era il primo affare ufficiale a cui avevano preso parte.

«Sei stata brava, Julia, molto brava.» le disse lui, cercando di rispondere a quell’abbraccio spontaneo in maniera professionale, senza lasciarsi troppo andare.

Lei si scostò appena.

«Lo siamo stati entrambi. Tu hai dimostrato il tuo valore, devi essere fiero di te stesso.» gli disse, puntandogli l’indice contro il petto.

«Lo sono.» anche se quelle parole nascondevano una specie di sofferenza, probabilmente per il fatto di dover essere subentrato a suo padre in una così triste circostanza.

Fu allora che lei lo spiazzò: a ripensarci, in seguito, nemmeno lei seppe spiegarsi i motivi del suo gesto. Eppure, in quel momento, le venne naturale posare le proprie mani sulle guance rasate di fresco del portiere per attirarlo delicatamente a sé e depositargli un bacio a fior di labbra. Genzo spalancò gli occhi per la sorpresa, incredulo, e maledì Judith che in quel momento lo chiamò al telefono.

«Ho Herr Bauer sulla linea 3, vuole parlare con Lei.»

Genzo aggrottò un sopracciglio: che voleva da lui uno dei dirigenti del Bayern? Nonostante la titubanza, se lo fece passare e Julia ne approfittò per dileguarsi, con il cuore che ancora batteva all’impazzata per quel bacio voluto nientemeno che da lei stessa.

 

Una birra ghiacciata era quello che ci voleva: quel buontempone di Herr Sanchez gli aveva fatto sudare sette camicie, prima di acconsentire a vendere il suo gruppo, e per un attimo aveva temuto di non riuscire nell’impresa. Certo, non sarebbe stato grave, si sa che nel mondo degli affari può succedere di non accordarsi, ma sentiva particolarmente la pressione per quella particolare acquisizione.

Non che suo padre avesse detto o fatto qualcosa per farlo sentire a disagio, anzi: lo aveva supportato in tutto, e lui aveva sentito quell’affetto paterno che gli era mancato sui campi da calcio.

Se solo avesse messo lo stesso entusiasmo alle mie partite…

Scosse la testa ed estrasse la birra dal congelatore: ci era rimasta abbastanza, non voleva farla esplodere, Hilde era stata chiara, non avrebbe più pulito certi danni.

Uscì dalla cucina e attraversò il breve corridoio che lo separava dal salotto, quindi si lasciò andare di peso sulla poltrona e accese il televisore per fare zapping tra i canali sportivi, ma si accorse ben presto che non riusciva a concentrarsi su nessuna trasmissione.

Il motivo?

Sentiva ancora le labbra bruciare per quel bacio a stampo che Julia aveva voluto regalargli quel pomeriggio. Se non fosse stato per la telefonata di Herr Bauer, era sicuro che l’avrebbe fermata per un polso, l’avrebbe fatta voltare e l’avrebbe baciata ardentemente e appassionatamente che neanche nei migliori film tratti dai libri Rosamunde Pilcher(1).

Cosa doveva fare, chiamarla? Parlarle?

Scosse la testa: si stava facendo dei viaggi mentali da adolescente. Voltò lo sguardo sul tavolino accanto a lui, il Blackberry faceva bella mostra di sé lì in cima.

Chiamare o non chiamare, questo è il problema!

«Ah, al diavolo!» afferrò il device e scorse la rubrica fino a raggiungere il nominativo che cercava.

 

«Ho portato una vaschetta intera di gelato al cioccolato, tutta per te.»

«Grazie di essere venuta, Martha… ne avevo bisogno.»

«Scherzi? – la giovane la abbracciò, non prima di aver grattato la testa a Romeo, che era accorso sentendola entrare – Lo sai che sono sempre pronta ad accogliere le tue paturnie mentali.»

«Non so cosa mi sia preso… sarà stata l’euforia per l’acquisizione, o…»

«O più semplicemente stai accettando i tuoi sentimenti.»

«Martha, lui è il figlio del nostro capo. Te lo devo ricordare?»

«Julia, lui è preso da te. Te lo devo scrivere?»

«Dammi quel gelato!» e, dopo aver afferrato la vaschetta, si diresse in cucina per prendere due cucchiai, mentre l’amica si sistemava comodamente sul divano.

 

 

1Rosamunde Pilcher: autrice britannica, dai cui testi la ZDF ha tratto parecchi tv movie. Quelli che Canale 5 ci propina per tutta l’estate, per intenderci. 




Siamo a una sorta di svolta, da questo capitolo. Dopo il ballo delle incompresioni, la stessa Julia si convince a fare un passo avanti verso Genzo, causando un bel po' di pensieri nella mente del giovane. Chi vrà mai chiamato il giovane?

Ovviamente anche Julia ha molti nodi da sciogliere, ed ecco che arrivano i rinforzi sotto forma di amica e gelato al cioccolato. 

Ma non rilassatevi troppo: nubi scure si affacciano all'orizzonte. Perché a noi le cose semplici non piacciono *ridacchia*

Un abbraccio 

Sakura 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


ET - Capitolo 1

«A cosa devo questa fretta? È successo qualcosa?»

«No. Sì. Boh.»

Karl si bloccò, mentre il portiere, dietro di lui, chiuse la porta dell’appartamento.

«Come hai detto?»

«Sono un po’ confuso, Karl. Altrimenti non ti avrei chiamato: non è che abbia sempre voglia di vedere la tua brutta faccia, eh.»

«Chi sei, tu! – esclamò il capitano del Bayern, togliendosi la sciarpa e appoggiandola sull’attaccapanni, insieme al giaccone – Che ne hai fatto del mio miglior portiere? Ridammelo!»

Genzo non rispose, si limitò a porgergli una birra che aveva raffreddato nel solito congelatore.

«Non capisco perché non le tieni direttamente in frigo, così le hai sempre pronte.»

«”Und ein Vergnügen erwarten, ist auch ein Vergnügen”(1)

«Wakabayashi, mi spaventi: sembri un adolescente in preda a una crisi mistica. Che ti succede?»

«Julia mi ha baciato.»

«Con la lingua?»

«Karl! – ringhiò il portiere – Possiamo evitare di usare certi… termini?»

«Grande, grosso e ancora pudico. E dire che sei in Germania da un po’.»

«Non è quello. – sbuffò – Semplicemente non mi piace che tu sia così diretto. – fece una pausa per bere un sorso dalla bottiglia – E comunque… no. A stampo.»

«Alla giapponese.» lo canzonò.

«Allora vuoi che ti cacci di casa.»

«Non hai delle noccioline? Dei pop corn? Qualcosa da smangiucchiare, insomma. Perché credo che sarà una cosa lunga, a giudicare dalla tua faccia.»

Il portiere non fiatò, si diresse in cucina sbuffando e si mise a preparare dei pop corn al microonde.

«Dunque… dicevi? – Schneider, appoggiato con la spalla sinistra allo stipite della porta della cucina, lo osservava con aria divertita – Bacio a stampo, quindi. E ovviamente nessuno dei due ha detto nulla, subito dopo.»

«La telefonata di Herr Bauer ci ha interrotti.»

«Quella per concordare gli orari degli allenamenti?»

Il portiere annuì.

«Arriverei solo un po’ più tardi al mattino, giusto il tempo di passare in ufficio e dare qualche direttiva, e qualche pomeriggio libero per gestire gli appuntamenti più importanti.»

L’attaccante annuì, suo padre gli aveva accennato a quell’eventualità.

«Mi hai chiamato per tirarti fuori le parole di bocca, per bere birra in silenzio, o hai bisogno di un amico?»

«Ho bisogno che mi lasci un attimo rimuginare. Cos’è tutta questa parlantina, Schneider, ti sei fatto una riga di coca?»

La risata cristallina che ne conseguì fece indispettire ancora di più il portiere, che si limitò ad alzare gli occhi al cielo e maledirsi per aver chiamato quello che doveva essere “il suo migliore amico”.

 

«Quindi, nello specifico, quale particolare sensazione hai percepito, quando le tue labbra si sono posate sulle sue?»

Julia si bloccò col cucchiaio pieno di gelato a mezz’aria, proprio davanti alla sua bocca, e alzò il sopracciglio, spostando lo sguardo dal dolce all’amica.

«Prego?»

«Ma sì, cos’hai provato?»

La Manager deglutì la cucchiaiata di gelato, quindi alzò lo sguardo al soffitto con fare pensieroso, e si picchiettò la posata contro le labbra.

«Nulla.»

Martha si lasciò teatralmente andare sul divano, rischiando di far cadere la vaschetta per terra.

«Sei incredibile.»

«La mia era solo una scusa per avere questo!» e affondò nuovamente il cucchiaio.

«Comunque non ci credo che tu non abbia provato nulla. Insomma… per aver avuto le palle per prenderlo e baciarlo…»

«Era un bacio a stampo.»

«Un bacio è un bacio. Non stiamo qui a disquisire di sciocchezze.»

«Se lo dici tu…»

«E se ne approfittassimo per festeggiare l’acquisizione, così avete modo di vedervi fuori dal lavoro?»

«A che pensavi?»

«A una cena. Magari qui da te.»

«Ah, dovrei pure cucinare?»

«Come se ti dispiacesse…»

 

«Sei innamorato?»

«Mi piace. È una bella persona. Mi ha sempre intrigato. Non so se sono innamorato, ma sicuramente mi piacerebbe conoscerla meglio.»

«E se tu la portassi fuori a cena?»

«Con che scusa la invito?»

«”Ehi, ti va di festeggiare la compravendita-o-come-diavolo-la-chiamate-voi insieme a me? Conosco giusto un ristorante iper-mega-stellato dove potete andare.”»

«Non posso fare una cosa così a Martha, parte del merito è anche suo.»

«Ma chi, la morettina?»

«Lei.»

«Come sei difficile, Genzo: ai miei tempi, quando si era interessati a una persona, la si chiamava e basta.»

«”Ai tuoi tempi”, Karl? Quanti cazzi di anni hai, ottantaquattro?»

«Hai capito cosa intendo, stupido testone.»

Il portiere gli porse un’altra birra, e ne stappò una per sé.

«Il fatto è che lavoriamo nello stesso posto, non è una cosa facile da gestire. Se mi dovesse mai dare un due di picche, l’imbarazzo in ufficio sarebbe a livelli storici.»

«Ma perché dovrebbe mai darti un due di picche?»

 

«Perché… perché in fondo io non so cosa prova lui. Neanche cosa pensa. Lo sai che è imperscrutabile.»

«Sì, ma non credo che sia proiettato verso il due di picche, Julia. Secondo me ha un reale interesse nei tuoi confronti.»

«Sarà…» mormorò, terminando anche l’ultimo pezzetto di gelato rimasto.

 

«Sarà… intanto abbiamo finito le birre.»

«Sei un disastro, Wakabayashi.»

«Non sono mai stato così preso da una donna, lo sai.»

«Ma io parlavo delle birre…»

 

Martha aveva quindi obbligato Julia a mettere a disposizione casa per quella cena di festeggiamenti. Avevano pensato a un buon menù da presentare, gli invitati erano semplicemente Karl-Heinz e Genzo, Heidi purtroppo si trovava a Berlino per una sfilata di moda. Ne avevano approfittato dato che il Bayern avrebbe giocato nuovamente in casa, così si misero d’accordo per essere da Julia verso le 20.

Genzo cercò il campanello e suonò all’interno “Wagner J.”; osservò i fiori che aveva in mano, non sapeva perché si era fermato a prenderli, forse gli scocciava presentarsi a mani vuote. Sentì il portone che si apriva e salì velocemente le scale per raggiungere il secondo piano: la blindata d’ingresso era socchiusa, così bussò ed entrò.

«Buonasera.»

«Ciao, Genzo, accomodati!»

«Sono in ritardo?»

«No, sei puntualissimo… e questi?»

«Sono per la padrona di casa…»

Julia osservò il mazzo di anemoni variopinti che le porgeva.

«Sono davvero splendide, grazie… non dovevi disturbarti.»

«Nessun disturbo, davvero.»

«Mettiti comodo!»

Si sentiva imbarazzato come non mai, così iniziò a guardarsi intorno: l’occhio cadde su una mensola che conteneva dei riquadri con delle foto, ne prese una che ritraeva una bambina di tre/quattro anni davanti a un ponte di legno.

«Quella sono io – disse lei, avvicinandosi a lui e posizionandosi alla sua sinistra – la foto me l’ha scattata mio nonno a Lucerna. Quello è il Kapellbrücke(2), il ponte più famoso della città.»

«Eri biondissima!»

«Sì, avevo i capelli molto chiari.»

La cosa che colpì di più Genzo furono gli occhi: nella foto, Julia aveva occhietti vispi e furbetti, mentre dal vivo… erano come velati, sembrava che la spensieratezza dell’infanzia fosse volata via, o peggio ancora fosse nascosta e rinchiusa da qualche parte. Si voltò a guardarla e si trovarono vicini, i volti a pochi centimetri: Julia poteva sentire il respiro di Genzo soffiarle sulla punta del naso. Si guardarono negli occhi, arrossendo entrambi, finché la magia fu spezzata dal suono del campanello.

«Meglio che vada ad aprire…» gli disse, ritraendosi.

«Già… – mormorò lui, riposizionando la foto sulla mensola – Già…»

Martha li raggiunse.

«Scusa il ritardo, ci ho messo più del previsto ad arrivare ma ero a piedi, la macchina l’ha presa mio fratello…»

«Potevi dirmelo, avrei chiesto a Karl di passare a prenderti.»

«Non importa, più che altro spero che il tempo regga, minaccia pioggia…»

Il portiere si avvicinò a lei per aiutarla a togliersi il cappotto.

«Dammi qua. Julia, dove li porto?»

«Ti spiace portarli in camera? Attento che c’è Romeo che dorme, non vorrei che ti riconoscesse e ti azzannasse.»

«Spiritosa…»

Quando il portiere fu fuori dalla portata del sussurro di Martha, quest’ultima si avvicinò a Julia che stava controllando la cottura di qualcosa in una padella.

«Romeo riconosce Genzo?»

«Ha dormito qui quando Herr Wakabayashi ha avuto il malore.»

«Hai fatto dormire in casa tua un uomo e non mi dici niente?»

«Ssh, non urlare! Non è successo niente, ha dormito sul divanoletto, e Romeo l’ha morso.»

«Divertente…» sogghignò la ragazza, e la sua risata fu coperta dal campanello di casa.

 

«Julia, tu sei incredibile! Mi allontano per una settimana e tu che fai? Salti al collo di Genzo come un’adolescente con gli ormoni in subbuglio! »

«Mi sono già autoflagellata da sola, non serve che tu infierisca… non capisco cosa mi sia passato per la testa…»

«Ti è passato per la testa che ti stai innamorando di lui! E non c’è niente di male!»

«Heidi, ne abbiamo già parlato…»

«Appena torno da Berlino giuro che ti meno! Julia! Per favore! Vuoi lasciarti andare? Vuoi metterti in testa che il destino ti ha messo lui sulla tua strada per il tuo bene, e non per il tuo male? Non pensi di esserti già autocensurata abbastanza?»

«È solo che…»

«È solo che un corno! Fammi finire la sfilata e poi vedi come torno a Monaco e ti concio per le feste!»

«Come sta procedendo? Hai già venduto milioni di vestiti?» ne approfittò per cambiare argomento.

«Per il momento mi sto solo facendo un mazzo tanto con le prove di giorno e cucendo di notte… ricordami un po’ perché ho scelto questa strada invece che terminare l’università?»

«Perché sei portata e hai talento, un immane talento per la moda!» le rispose, scoppiando a ridere.

«Sì, prendimi in giro… io intanto ti sto disegnando il vestito da sposa…»

«Non è divertente…»

L’ennesimo tuono risuonò all’esterno dell’edificio.

«C’è proprio un mega temporale lì…» constatò Heidi.

«Non me lo dire, ho Romeo fisso in braccio da quando i ragazzi se ne sono andati. Martha era venuta a piedi, ma Karl-Heinz l’ha riaccompagnata a casa.»

«Oh, Romeo! Quanto mi manca! Avrei proprio bisogno di coccolarmelo un po’!»

«Quanto torni te lo cedo, promesso!»

«Era il campanello?»

Qualcuno aveva appena suonato al citofono di Julia.

«Sì… che strano, chi può essere a quest’ora?»

«Non aprire agli sconosciuti!»

Il videocitofono si illuminò, mostrando il volto della persona che aspettava risposta.

«Genzo?» mormorò.

«Uh, ti lascio andare. Ci sentiamo domani, credo che avrai novità per me!»

Chiuse la conversazione e osservò il portiere attraverso lo schermo del videocitofono: il ragazzo era bagnato fradicio, e si guardava intorno, per poi tornare a fissare la telecamera. Senza neanche chiedergli niente aprì il portone, poi si affacciò alle scale per sentirlo salire: il rumore delle scarpe zuppe sugli scalini era direttamente proporzionale all’aumento dei battiti del suo cuore.

La raggiunse sul pianerottolo: era bagnato come un pulcino, grondava addirittura, e ansimava come se avesse appena corso la maratona.

«Genzo, che succede? Tutto bene?»

Il ragazzo non rispose, continuò a osservarla, lo sguardo puntato nei suoi occhi, braci ardenti che la ipnotizzavano. Si mosse, infine, e in un attimo fu davanti a lei: Julia indietreggiò appena e furono in casa. Genzo si chiuse la porta alle spalle, continuando a tenere lo sguardo negli occhi di lei, quindi alzò le mani e gliele posò sulle guance. «Perdonami, ma se non lo faccio, me ne pentirò per tutta la vita!»

La baciò: la baciò con passione e trasporto, Julia sentì il proprio corpo dapprima irrigidirsi, poi ripensò alle parole di Martha e di Heidi, a come si era sentita per il bacio-non bacio, a ciò che provava davvero per lui. Era sbagliato, non lo era… ma su una cosa era d’accordo: se non l’avesse fatto, probabilmente se ne sarebbe pentita per tutta la vita anche lei.

Kiss me

Ki-ki-kiss me

Infect me with your love

Fill me with your poison

 

Gli appoggiò le mani sul colletto della giacca e lo attirò ulteriormente a sé: schiuse leggermente le labbra per permettere a quel bacio di diventare completo, per permettere alle loro lingue di sfiorarsi, di toccarsi, di cercarsi. Genzo le passò le braccia attorno alla vita, mentre Julia gli circondò il collo, e sorrise quando sentì i capelli umidi.

Take me

Ta-ta-take me

Wanna be your victim

Ready for abduction

 

Rimasero lì a baciarsi per un tempo che sembrò interminabile, mentre fuori lampi e tuoni corredavano il tutto di un’atmosfera quasi surreale. Fu Julia ad allontanarsi per prima, per riprendere fiato: Genzo le accarezzò una guancia, ma le impedì di distaccarsi troppo da lui.

«Di tutte le reazioni che mi ero immaginato… questa è decisamente la più bella…» sussurrò, dandole un bacio sulla punta del naso.

«Di tutte le pazzie che mi sarei immaginata tu potessi fare… questa è la migliore…» ribatté lei, scompigliandogli i corti capelli fradici.

«Se prendo una bronchite il mister mi farà definitivamente fuori dalla squadra.»

«Ti prendo qualcosa per asciugarti…»

«No! – la strinse a sé – No, non preoccuparti… ora chiamo un taxi e me ne torno a casa… volevo solo… solo farti sapere questo…»

E la baciò nuovamente, fondendosi in un tutt’uno con lei.

 

 

1

L'attesa del piacere è essa stessa il piacere. (cit. Gotthold Ephraim Lessing)

 

2

Il Kapellbrücke (in tedesco "ponte della cappella") è un ponte pedonale coperto in legno, situato nella città di Lucerna, in Svizzera. Attraversa il fiume Reuss, fiume che effluisce dal lago di Quattro Cantoni, e permette di collegare le due parti della città. Oggi si ripresenta ricostruito dopo un grosso incendio che nel 1993 lo distrusse per oltre due terzi. Perché proprio questa città? Ci sono legata affettivamente ^^ soprattutto a questo ponte. Ci ho scattato una delle foto più belle della mia infanzia. 

 

 



Finalmente! Finalmente Genzo prende la situazione in mano, dopo essersi fatto perculare dal suo amico, e si decide a esternare questi sentimenti! Tesoro mio, non sei più un ragazzino, vedi di svegliarti XD e complimenti per la scelta, correre dalla tua amata sotto la pioggia è molto romantico (ma poco salutare... speriamo nei tuoi anticorpi!)

Dopo ben 22 capitoli, finalmente i nostri ragazzi si decidono a seguire il cuore e abbandonare la testa, la razionalità finora li ha solo tenuti a freno: molto meglio l'istintività, non trovate?

Ma il percorso è ancora lungo, la strada in salita, e noi siamo sempre qui ad accogliervi a braccia aperte!

Un abbraccio immenso 

Sakura 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


ET - Capitolo 1

 

«Scordatelo, non metterò mai un vestito rosa confetto!»

Genzo si voltò verso l’ingresso della Wakacorp. e vide arrivare Julia: teneva in mano il Blackberry collegato all’auricolare Bluetooth. Le fece un cenno per chiederle con chi stesse parlando e lei scosse il capo, alzando una mano per tranquillizzarlo.

«Non mi interessa se è “rosa antico” e non “rosa confetto”: non indosserò mai nulla di quel colore!»

Silenzio, all’altro capo del telefono stavano evidentemente formulando una frase che cercasse di smuoverla dalle sue convinzioni.

«Perché sembrerò una bomboniera, o ancora peggio, una bambolina. E poi non avevi detto che volevi che anche i testimoni di Daniel avessero qualcosa del colore del vestito delle damigelle?»

Mentre ascoltava la risposta, il volto di Julia si illuminò portandola a scoppiare in una grassa risata.

«Facciamo così: se riesci a convincere Karl a indossarla, io metterò il vestito rosa! Devo andare, ciao!»

«Siamo già in ansia da matrimonio?»

«Ciao, Genzo, buongiorno. – si voltò verso la macchinetta e scelse il caffè dopo aver inserito la propria chiavetta – Il problema di Heidi è che ragiona da stilista e non da amica. Ma vedrai che non convincerà mai né Karl né l’altro testimone a indossare la camicia e/o la cravatta rosa.»

Genzo scoppiò a ridere, annuendo: concordava in pieno con lei. Si incamminarono verso l’ufficio di Herr Wakabayashi, il ragazzo le aprì la porta e la fece accomodare.

«Ti senti più tranquillo ora che Herr Sanchez ha firmato?» gli chiese, appoggiando la borsa sulla sedia e rimanendo in piedi per gustarsi il caffè.

«Sì, molto. Sono felice, soddisfatto, sereno e rilassato. Tu invece?» chiese dolcemente.

Julia non fece in tempo a rispondere che il suo Blackberry squillò: una melodia di salsa riempì la stanza.

«È Karl, adesso ridiamo!»

Rispose alla chiamata, indossando l’auricolare e non fece in tempo a dire nulla perché il Kaiser la investì con un fiume di parole.

«Cos’hai detto a Heidi? Non ho nessuna intenzione di indossare una camicia rosa!»

«Sapevo che mi avresti salvato, a me vuol far indossare un vestito rosa confetto!»

Fece la linguaccia a Genzo, che sussurrò “Rosa antico”, e lo ignorò.

«Non esiste, non indosserò nulla di rosa!»

«Siamo d’accordo, Karl, niente rosa.»

«Senti, cambio un attimo discorso: sei in ufficio?»

«Sì, sono qui con Genzo.»

«Gli ricordi la questione di Marie per favore?»

«Mmmh… sì… va bene.»

«Grazie! Scappo, ciao!»

Julia si tolse l’auricolare e lo appoggiò sopra al Blackberry.

«Tutto bene? Hai cambiato espressione.»

«Mi ha chiesto di ricordarti la questione di Marie.»

«Merda! Me ne ero completamente scordato! Devo parlare con Strauss.»

«Strauss del personale?»

«Sì. I genitori di Karl mi hanno chiesto se riusciamo a tenere Marie qualche mese in stage.»

«Stage? – Julia sollevò un sopracciglio, perplessa – Che tipo di stage pensavi di farle fare? Non ha studiato Scienze Naturali?»

«No, studia BWL(1). Potrei affiancarla a te e Martha.»

Ora entrambe le sopracciglia di Julia erano sollevate, l’idea non l’allettava per niente. Non che ce l’avesse con la sorella del Kaiser, era il rapporto che intravedeva tra lei e Genzo a infastidirla. Non che potesse veramente accampare qualche diritto su di lui, ma era… sì, doveva ammetterlo: era gelosa.

La loro assistente entrò in quel momento dopo aver bussato.

«Disturbo?»

«Ciao, Martha, entra pure: stavamo parlando della nuova tirocinante.»

«Chi sarebbe?»

«Marie Schneider.» rispose Julia, continuando a fissare Genzo.

«Wow! – esclamò Martha, salvo poi correggere il tono di voce dopo aver notato lo sguardo di disapprovazione di Julia – Cioè… non nel senso di…»

«Penso che affiancarla a voi due sia un’ottima idea.»

«E quanto tempo pensi che resterà?»

«Direi che le serva uno stage di un mese o due, per l’università.»

«E io quante ferie ho?»

«Julia, per favore. – Genzo sembrò non gradire il sarcasmo della manager – Stiamo cercando di fare un favore a un amico.»

«Ok, il capo sei tu.»

Martha si stupì dell’arrendevolezza dell’amica, d’altronde condivideva le sue remore riguardo l’arrivo della sorella di Karl nel loro ambiente di lavoro. Un elemento nuovo, così vicino al “posto di comando”, poteva creare acredine, soprattutto contando che il cambio al vertice era fresco e non si sapeva ancora se fosse definitivo o meno.

Genzo sembrò non curarsene, anche se parve rimanere stupito del fatto che Julia non ribattesse come suo solito.,

«Martha, chiama Strauss, definisco i dettagli con lui.»

«Io vado nel mio ufficio.»

Il suo Blackberry squillò per l’ennesima volta: Julia riconobbe la suoneria e sbiancò. Lo prese al volo e rispose subito, indossando l’auricolare e uscendo dalla stanza.

«Julia, ciao, sono Peter, dalla clinica.»

«Ho riconosciuto il numero, tutto bene? È successo qualcosa?»

«Herr Hagner è stato qui e ha tentato un approccio con tua madre

«Cos’hai detto?!»

L’esclamazione di Julia fu talmente forte che Genzo e Martha corsero nel suo ufficio allarmati.

«Le abbiamo dovuto dare dei calmanti perché era agitata parecchio, non so cosa le abbia detto quell’uomo ma quando sono accorso da lei ripeteva il tuo nome in continuazione.»

Julia iniziò a tremare dall’ansia e dal nervoso.

«Lui che fine ha fatto?»

«Lo abbiamo allontanato dalla struttura…»

«E basta? Quell’uomo ha importunato mia madre!»

A quelle parole Martha trasalì e si portò una mano alla bocca per coprire lo sgomento, mentre Genzo la osservava con aria interrogativa, spostando lo sguardo da lei alla Manager, che fissava il vuoto.

«Non potevamo fare molto di più, è un nostro cliente e…»

«Anche io sono “un vostro cliente” Peter, e ti ricordo che Herr Wakabayashi manda annualmente un cospicuo assegno di beneficienza.»

«Ho fatto il possibile, ma sono solo un inserviente, mi spiace. Parlane con Herr Wakabayashi.»

«Lo farò senz’altro.»

Chiuse la comunicazione e strinse il cellulare così forte che la cover scricchiolò.

«Genzo… – disse dopo qualche minuto di silenzio – Ho bisogno di vedere tuo padre.»

 

Ikemoto Wakabayashi entrò in ditta come una furia, claudicando con l’ausilio della stampella. Ochiyo camminava appena dietro di lui, lo sguardo serio e teso.

L’uomo si fiondò nell’ufficio di Julia, dove trovò anche il figlio e l’assistente: la moglie li raggiunse dopo poco e si chiuse la porta alle spalle.

«Spero vivamente di aver capito male.»

«Mi dispiace, Herr Wakabayashi, è tutta colpa mia…»

«Accerteremo le colpe una volta che la storia sarà conclusa, Julia.»

«Chiedo scusa, – Martha si intromise e si alzò dalla sedia – ma credo di essere di troppo in questa conversazione.»

«No. – Herr Wakabayashi la bloccò – Siete il team direttivo, adesso. Siete voi che guidate l’azienda. Dovete essere tutti al corrente di tutto. Julia?»

L’uomo lanciò virtualmente la palla alla Manager, che si passò una mano nei capelli e cercò il modo migliore per raccontare la sua storia.

«Coraggio, cara. – Ochiyo si avvicinò a lei e le posò una mano sulla spalla per infonderle calore – Parti dall’inizio. Noi siamo qui con te.»

La giovane sospirò e iniziò il racconto.

«Mia mamma è… ricoverata in una clinica privata da qualche anno, ormai. Non è autosufficiente, non lo è mai stata, per questo io vivevo con lei e con i nonni. Qualche anno fa, Oma è venuta a mancare e… – la voce le si ruppe ricordando la vicenda. – Siccome io vivevo già a Monaco e mio nonno non riusciva a occuparsi di mia madre da solo, ho chiesto aiuto a Herr Wakabayashi.»

Il magnate intervenne.

«In quel periodo, io e Ochiyo avevamo dei progetti in mente per il futuro di questa ditta, in più nell’aria c’era l’odore del trasferimento di Genzo al Bayern, non potevamo e non volevamo perdere l’aiuto prezioso di Julia così, tramite il nostro commercialista, siamo riusciti a ottenere degli assegni familiari per la malattia della madre di Julia: in questo modo poteva permettersi di farla soggiornare in una struttura adeguata.»

Ochiyo prese la parola e, per la prima volta, Genzo si rese conto di quanto i suoi genitori l’avessero aiutata. Erano compatti e uniti attorno a lei.

«Una mia amica mi aveva appena parlato di questa struttura situata nella Foresta Nera, e ne decantava le lodi: loro vi avevano portato la suocera malata di Alzheimer e mi raccontava sempre di questo posto bellissimo. Così, un giorno, ci siamo recati là.»

«Era il posto perfetto: il personale era discreto e rispettoso, la struttura era immersa nel verde. Già quando arrivammo lì, ci accorgemmo che mia madre si guardava attorno estasiata.»

«E la storia delle donazioni?» Genzo si intromise nel racconto, ma nessuno obiettò.

«Quando Julia ha iniziato a farsi largo all’interno della Wakabayashi Corp., abbiamo iniziato a temere che qualcuno potesse usare la malattia della madre per creare faide interne, così ho iniziato a devolvere loro l’annuale assegno di beneficenza, per avere qualcosa che potesse cautelarci.»

«Mi sembrava strano che tu facessi qualcosa senza avere un ritorno.»

«Il mio ritorno, Genzo, è stato garantire alla mia assistente una sicurezza tale da permetterle di venire al lavoro sapendo la sua genitrice al sicuro. Ora che Herr Hagner ha deciso che la sua deve essere una guerra personale contro Julia, non ho intenzione di lasciarla sguarnita. Per prima cosa, ci recheremo alla clinica.»

«Herr Wakabayashi, le sue condizioni di salute…»

«Un viaggio in macchina posso reggerlo. Guiderà Genzo.»

Si alzò e gli astanti fecero lo stesso: si diresse verso Julia e le posò una mano sulla spalla destra.

«Non permetterò che quell’uomo mini ciò che abbiamo faticosamente costruito, che sia la quiete di tua madre, la tua, tantomeno la solidità della Wakacorp.»

«Non so come ringraziarLa, Herr Wakabayashi…»

«Magari un giorno, chissà… – si allontanò da lei indirizzandosi verso la porta – un nipotino…»

La Manager avvampò mentre Martha e Ochiyo scoppiavano a ridere; solo Genzo rimase impassibile, sebbene un sorriso sghembo gli si creò sulle labbra.

«Coraggio, andiamo: vorrei rientrare in serata.»

«Avviso l’allenatore e arrivo!»

«Genzo, – Julia lo chiamò e Martha uscì discretamente per lasciarli soli – non vorrei che tu avessi dei problemi con la squadra, saltando l’allenamento di oggi…»

«Cercherò di spiegare la situazione al mister.»

«Se non dovesse prenderla bene, diremo a tuo padre che ti ho chiesto io di rimanere qui… che non me la sentivo…»

Genzo la fissò per qualche istante senza dire nulla: lesse nei suoi occhi uno smarrimento che non le aveva mai visto prima. Da quando la conosceva, e ancora di più da quando lavorava a stretto contatto con lei, aveva sempre avuto a che fare con una donna carismatica che puntava alla meta. Ora gli sembrava di avere davanti una bambina spaurita e sola. Alzò una mano per accarezzarle una guancia, ma qualcosa dentro di sé lo fermò e si limitò ad appoggiarla sulla spalla. Julia chiuse gli occhi e reclinò leggermente il capo per permettere alla propria gota di sfiorare il dorso della mano del portiere, il quale a quel punto non si trattenne più e la attirò a sé per abbracciarla.

Lei non oppose resistenza: affondò il volto nel petto del nipponico e inspirò il suo profumo. Gli occhi iniziarono a pizzicarle, ma li serrò con forza; non voleva e non doveva piangere, soprattutto davanti a lui, mentre era tra le sue braccia. Si beò di quel calore per qualche minuto ancora, quindi si ritrasse appena.

«Grazie.»

«Figurati. » disse lui, stampandole un bacio sulla fronte e sciogliendo l’abbraccio.

 

 

1BWL sta per Betriebswirtschaftslehre, cioè Economia Aziendale. 



Si può dire che sia una sorta di fulmine, quello che colpisce la serenità di Julia. Ci chiedevamo cosa volesse fare Herr Hagner, ed ecco che colpisce al cuore della giovane, nel suo punto più debole, andando proprio a toccare quel punto più fragile che ha. 

Lo so cosa state pensando. E sono d'accordo con voi. Ma a tutto c'è una spiegazione (...?). Spiegazione che a volte si traduce con "sono l'autrice, lo so, ma mi è uscita così e non posso farci niente" XD

Vi abbraccio 

Sakura 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


ET - Capitolo 1

 

Seduta nel sedile posteriore dietro a Herr Wakabayashi, Julia si godeva il panorama: solitamente quando si recava alla SWK era lei che guidava, così non si soffermava molto a pensare e a riflettere. Sì, perché una parte di lei faceva fatica ad accettare quel lato della sua vita, quella madre biologica che fin da piccola non riconosceva negli affetti. Lei aveva trovato la sua famiglia nei nonni che l’avevano cresciuta ed educata, le avevano insegnato l’amore e il rispetto, e avevano fatto di lei la donna che era.

Quando Herr Wakabayashi indicò a Genzo il vialetto da percorrere, lei sussultò: non poteva nemmeno contare sul supporto di Martha, rimasta a Monaco a sistemare un paio di questioni in sospeso nei lavori di Frau Wakabayashi.

«Peter mi ha detto che hanno dovuto sedarla. Probabilmente la terranno in camera al momento.»

Si diresse verso la reception e la ragazza al desk la riconobbe subito, perché sbiancò e balbettò qualcosa di simile a un saluto.

«La stanza di Diete Wagner per cortesia.»

«Mi… favorisce un documento per… favore?»

«Non credo ce ne sia bisogno. – Herr Wakabayashi intervenne – Ci dica la stanza e si premuri di avvisare un suo superiore del fatto che Fräulein Wagner è arrivata con i signori Wakabayashi.»

La giovane si ammutolì e dopo aver comunicato il numero della stanza si attaccò al telefono.

I tre si diressero verso l’ascensore, salirono al secondo piano e percorsero tutto il corridoio fino al numero 215. Julia esitò per un attimo, quindi posò la mano sulla maniglia e, trattenendo il respiro, entrò.

Genzo la seguì a ruota e rimase senza parole: una donna minuta e pallida quasi scompariva all’interno di un letto forse troppo grande per contenerla. I lunghi capelli ramati, dello stesso colore di quelli di Julia, giacevano sparpagliati sul cuscino come tentacoli sfiniti da una lotta; aveva gli occhi chiusi e le labbra semi aperte, il volto contratto in una smorfia di dolore.

La manager si sedette sul bordo del letto e sfiorò delicatamente la mano destra della genitrice, che aprì gli occhi di scatto e la fissò.

«Salve, Diete, come sta?»

La donna non rispose, continuò a fissarla con uno sguardo indefinito; Julia non demorse.

«Mi hanno detto che non è stata bene…»

Di nuovo nessuna risposta. La ragazza sospirò.

«Vedo che non ha più acqua: gliela vado a prendere…»

Si alzò e fece per allontanarsi quando la donna, infine, parlò.

«Julia…»

Le cadde la borsetta di mano: rimase lì impietrita per qualche secondo, per poi voltarsi verso la madre con gli occhi sbarrati.

«Mia figlia Julia è… dai miei genitori… Wolfach… Vorrei solo sapere se… sta bene…»

Non rispose: lo stupore per ciò che Diete Wagner aveva appena detto l’aveva colta e la immobilizzava. Fu Herr Wakabayashi a intromettersi.

«Ce ne occupiamo noi, Frau Wagner.»

«Io… non volevo fare ciò che ho fatto… io… volevo solo… vorrei che lei… cresca bene…»

Il portiere si avvicinò di un passo e affiancò Julia, che era come in catalessi.

«Signora, vedrà che andrà tutto bene.» continuò l’uomo, avvicinandosi a loro con l’ausilio della stampella.

«Lei era in acqua, adora fare il bagnetto. – Diete Wagner iniziò a piangere – Non so perché… cosa… io…»

Julia corse fuori dalla stanza: percorse mezzo corridoio poi si bloccò, i pugni serrati, lo sguardo basso, mentre la consapevolezza del ricordo che era riaffiorato nella mente della madre prendeva vita. Herr Wakabayashi e Genzo la osservavano dalla porta della camera, incapaci di dire o fare qualunque cosa, l’uno perché era a conoscenza delle dinamiche di quel rapporto madre-figlia, l’altro perché non lo era. Fu il magnate, dandogli una gomitata, a sospingere il figlio verso la ragazza.

«Julia…» mormorò quando fu a pochi passi da lei.

«Non so se ricordo quell’episodio perché l’ho vissuto o perché nonna me lo raccontava in continuazione. Avevo poco più di tre anni, mi avevano regalato una piscina gonfiabile, la tenevano in giardino. – fece una pausa – Non so perché fossimo da sole, di solito non lo facevano mai, lei era troppo… instabile per occuparsi di me.»

Si interruppe: Genzo fece un altro passo verso di lei e si fermò a pochi centimetri dalla sua schiena.

«Quando tornarono lei era… sopra di me e… mi teneva la testa sott’acqua con entrambe le mani. – si fermò, per la prima volta dopo tanto tempo stava dando voce a quel racconto – La fortuna è stata che l’acqua era poca e loro erano stati via giusto un attimo…»

Il portiere era come congelato, brividi glaciali gli correvano lungo la spina dorsale impedendogli qualunque movimento. Non poteva credere alle sue orecchie, le parole della ragazza gli vorticavano nella mente, confondendolo. La vide rallentare il respiro, fino a quel momento accelerato, e notò che aveva allentato i pugni. Dille qualcosa… si esortò, ma tutte le parole che gli venivano in mente erano futili e banali. Lei si voltò verso di lui e nel suo sguardo Genzo vi lesse tutta la fragilità di quella ragazza cresciuta troppo in fretta, alla ricerca di un posto nel mondo adeguato a lei.

Fece un mezzo passo ancora per avvicinarsi ancora, mentre lei abbassava lo sguardo, quasi vergognandosi della propria fragilità. Le prese una mano e gliela strinse per infonderle calore e fiducia; Julia rispose alla stretta e annuì leggermente per far capire al ragazzo che aveva recepito il tacito messaggio di quel gesto.

Un uomo distinto uscì dall’ascensore in quel momento sistemandosi la cravatta.

«Fräulein Wagner! – si avvicinò con entusiasmo esagerato – Sono molto felice per la sua visita qui…»

«Ne è felice?»

Julia sollevò lo sguardo e Genzo, che le aveva lasciato la mano, vi riconobbe la stessa determinazione che l’aveva caratterizzata durante i vari meeting a cui avevano partecipato.

«Ne è felice?» ripeté, incalzandolo nella risposta. Il padre di Genzo li raggiunse.

«Herr Fuchs, converrà con me che non è il luogo più adatto per dei falsi convenevoli. Meglio andare nel suo ufficio e parlarne con calma e in privato.»

L’uomo annuì e li condusse al 4° piano.

 

«… e questo è quanto.»

Il direttore della clinica, Herr Fuchs, aveva raccontato per filo e per segno ciò che era avvenuto il giorno precedente tra Herr Hagner e Frau Wagner. Julia aveva ascoltato ogni singola parola e ora stava cercando di esprimere a voce ciò che le vorticava dentro.

Fu Herr Wakabayashi a prendere in mano la questione intavolando il discorso.

«Ciò che è accaduto è inammissibile, Herr Fuchs. Vi abbiamo affidato Frau Wagner per salvaguardare la sua incolumità.»

«Le ripeto che si tratta di uno spiacevole inconveniente che non capiterà più: ho parlato personalmente con Herr Hagner e…»

«E cosa? – intervenne Julia – Le ha garantito che non disturberà più mia madre? E quando tornerà a trovare sua moglie come farete ad assicurarvi che non si avvicini a lei, eh? Lo marcherete a vista?»

«Fräulein Wagner, non so come faccia a sapere di Frau Hagner ma…»

«La domanda non è come io faccia a sapere di Frau Hagner, di cui per inciso sono venuta a conoscenza solo di recente tramite il figlio; la domanda è come diamine facesse Herr Hagner a sapere di mia madre, dato che io non gliene ho parlato, e tantomeno l’hanno fatto i signori Wakabayashi.»

L’uomo diventò rosso per l’imbarazzo, mentre Genzo collegava mentalmente un altro tassello della storia.

«Fräulein Wagner, non vorrà insinuare che…»

«Insinuare? Insinuare, Herr Fuchs? Io le sto solo ponendo una domanda alla quale lei fatica a rispondere. Devo per caso pensare che sia stato lei a farsi sfuggire dettagli della mia vita privata con Herr Hagner? Magari mentre giocavate a golf.»

L’uomo scattò in piedi ora paonazzo, mentre Julia non si scomponeva e li lisciava l’orlo della gonna sul ginocchio della gamba accavallata.

«Io non le permetto di fare simili illazioni nel mio ufficio.»

Un lampo attraversò gli occhi di Julia, mentre un sorriso le si formava sulle labbra.

«Si dà il caso, Herr Fuchs, che il Golf Club che lei e Herr Hagner frequentate sia un luogo di ritrovo di alcune persone che conosco e che mi conoscono molto bene, e proprio queste mi hanno comunicato di avervi visto spesso insieme, lì…»

L’uomo si risedette e deglutì a fatica, ormai conscio di essere stato scoperto nella sua ingenuità. Julia, al contrario, si alzò.

«Le comunicherò al più presto la data in cui verrò a prelevare mia madre. – allungò la mano verso il Direttore della clinica – Arrivederci.»

L’affermazione della giovane lo bloccò, e temendo di non aver capito le chiese spiegazioni.

«Ha intenzione di portare sua madre in vacanza? Le servirà qualcuno che la segua e la aiuti…»

«No, Herr Fuchs, porterò mia madre in una struttura più adeguata dove possano garantirmi l’anonimato e la riservatezza che qui sono mancate.»

Non rimase lì ad ascoltare ma si diresse veloce verso l’ascensore per poter tornare da sua madre.

La trovò dormiente, rilassata, un mezzo sorriso che le piegava le labbra all’insù. La vide accarezzarsi la pancia e mormorare Julia

Era tornata nel suo mondo, nel mondo in cui era ancora in dolce attesa, in cui il suo ragazzo era accanto a lei, in cui si apprestavano a far crescere il frutto del loro amore.

Si chinò su di lei e le sfiorò la fronte con un bacio, non si lasciava mai andare a questo genere di cose, chissà perché poi. Osservò la stanza sterile e vuota e si trovò a pensare che qualche fiore in più l’avrebbe resa più gradevole. Decise mentalmente che nella nuova struttura si sarebbe assicurata che alla madre non mancassero mai dei fiori freschi, avrebbero rallegrato l’ambiente. Uscì dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle e trovò Genzo ad attenderla, appoggiato al muro del corridoio antistante, con le mani nelle tasche e la testa bassa.

«Tutto bene? – le chiese, avvicinandosi a lei quando si accorse che era uscita – Se vuoi rimanere ancora possiamo…»

«Va tutto bene, Genzo. – lo interruppe lei – Torniamo a casa.»

Herr Wakabayashi li stava aspettando nella hall della struttura, era visibilmente provato dal viaggio e dallo sforzo dovuto alla discussione col direttore della clinica. Julia gli si avvicinò e gli porse il gomito per aiutarlo a raggiungere la macchina. Nessuno disse nulla per tutto il viaggio di ritorno, non c’era bisogno di parole in casi come questi.

«Troveremo una struttura più adeguata.» fu tutto quello che disse Herr Wakabayashi prima di sparire all’interno della sua villa.



Siamo entrati di prepotenza nel passato di Julia, che irrompe come un fiume in piena nel suo presente, riportandole alla mente eventi passati. Capiamo un po' di più il malessere di sua madre, il perché sia stata messa in una clinica così specializzata, e soprattutto perché Julia non ne parli così volentieri. 

Non è di certo una situazione facile, e Genzo se ne rende conto: forse per la prima volta da quando li conosciamo, riesce a vedere la ragazza per quello che è veramente. 

Lascio a voi le elucubrazioni, io vi abbraccio forte come sempre.

Sakura 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


ET - Capitolo 1

 

La scelta della nuova clinica per la madre di Julia si rivelò più difficile del previsto: nel frattempo la ragazza veniva aggiornata costantemente sulle condizioni della madre, che erano molto instabili. Alternava momenti di lucidità al suo solito stato apatico, cosa che allarmava molto Julia, in quanto non era mai successo che si rendesse così tanto conto della realtà che la circondava.

«Se lo avessi davanti, giuro che gli spaccherei la faccia!» sbraitò Heidi, agitando il pugno davanti al viso. Martha annuiva convinta, mentre Julia si limitava a mescolare il cocktail con la cannuccia, senza dire nulla.

«Come ti senti?» le chiese poi l’amica, con tono preoccupato. La ragazza sospirò prima di parlare.

«Sono preoccupata. Preoccupata davvero. Finora mia madre ha vissuto “nel suo mondo”, non ha mai avuto molti contatti con la realtà, e quello stupido di Herr Hagner con quel suo discorso su di me l’ha traumatizzata. Non ho idea di come possa reagire.»

«Herr Wakabayashi che dice?»

«Lui e Ochiyo si stanno mobilitando per trovare una nuova struttura, nel frattempo hanno richiesto che mia madre venga controllata a vista e che nessuno si possa avvicinare a lei.»

«Sono davvero delle grandi persone.» asserì Martha, e Heidi convenne con lei.

«Più di una volta Herr Wakabayashi mi ha detto che per lui ero come la figlia femmina che non aveva mai avuto. I loro gesti nei miei confronti mi commuovono, ma… sento che ne sto approfittando, e non va bene.»

Heidi si irrigidì: conosceva bene l’amica e il dubbio su dove volesse arrivare a parare le si insinuò immediatamente.

«Qualunque cosa tu stia pensando, cancellala subito dalla tua mente. Subito.»

Julia non rispose. Continuava a fissare il suo cocktail, nel quale il ghiaccio si stava inesorabilmente sciogliendo. Alla fine si risolse a esporre il suo pensiero.

«Potrei riportare mia madre a casa, a Wolfach, e… trasferirmi lì con lei.»

«Sono quasi 350 km di distanza. – le fece notare Martha, che ancora non aveva intuito l’idea dell’amica – Come farai col lavoro?»

Quando la manager alzò lo sguardo per incontrare gli occhi verdi della dominicana, questa finalmente capì. Fu un lampo che le attraversò la mente, un fulmine a ciel sereno. Heidi, accanto a lei, scuoteva la testa in senso di diniego: non approvava decisamente ciò che Julia proponeva come soluzione.

«Non ha senso! – esclamò finalmente Martha, ancora sconvolta – Julia, non puoi abbandonare tutto. Il tuo lavoro, la tua casa… noi! E poi Herr Wakabayashi non te lo permetterà mai.»

«Herr Wakabayashi si metterà il cuore in pace e capirà. Si tratta della mia famiglia. È mia madre. Devo pensare al suo benessere.»

«Scusa la franchezza, ma non mi sembra che lei sia stata così preoccupata per te, negli anni.»

Le parole di Heidi, fredde e dure come il marmo, colpirono Julia in faccia come uno schiaffo: si voltò verso l’amica e la fissò con sguardo gelido, quasi di odio.

«Non poteva prendersi cura di me, non è che non voleva. Se avesse potuto…»

«La decisione finale è tua, – la zittì Heidi, che si poteva permettere questi discorsi grazie al legame che aveva con lei – ma ricordati che se molli tutto, arriverà un giorno in cui dovrai ricominciare da capo. E non ci sarà un altro “Herr Wakabayashi” a prenderti sotto la sua ala protettiva.»

Martha si sentiva in imbarazzo: nonostante condividesse le parole della giovane, mai si sarebbe sognata di schiaffare in faccia a Julia la nuda e cruda realtà dei fatti. Probabilmente però il metodo di Heidi era corretto, perché nonostante lo sguardo glaciale, la Manager sembrava assorbire le parole della stilista per farle sue.

«Intanto lascia che i signori Wakabayashi cerchino una nuova struttura. – Heidi si era nuovamente addolcita – E poi valuterai.»

«Sì… – ne convenne Julia – Mi sembra la cosa più sensata da fare. Attendiamo e vediamo.»

 

Era rimasta ferma davanti a quella semplice casetta per una decina di minuti. L’aveva osservata e basta, mentre una sensazione di pace la pervadeva e la faceva stare meglio, più tranquilla. Si risolse a scendere dalla sua vettura e, dopo aver recuperato il trolley dal bagagliaio, si avviò verso l’entrata. Suonò il campanello e sul suo volto si aprì un ampio sorriso.

«Hai perso le chiavi?»

«Non ero sicura fossi in casa…»

«La mia piccola Jule.»

«Ciao Opa.» si lanciò in quell’abbraccio che profumava di casa e lasciò che l’anziano le carezzasse la testa.

«Vieni, stavo appunto preparando del tè. Così mi puoi aggiornare sulle condizioni di tua madre.»

Julia annuì, mentre il peso che aveva sul cuore pian piano diventava più modesto, come se, con quell’abbraccio, suo nonno se ne fosse fatto carico.

Il salotto, la cucina… tutto era rimasto esattamente uguale. Herr Wagner spostò una sedia dal tavolo e fece cenno alla nipote di accomodarsi, quindi prese due tazze e le posò su un vassoio, poi aprì il forno e ne estrasse una teglia piena di biscotti fumanti.

«Sembra quasi che tu ti aspettassi il mio arrivo…» gongolò la giovane, rubando subito uno dei biscotti cioccolato e cannella.

«Diciamo che me lo sentivo. – riempì le tazze di acqua calda, le porse il dispenser da cui scegliere la bustina da infondere, e si accomodò accanto a lei – Dopo quello che mi hai raccontato, sapevo che avremmo dovuto fare una riunione di famiglia per discuterne.»

Julia sorrise: suo nonno aveva un grande senso dell’umorismo anche in quelle situazioni.

«Allora dobbiamo fare l’elenco dei partecipanti. Vediamo chi manca. – si portò la mano al mento per riflettere – Virgil Wagner?»

L’uomo annuì.

«Presente. – sorrise – Julia Wagner?»

«Presente! – esclamò lei, sorridendo – Possiamo iniziare. »

L’uomo sorseggiò la bevanda con calma, quindi posò la tazza sul piattino e osservò la nipote negli occhi.

«Come sta?»

La giovane sospirò.

«È instabile, Opa, molto instabile. Ha ricordato quello che è successo in piscina.»

L'anziano sospirò.

«Temevo questa eventualità. I medici l'avevano messa come remota, ma... era pur sempre un'eventualità.»

«No, la colpa è di Herr Hagner, è solo colpa sua se mamma è destabilizzata.»

«Capisco il tuo rancore, Jule, ma ricordati che se Diete è ricoverata in quella clinica, è perché aveva problemi irrisolti.»

«”Con sé stessa in primis, e con te in secondo luogo”. Lo so. Oma lo ripeteva in continuazione.»

«Lo so che l'atteggiamento di tua nonna può essere altamente discutibile, ma lei lo faceva per proteggerti. Se sei diventata la splendida donna che ho di fronte, è anche merito suo.»

«Lo so, ma... una parte di me rimarrà sempre uguale a mamma... e lo sai.»

«Ognuno si crea il proprio destino. Tu sarai come lei solo se sceglierai di esserlo. Ad ogni modo... pensi che trasferirla sia la soluzione migliore?»

«Credo di sì. Ha bisogno di stabilità e sapere che quell'uomo può frequentare la clinica mi fa rabbrividire. Non è sicuro, Opa. Potrebbe parlarle di nuovo di me, di quella figlia che lei neanche ricorda di aver partorito, non oso immaginare cosa potrebbe succedere la prossima volta, quale episodio della nostra vita potrebbe ricordare. Non voglio che succeda più, voglio che mamma sia serena.»

«D'accordo allora. La trasferiremo. Non è necessario che sia qui in zona, possiamo trovare una clinica in Baviera.»

«Appena avrò una lista di strutture, le sottoporrò alla tua attenzione.» rispose lei, sorridendo.

«Molto bene, Fräulein Wagner. Ora, se la seduta è tolta, cosa gradisce per cena?»

 

Dormire nel letto in cui aveva passato infanzia e adolescenza le diede un senso di tranquillità che durò fino al suo rientro in ufficio.

«Ehi, qualcuno ha passato un weekend rilassante, o sbaglio?»

«Wolfach mi fa sempre questo effetto.»

«Tuo nonno sta bene?»

«Sì, sta bene. Abbiamo parlato dell'eventuale trasferimento di mia madre, ed è d'accordo. Dobbiamo solo scegliere la clinica migliore per lei.»

Martha si avvicinò all’amica e le mise una mano sulla spalla.

«Lo sai che io ci sono, vero? Per qualunque cosa…»

Julia le sorrise dolcemente.

«Lo so, lo so… e ti ringrazio per questo.»

«Bene, torno nel mio ufficio a terminare la relazione sul Grupo-SCH per Herr Wakabayashi, se hai bisogno…»

La porta dell’ufficio si aprì di scatto e Genzo fece la sua comparsa.

«Oh, scusate, non sapevo avessi gente.»

«Tranquillo, stavo andando. – lo rassicurò Martha – A dopo.» disse poi rivolta all’amica, che fece un cenno affermativo con la testa.

Rimasti soli, un silenzio imbarazzante calò tra i due: in fondo era dalla sera della cena a casa di Julia che non avevano un momento per loro.

«Ciao…» disse infine Julia, alzandosi e avvicinandosi a lui.

«Ciao… – rispose il ragazzo, fissandola intensamente negli occhi – Come ti senti?»

«Meglio, sono stata da mio nonno e abbiamo parlato molto. Mi è servito.»

Genzo alzò una mano per accarezzarle la guancia, e lei non si sottrasse al contatto.

«Credi che anche noi dovremmo parlare?»

Lei annuì, mantenendo gli occhi chiusi.

«Credo di sì… – puntò le iridi su di lui – Dovremmo parlare di quello che è successo…»

Il ragazzo, senza togliere la mano dalla sua guancia, si chinò leggermente su di lei.

«Che ne dici di stasera a cena? Conosco un posto dove fanno i migliori bratwurst di tutta la Baviera.»

Lei sorrise per la proposta, tanto gradita quanto inusuale.

«Stasera non posso… Heidi mi ha invitato a casa sua per parlare del matrimonio: lo sai che le ho bocciato il colore del vestito.»

«Ah sì, il famoso “rosa antico”. – ridacchiarono entrambi – Facciamo un’altra sera, allora. Tanto non mi scappi…» si avvicinò ulteriormente al suo viso.

«Non ne ho nessuna intenzione…» sussurrò lei, con gli occhi languidi.

Il BIP dell’interfono interruppe la magia del momento.

«Fräulein Wagner, avrei Chris Hagner in linea. Dice che è urgente.»

«Non rispondergli.» la pregò lui. Lei si limitò a uno sguardo dispiaciuto, quindi gli posò un piccolo bacio sulla punta del naso e si diresse verso l’apparecchio.

«Passa pure, Judith. Pronto?»

«Sono Chris.»

«Lo so, mi hanno passato la chiamata.»

«Ho saputo di quello che è successo alla clinica. Mi dispiace, Julia, mi dispiace tanto. Vorrei solo farti sapere che mi dissocio dal comportamento di mio padre. C’è qualcosa che posso fare per te?»

«A parte far sparire tuo padre dalla mia vista? No, Chris, grazie, non c’è nulla che tu possa fare. Ormai il danno c’è, lo sai che hanno dovuto dare dei sedativi a mia madre per calmarla?»

«… mi dispiace davvero tanto…»

«Dispiace anche a me. Se è tutto…»

«Sì… buona giornata.»

Senza rispondere, Julia interruppe la comunicazione. Genzo notò il palese cambiamento d’umore e si sedette di fronte a lei.

«Risolveremo la situazione, vedrai. I miei hanno già una lista di cliniche affidabili dove potrai portare tua madre, e…»

«Per un attimo ho pensato di mollare tutto e portarla a Wolfach, da mio nonno. E ricominciare la mia vita lì con loro.»

«Ma non l’hai fatto…» mormorò Genzo, dopo un attimo di smarrimento.

«No, non l’ho fatto. E non lo farò, tranquillo. – gli sorrise – È solo che… avevo voglia di cancellare tutto e ricominciare da capo. Però una persona mi ha fatto notare che ci sono certe situazioni da cui non si può ricominciare.» e lo fissò sorridendo dolcemente. Genzo si sentì quasi orgoglioso di aver fatto inconsciamente parte di questa decisione, perché se lei era rimasta, era anche per lui, per quello che stavano creando, non solo a livello lavorativo, ma anche a livello sentimentale. Non sapeva dire di cosa si trattasse, sapeva solo che le giornate gli sembravano più luminose, se aveva lei al suo fianco.

«Devo scappare ad allenamento. – disse lui – ma al mio rientro dalla trasferta ne riparliamo, promesso. Di tutto. Di tua madre, degli Hagner… di noi.»

«Ci conto…»

Genzo fece il giro della scrivania e si chinò su di lei per darle un bacio a fior di labbra; lei socchiuse gli occhi, avrebbe voluto approfondire quel bacio, oh se avrebbe voluto. Li riaprì giusto per salutare il ragazzo, che era già sulla porta e le fece l’ultimo cenno prima di uscire.


Tiriamo un po' di fiato, dopo gli avvenimenti dei capitoli precedenti: Julia ha un momento di sbandamento che Heidi prontamente interrompe, e nonostante i suoi modi bruschi, sembra ottenere l'effetto desiderato. Senza contare che abbiamo la variabile Genzo, a quanto pare conta molto per Julia, più di quanto non voglia ammettere. 

Veniamo introdotti nel mondo di Wolfach, dove Julia si rifugia momentaneamente per ricaricare le batterie tra le braccia di suo nonno. Un nonno che tutte vorremmo avere, e che io ho avuto la fortuna di abbracciare per molti anni della mia vita. 

Vi abbraccio forte, alla prossima <3 

Sakura 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


ET - Capitolo 1

Controllò nuovamente il primo bozzetto che Heidi le aveva mostrato, senza abbassare quel suo maledetto sopracciglio, segno di scetticismo.

«Allora?!» la futura sposa era seduta accanto a lei sul divano, anzi, era letteralmente accovacciata al suo fianco, in attesa di un suo giudizio.

«Julia, ti prego, dille qualcosa: è da quando hai in mano quei bozzetti che ha smesso di respirare!» Daniel appoggiò la tisana fumante sul tavolino accanto ai numerosi fogli sparsi, e si sedette sulla poltrona poco distante da loro per gustarsi la propria bevanda, e anche la scena.

Julia fece passare qualche altro secondo, quindi rivolse all’amica un sorriso sincero.

«Sono meravigliosi, i più belli che io abbia mai visto. Hanno una linea semplice ma elegante e raffinata. Questo poi – indicò il disegno di un abito al ginocchio, con le spalline sottili incrociate sul retro e un piccolo fiore in tinta cucito a destra, appena sopra al seno – mi ha lasciato senza parole.»

«Sul serio? Non pensi sia troppo semplice? Insomma – la ragazza indicò il punto vita della modella disegnata sul foglio – non lo trovi… spoglio?»

«Puoi sempre arricchirlo con una leggera cucitura sul punto vita o sotto al seno, se non ti convince.»

«E il colore?»

«Hai portato tutto il campionario!» la schernì, prendendo in mano il libricino contenente vari tessuti e colori.

«Mi hai bocciato il rosa antico, adesso mi aiuti a scegliere qualcos’altro!» le rispose Heidi, fingendosi imbronciata.

«Possibile che tu abbia tutto di quel colore? Voglio dire: fiori, decorazioni, partecipazioni…»

«No, era solo il colore per voi…» fu la risposta, tutt’altro che convincente.

«Ne troverai un altro.» fu la conclusione di Julia, che appoggiò il campionario e prese la tisana alla malva che Daniel le aveva preparato.

«È molto delicata.» commentò dopo qualche sorso.

«Sono contento che finalmente qualcuno la apprezzi!» esclamò lui, ridendo divertito, riferendosi chiaramente ai gusti della fidanzata.

«Avete già iniziato a organizzare?»

«Siamo andati a visionare un paio di locali da poter usare col catering. Per adesso quella è l’unica cosa certa.»

«Il cibo?»

«Sono amici dei genitori di Daniel, ci hanno fatto un buon prezzo. Ma le ville hanno prezzi esorbitanti.» si lamentò Heidi, sistemando il disordine sul tavolino e tornando a sedersi accanto all’amica.

«Io ho parlato con Karl. – Julia introdusse il discorso che lei e il Kaiser avevano affrontato poco prima che lui partisse per la trasferta di Champions League – Noi vorremmo regalarvi le fedi.»

I due rimasero spiazzati: non si aspettavano una tale proposta, e non avevano minimamente preso in considerazione il fatto che i due testimoni potessero accollarsi quella spesa.

«Siete molto gentili, ma pensavamo di scegliere delle fedi un po’… ecco… come dire…»

«Costose.» Daniel andò dritto al punto.

«Sì, Karl me l’ha detto, per questo pensavamo di dividere la spesa. Siete i nostri migliori amici, no?»

La franchezza e la semplicità con cui pronunciò le ultime parole furono spiazzanti, sebbene riempirono di gioia i due futuri sposi.

«Ne riparliamo quando rientra da Roma. Abbiamo bisogno di voi.»

«Per cosa?»

«Dobbiamo scegliere il menù, – gli occhi di Heidi si illuminarono – e vorremmo veniste con noi alla degustazione.»

«Noi? – esclamò Julia con stupore – E i vostri genitori?»

«Hanno detto che il matrimonio è nostro, ed è giusto che condividiamo questi momenti con chi vogliamo. Loro conoscono bene i piatti del catering, e si fidano del nostro giudizio.»

La manager si portò la tazza al viso e lasciò che il profumo della tisana le riempisse le narici. Sorrise e annuì, felice.

«Sarà un onore.»

 

Daniel posò i manubri a terra e si avvicinò al Kaiser, che stava terminando la serie di esercizi alla pressa. Si deterse il sudore mentre l’amico bevve una sorsata del suo beverone vitaminico.

«Pensavamo a questa domenica, per la scelta del menù del matrimonio.»

Karl-Heinz annuì, salvo poi bloccarsi mentre impostava il percorso sul tapis-roulant.

«Dovrò dirlo a Genzo: la domenica sera è la nostra serata.»

«Non sapevo di queste tue tendenze omosessuali.» lo prese in giro Daniel. Il Kaiser sorrise.

«Nulla di tutto ciò: è diventata una nostra consuetudine, da quando si è trasferito in Baviera.»

«Beh, – Daniel soppesò le parole – porta anche lui. È solo una cena, in fondo.»

L’algido capitano del Bayern si voltò verso di lui mente il tappeto sotto ai suoi piedi aumentava la velocità.

«Heidi sarà d’accordo?»

«Senz’altro. – annuì – Dirò a Julia di portare la sua amica, così saremo in numero pari.»

«Martha? È carina.» aggiunse poi, dopo che la sua supposizione venne confermata con un cenno della testa.

«Non dirmi che ci hai fatto un pensierino.»

Karl fece spallucce.

«Diamine, Schneider! Vuoi forse farmi credere di aver perso il tocco? Non dirmi che aspetti ancora il miracolo…»

«Per l’ennesima volta: – sibilò tra i denti – io e Julia siamo solo amici. Non c’è nulla tra noi, e mai ci sarà. Ci vogliamo bene, c’è feeling, ma sentimentalmente parlando non è amore. E non lo sarà mai. Questione chiusa.»

«Siamo nervosetti. Mangiati un bretzel, che magari ti asciuga l’acido.»

Corsero in silenzio per tutta la durata del tragitto impostato, mentre il capitano del Bayern rifletteva sulle parole dell’amico. Perché dovevano sempre pensare che tra lui e Julia ci fosse del tenero? Erano solo amici, dannazione! Gli dava fastidio, non voleva che il futuro sentimentale della ragazza venisse pregiudicato da simili illazioni. Per quanto riguardava lui, non aveva ancora trovato la persona giusta: l’unica donna che amava alla follia era Marie, la sua sorellina, senza la quale non sarebbe arrivato dov’era, non sarebbe stato il Kaiser che tutti conoscevano.

Scosse la testa e scese dal tapis-roulant, seguito a ruota dal futuro sposo.

«Dai, Karl, non te la prendere, non volevo farti arrabbiare.»

«Siamo a un punto cruciale del campionato, sono io che non reggo più la tensione, sarà l’età.» scherzò.

«Avete giocato bene a Roma.»

«Potevamo fare di meglio. Speriamo di riuscirci al ritorno.»

«Ci sono tensioni in spogliatoio?»

«Genzo è un po’ assente e stanco: lavora come un matto, nelle pause tra i vari allenamenti. È cotto, non ce la fa più.»

Daniel annuì: ricordava che Julia gli aveva accennato qualcosa.

«E inoltre… – tentennò, ma tanto valeva sfogarsi con l’amico – La stessa cosa che pensi tu, la crede anche lui. Temo sia convinto che tra me e Julia ci sia qualcosa.»

Daniel sorrise in maniera ambigua, facendo intendere di essere a conoscenza di dettagli di cui Schneider era all’oscuro.

«Parlagliene, no? Chiariscili i dubbi.»

«Non conosci Genzo: l’argomento deve partire da lui, altrimenti si chiude a riccio e non c’è verso di cavargli niente.»

«Se lo dici tu…»

 

Martha entrò nell’ufficio di Julia e la trovò in piedi di fronte alla finestra: osservava il sole calare sulla capitale bavarese.

«Notizie di tua madre?» le chiese.

«Sta meglio… – mormorò, sorridendo – Le hanno tolto i sedativi.»

«È un bel passo avanti.»

«Già…»

Martha la osservò: sembrava dimagrita, effettivamente non la vedeva consumare un pasto decente da un po’, in mensa, ed era certa che a casa non mangiasse nemmeno.

«Nonostante questo… – la incalzò – ti vedo preoccupata.»

La Manager chiuse gli occhi per un istante, tornando con la mente all’ultima visita resa alla genitrice.

«Continua ad alternare momenti di lucidità al suo solito stato apatico. Da che ho ricordo, non ha mai saputo chi fossi, né perché girassi per casa o la andassi a trovare in clinica. Ora invece… mi guarda come se capisse…»

L’assistente non parlò: intuiva che ci fossero implicazioni ben più gravi del semplice “All’improvviso mia madre sa chi sono”.

«Avevo solo due mesi quando il suo compagno se ne andò, e lei aveva appena diciassette anni. Non le restò altro che chiedere aiuto ai suoi, ma… – silenzio, una valanga di ricordi la travolse – Oma è sempre stata molto dura con lei, e anche con me. Non è mai stata parca di particolari quando mi raccontava la storia della mia vita.»

Forse è questo che ha forgiato il tuo carattere. pensò Martha, osservando il suo profilo. Tua nonna ha voluto metterti in guardia per evitare che la storia di tua madre si ripetesse.

Evitò però di esprimere a parole ciò che pensava: era già un miracolo che Julia si stesse sfogando, meglio lasciare che il racconto partisse da lei.

«Stasera vai al cinema con Karl-Heinz?»

Martha avvampò a quella domanda, un po’ perché non se l’aspettava e un po’ perché capì che il ragazzo aveva messo Julia al corrente, mentre lei non le aveva raccontato nulla.

«Sì, lui… mi ha invitata, e mi sembrava scortese rifiutare.»

«Fai bene! – le sorrise la Manager, tornando alla scrivania per spegnere il PC – Poi mi racconterai. È un tipo un po’ particolare, bisogna saperlo prendere.»

«Non ti nego che la cosa mi innervosisce.» mormorò la giovane, prendendosi una ciocca di capelli e iniziando ad arrotolarla sull’indice.

Julia alzò un sopracciglio, il che costrinse l’amica a continuare.

«Lui è indubbiamente un bel ragazzo, bellissimo, e di successo. Che ci esce a fare con una persona “semplice” come me?»

«Non ti porre il quesito, non otterrai risposta. A volte è solo questione di alchimia.»

«Come tra te e Genzo?»

Quella frase invertì i ruoli: ora era Julia a sentirsi imbarazzata e fuori luogo.

«È diverso: stiamo dirigendo un’azienda, potremmo scambiare la stima reciproca per altro e rovinare tutto. Dobbiamo andarci cauti.»

«Perdona la franchezza, ma dubito che si tratti di semplice stima professionale.»

Fingendo indifferenza, Julia prese la borsetta dal ripiano posto dietro di lei e si incamminò verso il corridoio.

«Ah, andiamo. – la incalzò l’amica, correndole dietro – Non vorrai dirmi che hai cancellato tutto con un colpo di spugna!?»

La vide premere il pulsante di chiamata dell’ascensore, continuando a non degnarla di una risposta.

«Divertiti, stasera. – le disse finalmente, entrando nell’elevatore e sorridendole beffarda – Fammi sapere com’è “il film”.» e mimò le virgolette con le dita, mentre le porte le si chiudevano davanti. Martha gettò la testa all’indietro e chiuse gli occhi: non avrebbe mai vinto contro Julia, era una sfinge quando si trattava di proteggere la sua privacy. Sbuffando, si recò presso il proprio ufficio per raccogliere i suoi oggetti personali e fiondarsi a casa.

 

Era stato un po’ imbarazzante cenare con loro: a nulla erano valse le sue proteste sulla mancanza di appetito, avevano insistito che mangiasse tutto.

«Heidi, sono piena, non so più come dirtelo!»

«Ma devi aiutarci a scegliere la torta! – piagnucolò la ragazza – Il tuo parere è importante.»

«Siamo in sei, Heidi… – replicò lei, alzando il sopracciglio – Vuoi dirmi che, senza la mia  opinione, non decidi?»

«Esattamente.» si impuntò lei, incrociando le braccia al petto.

Julia sospirò e si decise a prendere in mano il cucchiaio per assaggiare quella che gli altri commensali avevano votato come la migliore torta tra tutte.

Il sapore della bagna al maracuja le invase la bocca, il pan di spagna era morbido e la crema al maracuja che lo farciva era deliziosa, non troppo dolce, giustamente bilanciata col resto della torta; le gocce di cioccolata al suo interno davano quella croccantezza piacevole che contrastava con la morbidezza degli altri elementi. La copertura alla panna montata, poi, era delicata, evidentemente era stata zuccherata solamente in minima parte, di conseguenza non appesantiva.

«È davvero fantastica! – esclamò Julia, entusiasta – È quella giusta!»

«Evviva! – esclamò Heidi, abbracciando l’amica – Allora è tutto deciso! Non mi sembra ancora vero!»

«Abbiamo ancora una questione in sospeso. – le interruppe il Kaiser, il volto serio – Spero tu abbia abbandonato il “rosa antico” in favore di un altro colore.»

Il volto di Heidi si illuminò mentre si alzava in piedi e prendeva Julia per mano.

«Speravo me lo chiedessi! Vieni, – disse all’amica – devi provare l’abito.»

«Hai già confezionato l’abito della testimone?» domandò Martha, entusiasta.

«È solo imbastito, non è quello finale. Voglio che lei lo provi anche per vedere come le sta. Anche se, amica mia, – la squadrò con occhio critico – abbiamo perso un po’ di curve, mi sa.»

«È stato un periodo stressante.» si limitò a giustificarsi, cercando di togliersi dall’imbarazzo.

«Andiamo, dai. Martha, vieni, così mi dai una mano… e lasciamo gli uomini ai loro pettegolezzi.»

Rimasti soli, i ragazzi si guardarono divertiti.

«Certo che la tua futura moglie è un vulcano.» esordì Genzo.

«L’organizzazione del matrimonio la sta assorbendo molto, ma si diverte tanto. È una a cui piace avere tutto sotto controllo.»

«Oh, sì. – intervenne Karl – Confermo. Immagino che quel giorno ci dirà anche come dobbiamo muoverci, per avere tutto perfetto.»

Risero di gusto, poi Daniel si rivolse al portiere, tornando serio.

«Julia è molto provata.»

Genzo annuì, posando il calice di bianco che stava sorseggiando.

«Si sono susseguiti eventi che ci hanno assorbito parecchio, sul lavoro. In più la storia di sua madre… – si interruppe, non sapeva se il ragazzo ne fosse al corrente, ma vedendo che annuiva immaginò che Heidi l’avesse aggiornato – Beh, quella storia l’ha proprio distrutta. Non so come comportarmi, in realtà. Immagino che abbia bisogno fisico di qualche giorno di ferie ma, quando ne abbiamo parlato, mi ha confessato che preferiva buttarsi sul lavoro, per non pensare. Spero che tutto si risolva bene e presto.» terminò il discorso riprendendo il calice che aveva posato poco prima.

«È testarda, molto. – intervenne Karl, lo sguardo fisso sul proprio bicchiere – Sarà difficile farle capire che non può reggere questi ritmi. Il commento di Heidi sulle sue forme non è casuale.»

«È dimagrita parecchio. – ne convenne Daniel – Heidi l’aveva già notato ed è preoccupata. Sperava di riuscire a portarla un weekend via per farla rilassare. Magari a Baden-Baden.»

«Mi sembra un’ottima idea.» asserì Karl.

«Insisterò che si prenda almeno un venerdì, così potranno prolungare il loro soggiorno.»

«Potresti avere argomenti convincenti da usare.»

Genzo notò il lampo di malizia negli occhi del futuro sposo.

«Prego?»

«Beh… – il ragazzo fece roteare il vino nel calice, quindi lo posò e fissò dritto in faccia il portiere – Siete stati molto insieme, nell’ultimo periodo. Heidi parlava di… una simpatia.»

Il Kaiser ridacchiò.

«Ti ci metti anche tu?» lo fulminò Genzo.

«Ah, andiamo! – gli rifilò una pacca sulla spalla – Non c’è niente di male ad ammettere di provare qualcosa per lei. Julia è una bella ragazza e…»

«Lo so. – lo zittì – Anche con te mi sembra molto in sintonia.»

«Siamo amici da anni, Genzo. – il capitano del Bayern si fece serio – Ti posso assicurare che non c’è niente di più di un’amicizia. Forte, sincera, profonda. Ma pur sempre un’amicizia.»

Genzo non sembrava convinto al 100% e stava per ribattere, quando le ragazze tornarono.

«Ta-dan!» esclamò Heidi, spostandosi e portando Julia al centro dell’attenzione.

Indossava il famoso vestito del bozzetto della stilista, realizzato in un tenue color malva, ed era visibilmente imbarazzata.

«Beh? – Heidi si avvicinò al futuro marito e incalzò i ragazzi – Che ne pensate?»

«È stupendo, amore. Hai fatto un ottimo lavoro.» e sigillò quella frase con un bacio a fior di labbra.

Genzo era immobile: fissava Julia come se la vedesse per la prima volta. Il vestito le arrivava poco sotto al ginocchio, risalendo poteva notare come si appoggiasse morbido su fianchi, punto vita, seno… deglutì cercando di non farsi notare, ma quando incontrò lo sguardo di Julia non poté fare a meno di trattenere il fiato. Lo stava fissando a sua volta. Aspettava il suo giudizio. Era tesa come una corda di violino, come se fosse nuda davanti a lui. Cercò di sorriderle, ma era come paralizzato, con il cuore che batteva a mille.

«Quindi dovrò indossare una camicia di quel colore?» esordì ad un tratto il Kaiser che, accortosi della tensione tra i due amici, cercò di stemperare la situazione.

«No, Karl. Ho optato per una semplice cravatta.»

«Evvai!» esultò lui, alzando il pugno in segno di vittoria.

«Che antipatico che sei.» e ricevette un buffetto in testa, per tutta risposta.

Nel frattempo Julia continuava a guardarsi, con quel vestito che le sembrava troppo corto, che la lasciava troppo scoperta, e con lo sguardo di Genzo puntato addosso. Accidenti, la stava scandagliando: le stava così male? Istintivamente strinse le braccia al petto, a mo’ di protezione.

«Ti senti bene?» le chiese Martha, rimasta accanto a lei per tutto il tempo.

«Questo vestito è stupendo, ma io mi sento… inadatta a indossarlo.»

«Scherzi, vero?»

Per tutta risposta, lei scosse la testa in senso di diniego.

«Julia, – Martha le posò una mano su una spalla – stai d’incanto. Sei meravigliosa. Questo vestito ti sta benissimo, dico davvero. – poi si avvicinò a lei e le sussurrò all’orecchio – E Genzo non ti toglie gli occhi di dosso… questo dovrebbe farti sentire molto meno inadeguata!»

Sghignazzò allontanandosi da lei e tornando a sedersi per bere un goccio di vino.

«Beh io… vado a togliermi questo abito. Non vorrei rovinarlo…»

«Va bene. – le confermò Heidi – Ah, tesoro… sei meravigliosa.»

«Smettila, non ho bisogno che mi aduli per convincermi a indossare l’abito. Dopotutto... l’ho scelto io!» e, facendole la linguaccia, tornò a indossare i vestiti che aveva messo per la serata.

«Aehm… - Heidi tossì per attirare l’attenzione – Genzo, allora… che ne pensi della mise

«È favolosa… favoloso. Molto… molto bello… sì…»

Il Kaiser sghignazzò sotto i baffi: era raro vedere il SGGK in difficoltà. Presto i due piccioncini sarebbero finalmente usciti allo scoperto, ne era certo.

Si prospettava un periodo roseo per i suoi due amici.


Un altro capitolo abbastanza sereno, il matrimonio di Heidi e Daniel riesce a far sì che i nostri protagonisti si ritaglino un momento spensierato. 

I cambiamenti appaiono evidenti, soprattutto su Julia che pare non reggere più così bene la tensione, e scopriamo un altro tassello importante del suo passato, una madre giovane sedotta e abbandonata da un uomo che rimane sconosciuto. 

Il capitolo si conclude con una previsione del Kaiser dovuta al momento rilassato che stanno vivendo, questa cena per la scelta del menù di nozze che aiuta ancora un po' Genzo a far chiarezza dentro di sé. 

Vi abbraccio forte 

Sakura 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


ET - Capitolo 1

 

Non sapevano cosa fosse successo. Sapevano solo che Julia aveva mandato un messaggio per dire che non sarebbe venuta in ufficio. Nessuna spiegazione, nessuna aggiunta. Niente.

Martha aveva provato a chiamarla ma non aveva ottenuto risposta, come se l’amica avesse appoggiato il telefono da qualche parte e l’avesse scordato lì.

Una mattina, dopo tre giorni senza notizie, finalmente il cellulare di Martha squillò.

«Julia, si può sapere dove diamine… ah, salve. Sì. Sì… Co… Jesus… ci mancherebbe, non si preoccupi. Julia è da lei? Ah perfetto, grazie. Grazie mille.»

La ragazza appoggiò il cellulare e fissò Genzo, mentre le iridi iniziarono a riempirsi di lacrime.

«Martha, mi sto preoccupando… cos’è successo?»

«La… la mamma di Julia è… è morta…»

Il silenzio invase la stanza. Morta. Morta?

«Come… come…»

«Suo nonno mi ha chiamato per avvisarmi… lei si trova a Wolfach da lui, ora. Stanno organizzando il funerale. Genzo… dovremmo…»

Il ragazzo non aveva parole. Nella sua mente vorticavamo mille pensieri, ma gli mancava la lucidità per formulare frasi di senso compiuto.

«Vai da lei. Qui ci penso io. Tienimi solo aggiornato per quando ci sarà il funerale, così lo posso dire a Karl. Lo chiamo io.» aggiunse poi, prima che la giovane potesse prendersi la libertà di avvisare il capitano del Bayern. Voleva pensarci lui, voleva dividere con l’amico questo macigno che gli era piombato addosso.

 

Karl era incredulo e senza parole. La sparizione improvvisa di Julia lo aveva preoccupato, ma mai avrebbe pensato a una cosa del genere. Continuava a girare per il salotto di casa di Genzo, con le mani nei capelli. Improvvisamente si voltò verso il portiere, che notò quanta fatica facesse l’amico per non scoppiare a piangere.

«Non riesco neanche a immaginare come si possa sentire lei… Ma sai com’è successo? Non sai nulla? Tuo padre…»

«Non l’ho ancora avvisato… sto pensando a come dirglielo. Non reagirà bene, ed è ancora debole.»

«Ma Julia ha bisogno di lui! – sbottò il tedesco – Di lui, di noi, di tutti! Hai idea di quanto sia fragile in questo momento?»

«No, non ne ho idea. Ho scoperto di sua madre solo da poco, e non so molto.»

«Genzo, era sua madre. SUA MADRE! – urlò Schneider, quasi in preda a una crisi isterica – Pensa a come ti sei sentito tu quando tuo padre è stato male.»

«Vorrei sapere com’è successo…»

«Andiamo alla clinica. Tuo padre è un grande benefattore, possiamo scoprire come sono andate le cose senza…»

La vibrazione di un cellulare lo fece bloccare. Karl si voltò e notò che era il suo: Julia lampeggiava a ritmo con la retroilluminazione. Afferrò l’oggetto al volo e premette il tasto verde.

«Julia!»

Dall’altra parte il silenzio.

«Julia, parlami. Sono qui con Genzo.»

«Martha me l’ha detto…» mormorò la voce dall’altra parte.

«Ti metto in vivavoce.»

«Non… non so quando tornerò. Ho un po’ da fare qui…»

«Veniamo da te.»

«No! No, io… non serve. Sara veloce… lei è… lei si è… - un lungo sospiro - Non ce l’ha fatta. Si è buttata dalla finestra della sua camera.»

La notizia arrivò come una doccia fredda per i due calciatori.

«Ma come… cosa…»

«Non lo sappiamo. Non ci spieghiamo come… – si interruppe – Io credo che abbia preso coscienza di cose passate, e non ce l’abbia fatta. Le avevano tolto i sedativi, forse era troppo presto, o forse… doveva andare così. Non lo so ragazzi. Non lo so…»

«Julia – Genzo si avvicinò al telefono per farsi sentire meglio – Io e Karl ti raggiungeremo presto. Te lo promettiamo. Ti staremo vicini, noi…»

«Scusate ragazzi, ma… vorrei stare da sola. Ora devo andare

Click.

I due si guardarono basiti, non avevano parole.

Karl si portò nuovamente le mani ai capelli.

«Io non ci posso credere. Che razza di situazione. Non so che fare.»

«Lasciamola stare.»

Il Kaiser fissò l’amico, che gli aveva voltato le spalle.

«Prego?»

«Lasciamola stare. – si voltò nuovamente verso di lui – Ce l’ha chiesto lei, Karl. Non ha bisogno di essere soffocata, adesso.»

«Ah, beh, chiaro. – il capitano del Bayern scattò in piedi e si parò di fronte a lui – Quando non sai come affrontare una situazione, che fai? La eviti. Così è molto più comoda, vero? Come hai sempre evitato di confrontarti con lei per capire i vostri sentimenti!»

«Non ci provare, Schneider! – sbraitò il portiere, visibilmente alterato – Tu non sai come stanno le cose!»

«Allora dimmelo tu, Genzo! Dimmi come stanno le cose! Julia è mia amica, ci tengo a lei!»

«Ci tieni un po’ troppo, mi sa. Non è che sei geloso e la vuoi tutta per te?»

Karl scoppiò in una sonora risata.

«Sei ridicolo, lasciatelo dire. Per una volta che trovi una ragazza per cui valga davvero la pena lasciarsi andare, tu cosa fai? Ti tiri indietro. E con la peggiore delle scuse! Pensaci, Genzo: se avessimo voluto stare insieme, l’avremmo già fatto!»

«E chi mi dice che non sia lei a non volerlo, mentre magari tu…»

«Mentre magari io COSA? Chiedimelo. Fammi questa cazzo di domanda e chiudiamo qui la questione.»

«Sei innamorato di Julia?»

«No! – rispose il Kaiser, quasi urlando – Non sono innamorato di lei!»

Si fissarono negli occhi per qualche istante, il portiere sembrava voler leggere dentro lo sguardo del suo capitano per trovarci un accenno di timore, un tentennamento qualsiasi.

«E comunque, la nostra priorità adesso deve essere lei… – concluse infine il tedesco, come per tornare con i piedi per terra, alla vera questione – Sarà una donna distrutta, dobbiamo fare il possibile per sostenerla. Sei d’accordo?»

Gli allungò una mano come a chiudere il discorso; Genzo annuì e gliela strinse. Si fidava di lui.

 

Julia continuava a fissare la foto che, insieme a Opa, aveva scelto per il funerale: Diete sorrideva in giardino, seduta in mezzo alle rose che Oma coltivava con tanto amore. Era giovane, estremamente giovane. E le assomigliava così tanto…

Spostò lo sguardo allo specchio e si osservò, l’immagine di sé stessa si sovrappose alla fotografia e vide sua madre riflessa su quella superficie. La mano andò automaticamente al ripiano su cui aveva appoggiato le forbici da cucina: la sinistra teneva i capelli, la destra li recideva. Valutò che l’altezza giusta era a circa metà del collo e cercò di sistemarli al meglio: ora non era più come Diete, non assomigliava più a sua madre. No, lei non era come Diete Wagner, e non avrebbe fatto la stessa fine.

Opa sussultò quando la vide scendere le scale con le forbici in mano e quel nuovo taglio di capelli.

«Jule…» mormorò, ma la nipote neanche lo sentì. La vide riporre le forbici al loro posto, quindi si munì di scopa e paletta e tornò al piano di sopra per raccogliere i capelli che aveva tagliato – reciso – con tanta precisione.

«Domattina chiamerò Uwe a sistemarteli… – il nonno le accarezzò la testa e le depositò un bacio sulla fronte – Stai molto bene, ma sono un po’… storti.»

«Non importa.»

«Sì, invece. – insistette lui – Non voglio vederti sciupata.»

La giovane annuì passivamente, come se non avesse le forze necessarie per opporsi a nulla: stava subendo gli accadimenti, facendosi vivere dalla vita. Mai e poi mai l’anziano uomo si sarebbe immaginato che la nipote, sempre positiva, avrebbe reagito in quel modo alla scomparsa della genitrice. Ahimè, le circostanze erano state tremende, nessuno si sarebbe aspettato che la donna dipartisse in quella maniera (erano tutti convinti che si sarebbe spenta lentamente), ma non per questo Julia doveva reagire in quella maniera, anzi, non reagire affatto.

L’uomo sospirò affranto, non sapeva come muoversi con lei, la vedeva fragile come una bambola di porcellana e non voleva romperla, ma non voleva nemmeno che si chiudesse in un mondo tutto suo, non voleva che facesse la fine di Diete…

Julia era tutto ciò che aveva: dopo la morte di sua moglie, la nipote era diventata il suo mondo. Nonostante vivesse a Monaco, il loro rapporto era stretto e intenso, si sentivano spesso e lei non mancava di rendergli visita ogni qualvolta le era possibile. E lui avrebbe fatto qualunque cosa per lei.

Conosceva il suo pensiero: sapeva che, dacché aveva iniziato a ragionare, aveva il terrore e il timore di ridursi nello stesso stato di sua madre. Altro motivo per cui, dopo la fine della sua unica (a quanto ne sapeva lui) relazione sentimentale, si era ben guardata dal permettere a qualcun’altro di far breccia nel suo cuore.

Julia sentiva il peso dell’errore genitoriale, e temeva di commetterlo a sua volta, ma c’era una cosa che la distingueva da Diete: la caparbietà. Con questa caratteristica si era fatta strada nel mondo del lavoro, riuscendo a guadagnarsi la stima e la fiducia dei Wakabayashi. E lui era così orgoglioso della sua piccola Jule.

Sospirò e decise che era giunto il momento di coricarsi. Spense la luce del salotto e, dopo aver sbirciato nella camera della nipote per sincerarsi che dormisse, si ritirò nella sua stanza.

 

Era presente fisicamente, ma la sua mente era altrove. Heidi ne era consapevole. La conosceva da tempo, ormai.

Per tutta la cerimonia funebre aveva tenuto lo sguardo fisso davanti a sé, seduta composta con la schiena dritta, senza degnare niente e nessuno di uno sguardo, senza notare i volti tristi, né le facce contrite di coloro che andavano a presentarle le condoglianze. Opa le raccoglieva, lei li ignorava, persa nel suo mondo di dolore inesternabile.

Genzo non si capacitava di quel cambiamento: immaginava il dolore che poteva provare, si avvicinava parecchio a quello che lo aveva accarezzato quando suo padre aveva avuto l’ictus, ma mai avrebbe creduto che la reazione di Julia sarebbe stata l’apatia. Gli sembrava… gli sembrava di vedere Diete. Quel pensiero lo trafisse come una freccia, e sbiancò sovrapponendo l’immagine di Julia a quella di sua madre. No, non poteva succedere. Non doveva. Lo avrebbe impedito.

Si recarono al cimitero cittadino, dove Diete sarebbe stata sepolta accanto alla madre, la nonna di Julia. Lì, la giovane sorrise appena, guardando la tomba della sua adorata nonna: si chinò e strappò qualche erbaccia da davanti, sistemò meglio i fiori, incurante degli sguardi sconvolti con cui la fissavano gli astanti.

«Così va meglio.» esclamò rialzandosi e sorridendo a suo nonno, che le carezzò la testa amorevolmente e le annuì, prima di attirarla a sé per un abbraccio.

Finita la cerimonia, Julia rimase in piedi davanti alla tomba della genitrice, con le mani incrociate ad altezza bacino: Martha le si avvicinò, titubante.

«Non mi hai raccontato com’è andata al cinema.» le chiese improvvisamente, continuando a fissare la lapide.

«Tu… tutto bene. Il film non era granché.» balbettò la ragazza, incredula che in un momento del genere, la manager potesse pensare a lei.

«Karl si è comportato bene? – l’amica annuì e lei accennò un sorriso – Mi fa piacere.»

«Julia… come stai?»

Ovviamente non rispose. Ignorò la domanda e continuò a fissare la lapide a cui era appesa provvisoriamente la foto. Quella foto. La osservava come ossessionata da quel ritratto.

«Mi sono tagliata i capelli. L’ho fatto da sola. Un mezzo disastro. Poi Opa ha chiamato Uwe per sistemarli. Mi piacciono.»

«Beh… sono più corti rispetto a prima. Ma stai bene, ti donano.»

«Grazie.»

Di nuovo in silenzio, di nuovo quella sensazione di ossessione. Martha si voltò verso il gruppo di amici, posizionato accanto al nonno di Julia, intento a ricevere gli ultimi messaggi di cordoglio. Heidi le fece un cenno come a chiedere come andava e lei, per tutta risposta, non seppe fare altro che alzare leggermente le spalle, mimando un “Boh” con le labbra. Heidi sospirò e le raggiunse.

«Ehi, bellezza. – le disse, avvicinandosi e cingendole le spalle con un braccio – Ti va una cioccolata calda?»

«No, grazie.»

Un rifiuto netto.

«Allora vuoi che…»

Julia la ignorò e voltò le spalle alla lapide per dirigersi verso suo nonno.

«Andiamo?» gli chiese, come se gli altri non fossero nemmeno presenti.

Lui annuì.

«Certo, salutiamo i tuoi amici e…»

Ma lei ignorò anche questo tentativo di farla tornare alla realtà, semplicemente si diresse verso il parcheggio e aspettò l’anziano accanto alla loro auto.

Virgil Wagner sospirò e si voltò verso gli amici della nipote.

«Cercate di avere pazienza. La terrò qui qualche giorno, poi vi aggiornerò sulle sue condizioni. Le chiedo scusa, Herr Wakabayashi…»

«Genzo. – annuì il portiere – E mi dia del tu.»

«Genzo. – sorrise l’uomo – Ti chiedo scusa ma al momento non credo sia in grado di tornare al lavoro.»

«Neanche da dire, Herr Wagner. Ne ho già parlato con mio padre: daremo a Julia tutto il tempo per riprendersi. Martha ci darà una mano a gestire il lavoro.»

«Certo! – ne convenne la ragazza – Julia adesso ha solo bisogno di ritrovare sé stessa.»

«Siete suoi amici, non voglio nascondervi nulla: non sarà facile. Purtroppo questa sua reazione è molto vicina a quella che ebbe sua madre quando rimase sola con lei appena nata. Ho il timore che possa cadere nella stessa spirale che ha portato via mia figlia, ma sono anche convinto che Julia abbia un carattere diverso. In questo mia moglie ci ha messo lo zampino. – sorrise, voltandosi a osservare la tomba della fu Frau Wagner – Nel timore che potesse un giorno fare la fine di sua madre, ha cercato di temprarla con un carattere forte e deciso. Ma questo – tornò a spostare la sua attenzione al gruppo di ragazzi – lo sapete meglio di me.»

«Julia tornerà, Herr Wagner. – Karl lo disse convinto – Tornerà da noi più forte di prima.»

«Lo spero, ragazzo mio, lo spero tanto.»


Era purtroppo inevitabile, che la madre di Julia non reggesse la situazione. I segnali c'erano tutti, e purtroppo la donna non ha retto il colpo. E Julia... ora per Julia davero sarà tutto più difficile, come uscirà dalla situazione? 

I suoi amici riusciranno ad aiutarla a tornare alla sua vita? 

Solo il tempo ce lo dirà... 

Vi abbraccio 
Sakura 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


ET - Capitolo 1

 

Virgil Wagner era una persona molto paziente e pacata, al contrario della defunta moglie. Quindi per lui non fu un problema aspettare qualche giorno, per valutare se la condizione della nipote sarebbe migliorata.

Purtroppo i giorni si trasformarono in settimane, le settimane divennero un mese, la Pasqua arrivò e passò in un lampo, e Julia era sempre lì, seduta sul davanzale interno della finestra della sua camera, a osservare qualcosa che solo la sua mente vedeva.

Poi, una mattina, Herr Wagner entrò nella stanza per darle il buongiorno e portarle la colazione, e non la trovò. Lo smarrimento iniziale diede spazio in poco all’ansia del pensiero di ciò che la ragazza poteva aver commesso, così scese le scale di corsa per cercare la sua agenda.

«Cos’hai combinato, Jule…» mormorò, con le lacrime agli occhi.

Trovato il numero, si avvicinò al tavolino su cui era posizionato il cordless, e si accorse che mancavano le chiavi della macchina: era proprio fuggita. Cercò di far mente locale sulla targa, mentre componeva il numero della Wakabayashi Corp. Deutschlands.

 

Martha era seduta alla scrivania di Julia, intenta a controllare la posta elettronica della ragazza, quando suonò l’interfono.

«Dimmi, Judith.»

«Ho Herr Wagner in linea.»

«Passa pure! – acconsentì, prendendo in mano la cornetta – Buongiorno, sono Martha!»

«Martha… Julia è fuggita. Non so dove sia. Ha raccolto le sue cose, preso la macchina e… è sparita.»

Fortuna che era seduta, così il suo cedimento alle gambe non ebbe conseguenze, o avrebbe rischiato una commozione cerebrale per la botta. Cercò di riprendersi, pensando alla svelta a come agire.

«Herr Wagner, ci pensiamo noi. La troveremo, glielo prometto.»

«È tutto quello che mi è rimasto nella vita... dovete trovarla e farla rinsavire. Ha passato l’ultimo periodo persa in chissà quale pensiero, e adesso che è sparita io temo che…»

«No, Julia non lo farebbe mai. – lo interruppe, e ne era convinta – La troveremo e la riporteremo a casa. Si segni questo numero, è il mio cellulare. Ci aggiorniamo appena avrò novità.»

Doveva chiamare Genzo, e doveva farlo subito, prima che si spargesse la voce. Era già stato difficile far credere che la Manager si fosse presa un periodo di ferie in seguito alla morte della genitrice, ma adesso che non si avevano più notizie di lei, sarebbe stato impossibile non far trapelare nulla.

«Merda, Julia. Non potevi metterti in un casino peggiore.»

Optò per inviare un messaggio al portiere, in cui gli comunicava di avere novità importanti di cui dovevano discutere di persona: avevano adottato un codice per evitare che le loro comunicazioni venissero intercettate, cercando di parlare solo ed esclusivamente di persona di certi argomenti. Sentì un trillo provenire dal corridoio e capì che il portiere era già in arrivo.

«Mi cercavi?» la testa del portiere fece capolino dalla porta, e quando notò lo sguardo della ragazza, capì che era ben più grave di quanto pensasse.

«Entra.» e chiuse a chiave la porta alle spalle del giapponese.

«Martha, mi stai spaventando.»

«Fai bene ad esserlo. – non sapeva come dirglielo – Julia è scomparsa.»

Il Blackberry gli scivolò dalle mani e cadde rovinosamente sul pavimento: lo sportello sul retro si aprì e la batteria volò lontano da loro due.

«Ma che cazzo stai dicendo?»

«Mi ha chiamato Herr Wagner adesso: non ci sono più né vestiti né macchina. È fuggita chissà dove.»

Mentre cercava di recuperare lucidità, il portiere aveva raccolto i pezzi del suo device, lo aveva riassemblato, e ora cercava di farlo ripartire.

«Ci deve essere una spiegazione, Julia non…»

«Julia non è Julia, e lo sai meglio di me. C’eri al funerale.»

«Pensi che…»

«No. – rispose lei, fermamente – È viva, ne sono certa. Dobbiamo solo trovarla.»

«”Solo”? – Genzo inarcò un sopracciglio – E come pensi di fare?»

«Andremo alla polizia.»

«Questo è fuori discussione. Hai idea dell’impatto che avrebbe sulle nostre azioni? Il titolo al momento viaggia forte e…»

«Non stiamo parlando di una persona qualsiasi, Genzo, stiamo parlando di Julia.»

«Appunto. – ribadì lui – Non è una persona qualsiasi. Al momento stiamo dirigendo l’azienda e la denuncia della sua scomparsa porterebbe la stampa ad indagare sul suo passato, sui vari retroscena. Scoprirebbero di sua madre, e l’associazione con la sua malattia verrebbe automatica. Rischiamo di mandare a puttane quello costruito in questi mesi. No, dobbiamo tenere la cosa per noi. È rischioso, ma è l’unica soluzione.»

Martha non ne era convinta, ma d’altronde Genzo era il capo, e doveva fare come diceva lui.

«Avviso Karl. – le disse, facendo partire la chiamata e portandosi il Blackberry all’orecchio – Tu prova a chiamare Julia, sia mai che risponda vedendo il tuo numero.»

Martha annuì, mentre il ragazzo usciva dall’ufficio per dirigersi verso il proprio.

Provò varie volte a contattare la ragazza, ma il numero risultava staccato, come se non lo tenesse neanche acceso. Mentre continuava a provare, si diresse verso l’ufficio del portiere.

«Karl sta arrivando.» le comunicò, quando la vide arrivare.

«Potrei provare a contattare Heidi e Daniel, magari loro sanno qualcosa.»

«Dovrebbero essere a Monaco, chiamali e falli venire qui. Anzi. – si voltò verso la finestra per osservare il paesaggio – A casa di Schneider. Stasera.»

La segretaria annuì e uscì dall’ufficio, lasciandolo solo con i suoi pensieri.

 

Nessuno aveva toccato cibo, e si erano ritrovati a estrapolare le teorie più strampalate riguardo alla sparizione della ragazza.

«Noi domani avevamo già in programma di andarcene un po’ in Croazia, i miei hanno una casa là, ma se volete possiamo rimandare e rimanere qui con voi.»

«No, Daniel. – Karl scosse la testa – Purtroppo Genzo ha ragione, non dobbiamo destare sospetti. Finché tutti penseranno che è ancora a casa sua, e che sta relativamente bene, noi dovremo solo preoccuparci di trovarla. Ma se la notizia trapela…»

«Se non facciamo in fretta, trapelerà comunque. – Genzo aveva appoggiato i gomiti sul tavolo e giunto le mani sotto al mento, per sostenere la testa – Non so per quanto potrò negare una riunione, anche informale, ai soci della Wakacorp.»

«Vorrei tanto sapere cosa le è passato per la testa…» mormorò Heidi.

Quella domanda aleggiò sul gruppo di amici, senza che nessuno potesse dare una risposta sensata. Perché nessuno di loro aveva idea del trambusto interiore che Julia stava vivendo.

«Se solo si fosse confidata prima…»

«Martha, non colpevolizzarti. – Heidi le posò una mano su una spalla – Certe cose non le sapevo neppure io, che con lei ci ho vissuto. Julia ha sempre tenuto tantissimo alla sua privacy, fin troppo forse, arrivando addirittura a tenere lontane le persone che le volevano bene.»

«La considerava una sorta di protezione nei nostri confronti. – Karl si versò un goccio di birra – Sempre nell’eventualità in cui…»

«È sua madre la chiave di volta. – Genzo continuava a fissare il vuoto, perso in chissà quali ragionamenti – E se fosse andata a Lucerna?»

«Lucerna? E perché mai sarebbe dovuta andare in Svizzera?»

«Perché lei è nata lì. Non lo sapevi?»

Il portiere e il capitano si guardarono, poi guardarono le ragazze.

«Voi lo sapevate?» chiese Genzo, con tono poco convinto.

«Io sapevo che non era nata a Wolfach, ma non sapevo dove… non mi sono mai posta il problema, onestamente.» Heidi rispose con un tono quasi di colpevolezza.

Ad un certo punto, mentre tutti continuavano a mormorare frasi su cosa sapevano o non sapevano di lei, Karl si alzò, come se avesse ricevuto la scossa.

«Che ti prende?»

«Lei lo sapeva.»

Quattro paia di occhi lo osservarono, perplessi.

«Sapeva… cosa?» lo incalzò Martha.

«Julia sapeva che sarebbe potuto succedere. Lei si conosceva, conosceva il suo passato, aveva l’esempio di sua madre davanti agli occhi. Così ci ha fornito tutti gli indizi per aiutarla, ma lo ha fatto a modo suo.»

Daniel osservò l’amico e annuì.

«Li ha suddivisi tra di noi. Ha dato a ognuno di noi un piccolo tassello, una piccola parte di sé, da custodire. In questo modo, unendo le nostre forse, avremmo potuto trovare il modo di aiutarla.»

«Quando torna, giuro che le darò una testata, prima di abbracciarla con tutta me stessa.» e nessuno ebbe cuore di obiettare la volontà della futura sposa.

«Quindi? Che facciamo? Andiamo in Svizzera a cercarla?»

«No, Karl. Io e te non possiamo muoverci, siamo osservati speciali. Martha deve rimanere a seguire alcune pratiche, e…»

«Andremo noi. – Daniel lo disse con sicurezza – Una deviazione non ci comporterà nessun problema.»

«Andremo da Herr Wagner e ci faremo dire dove stava la mamma di Julia prima di venire in Germania, così avremo un punto di riferimento. E speriamo di trovarla…»

I commensali annuirono, quindi, con la speranza di ritrovare l’amica che aveva un po’ ritemprato i loro cuori, cercarono di mangiare qualcosa per non terminare la serata a stomaco vuoto.

 

Herr Wagner aveva fornito alla coppia tutti i dettagli di cui necessitavano per la loro ricerca: Heidi e Daniel, così, passarono due giorni nella città della Svizzera centrale. Purtroppo la ricerca si rivelò infruttuosa, niente faceva pensare che Julia si trovasse lì.

«Un enorme buco nell’acqua. Mi arrendo.»

Il ragazzo osservò la fidanzata mentre si buttava sul letto della stanza d’albergo che avevano riservato anche per quella notte: la mattina seguente, date le ricerche vane, si sarebbero diretti in Croazia, ad Arbe, la loro destinazione iniziale.

«Mi sento in colpa ad andarmene al mare mentre gli altri continueranno a cercarla.»

«Hai sentito cos’ha detto Karl. – si stese accanto a lei e le posò un bacio sulla fronte – Abbiamo fatto quello che potevamo, ora ci penseranno loro.»

«Dove si sarà cacciata…»

«Non lo so, ma di certo lo scopriremo. E stavolta una bella lavata di capo non gliela leverà nessuno.»

«Dan, inizio a temere il peggio…»

Gli occhi della ragazza si velarono di lacrime, mentre già immaginava scenari apocalittici.

«Cerca di riposare, domani ci aspetta un lungo viaggio. – si avvicinò ulteriormente a lei per permetterle di appoggiare la testa sulla sua spalla – Quando meno ce lo aspetteremo, Julia comparirà, vedrai…»

Trascorsero una notte relativamente tranquilla, quindi alla mattina presto partirono alla volta dell’isola croata. Dalla località svizzera, passando per l’Italia, ci volevano circa 10 ore di viaggio, senza contare il traghetto una volta giunti a destinazione. Nonostante il lungo tragitto, nessuno dei due aveva una gran voglia di chiacchierare, così passarono la maggior parte del tempo a scambiarsi frasi di circostanza.

L’isola li accolse verso il tramonto, un delicato color arancione illuminava la zona. Daniel imboccò il vialetto e notò subito qualcosa di strano, ma prima di poter dire qualsiasi cosa, la sua compagna era già scesa dalla vettura e stava correndo verso l’auto parcheggiata proprio di fronte all’ingresso della villetta.

«Julia!» esclamò la ragazza, avventandosi contro la portiera dal lato del guidatore, dove, però, non c’era nessuno.

«Dev’essere qui da qualche parte.» osservò il ragazzo, che nel frattempo l’aveva raggiunta.

«Sono qui.»

I due si voltarono: davanti all’ingresso della casa dei custodi, seduta in una poltrona di vimini, la giovane li osservava.  


Julia ha fatto prendere uno spaghetto un po' a tutti quanti, ma cosa sarà successo? 

Non ci resta che aspettare per sapere cos'ha turbato così tanto la ragazza da indurla alla fuga... 

Vi abbraccio forte

Sakura 

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


ET - Capitolo 1

 

«I custodi mi hanno riconosciuto e hanno detto che sareste arrivati presto, così ho pensato di aspettarvi, ma sembravate non arrivare mai.»

«Perché, come due deficienti, siamo andati a Lucerna a cercarti.»

«Lucerna? – Julia sembrava stupita – Perché proprio lì?»

«A Genzo hai raccontato di essere nata lì, e…»

«Sono nata lì, ma non ho nessun tipo di legame con quella città.»

«Eravamo disperati! – Heidi finalmente poteva sfogarsi – Non sapevamo che pesci prendere, ogni dettaglio ci sembrava utile.»

La ragazza fece spallucce, come se la cosa non la riguardasse.

«Adesso chiamo Karl e lo avviso che sei qui.»

Daniel fece per alzarsi ma la mano di Julia lo trattenne.

«Preferirei di no.»

Fu allora che Heidi esplose.

«Preferiresti di no, Julia? E cosa vorresti che facessimo, eh? Che ti tenessimo qui nascosta, peggio di una clandestina, per il resto dei tuoi giorni? Oppure vuoi che a quei poveri ragazzi esploda la testa, mentre si arrovellano a pensare a dove potresti esserti cacciata! Per l’amor del cielo, hai idea di cosa abbiamo provato noi, quando tuo nonno ci ha chiamato? E a lui non hai pensato? Ti sei comportata come una bambina irresponsabile, spero che tu te ne renda conto. E sì, adesso noi chiameremo Herr Wagner in primis, poi Genzo, Karl e Martha, per far sapere che sei qui e stai bene. E il tuo “preferirei di no”, sai dove te lo puoi ficcare?»

«Ok, basta così, Heidi, basta così… – Daniel fermò la sua fidanzata prima che potesse esagerare ulteriormente con le parole – Credo che Julia abbia capito il concetto, dico bene?»

Lei annuì, abbassando lo sguardo.

«Non volevo farvi preoccupare, volevo solo stare da sola.»

«Bastava dirlo, tra amici ci si parla. Non ti avremmo mai negato la possibilità di stare qui, lo sai bene.» Daniel usava un tono di voce dolce, nel tentativo di calmare le acque.

«Va bene, solo… non voglio parlare con nessuno… vi prego. Non saprei cosa dire.»

«Per oggi direi che sia sufficiente. Ma li chiamerai quanto prima, va bene? – lei annuì, come una bambina colta in flagrante con le mani nella marmellata – Ora vai a riposare, domani accenderai il cellulare e vedremo che succede.»

La seguì con lo sguardo mentre si ritirava nella stanza degli ospiti, quindi si voltò verso la propria fidanzata.

«Ci sei andata giù un po’ troppo pesantemente, Heidi. Devi tenere comunque conto del suo stato d’animo.»

«Come lei ha tenuto conto del nostro?»

La stoccata arrivò secca, e la ragazza lasciò lì il fidanzato a rimuginare sul da farsi.

 

«Ti sei svegliata presto…»

Il tono di Daniel continuava ad essere accomodante con Julia, non voleva farla innervosire, o peggio, indurla a fuggire di nuovo. Si sedette sul prato accanto a lei, che invece occupava una sdraio da giardino.

«Ho visto l’alba.» rispose senza alzare lo sguardo dal libro che stava leggendo, lasciando intuire che il sonno non fosse suo amico in quel periodo. Daniel sospirò, cercare di fare conversazione era davvero difficile, ma doveva farlo, voleva farlo, o la situazione non si sarebbe mai sbloccata.

Rimase lì, accanto a lei, a godersi la brezza che arrivava dal mare, in quel maggio assolato che faceva da preludio alla bella stagione. Un rumore, in lontananza, attirò la sua attenzione: una moto percorse il vialetto, e si fermò esattamente all’ingresso del giardino, alla loro sinistra. Il motociclista si tolse il casco e mosse il collo, evidentemente indolenzito dal viaggio.

«Beh, a questo punto io vi lascio soli, avrete di che parlare.»

Daniel lasciò il posto a un visibilmente scosso Schneider, che si avvicinò all’amica con ancora indosso la tuta da moto. Non vedendo nessun tipo di reazione, il Kaiser lanciò il casco davanti a lei, quindi si tolse la pesante giacca in tessuto traforato e le fece fare la stessa fine.

«Ho riconosciuto il rumore quando sei sceso dal traghetto.» ironizzò Julia, lo sguardo puntato perennemente sul libro.

«Mi aspettavo un’accoglienza diversa, dopo tutti questi mesi, Wagner.»

«Sono impegnata.»

Karl si avvicinò e le prese il libro dalle mani.

«Ehi!» fu la flebile protesta della donna, che finalmente si risolse a guardare in faccia l’amico. Le iridi incandescenti del capitano del Bayern la fecero desistere da ulteriori obiezioni.

«Mi devi una spiegazione. La pretendo. Avrei capito qualunque cosa, ma non questo. Fuggire non è da te.»

«Non sono fuggita.»

«Ah no? – il ragazzo sollevò un sopracciglio – E cos’avresti fatto? Ferie a scapito della Wakacorp?»

Sentendo il nome dell’azienda, Julia si irrigidì e voltò lo sguardo altrove, puntandolo sull’orizzonte.

«Io… io non posso tornare, Karl. Le cose sono cambiate.»

«In che senso?»

«Sono cambiati alcuni aspetti che… non avevo considerato.»

«Parli di Genzo?»

Lei non rispose, continuando a fissare un punto indefinito davanti a sé. Il ragazzo tolse anche i pantaloni da moto, rimanendo con una sottile tuta, e si sedette accanto a lei, godendo della freschezza dell’erba del prato.

«Julia… vuoi parlare con me?»

«Non capiresti.»

«Posso provare.»

«Ma non ce la faresti.»

«È davvero così complicato?»

«Di più.» e finalmente puntò le iridi in quelle dell’amico.

«Sai benissimo che con gli amici puoi superare qualunque cosa, ci sei già passata, ci siamo già passati. Ti vogliamo bene, siamo qui per aiutarti, io, Daniel, Heidi, Martha e Gen…»

«Lascialo fuori da questa storia, Karl… – Julia si mosse dalla sdraio e si sedette a gambe incrociate accanto a lui – Questa volta non potrà esserci utile… anzi… io devo allontanarlo, devo farlo, ci siamo già spinti troppo oltre, noi non…»

«Guarda che, se ci sei finita a letto, non succede niente, eh. Siete adulti.»

«Ma che stai dicendo! – arrossì, scostandosi appena dall’amico – Karl, la situazione è parecchio complicata, dico sul serio.»

Con la scusa di scostarle una ciocca di capelli dal volto, le carezzò una guancia, e a Julia non sembrò vero di poter avere nuovamente un contatto fisico con una persona cara, nonostante fosse stata lei stessa ad allontanarsi da tutti.

«Vuoi dirmi che è successo?»

Dopo aver tentennato per qualche secondo, Julia finalmente annuì, e si preparò a raccontare tutto.

 

Erano secoli che non metteva mano alla cassettiera di sua nonna, così decise che era giunto il momento di farlo. Conteneva per lo più tovaglie, asciugamani e lenzuola, tutti rigorosamente ricamati dalla mano gentile della donna. Julia accarezzò quei disegni e si ritrovò a sorridere, mentre l’immagine della donna intenta a decorare quei tessuti le tornò in mente: si cullava nella sedia a dondolo posta sotto al porticato, mentre le sue mani incrociavano veloci i fili colorati, fino a creare quei preziosi intrecci. Da bambina, Julia stava ore ad osservarla, e qualche volta aveva pure provato a imitarla, ma la mano della donna era così veloce, così sicura di sé, che preferiva osservarla rapita.

Tornando al presente con la mente, sollevò un paio di tessuti, fino a quando notò quello che Frau Wagner aveva ricamato appositamente per lei. Le diceva sempre che avrebbe fatto parte del suo corredo da matrimonio, insieme ad altri oggetti di cui Julia ignorava l’esistenza.

«Quando sarà il momento, capirai…» le rispondeva, carezzandole amorevolmente la testa.

Estrasse la tovaglia dal cassetto per annusarla, profumava di naftalina e ricordi, ma quando la aprì per stringerla meglio, qualcosa cadde dall’involucro. Julia raccolse la lettera, ingiallita dal tempo nonostante il nascondiglio, quindi si mise a sedere sul letto e la aprì. Le mani le tremavano, perché il suo nome era stato impresso sulla busta con una grafia incerta.

“Julia cara, se starai leggendo questa lettera, è facile che io non faccia più parte del mondo dei vivi, e tu starai prendendo il tuo corredo per sposarti, e vivere felice il tuo futuro. Se sono stata una nonna severa, l’ho fatto solo per proteggerti, per far sì che il tuo destino differisse da quello di tua madre.

Gli uomini possono essere infimi, piccola mia, ci rapiscono il cuore e noi non capiamo più nulla. Ma sono sicura che la persona che hai accanto, ora, è in grado di capirti e elevarti sopra a ogni cosa, perché è questo che ti ho insegnato, è così che ti ho spiegato come vivere.

Non crucciarti troppo per il destino riservato alla tua cara mamma, lei vivrà una vita serena, nonostante ciò che le è successo… avevo cercato di metterla in guardia da quell’uomo, quell’imprenditore venuto da lontano che le aveva rapito cuore, mente e infine le ha portato via anche l’anima, lasciando un ammasso di carne e ossa che non è più in grado di provare nulla.

Vivi la tua vita, mia dolce Jule, e ricordati per sempre di questa nonna che ti ha amato come una figlia, o forse anche di più.”


Eccola la nostra Julia, pare che questo ritrovamento l'abbia turbata parecchio, ma ancora non sappiamo perché. Intanto Heidi e Karl ci vanno giù pesante, mentre Daniel cerca di fare da moderatore in questa vicenda, per evitare un'ulteriore fuga della ragazza. 

Il prossimo capitolo sancirà il giro di boa della storia, saremo a quota 30, un quarto della storia. Ancora grazie di cuore a tutti voi lettori <3 

Un abbraccio 

Sakura 

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


ET - Capitolo 1

 

 

Karl non capiva dove l’amica volesse andare a parare, così continuò a fissarla con aria perplessa, in attesa di spiegazioni.

«Proprio non ci arrivi… – sbuffò la giovane, abbracciandosi le ginocchia – Sei tardo, Schneider.»

«Tua nonna ti ha lasciato una lettera, ok, e ha accennato al tuo padre biologico, va bene. Ma non comprendo la tua reazione.»

«Un imprenditore venuto da lontano…» citò nuovamente lei, spalancando gli occhi per l’ovvietà che, a suo parere, stava pronunciando.

«Ci sono migliaia di imprenditori, potrebbe essere chiunque.»

«E non ti sembra strano che Herr Wakabayashi si sia fatto carico di me e tutta la mia famiglia… così? Che mi abbia aiutato col lavoro, con mia madre, e tutto il resto.»

Karl si raddrizzò: un flash attraversò la sua mente, ma era palese che non potesse essere veritiero.

«Non ti sarai convinta che…»

«È mio padre, Karl. È ovvio.»

Il ragazzo ci mise qualche secondo ad immagazzinare l’informazione, per poi scoppiare a ridere di cuore.

«Tu stai… ridendo?»

«Julia, è davvero la cosa più assurda che io abbia mai sentito. Herr Wakabayashi non può essere tuo padre, tu sei palesemente occidentale. Non c’è nulla in te che ricordi l’Oriente, non hai gli occhi a mandorla, la tua carnagione è…»

«Conosci la genetica, Schneider? Sai fare un test del DNA con gli occhi?» lo riprese la ragazza, visibilmente piccata dal fatto che l’amico non le credesse.

«Perché, tu hai fatto il test, per affermare con così tanta certezza che sia tuo padre?»

«No… non ancora. Non posso farlo, Karl, con che coraggio potrei poi affrontare Genzo dopo tutto quello che è nato fra noi.»

«Lo puoi affrontare perché Ikemoto non è tuo padre! – la incalzò – Julia, io capisco che tu sia sconvolta da tutto quello che è successo, ma non puoi lasciarti influenzare così tanto da frasi scritte almeno un decennio fa, da una persona che non c’è più e non può toglierti il dubbio.»

La ragazza non rispose, iniziò a giochicchiare con un filo d’erba.

«Karl! Ben arrivato! – Heidi arrivò in quel momento a salutare l’amico – Venite a fare colazione? Abbiamo apparecchiato sotto al portico.»

«Volentieri! – esclamò il calciatore, alzandosi per poi allungare una mano a Julia, che ancora seduta a terra, continuava a fissare quel filo d’erba che aveva strappato – Vieni, ne parliamo davanti a una bella tazza di tè.»

«Di cosa dovete parlare?»

«Julia mi ha appena confessato il motivo della sua fuga.»

«Karl!» lo riprese la ragazza, arrossendo.

«Che c’è di male! – le rispose, facendole l’occhiolino – Ne parleremo insieme e troveremo una soluzione. È questo che fanno gli amici, ricordi?»

Lei non rispose, si limitò a seguirlo, sguardo basso. Si sedette accanto a lui, la tavola tonda in ferro era imbandita con ogni ben di Dio.

«Croissant, marmellate, burro, pane fresco, tè, caffè, succhi di frutta… cosa potrei chiedere di più!» esclamò il Kaiser, allungando la mano per prendere da mangiare.

«Julia… – il tono di Heidi si fece più dolce rispetto a quello della sera precedente – Vuoi parlarne?»

La ragazza sollevò lo sguardo e fissò l’amica dritto negli occhi.

«Ho trovato una lettera di mia nonna in cui menziona il mio vero padre, quello biologico, e… ho motivo di credere che sia Herr Wakabayashi.»

Daniel, che stava sorseggiando il caffè, per poco non lo sputò sul tavolo.

«Che cosa?!»

Notando lo sguardo a metà tra il divertito e il rimprovero del Kaiser, Julia sospirò e soppesò come modificare la frase.

«In realtà, lei menziona solo un “imprenditore venuto da lontano”, ma è abbastanza palese che sia lui, no? No.» aggiunse poi, lasciando cadere il cucchiaino di marmellata nel piatto. Gli sguardi di Heidi e Daniel, ora, assomigliavano sempre di più a quello che Karl aveva avuto pochi minuti prima; nel frattempo il calciatore, cercava di nascondere il sorriso divertito che si faceva strada sulle sue labbra.

«E tu smettila di ridere! – esclamò la manager, palesemente infastidita dal suo atteggiamento – Non è carino da parte tua… e neanche da parte vostra.»

«Tesoro, posso capire da dove sia arrivato il tuo ragionamento, ma credimi, sei la persona più distante dall’Oriente che io conosca, a livello di fisionomia. Non hai proprio nulla che ricordi una vaga origine giapponese.»

«Che poi, non sarebbe neanche tanto vaga. – Daniel rincarò la dose – Perché saresti per metà tedesca e per metà giapponese, dubito che questo non si noterebbe nei tuoi tratti somatici.»

«Il DNA di mia madre potrebbe aver preso il sopravvento.» provò a difendersi, anche se ormai la sua convinzione iniziava a vacillare.

«Tutto può essere. – ne convenne il futuro sposo – Chiedi un test e togliti il dubbio.»

«È quello che le ho detto.» concluse Karl, addentando finalmente il croissant.

«Siete matti!? Come lo spiego a Genzo!»

«Esattamente come lo hai spiegato a noi, magari senza quell’aria contrita.»

«E cosa faccio, vado là e inizio il discorso con “Ciao, mia nonna mi ha lasciato una lettera in cui accenna a mio padre, io credo che sia il tuo, facciamo un test?”? Mi riderà in faccia.»

Karl non trattenne una risatina.

«Scusa… ma ammetterai che la situazione è abbastanza inusuale.»

«Non mi siete d’aiuto…» mormorò, mescolando il caffelatte che si era preparata nel frattempo.

«Pensa a tornare a casa… il resto verrà da sé. Ma non puoi nasconderti qui in eterno, Julia.»

«Heidi ha ragione, devi tornare a casa, riprendere il tuo posto alla Wakacorp e affrontare questo dubbio che ti assilla. Fuggire non ti servirà a niente, non è mai la soluzione.»

Julia spostò lo sguardo sui suoi tre amici, fissandoli negli occhi uno per volta: era consapevole del fatto che avessero ragione, doveva solo trovare il coraggio di compiere quel passo.

«Genzo a breve partirà per il ritiro con la Nazionale. – Karl sferrò l’ultimo attacco – Fallo per lui e per l’azienda. Lo so che ci tieni, e che vuoi assolvere al tuo compito in maniera ottimale.»

Capitolò. La dedizione verso la Wakabayashi Corp. Deutschland superava qualunque remora potesse avere: sospirò e annuì, mordicchiandosi il labbro superiore.

«Posso almeno finire la mia colazione?»

Quella semi-battuta smorzò la tensione, e il gruppetto cominciò ufficialmente il pasto.

 

Non aveva fatto in tempo a rientrare, la sera prima, che già aveva ricevuto pressioni da parte di Karl e Martha per presentarsi alla Wakacorp. Si rimirò nello specchio dell’ascensore, fasciata nel suo solito tailleur antracite, una semplice camicetta grigia chiara, scarpe col tacco in abbinato. Gli enormi occhiali da sole scuri schermavano i suoi occhi e le permettevano di guardarsi intorno.

Le porte della cabina si aprirono e si ritrovò davanti al bancone della reception.

«Buongiorno, Judith.» salutò, ostentando indifferenza, e dirigendosi velocemente verso il proprio ufficio.

«Buo… buongiorno Fräulein Wagner… – balbettò la receptionist, salvo poi riprendersi e correrle dietro – Ehm, le porto un caffè, o qualcosa, ha bisogno di…»

«Ho bisogno di non essere disturbata.» la liquidò, procedendo per la sua strada. La ragazza smise di seguirla.

«Come… vuole, Fräulein Wagner.»

Entrò nel suo ufficio e si chiuse direttamente la porta alle spalle, quindi vi si appoggiò ed emise un lungo e profondo sospiro. La prima parte era andata.

Avanzò verso la scrivania, quindi accese il pc, togliendosi la giacca del tailleur e appoggiandola allo schienale. Si guardò intorno, nulla era stato toccato, ogni singolo oggetto era ancora lì, al suo posto.

Mentre recuperava qualche informazione riguardante l’andamento aziendale durante la sua assenza, una voce nel corridoio la fece sobbalzare.

«Genzo…» mormorò. Le dita, che fino a quel momento stavano battendo sulla tastiera, ora erano ferme, fatto salvo un leggero tremore che le pervadeva. Concentrò tutta la sua attenzione su quei passi, quella voce: stava parlando di lavoro con qualcuno, era al telefono perché non udiva alcuna risposta. Il suo cuore si fermò quando il ragazzo passò davanti al suo ufficio, ma ovviamente non entrò. Lui non sapeva che era lì, neanche poteva immaginarlo.

Chiamò Judith e le disse di non disturbare né lei né Genzo, quindi si alzò e si diresse verso il suo ufficio: si affacciò alla porta e lo vide di spalle, intento a fissare il panorama, mentre continuava a parlare al telefono. Prese un profondo respiro, superò la soglia e chiuse la porta alle proprie spalle, incurante del rumore; il portiere si voltò e, non appena la vide, impallidì.

«Scusa, devo andare, ti richiamo io.»

Chiuse la comunicazione e abbassò la mano con cui teneva il Blackberry, senza distogliere lo sguardo dalle iridi nocciola della giovane.

«Julia…» avanzò di qualche passo, posando il dispositivo sulla scrivania.

«Ciao, Genzo…» la voce le tremava. Lui avanzò ancora, fino a pararsi davanti a lei: la fissava come se la vedesse solo allora per la prima volta, mentre lei, dal canto suo, si era persa nelle iridi scure del giovane.

Improvvisamente, forse memore del fatto che la manager era fuggita e nessuno aveva più saputo niente, Genzo si irrigidì e la trafisse con lo sguardo.

«Si può sapere che diamine è successo? Che cavolo ti è preso!»

Julia reagì di istinto, e attaccò a sua volta.

«Scusami, se ero sconvolta dalla morte di mia madre!»

«Non intendo quello, e lo sai bene! Parlo del fatto che sei sparita nel nulla, facendo preoccupare tutti! Che razza di atteggiamento è?»

«Avevo bisogno di stare da sola, per pensare. E riflettere.»

Lui accusò il colpo: riflettere?

«Vuoi andartene?» dritto al punto, come suo padre gli aveva insegnato.

«Forse… – mormorò lei – Potrebbe essere la cosa migliore per tutti.»

Il portiere mandò giù a fatica, Julia poté osservare la difficoltà con cui il suo pomo d’Adamo si alzava e abbassava per aiutare la deglutizione.

«Genzo… – si avvicinò a lui di qualche passo, per ristabilire un contatto – Sono… sono subentrate delle variabili che né io né te potevamo prevedere. Io…»

Martha entrò in quel momento nell’ufficio, dopo aver bussato una volta sola.

«Si può?»

«Vieni pure.» le accordò Genzo, senza distogliere lo sguardo da Julia, che ora fissava il pavimento.

La giovane si diresse subito verso l’amica e le passò un braccio intorno alle spalle.

«Di nuovo tutti insieme, eh?»

Si rese conto subito che l’atmosfera non era delle migliori, le facce dei due davanti a lei valevano più di mille parole. Il sorriso che le illuminava il volto, pian piano, svanì.

«Scusate, io… ho interrotto qualcosa?»

«No. – replicò Genzo, secco – Stavo dando il bentornato alla nostra Manager.»

«Grazie. – Julia alzò lo sguardo e lo puntò sul portiere – Ora torno nel mio ufficio, mi trovate lì.»

Girò sui tacchi e li lasciò lì: Martha passò lo sguardo dall’uno all’altra e scosse leggermente la testa. Non andava bene, non andava affatto bene.






Le idee che Julia si è fatta, alimentate anche dal suo dolore, e dal non essere completamente razionale in questo momento, vengono smontate dai suoi amici. La nostra Manager è quasi offesa del fatto che i suoi amici non le diano man forte, bensì le portino alla luce particolari che lei sembrava non aver minimamente preso in considerazione. 

Il rientro - quasi forzato - alla Wakacorp., è d'obbligo, così come l'incontro con Genzo... che però pare non aver preso bene tutta questa situazione, e sfoga la sua rabbia su di lei. 

Martha ha ragione: non va affatto bene... 

Vi aspetto mercoledì prossimo, sempre su queste frequenze ^^

Vi abbraccio 

Sakura 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


ET - Capitolo 1

 

 

«Si ignorano, Karl!»

Martha era esasperata dalla situazione: Genzo stava per partire, e lui e Julia non erano ancora riusciti ad avere una conversazione civile che non finisse a musi lunghi e occhiatacce.

«E continui a non sapere cosa si siano detti al rientro di Julia.»

La giovane scosse la testa.

«Nessuno dei due ne ha voluto parlare, lei si è limitata a fare spallucce, quando gliel’ho chiesto, e mi ha detto che non era importante.»

Il tedesco alzò un sopracciglio.

«Lo è, se ha minato i loro rapporti. Quando avete il CdA?»

«Domani… e temo così tanto l’intervento di Herr Hagner…»

«Non preoccuparti… – Karl le cinse le spalle con un braccio e la attirò a sé, facendola arrossire – Andrà bene, Julia sa gestire queste situazioni, lo sai.»

«Speriamo…»

Si stavano godendo il fresco dell’Englischer Garten, Karl amava molto quel luogo, e spesso lui e Martha vi si recavano, quando dovevano incontrarsi.

Il calciatore si ritrovò a riflettere che, nonostante uscisse già da un po’ con lei, ancora molti aspetti di Martha gli erano oscuri. Eppure stare insieme, passeggiare, condividere momenti, si era rivelato tutto molto naturale, senza forzature.

«Che ne dici di uscire a cena, domani, dopo il CdA?»

«Vuoi provare a portarli fuori e vedere come reagiscono?»

«No, in realtà… – si fermò, sorpreso dalla reazione della ragazza – Intendevo io e te. Sai, anch’io partirò per il ritiro e… non ci vedremo per un po’, così pensavo…»

Martha si portò le mani alla bocca e spalancò gli occhi.

«Dios mio Karl, scusami! Non ci avevo minimamente pensato! Che stupida che sono stata… certo che mi va di uscire a cena! Dove vuoi andare?»

«Ho in mente un posticino, ti passo a prendere io, poi ci mettiamo d’accordo per l’orario.»

«Ti chiamo appena finiamo.»

«D’accordo. Ora devo andare, vado a prendere Marie, le ho promesso di portarla a scegliere un vestito per il matrimonio di Heidi e Daniel. – si avvicinò a lei e le sollevò il mento con la mano – A domani…»

Le sfiorò le labbra con un casto bacio, quindi le fece l’occhiolino e si allontanò. Martha rimase lì, imbambolata.

«A domani…» rispose, quando ormai la schiena del ragazzo era uscita dal suo campo visivo.

 

L’assistente si tamponò nuovamente le mani con le salviette, dopo averle lavate: l’ansia per quell’incontro così importante si stava manifestando tutta. Osservò la sua immagine nello specchio del bagno, quindi inspirò profondamente, prima di esalare un lunghissimo respiro.

«Andrà tutto bene…» si disse, e cercò di ripeterselo come un mantra.

La porta si aprì, e Julia comparve alle sue spalle.

«Sei qui.» le disse solo, avvicinandosi a lei e fissandosi allo specchio per valutare la propria immagine.

«Sei pronta?» azzardò Martha, che ormai non sopportava più il mutismo dell’amica. Questa si limitò ad annuire, mentre con la punta del mignolo si sistemava un sopracciglio.

«Questi dannati capelli…» aggiunse poi, lisciandoli con una mano. Il caschetto creato da Uwe per sistemarle il taglio, ora le arrivava circa a metà del collo, e le punte le pizzicavano la zona.

Rimasero in silenzio, era come se qualcosa si fosse spezzato: Martha si rese conto di non avere più davanti a sé l’amica, bensì un’estranea. Quel pensiero la colpì talmente forte da farle pizzicare gli occhi per via delle lacrime, ma non era di certo quello il momento per cedere, doveva pensare all’azienda.

Sempre in silenzio, uscirono dal bagno e si diressero verso l’ufficio di Genzo, dove il ragazzo le aspettava per definire gli ultimi dettagli.

«Sei consapevole che potresti essere oggetto di attacchi?» chiese ad un tratto il portiere, alzando lo sguardo sulla Manager.

«Soprattutto da parte di Herr Hagner…» aggiunge Martha.

«Ovvio. – Julia rispose senza distogliere lo sguardo dal grafico che stava analizzando – D’altronde il CdA è stato convocato per questo, e non per altri motivi. Quindi cercheranno in tutti i modi di screditarmi. – chiuse la cartellina e la posò sulla scrivania, quindi si risolse ad alzare lo sguardo verso gli altri due – Ma sono pronta. Possono dirmi quello che vogliono, specie Herr Hagner: risponderò a tutte le loro domande senza mostrare alcun segnale di cedimento, né tentennamenti di sorta. Mia madre non c’è più, non ho più debolezze.»

Per qualche istante Julia e Genzo si fissarono: Martha trattenne il fiato, era il primo contatto visivo che i due si concedevano da quando lei era tornata. Sperò vivamente che quel gesto sbloccasse la situazione, che un po’ di armonia tornasse tra loro.

Judith bussò delicatamente alla porta e li convocò in sala riunioni.

«Herr Wakabayashi, i soci sono già arrivati, vi aspettano.»

Genzo annuì.

«Andiamo ragazze, è il nostro momento.»

 

La freddezza e la presenza con cui Julia affrontò la situazione colpirono molto Genzo, che la guardò ammirato e con una punta d’orgoglio. L’ultimo scoglio era Herr Hagner, che fino a quel momento si era tenuto in disparte.

«Fräulein Wagner… – mormorò, per attirare la sua attenzione – Come si sente?»

«Mai stata meglio.»

«Lo vedo. Non c’è traccia di dolore in lei.»

Julia sollevò un sopracciglio.

«Ho avuto modo di affrontare la mia perdita, Herr Hagner.»

L’uomo annuì e giunse le mani davanti al volto, con fare pensieroso, come se stesse cercando dentro di sé la risposta ai grandi quesiti sull’Universo.

«Eppure…»

«Eppure?» lo incalzò lei, rizzando la schiena.

«Eppure, la mia preoccupazione è un’altra.»

«Vada al punto, Herr Hagner. – tuonò Genzo, che iniziava a spazientirsi – Non abbiamo tutto il giorno.»

«Il punto è, Herr Wakabayashi, e tutti voi qui presenti, che con la sua assenza prolungata la qui presente Fräulein Wagner ha messo a repentaglio l’azienda, lasciandola scoperta. Nulla a togliere al figlio del nostro socio di maggioranza, o a Fräulein Gomez, che sicuramente ci mettono un grande impegno in quello che fanno, ma il ruolo di General Manager, che è stato vacante per anni, adesso è ricoperto da una persona che chiaramente non ha le carte in regola per quel tipo di lavoro. Non sto dicendo che non sia una persona capace, ma la sua instabilità è davanti agli occhi di tutti. So cosa vuol dire avere una persona cara ricoverata… – si portò teatralmente una mano sul cuore, mentre suo figlio abbassava lo sguardo – e sono consapevole che questo possa spostare l’asse delle priorità, come è giusto che sia.»

«Herr Hagner, – Julia lo interruppe con eleganza – apprezzo molto il suo discorso e l’enfasi con la quale si preoccupa per il mio stato di salute, è davvero ammirevole da parte sua, dopo i trascorsi burrascosi che abbiamo avuto, dal punto di vista lavorativo s’intende. – le labbra di Genzo si incurvarono nel suo caratteristico sorriso sghembo – Eppure le posso assicurare che la morte di mia madre, per quanto sia stata dolorosa, appartiene al passato. Ho avuto modo di elaborare il mio lutto grazie alla vostra benevolenza nel concedermi una lunga vacanza, dalla quale sono tornata temprata e rigenerata, e pronta per affrontare…»

Si interruppe quando, da un registratore che Chris Hagner aveva posato sul tavolo, partirono quelle che risultarono essere le voci concitate di Genzo e Martha.

 

«Mi cercavi? Sono passato a prendere dei documenti.»

«Entra.»

«Martha, mi stai spaventando.»

«Fai bene ad esserlo. Julia è scomparsa.»

«Ma che cazzo stai dicendo?»

«Mi ha chiamato Herr Wagner adesso: non ci sono più né vestiti né macchina. È fuggita chissà dove.»

 

«Lei ha piazzato una cimice nel mio ufficio? Ma come è permesso!!» tuonò Genzo, scattando in piedi e facendo rovinare la sedia a terra.

«Come io sia venuto in possesso di questa registrazione non ha importanza. Quello che vorrei che fosse chiaro a tutti i soci qui presenti, è che Fräulein Wagner è instabile psicologicamente, esattamente come lo era sua madre, per questo chiedo che venga allontanata dalla direzione generale dell’azienda, se non addirittura licenziata per il comportamento che ha tenuto!»

Tra i presenti nella sala si innalzò un chiacchiericcio sempre più concitato: c’era chi condivideva le parole dell’uomo, e chi invece si schierava con Julia. La giovane non si era mossa di un millimetro, continuava a fissare il registratore di Chris Hagner, come imbambolata. Attorno a lei il caos iniziava a regnare, ma lei non poteva far altro che pensare a quella registrazione. O meglio: alla reazione di Genzo. Lo conosceva abbastanza ormai, da intuire le sue emozioni dal tono della voce, e quello che aveva appena sentito era di certo un tono preoccupato. Genzo si era davvero preoccupato per lei. Si sentì una stronza di dimensioni colossali per quello che aveva fatto e per quello che gli stava nascondendo, ma decise che in quel momento la priorità era un’altra.

Improvvisamente alzò la testa e puntò lo sguardo su Herr Hagner: i suoi occhi erano infuocati. Si alzò in piedi e batté violentemente entrambi i palmi delle mani sul tavolo, attirando l’attenzione dei presenti, che si interruppero e si voltarono a guardarla.

«Io sapevo che lei era un uomo vile e senza scrupoli, disposto a qualunque cosa pur di ottenere un ritorno personale, ma mai mi sarei aspettata che sarebbe arrivato a tanto. – sibilò, non aveva nessun bisogno di alzare la voce – Negli ultimi anni, il suo lavoro è stato lento ma molto preciso, lavorava ai fianchi di Herr Wakabayashi per ottenere un ruolo di prestigio per suo figlio – pronunciò le ultime due parole con disprezzo – e un giorno magari ottenere la leadership dell’azienda, e cacciare Genzo, che non le è mai andato a genio. Ma Herr Wakabayashi non è uno sprovveduto, sa bene a chi affidare la sua compagnia, e così quando io ho ottenuto questo ruolo a cui lei ambiva, ha cercato in tutti i modi qualcosa per colpirmi, arrivando persino a scavare nel mio passato. Ha trovato mia madre, l’ha vessata, tartassata, torturata psicologicamente fino a spingerla al suicidio.» batté nuovamente le mani sul tavolo.

Günther Hagner scoppiò a ridere.

«Tutto ciò è ridicolo, non ha nessuna prova a riguardo.»

«Crede che io sia una sprovveduta? – stavolta Julia rideva beffarda – Ho ottenuto accesso ai registri della clinica, dove è chiaro che nell’ultimo periodo lei è andato a trovare sua moglie con cadenza bisettimanale, notevole per un uomo che per anni non ha degnato la sua consorte neanche di una visita, dico bene?»

«Impegni lavorativi mi tenevano impegnato, era mio figlio ad occuparsi delle cure.»

«Balle. Lei ha spinto mia madre al suicidio, sperando che questo mi mettesse fuori uso, per farmi fuori dall’azienda. Mi spiace per lei, ha fatto male i suoi calcoli.»

«La registrazione parla chiaro, Fräulein Wagner, lei è fuggita.»

«Fuggita in vacanza. – rispose lei, sorniona – Mio nonno non ha trovato il biglietto che gli avevo lasciato, era accidentalmente finito sotto alla credenza in salotto, può chiamarlo se vuole. Sa, si tratta di un uomo anziano, non ha più la lucidità di un tempo. Personalmente, mi sono già scusata con Genzo e Martha per il disguido, non a caso sono rientrata dalla Croazia subito, per poter partecipare a questa riunione e dissipare ogni dubbio.»

Il portiere fissò la ragazza ammirato: nemmeno se si fosse scervellato, sarebbe riuscito a trovare una soluzione di quel tipo. E pareva funzionare, dato che pian piano tutti i soci avevano ripreso i loro posti a sedere e la ascoltavano, qualcuno annuiva pure. Persino Martha era rimasta a bocca aperta: Julia aveva detto il vero, non si era fatta cogliere impreparata, e stava rendendo a Herr Hagner pan per focaccia.




Era abbastanza ovvio che Herr Hagner non avrebbe mollato il colpo, eppure Julia non ha mentito: non si è fatta trovare impreparata. Anzi. Ha ribattuto colpo su colpo e chissà, magari ha riacquistato un po' di quella credibilità che inevitabilmente aveva perso, sparendo dai radar della Wakacorp., e da quelli di Genzo. 

Certo è che se la carogna avesse un volto, sarebbe indubbiamente quello di Herr Hagner *ride* porello, che brutto ruolo che gli ho dato. D'altronde, quando questa ff è nata, Herr Hagner aveva un volto ben preciso, quello di un agente di commercio con cui collaboravo ai tempi, e vi assicuro che se l'ho preso a modello, un motivo c'era *ride* 

Ora dobbiamo solo aspettare e vedere chi l'avrà vinta, se il caro amministratore della Weisemann AG, o la nostra Julia, che sembra aver ripreso il pieno controllo del suo ruolo. 

Vi aspetto sempre su questi schermi

Un abbraccio 

Sakura chan 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


ET - Capitolo 1

 

 

Al buio del suo ufficio, con solo la lampada da tavolo accesa, Julia stava terminando la relazione riguardante il suo periodo di “ferie”. Il CdA si era concluso nel migliore dei modi per lei, ma le era stato comunque chiesto di mettere per iscritto le delucidazioni, quindi aveva deciso di riportare ciò che aveva già a grandi linee indicato durante la riunione. Quando finalmente riuscì a mettere il punto finale al dossier, un lungo sospiro uscì dalla sua bocca: sollevò la testa e cercò di muovere il collo, indolenzito dalla posizione assunta per tutto quel tempo, quindi stiracchiò le braccia sopra di sé. Controllò l'ora sul monitor del pc, era estremamente tardi. Salvò il file, spense il computer e si alzò per recuperare le sue cose e andare finalmente a casa. Stava per uscire dall'ufficio quando la porta si aprì.

«Julia?»

«Genzo! – sussultò per la sorpresa – Che ci fai qui?»

«C'è stato un calo di tensione e sono venuto a controllare che fosse tutto a posto, poi ho visto la luce accesa nel tuo ufficio e ho pensato che ci fosse qualcuno, sai... dopo la scena di Herr Hagner di oggi... La vigilanza non è passata?»

«Io non ho visto nessuno, ma di solito vengono verso mezzanotte. Mi spiace averti fatto preoccupare, avresti potuto chiamarmi...»

«Sì... avrei potuto...»

Un silenzio imbarazzante calò su di loro, consapevoli che se un tempo quella telefonata sarebbe stata scontata, adesso le cose erano diverse, cambiate per certi versi, o forse semplicemente si era interrotto quello che stavano lentamente costruendo.

«Credo… che andrò a casa, è stata una giornata lunga.»

«Ti accompagno giù.» annuì lui.

Percorsero il corridoio senza proferire verbo, diretti verso l'ascensore; una volta dentro, Genzo premette il pulsante dei garage sotterranei, e iniziò a fissare il soffitto con fare distratto.

«Allora... eri in Croazia...»

«Già...»

Improvvisamente la cabina frenò di colpo, facendoli sobbalzare: le luci si spensero e si attivò quella soffusa di emergenza. Dopo un attimo di smarrimento, finalmente il portiere aprì bocca.

«Non ci posso credere... un altro calo di tensione...» imprecò, estraendo il Blackberry dalla tasca.

«Il mio non funziona... non c'è campo. Sto provando a mandare un messaggio a Martha.»

«Com'è possibile?» domandò lui, scuotendo l'oggetto, come se shakerarlo potesse servire a qualcosa.

«Che facciamo?» Julia si passò una mano nei capelli, visibilmente preoccupata.

«Premiamo il pulsante di emergenza e speriamo che qualcuno risponda... ah ecco.»

«Assistenza, mi dica.»

«Salve, mi trovo bloccato in ascensore all'interno della Wakabayashi Corp. Deutschlands, siamo in due...»

«Un attimo solo... sì, vedo il problema. L'intera zona è colpita da un guasto, abbiamo già contattato la società elettrica, saremo da voi quanto prima ma abbiamo molti interventi da quelle parti. Probabilmente non saremo lì prima di... due ore.» calcolò.

«Due ore?! Ma stiamo scherzando!»

«Cercheremo di fare il possibile, ma come le dicevo, stiamo ricevendo centinaia di segnalazioni. Sembra che stasera siate tutti in ascensore.»

Genzo liquidò l'operatore, esortandolo a fare presto, quindi si voltò verso Julia.

«Mettiti comoda, ne avremo per un po'.»

La ragazza sbuffò, quindi si tolse la giacca del tailleur e la mise a terra, per poi togliersi anche le scarpe e sedersi a gambe incrociate. Appoggiò il gomito su un ginocchio e con la mano a pugno chiuso si puntellò sotto al mento.

«E io che già pregustavo un lungo bagno rilassante, dopo la giornata di oggi.»

«Sei stata molto brava a tener testa a Herr Hagner.»

Genzo si accomodò accanto a lei, alla sua destra, continuando a controllare il Blackberry di tanto in tanto, nella speranza di poter aver campo per telefonare a qualcuno che li tirasse fuori da lì prima delle due ore preventivate.

«Ero pronta a tutto, sapevo che avrebbe affrontato l'argomento, solo... non sapevo della registrazione.»

«Ho già parlato con la sicurezza, controlleranno l'edificio palmo a palmo alla ricerca di eventuali cimici o altro. Poi vedremo se denunciare quel verme oppure no.»

«Ho paura che possa ritorcersi contro di noi, in fondo non ha tutti i torti quando dice che ho avuto un pessimo atteggiamento... mi spiace averti fatto preoccupare...» aggiunse poi, con lo sguardo rivolto al pavimento.

Genzo la guardò, la fioca luce d'emergenza le illuminava il volto, che però rimaneva semi nascosto dai capelli. Allungò una mano per spostarle una ciocca e metterla dietro all'orecchio: lei sussultò al contatto, ma non sollevò lo sguardo, come se fosse intimidita.

«Il fatto è che... sono subentrate delle dinamiche, che...»

«Davvero vorresti andartene?» le domandò a bruciapelo. Lei non rispose, continuando a giochicchiare con la manica della giacca.

«Amo questa azienda… la amo davvero. Ma è probabile che, sì, io debba andarmene… per il bene di tutti.»

«Qui dentro inizia a fare davvero caldo…» mormorò lui, per deviare il discorso. Non capiva quale bene potesse derivare da un’eventuale partenza della giovane, anzi. Lui non voleva perderla, mai come in quel momento sentiva di volerla accanto, come collaboratrice in primis, ma anche…

«Vieni, ti aiuto ad arrotolare le maniche.»

«Stai scherzando? – esclamò lui, inorridendo – Così sembro quel tamarro di Hyuga!»

Ma le sue proteste si interruppero non appena il tocco delicato delle mani di Julia sfiorò il suo braccio, quindi cercò di mascherare l’imbarazzo voltandosi dall’altra parte. Non appena percepì che la ragazza si stava allontanando, però, sentì il bisogno di rinnovare quel contatto, così si voltò di scatto e la prese per un polso.

Occhi negli occhi, fu come se un fulmine li colpisse: era chiaro a entrambi che avevano valicato il limite della professionalità ed erano sfociati in qualcos’altro. Già dal bacio che si erano scambiati a casa di Julia, quando Genzo era corso da lei sotto alla pioggia, prima del collasso.

«Quanto tempo è passato?» le chiese, quasi leggendole nella mente.

«Non ne ho idea… tanto…»

«Troppo…» la avvicinò a sé, sempre tenendo gli occhi puntati nei suoi.

«Le cose sono… cambiate…»

«Non lo metto in dubbio… ma i sentimenti?»

Boy, you’re an alien

Your touch so foreign

«Qua… quali sentimenti?» balbettò lei, ormai completamente persa nelle iridi scure del portiere.

«Questi.»

It’s supernatural

Extraterrestrial

La baciò, e non si limitò a posare le proprie labbra su quelle morbide di lei. Ormai non gli bastava più. Da quando l’aveva baciata la prima volta, baciata veramente, non faceva altro che pensare a lei, alle sue labbra, alla sua pelle, al suo profumo…

Approfondì delicatamente, ma con passione, e mentre una mano era ferma sotto al suo mento, con l’altra la cinse e la attirò a sé, per sentirla più vicina. Julia si lasciò trascinare in quel vortice: nonostante il suo cervello continuasse a dirle di fermarsi, lei non riusciva a sottrarsi, non voleva sottrarsi a quel bacio. Si avvicinò a lui, alzandosi sulle ginocchia, e gli prese il volto tra le mani, per baciarlo ancora più intensamente. 

Un bagliore li colpì, le luci dell’ascensore si accesero di colpo, per poi spegnersi nuovamente, non prima di averli fatti rovinare sdraiati sul pavimento della cabina, sprofondata di un altro metro.

«Ma che diamine…» mormorò il portiere.

«Hanno provato a ridare corrente.»

Consapevole che quell’interruzione aveva rovinato la magia, Genzo tornò all’attacco per sondare il terreno.

«Vuoi parlarne?»

«Non saprei da dove iniziare.»

«Di solito si parte dal principio.» le sorrise.

Lei alzò un sopracciglio.

«Lo so, Genzo, ma non è così facile. Io…»

Di nuovo luce, sobbalzo, buio.

«La cosa sta diventando snervante. – il portiere si alzò in piedi e provò ad aprire le porte dell’ascensore, senza successo – Niente da fare, sono sigillate.»

«Moriremo qui dentro.» sospirò la ragazza, appoggiando la schiena alla parete e chiudendo gli occhi: i capelli le si erano incollati disordinatamente alla fronte a causa del caldo.

«Ne abbiamo passate tante, in questi pochi mesi. – Genzo non si arrendeva – Lo sai che puoi contare su di me per qualunque cosa. Ammetto che… quando Martha mi ha detto che eri sparita, mi sono sentito tradito.»

Ora Julia lo guardava incuriosita.

«Tradito?»

«Sì. – un sorriso imbarazzato comparve sulle sue labbra – Tradito perché non ti sei fidata di me.»

Julia sobbalzò, e stavolta non l’ascensore c’entrava. A quell’eventualità non aveva pensato, si era limitata a riflettere sulla sua condizione, sui suoi problemi, senza pensare che avrebbe potuto ferire qualcun altro. Era stata egoista.

«Non è questione di fiducia, è solo che avevo bisogno di stare sola.» si difese.

Genzo non rispose: voltò lo sguardo alla parete opposta e rimase in silenzio qualche secondo, come a riflettere sul da farsi.

«Karl è venuto a trovarti?»

«Karl è venuto a prendermi a calci in culo. – sorrise – Era abbastanza incazzato, quando è arrivato là.»

Il portiere sentì la solita morsa di gelosia che lo pervadeva ogni qualvolta Karl e Julia interagivano: perché nonostante il compagno di squadra gli avesse assicurato che tra lui e la Manager non ci fosse null’altro che una solida amicizia, lui non poteva fare a meno di invidiare quel rapporto elitario che i due avevano. Per contro, doveva ammettere che lui non aveva mosso un dito, quando aveva scoperto che la ragazza si trovava in Croazia, anzi, da orgoglioso quale era, si era inalberato e trincerato dietro le sue stupide posizioni. Scosse la testa, biasimandosi per l’atteggiamento.

Immersi nei propri pensieri, rimasero in silenzio per un periodo indefinito, durante il quale evitarono accuratamente di guardarsi. Fu quando si accorse che le formicolava una gamba che Julia decise di muoversi.

«Tutto bene?» le chiese allora, preoccupato.

«Sono un po’ indolenzita… e ho sete.»

Genzo riprovò ad aprire le porte della cabina, stavolta ci mise un po’ più di impegno, ma era chiaro che senza un qualunque oggetto a fare da perno, sarebbe stato impossibile: preso quindi dalla rabbia, lasciò cadere un pugno sul metallo.

«Ehi… – lo riprese lei – Ti farai male.»

«Tanto peggio di così…» ed era evidente che non si riferiva al male fisico.

Gli si avvicinò e prese la mano per controllare le nocche, che erano leggermente sbucciate.

«Queste sono preziose…» mormorò, alzando poi lo sguardo verso di lui.

Il pugno chiuso del portiere si trasformò in una carezza sulla guancia della Manager, che chiuse gli occhi per assaporare quel contatto, avvicinandosi di un altro passo. Cogliendo l’attimo, Genzo la attirò a sé e la abbracciò, facendo aderire la testolina ramata al suo petto; Julia non esitò e si tuffò in quell’abbraccio, nonostante il caldo che ormai si percepiva in quello spazio angusto.

«Gen! Julia!»

«Hai sentito?» esclamò il portiere, sciogliendo l’abbraccio e posando l’orecchio contro le porte dell’ascensore.

«Karl!» urlò la ragazza, posizionandosi accanto a lui.

«Sono qui, Karl, li sento! Julia!»

«Martha! Sono loro!» esclamò la Manager, con le lacrime agli occhi per la gioia.

«Karl, cerca qualcosa per fare perno sulle porte!»

«Ho portato la cassetta degli attrezzi! Adesso provo a forzare!»

«Aspetta! – esclamò Julia – Bisogna bloccare la cabina col freno di emergenza, altrimenti se ridanno la corrente rischiamo di farci male.»

«Vado io, so dove si trova! Torno subito!»

«Come avete fatto a trovarci?» Genzo lo chiese più come riempitivo che per reale curiosità. Era ben felice che al suo amico fosse venuto in mente di cercarlo.

«Martha ha ricevuto il messaggio da Julia, ma non riuscivamo a chiamare né lei né te, così siamo venuti qui. Tutto il quartiere è al buio

«Aspetta, vuoi dire che… eravate insieme?» domandò la ragazza, con aria maliziosa.

«Hai capito il Capitano, come passa la serata prima del ritiro?»

«Smettetela, o vi lascio lì.»

«Che brutto carattere, Schneider.» lo schernì il SGGK.

«Già, proprio un brutto carattere. Mi chiedo cosa ci veda la mia amica in te.»

«Vedo che stare lì dentro vi ha fatto bene, vi siete proprio ritrovati. L’ho sempre detto che siete fatti l’uno per l’altra.»

I due presi in causa arrossirono: Julia guardò il compagno di sventura di sottecchi. Chissà se davvero erano fatti per stare insieme.

«Ok, ho fatto! Adesso vi tiriamo fuori da lì!»

«Grazie, ragazzi.» mormorò Genzo, grato all’amico per il tempismo con cui aveva agito.




Ah,c e l'abbiamo fatta! Finalmente questi due si sono parlati - erano un po' obbligati, ma tant'è. 

Galeotto fu l'ascensore, che probabilmente ha aiutato i nostri due amici a riavvicinarsi un attimo, o per lo meno a cercare di siglare una tregua alle ostilità. 

Certo, Julia ha ancora quel fardello da portare, non riesce a fingere che vada tutto bene, e Genzo se n'è accorto, ma almeno adesso hanno compreso - si spera - quali sono i reciproci sentimenti!

Alla prossima! 

Bacioni 

Sakura chan 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


ET - Capitolo 1

 

 

«Quindi non avete più parlato, dopo l’episodio dell’ascensore?»

«Non c’è più stata occasione.»

«E cosa pensi di fare per la questione… – Martha si guardò intorno con aria cospiratoria, quindi si avvicinò all’amica e sussurrò il resto della frase – “paternità”?»

«Non lo so… forse avete ragione voi, forse dovrei richiedere il test… non lo so.»

«Perché non ne parli con Herr Wakabayashi? Lui può aiutarti… non credo che mentirebbe su una cosa del genere.»

«La penso come te, ma capisci che non è un argomento facile da affrontare. Non posso presentarmi da lui ed esporgli i miei dubbi… così.»

«In effetti…»

«Senti, ma con l’acquisizione è tutto a posto?»

Julia sviò così l’argomento da sé stessa, portandolo sulla situazione aziendale.

«Dopo la partenza di Herr Sanchez, abbiamo mandato avanti tutte le carte, i nostri avvocati stanno dialogando con i loro, si stanno muovendo un po’ a rilento, però direi che sia tutto a posto. Entro l’estate dovremmo essere in grado di ufficializzare il tutto.»

«Ottimo.» annuì la Manager, entrando nel proprio ufficio.

«Julia… questa cosa ti sta logorando, e si vede. Quanto sei dimagrita?»

«Cinque o sei chili, credo. Ho smesso di tenerne conto.»

«Non credi sia il caso di riprendere il controllo della tua vita?»

«Come se fosse facile…»

Martha si sedette di fronte a lei e le prese le mani tra le sue.

«Nessuno dice che lo sia, ma devi almeno provarci.»

Julia sospirò.

«E va bene, andrò dai Wakabayashi a parlarne. Promesso.»

La giovane si alzò, fece il giro della scrivania e si posizionò accanto a lei per abbracciarla.

«Andrà tutto bene, vedrai. Ti toglierai questo peso, e anche il dubbio, e ricomincerai ad essere felice. Soprattutto – si allontanò appena da lei – se ricomincerai ad avvicinarti a Genzo.»

«Martha!» esclamò, imbarazzata.

«Ah, andiamo! Karl ha ragione quando dice che siete fatti l’uno per l’altra. Permalosi al punto giusto, puntigliosi, precisini e…»

«Anche tu te la intendi molto, col Kaiser, ma io non sto a prenderti in giro. Non mi hai ancora detto come mai eravate a cena insieme, l’altra sera.»

«Invece te l’ho detto, voleva che ci vedessimo prima che partisse per il ritiro.»

«Ma vi siete mai baciati?»

«Julia!» stavolta fu lei ad esclamare per l’imbarazzo.

«Avanti. Confessa!» rise divertita.

«Ne parliamo stasera davanti a una birra, ti va? Andiamo a fare un giro in centro?»

«Hofbräuhaus?»

«Ci sto. – annuì la segretaria – Ci sentiamo per l’orario, adesso devo scappare.»

«Io vado dai Wakabayashi, togliamoci questo dubbio…» mormorò Julia, una volta rimasta sola.

 

La villa dei genitori di Genzo si trovava a Haidhausen, uno dei quartieri più belli ed eleganti della città. Ex quartiere industriale, era stato completamente ristrutturato durante gli anni Ottanta, diventando il fiore all’occhiello di Monaco, pieno di locali alla moda e piccole botteghe caratteristiche bavaresi.

Dopo essersi presentata all’ingresso, Julia venne fatta accomodare nel salotto barocco, che rispecchiava in pieno lo stile di quella zona della Germania.

«Julia cara. – Ochiyo le andò incontro con addosso una leggera vestaglia da camera – Che bello rivederti, fatti abbracciare. Mi fa così tanto piacere che tu sia passata, accomodati. Adelhilde, ci porti del tè per cortesia.»

«Subito, Frau Wakabayashi.» la domestica accennò un inchino, e sparì oltre la pesante porta in noce.

«Come ti senti?»

La giovane sospirò profondamente, e abbassò lo sguardo.

«È stata dura, è tuttora dura, ma sono cose che succedono e… in un certo senso, ero preparata all’eventualità.»

«Sciocchezze cara, senza l’ingerenza di quel vile di Herr Hagner, tua madre sarebbe ancora viva. Non puoi capire il disprezzo che provo per quell’essere.»

«Ha solo accelerato un processo che era inevitabile, non me la sento di addossargli tutte le colpe. Piuttosto, avete saputo del CdA?»

«Genzo ci ha raccontato tutto: la sicurezza non ha trovato nulla, quindi immaginiamo che abbia fatto sparire le cimici, ma prenderemo provvedimenti, metteremo dei marchingegni che possano fare da schermo, in modo che diventino inservibili. E staremo più attenti.» annuì la donna.

«Herr Wakabayashi come sta?»

«Che vuoi mai. – sospirò la donna – È stato un duro colpo. D’ora in poi dovrà prestare più attenzione di quanto non abbia fatto finora, e soprattutto col lavoro dovrà iniziare a delegare molto di più.»

«E Genzo?»

«Lo sai, noi vorremmo farlo subentrare, ma lui ha il calcio. Onestamente non vorrei neanche che adesso si sentisse in obbligo di prendere il suo posto in azienda per via dei problemi di salute di suo padre. È una situazione che va gestita con i guanti.»

«Sì, capisco bene…»

«Ti senti bene? Mi sembri preoccupata.»

«Ecco, io… c’è un motivo se sono passata. Non è per salutarvi, o per lo meno, non solo.»

Ochiyo annuì e si alzò.

«Vado a chiamare Ikemoto, così possiamo parlarne insieme.»

Il tycoon raggiunse in breve le due donne e, dopo i convenevoli iniziali, si sedette sul divano accanto alla moglie. Julia si era posizionata sulla poltrona di fronte a loro, separata dalla coppia solo dal tavolino basso su cui la domestica aveva appoggiato le porcellane orientali del servizio da tè.

«Potrà sembrarvi stupido, ma… ho bisogno del vostro aiuto.»

«Con noi puoi parlare liberamente, Julia, lo sai che ti vogliamo bene. Sei come una figlia.»

A quelle parole la ragazza strinse la tazza che teneva in grembo, il suo respiro accelerò.

«Quanto c’è di vero in questa frase?» domandò all’improvviso, alzando lo sguardo e posando gli occhi nocciola sui nipponici.

La coppia si scrutò per un attimo, poi fu Ikemoto a prendere la parola.

«Sapevo che prima o poi il tarlo del dubbio ti avrebbe divorato.»

«Non ho nessun tarlo, ho solo scoperto che mia nonna conosceva il mio padre biologico, e l’ha definito “l’imprenditore venuto da lontano”.»

«E tu sei convinta che sia io, dico bene?»

Julia annuì lievemente, anche se la sua convinzione stava vacillando.

«Per quanto io debba ammettere che sarei molto onorato, purtroppo non sono tuo padre, Julia. Lo stesso dubbio che hai avuto tu, l’ha avuto tua nonna più o meno un decennio fa, dopo aver letto un articolo su un giornale che parlava della mia azienda. – Ikemoto si sistemò meglio sul divano, mentre la moglie gli passava una tazza – Il motivo per cui io e Ochiyo abbiamo preso molto a cuore la tua causa, deriva semplicemente dal fatto che la tua storia ci toccò molto, ai tempi, così promettemmo a tua nonna che, se tu avessi mai accettato di venire a lavorare da noi, ci saremmo presi cura di te. Inoltre, nel corso degli anni, ti sei rivelata una collaboratrice perfetta, come se fossi nata per lavorare con noi. Ma dimmi… era per questo che pensavi di lasciarci?»

Julia avvampò a quella domanda, consapevole che Genzo ne avesse parlato con i genitori.

«Sì. – ammise candidamente – Credevo che sarebbe stata la soluzione migliore per tutti. Solo adesso mi rendo conto di quanto io sia stata stupida, avevano ragione i miei amici quando mi dicevano che non era possibile.»

«Se ti fa stare meglio, possiamo comunque effettuare un test. – intervenne Ochiyo – Così avrai la prova di ciò che diciamo. Conosciamo una clinica molto discreta, dove possiamo fare tutto.»

«Mi prendete per matta se vi chiedo di farlo?»

«Assolutamente no. È il modo migliore per dissipare qualunque dubbio.»

 

La raccolta del DNA, di per sé, non era stata traumatica: il legale dei Wakabayashi aveva espletato tutte le formalità, e ovviamente Ikemoto e sua moglie si erano fatti carico di tutta la spesa. L’affetto che provavano per lei era così elevato che, una volta rientrata in ufficio, Julia si era sentita in imbarazzo per aver abusato della loro bontà. Non erano tenuti a farlo, eppure per farla sentire a suo agio, avevano acconsentito a toglierle il dubbio. Seduta alla sua scrivania, si ritrovò a riflettere su quanto era stata fortunata ad incappare in quella famiglia. O meglio: a quanta fortuna aveva avuto grazie a sua nonna. Sorrise pensando alla donna che, con il suo solito piglio militaresco, si era presentata da Herr Wakabayashi per rivendicare la sua paternità.

Un leggero bussare alla sua porta la distolse dai suoi pensieri.

«Disturbo?»

«Mai.»

Martha entrò e si richiuse la porta alle spalle.

«Vieni a pranzo?»

«Sì, volentieri. – recuperò badge e Blackberry dalla scrivania e si alzò – Ecco perché mi brontolava lo stomaco.»

«Hai sentito Genzo?»

«Sì, ha già raggiunto i suoi compagni di squadra, in ritiro. Il volo è andato bene.»

«Tutto qui?» insinuò maliziosamente la ragazza, mettendosi in fila per il pranzo.

«Non parliamo di certe cose a voce, figurati se lo facciamo per telefono.» ammise candidamente Julia, scrutando il banco delle verdure.

«Ma non sarebbe stato meglio chiarirvi almeno prima della sua partenza? Così passerete più di un mese lontani…»

«E tu l’hai fatto con Karl?»

«Certo. Prima che qualcuno mi mandasse un messaggio per dirmi che era intrappolata in un ascensore, come neanche nei peggiori B-movie. Eravamo a cena insieme, se non te lo ricordi.» si pavoneggiò fintamente, prendendo il piatto che l’inserviente le stava ponendo.

«E…?»

«Abbiamo deciso di vivercela come viene. Senza aspettative.»

«E questa non ti sembra una condizione da B-movie?»

«Julia, che ti aspettavi? Che ci giurassimo amore eterno, ci sposassimo subito e andassimo a vivere insieme? Dobbiamo conoscerci. Sì, stiamo bene insieme, ma lui rimane comunque una celebrity, e io una semplice impiegata.»

«Ancora con questa storia. – appoggiò il vassoio sul tavolo che avevano scelto, e alzò gli occhi al cielo – Non dovresti sminuirti.»

«Hai idea di quanto sia famoso lui? No, dico, ne hai una vaga idea? L’altro giorno navigavo su internet e mi sono imbattuta in una pubblicità di un nuovo profumo, e indovina un po’ chi avevano scelto come testimonial?»

La risata sincera di Julia si elevò in contrasto con lo sguardo contrito di Martha, che iniziò a spostare avanti e indietro i broccoli nel piatto.

«È lavoro, puro e semplice lavoro. Anche tu, quando eri al centralino, sorridevi con chiunque entrasse, ma questo non stava a significare che ci provassi con loro.»

«Io però non sono affascinante come der Kaiser

«Smetti di farti paranoie inutili e, come vi siete detti, viviti il momento. Karl è una persona speciale, merita molto, e sono sicura che tu riuscirai a dargli ciò che gli serve.»

Iniziarono a mangiare in silenzio, ognuna rifletteva sulla propria situazione attuale, quando ad un tratto l’assistente alzò lo sguardo verso la manager e strinse gli occhi, come se stesse mettendo insieme pezzi di un puzzle immaginario, e le mancasse proprio quel tassello.

«Però la domanda mi sorge spontanea.»

«Quale?» Julia fissò l’amica, continuando a mangiare le verdure.

«Voi due sareste perfetti insieme… non ci avete mai pensato?»

«Per carità. – Julia sgranò gli occhi – Voglio molto bene a Karl, ma davvero tanto. Mi è stato vicino in un momento difficile, è stato prezioso, ma… non siamo compatibili.»

Martha si avvicinò all’amica con fare cospiratorio.

«Ne sei sicura?»

Julia si avvicinò a sua volta, e la fissò negli occhi.

«Ti giuro su quanto di più caro mi è rimasto, che non accamperò mai nessun diritto su di lui. Non provo sentimenti amorosi per Karl.»

Marta tornò in posizione eretta e si lisciò il mento, come se riflettesse.

«Voi due non me la contate giusta.» disse sorridendo, consapevole che l’amica non le avrebbe mai mentito.

«Lo conosco da talmente tanti anni che se avessi voluto intraprendere una relazione con lui, l’avrei già fatto, no?»

«D’accordo, d’accordo, mi hai convinto. – l’assistente rise a quell’ennesima stoccata – Anche perché sappi che, se lo conquisterò, non lo lascerò tanto facilmente.» aggiunse poi, assumendo una posa teatrale.

Risero entrambe, felici che finalmente la quiete stesse tornando su di loro.




Così Julia si decide a parlare coi Wakabayashi, che erano pronti e preparati a questa eventualità, e le mostrano uno scenario che lei non aveva nemmeno considerato. È stato un po' come se il suo ingresso alla Wakacorp. sia stato caldamente sponsorizzato dalla nonna, che le ha spianato la strada per entrare in azienda. 

In tutto questo, abbiamo un dettaglio su una relazione che è nata in sordina, ma che pare stia fiorendo in qualcosa di molto bello: Karl e Martha. 

Speriamo che pure questo sia di buon auspicio per Genzo e Julia.

Vi abbraccio forte 

Sakura 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


ET - Capitolo 1

 

 

Lasciò che il getto della doccia lo colpisse in testa, e che l’acqua scorresse lungo il suo corpo. L’allenamento era finito, ma avrebbe volentieri proseguito, anche da solo, pur di non pensare. Voleva stancarsi per poi crollare a letto esausto, e non rimuginare su ciò che l’avvocato gli aveva detto per telefono.

«Wakabayashi, sei dei nostri?»

La voce di Matsuyama lo riportò alla realtà: il giocatore lo stava fissando con aria interrogativa, così si limitò a un cenno.

«Sì, tutto ok. Solo un po’ stanco.»

«Ci hai dato dentro, oggi, in allenamento. – Taro si intromise nella discussione dalla doccia accanto alla sua – Tutto bene?»

«Certo, voglio solo essere al top della forma per il Mondiale.»

Mascherare le emozioni era quello a cui si era abituato sin da bambino. Nessuno doveva penetrare la sua corazza, nessuno poteva capire ciò che provava: in questo erano inclusi i suoi compagni di squadra, la cosiddetta Golden Generation, coloro che avevano portato il calcio giapponese a livelli stellari. Nonostante ormai li considerasse amici in tutto e per tutto, non riusciva ancora a lasciarsi andare e farsi vedere debole.

Non che in quel momento lo fosse. Solo non si capacitava delle parole che il suo avvocato gli aveva rivolto.

 

«Lo dico per Lei, Genzo. Se suo padre ha pagato questo test, significa che ha comunque qualcosa da nascondere. Se mi dà il permesso, posso indagare e vedere di che si tratta: un fratellastro che spunta adesso e pretende la sua fetta di torta, non è proprio il massimo per il titolo.»

«Lei crede davvero che mio padre sarebbe capace di una cosa simile?»

«Quello che credo io non ha importanza: la verità è che suo padre ha effettuato un test di paternità, in questa clinica esclusiva, premurandosi di tenerlo nascosto a tutti noi, tranne che a Herr Kohler. Direi che le conclusioni si traggono da sole.»

«D’accordo, Herr Meyer. – aveva acconsentito, dopo qualche minuto di riflessione – Indaghi, ma sempre nel massimo riserbo.»

«Sarà fatto.»

 

Suo padre aveva un altro figlio? In Germania? Come sarebbe cambiato l’asse aziendale, dopo questa scoperta? E soprattutto, come l’avrebbe presa sua madre?

Strinse i pugni cercando di calmarsi, non era detto che suo padre avesse davvero prole sparsa per il territorio, forse era solo un controllo per tenere a bada qualcuno che rivendicava qualcosa.

Si risolse a chiudere la doccia e, dopo aver indossato un asciugamano, si diresse verso il proprio armadietto.

«Wakabayashi. – Ishizaki attirò la sua attenzione – Ma la tua assistente… sai, no, quella bella… non è che verrà a fare il tifo per noi?»

«Sei sempre il solito! – Izawa lo colpì in testa con un buffetto – Se ti sentisse Yukari.»

«Già. – tuonò Jito – È questo il rispetto che hai per mia cugina?»

«Ma io lo dicevo per lui. – piagnucolò il difensore – Sai quanto potrebbero migliorare le sue prestazioni

«Julia ha un’azienda a cui pensare. – Genzo rispose freddamente – In mia assenza e con mio padre ancora convalescente, è tutto sulle sue spalle. – si caricò il borsone e si diresse verso l’uscita – E comunque, Ishizaki, non sei decisamente il suo tipo: a lei piacciono molto meno frignoni.»

«Fammi indovinare: le piacciono i tenebrosi con il cappellino?»

Il portiere non reagì, si limitò a voltare le spalle e alzare una mano, scacciando via l’ultima frase dell’amico.

Il trillo del Blackberry attirò la sua attenzione, e quando riconobbe il nome del suo avvocato, si affrettò a rispondere.

«Novità?»

«Non so quanto quello che sto per dirle cambierà le cose, Genzo.»

«In che senso?» si fermò di colpo, appoggiando il borsone a terra.

«Ho scoperto con chi ha effettuato il test suo padre. Test a cui era presente anche sua madre.»

«Herr Meyer, non mi faccia stare sulle spine, mi dica ciò che deve dirmi e facciamola finita.» sbottò spazientito. Morisaki, che stava passando accanto a lui in quel momento, lo guardò con aria interrogativa, ma lui minimizzò, così il compagno proseguì verso il pullman.

«Hanno effettuato il test con una ragazza. Questa ragazza è Julia Wagner.»

Genzo rimase sbigottito, e smise di ascoltare il legale: le parole rimbombarono nella sua testa, come una bomba esplosa in un ambiente protetto, con i pezzi di metallo che rimbalzano da parete a parete.

«Genzo, è ancora lì? Mi sta ascoltando?»

«Grazie, Herr Meyer, me ne occupo io.»

Terminò la comunicazione e si diresse verso il pullman, non prima di aver recuperato il borsone e averlo lanciato malamente nel portabagagli del veicolo. Salì a bordo con sguardo vacuo, tanto che i compagni si domandarono cosa potesse essere successo: avendolo sentito parlare in tedesco, avevano immaginato si trattasse di lavoro, così optarono per lasciarlo in pace, sapendo quanto la gestione della Wakabayashi Corp. fosse impegnativa.

 

«Hanno effettuato il test con una ragazza. Questa ragazza è Julia Wagner.»

 

Continuava a ripensare a quelle parole. Possibile? Possibile che Julia fosse davvero sua… sorella? Poteva essere una giustificazione per quel sentimento che era nato tra loro, quell’affetto reciproco che si erano scambiati? E quei baci… Kami, ho baciato mia sorella? pensò, sbigottito.

Piano piano, i tasselli tornavano tutti al loro posto: l’interesse dei genitori verso di lei, la sua fuga dopo il funerale, quei discorsi sull’andarsene del tutto dall’azienda.

«Genzo, siamo arrivati… – lo chiamò Morisaki – Dovresti… ecco… scendere dal pullman.»

«Sì, io… Yuzo, posso lasciarti il mio borsone? Ho bisogno di fare due passi per schiarirmi le idee.»

«C’entra la telefonata?»

«Sì, sai… questioni di lavoro, un po’ complicate…»

«Non ti preoccupare, ci penso io. Tu vai e cerca di recuperare un po’ di serenità. Ti ho visto parecchio sconvolto, poco fa.»

«Non sai quanto…» rispose lui, quando ormai l’amico era fuori dalla portata della sua voce.

 

«Che ti avevo detto?»

«Beh, io avevo bisogno di sbatterci la testa, contento?»

«Sarò contento solo quando smetterai di torturarti con paranoie inutili.»

Julia si sdraiò sul letto e alzò i piedi contro il muro dietro la testata.

«Sì, Karl, ho recepito il messaggio. Hai finito di bacchettarmi?»

Sentì chiaramente il Kaiser sorridere all’altro capo del telefono.

«Sì, ho finito. Ora che la questione si è risolta – parlavano vago per paura delle intercettazioni – credi che chiamerai qualcuno per sapere come sta? Domani inizia il percorso, gli farà bene sentirti.»

«Lo farò, promesso… buonanotte, Karl.»

Attese la risposta dell’amico e chiuse la conversazione, quindi distese le braccia sopra alla testa e fissò il soffitto. L’esito del test era negativo, non era figlia di Ikemoto Wakabayashi: questo significava che Genzo non era suo fratello. Il sospiro di sollievo che aveva esalato quando aveva letto il referto la diceva lunga sui sentimenti che nutriva per il ragazzo, dato che il primo pensiero era corso inevitabilmente a lui.

Riportò la mano destra di fronte al viso e scorse la rubrica per cercare il numero del portiere: non fece in tempo a premere il pulsante della chiamata che il display si illuminò,  mostrando la foto del soggetto in questione, che stava cercando di contattarla.

«Lo sai, stavo proprio per…»

«Ti ha dato di volta il cervello!?»

Si riscosse immediatamente e recuperò la posizione, sedendosi sul letto a gambe incrociate.

«Buonasera anche a te, Genzo. Qual buon vento?»

«Cosa credevi di fare, eh? Ti è sembrato corretto? Aspettare che io mi allontanassi per costringere mio padre ad effettuare un test di paternità… su quali basi, poi, eh?»

«Non mi sembra il caso di reagire così, ho avuto le mie ragioni per…»

«Balle, Julia: le tue ragioni sono tutte balle. Cosa speravi, di falsare il risultato per ottenere una fetta più ampia di torta?»

«Ma che stai dicendo? No, assolutamente, la Wakacorp. non c’entra proprio nulla con…»

«Allora spiegami cosa ti è passato per la testa! Porca puttana, Julia. Sono incazzato nero.»

«Se tu mi lasciassi il tempo di spiegare, invece che aggredirmi così… io credevo davvero che tuo padre fosse mio padre, ho trovato una lettera di mia nonna in cui parlava in maniera ambigua del mio genitore biologico, e… ho frainteso. – si rese conto solo in quel momento di quanto era stata stupida e ingenua – Tuo padre era perfettamente al corrente di tutto, e ha solo accettato di farmi togliere il dubbio. Non ci vedo niente di male.»

«Mio padre ha ben altro a cui pensare che le tue stupide paturnie.»

«Stupide paturnie? Ma come ti permetti! È facile per te parlare, proprio tu che sei cresciuto sapendo chi erano i tuoi genitori. Prova a metterti nei miei panni, per una volta!»

«Julia, qui non parliamo di me o di te. Stiamo dirigendo una grossa azienda, se non te ne sei accorta. Quindi, per favore, cerca di non uscire dai fottuti binari e fai il tuo lavoro, per tutti gli Dei!»

Non poteva credere alle sue orecchie. Genzo la stava rimproverando, e le stava riversando addosso tutto quello che era successo negli ultimi mesi. A lei, l’unica che gli era stata accanto in tutto.

«Sei proprio un ingrato, Wakabayashi. Con tutto quello che ho fatto per te e per la tua stupida azienda, adesso mi tratti così? Ah, ma non ti preoccupare: non uscirò più “dai binari”, non prenderò più iniziative fino al tuo ritorno, stai tranquillo.»

«Fanculo!»

«Fottiti!»

Si trattenne dallo scagliare il device contro al muro, ma non trattenne le lacrime che iniziarono a scorrere copiose sulle sue guance. Non poteva crederci… la reazione di Genzo le sembrava senza senso, non le aveva neppure dato il tempo di spiegargli come stavano le cose, l’aveva semplicemente aggredita, dando per scontate cose che non erano così come lui le pensava.

Strinse i pugni e si portò la mano che conteneva il Blackberry al volto: mordicchiò l’angolo del dispositivo, e pensò a come porre rimedio alla questione. Ma non vedeva via d’uscita, e soprattutto più ripensava alle parole del portiere, più la rabbia le ribolliva dentro e montava come una colata lavica pronta ad esplodere.

Dopo tutto quello che avevano passato insieme, quello che avevano condiviso, lui era saltato alle conclusioni, senza neanche stare ad ascoltarla, e l’aveva aggredita come se fosse l’ultima delle impiegate.

«E io, stupida, che credevo ci tenesse a me!» esclamò, dirigendosi verso il frigo. Aprì l’anta e ne controllò il contenuto, il suo sguardo si posò su una bottiglia di birra. La prese e la appoggiò malamente alla penisola.

«Dopo che sono stata la sua spalla per mesi, mesi! – cercò disordinatamente l’apribottiglie nel cassetto delle posate – Dopo che ha pianto davanti a me, davanti a questi occhi! Dopo che l’ho ascoltato, consigliato, coccolato…»

Baciato… le suggerì la coscienza, ma lei scacciò quel pensiero.

«Se è questo che vuole, questo avrà. Mi limiterò a fare lo stretto indispensabile, non esulerò più dal mio ruolo. Mai più.»

Bevve un lungo sorso della lager e deglutì rumorosamente. Romeo la guardava dal divano, muovendo leggermente la coda.

«Non ti ci mettere anche tu. – lo redarguì – So benissimo da sola di aver sbagliato tutto, nell’ultimo periodo. Ma questo trattamento, no, proprio non me lo meritavo.»

Di nuovo le lacrime presero il sopravvento, e caddero sul bancone della penisola della cucina. Pianse a lungo, consolata solo dalle fusa rumorose del felino.




Temo che a questo giro Julia sia stata leggermente sprovveduta, e il suo aver tenuto fuori Genzo da questa questione ha causato un enorme equivoco. O meglio: ha scatenato l'ira del portiere.

Io non me la sento di biasimarlo, credo che quando sei il figlio di Wakabayashi, e tuo padre ricopre quella posizione, le pensi un po' tutte, e arrivi a dubitare persino della tua Manager.

Probabilmente il tutto è solo una conseguenza della morte di Diete, che a sua volta è una conseguenza dell'assurdo comportamento di Herr Hagner: fatto sta che adesso i nostri due protagonisti si trovano a migliaia di chilometri di distanza, impegnati nei rispettivi ruoli, e sarà difficile trovare un punto d'incontro. 

Per la serie "MaiUnaGioia" XD

Vi abbraccio forte 

Sakura 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


ET - Capitolo 1

 

 

«Genzo e Karl ci hanno inviato i biglietti per la finale…» esordì Martha. La manager non distolse lo sguardo dallo schermo del pc, così la sua assistente la incalzò.

«Uno per me e uno per te, tribuna VIP.»

Nessuna risposta.

«La partita è domenica.»

«Ho già prenotato il volo. – Julia lo disse senza interrompere ciò che stava facendo, le dita si muovevano veloci sulla tastiera – Genzo mi ha mandato tre messaggi e Karl ne ha lasciati quattro in segreteria. Se sommiamo il tutto alle volte in cui avranno chiamato te…»

«Ci tengono… specialmente Genzo…»

«No. – Julia si alzò e prese la chiavetta per il caffè – Genzo ci tiene a far apparire solido il gruppo, e dato che attualmente, in sua assenza, siamo noi due a prendere le decisioni…»

Non finì la frase, ma non ce ne fu bisogno: Martha alzò gli occhi al cielo e la raggiunse al distributore automatico.

«Sei veramente cocciuta!»

«Perché? Sto facendo tutto quello che mi ha chiesto. Dirigo l’azienda in sua assenza seguendo le sue direttive, non mi permetto di “uscire dai binari”. – e mentre lo diceva, mimò le virgolette con le dita – E adesso vado pure a sorbirmi una noiosissima partita di calcio solo per dimostrare al mondo quanto sia solida e unita la Wakabayashi Corp. Deutschlands. Direi di essere un modello di lealtà lavorativa.»

«Hai dimenticato di dire che sei acida come uno yogurt scaduto.»

«Dettagli.» la liquidò tornando in ufficio. Si sedette sulla poltrona e ondeggiò leggermente a destra e a sinistra, come per cullarsi; soffiò sulla bevanda per raffreddarla prima di berla.

«Quindi Karl ti ha mandato il biglietto…»

Martha arrossì e distolse lo sguardo, cercando di concentrarsi sulla vetrinetta contenente alcuni animaletti di Swarovski di Frau Wakabayashi.

«Già…» mormorò.

«È una bella cosa.» asserì Julia, annuendo.

L’assistente non rispose, non voleva sbilanciarsi: preferiva godersi il momento e le piccole cose, come quel biglietto per la finale del Mondiale di Calcio.

Al contrario di Julia, lei moriva dalla voglia di vedere Giappone e Germania scontrarsi: non seguiva tanto il calcio a livello di club, preferiva le competizioni fra Nazionali, e nonostante le origini dominicane, si sentiva tedesca in tutto e per tutto.

«Quindi quando partiamo?»

Distolse l’attenzione da sé per riportarla al loro viaggio.

«Sto aspettando l’e-mail di conferma ma direi di partire sabato e rientrare martedì.»

«Lo stretto necessario, insomma.»

«Abbiamo da fare, qui.»

L’assistente annuì, capiva la necessità di non rimanere a lungo lontano da Monaco; nonostante ciò, una punta di delusione la colse.

«Puoi occuparti tu dell’albergo? Io vado dai Wakabayashi, mi hanno telefonato prima che tu arrivassi.»

«Ci penso io, tranquilla…»

 

Julia aveva preso posto accanto a Sanae, facendo poi accomodare Martha alla sua sinistra. Aveva salutato le W.A.G.S. nipponiche con un cenno del capo e un sorriso, e si era messa ad ammirare lo stadio: doveva ammettere che l’atmosfera che vi si respirava era carica di agonismo, l’aria era quasi elettrica.

Martha controllò l’orario.

«Manca poco.»

Le squadre fecero il loro ingresso in campo in quel momento, precedute dalle bandiere delle rispettive nazioni: lo stadio esplose in un boato, più di 90.000 persone iniziarono a gridare, il suono assordante delle vuvuzelas si innalzò al cielo, mentre la Coppa del Mondo faceva bella mostra di sé in mezzo al campo.

I giocatori, accompagnati dai bambini con la maglia gialla NO RACISM, si schierarono a centrocampo in un’unica linea, rivolti verso il pubblico. Lo speaker annunciò allora le due squadre e, dopo pochi minuti, lo stadio quasi si zittì per l’inno tedesco.

Mentre lo canticchiava a bassa voce, Julia gettò un occhio al maxischermo dove stavano inquadrando i vari giocatori della Germania, assorti e nervosi. Si voltò ad osservare Martha quando inquadrarono Karl, o meglio, der Kaiser. Era così diverso dentro e fuori dal campo, come due facce della stessa medaglia. Sorrise quando vide l’assistente arrossire lievemente sentendosi osservata.

«Ora tocca a te, sai?»

Le note dell’inno giapponese riempirono l’aria e le ragazze accanto a loro iniziarono a cantare all’unisono con i ragazzi della Nazionale. Inquadrarono Genzo, e Julia si accorse di aver trattenuto il respiro fino a quel momento: lui era lì, col cappellino calcato in testa, lo sguardo serio, concentrato, quasi come se si trovasse in un’altra dimensione.

L’inno finì, lei si riscosse dai suoi pensieri e fu avvolta nuovamente dai cori e dal terribile suono delle vuvuzelas.

«Ma sarà così per tutto il tempo?»

Martha annuì ridendo.

«Ho già mal di testa…» si lamentò quindi la manager, ma in realtà stava iniziando a divertirsi.

 

La prima mezz’ora scorse tranquilla, le due squadre si stavano studiando e le occasioni furono poche. Fu al 35’ che Schneider, spiazzando completamente Wakabayashi e la sua difesa, segnò un goal dal limite dell’area di rigore. Le due ragazze scattarono in piedi ed esultarono, fregandosene degli sguardi omicidi delle ragazze al loro fianco.

Si voltarono verso il tabellone per rivedere l’azione e notarono Karl lanciato di corsa verso le telecamere, seguito da alcuni compagni: appena arrivato di fronte all’inquadratura, si fermò, voltò lo sguardo alla sua sinistra, occhi al cielo, e con la mano destra prese ad arrotolarsi una ciocca di capelli da dietro l’orecchio, quindi tornò a fissare la telecamera e lanciò un bacio con la stessa mano.

Martha avvampò immediatamente, il riferimento a lei era fin troppo palese, dato che era un gesto che compiva meccanicamente quando si trovava in imbarazzo (e durante le prima uscite con lui, eccome se lo era!), e Julia si voltò verso di lei con aria sorniona.

«Hai ancora bisogno di conferme?»

«Mi manca l’aria…»

Si ricomposero e dopo essersi scusate con lo sguardo con Sanae e le altre per la reazione, si concentrarono di nuovo sul match.

Il primo tempo si concluse così sull’1 a 0, e le squadre si ritirarono negli spogliatoi per l’intervallo.

«Beh, quindi? Non è poi così male il calcio, vero?» chiese Martha alla manager, cercando di attirare l’attenzione del venditore ambulante che si aggirava sugli spalti.

«Mmh, non male… ammetto che pensavo di divertirmi molto meno.»

Estrasse il Blackberry dalla tasca e notò la lucina verde che indicava l’arrivo di un SMS.

GENZO W.

Spero che tu non abbia esultato…

Julia lanciò una rapida occhiata a Martha, quindi sorrise.

Eh sì, invece. Non hai sentito l’urlo?

La risposta non tardò ad arrivare.

Non piangere quando ci vedrai alzare la coppa.

Chiuse il dibattito con l’ultimo SMS.

Ti asciugherò le lacrime di delusione…

«Non ti avrà mica fatto delle domande di lavoro!?» esclamò Martha risiedendosi dopo aver acquistato due bottigliette d’acqua. Ne porse una a Julia che accettò di buon grado.

«No, voleva sapere per chi stessi tifando.» rispose sorridendo.

«Rischi il posto?» ironizzò l’assistente.

«Solo se la Germania vince.» e le fece l’occhiolino.

La partita ricominciò e loro tornarono a concentrarsi sul campo da calcio.

 

Ci furono un paio di occasioni sprecate per la Nazionale nipponica, il nervosismo iniziava ad aumentare. Fu al 10’ del secondo tempo che la situazione degenerò: Genzo commise un fallo su Kaltz e l’arbitro gli assegnò un rigore contro, oltre ad alzare cartellino giallo.

«Gli è andata bene – commentò Martha – con un fallo del genere poteva benissimo espellerlo.»

«Tanto lo para, non lo sai che lo chiamano Super Great Goal Keeper?»

«Che cosa? Non scherziamo! Se lo calcia Karl, non ci sono speranze per Genzo… con tutto il rispetto.»

«Scommettiamo?»

«Dieci euro, Fräulein Wagner?»

«Facciamo venti, Señorita Gomez.»

Il Kaiser si avvicinò al dischetto degli undici metri: i due compagni di club si squadrarono per qualche istante.

«Anzi, rendiamola più interessante. – Julia aveva uno sguardo malizioso – Se Genzo lo para, verrai al matrimonio di Heidi e Daniel come accompagnatrice di Karl.»

«Ah, è così? Allora se Karl segna, devi invitare il nostro capo a cena. Da soli, voi due.»

«Andata.»

Quando l’arbitro fischiò, Karl distolse lo sguardo, partì, calciò con tutta la forza che aveva in corpo… ma Genzo non solo intuì la direzione, riuscì anche a fermare il pallone, guadagnando così il vantaggio della rimessa.

«Oh, merda…» mormorò Martha.

«Te l’avevo detto.»

Sanae aveva esultato scattando in piedi, e Julia non poté fare a meno di notare quanto anche a lei facesse piacere, non tanto perché erano la Germania e il Giappone, bensì perché si trattava Genzo. Le telecamere del maxischermo inquadrarono il volto fiero e rilassato del SGGK, coperto dal suo berrettino verde della marca a tre bande. Sentì il cuore che ebbe quasi un sussulto quando vide le labbra che si piegavano in un sorrisetto soddisfatto.

L’azione ripartì, Genzo rilanciò lunghissimo e raggiunse Sawada, che saltando un avversario iniziò la sua discesa verso la porta tedesca. Martha iniziò a imprecare contro la difesa della propria Nazionale, allarmandosi: Sawada arrivò fino alla linea di fondo, dopo uno scambio di passaggi con Izawa, e crossò all’interno dell’area di rigore, dove erano letteralmente ammassati tutti i giocatori. Misaki saltò per colpire di testa, ma Müller fece lo stesso e respinse di pugno. Purtroppo per lui, Hyuga era attento e colpì la palla al volo, spedendola in rete.

«Oh no!»

«Non disperare Martha, siamo 1 a 1.»

«Sì, ma sai ora quelli come si lasciano innervosire? Il Kaiser rischia di perdere la concentrazione…»

Julia sghignazzò sentendola parlare così, ma cercò di non farsi notare. Il calcio da metà campo della Nazionale tedesca segnò la ripresa del gioco.

Alcuni scambi nervosi vennero intercettati da Ishizaki che, rinviando verso Misaki, rilanciò l’azione della squadra del Sol Levante. Vederli fu uno spettacolo per gli occhi: la coppia Misaki-Ozora si muoveva sul campo come se seguissero una corrente, una brezza che li portò dritti davanti alla porta di Müller che nulla poté contro il Twin Shot della Golden Combi. Era 2 a 1 per il Giappone.

«Maledizione!» sbuffò Martha, appoggiando il mento sui palmi delle mani rivolti verso l’alto. Julia le mise una mano sulla spalla a mo’ di consolazione.

«Quanto manca?»

«Cinque minuti…» sospirò l’assistente, controllando l’orologio.

Le vuvuzelas continuavano a riempire lo stadio con il loro suono, le tifoserie non si erano perse d’animo nemmeno per un istante, e anche ora continuavano a sostenere le rispettive Nazionali in quello che si prospettava essere lo sprint finale.

Fu l’azione dell’ultimo minuto a decidere le sorti del match; non fu completamente colpa di Schester, lui cercava solo il goal del pareggio. Schneider aveva crossato all’interno dell’area di rigore, dove c’era un po’ di parapiglia. Sia Franz che Genzo avevano saltato per prendere la palla: il portiere aveva avuto la meglio, riuscendo anche a bloccarla, ma nella discesa entrambi si erano sbilanciati, e Schester era finito addosso a Wakabayashi.

Si accorsero subito che c’era qualcosa che non andava, perché l’estremo difensore non si rialzava da terra.

«Cosa sarà successo?» chiese Martha, continuando a scrutare il campo. Julia iniziò ad innervosirsi, non vedeva nulla e non capiva; notò Schneider che si avvicinava a Genzo, ancora disteso a terra; vide Kaltz fare dei gestacci verso Schester; alla fine lo speaker annunciò la sostituzione di Wakabayashi con Ken Wakashimazu, e Genzo venne portato fuori in barella.

Alla vista dei paramedici Julia scattò in piedi: tutte le ragazze sedute accanto a lei notarono il suo nervosismo, ma solo Sanae si attentò a dirle qualcosa.

«È in buone mani…» le mormorò, posandole una mano sul braccio, al che Julia tornò a sedersi, cercando di nascondere la preoccupazione.

Il direttore di gara decretò la fine di lì a poco, e i giocatori giapponesi, seppure col pensiero al loro portiere, iniziarono a festeggiare la vittoria di quel Mondiale.

La General Manager della Wakabayashi Corp. Deutschlands estrasse il Blackberry dalla borsa e compose il numero di Genzo, senza risultato.

«È spento.» mormorò, più a sé stessa che alla sua assistente.

«Staranno verificando le sue condizioni…» osservò Martha. Julia annuì e volse lo sguardo al campo dove stavano avvenendo le premiazioni, senza però osservarle veramente.

 

Il cellulare le squillò mentre stavano uscendo dallo stadio, accalcate nella ressa.

«Karl?»

«Sto cercando di parlare con Genzo, ma i medici non mi fanno entrare. Dove siete?»

«Siamo all’uscita delle tribune. Hai un modo per farci entrare?»

«Ho sguinzagliato Kaltz e Müller, vi stanno cercando.»

«Karl… è grave?»

«Non lo so, Julia. Si teneva il ginocchio. Se fosse una frattura potrebbe giocarsi la Bundesliga, per lo meno il girone di andata.»

Martha le fece cenno di avvicinarsi: aveva individuato Hermann.

«Arriviamo!» chiuse la comunicazione col Kaiser e raggiunse i due giocatori.

«Siamo riusciti a convincere un responsabile della sicurezza che abbiamo bisogno di voi, ma dobbiamo passare inosservati: avete qualcosa della Wakacorp.?»

«Che diamine è successo?» lo interruppe Martha, mostrandogli i pass aziendali.

«Schester gli è atterrato su un ginocchio.» le rispose, facendo loro un cenno per seguirli.

«Potrebbe essere niente, – intervenne Müller – ma potrebbe anche essere molto.»

Il responsabile della sicurezza li lasciò rientrare, cercando di mascherare il nervosismo con la noncuranza: Kaltz lo ringraziò rifilandogli una sonora pacca sulla spalla. Percorsero i corridoi in silenzio, Julia sentiva il cuore batterle all’impazzata.

Raggiunsero Karl-Heinz che, a braccia conserte, fissava la porta dell’ambulatorio medico, ancora chiuso. Accanto a lui, Ozora si grattava la testa, visibilmente in ansia: al contrario del Kaiser, indossava ancora la maglietta e i pantaloncini da gara.

«Ancora nulla?» Kaltz si avvicinò al proprio capitano, che scosse la testa negativamente. Le due ragazze si avvicinarono a lui, che rimase impassibile, la mascella contratta per la tensione. Julia fece per dire qualcosa quando il suo Blackberry prese a suonare.

«È Herr Wakabayashi…» si giustificò prima di allontanarsi per rispondere.

Quando raggiunse nuovamente il gruppo, Genzo non era ancora uscito.

«Ha chiamato per sapere di lui?»

Julia annuì.

«Non riusciva a raggiungerlo telefonicamente e voleva sapere se c’erano novità. Gli ho promesso di farlo richiamare non appena…»

La porta si aprì: il portiere ne uscì in stampelle, sguardo basso, la visiera del berretto ben calcata sul volto. Ozora fu il primo ad avvicinarsi a lui: si scambiarono un paio di frasi in giapponese, dopodiché la stella del Barça si allontanò, verosimilmente per farsi la doccia. Ci furono alcuni istanti di silenzio, rotti solamente dal rumore dei tifosi all’esterno della struttura, ma quando Karl fece per parlare, Genzo lo anticipò.

«Ringrazia Schester da parte mia, Schneider.»

«Il tuo sarcasmo è fuori luogo. – intervenne Kaltz – Sai bene che Franz non aveva nessuna intenzione di infortunarti.»

Un sorriso beffardo comparve sul volto del SGGK.

«Il Werder Brema gli sarà grato per avermi tolto di mezzo per un po’.»

Fece qualche passo in avanti, dirigendosi verso lo spogliatoio della sua Nazionale, quando forse realizzò che Martha e Julia erano lì. Si voltò e alzò lo sguardo verso la Manager.

«Con che volo rientrate domani?»

Martha prese la parola, vedendo che l’amica non rispondeva.

«Lufthansa delle 19:05.»

«Cercatemi un posto sullo stesso volo, non vado in Giappone, la Federazione lo sa già. Julia, tutto chiaro?» aggiunse poi, notando il suo sguardo perso. Continuava a fissarlo, stringendo in mano il Blackberry. Una leggera gomitata dell’assistente la fece tornare coi piedi per terra.

«Quando accendi il cellulare – mormorò senza distogliere lo sguardo da lui – chiama tuo padre. Era preoccupato.»

Il ragazzo annuì, quindi si voltò per riprendere il suo percorso.

«Genzo…» lo chiamò Julia. Sapeva di avere la sua attenzione, sebbene non si fosse girato: vedeva i muscoli della schiena tesi. Si avvicinò di qualche passo, non sapeva esattamente cosa la spingesse a farlo, sentiva solo che voleva abbracciarlo, doveva abbracciarlo. Gli si parò davanti e questo lo costrinse a guardarla negli occhi, dove lesse la muta domanda.

«Ne parliamo a casa. – le sussurrò – Promesso…»

Lei desistette dai suoi propositi e annuì, lasciandogli percorrere la distanza che lo separava dagli spogliatoi e dai festeggiamenti.




E niente, ieri ci speravo, di riuscire a pubblicare, ma sono stata in casa tipo un'ora in tutto il giorno, mea culpa che non mi sono organizzata...

Personalmente adoro questo capitolo, perché FINALMENTE una partita di calcio: siamo in Captain Tsubasa, oppure no? 

Ovviamente non può mancare l'infortunio di Genzo (Sono perfettamente in linea con il sensei XD), che sicuramente altererà nuovamente gli equilibri. 

Lo so, non odiatemi. Manca poco, ancora pochi capitoli, si vede già la luce in fondo al tunnel *blink*

Vi abbraccio forte

Sakura 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


ET - Capitolo 1

 

 

 

Le stavano ricrescendo i capelli. Il giorno prima l’aveva notato, ma era troppo concentrato sul suo maledetto ginocchio per poterle dire qualunque cosa. La osservò, seduta accanto a lui, intenta a leggere una rivista. Aveva sempre avuto gli zigomi così sporgenti? Il viso gli pareva più scarno. Julia notò il suo sguardo quasi inquisitore, ma non disse nulla: si voltò verso il finestrino per osservare il panorama.

«Abbiamo preparato un resoconto dettagliato. – Martha cercò di avviare la conversazione parlando di lavoro – Contiene tutti i dettagli dell’ultimo mese.»

Genzo annuì e sospirò.

«Dopo la visita col medico del Bayern saprò quanto tempo avrò da dedicare al lavoro. Molto, temo.»

Julia abbassò lo sguardo e lo puntò sul tutore che si intravedeva dalla tuta della Nazionale Giapponese. Lo risollevò e si trovò di fronte le iridi ebano del portiere.

«Andrà bene.» si limitò a dire, prima di isolarsi di nuovo nel suo mondo. Genzo rivolse uno sguardo interrogativo a Martha, che gli fece spallucce, e mormorò un “Lo sai bene cos’ha…” cercando di non farsi sentire dalla diretta interessata.

Arrivati a Monaco, il portiere diede appuntamento alle due donne per la mattina seguente, prima di salire sull’auto mandata dal padre per recuperarlo.

«Ti passo a prendere io, domattina. – esordì Martha prima di scendere dal taxi che portava lei e Julia a casa – Così ti riposi.»

La manager annuì ringraziandola, quindi diede al tassista il proprio indirizzo: una doccia e una bella dormita erano quello che le ci voleva per recuperare un po’ di lume della ragione. Era partita per il Sudafrica con l’idea di fare l’offesa e farla pagare a Genzo per il trattamento che le aveva riservato durante la telefonata prima dell’inizio dei Mondiali, e si era ritrovata a guardarlo con sguardo trasognato e gli occhi da cerbiatto quando era uscito dallo studio medico, dopo l’infortunio.

«Stupida Julia…» mormorò, dandosi un colpetto sulla fronte.

 

Il responso medico non fu neanche eccessivamente nefasto: si trattava di una lesione del legamento collaterale mediale, guaribile in otto settimane al massimo.

Dopo aver maledetto Schester per l’ennesima volta, Genzo si lasciò andare di peso sul retro della limousine di famiglia che da quel momento avrebbe dovuto usare.

«Siegfried, mi porti alla Wakacorp., per cortesia.»

«Subito, Signore.»

Cercò di mascherare rabbia e delusione, quella mattina doveva mostrarsi al top, e soprattutto non voleva che i suoi problemi col calcio influissero sull’umore delle sue collaboratrici.

Inevitabilmente, mentre attraversava la capitale bavarese, il suo pensiero corse a Julia. Dalla discussione avuta per telefono, si erano limitati a scambiarsi sterili messaggi scritti, ai quali lei rispondeva con freddezza. Non che la biasimasse, si era dato del cretino per giorni, per l’atteggiamento avuto: ma ormai era successo, e non poteva più tornare indietro. Telefonarle nuovamente gli era sembrata una pessima idea, aveva deciso di parlarle di persona, ma… quando se l’era trovata davanti, non era riuscito a dire nulla, se non quelle poche frasi inerenti al loro rientro, o al lavoro. Come un adolescente alle prese con la prima cotta.

Si riscosse dai suoi pensieri quando Siegfried lo chiamò per chiedergli se necessitasse del suo aiuto per raggiungere l’ingresso.

«No, grazie. Vada pure a casa, La chiamo io quando ho finito.»

Aiutandosi con le stampelle, raggiunse le porte scorrevoli dell’edificio, e quando queste si aprirono si avvicinò alla reception.

«Buongiorno, Judith.»

«Buongiorno, Herr Wakabayashi! – rispose lei con un po’ troppo entusiasmo – Complimenti per la vittoria del Mondiale!»

«Ah, grazie, Judith. Martha e Julia sono già arrivate?»

«Sono in sala mensa a fare colazione.»

Con un cenno si congedò da lei e si diresse verso la mensa.

Non appena vi entrò, tutti i presenti si alzarono e iniziarono ad applaudirlo: alcuni gli si avvicinarono, gli fecero i complimenti per la vittoria e si preoccuparono per il suo infortunio.

La sirena della mensa annunciò la fine della pausa e ordinatamente i presenti si recarono alle proprie scrivanie.

Martha e Julia lo raggiunsero e rimasero a osservarlo in silenzio.

«Ne avrò per un paio di mesi circa, ma non dovrebbero esserci conseguenze gravi.»

«Beh, tutto sommato è andata bene…»

«Sarebbe stato meglio se non fosse successo. – rispose lui, piccato, all’affermazione di Martha – Però, sì, poteva andare peggio.»

«Coraggio. – Julia lo oltrepassò – Andiamo, ti mostriamo il resoconto dell’ultimo mese.»

Senza indugiare oltre, si diresse verso l’ufficio di Genzo, dove avevano predisposto tutto per aggiornare il ragazzo.

«È ancora arrabbiata?» chiese a Martha, tenendosi a debita distanza dalla manager.

«E me lo chiedi? Hai avuto un comportamento orribile, lasciatelo dire.»

«Ehi, sono il tuo capo. Portami rispetto.»

«Ti sto parlando da amica.» lo redarguì lei, per poi superarlo e raggiungere Julia.

Genzo sospirò: se lo meritava, era stato proprio un cretino.

Passarono le successive due ore ad analizzare grafici e bilanci, Julia era impeccabile nel suo ruolo, e Genzo si trovò ad osservarla rapito più di una volta. Fasciata da un paio di pantaloni neri, e una semplice camicetta a maniche corte lilla, si muoveva avanti e indietro per l’ufficio, indicando qua e là sulla parete su cui proiettavano le slides, i vari punti che stava elencando.

«… di conseguenza, non appena sarai pronto, potremo indire la conferenza stampa per l’acquisizione del Grupo-SCH, e vedremo la reazione dei mercati. In base a quello, valuteremo come muoverci nel quarto trimestre dell’anno.»

Si diresse verso la scrivania e si riempì un bicchiere d’acqua, per poi berlo tutto d’un fiato: il portiere seguì ogni mossa.

«Adesso tu dovresti dirci come siamo andate…» Martha lo riportò coi piedi per terra.

«Ahem, sì. Dunque. Tutto molto bello, ma non abbiamo parlato di un punto cruciale. Weisemann AG.»

«Che c’entra la ditta di Herr Hagner?» domandò Julia, sedendosi di fronte a lui.

«Non possiamo trascurare il suo atteggiamento, non ho ancora digerito che abbia fatto spiare me e Martha per ottenere informazioni riguardanti la tua assenza. Ho parlato con mio padre e, sebbene lui abbia mosso qualche riserva, sono convinto a convocare un Consiglio di Amministrazione per rivedere la sua posizione di socio all’interno dell’azienda. È chiaro che la sua fiducia nei nostri confronti è venuta a mancare, quindi cosa lo trattiene ancora all’interno della Wakacorp.?»

«Forse i soldi che guadagna?» Martha non si preoccupò di celare il sarcasmo.

«Voi due siete diventate abbastanza presuntuose, in mia assenza. – la rimbeccò Genzo, che mai comunque avrebbe ricoperto il ruolo di capo rompiscatole – Cos’è questo atteggiamento?»

«Chiedo scusa, capo, ma io quello lì non lo tollero. Non dopo quello che ha fatto a Julia. E non dovresti tollerarlo neanche tu, lei è il tuo braccio destro, o sbaglio?» si voltò verso l’amica per chiedere man forte.

«Io lascerei che Herr Hagner se ne stia rinchiuso nella sua Ulm a leccarsi le ferite per la pessima figura fatta all’ultimo CdA. Mi focalizzerei piuttosto sull’immagine da dare. Guardate qua.»

Passò loro un foglio A4, su carta intestata di un famoso studio fotografico bavarese.

«Sarebbe?»

«Sono dei reporter che lavorano per l’Handelsblatt(1). Chiedono la nostra disponibilità per un servizio sulla Wakabayashi Corp. Deutschland.»

«Uuh. – esclamò Martha, con interesse – Potremmo sfruttare la cosa a nostro favore!»

«È quello che ho pensato. Potrebbe essere interessante far vedere come sono cambiate le cose dopo il malore di Herr Wakabayashi.»

«Dobbiamo stare attenti a ciò che diremo. – osservò Genzo – Ne hai parlato con i miei?»

Julia annuì.

«Prima di venire in Sudafrica. Sono stati loro a farmi presente questa cosa, il caporedattore ha chiamato direttamente tuo padre per la disponibilità, e lui gli ha girato i miei contatti. Spero che questo non ti indisponga.»

Genzo accolse la stoccata e finse di non subirne il colpo, continuando a leggere il foglio.

«D’accordo, convocali e vediamo che dicono. Sfruttiamo l’occasione.»

«Carpe diem!» esclamò l’assistente.

 

Karl oltrepassò le porte scorrevoli della Wakacorp. e salutò cordialmente la receptionist, che lo fissò a bocca aperta.

«Buon… buongiorno…»

«Buongiorno a lei. – si appoggiò al bancone e tolse gli occhiali da sole – Genzo è in ufficio?»

«S…sì… vuo… vuole che la annunci?»

«Nah. – inforcò nuovamente gli occhiali scuri, non prima di aver fatto l’occhiolino alla giovane – Gli farò una sorpresa, non si scandalizzerà.»

Percorse il lungo corridoio canticchiando una canzone: superò la porta chiusa dell’ufficio di Julia, e si diresse a quella dell’ufficio del portiere. Bussò e, senza aspettare risposta, aprì e mise dentro la testa.

«Posso? O sei impegnato in qualcosa di sconcio?»

«Karl! Entra pure. – lo fece accomodare, senza alzarsi – Non dovevi partire?»

«Sì, tra qualche giorno. Volevo vedere come stavi.»

Il portiere alzò la gamba e posizionò il piede sulla cassettiera accanto a lui, per poi sollevare la tuta e mostrare al compagno di squadra la ginocchiera.

«Dolore non ne sento molto, mi hanno dato degli antidolorifici. La menata è che devo tenerlo immobilizzato e sforzarlo il meno possibile, quindi sono l’uomo stampella.»

«Cos’è, un nuovo supereroe?» lo canzonò l’altro. Genzo sorrise beffardo, poi chiamò Judith con l’interfono per farsi portare due caffè.

«C’è poco da stare allegri. Passerò le vacanze a fare terapia riabilitativa per essere pronto per l’inizio del campionato.»

«Ce la farai?»

«Hanno parlato di 6/8 settimane, in quanto si tratta di una lesione medio-grave, fortuna non c’è stato bisogno di operare.»

«Siamo a fine luglio, Gen. Le prime partite le salterai inevitabilmente.» 

Il portiere sbuffò, odiava stare fermo e osservare gli altri giocare; d’altronde il suo capitano aveva ragione, anche con tutte le buone intenzioni, prima di metà settembre non sarebbe stato operativo.

«Cercate di non fare troppi danni, prima del mio rientro.»

«Oh, tranquillo, ce la caveremo. Senti… – aggiunse, dopo qualche secondo di silenzio – Sei riuscito a parlare con Julia?»

«È partita per l’addio al nubilato di Heidi, non so cos’abbia organizzato perché, ovviamente, non mi parla.»

«E ti meravigli?»

«Karl, lo so di essere stato uno stronzo, non c’è bisogno che tu e Martha me lo ricordiate a ogni minima frase che dico. L’hai addestrata bene, la ragazza.»

Il Kaiser rise di gusto all’osservazione del portiere.

«Ti stupiresti se sapessi quanto ne abbiamo parlato. Non siete al centro dei nostri pensieri, quando siamo soli.» ammiccò.

«Non si direbbe, la mia assistente non perde occasione per lanciarmi stoccate che neanche Valentina Vezzali all’Olimpiade.»

«Ah, noto che passi le tue serate sui canali di sport.»

«E che dovrei fare? Non ho molta libertà di movimento.»

«Sarò buono, al ritorno dall’addio al celibato, verrò a farti compagnia… Cambiando un attimo discorso, a settembre allora Marie può fare lo stage?»

«Certo, nessun problema. Mi sono già messo d’accordo con l’ufficio personale.»

«Ottimo, grazie. Ti devo un favore.»

«Davvero? Interessante.»

Karl si accorse troppo tardi di ciò che aveva detto, e si batté la fronte col palmo della mano.

«Dai Gen, sono cose che si dicono.»

«Sì, sì, come no. Parlerai a Julia?»

«Grande e grosso, e hai paura a parlare con uno scricciolo come lei?»

«Dovresti vedere le occhiate che mi lancia… impaurirebbero chiunque.»

«Sono sicuro che te la caverai alla grande. Aspetta che torni, sarà rilassata e pronta ad affrontarti. Magari… che ne so, invitala a cena. Un bel posto, magari stellato. Te lo puoi permettere, Wakabayashi!»

Genzo non rispose, si limitò a picchiettare la penna sulla scrivania in mogano. Judith portò i caffè richiesti e li posò sul ripiano, insieme a un paio di bicchieri d’acqua.

«Se serve altro…»

Vedendo che il portiere non rispondeva, Karl si voltò verso la centralinista.

«Va bene così, grazie.»

Si servì da solo, e lasciò l’amico in preda alle sue riflessioni. Quando passò un tempo che ritenne giusto, tornò all’attacco.

«Sei tanto deciso sul campo, quanto imbarazzato con le donne. Non ti ho mai visto così.»

«Forse perché ci sono dinamiche un pochino complicate, Karl. Qui non si tratta di una donna qualsiasi…»

«Su questo siamo d’accordo.»

«Intendo dire che io e lei lavoriamo gomito a gomito. Anche se mio padre rientrerà, non sarà più in grado di seguire ciò di cui si occupava prima, quindi io e lei ci dovremo dividere i compiti. Non posso permettermi di rovinare il rapporto.»

«Più di così?»

«E che cazzo, Schneider, ma ti diverti?»

«Un po’, devo ammetterlo. Ma non è solo questo: stiamo parlando di due dei miei migliori amici, le cose devono funzionare, o ci finirò di mezzo io.»

«Il solito egoista.» ironizzò il portiere, ben sapendo quanto il Kaiser ci tenesse a loro due.

«Fammi questo favore: quando torna, chiamala. Non aspettare di vederla in ufficio.»

Genzo non rispose, si limitò ad osservare il caffè che aveva in mano, come se potesse leggere il suo futuro nella bevanda scura. 

 

1 quotidiano tedesco di economia e finanza




 

Sono stata più brava del Taka nel gestire l'infortunio di Genzo, questo è sicuro! Alla fine in un paio di mesi sarà di nuovo operativo sul campo, quindi YEAH, avrà il tempo di parlare con Julia. *allelujah che si alzano nell'aria*

Nel frattempo, oltre alle strategie Schneideriane per recuperare rapporti compromessi, vediamo il team direttivo della Wakacorp che torna a bomba e si concentra sul futuro dell'azienda. L'atteggiamento di Julia fa ben sperare in una ripresa del controllo e del mantenimento dell'atteggiamento che le ha permesso di diventare quella che è, all'interno dell'azienda. Ora vediamo come gestiranno quelli dell'Handelsblatt, dovranno essere bravi a mantenere tutto entro certi limiti. 

Vi abbraccio forte, ormai siamo quasi alla fine, si intravede la lucina in fondo al tunnel ^^ 

Un bacione

Sakura 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


ET - Capitolo 1

 

La sala riunioni era stata adibita a set fotografico: il reporter capo stava dando istruzioni ai suoi assistenti su come muoversi, dato che avrebbero scattato foto anche durante l’intervista.

Julia stava parlando col caporedattore, quando Martha li raggiunse.

«Genzo si scusa per il ritardo, sarà qui a momenti.»

«Nessun problema. – l’uomo sorrise – Capiamo quanto sia difficile far conciliare i vari impegni che ha.»

«Si sta occupando della fisioterapia, sa, dopo l’infortunio al Mondiale.»

«Ah, sì, brutto affare: però non è stato così grave come appariva in un primo momento.»

«Per fortuna no, ma parliamo comunque di un fermo di circa due mesi, e lei sa quanto sia importante per i calciatori recuperare la forma fisica nel più breve tempo possibile.»

«Assolutamente, Fräulein Wagner. Vuole che intanto iniziamo con lei?»

«Nessun problema.»

Si accomodarono nelle sedie predisposte per le interviste, non prima che una premurosa make-up artist ritoccasse il volto di Julia con della cipria, per evitare che il lucido uscisse nelle foto.

«Allora, Fräulein Wagner, lei lavora alla Wakabayashi Corp. Deutschlands da otto anni, se non sbaglio.»

«Proprio così, sono approdata qui a diciannove anni, e ho iniziato la carriera occupandomi dei piccoli impegni di Herr Wakabayashi, fino a diventare praticamente la sua agenda umana.»

Il reporter rise della definizione.

«Beh, immagino che il famoso tycoon debba aver riposto molta fiducia in lei, per arrivare a proporle addirittura il posto di General Manager.»

«Credo di essermi meritata tutto quello che ho guadagnato, ho sempre lavorato con umiltà e dedizione, e considero questa azienda come una seconda casa.»

«Abbiamo saputo del recente lutto che l’ha colpita.»

«Sì, purtroppo ho subito una grossa perdita, di cui preferirei non parlare. Vorrei solo ringraziare ancora la Proprietà per avermi permesso di affrontare il dolore, dandomi tutto il tempo di cui avevo bisogno.»

«Quindi si può quasi dire che lei sia una figlia, per Ikemoto Wakabayashi.»

Julia sussultò: fortunatamente in quel momento Genzo entrò nella sala, e il reporter parve non accorgersi della sua défaillance. Si ricompose e cercò mentalmente le parole più adatte da usare.

«Chiedo scusa per il ritardo.»

«Non si preoccupi, Manager e Assistente hanno svolto il loro compito in maniera eccelsa.»

Genzo si accomodò accanto a Julia, dopo aver appoggiato le stampelle al muro, fuori dalla portata degli obiettivi; Martha si posizionò alla sua destra.

«Stavamo appunto dicendo che, per Julia Wagner, voi siete come una famiglia.»

«Beh, è un onore sentire queste parole. – si voltò verso di lei e le sorrise teatralmente – Noi siamo molto felici di avere sia lei che Fräulein Gomez nel nostro team, sono figure importante di cui ormai non possiamo più fare a meno.»

«Ecco, le va di raccontarci com’è cambiato l’assetto finanziario dopo il malore che ha colpito suo padre?»

«Come è naturale che sia, ho preso il suo posto, anche se ovviamente tutti speriamo che lui possa presto tornare qui, la sua scrivania lo attende. – ammiccò – Del resto, una grossa azienda come la nostra ha bisogno di essere guidata, di conseguenza non potevamo più aspettare ad affidare il ruolo di General Manager che, come saprà, era vacante da una decina di anni. Una volta ripresosi, è stato mio padre a proporre Julia per ricoprire quella posizione, mentre mia madre ha caldamente sponsorizzato Martha come Personal Assistant. Possiamo affermare che entrambi i ruoli sono stati dati dalla Direzione, a persone fidate che, nel corso degli anni, ci hanno dimostrato affidabilità e competenza.»

«Fräulein Gomez, la promozione è stata un po’ una sorpresa per lei.»

«Non mi aspettavo di ricevere un tale riconoscimento da parte dei signori Wakabayashi. È stato un vero onore ma, come può ben immaginare, anche un notevole carico di responsabilità. Ho avuto la fortuna di avere al mio fianco la persona che aveva precedentemente ricoperto la posizione, che ha potuto fornirmi tanti spunti su come migliorare, ha decisamente aiutato la mia crescita professionale.»

«Ecco, Genzo, io ora mi concentrerei su come si muove lei per conciliare la Sua brillante carriera di portiere, con la gestione di un’impresa così importante. Immagino che ci siano pro e contro.»

«Altroché. Devo però ammettere che Herr Bauer e tutta la dirigenza, sono stati molto comprensivi, permettendomi di tener fede agli impegni che ho qui alla Wakacorp.; riesco a conciliare allenamenti e riunioni, però devo davvero ammettere che il grosso del lavoro lo svolgono le mie collaboratrici. Sono perfette nel tenere conto dei vari andamenti che mi servono per rimanere aggiornato col mercato.»

«E come si gestisce con le trasferte?»

«Allo stesso modo: Julia e Martha hanno piena autonomia nella gestione delle dinamiche giornaliere, mentre per quelle un po’ più complesse, ci consultiamo. Resta comunque il fatto che possono sempre avvalersi delle consulenze speciali di mio padre, che nonostante stia affrontando il periodo di convalescenza, non riesce a stare lontano dagli affari.»

«Beh, credo sia normale, in fondo questa azienda l’ha fondata lui.»

«Non solo questa: tutte le sedi principali che abbiamo in giro per il globo, sono state minuziosamente scelte da lui e mia madre, che ne ha curato l’aspetto architettonico. Dopodiché si sono premurati di affidarne la gestione a persone di grande fiducia.»

«Compite comunque viaggi nelle varie sedi, se non ricordo male lei e Fräulein Wagner vi siete recati in Giappone, poco dopo il malore di Herr Wakabayashi.»

«Esattamente. Si temeva una leggera inflessione del titolo nipponico, di conseguenza ci siamo recati là per controllare gli sviluppi. Herr Watanabe ha comunque la situazione sotto controllo, quindi non temiamo nulla.»

Il reporter scorse il foglio che aveva davanti, sul quale evidentemente si era appuntato le varie domande da porre.

«Vorrei… sì, vorrei sottolineare come il team direttivo di questa azienda sia composto sì da un membro della famiglia Wakabayashi, ma anche da due donne. Non teme che questo possa influenzare la visione che viene data all’esterno?»

Julia si irrigidì: non aveva avuto spesso a che fare con il sessismo, e non ne era preparata. Anche Martha non la prese bene, ma mascherò meno della Manager, e Genzo, che aveva notato la sua reazione, si affrettò a rispondere.

«Spero che non voglia cadere nel banale cliché delle donne al comando: noi siamo per le pari opportunità. A costo di ripetermi, vorrei ribadire come queste due ragazze siano state selezionate per i loro meriti lavorativi, e non per altro.»

«Beh, ricordo che la Bild, ai tempi, pubblicò un articolo in cui insinuò che…»

«La Bild, con tutto il rispetto, è un tabloid, che fa degli articoli scandalistici uno dei suoi punti di forza. – intervenne Julia, sorridendo – Se non avessi assistito al match, avrebbero trovato altre occasioni per creare un articolo di quel livello.»

«Vero è che, nelle foto, sembravate molto intimi. Come vive il rapporto con la sua Manager?»

Genzo aderì allo schienale della sedia, e un sorriso sghembo gli incurvò le labbra.

«Non vede quanto sono fortunato? Oltre ad essere molto competenti, sono anche due bellissime donne.»

Il giornalista rise, mentre le due prese in causa lo fulminarono.

«Capisco, capisco. In fondo la fama di sciupafemmine la perseguita da anni, ormai.»

«Dal mio debutto in prima squadra con l’Amburgo. – annuì il portiere – Anche se ho sempre cercato di mantenere i miei rapporti nella privacy più assoluta.»

«C’è una donna, adesso, nella vita del SGGK?»

Un altro sorriso sghembo.

«Chi può dirlo.»

«La proverbiale saracinesca nipponica che scende anche quando si parla della sfera privata, non solo quando si tratta di proteggere la porta del Bayern, o della Nazionale Giapponese.»

«Se già prima avevo difficoltà a gestire vita privata e carriera professionale, ora che ho aggiunto anche il lavoro qui, capisce che diventa quasi una missione impossibile.»

«Nulla è impossibile, per la famiglia Wakabayashi.» lo incalzò il reporter.

«Quasi.» ammiccò Genzo, voltandosi verso Julia.

 

«Possibile che tu debba sempre buttare tutto sul doppio senso?»

Julia colpì il calciatore con una cartellina, non appena furono soli nell’ufficio di lui.

«Andiamo, che male c’è. Lascia che si sfoghino e che parlino. Bene o male, purché se ne parli, o sbaglio?»

«Doveva essere un’intervista per rilanciare la Wakacorp., e tu l’hai trasformata in una farsa.»

«Perché ti arrabbi tanto? Perché hanno insinuato che una donna non può ricoprire una carica così importante?»

«Ci mancava solo che mi chiedesse se ho intenzione di sposarmi e avere figli.»

«Ne vorresti?»

La ragazza si voltò di scatto verso il portiere, che ora la fissava con aria seria.

«Tranquillo, non mi metterò in maternità a breve, se è questo che temi.»

Due passi, e le fu davanti. Continuava a fissarla con quegli occhi scuri, nei quali Julia rischiava di perdersi nuovamente. No, doveva mantenere la sua posizione, non poteva scordare quella telefonata. Distolse lo sguardo per evitare di cedere.

«Julia…»

«Non mi sembra il caso, Genzo. Ci sono ancora molte cose in sospeso, di cui non abbiamo parlato, e che vorrei chiarire, in primis…»

«Ho prenotato un tavolo al Schwarzreiter(1). Per domani sera. E non accetto un no come risposta.»

«Tu… cosa?»

«Hai capito bene. Passo a prenderti alle 19.»

«Ma… e ora dove vai?»

«A fare fisioterapia. Ho un campionato a cui partecipare, e vorrei rientrare il prima possibile. A domani.»

Martha intercettò la frase di Genzo mentre lui usciva dall’ufficio in cui lei stava entrando.

«Domani? Di che parla? Ehi, ci sei?»

Le mosse una mano davanti al viso, dato che la Manager sembrava completamente imbambolata.

«Ah… sì. Domani. Ecco, lui ha… mi ha… – si voltò verso l’Assistente – Mi ha invitato a cena.»

Sentendo il nome del ristorante, la donna emise un gridolino.

«Che sia la volta buona che parlate, vi confrontate… e magari anche altro?» ammiccò.

«Martha! – Julia avvampò – Ci sono troppe cose in sospeso, non ho  intenzione di cadere nel tranello. Hai sentito, no, la fama da Frauenheld.»

«E tu non farti salvare(2)

 

 

1Schwarzreiter ristorante da una stella Michelin, che si trova in Maximilianstraße (in centro città) 

2Frauenheld – non farti salvare si gioca tutto sul gioco di parole. Frauenheld (donnaiolo), si traduce letteralmente con “eroe delle donne”, e gli eroi, di solito, che fanno, se non salvare le protagoniste?




Colpo di scena, e non da poco: forse rinvigorito dalle parole del giornalista sul suo essere un play boy, ecco che il buon Genzo parte all'attacco e invita Julia a cena. Ma non una cena qualsiasi: qui parliamo di cibo stellato, da Guida Michelin! 

Vedremo se Julia accetterà l'invito (Maria, apri la busta!) o se declinerà, anche se il portiere non le ha lasciato molta scelta... 

Intanto aspettiamo che il giornale che ha intervistato i ragazzi prepari l'articolo, quando uscirà ci sarà una sorpresina per voi ^^ 

Vi abbraccio forte

Sakura 

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 ***


ET - Capitolo 1

 



Ascolto consigliato durante la lettura.

 

Nonostante l’insistenza di Heidi, aveva optato per un semplice tubino nero: non voleva dare l’impressione al portiere che si trattasse di un incontro galante.

Lasciò che lui le spostasse la sedia per farla accomodare, quindi prese il menù, mentre il cameriere versava l’acqua nei rispettivi bicchieri.

«Opterei per il “menù 1”, che ne dici?»

«E per il vino?» lo stuzzicò lei.

«Ci faremo consigliare dal sommelier… sempre che tu sia d’accordo.»

Le lanciò uno sguardo più che eloquente da sopra il menù, occhiata che lei finse di non cogliere, simulandosi intenta a scrutare le portate.

«Mmh, può andare. Te lo concedo.»

«Quale onore! – esclamò, posando il libretto sul tavolo – Quindi ho buone probabilità di farti passare l’arrabbiatura nei miei confronti?»

«Scarse, Wakabayashi. Quello che hai fatto è stato veramente orribile.»

«Parliamone. – si fece serio – Costringere mio padre ad effettuare un test di paternità non è stato altrettanto brutale?»

«Io non… – si accorse di aver alzato il tono di voce, quindi si ricompose e si sporse leggermente verso di lui – Io non ho costretto nessuno, lui era d’accordo.»

Anche lui si chinò verso di lei.

«Ma se sapevi benissimo di non essere sua figlia, perché esporlo così tanto? Immagini il risalto mediatico, se qualcuno lo avesse scoperto?»

«Non pensi ad altro, te e i media.» si raddrizzò e incrociò le braccia.

 

Deinen Namen trägt mein Herz                             Il mio cuore porta il tuo nome
Dein Fehlen ist mein Schmerz                                 La tua assenza è il mio dolore
So rein zu sein wie du                                               Essere puro come te
Zeig' wie ich das tu'                                                  Ti mostro come lo faccio

 

«No, non penso solo ai media. – si fece serio – Penso anche al perché tu mi abbia nascosto una cosa così importante. Perché non me ne hai parlato? A posteriori ho scoperto che ero davvero l’unico stronzo a non saperne nulla. Persino Karl….»

«Karl me l’ha estorto a forza, in Croazia. Io non volevo parlarne con nessuno. Avrei presentato le dimissioni e me ne sarei andata. Ma quando sono andata dai tuoi, loro sapevano già tutto. Mia nonna, ai tempi, aveva già avuto il dubbio, dubbio che tuo padre aveva dissipato. Si era solo dimenticata di dirmelo.»

«E tuo nonno?»

«Mio nonno è una persona buona, non è macchinoso come lo era sua moglie. Lei gli ha tenuto nascosta tutta la storia, per evitare di coinvolgerlo.»

«Resta il fatto che potevi avvisarmi, ero coinvolto in prima persona. Quando ho scoperto che avevate effettuato quel tipo di test, non ho fatto altro che pensare che forse avevo baciato mia sorella.»

Julia sobbalzò e arrossì.

«Ah, e questa era la tua preoccupazione maggiore?» rimbeccò, piccata.

«Certo che no. Avanti, non dirmi che non abbiamo costruito nulla, in questi mesi. In Giappone, a casa tua, in ascensore… devo continuare l’elenco?»

«Quindi cosa mi stai dicendo, che devo cedere alle tue avances solo perché sei il mio capo?»

«Che assurdità.»

Il sommelier interruppe involontariamente la discussione, al che Genzo acconsentì che fosse lui a consigliare i vari vini da abbinare ai piatti. L’uomo annuì, ringraziò, e tornò alla sua postazione, in attesa che i camerieri portassero ai due giovani la prima portata.

 

Du gibst mehr als du hast                                        Tu dai più di quanto hai
Du liebst mehr als du hasst                                      Tu ami più di quanto odi
Du siehst mehr als du fasst                                      Vedi più di quanto afferri
Fällst niemandem zur Last                                       Non molesti nessuno

 

«La vera assurdità è che io sia ancora qui seduta ad ascoltarti. Non avrei dovuto accettare il tuo invito.»

«E lasciare le cose così, in questo limbo in cui siamo caduti? Nessuno di noi è esente da colpe, Julia.»

«Non è colpa mia se mia madre è morta.»

«Certo, ora ti trinceri dietro all’unico evento incontestabile. Non pensi ai vari messaggi subliminali che ci siamo lanciati.»

«Io non ho lanciato nessun segnale.» provò lei a dire, ma la faccia del portiere era più che eloquente.

«Da dove vuoi che inizi?»

«Smettila, Genzo, non è divertente.»

L’uomo allungò una mano per sfiorare quella di lei.

«Non lo è. Non lo deve essere.»

 

Pass nur auf, wenn du gehst                                   Fai solo attenzione, quando vai
Wenn du deine Pläne hegst                                   Quando ti curi dei tuoi piani
Was Freunde schafften, pflegst                             Quello che gli amici hanno fatto, lo curi
Denn bist du unterwegs                                           Poi sei in giro

 «Io sto cercando di dirti che provo qualcosa per te. E ti assicuro che non è facile per me, non sono abituato ad esternare i miei sentimenti. Mi sono ritrovato con questo fardello da gestire, e tu eri lì, quindi all’inizio, sì, pensavo fosse solo riconoscenza.»

Julia alzò lo sguardo verso di lui, gli occhi languidi.

«E invece…?»

Il cameriere arrivò con la prima portata, a cui seguì subito il sommelier, col vino e la relativa spiegazione. Si congedò in fretta, avendo notato l’affinità dei commensali.

«Delizioso questo wagyu alla bavarese.»

«Certo che mi hai portata qui per assaggiare del manzo giapponese…»

Entrambi risero sommessamente, si trattennero il più possibile per non rovinare l’atmosfera raffinata del locale.

 

Zähl' ich die Tage                                                      Conto i giorni
Ich erhebe die Klage                                               Sporgo querela

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò

 

«Ci riproviamo?» disse lui, speranzoso.

 

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò

 

Lei appoggiò la forchetta nel piatto e sospirò.

«Non lo so, Gen… – aveva sentito Karl chiamarlo così talmente tante volte, che si sentì in diritto di farlo pure lei – È vero, abbiamo costruito qualcosa, ma sei comunque il mio capo…»

«Mio padre tornerà.»

«E diventerai il figlio del capo. Non cambia molto.»

«Ti stai tirando indietro?»

«Non mi sono mai fatta avanti.»

«Bugiarda.»

Seconda portata, secondo vino.

«Funghi.» ammiccò il portiere.

 

Wir werden teilen, was ich hab'                             Divideremo ciò che ho
Du wirst prüfen, was ich sag                                   Verificherai ciò che dico
Geben, was ich dir gab                                           Darai ciò che ti do
Ich warte auf den Tag                                             Aspetto il giorno

 

Julia soppesò le parole che le erano venute in mente, indecisa se far vertere il discorso in quel campo, oppure no. Ma era in ballo, tanto valeva ballare.

«Quando eravamo a Nankatsu… – appoggiò il bicchiere di vino, meravigliandosi della freschezza di quel bianco – Sì, insomma… sai essere davvero difficile da decifrare. Un momento mi abbracci e ti lasci consolare, l’attimo dopo ti rinchiudi nel tuo mondo, e… ha ragione il reporter: cali la famosa saracinesca e te ne stai lì dietro, incurante di ciò che ti succede intorno.»

Genzo inghiottì il boccone e annuì.

«Mettermi a nudo richiede un certo sforzo mentale. Ovviamente sto parlando in senso figurato. – le fece l’occhiolino – Sono abituato a dimostrare quello che valgo con le azioni che compio: una buona parata anziché una palla respinta, una decisione corretta nel piazzare la difesa, cose così. Sono un uomo di poche parole.»

«Fin troppo.» ne convenne lei.

«Ma con te è diverso, te ne sarai resa conto. Mi sono aperto più con te in questi mesi che con chiunque altro, inclusi Schneider e Kaltz, da quando sono arrivato in Germania.»

«Io… – Julia prese il bicchiere e terminò il vino rimanente – Ho giurato a me stessa che non sarei mai più ricaduta nelle grinfie di un uomo. Non dopo quello che mi è successo.»

«Sono passati, quanti, cinque, sei anni? E tu stessa hai ammesso che ti è andata bene.» 

«Prendi mai in considerazione il mio background? Mia madre?»

«E come potrei, se tu stessa non mi racconti nulla? Quello che so l’ho estrapolato da conversazioni avute con altre persone. A proposito, sei stata brava a imbrogliare le acque.»

«In che senso?»

 

Du wirst sehen ich mach' wahr                              Vedrai, realizzerò
Was vor dir noch keiner sah                                   Quello che prima di te nessuno ha visto
Ich bau' dir deine Welt                                             Ti costruisco il tuo mondo
Ich wär' so gern dein Held                                      Sarei volentieri il tuo eroe

«Beh, – Genzo fece un cenno al sommelier, che si avvicinò e versò loro nuovamente quel vino bianco giovane e fresco – hai disseminato gli indizi della tua vita tra i tuoi amici, così solo parlando approfonditamente di te avremmo potuto…»

«Guarda che non era assolutamente voluto. – lo interruppe lei, osservandolo anche con aria smarrita – Credi che io sia fuggita per farmi cercare? Pensi davvero che io possa essere così meschina da…»

«Julia, frena: hai frainteso.»

«Lo spero.»

Il cameriere, che aveva precedentemente sparecchiato i piatti, si apprestò a servire la terza portata.

«Animelle di vitello servite con carciofi di Gerusalemme, nespole e porri. Il nostro sommelier provvederà a servirvi in abbinamento un Zagarolo DOC.»

Si congedò con un mezzo inchino e lasciò lo spazio al collega, che riempì i bicchieri spiegando ai commensali ciò che stava offrendo.

«Queste interruzioni ti sono congeniali, Wakabayashi. Come si dice in gergo, “ti parano il culo”.»

«Fräulein Wagner, mi meraviglio di lei e del suo linguaggio. Vogliamo invece brindare al fatto che stiamo sostenendo una conversazione civile da ben – scostò il polsino della camicia per controllare l’orologio – cinquantasette minuti, e nessuno dei due ha ancora cavato gli occhi all’altro?»

Sollevò il bicchiere e lo portò a metà tavolo, fissandola con aria sorniona. Lei capitolò e sorrise appena.

«Sei incredibile.»

«Lo spero! – mugolò lui, iniziando a degustare le animelle che gli erano state servite – In fondo, ti piaccio anche per questo, no?»

«Non ho ancora deciso se mi piaci oppure no.» lo stuzzicò lei.

«Mi ferisci.»

«La verità fa male.» lo schernì.

«Affatto.»

 

Du verlässt nur mein Haus wenn du gehst            Quando te ne vai, lasci solo la mia casa
Du wirst ernten was du säst                                     Raccoglierai ciò che hai seminato
Sieh' zu, dass du alles verstehst                              Lo vedi, che hai capito tutto
Denn bist du unterwegs                                           Poi sei in giro

 

 «Solo che credevo di aver fatto breccia. Sai, ricordo un certo bacio, in ascensore…»

Julia avvampò, e si affrettò a svuotare il bicchiere di vino per dissimulare l’imbarazzo.

«Io non metto in dubbio l’attrazione che c’è tra noi… – si risolse infine a confessare – Vorrei solo capire se è un’infatuazione, dovuta alla situazione che abbiamo vissuto, o se…»

«Jule… – si arrogò il diritto di chiamarla con quel nomignolo, e gongolò quando lei non protestò – Nessuno di noi ha la sfera di cristallo. Non ho il potere di predire cosa succederà una volta usciti da qui, e mi piacerebbe, credimi: sai quante rogne mi risparmierei? Però una cosa la posso fare. – si sporse verso di lei e le prese la mano, facendola avvampare – Vorrei uscire con te. Più spesso. Vorrei imparare a conoscerti a fondo, sapere tutto di te, le tue mille sfaccettature, imparare a leggerti dentro così come vorrei che tu facessi con me. Io mi sento così felice quando sono in tua compagnia, è una sensazione che non ho mai provato, con nessuna. Ho notato la tua reazione quando il giornalista ha accennato al mio essere un donnaiolo: è vero, ho avuto molte donne, ma… nessuna ha destato il mio interesse come hai fatto tu.»

«Quindi sono l’ennesimo trofeo?»

«Ma non scherziamo! Per chi mi hai preso?»

«Lo stai dicendo tu…»

«Sempre a fraintendere…»

 

Zähl' ich die Tage                                                      Conto i giorni
Ich erhebe die Klage                                               Sporgo querela

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò

 

Formaggio di capra con riduzione di albicocche e Achillea millefolium; Pinot gris alsaziano.

 

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò

 

«Il sapore dei piatti è direttamente proporzionale alla nostra conversazione.»

«Giusta osservazione. Ma non vorrei che la questione stesse prendendo una piega sbagliata. Vorrei tanto sapere che idea tu ti sei fatta di me.»

«Il mio giudizio potrebbe essere falsato dall’alcol ingerito, Gen.»

«Voglio saperlo comunque.»

Ingurgitò l’ennesimo bicchiere di vino, e fissò il portiere negli occhi.

 

Du bist noch lang' nicht in Sicht                             Non sei più in vista
Weißt deinen Namen wohl noch nicht                 Non sai ancora bene il tuo nome
Dein Wort hat kein Gewicht                                   Le tue parole non hanno peso
Doch ich schreib' dir dein Gedicht                       Tuttavia ti scrivo una poesia

 

«Sei un uomo arrogante, presuntuoso e saccente. Credi di sapere tutto, o per lo meno è l’impressione che vuoi dare. Non esterni emozioni e sentimenti, credo che “saracinesca” sia un soprannome azzeccatissimo.»

«Interessante. Ho anche dei difetti?» ironizzò lui.

«In realtà sei debole, come tutti gli esseri umani. Ti trinceri dietro alla corazza che ti sei creato, ma appena qualcosa interrompe il cammino che ti sei prefissato, il bambino che è in te esce fuori e prende il sopravvento. Ovviamente non lo dai a vedere, l’uomo che non deve chiedere mai non può farsi vedere fragile. Ma lo sei, più di quanto credi.»

 

Ich bin dein, du bist mein                                        Io sono tuo, tu sei mia
Ich werd' vor dir für dich schreien                         Griderò a te, per te
Wann wirst du bei mir sein?                                     Quando sarai accanto a me?
Ohne dich bin ich allein                                          Senza di te sono solo

 

Genzo rimase abbastanza incredulo, l’analisi di Julia rasentava la perfezione, si stupì di quanto la ragazza fosse andata a fondo nel suo essere e ne avesse colto la sua vera essenza. Ovviamente cercò di non far trasparire alcuna emozione, come sempre nascondere le sue debolezze era il suo punto di forza.

Salmerino alpino e caviale.

Mix di cioccolata amara e aromatizzata alla ciliegia, con latte di mandorle e caffè.

Altro vino.

 

Du bist der Spross unseres Baum's                         Sei il germoglio del nostro albero
Die Erfüllung meines Traum's                                   L’avverarsi del mio sogno
Du bist der, der mich in sich trägt                          Sei quella che mi porta in sé
Und bist du auf deinem Weg                                  E sei sulla tua vita

Uscirono dal locale visibilmente brilli, tanto che Siegfried si premurò di farli accomodare sui sedili posteriori, prima di chiudere la portiera.

«Che direzione prendo?»

«Harlaching.» rispose Genzo, sicuro.

«Schwabing-West, per favore. – Julia non era della stessa opinione del portiere – È stata una bella serata, ma… sono ancora molto provata dagli ultimi avvenimenti. Ho bisogno di rimettere la testa a posto per evitare di “uscire dai binari”.»

Il portiere annuì, e lo chauffeur avviò il motore.

 

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò

 

«Mi perdonerai mai per quella frase?»

«E tu mi perdonerai mai per essere sparita?»

«Dipende.» Genzo si avvicinò a lei.

«Da cosa?»

«Se succederà ancora.»

«Che io me ne vada?»

«No. Che non ti fidi di me.»

 

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò

 

La baciò, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come se non avesse aspettato altro. Come se tutta la sua vita dipendesse da lei.

«Io non so che ne sarà di noi, Jule, ma so solo che senza di te non posso e non voglio più stare.»

«Allora non farlo.»

 

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò

 

La ragazza ricambiò il bacio, si aggrappò a lui, lo strinse a sé per non farlo più andare via. Forse complice l’alcool, aveva capito che non poteva più fingere che non si fosse innamorata di lui: era un sentimento che era nato lentamente, ma che ormai era inarginabile, come una diga di legno che cerca di trattenere un fiume in piena.

 

Führ mich ans Licht                                                   Conducimi alla luce
Ich enttäusch' dich nicht                                         Non ti deluderò




Vi chiedo scusa se settimana scorsa e ieri ho saltato l'aggiornamento, ma ho avuto un problemino di salute (per ora prontamente arginato) e ovviamente quando sono tornata in ufficio, sono stata sommersa dalle scartoffie, accumulate tipo montagna ^^ 

Ad ogni modo eccoci qua, spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo in cui compare la seconda canzone che fa da colonna sonora a questa storia. La traduzione è home made, ringrazio berlinene per l'aiuto che mi ha dato nel correggere quello che avevo tradotto. 

Se siete interessati al menù che i due si sono scofanati, potete trovarlo a questo link 

menù degustazione

L'abbinamento dei vini è opera mia, dopo varie ricerche, quindi se c'è qualcosa di sbagliato, prendetevela con me! 

Per quanto riguarda il resto, credo che il capitolo non abbia bisogno di commenti: Genzo ha finalmente preso in mano la situazione e i due si sono parlati a cuore aperto. Il fatto che alla fine Genzo volesse portarla a casa sua, mentre Julia ha preferito dare all'autista il proprio indirizzo, è lo specchio di come per i maschi sia tutto più facile (LOL). Scherzo, ovviamente, non massacratemi il ragazzo solo per questo XD 

Detto questo, vi lascio con un mega abbraccio e vi aspetto mercoledì prossimo, puntuale, lo prometto ^^ 

Baci 

Sakura chan 

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 ***


ET - Capitolo 1

 

Seduta alla sua scrivania, continuava a fissare lo schermo del pc, senza riuscire a concludere nulla. La mente continuava a riportarla alla sera precedente, alla cena con Genzo, e alla mezz’ora di baci che si erano scambiati sotto al portone di casa sua.

Aveva resistito alla tentazione di farlo salire in casa, nonostante la voglia di condividere una certa intimità si fosse fatta impellente; si era però autoimposta quella censura, anche e soprattutto per valutare dove l’avrebbe portata quella frequentazione col portiere.

«Caffè?»

Martha entrò nel suo ufficio e le porse la bevanda.

«Grazie, ne avevo bisogno… non ho dormito granché stanotte.»

«Uh, avete fatto faville?» la schernì l’amica.

«Martha! – la redarguì la Manager – Comunque… no. Vorrei prendermi il mio tempo e “vedere come va”.» parafrasò le parole che l’assistente aveva pronunciato poche settimane prima.

«Non ti giudicherò per questo, ma credo che un po’ di “ginnastica orizzontale” ti farebbe bene. – per poco Julia non sputò il caffè, sentendo quelle parole – Andiamo, non ci credo che tu non ci abbia fatto un pensierino.»

«Stiamo trascendendo la questione: limitiamoci ad osservarne gli sviluppi.»

«E sia. Vedremo chi delle due per prima…»

«Martha!!» la redarguì nuovamente.

In quel momento Genzo entrò nell’ufficio, con in mano una copia di un giornale.

«Buongiorno ragazze. Julia, tutto bene? Sembri…»

«Accaldata. Ho bevuto il caffè bollente…»

L’assistente sogghignò, mentre il portiere sembrava accettare quella versione: si sedette di fronte a lei e le porse ciò che teneva in mano.

«È uscita l’intervista. Disponibile anche online. Per me è perfetta, ditemi voi.»

Martha si diresse subito alle spalle dell’amica e si chinò per leggere il contenuto dell’articolo: era davvero scritto bene, in maniera professionale, e le foto che lo corredavano erano davvero a regola d’arte. Ma ciò che più colpì Julia fu la foto centrale: Genzo era seduto nella sua sedia, il braccio sinistro appoggiato al bracciolo, il destro puntellato col gomito, la mano sotto al mento; alla sua destra c’era lei, appoggiata di tre quarti al bracciolo, la gamba sinistra appoggiata al ginocchio destro; dietro di loro, alla sinistra di Genzo, Martha con la mano appoggiata allo schienale, l’altra posizionata ad altezza della vita.

«Sembriamo davvero seri…» osservò.

«Quel fotografo è molto bravo, dovremmo ingaggiarlo per altri servizi. Se Heidi e Daniel non hanno ancora trovato nessuno...»

«A meno di tre settimane dalle nozze? Credimi, conoscendola, ha prenotato il fotografo prima ancora della villa. – ridacchiò Julia, pensando alla meticolosità dell’amica nel gestire anche i minimi dettagli – A proposito, hai scelto il vestito?» domandò poi, rivolta all’assistente.

«Non ancora, non ho idee. Ho girato qualche negozio ma non ho trovato quello giusto.»

«Vieni da me, magari nel mio armadio trovi qualcosa.»

«La cosa mi piace molto! Stasera?»

«No, stasera non posso, ho un impegno.»

Il silenzio calò nell’ufficio: era evidente che Genzo e Martha si aspettavano quantomeno qualche dettaglio sul suo “impegno”. Alzò lo sguardo dai documenti che stava sfogliando e si ritrovò gli sguardi indagatori degli amici.

«Beh?»

«Un impegno? Tutto qui? E non ci dici altro?»

Julia sollevò un sopracciglio.

«Sembrate due comari pronte a spettegolare. Ho un impegno con Karl e altri ragazzi per organizzare gli scherzi del matrimonio.»

«Aah, e noi che pensavamo chissà che cosa… – sbuffò Genzo, riappoggiandosi allo schienale della sedia – Nessun intrigo, nessun doppio gioco.»

«Quello, se vuoi, te lo servo ora su un piatto d’argento… – rispose la ragazza, che stava controllando la posta elettronica – La Weisemann AG ha appena comunicato che d’ora in poi, il loro referente alla Wakacorp. sarà Chris Hagner.»

«Scherzi?»

«Mai stata più seria di così.»

Ruotò lo schermo del pc per far sì che anche gli altri due potessero leggere la comunicazione, rimanendo di stucco a loro volta.

«Quindi Herr Hagner ha rinunciato.»

«Così pare. Ma la mela non cade molto lontano dall’albero, quindi mi aspetto qualche colpo basso anche da parte del figlio.» sentenziò Genzo.

«Intanto… dobbiamo convocare un nuovo CdA. Ultimamente non facciamo altro. Dobbiamo ratificare il cambio.»

«Sempre che gli altri soci lo accettino.»

«Perché non dovrebbero?»

«Parlerò con mio padre, sentirò il suo pensiero, e gli farò interpellare qualcuno tra i soci più anziani.»

«D’accordo… – sospirò Julia – Ma poi smettiamo di parlare di quell’uomo, vi prego. Mi dà il voltastomaco.»

 

Heidi era in preda a una crisi isterica, e solo lei poteva risolvere la questione. Era l’unica che sapeva come gestirla.

«Io non mi sposo più.»

Julia scoppiò a ridere, mentre continuava a passare biscotti alla cannella all’amica.

«Mi sembra un’ottima idea. – ironizzò – In fondo, ci hai messo solo otto mesi per organizzare tutto, ci hai dedicato così poco tempo.»

«Ho l’ansia, sto male, non ce la faccio.»

«Ma figurati! Devi gestire questo momento di stress, tutto qua. Non puoi certo annullare le nozze solo perché hai un momento di défaillance. Se dovesse succedere prima di una sfilata, che fai, molli tutto e tanti saluti?»

La bionda sbuffò e si sollevò dal letto.

«Odio quando hai ragione.»

«Devi solo rilassarti e cercare di riempirti la testa di pensieri positivi, lasciando fuori le negatività. Lo so che sei spaventata, tutti quegli invitati, essere al centro dell’attenzione… ma sai, sei la sposa.» le fece l’occhiolino per rassicurarla. Heidi si avvicinò a lei e la abbracciò, posando la testa nell’incavo della spalla.

«Se non ci fossi tu… a proposito, – si sollevò per fissarla negli occhi – come stai?»

«Sto bene, continuo a pensare a mia madre, ogni giorno, ma… me ne sto facendo una ragione.»

«La vita va avanti, volenti o nolenti, dobbiamo accettarlo.»

«Proprio così. E poi… non è tutto così oscuro, al momento…» e, così dicendo, arrossì vistosamente.

«Ok, hai la mia attenzione. Tutta!»

«Genzo mi ha portato fuori a cena, l’altra sera. Siamo andati al Schwarzreiter

«Hai capito il portierone? Non ha badato a spese!»

«Assolutamente. Una cena squisita.»

«E… il dopo cena?» ammiccò la futura sposa, aggrappandosi al suo braccio per ottenere più informazioni.

«Non è andata come pensi, però… siamo stati bene. Sono solo un po’ confusa.»

«E perché mai?»

«Perché è stato tutto così… naturale. Abbiamo parlato, ci siamo più o meno chiariti, ma senza insulti, senza urla…»

«Non vedo dove sia il problema: non si può sempre ridurre tutto a una puntata di Sturm der Liebe(1). A volte il lieto fine arriva e basta.»

«Sarà…»

«Julia… non puoi goderti il momento e basta? Per favore. Goditi questo periodo di corteggiamento, di sguardi fugaci, di baci appassionati… l’inizio di una storia d’amore è sempre emozionante!» e, per enfatizzare il concetto, si portò le mani al petto e alzò lo sguardo al cielo, con aria sognante.

«Quanto sei scema. – le diede una piccola spinta che la fece cadere sul letto – Comunque ci sto provando, non ti credere. Devo solo rendermi conto che, sì, il sole ogni tanto splende anche per me.»

«Ma certo, amica mia! – Heidi la abbracciò stretta – Certo che splende anche per te.»

 

«Non ti vedo molto partecipe.»

Karl aveva raggiunto Julia, che si era rifugiata momentaneamente sul balcone di casa, per godere della brezza serale.

«Lo sai che non ho molta fantasia per queste cose.»

Le porse la birra che aveva in mano, cosicché potesse berne un sorso.

«C’è qualcosa che non va?»

«Al contrario. – diede la bottiglia al legittimo proprietario – Va tutto bene. Sul serio, Karl, non fare quella faccia.»

«Genzo ti tratta bene?»

«Diciamo che al momento ci stiamo studiando, e lanciamo qualche segnale di corteggiamento.»

«Niente più pomiciate selvagge in ascensore?»

La ragazza scoppiò a ridere.

«Non ci è più capitata l’occasione, ma se dovessimo nuovamente rimanere bloccati, non avere così fretta di venirci a salvare.» gli disse, accompagnando la frase da un occhiolino ammiccante.

«Non sai quanto mi faccia piacere vederti così, dico sul serio. E se devo ringraziare quel borioso di Wakabayashi per questo, beh, che Dio mi sia testimone, lo farò!»

«Diciamo che è buona parte merito suo; ma non scordare anche che il tempo cura tutte le ferite, persino le mie. Anche quelle che credevo insanabili.»

Il Kaiser le passò un braccio intorno alle spalle e la attirò a sé, depositandole un bacio sulla testa.

«Col tempo quel dolore si affievolirà, te lo prometto. Non se ne andrà mai del tutto, ma pian piano diventerà più sopportabile.»

«Già. Così dicono.»

Rimasero in silenzio qualche istante, a contemplare lo scorcio di città illuminata che si poteva intravedere da lì.

«Ma ti farà da cavaliere al matrimonio?»

«Beh, sì, lui sarà ancora convalescente... ci divertiremo.»

«Puoi dirlo forte! – esclamò lui – Sarà un matrimonio memorabile!»

«Daniel come sta? Io ho appena consolato Heidi in preda a una crisi di nervi.»

«Lui cerca di non darlo a vedere, ma si vede benissimo che è teso come una corda di violino. Poi, vabbè, anche noi ci mettiamo del nostro, in palestra: non facciamo altro che punzecchiarlo.»

«Siete tremendi, non vorrei essere nei suoi panni.»

«Chissà, magari un giorno…»

«Ehi, e chi mi dice che non sia tu, per primo, eh? Vogliamo parlare di quel gesto teatrale alla finale dei Mondiali?»

«Quale? – rispose lui, sornione – Non ricordo nulla, sai, ho rimosso quella partita, troppo doloroso.»

«Si stanno chiedendo tutti cosa volesse dire il Kaiser, con quel gesto, e soprattutto a chi fosse dedicato quel bacio.»

«Beh, tu lo sai già, non ho bisogno di dirtelo.»

«Devo preoccuparmi? Cioè, mi metto in modalità “amica protettiva” e ti faccio la paternale su quanto sia dolce Martha, e su quanto male potrei farti se la fai soffrire?»

«Ehi, anch’io sono tuo amico! Perché non mi difendi?»

«Perché tu non hai bisogno di essere protetto, Karl. Sai benissimo come comportarti con le donne, anzi, lo sai fin troppo bene. Per questo non vorrei che tu prendessi questa relazione come un gioco.»

Il ragazzo si fece serio: si appoggiò con gli avambracci alla ringhiera del balcone e scrutò l’orizzonte.

«Non starò qui a dirti che è la donna della mia vita, che la amo alla follia e voglio sposarla, perché… non lo so. So solo che con lei mi sento molto bene, mi piace la sua compagnia.»

«Bene così, Kaiser. Era ora che mettessi la testa a posto.»

«Impresa che non è riuscita neanche a te.» le sorrise.

«Non era il mio compito. – ammise lei, candidamente – Adoro la nostra amicizia, e il fatto che non ci siano secondi fini. Ti voglio bene così come sei… – lui stava per ringraziarla quando lei aggiunse – nonostante tutto…»

«Ehi! Ma ti pare? – le rifilò un buffetto in testa – Frequentare Wakabayashi ti fa male, ti rende troppo simile a lui.»

«Forse è per questo che… chissà.»

«La finiamo una frase? No, perché tutti questi puntini di sospensione mi stanno mettendo ansia.»

Julia rise. Di quella risata finalmente spensierata, sincera. Karl se ne rallegrò, l’amica si meritava decisamente un po’ di felicità.  

 

 

1 Sturm der Liebe - Tempesta d'Amore, è una soap opera tedesca del 2005. Mi ha accompagnato per varie estati con la sua sigla strappalacrime e le sue storie al limite dell'assurdo - in stile Beautiful, per capirci XD




Ed eccoci qui, mie adorati lettrici e lettori. 

Questo è il penultimo capitolo della storia. I personaggi iniziano a tirare le somme, il grande evento è alle porte, e le cose sembrano finalmente prendere la giusta piega, finalmente e per una volta. 

Lascio tutte le considerazioni per il prossimo capitolo, intanto vi auguro un buon inizio della bella stagione, il sole finalmente fa capolino e ci regala giornate meravigliose. 

Vi abbraccio forte 

Sakura 

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 ***


ET - Capitolo 1

 

Il giardino della Forsthaus Wörnbrunn(1) era stato allestito in maniera egregia: un lungo tavolo, tenuto all’ombra da un gazebo, la faceva da padrone, offrendo agli ospiti stuzzichini e bevande, mentre di fronte a esso erano stati posizionati dei tavolini tondi, ai quali gli invitati potevano accomodarsi per gustare quell’aperitivo.

«Che meraviglia!» esclamò Martha, scendendo le scale esterne, aggrappata al braccio di Karl.

«Una location degna di queste nozze.» ne convenne lui, annuendo. Dietro di loro, Julia e Genzo, mano nella mano, si guardavano intorno.

«Heidi ha fatto davvero un ottimo lavoro.»

«Sarà felice di saperlo, nelle ultime tre settimane ha avuto parecchi attacchi d’ansia. Temevo non ce l’avrebbe fatta, e invece…»

«È stata una cerimonia molto toccante. – annuì Genzo – Anche il marito si è commosso, a un certo punto.»

«Oh, sì. – si intromise Karl, che li aveva attesi una volta raggiunto il giardino – Non sai quanto lo sfotteremo. Ahi!»

Implacabile, Julia lo aveva colpito con la pochette.

«Non ti azzardare, Schneider, o te la vedrai con me. Non si prendono in giro gli amici sensibili.»

«Sono cose normali, tra uomini. Non puoi capire.»

«Siete così infantili…»

Una voce richiamò la sua attenzione: era la mamma di Heidi, così si allontanò dagli amici per dirigersi verso la donna.

«Mi pare che sia in gran forma, che dite?»

Tutti e tre osservarono la Manager, fasciata nel vestito creato appositamente dalla sposa: il volto era sereno e disteso e finalmente stava riprendendo i chilogrammi persi. Genzo deglutì mentre il suo sguardo ispezionava minuziosamente ogni centimetro di quel corpo che amava sempre di più, giorno dopo giorno.

«Martha, per favore, puoi andare a prendere del ghiaccio per il nostro amico? Sta andando a fuoco.»

«Schneider, sei insopportabile. – lo riprese, grato però che avesse smorzato il momento – Davvero, cosa ci trovi in lui? Conosco persone più simpatiche, te lo giuro!»

Martha sorrise ma non rispose, si era abituata a quei battibecchi tra i due calciatori, e adorava quando si stuzzicavano così apertamente. Avevano iniziato a vedersi più spesso loro quattro, il più delle volte a casa di Julia, che cucinava per tutti, ma spesso si trovavano da Schneider, che metteva a disposizione l’impianto di dolby surround di cui era orgogliosissimo.

«Io inizio ad avere un discreto appetito, che dite, ci avviciniamo al buffet?» propose Julia.

Genzo le cinse i fianchi e la avvicinò a sé.

«È bello sentirtelo dire, sapendo quanto tu abbia spiluccato negli ultimi mesi.»

«Attento, o tra qualche mese non sarai più così felice, quando rotolerò giù dalle scale.»

Le depositò un tenero bacio sulla fronte, e lei si beò di quel contatto.

 

Felice, era davvero felice. Genzo si stava rivelando un ragazzo premuroso e attento. Non mancavano i contrasti – in fondo, si conoscevano troppo bene per non essere consapevoli dei rispettivi difetti – eppure riuscivano sempre a trovare una soluzione a tutto.

La salute di Herr Wakabayashi stava migliorando a vista d’occhio, quasi come se la notizia che il figlio e la manager si stessero (finalmente!) frequentando, l’avesse aiutato a ritrovare vigore; per aiutarli nella gestione dell’azienda, si presentava quanto più spesso possibile, in questo modo Genzo avrebbe avuto la possibilità di rientrare in Bundesliga a breve, non appena il fisioterapista gli avesse dato il via libera.

Martha e Karl, sempre discreti nell’esternare i loro sentimenti, erano seduti a uno dei tavolini esterni dove a inizio serata avevano degustato gli antipasti: erano vicini e parlavano fitto fitto, ogni tanto ridevano.

«Guardali, sembrano due adolescenti.» li schernì Genzo.

«Non essere scortese, non sei felice per il tuo amico?»

«Sono molto più felice per me.» e, così dicendo, le sorrise. Julia sentì come se le mancasse il terreno da sotto ai piedi, succedeva ogni volta che lui si apriva così tanto e le mostrava il suo vero io.

«Arrivo subito, prendo del vino.»

«Per tutti e quattro?» gli chiese, prima che si allontanasse. Lui annuì e si diresse verso il bancone bar che era stato allestito mentre loro erano a cena.

«Allora, a che brindiamo?» chiese Martha, quando furono finalmente tutti e quattro seduti.

«Non saprei. – Julia annusò il profumo del bianco che il portiere aveva scelto – Mi verrebbe da dire “agli sposi”.»

«Nah, troppo scontato. – Karl scosse la testa – Brindiamo a noi.»

«Bella Schneider, mi piace. – ne convenne la manager – Ti lasciamo l’onore del discorso.»

Il capitano del Bayern si schiarì la voce e si batté la mano destro sul petto a più riprese.

«Amico, amica, Schätzchen(2), – rivolse lo sguardo a Martha mentre lo diceva – vorrei dedicare questo brindisi a noi. Sono stati mesi lunghi, intensi, difficili, dolorosi anche, – Julia abbassò il capo, poi lo risollevò sorridendo delicatamente – ma noi siamo qui. Più forti di prima, e anche più uniti, a giudicare dagli sguardi che ci lanciamo. – ridacchiarono tutti – Personalmente vorrei anche ringraziarti, Jule, per avermi presentato questa splendida donna con cui mi pregio di passare il mio tempo libero, e con cui spero di poterlo passare molto, molto a lungo.»

«Che romantico che sei.» Genzo non perdeva occasione per sfotterlo, ma lui lo ignorò.

«Quindi: a noi. Perché il futuro possa essere sempre così brillante.»

Mentre pronunciava quelle parole, il buio della notte bavarese fu rischiarato da un fuoco d’artificio, seguito da alcuni gridolini estasiati degli invitati.

Lo spettacolo pirotecnico attirò l’attenzione di tutti, tranne quella di Genzo, che continuò a fissare il profilo della sua ragazza.

«Che c’è? Non ti piacciono?»

«Preferisco osservarli riflessi nei tuoi occhi.»

Julia alzò un sopracciglio e spostò la sua attenzione dai delicati fuochi colorati a lui.

«Ti tolgo i dolci, troppi zuccheri per stasera.»

Fece per allungare una mano per spostare il piatto ma il portiere la intercettò e la trattenne.

«Ti ho mai detto che sei bellissima?»

«Ogni tanto lo fai…» arrossì lei, voltandosi completamente verso di lui.

«Anch’io ringrazio gli Dei per averti messa sul mio cammino, ringrazio tua nonna per essere stata così spavalda da presentarsi da mio padre, e ringrazio i miei genitori per aver preso a cuore la tua causa, fino a portarti a lavorare alla Wakacorp., per noi. – le scostò una ciocca ribelle e gliela sistemò dietro l’orecchio, per poi accarezzarle dolcemente una guancia con il pollice – Ma ringrazio soprattutto te. Per tutto quello che hai fatto, e che farai. Io… non sono bravo a parole, lo sai…»

Gli carezzò una guancia con affetto.

«Lo so. E apprezzo lo sforzo che stai facendo.»

«Ti amo, Julia.»

«Ti amo anch’io, Genzo.»

 

'Cause baby you're a firework
Come on show 'em what your worth
Make 'em go "Oh, oh, oh!"
As you shoot across the sky-y-y

 

 

1 Una location adatta a ogni tipo di festa! Se masticate un po' di tedesco, o semplicemente volete vedere qualche foto, vi lascio il link qui

 2 Schätzchen, diminutivo di Schatz, che significa "tesoro". Può essere quindi tradotto con "Tesorino". È un vezzeggiativo dolce usato dalle coppie. 




La storia di questa fanfiction vede le sue radici in un periodo buio ma di rinascita. 

In quel lontano 2012/2013, mi sono buttata anima e corpo nella stesura di questa fanfiction in cui credevo molto, e che mi ha aiutata a tirarmi fuori da un periodo difficile, da un cambio vita obbligato che, però, devo ammetterlo, è stato terapeutico e perfetto per me. 

Negli anni, con altri cambi di vita un filino meno drastici (se il 2014 è stato dichiarato ufficialmente "L'Anno per eccellenza" XD), la storia è passata purtroppo in secondo piano, fino all'anno scorso, che è stato l'ennesimo anno del cambiamento, e che mi ha portato a condurre uno stile di vita completamente diverso da quello degli ultimi otto anni. 

Le fanfiction fanno parte di me, mi ci diletto da sedici anni ormai e non posso pensare di non avere qualche progetto nel cassetto. Quindi credo che presto tornerò con una nuova storia. Di certo l'idea di tornare a scrivere di Genzo e Julia (e, perché no, di Karl e Martha) mi alletta parecchio, e questi due hanno proprio voglia, ora come ora, di viversi la loro storia: vedremo come evolveranno quelle pagine che stanno venenedo alla luce. Ma non è l'unico progetto, la carne al fuoco è tanta, il tempo disponibile - ahimé - un po' meno, quindi con calma e pazienza il coniglio uscirà dal cilindro, ve lo posso giurare. 

Intanto però, per me è doveroso ringraziarvi, per l'affetto e il sostegno, per le recensioni che mi avete lasciato, che sono un piccolo tesoro che custodisco gelosamente, per i messaggi privati, per tutto quello che mi avete regalato in queste 40 settimana (Meh, una gravidanza! XD). 

Captain Tsubasa è il mio fandom, è casa, e riaprire questa porta ogni volta è proprio come tornare nel luogo in cui siamo cresciute, si respira quell'aria familiare che ti fornisce vigore e gioia, quindi grazie fandom, grazie lettrici e lettori, grazie soprattutto a Takahashi per aver creato questi personaggi (sono suoi, ahimé, ma noi ne facciamo buon uso!). 

I personaggi che non fanno parte della saga di CT, che sono qui presenti nella storia, sono di mia ideazione, creati e ispirati dal mondo che mi circonda. I fatti narrati sono di fantasia, ogni riferimento a eventi realmente accaduti è puramente casuale. 

La canzone finale è sempre di Katy Perry, si intitola Fireworks, e se non la conoscete, o se ve l'ho messa in testa e volete ascoltarla, potete farlo qui  

Che altro dire... sto tergiversando perché non mi sembra vero di mettere (momentaneamente?) la parola fine a questa fanfiction, eppure siamo qui... 

Grazie ancora a tutti voi, siete stati di una dolcezza infinita, e mi avete commosso ^^ lo dimostrano i miei occhi umidi, e no, non è allergia XD 

Un abbraccio immenso 

Sakura 

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