Figlia della Luna

di DreamerGiada_emip
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1° ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2° ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3° ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4° ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5° ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6° ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7° ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8° ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9° ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10° ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11° ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12° ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13° ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14° ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15° ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo


Era un tempo antico, quando umani e creature sovrannaturali coesistevano sulla stessa terra. Gli scontri tra razze erano all'ordine del giorno e la legge del più forte vigeva in ogni angolo del pianeta.

In un paesino di umani disperso tra le montagne, una giovane gitana giramondo ogni notte, per tre cicli lunari, intonava una preghiera alla Luna per supplicarla di far tornare da lei il suo amato. Il canto di quella donna era dolce e malinconico, raccontava alla notte il suo dolore e il suo desiderio dicendo di essere disposta a tutto pur di riavere il suo uomo tra le braccia.

Nella notte di tenebra che segnava l'inizio del quarto ciclo lunare, la bella zingara ricevette in sogno la risposta della Luna. Ella, non essendo in cielo, si mostrò alla gitana nelle vesti di una candida fanciulla con un abito color della notte decorato da una miriade di punti luminosi: le sue figlie, le stelle. Era bellissima e al contempo misteriosa.

La Luna riferì alla gitana di aver apprezzato i suoi canti e per questo avrebbe riportato da lei quell'uomo dalla pelle scura, però in cambio volle il loro primo figlio. La zingara avrebbe dovuto immolare il suo primogenito in suo nome. La Luna la mise in guardia, se mai dovesse non onorare l'accordo, il suo uomo l'abbandonerebbe per l'eternità e lei si sarebbe comunque presa il bambino per sé. Purtroppo la giovane gitana, folle d'amore, non ascoltò l'ammonizione datole e accettò senza esitare l'offerta.

L'uomo ritornò ed insieme consumarono il loro amore. La fanciulla si scordò presto del patto stipulato con la Luna vivendo felice con l'uomo che sempre aveva desiderato. Restò presto incinta del suo primogenito e non appena se ne rese conto, ricordò, come folgorata da un'atroce verità, la condizione per il ritorno del suo uomo. Come poteva lasciare che il frutto del loro amore cadesse in altre mani? Come poteva immolare il suo primo figlio? Non poteva. Decise così che non avrebbe lasciato il suo bambino alla Luna, senza rammendare la premonizione che la Luna le aveva fatto in quel caso.

A primavera nacque una splendida bambina, figlia di quei gitani scuri come il fumo, con la pelle chiara, gli occhi della Luna, come una figlia di Luna. Il gitano subito notò la pelle lattiginosa della bambina e si infuriò. «Questo è un tradimento, lei non è mia figlia e io non la voglio» disse in preda a un'ira cieca. Folle di dolore e colpito proprio al centro dell'onore, afferrò gridando la donna e affondò la lama del pugnale nel suo ventre, infine la baciò con le lacrime. Prese la bambina e la portò in alto sulle montagne abbandonandola in un bosco, per lasciarla in preda alle belve, incapace di uccidere il sangue del suo sangue.

La gitana non morì, probabilmente fu il volere della Luna a farla sopravvivere, aveva infranto il patto e per questo avrebbe vissuto nella disperazione per l'abbandono dell'uomo che amava e per la perdita della figlia. La donna per decine di notti supplicò la Luna di perdonarla e di far tornare il suo perduto amore, ma ella era sorda ai pianti della zingara, la quale morì dopo non molto, probabilmente uccisa dal dolore.

La piccola neonata non fu abbandonata a sé stessa, la Luna le fece dono di grandi poteri e la affidò a una lupa bianca vegliando comunque su di lei e parlandole in sogno.

«Tu crescerai qui, figlia mia, selvaggia e bellissima, dolce e curiosa, la natura ti insegnerà tutto ciò che c'è da sapere, io veglierò su di te. Il tuo nome è Kira» la Luna, ora divenuta madre, la baciò sulla fronte e ritornò tra gli astri del cielo. Consapevole che quella bambina sarebbe diventata una fanciulla splendida, con doti meravigliose.

Questa storia presto divenne leggenda, raccontata dalle madri ai propri figli per farli addormentare. Eppure nel buio della tana di quella lupa bianca cresceva una bambina, forte e bellissima, dai candidi capelli e gli occhi di un azzurro chiaro, simile a una sottile lastra di ghiaccio. Nata da una leggenda, sorella delle stelle, figlia della Luna.

Questa è la mia storia.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1° ***


Capitolo 1


«Storm, aspetta!» urlai ridendo mentre rincorrevo il giovane lupo. Era uno splendido pomeriggio di sole e, nonostante preferissi di gran lunga la Luna, mi piaceva notare i cambiamenti del giorno rispetto alla notte. Le foglie degli alberi assumevano uno splendido verde brillante, i fiori sbocciavano, molti animali uscivano dalle loro tane. Purtroppo non potevo bearmi del calore dei raggi solari troppo a lungo, la mia pelle chiarissima non lo permetteva, rischiavo di bruciarmi.

Continuavo a ricorrere il mio amico lupo, consapevole del fatto che non lo avrei mai acchiappato. Quattro ruote motrici danno molta più velocità che due. Dopo qualche altro secondo di corsa, dove diedi fondo a tutte le mie forze, mi venne un'idea. Cominciai a rallentare per poi fermarmi completamente per simulare un mancamento.

«Oh... il caldo...» dissi ad alta voce per farmi sentire dal lupo, subito dopo mi accasciai sul manto morbido dell'erba chiudendo gli occhi. Speravo che sentirmi "svenire" o comunque non sentirmi più alle sue spalle lo avrebbe indotto a tornare indietro. Rimasi immobile in quella posizione, con il respiro lieve che quasi non si sentiva, all'ombra delle fronde di un albero. Passarono svariati secondi prima che un muso umido si appoggiasse sulla mia guancia annusandomi, non riuscii a trattenere un sorriso e prima che riuscisse a scapparmi gli strinsi le braccia intorno al collo, affondando nella pelliccia, in una morsa giocosa.

«Ti ho acchiappato, furbastro» risi soave, lui in tutta risposta grugnì e cercò di liberarsi dalla mia stretta, senza successo. Mi misi in ginocchio e lo riuscii a tirare per terra ribaltato con le zampe all'aria, smise di ribellarsi e mi leccò una guancia amorevolmente. Rimasi qualche attimo a bearmi dei soffici peli sul suo collo.

«Non pensare di intenerirmi adesso!» affermai risoluta senza lasciarlo. Storm allora tirò indietro le orecchie e avvicinò le zampe anteriori a muso, i suoi occhioni scuri da cucciolo si fissarono nei miei chiari, per completare l'opera emise dei piccoli versi acuti, gli stessi che produceva quando veniva ferito.

«Non vale! Uffa, smettila, lo sai che odio quando fai quei versetti. Mi fai credere che tu stia soffrendo» gli spinsi il muso da una parte per far distogliere i suoi occhi dai miei. All'improvviso sentimmo un ululato provenire dal profondo della foresta, entrambi tendemmo le orecchie: l'Alpha stava riunendo il branco. Lanciai un occhiata a Storm e lui subito rispose al richiamo.

«Pronto per un'altra corsa?» sorrisi e scattai in avanti. Amavo correre tra gli alberi, veloce e silenziosa. I miei piedi poggiavano leggeri sul manto d'erba e foglie, mi aggrappavo agli alberi e saltavo ruscelli e radici troppo sporgenti. Se non avevo una meta, seguivo il vento per scoprire nuovi territori. Mi piaceva il profumo di libertà che la corsa nei boschi mi donava. Al mio fianco, il giovane lupo mi guidava, lui sapeva dove il branco ci stava aspettando. Alzai lo sguardo e tra le fronde degli alberi intravidi il cielo rosso del tramonto, fra non molto avremmo dovuto iniziare la caccia.

Corremmo per qualche altro minuto, inspirai profondamente il profumo che mi portava il vento: terra bagnata, legno in decomposizione, l'odore dei miei compagni. Tesi le orecchie: artigli che graffivano il terreno, lo scrosciare delle acque, uccelli che volavano via frenetici, animali che rientravano nelle loro tane. Individuai attentamente la provenienza di quegli odori e rumori. Il punto d'incontro era vicino al fiume. I miei sensi erano particolarmente sviluppati, probabilmente per la lunga convivenza con i lupi e quand'ero sufficientemente vicina riuscivo a percepire alcuni dettagli in più. Ovviamente non ero neanche lontanamente paragonabile ai miei amici a quattro zampe, ma mi davo da fare.

Quando finalmente giungemmo nel luogo stabilito, notammo di essere gli ultimi arrivati. Guardai negli occhi ognuno dei miei fidati compagni, all'inizio quando ero ancora una bambina non ero ben accetta nel branco. Un'umana non poteva stare tra i lupi, lentamente però mi guadagnai la loro fiducia: aiutandoli, cacciando con loro, liberandoli dalle trappole piazzate dagli umani, curando le loro ferite. Mi sono fatta un posto tra di loro e ora ci rispettiamo e siamo tutti uniti da un profondo legame che in pochi possono comprendere.

Incontrai il vecchio sguardo colmo di saggezza della lupa bianca, colei che mi aveva accudito per lunghi anni, la compagna dell'Alpha. «Alpha. Madre» abbassai un attimo il capo in segno di rispetto, la Madre ricambiò il gesto. Non ero solo io a considerare quella lupa come mia madre, ma ormai tutti noi del branco ci rivolgevamo a lei in quel modo. Per noi era sia nostra madre che la Madre di questo bosco.

L'Alpha mi osservò negli occhi solo per qualche secondo. Non chinò il capo, come aveva fatto la Madre, non lo avrebbe mai fatto ed era giusto così. Era uno splendido lupo nero come la notte, con una profonda cicatrice che gli attraversava l'occhio sinistro: il gallone d'onore per aver sconfitto l'Alpha precedente ed aver preso il suo posto, il distintivo di sopravvivenza e di vittoria.

L'Alpha controllò un'ultima volta che ci fossimo tutti e sollevò il muso al cielo per fiutare una preda, imitato dal resto del gruppo. Io nel frattempo controllai l'affilatura dei miei pugnali e delle mie frecce, mi appoggiai sul l'arco per testarne l'elasticità. Era tutto perfetto, pronto per ghermire la preda. L'Alpha ululò e partì in corsa, con me e gli altri lupi alle costole. Avevano trovato una traccia, la caccia era finalmente iniziata.

🌕🌖🌗🌘🌑🌒🌓🌔🌕

Ci fermammo poco distanti da un piccolo spiazzo d'erba dove un cucciolo di cerbiatto stava brucando gli ultimi ciuffi d'erbetta tenera prima di far ritorno nella sua tana. Non poteva sapere che quello sarebbe stato l'ultimo pasto della sua vita. Ci acquattammo nascosti dietro ai cespugli, favoriti dalla poca luminosità, i lupi si disposero i un semicerchio intorno a al cervo, molto lentamente per non fare rumore. Io incoccai una freccia, pronta a scoccare. Presi la mira e puntai al suo collo. Volevo ucciderlo con un colpo solo, senza farlo soffrire troppo.

Probabilmente io o uno dei due giovani lupi inesperti, facemmo scricchiolare delle foglie o qualche legnetto, poiché la nostra preda sollevò il muso dal terreno e con uno scatto fulmineo iniziò a correre. Sentii l'Alpha ringhiare, non ero sicura se per l'inseguimento o per il nervosismo di averlo spaventato. In ogni caso tutto il branco si mosse: subito dietro il cervo c'erano l'Alpha e la Madre, io cercavo di individuare dove si stesse dirigendo per anticiparne gli spostamenti, mentre i restanti cinque lupi cercavano di stringerlo ai lati.

Mi guardai attentamente attorno, conoscevo quella parte di boscaglia, la preda si dirigeva verso il tramonto, dove il sole era ormai completamente scomparso. All'incirca ovest/nord-ovest. Usare l'arco in corsa era praticamente impossibile, quindi mi destreggia con i pugnali. Presi la mira per beccarlo, non potevo puntare esattamente a una parte del corpo, i troppi movimenti me lo impedivano. Socchiusi gli occhi e lanciai. Il pugnale volò per una cinquina di metri e poi si conficcò nel tronco di un albero dietro il quale era passato il cervo all'ultimo secondo. Aggrottai le sopracciglia e digrignai i denti, passando accanto all'albero strattonai l'arma per riuscire a riappropriarmene.

Probabilmente il cervo inesperto ci stava conducendo dritti dritti alla sua tana, brutta mossa. Mai far conoscere ai predatori la collocazione del proprio nascondiglio. Il cervo spiccò un salto per evitare un fiumicciattolo, era scoperto. Lanciai decisa il mio pugnale per la seconda volta, esso partì con un sibilo e roteando si andò a conficcare nel fianco dell'animale.

Colpito.

La preda cadde rovinosamente a terra, parte del corpo immerso nell'acqua fredda. Il fiume si tinse di rosso, perdeva molto sangue. Cercò di rialzarsi, ma le ferita non gli permetteva di muovere la gamba sinistra, perciò cadde nuovamente. Lo raggiunsi insieme agli altri, vidi l'Alpha osservare la sua preda. Nel branco vigeva una regola, se ferivi la preda, ma non la uccidevi, il colpo di grazia spettava all'Alpha. Sperai che non lo facesse soffrire troppo, odiavo vedere qualsiasi bestia in preda al dolore. Il cerbiatto stava lì, respirava affannosamente, conscio del suo destino. Il grande lupo nero gli si avvicinò con passo silenzioso e si fermò a meno di mezzo metro da lui per guardarlo negli occhi. Sapevo che rispettava la sua preda, ma sapevo altrettanto bene che questa era la legge della natura. I predatori cacciavano e gli erbivori soccombevano. Se le prede fossero finite, anche noi avremmo visto la nostra fine.

L'Alpha con un salto fu sopra all'animale e, appena risollevò il capo, stringeva tra le zanne il collo del cervo morto.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2° ***


Riuscimmo a procurarci un pasto ancor più sostanzioso scovando una famiglia di conigli nella loro tana. Li lasciarono a me, mentre loro divoravano il cervo. Ovviamente dovetti cuocerli, non ero mai riuscita a mangiare la carne cruda. Per questo accesi un fuoco abbastanza sviluppato per riuscire a cuocere la mia selvaggina, più che sufficiente per me. I lupi mangiavo nel buio, nessuno di loro amava avvicinarsi alle fiamme, nonostante da tanti anni io lo accendessi nelle loro vicinanze.

Dopo aver mangiato, sazi e pronti per il nostro rituale di ogni notte, corremmo come un'unica bestia verso il Picco Roccioso: una lingua di terra che sovrastava tutta la foresta, da lassù noi veneravamo la luna.

Una volta arrivati tutti i miei compagni si sedettero e passarono in rassegna al cielo, osservando tutte le stelle, cogliendone le figure che formavano, adorandone lo splendore, ma ulularono solo a lei, alla nostra luna. Io rimasi a osservare ammaliata quel piccolo spicchio, ascoltando attentamente gli ululati come fossero una sinfonia in nome della falce argentata che vegliava su di noi. Ero seduta in mezzo a loro e ci restai per parecchi minuti fino a quando non decisi che era giunta l'ora anche per me di dare il mio personale dono alla nostra protettrice.

Mi sollevai lentamente, portati le mani al petto e chiusi gli occhi. Aspettando pazientemente che gli ululati si affievolissero fino a restare nel silenzio. Finalmente, intonai una dolce canzone, le cui parole di dispersero nella notte, tra le stelle splendenti.

Dea della notte, Luna misteriosa,
Signora del buio, Dea meravigliosa

Il bacio d'argento del tuo raggio lunare
Accoglie il Sole al suo lento calare.
Signora di arcana oscurità
Di magica Arte e fecondità
Solchi le nuvole nel cielo brunito
E la nuda Terra di luce hai riempito.

Tu, nostra Dea, Dea Lunare
A forma di falce la forma ci appare
Ombra tu formi e vai a dissipare
Passato e presente vai a rivelare
Muovendo i mari, tu, splendida Dea
Governi il ritmo della marea.

Dea della Luna, e di ogni saggezza,
Accolgo il tuo dono nella sua interezza
Che giorno per giorno accresce il potere
Di donna o uomo che vuole sapere

Per questo motivo io canto la Runa
Io prego la Dea, io prego la Luna
Per questo motivo io canto la Runa
Io prego la Dea, io prego la Luna
Per questo motivo io canto la Runa
Io prego la Dea, io prego la Luna

Non appena ebbi concluso, mi abbassai nuovamente nulle ginocchia fino a toccare terra. Storm strofinò piano il suo muso contro la mia spalla, io sollevai il braccio e lo accarezzai. Restammo ancora per qualche minuto ad osservare lo spicchio luminoso che si rifletteva negli occhi neri dei lupi. Poi come tutte le notti rientrammo nel folto della foresta, per rimetterci in sesto con un sonno ristoratore.

Quando trovammo un punto adatto, ci sdraiammo lì insieme. Io rimasi seduta ancora un po' a contemplare l'argenteo satellite. Era così bello, sembrava vegliare su questa foresta come un occhio protettore. Sentii un ringhio sommesso alle mie spalle, poi la Madre si sedette accanto a me. Ci guardammo negli occhi, intuii quasi immediatamente che doveva parlarmi, non potevo semplicemente intuire cioè che voleva dirmi, dovevo ascoltare parola per parola e capire.

Mi concentrai chiudendo gli occhi e appoggiai una mano sul suo manto candido all'altezza della spalla. Svuotai la mia mente per permetterle di accedere senza problemi. Quando avevamo un contatto fisico era anche più semplice.

Cosa pensi quando osservi la luna?

- Spesso mi chiedo se davvero lei vegli su di noi. - risposi a bassa voce, ma non mentalmente, mi era più facile rispondere a voce alta e non tramite un pensiero.

È così, lei ci osserva e protegge.

- So che non volete parlare di questo, cosa volete dirmi Madre? - la sentii emettere un suono gutturale di divertimento.

Sei perspicace, giovane Kira. Il mio tempo qui sta per scadere. Tra non molto io morirò per tornare alla terra.

Mi voltai verso di lei di scatto. Non potevo crederci, lei stava per lasciarci. Ripensai a quanto mi aveva insegnato quella bellissima lupa bianca, quando avevo imparato da lei. Mi aveva insegnato come sopravvivere, a rispettare la foresta e gli animali, a cacciare, a riconoscere le piante velenose, ad ascoltare ciò che mi circonda, la forza e la resistenza, a conoscere me stessa. Era stata la figura più vicina a una madre che io avevo mai avuto. E presto non avrei più potuto chiederle consiglio.

- No... no, Madre, non ci posso credere, voi non state davvero per andarvene. - mi tremava la voce, non potevo accettarlo. Sentivo gli occhi che mi pizzicavano.

Tra tre giorni, quando vi sarà la notte di tenebra, io salirò in cima alla montagna da sola e attenderò la morte che mi verrà a prendere. Questo è il cerchio della vita, niente di più niente di meno.

Non riuscii più a trattenermi e scoppiai in un pianto silenzioso, tremavo per l'angoscia. Tre giorni, tre miseri giorni e poi avrei dovuto dirle addio per sempre. Avevo lo sguardo fisso su di lei, la quale però non guardava me, aveva il muso rivolto al cielo. Mi avvicinai a lei e la abbracciai, sentivo il battito del suo cuore, lento e regolare, era come una ninna nanna per me. Anche da piccola mi appoggiavo al suo petto e quel ritmo mi rilassava.

Ora ascoltami attentamente, piccola mia. Appoggiò il muso sulla mia spalla per confortarmi. Tu hai un enorme potere dentro di te, dovrai imparare a controllarlo, sono certa che ne sarai capace e saprai utilizzarlo nel modo giusto. Ricordati sempre chi sei e segui il tuo istinto, rischia per non vivere nel rimorso di non aver fatto qualcosa. Rimani te stessa e vivi la tua vita al meglio. Io veglierò su di te insieme alla nostra Luna. Un giorno tutto ti sarà chiaro.

- Come farò senza di te? -

Ti ricorderai di me.

Detto questo separò le nostre menti, io non sapevo cosa rispondere. Avevo capito poco del suo discorso, avevo bisogno di riflettere e capire. Ma non quella sera, ero stanca e la notizia della sua imminente morte mi aveva sconvolto. Avevo bisogno di dormirci sopra, magari il giorno seguente quando mi fossi ripresa le avrei potuto chiedere spiegazioni.

La Madre si stese per terra ed io mi addormentai in un sonno agitato accanto a lei appoggiandomi al suo pelo morbido.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3° ***


 

I primi due giorni passarono in fretta, troppo in fretta. Avevo provato diverse volte a chiedere spiegazioni alla Madre, ma la sua risposta era sempre la stessa: "quando verrà il momento, tutto ti sarà più chiaro."

La mattina del terzo giorno, mi svegliai con un'unica consapevolezza: quella in arrivo era la notte di tenebra. Notai che intorno a me tutti gli altri membri del branco dormivano, così decisi di alzarmi e andarmi a fare un giro per il bosco. Presi le mie armi cercando di fare il meno rumore possibile e mi allontanai in punta di piedi.

Il tempo passava, ma io non mi convincevo a tornare indietro. Avevo troppe cose per la testa per pensare anche a dove stessi andando, continuavo semplicemente a camminare. Possedevo un grande potere? Sapevo comunicare mentalmente con il mio branco, cosa che da quanto ne so i normali essere umani non sono in grado di fare, ma non mi sembrava in alcun modo un potere fuori dal comune. Perché la Madre aveva deciso di andare in cima alla montagna? E perché proprio la notte di tenebra? Forse non voleva che la vedessimo morire e la luna non essendo in cielo sarebbe potuto venire a prenderla. Era un'ipotesi parecchio strana, ma era l'unica che mi veniva in mente.

Raggiunsi il grande fiume, la principale fonte d'acqua per tutti. M'incamminai lungo la riva, finché non sentii uno scricchiolio leggero, come di un rametto che si spezza, alla mia destra. Preparai immediatamente l'arco e rimasi immobile con i sensi all'erta pronta a scoccare. Dal fitto dei cespugli vidi uscire lentamente Iris, una giovane lupa dal pelo castano chiaro, al sole sembrava mutare in biondo. Lei era il membro del branco con l'olfatto più fine e sviluppato.

- Mi hai trovata seguendo il mio odore, non è vero? - sorrisi riponendo la freccia e l'arco. Lei si limitò ad annuire lievemente.

Lanciai un'ultima occhiata al paesaggio intorno a me, convinta del fatto che volessero che tornassi indietro, ma notai un dettaglio che prima mi era sfuggito: sulla riva del fiume, immerso nell'acqua per metà, giaceva qualcosa. Non sembrava però un animale o una pianta. Aggrottai la fronte e iniziai ad avvicinarmi, quando anche Iris lo notò mi affiancò camminando alla mia destra. Capimmo quasi simultaneamente che cos'era. Era un ragazzo, un uomo, era della mia specie. Iris ringhiò immediatamente tirando le orecchi indietro.

- Aspetta, sembra dormire. - la fermai continuando ad avanzare, lei non era molto d'accordo con la mia scelta, infatti mi si parò davanti con un ringhio di avvertimento.

- Vai a chiamare l'Alpha e la Madre, loro sapranno cosa fare. - lei ancora non sembrava convinta, emise un verso di disapprovazione, l'idea di lasciarmi da sola con ciò che considerava un pericolo non la entusiasmava affatto.

Cercai di rassicurarla, volevo capire cosa ci facesse un uomo da queste parti e le sue intenzioni. - Non preoccuparti, ho i mie pugnali, ricordi? Coraggio, altrimenti non sapremo mai come agire. - la lupa non sembrava per niente d'accordo, ma alla fine si allontanò correndo verso il folto del bosco.

Le mie gambe si mossero automaticamente non appena Iris fu fuori portata. Raggiunsi il ragazzo inginocchiandomi al suo fianco e osservandolo attentamente. Sanguinava da un profondo taglio sulla fronte e sulle braccia vi erano svariati graffi, a parte questo non sembrava in gravi condizioni. Sollevai lo sguardo, magari era caduto dalla scarpata qui di fianco, questo spiegherebbe il motivo delle ferite e del suo essere mezzo immerso nell'acqua. Quindi era svenuto.

Notai una goccia di sangue scivolare giù dal taglio sulla fronte, scendere sul naso, sullo zigomo e infine raggiungere le labbra. Prima che riuscissi a fermarla, la mia mano si era già tesa in avanti per asciugare quel rivolo di sangue. Non appena lo sfiorai, il ragazzo spalancò gli occhi e mi afferrò saldamente il polso. D'istinto mi tirai indietro, ma il mio braccio era ancora prigioniero della sua stretta.

Lui sbatté un paio di volte gli occhi, come se si fosse appena risvegliato da un sogno, e fissò il suo sguardo su di me squadrandomi dalla testa ai piedi. Non capii la sua espressione, sembrava un misto di varie sensazioni.

- Chi sei? - continuava a non lasciarmi il polso, nonostante io stessi cercando di indietreggiare. Non mi era mai capitato un contatto ravvicinato con un altro umano come me. Ho sempre vissuto in mezzo ai lupi, ci siamo avvicinati al villaggio degli umani appena fuori dalla foresta solo per osservarli da lontano. Non risposi alla sua domanda. Lui fece scorrere il suo sguardo sul mio polso imprigionato.

- Scusa, riflesso condizionato. - mi lasciò andare il polso, io indietreggiai lentamente per poi alzarmi di scatto e allontanarmi di corsa.

- Aspetta! Non ti farò nulla. - mi urlò dietro, sentii alle mie spalle un paio di passi, poi un tonfo. Mi fermai. Ero quasi in mezzo agli alberi, se fossi entrata in mezzo a tutta quella vegetazione e mi fossi allontanata non mi avrebbe mai più trovata. Ma inspiegabilmente mi bloccai sul posto e voltai la testa per lanciargli un'occhiata. Era inginocchiato nella mia direzione, non sembrava in grado di camminare. Non sapevo che fare, fidarmi o non fidarmi?

In quel momento sentii il raspare degli artigli dei lupi sul terreno che si avvicinava, in pochi minuti furono al mio fianco. L'Alpha immediatamente si mise a ringhiare nella direzione del ragazzo, era nel nostro territorio, non poteva accettarlo. Storm e gli altri lupi lo seguirono a ruota, tutti tranne la Madre che lo osservava inespressiva.

Vidi il ragazzo tendersi subito alla comparsa del branco, mise con cautela una mano dietro la schiena ed estrasse un'accetta.

- Ragazza, non fare movimenti bruschi. Vieni verso di me lentamente. - disse cercando di mantenere la calma. Mi sembrava pazzo, voleva che mi allontanassi da quello che era il mio branco. Rimasi immobile a osservarlo per poco, poi mi avvicinai alla Madre.

- Pensi sia pericoloso? - chiesi a bassa voce, lei sembrava proprio lo stesse studiando. Per un po' non mi rispose.

Tu invece cosa ne pensi?

- Non lo so, ma potrei indagare. -

Non c'è niente da indagare! È un umano ed è nel mio territorio, questo mi basta per ucciderlo. Un'altra voce nella mia mente, questa autorità poteva appartenere solo all'Alpha, infatti quando alzai lo sguardo su di lui vidi i suoi occhi che ci fissavano fiammeggianti.

- Non ha fatto nulla di male, è caduto dalla scarpata ed è svenuto accanto al fiume, probabilmente si è ritrovato qui per caso. - cercai di controbattere, non capii bene nemmeno io perché lo difesi, ma sentivo il bisogno di farlo. L'Alpha in tutta risposta fece un passo verso di me mostrando le zanne. Ovviamente non intendeva essere contradetto.

La Madre a quel punto si rivolse direttamente a lui e impedì a me di partecipare alla discussione, ma alla fine riuscì a convincerlo, non so come.

Sta attenta, bambina mia, noi saremo qui intorno se avrai bisogno di aiuto.

- Grazie Madre. - sorrisi prima che loro indietreggiassero sparendo nella vegetazione.

Quando tornai a guardare il ragazzo, lui aveva il suo sguardo fisso su di me stupefatto. Riuscii a sentire un sussurro provenire da lui mentre mi incamminavo nella sua direzione.

- Signora dei Lupi... -

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Capitolo 5
*** Capitolo 4° ***


Quando ci ritrovammo faccia a faccia, il ragazzo sembrò risvegliarsi da uno stato di trance. Aprì la bocca poi la richiuse, come volesse dire qualcosa, ma le parole si ostinavano a non voler uscire. Ripeté il gesto un paio di volte, solo quando prese un respiro profondo riuscì ad articolare una frase.

- Tu... voi... cosa diavolo stavate facendo? - balbettò gesticolando. Io sollevai un sopracciglio divertita.

- Parlavamo. - risposi con semplicità, come se la cosa fosse ovvia e normale. Per me lo era.

- No... no, tu parlavi, loro ringhiavano! Eppure sembravate capirvi alla perfezione. - mi sedetti in riva al fiume vicino a lui. Mi concentrai sullo scrosciare dell'acqua chiedendomi inconsapevolmente cosa ci fosse al di là di esso. Se l'avessi seguito fin fuori dalla mia foresta, dove io non mi ero mai avventurata, cosa ci avrei trovato?

Mi riscossi dai miei pensieri e notai che il ragazzo si era seduto di fianco a me.

- Infatti ci capiamo. È così da quando sono nata. Non saprei come spiegartelo, ma li sento qui. - dissi picchiettandomi un dito sulla tempia. Silenzio, lui non parlava.

- Capisco. - rispose all'improvviso. Chissà se capiva davvero, oppure aveva deciso che non valeva la pena indagare oltre? Restammo di nuovo in silenzio per un tempo che mi parve interminabile. Mi bagnai una mano e la avvicina al suo viso. Mi guardò incuriosito, ma non si mosse. Io pulii il sangue dal suo volto e la piccola ferita sulla fronte con delicatezza.

- Cosa sei venuto a fare nel bosco? Insomma, siamo molto lontani dal villaggio. - chiesi curiosa, entrare nel territorio dei lupi è pericoloso. Non credo ci sia un motivo valido per rischiare la vita in questo modo. Distolsi il mio sguardo dal suo e mi concentrai sulla mia mano per pulire via il sangue.

- In casa abbiamo bisogno di legna, dobbiamo fare un po' di rifornimento per l'inverno. - rispose giocherellando con i ciottoli. Ripensai all'accetta che aveva tirato fuori alla comparsa del branco, avrei dovuto intuirlo.

- E per fare rifornimento di legna c'è bisogno di inoltrarsi nel nostro territorio? Avrebbero potuto ucciderti. - lo guardai, si era voltato di profilo tenendo lo sguardo puntato verso l'acqua.

- In realtà non sono arrivato qui intenzionalmente, diciamo che la mia curiosità mi ha spinto a gironzolare un po' per il bosco, ma non mi sono accorto della scarpata e sono scivolato. - poi sorrise e lanciò un sasso in acqua. - Beh, forse non è stato del tutto un male. - aggiunse a voce più bassa.

Lo guardai interrogativa inarcando un sopracciglio. Salvarsi per un soffio da un branco di lupi inferociti non era del tutto un male secondo lui? Lo vidi lanciarmi un'occhiata e passarsi una mano sul retro del collo.

- Lascia stare. Senti, ti va di dirmi come mai sei da sola in questa foresta? - chiese di punto in bianco.

- Primo: non sono sola, vivo con il branco che ti stava per attaccare. - cominciai. Ma lui mi interruppe subito.

- Oh splendido, ecco perché non ti hanno attaccata. E secondo? -

- Secondo: ci sono cresciuta in questa foresta, è la mia casa. I lupi mi hanno accolto nel loro branco e mi hanno insegnato a sopravvivere. - conclusi sorridendo al pensiero di Storm e dei nostri giochi. Erano la mia famiglia.

- E i tuoi genitori? - mi bloccai, non sapevo nulla di chi mi aveva messa al mondo, chiunque fossero dovevano avermi abbandonata. Ma perché? Non mi volevano, molto probabilmente. Me l'ero già domandata altre volte, purtroppo le teorie a mia disposizione scarseggiavano.

- Non li ho mai conosciuti. - sussurrai tenendo gli occhi bassi. - Anche se avrei voluto. - aggiunsi dopo qualche attimo di silenzio. Lui sembrò pensarci su, teneva la fronte un po' aggrottata. Poi sembrò illuminarsi improvvisamente, sul suo viso comparve un sorriso e le sopracciglia si sollevarono.

- Perché non torni al villaggio con me? Insomma, magari i tuoi genitori sono lì. Sono sicuro che se ti vedranno ti riconosceranno subito. - propose entusiasta, aveva gli occhi che brillavano. Impiegai diversi attimi per mettere in ordine nella mia testa quella frase, in quel tempo rimasi zitta a guardarlo spaesata. Quando finalmente compresi, sbattei un paio di volte le palpebre.

- Venire con te? Ma io non ho mai vissuto con gli umani e poi fuori dalla foresta non avrei un riparo. - agitai nervosamente le mani. Abbandonare il mio branco?

- Puoi stare a casa mia. Vivere tra gli umani non è complicato, però forse... - si interruppe squadrandomi da capo a piedi, lo osservai incitandolo a proseguire. - Forse con quel completo di pelliccia daresti un po' nell'occhio... -

- Non lo so, non sono certa di voler lasciare i miei amici lupi. Però... - borbottai riflettendoci, ovviamente l'offerta mi incuriosiva. All'improvviso sentii un'intrusione nella mia mente.

Kira, non vorrai davvero andare con lui?

Storm si era intrufolato nel discorso, stava ascoltando, avrei dovuto saperlo. Stavo per rispondergli, quando una nuova voce si aggiunse.

Non ascoltare nessun altro al di fuori di te stessa. Sarebbe un'ottima occasione per impararne di più su quella che è la tua razza.

Non mi fido di lui.

Non sei tu a doverti fidare.

Storm e la Madre si erano messi a discutere, ma non era tanto quello il problema. Il vero problema era che li sentivo perfettamente anch'io e tutte queste voci non mi lasciavano pensare.

- Ehy, ci sei ancora? - sbattei un paio di volte le palpebre per riprendere il contatto con la realtà, e solo allora mi accorgo che il ragazzo stava agitando una mano davanti al mio viso. Conoscere qualcosa in più sugli umani mi avrebbe fatto piacere, però allo stesso tempo sapevo che andare con lui avrebbe stravolto la mia vita.

- D'accordo. - dissi smettendo di pensare. Dovevo cogliere questa occasione, dubitavo ne avrei avute altre. Sorridendo gli si illuminò il viso.

- Davvero? Pensavo non avresti accettato. - si sollevò in piedi ed io lo imitai. Lo vidi lanciarmi un'occhiata per poi avviarsi, convinto che lo seguissi a ruota.

- Aspetta. - lo fermai, lui si voltò verso di me con aria interrogativa. Nervosamente, iniziai a torturarmi le mani sfregandole tra loro. - Dobbiamo partire subito? Vorrei salutare il branco. - confessai tenendo il viso basso, ma guardandolo tra le ciglia.

- Oh sì, certo, dopotutto sono stati la tua famiglia per tanti anni. - sentii che il suo tono cambiò appena sulla parola "famiglia". Appena finì quella frase, Storm balzò fuori dalle fronde correndo nella mia direzione, gli leggevo negli occhi che era assolutamente contrariato. Vidi di sfuggita che il ragazzo continuava a stare in guardia in presenza dei lupi.

Mi inginocchiai per portarmi all'altezza del suo muso.

Non devi andare.

- Non mi succederà niente. Fidati di me. - sorrisi, non volevo restasse in pena. Mi guardò per qualche secondo, quasi affogai in quegli occhi scuri, infine appoggiò il muso sulla mia spalla strofinandosi piano contro la mia guancia. Lo abbracciai, aggrappandomi alla sua pelliccia folta sul collo. Gli altri membri del branco ci vennero intorno. Avvertivo la tristezza di Iris, per questo mi staccai da Storm per accarezzare la testa e le morbide orecchie della lupa.

Vidi l'Alpha e la Madre che se ne stavano in disparte, lui mi guardava con severità e rimprovero, tutto il contrario degli sguardi che ricevevo dalla lupa bianca: dolci e incoraggianti. Non servì un contatto mentale per capire ciò che la Madre voleva dirmi, annuii semplicemente con un sorriso.

Quando mi voltai verso il ragazzo, Storm mi precedette ringhiandogli contro.

Digli che se non ti riporterà da noi sana e salva queste zanne faranno di lui carne maciullata.

Il ragazzo si irrigidì immediatamente vedendo la reazione del lupo, stava già per prendere l'accetta quando io mi misi tra i due. - Dice che devo tornare viva, niente di che. - mi strinsi nelle spalle, in sostanza era quello che voleva dire.

Era una minaccia, non una richiesta, Kira.

Sorvolai sulle minacce di Storm e mi affiancai al ragazzo. Facendogli cenno di fare strada, si incamminò subito, mi voltai un'ultima volta a vedere il mio branco, per poi seguirlo.

- Non mi hai ancora detto come ti chiami, in ogni caso. - dissi dopo pochi secondi di camminata.

- Se per questo nemmeno tu. - ribatté con un mezzo sorriso, spostai con un braccio un ramo eccassivamente basso.

- Kira. -

- Jacob. Benvenuta nel mondo degli umani. -

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Capitolo 6
*** Capitolo 5° ***


Rivolsi il mio sguardo verso il limitare del bosco, dove la luce del sole raggiungeva il terreno senza l'intralcio degli alberi, e vidi un sentiero che scendeva fino all'entrata di un villaggio. Già l'avevo visto, ma mai da così vicino, sono all'uscita del bosco, dal posto che è stato la mia casa. Lo osservavo dall'alto della montagna, mi tornarono in mente le parole della Madre: "se un giorno vorrai andare dagli umani, io non ti fermerò, ma ti avverto se passerai troppo tempo con loro, molto probabilmente non riuscirai più a lasciare quella vita".

Mi voltai indietro, sfiorai la corteccia di un albero. Jacob mi guardava attentamente.

- Se vuoi restare, puoi farlo. - mi disse con un sorriso comprensivo. Lo osservai, chissà se davvero non sarei riuscita a tornare indietro.

- Se faccio soltanto un altro passo, non sarò mai stata così lontana da casa mia. - sorrisi imbarazzata. Jacob tornò verso di me e allungò una mano, come fosse un invito ad avanzare. Raccolsi un ramo di ulivo che era ai miei piedi, infilai parte del rametto dentro al nodo della corda del mio arco. Feci un respiro profondo raccogliendo tutto il mio coraggio e afferrai la sua mano. Lui dopo avermi rivolto un sorriso d'incoraggiamento riprese a camminare senza lasciare la mia mano.

Percorremmo il sentiero con passi svelti e decisi, non ci mettemmo molto a raggiungere i grandi cancelli del villaggio. Mi lasciò la mano e sollevò il viso verso la sommità dell'entrata, era davvero molto alta. Fece un fischio secco e corto.

- Kyle, apri questa porta! Abbiamo un'ospite. - urlò verso l'alto, Dopo pochi secondi di attesa, una finestrella si aprì tra le mura e un volto apparve scrutandoci.

- Ero certo fossi tu, degenerato. Vedi di trattarmi bene, altrimenti ti lascio fuori in pasto alle belve. - incrociò le braccia al petto e sollevò il mento offeso. Il ragazzo al mio fianco roteò gli occhi e scosse la testa divertito.

- Sarebbe così gentile, signor Rutherford, da lasciarci entrare, per favore? - Jacob si esibì in un inchino ironico. L'uomo mostrò un sorriso sornione soddisfatto che intravidi soltanto a causa della distanza.

- Così va meglio... aprite il cancello! - urlò a chissà chi. Subito la grande porta iniziò ad aprirsi lentamente, Jacob si avviò dentro con un cenno seguito da me.

Non appena varcai quella soglia, i miei occhi si spalancarono e le mie labbra si schiusero leggermente. Gente. Tanta gente. Gente che camminava, gente che rideva, gente che chiacchierava, gente che contrattava merce a voce alta, gente che rincorreva i bambini, gente che si affacciava alle finestre, gente che trascinava dei carretti, gente che ci salutava, gente che mi osservava stranita. Gente, gente, gente dappertutto. Non credevo ci fossero così tanti umani dentro questo villaggio.

- Non far caso alle occhiate... - sobbalzai, Jacob si era accostato al mio orecchio ed io ero talmente disorientata che nemmeno me n'ero accorta. - Ti osservano a causa del tuo vestiario, non è abbastanza comune per loro. - mi sussurrò vicino, sentivo il suo respiro sul collo e dietro l'orecchio, mi provocò dei brividi. Continuai ad avanzare di fianco a lui, tenevo lo sguardo fisso di fronte a me, ma comunque tenevo d'occhio tutti quelli che mi osservavano. Al mio passaggio alcune ragazze bisbigliavano tra di loro e ridacchiavano, altre mi guardavano con giudizio e critica. Mi facevano uno strano effetto quelle occhiate indagatrici. Continuai a seguire Jacob senza fiatare, finché non raggiungemmo una casa in legno. Il ragazzo al mio fianco mi aprì la porta per permettermi di entrare. Era piccola ma accogliente, il focolare riscaldava l'ambiente.

- Stavamo iniziando a preoccuparci, non tornavi più e... - una ragazza spuntò da un'altra stanza, ma si bloccò non appena il suo sguardo raggiunse la mia figura. Con uno straccio si stava asciugando le mani. Mi osservò stupita dalla testa ai piedi, finché Jacob non prese la parola facendola riprendere.

- Scusa il ritardo, sorellina, comunque ti presento Kira, starà qui con noi per un po'. - spiegò mentre si toglieva la giacchetta e la camicia bagnata restando a petto nudo. Appoggiò entrambe accanto al fuoco per fare in modo che si asciughino. Mostrai un lieve sorriso alla ragazza che non smetteva di osservarmi.

- Ti scordi la legna e per di più porti in casa un'estranea? - un'altra voce mi fece voltare e trovai una seconda fanciulla intenta ad osservarmi. Mi osservava con aria di sufficienza. Jacob si mise di fronte a me interrompendo il nostro incontro di sguardi.

- Non rivolgerti a lei in questo modo, è da maleducati, Miriam. - la rimproverò con voce severa il ragazzo davanti a me. Intravidi la ragazza di nome Miriam fare una smorfia e uscire dalla stanza. Non sembravo affatto ben accetta. Non volevo certo essere un intralcio per loro e nemmeno un peso. Mi sentivo totalmente fuori luogo. Non solo per le mie origini, ma anche per il colore della pelle. Il candido pallore della mia contro la pelle abbronzata loro.

- Non farci caso, è scontrosa all'inizio, ma scoprirai che è una brava persona. - la ragazza di prima mi si avvicina con un dolce sorriso. - Io sono Michela, è un piacere conoscerti. - il suo profumo ricordava i fiori di campo.

- Kira, il piacere è tutto mio. - risposi gentilmente chinando appena la testa in segno di saluto. Lei mi osservava incuriosita. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma venne preceduta.

- Domani dovrò tornare nel bosco per la legna, non ne ho granché voglia. - si lagnò Jacob arruffandosi ulteriormente i capelli già aggrovigliati di loro. Ci fece un sorriso sbarazzino e un po' impacciato. Michela, che avevo capito fosse sua sorella, si mise le mani sui fianchi.

- Se sei uno smemorato che appena vede una bella ragazza perde la testa, io non posso farci niente. - lo rimproverò, ma osservando il suo viso non la si poteva prendere sul serio, aveva un viso dolcissimo e comprensivo. - E poi, spiegami come hai fatto a bagnarti i vestiti in quel modo? - aggiunse lanciando un'occhiata allusiva alla camicia appesa accanto al fuoco. L'espressione arrabbiata non le si addiceva per niente, infatti la abbandonò poco dopo. Sospirò scuotendo la testa.

- Non è colpa mia, sono caduto giù da una scarpata e sono finito in un fiume, Kira mi ha aiutato. - mi rivolse un mezzo sorriso, forse di ringraziamento. Michela abbandonò l'aria arrabbiata che aveva assunto e si avvicinò al fratello preoccupata, lo ispezionò velocemente con lo sguardo accorgendosi del sottile graffio che gli attraversava la fronte. Quasi non si vedeva dopo aver tolto il rivolo di sangue.

- Perché dei essere sempre così maldestro, Jake? - esclamò esasperata sfiorando appena la ferita. Io li osservavo con un lieve sorriso sul viso, mi piaceva il loro rapporto. Mi ricordava quello che avevo io con la Madre, di affetto, fiducia e dolcezza.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6° ***


- Da dove vieni? - mi chiese Michela subito dopo aver ispezionato attentamente le ferite del fratello e averlo rispedito a recuperare la legna. Mi fece accomodare su una sedia mettendosi di fronte a me con i gomiti appoggiati sul tavolo e la testa sorretta da entrambe le mani.

- Dai boschi, sono cresciuta là. - risposi con un punta di fierezza nella voce. Amavo le mie origini, erano una parte di me e in qualche modo avevano forgiato il mio carattere. La vidi schiudere la bocca e spalancare gli occhi.

- Davvero? È incredibile! Sei scappata di casa, oppure i tuoi ti hanno abbandonato? Per quanti anni hai vissuto nel bosco? Mi sembra davvero stupefacente! E come hai fatto con le belve che li abitano? - partì con una sfilza infinita di domande. Gesticolava e non riuscivo a capire se il motivo fosse l'euforia oppure l'ansia. Forse per gli esseri umani la vita nei boschi era complicata o addirittura impossibile, soprattutto per chi passa la propria vita interamente in un villaggio come quello.

- Calma, quante domande tutte insieme. - sollevai le mani ridendo per fermarla. Lei incassò la testa tra le spalle con le guance sfumate di rosso.

- Scusa, è solo che mi hai incuriosito, conoscere qualcuno che è cresciuto nella foresta è una novità per me. - si passò una mano sul retro del collo e abbassò lo sguardo sul tavolo di legno. Percepii il suo imbarazzo.

- Non ti preoccupare, non mi dà fastidio. - le feci un dolce sorriso per tranquillizzarla. - Comunque non sono ne scappata ne mi hanno abbandonata, ci sono nata tra i boschi, i lupi mi hanno accudito. -

- I lupi?! - esclama sbattendo quasi le mani sul tavolo e sbarrando gli occhi. Mi sarei dovuta aspettare una reazione simile, ma non ci pensai in quel momento. Era una cosa più che naturale per me parlare dei lupi come fossero miei amici e fratelli. Per loro non era naturale affatto.

- Si, so che può sembrare strano e forse pericoloso, ma non lo è. I lupi mi hanno accudito, mi hanno insegnato a sopravvivere e a rispettare sempre la natura e gli altri animali, sono stati la mia famiglia. - spiegai con serenità, un lieve sorriso albergava sulle mie labbra mentre raccontavo della mia infanzia. - Ho vissuto splendidamente i miei 17 anni. -

- In pratica, non hai avuto problemi con le belve visto che avevi dalla tua parte un branco di lupi. - mi osservava con lo stupore e la curiosità dipinti in volto. Era una storia nuova per lei e io mi divertivo a raccontarla. Il suo sguardo sembrava spronarmi a continuare.

- C'è una lupa bianca, noi la chiamiamo la Madre, che mi ha sempre trattato come una dei suoi figli, è stata lei a insegnarmi tutto ciò che c'è da sapere. Mi ha insegnato ad ascoltare il vento, a seguire i profumi, a trovare un rifugio, a riconoscere le piante velenose, a distinguere il guardare dal vedere. - continuai allora io.

- Cosa intendi? - m'interruppe alludendo all'ultima parte del discorso presumibilmente.

- Distinguere il guardare dal vedere? Beh, non è semplice da spiegare. "Guardare" ti permette di accorgerti solo della facciata esteriore delle cose, la parte più ovvia e scontata, ma "vedere" si intende dire quando scopri dei piccoli dettagli, più ti alleni nel distinguere le due cose, più ti verrà naturale osservare tutto con sguardo attento e indagatore. - cercai di ricordare le parole della Madre per spiegarle cosa io intendessi. Mi fu difficile, più di quanto pensassi, poiché la brava oratrice nel branco era la Madre. Mi osservava con stupore e curiosità.

- Come puoi capire ciò che dicono i lupi? - chiese questa volta più scettica.

- Ecco, questo forse non saprei nemmeno io come spiegarlo. - mi passai una mano sul retro del collo. - Li sento nella mia mente, le loro voci, mi è più facile sentirli quando ho un contatto fisico con loro, ma possiamo farlo anche a piccole distanze. - cercai di spiegare al meglio seguendo le venature del legno con la punta delle dita. Sentivo il suo sguardo addosso. Teneva le sopracciglia aggrottate in attento ascolto, sembrava interessata davvero. Sollevai gli occhi per osservare lo spazio circostante. Erano così diversi i profumi che potevo cogliere lì in confronto a quelli della foresta cui ero abituata. Incenso, legna bruciata, pane. Era un mix piacevole. Michela si alzò in piedi all'improvviso facendomi riportare lo sguardo su di lei.

- Avremo molto da raccontarci io e te. - mi mostrò un sorriso radioso, pieno di dolcezza. - Ma prima dobbiamo trovarti degli abiti più adatti, non puoi certo andare in giro per il villaggio vestita così. Senza offesa, adoro il tuo completo di pelliccia, ma qui non tutti approverebbero. - mi alzai anch'io in piedi, mentre lei aggirava il tavolo. Mi prese per mano e iniziò a trascinarmi fuori.

- Aspetta. - la fermai impuntandomi un attimo con i piedi per terra. Lei si voltò verso di me con un sopracciglio alzato. - Avresti qualcosa per coprirmi mentre siamo fuori? La mia pelle non può sopportare per molto i raggi di sole e anche solo venir qui non le ha fatto bene. - spiegai accennando al mio braccio con una rapida occhiata. Lei mi osservò dalla testa ai piedi.

- In effetti è davvero pallidissima, aspettami qui. - mi lasciò la mano e corse in un'altra stanza. Si vedeva ch'era abituata a muoversi veloce in continuazione, forse non aveva molto tempo libero. La attesi con pazienza senza muovermi da dove mi era stato detto. Lei tornò un attimo dopo con un mantello bianco perlaceo tra le braccia. Tolsi arco e freccia dalle mie spalle appoggiando tutto su una delle cinque sedie che circondavano il tavolo. Si avvicinò a me, ma, anziché darmelo in mano, me lo mise sulle spalle compiendo un fluido movimento circolare. Mi allacciò la cordella sul petto e sollevò il largo cappuccio fino a mettermi il viso totalmente in ombra. Stavo per riprendere le mie armi, ma lei appoggiò la sua mano sulla mia.

- Non avrai bisogno di protezione fintanto che vivrai nel villaggio. - spiegò con occhi che potevano esprimere solo dolcezza. La osservai con attenzione, dopotutto non avevo mai fatto un passo senza un qualcosa che mi potesse difendere a portata di mano. Non vi era traccia di menzogna in quello sguardo.

- Allora forse dovrei lasciare anche questi. - conclusi io slacciando  la corda che teneva legati i pugnali alla mia vita, li appoggiai vicino all'arco. Le sorrisi pronta ora a seguirla. Lei ricambiò immediatamente, anche se stupita da quante armi io possedessi. La seguii fuori. C'erano tantissime persone. Non sarei mai riuscita ad abituarmi completamente al chiacchiericcio continuo di quel luogo, ma c'era una buona notizia: lì in mezzo sembrava quasi impossibile sentirsi soli. Camminavamo fianco a fianco per le strade, nuovamente molti sguardi si concentrarono sulla mia figura. Curiosi, giudiziari, diffidenti. Percepivo il loro peso su di me. Li osservai uno a uno con gli occhi nascosti dal cappuccio. Mi piaceva guardarmi intorno in quel posto. Era tutto così diverso da casa mia, tutto così movimentato, frenetico, rumoroso. Un mondo che non si fermava mai.

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Capitolo 8
*** Capitolo 7° ***


Raggiungemmo in poco tempo una piccola struttura al cui esterno erano esposti abiti maschili e femminili. Vi entrammo senza esitare. Il tintinnio di un campanello risuonò nell'aria non appena chiudemmo la porta e con essa chiudemmo fuori una parte di tutto quel chiacchiericcio. Iniziai ad osservare incuriosita lo spazio circostante. Era colorato, estremamente colorato. Metri e metri di stoffa avvolti in rotoli mi circondavano. Alcuni abiti erano già cuciti ed esposti su manichini. Lo spazio era grande, ma appariva molto ridotto vista la quantità di cose sparse in giro. Socchiusi le labbra per lo stupore. Mai prima d'ora avevo visto così tanti colori tutti insieme, forse solo nel piumaggio di alcuni uccelli.

- Benvenuti signori e signore. - una donna dalle guance paffute e le forme generose ci salutò allegramente da sopra una scala. Michela le sorrise.

- Bungiorno Madame Gisella. - le rispose facendole un veloce cenno con la mano. Io la osservai abbassando il cappuccio del mantello, ma senza toglierlo del tutto. La signora Gisella scese dalla scala con una velocità inaspettata per la sua mole. Si avvicinò a me con un sorriso gentile.

- Chi abbiamo qui? Oh ragazza mia, hai degli splendidi occhi e anche i capelli, mai visti come i tuoi. - mi fece i complimenti con voce gentile. Le sorrisi a mia volta in segno di ringraziamento. - Come posso aiutarvi? - chiese rivolgendo lo sguardo alla mia accompagnatrice. Lei mi indicò con il pollice.

- Avremmo bisogno di qualcosa adatto a lei, sai non può andare in giro vestita così. - disse facendomi cenno di togliere il mantello. Eseguii il suo consiglio mostrando il completo di pelliccia che indossavo. La donna mi osservò con attenzione dalla testa ai piedi.

- Sì, hai ragione. - annuì vigorosamente dileguandosi poi in mezzo a chili di stoffa. Rivolsi il mio sguardo a Michela, non sapevo cosa fare o come comportarmi. Lei mi invitò a seguirla.

- Qui abbiamo comprato tutti i nostri vestiti, se si tratta di stoffe, Gisella è la persona migliore a cui rivolgersi in questo villaggio. - ci avviammo per il negozio. Zigzagando tra gli attrezzi da taglio e cucito sparsi in giro e i cestini di vimini contenenti chissà cosa. Mi fece accomodare su un divanetto, mentre sentivo la signora Gisella muoversi e spostare oggetti nella stanza adiacente. Ricomparì poco dopo con un mazzetto di campioni in mano.

- Vediamo un po'... - sussurrò più a se stessa che a noi. Le leggevo la concentrazione in volto, la fronte corrugata e le labbra leggermente socchiuse. Seguivo con il mio sguardo ogni suo minimo movimento, come ero stata abituata nei boschi, prestare attenzione ad ogni dettaglio e movimento di chi non si conosce. Avvicinò alla mia pelle i piccoli ritagli di stoffa, uno dopo l'altro, per vedere quale colore si abbinasse meglio al mio carnato. Sia io che Michela non dicemmo una parola per tutto il tempo. Mi piacque osservare come arricciava il naso quando il colore non le piaceva, oppure come mugugnava quando lo trovava grazioso. Divise i campioni in due pile, poi ne scartò una e ricominciò da capo con l'altra. Tolse di torno altri lembi di stoffa, finché non restò solo con tre: uno splendido blu cobalto, uno verde erba e infine uno argenteo come la luna. Concentrai il mio sguardo nei suoi piccoli occhietti vispi.

- Ora la scelta è tua, sono tutti colori che ti starebbero benissimo addosso. - esclamò felice e orgogliosa di sé stessa. Iniziai a guardare attentamente le stoffe. Erano tutte così belle ed ognuna di esse mi ricordava un dettaglio della mia amata foresta. Il blu era la notte senza stelle, di quelle invernali, fredde ma meravigliose. Il verde rappresentava le foglie degli alberi e l'erbetta fresca che adoravo sentire tra le dita dei piedi, mi faceva il solletico, ma allo stesso tempo era piacevole. Infine l'argento che riportava alla mia mente le tante notti passate a cantare alla Dea Luna in compagnia del mio branco, la mia famiglia.

- È possibile fare un abito con il verde e l'argento e un mantello con cappuccio con il blu? - chiesi a un certo punto non sapendomi decidere. Erano tutti così belli, pieni di ricordi. Avere con me quei colori mi avrebbe ricordato costantemente le mie vere origini.

- Niente di più facile. - sorrise allegra. Le accennai anch'io un lieve sorriso di ringraziamento. - Mi servono le tue misure, vieni con me. - mi invitò a seguirla in un'altra parte del negozio e mi fece salire in piedi su uno sgabello.

Passammo la seguente mezz'ora a misurare ogni singola parte di me. Mi sentivo tanto una bambola di pezza sballottata di qua e di là, ma in quel tempo ebbi l'occasione di osservare una miriade di stoffe differenti, centinaia di spille e adornamenti anche preziosi di ogni genere e svariati esempi di abiti. Certamente, tra gli umani, la necessità di avere totale libertà di movimento non era tra le primarie. Uscii dal negozio con il mantello prestatomi da Michela appoggiato sulle spalle, il cappuccio sollevato a proteggere il mio viso dai raggi solari.

- Dunque, questione del vestito risolta. - ripresi a seguirla per le strade, stavamo tornando indietro verso casa sua. - Ma ci vorranno almeno uno o due giorni per poterlo avere, dovrai indossare alcuni dei miei in quest'arco di tempo, spero non ti dispiaccia. - mi osservò un po' imbarazzata. Scossi la testa sorridendo.

- Assolutamente no, anzi ti ringrazio infinitamente per quello che state facendo per me. - continuammo a camminare ed io cercai di non fare caso alle occhiate della gente. Dopotutto ero la nuova arrivata. Raggiungemmo la sua casa in pochi minuti, Michela mi espose a grandi linee la vita nel villaggio. Ognuno aveva un compito prestabilito e mi sorpresi sentendo quanto fossero organizzati. Una volta a casa, Michela mi tolse dalle spalle il mantello e lo appoggiò su una sedia.

- Sai, credo che avendo il tuo fisico ti starebbero meglio gli abiti di Miriam che ha una struttura più esile, simile alla tua. - decretò scrutandomi attentamente. Mi tornò in mente la sua reazione nell'avermi vista.

- Ma non le dispiacerà? - chiesi titubante. Solo nell'avermi portata in casa sua, Jacob si era beccato una piccola sfuriata, non credevo sarebbe stata felice di sapere che avevo indosso i suoi vestiti. Michela mi fece segno di non preoccuparmi e corse in un'altra stanza, tornò poco dopo con in braccio un paio di abiti. Li osservai. Uno rosso e nero, l'altro di un particolare verde scuro.

- Questi, a mio parere, sono i migliori per il posto in cui voglio portarti. - disse mostrandomeli allegra. Sollevai un sopracciglio.

- E dove vorresti portarmi? - chiesi incuriosita da tutto quel mistero. Indicai l'abito rosso e nero, quello che preferivo tra i due. Lei me lo porse gentilmente e mi indicò una stanza dove cambiarmi.

- Lo vedrai. -

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Capitolo 9
*** Capitolo 8° ***


Riuscii a indossare quell'abito solo grazie all'aiuto di Michela. Il corpetto in pelle stringeva la mia vita e il mio seno, mi sentivo bloccata. La ragazza accanto a me avrebbe voluto stringerlo ulteriormente.

- È così che si fa. - si giustificò riprendendo i lacci. Io mi spostai delicatamente dalla sua presa e mi misi di fronte allo specchio incrociando i lacci per chiuderli e bloccarli.

- Solo perché "è così che si fa" non significa che bisogna farlo. - mi passai le mani sulla gonna, almeno quella permetteva di muovere le gambe liberamente. Infine, infilai gli stivali neri in pelle che Michela mi aveva procurato. Per me che da sempre giravo scalza, fu una sensazione strana non sentire il terreno sotto i piedi. Notai che Michela era rimasta interdetta e pensierosa dalla mia ultima frase. Le sorrisi. Non volevo distruggere le sue usanze o abitudini, ma nemmeno rinunciare del tutto a ciò che ero.

- Ero sicura che ti sarebbe stato d'incanto. - esclamò riscuotendosi dal suo stato di torpore momentaneo. Girai su me stessa facendo sollevare la gonna in una ruota. Mi piaceva, anche se non era del tutto funzionale.

Uscimmo di casa e raggiungemmo un altro edificio dal cui interno provenivano risate, musica e chiacchiericcio. Sollevai lo sguardo e vidi un'insegna in legno con un cavallo impennato intagliato ad opera d'arte, appena sotto una scritta che non riuscii a leggere.

- Il Puledro Impennato. È dove lavoro come cameriera. Finché non troverai un lavoro che ti piaccia potresti provare qui con me. - disse invitandomi con un cenno a entrare. La seguii all'interno e venni subito investita dall'odore di cibo e liquore. Michela si avvicinò al balcone con me al seguito. Un uomo stava dall'altra parte e, non appena la vide, spalancò le braccia con un sorriso. Abbassai il cappuccio lasciando che si adagiasse morbidamente sulle mie spalle.

- Era ora! Pensavo che non arrivassi più, sai che dovrei detrarti questo ritardo dalla tua paga? - la ammonì. La sua voce era possente e cavernosa, mi ricordava tanto il rombo di un tuono. Osservai attentamente il suo vestiario: un grembiule chiazzato gli circondava i fianchi e la camicia scura era tesa sul suo petto largo. Teneva tra le mani un grosso coltello per tagliare la carne, sicuramente affilatissimo.

- Ma non lo farai, perché ho portato un'aiutante per sdebitarmi. - scherzò la ragazza al mio fianco appoggiando le mani al balcone. L'uomo spostò il suo sguardo su di me. Incrociai i miei occhi con i suoi scuri e profondi.

- Un'aiutante eh? - borbottò senza smettere di analizzarmi. - Beh, diamole una possibilità, dopotutto non ho niente da perdere. - sollevò le ampie spalle e mi rivolse un sorriso sghembo. Il suo sguardo aveva un particolare sfumatura di furbizia e attenzione, ma non una furbizia subdola, assomigliava più a una capacità di riconoscere un inganno e ricordare colui che l'ha messo in atto.

- Grazie Max. - esclamò con un sorriso a trentadue denti la ragazza accanto a me. Il suo viso gioioso era contagioso, sembrava poter illuminare il luogo. Improvvisamente il mio istinto percepì uno sguardo perforante posato su di me, quindi mi voltai ad analizzare il posto. Un gruppetto di ragazzi erano voltati verso di noi e ci guardavano con occhi lascivi. Uno di loro mi sorrise languidamente quando il suo sguardo incrociò il mio. Non ricambiai. Il loro modo di guardarci mi metteva in guardia, e per un secondo rimpiansi di non avere a portata di mano i miei pugnali. - Stai guardando loro? Lasciali perdere, sono solo un gruppo di mocciosi sempre in cerca di una bella ragazza da importunare. Sono innocui, ma ogni tanto potrebbero allungare le mani. Qui non ti sfioreranno nemmeno con un dito, Max non lo permetterebbe mai. - Michela si accostò al mio orecchio per non farsi sentire dalle persone vicine. Non ero abituata a sentirmi così esposta, mi sentivo scoperta, come se potessi venir attaccata da un momento all'altro. Istintivamente la mia mano andò a a cercare la sicurezza nell'elsa dei miei pugnali, che però non trovai. Appoggiai la mano sul fianco irrigidendo la mascella. Decisi di tenerli d'occhio.

- Dunque, cosa dovrei fare? - chiesi rivolgendo finalmente il mio sguardo a Michela. Lei mi sorrise radiosa e mi prese per mano.

- Prendere le ordinazioni ai tavoli, riferirle a me o a Max e appena saranno pronte portare tutto ai tavoli. - mi spiegò velocemente. Annuii. La ragazza lanciò un veloce sguardo al gruppetto che ancora non aveva distolto lo sguardo da noi. - Se vuoi a loro posso pensarci io. - si propose gentilmente. Li guardai di nuovo. Prima o poi avrei dovuto ritrovarmeli di fronte e non ci sarebbe sempre stata lei al mio fianco, anche senza le mie armi dovevo imparare a difendermi. Scossi la testa e sorrisi per rassicurarla.

- Non ti preoccupare, saprò cavarmela. - dicendo quella frase decisi che mi sarei subito levata il problema. Sarebbero stati i primi da cui sarei andata.

- Brava ragazza, così ti voglio! È facile alla fine, basta sorridere e chiedere "cosa prendete?", probabilmente ti chiameranno loro quando si saranno decisi. - fece un gesto non curante con la mano. Mi tolsi il mantello e lo lasciai a Michela che lo portò da un'altra parte. Raddrizzai le spalle e mi avvia verso il loro tavolo a passo deciso. Il sorriso che mostrai quando fui di fronte a quei ragazzi non includeva lo sguardo che restava attento e indagatore.

- Cosa prendete? - ripetei esattamente le parole consigliatemi da Michela. Uno di loro appoggiò le braccia sullo schienale della sedia e allargò le gambe squadrandomi dalla testa ai piedi con un ghigno.

- Sei birre. - mi lanciò un'altra occhiata. Aveva parlato a nome del gruppo e subito mi fece ricollegare all'Alpha del mio branco. - Ma prenderei volentieri anche te, dolcezza. - mi fece l'occhiolino. Anche solo il suo atteggiamento mi stava infastidendo. Il fatto che mi avesse affibbiato un nomignolo dopo soli quattro secondi di conversazione mi fece scomparire il sorriso dal viso. Avrei davvero voluto sfigurarlo di fronte a tutto il suo gruppetto di amici, rispondergli in modo velenoso, ma mi trattenni e gli rifilai una delle frasi meno sfacciate e crudeli che mi passavano per la testa.

- Non sono un oggetto in vendita, casanova. E anche se fosse non ti basterebbero un centinaio d'anni per ripagare il debito. -

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Capitolo 10
*** Capitolo 9° ***


Per un attimo nel suo sguardo comparve una sfumatura di delusione. La mia risposta gli aveva smorzato un po' l'ego che si portava appresso. Sollevai un sopracciglio continuando ad osservarlo senza smuovermi dalla mia posizione. Era in difficoltà, cosa abbastanza evidente da vedere. Lo sentii sussurrare a dento stretti un "puritana", ma mi toccò ben poco.

- Basta così, grazie. - il ringraziamento fu pressocché una smorfia infastidita. Diedi le spalle a quei ragazzi e mi avviai verso Michela che mi osservava da dietro il banco.

- Com'è andata? - chiese timidamente osservandomi tra le lunghe ciglia nere. Le sorrisi con una punta d'orgoglio. Lanciando un'occhiata per vedere cosa stesse facendo il gruppetto, le risposi.

- Benissimo, ho rimesso in riga il loro Alpha. E' bastato a farli star buoni tutti. - dissi tranquillamente. Gli altri ragazzi stavano dando amichevoli pacche sulle spalle accompagnate da risate generali a quello che aveva affrontato la conversazione con me. Teneva le braccia incrociate al petto e aveva sul viso un cipiglio tra lo stizzito e l'offeso, faceva quasi tenerezza. Quasi.

- E brava Kira! Così si fa ragazza! - esclamò Michela tutta contenta per me. Le riferii l'ordinazione del gruppo e ripartii per informarmi anche delle altre. Non era difficile dopotutto. Ascoltavo alcuni pezzi di conversazione e osservavo gli umani nel loro ambiente naturale. Alcune conversazioni non le capivo, parlavano di cose a me ancora sconosciute data la mia lunga convivenza con i lupi. I profumi all'interno di quella locanda erano molteplici e si sovrapponevano disordinatamente, ci misi un po' per riuscire a distinguerli chiaramente. Mi concentravo anche sui rumori che captavo. La risata di una giovane donna, una tosse pensate, il martellare di passi sulle assi di legno, il tintinnio delle monete, il fragore delle stoviglie e tantissime voci differenti. Un mondo nuovo ed estremamente diverso dal mio silenzioso bosco verde.

🌕🌖🌗🌘🌑🌒🌓🌔🌕

- Vieni Kira, ormai dobbiamo chiudere. - la voce di Michela mi richiamò mentre mi accingevo a recuperare alcuni bicchieri dai tavoli ormai vuoti. La taverna era ormai vuota, rimaneva solo un gruppetto di uomini che parlava fitto fitto. Portai le ultime stoviglie al banco, dove il proprietario le portò via, e recuperai il mio mantello, per poi avvolgermelo intorno alle spalle. Michela mi aspettava sulla porta ed io mi affrettai a raggiungerla. Non appena uscimmo dalla taverna sollevai lo sguardo verso il cielo. Si intravedeva la luna nel cielo azzurro e il sole si accingeva a tramontare. Sembrava osservare la luna, ammirarla e amarla, prima di darle l'ultimo addio. Ci avviamo verso la casa di Michela e Jacob.

- Domani andremo a recuperare i tuoi vestiti, dovrebbero essere già pronti. - mi disse ed io mi limitai ad annuire in risposta. La gente in strada era ormai dimezzata e quasi tutti stavano rientrando in casa. Alzai lo sguardo sulle mura dove uomini camminavano, silenziosi e attenti, avanti e indietro. Tenevano tra le mani lunghe lance appuntite. Seguii Michela fino a casa memorizzando la strada grazie a dettagli nel paesaggio. Quando varcammo la soglia, un buon profumo ci investì in pieno. Inspirai profondamente. Non conoscevo quel profumo, ma mi attirava e mi faceva venire l'acquolina in bocca. Michela vide la mia espressione incuriosita e il mio fiutare l'aria, per questo sorrise. Mi fece cenno di seguirla, cosa che feci subito dopo essermi tolta di dosso il mantello e averlo appoggiato sull'appendiabiti. Andammo in cucina e vidi una pentola ribollire sul fuoco. Una ragazza dai selvaggi capelli ricci rossi si affaccendava tagliando verdure e lanciandole abilmente all'interno del calderone. Riconobbi Miriam anche di spalle. Quella chioma era impossibile da non riconoscere. Mi ricordava delle lingue di fuoco, pareva quasi viva.

- Era ora tornassi, Michela, sei in ritardo. - finì di tagliare quello che riconobbi come rosmarino dal dolce profumo che diffondeva nell'aria. - Siediti che ormai si mangia. - si girò appena conclusa la frase e subito il suo viso si fece cupo incontrando la mia figura. Assottigliò quei suoi occhi verdi da gatta nascondendoli dietro le lunghe ciglia nere. Era inequivocabilmente una splendida ragazza. - E lei che ci fa ancora qui? - chiese con voce aspra squadrandomi da capo a piedi. Incassai la testa nelle spalle. Non ero la benvenuta in casa loro e questo mi dispiaceva, speravo di poter essere d'aiuto e non diventare un peso, ma a quanto pare anche lavorare con Michela non mi distoglieva dall'essere un'intrusa ai suoi occhi.

- Miriam, ti ho detto di non parlarle così, ora lei è nostra ospite e lo sarà finché non deciderà di andarsene. - Jacob spuntò dall'altra stanza dicendo queste parole. La rossa fece una smorfia.

-  Non ci servono pesi morti, Jacob. - ringhiò continuando a fulminarmi con lo sguardo. Sembrava volesse incenerirmi. - Per di più, quello che indossa non è il mio vestito rosso? Chi ti ha dato il permesso di indossarlo, eh mocciosa? - infierì avanzando nella mia direzione con un dito puntato verso di me. Michela si mise di fronte a me, come per proteggermi, mettendosi le mani sui fianchi.

- Adesso basta. Kira non è certo un peso morto: ha lavorato con me oggi e il mio capo mi ha dato quasi il doppio della paga, probabilmente solo per la sua inesperienza non mi ha dato proprio il doppio. Se proprio vuoi saperlo, io le ho dato il tuo abito, quindi se proprio vuoi prendertela con qualcuno, prenditela con me. Ora chiudi quella bocca e sii gentile con lei, non merita questo tuo atteggiamento. - rimasi zitta mentre Michela prendeva le mie difese. Mi sentivo di troppo, mi sentivo non accettata. Rimasi a osservare il viso di Miriam oltre la spalla della fanciulla davanti a me. Aveva la fronte aggrottata e le guance spruzzate di lentiggini erano tinte di rosso. Quel viso era molto fanciullesco, quasi da bambina. - Ora vorrei che tu ti scusassi con lei. - concluse Michela abbandonando la posizione e rilassando braccia e spalle con un sospiro esausto.

- No davvero, non ce n'è bisogno... - cercai d'intromettermi io timidamente. Ma Michela fu irremovibile. Continuò a guardare severamente Miriam finché lei non si arrese. Mi porse le sue scuse assicurandomi che non mi avrebbe più mancato di rispetto in futuro. Ed io fui ben lieta di accettare quelle parole. Non ero certa che avesse accettato la mia presenza in casa, ma era un inizio. Cenammo insieme quella sera, come fossi sempre appartenuta a quella famiglia, e quella sera vidi Miriam ridere con me, come fossimo vecchie amiche. Scoprii che quelli della mia razza non erano come mi avevano descritto alcuni lupi. Erano molto più simili a me di quanto avrei mai immaginato.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10° ***


Mi riservarono un modesto giaciglio appena sotto il tetto con una piccola finestrella rotonda che dava sul cielo. Lo spazio era poco, ma non mi infastidiva. Il mio letto si trovava esattamente sotto quell'oblò di stelle. Rimasi ferma per ore a osservarle, a venerarle, a collegarle. Ma qualcosa mancava, una luce che solitamente accompagnava quella stellare. E improvvisamente venni folgorata da quella consapevolezza. Notte di tenebra. La Madre aveva predetto che si sarebbe ricongiunta alla terra quella stessa notte. Il mio cuore perse un battito e subito mi alzai in piedi di slancio. Dovevo andare, dovevo raggiungere il bosco, dovevo assolutamente. Non avrei abbandonato così colei che mi aveva accudito, protetto e istruito in tutti quegli anni. L'unica via d'uscita immediata disponibile era quella finestrella. Cercai nella semioscurità un modo per aprirla e lo trovai. Un piccolo gancetto arrugginito la faceva aderire al tetto. Lo sganciai ed essa si sollevò senza problemi cigolando appena. Era abbastanza largo per farmi sgusciare fuori. Mi aggrappai con le mani ai bordi e saltai issandomi fuori. Mi accucciai sul tetto guardandomi intorno furtivamente. La casa non era molto alta, però non avevo tempo da perdere in simili congetture. Scrutai tutto il perimetro del tetto e nella mia visuale entrò un melo abbastanza vicino. Camminai sul tetto, delicata e silenziosa, come avevo imparato a fare dai lupi. Le assi scricchiolarono pericolosamente sotto il mio peso, per questo cercai di essere il più leggera e veloce possibile. Appoggiai il piede nudo sul bordo e respirai profondamente, prima di gettarmi nel vuoto con le braccia in avanti. Mi stesi completamente come fossi un lupo che salta addosso alla preda. Le mie dita di andarono a stringere intorno al ramo non appena sfiorai il legno. Anni di allenamento mi avevano resa abbastanza sicura in questo campo. Mi dondolai per saltare su un altro ramo e da quello a un altro ancora, fino a balzare a terra. Flettei le ginocchia per attutire l'impatto. Non avevo tempo per controllare che nessuno si fosse svegliato. Cominciai a correre a perdifiato. I polmoni risucchiavano aria al massimo della loro possibilità e le gambe fremevano tendendo i muscoli allo spasimo. Mi sembrava di essere lenta, terribilmente lenta, come stessi correndo nell'acqua. Volevo rivederla ancora una volta, l'ultima. Raggiunsi i muri che circondavano il villaggio. Osservai l'altezza e rallentai fermandomici di fronte, con una mano sfiorai la superficie. Era possibile arrampicarsi. Ed io ce l'avrei fatta. Mi aggrappai con le mani, appoggiai il piede destro e cominciai la scalata. Era difficile e il muro offriva pochi appigli, ma non mi arresi e passo dopo passo, come una giovane lucertola, raggiunsi la cima. Ero sudata, ma ancora non potevo fermarmi a riposare. Attesi che la sentinella passasse nascondendomi grazie all'oscurità e mi issai sopra. Subito ripresi a scendere dall'altra parte. Mi dolevano le mani e le punte dei piedi erano intorpidite, ma il pensiero di fermarmi non mi sfiorò la mente nemmeno una volta. Guardai sotto di me e valutai l'altezza. Sì, ci sarei riuscita. Mi staccai dalla parete allontanandomi con una spinta. Lo spazio fra me e il terreno non era troppo, ma comunque dovetti appoggiare il ginocchio e una mano a terra all'impatto. Me li graffiai entrambi e subito riconobbi il dolore acuto che altre volte avevo provato, alcune spine si erano conficcate nel palmo della mia mano. Ignorai il sottile bruciore e ripresi la mia corsa. Rispetto a stamattina il bosco sembrava spaventosamente lontano. Incespicai un paio di volte nei rami sul terreno o nei miei stessi piedi, ma non mi fermai. Corsi tra gli alberi, mentre i rami mi graffiavano braccia, gambe e viso, ma non mi fermai. I muscoli bruciavano e mi imploravano di rallentare, ma non mi fermai. Non potevo fermarmi. Notai di sfuggita i luoghi che mi avevano vista crescere e nella mia mente si accavallavano i ricordi. Il terreno iniziò a inclinarsi, segno che avevo raggiunto la base della montagna. Avevo la sensazione che i polmoni stessero per esplodere da un momento all'altro.

- Corpo mio, non abbandonarmi ora, te ne prego. Permettimi di raggiungerla, permettimi di vederla anche solo quest'ultima volta. - sussurrai portando una mano al petto all'altezza del cuore che batteva all'impazzata. Iniziai a salire spingendomi ai limiti delle mie possibilità. E finalmente la vidi. L'elegante figura bianca che saliva, a passo fluido e silenzioso, lungo il pendio della montagna. Stremata e con il fiato corto riuscii a dar forza alla mia voce.

- Madre! - la chiamai sperando con tutto il mio animo che non fosse solo uno scherzo della mia immaginazione dovuto alla stanchezza della corsa. Ella si fermò. Ed io riuscii finalmente a raggiungerla bloccandomi dietro di lei. La lupa bianca si voltò nella mia direzione e quando incrociai i suoi dolci occhi neri ebbi la certezza che non si trattasse solo di un miraggio. In quel preciso istante, le mie gambe cedettero ed io mi accasciai pesantemente al suolo.

Ero certa che saresti venuta per me.

La sua voce dolce mi invase la mente dandomi nuovo vigore. Mi rimisi in piedi e la affiancai appoggiando una mano sul morbido pelo candido del suo manto.

- Non vi avrei mai abbandonata. - riprendemmo la nostra marcia. La mia stanchezza quasi non si sentiva più, come se la vicinanza con lei allontanasse ogni male. Camminammo per secondi, minuti, forse ore. Non saprei dirlo. Continuammo a salire finché la Madre non si fermò ed io con lei. C'era una strana elettricità in quel posto, una forza che ci avvolgeva, un potere che andava oltre la mia comprensione.

Da qui devo proseguire da sola. Grazie, piccola mia, mi ha fatto un immenso piacere vederti un'ultima volta.

Mi inginocchiai al suo fianco e le circondai il collo con le braccia stringendola a me. Sprofondai con il viso nel pelo, lo strinsi tra le mani. Una lacrima solcò la mia guancia, seguita da un'altra e un'altra ancora. In un pianto silenzioso.

- Perché... - mi si spezzò la voce. Feci un respiro profondo e mandai giù il nodo che mi opprimeva la gola. - Perché non posso venire con te? - le chiesi senza allontanarmi.

Da qui inizia la Valle degli Spiriti. In questo posto vengono a morire le creature della foresta per riunirsi ai propri simili. È un luogo di inestimabile potere, poiché su questa terra vagano le loro anime.

La ascoltai interessata e incuriosita. La Valle degli Spiriti. Non me ne aveva mai parlato prima di allora. Guardai davanti a me e notai una strana nebbia che impediva allo sguardo di proseguire. Non volevo.

- Dovete proprio andare? - le domandai allontanando il viso da lei. La mia voce era impastata a causa del pianto. Ci osservammo negli occhi e in quello sguardo riuscimmo a trasmetterci cose che le parole non potevano esprimere.

Ricordati chi sei.

Mi disse questo ed il contatto tra le nostre menti si spezzò. La Madre riprese a camminare e si inoltrò in quella nebbia elettrica d'energia lasciandomi sola, inginocchiata a terra con lo sguardo fisso sulla sua figura. Sparì. Tesi la mano verso di lei, nella folle speranza che la nebbia si diradasse e lei fosse lì a osservarmi con quegli incoraggianti occhi pece. Ma non accadde. Attesi immobile in un silenzio spettrale. Quel lato del bosco era così strano: non un cinguettio, non un fruscio, non un sibilo di vento, nulla. Vuoto. Almeno finché un ululato non squarciò il cielo. Ed in quel momento non ce la feci più. Spalancai gli occhi e mi presi la testa fra le mani chinandomi in avanti fino a sfiorare il suolo con la fronte. Vidi le lacrime cadere a terra ed essere assorbite dal terreno. Non volevo ammetterlo a me stessa. Lo sentivo. Sentivo che qualcosa in me era volato via, era sparito per sempre. Il mio petto si alzava e abbassava freneticamente. Chiusi gli occhi e urlai. Mi liberai di tutto ciò che avevo dentro con quel grido disperato. Era atroce. Continuai a urlare per un tempo interminabile, fino a quando non mi finì la voce. Allora mi raggomitolai a terra in posizione fetale. Non volevo. Io volevo ancora rivederla. Volevo ancora parlare con lei. Avevo bisogno della sua saggezza, dei suoi consigli. Per un secondo, attraverso il mio spirito, sentii tutto il bosco urlare con me, soffrire con me e unirsi al mio dolore.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11° ***


Rimasi in quella posizione per un tempo che mi parve infinito. Raggomitolata in posizione fetale sull'erba verde, non sentivo assolutamente niente. Il mio respiro era leggero, quasi impercettibile. Continuavo a piangere lacrime silenziose e lente. Una dopo l'altra abbandonavano i miei occhi, finché non finirono anche quelle insieme alla voce. Mi rialzai lentamente in piedi, sentii le mie ossa scricchiolare a causa della posa innaturale a cui le avevo costrette. Avevo tutti gli arti intorpiditi. Iniziai a camminare per allontanarmi da qual luogo, non avevo una meta, volevo solo distanziarmi da lì. Era ancora buio, ma presto sarebbe arrivata l'alba a rischiarare i boschi. Quel luogo mi appariva molto meno splendente, sentivo già la sua assenza, sentivo già che qualcosa mi mancava. Camminai nel più completo silenzio e anche i rumori che mi aspettavo di incontrare erano svaniti, come in un muto lutto in suo nome, o forse ero solo io a non sentirli. Sollevai il viso al cielo cercando la mia compagna di vita, ma che quella notte mi aveva abbandonato crudelmente. Osservai i bassi rami dell'albero sopra di me e spiccai un salto per aggrapparmi a uno abbastanza robusto. Mi issai sopra iniziando a salire velocemente, il mio allenamento mi permise di raggiungere la cima in fretta. Mi stagliai oltre le fronde. Volevo osservare le stelle, ascoltare il suono del vento, sentire le prime cicale. Chiusi gli occhi e mi concentrai su quel profumo. Il profumo tipico dei pini e della resina, di foglie umide nel sottobosco, dei funghi, della terra bagnata, della legna marcita, delle bacche selvatiche e quello penetrante dei ciclamini. Il profumo che ormai anche la mia pelle aveva assorbito. Inspirai ed espirai lentamente.

- Il cielo farà il suo dovere, va tutto al proprio posto. - sussurrai a me stessa. Calmai il mio spirito agitato alla vista del cielo notturno. E mi domandai mestamente chi mai ci avesse dato gli occhi per osservare le stelle senza darci le ali per raggiungerle. Quando si manifestò il sole, scesi dalla giovane quercia su cui ero salita per avvicinarmi agli astri in cielo. Mi incamminai nuovamente per il bosco concentrandomi su quei dettagli che si potevano notare solo con estrema attenzione. Il profumo del bosco era un effluvio di violette nane, muschio selvatico, pece sulla corteccia dei pini ancora umidi misto a brezza mattutina. Era bello camminare per i sentieri appena tracciati tra le radici degli alberi su un tappeto di aghi di pino, nella penombra del sottobosco e guardare i raggi dell'alba filtrare leggeri tra i rami degli alberi, accompagnati solo dal cinguettio di qualche passero solitario. Quel profumo richiamava la primordiale libertà, un grido che nasce dalla nostra essenza selvaggia, e l'Amore puro per tutto ciò che vive. Il bosco ha un'anima, ha un cuore palpitante. Nel bosco vita e morte si rincorrono sulle note di una dolce melodia, una ninna nanna che ha per voce il battere cadenzato del cuore caldo della nostra madre terra.

- Kira! - sentii gridare il mio nome e la voce familiare mi risvegliò dallo stato di trance in cui mi trovavo. Senza rendermene conto ero tornata al ruscello, poco distante dal limitare del bosco. Jacob entrò nella mia visuale. Lo osservai spaesata. - La vita tra gli umani non ti piace proprio? Per questo sei tornata qui? - mi domandò preoccupato, ma negli occhi lessi anche una lieve tristezza. Non gli risposi. Mossi un passo verso di lui, poi un altro, finché non mi lanciai in una corsa per raggiungerlo. Le mie braccia s'intrecciarono intorno al suo collo e il mio viso si nascose contro il suo petto. Lo abbracciai come fosse una cosa normale, naturale, che avevo sempre fatto. Sentii la sua titubanza mischiato a un lieve imbarazzo. Quando anche lui strinse le braccia intorno a me, nuove lacrime caddero dai miei occhi per andare a bagnare la sua maglia. - Kira, che ti è successo? - mi chiese dolcemente e a bassa voce. Non riuscivo a trattenere i singhiozzi e il mio corpo era scosso da tremiti violenti. Ma in quel momento fu diverso rispetto a poche ore prima. Avevo qualcuno che i miei tremiti li bloccava, qualcuno che sosteneva il mio corpo.

- Lei... lei non c'è più... mi ha lasciata sola... - riuscii a dire con la voce spezzata. Il cuore batteva follemente veloce.

- Lei chi, Kira? - domandò ancora. Le sue mani salivano e scendevano sulla mia schiena sciogliendo i nervi tesi. Scossi la testa e lui capì che in quel momento non volevo parlarne. Allora mi tenne stretta finché il mio corpo non si rilassò completamente e le lacrime smisero di scendere. Mi iniziò ad accarezzare i capelli e, solo quando anche il mio respiro fu tornato normale, si fermò. Io mi allontanai lentamente tenendo gli occhi rivolti verso il suo petto.

- Ti ho inzuppato la maglia. - riuscii a dire dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio. Sollevai lo sguardo ed incontrai i suoi occhi. Lui scosse la testa.

- Tranquilla, non è un problema. - mi rassicurò. - Ti va di raccontarmi quel che è successo, mentre io raccolgo un po' di legna? Prometto di ascoltarti anche se sto lavorando. - mi propose con un piccolo sorriso d'incoraggiamento. Lo osservai attentamente, chissà se sarebbe stato un grado di comprendere. Prima di iniziare, presi un lungo respiro e mi rilassai, solo allora cominciai a raccontare. Gli parlai della Madre, del mio rapporto con lei e del suo rapporto con il branco, cercai di spiegare la nostra situazione, la nostra complicità e il nostro modo di comunicare mentalmente, gli confidai dei consigli, degli insegnamenti impartitemi, infine gli raccontai di quella notte. Lui annuiva e ogni tanto faceva domande, si fermava a sorridermi e rise del rapporto tra me, la Madre e Storm. Io lo seguii nel suo lavoro continuando a parlare e più gli confidavo della mia vita, più mi sentivo leggera, come se mi fossi tolta un peso dalle spalle. Avevo un forte mal di testa, probabilmente iniziato con l'urlo e i pianti infiniti, e accentuato ulteriormente da tutto quel parlare. Quando Jacob si fermò a riposare, io mi sedetti accanto a lui. Ero stanca. Sentii che mi diceva qualcosa, ma non riuscii a distinguere le parole. Le palpebre mi si stavano chiudendo e quel mal di testa continuava a martellarmi forte le tempie. Senza nemmeno accorgermene mi appoggiai alla sua spalla e chiusi gli occhi. Ci misi un attimo a cadere tra le braccia di Morfeo, in un sonno senza sogni.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12° ***


Quando mi svegliai, mi trovai nella mia stanza, ma questa volta dalla finestrella sul tetto non c'erano le stelle, filtravano raggi di sole. Mi guardai intorno spaesata. Come ci sono finita qui? Fino a pochi secondi fa ero nel bosco con Jacob e poi...? Mi schermai il viso con una mano dalla luce intensa. Il sole diretto negli occhi era insopportabile, era molto più fastidioso e dannoso per me che per gli altri umani. La chiarezza dei miei occhi mi rendeva molto più sensibile ai raggi ultravioletti rispetto a chiunque altro. Rotolai fuori dalla mia brandina e, stropicciandomi gli occhi, scesi al piano di sotto.

- Oh buongiorno, Kira, ben svegliata. - mi salutò con un sorriso Michela. Le sorrisi anch'io in risposta osservando il pane con spalmata sopra della marmellata sul tavolo. Mi avvicinai incuriosita.

- Frutti di bosco, assaggiala! E' davvero spettacolare. - Michela spinse verso di me un piattino con due fette di pane, mentre io mi sedevo al tavolo. Presi in mano e annusai la sostanza viscosa sopra, il profumo era lieve, ma davvero buono. - Dopo preparati che dobbiamo andare al lavoro. - la ragazza si muoveva svelta in giro per la casa portando vestiti, oggetti e altre cose tra le braccia. Assaggiai. E subito mi sciolsi al sapore e alla sostanza di quella colazione. Era buonissima, il sapore delle bacche di bosco era stato concentrato tutto lì. Li finii in un battibaleno. Subito dopo, iniziai a vestirmi velocemente per indossare l'abito prestatomi da Miriam, sempre con l'aiuto di Michela. Ci mettemmo poco a prepararci ed uscire, ancora una volta non portai con me le mie armi. Senza di quelle, mi sentivo troppo indifesa, ma comprendevo che non sarebbe stata vista di buon occhio una ragazza armata in giro per un villaggio così tranquillo. Uscimmo, io con indosso il mantello per proteggere la mia pelle eterea dai raggi del sole, e ci avviammo subito verso la locanda. C'erano così tante voci, non riuscivo ad abituarmi, rumori su rumori. Mi concentrai su due bambine che si rincorrevano gioiose per la strada, sorrisi osservandole. I lunghi ricci biondi di una ondeggiavano alle sue spalle, le manine delicate tese verso la sua amica, correva a piedi scalzi. Inconsciamente mi fermai per osservarle. Le loro risate erano limpide e cristalline, un suono così dolce in mezzo a tutto quel frastuono fastidioso.

 - Lei è Aurora. - Michela si era avvicinata a me osservando le due bambine e riferendosi alla piccola dai riccioli d'oro. - E' adorata da tutto il villaggio, non una sola persona è riuscita a resistere alla sua tenerezza. - continuò con un sorriso materno, ma una sfumatura divertita. Non stentavo a crederci.

 - Questo nome le calza perfettamente. - un nome angelico per una bambina angelica. Riprendemmo a camminare, ma io non staccai i miei occhi da lei, era la prima che vedevo un abitante del villaggio con i piedi scalzi. Quando la superammo, riuscii a scorgere il suo viso e ne rimasi per un attimo incantata. Lineamenti delicati e infantili, degni di una bambola di porcellana; un nasino piccolo e all'insù e grandi occhi celesti, simili a laghi di montagna; guance rosee e tondeggianti, davano un senso di morbido adorabile. Faceva venir voglia di mangiarla di baci. Non appena si accorsero della mia figura, le due bambine si fermarono e i loro sorrisi fanciulleschi svanirono, sostituiti da un'espressione intimorita e al tempo stesso incuriosita. "Chi è questa persona che nasconde il suo viso? E' pericolosa?". Gli potevo leggere queste domande negli occhi. La bambina al fianco di Aurora iniziò a indietreggiare intimorita, a quanto pareva non si fidava, probabilmente per certi ammonimenti della madre. Non parlare con gli sconosciuti. Sta attenta. Un classico. Lei era l'esatto opposto della chiara Aurora: il visino allungato; scuri capelli lisci lunghi fino a metà schiena, tenuti fermi da una fascia sulla testa, e occhi nocciola, con impressa la voglia di scoprire il mondo; meno ipnotica, ma non per questo meno bella. Le osservai tranquilla fermandomi a pochi metri da loro. Aurora non accennava a muoversi continuando a fissarmi senza imbarazzo, solo con crescente curiosità e un po' di timore in fondo allo sguardo. Mi accucciai sulle ginocchia e tesi una mano verso di lei. La bambina al suo fianco trattenne il respiro per qualche attimo, poi afferrò il braccio dell'amica tirandola indietro. Non si fidava, era evidente. Ma la bionda Aurora non sembrava intenzionata ad andarsene, così fece un paio di passettini incerti verso di me.

 - Puoi... potreste togliervi il cappuccio? - chiese con voce dolce e fanciullesca. Era anche coraggiosa, almeno rispetto alla sua amica. Io sorrisi ed esaudii la sua richiesta scoprendomi il viso, nonostante i raggi del sole. La sua boccuccia a forma di cuore si schiuse in una O perfetta. - Hai la pelle bianca! - esclamò osservandomi stupita e perdendo il "voi" usato in precedenza.

 - Eh si, sono nata così, ti piace? - le chiesi con dolcezza osservando il suo stupore e rimanendone piacevolmente divertita. Aurora annuì vigorosamente con un sorriso immenso sul viso. Il timore di poco prima dissolto come nebbia. Si avvicinò a me saltellando e prese la mia mano tra le sue, erano evidenti la dimensione e il colore della pelle totalmente diversi, si portò il palmo davanti agli occhi.

 - E' davvero chiarissima... sembri fatta di nuvola! Non è che per caso vieni dal cielo? - chiese con occhi che brillavano di curiosità e fantasia, pronta per una storia. Risi divertita dalla sua voglia di scoprire qualcosa di me.

 - No, non vengo dal cielo... - vidi il suo musetto dolce rattristarsi un pochino. - ...ma vengo da un posto altrettanto spettacolare. - conclusi sorridendole e anche lei fece sbocciare sul suo viso un altro dei suoi dolci sorrisi da bambina. - Se vuoi, posso parlartene, ma dobbiamo farlo camminando, dopotutto non posso fare tardi al lavoro. Può venire anche la tua amica. -  mi sollevai in piedi stendendo le ginocchia e le tesi la mano invitandola a seguirmi. Aurora si voltò verso la ragazza dagli occhi scuri e le fece cenno di avvicinarsi, ma quella non volle saperne, scosse la testa e corse via. La bambina di fianco a me la fissò allontanarsi con occhi un po' delusi, ma poi afferrò la mia mano e si incamminò al suo fianco, con un sorriso radioso, pronta ad ascoltare la mia storia.

Nota dell'autrice:

Ciao a tutti, innanzitutto grazie per essere arrivati fin qui. Volevo chiedervi dei pareri sulla storia, se vi piace e magari se avete consigli o miglioramenti da fare, sia per i capitoli precedenti che per quelli futuri. Commentate!!!

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Capitolo 14
*** Capitolo 13° ***


Quando arrivammo alla locanda la piccola Aurora sembrava ancora straripare di domande, nonostante me ne avesse poste un numero infinito durante il cammino. Non voleva saperne di staccarsi dalla mia mano.

- Ascolta piccola... - mi chinai davanti a lei perché riuscisse a guardarmi negli occhi senza sentirsi inferiore a me a causa della differenza d'altezza. - Io ora devo lavorare, non posso rispondere alle tue domande, ma ti prometto che domani alla stessa ora passerò dalla piazzetta dove ti ho incontrato e, se tu sarai lì, potrò concludere la mia storia. - le accarezzai i capelli ricci sorridendole con dolcezza.

- Insomma io dovrei tenermi la curiosità fino a domani? - gemette frustrata, dal suo tono lo faceva sembrare una tortura. Ci pensai un attimo. Come posso convincere una bambina ad aspettare?

 - Mettila così, domani avrai delle domande che magari oggi non ti verrebbero in mente, e io potrò pensare a tutti i dettagli. - le feci l'occhiolino e mi sollevai in piedi stendendo le ginocchia. - Dai va a casa e pensa a tante altre domande interessanti da pormi, risponderò a ognuna di esse, promesso. - la feci girare e le diedi una delicata spinta di incoraggiamento sulla schiena per indurla a tornare a casa. Aurora per un attimo si girò verso di me come stesse riflettendo sulla mia proposta, poi annuì vigorosamente.

 - Sì! - mi salutò con la manina sottile e corse via sorridendo. La osservai attentamente mentre scappava via per le viuzze del villaggio. I ricci biondi che danzavano sulle sue spalle a ritmo con i suoi passi. Era davvero una bambina deliziosa, da grande sarebbe diventata una splendida donna molto corteggiata. Entrai nel locale con un sospiro e mi tolsi il grande mantello appoggiandolo sull'apposito attaccapanni, mentre con la coda dell'occhio vidi Michela che si avvicinava a me.

 - Hai davvero un passato molto avventuroso e pieno di sorprese, la vita qui al villaggio ti sembrerà estremamente noiosa e monotona. - il suo sorriso mi ricordava sempre di più una madre affettuosa. Lisciai con le mani l'abito che indossavo e mi avviai per prendere il mio posto.

 - Qui è tutto molto diverso. Per esempio, non ho mai avuto bisogno di un intermezzo per procurarmi da mangiare, invece nel villaggio hai bisogno del denaro. Devo capire ancora molti meccanismi. - la guardai dritta negli occhi cercando di intuire ciò che pensava. Mi ero resa conto che gli occhi degli essermi umani non erano così limpidi e sinceri come quelli dei miei amati lupi. Bisognava osservarli davvero bene per riuscire a leggerli, a leggere i sentimenti della loro anima. Mi chiedevo se potessi rivelarle il vero motivo per cui ero venuta in quel villaggio. - Dopo il lavoro, ti racconterò una cosa. - mi decisi scuotendo le spalle.

 - Donne! - sobbalzammo entrambe, il vocione apparteneva al proprietario del locale. Ci voltammo dalla sua parte velocemente e lo trovammo a guardarci con le grandi mani sui fianchi. - Non voglio perditempo nella mia taverna. Al lavoro, su! - nonostante l'aria burbera entrambe ci accorgemmo del sorrisetto scherzoso sul suo volto. Per questo, sorridemmo e ci avviamo con un solenne "si, signore". Io presi posto in sala e Michela nelle cucine.

La ore passarono velocemente, dei ragazzi molesti del giorno precedente nemmeno l'ombra. Mi accorsi di quante persone avessero voglia di scherzare, di ridere. A chiunque avessi strappato un sorriso, era uscito promettendo di tornare. Il proprietario era stato orgoglioso di me. Mi divertivo in quel luogo, così rumoroso e diverso dalla mia bella foresta, ma un diverso piacevole. Quando uscimmo dal locale, Michela mi consegnò un sacchettino di tintinnanti monete. La guardai.

 - No, servono più a te che a me, dopotutto vivo sotto il tuo tetto, senza di te non avrei nemmeno un posto in cui dormire, quindi tienile. - le chiusi le dita intorno al sacchettino sorridendole. Lei mi guardò.

 - Sei proprio una ragazza dal cuore d'oro, sai? Chiunque altro le avrebbe prese senza esitare. - mi osservava con sguardo dolce. - Oh dobbiamo passare da Gisella, così recuperiamo il tuo abito. Sono curiosissima di vedere come ti sta addosso. - mi prese per mano e si incamminò svelta per la strada con un sorriso sulle labbra. Mi piaceva vederla contenta. Anzi, mi piaceva vedere i sorrisi di tutta la gente. Dava un senso di piacere e soddisfazione, come se la loro felicità si riflettesse su di te. Camminammo svelte fino alla boutique di Madame Gisella, dove ancora all'interno risplendeva la calda e delicata luce di alcune candele. Entrammo lentamente cercando con lo sguardo la gentile signora. Assottigliai gli occhi, richiamando a me la capacità di vedere nella penombra appresa in anni di vita notturna. La fioca luce proveniva da dietro degli alti scaffali e noi ci affrettammo a raggiungerla. La donna era china su una scrivania circondata da stoffe, gomitoli di lana e piccoli e grandi adornamenti. Davanti a lei un bel tessuto verde. Non ci aveva nemmeno sentito arrivare, talmente era concentrata sul suo lavoro. Ci avvicinammo lentamente.

 - Buonasera... - dissi con voce incerta per paura di disturbarla. Lei sobbalzò immediatamente facendo svolazzare il tessuto e cadere alcuni oggetti da cucito. Si voltò verso di noi di scatto.

 - Oh siete voi... mi avete spaventata. - si portò una mano al cuore prendendo un respiro profondo, poi il suo viso si illuminò. - Tu! - mi puntò il dito. - Avevo proprio bisogno di te, sto apportando le ultime modifiche al tuo abito. - si rigirò verso la sua scrivania e si immerse nuovamente nel lavoro.

 - Lo hai già finito? - chiese Michela stupita. - Pensavo che ci avresti messo di più, per il mio mi hai fatto aspettare una settimana. - si appoggiò le mani sui fianchi guardandola con un sopracciglio inarcato. La signora scacciò l'argomento con un gesto distratto della mano.

 - Questo abito sarà un capolavoro! Aspetta qualche minuto e potrai provarlo oggi stesso. - nella sua voce si sentiva il suo entusiasmo. Rimanemmo a osservarla muovere velocemente le mani su quel tessuto verde senza poter vedere nulla di quello che stava facendo. Poi all'improvviso si fermò e sollevò il tessuto. - E' completo... - si girò verso di noi portando l'abito con lei, nella penombra non si poteva vedere abbastanza bene da dargli un giudizio. Ma notai uno strano luccichio su di esso. - Su su... provatelo! - mi spinse in un'altra stanza dandomi tra le braccia il lungo abito. Rimasi per un attimo interdetta da tutta questa fretta, ma poi sospirai e mi cambiai senza fare storie, infine uscii nuovamente per farmi vedere. Nella stanza dove avevamo trovato la signora Gisella intenta a lavorare, erano state accese altre candele che riempivano di una calda luce l'ambiente. Un alto specchio era appoggiato al muro. Sia la signora Gisella che Michela mi osservavano stupite con le labbra socchiuse.

 - Kira... sei meravigliosa! - Michela portò le mani sul viso coprendosi le labbra per nascondere un sorriso. Sentii le guance scaldarsi e abbassai  lo sguardo sorridendo leggermente. Gisella mi invitò ad avvicinarmi allo specchio per verificare io stessa, seguii immediatamente il suo consiglio. Non appena il mio sguardo raggiunse la liscia superficie dello specchio, quasi non riuscii a riconoscere la ragazza che vi era riflessa. L'abito verde mi stringeva il busto e il seno sottolineando le curve, ma senza renderle volgari, il resto dell'abito scendeva morbido muovendosi ad ogni mio passo. Ma la cosa più spettacolare e ipnotica erano i fili argentati che correvano lungo tutta la gonna fino ad arricciarsi sul seno. Girai su me stesso facendo svolazzare la gonna intorno a me. Nonostante non fosse nei miei canoni lo adorai.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14° ***


Gisella mi mise sulle spalle anche il mantello blu scuro, e nello stesso istante in cui arrivò sotto la luce una miriade di stelle argentee brillarono su di esso. Era uno spettacolo. Entrambi gli indumenti luccicavano lungo i fili argentati ricamati sul tessuto e mi calzavano divinamente.

- Grazie davvero... non so come ringraziarla, sono davvero meravigliosi. - strinsi entrambe le mani della signora Gisella tra le mie, le stesse mani che avevano lavorato così abilmente. Lei sorrise compiaciuta e soddisfatta. Michela pagò per me sia il mantello che l'abito, mentre io uscivo dal negozio. Quando mi raggiunse, la osservai attentamente.

- Mi auguro tu abbia usato il mio denaro. - la puntai con un dito come per minacciarla. E lei subito alzò le mani sorridendo. Non volevo spendesse troppi soldi per me, mi sembrava ingiusto ed egoista.

- Sapevo che l'avresti detto... - mi sorrise dolcemente come fossi parte della sua famiglia. Aveva un sorriso così materno, di quelli che fanno star bene. Si incamminò verso casa e con un cenno invitò anche me a seguirla. - Vieni si sta facendo tardi ormai. - Ma non diede una risposta effettiva alla mia domanda. La seguii sospirando. Il mantello appoggiato sul mio braccio, a quell'ora i raggi del sole non nuocevano alla mia pelle chiara.

Quando rientrammo in casa, Michela richiamò Miriam e Jacob per far vedere i nostri nuovi acquisti. Io non ero molto contenta di mettermi così in mostra, soprattutto davanti a Miriam. Avevo paura che peggiorasse ancora di più il suo astio nei miei confronti. Jacob spuntò da una stanza accanto all'ingresso.

- Che succede? Cos'è che dobbiamo "a tutti i costi"... - imitò le virgolette per prendere dolcemente in giro la sorella. - ...vedere? - spostò il suo sguardo su di me e per un attimo sembrò non riconoscermi. Abbassai lo sguardo imbarazzata, limitandomi ad osservare la sua reazione tra le ciglia. Per togliermi da sotto il suo sguardo, decisi di voltarmi e appendere il mantello nuovo al piccolo appendiabiti. Stare al centro dell'attenzione non mi era mai piaciuto. Io ero quella che si nascondeva tra le fronde per passare inosservata. Ero quella che stava attenta a non calpestare rametti a terra per evitare rumori indesiderati.

- Che c'è da urlare tanto? - ci raggiunse anche Miriam. Ed io in quel momento desiderai ardentemente un albero dove arrampicarmi e sparire.

- Sei bellissima. - mi voltai verso Jacob che mi sorrideva. Aveva un sorriso sincero e positivamente stupito. Era la prima volta che ricevevo un complimento. Incassai la testa tra le spalle e accennai un sorriso impacciato. Era una sensazione imbarazzante, ma piacevole. Come una carezza.

- Le hai comprato un vestito? - alzò la voce Miriam additandomi con un cenno della mano, ma guardando Michela. Aveva il viso completamente rosso. - Fammi capire, solo perché Jake si è preso una stupida cottarella per una ragazza trovata nel bosco, lei può infiltrarsi in casa nostra e vivere sulle nostre spalle? - agitava le mani in un gesto di rabbia. - Abbiamo a stento i soldi per noi, e tu ne spendi ancora di più per lei, come facesse parte della famiglia. - strinse i pugni. Io mi sentivo mortificata. La sensazione di essere un peso l'avevo sentita sulle mie spalle per anni nel branco e ora tornava pesante come un masso in quel luogo.

Miriam stava ancora sbraitando, quando un urlo acuto e prolungato risuonò nel villaggio. Un urlo di terrore. Tutti si zittirono e il mio corpo automaticamente si tese, pronto a scattare. Di volata corsi a prendere le mie armi e in un attimo fui fuori. Sentivo i sensi riattivarsi uno dopo l'altro, dopo quei giorni di torpore. La vista abituata al buio notturno scandagliava tutta l'area circostante. Le persone stavano uscendo dalle abitazioni per capire la provenienza e il motivo dell'urlo. Il mio udito stava suddividendo i rumori alla ricerca di qualcosa di anomalo. Bisbigli, parole, porte che si aprivano, movimento di persone e passi. Ma non passi normali. Passi pesanti, come se un essere con migliaia zampe d'acciaio camminasse sul terreno.

- I Dragoni! Scappate! - a quel grido scoppiò il panico. La gente si mise a correre. Ed io contro corrente. Volevo capire e volevo combattere, era l'unica cosa che potevo fare di utile per questo villaggio. Sentii Michela e Jacob che gridavano il mio nome, ma non ci badai. Attraversando il villaggio notai che tutti gli uomini facevano in modo di nascondere le ragazze, come fossero le uniche in pericolo. Non capivo. Sfrecciai tra le persone finché non trovai la fonte di quei passi di ferro. Mi bloccai. La mia mente non riuscì a identificare quel che i miei occhi video. Un branco di esseri di forma umana, ma con la pelle in pesante metallo. Uomini in armatura. Uno di loro stringeva il braccio di una ragazza ridendo e quasi sollevandola da terra. Lei si divincolava pregando e urlando tra le lacrime. Con la coda dell'occhio vidi un altro di quegli uomini additarmi con il dito chiamando gli altri.

 - Ne abbiamo un'altra! Guardate la sua pelle. - mi girai sollevando i pugnali e divaricando le gambe. Divenni oggetto dell'attenzione di una buona parte dei soldati che mormoravano sull'insolito pallore della mia pelle. Si avvicinavano.

 - Metti via quelle lame, non vorrei essere costretto a sfigurare quel bel visino. - un ghigno crudele. Le sue parole mi raggiunsero appena, la mia attenzione era concentrata sul non farmi accerchiare. Un nuovo grido, a pochi passi da me. Un uomo enorme che teneva stretti nel suo pugno i lunghi capelli neri di una ragazza giovanissima. Rideva e con la mano libera toccava la ragazza in punti dove solo un amante avrebbe dovuto poter mettere le mani. Serrai la presa sui pugnali e scattai. Prima che potesse accorgersene, il mio pugnale era profondamente piantato nel braccio che tratteneva la ragazza. Mollò la presa in un grido di dolore. Il lupo dentro di me ringhiava desideroso di combattere, l'istinto stava prendendo il sopravvento. La ragazza cadde a terra guardandomi sconvolta, indecisa se avere paura di me o meno, inorridita dal sangue che scorreva dal pugnale sul mio braccio. Prima che potessi rendermi conto delle mie azioni, avevo colpito un altro essere umano.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15° ***


La lama del mio pugnale era ancora piantata nel braccio di quell'uomo, quando mi riscossi dall'istinto. Osservai la ragazza inginocchiata ai nostri piedi con sguardo vacuo.

 - Che fai lì? Corri! - la spronai ad andarsene e lei si alzò per poi iniziare a correre. Mi voltai verso il soldato e mi allontanai da lui con un salto all'indietro, estraendo allo stesso tempo la lama dal suo avambraccio. Perdeva molto sangue.

 - Come hai osato attaccare un soldato, mocciosa? - gli altri uomini si avvicinarono a me estraendo lunghe lame dai foderi. Erano in cinque.  Non avevo mai affrontato degli esseri umani in combattimento. Non sapevo come agire. La mia esperienza con pugnali e arco si limitava alla caccia delle nostre prede per sopravvivere. Non potevo approcciarmi con loro come fossero semplici conigli o cervi. Indietreggiai, per evitare di essere circondata. Il mio attacco precedente era stato dettato unicamente dall'istinto e dal desiderio di proteggere quella ragazza. Sollevai i pugnali in posizione di difesa e attesi le loro mosse.

 - Portiamola da Lui... scommetto che adorerà la sua carnagione così particolare e inoltre saprà domare e sottomettere il suo spirito ribelle. - i sussurri di uno di quegli uomini giunsero al mio udito sviluppato. Lui?  Vedevo alle loro spalle le ragazze che venivano trascinate via dai soldati e non potevo aiutarle. Strinsi i denti. Poi in un attimo i cinque soldati mi furono addosso. Sentivo le loro mani su di me, afferrarmi e tirarmi, mentre io affondavo e colpivo con i pugnali. Non volevo arrendermi. Quelle persone non volevano certo portarmi in un posto dove sarei stata bene. Combattei con tutte le mie forze. Il sentirmi sopraffatta era una sensazione aberrante per una cacciatrice, ma alla fine riuscirono a togliermi i pugnali ed a immobilizzarmi le mani dietro la schiena. 

  - Sei proprio una piccola ribelle. Non sei di queste parti tu, vero? Nessuna donna dei villaggi sotto il dominio dei Dragoni saprebbe combattere in questo modo. - uno dei soldati osservava stupito i molti uomini feriti e sanguinanti da me, poi mi scrutò tra lo scettico e il curioso. Non gli risposi. - Dimmi da dove vieni, femmina. - ordinò con un tono che non ammetteva repliche di fronte al mio silenzio. Ma io continuai a ostentare il mio mutismo testardo. Non erano umani buoni come quelli che mi avevano accolto nella loro dimora. Il mio istinto lanciava allarmi. Il rifiuto della sconfitta mi fece digrignare i denti con forza, ma non avevo speranze ora di liberarmi. Dovevo convincermi a seguirli e a immagazzinare il numero maggiore di informazioni possibili su questi Dragoni. Memorizzai mentalmente lo stemma sul petto dei soldati, un drago rosso avvolto tra le fiamme.

 - Andiamo! - distolsi lo sguardo dallo stemma e mi girai verso l'origine dell'ordine. Un uomo stava chiudendo un grande carro con un lucchetto, dall'interno il pianto di tante donne risuonava nell'aria. Non devo salvare solo me...

 - Tu. Davanti, dove posso tenerti d'occhio. - le mie mani vennero legate strette dietro la schiena con una morsa di ferro. Un paio di gelide manette mi impedivano ogni movimento. Adocchiai il soldato che teneva le mie armi tra le mani testando le lame dei pugnali, le punte delle frecce e l'elasticità dell'arco. Venni spinta con la forza davanti al carro e poi messa seduta in mezzo a due soldati, di cui uno teneva le redini dei quattro grossi cavalli neri corazzati. Sentii uno dei grandi animali sbuffare dal naso e nitrire piano quando l'uomo li spronò ad avanzare. Avrei voluto allungare una mano per accarezzare il loro manto nero lucido. Sembravano contrariati, non avevo mai visto degli animali che ubbidivano ai comandi degli umani senza volerlo. I piccoli lupi che alcune volte vedevo al fianco degli umani erano sempre felici e fedeli all'uomo che accompagnavano. Questi cavalli non volevano ubbidire agli ordini dei soldati. Senza rendermene subito conto stavo cercando di mettermi in contatto mentale con loro. Non ci avevo mai provato con altri che non fossero del mio branco.

 - Che stai facendo? - la voce profonda di un uomo spezzò la mia concentrazione riportandomi bruscamente alla realtà. Gli lancia una delle mie più taglienti occhiate e puntai lo sguardo verso l'orizzonte. Sentii il suo braccio intorno alle spalle e, prima che potessi ribellarmi, con la mano prese il mio viso stringendomi le guance per condurre il mio viso di fronte al suo. -  Non parli eh... sai che sei molto carina? - il suo sguardo violentava la mia pelle in modo spudorato e volgare. Il mio disprezzo straripava dal mio sguardo. Non volevo mi toccasse, non volevo quegli occhi languidi addosso, non volevo il suo corpo così vicino al mio, non volevo essere inerme. Mi voltai di scatto e affondai i denti nella sua mano fino a farlo gridare.

 - Piccola strega... - ringhiò tra i denti infuriato, mentre l'altro soldato rideva divertito dalla scena. Mi scostai dal suo tocco svelta allontanandomi da lui, ma finendo inevitabilmente vicina all'altro. 

 -E' proprio una ribelle, ti è riuscita a battere. - disse canzonatorio al suo compagno che si stava sfregando la mano ferita, mi osservava con la coda dell'occhio. Vidi l'uomo che poco prima avevo morso sollevare la mano per colpirmi e io chiusi gli occhi in attesa del colpo. - Fermo! Sai benissimo che non la puoi rovinare, appartiene ai nostri padroni. - quando riaprii gli occhi i due soldati si stavano fissando. Avrei voluto prendere i miei pugnali e tagliare la lingua a entrambi. Io appartengo solo al mio branco e non è certo un'appartenenza come quella che intendono loro. Strinsi i denti e cercai di trattenere le parole che spingevano per uscire. Respira, Kira. Inspirai profondamente ed espirai con calma. Ripetei almeno dieci volte questi due passaggi fino a distendere i nervi. Mi sedetti composta e incrociai le gambe con lo sguardo fisso davanti a me. La strada che stavamo percorrendo in quel momento sarebbe stata sicuramente utile per una fuga, quindi era fondamentale. 

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