Caduto

di Luinloth
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Castiel ***
Capitolo 2: *** Questioni in sospeso ***
Capitolo 3: *** Io sono quello che ti ha afferrato e che ti ha salvato dalla perdizione ***
Capitolo 4: *** E tu da quando credi agli angeli? ***
Capitolo 5: *** Il seme del dubbio ***
Capitolo 6: *** Ellie ***
Capitolo 7: *** Cicatrici ***
Capitolo 8: *** Una strana specie di routine ***
Capitolo 9: *** I giardini di Dumbarton Oaks ***
Capitolo 10: *** Rivelazioni ***
Capitolo 11: *** Precipitare ***
Capitolo 12: *** Qualcosa di vero (e qualcosa di strano) ***
Capitolo 13: *** Promesse ***
Capitolo 14: *** Se non dovessimo sopravvivere ***
Capitolo 15: *** Sacrificio ***
Capitolo 16: *** Legami ***



Capitolo 1
*** Castiel ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




Acqua. Tanta acqua. Decisamente troppa acqua.
Su Lawrence sembrava si stesse abbattendo il nuovo diluvio universale. I tergicristalli dell’Impala riuscivano a malapena a gestire le secchiate che avevano iniziato a riversarsi dal cielo praticamente all’improvviso, prima qualche debole gocciolina, poi un’acquazzone fitto, impenetrabile, infine il fragore di un tuono simile allo scoppio d’una bomba e l’apertura definitiva delle cateratte celesti. Il tutto in poco meno di mezz’ora, il tempo di preparazione delle due pizze XL – una con verdure grigliate, l’altra con una serie improbabile di ingredienti ipercalorici – che adesso languivano sul sedile del passeggero saturando l’abitacolo con il loro profumo mentre Dean Winchester inveiva contro una non ben definita entità divina, in un eroico – quanto risibile – tentativo di far cessare il temporale con la sola forza dell’invettiva.
Le strade erano invase dall’acqua e dal fango, aveva già dovuto deviare dalla strada principale un paio di volte per via di alcuni tombini saltati via e, alla fine, aveva imboccato la 201 con un sospiro rassegnato.
Non gli piaceva quella strada. Di giorno neanche un fiato pareva venir fuori da quelle vecchie case malandate, di notte l’intera via – circa cinquecento metri di asfalto che avrebbe dovuto essere rimesso a nuovo – si riempiva del più vasto campionario di umane disgrazie su cui lui si era mai trovato a posare lo sguardo: tossici alla ricerca di una dose, strozzini, allibratori, qualche barbone in attesa di un cadavere da derubare, spacciatori, prostitute di ogni età, marchettari e ladruncoli da quattro soldi. Il novanta per cento delle morti violenti che avvenivano a Lawrence poteva essere collegata alla 201 e a qualcuno dei suoi sfortunati frequentatori.
Non che un Winchester avesse lo stomaco così delicato – soprattutto non Dean, soprattutto non dopo quei quattro mesi – ma se poteva risparmiarsi la vista di un ragazzo che avrebbe potuto avere l’età di Sam mentre si iniettava chissà quale schifo nelle vene, lo faceva volentieri. Lasciò scivolare appena il piede sull’acceleratore; con il manto stradale in quelle condizioni e la visibilità così ridotta non era prudente superare neanche le dieci miglia orarie, ma la strada era sgombra, l’acqua defluiva rapidamente nei condotti fognari e Dio solo sapeva la voglia che aveva di affondare i denti nel ripieno morbido e deliziosamente grasso della sua pizza, prima che questa diventasse irrimediabilmente fredda.
Una Ford blu sbucò da una strada secondaria, una decina di metri davanti a lui.
“Oh! Andiamo!” – sbottò. L’automobile procedeva così lentamente che pareva quasi stesse per fermarsi da un momento all’altro.
Sagome sfocate dietro i vetri sporchi delle case.
Dopo qualche secondo, effettivamente, il lampeggiare intermittente della freccia segnalò a Dean che l’auto stava per accostare. La pioggia era leggermente diminuita d’intensità, quel tanto che bastava per vedere un po’ più lontano del palmo del proprio naso.
L’Impala rallentò, le ruote sollevavano piccoli tsunami d’acqua ad ogni centimetro e qualche goccia era già riuscita a infilarsi all’interno attraverso i finestrini; stava per iniziare la manovra di sorpasso, quando lo vide.
Lo sportello della Ford si era aperto quel tanto che bastava per farne uscire un giovane uomo avvolto in uno spiegazzato trench beige di almeno due taglie di troppo. Moro, forse un po’ magrolino per la sua altezza, aveva richiuso la portiera senza neanche guardare e sarebbe già corso via se i fari dell’Impala non avessero attirato la sua attenzione.
Si voltò verso il conducente, il viso illuminato dalla tremolante luce del lampione sopra la sua testa. Barba di qualche giorno, mascella pronunciata, labbra pallide. Occhi azzurri – no – blu, di un blu che non aveva nulla di umano e che Dean aveva già visto.
La Ford era già scomparsa, rapidamente come era arrivata.
Non aveva la minima idea del come, del quando, e soprattutto del perché, ma ogni parte di lui in quel momento era sicura – certa – di conoscere quell’individuo: accostò.

Flashback. Fu solo un istante. Morte, sangue, zolfo. Dolore, dolore, dolore.

Non si era accorto di aver trattenuto il fiato finché non si trovò costretto a inspirare con violenza dalla bocca. L’uomo lo guardava ancora, un sorriso strano gli scavava minuscole rughe agli angoli delle labbra. Dean si ritrovò a sporgersi sul sedile accanto – sulle pizze già tiepide – per abbassare il finestrino del passeggero: lui si avvicinò.
Il suo trench era diventato ormai marrone scuro, quasi nero, sotto la pioggia battente, i capelli gli si erano appiccicati sulla fronte. Si affacciò al finestrino come se fosse la cosa più naturale del mondo, infilare la testa nell’abitacolo dell’auto di uno sconosciuto e restarsene lì, in silenzio, grondando acqua sopra i cartoni di due pizze.
“Scusami, ehm” – Dean si schiarì la voce, cercando le parole migliori per non farsi passare per matto, non che avesse molte possibilità visto la domanda che stava per rivolgergli. “Non volevo spaventarti ma ho come l’impressione di averti già visto da qualche parte, io… io sono Dean Winchester, noi ci conosciamo per caso?”
Il moro piegò la testa da un lato, socchiuse gli occhi. Un’ombra parve posarsi sul suo viso, ma forse si era solo trattato dell’automobile che li aveva sorpassati a gran velocità, alzando un’onda fangosa che era andata a infrangersi contro la portiera dell’Impala.
“No” – la sua voce era piena, profonda. Non sembrava umana nemmeno quella.
“No? Davvero?” – il cacciatore non riuscì a nascondere la delusione – “Come ti chiami?”
L’uomo sospirò.
“Senti, qui fuori diluvia, o mi paghi e mi fai entrare o vedi di girare al largo”

Merda

Tra le poche – pochissime – regole che Dean Winchester aveva riguardo al sesso, il “non pagare per il sesso” si avvicinava per importanza solo all’ “usare sempre il preservativo”.
E lui si era appena fermato sulla 201, nel bel mezzo del diluvio universale, nel momento esatto in cui un cliente stava scaricando la sua marchetta dagli occhi blu, solo perché qualcosa nella sua testa gli aveva fatto credere di conoscerla.
Se John Winchester avesse avuto una tomba, indubbiamente ci si starebbe rivoltando dentro.
“Oddio, scusa, scusa io non voglio assolutamente, cioè, non pensavo che… ”
La faccia di Dean era rossa come un papavero. L’uomo in trench abbozzò una risata che poteva essere interpretata anche come uno sbuffo spazientito e fece per staccarsi dal finestrino.

Flashback. Urla: non erano le sue urla. Alastair. Due occhi blu. Blu. Non umani.

“Ehi! Ehi stai bene?”

Teneva ancora le mani strette sul volante, le nocche sbiancate. Un rivolo di sudore gelido gli scendeva lungo il collo. Il moro si era sporto un po’ di più dal finestrino, adesso era abbastanza vicino da poterlo toccare se avesse voluto. Il blu dilagava nel suo campo visivo ed era bellissimo. Adesso ne era sicuro: non era stato semplicemente qualcosa nella sua testa a suggerirgli di fermarsi: era stato l’Inferno.

“Castiel!”

Un uomo si era affacciato alla finestra del pianterreno della casa di fronte.
“E’ tutto ok?”
Castiel riemerse dall’abitacolo dell’Impala per fargli un cenno con la mano.
“Tutto a posto Matt!” – gridò, poi torno ad affacciarsi al finestrino.
“Penso che tu debba andare adesso” – mormorò con fare quasi affettuoso. Come se non fosse stato lui quello fermo da quasi dieci minuti sotto l’acquazzone ad ascoltare i deliri di uno sconosciuto.
“Aspetta!” – Dean si lanciò letteralmente verso di lui, prendendogli una mano e Castiel si ritrasse come se si fosse scottato.
“Toccami di nuovo e non sarà più tutto a posto” – sibilò. Il trench gli si era incollato addosso rendendolo simile a una statua di cera in liquefazione.
“Entra” – Dean spostò le pizze ormai fredde sui sedili posteriori – “Perfavore”
Castiel allungò le dita verso di lui.
“Sai, di solito si paga, prima
“Quanto vuoi?”
“Questo dipende da quanto vuoi tu
A Dean non importava: gli avrebbe dato tutto ciò che aveva se necessario.
“Un’ora. Voglio solo parlare”
Lui ridacchiò.
“Dicono tutti così”


Aveva guidato fino ad un parcheggio abbandonato a più o meno trecento metri dalla 201. Castiel non aveva detto una parola, si era limitato a stringersi nel trench ormai zuppo e a osservare l’oscurità fuori dal finestrino.
Era bello. Non nel senso di bellezza che avrebbe potuto ispirargli un paio di tette, o un bel viso incorniciato da lunghi capelli biondi.
Era la sensazione che gli dava stargli vicino. Rassicurante.
Era pace. Era casa. Era come guardare le stelle di notte sdraiato sul cofano dell’Impala, come guidare fino al mare e sentire la sabbia sotto la pianta dei piedi, lo scrosciare delle onde nelle orecchie. Salvezza, in qualche strano modo.
Nonostante gli avesse appena mollato un centone e si stessero dirigendo nel luogo probabilmente più promiscuo di tutta la città.
Sam l’avrebbe ammazzato. Senza macchina, senza cena, il massimo che avrebbe potuto fare sarebbe stato rovistare nel frigorifero alla ricerca di qualche avanzo dall’aspetto appetibile. E meditare sui possibili modi per fargliela pagare. Nonostante le apparenze il suo Sammy aveva un’indole vendicativa niente male, oltre che un’incredibile furbizia. Sì, gliel’avrebbe decisamente fatta pagare cara.
Avevano affittato un appartamento appena fuori Lawrence – perché Lawrence, beh, Lawrence era ancora l’unica cosa che potessero associare a una casa – in una palazzina di tre piani piuttosto anonima, finestre dalle le tapparelle verdi e un giardinetto condominiale affidato alle amorevoli cure della loro dirimpettaia, una signora di mezza età dal sorriso fin troppo cordiale che nonostante le reiterate spiegazioni era ancora convinta che lui e Sammy fossero una coppia gay.
Avevano mollato. Avevano ripulito il doppiofondo del portabagagli dell’Impala e avevano passato due mani di vernice sulla trappola del diavolo all’interno del cofano.
Era stato troppo: Sam era morto, lui aveva passato quattro mesi all’Inferno, e se c’era una cosa che entrambi avevano imparato dalla loro vita di cacciatori era che non si sputa in faccia alla fortuna.
Dean lavorava in un’officina poco lontana – Bobby aveva messo una buona parola, forse anche più d’una – Sam aveva ripreso gli studi e il fine settimana copriva i turni serali del pub sotto casa. Con Bobby non avevano avuto bisogno di spendere troppe parole: il cacciatore aveva annuito con la sua solita aria grave e gli aveva passato due birre. Ogni tanto gli telefonavano per accertarsi che fosse ancora vivo e a quanto pareva continuava a dar filo da torcere a qualsiasi mostro – o umano rompicoglioni – gli capitasse a tiro.

“Fermati pure lì” – Castiel gli indicò uno spiazzo sotto l’unico albero del parcheggio. Attorno a loro, una dozzina di automobili – fari spenti e finestrini oscurati alla bell’e meglio con dei fogli di giornale, talvolta non oscurati affatto – riusciva a metterlo in agitazione come non avrebbe fatto una dozzina di vampiri affamati.
Il moro si tolse – non senza una certa fatica – il trench; spalancò la portiera dell’Impala con un colpo secco – Dean sussultò – e strizzò con forza l’indumento. Lo sbatté un paio di volte, richiuse la portiera, lo ripiegò con cura e lo sistemò sul cruscotto. Aveva quasi smesso di piovere.
Sotto portava una camicia bianca e una giacca scura, difficile capire il taglio o la marca viste le condizioni pietose in cui entrambe versavano. Si sfilò anche quelle e le ripose insieme al trench.
“Castiel, io non…”
“Volevi parlare” – il moro lo interruppe, serafico – “Parla”
Ero all’Inferno e ho visto i tuoi occhi.
Non era decisamente un buon modo di intraprendere una conversazione.
“Da dove vieni?”
“Non mi pare che avessi detto che avremmo parlato di me”
Si era tolto le scarpe e i calzini e si era messo a gambe incrociate sul sedile.
“E’ un problema?”
Non rispose.
“E’ un nome insolito, Castiel”
“I miei genitori erano insoliti
“Da quanto… ”
“Faccio la puttana?”
Dean rischiò di strozzarsi con la sua stessa saliva.
“Da un po’ ”
L’abitacolo tornò a riempirsi di silenzio, rotto soltanto dalle ultime gocce che si infrangevano sul parabrezza.
Lo desiderava. Lo desiderava da quando aveva incrociato il suo sguardo blu catturato dai fari dell’Impala come non aveva mai desiderato nessuna donna in vita sua, figuriamoci un uomo. Certo, c’era stato quel periodo a Saint Louis – due mesi scarsi di scuola, diciassette anni compiuti da poco – in cui avrebbe dato qualunque cosa pur di provare la sensazione delle labbra di Mike Anderson sulle sue. Capitano della squadra di football, sguardo di ghiaccio affilato come un coltello e un perpetuo crocchio di ragazze adoranti intorno al suo armadietto. Provarci non sarebbe stata una buona idea. Non ne aveva mai parlato nemmeno con Sam.

Erano già trascorsi venti minuti.
“So dove ti ho visto” – esalò d’un fiato – “Lo ricordo: dammi pure dello psicopatico, del pazzo, del maniaco o quello che ti pare, ma…”
Non riuscì a concludere la frase: la labbra di Castiel premevano sulle sue, le mani strette intorno alle sue cosce che già risalivano a slacciargli la cintura. L’Impala iniziò a vorticare intorno alla testa di Dean.
Lo desiderava. Come una falena verso una fiamma, come se fosse la sua redenzione, Castiel era redenzione , nonostante le dita che si insinuavano sotto i suoi jeans e le banconote stropicciate arrotolate in un sacchetto di plastica nella tasca interna del trench abbandonato sul cruscotto. Lo desiderava, lo desiderava tanto che avrebbe potuto mettersi a urlare, ma non così. Non in quel modo.
“Aspetta” – dove avesse trovato la forza per appoggiargli una mano al centro del petto e allontanarlo dalla sua bocca non lo sapeva – “Non…non posso”
La sua pelle era gelida, Dean fu sorpreso dal fatto che non stesse tremando di freddo. I pantaloni che aveva addosso grondavano ancora acqua, come pure i suoi capelli, e l’Impala non aveva neanche il riscaldamento.
Castiel sembrava quasi deluso: le sue dita si muovevano ancora intorno alla vita di Dean, disegnando cerchi invisibili. Risalirono lungo lo sterno fino a lambire la piega del collo, la gola, le clavicole sepolte da un’ immancabile strato di flanella a quadri; quasi distrattamente – poco più d’un gesto malcelatamente casuale – arrivarono a sfiorare la cicatrice sulla sua spalla.

Sangue. Ovunque. Sangue sulla sua faccia e sulle sue mani: l’anima sulla ruota aveva smesso di gridare. Ali. Enormi, terrificanti, nere. Dolore. Da dieci anni non provava più dolore, fisico almeno. Bruciava. Alcol su una ferita: un dolore buono.

Quanto tempo era passato? Secondi? Minuti?
Castiel affondò il viso nella sua camicia.
“Che cosa sei?” – la voce di Dean non riusciva a condensarsi in più d’un mormorio strozzato – “Che cosa sei Castiel?”


Aveva ceduto.
Aveva lasciato che la bocca, le mani di Castiel vagassero sul suo corpo come meglio credevano e poi aveva guidato fino al lampione tremolante dove i loro sguardi si erano incrociati appena un’ora prima: aveva ceduto come quattro mesi prima, quando la voce di Alastair gli rimbombava nelle orecchie e desiderava soltanto che smettesse.
Dopotutto era sempre stato lui, il debole: non era riuscito a salvare suo padre, non era riuscito a lasciare Sammy – lo aveva riportato nel suo mondo fatto di mostri e fuoco e notti insonni, gli aveva strappato Jessica – nemmeno da morto era rimasto integro.
La pioggia era cessata.
Castiel aprì la portiera stringendosi al petto il trench bagnato e uscì dalla macchina con un movimento fluido. Dean fissava la sua schiena aspettando di vederlo andare via senza voltarsi, così come aveva fatto prima, uscito dalla Ford blu, finché non si ritrovò a fissare i suoi occhi inumani attraverso il vetro del finestrino.

“Che cosa sei? Che cosa sei Castiel?”

Castiel rimase ad osservare le luci dell’Impala allontanarsi lungo la 201; dopo la sua ribellione, tra tutti i posti in cui Michael avrebbe potuto scaraventarlo, era stato uno squallido scherzo del destino farlo finire proprio lì.

“Ehi!” – Matt lo aspettava sui gradini di una vecchia bifamiliare con l’intonaco scrostato – “Torna dentro prima di prenderti una bronchite. Facciamo che per stanotte hai finito”

Dean Winchester.
Non era stato capace di fuggire via.
Aveva sperato che se ne andasse, che facesse ripartire l’auto e sparisse per sempre nella notte, e invece lui l’aveva invitato a entrare e quando il marchio che aveva sulla spalla l’aveva chiamato, Castiel si era arreso.
Non poteva salvarlo, non poteva proteggerlo, avrebbe soltanto voluto spezzare quel maledetto vincolo che li teneva legati e che li aveva condannati da quando erano emersi insieme dagli abissi. Ma adesso, lui che aveva condotto le legioni celesti nelle loro più gloriose battaglie, nelle vittorie più fulgide la cui eco risuonava ancora in Paradiso, tutto quello che poteva fare per Dean Winchester si limitava ad un pompino da principianti in un parcheggio abbandonato.
E gli aveva chiesto di non tornare, quando in realtà avrebbe soltanto voluto dirgli “Torna, lasciami l’impronta della tua mano sulla spalla e se vuoi salvarmi salvami, o se vuoi farmi del male fammi tutto il male che vuoi perché non sono più niente e tu sei l’unica cosa che mi è rimasta”

“Che cosa sei? Che cosa sei Castiel?”
“Non importa Dean: non importa più”

Perché non era più un angelo, non era un uomo, era soltanto una blasfemia.

Aveva freddo e la schiena aveva ricominciato a fargli male. Continuava a stupirsi di quanto fosse fragile il suo nuovo corpo, di quanto poco bastasse a rompere la sua omeostasi e a farlo piegare, gemere, tremare.

Matt gli lanciò un asciugamano dall’aspetto piuttosto lurido e si dileguò. Era quasi mezzanotte. Castiel si tolse i vestiti bagnati e rimase a guardare il proprio riflesso nello specchio scheggiato del bagno; si chiese se Michael avesse bruciato le sue ali, se le avesse conservate da qualche parte o se le avesse appese alle porte del Paradiso come monito verso chiunque fosse intenzionato a disobbedire ai suoi ordini, ma decise che non gli importava.
Poi la sua parte umana prese il sopravvento e lui si addormentò seduto sulla vasca da bagno, la fronte premuta contro le piastrelle bianche e azzurre che si alternavano sulla parete.
Matt lo lasciò dormire fino all’alba.

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Capitolo 2
*** Questioni in sospeso ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




“Si può sapere che fine avevi fatto?”
Si era perfino tolto le scarpe sullo zerbino per fare il minimo rumore possibile, ma vatti a fidare del sonno di un ex-cacciatore.
Le chiavi di casa in una mano, i cartoni delle pizze pericolosamente in equilibrio sull’altra, Dean non era neanche riuscito a raggiungere la cucina che un Sam scarmigliato, assonnato e visibilmente incazzato gli si era parato davanti con un cipiglio che non lasciava presagire nulla di buono.
“Scusa Sammy… è stata colpa del temporale”
“Sei stato via tre ore! Tre ore! E – per inciso Dean – ha smesso di piovere un’ora fa”
Le pizze atterrarono con malagrazia sul tavolino di vetro piazzato sotto al televisore (tubo catodico, modello anni ottanta, chissà per quale miracolo ancora perfettamente funzionante).
“Adesso piantala di fare la fidanzatina gelosa Sammy, o il prossimo Natale la signora McAllister ci regalerà sul serio una scatola di preservativi!”
Sam si sedette – o meglio crollò – sul divano con aria afflitta.
“Avresti potuto telefonare almeno, hai idea di quanto io mi sia preoccupato? Non hai controllato la segreteria?”

Due messaggi, quattro chiamate perse.

“Probabilmente la pioggia avrà creato problemi alla linea”

Il che non era del tutto falso, per una mezz’oretta le comunicazioni si erano interrotte a causa di un fulmine caduto troppo vicino ad un ripetitore, non che lui avesse minimamente pensato di telefonare a suo fratello – per dirgli cosa poi? Che aveva appena caricato sull’Impala una marchetta che pensava di aver incontrato all’Inferno? A quel punto Sam avrebbe rubato lo skateboard del figlio dei vicini e si sarebbe precipitato da lui dimenticandosi di mettere le scarpe, pur di arrivare il più in fretta possibile. “Dean?” – suo fratello lo guardava con l’aria di chi sta sul punto di avere un collasso.
“Sai che non abbiamo idea di cosa ti abbia tirato fuori da là sotto – né perché – e ogni volta che sparisci io non riesco a evitare il pensiero che… che…”
Tuffò il viso tra le mani, le dita scivolarono docilmente tra le ciocche disordinate e Sam Winchester si ritrovò a iperventilare con la testa tra le ginocchia, combattuto tra l’istinto di prendere a pugni suo fratello e il desiderio di scoppiargli a piangere tra le braccia.
Esattamente come succedeva quindici anni prima, quando rimaneva ad aspettare che Dean e suo padre ritornassero da una caccia – solo, con una pistola sul comodino e una paura ingestibile per un ragazzino della sua età – e ogni scricchiolio, voce lontana, frusciare attutito di passi sulla moquette del corridoio poteva trasformarsi in un agente della polizia locale venuto a comunicargli la tragica scomparsa di quanto rimaneva della sua già sgangherata famiglia.
Poi la porta si spalancava, Dean mollava il borsone da qualche parte – brandelli di mostro ancora attaccati ai vestiti, una volta era tornato ricoperto di bava verde dalla testa ai piedi – gli lanciava un sacchetto unto che poteva contenere patatine, hamburger o muffin al cioccolato a seconda di quale fosse il piatto forte della tavola calda più vicina e lui giurava a se stesso che quella sarebbe stata l’ultima volta in cui li avrebbe lasciati andare.
Ma John era John, e la stessa scena si era ripetuta ancora tante, troppe volte.

“Ho passato tutta la notte a ricucirti, dopo che i cerberi ti avevano fatto a pezzi”
“Sam…”
“Alla fine avevo talmente tanto sangue addosso che pensavo di essere morto io. Sarebbe stato giusto, in fondo: avrei dovuto esserlo già da un po’ ”
Dean si era seduto accanto a lui, sul divano di seconda mano comprato un mese prima.
“Ascoltami” – gli mise una mano sulla spalla e lo costrinse a voltarsi verso di lui – “Non volevo. Mi dispiace per averti fatto preoccupare: ma sta sicuro che qualunque cosa mi abbia recuperato dall’Inferno non sarà in grado di risbattermici dentro tanto facilmente: questo te lo prometto”
Sam abbozzò un sorriso stanco, e la signora McAllister non trovò momento migliore di quello per bussare alla loro porta – a quanto pareva con tutte le intenzioni di abbatterla – al grido di “Va tutto bene, giovani?”
Le pareti di quegli appartamenti dopotutto erano fatte di cartongesso e lei aveva l’udito più fino di tutto il quartiere.

“Si signora McAllister, non si preoccupi”

Vecchia ciabatta impicciona.

Dean lanciò un’occhiata fintamente distratta ai cartoni delle pizze – ghiacciate, ma ormai per la fame le avrebbe divorate anche crude.
“Vuoi mangiare qualcosa?” – domandò – “Le metto in microonde e tornano come nuove”
Suo fratello scosse la testa.
“No grazie, ora ho solo voglia di ritornare a letto. Ne riparliamo domani, che magari l’FBI della terza età è in giardino e non arriva a sfondarci la porta” – si avviò sbadigliando verso la sua stanza – “Buonanotte coglione”
“ ’Notte puttana”
Dean allungò i piedi sul tavolino.

Puttana. Pessima scelta di parole.

Strada statale 201. Castiel.

E domani cosa dico a Sam?


Venerdì mattina, altre otto ore di lavoro e poi due giorni di meritata nullafacenza spalmato sul divano con una birra ghiacciata in una mano e il telecomando nell’altra. Con la bella stagione e la chiusura estiva dell’officina avrebbero persino potuto organizzare qualche giorno al mare, dodici ore di macchina e poi il golfo del Messico, litorali di sabbia bianca, ragazze in bikini e quel margarita con ombrellino che sognava da quando aveva diciassette anni.
Aveva evitato Sam in ogni modo possibile, aveva preparato i waffle alla banana – ormai anche la sua colazione doveva sottostare al regime salutistico del fratello – e si era chiuso in bagno non appena aveva sentito la porta della sua camera da letto cigolare. Per fortuna avevano dimenticato di nuovo di oliare i cardini.
Quando un fruscio di fogli lo informò che – alle otto del mattino – Sam aveva già affondato il naso nei libri, si affrettò a raggiungere l’ingresso con le chiavi dell’Impala già in mano, salutò il più rapidamente possibile e si fiondò fuori di casa prima che suo fratello esordisse con qualche scomodo argomento di conversazione.

Al suo ritorno, più tardi, notò con molto disappunto che il suo adorato Sammy e la sua nuova fiamma – Glen, aspirante veterinaria dagli occhi scuri con la passione per gli sport estremi e le piante grasse – si erano dedicati in sua assenza ad una serie di attività non esattamente accademiche. Nella sua stanza. Più propriamente, nel suo letto.
“A mia discolpa” – Sam neanche si sforzava di nascondere le risate mentre Dean risistemava il letto, indeciso sul se portare le lenzuola usate in lavanderia, lavarle con l’alcol o bruciarle in giardino – “Non era previsto che Glen venisse a trovarmi stamattina”

“Sei un gran bastardo, sappilo!”

Non si aspettava niente di meno, sperò soltanto che non avesse anche vandalizzato la sua collezione di riviste porno, oh quello non sarebbe riuscito a sopportarlo. Una volta litigarono di brutto – Dean aveva sedici anni – e, tra un insulto e l’altro, il minore aveva estratto dal suo comodino una delle sue edizioni preferite e gliel’aveva stracciata sotto gli occhi: a quel punto era dovuto intervenire John per evitare che uno dei due finisse al pronto soccorso con il naso spaccato.

A conclusione della serata, dopo essersi assicurato che le sue riviste fossero ancora sane e salve nel loro nascondiglio – sperava – segreto, quando Sam tirò di nuovo fuori la questione sparizione di tre ore con cena e Impala nel cuore della notte, Dean decise di rifilargli la ben orchestrata serie di panzane che ormai suo fratello aveva imparato quasi a memoria: un ritardo nella preparazione delle pizze, una bionda un po’ troppo procace, le solite scuse che aveva imparato ad accampare e che non si discostavano troppo da quella che poi era davvero la sua vita prima.
Perché adesso, quando spariva a bordo dell’Impala lasciando uno striminzito bigliettino sul tavolo della cucina in cui raccomandava al fratello di non preoccuparsi, non era per andare al night sulla trentaquattresima, né perché la barista che lavorava nel locale accanto all’officina finiva il turno.
Certe sere – spento il televisore e portata fuori la spazzatura – sentiva che gli sarebbe bastato chiudere gli occhi per tornare di nuovo sulla ruota. Se aspettava abbastanza, la voce di Alastair si insinuava nel suo cranio come una tenia e lui trascorreva la nottata a fissare il soffitto pregando soltanto di non addormentarsi; allora tanto valeva prendere le chiavi della macchina e guidare finché il rombo del motore non sovrastava le urla dei dannati che gli riecheggiavano nella testa.

Sam gli aveva chiesto più d’una volta di raccontargli qualcosa degli anni trascorsi là sotto, lo aveva pregato, lo aveva minacciato addirittura, per estorcergli qualche parola in più dei suoi smozzicati “non voglio parlarne”, dei lamenti sommessi provocati dagli incubi notturni durante i quali il minore fingeva di dormire, di non svegliarsi di soprassalto ogni volta che sentiva gli stessi gemiti soffocati nel cuscino rompere il silenzio della casa. Glielo aveva chiesto più d’una volta e Dean si era odiato per non avergli risposto – per aver alzato quel muro d’angoscia tra loro due – avrebbe voluto sedersi di fronte a lui e raccontargli ogni cosa, ogni fottuta ora passata in quel buco, ma non ci riusciva.

Non aveva le parole.

Avrebbe potuto dire dolore, ma non era stato dolore; disperazione, ma non si era sentito disperato; sangue, ma non era così rosso il liquido che zampillava da ogni ferita che gli veniva inferta.
Era stato peggio.
Era stato tutto molto peggio. Al punto che ogni aggettivo, verbo, qualsiasi parola utilizzata per descrivere ciò che aveva subito gli sembrava tanto inadatta da risultare quasi ridicola.

Perciò, alla fine di ogni discussione, Sam si accontentava di avere suo fratello di nuovo con sé e, almeno per un po’, decideva di abbandonare l’argomento.
Finì così anche quel venerdì sera di inizio inverno.

Ma nella vita dei Winchester – ormai avevano imparato – rimaneva sempre qualche questione in sospeso.


Il parabrezza aveva una piccola crepa all’altezza degli occhi del guidatore; non più lunga di un centimetro, probabilmente era stata causata da una pietruzza incastratasi chissà come tra il vetro e il tergicristallo, o magari da un piccione investito in autostrada.
Castiel aveva imparato a focalizzare la sua attenzione su qualsiasi dettaglio che lo distraesse dal rumore osceno che il suo bacino produceva contro le cosce sudate dell’uomo sotto di lui.
Il trench che aveva sistemato sul cruscotto – lo notava solo ora – aveva due macchie brune sul bordo della manica: mentre ripercorreva mentalmente la sua giornata cercando di ricordare in che modo avrebbe potuto procurarsele – caffè? inchiostro? l’olio delle uova che aveva mangiato a colazione? – l’uomo gli artigliò i fianchi e venne con un grugnito soffocato.
Castiel si lasciò cadere sul sedile del passeggero sistemandosi la camicia stropicciata e si asciugò la patina di sudore che gli velava la fronte con il dorso della mano. Il suo cliente abbassò il finestrino quel tanto che bastava per gettare via il preservativo usato e si tirò su i pantaloni arrotolatiglisi alle caviglie. “Non ti è piaciuto nemmeno un po’ eh?” – esordì, elargendo un’ eloquente occhiata alle parti basse del moro, seminascoste dai jeans sbottonati.
“Dovresti rilassarti un po’ di più” – la sua mano gli si posò delicatamente sul ginocchio – “Sai, se non avessi una moglie e un marmocchio non ci avrei pensato due volte a portarti a casa con me, begli occhioni
Gli allungò un buffetto su una guancia. Castiel serrò le palpebre e si ritrasse appena, quel tanto che bastava affinché si notasse: l’uomo si infastidì.
“Con tutto quello che pago ti si dovrebbe drizzare prima ancora di entrare in macchina” – sibilò rimettendo in moto.

L’alba era ancora lontana ma faceva troppo freddo per continuare a rimanere immobili sotto la luce sfarfallante del lampione. Castiel si strinse un po’ di più nel suo trench decisamente inadatto alla rigidezza dell’inverno di Lawrence – due macchie di caffè sulla manica sinistra – e si appuntò mentalmente di comprare un paio di guanti per la sera successiva, prima che le dita gli si congelassero nelle tasche.
Oltre a begli occhioni, l’impiegato postale che passava regolarmente a trovarlo una volta a settimana, quella notte non aveva avuto altri clienti. Poco prima, un vecchio maggiolone azzurro si era fermato a qualche metro da lui ma non aveva fatto in tempo ad avvicinarsi che quello era subito ripartito sollevando una nuvola di puzzolente fumo grigiastro.

Gli avevano consegnato quel che gli spettava per la prestazione e lui si era incamminato verso casa: Matt gli aveva trovato un monolocale arredato da centotrenta dollari al mese, che a stento riusciva a pagare, sulla centonovantasettesima. Faceva abbastanza schifo ma piuttosto che rimanere in uno di quegli edifici fatiscenti della 201 e rischiare di svegliarsi con la gola tagliata avrebbe preferito dormire sotto un cavalcavia.
Rispettava troppo la vita che gli era stata donata dal Padre per gettarla via: avrebbe atteso la morte e aspettato il Suo ritorno, e infine avrebbe rimesso serenamente la propria anima al Suo giudizio. Nessuno – neanche gli Arcangeli – conosceva le sorti degli angeli caduti, una volta che questi soccombevano alla vita mortale.
O forse aveva soltanto paura di soffrire: per quel che ne sapeva, il suicidio non era mai indolore.

“Castiel!”

Una figura allampanata emerse dall’oscurità all’angolo della 200, tra una villetta disabitata e un bar con le luci spente. Non sentiva la sua voce – sebbene quella non fosse la sua vera voce – da talmente tanto tempo che gli pareva fossero passati secoli, invece che pochi mesi.

“Haziel!”

L’angelo lo invitò ad avvicinarsi: le ali ripiegate dietro la sua schiena, nere e lucenti come quelle d’un corvo, gli facevano tremare i polsi.

La abbracciò con la foga di un bambino che ritrova la madre dopo essersi perso tra le corsie del supermercato; le braccia magre – ossute – di Haziel si posarono sulle sue spalle per un istante appena, prima di allontanarlo con un movimento impacciato.
“Quindi sono queste le emozioni di cui parlavi tanto, fratello?” – gli domandò con una certa titubanza – “Bizzarre, senza dubbio”
“Sorella” – Castiel aveva gli occhi lucidi e il respiro affannato: quale fosse il motivo che l’aveva spinta a scendere sulla terra senza neanche un tramite non gli importava, lei era lì e il calore della sua grazia si diffondeva a ondate intorno a lui dandogli l’impressione di essere finito in un’enorme bolla di beatitudine. Bastava.
“Sorella non sai quanto sono felice di rivederti”
Haziel lo squadrò con espressione indecifrabile, i suoi occhi di ghiaccio scintillavano nella penombra.
“Non posso restare a lungo: se Michael lo venisse a sapere non so quali potrebbero essere le conseguenze”
Lui sussultò.
“Dopo la tua caduta ci sono stati dei disordini in Paradiso: Ezekiel ha accusato Michael di sacrilegio ma non è riuscito a convincere gli altri angeli a ribellarsi. Ricorderai che ha sempre avuto un temperamento piuttosto difficile
“Era nella mia guarnigione” – annuì – “Ma era un soldato fedele”
“Ad ogni modo, Ezekiel non ha mai avuto il tuo potere e gli Arcangeli riescono ancora a tenere salde le redini del Paradiso, ma temono il manifestarsi di nuove agitazioni. Michael ha intenzione di rompere personalmente l’ultimo sigillo: se vuoi fare qualcosa per il tuo protetto sarà bene che tu lo faccia il più presto possibile”
Si era alzato un vento secco e gelato che faceva turbinare le cartacce ammucchiate ai lati della strada.

“Perché mi stai dicendo tutto questo?”
L’angelo si torceva in grembo le dita scheletriche.
“Come ti ho detto, la tua cacciata ha provocato molta confusione tra le nostra fila: nemmeno il Padre si era mai arrogato il diritto di privare forzatamente un nostro fratello della sua grazia, nemmeno quando fu costretto a rinchiudere Lucifero nella gabbia, e noi… ” – esitò.

“In Paradiso si piange ancora per la tua caduta” – confessò con voce incrinata.

Per la prima volta da quando era diventato mortale, Castiel percepì tutta la potenza dell’umana rabbia ribollirgli nel petto come un globo di lava.

“Davvero?” – sputò, e per un attimo il suo sguardo tornò infuocato come un tempo, quando i suoi nemici si disperdevano al solo stagliarsi della sua sagoma nera contro il sole – “E dimmi sorella, dove erano le vostre lacrime mentre la grazia scivolava via dalla mia gola squarciata? Mentre Michael mi strappava via le ali?”

“Mi dispiace Castiel” – il corpo magro di Haziel fu scosso da un fremito.
“Mi dispiace” – gemette – “Nostro Padre ci ha lasciati, siamo spaventati, soli, la Terra non fa che accelerare la sua corsa verso il baratro e Michael…Michael è l’unico in grado di guidarci. Non potevamo permetterci un altro scisma come quello di Lucifero, non in questa situazione”

“MICHAEL È UN FOLLE!” – alcune grida di protesta si levarono da una finestra aperta, ma nessuno ci badò – “Vuole riportare il Paradiso in terra soltanto perché non sopporta l’esistenza di un mondo che non obbedisca alle sue regole, e vuole distruggere metà della razza umana perché crede che non sia abbastanza degna di assistere alla sua gloriosa venuta, come se gli uomini fossero una sua creazione e lui potesse giudicarne il giusto e l’ingiusto!”

Una folgore tagliò in due il cielo, illuminando a giorno i profili dei palazzi; Haziel spalancò le ali e in quel momento era tanto bella e terrificante che Castiel dovette reprimere l’impulso di cadere in ginocchio ai suoi piedi e implorare pietà.

“Chi ti ha concesso il diritto di pronunciare simili parole?” – il lampione più vicino esplose, seguito a ruota da ogni altra lampadina accese nel raggio di cento metri, e le schegge piovvero sull’asfalto come una grandinata di vetro ferendogli il viso e le mani.

“Tu, bestemmia, come osi profanare il nome dell’Arcangelo?”

Haziel splendeva di luce sanguigna; Castiel temette che stesse per imporre la sua mano mortifera su di lui ma quando parlò la sua voce era ritornata gelida come i suoi occhi.

“Siamo tutti addolorati per te fratello, ma non abusare dell’amore che nutro ancora nei tuoi confronti”
I suoi piedi si sollevarono dal terreno e lei iniziò a trasfigurare.
“L’umanità è stata già sterminata una volta e chissà, dopo la sua scomparsa nostro Padre potrebbe anche fare ritorno: forse sono stati proprio le sue creature preferite a deluderlo tanto”

L’angelo scomparve in un fruscio di ali, lasciando Castiel immerso nell’oscurità di una strada semideserta ad interrogarsi sul celeste senso di colpa che aveva portato sua sorella ad allontanarsi di nascosto dal Paradiso per rivelargli i piani di Michael.

E comunque Haziel non aveva idea di che cosa fosse davvero, l’amore.






*Haziel (pietà di Dio) non è un angelo che compare nella serie, semplicemente perché non volevo utilizzare un personaggio che fosse già “schierato”

Eccoci qua!
Questa storia era inizialmente nata come una OS, ma dopo un po’ di vicissitudini e un paio di recensioni galeotte (a tal proposito, grazie grazie grazie per chiunque abbia speso una parola e/o abbia messo la storia tra le preferite) ho deciso di darle un seguito (che spero vi piaccia, ndr).
Alla prossima settimana!

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Capitolo 3
*** Io sono quello che ti ha afferrato e che ti ha salvato dalla perdizione ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




Erano passate due settimane e Dean aveva iniziato a deviare per la 201 molto più spesso di quanto non volesse ammettere.

Aveva assistito – più o meno di sfuggita – a quattro risse, aveva quasi investito due ubriachi che attraversavano la strada a braccetto e aveva incrociato un numero imprecisato di prostitute che salivano e scendevano da utilitarie color topo o da orribili SUV dalle maniglie cromate, ma di Castiel nessuna traccia.
Avrebbe giurato di aver sognato tutto se non fosse stato per i suoi incubi, diventati sempre più frequenti – da due settimane andava in giro con un bel paio di occhiaie violacee da spiritato – e che ormai si focalizzavano sempre sulle stesse immagini: Alastair che gridava, luce bianca che pioveva sulla sua testa e due ali nere come il giaietto che si chiudevano su di lui.

Era quasi mezzanotte, era venerdì, e Sam lavorava fino a tardi.
Lui si era appisolato sul divano e si era risvegliato boccheggiando, la cicatrice che pulsava dolorosamente sulla sua spalla e la familiare sensazione di panico alla bocca dello stomaco.
Aveva rivisto per l’ennesima volta “Indiana Jones e l’Ultima Crociata” – indubbiamente il migliore della saga, nonché il suo preferito – e poi aveva guidato fino in città per dare un’occhiata al nuovo bar nelle West Hills che alla fine non si era rivelato niente di che, troppi liceali sbronzi alla seconda birra e troppe ragazzine in minigonna dalla vocetta stridula.

La 201 brulicava di vita miserabile: periodicamente – una o due volte al mese – la polizia faceva irruzione in qualche edificio, arrestava una dozzina di barboni o di spacciatori o di persone più o meno a caso, e la strada per un po’ diventava improvvisamente silenziosa, prima di riprendere dopo qualche giorno con le sue solite attività.

Schivò una bottiglia di vetro abbandonata in mezzo alla carreggiata e rallentò quel tanto che bastava a scorgere il volto di due ragazzi dai capelli neri che occupavano una panchina arrugginita, ma nessuno dei due era Castiel.
Il più giovane aveva un laccio emostatico legato sopra il gomito, e Dean distolse lo sguardo prima di cedere all’impulso di scendere dall’auto, assestare un paio di sberle a entrambi e trascinarli per le orecchie dai rispettivi genitori, molto probabilmente per rifilare un ceffone anche a loro.

Arrivò alla fine della strada, incerto sul da farsi: non aveva idea di cosa avrebbe potuto dire a Castiel una volta – e semmai – fosse riuscito a ritrovarlo. Il moro infatti dopo il loro primo e unico breve scambio di battute si era chiuso in un mutismo ostinato che aveva spiazzato Dean molto più dei flashback insanguinati che gli passavano davanti agli occhi.
Razionalmente, la cosa migliore da fare sarebbe stata convincerlo a rivolgersi a un qualche tipo di assistente sociale, a una casa-famiglia, a qualche centro di recupero specializzato, persino a una fottutissima parrocchia, purché abbandonasse per sempre quel covo di disgraziati.
Irrazionalmente, invece, tutto ciò che voleva fare era portarlo via con sé e baciarlo e adorarlo e farsi possedere da lui finché entrambi non avessero avuto più aria per respirare e anche se sapeva che era un’idea stupida, così stupida – convincerlo a venire via con lui – il solo pensiero di non rivederlo più gli provocava un senso di panico incontrollato.

Alla fine guardò l’orologio e imboccò una via laterale poco illuminata: questione di una mezz’ora, Sam avrebbe finito il turno e lui non voleva trovarsi di nuovo puntati addosso quegli occhi indagatori.
A suo fratello non era sfuggito l’intensificarsi dei suoi incubi negli ultimi giorni – figuriamoci – e la sua apprensione rischiava di arrivare a livelli mai raggiunti prima che Dean non aveva la minima intenzione di sperimentare.

Due automobili – troppo buio per riconoscerne il modello – sfrecciarono nella sua direzione facendo stridere le gomme sull’asfalto e obbligandolo a sterzare bruscamente per evitare di finirgli addosso: l’interno dell’abitacolo si riempì dell’odore acre della gomma bruciata.

“Pirati della strada!”
Percorse poche centinaia di metri, finché la luce giallastra proiettata dai fari dell’Impala non intercettò una figura umana riversa sul ciglio della strada.

Raggomitolato nel suo trench di due taglie di troppo, Castiel sembrava quasi dormire: un sottile rivolo di sangue gli colava dal sopracciglio, incrostandosi in una pozzanghera bruna sull’asfalto.

Respirava.

Aveva troppa paura che avesse qualche frattura o lesione interna per spostarlo.
Il motore dell’Impala era rimasto acceso e Dean aveva fatto del suo meglio per non vomitare contro la portiera ma adesso l’Inferno emergeva da ogni crepa della strada, l’odore di zolfo si mischiava all’umidità della notte e la sua spalla era in fiamme al punto che temette di sentire la carne sfrigolare come fosse su una graticola.

Davanti ai suoi occhi, nella più realistica allucinazione che la sua mente avesse mai partorito, dalla schiena di Castiel iniziarono ad allungarsi due ali nere. I fanali dell’auto ne proiettavano la gigantesca ombra sul terreno.
Riuscì miracolosamente a tirar fuori il cellulare per chiamare il 911, poi svenne.

Quando riprese i sensi – da lontano – si sentiva già la sirena dell’ambulanza.






“Lei è un parente?”

Avevano portato d’urgenza Castiel al pronto soccorso più vicino – lui aveva seguito l’ambulanza con il cuore che gli batteva nel petto alla stessa velocità di un martello pneumatico – lo avevano attaccato a una sacca di sangue e lo avevano chiuso in una sala operatoria lasciando Dean a languire su una poltroncina scolorita – e quantomai scomoda – per un tempo che gli era parso infinito.

“Un…parente?” – si stropicciò gli occhi con le dita. La macchinetta del caffè dell’ospedale era rotta e a quell’ora della notte – o del mattino, non ne era troppo sicuro – senza una generosa dose di caffeina lui non ricordava nemmeno come si chiamava.

“Sono ore che non fa altro che chiedere di un certo Castiel, signore, immagino si riferisca al ragazzo che abbiamo ricoverato un po’ di tempo fa in codice rosso”

L’infermiera era bassina, grassottella, e non dimostrava più di trent’anni: ciocche castane facevano timidamente capolino dalla cuffietta verde: gli sorrise incoraggiante.

“Se non è un parente, per conoscerne il nome, immagino sia un amico, un conoscente almeno”

Una voce gracchiante dall’interfono avvisò che un certo Dottor Foster era atteso con urgenza in cardiologia.

“Sì, cioè, no, no io… sono solo quello che l’ha trovato”

La donna parve accigliarsi un poco.

“Adesso è fuori pericolo, lo abbiamo stabilizzato e per il momento lo teniamo sotto osservazione” – si avvicinò, fin troppo cautamente per dovergli solo chiedere dell’assicurazione sanitaria – “Senta, signor…?”

“Jones”
“Bene. Signor Jones, normalmente non dovremmo dare alcun tipo di informazioni sui nostri pazienti ad altre persone che non siano i familiari più stretti ma…” – mentre parlava si mordicchiava il labbro inferiore. D’un tratto gli prese delicatamente la mano, invitandolo a seguirlo lungo il corridoio.

“Venga con me per cortesia”

Camminarono per un paio di minuti, fino a raggiungere quella che doveva essere la sala macchine del pronto soccorso. L’infermiera fece un cenno a un uomo in camice bianco, altissimo e secco come un chiodo – i due, uno accanto all’altro, formavano l’accoppiata più stramba dell’ospedale – il quale si accomiatò con straordinaria rapidità da un paio di tirocinanti dall’aria smarrita e li raggiunse stringendo tra le mani una cartellina beige.

“Dottore, il signor Jones”

L’uomo gli tese la mano.

“Molto piacere, io sono il primario, il Dottor Sewed”

Che cognome bizzarro.

“Lei è dunque un familiare di…Rita come ha detto che si chiama il ragazzo, Carl, Cas?”

“Castiel. A quanto mi ha detto, il signor Jones è soltanto quello che l’ha trovato e ha chiamato l’ambulanza, purtroppo” – Rita si grattò la fronte da sotto alla cuffietta verde.

Dean spostava il peso da una gamba all’altra, dondolandosi nervosamente sui talloni. Da quando l’infermiera gli aveva detto che Castiel era fuori pericolo, l’adrenalina che l’aveva tenuto sveglio e più o meno vigile fino a qual momento era andata lentamente scemando, e adesso aveva le ginocchia molli come gelatina e un bisogno tremendo di un letto, un divano o un pavimento dove poter riposare qualche ora.

“Ci siamo visti una sola volta” – balbettò – “So come si chiama, ma niente di più. Tornavo a casa in macchina e l’ho trovato sul bordo della strada”
Il dottor Sewed lo osservava con aria grave.
“Non sa dove abita? Il suo cognome, età, ha per caso un suo contatto, un numero di telefono?”
Dean scosse la testa.

“D’accordo” – il medico aprì e richiuse la cartellina beige un paio di volte, incerto.

“Sono passate quasi sei ore dal ricovero” – borbottò leggendo qualcosa da un foglio – “E non abbiamo ricevuto alcuna telefonata da parte di un genitore, di un coniuge o di nessun altro. Castiel – o almeno il ragazzo che lei chiama Castiel – non aveva con sé documenti, cellulare o effetti personali tramite i quali potremmo risalire alla sua identità. Abbiamo controllato le denunce di sparizione e allertato la polizia, ma non abbiamo trovato nulla. Ad essere sinceri, il suo amico sembra essere caduto dalle nuvole”

Estrasse dal fascicoletto una serie di lastre radiografiche e gliele porse.

“Signor Jones lei è l’unica persona che sembra aver mai avuto a che fare con Castiel e per quanto ciò che sto per fare viola terribilmente il mio codice deontologico e professionale, qui c’è qualcosa che dovrebbe vedere”

Dean non aveva mai studiato medicina e aveva appreso da John quel po’ di nozioni di primo soccorso necessarie a mantenerlo tutto intero durante e dopo una caccia: ad ogni modo non serviva certo una laurea per capire che le immagini dello scheletro proiettate sulla lastra non potevano appartenere ad un uomo normale.

Partendo dalle scapole fin quasi a metà della colonna vertebrale, c’erano delle ossa in più.

E a giudicare dalle loro estremità irregolari sembrava che qualcuno, quelle ossa, gliele avesse spezzate di netto.






Quando Castiel si svegliò, gli faceva male la testa. Gli faceva male la faccia, gli facevano male le costole e gli faceva male un’impressionante serie di parti del corpo che non sapeva nemmeno che gli umani avessero ma che in quel momento reclamavano tutta la sua attenzione.
Poi vide Dean Winchester seduto di fronte a lui e pensò di essere anche impazzito.

“Ehi… come ti senti?”

Allucinazioni uditive oltre che visive.

“Castiel?”

E chi è che gli aveva diminuito gli antidolorifici?

Con quello che gli parve il più grande sforzo della sua breve vita mortale, si issò sui gomiti ignorando le grida di protesta delle sue costole contuse; il rumore del monitor per l’elettrocardiogramma era snervante.

Bip, bip, bip.

“C-cosa ci fai qui?” – biascicò con voce impastata. Provò ad allungarsi verso l’apparecchio per la morfina ma qualcuno l’aveva spostato e ora era troppo lontano per raggiungerlo senza doversi alzare dal letto.
“Vacci piano con la morfina” – Dean gli porse un bicchiere con una cannuccia – “O quella roba ti friggerà il cervello”
Castiel mugolò qualcosa che assomigliava a una protesta.
“Ho qualche problema con la soglia del dolore” – afferrò il bicchiere con entrambe le mani e bevve un paio di sorsi: la ferita sul labbro si riaprì e riprese a sanguinare.

Bip, bip, bip.

“Giuro che troverò quei figli di puttana che ti hanno ridotto in questo stato e li farò a pezzi con le mie stesse mani”

Dopotutto Dean Winchester non era mai stato un grande amante dei giri di parole (né del concetto di giustizia della polizia federale).

Castiel sorrise – o meglio, provò a sorridere nel modo meno doloroso che gli permetteva una faccia mezza tumefatta – e sprofondò nuovamente tra i cuscini. Se quella era un’allucinazione, era la cosa migliore che gli fosse capitata da quando era stato cacciato dal Paradiso.

“Erano in tre” – mormorò, più a se stesso che al proprio interlocutore – “Sembravano ragazzini. Sono salito sulla macchina di uno di loro, ma c’era un’altra auto parcheggiata lungo la strada. Abbiamo accostato, avevo già il cellulare in mano quando gli altri due hanno aperto la portiera e mi hanno trascinato fuori. Ho provato a difendermi ma questo corpo umano è così… ”

S’interruppe di colpo, impallidendo.
Riprese il bicchiere cercando di dissimulare ma non aveva più controllo sulle proprie emozioni di quanto ne avrebbe avuto un bambino, e non riusciva a fingere di non essersi lasciato sfuggire qualche parola di troppo.

“Castiel?”

E Dean si accorgeva, sempre, di tutte le parole di troppo.

All’improvviso i loro occhi si ritrovarono a nemmeno mezzo metro di distanza: la morfina gli aveva rallentato i riflessi e quello spostamento repentino gli fece girare la testa.

“Castiel, accadono cose strane da quando ci siamo… incontrati: e credimi se ti dico che nella mia vita ne ho viste tante di cose strane

Vicino. Così vicino.
Gli mancava non poter più sentire i suoi pensieri, lui era l’unico umano con il quale l’avesse fatto più d’una volta. La mente degli uomini gli sembrava così ridotta prima, così monotona e piatta che non aspettava altro che uscirne, ogni volta che era obbligato a scandagliarne i recessi, figuriamoci volerci entrare di nuovo.

“Io non voglio farti del male ma ho bisogno di sapere, ho bisogno di capire” – Dean continuava a parlare, pacato, ma risoluto – “Altrimenti di questo passo, se non sono già impazzito, impazzirò di certo”

Si spinse ancora un po’ verso di lui: sentiva il suo respiro sottile sulla faccia.

“Sei stato all’Inferno? Sei stato all’Inferno quando c’ero anch’io?” – la sua voce s’incrinò – “Che cosa sei? Che cosa mi hai fatto?” – una grossa, solitaria lacrima gli rotolò lungo lo zigomo.

Castiel era stanco.
L’uomo per il quale era disceso negli abissi compiendo imprese degne d’un Arcangelo era davanti a lui, e lui si sentiva inerme. Gli faceva male la schiena: quel che rimaneva delle sue ali sembrava sul punto di voler bucare lo spesso strato delle cicatrici e spiccare il volo.

Era dolorante, spaventato – da quando aveva incontrato Haziel le sue parole avevano iniziato a rimbombargli nel cranio come un irrevocabile presagio di morte – e magari stava accadendo tutto solo nella sua testa, tra un po’ si sarebbe svegliato e non ci sarebbe stato nessuno seduto ai piedi del suo letto, nessun respiro sottile a infrangersi sulla sua faccia, solo il bip bip del monitor e l’apparecchio per la morfina troppo lontano dal letto.

E poi, cos’altro aveva da perdere?

Gli occhi di Dean erano di nuovo asciutti: sembrava passata un’eternità da quando quell’unica lacrima era precipitata sulle lenzuola.

Bip, bip, bip.

“Io sono quello che ti ha afferrato e che ti ha salvato dalla perdizione”




Grazie a chiunque abbia recensito/messo la storia tra le seguite/preferite.
Alla prossima settimana!

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Capitolo 4
*** E tu da quando credi agli angeli? ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




“Aspetta aspetta aspetta. Tu avresti fatto cosa?”
Le sopracciglia di Dean si erano alzate talmente tanto che arrivavano all’attaccatura dei capelli: era una situazione così assurda che gli veniva quasi da ridere.
“Senti io capisco che tu ora sia sotto shock per l’aggressione e la morfina e tutto il resto ma non credo che…”

“Avevi quindici anni e stavate cercando i resti di Anita Cooper in un cimitero a Macon, nel Missouri: da qualche mese Sam veniva a caccia con voi”

“Tu come fai a sapere che ho… ”

“Il fantasma vi ha attaccato, ha attaccato Sam, e lo ha trascinato sull’erba per un centinaio di metri: tu ti sei lanciato all’inseguimento mentre John cercava la lapide.”
Castiel parlava sommessamente, un tono basso e lugubre da mettere i brividi.
“Hai sparato tre colpi, l’ultimo ha preso il fantasma ma il secondo ha centrato tuo fratello in pieno petto: per fortuna il fucile era caricato a sale. John ti ha dato uno schiaffo così forte da farti sanguinare e poi ti ha chiesto scusa, anche se quella volta te lo eri meritato”

“Che cosa sei?”

Dean era arretrato fino alla porta, i nervi tesi, la mano già sul calcio della pistola. L’istinto del cacciatore gli martellava nella testa soltanto due parole: uccidere, o scappare (preferibilmente uccidere, il più rapidamente possibile).
Ma doveva capire che tipo di creatura gli si stesse parando davanti.

“Ero un angelo del Signore” – cinque parole che parvero costargli più fatica dell’intera conversazione avuta fino a quel momento.
Aveva squarciato il velo: ciò che sarebbe successo dopo, ormai, non sarebbe più dipeso da lui.
L’elettrocardiogramma segnalava un deciso aumento del battito cardiaco ma a quanto pareva non abbastanza da allarmare gli infermieri.

Dean rimase impietrito, le spalle contro il muro, incerto sul da farsi: i suoi occhi vagavano lungo le pareti, il letto, il tubicino trasparente della flebo. Uscì senza nemmeno chiudere la porta, dalle tapparelle semichiuse Castiel lo vide muoversi nervosamente su e giù per il corridoio.
Tornò dopo qualche minuto.

“Tutte le mie allucinazioni…” – la sua voce era diventata terribilmente stridula – “Non erano affatto allucinazioni! Erano ricordi. Di te, di quando mi hai tirato fuori! Lo sapevo, lo sapevo che eri tu!” – si massaggiò le tempie con le dita – “Cristo, eri terrificante”

Castiel piegò la testa da un lato, in un espressione di quello che percepiva come… compiacimento? Non ne era molto sicuro, ma la sensazione gli piaceva.

“Oh bene, ti sei svegliato!”
Rita entrò come se nulla fosse, una cartellina in una mano e il bicchierino delle pillole nell’altra.

“Domani mattina stacchiamo la flebo, vedrai che ti rimetterai subito in piedi. Non hai subito gravi traumi, gli organi interni stanno bene: sei stato molto fortunato”
“Già” – mugugnò Castiel – “Molto fortunato
“Il dottor Sewed passerà più tardi a controllare che sia tutto apposto. Nel frattempo, Castiel, giusto? Il signor Jones ha detto che ti chiami così”

Lui annuì, mentre Dean sprofondava sospirando nella vecchia poltrona di fronte al letto: gli sembrava di essere finito in un grottesco film horror.
“Abbiamo contattato la polizia. Sai, se vuoi sporgere denuncia”
Castiel non rispose. Non subito. Alla parola polizia gli era venuta la pelle d’oca.
“S-sì certo” – mormorò – “Non potremmo aspettare domani? Preferirei stare prima un po’ meglio”
Rita sorrise.
“Ma certo. Per qualsiasi cosa, il pulsante è quello lì in alto” – indicò un piccolo interruttore bianco una ventina di centimetri sopra la testa del letto, poi si rivolse a Dean – “Signor Jones, data l’eccezionalità del caso l’ho fatta rimanere qualche ora, ma adesso devo chiederle di andare, siamo ben oltre l’orario di visita. Inoltre, se mi permette, ha davvero una brutta cera, forse è il caso che si riposi un po’. Potrà tornare domani se vuole.”

“Mi lasci giusto un altro paio di minuti: troverò l’uscita senza problemi”

“D’accordo. Ma solo due minuti” – sorrise, e Dean pensò che quell’infermiera aveva sorriso più spesso negli ultimi dieci minuti che lui negli ultimi dieci anni.
Non appena si fu allontanata, Castiel iniziò ad agitarsi: le lenzuola si appallottolarono ai piedi del letto.

“Dobbiamo andare via. Subito”
Provò ad alzarsi ma l’unico risultato che ottenne fu di rischiare di precipitare sul pavimento insieme all’ammasso di lenzuola attorcigliatosi intorno alle sue gambe. Dean lo aiutò ad alzarsi e lo respinse sul letto con poca grazia.

“Senti… Louise. Tu non vai da nessuna parte se… ”

“Chi è Louise?”

“Louise di Thelma e Louise, il film con Susan Sarandon e… ”

Ma cosa sto dicendo?

“Oh, lascia stare” – era sul punto di strapparsi i capelli dall’esasperazione – “Tu non vai da nessuna parte se prima non mi dici cosa vuoi da me, perché mi hai salvato dalla perdizione, e soprattutto come mai un potente angelo del Signore è finito a battere sulla 201”

Il moro sospirò.

“E’ una storia lunga Dean, e te la racconterò presto. Ma ora devi portarmi via da qui”

“Non ci penso proprio!”

Buio.
Sentiva qualcosa pulsare contro la sua tempia come se avesse la testa premuta contro il petto di qualcuno, ma non gli sembrava di sentire il battito di un cuore: era più lento, non aveva l’intermittenza tra sistole e diastole e si propagava a ondate, come un respiro. Qualcosa gli sfiorò la coscienza ed ebbe la sensazione di trovarsi al cospetto di un grande potere, nonostante non riuscisse a vedere o percepire alcunché.
Poi il buio divenne rosso, il rosso divenne grida nella sua testa e sotto la sua schiena si materializzò un terreno decisamente troppo duro.
Le grida si spensero e lui spalancò gli occhi in una scura, puzzolente, minuscola bara.

“Per quanto ancora pensi di poter continuare così?” – le parole gli arrivavano smorzate alle orecchie.

Il pavimento era gelato e coperto da un sottile strato di polvere; gli faceva male il lato sinistro della testa, probabilmente aveva sbattuto da qualche parte quando aveva perso i sensi.

“Merda”
Si rimise in piedi, non senza una certa fatica.

“Quando un’anima viene reclamata dall’Inferno” – Castiel parlava senza guardarlo, gli occhi fissi e vitrei come due grosse biglie nere – “Su di essa viene apposto un marchio” – la mano di Dean corse istintivamente a cercare i contorni della cicatrice sulla sua spalla.
“Il marchio è il sigillo di un legame: se il legame si spezza, il sigillo si spezza, e l’anima torna all’Inferno”

Sospirò.

“Non si può prescindere da quel legame. Nessuno può”

Dean era sempre più confuso; tutta la luce della stanza sembrava essersi concentrata sulla faccia pesta di Castiel che ora lo guardava con inquietante solennità.

“E pensi che questo mi convinca a farti… evadere?”

“No. Ma io non voglio rimanere qui. E se adesso vai via probabilmente non saprai mai perché sei di nuovo vivo né come io sia finito sulla 201, o forse qualcuno te lo racconterà un giorno, ma sarà una bugia”

Quindici minuti dopo l’Impala sfrecciava verso l’uscita del parcheggio dell’ospedale.






Aveva un ricordo sorprendentemente nitido – per quanto possano essere nitidi i ricordi delle tre del mattino – degli SMS che aveva inviato a Sam per spiegargli la situazione.
Non gli aveva raccontato i particolari, ovviamente, non c’era alcun bisogno di spiegargli che l’uomo che aveva trovato in fin di vita sul ciglio della strada e che aveva poi accompagnato in ospedale era lo stesso uomo che nemmeno un mese prima gli aveva procurato il secondo o terzo orgasmo più intenso della sua vita (perché beh, Lisa Braeden rimaneva sempre Lisa Braeden), né che dalle sue scapole fossero apparse come un miraggio due ali nere, né che per poco i paramedici non avessero caricato anche lui sull’ambulanza, privo di sensi.

“Sì Sammy, sto tornando” – era ormai l’alba e una luce chiarissima e fastidiosa illuminava la strada – “Ascoltami ci sono delle novità, non sto tornando da solo… no, non dobbiamo seppellire nessun mostro sta tranquillo… ti spiego dopo… sì ci vediamo tra poco… sì sto bene Sam”

“Si preoccupa per te”

Sul sedile del passeggero, Castiel aveva l’aspetto di uno spirito vendicativo.
Dean gli lanciò un’occhiata in tralice, pensieroso; gli avrebbe causato meno problemi tornare a casa con un paio di demoni incatenati nel portabagagli.

“Ha solo paura che da un momento all’altro mi si apra una voragine sotto i piedi e che io ritorni all’Inferno”

“Lo so”

“Tu sai tutto vero?” – sbottò – “E’ il vostro sport preferito frugare nella testa della persone?”

“Mi dispiace”
Non gli dispiaceva davvero: avrebbe dato tutto pur di poterli ascoltare ancora, i suoi pensieri.
Erano in viaggio da quasi un’ora e non gli aveva nemmeno chiesto dove fossero diretti, a dire il vero nessuno dei due aveva proferito parola fino alla telefonata di Sam.

“Sei nei guai con i poliziotti?”

“Cosa?”

Dean sorrise: le sue foto segnaletiche – ognuna associata ad un nome diverso – circolavano negli Stati Uniti da quando aveva dodici anni; se c’era qualcuno che sapeva cosa volesse dire trovarsi nei guai con la polizia, quello era lui.

“Senti, mio fratello è negli schedari della polizia da quando ha iniziato a gattonare e io sono stato arrestato tante di quelle volte che ho smesso di contarle… e immagino che tu già sappia anche questo” – concluse stizzito.

Castiel annuì senza nemmeno fingere di sentirsi in colpa.

“Questo per dirti che non ho intenzione di farti la paternale o di ammanettarti alla portiera e di chiamare i federali, ma se ti sei ficcato in qualche guaio mi piacerebbe saperlo” – sospirò – “Così, giusto per capire quanto tempo abbiamo prima che arrivino a sfondarci la porta.”

“Vedi, Dean, io per il vostro mondo non esisto”

Castiel aveva la gola secca; ogni parola gli graffiava dolorosamente la trachea.
“Non ho documenti, non ho un cognome e la mia data di nascita corrisponde ad un tempo che per voi nemmeno esiste. Pensi che il governo permetterebbe ad uno così di andarsene liberamente in giro per l’America?”

“Immagino di no”

“Mi hanno arrestato per furto, qualche mese fa, mentre rubavo in un minimarket”

Dean inarcò un sopracciglio.

“Mi hanno tenuto una notte in stato di fermo perché non avevo documenti e il nome che avevo inventato non trovava riscontro nei loro registri. La macchina fotografica era guasta e non sono riusciti a schedarmi, nel frattempo io aspettavo chiuso in una delle loro celle”

Si fermò per riprendere fiato, il suo respiro era sempre più affannato; probabilmente – immaginò Dean – l’effetto della morfina stava lentamente svanendo.

“Non ero mai stato rinchiuso da nessuna parte”

Dopo la caduta, era stata la sensazione peggiore che avesse mai provato; quando gli erano state strappate le ali, quando il dolore era diminuito quel tanto che bastava a restituirgli la cognizione di cosa fosse accaduto e di dove si trovasse – aperta campagna, oltre la periferia di Lawrence, la prima notte davvero invernale di novembre – la consapevolezza di non essere più in grado di volare lo aveva atterrito, si era raggomitolato su se stesso ed era rimasto come paralizzato finché uno dei contadini della zona non era arrivato a punzecchiarlo con un bastone, nel tentativo di capire se fosse morto oppure no.
Dopo che l’agente aveva fatto scattare la serratura della sua cella, Castiel aveva iniziato a camminare in tondo; la stanza in cui l’avevano chiuso misurava poco più di dieci passi per lato e su una delle panche era addormentato un barbone che russava sonoramente.
All’improvviso, dopo aver ripetuto lo stesso percorso una dozzina di volte, lo stesso panico che s’era impadronito di lui quella notte di novembre lo fece precipitare sul pavimento, accartocciandolo nella stessa identica posizione in cui l’aveva trovato il vecchio contadino. Si sentiva soffocare, chiuso in quella stanzetta angusta, senza finestre, sembrava che – dopo le ali – ora gli avessero strappato anche le gambe; rimase in quello stato di delirio fino al mattino seguente, quando lo fecero uscire per fotografarlo e per chiedergli, per l’ennesima volta, il suo vero cognome.
L’agente aveva dimenticato di ammanettarlo, erano le sei e la stazione di polizia era semideserta: Castiel aveva corso finché i polmoni non furono sul punto di scoppiargli e poi si era nascosto in un cassonetto della spazzatura semivuoto. Aveva aspettato che calasse la sera, era uscito dal suo nascondiglio e aveva continuato a correre, finché non era scivolato su una lattina di birra ed era caduto, sbucciandosi i palmi, di fronte ad un bar con le luci spente, all’angolo della 200.

L’ Impala imboccò rombando l’ingresso del vialetto condominiale.

Ad attenderli trovarono Sam Winchester in pigiama e scarpe da ginnastica, con la pistola che sporgeva in bella vista dall’elastico dei pantaloni.

Dean spense il motore.
“Ce la fai a scendere da solo?”
“Credo di sì”

Alla fine lo portarono quasi di peso su per le scale.

Per qualche minuto nessuno parlò. Dean portò a Castiel un bicchiere d’acqua e due pastiglie di antidolorifici che lui mandò giù come fossero state caramelle e gli si sistemò affianco sul divano, mentre suo fratello alternava lo sguardo tra loro due.

“Cosa è successo?”
Il maggiore si schiarì la voce.

“No” – Castiel gli mise una mano sul ginocchio, gelida come quella di un morto – “Sono io quello che deve dare spiegazioni – si passò la lingua sulle labbra spaccate e il sapore ferroso del sangue gli riempì la bocca – “Vi chiedo soltanto di non interrompermi”

“Samuel, il mio nome è Castiel: fino a qualche mese fa, prima della mia caduta, ero un angelo del Signore” – bevve un altro sorso d’acqua – “Ho salvato io tuo fratello dall’Inferno”

Il cacciatore sussultò.

“Nostro padre, colui che voi chiamate Dio, è scomparso da molto tempo e non ha ancora fatto ritorno. In sua assenza, sono gli Arcangeli a vegliare sul Paradiso e sul vostro mondo”

“Ottimo lavoro direi!” – sbottò Sam con una smorfia.

“Su questo possiamo discuterne dopo” – Castiel gli lanciò un’occhiataccia – “Nel frattempo, approfittando della scomparsa di colui che l’aveva sconfitto, Lucifero ha iniziato a pianificare la sua venuta sulla terra”

“Aspetta, aspetta” – Dean lo interruppe bruscamente – “Quando parli di Lucifero tu intendi… ”

“L’Arcangelo ribelle, Satana, il Diavolo, Belzebù o come preferite chiamarlo. Vi sarei grato se non mi interrompeste più, sono stanco e inizia a girarmi la testa”
Dean alzò le mani, ancora sbigottito da quel cocktail di rivelazioni, e non disse più nulla.

“Vi spiego: dopo la sua ribellione, Lucifero fu scagliato da Dio nelle viscere della terra e lì i suoi poteri furono confinati all’interno di una gabbia protetta da un gran numero di sigilli. Per l’esattezza, occorre che 66 di questi sigilli si rompano per liberare Lucifero dalla sua prigionia. All’inizio, quando ancora confidavamo nel ritorno di nostro Padre, Michael e Raphael, gli unici Arcangeli ancora rimasti in Paradiso, si ersero a difesa degli umani. Ma dopo la rottura del primo sigillo qualcosa è cambiato: Michael ha iniziato a credere che fossero stati proprio gli uomini la causa per cui Dio ci aveva abbandonati, e come lui molti altri nostri fratelli”

Si fermò per prendere un altro po’ d’acqua, Dean andò in cucina a riempirgli di nuovo il bicchiere e tornò con del whisky stravecchio che gli aveva regalato Bobby un po’ di tempo prima. Ne bevve una generosa sorsata direttamente dalla bottiglia e la passò al fratello il quale per poco non se la fece scivolare via dalle mani.

“Nella sua mente ha iniziato a prendere forma l’idea di redimere e di riplasmare l’umanità in modo da renderla nuovamente gradita agli occhi di Dio, e Michael crede che esista soltanto un modo per poterlo fare: scendere sulla terra insieme al resto delle schiere angeliche e dare il via all’Apocalisse”

I due fratelli per poco non si strozzarono col whisky.

“Tutto questo è ridicolo!” – Sam saltò letteralmente dalla poltrona, estrasse la pistola e la rivolse contro Castiel; lo scatto della sicura rimbombò nella stanza come se fosse stato una cannonata.
“Che cosa vuoi da noi?”

“No Sam!”

Un istante dopo la canna della pistola era puntata contro il petto di Dean, che ora si frapponeva fra suo fratello e Castiel.

“Ascoltami”

Sam sgranò gli occhi, sbigottito.

“Andiamo! Lucifero, l’Apocalisse, un… angelo che ti avrebbe tirato fuori dall’Inferno? E da quando tu credi agli angeli? ”

“Ti prego Sammy, lo so che questa è la storia più assurda che tu abbia mai sentito ma… io credo sia vero”
Si morse le labbra.
“Ricordo Castiel, quando è venuto a portarmi via”

Il minore abbassò lentamente l’arma, impallidendo.

“Te lo ricordi?” – sibilò – “Te lo ricordi? Pensavi di dirmelo, prima o poi, che un essere celeste ti ha riportato dal regno dei morti, o volevi conservarlo come regalo di Natale?”

“Mi dispiace.”

“Ti dispiace?”

“Dean?” – Castiel, dopo essere stato sul punto di avere un collasso vedendosi una pistola puntata contro, era sempre più esausto: ormai parlava con un filo di voce.

“C’è un motivo per il quale ti ho riportato in vita” – i loro sguardi s’incrociarono e gli occhi di Castiel si riempirono di lacrime che lui ricacciò stoicamente indietro, stupendosi del suo stesso autocontrollo.

“Gli angeli non sono stati creati per camminare sulla terra; possono sostarvi per brevi periodi, ma i loro poteri sono limitati e il loro aspetto simile a quello d’un fantasma. Esattamente come i demoni hanno bisogno di un tramite ma, a differenza loro, il tramite deve accettare di essere posseduto e soprattutto deve essere in grado di contenerli senza… ” – rimase qualche istante in cerca della parola più adatta, ma non la trovò – “… deflagrare”

Sospirò. Aveva l’impressione che un peso insopportabile gli si fosse appena posato sulle spalle.
“Tu sei il tramite di Michael”

Lo sguardo di Dean si appannò.

Che stupido che era stato.
Aveva creduto davvero che fosse finita, che una volta uscito fuori dalla bara lui e Sam avrebbero potuto avere una vita normale, un lavoro, un cane, che magari si sarebbero anche sposati e avrebbero accompagnato i loro figli alle partite di football la domenica pomeriggio. Che quella volta tutto sarebbe andato per il meglio.
Almeno una volta, una volta sola in quello che rimaneva delle loro vite.

E invece adesso si ritrovavano anche il Paradiso, dopo l’Inferno, alle calcagna.

Suo fratello sprofondò nella poltrona, affranto, passandosi le mani tra i capelli; normalmente Dean avrebbe fatto qualche battuta stupida sulla loro lunghezza o sulla loro morbidezza o sul tipo di shampoo che Sam comprava tutte le settimane visto il quantitativo spropositato che ne usava, ma l’unico rumore che si sentiva era il respiro irregolare di Castiel.






Quel giorno Sam non andò a lavorare, né in biblioteca; Dean telefonò all’officina dicendo di avere un brutto raffreddore e persino la signora McAllister rinunciò alla sua uscita quotidiana in giardino per innaffiare le piante. Tutto sembrava essersi fatto improvvisamente silenzioso.

Castiel si era addormentato nel letto di Dean prima ancora di posare la testa sul cuscino; era qualcosa di così imprevedibile, il sonno, un attimo prima era seduto sulle lenzuola con un dolore lancinante alle costole, un attimo dopo la sua coscienza era precipitata in un pozzo nero dal quale non solo non riusciva a risalire, ma non aveva la minima intenzione di farlo. Era un modo molto comodo per sfuggire alla realtà.

Si erano fatte ormai quasi le undici del mattino e dalla finestra semichiusa s’intravedeva uno spicchio di cielo troppo azzurro per l’inverno di Lawrence.

Dean sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato.

Suo fratello era seduto a gambe incrociate sul tappeto del soggiorno masticando svogliatamente dei cracker, gliene offrì uno ma lui aveva lo stomaco completamente chiuso e non sarebbe riuscito a mandar giù nemmeno un bicchiere d’acqua.

“Sam, io… ” – cominciò.

“Lascia stare. Non avevo il diritto di chiederti di raccontarmi quello che hai passato là sotto. Non l’ho mai avuto e non avrei mai dovuto pretenderlo” – alzò gli occhi verso di lui – “Soltanto… speravo che volessi parlarne… almeno con me.”

Dean si sedette di fronte a lui sul tappeto.
“La prima volta che ho incontrato Castiel è stato quasi un mese fa. Stavo guidando, all’improvviso lui è uscito dall’auto davanti a me e io mi sono ritrovato di nuovo all’Inferno per dieci secondi”

“È stata la notte del temporale vero?” – abbozzò un sorriso stanco – “Quando sei andato a prendere le pizze e sei tornato tre ore dopo con l’espressione di chi ha appena visto un fantasma?”

“Te n’eri accorto?”

“Del fatto che tu avessi l’aria più strana di sempre?” – sogghignò malinconicamente – “Sai, non ho più otto anni.”

“Già” – Dean si abbandonò con la schiena contro il divano – “A volte dimentico che non sei più un mocciosetto”






Il sole arrivò allo zenit e cominciò lentamente a tramontare. Dean parlava con gli occhi bassi e ogni tanto s’interrompeva, e quando s’interrompeva Sam aspettava in silenzio, disegnando figure invisibili sul tappeto con la punta delle dita, senza sapere bene dove guardare.
Raccontargli della ruota non fu nemmeno troppo difficile, là sopra era ancora se stesso dopotutto, il figlio di John Winchester, il più promettente cacciatore degli Stati Uniti che aveva venduto l’anima al diavolo in cambio della vita di suo fratello; era ancora salvabile, era ancora umano.

Dopo aver fatto a pezzi la sua prima anima non lo era stato più.

Non aveva mai pianto di fronte a Sam, neppure dopo la morte di John; di solito si stringeva nelle spalle, guardava da un’altra parte, e se proprio non riusciva a evitarlo si allontanava a grandi falcate per andare a prendere a pugni qualcosa. Ma quel giorno, se era davvero il giorno in cui aveva deciso di essere pienamente sincero, quando le lacrime scesero le lasciò scendere. Silenziose. Timide quasi.

Si versò altre due dita di whisky, non era neanche metà pomeriggio, ma cosa importava? Rimase in silenzio per un po’, mentre la luce che filtrava dalle persiane si faceva via via più radente e più arancione, e uno spiffero d’aria ghiacciata iniziava a insinuarsi nella stanza: l’inverno era proprio una stagione di merda.

Poi arrivò il momento di parlare di Castiel, dell’impronta che gli aveva lasciato sulla spalla e delle sue ali nere, che sembrava che un tempo avesse avuto ma che ora non aveva più: la sua radiografia probabilmente sarebbe finita su tutti i giornali specializzati e prima o poi anche negli archivi dei servizi segreti.
Non aveva detto proprio tutto – non era intenzionato a scendere in certi particolari del suo primo incontro con l’angelo – ma Sam si accorse che la sua voce tremava più di quanto avrebbe dovuto e che ogni tanto il suo sguardo altrimenti semi-vitreo si accendeva come in guizzo di elettricità.

“Perché Sammy?” – gli domandò alla fine – “Perché sempre a noi?”

Lui non seppe rispondere.

Quella notte, per la prima volta dopo mesi, gli incubi concessero a Dean una tregua. La stanchezza lo avvolse in un confortante torpore e lui si abbandonò ad un sonno profondo e privo di sogni, mentre il buio seppelliva ogni ricordo.





Buona sera e buona domenica!
So di aver scritto una roba un po’ pesante a questo giro, perdonatemi. E perdonatemi già anche per i prossimi capitoli, ma vi prometto solennemente che il fluff arriverà (tra qualche capitolo, ma arriverà).
Grazie a chiunque stia seguendo e (forse) apprezzando questa storia.

Alla prossima settimana!

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Capitolo 5
*** Il seme del dubbio ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




Castiel impiegò una settimana per rimettersi in piedi.
A dire la verità, secondo i Winchester, in un paio di giorni avrebbe dovuto essere in grado di muoversi in autonomia, ma i tentativi di farlo arrivare dal letto al divano contando solo sulle proprie gambe erano stati uno più infruttuoso dell’altro e alla fine avevano deciso di lasciar perdere e di aspettare ancora un po’.

Bobby si era presentato alla loro porta neanche di ventiquattr’ore dopo quella che era stata l’unica telefonata che non avrebbe mai voluto ricevere dai suoi ragazzi, e il suo caratteraccio era stato accolto come una vera benedizione dato che Castiel si rifiutava di farsi vedere le ferite e si ostinava a volersi medicare da solo producendo disastri dall’odore di disinfettante.
Sam aveva il cuore troppo tenero per costringerlo con la forza e in quanto a Dean, ormai non riusciva neanche a toccarlo senza finire letteralmente all’Inferno.

“Se vi sento anche solo pensare una qualche stupida battutina sulle crocerossine giuro che vi prendo a calci in culo fino a Kansas City” – li aveva minacciati il cacciatore sventolando la bottiglietta di tintura di iodio a mo’ di bomba a mano.
Mezz’ora e svariate imprecazioni dopo si richiudeva la porta della camera di Dean – di Castiel ormai – alle spalle; qualsiasi resistenza il moro avesse messo in atto non era durata più di cinque minuti.
“Lasciatelo stare se ve lo chiede” – aveva sospirato alle loro domande silenziose – “Non è un bello spettacolo”

Per il resto della serata non proferì parola se non per borbottare qualcosa a proposito dei New York Giants e di quanto avrebbero fatto schifo al prossimo Super Bowl, ma le sue mani non smisero di tremare nemmeno per un attimo.






Il Paradiso, diversamente dall’Inferno, non si originava dallo spazio.
L’Inferno era scaturito dalle mani di un Arcangelo e si muoveva sui binari d’una dimensionalità limitante, legata al concetto di estensione, di tempo, e vincolato alle forme, seppur spesso incomprensibili e paradossali, del reale.
Il Paradiso poteva essere tutto, niente o qualsiasi cosa, poteva persino esistere e non esistere assieme: Dio non aveva mai giocato a dadi* soltanto perché sarebbero stati troppo prevedibili.

“Castiel, mio fedele soldato!”

In quel momento il Paradiso di Michael era un dedalo di corridoi trasparenti e stanze prive di porte.
“Zachariah mi ha riferito il vostro ultimo discorso, ammetto di esserne stato colpito” – le frequenze della sua voce facevano ondeggiare le pareti come fossero lenzuola – “Da uno come te non mi aspettavo una manifestazione tanto palese di un dubbio

Il primo figlio non era poi tanto diverso dai suoi fratelli minori: non aveva quattro facce, non riluceva di luce divina e non portava né spada né armatura. Le tre paia di ali che teneva ripiegate sulle spalle non erano costellate da una moltitudine di occhi** ma erano gigantesche e splendevano d’oro zecchino, e ad ogni movimento aprivano squarci terrificanti sui muri dai quali filtravano immagini minacciose di nebulose lontane.

Castiel aspettò che tutte le crepe sull’Universo si richiudessero prima di replicare.

“Non era mia intenzione esprimerne” – esordì – “Soltanto mi chiedevo…”
“Ti chiedevi?” – l’Arcangelo assottigliò lo sguardo e le sue ali fremettero con un tintinnio cristallino – “Da quando gli angeli hanno iniziato a porsi tutte queste domande?”

“Ne sono consapevole, la mia non è che una comprensione limitata del Grande Disegno, eppure ho sempre creduto che non esista una sola via per giungere ad un punto. Potrebbe esserci un altro modo, forse? Per fermare Lucifero senza coinvolgere gli umani, senza rischiare che venga fatto loro del male”

Una smorfia di disappunto chiazzò una macchia opaca sul volto diafano di Michael.
“Hai parlato giustamente!” – tuonò – “Voi angeli minori avete una comprensione limitata

Lentamente, poi con intensità via via maggiore, le pareti della stanza iniziarono a vibrare e a disfarsi, frantumandosi in una miriade di schegge che esplosero a mezz’aria in minuscoli fuochi d’artificio; la stanza sparì, sostituita da un buio denso nel quale l’unica presenza percepibile era una collera tormentata che li spingeva rapidamente verso il niente, verso un Paradiso che poteva farsi imperturbabile e inanimato come una luna di gesso.

“Castiel…”

D’un tratto ritornò la luce e i due si ritrovarono a galleggiare in un chiarore scintillante che si rifletteva nei tratti improvvisamente raddolciti dell’Arcangelo.
“Sei un guerriero valoroso” – mormorò – “E lo sei stato oltre ogni dire quando ti ho ordinato di recuperare l’anima dell’Uomo Giusto”

“Dean Winchester”

“Cosa?”

“È il suo nome: Dean Winchester”

Michael chiuse gli occhi e la luce che li avvolgeva tremolò appena; le labbra gli si serrarono in un sorriso forzato.

“Quando ti ho ordinato di recuperare l’anima di Dean Winchester, quindi, avevo scelto te per una ragione ben precisa. Ti ho sempre saputo integerrimo, forte, leale, e sono certo che tu lo sia ancora”

I corridoi trasparenti e le stanze bianche ritornarono silenziosamente al loro posto. Michael distese una mano fino a sfiorare il volto di Castiel con la tenerezza di un genitore indulgente.

“Non lasciare che il dolore per la perdita di nostro padre ottenebri il tuo spirito e lo renda facile preda della debolezza” – s’adombrò – “Non commettere gli stessi errori del mio fratello perduto”

Michael lo congedò con un cenno condiscendente e lui si ritrovò a percorrere a ritroso il budello asfittico che l’Arcangelo aveva creato, di questo ne era sicuro, con il preciso intento di farlo sentire a disagio.

Quando fu abbastanza lontano dal suo potere il labirinto bianco svanì, sostituito da un’alba lattiginosa in cui i residui della notte lasciavano ancora intravedere il grigiore soffuso d’una luna marziana, e la pletora di asterismi luminosi che la incoronavano.

Castiel si lasciò scivolare nel silenzio cosmico, mentre il sommesso brusio dei suoi fratelli tornava a farsi sentire all’interno della sua testa.
Se non fosse stato per quel collegamento mentale pressoché perpetuo, le esistenze degli angeli non avrebbero fatto altro che scorrere su binari paralleli e raramente intersecabili, come un fascio di rette tra loro vicinissime ma impossibili da sfiorarsi.
Quella muta comunicazione era ciò che permetteva ai rispettivi Paradisi di incrociarsi e sovrapporsi, e di fondersi l’uno nell’altro in una comunione di pensieri e desideri.
Una sola volontà ed un solo spirito.

Questo, almeno, fino all’improvvisa scomparsa del loro creatore, quando gli angeli si erano scoperti privi di intendimenti ed avevano iniziato ad errare come anime perdute, con lo sguardo vacuo e un senso di abbandono crudelmente annidatoglisi nell’animo: soltanto gli Arcangeli erano riusciti a mantenere una certa fermezza.

Castiel soffiò via una nube di polvere adamantina che gli fluttuava davanti al volto, pensieroso.
L’eloquio mellifluo di Michael non era bastato a fargli dimenticare i piani che le sfere celesti avevano in serbo per l’umanità.

Non aveva mai sentito il bisogno di porsi domande: aveva sempre obbedito agli ordini con solerzia e disciplina, aveva gioito, dopo una vittoria, insieme ai suoi sottoposti e ai suoi superiori, e ugualmente aveva sofferto con loro nei momenti più difficili d’una battaglia.
Non si era mai chiesto se fosse giusto o sbagliato, in verità non si era mai nemmeno chiesto che cosa fosse, il giusto: le schiere angeliche erano un’unica intenzione e in Paradiso non era mai esistito il rovescio della medaglia.

Il giorno terrestre 18 settembre 2008 non fece eccezione.

Le ali pesavano, ammorbate dalle urla e dalla putredine infernali, e il suo aspetto aveva acquisito una solidità corporea che aveva già sperimentato ma che non smetteva mai di stupirlo; i demoni minori gli si avventavano contro senza riuscire a ferirlo, quei pochi che sopravvivevano al suo sguardo si ritiravano schiamazzando attraverso le gallerie fetide del tartaro.

Alastair bestemmiava nella lingua dei dannati e Castiel fu sul punto di disfarsi in cenere quando i suoi occhi incrociarono le pupille candide del torturatore e i suoi artigli insanguinati gli affondarono nel petto, ma neppure tutta la rabbia dell’Inferno sarebbe servita.
L’Uomo Giusto era salvo; la sua anima si sollevava lentamente dall’abisso senza fine sorretta da un paio d’ali d’ossidiana che la depositarono in un corpo già semi marcito, prima di sparire oltre lo spazio-tempo con un fruscio inudibile.

Quando il prescelto si risvegliò con rantolo terrorizzato sotto un metro di terra morbida, Castiel, sebbene nel suo Paradiso iridescente non fosse cambiato nulla, si sentì stranamente turbato.

Non era stato che un piccolo tarlo, all’inizio, un fastidio ronzante appena percettibile che si mischiava ai brandelli di pensieri confusi ma soddisfatti che il resto dei suoi fratelli gli riversava nella mente.
C’era qualcosa che lo preoccupava, che lo teneva in un perenne stato di vigile attenzione, ma che cosa?

Si ritrovò proiettato nei pensieri dell’Uomo Giusto più spesso di quanto avrebbe dovuto; ne seguiva gli intricati disegni, le paure più nascoste, gli aneliti più frequenti.
Si trovò a provare apprensione.
Il giorno in cui questi si trasferì a Lawrence insieme al fratello, ebbe la certezza che il marchio che gli aveva lasciato sulla spalla non fosse una banale ustione provocata, su una pelle così fragile, dal semplice contatto con un essere superiore.

Il prato del cimitero era coperto da uno sottile strato di neve farinosa e quella tomba vuota non era che una lapide in mezzo a tante altre.

In ricordo di Mary Winchester – recitava la pietra grigia.

A Castiel era sempre stata preclusa l’empatia, così come il sarcasmo, l’imbarazzo ed un altra serie di emozioni prettamente umane troppo sottili per poter essere sperimentate dagli angeli.
Eppure, nel brevissimo lasso di tempo che intercorse tra il sorriso malinconico che l’uomo rivolse alla madre e la messa in moto dell’Impala, si rese conto di essere rammaricato – anzi no – sconsolato, per un lutto che non lo riguardava e che, se anche fosse stato, non avrebbe dovuto farlo sentire così.

Era avvenuto, in passato, che alcuni suoi fratelli cadessero in battaglia, ma anche in quel caso il dolore non era apparso che come un’ombra lontana, una tristezza ovattata rapidamente dissoltasi nella consapevolezza per cui gli angeli altro non erano che particelle di una creazione primigenia, tenuti a sottostare alle stesse leggi e alle stesse forze come un organismo unico ma che, di fatto, permanevano in una condizione di perpetua solitudine.
La perdita era sopportabile e a volte persino effimera, non per cinismo, ma perché nessuno di loro era stato plasmato con un’emotività tanto profonda.

Castiel si bevve quel dolore immenso e per la prima volta desiderò soltanto per se stesso: avrebbe voluto trovarsi nel cimitero, planare dolcemente sull’erba bagnata e cancellare ogni cicatrice, ogni ricordo d’orrore che velava le iridi verdi di Dean Winchester, il quale adesso si limitava a fissare la strada fingendo impassibilità.
Avrebbe voluto offrirgli un futuro benedetto.

Quello fu il suo primo errore.






“Se volevi andare a pranzo fuori bastava chiedere”

Dal fondo del corridoio, la voce di Dean lo fece sobbalzare più di quanto avrebbe dovuto.

“L’officina è chiusa per disinfestazione fino a martedì. O credevi davvero che ti avessimo lasciato da solo?”

“Ammetto di averci sperato”

Con una certa riluttanza Castiel staccò la mano dalla maniglia della porta e si girò a guardarlo. Era dalla notte in ospedale che non si ritrovavano faccia a faccia, da soli – di solito c’era sempre Bobby o Sam a ronzargli attorno – senza contare che nei giorni precedenti aveva trascorso la gran parte del tempo a dormire o a trascinarsi per casa cercando di recuperare le forze. E di evitare il suo sguardo.

“Ora sapete come stanno le cose, io vi sarei soltanto di peso”
Le ecchimosi in via di guarigione che gli costellavano la faccia parevano macchie d’acquerello verdazzurre.

“Prima mi convinci a farti fuggire dall’ospedale, arrivi qui, profetizzi l’Apocalisse e ora pretendi di andartene come se non fosse successo nulla…un bel ringraziamento non c’è che dire”
Dean aveva appoggiato la schiena al muro e lo guardava con un sorriso amaro.

“È meglio per tutti voi che io vi stia lontano”

“Tutta la storia del sigillo, del legame tra le anime…Cazzate!”

“No!” – il respiro di Castiel si accartocciò in un singhiozzo – “Non avrei potuto mentirti, non su questo”
Quel legame era stato la sua condanna e la sua espiazione, e tutto ciò che non avrebbe mai avuto il coraggio di volere. Se solo fosse servito a qualcosa, avrebbe accettato in altre mille vite lo stesso destino.

Di fronte al suo sgomento il cacciatore si ammorbidì – “Perché non mi racconti cosa ti è successo?” – gli si avvicinò – “Perché sei finito quaggiù?”

Il giorno della sua caduta, tra tutte le sensazioni nuove che gli si erano schiuse nel petto insieme alla fame ed alla sete – prima ancora di capire come funzionasse un semaforo – Castiel aveva imparato a riconoscere il senso di colpa nella percezione di una mano ghiacciata che gli si stringeva lentamente intorno alla gola.
Non era ancora capace, tuttavia, di gestire la vergogna, la rabbia e tutti gli strascichi di disperazione che la consapevolezza così vivida dei propri errori si portava dietro. Scosse la testa, in silenzio.

“Cosa hai intenzione di fare? Ritornare nella fogna dove ti ho trovato? È questo che vuoi?”

“Non saprei dove altro andare”

Dean affondò la faccia tra le mani, si premette i palmi sugli occhi e per qualche secondo rimase solo con il buio. Nel riaprirli ebbe il timore che Castiel fosse andato via, sparito, svaporato in una nuvola di fumo, ma l’angelo era rimasto lì, con la schiena contro la porta e un’espressione indecifrabile che gli corrugava le sopracciglia.

“Allora resta” – mormorò – “Hai bisogno di noi, e noi abbiamo bisogno di te per capire come affrontare la fine del mondo, o qualsiasi altra tempesta stia per arrivare”

Io ho bisogno di te.

Ma questo non lo disse ad alta voce.



* Variante della celebre espressione di Albert Einstein «Dio non gioca a dadi con l’Universo», in merito al suo scetticismo nei confronti della meccanica quantistica.
**Qui faccio riferimento alle varie rappresentazioni degli Arcangeli, in particolare dell’Arcangelo Michele, nell’iconografia classica e non.



Buonasera e buona domenica!
In questo capitolo è presente il primo di tre flasback incentrati sull’evoluzione di Castiel nel periodo che precede la sua cacciata dal Paradiso.
Qui ho voluto esplorare un po’ la “psicologia angelica” (?), ovvero come effettivamente pensassero e agissero gli angeli, mi sembrava sensato dare almeno un’idea del perché sembrassero così privi di emozioni e di libero arbitrio. Spero di esserci riuscita almeno un poco, in caso contrario perdonatemi, ho cercato di fare del mio meglio.
Termino finalmente questo sproloquio spoilerandovi che, nel prossimo capitolo, entreremo un po’ di più nel vivo della storia e verrà anche introdotto un nuovo personaggio (anzi, uno e mezzo!).
Ringrazio di cuore chiunque abbia letto fin qui e vi invito nuovamente a lasciarmi un vostro parere.

Alla prossima settimana!

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Capitolo 6
*** Ellie ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




La luce di quel sabato mattina portava con sé una promessa di neve.
Il cielo assomigliava ad un’enorme distesa di marmo e persino le automobili strombazzanti nel traffico mattutino parevano essersi magicamente immobilizzate nell’atmosfera irreale in cui la città era immersa.

Sam era a telefono con Glen, chiuso a chiave nella sua camera, e il suo vociare concitato si sentiva fino in cucina; dall’arrivo di Castiel, una decina di giorni prima, i due avevano ormai litigato un’infinità volte.
La chiamata terminò con il rumore di qualcosa che si frantumava contro una parete e Dean sperò con tutte il cuore che non si trattasse del telefono: alla fine dell’ultima discussione il povero apparecchio aveva già fatto un volo spettacolare da una parte all’altra della stanza e chissà per quale miracolo era rimasto intatto.

Cinque minuti dopo la faccia tirata e vagamente paonazza di suo fratello fece capolino dalla porta del soggiorno.
“Ehi”
Dean tirò giù i piedi dal tavolino e cercò di recuperare una posizione decorosa su un divano pieno di briciole e sacchetti vuoti.
“Tutto bene con Glen?”
Sam aggrottò la fronte, piuttosto stupito da una domanda del genere.
“S-sì” – balbettò – “Tutto bene, credo”

Il suo cellulare ricominciò a squillare con una certa impazienza.

“Senti, io penso che dovremmo andarcene”

Dean non riuscì a trattenere una sonora risata.
“Cos’è, sto per diventare zio?” – ghignò portandosi teatralmente le mani al petto.

“Cretino” – lo apostrofò lui, facendosi di colpo serio – “Ne ho già parlato con Bobby e lui è d’accordo con me. Lo so che questo vorrebbe dire ricominciare daccapo, rimettere la trappola del Diavolo nell’Impala e tutta una serie di cose che non avremmo mai più voluto…”

“No, hai ragione Sammy” – lo interruppe– “Castiel sta meglio ed è arrivato il momento di rimboccarsi le maniche. Come abbiamo sempre fatto, giusto?” – si esibì in un sorriso così bugiardo che Sam non fece neanche finta di crederci.

“Conosco una persona” – disse invece – “Probabilmente l’unica che non ci prenderà per matti quando le diremo che gli angeli esistono e che ne abbiamo uno che indossa i tuoi vecchi pigiami”

Dal bagno proveniva il sommesso sciacquio di una doccia che avrebbe dovuto essere sostituita e il cui soffione spesso e volentieri s’inceppava; Castiel non aveva ancora ben capito come utilizzarla senza farla sbuffare e sputacchiare come un vecchio motore.

“Si chiama Ellie. Ci siamo conosciuti quando eri…” – Sam tamburellò con le dita contro lo schienale imbottito – “Quando eri morto, insomma”

“E per quale motivo non dovrebbe sbatterci la porta in faccia, sentiamo”

“Perché è stata lei a parlarmi degli angeli. Ero sincero quando dicevo che le ho provate davvero tutte pur di tirarti fuori da là sotto”

Oh” – le labbra di Dean s’incurvarono in una perfetta ‘o’ a metà tra lo sbigottito e l’inquieto.

“La maggior parte dei cacciatori crede che sia un po’ svitata” – proseguì – “Non che si possa dargli torto, fino alla scorsa settimana gli angeli erano unanimemente considerati una simpatica leggenda metropolitana” – borbottò sconsolato, lanciando appena un’occhiata distratta ai primi fiocchi che si posavano sul davanzale della finestra.

“D’accordo” – suo fratello si alzò e si spazzolò via gli avanzi di pop corn della sera precedente dai pantaloni – “Immagino che debba parlare io con Castiel” – mormorò arrendevole.

Le espressioni che si alternarono sul volto di Sam passarono dal sollievo, alla gratitudine, all’apprensione.

“Pensi che potremo fidarci di lui?”

Il tatuaggio in enochiano che gli decorava il fianco – fatto su esplicito consiglio dell’angelo – all’improvviso non gli sembrava più una garanzia così solida; senza contare il tentativo non riuscito di andarsene alla chetichella nemmeno tre giorni prima.

“Ormai non so davvero più cosa pensare”

In quell’istante Bobby rincasò, bofonchiando contro l’inverno e l’inefficienza degli spargisale; la neve ora scendeva a larghe falde e aveva già ricoperto le strade e gli alberi di melograno in giardino.
Castiel era uscito dal bagno ed era ritornato in camera senza una parola.
Dean si versò una seconda tazza di caffè: nonostante tutto, per quanto si sforzasse, non riusciva a non sperare che in realtà fosse rimasto per lui.

“A proposito, dov’è che abita questa Ellie?”

“A Lancaster, nella contea di Los Angeles”

Il cacciatore alzò gli occhi al cielo.

“Che ironia”






Il primo toc toc non aveva ricevuto alcuna risposta. Il secondo nemmeno, e tutte le chiamate si erano infrante contro l’impassibilità snervante di una porta chiusa.
Al terzo – considerato che quella era ancora camera sua, diamine – girò la maniglia ed entrò.

Castiel era seduto sul letto, l’asciugamano annodato intorno alla vita, il busto nudo e i capelli bagnati. Da dove si trovava, con le persiane abbassate, non ne scorgeva che il profilo scuro, immobile davanti allo specchio.

“Stai bene?” – mosse qualche passo esitante all’interno – “Sto bussando da tre ore qui fuori”

Le sue parole ebbero l’effetto di una scarica elettrica.
Come risvegliatosi da un brutto sogno Castiel si voltò di scatto, sgranò gli occhi – nella penombra ancora più assurdamente blu del solito – e tutto il suo corpo si irrigidì. Scese con cautela dal letto, neanche fosse un animale braccato, e iniziò ad indietreggiare lentamente verso la parete.

Poi, nel più improbabile sforzo di dissimulare la sua reazione allarmata esordì quasi cinguettando.

“Dean! Non ti avevo riconosciuto”

In un’altra occasione si sarebbe complimentato con se stesso per essere stato capace di sfoderare una tale faccia di bronzo: fingere un’emozione che non provava era un’abilità che fino ad allora non padroneggiava affatto.

Sfortunatamente per lui, l’angelo che l’avrebbe data a bere a Dean Winchester con tanta facilità non era mai stato creato.

“So che cosa ti hanno fatto” – il cacciatore si era bloccato con la mano sospesa sopra l’interruttore della luce – “All’ospedale il medico mi ha mostrato le tue radiografie: un gesto non propriamente deontologico, te lo concedo”

Castiel si appiattì contro il muro fino a percepire quel che rimaneva delle sue ali premere dolorosamente contro il cartongesso imbiancato.

“Questo non ti riguarda”

Tu mi riguardi, Castiel!”
Non aveva mai pronunciato una frase dal significato tanto ambiguo. Il braccio gli ricadde lungo il corpo, inerte.

“E se pensi che non parlarne manderà via il dolore, beh ti do un’incredibile notizia: non funziona. Personalmente verificato” – ammise con un sospiro.

Castiel lo gettava in uno stato di ineguagliabile spossatezza: la sua sola presenza bastava ad instaurare tra loro una tensione insopportabile che gli spazzava via ogni altro pensiero dalla testa. Avrebbe solo voluto toccarlo. Asciugare con la punta delle dita le goccioline d’acqua che gli cadevano sulle spalle, contare le ciglia che ammantavano quelle iridi inumane, sentire se le sue labbra erano davvero fredde come la mano che una volta gli aveva posato sul ginocchio.

Le allucinazioni non erano sparite ma s’erano fatte via via più rare e controllabili. Quando la vista gli si offuscava si aggrappava al primo sostegno solido che trovava e aspettava. Non si trattava più di immagini bensì di sensazioni vivide – veri e propri pugni nello stomaco – che si riallacciavano tutte, in un modo o nell’altro, all’angelo mezzo nudo che in quel momento si trovava davanti.

E la cosa peggiore era che lui non sembrava accorgersene: se ne stava lì, rattrappito contro la parete, a fissarlo senza vederlo con uno sguardo astratto, distante anni luce.

“Non posso fidarmi Castiel. Non se continui a nasconderti da me” – si morse la lingua nell’istante esatto in cui l’ultima sillaba lasciava la sua bocca.
Odiava il modo in cui la paura riusciva a fargli pronunciare frasi tanto crudeli.

Il moro non disse niente. Si mordicchiava l’interno della guancia come un bambino nervoso.
Poi, prima che lui potesse fare retromarcia sulle sue parole, bisbigliò, quel tanto che bastava per farsi sentire.
“Immagino che tu abbia ragione”

Di fronte ad una così docile ammissione di colpa Dean non seppe come rispondere.
Con Sam era sempre stata una lotta continua a chi avrebbe avuto ragione: un’arrendevolezza di quel genere lo spiazzava.
Castiel – in generale – lo spiazzava, e per quanto avrebbe voluto prenderlo e scuoterlo fino a fargli sputare fuori quel grumo di inconfessabile che pareva divorargli l’anima, non avrebbe mai voluto diventare lui stesso la causa di quel dolore. Non avrebbe mai potuto ferirlo.

Per cui fece ciò che gli riusciva meglio in simili frangenti: glissò.

“Abbiamo deciso di lasciare Lawrence” – balbettò alla penombra – “Sam conosce una persona che potrebbe aiutarci ed ecco, insomma…” – le punte delle sue scarpe non erano mai state così interessanti – “C’è spazio nell’Impala anche per te, se vuoi venire”

Nella semioscurità Castiel sorrise – probabilmente per la prima volta da quando si era impossessato della sua stanza e dei suoi vestiti – e Dean si sentì avvolgere da un’ondata di sollievo quando gli fu chiaro che la sua non era stata che una domanda retorica.




Il viaggio fino a Lancaster si tradusse in ventitre ore di silenzio imbarazzato, incrinato soltanto dalle note elettriche di una cassetta dei Led Zeppelin che Dean aveva sparato a tutto volume – ignorando bellamente gli sbuffi contrariati del passeggero alla sua destra – mentre, seduto a gambe incrociate sul sedile posteriore, Castiel teneva il naso appiccicato al vetro del finestrino come se non avesse mai visto un’autostrada.
Non dormirono che qualche ora, raggomitolati come meglio potevano sui sedili dell’Impala, e il giorno successivo fecero una sola sosta alla vecchia stazione di servizio di un’anonima Green River nello Utah. Bobby li aveva lasciati allo svincolo per Denver ed era ritornato al suo adorato deposito di rottami, non senza prima estorcergli la promessa di una chiamata in caso avessero avuto novità.

Avevano ordinato il pranzo quando Sam ricevette l’ennesima telefonata.
Quindici minuti dopo – mentre Dean ciarlava a bocca piena di quanto la dieta di quel gigante cocciuto di suo fratello fosse carente di proteine – tornò a sedersi al tavolo e non ci fu neanche bisogno di chiedergli l’esito della conversazione.
Il telefono e Glen rimasero muti per tutto il resto del viaggio.

Lancaster era l’ottava città della contea di Los Angeles per grandezza e popolazione, ma se si escludevano la Chiesetta dei Due Pini* e qualche sporadica manifestazione cinematografica a tributo di Quentin Tarantino non rimaneva che un banalissimo cittadina a un centinaio di miglia dalla costa.

Ellie Golden viveva in una bifamiliare ai margini del centro abitato, vicino ad un supermercato e ad una farmacia che chiudeva la domenica sera e il lunedì.
Mentre attraversavano il quartiere dei negozi l’attenzione di Dean fu catturata da un’insegna bianca e azzurra, sopra una porta a vetri velata da una tendina tutta pizzi e merletti. L’insegna riportava la scritta “Le strade degli angeli”, in una calligrafia talmente elaborata da risultare quasi illeggibile.

Allungò il collo verso lo specchietto retrovisore, preoccupato per una possibile reazione da parte di Castiel, ma lui non sembrava aver notato quella rivendita new age.
Da quando erano entrati in città non faceva altro che sospirare e tamburellare nervosamente le dita sul sedile e nessuno avrebbe potuto dargli torto: il messaggio che suo fratello aveva lasciato qualche ora prima ad una segreteria monocorde non preannunciava certo una serata tranquilla.






“Sam! Sei passato a trovarmi finalmente!”

Ellie, per essere una ragazza, era una buona spanna più alta del normale.
Portava i capelli raccolti in una grossa treccia che le si arrotolava intorno alla testa come una serpe nera e – Dean non poté fare a meno di notarlo con un certo raccapriccio – le mancava l’ultima falange dell’anulare della mano sinistra.

“Chi ha provato a spararmi non aveva una buona mira”

Lei prevenne ogni domanda rivolgendogli uno sguardo sorprendentemente gentile.
In una maniera che aveva dell’incredibile, tutto ciò che nel suo aspetto appariva intimidatorio – dall’altezza inusuale alle iridi grigiastre – veniva compensato da un sorriso dolcissimo e limpido che pareva illuminarle costantemente il volto.

“Venite pure” – li invitò a entrare tenendogli la porta – “C’è un po’ di confusione, attenti a dove mettete i piedi”

Il pavimento era un cimitero di fogli scarabocchiati e libri pieni di orecchie. Ellie liberò una poltrona da un paio di occhiali mezzi rotti e provò con scarsi risultati a ripulire il tavolino del soggiorno da una macchia di tempera azzurra che spiccava sul legno chiaro come un fiordaliso calpestato.

“Così tu saresti il famoso Dean Winchester. Ti facevo più alto” – commentò una volta terminate le presentazioni. Sam soffocò una risata nel palmo della mano.

“Io direi piuttosto che…”

Dean non finì mai la frase, poiché proprio in quell’istante un caterpillar in miniatura, con tutta la potenza fornitagli dai suoi novantasei centimetri e mezzo, andò a schiantarsi contro le sue ginocchia assieme ad un improbabile set di tazzine da tè che gli si rovesciarono addosso in una cacofonia di porcellana infranta.

“Olivia! Quante volte ti ho detto di fare la brava quando ci sono ospiti?”
Olivia, il caterpillar in questione, era una treenne magrolina con un’impressionante quantità di capelli nerissimi e folti a malapena trattenuti da un cerchietto azzurro.
Un po’ frastornata, ancora col sedere per terra, alzò gli occhioni scuri prima verso la madre, poi verso Dean che la guardava un po’ stranito – suo fratello non aveva mai parlato di una bambina.
Si rialzò, si mise ben dritta, chiuse a pugno le manine sui fianchi e si esibì nella linguaccia più indisponente che riuscì a fare.

Infine, prima che Ellie riuscisse ad afferrarla, sgambettò lesta a nascondersi dietro il divano.

“Abbiate pazienza. Fa diventare matte persino le maestre dell’asilo” – sospirò lei raccogliendo i cocci – “Con te faccio i conti dopo signorina!” – la avvertì lanciandole un’occhiata di rimprovero.
Poi tornò a rivolgersi a Dean.

“Avrei voluto davvero fare qualcosa per aiutarti, tuo fratello mi è testimone” – disse – “Ma a quanto pare hai trovato lo stesso il modo di uscire dal buco…e se siete piombati qui dopo ventiquattr’ore filate di autostrada…” – arricciò appena il naso – “…Senza nemmeno farvi una doccia, ne deduco che sia proprio questo il motivo”

Ora Dean iniziava a capire perché Sam riponesse così tanta fiducia nell’intelligenza di quella ragazza.

“Non ho ancora capito però cosa c’entri… Castiel, giusto?”

Socchiuse gli occhi; Olivia gattonò fino alla sua gamba destra e le si arrampicò sulle ginocchia come a volersi difendere dallo sguardo indagatore che ora la madre puntava su di loro.

“Sono stato io a tirarlo fuori” – fu la risposta stranamente decisa di Castiel – “Prima di diventare come mi vedi adesso, ero un angelo del Signore. Esattamente come quelli di cui stai provando a leggerne le scritture”
Accennò alla moltitudine di appunti sparsi in giro; il libro che languiva vicino ai suoi piedi titolava ‘Profeti ed Arcangeli’ e aveva l’aria di essere stato sfogliato al limite della polverizzazione.

“Hai sempre avuto ragione tu”

Sam suggellò quella dichiarazione facendo crollare una pila di fogli che si manteneva in equilibrio precario sul bracciolo della poltrona.

La ragazza non si scompose ma a nessuno sfuggì il movimento fluido con il quale si portò la mano sana dietro la schiena, dove il novanta per cento dei cacciatori portava la (prima) pistola.
Con l’altro braccio andò a stringersi più saldamente la figlia contro il petto.

“Provamelo”

Castiel si contrasse contro lo schienale del divano e calpestò per sbaglio la copia di ‘Profeti ed Arcangeli’ abbandonata sul pavimento.

“Posso leggere l’enochiano” – rifletté con lo sguardo basso – “È l’unica capacità che mi è rimasta”

“Ho imparato anch’io. E nulla mi assicura che non inventerai le parti che finora sono intraducibili”

Nessuna spiegazione, giro di parole o abile diplomazia fece spostare le dita di Ellie dal calcio della pistola: Castiel non possedeva più alcun attributo che potesse effettivamente provare la sua natura angelica e a lei non interessava che Dean ricordasse i suoi occhi, che avesse messo le mani su una radiografia insolita o che avesse una cicatrice a cinque dita sulla spalla che bruciava come il fuoco dell’Inferno.

Lei pretendeva dei fatti, e li pretendeva subito.

“Immagino che conveniate con me sul fatto che un’ustione, per quanto bizzarra sia, non rappresenta una prova attendibile” – aveva obiettato nell’istante in cui il cacciatore si era sfilato la camicia, sperando con tutto il cuore che le allucinazioni non decidessero di rifarsi vive proprio in quel momento.

Il sorriso le era sparito dalle labbra; privati di ogni dolcezza, i tratti del suo viso erano diventati spigolosi e ostili come quelli di un cobra.

“Non puoi ripescare qualche inquietante aneddoto della sua infanzia come hai fatto con me?” – sbuffò Dean alla fine; per la frustrazione avrebbe quasi voluto mettersi ad urlare.

“Non avevo motivo per introdurmi nei pensieri di questa ragazza” – si risentì il moro – “Nessuno me l’ha mai ordinato”

L’ultima fiammella di speranza che ancora brillava negli occhi di Sam tremolò un po’ e si spense del tutto. Ellie si alzò – Olivia aveva posato la testolina bruna nell’incavo della sua spalla e non si muoveva, come se avesse realizzato anche lei la gravità della situazione.

“Mi dispiace ragazzi, ma devo chiedervi di andarvene”

“Ellie, perfavore…”

“No, Sam. Non sono una ragazzina sbandata. Ho delle responsabilità verso mia figlia, per prima cosa” – sentendosi chiamata in causa, Olivia le strinse un po’ di più le braccia al collo.

“Castiel non può dimostrare di essere ciò che dice e per quanto ne so voi potreste anche essere tre psicopatici peggiori di qualsiasi mostro io abbia cacciato fino ad oggi. Mi sono fidata abbastanza da permettervi di entrare in casa mia. Non abbastanza da credere alle vostre storie senza uno straccio di prova”

Scavalcò un mucchio di quaderni sbrindellati e si avviò a grandi falcate verso la porta.

Nessuno si mosse.

“Andiamo, pensi davvero che saremmo venuti fin qui a raccontarti cazzate?”
Dean si ritrovò la canna di una calibro 45 puntata in mezzo agli occhi prima ancora di finire la frase; sollevò i palmi, lanciando un’occhiata preoccupata al fratello.

“Ve lo sto chiedendo con le buone, non fatemi passare alle cattive. Lo dico prima di tutto a te Sam”

Nello sguardo nocciola del minore dei Winchester si era dipinta un’espressione affranta.

“Dacci almeno una possibilità…” – mormorò.

L’unica risposta che ottenne fu lo scatto secco e autoritario della sicura.

“Aspetta”

Nessuno aveva fatto caso a Castiel.
Era quasi buffo, vederlo armeggiare con i bottoni della camicia.

Ellie inclinò la testa da un lato, confusa, rinsaldando la presa sull’arma e facendo sobbalzare il cacciatore che teneva ancora sotto tiro.

“Loro erano…ecco…erano…” – Castiel non riusciva nemmeno a dirlo.
Probabilmente Dean aveva ragione, non parlarne non avrebbe portato via il dolore. Eppure, a mostrarlo, sembrava si fosse quadruplicato.

Voltò le spalle alla ragazza e chiuse gli occhi.



*cappella nella quale sono state girate molte scene dei film di Quentin Tarantino, Kill Bill e Kill Bill II.





Saaaalve.
Come sempre, grazie a chiunque abbia letto fin qui.
Purtroppo devo comunicarvi che la prossima settimana non riuscirò ad aggiornare, mi dispiace lasciarvi con questo cliffhanger (anche se secondo me le intenzioni di Castiel sono facilmente intuibili) ma giuro solennemente che non è stato premeditato.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e sono curiosa di sapere le vostre opinioni in merito ai due nuovi personaggi.

Ci vediamo tra due settimane!

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Capitolo 7
*** Cicatrici ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




Non si poteva certo dire che Dean fosse debole di stomaco.
L’avere strappato arti, lingue e occhi per dieci anni l’aveva reso insensibile a qualsiasi trovata da film splatter che il destino avesse intenzione di rifilargli da lì in poi.
Eppure, il pensiero che qualcuno si fosse accanito in quel modo sulla schiena di Castiel gli dava la nausea. Le radiografie non erano che immagini traslucide su uno sfondo nero; adesso davanti ai suoi occhi c’erano carne, e ossa, e muscoli palpitanti, e le cicatrici di un capolavoro osceno che non si discostava troppo dai lavori di Alastair al piano di sotto, peccato soltanto che Castiel fosse arrivato dal piano di sopra.

Ellie aveva abbassato la pistola ma il suo cervello non sembrava in grado di elaborare altre richieste: il braccio con il quale stringeva la figlia si contraeva a intermittenza.

Sam fu il primo a prendere effettivamente coscienza di quello che stavano guardando.

“Olivia, piccola, noi andiamo di là ok? La mamma viene a prenderti tra poco”

Le parole del cacciatore parvero ridestare Ellie da quella specie di trance inorridita in cui era caduta; lasciò che la bambina gli scivolasse docilmente tra le braccia e mentre Sam saliva le scale che portavano al piano superiore lei tornò a sedersi sulla poltrona, guardinga.

“Va bene Castiel adesso rivestiti, per favore

La voce le tremava appena.

“Ero sicura che aveste dei tramiti” –mormorò – “Ma credo che nessun essere umano potrebbe sopportare quella… quella cosa”

Castiel si rimise la camicia riuscendo nella mirabile impresa di non far combaciare una sola asola col suo bottone corrispondente.

“Possiamo mostrarci anche senza un tramite. Qui sulla Terra il nostro aspetto non è poi così diverso dal vostro e anch’io, prima, ero molto simile a come mi vedi ora”
Si chinò a raccogliere un paio di fogli scarabocchiati sul pavimento, come se tutta quella faccenda improvvisamente avesse smesso di riguardarlo.

“Chi è stato?”

Mezzo metro più in là, Dean era una statua di sale. Il marchio aveva ricominciato a bruciare e lui stava cercando in ogni modo di trattenersi dal tirare un calcio al tavolino macchiato di tempera e spedirlo a schiantarsi contro la parete di fronte.

“Michael” – bastava il suo nome a corrodergli la lingua.

“Ho bisogno di prendere un po’ d’aria” – Dean si alzò dal divano in un turbinio di cartacce e uscì imprecando a mezza bocca calpestando, nell’ordine, un taccuino, una penna mangiucchiata e un vecchio libro privo di copertina.

Nella stanza rimasero soltanto Ellie e Castiel, che si strofinava le mani sulle cosce nel tentativo di riscaldarle.Il guazzabuglio di emozioni che gli si agitava dentro sembrava essersi momentaneamente sopito: ora sentiva soltanto un freddo micidiale.

“Mi sono sempre chiesta se gli angeli fossero stronzi come i loro fratellini infernali” – commentò la ragazza, mordicchiandosi un’unghia – “D’altronde, se i demoni sono stati davvero creati da un Arcangelo, avrei dovuto aspettarmelo”

Raccolse da terra la copia di ‘Profeti ed Arcangeli’, ne sfogliò per qualche istante le pagine consunte e infine lo richiuse con uno scatto secco, sollevando una nuvoletta di polvere.

“D’accordo” – sospirò – “Vi darò il mio aiuto. Ma se provate a fregarmi sappiate che ci sono tre pallottole già pronte per voi” – picchiettò con l’indice sul tamburo della calibro 45 posata lì accanto.

Castiel – che fino a quel momento aveva tenuto lo sguardo puntato sui propri piedi – lo sollevò incredulo verso di lei, mentre una sensazione stranamente nota si accendeva proprio sopra il suo sterno e cominciava ad irradiare calore al resto del corpo.

“Non lo faremo”

Gratitudine.
Doveva aver già provato qualcosa del genere quando era un angelo, ma mai con quella intensità.

“Sarà meglio per voi” – Ellie sistemò una forcina che le spuntava dalla treccia e tornò a sorridere – “Vado a recuperare Olivia, prima che Sam dia di matto. Per stanotte potete rimanere a dormire qui”

Si avviò verso le scale; Castiel aveva adocchiato una traduzione – piuttosto grossolana e piena di imprecisioni a dire il vero – di un testo in enochiano risalente ad un paio di millenni prima, e si era appena messo alla ricerca di una penna nel marasma generale che regnava in quel soggiorno, quando si sentì chiamare di nuovo.

Ellie si era fermata sul quarto gradino e da lassù, con i capelli intrecciati e gli occhi spenti, aveva l’aspetto malinconico d’una regina decaduta.

“Mi dispiace, per le tue ali”






Avevano da poco finito di cenare.
Dean sistemava nella credenza i piatti asciutti che suo fratello gli passava, cercando disperatamente di non inciampare in Olivia che saltellava da una parte all’altra della cucina neanche le avessero attaccato delle molle sotto alle scarpine.

“Ma non si ferma mai?!”
Scansò con un balzo il peluche misteriosamente comparso tra i suoi piedi.

Ellie ridacchiò – “Tranquillo, dieci minuti e crolla. Stasera è particolarmente eccitata perché ci siete voi”

“SA-A-M!”

Dal canto suo, Olivia non sembrava affatto intenzionata a crollare.
Con uno scatto da velocista saettò dall’altra parte della stanza e si aggrappò alle ginocchia di Sam tirandogli i pantaloni; lui la prese in braccio e lei gli affondò le dita nei capelli tirandoglieli un po’, quasi a volersi sincerare che fossero davvero i suoi.

“Piano signorina!” – la rimproverò la madre – “Così gli fai male”

“Ma no Ellie, non mi ha fatto nulla” – la bambina gli scoccò un bacio umido sulla guancia ed Ellie scosse la testa, sorridendo – “È proprio una piccola ruffiana questa qui” – le allungò una carezza tra le scapole e tornò a riordinare la cucina.
Dean finì di asciugare le stoviglie sghignazzando.
“Guarda il lato positivo fratellino. Almeno qualcuno i tuoi capelli li apprezza!”

Castiel – le maniche arrotolate fino al gomito e le braccia immerse nella montagna di pentole insaponate che ingombravano ancora il lavandino – produsse una risata inaspettata che spedì schizzi d’acqua su tutto il pavimento.

Era la prima volta che rideva.
La prima volta da sempre, da quando Dio aveva plasmato il suo essere e vi aveva soffiato dentro la vita, ma questo nessuno dei presenti avrebbe potuto saperlo.
Gli piaceva quel suono: come uno scoppiettio di brace, una vibrazione deliziosamente bassa che straripava dalla sua gola. Si rese conto che Dean si era fermato a guardarlo.

Gli angeli non sono dei gran barzellettieri Dean. Dovresti averlo intuito già da un po’.

“Chi verrebbe a darmi una mano a sistemare il divano letto?” – la ragazza s’intromise tra i loro sguardi, apparentemente senza accorgersi del legame elettrico che li aveva appena incatenati.
“Arrivo”
Dean la seguì in soggiorno trascinando i piedi, mentre Castiel rituffava le mani nella schiuma.






“Allora…buonanotte” – una massa morbida e ondeggiante di capelli neri svolazzò e sparì sbadigliando oltre il pianerottolo del secondo piano.
Dean si stropicciò gli occhi senza troppa convinzione. Non si era mai sentito più sveglio di così.

Su un unico punto Ellie era stata intransigente: nessun essere soprannaturale, angelo caduto o redivivo dall’Inferno avrebbe dormito nella stessa camera di sua figlia. Il fatto che Olivia si fosse addormentata avvinghiata al braccio di Sam non era stato altro che un fortuito corollario.
Così suo fratello era finito a fare il babysitter alla piccola terrorista e lui e Castiel si erano ritrovati a dover condividere lo striminzito divano letto che ora campeggiava minaccioso al centro del soggiorno.

Sgniiiiiiiiiic

E, come se non bastasse, le molle del materasso scricchiolavano e cigolavano al minimo movimento.

Appollaiato sul bordo del letto Castiel si agitava dandogli le spalle, nella speranza vana che il pigiama appallottolato alla sua destra si materializzasse direttamente sul suo corpo senza obbligarlo a spogliarsi di nuovo.

“Ormai le abbiamo viste tutti le tue cicatrici. Non serve a niente agitarsi così”

Lo sguardo che il moro gli rivolse gli fece venir voglia di sprofondare.

“Scusa. Mi sto comportando da stronzo” – si girò a fissare il muro finché un fruscio di stoffa non lo informò che l’altro si era infilato sotto le lenzuola – “Immagino che non sia stato facile per te oggi, e non ti ho nemmeno ringraziato per aver evitato che Ellie giocasse al tiro al bersaglio con la mia testa”

Si erano distesi uno accanto all’altro con gli occhi rivolti al soffitto, alla distanza di sicurezza massima che permetteva quel letto decisamente troppo piccolo.

“Non ti ho mai spiegato come funziona la nostra grazia”

Dean scosse la testa – “Direi di no”

“Immagina un flusso infinito di potere che scorre dentro il tuo corpo e lo protegge da qualunque cosa possa danneggiarlo. Quasi nulla riesce a scalfire un angelo, né fisicamente né emotivamente. Tutte le sensazioni che voi uomini provate ci arrivano attenuate anzi, spesso non ci arrivano affatto: è un po’ come vivere sotto una campana di vetro”

“Non mi pare un grande affare”

Castiel sbuffò.
“Inoltre, la grazia è talmente potente da essere in grado di fuoriuscire all’esterno, così da permetterci di guarire con il tocco delle dita o di uccidere semplicemente con lo sguardo. Ed è un collegamento diretto con Dio, per questo da quando lui è sparito gli angeli si sentono così diversi

Ruotò il collo fino a voltare la faccia dalla parte opposta alla sua e Dean si ritrovò a osservare una nuca bianca e liscia, e avrebbe voluto passarci sopra le dita per sapere se era davvero morbida come sembrava.

“Non devi ringraziarmi di niente”– Castiel parlava così a bassa voce che dovette tendere l’orecchio per sentirlo –“È anche a causa mia se siete in questa situazione e come hai detto tu non avrei mai avuto la fiducia di nessuno continuando a nascondermi, men che meno di Ellie. È solo che…” – si fermò a riprendere fiato – “È umiliante. Tutto questo, quello che sono diventato: due mesi fa potevo sbriciolare una montagna sollevando una mano e adesso il massimo a cui posso aspirare è fare pena” – sibilò stringendo i denti.

“Io non penso affatto che tu faccia pena”

“Ah no Dean? Mi hai raccattato dalla strada come un gatto randagio, perché avresti dovuto farlo altrimenti?”

Perché l’idea di starti lontano mi ammazza, specie di idiota, e te ne accorgeresti se ti togliessi quelle fette di prosciutto che hai davanti agli occhi invece di startene lì a compatirti!

“Questo discorso non ha alcun senso!” – s’inalberò il cacciatore – “Siamo tutti umani quaggiù e abbiamo imparato ad affrontare i nostri problemi anche senza superpoteri angelici o qualsiasi altro magico gadget di cui Dio vi abbia fornito. Diamine, io e Sammy siamo nella top ten delle persone più incasinate di questo pianeta, ma questo non ci ha impedito di fare il culo ad ogni schifezza soprannaturale incrociata sulla nostra strada”

Nella concitazione del momento si era sollevato sui gomiti, arrivando a sfiorare il fianco magro dell’angelo. Si ritrasse di scatto serrando gli occhi – pronto a fronteggiare il fiume di ricordi che l’Inferno avrebbe riversato di lì a poco nella sua mente – senonché quella volta non ci furono allucinazioni, non ci fu niente.
Soltanto la sensazione della pelle calda di Castiel contro la sua. Sbatté le palpebre, perplesso.

“Quello che voglio dire” – riprese, rilassandosi contro il cuscino con inaspettato sollievo – “È che non si arriva da nessuna parte con l’autocommiserazione. Prendi mio padre, ad esempio, che in quanto a difetti – credimi – ne aveva certamente più di te e me messi assieme”

Il ricordo di John Winchester gli dipinse sul viso una smorfia dolceamara.

“Se c’è una cosa che mi ha insegnato è che non si deve mai mollare nella vita. Saremo anche fragili, imperfetti e pieni di debolezze ma – ehi – siamo qui e siamo vivi, e finché siamo vivi c’è sempre una possibilità. E poi ci sono un mucchio di cose fantastiche che si possono fare, da umani”

Castiel borbottò qualcosa che assomigliava ad un lamento piuttosto scettico, ma Dean era ben deciso a non dargliela vinta. Non gli avrebbe permesso di continuare a crogiolarsi nel disprezzo per se stesso un minuto di più.

“Beh, tanto per cominciare sono sicuro che in Paradiso non abbiano la torta di mele”
Si sentì piuttosto stupido: gli angeli non conoscevano la tenerezza, o l’amore, e lui si preoccupava della torta di mele. Tuttavia – e in questo aveva decisamente preso da John – non era mai stato in grado di discutere di argomenti simili nemmeno con suo fratello, figuriamoci con Castiel.

Per cui continuò a ciarlare delle torte, della pizza, di quanto potesse essere meravigliosa una birra ghiacciata in una notte stellata d’agosto o una pacifica giornata di pesca, o una strada deserta sulla quale bruciare ogni limite di velocità imposto dal governo federale.

“D’accordo, d’accordo, mi arrendo” – Castiel tornò a girarsi dalla sua parte, le labbra increspate da un leggero sorriso – “Prometto che ci proverò, almeno, a sperimentare queste meraviglie umane, come dici tu”

“Oh vedrai se non mi darai ragione!” – gongolò il cacciatore – “Sappi che quando accadrà nulla mi tratterrà dallo sfoderare il mio irritante repertorio di te l’avevo detto

Infilò la mano sotto il cuscino, spostando la testa di lato. Puntati su di lui senza il minimo pudore, scintillanti come un riflesso di luna sull’acqua, gli occhi di Castiel lo fecero quasi arrossire. Per fortuna erano praticamente al buio.

“Puoi, puoi evitare di fissarmi così?” – balbettò.

Potrei non rispondere delle mie azioni.

“Come vuoi” – il moro distolse lo sguardo e rispose, con un’innocenza disarmante – “Hai dei begli occhi. Non lo avevo mai notato, prima”
Adesso Dean era abbastanza sicuro di essere diventato rosso come un papavero.

“Beh, buonanotte allora” – la voce gli uscì più stridula di quanto si aspettasse.

“Buonanotte Dean”




Bentrovati e buona domenica!
Spero di non aver deluso le vostre aspettative e di non avervi annoiato troppo. Mentre scrivo mi rendo conto che la trama sta andando avanti un po’ a rilento, non so se è soltanto una mia impressione o se effettivamente è vero. Spero comunque che questa mia piccola storiella continui a piacervi.
Grazie a chiunque abbia recensito/preferito/ricordato/seguito/letto fin qui.

Alla prossima settimana!

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Capitolo 8
*** Una strana specie di routine ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




Quella che Ellie aveva descritto come piccola biblioteca personale si era rivelata uno stanzone enorme stipato da cima a fondo di libri, compendi, opuscoli e trascrizioni, tutti quanti legati dallo stesso filo conduttore: gli angeli.
Dean pensò che una raccolta così impressionante di volumi avrebbe fatto invidia persino a quella di Bobby.

“Dove hai trovato tutta questo materiale?” – le domandò Sam, sfogliando con deferenza un vecchio tomo spesso quanto un mattone.

“Trovarlo è la parte facile” – Ellie era seduta alla scrivania che occupava il centro della stanza. A differenza del soggiorno, nella biblioteca vigeva un ordine che aveva del maniacale: i libri che occupavano le varie mensole erano stati sistemati al millimetro.
“La parte difficile è capirci qualcosa, purtroppo, e nella maggior parte dei casi quello che si ottiene sono informazioni carenti o peggio, del tutto sbagliate”

Appuntò qualcosa su un quaderno verde simile ad un registro e lo porse al minore.

“Questo è il catalogo aggiornato di ciò che troverete qui dentro. Da questo lato” – indicò una libreria a vetri – “Ci sono i testi che ho tradotto”

Dean le rivolse uno sguardo sbigottito – “Vorresti dire che tutto il resto è ancora da tradurre?” – a giudicare dalla quantità di roba stipata sugli scaffali, non sarebbe bastata una vita intera.

“Beh cosa credi, l’enochiano non te lo insegnano mica a scuola!” – si stizzì lei, alzandosi di scatto dalla scrivania.
Quando si rese conto di avergli dato una rispostaccia arrossì.
“Scusami non intendevo prendermela con te. Ma stanotte non ho chiuso occhio, devo ancora portare Olivia all’asilo e questa storia dell’Apocalisse è così assurda” – sospirò.
“Ad ogni modo, la maggior parte di quello che vedi” – riprese, cambiando discorso – “È scritto in inglese o francese, chiaro e comprensibile. Non ho ancora letto tutto, ma sul catalogo che vi ho dato ci sono tutte le informazioni che vi servono”

Poi la ragazza si spostò verso Castiel, appoggiato allo stipite della porta.
“Cosa ne pensi?” – gli domandò.

Il moro reggeva tra le mani l’ultima versione della traduzione alla quale lei stava lavorando ormai da un paio di mesi. Le sue labbra si muovevano mentre scorreva le pagine, come se stesse ripetendo tra sé e sé le parole del testo; ogni tanto scuoteva la testa e scarabocchiava una correzione a margine.

“Non è male sai, ma ci sono degli errori piuttosto grossi qui e qui” –alzò gli occhi dal foglio per mostrarle i passaggi incriminati – “E poi, non so, c’è qualcosa di strano nelle tue trasposizioni. Insomma, si tratta pur sempre della parola di Dio, come fai ad utilizzare un linguaggio così semplicistico? Rischi di stravolgerne tutto il senso”

Ellie aprì la bocca ma non disse nulla.

“Scusami” – Castiel si sentì improvvisamente in colpa – “Mi avevi chiesto un parere, ho cercato soltanto di essere sincero, non volevo ferirti”

“Oh non fa nulla” – lei fece finta di niente, ma la delusione le si leggeva chiaramente in faccia.

“Posso insegnarti se vuoi. Sei brava, comunque, la lingua degli angeli non è certo facile da interpretare”

“Sarebbe magnifico!”

“Dì un po’, tutta questa competenza da dove l’hai tirata fuori?” – Dean aveva assistito al loro scambio di battute con sincera sorpresa. Si era appena reso conto che Castiel – nonostante quanto avesse passato – possedeva ancora una conoscenza infinitamente più vasta di qualsiasi essere umano, e che sapeva decisamente dimostrare il fatto suo, quando voleva.

Il moro allungò il collo nella sua direzione – “Ho detto qualcosa di sbagliato?” – chiese.

“No no affatto. Ho deciso che mi piace molto questo tuo lato professionale”

Castiel sbuffò una risata cristallina. (La sua seconda risata. Ridere lo faceva sentire vivo molto più di tante altre cose)
“Io vado” – Ellie afferrò una borsa scura dalle dimensioni mastodontiche e prese le chiavi di casa – “Se avete bisogno, mi trovate al negozio: ho lasciato l’indirizzo sul tavolo. Non mettete in disordine altrimenti vi taglio le mani” – li minacciò aggrottando la fronte, e nessuno di loro pensò che stesse scherzando.

Olivia l’aspettava seduta sul divano, lo zainetto sulle spalle e il cappottino blu già indosso.
“Ciaoooo” – li salutò con la manina.
Sam le mandò un bacio con la punta delle dita e lei spalancò gli occhi e sorrise, mostrando una fila di dentini bianchi.

“Tu e la mocciosetta vi siete già innamorati vedo” – Dean gli tirò una gomitata nel fianco – “Dove la porti a San Valentino? Nella vasca delle palline del centro commerciale?”

“Oh, sta zitto”

“Avrà anche soltanto tre anni ma ha già dei pessimi gusti, bisogna dirlo. Io sono oggettivamente il Winchester più fico”

“Ma cos’hai mangiato a colazione? Caffè e idiozia?”

“La verità fa male Samantha, lo so” – Dean terminò la sua piece teatrale elargendogli una compassionevole pacca su una spalla – “Ma ora dobbiamo metterci al lavoro. Coraggio”

Suo fratello alzò gli occhi al cielo e gli passò il catalogo che gli aveva dato la ragazza.

“Se esiste un qualsiasi modo per fermare Michael e Lucifero prima che scatenino l’Apocalisse, sono abbastanza sicuro che si trovi in questa stanza. Castiel, tu hai detto che gli angeli non possono essere uccisi dagli esseri umani giusto?”

Il moro posò i fogli che teneva in mano con aria compita.
“Le lame angeliche sono in grado di ucciderli. Ma sono fatte di pura grazia, quindi non abbiamo modo di procurarcene una. Inoltre, essendo gli Arcangeli molto più potenti, le lame riuscirebbero soltanto a ferirli. L’unico modo che abbiamo per sconfiggerli è quello di imprigionarli da qualche parte”

Sam si passò le mani nei capelli, sospirando.

“D’accordo. Dean, direi di partire dai libri in inglese, prima. Castiel ed Ellie si occuperanno delle traduzioni”

Tirò giù da uno scaffale una mezza dozzina di volumi impolverati e ne scelse uno dalla copertina rigida e scolorita, d’un rosso bruno che pareva ferro arrugginito: ‘Leggende della Creazione’, il titolo impresso a lettere dorate sul dorso.
Lo aprì alla prima pagina e cominciò a leggere.






Non si fermarono un momento, tranne che per pranzare.
Alle cinque, Castiel si teneva la testa con una mano, puntellandosi col gomito sulla scrivania, e Dean aveva gli occhi rossi e lucidi.

"Direi che è il caso di fare una pausa” – Sam allungò le gambe, stiracchiandosi – “Ellie mi ha scritto, ha trovato un albergo qui vicino in cui potremmo stare. Potremmo uscire a prendere un po’ d’aria e poi passare da lei al negozio dove lavora”

“Stamattina aveva lasciato un indirizzo da qualche parte” – Dean rovistò tra i fogli ammucchiati sul tavolo fino a trovare un bigliettino ripiegato.
Lo aprì strabuzzando gli occhi.

“Ti prego dimmi che è uno scherzo” – porse il biglietto al fratello.

Poco sotto l’indicazione della strada e del numero civico, in un’elegante e ordinata calligrafia femminile, era riportato il nome del negozio.
‘Le strade degli angeli’ era il locale che aveva intravisto il giorno prima, mentre attraversavano la città in macchina, quello con le tendine bianche e l’insegna azzurra.

Il destino – e anche Ellie – avevano un senso dell’umorismo che non gli piaceva per niente.




Non era neanche entrato e aveva già rischiato d’inciampare nello zerbino color crema posto davanti all’entrata. Il negozio di Ellie era esattamente come se lo aspettava: amuleti improbabili, statuette dipinte, cristalli di ogni forma e colore e un vago aroma di esoterismo da quattro soldi misto a incenso che impregnava la stanza. L’unico elemento degno di nota, nonché piuttosto bizzarro in quell’ambiente così immacolato, era un teschio giallognolo e sudicio custodito in una teca dietro al bancone.

“Quello è il teschio di Giovanna D’Arco” – Ellie sbucò da una porta con su scritto ‘riservato’, tenendo la figlia in braccio – “Si dice che potesse parlare con gli angeli. Non ti consiglio di toccarlo, comunque*”

Dean ritrasse immediatamente la mano.

“Queste riproduzioni sono davvero bizzarre” – Castiel soppesava tra le dita una statuetta dipinta, raffigurante l’Arcangelo Michele con la spada levata, e la osservava con gli occhi socchiusi – “Non abbiamo mai usato armi di questo tipo”

“Si beh non è proprio semplice discutere di lame angeliche e tramiti a qualcuno che crede che gli angeli siano delle specie di elfi alati in tunica bianca. E io devo pur dar da mangiare a questa furbetta qui” – Ellie schioccò un bacio sulla testolina di Olivia, che nel frattempo si era seduta a gambe incrociate sul pavimento, intenta a colorare uno di quegli album di disegni per bambini.

Un vivace scampanellio annunciò l’arrivo di un cliente.

“Jimmy, che piacere rivederti!”

La ragazza si portò dall’altra parte del bancone ad abbracciare l’uomo appena entrato, come se fossero amici di vecchia data.

“Io e Jimmy cacciavamo spesso insieme, un po’ di tempo fa” – chiarì ad un Sam piuttosto accigliato.

Jimmy ricambiò la stretta ed estrasse un foglietto stropicciato dalla tasca – “Mi servirebbero un po’ di cosette Ellie. Abbiamo scovato un gruppo di streghe che si sta dando alla pazza gioia a Las Vegas”

“Ma certo. Dean, potresti chiudere a chiave la porta?” – la ragazza gli lanciò un mazzo di chiavi e li invitò a seguirla – “Venite”

Il retro del locale era una vera a propria armeria contro il soprannaturale: chiodi d’argento, acqua santa, coltelli e proiettili di ogni materiale, erbe, ossa di animali estinti e ampolle di sangue vischioso di cui nessuno azzardò a chiedere la provenienza.

“Non lavoro più sul campo dalla nascita di Olivia” – spiegò lei – “Ma continuo ad aiutare i cacciatori, a mio modo. Anche se non nego che un paio d’anni fa fosse tutto molto più facile: due proiettili d’argento, un po’ di benzina, ed era fatta. Adesso mi tocca procurarmi sangue di vergine e rami di betulla benedetti” – scosse la testa, frugando nella cassettiera attaccata al muro.

“Qui dovrebbe esserci qualcosa di utile…Dean sta lontano da quell’oggetto! Non lo chiamano il Cavaocchi per caso”

Jimmy pagò, ringraziò, e se andò soddisfatto; ormai era quasi ora di cena. Sam si avvicinò al bancone, dove Ellie stava chiudendo la cassa.

“Posso chiederti una cosa?”

“Dimmi pure”

“Da quando hai iniziato a credere negli angeli? Voglio dire, deve esserci stato per forza qualcosa, un evento particolare immagino, che ti abbia spinto a pensare che esistessero”

La ragazza terminò la chiusura e alzò lo sguardo su di lui.

“Sì, in effetti qualcosa è successo. Ormai sei anni fa, prima che rimanessi incinta”

Incuriositi, anche Dean e Castiel si avvicinarono.

“Da un po’ di tempo ero sulle tracce di un trickster. O meglio, direi che era lui quello che mi cercava” – rise – “Non so se si fosse invaghito di me o cosa, fatto sta che le aveva provate tutte per portarmi a letto e non si era ancora dato per vinto”

Sam tossicchiò – “Sì ne abbiamo incontrato uno anche noi, a Springfield, in Ohio, non troppo tempo fa. Hanno un senso dell’umorismo alquanto discutibile**”

“Ad ogni modo, avevo trovato il paletto di legno, il sangue, insomma quello che mi serviva per farlo fuori. Riuscii ad attirarlo in una trappola – mi bastò rispondere ad uno dei suoi assillanti inviti a cena – e lo pugnalai al cuore. Ma lui non morì”

“In che senso non morì?” – esclamò Dean, preoccupato. Non conosceva altri modi che quello per uccidere un trickster.

“Si estrasse il paletto dal cuore a mani nude. Ero sicura che mi avrebbe ammazzato ma all’improvviso una luce accecante mi investì; quando riaprii gli occhi, sulla parete dietro il trickster era apparsa la sagoma nera di due paia di ali, come se lui le tenesse attaccate alle spalle e la luce ne proiettasse l’ombra sul muro. Un attimo dopo era sparito”

Castiel si grattò la fronte, pensieroso.

“Credi che potesse davvero essere un angelo?” – gli domandò Sam, notando il suo sguardo perplesso.

“Potrebbe essere ma…no, no sarebbe davvero improbabile che…” – borbottò il moro, più a se stesso che al proprio interlocutore – “Sarà stata un’altra illusione, non potrebbe essere stato altrimenti…no, no, decisamente impossibile!” – asserì infine, scuotendo la testa.

“Beh, se non fosse stato per quel trickster noi non avremmo avuto la tua biblioteca super fornita Ellie, quindi, illusione o no, direi che gli dobbiamo un favore!” – intervenne allegramente Dean – “Quasi mi dispiace di aver fatto fuori quel suo compare a Springfield”






Dopo cena si sistemarono nell’alberghetto che Ellie aveva loro consigliato, un paio di isolati dietro la sua casa. Mentre Dean disfaceva i bagagli, notò che suo fratello si era seduto sul bordo del letto accanto al suo – nella struttura era rimasta disponibile soltanto una camera con tre letti singoli quasi attaccati l’uno all’altro – e fissava l’interno del borsone con aria assorta, come se in quell’istante un’idea spaventosa l’avesse folgorato e avesse assorbito tutta la sua concentrazione. Faceva così anche da bambino, quando c’era qualcosa che lo preoccupava.

“È tutto ok Sammy?” – gli mise una mano sul ginocchio: Sam si riscosse dalle sue elucubrazioni, stropicciandosi gli occhi.

“Stavo riflettendo su una cosa…” – mormorò – “Castiel ha detto che Lucifero è un Arcangelo, giusto?”

Il maggiore annuì.

“Questo vuol dire che avrà bisogno di un tramite, come Michael, e che il suo tramite dovrà acconsentire a farsi possedere”

Dean sollevò un sopracciglio – “E con questo cosa intendi?”

“Niente. Soltanto…pensavo”

Si strinse nelle spalle e riprese a svuotare il borsone.
Dean rimase ad osservarlo per un po’, in silenzio: la consapevolezza che nelle vene di suo fratello scorresse solo in parte sangue umano era tornata a fare la propria comparsa, subdolamente, ai margini dei suoi pensieri.

È soltanto una suggestione – si disse.






Gradualmente, le loro giornate iniziarono a seguire una strana specie di routine.
Si svegliavano, facevano colazione, poi guidavano fino a casa di Ellie, dove il numero di libri e scartoffie contenuti in quella biblioteca sembrava ogni giorno aumentare anziché diminuire. Pranzavano in fretta – a volte non pranzavano affatto – per poi riprendere a leggere finché la ragazza non ritornava dal negozio; a quel punto cenavano e poi continuavano a lavorare fino a notte inoltrata. Castiel si addormentava puntualmente sull’ultima bozza di traduzione che Ellie gli passava.

Tre settimane e uno spropositato quantitativo di caffè dopo, le loro ricerche non avevano ancora dato alcun esito.

“Se resto un altro minuto su questa sedia mi si squadreranno le chiappe!”

Dean richiuse l’ennesimo librone – sul quale si era inutilmente arrovellato per ore – e si alzò di scatto, facendo sobbalzare tutti i presenti.

“Io vado a farmi un giro, possibilmente da qualche parte dove abbiano della tequila almeno decente”

Ellie sbadigliò, ticchettando sul tavolo con la punta della sua stilografica.

“Io sono a pezzi e Olivia ha la febbre, per cui non posso muovermi. Ma nella zona del college i bar sono aperti tutta la notte, dovresti trovarne qualcuno al caso tuo”

“Questa è la migliore notizia mai avuta da quando siamo arrivati in questa città!” – il cacciatore si esibì in un sorriso smagliante ed estrasse le chiavi dell’Impala dalla tasca dei jeans.

“Resto anch’io” – intervenne Sam – “Vorrei finire questo capitolo entro stasera e poi, ecco…” – le sue ultime parole si persero in un mormorio imbarazzato.

Dean alzò gli occhi al cielo – “Sì Sammy, tu resta pure a fare il secchione come al solito. Cass!” – si girò verso il moro – “Sappi che da te non accetterò scuse”

Castiel distolse finalmente gli occhi dalle sue traduzioni.

“Sarei io…Cass?”

“E chi altri? Infilati quell’orribile trench all’inglese che hai voluto comprarti e andiamo! Non vorrai mica startene qui a fare il terzo incomodo?”

Sam indirizzò al fratello uno sguardo omicida, al quale lui rispose con una disinvolta alzata di spalle; Ellie per fortuna sembrava non essersi accorta di nulla.

Castiel posò la penna e si lisciò le pieghe della camicia con le mani.

“Va bene, arrivo”

Cinque minuti dopo, in casa erano rimasti soltanto Ellie e Sam.

“Sarà meglio che porti Olivia in camera sua” – la ragazza lanciò un’occhiata apprensiva alla bambina addormentata sul divano, infagottata nelle coperte – “Quando è malata non vuole mai andare nel suo letto e mi tocca sempre farla addormentare da qualche altra parte”

“Come sta adesso?”

“La febbre è scesa, domani dovrebbe già stare meglio. Il pediatra le ha prescritto comunque delle medicine, in caso dovesse peggiorare”

Ellie si caricò la figlia in braccio, cercando di limitare i movimenti bruschi in modo da non svegliarla; Sam la seguì fino in cameretta con il resto delle coperte e dei giocattoli.

“Quando mi ammalavo, da piccolo, era Dean a prendersi cura di me” – le confidò – “E io mi ammalavo in continuazione, febbre, raffreddore, allergia…Quando stavo bene invece sembrava non vedessi l’ora di rompermi l’osso del collo: una volta a Carnevale mi sono travestito da Superman e mi sono lanciato giù da una grondaia. Papà era via e lui mi ha portato al pronto soccorso sul manubrio della bicicletta. Non so davvero come abbia fatto a sopravvivere alla mia infanzia senza uccidermi”

Lei sorrise – “Siete molto legati. L’ho capito il giorno in cui ti ho conosciuto, dal modo in cui ne parlavi: come se tuo fratello fosse tutto ciò che avevi”

“È stato davvero così, per tanti anni. Non avevamo una casa, praticamente zero amici, e papà non c’era quasi mai: mi rimanevano me stesso e Dean. Poi, ad un certo punto, non mi è bastato più”

“Stanford?”

Il cacciatore annuì – “Non ho ancora deciso se gli anni al college siano stati i migliori o i peggiori della mia vita”

“Però vi siete ritrovati, nonostante tutto. Penso che sia questo quello che conti, alla fine” – Ellie rimboccò le lenzuola ad Olivia e accese una piccola lampadina azzurra a forma di stella, sul comodino – “Vieni, torniamo di sotto. Tra un po’ verrò a controllare come sta, lascia pure la porta aperta”

“Ti assomiglia sai? Ha i tuoi stessi capelli”

Ellie accarezzò la fronte sudata della bambina con la punta delle dita.

“Già. Forse per lei sarebbe stato meglio assomigliare un po’ di più a suo padre, almeno fisicamente: era un gran bastardo, ma era decisamente un gran fico”

Sam si sentì di colpo molto imbarazzato – “Non mi hai mai parlato di lui” – mormorò.

“Non è che ci sia molto da dire. Cacciavamo insieme da anni, poi io sono rimasta incinta e lui ha deciso di darsela a gambe che non ero neanche al terzo mese. Un comportamento molto maturo, no?”

“Mi dispiace”

“Non dispiacerti. Non avrei dovuto credere alle sue bugie, mi sono comportata da ragazzina ingenua. È stata anche colpa mia” – Ellie scosse la testa, gli occhi grigi velati da una nube scura di malinconia. Sam decise che era giunto il momento di cambiare discorso.

“Ti va di bere qualcosa?” – propose – “Avevo portato delle birre ieri sera, dovrebbero essercene ancora un paio in frigo”

“Ottima idea”

Si sistemarono al tavolo della cucina; Ellie stappò le due bottiglie con un movimento fluido e ne porse una al cacciatore – “Cosa pensi che succederà tra quei due, stanotte? ” – accennò col capo verso la porta dalla quale Dean e Castiel erano usciti.

Sam ridacchiò, leggermente imbarazzato dalla domanda. Paradiso, Inferno, marchio o non marchio, era ormai palese che il rapporto instauratosi tra suo fratello e Castiel fosse qualcosa di più complicato e profondo di un banale rapporto di “lavoro” tra cacciatori, o anche solo di un’amicizia.

“Non ne ho davvero idea” – rispose – “Entrambi fingono di non vedere al di là del proprio naso; Dean poi, la sola idea di potersi legare a qualcuno per più di una notte sembra che lo terrorizzi” – si portò la bottiglia alle labbra e bevve una lunga sorsata di birra – “Spero soltanto che questo non lo porti a combinare qualche cazzata” – sospirò infine.

Posò la bottiglia semivuota sul tavolo, a un centimetro da quella di Ellie.
Le sue dita incrociarono sulla loro strada quelle della ragazza, e decisero di non muoversi più da lì.





*Prima che mandiate al rogo anche me accusandomi di falso storico: secondo le testimonianze dell’epoca, Giovanna D’Arco sosteneva di sentire delle “voci” che le dicevano cosa fare. Qui ho romanzato un po’ la cosa per adattarla alla storia
**Episodio 15, stagione 2, forse ricorderete il trickster di cui si parla ; ) e vi consiglio di tenere a mente questa piccola “rivelazione”


Bentrovati!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto. Piccola precisazione, Jimmy è un personaggio inventato da me, non esiste in SPN, per chi se lo stesse chiedendo.
Vi informo che, purtroppo, dovrò interrompere gli aggiornamenti per le prossime due settimane, quindi la fatidica serata romantica(?) tra Dean e Castiel arriverà appena ad aprile. Ne approfitto però per dirvi che siamo ormai arrivati a metà storia e che già dal prossimo capitolo i ritmi inizieranno a farsi più serrati e gli aggiornamenti torneranno regolari, almeno spero.
(Per lilyy: per l’ultima parte di questo capitolo, non odiarmi >.<)

A presto!

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Capitolo 9
*** I giardini di Dumbarton Oaks ***


In questo capitolo è presente il secondo flashback riguardante la vita di Castiel prima della caduta. Poiché è inserito proprio in mezzo al capitolo ne ho segnalato l’inizio e la fine con degli asterischi.
Buona lettura!


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




L’aria della notte era ancora fredda, nonostante fosse ormai primavera. Dean si strinse nelle spalle cercando di difendersi dagli spifferi che si insinuavano sotto i suoi vestiti e si addentrò nel variegato mix di uomini e donne più o meno sobri che popolavano il bar, seguito a ruota da un Castiel piuttosto impacciato.
Il verde del panno del biliardo brillava invitante sotto le luci calde delle lampadine attaccate al soffitto.

“Vedrai Cass, sarà divertente. Io e Sammy abbiamo fatto un mucchio di soldi con il biliardo”

Dean ordinò due birre, porse la stecca da biliardo al moro e impugnò la sua con disinvoltura da giocatore consumato.

“Non devi avere una presa troppo stretta, altrimenti il tiro non sarà preciso” – lo avvertì, dopo avergli spiegato le regole del gioco – “Mira con attenzione, ecco, così” – gli sistemò la posizione del braccio, sfiorandogli appena il gomito.
Castiel non sembrava molto a suo agio; le sue dita non smettevano di agitarsi intorno alle stecca neanche stesse stringendo una sbarra incandescente anziché un pezzo di legno, e i suoi occhi vagavano da una parte all’altra del bar come se fosse alla ricerca della via di fuga più vicina.
Forse, portarlo in quel locale così affollato e promiscuo, non era stata una buona idea.

Ad ogni modo, Dean non ebbe il tempo di riflettere sulla scelta fatta perché proprio in quel momento due ragazze in giacca di pelle e shorts si avvicinarono al biliardo.

“Possiamo unirci a voi?”

La ragazza che aveva parlato aveva lunghissimi capelli biondi e un corpo da aspirante modella; la sua amica era invece molto più prosperosa, castana, e i suoi occhi erano simili a quelli di Castiel, ma di un blu molto più slavato, tendente al grigio.

“Ma certo tesoro” – il cacciatore le fece posto dalla sua parte del tavolo; la ragazza prosperosa raggiunse Castiel dall’altra parte del tavolo.

“Non sono molto portato per questo gioco” – provò ad obiettare il moro, ma lei lo prese sottobraccio e gli tolse dolcemente la stecca dalle mani – “Ti insegno io dolcezza, non avere paura”

Se Dean avesse prestato un po’ più di attenzione, si sarebbe accorto del fremito quasi disgustato con il quale Castiel si era sfilato dalle braccia della ragazza, e se non fosse stato troppo impegnato a scivolare con lo sguardo lungo le cosce lunghissime della biondina in shorts – nel tentativo un po’ infantile di convincersi che fosse lei la persona più attraente del bar – si sarebbe anche ricordato che Cass, prima di diventare Cass, era stato anche qualcos’altro, e due mesi trascorsi a battere sul bordo di una strada statale, a fingere di desiderare i corpi degli altri dimenticandosi il proprio, a rispondere a baci, e carezze, e orgasmi che gli facevano soltanto venir voglia di vomitare, non si dimenticano nel giro di qualche settimana.

Ma la ragazza castana non poteva saperlo, e continuava ad avvicinarsi al moro, ad accarezzargli le spalle e la schiena, a sussurrargli all’orecchio ridacchiando, come se lui fosse il giocattolo di una sera e lei l’avesse appena comprato per servirsene a suo piacimento.

E questo, forse, con un enorme sforzo masochistico, Castiel avrebbe anche potuto accettarlo.

Ma la vista di Dean mentre flirtava con la biondina, rispondeva ad ogni battutina allusiva che lei gli faceva e le offriva la sua birra, come se lui si fosse improvvisamente volatilizzato no, quello non avrebbe mai potuto sopportarlo.

Perciò, quando il cacciatore si rese conto di cosa avesse fatto era già troppo tardi: Castiel aveva piantato in asso lui e la ragazza castana ed era uscito dal bar a testa bassa, incurante delle proteste dei clienti che urtava senza troppi riguardi, quando incrociavano la sua strada.

Dean si precipitò fuori dal locale, lasciando le ragazze a bocca aperta, e pure con il conto da pagare. La strada era deserta e si era alzato un venticello sottile che lo faceva rabbrividire.

“Andiamo, Castiel ti pare questo il modo di comportarti?” – esclamò alla sagoma scura del moro che si allontanava a grandi falcate; dovette mettersi a correre per raggiungerlo – “Ehi! Sto parlando con te!”

“Va al diavolo Dean Winchester! E restaci, questa volta!”

Dean per poco non inciampò nei suoi stessi piedi, non sapendo se ritenersi più stupito per quel disarmante sfoggio di umorismo nero da parte di qualcuno che non capiva neanche le barzellette più elementari o per il fatto che Castiel se la fosse presa così tanto.
Afferrò l’ex angelo per un braccio, non abbastanza saldamente da fermarlo ma abbastanza da obbligarlo a voltarsi verso di lui.

Gli occhi di Castiel erano due oceani torbidi, pieni di delusione, e Dean si sentì come se gli avessero appena tirato addosso una secchiata d’acqua gelida. Non avrebbe mai voluto che le cose andassero così.
Di colpo realizzò che in verità non gliene era mai importato un accidenti del biliardo, della birra o delle due ragazze, lui avrebbe soltanto voluto passare la serata con Castiel.

“Io non…non volevo” – furono le uniche parole che riuscì a pronunciare.

Lo sguardo del moro si addolcì – “Ho un’idea” – gli rispose – “Vieni”

Dean lo seguì in silenzio lungo i viali alberati che portavano verso il centro città, finché non arrivarono davanti ad un edificio chiaro, con la facciata trapuntata di lucine gialle, simili a quelle usate per le decorazioni natalizie.

“Entriamo?” – poi Castiel lo prese per un braccio e lo spinse all’interno, senza aspettare una risposta.

Era un locale accogliente, dalle dimensioni modeste, pavimento e mobilio di legno scuro, luci ambrate, sapientemente soffuse, nell’aria odore di cioccolata mista a rum: uno di quei posti da primo appuntamento. Dean deglutì, e i palmi delle sue mani iniziarono inspiegabilmente a sudare.

Si sedettero in un angolo, accanto ad un vecchio juke-box d’epoca. Il locale era piacevolmente tranquillo e non molto affollato, erano occupati soltanto un paio di tavoli.

“Come conosci questo posto?”

“Mi ci ha portato Ellie, il giorno in cui tu e Sam siete andati da Bobby per quel vecchio libro che aveva trovato. Dicono che qui facciano la torta di mele più buona della contea: una volta mi hai detto che era la tua preferita”

La cameriera si avvicinò al loro tavolo – “Buonasera, cosa vi porto?”

Dean non l’aveva neppure vista arrivare: Castiel sfogliava pigramente il menù, il mento appoggiato alla mano, e lui non riusciva a smettere di guardarlo. Quando poi il moro spostò lo sguardo dalla lista dei dolci alla cameriera, sorridendole affabilmente, il cacciatore sentì una morsa acuta e rovente stringerli le viscere.
Era geloso di quel sorriso: avrebbe voluto che fosse rivolto a lui, non a quella ragazzina pallida e troppo truccata.

E in quel momento, mentre la cameriera prendeva le ordinazioni apparentemente senza accorgersi del suo sguardo assente, capì che per tutto quel tempo – erano ormai trascorse settimane da quella notte di pioggia torrenziale a Lawrence – non aveva fatto altro che accampare scuse.
Perché era sempre stato troppo difficile ammetterlo, accettare quella realtà così lontana da tutto ciò che da sempre aveva caratterizzato Dean Winchester, così lontana dalle avventure di una notte, dalle frasi a effetto buone solo per rimorchiare, dai numeri di telefono cestinati non appena la ragazza di turno si chiudeva la porta della camera alle spalle.
Era fottuto.
Completamente, definitivamente, perdutamente, irrimediabilmente fottuto.
Si era innamorato.
Di un uomo, un angelo, non sapeva neanche lui di che cosa, sapeva soltanto che da quando Castiel era piombato nella sua vita tutte le ferite che si portava addosso e che ormai da tempo tentava inutilmente di far rimarginare, ora non sanguinavano più.

E sì, quella era davvero la torta di mele più buona che lui avesse mai assaggiato, ma probabilmente il merito era tutto dell’individuo seduto di fronte a lui, che lo guardava e sorrideva – finalmente quei sorrisi erano solo per lui – e Dean pensò che avrebbe potuto anche morire così, andarsene con quel blu fenomenale come un riflesso di luna in uno zaffiro piantato per sempre nelle sue retine.

Due ore dopo, uscirono dal locale barcollando: il rum che avevano ordinato era sceso giù come acqua e prima che potessero accorgersene si erano già scolati mezza bottiglia. Fuori non faceva nemmeno più così freddo. Raggiunsero l’Impala e si stravaccarono sopra il cofano: Dean era ancora troppo sbronzo per guidare – ma non lo era abbastanza da voler dormire – Castiel invece aveva chiuso gli occhi e si era sdraiato con le gambe penzoloni che urtavano il parafanghi.

“Ci pensi mai?” – la voce di Castiel era ancora più bassa del solito.

“A cosa?”

“Alla prima volta in cui ci siamo incontrati. Qui, sulla terra”

Al degrado di quella strada statale, all’Inferno che d’improvviso si spalancava sotto i suoi piedi, allo sguardo senza speranza che gli aveva rivolto un Castiel di cui non conosceva ancora niente, se non il mestiere.
Certo che ci pensava. Ma quella bocca che si chiudeva su di lui era qualcosa che avrebbe dovuto togliersi dalla testa.

“Io non ero in me e tu eri…beh, immagino che non debba essere io a ricordartelo” – rispose il cacciatore – “Parlarne non farebbe bene a nessuno dei due”

“Non lo trovi buffo? Che io ti abbia salvato dall’Inferno e che poi tu abbia salvato me” – il moro represse un singhiozzo e si spostò su un fianco – “Forse non dovrei parlare di queste cose dopo aver bevuto”

“O forse potresti entrare in macchina prima di rotolare sull’asfalto. I miei riflessi sono ancora troppo lenti per riuscire a prenderti al volo” – Dean spalancò la portiera del passeggero e lo aiutò a sistemarsi sul sedile. Poi fece il giro dell’auto e si sedette anche lui, al posto del guidatore.

“Dean?”

“Cosa c’è?”

“Prima che il mondo finisca, mi piacerebbe a vedere i giardini di Dumbarton Oaks”

“Cass, sei decisamente ubriaco”

“Dicono sia uno dei più spettacolari al mondo, e tra marzo e maggio è quasi tutto in fiore. Quando ero un angelo non sapevo, non sapevo niente della bellezza: vedevo i germogli sbocciare e morire, e mi sembrava così stupido che Dio avesse creato una natura così effimera. Poi sei arrivato tu e ho capito…e allora ho pensato che anche Michael avrebbe compreso…ma come avrebbe potuto…”

“Cass?”

Si era addormentato.
Le labbra semiaperte, la testa appoggiata sulla spalla del cacciatore in una posizione che doveva essere dannatamente scomoda, eppure a guardarlo Castiel sembrava più in pace di un bambino; Dean dovette resistere all’impulso di affondare il naso nei suoi capelli e aspirare un po’ del suo odore.

Rimase a guardarlo per qualche minuto, mentre il braccio gli si intorpidiva lentamente.
Si domandò cosa potesse sognare, qualcuno come Castiel.
Un presentimento strano, una sensazione fastidiosa aveva iniziato a ronzargli nella testa sulle ultime parole del moro, ma non era abbastanza lucido da riuscire a metterne a fuoco i dettagli.
Nella sua storia, nel racconto della sua caduta, mancava ancora qualcosa. Qualcosa di fondamentale che era stato – volutamente o per caso – omesso, e Dean adesso era troppo stanco per capire di cosa si trattasse.

Mise in moto, dolcemente, e l’Impala scivolò via nella notte di seta della California.



*****


“Un Paradiso tridimensionale?” – Michael si muoveva con circospezione attraverso i cespugli in fiore che circondavano il giardino – “È così…claustrofobico.”
Castiel non lo aveva sentito arrivare. Di solito la presenza dell’Arcangelo si percepiva a distanza, la sua aura di potere era troppo netta ed intensa per potersi confondere con quelle degli angeli comuni e molto spesso il Paradiso mutava, lì dove lui metteva piede.
Quella volta l’Arcangelo era stato talmente discreto da risultare ancora più inquietante del solito.

“Non mi aspettavo una tua visita”

“E io non mi aspettavo di trovare…questo” – Michael allungò una mano e staccò un piccolo bocciolo giallo che spuntava timido tra i fili d’erba del prato: il Paradiso di Castiel si era tramutato in un enorme giardino in piena fioritura: un tripudio di colori, odori, fruscii di foglie smosse da una brezza leggera, primaverile.
Un Paradiso tranquillo, semplice, sorprendentemente umano. Troppo umano.

“Sulla Terra hanno dei luoghi simili” – spiegò l’angelo – “Alcuni umani trascorrono la loro intera esistenza a prendersene cura”

“Un inutile spreco delle loro già limitate energie.”

“Forse” – Castiel allargò le braccia, lasciando che i fiori che si staccavano dai rami dei ciliegi gli piovessero addosso – “Ma per gli umani, a volte, il bello è proprio questo. È l’effimera configurazione delle cose nel momento in cui se ne vedono, insieme, la bellezza e la morte.* Una fiamma eterna può essere meno luminosa di una stella cadente, in certi casi”

“Inezie!” – tagliò corto Michael – “Giorni, stagioni…paragonati all’eternità non sono niente. E tu non dovresti pensarla diversamente” – sul suo volto diafano apparve una smorfia contrariata – “Sono venuto ad avvisarti: il tempo della nostra venuta è ormai quasi giunto, ed è necessario che l’Uomo Giusto si fidi di te prima di riuscire a fidarsi di me ed acconsentire a diventare il mio tramite”

“Un tramite?” – le ali di Castiel iniziarono a tremare. Il giardino si riempì di ombre.

“L’Uomo Giusto non impedirà la rottura dei sigilli. Nessuno potrebbe impedirlo. L’Apocalisse si scatenerà in Terra e a quel punto agli uomini verrà chiesto di scegliere” – gli occhi dell’Arcangelo si accesero come fuochi fatui – “Schierarsi al mio fianco, o morire”

Il giardino precipitò nel buio.
I contorni degli alberi e dei cespugli iniziarono lentamente a sfocarsi, come se qualcuno li stesse cancellando con una gomma. Rimasero solo le ali di Michael, fastidiosamente luminose, a brillare nell’oscurità.

“Nessun umano sopravviverebbe dopo la possessione di un Arcangelo” – nella sua lunghissima esistenza, Castiel non si era mai sentito così spaventato. L’Apocalisse avrebbe spazzato via metà della razza umana, avrebbe distrutto ogni giardino, ogni fiore, ogni fragile bellezza mortale.

Di fronte al suo sbigottimento, Michael rimase del tutto indifferente.
“Un sacrificio da poco” – rispose, noncurante – “È stato proprio l’Uomo Giusto, ti ricordo, a causare la rottura del primo sigillo, e solo l’idea di dovermi servire di un’anima così corrotta mi disgusta” – tutto il suo corpo fremette di ribrezzo – “Purtroppo non c’è altro modo”

“Michael, ma…”

“Ma, ma, ma…Basta, Castiel!” – l’Arcangelo spalancò le ali e un rombo come di uno scontro intergalattico tra due pianeti riempì lo spazio con un rumore assordante – “Non sono venuto a chiedere il tuo parere: sono venuto a darti degli ordini! E tutto ciò che voi angeli fate e continuerete a fare sarà eseguirli, oppure ne pagherete le conseguenze”

Un altro rombo, e Michael sparì.
Il giardino era ricomparso, spoglio e devastato come dopo una tempesta; sugli alberi, i pochi rami rimasti intatti pendevano tristemente verso il basso.
Immobile, Castiel rimase a fissare i resti del suo Paradiso distrutto.

Sulla Terra era quasi Natale, a Lawrence nevicava, e Dean Winchester era da poco tornato a casa con un abete alto quasi due metri legato sopra il tetto dell’Impala.

Castiel l’aveva vista l’anima di Dean Winchester, quell’anima che Michael credeva tanto corrotta – l’aveva vista il giorno in cui l’aveva strappata all’Inferno quasi a costo della sua stessa vita – ed era cristallina, trasparente, così bella che avrebbe potuto davvero morirci soltanto guardandola, e adesso l' Arcangelo l’avrebbe spezzata per sempre.
Avrebbe spezzato per sempre l’unica cosa che lui aveva mai amato.

Non avrebbe mai potuto permetterglielo.



*****


Castiel si svegliò che era quasi mezzogiorno e dalle finestre spalancate la luce del sole entrava con la forza di un esplosivo. Sentiva la bocca impastata e un lieve retrogusto alcolico gli risaliva dalla gola.
Il letto di Sam era ancora intonso – il cacciatore non aveva dormito lì quella notte – mentre quello di Dean era un ammasso disordinato di lenzuola.

Non ricordava bene gli eventi della sera prima. Dean l’aveva portato in un bar troppo affollato dove una ragazza bionda aveva cominciato a strusciarglisi addosso, e lui era letteralmente scappato via, preda di una gelosia feroce che gli scavava nello stomaco come il peggiore degli alcolici.
La seconda parte della serata – ad ogni modo – era stata nettamente migliore della prima. Castiel ricordava il braccio del cacciatore intorno alle sue spalle, quando erano usciti dal locale barcollando, poi quasi più nulla.

Si stiracchiò pigramente, mettendosi a sedere sul letto. In quel momento Dean tornò in stanza, portando due tazze fumanti dalle quali si sprigionava un odore inconfondibile.

“Ti sei svegliato finalmente!” – esclamò – “Ti ho portato il caffè, credimi, non ho ancora trovato rimedio migliore per il post sbornia” – ridacchiò porgendogli una tazza – “Sam è già da Ellie, anche se credo che non sia proprio tornato in albergo stanotte, quindi quando sei pronto andiamo anche noi. Ti aspetto in macchina”

Castiel mugugnò qualcosa di simile ad un ringraziamento, era ancora troppo addormentato per poter formulare un discorso di senso compiuto, e iniziò a bere il suo caffè, pensieroso.

Gli umani dovevano possedere doti straordinarie, per riuscire a gestire quel gran casino che era l’amore. Lui invece non era neanche in grado di distinguere le diverse emozioni che gli si affastellavano nell’animo, ogni volta che si ritrovava a pensare a Dean.
Eppure, guardando Sam ed Ellie, sembrava tutto così facile.

Si alzò con un sospiro e cominciò a vestirsi.






La porta della casa era stata lasciata aperta, spalancata come se qualcuno fosse appena scappato o come se avessero appena fatto irruzione all’interno.
Dean estrasse la pistola e fece segno a Castiel di seguirlo senza fare rumore.

In mezzo al soggiorno, stravaccato comodamente sul divano azzurro neanche si trattasse del divano di casa sua, trovarono un giovane uomo dai capelli castani, lunghi fin quasi alle spalle, con una barretta al cioccolato tra le mani, dalla quale staccava piccoli morsi che poi masticava di gusto, come a volerne assaporare ogni briciola.

“I Winchester al completo finalmente! Vieni Dean, ti stavamo giusto aspettando” – lo sconosciuto li guardava con aria quasi divertita, senza preoccuparsi minimamente dell’arma che Dean aveva in mano né delle altre due pistole che Sam e Ellie – seduti di fronte a lui – gli stavano già puntando contro.
I suoi occhi avevano lo stesso colore dell’ambra.
Poi il suo sguardo si posò sul moro, seminascosto alle spalle del cacciatore, e all’espressione sorniona sul suo volto si sostituì bruscamente uno sbigottimento incredulo.

“Castiel?”

“Gabriel?”




*Questa frase è ripresa da “L’eleganza del riccio”, di Muriel Barbery. (Che, in caso non l’aveste già fatto, vi consiglio caldamente di leggere <3 )

Grazie a lilyy per i consigli sui titoli dei capitoli ^^
Alla prossima settimana!

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Capitolo 10
*** Rivelazioni ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




“Tu lo conosci?” – Dean si girò verso Castiel con gli occhi spalancati.

“Beh a quanto pare ci conosciamo già tutti, non è magnifico?” – Gabriel addentò un altro pezzo di cioccolato – “Possiamo adesso saltare la noiosa parte delle presentazioni e abbassare le pistole per piacere? Non riuscireste comunque a ferirmi, ma non è piacevole chiacchierare con delle armi puntate contro”

“Non so quale trucchetto da trickster tu abbia usato per ritornare in vita ma sappi che nulla mi impedirà di ucciderti di nuovo” – ringhiò Dean facendo scattare la sicura della pistola.

“Dean” – Castiel gli mise una mano sul braccio – “Lui non è un trickster: è l’Arcangelo Gabriele. Ha abbandonato il Paradiso parecchio tempo fa”

Gabriel si alzò dal divano e si esibì in un pomposo inchino, mentre una seconda barretta di cioccolato compariva tra le sue dita.

“Che cosa vuoi?” – sbottò Sam, per nulla incline a cessare le ostilità nei confronti di chiunque provenisse dal Paradiso.

“Ma che modi, insomma!” – sbuffò l’Arcangelo – “Con tutta la fatica che ho fatto per trovarvi! Questa casa è piena di sigilli anti-angelo, senza contare che vostri tatuaggi vi rendono praticamente introvabili, specialmente i tuoi, principessa” – Gabriel prese la mano di Ellie tra le sue, regalandole un elegante baciamano dal quale lei non osò ritrarsi: da quando Castiel aveva rivelato che l’individuo che aveva di fronte era in realtà un Arcangelo, lei era sbiancata al punto tale che il suo viso aveva assunto lo stesso colore della parete alle sue spalle.

“Non provare a toccarla” – lo minacciò Sam, spingendolo via.

“Qualcuno qui è geloso, mh?” – sogghignò Gabriel – “Non temere Sam, nel mio cuore c’è abbastanza posto anche per te”
Il cacciatore alzò gli occhi al cielo.

“Mamma? Chi è questo signore?” – Olivia trotterellò in soggiorno stropicciandosi gli occhi: doveva essersi appena svegliata.

“Ciao bambolina! Io sono lo zio Gabriel. Lo vuoi un cioccolatino?” – Gabriel si piegò sulle ginocchia fino ad arrivare all’altezza della bambina, e una pralina dall’aspetto delizioso comparve sul suo palmo. Olivia la afferrò e la mangiò prima che chiunque potesse fermarla.

“È buonissimo!” – cinguettò con la bocca sporca di cioccolato – “Grazie zio Gabriel! Mamma perché non mi hai mai parlato dello zio?”

Ellie prese Olivia in braccio e la fece sedere tra lei e Sam.
“Resta vicino a noi piccola. Lo zio Gabriel non si tratterrà a lungo”

L’Arcangelo si sistemò i capelli dietro le orecchie con fare teatrale e ad un suo schiocco di dita le pistole che ancora i cacciatori gli tenevano puntate addosso si trasformarono in serpentelli di gomma molliccia.

“Brutto figlio di…”

“Modera i termini, Winchester! C’è una bambina qui!”– Gabriel sollevò una mano e Dean ammutolì: le sue labbra continuarono a muoversi ma dalla sua bocca non proveniva più alcun suono.

“Bene, ora possiamo accomodarci e discutere da persone civili?” – l’Arcangelo invitò Castiel, e un Dean livido di rabbia, a sedersi accanto a lui – “Non preoccuparti per tua figlia” – mormorò poi a Ellie – “Farò in modo che tutto ciò che sto per dirvi venga da lei percepito soltanto come il racconto dei fantastici viaggi del suo magnifico zio” – sorrise compiaciuto.

Poi il suo tono cambiò.

“La mia radio angelica è spenta da moltissimi anni” – esordì – “E nonostante questo, da quando ho lasciato il Paradiso mai, mai i miei fratelli hanno fatto un baccano tale nella mia testa. Immagino sia una conseguenza inevitabile dell’essere Arcangeli: la famiglia non te la togli mai davvero dai piedi” – borbottò scuotendo la testa. “Ma non sono venuto qui a lamentarmi di questo” – proseguì – “I giochi sono finiti. Oppure stanno per iniziare, dipende dai punti di vista. Il Paradiso è un casino e l’Inferno è anche peggio: potrebbe accadere domani o dopodomani, la tanto attesa riunione di famiglia tra Michael e Lucifer arriverà, presto, e di questo bel pianetino non resterà che un mucchietto di sassi”

“Questo lo sapevamo già, tante grazie” – lo interruppe Sam.

“Dammi il tempo di finire brontolone! Voi Winchester siete sempre così impazienti…” – s’imbronciò lui, scartando una caramella apparsa da chissà dove – “Stavo dicendo…si dà il caso che io, ahimè, ami terribilmente questo mondo: le vostre auto da corsa, gli yacht, le sfilate di Victoria’ Secret, le orge…ma ora sto davvero divagando”–ridacchiò.

Ellie coprì istintivamente le orecchie di Olivia.

“Sono perciò venuto ad offrirvi una soluzione, per quanto voi non stiate facendo nulla per meritarvela!” – puntualizzò infine, accavallando le gambe.
“Avete mai sentito parlare della Lama dell’Arcangelo?” – domandò.

“È una leggenda, Gabriel: non ci sono prove che un manufatto del genere sia mai realmente esistito” – stavolta era stato Castiel a parlare.

“In ogni caso una leggenda molto interessante… sì Dean, tu desideri dirci qualcosa?” – Gabriel schioccò le dita e in un istante il cacciatore – che ora aveva iniziato davvero ad incazzarsi – riacquistò la parola.

“Tu! Prova di nuovo a-”

“Come immaginavo” – un altro schiocco di dita, e Dean ammutolì di nuovo – “La tua assoluta mancanza di buone maniere mi sconcerta” – commentò l’Arcangelo con un sorriso sornione – “Ma non preoccuparti, abbiamo un sacco di tempo per lavorarci su”

Dean sprofondò nel divano, con una luce omicida negli occhi.

“Si dice che la Lama dell’Arcangelo sia stata donata agli uomini in modo che essi potessero fronteggiare un eventuale ritorno di Lucifero, o la minaccia di qualche altro angelo. Non si sa se quest’arma sia stata creata da Dio stesso o dagli angeli, o se invece sono stati gli umani a fabbricarla. Michael l’ha cercata per secoli e non è mai riuscito a trovarla, ma…” – Gabriel tacque, godendosi quella piccola pausa ad effetto, come se stesse presentando un gioco di prestigio – “Il vostro qui presente Arcangelo di fiducia ha finalmente scoperto il perché”
Si mise in bocca l’ennesima caramella.
“La Lama è talmente piena di sigilli da risultare introvabile, per gli angeli. Il che risulta quasi ovvio, visto che è stata costruita con l’unico scopo di ammazzarli” – spiegò – “Ma un umano, con una buona conoscenza dell’enochiano e una spiccata tendenza all’autodistruzione, potrebbe riuscire nell’impresa di recuperarla: per questo sono qui. Oltre che per rivedere i tuoi occhi meravigliosi, principessa”

Ellie sbuffò.

Dean, nel frattempo, aveva recuperato una penna e un foglio, e ora teneva tra le mani un cartello:

E NOI COSA DOVREMMO FARE PER TROVARE QUESTA LAMA?
P. S. IL TUO UMORISMO NON FA RIDERE

“Ottima domanda Dean!” – si complimentò Gabriel – “Vedete, io non ne ho la minima idea. Ma ho la certezza che la Lama esista, e a quanto pare è l’unica arma che possa fermare i miei adorati fratelli prima che mandino questo mondo in malora…mi merito un ringraziamento almeno!”

Dean accartocciò il foglio e lo lanciò con rabbia dall’altra parte della stanza.

Narcisista d’un Arcangelo…te lo do io il ringraziamento!

Sì, avevano davvero una possibilità adesso: dovevano soltanto mettersi alla ricerca di una lancia antidiluviana che, per quanto ne sapevano, poteva anche trovarsi sul fondo dell’oceano o sulla cima dell’Himalaya, trovarla prima che scoppiasse l’Apocalisse e poi usarla, chissà come, per accopparci il Diavolo e il suo fratellino mitomane. Tutto ciò, nell’ipotesi che Gabriel stesse dicendo loro la verità.

“Aspettate…” – Ellie si alzò in piedi e rimase immobile per qualche istante, le dita sulle tempie, come se fosse mentalmente alla ricerca di qualcosa. Poi, sotto gli sguardi attoniti dei Winchester, si fiondò in biblioteca, per riuscirne qualche minuto dopo con una busta di carta tra le mani, dalla quale estrasse alcuni fogli di pergamena talmente vecchi e rovinati da sembrare sul punto di sbriciolarsi.

“Avevo trovato questa un po’ di tempo fa, ma pensavo si trattasse di un falso” – spiegò – “Non credevo nemmeno fosse enochiano, il testo è quasi intraducibile…ma avevo riconosciuto alcune parole, questa qui” – indicò uno degli ideogrammi – “Significa lama, mentre questa sequenza, se l’ho tradotta bene, dovrebbe significare introvabile

Castiel le si avvicinò – “Fa’ vedere” – diede una rapida scorsa alle pergamene.
“Questo linguaggio risale a millenni fa…” – commentò aggrottando la fronte – “Credo sia una forma arcarica di enochiano, probabilmente contaminata con il sanscrito perché non riesco a riconoscerne tutti i caratteri ma…qui parla davvero di un’arma, una lama forgiata da Dio stesso in grado di uccidere un Arcangelo, e che gli angeli non possono localizzare”

“Non posso crederci” – Sam aveva gli occhi sgranati – “Avevamo la soluzione tra le mani e…”

“…Se non fossi fossi arrivato io non l’avreste mai trovata” – Gabriel terminò la frase al posto suo.

“Potresti aiutarmi con la traduzione” – propose Castiel – “Il testo è piuttosto criptico in alcuni punti, in due impiegheremmo meno tempo”

L’Arcangelo alzò gli occhi al cielo – “E va bene! Ma voi due Winchester mi dovrete ben più d’un ringraziamento, a questo punto!”

“A proposito… ” – tossicchiò Sam – “Non che mi dispiaccia, che mio fratello tenga il becco chiuso per più di due secondi, ma forse sarebbe il caso di restituirgli la parola, adesso”

Gabriel rise – “Solo perché me l’hai chiesto educatamente, spilungone. Dean, faresti bene a imparare le buone maniere da tuo fratello prima di finire in qualche pasticcio” – schioccò le dita.

“Non che ti dispiaccia, eh?” – Dean lanciò un’ occhiata velenosa al minore – “Un giuda, ecco quello che sei” – sibilò passandogli accanto – “Vatti a fidare dei fratelli…vatti a fidare…”






Il resto della giornata trascorse in uno stato di concitata calma: Dean si dileguò subito dopo pranzo, con la scusa di andare a fare un po’ di spesa, mentre Sam ed Ellie si chiusero in biblioteca a spulciare qualche altro vecchio tomo.

Seduti al tavolo della cucina, Gabriel e Castiel sembravano due amici di vecchia data che, dopo tanto tempo trascorso l’uno lontano dall’altro, ormai non sapevano più come iniziare una conversazione.

“Così giochi con i Winchester adesso”

Castiel non rispose.

“Castiel, io non sapevo niente dei piani di Michael. Se avessi immaginato le sue intenzioni sarei…”

“Saresti rimasto?” – il moro sollevò gli occhi dalle pergamene – “Saresti davvero rimasto in Paradiso? Avresti tenuto testa al resto degli Arcangeli?”

Gabriel avvampò: tutta la sua baldanza pareva essersi volatilizzata.

“Non sono arrabbiato con te Gabriel. Nessuno avrebbe potuto prevedere quello che è successo, nemmeno tu. Ad essere sincero non lo so neanche più cosa provo, mi sento soltanto…stanco”

Tacque. Per un po’ in cucina si sentì solo il fruscio leggero della carta che veniva sfogliata.

“Mi dispiace, Castiel. Per quello che ti ha fatto mio fratello, per tutto quanto” – gli occhi dell’Arcangelo erano lucidi come due specchi d’ambra.

“Ormai non ha più importanza: adesso gioco con i Winchester, come hai detto tu. Quindi cerchiamo di cavar fuori da queste pergamene qualcosa di utile il più in fretta possibile”

Gabriel annuì, ma non era ancora intenzionato a mettersi all’opera.

“Quanto si racconta del marchio…è la verità quindi. La tua anima si è davvero legata a quella di Dean Winchester, quando lo hai salvato dall’Inferno”

“Non capisco”

“Davvero?” – l’Arcangelo inarcò un sopracciglio, e stavolta fu Castiel ad arrossire.

“Comunque non è una faccenda che ti riguarda!” – sbottò.

“Hai ragione. Il giorno in cui moriremo tutti fulminati per colpa dell’elettricità che si crea tra te e Dean quando vi trovate nella stessa stanza, allora sarà una faccenda che mi riguarda!” – commentò sarcastico Gabriel, prima di afferrare una delle pergamene e affondarci dentro il naso.

Castiel non seppe come replicare. Si limitò ad appallottolare l’ennesimo inutile tentativo di traduzione e a provare – senza riuscirci – a centrare il cestino a qualche metro dal tavolo mentre l'arcangelo, già ritrovato il solito buonumore, se la rideva sotto i baffi.






Una settimana dopo, tutte le pergamene erano state tradotte.
Gabriel se ne stava stravaccato a divorare cioccolatini, dondolando pigramente una gamba oltre il bracciolo imbottito del divano.

“Quindi questa famiglia dovrebbe essere stata incaricata di custodire la Lama?” – Sam teneva il laptop aperto sulle ginocchia, picchiando sui tasti come se non ci fosse un domani (e chissà, forse non ci sarebbe stato davvero, un domani) mentre Castiel gli dettava nomi incomprensibili di individui vissuti secoli prima.

“Secondo quanto è scritto nelle pergamene, la Lama viene tramandata di generazione in generazione e non può essere in alcun modo distrutta da angeli o uomini”

“Beh, non sono un appassionato di genealogia ma…”

“Ma sappiamo che sei un nerd Sammy” – lo interruppe Dean, dando un’altra sorsata alla sua birra – “Quindi metti in moto gli ingranaggi di quel tuo cervellone e fa funzionare quell’aggeggio!”

Il minore sospirò – “Grazie per la pazienza, Dean”

“Prego, non c’è di che”

Il sonoro beeeeep del computer li fece sobbalzare.
“C’è una corrispondenza!”

D’un tratto si ritrovarono tutti accalcati intorno a Sam.

“Di chi si tratta?” – domandò Ellie, dal pianerottolo del secondo piano: Olivia si era appena addormentata.

“Una certa famiglia Levitt, nel Wisconsin. George e Greta, a quanto pare il loro vero cognome è… oh

“Cosa c’è?” – lo incalzò Dean, che da dove si trovava non riusciva a vedere lo schermo.

“Sono morti: tutti. Tre anni fa la loro casa è esplosa a seguito di una fuga di gas” “Fantastico” – borbottò il maggiore – “Siamo di nuovo al punto di partenza”

“Aspetta. Nell’articolo che ho trovato non c’è scritto, ma controllando i vecchi registri catastali risulta un magazzino appena fuori Janesville ancora intestato alla famiglia, e a quanto pare nessun erede si è fatto vivo per reclamarlo”

“Pensi che la Lama possa trovarsi lì?” – domandò Ellie.

“Penso che potremmo andare a controllare, in ogni caso”

“Oddio” – Dean si mise le mani tra i capelli – “Saranno almeno quaranta ore di macchina da qui fino in Wisconsin!” – borbottò in preda allo sconforto.

“Oh questo non è un problema” – esclamò Gabriel, ancora comodamente sdraiato sul divano, come se quella faccenda non fosse affar suo – “Posso teletrasportarvi comodamente fino a Janesville: uno dei regali che ci ha fatto paparino” – sghignazzò.

La porta della cucina sbatté di colpo, facendo volare i fogli sparsi sul tavolino del soggiorno; Ellie si alzò per andare a chiudere le finestre.

“Quindi, qual è il piano?” – domandò l’Arcangelo sbadigliando – “Sapete, ho conosciuto una ragazza di Janesville qualche anno fa: mi piacerebbe tanto rivederla, abbiamo trascorso una notte di fuoco che non…”

“Qualunque sia il piano ragazzi…” – lo interruppe Ellie dalla cucina – “Credo che sia meglio muoversi: sta succedendo qualcosa là fuori”

Castiel aprì le tende della finestra del soggiorno.

Il cielo era diventato rosso.
Un rosso cupo, scuro, come sangue coagulato.
I cani iniziarono ad abbaiare e ululare, ne videro uno attraversare la strada, impazzito, e correre a rifugiarsi tra i cespugli rischiando d’essere quasi investito da un camioncino che sfrecciava a tutta velocità.

Gabriel appoggiò una mano sul vetro e un strato di condensa gelida iniziò a formarsi intorno alle sue dita, finché tutta la finestra si appannò. Poi dall’esterno arrivò lo scoppio assordante di un tuono e iniziò a piovere. Acqua sporca, scura, fangosa.

Gabriel tolse la mano dal vetro.

“È iniziata”




Buonasera e scusate per il ritardo,
spero che questo capitolo vi sia piaciuto (almeno a voi, perché io non ne sono troppo soddisfatta). Inoltre perdonatemi eventuali errori di battitura, non ho avuto molto tempo a disposizione per ricontrollare bene il tutto.
In SPN è presente una Lama dell'Arcangelo, ma non ha nulla a che fare con questa qui, come forse avrete già immaginato.
Ne approfitto infine per augurarvi Buona Pasqua, questo week-end non ci saranno aggiornamenti per cui ci rivediamo la prossima settimana :)

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Capitolo 11
*** Precipitare ***


In questo capitolo è presente il terzo flashback riguardante la vita di Castiel prima della caduta. Ne ho segnalato l’inizio e la fine con degli asterischi.
Buona lettura!


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




Era in momenti come quello, che Sam arrivava a odiare suo fratello.

“No Sam, abbiamo bisogno che qualcuno resti qui, in caso le cose vadano male in Wisconsin”

Esattamente come succedeva quando erano piccoli, Dean gli dava una pacca sulla spalla e gli raccomandava di chiudere bene la porta e di non aprire a nessuno. Poi lui e John sparivano per giorni e lui rimaneva in stanza ad aspettare.
La sua stessa infanzia, in certi momenti, gli pareva essere stata nient’altro che una lunghissima attesa.

Il cielo era ritornato normale sopra la città, aveva anche smesso di piovere. Non era andata altrettanto bene a Los Angeles, dove una tempesta di proporzioni inaudite aveva spazzato via un quartiere intero. Fenomeni di simile entità si stavano verificando da qualche ora più meno in ogni parte dell’America: in un paesino in Oregon c’era persino stata una pioggia di rane.
Sam spense la televisione con un sospiro; Olivia, quando sua madre era andata via, insieme a Dean, Gabriel e Castiel, aveva pianto fino ad addormentarsi e adesso sonnecchiava sul divano, agitandosi ogni tanto sotto le coperte.

Il suo cellulare vibrò, era un messaggio di Dean.

“Siamo a Janesville”

Gabriel non aveva mentito: avevano impiegato più o meno tre minuti per arrivare dall’altra parte della nazione.

“Ciao, Sam”

No.
No, no, no, no.

“Su, non fare il timido: non mi sono mai piaciuti i bravi ragazzi”

Il Diavolo, tutto sommato, aveva un aspetto piuttosto normale: un uomo vicino alla trentina, bianco, capelli corti, appena spettinati, vestiti anonimi.
Eppure, il cacciatore non avrebbe avuto il minimo dubbio sul fatto che quello davanti a lui fosse Lucifero.

“Che cosa vuoi?”

“Che cosa vuoi tu, invece” – Lucifero sorrise, mefistofelico, e si sedette sul divano accanto ad Olivia, sistemandole le coperte che le erano scivolate dalle spalle. Sam trattenne il respiro, la pistola già in pugno, per quanto potesse essere utile un’arma del genere contro Satana in persona.

"Rilassati, la bambina non mi interessa” – l’Arcangelo mosse pigramente una mano e Sam si ritrovò seduto – o meglio, bloccato – nella poltrona di fronte, la pistola misteriosamente sparita chissà dove.

“Vedi, io non sono un sadico fuori di testa, a differenza di come mi si dipinge. Mi piace piuttosto considerarmi un…attento calcolatore. Con un’indole un po’ vendicativa, lo ammetto, ma ognuno ha i propri difetti, no?”

Sam digrignò i denti – “Qualunque sia il tuo piano, sappi che ti fermeremo”

“Oh, Sam!” – Lucifero si lasciò andare ad una risata acuta, fastidiosa come un rumore di unghie su una lavagna – “Azazel mi aveva parlato di te come un ragazzo sveglio. Pensi davvero che il vostro patetico tentativo di recuperare la Lama dell’Arcangelo possa funzionare?”

Il cacciatore impallidì.

“Le notizie corrono veloci, di questi tempi” – commentò sarcastico il Diavolo – “E Michael si prenderà presto il tuo bel fratellino, lui ottiene sempre quello che vuole” – continuò con un certo disappunto – “Perciò…”

“No” – Sam adesso lo fissava con espressione truce – “Vuoi che io acconsenta a diventare il tuo tramite, ebbene la mia risposta è no”

Lo sapeva. Lo aveva sempre saputo, da quando Azazel aveva posato su di lui quello sguardo giallo e torbido, carico di aspettativa, mentre dalle porte dell’Inferno si riversavano fuori demoni come onde del mare.
Era lui quello sbagliato, e Dean non avrebbe mai dovuto riportarlo indietro.

Lucifero corrugò appena la fronte.

“Sempre così integerrimo…” – borbottò – “La tua vita deve essere estremamente noiosa” – si alzò e si diresse verso la poltrona sulla quale il ragazzo era ormai bloccato da dieci minuti.
La sua mano ghiacciata scivolò piano, quasi con dolcezza, tra i capelli di Sam, che si ritrasse di scatto, tremando.

“Pensi che voglia farti del male?” – gli domandò Lucifero – “Potrei farti contorcere su questa poltrona fino a farti implorare di diventare il mio tramite, i miei demoni lo troverebbero molto divertente” – ghignò.

Poi si chinò su di lui, fino a sfiorare con le labbra il suo orecchio – “Ma come ti ho già detto, io non sono un sadico fuori di testa, a differenza di Michael. Potrei persino evitare che tuo fratello venga posseduto da quel megalomane, se tu me lo permettessi…”

Lucifero si allontanò quel tanto che bastava a godersi l’espressione sconcertata comparsa sul volto del cacciatore.

“È una proposta ragionevole, non trovi? Io faccio fuori Michael prima che faccia a pezzi la coscienza di tuo fratello, e in cambio tu mi dai il permesso di fare a pezzi la tua!” – rise di nuovo, adesso la sua risata era terrificante.
“Pensaci Sam. Dean ha trascorso quarant’anni all’Inferno, per te. Tu, per lui, cosa saresti disposto a fare?”

Lucifero sparì in un fruscio di ali.

Sam rimase immobile sulla poltrona, nonostante adesso potesse muoversi liberamente. Poi si alzò, con calma serafica, e andò in bagno a sciacquarsi il viso: lo specchio gli restituì l’immagine deforme di un paio d’occhi rossi, spaventosi, al posto delle sue placide iridi nocciola.

Colpì lo specchio. Una, due, tre volte, finchè le sue nocche non iniziarono a sanguinare. Al quarto colpo il vetro si scheggiò, e il suo riflesso ritornò normale.

Sam si lavò via il sangue dalle mani ed uscì dal bagno; sul divano, Olivia dormiva ancora.






Il magazzino si trovava appena fuori città, in un quartiere grigio e anonimo, palazzi tutti uguali e strade che avrebbero avuto bisogno di essere messe a nuovo.
Dean si massaggiò le tempie con le dita: il teletrasporto angelico gli aveva lasciato un fastidioso ronzare nella testa; Ellie non sembrava stare meglio, si era appoggiata alla parete scrostata dietro di lei e sembrava essere sul punto di svenire.

“Il magazzino dovrebbe trovarsi in questo edificio, secondo l’indirizzo di Sam” – disse Gabriel. Lui e Castiel erano freschi e rilassati come se fossero appena scesi da una limousine.

Il gruppetto si incamminò lentamente verso una delle entrate di servizio, chiuse a chiave: l’Arcangelo fece saltare la serratura con uno schiocco di dita.
L’interno del palazzo era deserto, e i magazzini in affitto si trovavano nel seminterrato, alcuni metri sotto il livello della strada. Percorsero diversi corridoi umidi, puzzolenti di muffa, finché su una delle innumerevoli porte davanti alle quali erano passati trovarono una targhetta arrugginita, con su scritto “Levitt”.

“È questo!”

Dentro il magazzino era accatastata un’impressionante quantità di roba: sedie sfondate, scatoloni impolverati, radioline e vecchi computer ammucchiati sopra un baule tarmato, persino un manichino d’un negozio.
Un topo grosso quanto una mano sgattaiolò fuori da un armadietto, squittendo spaventato, e corse a nascondersi in un buco del muro.

“Cavolo!” – esclamò Ellie – “Ora capisco perché nessuno è venuto a reclamare questo posto”

Trascorsero le due ore seguenti a rovistare senza troppo successo in mezzo a quel ciarpame: ogni tanto un topo, uno scarafaggio o un ragno schizzavano fuori dagli scatoloni facendoli sobbalzare. Naturalmente, Gabriel si era seduto su una delle sedie sfondate e si era limitato a osservarli per tutto il tempo, senza muovere un dito.

“Potresti anche darci una mano, eh?” – commentò Dean, stizzito, con gli occhi rossi per tutta la polvere che aveva respirato.

“Naaaaah” – l’Arcangelo accavallò le gambe e continuò beatamente a mangiare la sua tavoletta di cioccolato.

“Venite a vedere”

Castiel aveva spostato i computer e le radioline e aveva aperto il baule tarmato. All’interno, insieme a una dozzina di statuette di porcellana di dubbio gusto e a un abito da sposa di mezzo secolo prima, c’era un involucro di stoffa oblungo, dalla forma inconfondibile, dalla cui estremità spuntavano tre centimetri di una lama nera, brillante, e che – a differenza di qualsiasi altro oggetto del magazzino, ricoperto da uno spesso strato di polvere – sembrava essere stata appena lucidata.

Castiel svolse l’involucro di stoffa. La lama nera, che era ben più lunga di tre centimetri, era saldata ad una specie di bastone ligneo, anch’esso nero, completamente ricoperto di incisioni.

“È lei” – sussurrò, percorrendo con le dita i simboli enochiani, rozzamente intagliati nel legno.

Poi qualcosa lo scaraventò contro il muro, sollevando una nube di polvere grigia.

“Bene, bene, bene”

Dean non riuscì a capire chi avesse parlato perché – una frazione di secondo dopo – lui ed Ellie seguirono la stessa sorte di Castiel, in un fracasso di mobili rotti.

Sulla porta del magazzino erano comparse tre figure altere.

“Ben trovato, fratello

“Raphael, che incantevole sorpresa!” – Gabriel sfoderò un ghigno a metà tra il sarcastico e il minaccioso – “Non sei cambiato di una virgola, sempre così…inopportuno

“E tu sempre così irriconoscente, nei confronti della tua famiglia: da codardo a traditore, a quanto vedo”

L’Arcangelo si diresse verso il baule tarmato dove era posata la Lama, mentre gli altri due angeli rimanevano sulla porta.
“L’abbiamo cercata in ogni dove…” – mormorò – “Michael potrebbe addirittura essertene grato, fratello”

Un attimo prima che le sue dita si chiudessero intorno all’arma, Castiel si alzò barcollando dal pavimento e tirò un calcio al baule, il cui contenuto si rovesciò a terra sommergendo la Lama sotto un mucchio di cianfrusaglie ammuffite.

Rapahel sbuffò – “Michael è sempre stato un incapace, nello scegliere i propri sottoposti” – afferrò Castiel per la gola e lo sollevò come un fuscello – “Oltre che troppo indulgente nel punirli”
I suoi occhi iniziarono a brillare, ma non era una luce rassicurante. Castiel spalancò la bocca come se stesse per gridare, mentre il suo corpo si agitava a mezz’aria.

A quel punto, Gabriel attaccò.

Dean non avrebbe saputo dire di preciso cosa accadde nei minuti seguenti: Raphael lasciò la presa sul collo di Castiel – il quale rimase per qualche istante a tossire sul pavimento – e si ritrovò proiettato contro la parete a una velocità mostruosa.
I due angeli si avventarono contro Ellie e Castiel.

Dean si lanciò verso la ragazza ma d’un tratto uno degli angeli tese la mano verso di lui e il cacciatore si ritrovò bloccato a terra, incapace di muoversi.

“Non siamo autorizzati a fare del male a te, Winchester” – lo canzonò, mentre Ellie volava dall’altra parte della stanza – “Quindi stai buono lì e non dare fastidio”

Nel frattempo l’altro angelo aveva raggiunto Castiel – ancora frastornato, dopo essere stato quasi ammazzato dall’Arcangelo – e lo guardava dall’alto in basso, senza toccarlo, con la mano destra chiusa a pugno davanti a sé.
Ogni volta che stringeva il pugno, il moro si contorceva come se gli stessero strappando le viscere.

“Così…patetico” – lo schernì l’angelo – “Tra tutti gli angeli del Paradiso sei stato senz’altro il più stupido”

Castiel sputò un grumo di sangue e cercò di rimettersi in piedi, puntellandosi sui gomiti – “E tu il più vigliacco, Uriel” – sibilò.

Uriel arricciò le labbra e dalla gola di Castiel proruppe un urlo lacerante; poi cadde di nuovo in ginocchio, stringendosi le braccia al petto.

“Ci hai traditi, rinnegati!” – Uriel gli sferrò un calcio nello stomaco – “Tu che eri stato scelto tra tutti noi! Tu che avresti dovuto servire il Paradiso, hai preferito queste scimmie ai tuoi fratelli!”

“BASTA!” – Dean si scagliò con tutte le sue forze contro l’angelo il quale, colto di sorpresa, barcollò all’indietro, allontanandosi dal moro.
Nel frattempo, Gabriel e Raphael continuavano a combattere, furiosamente.

“Così saresti tu il famoso Dean Winchester?” – l’angelo si scrollò di dosso il cacciatore come se si trattasse di un insetto fastidioso – “Michael non se la prenderà a male per qualche graffio”

A quel punto Dean sentì una fitta lancinante al petto, come se gli stessero scavando nella cassa toracica con un cucchiaio. Uriel torreggiava su di lui, la mano chiusa a pugno davanti a sé.
“Tuo padre si vergognerebbe di te” – sibilò.

“Non osare…” – Dean riusciva a stento ad articolare le parole – “Non osare neanche pronunciare il suo nome” – rantolò.

L’angelo rise.
“E come pensi che reagirebbe, John Winchester, sapendo che il suo adorato figlio ha dato il via all’Apocalisse?”

Il ragazzo sbiancò.

“Il tuo nuovo amico non te l’ha detto? Il primo dei sessantasei sigilli necessari a far evadere Lucifero dalla gabbia…l’hai spezzato tu. L’Uomo Giusto ha versato sangue all’Inferno…Alastair ci aveva già provato con tuo padre, senza riuscirci. Ma tu non sei come lui, tu sei molto più debole”

Dean si accasciò sul pavimento con gli occhi spalancati, sotto shock, mentre Uriel continuava a infierire su di lui.

“Smettila Uriel. Ora basta”

Castiel adesso si frapponeva tra lui e il cacciatore, un rivolo di sangue gli colava dalla tempia.

“Che premuroso…” – lo motteggiò l’angelo – “È grazioso, per essere un umano, questo te lo concedo: un bel giocattolino. Ma cadere a causa sua…Castiel, come hai potuto ridurti così?”

“Cass…” – lo chiamò Dean alle sue spalle, con un filo di voce – “Cass, che cosa significa?”

Il moro si girò a guardarlo, con gli occhi lucidi; schiuse appena le labbra, come a voler dire qualcosa, ma Uriel lo superò con due falcate e spinse violentemente il cacciatore contro la parete.
“Significa che il tuo amichetto ti ha preferito ai suoi fratelli; che ha disobbedito a Michael, per te. E quando tutta questa storia sarà finita e tu non servirai più, io ti giuro che…”

Il magazzino fu inondato da una luce abbagliante; Dean si coprì il viso, per non rimanere accecato, mentre il braccio che Uriel teneva premuto contro la sua gola svaniva in una nuvola di fumo azzurro, assieme al resto dell’angelo.

Quando il cacciatore riaprì gli occhi, tutti gli angeli erano spariti. Compreso Gabriel.

Sul pavimento incrostato spiccava un bizzarro simbolo in enochiano, tracciato con quello che a prima vista sembrava inchiostro rosso: accanto al sigillo, Castiel si stringeva al petto una mano insanguinata.

“Cazzo Castiel!” – Ellie era sopravvissuta allo scontro con gli angeli con – relativamente – poche ferite. Si trascinò faticosamente accanto al moro – aveva una caviglia slogata – per controllargli la mano.
“Cos’era quella cosa?”

“Non ero del tutto sicuro che funzionasse. Ma li ho solo allontanati, per ora”

“Sarà meglio che chiami un’ambulanza” – Dean si rimise in piedi scrollandosi la polvere dai pantaloni, recuperò la Lama dell’Arcangelo e riavvolse nel suo involucro di stoffa – “Ma prima dobbiamo andar via di qui”

Durante tutto il tragitto dal magazzino al pronto soccorso, e per il resto della serata, non riuscì a guardare in faccia Castiel nemmeno una volta.

Era questo il pezzo che mancava.
Castiel aveva disobbedito a Michael per un motivo ben preciso: per lui.
E lui non avrebbe mai dovuto essere salvato.






Ellie aveva preso il primo volo per la California; poiché Gabriel era sparito insieme al resto degli angeli, avrebbero dovuto utilizzare qualche mezzo un po’ più convenzionale per ritornare a Lancaster.

Dean e Castiel si erano fermati in un motel appena fuori città. Il cacciatore aveva squadernato un’ enorme cartina degli Stati Uniti sul tavolo del motel, sospirando: il giorno seguente avrebbero noleggiato un’auto e con un po’ di buona volontà avrebbero impiegato un paio di giorni per tornare a casa, fuso orario incluso.

Il vero problema, comunque, non era quello.

“Perché non me lo hai mai detto?”

Dean stringeva il collo della sua bottiglia di birra come se volesse romperlo.
Da quando Uriel gli aveva rivelato che era stato proprio lui a spezzare il primo – nonché il più importante – dei sigilli che confinavano Lucifero nella gabbia, aveva iniziato a sentire una rabbia, un misto di furia e terrore che gli facevano venir voglia di urlare, di spaccare qualcosa, di scappare via.
Ma il senso di colpa che era arrivato subito dopo, quello invece lo annichiliva.
Lo trascinava nel buio, lo annientava.

Castiel era caduto a causa sua. Sua.
Ed era una consapevolezza che faceva più male di un demone che ti cava fuori gli occhi dalle orbite.

“Non era importante” – il moro cercava il suo sguardo, senza trovarlo: Dean era abbastanza sicuro che non sarebbe mai più riuscito a guardarlo in faccia senza sentirsi colpevole. E impunito.

“Non era importante?” – il cacciatore finì la birra in una lunga sorsata e si alzò di scatto, spingendosi con le mani aperte contro il tavolo – “Io sono la causa di tutto questo, dell’Apocalisse che incombe sulle nostre teste, della tua schiena torturata…Castiel, come puoi anche solo pensare che non sia importante? Come fai anche solo a sopportare la mia presenza in questa stanza?”
Poi ricadde pesantemente a sedere, con la testa tra le mani.

“Io non dovrei essere qui” – mormorò avvilito – “Avresti dovuto lasciarmi ad Alastair”

Castiel sussultò.

“Guardami” – il cacciatore si ritrovò addosso uno sguardo d’un blu quasi elettrico, mentre Castiel lo spingeva bruscamente contro lo schienale della sedia – “Guardami, Dean”

“Sai qual era il compito affidatomi da Michael, quello per il quale ho tradito i miei fratelli, come ha detto Uriel?”

Dean scosse la testa.

“Mentirti” – il tono di Castiel era duro, freddo, ed era come se un fuoco azzurro si fosse appena acceso dietro le sue pupille – “Avrei dovuto convincerti a fidarti di me, degli angeli, avrei dovuto convincerti che saremmo stati noi i buoni, così quando Michael sarebbe arrivato tu avresti detto sì.”

Poi le sue dita risalirono lungo il braccio di Dean, fino alla spalla.

“Una volta ti ho parlato della grazia degli angeli. Che era come vivere sotto una campana di vetro” – la sua voce si ammorbidì – “La cicatrice che ti ho lasciato addosso, il legame che si è creato quando ti ho salvato dall’Inferno…ha aperto una crepa nella campana di vetro sotto la quale vivevo io. Ho cominciato a provare emozioni che non pensavo esistessero e alla fine…” – esitò.

“Non avrei potuto lasciare che ti facessero del male”

Il cacciatore avvolse le dita intorno al polso di Castiel: in quel momento gli pareva l’unico appiglio a cui aggrapparsi per non precipitare in quegli occhi d'acqua scura.

“E voglio che tu sappia che disobbedirei altre mille volte, se servisse a tenere Michael lontano da te”

Dean avrebbe voluto dire qualcosa, ringraziarlo, forse solo mettersi a singhiozzare come un bambino, ma non ci riuscì.

La bocca di Castiel era sulla sua, e lui non aveva la minima idea di come ci fosse arrivata. Soltanto, aveva l’impressione di aver aspettato quel momento dal giorno in cui era ritornato nel mondo dei vivi.






****

Prima di conoscere Dean Winchester, Castiel credeva di conoscere il coraggio, ma adesso si rendeva conto, nella sua intera esistenza, di non essere mai stato coraggioso.
Era stato soltanto ubbidiente.

Lo sguardo di Michael su di lui era carico di aspettativa.

“Mi aspetto grandi cose da te, Castiel” – gli occhi dell’Arcangelo brillavano come due soli di ghiaccio – “Non deludermi”

“No”

Buffo come due sole lettere siano in grado di portare alla rovina una creatura di Dio.

Michael sorrise – “Temo di non aver capito”

“Se il Paradiso vuole trasformare la terra in una scacchiera sulla quale giocarsi il predominio sugli uomini, faccia pure. Ma io non ho intenzione di aiutarti a rendere Dean Winchester una tua pedina”

Ed era buffo come l’Arcangelo lo guardava, con lo sguardo sbigottito, le ali che avevano iniziato ad agitarsi furiosamente sulle sue spalle e che avevano sollevato un vento gelido, da mettere i brividi.

“Ti ho detto” – ripeté monocorde, sputando le parole una ad una come se fossero avvelenate – “Di non deludermi, Castiel”

Una strana notte iniziò a calare sul Paradiso: le stelle sembravano fatte di fango e sembravano colare, disfarsi sulla volta celeste.

“Mi dispiace, Michael”

“Sì. Ti dispiacerà molto”

Castiel sentì un fruscio, un sibilo basso appena dietro di lui, ma quando si rese conto di ciò che era successo era già troppo tardi: l’Arcangelo gli aveva squarciato la gola.
La sua grazia rimase a fluttuare a un palmo del suo volto, brillava nell’aria come il residuo di una cometa; poi si dissolse e sparì, per sempre, come un pugno di sabbia nel mare.

Castiel vide Rapahel, Uriel, e Zaccaria, vide Haziel, Anael, Dumah e il resto dei suoi fratelli che osservavano la scena, immobili. Vide il volto di Michael, deformato dalla furia, avvicinarsi sempre di più, mentre adesso iniziava a percepire il terrore, il terrore vero, umano, farsi strada dentro di lui.

Poi sentì la sua schiena andare a fuoco, mentre l’Arcangelo gli strappava via le ali, e il dolore si portò via tutto, anche la vista.

Castiel precipitò dal Paradiso senza un grido.

Nel suo giardino stavano per sbocciare le rose.

****




Mi scuso per questo ritardo abissale, ma sono giornate terribili!
Spero almeno che il capitolo vi sia piaciuto :) Il prossimo aggiornamento, ahimè, potrebbe arrivare con qualche giorno di ritardo.
A presto!

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Capitolo 12
*** Qualcosa di vero (e qualcosa di strano) ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




La mattina seguente Castiel si svegliò prima dell’alba, con il sole che ancora non era spuntato del tutto dietro i palazzi, e la luce che illuminava la camera era pallida e azzurrina, surreale. Si alzò a prendere un bicchiere d’acqua.

“Mmmmh Cass, che ci fai sveglio a quest’ora?” – Dean aprì un solo occhio e rimase per un po’ a rigirarsi tra le coperte – “Se hai intenzione di svignartela sappi che: uno, la macchina ce l’ho io e tu non sai guidare; due, se te ne andassi risulteresti assolutamente incivile sotto ogni punto di vista in quanto il galateo prevede esclusivamente la fuga post-sesso, cosa che noi non abbiamo fatto ieri sera e…”

Castiel sorrise e Dean arrossì fino alla punta dei capelli – “…beh pensò che andrò a prendere qualcosa per fare colazione, allora” – concluse imbarazzato, fingendo di cercare i suoi vestiti, sparsi sul pavimento.

“Ho avuto paura di aver sognato tutto. Mi sono svegliato così presto perché volevo essere sicuro che fosse vero”

Dean si fermò con una scarpa slacciata e la camicia appallottolata sotto il braccio. Coprì in due falcate la distanza che lo separava da Castiel lo baciò dolcemente, sfiorandogli appena le labbra.

“Questo ti rende abbastanza sicuro?”

“Sì. Direi di sì”

Il cacciatore finì di vestirsi e uscì ridacchiando.

Un paio d’ore dopo erano a bordo di una sgangheratissima Ford del 99 – non c’era da stupirsi che fossero riusciti a noleggiarla quasi gratis – lanciati in autostrada a quasi 100 miglia orarie.

“Saranno almeno quattordici ore di viaggio oggi Cass, quindi mettiti comodo. Ci fermiamo tra un paio di stati per il pranzo”

Nessuna delle stazioni radio disponibili aveva soddisfatto i gusti del guidatore, così ora nell’abitacolo regnava un rilassante silenzio: Castiel guardava fuori dal finestrino e ogni tanto guardava Dean che canticchiava una canzone degli Aerosmith tenendo il tempo tamburellando le dita sul volante.
Chiunque li avesse guardati, in quel momento, non avrebbe visto che una coppia qualsiasi in partenza per il weekend.

La Lama dell’Arcangelo era ben nascosta nel fondo del bagagliaio, avvolta in un generoso strato di stoffa e protetta con più o meno tutti i sigilli anti-angelo che Ellie e Castiel conoscevano: dopo l’incontro con Raphael, la prudenza non era mai troppa.
Ogni tanto Dean lanciava occhiate preoccupate allo specchietto retrovisore, come a controllare che nessun ospite indesiderato fosse comparso all’improvviso sul sedile posteriore.

Poco prima del tramonto arrivarono in Colorado.
Ad un tratto Dean sterzò – senza nessun preavviso – e imboccò l’uscita dell’autostrada. Castiel, che dormicchiava con la testa appoggiata al finestrino, si ridestò di soprassalto.

“Cosa succede?” – esclamò allarmato.

“Niente di particolare Cass, ho deciso di fare una piccola deviazione, prima che vada via il sole”

“Ma faremo tardi sulla tabella di marcia, Ellie è già arrivata a Lancaster e…”

“Non preoccuparti. Non ci impiegheremo molto” – il cacciatore spinse il piede sull’acceleratore e la Ford scattò in avanti, rombando.

Castiel, piuttosto preoccupato per quel repentino cambio di rotta, ma ancora sottosopra per essere stato svegliato così bruscamente e parecchio dolorante per il combattimento con Uriel del giorno prima, si abbandonò con un sospiro sul sedile e chiuse di nuovo gli occhi.

Qualche minuto dopo sentì la Ford rallentare e Dean che picchiettava delicatamente sul suo braccio.

“Guarda, dormiglione, apri il finestrino”

Castiel si girò alla sua destra, mentre la Ford camminava ormai a passo d’uomo. Davanti a lui, o meglio, sotto di lui – perché la strada che stavano percorrendo era praticamente a picco su un baratro – si apriva un canyon, profondo svariate decine di metri e altrettanto lungo, punteggiato da macchie verdi di alberi e cespugli più o meno radi.

“Dove siamo?”

“Quello che vedi lì” – Dean indicò un enorme pinnacolo roccioso che si allungava verso il cielo – “È il Colorado National Monument. Non sarà il Grand Canyon ma…”

“È straordinario” – lo interruppe Castiel, in un sussurro meravigliato – “…semplicemente straordinario”

“Sì…Era da un po’ che volevo venire a vederlo”

Il sole stava lentamente calando, tingendo di rosso e oro la pietra aranciata delle gole. Si fermarono sul bordo della strada, il cacciatore tirò fuori dall’auto due birre e i panini che avevano comprato poco prima.
Castiel si appoggiò al cofano, riparandosi gli occhi con la mano.

“Questa birra è orribilmente calda” – commentò Dean con una smorfia, sistemandosi accanto a lui. Poi si rivolse a guardare le gole, sospirando – “È ridicolo vero? Che io sia voluto venire qui, neanche fossimo in vacanza, mentre il mondo va a puttane”

“Io non lo trovo affatto ridicolo”

“Il tuo senso dell’umorismo è pessimo, ricordatelo”

Castiel finse di accigliarsi, senza troppa convinzione; il cacciatore sorrise, e appoggiò la testa contro la sua spalla, mentre il tramonto si esauriva in un fuoco d’artificio violetto.

“Mi chiedo come abbia fatto a non accorgermene prima” – mormorò Dean, mentre rientravano in macchina. Si era ormai fatto buio e dovevano ancora trovare un motel per la notte.
“Ti guardavo e mi sembrava impossibile, che tu potessi…che tu volessi…”

“Non tutto procede in linea dritta Dean. E a volte, le connessioni che esistono tra le cose, le persone, semplicemente non le vediamo, o non le vediamo subito. È come se fossimo ciechi, per un po’”
Castiel aveva ancora lo sguardo rivolto verso il Colorado National Monument, che con il crepuscolo s’era fatto scuro, quasi nero, e svettava minaccioso in mezzo al canyon.

Poi salì in macchina, si sporse verso di lui e lo baciò di nuovo, piano, con una lentezza esasperante, e Dean si sentì come se una scarica elettrica gli fosse appena passata attraverso.






“Allora, come avete passato il weekend?” – esclamò Dean tuffandosi sul divano e sollevando un mucchio di cartacce nascoste sotto uno dei cuscini.

“Non meglio di voi due, immagino” – Ellie aveva le sopracciglia inarcate e un sorriso sornione stampato sul volto. Il cacciatore spalancò gli occhi e si tirò su il colletto della camicia, a nascondere i segni di un vistosissimo quanto imbarazzante succhiotto violaceo che gli decorava il collo.

“Animale…” – sibilò, ad un Castiel che invece sembrava perfettamente a suo agio in quella situazione.
Il moro si limitò a sorridergli di sbieco, mentre Olivia osservava tutta la scena con aria compunta, seduta di fronte a loro.

Poi qualcosa sembrò improvvisamente folgorarla e lei saltò giù dalla poltrona, precipitandosi nell’altra stanza.

“Sam! Lo sai che Dean e Castiel sono diventati amici speciali, proprio come te e la mamma?” – trillò emozionata.

“Se ti prendo ti annodo!” – il cacciatore balzò in piedi e la rincorse fino in cucina, dove suo fratello stava mettendo a posto i piatti appena lavati.

“Ah sì piccola?” – rispose dolcemente Sam alla bambina; poi si girò verso Dean – “Beh, era ora no?” – commentò sarcastico con un’alzata di spalle.

“Oh, sta zitto! Piuttosto, come sono andate le cose in nostra assenza? Olivia ti ha teso qualche trappola mortale?” – domandò il maggiore, mettendo accidentalmente il piede sopra qualcosa che assomigliava ad un peluche alieno ricoperto di gelatina. Sollevò il pupazzo con due dita e lo lanciò nel lavandino con aria disgustata.

“Niente di ingestibile” – Sam evitava accuratamente il suo sguardo mentre parlava – “In realtà sono rimasto quasi tutto il tempo a guardare Olivia dormire”

Uno dei bicchieri che stava asciugando gli scivolò dalle mani e s’infranse sul pavimento, spargendo schegge ovunque.

“Merda!” – esclamò il ragazzo, balzando all’indietro per evitare i cocci – “Dean non far entrare Olivia in cucina, io vado a prendere qualcosa per pulire!”
Ritornò poco dopo insieme a uno straccio e a un secchio, e iniziò a raccogliere le schegge imprecando a bassa voce.

“È tutto ok Sammy?”

Se c’era una cosa che Dean aveva imparato, negli anni, a proposito di suo fratello, era che Sam mentiva sempre – spudoratamente – se c’era qualcosa che lo preoccupava.
Esattamente come lui del resto.

“Sì…sì va tutto bene. Sono solo stanco…ed ero preoccupato per te e per Cass, Ellie mi ha raccontato cos’è successo al magazzino, di Raphael e tutto il resto”

“Ce la siamo cavata” – Dean gli diede una pacca sulla spalla e aspettò silenziosamente che finisse di mettere a posto – “Abbiamo la Lama dell’Arcangelo ed è questo che conta, adesso”

Sam si esibì in un sorriso tirato – “Sì. Sì giusto. Vado a buttare questa roba, adesso”
Prese il secchio ed uscì, lasciando un Dean confuso – e anzi piuttosto preoccupato – sulla porta della cucina.






“Allora, qual è il piano?”

Erano di nuovo riuniti tutti e quattro – anzi cinque, contando Olivia che giocava in disparte con un puzzle per bambini – nella biblioteca di Ellie. La Lama dell’Arcangelo era poggiata sulla scrivania, ancora avvolta nella stoffa.

Dean aspettò per svariati minuti una risposta che non arrivò – “Non penserete certo di chiedere a Michael – o a Lucifer – di venire qui a Lancaster per farsi gentilmente ammazzare, spero”

Sam si mordicchiava le labbra, nervoso.
Ellie si attorcigliò una ciocca di capelli intorno al dito – “Io ho provato più volte ad evocare gli angeli: ho provato decine di modi diversi ma nessuno ha funzionato, purtroppo”

“Gli angeli sono diversi dai demoni” – le rispose Castiel – “Per evocarli occorrono ingredienti diversi, e non sempre la cosa funziona. Gli angeli molto potenti potrebbero anche rifiutarsi di apparire, per esempio”

“E ti pareva” – sbuffò Dean.

“Forse Gabriel…lui saprebbe come fare. Ma non ho idea di come rintracciarlo, il sigillo che ho usato su Raphael e sugli altri angeli potrebbe averlo teletrasportato chissà dove” – mormorò Castiel a bassa voce.

Sam gli rivolse uno sguardo inquieto – “Sei sicuro che il sigillo non l’abbia…insomma…”

“Se esistesse un sigillo del genere, in grado di far fuori un Arcangelo così facilmente, avremmo risolto tutti i nostri problemi direi” – sospirò il moro scuotendo la testa – “Ma potrei averlo indebolito, questo sì”

“Sì, beh, io non sento affatto la mancanza di Gabriel se proprio volete saperlo” – s’intromise Dean, beccandosi un’ occhiataccia da Olivia, che ormai adorava lo zio Gabriel quasi più di quanto non adorasse Sam – “In compenso inizio ad avere fame quindi, se nessuno di voi ha qualche idea brillante, io andrei a prendermi una pizza”

“Pizza!” – gli fece allegramente eco la bambina – “Mamma posso mangiare anche io la pizza stasera? Ti preeego!”

“Assolutamente no signorina, tu hai le tue verdure e…”

In quell’istante il campanello trillò un sonoro dlin dlon.

Sam si avviò ad aprire la porta – “Aspettavi qualcuno Ellie?” – domandò alla ragazza mentre girava la chiave nella toppa.

“No…non aspetto nessuno”

“Magari è un fattorino della pizza che ha sbagliato indirizzo” – commentò Dean fregandosi le mani – “In tal caso, Sammy, non azzardarti a mandarlo via!”

Ma sfortunatamente alla porta non c’era nessun fattorino della pizza.

“Buonasera Sam” – davanti al cacciatore era apparso un individuo che era un incrocio tra un impiegato di banca in sovrappeso e un venditore di aspirapolveri a domicilio. Completo gessato, cravatta di un colore improponibile e una certa aria untuosa che metteva immediatamente a disagio.

“Ci conosciamo?”

“Diciamo che io conosco la tua famiglia…di fama. Il mio nome è Zaccaria, e sono un angelo del Signore”

Alle sue spalle, Dean sentì Castiel sussurrare la sua prima parolaccia da quando lo conosceva.

“Oh cazzo”








Buonasera :)
In questo capitolo non succede granché, ma volevo dare un attimo di respiro alla storia, inoltre avrei rischiato di scrivere una roba lunghissima e quindi ho preferito tagliare e inserire la parte successiva nel prossimo capitolo.
Spero comunque che abbiate gradito.
Il prossimo aggiornamento arriverà intorno al 18-20 maggio poiché la prossima settimana avrò un po’ di impegni e poi sarò fuori casa per qualche giorno. Ma ormai ci stiamo avviando verso la conclusione di questa storia (sigh), non mancano molti capitoli alla fine.
A presto!

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Capitolo 13
*** Promesse ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




“Posso?”

Zaccaria oltrepassò Sam ed entrò in casa.

“Siete sempre così disordinati voi umani?” – commentò scalciando via una delle bambole di Olivia, accidentalmente finita accanto al suo piede.

Dean si irrigidì.

“Andiamo, non c’è motivo di usare la violenza. Sono soltanto venuto a scusarmi per il comportamento deplorevole tenuto dai miei fratelli durante il vostro ultimo incontro” – l’angelo provò a smorzare i toni, sorridendo rilassato.

“Scusarti?” – il cacciatore inarcò un sopracciglio – “Quegli angeli ci hanno quasi uccisi”

“Sì, beh…Raphael esagera sempre, è fatto così. E Uriel purtroppo sa essere così impulsivo…per questo oggi Michael ha voluto che venissi io”

“Ti ha mandato Michael?” – s’intromise Ellie.

“Che intuito piccola umana…” – Zaccaria lanciò alla ragazza un’occhiata infastidita e tornò a rivolgersi al cacciatore – “Dean, perché io e te adesso non andiamo via e teniamo una bella conversazione a quattr’occhi? Tutta questa storia è cominciata con il piede sbagliato ma vedi, siamo ancora in tempo per rimediare” – inclinò la testa da un lato – “Non sei tu il fratello cattivo…”

Zaccaria si girò verso Sam, con un sorrisetto a metà tra il sardonico e l’enigmatico stampato in viso. Dean vide suo fratello sussultare e poi chinare lo sguardo, mentre l’angelo lo squadrava dall’alto in basso con aria di sufficienza.

“Sam, che cosa…”

“Oh, segretucci tra fratelli Dean! Chi non ne ha?” – lo interruppe Zaccaria, ridacchiando – “Avrete tutto il tempo per chiarire dopo. Ora dobbiamo parlare io e te”

L’angelo si avvicinò al cacciatore, ma prima che riuscisse a toccarlo qualcosa attirò la sua attenzione e la mano che stava per poggiare sul braccio di Dean si mosse invece nella direzione opposta: dall’altra parte del corridoio si sentirono un tonfo e un lamento soffocato.

“Uriel mi ha detto di quanto accaduto a Janesville. I tuoi trucchetti non funzioneranno una seconda volta, fratello

Castiel era crollato sul pavimento come se l’avessero colpito con una mazza da baseball. Il sigillo anti-angelo, incompleto e oramai inservibile, si era disfatto sulla moquette in una pozzanghera insanguinata.

D’un tratto Dean afferrò il braccio di Zaccaria e glielo torse violentemente dietro la schiena. Si sentì un raccapricciante crack, uno schiocco da far accapponare la pelle, poi l’angelo si divincolò dalla stretta del cacciatore e, come se nulla fosse, con il braccio sano lo spinse contro la parete opposta.
I piedi di Dean si sollevarono di qualche centimetro dal pavimento, mentre Zaccaria gli stringeva il collo, premendogli la testa contro il muro.

“Tutti uguali voi umani” – sibilò tra i denti, prima di lasciare la presa – “Così…mediocri”

Il cacciatore si accasciò lungo la parete, tossendo.

“Io sono venuto qui con le migliori intenzioni sapete?” – continuò l’angelo in tono stridulo – “La venuta di Michael non si può arrestare, le vostre armi, i vostri libri, sono completamente inutili. La mia è un’offerta più che generosa, Dean. Devi soltanto dire di sì, e nessuno di voi si farà del male. La tua famiglia, le persone a cui tieni...hai la mia parola che sopravvivranno”

“E tutto il resto del mondo?” – biascicò Dean in risposta. Avrebbe dato qualsiasi cosa per un po’ d’acqua, aveva l’impressione che la sua trachea fosse in fiamme – “Cosa accadrà all’umanità?”
Zaccaria inarcò un sopracciglio – “Quello che merita da fin troppo tempo, immagino. Una gloriosa purificazione

“Allora no grazie. Dì a Michael che può andare a cercare qualcun altro per i suoi grandiosi progetti. O che vada pure a farsi fottere”

L’angelo strinse le labbra; la sua palpebra sinistra iniziò a contrarsi a intermittenza e per un attimo la sua espressione, più che minacciosa o inquieta, risultò soltanto estremamente ridicola. La testolina bruna di Olivia, nascosta dietro il divano, cominciò a fare capolino da dietro al bracciolo azzurro.

“Mi era stato detto che probabilmente avresti reagito così” – Zaccaria si risistemò la spalla slogata senza emettere un gemito e si aggiustò i gemelli della camicia – “Ma io speravo che ci fosse ancora un po’ di buonsenso, in quella tua testa vuota” – sospirò – “Che delusione...”

L’angelo schioccò le dita e tutti i presenti si immobilizzarono; Dean si sentiva come se al posto dell’aria, intorno a lui, ora ci fosse della melassa, densa e pesante, che opponeva resistenza ad ogni suo tentativo di movimento.

Zaccaria fece scorrere lo sguardo su ognuno di loro, lentamente, come fosse alla ricerca di un taglio di carne particolarmente succulento al banco di una macelleria. I suoi occhi incrociarono quelli di Ellie e poi quelli di Olivia, la quale si ritrasse immediatamente dietro il divano.

“Questo è solo un piccolo avvertimento Dean” – mormorò infine – “Di ciò che potrebbe succedere se continuerai ad essere così inutilmente ostinato” – l’angelo schioccò di nuovo le dita e quella melassa invisibile e viscosa intorno ai loro corpi si dissolse.

“Aspetta, cosa…” – Sam provò a raggiungere Zaccaria ma l’angelo era già sparito.

Dean aiutò Castiel a rimettersi in piedi.
L’ex-angelo si aggrappò al suo braccio, lasciandogli un’impronta insanguinata sulla manica della camicia – “Mi dispiace, non sono riuscito a fermarlo stavolta”

Il cacciatore scosse la testa – “Fammi vedere la mano piuttosto”

Sul palmo destro di Castiel rosseggiava un taglio slabbrato e ancora sanguinante, mentre dall’altra parte, la ferita che si era inflitto a Janesville, quando aveva usato il sigillo anti-angelo per scacciare via Rapahel e i suoi angelici scagnozzi, non si era ancora rimarginata.

“Beh, la buona notizia è che per almeno due settimane sarai esentato dal dover lavare i piatti. Senza contare che questo tipo di suture sono la mia specialità!” – provò a sdrammatizzare Dean – “Ora cerco del whisky e poi ci occupiamo di questa”

Il moro si sedette – piombò – sul divano e gli sorrise, stremato. A volte il cacciatore dimenticava quanto bassa fosse, per Castiel, la soglia del dolore.

Nel frattempo, Olivia aveva raggiunto la madre e si era aggrappata alle sue ginocchia, stropicciandosi gli occhi – “Chi era quello mamma?” – domandò con voce tremolante.

“Una persona cattiva tesoro mio, ma non devi avere paura, l’abbiamo cacciata via e non tornerà più te lo prometto. Adesso Sam ti porta in cameretta ok? La mamma arriva subito, intanto puoi scegliere la storia della buonanotte va bene?” – la bambina annuì.
La ragazza si avvicinò a Sam – “Do una mano a Dean e vengo su. I libri sono nella libreria di fronte al letto, nello scaffale in alto; a Olivia piace arrampicarsi sulle mensole ma cerca di non farglielo fare, l’ultima volta si è quasi rotta una gamba”

“Non preoccuparti” – il cacciatore prese Olivia in braccio e si avviò verso il piano di sopra, canticchiando una canzoncina per bambini; a metà della scala si fermò – “Ellie, il pigiama di Olivia, dove…”

“MAMMA!”

Ellie era ai piedi della scala, in ginocchio in un lago di sangue. Ogni volta che tossiva, la sua bocca vomitava fiotti scuri, rossastri, come se si stesse dissanguando dall’interno.

“MAMMA!” – Olivia si divincolò e si attaccò al corrimano della scala, cercando disperatamente di sfuggire alla presa del cacciatore e di raggiungere la madre, qualche metro più in basso. Richiamato dalle urla, Dean si precipitò in soggiorno, ma tutto ciò che poté fare fu constatare che le condizioni della ragazza si facevano più critiche ogni secondo che passava.
Olivia strillava così forte che dovette tapparsi le orecchie.

“Dobbiamo andare in ospedale. Subito!”

Ellie era diventata cianotica.
Quando la trasportarono nell’Impala non si muoveva quasi più, soltanto il petto – squassato dalle convulsioni – si alzava e si abbassava freneticamente, in un delirante tentativo di incamerare ossigeno attraverso tutto quel sangue che continuava a sgorgarle dalla bocca.






La sala d’aspetto dell’ospedale di Lancaster era stata arredata con molta cura: c’erano divanetti verdi, alcune poltrone dall’aria davvero comoda, svariati distributori di caffè e panini, e un’intera libreria a muro fornita di riviste di ogni genere. In un angolo, c’era anche una cassetta di plastica piena di giocattoli.

Sam camminava avanti e indietro da ormai più di due ore ed era ormai sul punto di scavare un solco nel pavimento. Olivia dormiva su una delle poltrone e nel sonno ancora singhiozzava: non aveva smesso di piangere nemmeno per un secondo, da quando l’Impala era partita sgommando alla volta del pronto soccorso, e alla fine, esausta, era crollata tra le sue braccia.

La stanza era deserta, Castiel era andato a farsi medicare il taglio sulla mano e Dean lo aveva accompagnato. Non che potessero fare molto, in quel momento, i medici avevano trasportato d’urgenza Ellie in sala operatoria e a loro era stato soltanto detto di allontanarsi e di aspettare.
E Sam aspettava, il suono dei suoi stessi passi rimbombava sulle pareti.
I minuti passavano con una lentezza terrificante, sospesi come granelli di sabbia in una clessidra priva di gravità.

“Brutta giornata eh, Sammy?”

Lucifero era appena comparso su uno dei divanetti verdi, le gambe accavallate e un bicchiere di carta in mano, pieno fino all’orlo di un liquido scuro – “Niente male questo caffè, proprio niente male” – commentò sorseggiando amabilmente la bevanda fumante.

“Ti prego, vattene via” – mormorò il cacciatore. Si sentiva talmente stanco e preoccupato da non avere nemmeno la forza di parlare.

Lucifero ridacchiò – “Cos’è quest’arrendevolezza? L’ultima volta volevi spararmi e adesso mi preghi!” – poggiò i piedi sul tavolino di fronte al divano – “Così mi togli tutto il divertimento!”

Sam si limitò a sospirare, passandosi una mano sul viso.

L’Arcangelo posò il bicchiere di carta e alzò le mani, in una specie di blando segno di resa – “È davvero un momento difficile, capisco” – sibilò mellifluo; gli angoli della sua bocca si sollevarono appena.

“Ti avevo detto che mio fratello ottiene sempre quello che vuole Sam” – proseguì – “Ma non temere la tua umana sopravvivrà, Zaccaria ci è andato leggero…questa volta. Certo, tutto questo si sarebbe potuto evitare se solo tu mi avessi dato ascolto prima…”

Sam trattenne il fiato. Lucifero riprese a sorseggiare il suo caffè con noncuranza, scrutando di sottecchi il ragazzo da sopra il bordo del bicchiere.

“E cosa mi assicura che tu invece non farai a pezzi mio fratello, Ellie, e tutti gli altri, semmai…semmai io ti dirò di sì?”

Lucifero finse una smorfia di risentimento – “Così mi offendi Sam! Sarò anche il Diavolo ma so onorare un contratto. Un patto è un patto dopotutto, e credimi, non c’è nulla che desideri di più del togliere di mezzo Michael una volta per tutte” – il viso gli si tramutò in una maschera di rabbia e le sue pupille si accesero come fiamme nere – “Dopo quello che mi ha fatto…dopo avermi scaraventato nelle viscere della terra, deriso, ingabbiato, neanche sbatterlo all’Inferno sarebbe abbastanza”

Le luci della stanza iniziarono a sfarfallare e a ronzare, mentre Sam percepiva la furia dell’Arcangelo aumentare a dismisura, rendendo l’aria elettrica e a tratti quasi irrespirabile.
Poi – rapidamente come era comparsa, l’ira di Lucifero si dissolse e tutto ritornò alla normalità. Il Diavolo svuotò in un ultimo sorso il bicchiere di caffè e con un lancio da professionisti, senza nemmeno guardare, centrò il cestino della spazzatura alle sue spalle.

“Tuo fratello sta arrivando” – gli comunicò serafico – “Direi che è ora di salutarci, due Winchester nella stessa stanza sono decisamente troppo per i miei gusti” – commentò roteando gli occhi.

“Faresti meglio a deciderti in fretta Sammy, o altrimenti la prossima volta anziché in una sala d’aspetto potremmo incontrarci in un obitorio” – Lucifero fece finta di asciugarsi una lacrima con il dorso della mano e sparì, proprio nell’istante in cui Dean spalancava la porta.

“Ho appena parlato con i medici!” – esordì il maggiore, trafelato – “L’intervento è riuscito, Ellie è fuori pericolo”

Sam cadde a peso morto sulla poltrona accanto ad Olivia, la quale mormorò qualcosa, nel sonno, e continuò a dormire.

“È stato Zaccaria, vero?” – un’affermazione la sua, più che una domanda.

Dean annuì – “I dottori non sono stati in grado di spiegare perché una donna in perfetta salute abbia improvvisamente avuto un’emorragia potenzialmente mortale. Il chirurgo che l’ha operata ha detto di non aver mai visto né sentito parlare di un caso del genere”
Sbuffò una risata amara – “Potrebbero addirittura pubblicare un articolo scientifico su questo caso, dice”

Per un po’ nessuno parlò. Il minore sprofondò un po’ di più nella poltrona, tenendosi la testa fra le mani e tradendo un fremito incontrollato che ormai non riusciva più a dissimulare.

“Sam che cosa sta succedendo?” – gli domandò d’un tratto Dean, a bruciapelo – “E non provare a rispondermi niente, ti conosco da quando portavi ancora il pannolino e lo so quando menti”

Suo fratello sospirò: in quel momento avrebbe soltanto voluto addormentarsi lì, in quella sala d’aspetto ben riscaldata, e non risvegliarsi mai più. Inghiottì a vuoto e ripensò a tutte le volte che aveva deluso la propria famiglia, a tutte le volte che aveva deluso Dean, e ora stava per farlo di nuovo.
Loro padre aveva ragione, lui era stato maledetto che era ancora nella culla e sarebbe stato meglio se l’avesse ammazzato subito, se non avesse permesso ai demoni di vederlo crescere per poi usarlo come una marionetta per i loro piani di devastazione. Ma ormai era troppo tardi.

“Ho incontrato Lucifero. È venuto da me mentre voi eravate a Lancaster, e di nuovo stanotte, poco fa. Ha bisogno di un tramite, esattamente come Michael e il tramite…” – esitò – “…sono io” – concluse con un filo di voce – “Dice che ucciderà Michael, se io acconsentirò a farmi possedere. Che nessuno farà più del male a Ellie, o a te”

Dean schiuse le labbra ma non proferì parola; si sedette e poi si rialzò subito dopo; fece due volte il giro della stanza, con Sam che lo guardava ma non osava intervenire.

“Perché non me l’hai mai detto?”

“Non ne avevo il coraggio” – ammise il minore – “Dopo tutto quello che hai fatto per me io non potevo, non riuscivo a non pensare che mi avresti odiato, per quello che – a quanto pare – sono”

“Non è colpa tua” – Dean gli mise una mano sulla spalla – “Non sei un mostro Sammy, non lo sei mai stato, chissenefrega di quello che credeva papà o quello schifosissimo Occhi Gialli. Io ti conosco meglio di chiunque altro e non avrei mai accettato di trascorrere quarant’anni all’Inferno se l’avessi pensata come loro”

I loro occhi s’incrociarono, e Sam si sentì come se avesse di nuovo sette anni, quando lo sguardo verdissimo di suo fratello bastava a scacciare via gli incubi, a farlo sentire a casa, nonostante stessero dormendo in un’automobile ai margini di una strada senza illuminazione.
Ma fu una sensazione che durò poco.

“Michael non si fermerà” – ora una consapevolezza angosciante gravava sopra la sua testa.

“Lo fermeremo noi allora” – Dean rafforzò la presa sulla spalla – “Abbiamo ancora la Lama, possiamo ucciderlo prima che faccia ancora del male a qualcuno, ma ti prego Sammy…promettimi… promettimi che non gli dirai di sì”

“Io…”

Olivia si svegliò in quell’istante, nonostante avesse dormito parecchie ore aveva ancora le guance rosse e l’espressione esausta di chi ha appena smesso di piangere.

La prossima volta anziché in una sala d’aspetto potremmo incontrarci in un obitorio, Sammy.

“Promettimelo!”

“Va bene” – Sam abbassò lo sguardo – “Lo prometto”

Da qualche parte, a centinaia di chilometri di distanza, davanti ad un attonito e alquanto preoccupato gruppo di demoni, Lucifero iniziò a ridere.
E la sua risata si propagò come un tuono attraverso i campi, disturbando le linee telefoniche e le connessioni internet, tant’è che qualcuno pensò ad un’improvvisa tempesta elettromagnetica, originatasi chissà dove, chissà come, nella notte di pece in cui annegava l’America.





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Capitolo 14
*** Se non dovessimo sopravvivere ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




“Quando arriva la mamma?”

Olivia era seduta a gambe incrociate sulla moquette, ma non sembrava molto interessata all’album da disegno e ai colori che le aveva portato Castiel. Si era tolta e rimessa il cerchietto verde – il suo preferito – almeno venti volte, e ora si mordicchiava nervosamente le unghie, sbuffando e sospirando sconsolata di fronte alla stoica calma del suo momentaneo babysitter.

“Sam e Dean hanno appena chiamato. Vedrai che tra poco saranno qui”

Era passata una settimana e quel giorno Ellie veniva dimessa dall’ospedale. Apparentemente stava di nuovo bene, e dopo una serie infinita di esami e di analisi – del tutto inconcludenti – che i medici avevano insistito per farle fare, era finalmente riuscita a firmare il foglio di dimissioni e a farsi riportare a casa.

Dall’esterno si sentì il tonfo attutito di una portiera che si chiudeva e un tintinnio di chiavi che si avvicinava sempre di più. La porta d’ingresso si aprì, Dean mugugnò una specie di saluto, si tolse la giacca di pelle e la lanciò sulla prima sedia libera disponibile. Dietro di lui, Ellie camminava un po’ a fatica, appoggiandosi al braccio di Sam.
Olivia lanciò un gridolino di gioia e si avviò saltellando verso la madre.

“Ciao piccina” – la salutò Ellie, piegandosi sulle ginocchia in modo all’altezza della bambina – “Mi sei mancata tanto sai?”

“Anche tu mamma” – singhiozzò Olivia, buttandole le braccia al collo con tanta foga che alla ragazza si mozzò il respiro.

“Vieni Olivia” – la chiamò Sam, provando a staccarla dalla madre – “Accompagniamo la mamma in camera sua”

“Proprio un bel quadretto” – commentò Dean stappandosi una birra, mentre i tre si avviavano su per le scale.

“Tu come stai?” – gli domandò Castiel, sedendosi accanto a lui.

“Come sto?” – sbuffò il cacciatore – “Non riesco a fare a meno di pensare a un mucchio di cose terribili, ecco come sto. Mi sento come se mi avessero infilato in un frullatore insieme a due o tre film drammatici di basso livello e avessero impostato la massima velocità”

“Un film…in un frullatore?” – Castiel inclinò la testa da un lato – “Ma intendi il DVD del film oppure…”

“Era un modo di dire Cass…” – Dean non riuscì a non sorridere, di fronte a quello sfoggio di ingenuità – “Quello che intendo è che…finché si tratta di me va bene, se gli angeli vogliono prendermi a calci o farmi venire la varicella che facciano pure. Ma tu, Ellie, hai visto cosa le ha fatto Zaccaria, io non voglio…non posso permettere che per colpa mia qualcun altro si faccia del male, capisci?”

“Quello che è successo ad Ellie non è stata colpa tua”

“Mi sento comunque responsabile”

Castiel sospirò – “Beh, sappi che ti sbagli”

“E tu sappi che non ho intenzione di continuare questa conversazione” – il cacciatore si alzò, stizzito, e andò in cucina a prendersi un’altra birra. Poi il moro lo vide appoggiarsi contro la parete, passarsi una mano sul viso e chiudere gli occhi. Non passò molto tempo prima che tornasse a sedersi sul divano accanto a lui, in silenzio.
Castiel aspettò.

“Scusa” – sussurrò Dean, a volume appena udibile – “Non volevo comportarmi da…”
“…da stronzo?” – Castiel alzò un sopracciglio, gli rubò dalle mani la bottiglia di birra e la finì in due sorsate.

“Stavo per dire da idiota, ma forse hai ragione tu”

Castiel sorrise appena – “Perdonato…stavolta”

Dean si allungò verso di lui e gli cinse la vita con un braccio, affondando il naso nel suo collo. L’odore di Castiel gli ricordava il locale in cui, settimane prima, si erano scolati un’intera bottiglia di rum e lui aveva assaggiato quella meravigliosa torta di mele: un odore indefinito, dolce, qualcosa che gli ricordava casa, nonostante lui una casa non l’avesse mai avuta davvero. Qualcosa che lo faceva sentire al sicuro, nonostante tutto.






Aveva ripreso a piovere.
L’acqua aveva invaso le strade e il cielo era così fitto di nubi che sembrava fosse sera, nonostante non fosse neanche mezzogiorno. Il telegiornale aveva annunciato l’arrivo di una nuova – e più violenta – perturbazione che avrebbe colpito di lì a poco le coste della California e aveva raccomandato ai telespettatori di non uscire di casa, e di attrezzarsi in modo da poter gestire una possibile interruzione delle linee elettriche.

Ellie spense la televisione con un sospiro e provò ad alzarsi, cercando di non svegliare Olivia, che si era addormentata sulle sue ginocchia.
“E cosa vi fa pensare che questo piano possa funzionare?” – domandò.

“Assolutamente niente” – Dean, appoggiato allo stipite della porta, continuava a spostare il peso da una gamba all’altra, in un dondolare un po’ nevrotico – “Ma è l’unico piano che abbiamo”

Sam gli lanciò un’occhiata preoccupata – “E se non riuscissimo a evocare Michael? Se lui rifiutasse di mostrarsi?”

“Allora penseremo a qualcos’altro. Ma l’unica alternativa che mi viene in mente, ora, è quella di cercare una scala molto lunga e andare a recuperare quel bastardo direttamente in Paradiso”

Castiel si strinse nelle spalle – “Dean ha ragione. Provare a evocare Michael è l’unico modo che abbiamo per ucciderlo”

Lo sguardo di tutti venne calamitato verso il fagotto sporco posato sul tavolino al centro della stanza; un lembo di stoffa si era appena spostato, e quel mezzo centimetro di lama angelica che lasciava intravedere pareva condensare su di sé tutta la luce della stanza.

“È un suicidio!” – esclamò Sam, paonazzo – “Se Michael si accorgesse di essere stato attirato in trappola potrebbe anche decidere di farci fuori tutti, o peggio! Non avete contemplato questa possibilità? E se invece…”

“Sam…”

“No Dean! Io…”

“Sam…è una decisione che abbiamo già preso”

Il minore ammutolì, spostando lo sguardo sul resto dei presenti: Ellie abbassò gli occhi e Castiel iniziò a tossicchiare, imbarazzato.

“Molto bene” – sibilò sprezzante il cacciatore – “Se questa è la vostra decisione…mi auguro che possiate sopravvivere soltanto per pentirvene” – superò Dean e si richiuse violentemente la porta alle spalle.

“Sam, aspetta!” – Ellie cercò di seguirlo, ma Dean la trattenne.

“Lascia stare” – scosse la testa – “Tra poco gli passerà, mio fratello è fatto così”

La ragazza rimase interdetta; poi Olivia cominciò ad agitarsi nel sonno – era già un miracolo che tutto quel chiasso non l’avesse svegliata prima – e la distolse dai suoi propositi.

“Ellie ti dispiace se io e Dean rimaniamo qui per stanotte?” – domandò timidamente Castiel – “Con questo tempo sarebbe meglio non uscire…”

“Sì nessun problema, sistemiamo il divano letto come l’ultima volta. Porto Olivia in camera sua e vado a prendervi le coperte” – sospirò la ragazza avviandosi su per le scale.
Dal piano di sopra si sentiva il ticchettare dei passi di Sam che camminava nervosamente su e giù per il corridoio. Dean li sentì parlare a bassa voce per un po’, poi il cigolio di una porta che si chiudeva coprì ogni rumore e lui e Castiel rimasero ad ascoltare lo scrosciare inquieto della pioggia sui vetri.






“Credo che andrò a prendere un’altra coperta”

“Hai freddo?”

Castiel si mise a sedere sul letto, facendo scricchiolare terribilmente tutte le molle del materasso – “Il freddo non è una sensazione piacevole” – sentenziò poi, alzandosi.

Ellie teneva le coperte per gli ospiti in un armadio a muro accanto alla sua camera da letto, al secondo piano. Castiel si muoveva nella penombra, cercando di non inciampare in qualche giocattolo disperso; dalla stanza di Ellie proveniva un concitato confabulare, come se lei e Sam stessero litigando a bassa voce.
Il moro si fermò davanti alla porta: probabilmente quella era la prima volta, in vita sua, che provava ad origliare la conversazione di qualcuno. Sentiva come un formicolio bizzarro, un bisogno irrefrenabile quanto infantile, di sapere di cosa stessero discutendo.

“Non puoi Sam...non puoi chiedermi una cosa del genere…”

“Se l’unica che può farlo” – il tintinnio di un bicchiere appoggiato sul comodino – “Loro non potrebbero mai…potrebbe anche non essere necessario…ma se le cose andassero male devi promettermelo…ti prego…”

“Sam, io…” – silenzio. Fruscio di lenzuola. Poi Ellie disse qualcosa con voce talmente flebile che Castiel non distinse una sola parola. Rumore di passi che si avvicinavano. Si avvicinavano?

Il moro spalancò l’armadio in fretta e furia e iniziò a frugare a casaccio al suo interno.

Un attimo dopo Sam uscì dalla stanza, e trasalì.
“Castiel! Non ti…non ti avevo proprio sentito arrivare. Ti serve qualcosa?”

“Cercavo delle coperte. Ho un po’ freddo” – rispose lui in tono stridulo.

“Ah. Bene. Ti aiuto” – il cacciatore si infilò letteralmente nell’armadio e ne riemerse con due vecchi plaid scoloriti – “Ecco qua”

Il moro lo ringraziò con un cenno del capo – “Va tutto bene con Ellie? Vi ho sentiti discutere poco fa”

Sam impallidì – “No...cioè… sì, niente di che. Siamo ancora un po’ sottosopra per quello che è successo, e anche questa faccenda del piano ecco…” – Sam si torceva le mani in grembo – “Chi non sarebbe preoccupato, dopotutto?” – le labbra gli si incresparono in una smorfia tesa.
“Io ho fiducia in tuo fratello” – Castiel gli mise una mano una spalla – “È molto più forte di quanto tu non creda: io l’ho capito la prima volta che l’ho visto, quando ero ancora un angelo e lui un’anima dannata”

Le pupille del cacciatore tremarono, nell’ombra.

“Sono contento che tu sia qui Cass. Che Dean abbia qualcuno come te accanto” – mormorò.

“Ma ci sei anche tu, Sam. Ed Ellie, e tanti altri e…” – Castiel aggrottò la fronte – “Sei sicuro che vada tutto bene?” – gli chiese di nuovo.

Il cacciatore fece un gesto evasivo – “Sicuro Cass. Tutto ok. Ora scusami, sono un po’ stanco, vado a prendere un bicchier d’acqua e vado a dormire. Buonanotte”

“Buonanotte Sam”

Quando Castiel tornò al piano di sotto trovò Dean che sonnecchiava a pancia in su.

“Cos’è, ti eri perso?”

“Ho parlato con tuo fratello”

“E…?”

“È preoccupato per te”

Dean sbuffò – “È la sua specialità, essere preoccupato per me” – si voltò su un fianco – “Piuttosto, tu non hai detto una parola a proposito del piano”

“Ti aspettavi che protestassi?” – Castiel si infilò sotto le lenzuola tirandosi il plaid sotto il mento.

“No, no. Però…”

“È un piano azzardato e pericoloso. E sì, ho paura che Michael possa farti del male, e anche che possa usare me per fartene. Ma – e questo l’ho appena ripetuto anche a Sam – io mi fido di te Dean. E questo è l’unico modo che abbiamo per fermare l’Apocalisse perciò…se anche dovessimo morire provandoci…almeno moriremo insieme. Nel corso della mia esistenza ho visto miliardi di individui morire implorando soltanto di poter rivedere un’ultima volta la persona che amavano” – sospirò – “Ascoltare quelle preghiere inesaudibili era anche peggio che guardarli morire senza poter fare nulla”

“Cass?”

“Sì?”

“Se sopravviveremo a domani, dovrai raccontarmi ogni singolo secondo della tua esistenza angelica. Diluvio universale e peste nera inclusi”

Il moro rise – “In tutta onestà, i quaranta giorni del diluvio universale sono stati forse i più noiosi della mia vita”

Per un po’, si sentì soltanto lo scrosciare della pioggia.

“E se non dovessimo sopravvivere invece?” – Castiel aveva rivolto la domanda al soffitto, ma mentre parlava la sua mano era scivolata lentamente dentro quella di Dean; il cacciatore ne accarezzò il palmo con la punta della dita.

“In realtà…se la mia vita finisse davvero domani, ci sarebbe qualcosa che vorrei fare…prima” – rispose. Castiel si girò a guardarlo e i suoi occhi trovarono ad aspettarli uno sguardo verdissimo e liquido – “Ne sei sicuro Dean?” – gli domandò con voce roca – “Io non…io potrei farti male e non voglio che…”

“Tu non potresti mai farmi del male Cass” – Dean si avvicinò, ogni parola sussurrata a un centimetro dalla bocca di Castiel – “E in ogni caso non mi interessa.”




Perdonatemi per il ritardo mostruoso! Purtroppo ho avuto una serie di scadenze ravvicinate che mi hanno completamente assorbito…e ho dovuto risistemare una parte del capitolo perché altrimenti sarebbe risultato troppo lungo, il che ha allungato ancora i tempi
Cercherò di pubblicare il prossimo capitolo tra domenica e lunedì :)
A presto!

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Capitolo 15
*** Sacrificio ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene




Il temporale si era trasformato in una pioggerella leggera, fitta fitta, che assomigliava ad una nebbiolina lattiginosa appena calata sulla città.
La babysitter che Ellie aveva chiamato era appena arrivata, Olivia le aveva girato intorno un paio di volte e poi, tra collettivi sospiri di sollievo, si era rivolta alla madre.

“Lei è la mia nuova tata, mamma? Mi piace!”

“Sì tesoro. Mi prometti che ti comporterai bene e che non la farai arrabbiare? Io devo accompagnare Sam e i ragazzi a fare una cosa ma tornerò presto”

“Promesso!”

Ellie sorrise – “Vieni qui furbetta, fatti dare un bacio”

Olivia si precipitò tra le braccia della ragazza.

“La mamma ti vuole bene lo sai?” – mormorò Ellie, con il volto immerso nei capelli della bambina – “Più di ogni altra cosa al mondo”

“Anch’io ti voglio bene mamma”

“Ellie…” – s’intromise cautamente Dean – “Dovremmo andare”

“Sì” – la ragazza si stropicciò gli occhi col dorso della mano – “Sì, arrivo”

Nella campagna alla periferia di Lancaster, dopo il vecchio deposito degli autobus, si trovava un vecchio lotto di case abbandonate. Non ci abitava più nessuno da diversi decenni, in alcuni punti il tetto e le pareti erano addirittura crollati e gli edifici erano stati dichiarati inagibili.
Dean chiuse la portiera e si infilò in tasca le chiavi dell’Impala con un sospiro: a quanto sembrava, non c’era anima viva nel raggio di chilometri.

“È questa?” – indicò un portone in legno mezzo marcito.

“Sì è questa. Le altre case sono troppo pericolose: c’è il rischio che ci cada una trave sulla testa” – gli rispose Ellie – “Venite, passiamo dal retro. Lì la porta è già stata divelta”

Evocare un Arcangelo non era esattamente facile: occorrevano un mucchio di ingredienti pressoché introvabili o, se andava bene, al limite del legale. Senza contare che le istruzioni per l’evocazione erano scritte su un vecchissimo e sbrindellato papiro, con quello che aveva tutta l’aria di essere sangue umano, in un enochiano appena comprensibile.

“Io ho finito”

Ellie ficcò nel borsone la bomboletta spray usata per tracciare i sigilli sulle pareti e sul pavimento polveroso della stanza.

“Bene. Allora vado” – Dean estrasse dalla tasca uno stropicciato foglietto di carta e si avvicinò alla ciotola di marmo in cui la ragazza aveva preparato gli ingredienti.

“È proprio necessario che lo faccia tu?” – s’intromise Sam.

“Si Sam” – Castiel si avvicinò e gli strinse dolcemente un braccio – “Gli angeli percepiscono i pensieri di chi li sta evocando. Se Dean riuscirà a fargli credere di essere intenzionato a dire di sì, sta certo che Michael si precipiterà qui”

“E se invece scoprisse che è una trappola?”

“Ne abbiamo già parlato Sammy” – tagliò corto il cacciatore – “Se Michael arriva, tu lo infilzi con la Lama. Se non arriva penseremo a qualcos’altro, sempre che il cielo non ci cada sulla testa prima”

Sam sospirò e tacque.

Dean s’inginocchiò davanti alla ciotola e iniziò a leggere ad alta voce la formula che Ellie e Castiel erano riusciti a trascrivere. Le erbe e il resto degli ingredienti cominciarono a fumare fino a prendere fuoco, e continuarono a bruciare finché non ne rimase che un mucchietto di cenere.
La fiamma tuttavia rimase accesa, apparentemente senza nessun combustibile.

D’un tratto la ciotola si spaccò in due, proprio nel mezzo, e una lunga crepa frastagliata si aprì anche nel pavimento, proprio sotto i piedi del cacciatore, il quale si rialzò in fretta e iniziò a indietreggiare, nel timore che quella spaccatura potesse allargarsi e farlo sprofondare.

In effetti, la crepa continuò lentamente ad allargarsi fino a raggiungere il corridoio ma Dean smise di preoccuparsene nel momento in cui si accorse che davanti a lui, con la testa leggermente inclinata da un lato neanche stesse osservando un qualche strano animale, c’era Michael.

Non che lui avesse la minima idea di quale fosse l’ aspetto dell’Arcangelo, ma il brivido che gli rotolò giù per la spina dorsale non lasciava spazio a molte altre interpretazioni. Con la coda dell’occhio vide suo fratello, seminascosto dietro lo stipite della porta, impugnare più saldamente la Lama dell’Arcangelo e deglutire. Non aveva idea di dove si fossero nascosti Castiel ed Ellie, sperava soltanto che fosse in un posto abbastanza sicuro.

Poi Sam scagliò la Lama contro l’Arcangelo.

“E io che pensavo che foste rinsaviti: Zaccaria sa essere molto persuasivo, quando vuole, ma stavolta non lo è stato abbastanza, a quanto pare”

Michael sorrise, e a quanto pareva gli angeli non avevano idea di come sorridere; Dean era come impietrito, una paura tagliente e ghiacciata gli congelava le ossa.
Michael aveva fermato la Lama ad un centimetro dalla sua gola. La punta luccicante dell’arma sfavillava in sua presenza.

Sam spalancò gli occhi e si ritrovò scaraventato contro il muro nel giro di un istante. Poco dopo, il muro di cartongesso dietro il quale Ellie e Castiel si erano nascosti esplose in un mucchio di schegge e loro due ne furono sbalzati attraverso, atterrando ai piedi dell’Arcangelo.

“Dovevo immaginare che ci fossi anche tu dietro a tutto questo” – commentò atono Michael mentre Castiel tossiva polvere e intonaco.

La Lama era a pochi passi da Dean: lucida e brillante, come se non fosse appena stata sommersa da una nuvola di calcinacci. Il cacciatore si tuffò di lato, rotolando sul pavimento per qualche metro, finché le sue dita non trovarono il manico intagliato dell’arma, e lo strinsero. L’attenzione di Michael era ancora puntata tutta su Castiel, una rabbia atavica deturpava i suoi lineamenti perfetti.
Dean trattenne il respiro e lanciò la Lama contro l’Arcangelo. Si sentì una specie di sibilo, come un fischio acuto: quando Michael si voltò verso il cacciatore era già troppo tardi. La Lama gli aveva sfiorato il viso, procurandogli un lungo e sottilissimo taglio dallo zigomo fino alle labbra, e si era conficcata nella parete di fronte. Sul suo volto si aprì una feritoia di luce e un sangue scuro cominciò a sgorgare dalla ferita.

Michael si passò le dita sulla ferita e la sua pelle immacolata si tinse di sangue nero.

“Adesso mi sono davvero stancato di voi”

L’aria iniziò a tremolare, come se d’improvviso la temperatura fosse schizzata a cinquanta gradi, eppure nella stanza il freddo pareva aumentare anziché diminuire. Poi l’Arcangelo si teletrasportò alle spalle di Dean e gli pose le mani sulle tempie. La vista del cacciatore si appannò e lui cadde in ginocchio, la testa reclinata sul petto.

Castiel provò a raggiungerlo ma venne violentemente respinto all’indietro, trascinando Sam nella sua caduta.

“Dean!” – chiamò il minore – “Dean!”

Ma suo fratello rimase immobile.

“Che cosa sta facendo?” – Sam si rivolse disperatamente a Castiel – “Che cosa gli sta facendo?”

“È nella sua testa”
Castiel sembrava improvvisamente invecchiato di cent’anni.
Nemmeno quando Dean lo aveva recuperato dalla strada il suo sguardo era così angosciato. I suoi occhi blu assomigliavano a due pezzi di vetro opachi.

“Non so cosa gli stia facendo Sam. Nessuno può saperlo”

Michael aveva ancora le mani posate sulle tempie del cacciatore, le labbra tese in una smorfia a metà tra il compiaciuto e l’impaziente. Ogni tanto la testa di Dean si muoveva debolmente, come mossa da uno spasmo, ma i suoi occhi rimanevano aperti e vacui, fissi su un punto indefinito del pavimento.

“Dean! Ti prego…ti prego, devi resistere” – Sam si era trascinato sul pavimento fin dove i poteri dell’Arcangelo gli aveva permesso; lui e Dean adesso erano come circondati da una bolla invisibile, un campo di forza impenetrabile che né Sam né nessun altro era riuscito a scalfire.

Michael distolse per un istante la sua attenzione dal cacciatore.

“Tuo fratello cederà” – mormorò senza nessuna inflessione nella voce, come se stesse constatando l’ovvio – “Si è già spezzato una volta, ed era sotto le mani di un demone, come credi che possa resistere ad un Arcangelo?”

Un singulto spezzato lasciò le labbra di Dean, come a voler confermare quella verità tremenda.

Sam fingeva di non sentire.

“Dean… Dean ascoltami. Sono io, sono Sammy. Il bambino che a sei anni aveva ancora paura del buio, ti ricordi quando volevo andare a dormire con la luce accesa perché credevo che sarebbe uscito un mostro da sotto il letto? E tu mi dicesti che i mostri che vivono sotto il letto non dovevano farmi paura perché sapevamo come ucciderli…che i mostri veri ti entrano nella testa e quelli nemmeno papà sapeva come ucciderli…Dean…”

Il corpo del cacciatore tremava tutto sotto le dita dell’Arcangelo.

“…tu sei migliore di lui. Lo sei sempre stato. Tu puoi cacciare via Michael ma ti prego, ti prego non arrenderti…non adesso Dean…non così”

D’un tratto Dean sussultò violentemente, come se qualcuno gli avesse appena sparato un colpo in pieno petto. Cadde in avanti, inerte, e per una frazione di secondo persino Michael temette che fosse morto. Poi mosse lentamente prima un braccio, poi l’altro, finché non riuscì a tirarsi su facendo leva sui gomiti; si rimise dritto, traballando, la testa china sul petto non lasciava ancora intravedere il suo sguardo.

Sam mosse qualche passo verso di lui, ma il campo di forza era ancora in piedi e lo teneva a distanza.

“Dean?” – sussurrò.

Il cacciatore si voltò verso di lui. Un bianco lattiginoso aveva preso il posto del rassicurante verde delle sue iridi. Un bianco vuoto, inespressivo.

“Chi…chi sei?”

Sam soffocò un singhiozzo. Michael posò la mano sulla spalla di Dean in un gesto quasi amorevole.

“Adesso non ha più importanza. Ma sai chi sono io, vero?”

Il cacciatore sbatté le palpebre un paio di volte: assomigliava a quei reduci di guerra che una volta tornati a casa perdevano la ragione, e non sapevano più chi erano né come si chiamavano. Annuì debolmente – “M-Michael” – balbettò.

“Molto bene” – l’Arcangelo strinse la presa sulla sua spalla e gli si avvicinò un altro po’ – “E qual è la tua risposta, adesso? ”

Castiel trattenne il fiato. Alle sue spalle sentiva Sam e Ellie borbottare qualcosa, le loro voce gli arrivavano ovattate, lontane.

“Sì”

Ma stavolta le labbra di Dean non si erano mosse.

Il campo di forza s’incrinò e collassò su sé stesso con un rumore di vetri rotti. Michael venne scaraventato contro il pavimento, trascinato come da una forza invisibile. Dean era rimasto immobile, completamente imbambolato al centro della stanza, come se non si rendesse conto di quanto stesse accadendo. Castiel lo prese per un braccio e lo trascinò lontano dall’Arcangelo, mentre una luce bluastra iniziava a diffondersi intorno a loro.
Michael ruggì di rabbia.
La luce aumentò d’intensità fino a diventare accecante, si condensò in un enorme globo a mezz’aria e poi sparì, improvvisamente com’era arrivata.

“Ne è passato di tempo, Michael”

Castiel si appiattì contro il muro, la mano ancora stretta intorno al braccio inerte di Dean, che continuava a fissare il vuoto.

Sam drizzò le spalle e avanzò in direzione dell’Arcangelo.

Castiel non capì subito cosa fosse successo —“Sam?” — chiamò. Ma Sam non c’era già più. Quel ‘sì’ pronunciato un attimo prima, era stato il suo: il suo ultimo sacrificio.

Lucifero non degnò Castiel di uno sguardo. Aveva occhi solo per l’Arcangelo davanti a lui.

“Devo ammettere che in questi anni non sei cambiato di una virgola…fratellino

Lucifero si muoveva lentamente, a testa alta: sul fondo delle iridi che un minuto prima erano di Sam, una sfumatura sanguigna pareva essere l’unica conseguenza che la scelta del cacciatore aveva portato con sé.

“Ti ho già battuto una volta Lucifer, posso farlo di nuovo” – sibilò Michael, l’espressione deformata dalla collera – “E stavolta nostro padre non potrà impedirmi di farti a pezzi”

Lucifero sorrise, compassionevole.

“La tua vanagloria non ti sarà utile senza un tramite, lo sai, ma…guarda un po’!” – esclamò – “Io invece ne ho appena trovato uno perfetto
Si arrotolò una ciocca di capelli intorno al dito – “Certo…ci sono alcune cose che non sono affatto di mio gusto…questo taglio da femmina e questa camicia orribile, per esempio, ma avremo tempo per sistemare anche quest-”

Michael gli si avventò contro prima che riuscisse a finire la frase. La casa intera tremò, come se un terremoto ne stesse scuotendo le fondamenta; lo scontro tra i due Arcangeli assomigliava ad uno scontro tra due montagne, ogni colpo andato a segno produceva un fragore assordante, come una frana che precipita a valle.

I due si fronteggiarono per qualche minuto, mentre dal soffitto iniziava a cadere una sottile polvere d’intonaco. Castiel aveva perso di vista Ellie. Sperò che il soffitto fosse abbastanza solido da non crollargli sulla testa: dopo tutto quello che avevano passato, sarebbe stata una fine quasi ridicola. Dean era scivolato con la schiena contro il muro, immobile, le pupille ancora bianche e vuote. Non sembrava aver capito cosa stesse accadendo, non sembrava nemmeno essersi accorto che suo fratello aveva accettato di farsi possedere da Lucifero, che aveva ingaggiato una lotta all’ultimo sangue con Michael, e che loro, adesso, non potevano far altro che rimanerne inermi spettatori.
Castiel si sedette al suo fianco e gli prese la mano. Forse era meglio così, che non capisse, altrimenti il cuore gli si sarebbe già spaccato a metà.

Michael spinse con violenza Lucifero contro la parete, il colpo fu così forte che la vernice azzurrina si crepò e di disfece, lasciando intravedere il rosso cupo dei mattoni. Il Diavolo scoprì di denti in un sorriso ringhiante, mentre un rivolo di sangue gli colava dal mento, macchiando la mano di Michael che lo teneva per il collo.

“Sei…debole” – gorgogliò con voce spezzata. La pressione che l’Arcangelo esercitava sulla sua gola gli impediva quasi di parlare – “Sei sempre stato…il più…debole di noi due”

Michael aumentò la pressione, e il corpo di Sam cominciò a sprofondare sempre più nel muro, frantumando i mattoni come fossero di vetro. Si alzò una nuvola di polvere rossa, irrespirabile.

“Dean dobbiamo uscire di qui!” – Castiel iniziò a tirare il cacciatore per un braccio, nel tentativo di farlo muovere. Si sentì una nuova scossa, il pavimento riprese a traballare sotto i loro piedi – “Dean!”

Lucifero scattò in avanti, colpendo l’Arcangelo alla tempia e scrollandoselo di dosso. Michael perse l’equilibrio per un istante e lui ne approfittò per ribaltare le posizioni, schiacciandolo a terra con tutto il suo peso.

“Addio fratellino” – sibilò – “Non è stato affatto un piacere”
Poi affondò letteralmente la mano nel petto di Michael.

Nello stesso momento, Dean sembrò riscuotersi dal suo torpore. Castiel sentì le dita del cacciatore stringersi appena più saldamente intorno alle sue e una voce flebile che lo chiamava.

“Cass?”

“Sono qui Dean. Sono accanto a te”

Michael urlò. Non di rabbia, stavolta, ma di dolore, e tutto il dolore del mondo sembrava essersi condensato in quell’unico, lacerante, infinito urlo. Castiel si tappò le orecchie con le mani, con la sensazione di non aver mai assistito – nei suoi millenni di vita in Paradiso – ad una crudeltà così efferata.

Il diluvio universale, le guerre, la peste, che cos’erano in confronto alla morte di un Arcangelo?

La sofferenza di Michael durò un interminabile minuto. Sopra la sua testa si era condensata una nebbiolina blu-argento che galleggiava a mezz’aria come una medusa, agonizzando. Il suo corpo d’un tratto si tese fino allo spasimo, come se fosse sul punto di spezzarsi, poi ricadde pesantemente sul pavimento, inerte. Da lontano, Castiel vide la nube argentata che aleggiava sopra la testa dell’Arcangelo diventare per un attimo più luminosa, come una stella pulsante, prima dissolversi e sparire. Nello stesso istante, lo schiocco vicinissimo di un tuono lo fece sobbalzare. All’esterno, il cielo era diventato completamente nero.

Lucifero estrasse la mano dal petto di Michael e rimase a guardare per un po’ il cadavere esanime ai suoi piedi. Gli girò intorno un paio di volte, lo toccò appena con la punta del piede – come per assicurarsi che fosse davvero morto – e il suo petto iniziò ad alzarsi ed abbassarsi ritmicamente, al suono di una risatina gutturale, appena udibile all’inizio, ma che aumentò rapidamente di volume fino a trasformarsi in un ruggito terrificante.

Il Diavolo rise, rise e rise come colto da un attacco di follia. I lineamenti di Sam ne erano stravolti. Quando smise di ridere, ancora con le lacrime agli occhi, la stanza piombò in un silenzio irreale. Lucifero si girò verso Dean e Castiel, raggomitolati in un angolo.

“Tutto sommato penso di dovervi ringraziare” — Lucifero sorrise, con l’aria del gatto che gioca con un topo dall’aria particolarmente gustosa.

Poi una luce simile a un fulmine lo trapassò da parte a parte.

Né Dean né Castiel si erano accorti di Ellie. Forse era uno dei poteri della Lama, forse erano soltanto troppo terrorizzati da quel paio d’occhi rossastri che li fissavano – gli stessi occhi che fino al giorno prima portavano il nome di Sam e che adesso avrebbero potuto incenerirli in un battito di ciglia – per accorgersi di quanto accadesse intorno a loro.

La ragazza li fissava come se non li vedesse per davvero, la Lama dell’Arcangelo ancora stretta in pugno, gocciolante di sangue. Lo stesso sangue che si allargava sul pavimento, in una macchia informe al cui centro, senza vita, giaceva il cadavere di Lucifero.

Il cadavere di Sam.





Scusatemi.
Scusatemi scusatemi scusatemi. Per il mio ritardo abissale (non so nemmeno se si possa chiamare ritardo un periodo di quasi 10 mesi…) e per la fine di questo capitolo.
Ma non disperate ;) il prossimo capitolo sarà l’ultimo e sarà un po’ diverso dagli altri.
Grazie a chiunque abbia pazientato fin qui
Ci risentiamo tra un paio di settimane, stay safe!

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Capitolo 16
*** Legami ***


Disclaimer: storia scritta senza scopo di lucro, nessuno dei personaggi mi appartiene.




Ciò che accadde subito dopo, ancora adesso non so spiegarmelo.

Ellie aveva ucciso Lucifero. Aveva ucciso Sam: e a Dean bastava quello.

Si avventò su di lei, lei che ancora tremava, incredula, e le strinse le mani intorno al collo.

Ero sicuro che l’avrebbe uccisa a mani nude, e lei l’avrebbe lasciato fare. Dean era molto più forte di me, quando ero ancora un angelo del Paradiso mi sarebbe bastato schioccare le dita per renderlo inoffensivo, ma da umano non avrei mai potuto batterlo.

Eppure non potevo permettere che si macchiasse di un simile delitto, né potevo permettere che Ellie si lasciasse ammazzare in quel modo.

Probabilmente quando Dean si accorse che gli avevo appena tirato un pugno, mollò la presa sulla gola della ragazza più per la sorpresa che per il dolore.

“L’ha ucciso Cass!” — continuava a gridare— “L’ha ucciso e io ucciderò lei!”

Ellie piangeva e tossiva, una macchia viola le si iniziava già ad allargare sotto il mento.

“Dean c’è una cosa che devi sapere”

Sam non avrebbe mai potuto confessarglielo apertamente, ma io avevo sentito lui ed Ellie confabulare più d’una notte, chiusi in camera, e ricordavo perfettamente ogni porta sbattuta, ogni esitazione, ogni sospiro spezzato in mezzo ai quali Sam Winchester aveva rivelato alla donna che amava quali fossero i suoi piani, semmai le cose si fossero messe male.

Se non ci fosse stato un altro modo, lui avrebbe detto di sì a Lucifero. E dopo, Ellie avrebbe dovuto ammazzarlo. Nessun altro avrebbe potuto farlo: di certo non suo fratello, e nemmeno io. Dean era, è, il mio punto debole: non avrei mai potuto arrecargli dolore.

Rimaneva soltanto lei.

“Dean, ti prego…Sam non avrebbe voluto questo”

Dean non disse niente. Si trascinò fino alla parete e rimase lì, con la schiena appoggiata al muro e lo sguardo perso. Il verde brillante dei suoi occhi si era intorbidito, come l’acqua di un lago di cui stessero dragando il fondale.

Io avrei voluto soltanto abbracciarlo, e baciarlo, e fargli cadere quella disperazione dal petto ma non potevo. Potevo soltanto tenergli la mano e aspettare che quel momento passasse, e sperare che prima o poi sarebbe passato.

Non so quanto tempo siamo rimasti lì, in silenzio, a vegliare il corpo esangue di Sam. Ricordo solo la sensazione della pelle gelida di Dean contro la mia.

Avevamo vinto. Avevamo vinto e tuttavia nessuno di noi aveva voglia di festeggiare.

Poi, accadde un miracolo.

Nessuno di noi si era più preoccupato della Lama dell’Arcangelo, quando Ellie l’aveva lasciata cadere era finita rotolando dall’altra parte della stanza e nessuno l’aveva raccolta.

La Lama iniziò ad emanare una flebile luce, come una stella lontana, tremolante; poi, di botto, si spezzò in due con un sonoro schiocco.

Sobbalzammo.

Ellie si avvicinò all’arma per capire cosa stesse succedendo, ma quella sembrava essersi trasformata in un bastone di legno: anche le iscrizioni in enochiano erano sparite.

Sam aprì gli occhi.

Non ce ne accorgemmo subito, in quel momento tutta la nostra attenzione era puntata sulla Lama e di certo non ci aspettavamo un ritorno dal regno dei morti di un uomo che aveva appena fatto da tramite al Diavolo in persona.

“D-Dean?”

Fu solo a quel punto che Dean scoppiò in lacrime.

“Sam!” — lo aiutò a mettersi seduto; lo squarcio che fino a un minuto prima gli sfigurava l’addome era sparito, la pelle era ritornata liscia e intatta— “Mio dio Sammy, non so come tu possa essere vivo ma credimi se mi fai un altro scherzo del genere giuro che ti ammazzo io”

Gli incrociò le braccia dietro il collo e lo strinse a sé. Sam appoggiò la testa sulla sua spalla.

“Scusami”

“Non fa niente Sammy…adesso non ha più importanza”

La Lama non era stata creata per uccidere gli umani.
Lucifer era morto, i suoi artigli che affondavano nel corpo e nella mente di Sam si erano disciolti come neve al sole e il ragazzo sbatteva le palpebre per sincerarsi che non stesse sognando, ma era tutto vero, solido e reale, e lui era vivo, tra le braccia di Dean.

Mentre guidava verso casa di Ellie, Dean accese la radio. Passava un vecchio pezzo dei Metallica: tirammo giù i finestrini e il volume era così alto che qualche automobilista si mise a gridare di abbassare e di piantarla con quel casino, ottenendo come risposta un eloquente dito medio.

In cielo non c’era nessuna nuvola ma in compenso vi campeggiava un meraviglioso arcobaleno circumzenitale: un arcobaleno rovesciato, come un enorme sorriso sopra il mondo. Ne avevo visti pochi nel corso della mia esistenza, gli arcobaleni di questo tipo sono assai rari poiché le condizioni affinché si formino sono molto particolari, e non si verificano a tutte le latitudini.

O forse ne avevo visti pochi perché troppo impegnato a cercare di cogliere l’essenza del tutto, come ripeteva sempre Michael, per accorgermi di qualcosa di così effimero.

Dean sorrideva e teneva il tempo tamburellando le dita sul volante.

Gli angeli avevano sbagliato tutto: un essere umano non era affatto qualcosa di effimero.

Dopo quel giorno, la vita di Dean e Sam Winchester non fu più la stessa; ma quella volta, cambiò finalmente in meglio.

Sam si trasferì definitivamente a casa di Ellie, e i due iniziarono a vivere insieme.

Qualche tempo dopo, un Gabriel incazzato come una vipera si presentò a casa loro: il sigillo anti-angelo che avevo usato in sua presenza e che aveva, purtroppo, avuto effetti anche su di lui, lo aveva catapultato in un’isola quasi deserta in mezzo al Pacifico e gli aveva soppresso la maggior parte dei poteri.

Non era in grado di teletrasportarsi, e sull’isola non sembravano esserci imbarcazioni diverse dalle zattere o dalle canoe. Ho detto quasi deserta perché dopo una settimana di stenti e imprecazioni, si era imbattuto in un piccolo gruppetto di indigeni che lo avevano eletto loro sovrano, convinti che lui fosse una specie di divinità scesa dal cielo.

Non avevano sbagliato poi così tanto.

Appena recuperato l’uso dei suoi poteri, Gabriel si era precipitato a Lancaster.
Scoprimmo rapidamente che il motivo reale della sua incazzatura era il fatto che Sam ed Ellie stessero ufficialmente insieme. Ma Olivia continuava a chiamarlo ‘zio Gabriel’ e a saltellargli intorno come un coniglietto, e alla fine la sua rabbia sbollì.

Le decine di donne indigene che avevano trascorso le ultime settimane a venerarlo come un dio si erano rivelate migliori di qualsiasi ragazza americana, dopotutto.
Ci disse che sarebbe ritornato in Paradiso. Morto Michael, la guida degli angeli era anche una sua responsabilità.

Nessuno di noi voleva credergli, all’inizio, le parole Gabriel e responsabilità nella stessa frase erano state il primo ossimoro dall’inizio del mondo. Ma erano successe così tante cose, in così poche settimane, che la speranza che l’Arcangelo fosse davvero cambiato non era poi del tutto assurda.

Dopo quel giorno non l’abbiamo più rivisto.

Il mio viso ha iniziato lentamente a mutare, intorno ai miei occhi e alla mia bocca si sono scavati solchi microscopici, così piccoli che nemmeno Dean se n’è ancora accorto. I miei capelli crescono velocemente. È una sensazione bizzarra, quasi buffa.

Anche io e Dean viviamo insieme ora: due isolati più avanti rispetto a dove abitano Sam ed Ellie. Possiedo dei documenti mirabilmente falsificati e Dean ha di nuovo un lavoro; dovrò cercarmene uno anch’io, tra poco, non nego che mi piacerebbe comprare un carretto dei gelati e andarmene in giro per la città.

Quando l’ho proposto a Dean lui si è messo a ridere, ma non ha detto di no.

Ci siamo sposati alla fine della primavera.

Per l’occasione Bobby aveva comprato uno smoking e si era addirittura pettinato.
Continuava a borbottare che assomigliava ad un pinguino grasso, nonostante Sam provasse in tutti i modi a convincerlo che quello fosse l’abbigliamento perfetto per il suo fisico e la sua età. In ogni caso alla fine della cerimonia l’abbiamo visto tutti allontanarsi con una delle vecchie zie di Ellie quindi forse quello smoking gli stava bene per davvero, ma non l’avrebbe mai ammesso. Non davanti a Dean.

Dean che aveva indosso esattamente lo stesso smoking e, esattamente come Bobby, non vedeva l’ora di strapparselo di dosso.

Cosa che è successa qualche ora più tardi, solo che non sono state le sue mani a far saltare i bottoni della camicia.

Olivia invece era deliziosa e allegra come una pasqua, con la coroncina di fiori e il vestitino color glicine, peccato che nessuno riuscisse a tenerla ferma: continuo ancora adesso a chiedermi come abbia fatto a non perdere le fedine dorate che le avevamo affidato.

Agli uomini basta un anellino d’oro per sancire un legame.

Ogni tanto mi sorprendo a osservarlo, brillante e lucido intorno al mio anulare. Dean mi ripete spesso, soprattutto quando mi sorprende a studiare quell’anello come se fossi un orafo, che né io né lui abbiamo bisogno di fedi che ci ricordino del vincolo che ci unisce.

L’impronta della mia mano è ancora vivida sulla sua pelle, e le cicatrici sulla mia schiena resteranno lì finché il mio corpo non si tramuterà in polvere. Fanno ancora male quando cambia il tempo.

Anche i miei incubi ritornano, molto più spesso di quanto non cambi il tempo. Passano, coprono ogni cosa, ogni emozione, ogni momento felice sotto una coltre di disperazione, e io cado dal cielo come se fossi ancora un angelo, come se Michael mi avesse appena straziato l’anima.

Ed è quando mi sveglio di soprassalto che mi fermo a guardare l’anello che ho al dito: intorno a quel cerchietto metallico il resto del mondo smette di vorticare. Se Dean non si è svegliato anche lui, cosa che succede piuttosto raramente in realtà, resto ad ascoltare il suo respiro.

Come in questo momento.

Prima che Michael mi strappasse le ali condannandomi ad un esistenza mortale, quando il mio Paradiso era un giardino sempre verde, credevo che il respiro del mondo fosse il vento che soffiava piano tra i rami degli alberi, o la brezza dell’alba che accarezzava i cespugli di rose.

Dean ha il viso girato verso di me e ha gli angoli delle labbra un po’ all’ insù, come in un leggerissimo sorriso.

E il suo respiro è il respiro del mondo





Questo capitolo è narrato in prima persona da Castiel, so che è un po' diverso dagli altri ma mi piaceva l'idea di concludere così. Spero sia piaciuta anche a voi.

Siamo ordunque arrivati alla fine della storia.
Ad essere sincera l’idea iniziale era un po’ diversa, poi la storia ha iniziato a correre da sola, da tutt’altra parte, e io mi sono un po’ persa. Vi chiedo di nuovo scusa per la pausa lunghissima che c’è stata. Ci sono sicuramente delle cose di cui non sono pienamente soddisfatta ma non posso negare di essermi comunque divertita (e anche abbastanza impegnata) in questo primo tentativo di scrittura di una long.
Spero che lo abbiate apprezzato almeno un po’ ^.^
Grazie a chi ha messo la storia tra le preferite/ricordate/seguite.
Grazie a chi ha recensito, in particolare a lilyy e a strugatta per aver recensito ogni singolo capitolo con una pazienza infinita (grazie, grazie, grazie). Io imparo un sacco di cose dalle recensioni che mi lasciate, quindi non esitate a esprimere la vostra opinione, positiva o meno che sia. In ogni caso mi farete contenta!
Ho già un altro paio di cosette pronte che aspettano solo di uscire dal cassetto perciò, se vi va, ci rivediamo nella prossima storia.
Stay safe!
L.

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