Fenix

di pattydcm
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


! AVVISO! Sto pubblicando nuovamente la storia suddividendola in capitoli per renderla più fruibile, data la lunghezza eccessiva per una OS. Non ho apportato modifiche alla trama. Buona lettura.
 
Ciao a tutti
Ho litigato con questa storia. L’ho cambiata, tagliata, smontata e rimontata e alla fine mi ero detta decisa a lasciar perdere e passare ad altro. Poi, però, come spesso accade, mi sono concessa una passeggiata con Anna, sorella spirituale, amica e collega e, trascinate dall’incedere agitato del mio Sherlock (giusto per rimanere in tema), ho capito anche grazie a lei perché non riuscissi ad andare avanti. Mentre la scrivevo si aggiungevano temi, trame, personaggi… insomma un casino! Allora mi sono messa lì, ho preso un bel respiro e alla fine l’ho portata avanti. Con tutte le sue trame, i suoi personaggi, i suoi temi e anche qualche dimenticanza, che rende le cose più interessanti.
Volevo raccontare una storia dal punto di vista di John e questa non poteva che essere opera complessa, data la complessità della psiche del nostro dottore. Mi sono fatta aiutare da Fox, personaggio che chi di voi sta leggendo la long che sto pubblicando a rate già conosce. Il grande tema di fondo non poteva che essere ciò contro il quale sto sbattendo la testa per lavoro in questo periodo: il cyber bullismo.
Ne è venuta fuori una OS lunga (perché io sono prolissa, ragazzi, lasciatemelo fare), che spero vi piaccia. È stata sofferta. Molto sofferta.
Ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle e la BBC nella trasposizione realizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma per il puro piacere di scrivere e di raccontare. Mi farà piacere leggere le vostre recensioni e spero la storia vi piaccia
Buona lettura
Patty
 
 
Fenix
 
 
<< Il tuo parere, John? >>.
Il dottore, rimasto come sempre diligentemente ai margini della scena del crimine, si avvicina al consulente fermo a qualche passo dal corpo riverso sul pavimento. Si inginocchia accanto a quella che era una bella ragazzina di appena 16 anni. Sospira cercando di restare il più possibile professionale e distaccato, come gli hanno insegnato gli anni di specializzazione in medicina prima e quelli sul campo di battaglia poi. Avvicina appena le dita guantate a sfiorare il braccio sinistro sul quale la ragazza ha inciso con una lametta lo strano disegno che poi l’ha uccisa, macchiando col suo sangue la moquette della cameretta.
Volge lo sguardo al viso ormai pallido, agli occhi socchiusi e velati che fissano un punto indistinto dinanzi a sé senza più vedere nulla. Per quel che può constatare da una prima osservazione non vi sono tracce di violenza. Le macchie ipostatiche indicano che il corpo è lì, straiato sul fianco, il braccio sinistro disteso per terra e quello destro piegato sul fianco, da almeno dieci ore. Nella mano tiene ancora stretta la lametta.
Si avvicina al viso per annusare le labbra alla ricerca di odore di alcool, veleni o droghe che possano averla indotta al gesto estremo o che abbia introdotto per farsi coraggio. Niente.
Posa la mano sui capelli biondo fieno, così simili ai suoi in un’età passata, e la scosta dopo quella leggera carezza, chiudendola a pugno mentre si allontana da lei.
<< Suicidio >> dice in tono grave. << Avvenuto una decina di ore fa. Non sembra abbia assunto droghe o alcool, ma solo l’autopsia potrà confermare tutto quanto >> si alza in piedi scoccando appena un’occhiata al consulente.
<< E’ stata determinata >> dice questi, le mani giunte al mento in quella posa riflessiva e calma che indica il frenetico lavorio del suo cervello. << Ha prima tracciato il disegno seduta alla scrivania usando quella penna rossa >> dice indicando il piano di lavoro della ragazza, dove la penna incriminata giace di sbieco, la punta a sfera rivolta verso il corpo come una freccia. << Poi ne ha ripercorso il tratto con la lametta. È stato un lavoro lento, doloroso, eppure non si è fermata. È riuscita a completare l’opera diligentemente prima di essere colta dalla debolezza del dissanguamento >>.
<< Lo trovi ammirevole? >> domanda acido John, infastidito dall’estasi che avverte nella sua voce.
<< Indubbiamente notevole >> risponde lui guardando ciò che resta di una giovane vita come un estimatore che osserva un bellissimo quadro. << Soprattutto se, come hai ipotizzato, non ha assunto droghe o altro per farsi coraggio. Questa ragazzina voleva farla finita e lo ha fatto senza esitazioni e voleva lasciare questo messaggio >>.
<< Che senso ha il disegno? >> domanda Lestrade fermo a pochi passi dal corpo. John riconosce sul volto del detective il suo stesso tentativo di distacco e controllo di sé.
<< Non lo so >> ammette Sherlock. << Ma è ciò che rende interessante un altrimenti banale caso di suicidio >>.
<< Sherlock >>, sbotta John esasperato, << siamo davanti al cadavere di una ragazzina disperata che ha compiuto un gesto estremo spinta da chissà quale sofferenza. Non ti permetto di minimizzare l’accaduto riconoscendolo interessante solo per un elemento che accarezza il tuo bisogno di casi complicati da risolvere! >>.
Le parole dure di John gettano il silenzio tra i presenti. Sherlock sostiene il suo sguardo accusatore, ne analizza la motivazione, quei non detti nascosti tra una parola e l’altra, scandagliando il suo animo come il raggio luminoso di una radiografia. Annuisce appena, accettando l’invito, ma senza dare prova di aver capito quanto poco consono sia il suo atteggiamento. Proprio come durante quel macabro gioco che Moriarty ha allestito per lui solo il mese prima. Ecco che gli da un nuovo motivo per pensare che non ci sia nulla di umano in lui. Che sia davvero il sociopatico che dice di essere.
<< Avrò bisogno di analizzare tutti i quaderni della ragazza e il suo pc se vogliamo risalire al significato del disegno >> dice a Lestrade mentre escono dalla stanza per fare spazio al coroner.
<< Signor Holmes… >>.
La madre della ragazza gli va incontro seguita dal marito. Entrambi sconvolti, com’è comprensibile siano, ed entrambi speranzosi di sentir dire dal brillante consulente che no, la loro bambina non ha deciso di togliersi la vita. Qualcuno deve averle fatto del male, perché è più facile accettare l’idea di una violenza sfociata in omicidio che di un gesto incomprensibile come il suicidio. John scocca un’occhiata severa a Sherlock che la nota benchè faccia finta di niente.
<< Signori Jackson avete idea del significato del disegno che vostra figlia ha inciso sul     braccio? >> chiede andando subito al punto, tralasciando convenevoli e condoglianze. I due coniugi si guardano cercando coraggio l’uno nell’altra.
<< Nostra figlia frequenta la scuola d’arte. Ha sempre amato disegnare, fin da bambina. Ha quaderni pieni dei suoi disegni e sta organizzando un portfolio per poterli portare in giro alle case editrici, alle fiere e in tutti quei luoghi dove è possibile per una giovane artista presentare il suo lavoro >> dice la madre con un filo di voce.
<< Rosaline ci ha sempre mostrato orgogliosa le sue creazioni. Ogni sera prima di cena è una vera e propria sfilata di fogli di carta >> sorride il padre.
John non può fare a meno di notare l’uso del tempo al presente, segno che non hanno ancora realizzato, né vogliono realizzare che quello steso sul pavimento a pochi metri da loro è un corpo ormai senza vita.
<< Tra i suoi disegni vi ha mostrato anche quello? >> chiede John, notando come Sherlock sia rimasto fin troppo calmo a sentire le parole dei coniugi. I due si guardano di nuovo.
<< Ce ne faceva vedere talmente tanti… >>.
<< Non nell’ultimo periodo >> dice il consulente e i due rabbrividiscono alle sue parole.
<< Beh… può capitare che un’artista abbia un blocco o che lavori a qualcosa di così intimo da non volerlo ancora mostrare prima di avergli dato forma >> dice il padre passando imbarazzato la mano sul collo. La madre piange silenziosa, lo sguardo basso e la mano, stretta a un fazzoletto, premuta sulle labbra.
<< Io… sospettavo ci fosse qualcosa, ma… >>.
<< Aveva notato qualcosa di diverso in lei? >> domanda John. La donna scuote il capo con decisione.
<< No, nulla di diverso se non il fatto che non ci mostrava più i suoi disegni, come ha detto lei >> dice alzando appena lo sguardo a incontrare quello indagatore di Sherlock.
<< Lo aveva già fatto in passato… >>.
<< No, Alfred! >> grida la donna al marito. << Smettila di continuare a ripeterlo! Io me lo sentivo… non c’entravano nulla l’adolescenza e le tematiche più intime e tutte le altre stupidaggini con le quali te ne uscivi ogni volta che ti facevo notare la cosa. Avremmo dovuto affrontarla e chiederle il perché di quel repentino cambiamento e forse… forse >> si zittisce, tornando a premere la mano contro le labbra. Chiude gli occhi in un silenzioso pianto. Il marito, fermo a qualche passo da lei, respira in modo pesante. John vede nella piccola distanza la crepa che intaccherà il loro rapporto.
<< Sì, è possibile che nostra figlia avesse dei problemi e che noi non ce ne siamo accorti o non li abbiamo voluti vedere o… o non lo so >> sussurra l’uomo. << Quel che ha fatto, però… il modo in cui lo ha fatto… è strano. Non trova? >> domanda speranzoso. John preme il braccio contro quello di Sherlock, che si volta appena verso di lui prima di rispondere.
<< Dietro a un gesto di questo tipo possono esserci mille motivazioni, signor Jackson. Al momento ho pochi elementi per potervi dare una risposta. Ho bisogno di scoprire il significato di quel disegno e per questo dovrò portare via i quaderni di vostra figlia >>.
<< E’… è proprio necessario? >> gli domanda la donna.
<< Mi avete chiesto di indagare e l’indagine comporta anche questo, signora Jackson. Posso garantirle che tratterò con cura ogni cosa e che ve la restituirò in perfetto stato, ha la mia parola >>.
La donna annuisce piano e una lunga, lenta lacrima cade a segnarle la guancia.
<< Ci dispiace per quanto è accaduto, signora >> le dice John e lei annuisce abbozzando un sorriso di circostanza.
<< Vogliate scusarci >> dice l’uomo posando una mano sulla spalla della moglie che rabbrividisce a quel tocco, ma si lascia condurre altrove per evitare di assistere al passaggio degli uomini del coroner con il sacco nero nel quale giace la loro figlia.
John esce dall’appartamento desideroso di una boccata d’aria leggera che contrasti la pesante atmosfera mortifera nella quale è stato fin troppo. In questa mattina di metà giugno il cielo grigio presagisce pioggia imminente e non aiuta certo a ritrovare il buon umore.
<< Non hai dato voce alle tue deduzioni >> dice al consulente giunto al suo fianco.
<< Mi hai impedito di farlo >> ribatte questi, intento a leggere un messaggio appena giunto al suo cellulare. Un sorriso gli incurva le labbra, per poi subito scomparire.
<< E da quando dai retta a quel che ti dico? >>.
<< Da quando sei così coinvolto in un caso >>.
I loro sguardi si incontrano per un lungo istante. John rabbrividisce dinanzi a quegli occhi di ghiaccio così seri e severi su di lui e per tutta risposta indossa la divisa del capitano, irrigidendo il corpo pronto alla battaglia.
<< Una ragazzina di 16 anni si è tolta la vita, dio solo sa perché, Sherlock. Qualunque essere umano dotato di un minimo di empatia sarebbe emotivamente coinvolto >>.
<< Io non ho parlato di coinvolgimento emotivo, John >>.
<< Certo, come potresti? Non ne sei in grado! >> sbotta muovendo un passo verso di lui, i pugni stretti e la mascella serrata. Sherlock non fa una piega. I suoi occhi restano fermi in quelli di lui che sente montare una rabbia fin troppo esplosiva.
<< Sei riuscito a salvarla. Hai impedito che accadesse una cosa simile anche a lei. L’unica cosa che non capisco, in questo momento, è il perché di tutta questa rabbia >>.
John si spegne tanto in fretta quanto rapidamente si era attivato. Sbatte più volte le palpebre e una buffa espressione di stupore gli si disegna in volto. Sherlock non attende una risposta da lui. Si incammina per le strade del quartiere di Pall Mall dove risiedono i Jackson, diretto verso Trafalgar Square.
John guarda Sherlock allontanarsi chiedendosi come ci sia arrivato. Come abbia fatto a capire. Non gliene ha mai parlato, non ne ha mai fatto parola con nessuno, a dire il vero. Eppure lui lo ha capito. Ne è stupito, ammirato, ma anche spaventato. Benchè siano passati sei mesi da quando lo segue nelle sue indagini e lo abbia visto risolvere enigmi tirando fuori deduzioni da cose che i più non avrebbero mai visto non può dire ancora di essersene abituato.
Si scuote dal suo immobilismo e si affretta a raggiungere il consulente, che passeggia tranquillo verso la grande fontana della piazza.
<< Fermati! >> gli dice e Sherlock si volta verso di lui, rallentando il passo fino a fermarsi.          << Non puoi dirmi una cosa simile e poi andartene come nulla fosse! >> esclama affannato.
<< Volevo darti il tempo di elaborare >> dice facendo spallucce. John ride nervoso scuotendo il capo.
<< Smettila di prendermi in giro, Sherlock >> ribatte serio.
<< Non è mia intenzione, John >>.
<< Davvero? >>.
<< Davvero >>
I loro sguardi restano nuovamente agganciati. No, non lo sta prendendo in giro. John non sa neppure perchè se ne sia uscito con quell’affermazione.
<< Perché quella ragazzina si è suicidata? >>.
<< Non lo so, John. Devo capire il significato del disegno che si è incisa sulla pelle prima di azzardare ipotesi >>.
<< Non posso credere tu non abbia anche solo una minima idea. Te ne vengono subito al volto sempre tre o quattro! >>.
Sherlock riprende a camminare lentamente e lui lo segue, infastidito da questo strano atteggiamento di riserbo.
Il suono di una chitarra magistralmente suonata li raggiunge. Arriva dalla fontana della piazza, al di là di un capannello di persone raggruppate intorno a un giovane artista di strada. Sherlock si dirige verso questi attratto dalla musica.
<< Si può sapere dove stai andando? >> gli chiede John stupito, ma lui non gli risponde. Si fa strada tra la gente per trovare un posto in prima fila e il dottore si appresta a stargli dietro, benchè non sappia esattamente dietro a cosa stanno andando. Si fa largo accanto a lui, gli occhi chiari ipnotizzati dalle dita veloci del ragazzo sul manico della chitarra.
<< Eccezionale >> sussurra e le labbra si curvano a disegnare un sorriso. John strabuzza gli occhi. Da quando in qua Sherlock Holmes si lascia distrarre da un brano suonato per strada quando è impegnato in un caso?
Il dottore lascia correre lo sguardo dal consulente al ragazzo dalla bella voce profonda. Suona una chitarra che deve averne viste tante, data la quantità di graffi e ammaccature. Un adesivo rosso fiammante attira l’attenzione sul corpo dello strumento. Sembra essere il muso stilizzato di una volpe circondato dalla coda, rossa come una fiamma viva.
Il musicista si volta verso di loro e John deve ammettere che non è per nulla male. I capelli lunghi, lisci e biondi, il viso abbronzato nel quale primeggiano gli occhi azzurri, limpidi. L’ex soldato si scuote da quell’attimo di estraniamento quando si rende conto che quegli occhi sensuali stanno fissando intensi il suo coinquilino. E, come se non bastasse, cosa che lo stupisce ancor di più, questi ricambia lo sguardo con altrettanta intensità.
Il ragazzo conclude il pezzo e annuncia che eseguirà  un medley di cover di autori diversi. Intona la prima di queste, ‘Boy don’t cry’ dei The Cure, e abbozza un sorriso in direzione del consulente che ricambia.
<< Sherlock non sarebbe il caso tornassimo a casa? Greg dovrebbe già averti fatto recapitare i disegni della ragazzina >> sbotta John, incrociando le braccia al petto, intimamente infastidito dal suo atteggiamento.
Il consulente chiude gli occhi portando le mani giunte al mento, mentre il chitarrista intona uno stralcio di ‘Video killed the radio star’ dei The Buggles. Lo ascolta assorto in contemplazione ed è assurdo, dal momento che, al di fuori della musica classica, tutto il resto per Sherlock è solo spazzatura sconosciuta al suo Mind Palace.
<< Mi stai ascoltando? >> insiste John picchiettandogli il braccio.
<< Certo, John, come potrei non sentirti, sussurri così forte! >> sbotta senza aprire gli occhi al suono di ‘Child in time’ dei Deep Purple. Non risponde, però, alla sua domanda. John sta per farglielo notare quando il ragazzo intona ‘Rape me’ dei Nirvana e Sherlock apre gli occhi di colpo.
Il dottore si ritrova nuovamente a passare dallo sguardo di uno a quello dell’altro, sentendosi il terzo incomodo di un appuntamento al buio. Il chitarrista da nuova luce al suo sorriso, mentre imita perfettamente la voce graffiante di Kurt Cobain, e il consulente piazza sulle labbra di nuovo quel sorriso ammaliatore.
Lo stomaco di John ribolle di rabbia. Tanta rabbia e tanto fastidio all’idea di essere lì, intruso non desiderato a cospetto di un silenzioso flirt.
“Dio, non è possibile!” pensa scuotendo il capo, ricacciando la possibilità che davvero Sherlock stia flirtando a un passo da lui con un mendicante di monetine in cambio di canzoni stonate. Una parte di lui vorrebbe ricordargli di essere sposato al suo lavoro, ma si rende conto che non hanno quel tipo di confidenza. Sei mesi di convivenza e non si sono mai ritrovati a scherzare in modo cameratesco su donne o… sì, o su uomini, anche. Non sa perché non sia accaduto, non è tipo che si tiri indietro da simili argomenti da spogliatoio. Con Sherlock, però, c’è come un muro attorno a tutto questo. A proteggere cosa, poi, è altro argomento intoccabile.
John riceve un messaggio che lo distoglie dal mal di pancia che gli sta venendo a furia di ruminar rabbia.
<< Merda >> sussurra alzando gli occhi al cielo.
<< Sei ancora in tempo per rimediare >> gli dice Sherlock, gli occhi nuovamente chiusi nella contemplazione di ‘Help!’ dei The Beatles.
<< Come puoi tu ricordarti degli impegni che io stesso dimentico? >> domanda infastidito da quella seconda intromissione sgradita nella sua vita privata. << Siamo su un caso e io… >>.
<< Penso tu debba starne fuori, John >> lo interrompe Sherlock lasciandolo a bocca aperta.
<< Cosa? >> gli chiede incredulo.
<< Come ti ho detto sei troppo coinvolto >>.
<< Come lo sarebbe chiunque al mio posto >> sbotta nervoso.
<< Assolutamente no, non si tratta dell’empatia nei confronti di una famiglia colta da una simile disgrazia >> .
<< E allora di cosa, sentiamo? >> lo sfida alzando la voce. Alcuni dei presenti infastiditi gli intimano il silenzio.
Sherlock si volta finalmente verso di lui. Ne sostiene lo sguardo e John prova la fastidiosa sensazione di sentirlo lontano. Nell’ultimo mese è cambiato parecchio. L’avventura vissuta a causa di Moriarty pensava li avrebbe avvicinati e invece il consulente si è fatto più freddo e riservato.  Sono praticamente gomito a gomito eppure sembrano separarli molti chilometri.
<< Vuoi davvero che te lo dica, John? >> gli domanda con tono greve, scandendo bene le parole. Nella profondità dei suoi occhi chiari il dottore si rende conto che non vuole. No. Resti nel passato ciò che al passato appartiene. << La tua nuova e recentissima conquista attende una tua risposta. Non farla aspettare >> aggiunge Sherlock, abbozzando persino un sorriso, mentre il ragazzo intona ‘End of me’ di Ashes Remain.
“Mi sta piantando!” pensa irrazionalmente. Lo vede volgere nuovamente lo sguardo al chitarrista che ha concluso il suo medley privo di alcun senso. I loro sguardi si incrociano ancora, le labbra si curvano in un sorriso e John decide che è rimasto lì a fare da candela pure troppo e si fotta pure l’indagine.
<< Hai ragione. Ashley non se lo merita >> dice e non è neppure così sicuro che sia quello il nome della ragazza. << Ci vediamo domani mattina >> ci tiene a sottolineare.
<< Buona serata >> augura Sherlock, nuovamente rapito dal nuovo brano che il ragazzo sta intonando.
John prende il cellulare e digita veloce il messaggio di risposta della ragazza. Si affretta a raggiungere Baker Street in modo da potersi preparare in un lampo e raggiungere il luogo dell’appuntamento sperando di non dare l’idea di essersene completamente dimenticato.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
<< Ehi, mi stai ascoltando? >>.
La ragazza gli colpisce piano la mano strappandolo ai suoi pensieri. John abbozza un sorriso pronto a ribattere con un laconico ‘Sì, certo’, ma si ferma. Gli occhi truccati in modo impeccabile di lei manifestano un fastidio palese, pari a quello che lui ha provato per tutta la giornata trascorsa insieme dinanzi al suo continuo parlare.
<< Scusami, Annette >> era questo, alla fine, il nome corretto della donna. << E’ che stamattina ho avuto a che fare con una situazione davvero spiacevole >> dice e la sua mente gli ripropone due immagini: da una parte la ragazzina priva di vita; dall’altra Sherlock che lo solleva dal caso mentre scambia sorrisi e occhiatine con un vagabondo sconosciuto. Dire quale delle due lo turbi di più è una bella lotta.
<< Oh, mi spiace. Cosa è successo? >> ecco l’immancabile presa sul lato materno e protettivo femminile. Di solito si da mentalmente una pacca sulla spalla quando riesce ad attaccare da quel fronte. Questa volta, invece, la mano di lei subito posata sulla sua lo infastidisce. Deve fare un vero sforzo per non ritrarla.
<< Una ragazzina si è suicidata e la sua famiglia ha chiesto al mio coinquilino di indagare >>.
<< Brutta storia >> constata lei seria. << Sì, ma tu che c’entri? >> gli domanda e John non trattiene di mostrarsi infastidito, questa volta.
<< Io lo aiuto nelle indagini, Annette >> risponde, scandendo con un po’ troppa acidità il suo nome.
<< Sei il suo blogger >>.
<< E suo collega. Partecipo anche io ai casi, non riporto solo quel che mi racconta >> ribatte stringendo i pugni.
<< Ma tu non sei un detective, sei un medico >> ridacchia la ragazza che non si rende conto, evidentemente, di quanto stia crescendo la sua rabbia.
<< Certo, ma sono anche un ex soldato abituato al campo di battaglia e all’azione e lui non è un semplice detective ma un consulente investigativo >>.
<< Io penso che sia solo un tipo molto strano >> minimizza lei mandando giù un sorso di vino. John resta ammutolito. È irritante questa donna. Irritante il modo in cui parla, irritanti le cose che dice e come le dice ed è irritante la sua superficialità e questo giudizio del tutto campato in aria, dal momento che non conosce Sherlock e non può dire neanche di conoscere lui, a conti fatti. John ridacchia scuotendo il capo.
<< Cristo, come puoi essere così… >>.
“Idiota!” vorrebbe concludere, ma lascia morire la frase in una risata. Volge più volte lo sguardo al volto confuso di lei per poi distoglierlo scuotendo il capo.
“Quando sono caduto così in basso da perdere il mio tempo con simili soggetti?” si chiede e l’espressione di disgusto che Sherlock assume dinanzi all’umana idiozia gli salta alla mente. Non si rende conto di stare replicandola egregiamente.
<< Ehi, che succede? >> domanda lei sbattendo le lunghe ciglia sicuramente finte. Cerca di posare nuovamente la mano su quella di lui, che, però, rapido la allontana.
<< Io credo sia meglio che me ne vada >> dice alzandosi dal divano sul quale si sono accomodati, dopo una giornata trascorsa fuori porta con l’unica nota positiva di essersi scampati il brutto acquazzone che ha messo Londra a dura prova per tutto il pomeriggio.
<< Ma… perché? >>.
<< Come ti dicevo è stata una mattinata pesante >> risponde recuperando la giacca.
<< Dai, resta. Ci penso io a fartela dimenticare >> dice maliziosa tentando un approccio estremo che lui rifiuta, cercando di tenere a bada l’istinto di allontanarla da sè con uno spintone.
“Sarò inutile e strano, ma per una scopata vado più che bene, vero?” vorrebbe dirle ma morde la lingua sforzandosi di essere, nonostante tutto, gentile.
<< Annette, davvero, preferisco andare >>.
Non gli sfugge la smorfia di disprezzo che veloce viene trasformata in una finta tristezza.
<< Va bene, lo capisco >> mente, allontanandosi da lui di un buon due passi. John si dirige alla porta che apre da sé.
<< Buona notte >> le dice e così si salutano. Senza un bacio di comodo, senza un ‘ci sentiamo’. Ennesimo tentativo inutile di combinare qualcosa con una donna.
“Grazie tante, Sherlock!” pensa infastidito. Anche se questa volta deve dire che non gli dispiace per nulla. Dovrebbe smetterla di invitare o accettare inviti da chicchessia senza applicare un minimo di selezione. Non al punto da diventare tranchant all’inverosimile come il suo coinquilino, che considera il mondo popolato da idioti. Uno come lui ad un appuntamento proprio non riesce a immaginarselo. Sherlock Holmes che tenta di conoscere e di farsi conoscere da un altro essere umano… no, impossibile!
“Allora ciò a cui hai assistito alla fontana stamattina cos’era?”.
Storce il naso a quella domanda che gli suona nella testa con la voce della sorella. In questa anche troppo lunga giornata trascorsa in compagnia delle troppe parole di quella donna il pensiero è andato più volta a quella scena. Soprattutto a come può essere proseguita.
<< Non sarà proseguita, figuriamoci! >> ridacchia sicuro di sé, decidendo di accantonare la cosa come un dato di fatto.
Non sono neppure le dieci quando arriva al 221B. Bach lo accoglie annunciandogli che il grande consulente investigativo sta meditando sul caso dal quale lo ha sollevato. La curiosità di sapere cosa abbia dedotto quella mattina nella cameretta della ragazzina lo attanaglia. Lungo il viaggio di ritorno ha pensato a tante valide argomentazioni da proporgli per convincerlo a farlo partecipare alle indagini. Da quelle esposte con calma a quelle imposte con voce grossa e minacce. Sa già che comporrà una sorta di medley partendo dalle prime per poi andare a parare rovinosamente sulle ultime.
Stranamente la musica si interrompe quando giunge al pianerottolo. Sherlock è solito intuire dal rumore dei passi chi stia giungendo in visita e quando suona il violino prosegue indefesso, senza neppure salutarlo. Anzi, senza neppure rendersi conto che sia rientrato, a dirla tutta.
<< Che ci fai tu qui? >> lo accoglie ancor prima che compia un passo all’interno dell’appartamento.
<< Ci abito, te ne sei dimenticato? >> ribatte John spiazzato dalla sua accoglienza, mettendoci forse un po’ troppa acidità nel tono. Sì, è possibile si inizi subito dall’opzione ‘voce grossa e minacce’, questa sera.
<< Talmente noiosa da non valere la pena di passarci la notte. Lo sapevo! Mai che ci si possa fidare >> scuote il capo il consulente, indispettito.
<< Scusa tanto se ho interrotto le tue riflessioni! >> sbotta sul piede di guerra. << Perché non continui come nulla fosse, come sei solito fare? Sono abituato ad essere ignorato >> dice entrando in cucina. Un the caldo per impegnare le mani ed evitare che finisca a botte è quello che ci vuole. Avverte lo sguardo di Sherlock alle spalle. Stranamente non ribatte. Mister ultima parola non ribatte. E neppure torna a suonare.
“La giornata delle stranezze, questa!” pensa e l’occhio gli cade su uno zaino abbandonato accanto al tavolo ingombro di attrezzature da laboratorio. Si volta per chiedere spiegazioni e solo ora la vede. La custodia di una chitarra adagiata ai piedi del divano.
La gola si secca all’istante e lo stomaco richiama a sé tutto il sangue dal corpo. Volge lo sguardo a Sherlock fermo in piedi, le braccia incrociate al petto e gli occhi seri puntati su di lui. John si rende conto solo ora che indossa la vestaglia. La vestaglia e… nient’altro.
<< Ma come fai ad usare quello shampoo? Ha un odore troppo forte e… >>.
Il ragazzo si blocca. Un asciugamano sulla testa a frizionare i capelli umidi, l’altro stretto attorno alla vita. John sbatte più volte le palpebre scandagliando quella presenza inattesa e mezza nuda davanti a lui.
<< Oh… ciao! >> dice il ragazzo accomodando l’asciugamano in testa come un turbante. Sorride tendendo la mano pronto a presentarsi, ma si blocca dinanzi all’occhiataccia di John. Il musicista richiama a sé la mano e volge lo sguardo a Sherlock e poi al dottore per un paio di volte facendosi sempre più serio.
<< Se la mia presenza qui non è gradita posso… >>.
<< No! >> esclama John interrompendolo, la mano aperta verso di lui e l’abbozzo di un sorriso forzato sul viso. << Scusatemi voi, piuttosto. Non volevo interrompervi. Vado in camera mia. Buona serata >> augura loro raggiungendo a grandi passi la porta.
Se la chiude alle spalle e resta lì fermo, la mano posata sul pomolo della porta. Non riesce a pensare. Non riesce a muoversi. Sente solo il ritmo lento del suo respiro rimbombargli nella testa. Ci vogliono un buon numero di respiri prima che riesca a staccarsi da lì e salire lento i gradini. Resta nuovamente attaccato alla maniglia della porta della sua stanza.
“Oh, insomma, basta!” grida la voce di sua sorella. “Perché questa reazione stupida? Anche tu hai portato delle donne qui in questi sei mesi”.
“Non per farci sesso”.
“Se anche loro, come quel tipo, non avessero avuto dove stare non le avresti portate qui?”.
John ci pensa su. Domanda interessante e scomoda alla quale non vuole, però, dare risposta.
“Atteggiamento davvero immaturo” sputa acido la voce di suo padre, quella che tra tutte le voci che popolano la sua testa fa più male.
“No! Non le avrei portate per il semplice fatto che non avrei voluto vederle correre via inorridite dai cadaveri nel frigo, dagli esperimenti che conduce su organi e cellule di derivazione umana o animale o davanti alle sue deduzioni offensive!” ribatte acido e la rabbia torna a farsi sentire.
“Solo per questo?” gli chiede maliziosa la voce di sua sorella. No, ovviamente non è solo per questo. Gli è bastato una volta far salire in casa la primissima ragazza che aveva abbordato nelle prime settimane trascorse a Baker Street. Il modo in cui lei lo guardava. I sorrisi che gli lanciava e il suo flirtare impunemente con Sherlock, nonostante la sua presenza, se li ricorda fin troppo bene.
“Temi che portandole qui possano interessarsi a lui dimenticandosi di te, non è così?” continua Harry col suo tono odioso. John annuisce e passa la mano sul viso sconsolato.
“Beh, come vedi lui sta dall’altra parte” ridacchia lei soddisfatta.
“E io sto da entrambe!” la zittisce lui. Il consulente investigativo sposato al suo lavoro si è portato a casa una preda niente male. L’idea che abbiano già dato sfogo a quell’attrazione della quale è stato testimone involontario, e che continueranno per tutta la notte, gli chiude lo stomaco.
“Che egoista che sei!” continua sua sorella. “Tu da che sei qui te ne sei fatte letteralmente di tutti i colori, lui invece è la prima volta che…”.
“Ma quale prima volta! Mi sono assentato più volte in questi sei mesi, trascorrendo la notte fuori spesso e lui deve averne approfittato per portarsi a casa chissà chi!”.
“Quindi adesso lo giudichi perché si porta a letto bellissimi sconosciuti? Non mi sembra tu faccia qualcosa di diverso, Johnny!”.
<< Non sono uomini! >> esclama a gran voce, portando poi entrambe le mani alla bocca. Il respiro si blocca per un lungo istante.
“E questo cosa vorrebbe dire? Te ne sei fatti di ogni colore sotto le armi, non mi pare proprio tu sia omofobo”.
No. Non è omofobo, anzi quella è proprio una mentalità che ripudia e poco tollera. Da civile non è mai passato ai fatti con un uomo. È stata prerogativa, quella, della sua vita da soldato. Non sono mancate le occasione anche in questi mesi, ma ha lasciato perdere.
“E perché?”.
<< Lo sai perché, Harry >> dice raggiungendo il letto con passo pesante. Si lascia cadere di pancia sul materasso morbido e sulle lenzuola che gli rimandano il profumo buono e ancora fresco dell’ammorbidente. Gli sembra così immensamente vuoto questo letto stasera. Data l’ubicazione delle loro rispettive stanze sa che nessun rumore molesto dovrebbe giungere a disturbarlo. Le passioni passeggere si consumano in una notte e sicuramente lo stesso accadrà con questa. Rimanda ogni cosa all’indomani, sicuro di poter scendere a prepararsi un the senza più trovare la presenza del giovane intruso e spegne i riflettori su questa giornata lunga e carica di troppe emozioni.
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
John bussa alla porta d’ingresso e nello stesso momento in cui lo fa si da dell’idiota. La apre piano senza attendere risposta e trova Sherlock seduto sulla sua poltrona, gli occhi chiusi e le mani congiunte sotto il mento. John approfitta della permanenza del suo coinquilino nel proprio Mind Palace per guardarsi velocemente attorno. Nessuno zaino in cucina e nessuna chitarra ai piedi del divano. Solo tanti quaderni e fogli di diversi tipi di carta recanti sopra disegni e schizzi sparsi un po’ ovunque. Devono essere sicuramente quelli di Rosaline Jackson, diligentemente consegnati dagli uomini di Lestrade.
John sorride soddisfatto e va in cucina per una meritata colazione. Mette su il the, prende la sua tazza, il pacco dei biscotti da sotto la credenza e posa tutto sul pianale della cucina. Si appoggia al lavello bevendo e mangiando in piedi e guarda Sherlock assorto nei suoi pensieri. Benchè siano distanti, la prima cosa che si trova a cercare sono eventuali segni che le ore di passione hanno lasciato sulla sua pelle bianca. Stranamente non ne trova. Certo non vuol dire nulla, non a tutti piacciono o non ci si mette a farli in punti ben visibili. Uno come Sherlock, poi, così attento ai dettagli, certamente non tollererebbe un simile marchio visibile sulla sua pelle immacolata.
Si rende conto che il suo modo di guardarlo è cambiato. Tutto ciò che prima si limitava a pensare per poi richiamarsi all’ordine ripetendosi che ‘lui è sposato al suo lavoro e disinteressato a cose così umane e terrene come sesso e effusioni’, ora gli giungono prepotenti alla mente facendo anche effetto sul suo corpo. La cosa peggiore è che non riesce a fermare questo flusso indecente di pensieri proibiti, ora che lo percepisce disponibile e potenzialmente interessato.
“Siamo coinquilini, questo lo rende intoccabile” si dice, cercando di mettersi a bada. “E poi, cazzo, lo hai visto il tipo che si è portato a letto? Quando mai io potrei competere con uno così? Qualche anno fa, forse… e se fossi alto un mezzo metro in più, anche”.
Questi pensieri svalutanti sortiscono il giusto effetto. Il suo ‘amichetto del piano di sotto’ si da una calmata e il campanello che suona spezzando il silenzio completa l’opera di ritorno a regime.
John sente la signora Hudson andare ad aprire e poi i pesanti e veloci passi di Greg sulle scale, che oramai è in grado pure lui di riconoscere.
Sherlock esce dal suo Mind Palace e volge lo sguardo alla porta nel momento esatto in cui questa si apre introducendo il trafelato detective nel loro spazio privato.
<< E’ successo di nuovo >> dice il consulente inarcando appena un sopracciglio. Greg annuisce e John sente lo stomaco chiudersi.
<< Un’altra ragazzina. Daisy Cooper, diciotto anni. Dalla parte opposta di Londra. Estrazione sociale totalmente diversa >>.
<< L’unica cosa che le accomuna è quel disegno >> constata Sherlock. Gli occhi nuovamente chiusi.
<< Sì >> annuisce Greg  e passa la mano sulla barba più ispida del solito. << Ti ho portato le foto scattate in casa sua e ho già detto ai ragazzi della scientifica di mandare qui il pc e tutti i quaderni e libri presenti nella stanza della ragazza. Hai trovato qualcosa nel materiale che ti è stato portato  ieri? >>.
<< Nulla di rilevante, a parte la presenza di quel disegno praticamente ovunque, in modo ossessivo >> risponde Sherlock e John storce il naso. Sa bene come ha trascorso il pomeriggio il suo coinquilino e pure la notte. Non crede proprio abbia avuto tempo di rovistare tra gli effetti personali della giovane Rosaline. Non riesce a capire perché il consulente stia prendendo sottogamba questo caso, al punto da concedersi una scappatella in piena indagine.
Greg prende dalla tasca il cercapersone e lo controlla. << Devo andare. Ti aspetto a casa dei Cooper, Sherlock, ok? >> dice raggiungendo la porta. Il consulente annuisce e con un gesto del capo il detective saluta e discende le scale. Non appena il portone viene chiuso, Sherlock balza in piedi e prende a camminare avanti e indietro per il salotto, le mani giunte sotto il mento.
<< Due ragazzine che non si conoscevano, provenienti da ambienti totalmente diversi, si suicidano e l’unica cosa che le accomuna è quel disegno >> dice indicando la foto aperta lasciata in bella vista sulla sua poltrona.
Il campanello suona interrompendo i ragionamenti ad alta voce di Sherlock.
<< Lestrade di nuovo qui? Avrà dimenticato qualc… >> si interrompe affinando l’udito. John volge come lui lo sguardo alla porta, stupito dal comportamento del consulente. Sente dei passi salire piano le scale.
<< Non è Greg >> dice e Sherlock annuisce piano.
Qualcuno bussa attendendo diligentemente il permesso ad entrare. La porta si apre piano e un ragazzino fa capolino nella stanza.
<< Oh >> esclama Sherlock sbattendo le palpebre più volte.
<< Buongiorno >> saluta il ragazzino chiudendosi la porta alle spalle.
<< Buongiorno a te >> lo accoglie il consulente. << Come possiamo aiutarti? >>.
Il ragazzino scocca un’occhiata alla sedia che sono soliti offrire ai clienti e Sherlock la prende, la sistema a formare il vertice in un perfetto triangolo con le loro due poltrone e con un gesto della mano lo invita a sedersi. Si accomoda alla sua poltrona e John, che si rende conto solo adesso di essere ancora in pigiama, prende posto alla propria mettendo mano al fedele taccuino.
<< Tuo padre sa che non sei andato a scuola stamattina? >> domanda Sherlock al ragazzino che rischia quasi di cadere dalla sedia sulla quale si è appena seduto. Volge uno sguardo preoccupato al consulente che di rimando lo osserva tranquillo.
<< E’ vero, allora, quello che dice di lei? >>.
<< Non lo so. Cosa dice di me? >>.
<< Che le basta un’occhiata per capire tutto e che non si sbaglia mai >>.
<< Gentile da parte sua >> sorride. << Ma capita anche a me, qualche volta, molto raramente, di sbagliare >>.
John strabuzza gli occhi dinanzi a quella strana ammissione di fallibilità.
<< Secondo la mamma, invece, lei è un impostore e un approfittatore >>.
John soffoca una risata portando la mano a coprire le labbra. Nota una somiglianza nel tono della voce, nell’espressione e nel modo di muoversi del ragazzino… ma la mette via scuotendo il capo. Sherlock gli scocca un’occhiataccia.
<< Tu quale versione preferisci? >> torna a chiedere al ragazzo.
<< Quella di papà >> risponde sicuro. << Alla mamma ho smesso di credere da un pezzo >> sussurra portando lo sguardo alle scarpe da tennis.
<< Concordo con la tua scelta >>.
<< Sherlock! >> lo richiama John, che non trova molto appropriato schierarsi dalla parte di un genitore piuttosto che dell’altro.
<< Se ascoltassi il tuo intuito, anziché metterlo come sempre a tacere, e osservassi anziché guardare, capiresti il perché di quello che ho appena detto, John >> ribatte rivolgendosi a lui in una maniera insolita alla presenza di un cliente. << Dal momento che il mio collega non ha capito chi sei, puoi, per favore, presentarti? >> chiede al ragazzino che ha assistito incredulo a quel siparietto.
<< Sono George Lestrade >>.
<< Tu sei… il figlio di Greg? >> domanda John stupito. George annuisce arrossendo appena e le somiglianze che aveva notato e messo da parte tornano prepotenti a indicargli come il giovane sia la copia ringiovanita e in miniatura del suo amico detective. << Cristo. Sapevo avesse figli, ma non credevo fossero così grandi >> aggiunge scuotendo il capo incredulo e il ragazzo passa la mano tra i capelli nello stesso gesto di nervosismo del padre.
 << Bene, ora che abbiamo stabilito a chi appartiene metà del tuo patrimonio genetico, puoi dirci cosa ti porta qui a quest’ora, affrontando il rischio che i tuoi genitori scoprano che hai saltato la scuola? >>.
<< Una cosa molto più importante di sei ore di inutili idiozie >> sbotta infastidito, incrociando le mani al petto. L’esatta, identica posa di suo padre dinanzi alle svalutazioni del consulente. John si ritrova a dover soffocare un’altra risata. << Io preferirei se quanto sto per dirvi rimanesse tra noi >>.
<< Perché? >> domanda Sherlock e John constata che in effetti è la prima volta che si ritrovano ad ascoltare un minorenne. Teme addirittura che stiano già facendo qualcosa di contrario alla legge, dal momento che il ragazzino è lì senza il consenso dei genitori.
<< Avete notato le condizioni in cui verte mio padre, immagino? >> dice con una proprietà di linguaggio ragguardevole per la sua età. Entrambi annuiscono scambiandosi un’occhiata. << Ne sta già prendendo troppe dalla mamma, dagli avvocati e dai giudici, non voglio che arrivi anche questa cosa a dargli altre preoccupazioni >>.
John e Sherlock si scambiano un’altra occhiata, entrambi nuovi a una simile situazione.
<< E’ ammirevole tu non voglia dare ulteriori preoccupazioni a tuo padre >> esordisce John andando a tentoni.
<< Il fatto che stia divorziando da tua madre non lo solleva dai suoi doveri di padre. Qualunque sia ciò che stai per raccontarci, lui ha il dovere di prendersi cura di te e tu il diritto di essere da lui protetto >>.
John si stupisce del discorso sensato e adulto di Sherlock. Il ragazzo scuote la testa indispettito e stringe i pugni, dando l’idea di non avere per nulla ben accolto quanto gli è stato detto.
<< Tuttavia >>, aggiunge Sherlock, << nulla ci vieta di ascoltare comunque quanto hai da dirci e decidere poi se è il caso di caricarlo di questo ulteriore peso o meno >>.
Il dottore storce il naso poco convinto di quest’ultima battuta. Vede, pero, George rilassarsi e prendere fiato.
<< La ringrazio >> dice abbozzando un sorriso. << Non riguarda me direttamente. È per mia sorella >>.
<< Lei è più grande di te, vero? >> chiede John.
<< Tre anni. Ne ha 16 e non sa che sono qui. Non credo che approverebbe, ma… me ne frego! Io non… non ce la faccio più ad assistere in silenzio alla serie di disastri che ho attorno >>.
Abbassa lo sguardo cercando di ritrovare il controllo di sé. John volge lo sguardo a Sherlock che non distoglie il suo dal ragazzo, mentre gli da il tempo di ricomporsi e proseguire.
<< Ieri papà è venuto a prenderci a scuola. Passa sempre a prendere prima me e poi andiamo insieme a prendere Lizzy. Avevo sentito del suicidio di quella ragazza di Pall Mall e gli ho chiesto se ci stesse lavorando. Mi ha detto di sì anche se, come sempre, non è sceso nei particolari. Ha paura di turbarmi, come gli dice sempre mia madre >> dice storcendo il naso. << Mentre aspettavamo Lizzy ha ricevuto una telefonata ed è uscito dell’auto, sempre per evitare di      turbarmi >> alza gli occhi al cielo. << E io, come sempre, ho sbirciato tra le sue carte. Ero sicuro di trovare quello che alla fine ho poi trovato >>.
<< Cosa? >> domanda John.
George prende il cellulare dalla tasca dei jeans, ci smanetta sopra alla ricerca di qualcosa e poi lo mostra loro. << Questo penso lo conosciate, papà mi ha detto che la famiglia della ragazza ha affidato a voi il caso. Questo, invece, è quello che conosco io >> dice facendo scorrere il dito sullo schermo dello smarthphone, a richiamare un’immagine precedente dello stesso disegno.
<< Dove lo hai conosciuto? >> chiede John, mentre Sherlock prende il telefono dalla mano del ragazzo.
<< Lo ha fatto mia sorella. Disegna quella maledetta fenice ovunque, ormai! >> dice rabbrividendo visibilmente e John con lui.
<< E’ una fenice? >> domanda sbirciando il disegno.
<< Sì. Il logo di quel maledetto portale >> dice passando la mano tra i capelli.
<< Fenix >> interviene Sherlock cogliendoli di sorpresa.
<< Lo conosce? >> domanda speranzoso George.
<< Mi ci sono imbattuto ieri mentre lavoravo al caso della Jackson >> dice scoccando un’occhiata a John. Questi lo guarda incredulo. Era più che convinto che non avesse mosso un passo su quell’indagine e ora non può fare a meno di darsi dell’idiota e distogliere lo sguardo imbarazzato.
<< E’ un sito di aiuto e auto mutuo aiuto per adolescenti >>.
<< All’apparenza, signor Holmes! >> dice George muovendosi nervoso sulla sedia. << Quando Lizzy me ne ha parlato, ci sono andato pure io a fare un giro e non mi è sembrato poi così male. Dopo, però, l’ho vista peggiorare. All’inizio parlava in continuazione del tutor che le avevano affidato nel sito e ci sta anche si fosse presa una cotta, almeno è qualcosa di vivifico. Poi sono iniziati ad arrivare gli inviti >>.
<< Quali inviti? >> domanda John al quale inizia a dolere lo stomaco.
<< E’ la seconda fase >> risponde Sherlock rendendo il cellulare al ragazzo. << Prima adescano i ragazzini con la facciata da sito di sostegno. Poi individuano tra loro quelli più fragili e li invitano a seguire dei seminari >>.
<< Esatto! Cazzo, allora avevo visto giusto! >> esclama entusiasta. << A me la cosa è suonata strana perché non chiedevano nessuna autorizzazione da parte dei genitori e poco mi rassicurava che lei mi dicesse avvenissero in luoghi pubblici. L’ho seguita di nascosto ad uno degli ultimi seminari pubblici al quale ha partecipato e gli adulti che lo tenevano non mi sono piaciuti per niente! >> scuote il capo disgustato.
<< Uno degli ultimi pubblici? Vuol dire che ce ne sono anche di privati? >>.
<< E’ l’inizio della terza fase >> annuisce Sherlock e George lo guarda preoccupato, le mani strette al bordo della seduta della sedia. << Ai seminari pubblici viene fatta un’ulteriore selezione e solo alcuni vengono invitati a quelli privati. Non so ancora molto su questa parte, i bastardi che gestiscono questo sito sono maledettamente bravi a occultare i loro movimenti >> dice tra i denti.
<< Lizzy è arrivata molto scossa dall’unico al quale ha partecipato due settimane fa’ >> si intromette George, desideroso di dire ciò che sa. << Io temevo le avessero fatto qualcosa di brutto >> dice deglutendo visibilmente. << Lei continuava, però, a dire che non era giusto l’avessero buttata fuori dal gruppo >>.
<< E perché lo avrebbero fatto? >>.
<< Hanno scoperto di chi è figlia >> risponde Sherlock con quel suo tono da ovvietà così irritante.
<< L’ho pensato anche io >> annuisce George << Da allora l’ho vista peggiorare. Non mi ha più detto nulla, resta chiusa ore in camera sua, non esce più, non mangia più. Ho provato a dirlo alla mamma, ma quella >>, dice tra i denti in una brutta espressione di rabbia, << quella pensa solo a sé stessa e a quello stronzo del suo amante >>. Ringhia affondando le unghie nella coscia. << Dice che è l’adolescenza, che succederà anche a me e tutte queste cazzate. Tutto quello che fa Lizzy da due mesi a questa parte per lei sono cambiamenti normali dovuti all’adolescenza! Non si rende conto, invece, che sta sprofondando sempre più >> dice, la voce rotta dall’emozione. << Papà lo ha notato, ha provato a parlargliene e lei… >> sospira chiudendo gli occhi per un lungo istante. << E’ finita come sempre con un litigio e lui buttato fuori di casa, accusato di non essere un buon genitore, di vedere il marcio dietro ogni cosa, di fare il detective anche in casa nostra >> conclude in un sussurro.
<< Non hai detto a nessuno dei due cosa ha fatto tua sorella due mesi fa’ >> deduce Sherlock e il ragazzo lo guarda stupito. Deglutisce più volte prima di annuire lentamente, lo sguardo basso. << E temi che possa ripeterlo >> aggiunge e il ragazzo stringe gli occhi dai quali cadono alcune lacrime.
Una fitta dolorosa come una pugnalata trafigge lo stomaco di John che a stento trattiene un lamento. Porta la mano al ventre dolorante e Sherlock si volta verso di lui con una strana espressione di accigliata preoccupazione. Cerca di tranquillizzarlo abbozzando un sorriso, che però non sortisce effetto.
<< Quando ho visto quella fenice incisa sulla pelle di quella ragazza mi sono venuti i brividi. Anche Lizzy spesso se la disegna sul polso >> dice George accarezzandosi distrattamente le vene alla base della mano. << Signor Holmes, io sono davvero preoccupato per mia sorella. A volte non la sopporto e la farei fuori con le miei mani, ma da quando l’ho salvata… >> si lascia sfuggire mordendo subito il labbro. << Ho scoperto di avere una terribile paura di perderla >> dice e una lacrima sfugge solitaria al suo controllo e disegna una scia sulla sua guancia ancora glabra.
‘L’ho salvata’ questa breve frase pronunciata dalla voce acerba di George ha il potere di mozzare il fiato a John. Immagini sconnesse di un passato ormai lontano gli giungono prepotenti alla mente. Cerca di scacciarle, ma non ci riesce. Lo sguardo fisso su George che asciuga imbarazzato le lacrime che gli hanno rigato il viso. Questo ragazzino ha vissuto qualcosa di molto simile a ciò che visse lui alla sua stessa età, e se ne dispiace tantissimo. Tossicchia per mandare giù il groppo che gli si è formato alla gola e cerca di ignorare lo sguardo di Sherlock fermo su di lui.
<< Lo dirà a mio padre, signor Holmes? >> gli chiede George preoccupato.
<< Non subito >> risponde il consulente. << Ho bisogno di riflettere su alcune cose. Eccoti il mio numero >> gli dice dandogli un biglietto da visita. << Tienimi aggiornato su quanto accade a casa e chiama qualunque cosa avessi bisogno. Metterò uno dei miei su tua sorella in modo che la controlli e le impedisca di fare pazzie. Quel che mi hai detto è molto utile per il caso che stiamo conducendo insieme a tuo padre. Farò tutto ciò che mi è possibile per tirare fuori tua sorella da questa    situazione >>.
George appare più sereno e visibilmente sollevato. Un bel sorriso nasce sulle sue labbra e guardandolo John si rende conto che è davvero da molto tempo che non vede Greg sorridere allo stesso modo. Non è tipo da elargirne molti sorrisi, il detective, ma nelle serate spensierate al pub ogni tanto lo ha visto rilassarsi al punto da sorridere e ridere di gusto. Il mondo sta crollando addosso al loro amico. Crolla a causa del lavoro che ama e che non è accettato da chi pensava lo amasse.
“È terribile non essere accolti per quel che si è dalla propria famiglia” gli sussurra la voce di Harry nella sua mente e John fatica davvero, questa volta, a trattenere le lacrime.
<< Penso tu sia ancora in tempo per entrare alla seconda ora >> dice Sherlock al ragazzo alzandosi in piedi. George lo imita e così fa pure John.
<< La ringrazio, signor Holmes >> gli dice porgendogli la mano visibilmente più sereno. Sherlock la stringe e lo congeda con una pacca sulla spalla.
Il dottore e il consulente restano fermi a guardare la porta finchè non sentono anche il portone chiudersi dietro George Lestrade.
<< Rischi di fare tardi in ambulatorio, John >> dice Sherlock digitando frenetico sul suo cellulare. John guarda l’orologio della pendola e borbotta un’imprecazione. Dovrebbe già essere lavato, vestito e in strada a quest’ora. Scopre che non gliene frega minimamente nulla.
<< Voglio partecipare all’indagine >> dice risoluto. Sherlock lo guarda storto.
<< Non credo proprio sia il caso. Sei ancora più coinvolto di prima >>.
<< Greg è mio amico, Sherlock, e sua figlia si è messa in un gran brutto guaio >> ringhia serrando i pugni. La rabbia inizia a ribollirgli nella pancia contratta.
<< Sei rimasto senza fiato davanti al racconto di George e non penso di doverti dire io il      perchè >>.
<< Sono cose che fanno parte del passato. Fanno male, certo, ma sono passate e io sono in grado di gestirle >>.
<< Ne sei sicuro, John >> gli chiede levando lo sguardo dal messaggio che ha ricevuto per portarlo su di lui. John lo sostiene, risoluto e convinto, muovendo un passo verso di lui.
<< Certo che ne sono sicuro, Sherlock >> dice tra i denti cercando di trattenere l’esplosione.        << Come sono sicuro che tu non abbia dedicato al caso l’attenzione che merita >>.
Il consulente inarca un sopracciglio.
<< Io sto dedicando al caso l’attenzione che merita >>.
John ride nervoso. Una risata per nulla piacevole, carica di rabbia, che stupisce il consulente.
<< Da sei mesi ti aiuto nei tuoi casi e in questo arco di tempo ti ho visto non dormire e non mangiare finchè non ne sei venuto a capo. Ieri, invece, torno a casa e ti trovo qui in… compagnia >> dice scoccandogli un’occhiata eloquente.
<< Ho ospitato un ragazzo per una notte, non vedo cosa ci sia di male >> dice digitando veloce un messaggio.
<< Non vedi cosa… >> sbotta John alzando le mani al cielo. << Vuoi farmi credere che mentre un estraneo dormiva nel tuo letto tu eri sveglio a lavorare al caso? >>.
<< Come faccio sempre, John >> ribatte Sherlock leggendo un messaggio appena ricevuto.         << Questa è la differenza tra me e te: io so controllare le mie emozioni, tu no >> dice e lo sguardo di superiorità che gli dedica non piace per niente all’ex soldato.
<< Che cosa vorresti dire con questo? >> gli chiede portandosi a un palmo da lui. Sherlock resta calmo al suo posto, gli occhi fissi nei suoi.
 << Da sei mesi porti qui donne sempre diverse e io non faccio le scenate che stai facendo tu >> risponde severo.
<< Nessuna di loro si è mai fermata qui per la notte, Sherlock >> ringhia stringendo forte le mani a pugno.
<< E’ questo il problema, John? Ti infastidisce che abbia condiviso il mio letto con un uomo? >> lo provoca col lo sguardo e il tono che è solito dedicare a colore che considera degli idioti, prima di tornare a scrivere un messaggio. John non sopporta la poca considerazione che gli concede smezzandola con i continui messaggi che legge e che invia. Spinto dalla rabbia gli afferra il polso della mano destra nella quale tiene il cellulare e lo stringe con la sua, piccola ma forte
Immagini sconnesse, violente, gli invadono la mente e gli affannano il respiro. Sherlock lo guarda stupito dal suo gesto e stringe appena un po’ gli occhi per il dolore di quella stretta che diviene sempre più forte. Questo basta a raffreddare il dottore.
“Ma cosa diavolo stai facendo, Johnny?”
Libera il polso di lui dalla stretta e fa due passi indietro scuotendo la testa. Porta le mani alla bocca e le sente tremare appena, scosse da questa rabbia violenta che ancora gli invade il corpo. Stavano parlando del caso, di Greg e di sua figlia e lui ha virato la conversazione su quel maledetto chitarrista.
<< Perdonami io… ho perso la testa >> borbotta, tenendo lo sguardo basso.
<< Lo vedo >> ribatte Sherlock massaggiando il polso. << La tua è una vera e propria scenata di gelosia e davvero non la capisco, dal momento che non mi pare che stiamo insieme! >>.
Una fitta terribilmente dolorosa gli trafigge lo stomaco. Morde il labbro per non lasciarsi sfuggire alcun gemito.
<< Hai ragione. Noi non stiamo insieme >>.
<< Lo dici sempre anche tu >>.
<< E’ vero. Hai ragione. Scusami è che… non mi aspettavo che tu… >>.
<< Cosa? >>.
<< Avevi detto di essere sposato al tuo lavoro. Ad ogni modo, non è affar mio >> dice interrompendo il suo tentativo di ribattere. << Pensi di poter… dimenticare quanto accaduto negli ultimi minuti? >>.
<< No >> ammette il consulente, la mano ancora a massaggiare il polso ferito. << Insisto nel dire che sei troppo coinvolto. Non solo dal caso delle ragazze, a quanto pare >>.
“Certo, perché lui non si coinvolge. Un’avventura di una notte e poi ognuno per la sua strada”.
La rabbia torna a ribollire e John fa uno sforzo per non tornare a dare il peggio di sé. Lui per primo vanta innumerevoli avventure di una notte con soggetti dei quali neppure ricorda il nome.
<< Va bene >> accetta sconfitto e la fitta allo stomaco si fa ancora più forte.
<< Devo andare dalla seconda vittima >> taglia corto Sherlock digitando un ennesimo messaggio. Ripone il cellulare in tasca, indossa la giacca e John scorge un braccialetto rosso e livido dare mostra di sé attorno al suo polso. Scuote il capo passando la mano a stropicciare il viso.
“Cosa cazzo mi è preso?” si chiede, mentre, senza dirgli una parola, come è solito fare da che lo conosce, Sherlock esce dall’appartamento discendendo veloce le scale. Il portone che si chiude colpisce John come uno schiaffo in pieno viso.
 

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Il turno in ambulatorio trascorre lento e noioso. Raffreddori, reumatismi, gastriti… devono essere il corrispettivo dei mariti gelosi e dei furtarelli dal punto di vista di Sherlock. John ha recuperato l’ora di ritardo e si appresta a uscire, attendendo alla bollatrice che scocchino le sei. Ha pensato più volte di mandare un messaggio a Sherlock, sia per scusarsi del gesto illogico che ha compiuto, sia per chiedere aggiornamenti sul caso. Ne ha abbozzati tanti tra un paziente e l’altro, ma alla fine li ha sempre cancellati, riponendo il cellulare con un sospiro affranto. Un’ennesima fitta dolorosa gli trafigge lo stomaco togliendogli il fiato. Vi posa la mano sopra e cerca di respirare profondamente per alleviare il dolore.
<< John, tutto bene? >>.
Sara lo guarda preoccupata e lui abbozza un sorriso. Tutto vuole tranne doversi intrattenere a parlare dei suoi problemi gastrici con una pseudo ex.
<< Solo un po’ di stress >> dice minimizzando la situazione.
<< Corri ancora dietro al tuo coinquilino? >>.
“E farteli un paio di fatti tuoi?” pensa mordendosi la lingua per non dare loro voce.
<< Lo aiuto quando posso >> risponde fissando quella dannata lancetta che ci sta mettendo anche troppo a spostarsi sul 12.
<< A me sembra più che altro che vieni ad aiutare noi quando puoi >>.
<< Se è un problema, Sara, possiamo parlarne >> ribatte acido. Troppo acido.
“Zitto, Johnny, che questo lavoro ti serve!” gli ricorda sua sorella e subito accende il migliore dei suo sorrisi.
<< Non voglio arrecare nessun danno all’ambulatorio >> aggiunge docile.
<< In verità ci fai pubblicità >> rivela la donna. << Da quando il nome del tuo amico ha iniziato a circolare grazie alle storie che su di lui pubblichi nel tuo blog, abbiamo incrementato il numero dei pazienti. Vengono in molti a farsi curare dal famoso dottor Watson >>.
<< Davvero? >>.
<< Certo. Solo che il dottore non c’è mai. ‘Sa com’è, è in missione con l’investigatore privato’ >>.
<< Consulente investigativo >> la corregge John, nuovamente troppo acido.
<< Oh. Sì, quello che è >>.
<< Beh, dovrei chiedervi una percentuale, a quanto pare >> ride e la donna si unisce alla sua risata.
<< Scordatelo! >> ribatte secca tornado subito seria. << La percentuale è la possibilità di entrare in ritardo, uscire in anticipo, lasciare i pazienti in coda e le rogne ai colleghi. Direi che può bastare, non credi? >>.
<< Direi di sì >> risponde sentendosi piccolo dinanzi al suo sguardo severo.
<< E comunque corrergli dietro ti fa bene. Ti trovo in splendida forma >> gli sorride maliziosa, ma John non ha alcuna voglia di riaprire capitoli ormai chiusi.
<< Ti ringrazio >> le sorride.
Timbra il cartellino e scompare al di là della porta. Si incammina alla metro con una mano sul fianco e il dubbio di dover iniziare a preoccuparsi per questi dolori improvvisi.
Si ferma di colpo all’ingresso della metro. Un paio di persone lo mandano a stendere per quell’improvviso arrestarsi, ma lui non ci bada. Scorge Sherlock fermo in un vicoletto poco lontano. Non è da solo. La persona con la quale sta parlando, però, è in ombra.
John si porta veloce dall’altra parte della strada. Rallenta il passo, si ferma in un angolo che spera possa essere riparato alla vista perspicace del detective e resta a guardarlo. Da quella prospettiva diversa e più ravvicinata, si rende conto che Sherlock sta parlando animatamente con un ragazzo. Capelli neri, abiti neri, stivali borchiati, ha tutta l’aria di essere un punk, o un dark o qualunque altra cosa sia diventato questo movimento nell’epoca moderna. Il ragazzo gli passa una sigaretta e lui ne prende un tiro prima di restituirgliela. John non è proprio sicuro sia semplice tabacco quello che stanno fumando e non gli piace per niente che si droghi durante un’indagine, soprattutto questa indagine.
Lo sente ridere, una risata libera e allegra che poche volte gli ha sentito e che si era illuso dedicasse solo a lui. Il punk ride a sua volta e gli porge nuovamente la sigaretta. No, decisamente non può essere semplice tabacco. Quando gliela rende il ragazzo gli afferra il polso, lo stesso che lui gli ha stretto. Sembra chiedergli qualcosa e quando Sherlock minimizza si accende. John tende le orecchie sperando che il vento gli sia favorevole e gli porti qualche stralcio di conversazione. Purtroppo, però, l’aria è ferma e deve accontentarsi di guardare e quel che vede poco gli piace. Sherlock sembra rattristarsi dinanzi alle parole concitate del ragazzo. Scuote il capo sconsolato e il punk lo rincuora carezzandogli il viso. Il consulente accetta di buon grado quella coccola, come anche il volto di lui che si avvicina al suo sempre di più. Benchè veda solo la nuca del ragazzo che impalla il viso del suo coinquilino ciò che sta facendo è eloquente.
“Non solo fuma durante le indagini, sempre ammesso che stia indagando, ma anche… anche questo!” sbotta alzandosi dal suo posto di osservazione, per nulla intenzionato a restare lì ad assistere alle loro effusioni. Gli è già bastato con il chitarrista.
Scende alla metro e non deve avere la più tranquilla delle espressioni in viso, dato il modo in cui lo guarda la gente. Non gliene frega nulla, lo credano pure un potenziale assassino. La rabbia che gli ribolle nei visceri, in effetti, grida il bisogno di menare le mani finchè ce n’è.
Non può essere una coincidenza. Non può essere incappato per caso in due momenti intimi del suo coinquilino con degli sconosciuti. Deve essere, come ha già ipotizzato, una situazione regolare.
“E cosa ci sarebbe di male?” gli chiede l’Harriet nella sua testa. Scuote il capo a scacciarla ancora una volta. Lei con le sue domande taglienti quasi quanto quelle di Sherlock. Lei con le sue verità nascoste che quando vengono a galla fanno danno, soprattutto danneggiano lui. Proprio come le verità nascoste di Sherlock. A quanto pare il consulente e sua sorella hanno molte più cose in comune di quanto non avesse mai pensato. Entrambi omosessuali, entrambi vittime di una dipendenza che non sanno gestire, entrambi egoisti ed entrambi al mondo, sembra, per fare impazzire lui.
<< Cristo, basta! Io sono fuori da questo caso >> dice tra i denti e la vecchina seduta al suo fianco si scosta leggermente da lui, allarmata.
Arriva al 221B con l’umore sotto i tacchi e quella fitta all’addome più insistente che mai. Dovrà prendere un protettore gastrico, altrimenti rischia un’ulcera, prospettiva per nulla gradita. Fa una doccia lunga sentendo il bisogno dell’acqua calda a rilassare il collo, le spalle contratte e a lavare via i pensieri. Quando esce trova il consulente seduto alla sua poltrona. Gli fa un cenno di saluto con il capo e mette su il bollitore.
<< Fai un the anche per me? Grazie >> gli chiede e il fatto che lo abbia ringraziato è una vera e propria novità.
<< In realtà sto mettendo su una camomilla >>.
<< Non sapevo neppure ne avessimo in casa >> ribatte lui. << Non ti senti bene >> constata e avere i suoi occhi puntati addosso non gli piace per nulla.
<< Non mi sento bene, sì >> ammette tra i denti. Non vuole però vanificare l’effetto benefico della doccia. Si volta per prendere la tazza dalla credenza e trasale al ritrovarselo così vicino.
<< Che cos’hai? >> gli chiede. Legge una nota di preoccupazione nei suoi occhi chiari e, dio, se sono ancora più belli visti così da vicino.
<< Lo stomaco sotto sopra >> dice distogliendo lo sguardo dal suo.
<< Ci credo, mangi schifezze >>.
<< Io almeno mangio, Sherlock >>.
<< Se questo è il risultato tanto varrebbe digiunassi anche tu, no? >>.
Trattiene il fiato e conta fino a dieci sempre nella speranza di non vanificare l’effetto della doccia. In un certo senso si sta preoccupando per lui, ne apprezza, quindi, almeno lo sforzo.
<< Hai fumato >> constata severo.
<< L’irregolare che ho messo dietro Lizzy mi ha offerto un tiro e io ho accettato per cortesia >>.
“Certo. E cos’altro hai accettato per cortesia?” ma questo è meglio lo tenga per sé. Ricorda: non vanificare gli effetti benefici della doccia!
<< Hai messo un vagabondo dietro una ragazzina? >>.
<< Il metodo più veloce per rintracciarla e non perderla di vista >> dice facendo spallucce. John sospira e decide di lasciar correre.
<< Come sta la ragazza? >>.
<< Scossa. Con quel che sta vivendo è comprensibile. Ho detto a Peter di convincerla a venire da me di sua volontà per raccontarmi ogni cosa >>.
Peter. Ha anche un nome sul quale inviare maledizioni adesso.
<< Ed è riuscito a parlarle? >>.
<< Sì, l’ha avvicinata. È molto bravo con le parole. Non l’ha ancora convinta, però, ma sono fiducioso. Gli do ancora un po’ di tempo >>.
<< Ti fidi molto di questo irregolare >> dice con una punta di acidità che non sfugge al consulente.
<< Di lui come di tutti gli altri, altrimenti non li terrei da conto >>.
<< Certo >> dice mantenendo la calma. << Allora aspettiamo e speriamo in bene. Pensi di mettere Greg al corrente di questa storia? >>.
<< Dovrò farlo comunque, dati i recenti sviluppi >> sospira portando la mano agli occhi. Appare stanco e visibilmente provato. Non lo ha mai visto così e prova l’assurdo desiderio di confortarlo. Lo vede portare la mano al polso che gli ha maltrattato quella mattina, sul quale ora spicca un braccialetto violaceo.
<< Fa vedere >> gli dice e il consulente ci mette un attimo a capire a cosa si riferisca. Gli porge il polso livido e John storce il naso dinanzi alla capacità di quella pelle così bianca di annerirsi al primo colpetto che subisce.
“In realtà glielo hai stritolato con forza, il polso, Johnny” ribatte Harriet facendolo sbuffare.
<< Resta qui >> gli intima andando in bagno. Torna con un tubetto di pomata in mano. Lo invita a sedere alla seggiola del tavolo della cucina, sempre ingombro della sua attrezzatura da chimico, e Sherlock esegue docile. Fin troppo docile.
Gli sbottona il polsino e arrotola la camicia blu notte fino al gomito. Posa una noce di pomata sul polso e inizia a massaggiarlo.
<< È gelida questa roba! >> esclama tentando di sottrarre il polso dalle mani di John.
<< E’ una pomata per le contusioni. Deve essere gelida, Sherlock >> spiega continuando imperterrito il suo lavoro.
Cade uno strano silenzio tra loro. John gli tiene la mano mentre con l’altra massaggia il polso. È pazzesco come tutte le volte in cui si trova a toccare il suo corpo sia per medicarlo.
“Sei il suo dottore, cosa dovresti fare altrimenti?”.
John sospira scuotendo piano il capo. Inaspettatamente Sherlock gli stringe la mano e lui alza gli occhi a incontrare i suoi.
<< Che ti prende stasera? >> gli chiede, le sopracciglia inarcate in una buffa espressione tra il preoccupato e il confuso.
<< Ho lo stomaco sottosopra, te l’ho detto >>.
<< E cos’è che non digerisci? >> gli chiede e gli bastano quelle parole a fargli capire da cosa derivi il suo malessere.
<< La situazione >> risponde tenendo lo sguardo basso sul massaggio che sta compiendo al polso.
<< E’ per questo che ho insistito affinchè tu ne stessi fuori, John >> sospira Sherlock stringendogli ancora una volta la mano. Il dottore risponde alla stretta e il suo massaggio si fa più lento e in punta di dita.
<< No, il caso non c’entra nulla >> ridacchia nervoso accarezzando quel polso sottile ma forte.
<< Allora cosa? >> sapeva che il suo coinquilino non si sarebbe fermato e avrebbe preteso di sapere. Non sarebbe il consulente investigativo infallibile e brillante che è se non andasse a fondo di ogni cosa.
<< Ti ho visto oggi >> ammette continuando a sfiorargli il polso. << E’ stata una coincidenza, non l’ho fatto apposta. Anzi avrei preferito non vederti proprio >>.
<< Cos’hai visto? >> gli chiede e lo stomaco gli manda un’altra fitta.
<< Non voglio che fumi durante un caso. Eravamo d’accordo, Sherlock: mai durante un caso >>.
<< Tu non… non digerisci che io fumi durante un caso? >> gli chiede stupito. John annuisce rendendosi conto di quanto stupida sia la cosa che gli ha appena detto. Sherlock sorride e scuote il capo.
<< Penso sia meglio tu vada a dormire, John. Devi essere molto stanco per uscirtene con simili idiozie >> gli dice posando anche l’altra mano sulla sua. Gli sorride dolcemente rendendo il suo sguardo ancora più attraente. John vorrebbe trascinarlo a sé, proprio come ha fatto il punk in quel vicolo, ed è sicuro che il dolore che prova all’addome svanirebbe all’istante.
“Se quei disperati possono averti… perché non posso averti anche io?” pensa fissando troppo insistentemente, se ne rende conto, quelle belle labbra che fin dal primo istante hanno colpito la sua attenzione.
<< Non vuoi che partecipi al caso e ho capito che lo fai per il mio bene. Ti chiedo, però, per favore, dal momento che ne sono coinvolti i figli di un nostro caro amico, di dirmi cos’hai scoperto riguardo al disegno. Non mi bastano le poche cose dette stamattina da te e George >>.
<< Sapevo che non ti saresti arreso >> ridacchia stringendogli la mano << Nulla di buono, purtroppo >> sospira apparendo ancora più stanco. << È una cosa talmente grande che non so nemmeno se si potrà davvero fermare >>.
<< Perché non si può fermarla? >>.
<< Perchè quando qualcosa circola sul web si espande velocemente e anche se la si debella crea degli emulatori con una rapidità impressionante >> dice richiamando a sé la mano. John la lascia andare con dispiacere e si alza subito dopo di lui seguendolo fino alla scrivania del salotto.
<< Questo >>, dice prendendo in mano la foto del disegno fatto da Daisy Cooper, << è il logo di un portale che si chiama Fenix, messo on line circa sei mesi fa’ >> gli dice accomodandosi davanti al pc. << Come vedi sembra un innocuo portale nel quale scambiare idee e riflessioni su varie tematiche riguardanti l’adolescenza. La fenice è simbolo di morte e rinascita e la mente dietro questo sito la paragona a questo periodo particolare della vita. Per poter postare commenti e porre domande ci si deve iscrivere e il form di iscrizione è molto dettagliato. Non lo puoi fregare, devi introdurre dati corretti e veritieri, nessun nickname. A quanto pare chi sta dall’altra parte controlla la veridicità dei dati e permette l’accesso solo se approva l’iscrizione >>.
<< Alla faccia della privacy >>.
<< Non è possibile fregarlo neppure inserendo nomi di ragazzini reali, perché il server riconosce che l’host dal quale si sta scrivendo non può corrispondere alla cella del domicilio reale del ragazzino e butta fuori l’intruso >>.
<< Cristo >>.
<< No, più il suo esatto contrario >> precisa Sherlock. << Per questo abbiamo bisogno che Lizzy collabori, in modo da poter usare il suo accesso, ammesso che non l’abbiano già sbattuta fuori del tutto, e entrare nel sistema per scoprire da chi è gestito per debellarlo. Almeno finchè qualcuno non cercherà di emularlo. Sono riuscito comunque a capire come è strutturato a grandi linee. Ho cercato notizie di suicidi in cui la vittima ha lasciato come biglietto un disegno e ho trovato questi dati >> dice aprendo un file sul desktop.
<< 54 casi di suicidio di giovani dai 13 ai 20 anni di entrambi i sessi collegati a questo sito in Spagna. Altri casi in Francia e Germania. È pazzesco >> sussurra John che inizia a vedere la portata esagerata dell’azione di questo portale.
 << Come ti ho detto è una cosa decisamente grossa. Quelli di Rosaline Jackson e Daisy Cooper sembrano essere i primi due casi in Inghilterra, ma potrebbero benissimo essercene altri. Non sempre vengono presi in considerazione tutti i dettagli quando si tratta di suicidio >>.
<< E la figlia di Greg è finita in questo giro >> sospira John posandogli la mano sulla spalla.
<< Un brutto giro >> conferma Sherlock. << Come dicevo stamattina, il sistema è composto da tre fasi ben distinte. All’inizio danno davvero solo informazioni e rispondono alle domande degli utenti. Assegnano loro un tutor che inizia a entrare in confidenza col ragazzo, raccogliendo informazioni sempre più confidenziali, forti della fiducia di questi disperati. A quel punto fanno una scrematura e puntano sui più fragili invitandoli ad assistere a delle conferenze pubbliche e gratuite. Conferenze condotte da esperti reali tra i quali, però, si aggirano personaggi poco      raccomandabili >>.
<< Oddio, non starai parlando di pedofili >>.
<< C’è di tutto qua dentro, John. Pedofili, sfruttatori, ricattatori, spacciatori. Adescano questi ragazzi promettendo loro una vita più felice sotto il segno della fenice >>.
<< Una setta >>.
<< In un certo senso anche. La terza fase è la peggiore e ci si arriva dopo una selezione molto accurata. Preparati dalle promesse infarcite nella seconda fase, i ragazzini sono desiderosi di essere invitati ai seminari privati, condotti da persone dalla dubbia professionalità che si fanno chiamare Master. Arrivano a litigare tra loro commettendo vere e propri atti di cyberbullismo. I tutor e i Master istigano al cyber bullismo, portando i ragazzini a vere e proprie risse mediatiche con svalutazione e pubblico ludibrio ai danni di coloro che vogliono lasciare il gruppo o che ne hanno parlato a persone pericolose per l’incolumità del portale o che non sottostanno alle richieste dei Master. È una sorta di selezione naturale. Quelli che sopravvivono passano alla terza fase, quelli che non reggono si suicidano. Il suicidio è incentivato non solo dai pari in lizza per entrare nell’ambita terza fase, ma anche da chi dirige il portale >>.
<< E questa terza fase in cosa consiste >>.
<< Nell’ottenere l’autorizzazione ad adescare altri ragazzini in cambio di un riconoscimento fittizio valido solo all’interno del portale. Ci sono ragazzini super noti, famosi al pari di star di Hollywood con molto potere in mano. Letteralmente il potere di vita o di morte sui loro coetanei. L’ultima parola, ovviamente, spetta al gestore del portale, ma pare che sia molto facile    convincerlo >>.
<< E come? >>.
<< Con invio di immagini… particolari, che vengono subito immesse nel mercato pedopornografico, nel più semplice dei casi. Con il mettersi a disposizione per incontri intimi con persone scelte dai Master, nel peggiore >>.
<< Incitamento alla prostituzione, al suicidio e al cyberbullismo. E tutto questo per un posto in prima linea in un luogo che a tutti gli effetti… non esiste >> John è shoccato. << E Lizzy…a che punto di questa storia è? >>.
<< L’essere stata scoperta figlia di un investigatore di Scotland Yard l’ha fatta bandire dal portale. Ora sta subendo cyberbullismo. George oggi mi ha inviato delle foto dei messaggi che ha trovato sul pc della sorella. Pare abbiano messo in giro voci false e foto che lei dice essere state ritoccate con Photoshop che la ritraggono in atteggiamenti equivochi e molto poco vestita >> gli dice passandogli il cellulare. John legge quell’ondata di cattiverie gratuite ai danni di una ragazzina già provata da una situazione stressante e scuote il capo sconsolato.
<< Dio mio. Come si può arrivare a tanto >>.
<< I ragazzi sanno essere cattivi, John. Non so se tu hai avuto la sfortuna di essere mira dei bulli a scuola. Ti assicuro che non è una bella esperienza >> sussurra riprendendo il cellulare, sfiorando appena le mani del dottore, desiderose di trattenerle a sé.
Vorrebbe fargli tante domande su questo accenno di passato che gli ha concesso. Lui che forse può dire, con imbarazzo, di essere stato più dalla parte dei bulli che dei bullizzati. Non ha mai partecipato a pestaggi o umiliazioni contro coloro che erano presi di mira, ma non ha neppure mai fatto nulla per aiutarli. Almeno prima che queste cose non si riversassero su sua sorella.
Era sempre pronto a menare le mani davanti a qualcuno che osava dire qualcosa di spiacevole sulle scelte di vita di Harriet. Ne ha date e ne ha prese tante per difenderla. Sia da azioni dirette che da semplici insulti in sua assenza. Può dire, forse, di aver vissuto il bullismo per conto terzi, se mai questo esiste. Sua sorella in apparenza teneva botta agli insulti, alle minacce, alle prese in giro e anche ai tentativi di violenza da parte del macho di turno pronto a convertire la maledetta lesbica. Sono stati anni duri per lui e può solo immaginare cosa non abbia vissuto uno con il carattere e i modi di Sherlock a scuola. Si dimentica forse troppo spesso che anche il brillante consulente investigativo è stato bambino e adolescente.
<< Mi dispiace >> riesce solo a sussurrare. Sherlock lo guarda stupito e abbozza appena un sorriso amaro.
<< E’ tardi, John, vai a dormire. Domani sei di turno presto >> dice sorprendendolo ancora una volta col suo ricordarsi dei suoi impegni.
<< Tu cosa farai? >> gli chiede conoscendo già la risposta.
<< Voglio battere un’altra pista sul web per cercare di aggirare il sistema ed entrare in quel dannato blog >> dice volgendo gli occhi al cielo. John ridacchia alzandosi in piedi.
<< Non mandare in tilt questa bella testa, mi raccomando >> dice posandogli un bacio sulla fronte. Prende la tazza con la camomilla ed esce dall’appartamento. Solo quando si chiude la porta di camera sua alle spalle si rende conto di ciò che ha fatto.
 

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Capitolo 5
*** capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
<< E’ come una stilettata, dottore. La sento forte qui e poi si irradia da tutte le parti, togliendomi il respiro >>.
L’uomo anziano e curvo gli spiega con fatica ciò che prova. La mano destra all’altezza dello stomaco e un’espressione addolorata nella quale John si ritrova. Dalla visita ipotizza la presenza di un’ulcera gastrica, che va ad unirsi all’ernia iatale e al morbo di Crohn localizzato all’altezza del colon.
“Eccoti tra una ventina d’anni, Johnny, se continui così”. John sospira. Ha ormai smesso di ribattere alle battutacce che la sua mente gli ripropone usando la voce e il tono sprezzanti di sua sorella.
<< Troppe cose non digerite >> dice rendendosi conto troppo tardi di aver parlato ad alta voce. Il paziente annuisce curvandosi ancora di più.
<< Ha ragione. Se avessi dato voce a tutte le cose che ho preferito, invece, ingoiare forse ora non sarei ridotto così male >> sussurra con un filo di voce.
<< Penso che ci sia sempre tempo per farlo. Fa parte della cura: da una parte le medicine dall’altra i sassolini tolti dalle scarpe >>.
<< Eh… lei è giovane, dottore, e quando avevo ancora la sua età forse avrei potuto. Ora… ora sarebbe tutto inutile. Sono vecchio e stanco e mi tocca sopportare. Solo non ci posso stare. Potrei anche volerlo e persino cavarmela, in altre circostanze. In queste condizioni, invece… >> scuote il capo lasciando incompleto il suo pensiero.
John avverte il suo stomaco dolere della stessa fitta così ben descritta dall’uomo che ha di fronte. Dovrebbe fare degli esami, ma teme già il responso e come è noto i medici sono i peggiori pazienti, quindi si risparmia la fatica. Sa bene di cosa avrebbe bisogno. Quel bacio innocente lo ha tenuto sveglio per buona parte della notte. Lo ha spinto a introdursi furtivo in casa sua come un ladro, prepararsi in fretta e scappare via, nonostante il suo coinquilino non ci fosse. Anzi, forse proprio per quello.
“Chissà dove sei andato e con chi sei, ora” pensa. Il colpetto di tosse del suo paziente lo riporta alla realtà. Compila svelto la ricetta, sentendo il bisogno di mandarlo via, e gliela porge con un sorriso, spiegandogli pazientemente la posologia dei farmaci. Lo accompagna alla porta, ma questi si ferma sui due piedi ancor prima che possa aprirla e lo guarda serio. Deve essere stato un bell’uomo da ragazzo. Quegli occhi di un azzurro ormai opaco sono intensi, penetranti e capaci di mettere in soggezione, ora che ha assunto questa postura quasi marziale.
<< Riconosco quello sguardo, dottore. So che dovrei farmi i fatti miei, ma sono vecchio abbastanza per fregarmene e lei è ancora giovane per potersi salvare. La rabbia. E’ questa che ci uccide facendoci bruciare. La lasci andare. Non serve a nulla tenerla qui >> dice puntando il dito nodoso verso al pancia di John. << Provi a guardare cosa questa copre. Perché noi uomini copriamo tutto con la rabbia. Spesso una profonda tristezza o una grande paura. A volte persino un grande amore >> dice e lo stomaco di John si contrae. << Scusi se mi sono permesso, ma rivedo molto di me in lei e se poco posso fare per me, ormai, beh… forse sarò meno un inutile vecchio se posso fare qualcosa per lei >>.
Le parole accorate dell’uomo sono come un balsamo per lo stomaco contratto, che si distende un po’ avvolto da un inebriante calore.
“Se papà ci avesse mai parlato così… quante cose sarebbero diverse oggi, Johnny?”.
 John abbraccia quest’uomo. Compie questo gesto insolito mosso più da un bisogno personale che da una tacita richiesta del paziente. Il vecchietto ne resta stupito, ma accetta quello che anche per lui è un dono. Gli picchietta imbarazzato la spalla.
<< La ringrazio >> sussurra John prima di lasciarlo andare.
<< Anch’io >> risponde l’uomo asciugando distrattamente gli occhi lucidi.
<< Abbia cura di lei e per qualunque cosa sa dove trovarmi >>.
L’uomo esce dalla stanza nello stesso momento in cui il cellulare gli comunica l’arrivo di un messaggio. Resta immobile, come avesse sentito il click di una sicura tolta ad un’arma puntata contro di lui. Si avvicina con passo incerto al telefono e lo guarda a lungo prima di prenderlo. Un messaggio da Sherlock e lo stomaco si contrae.
“Non dirmi che adesso non riuscirai a guardarlo in faccia per quello stupido bacetto?”.
Scaccia l’idiozia detta da Harriet e legge il breve testo.
 
Baker Street. Vieni se puoi. Se non puoi viene lo stesso. Ho bisogno di te. SH
 
Uno dei suoi soliti testi, si potrebbe dire. John, però, resta imbambolato su quelle ultime quattro parole. Leggere di questo bisogno che ha di lui ha il potere di allentare le tensioni che gli artigliano i visceri.
Toglie svelto il camice e corre via. Sara gli fa appena un cenno con il capo, ormai rassegnata a vederlo scappare a metà turno, e lui non sta certo a perdere tempo con inutili spiegazioni. Corre alla metro e grazie a una serie di coincidenze prese al volo giunge in tempo record a casa.
<< Hai fatto in fretta >> lo accoglie Sherlock seduto alla sua poltrona. Al centro della stanza trova Greg e George, l’uno confuso, l’altro nervoso e imbarazzato.
<< Che succede? >> domanda trafelato avvicinandosi ai due in piedi.
<< E’ quel che mi sto chiedendo anche io, John >> dice Greg, le mani ai fianchi mentre sposta il peso da uno all’altro piede. << Io e Sherlock abbiamo passato la mattinata a spulciare tutti i casi di suicidio avvenuti in Inghilterra negli ultimi sei mesi. In 31 di questi abbiamo trovato il disegno della Fenice >>.
<< 31? >> domanda John stupito. << E come mai non è stata notata questa coincidenza? >>.
<< Perché non abbiamo i suoi occhi, John >> dice Greg. << In questi ultimi due casi il disegno era ben visibile. Uno addirittura inciso sulla pelle. Negli altri, invece, non saltava subito all’occhio >>.
John si stranisce del silenzio da parte di Sherlock. Una sua battuta qui se l’aspettava quasi con tempismo teatrale, invece niente. Lo guarda e lui ricambia lo sguardo. Scuote la testa e John capisce che non gli ha ancora detto nulla del Fenix e di tutta quanta quella storia.
<< Poi lui è tornato qui >>, continua Greg, << e dopo poco mi richiama chiedendomi di raggiungerlo e chi ti trovo insieme a lui? >> dice voltandosi verso il figlio con un’espressione tra l’arrabbiato e il preoccupato. << Quando vi deciderete voi due di mettermi a parte di quel che sta accadendo? >> domanda il detective e Sherlock volge nuovamente lo sguardo a John. Vuole sia lui a informarlo. Lui che a dare brutte notizie e molto più preparato e bravo del consulente. Fosse stato chiunque altro lo avrebbe ragguagliato senza problemi, ma  si tratta di Greg questa volta.
John annuisce e si prepara prendendo un bel respiro. Parla lentamente, scandendo bene le parole, come gli avevano insegnato durante la specializzazione e come tante volte ha fatto al cospetto di parenti addolorati e commilitoni affranti. Mentre gli spiega ciò che Sherlock gli ha illustrato la sera prima e quanto George ha raccontato loro quella mattina, non distoglie mai lo sguardo dai volti di Greg e di George, pronto subito a intervenire in caso di malessere o di una crisi di nervi.
Il detective impallidisce sempre più man mano che il racconto prosegue. Gli occhi gli si fanno grandi di stupore e spesso scuote il capo incredulo, scoccando un’occhiata al figlio. Quando John conclude il suo pezzo, Greg porta entrambe le mani a coprire il viso e le tiene lì premute per un lungo istante, respirando lentamente.
John volge lo sguardo a Sherlock, che ha assistito dalla sua poltrona restando perfettamente immobile. Annuisce abbozzando un sorriso e il dottore capisce di aver svolto bene il suo compito.
<< Papà… io… scusa se non sono venuto da te, ma… tu mi parli sempre così bene di lui e… e non volevo farti preoccupare >>. George trema leggermente. Trattiene a stento le lacrime, tenendo gli occhi bassi. Quando Greg si volta verso di lui lo guarda appena, incapace di sostenere il suo sguardo. Il detective sorride posando la mano sulla spalla del figlio.
<< Ti sei preso cura di tua sorella. Hai fatto quello che avrei dovuto fare io. Grazie, George >> gli dice portando la mano alla guancia glabra carezzandola con il timore quasi di romperlo. Il viso di George si strizza come una spugna e in un attimo gli vola al petto, abbracciandolo forte mentre da sfogo alle lacrime. Greg lo sostiene, lo culla con la stessa dolcezza con la quale lo ha tenuto tra le braccia appena pochi anni fa. Nelle notti di febbre e malanni. Nei momenti di paura e incubi. A seguito di litigi e capricci. Ma anche quando semplicemente si addormentava sereno sentendosi al sicuro e protetto tra le braccia forti del suo papà.
<< Lizzy è al sicuro, Sherlock? >> gli chiede, la voce rotta dalla commozione.
<< Sta per arrivare >> risponde il consulente. Il volto inespressivo e leggermente più pallido del solito. John si accomoda alla sua poltrona, cercando di rincuorarlo con la sua vicinanza. Intimamente sente il bisogno, a sua volta, di rincuorare se stesso avendolo vicino, perché quella bellissima scena di amore incondizionato ha messo a dura prova il suo equilibrio interno già abbastanza scosso negli ultimi giorni.
<< Lei non si aspetta di trovarci qui? >> chiede Greg.
<< No >> risponde Sherlock.
<< Si arrabbierà >> dice George ancora fermo nell’abbraccio del padre e per nulla intenzionato ad allontanarsene.
<< Beh… siamo in quattro, penso che riusciremo a gestire la rabbia di una singola donna, no? >> dice Sherlock e gli altri lo guardano stupiti.
<< Non hai mai avuto a che fare con una donna furiosa, Sherlock? >> gli chiede John. Il consulente ci pensa su per qualche istante. Più di una volta sembra stare per rispondere per poi cadere nuovamente nel silenzio riflessivo.
<< Effettivamente no. Almeno non direttamente. Ho sentito tante volte le tue innumerevoli ex gridarti contro >>.
<< Il più delle volte proprio a causa tua >> ribatte John facendo ridere i due Lestrade.
<< Bah, se basta così poco. Sono davvero strane queste femmine, mi chiedo proprio cosa ci troviate! >> sbotta con uno svolazzo della mano molto equivoco e del tutto insolito, che mette in imbarazzo gli altri tre.
Sherlock riceve un messaggio e contemporaneamente il campanello suona.
<< Eccola che arriva. Spero proprio che non abbia preso da tua moglie, Giles. Anche se non posso dire quanto sia meglio il tuo di carattere >> dice Sherlock facendo sbuffare il detective.
<< Guarda che lui si chiama, Greg >> dice George indicando il padre.
<< Lascia perdere, George. E’ fatica sprecata! >> gli dice questi, ormai rassegnato a sentirsi affibbiare tutti i nomi che cominciano per G.
Bussano alla porta e John si alza per andare ad accogliere la terza Lestrade. Si ritrova al cospetto di una giovane donna dall’espressione triste coperta dai lunghi capelli lisci tinti di nero. Questi, come un sipario, lasciano appena aperto uno spiraglio a far intravedere gli occhi truccati in modo pesante con uno spesso strato di matita scura e rimmel, il volto reso ancor più pallido dalla cipria e la bocca colorata da un rossetto nero. Una collana ricavata da una striscia di pelle tagliata in più punti le fascia il collo ricadendo morbida sul piccolo seno perfetto, stretto da un corpetto nero con inserti bordeaux. Una gonna morbida le cinge la vita magra cadendo irregolare a metà delle cosce toniche coperte da collant strappati in più punti. Ora capisce perché Sherlock ha ingaggiato un punk per stare dietro alla ragazza.
<< C’è il signor Holmes? >> sussurra Lizzy scostando appena una metà della coltre di capelli con la mano piccola dalle unghie laccate di nero. I molti bracciali che ha al polso tintinnano prima scendendo verso il gomito, poi ricadendo verso il polso quando riporta la mano sul fianco.
John la invita ad accomodarsi e lei fa risuonare le suole dei pesanti anfibi borchiati muovendo appena due passi oltre la soglia per poi fermarsi. Ritrovare lì, in piedi al centro della stanza, il padre e il fratello ha l’effetto di farla subito scattare, come un gatto colpito da poche gocce d’acqua.
<< Avevi detto che avresti mantenuto il segreto! >> strilla Lizzy additando il fratello che balza verso di lei come una molla.
<< L’ho fatto finchè non ho temuto tu commettessi un’altra stupidaggine! >>.
<< Sta zitto! >> grida la ragazza tentando di avventarsi sul fratello. Greg scatta e, con una rapidità collaudata da anni di esperienza, placca l’una ed entra in difesa dell’altro. John e Sherlock lo guardano ammirati.
<< Ora ci diamo una calmata tutti quanti, chiaro! >> tuona e sebbene siano ancora scossi, entrambi i ragazzi annuiscono ammutoliti. Prende la sedia riservata ai clienti e John porta in salotto le due sedie del tavolo della cucina. I tre Lestrade si accomodano una a destra, l’altro a sinistra e il padre al centro.
<< Perché sei venuta qui, Lizzy? >> le chiede Greg.
<< Peter mi ha consigliato di venire a parlare con lui >> dice indicando Sherlock. << Mi ha detto che lo conosce >>.
<< Chi è Peter? >> chiede Greg aggrottando le sopracciglia. Volge lo sguardo a Sherlock che annuisce dandogli a intendere che è tutto a posto e il detective coglie il messaggio e si ammansisce.
<< Sì, lo conosco >> conferma Sherlock e la ragazza sembra rassicurarsi.
<< E perché ti ha detto di venire qui? >> le chiede Greg. Lizzy sfrega le punte delle scarpe da tennis l’una contro l’altra, il volto nascosto totalmente dai capelli, e sembra che la sedia sulla quale siede sia diventata improvvisamente scomoda.
<< Sherlock mi ha parlato del portale Fenix e so che tu ne sei rimasta coinvolta. Cosa sta succedendo, piccola >> sussurra Greg scostandole appena il fascio di capelli dal viso. La ragazza volge i grandi occhioni spaventati su di lui e morde le labbra scure. Il fratello annuisce incoraggiandola.
<< Daisy Cooper frequentava l’ultimo anno nella mia scuola. È da lei che ho sentito del portale Fenix. Ne stava parlando a delle amiche in bagno a scuola. Io sono rimasta ad ascoltare e quella stessa sera mi sono iscritta. All’inizio è stato bello, ma ora… ora è un inferno >> le lacrime scendono a dipingerle righe nere sulle guance.
<< Un… inferno? >> le domanda Greg. Lizzy annuisce asciugando le lacrime con la mano.
<< Mark mi ha detto che ha ricontrollato il test che mi ha fatto all’inizio e ha scoperto di essersi sbagliato. Non ho i requisiti necessari per restare nel gruppo >>.
<< Ti hanno fatto un test? >> domanda John offrendole dei fazzoletti di carta.
<< Sì. Per iscrivermi ho dovuto rispondere a una lunga serie di domande e passare una selezione. Dicevano fosse per motivi di privacy >>.
<< Come no! >> sbotta George incrociando le braccia al petto.
<< Chi è Mark? Uno dei gestori del portale? >> domanda Greg. La ragazza scuote il capo.
<< No, è il mio tutor >> dice e il pianto le rende difficile proseguire il racconto.
<< Questo tutor non è un adulto, né uno psicologo o un professionista simile >> prosegue al suo posto Sherlock. << Fenix si nasconde dietro la facciata di voler insegnare ai ragazzi l’importanza dell’automutuo aiuto. Dopo un primo periodo di ascolto e dopo averlo invitato ai seminari pubblici, questo tutor dice al nuovo iscritto che ha i requisiti per poter divenire a sua volta tutor e aiutare altri coetanei in difficoltà. Lo abbindola con promesse di successo e riconoscimento sociale e inizia a invitarlo ad eventi privati tenuti da adulti che dicono di essere professionisti. Solo dopo altri test e un’ulteriore selezione si ottiene il grado di tutor e inizia la gara per ottenere sempre più nuovi iscritti. È compito dei tutor far conoscere il sito e i suoi benefici ed è sempre loro compito eliminare coloro che escono dalle regole del portale. Che è quello che sta capitando a te, non è così Lizzy? >>
La ragazza annuisce stupita. Sbatte le palpebre sui suoi occhioni carichi di trucco, incredula di fronte alla perfetta analisi fatta dal consulente.
<< Io… non so quale regola posso aver violato. Non capisco. Ero così felice che mi avessero invitata a un seminario privato >> sussurra asciugando nuove lacrime. << Daisy Cooper, però, quando mi ha vista lì non l’ha presa bene. Mi ha chiesto cosa ci facessi e poi ho visto che parlava di me a uno dei Master >>.
<< Master? >> domanda Greg.
<< Uno dei ‘professionisti’ che tiene i seminari, è così che si fanno chiamare >> risponde Sherlock.
<< Sì, esatto. Quando sono arrivata a casa ho ricevuto un messaggio da Mark che mi diceva che non potevo proseguire >>.
<< E da quel momento hanno iniziato a bullizzarti >> dice Sherlock a Lizzy, nuovamente sorpresa dalle sue intuizioni. Greg fa viaggiare lo sguardo stupito dal consulente alla figlia mentre George scuote il capo sconsolato.
<< Sei vittima di bullismo? Dio, avevo capito che c’era qualcosa che non andava, ma non pensavo questo >> dice Greg passando la mano tra i capelli. A quel gesto di nervosismo la figlia nasconde ancora di più il volto dietro la coltre di capelli facendosi piccola piccola.
<< Le sue ‘amiche’ hanno iniziato a darle addosso >> dice George disgustato. << la accusano  di voler sabotare l’organizzazione, di essere una spia del sistema e che si dovrebbe vergognare per aver tentato di danneggiare un portale che fa di tutto per aiutare i giovani in difficoltà. Hanno messo in rete delle sue foto… imbarazzanti >> dice arrossendo. << Le hanno persino consigliato di suicidarsi >>.
<< Come fai a sapere tutte queste cose >> grida la sorella scattando in punta alla sedia, le mani aggrappate alla seduta.
<< Perché ti ho tenuta d’occhio, Lizzy! Mi avevi promesso che saresti andata dalla psicologa della scuola, che ti saresti fatta aiutare >> grida di rimando il fratello, la voce rotta dall’emozione.
<< E’ quEllo che ho tentato di fare >> urla disperata. << pensavo davvero mi potessero aiutare e per un po’ è stato davvero così >>.
<< Quelli ti stanno solo aiutando ad ammazzarti! Non ti è bastata l’alt… >>.
<< Sta zitto! >> urla la ragazza balzando in piedi.
<< Basta voi due! >> urla Greg alzandosi a sua volta. << Se gridate non arriviamo da nessuna   parte >> dice rivolto a Lizzy cercando di mantenere la calma. La ragazza torna a sedere scoccando, però, occhiatacce al fratello che sostiene imperterrito il suo attacco.
<< Tuo fratello ha ragione >> dice Sherlock catturando l’attenzione dei tre Lestrade. << E’ proprio quello il loro scopo, Lizzy. Spingerti al suicidio. Lo fanno con tutti quelli ritenuti pericolosi ai fini reali del portale >>.
<< Pericolosi? >> sussurra la ragazza. << Perché sarei pericolosa? >> domanda incredula.
<< Perché hanno scoperto che sei figlia del migliore detective attualmente in carico a Scotland Yard >> risponde Sherlock. Greg e Lizzy lo guardano stupiti.
<< Lo sapevo che era per quello! >> esclama orgoglioso George e Sherlock annuisce soddisfatto di lui.
<< Io… io non capisco comunque perché dovrebbero buttarmi fuori per il lavoro che fa mio padre. E’ un portale di auto mutuo aiuto >>.
<< Ma non l’hai ancora capito che quella gente fa il lavaggio del cervello a chi si iscrive? >> sbotta George, incredulo dell’ingenuità della sorella. << Signor Holmes, le dica cosa ha scoperto >>.
<< Sta indagando sul Fenix? >> domanda stupita la ragazza.
<< Sono stato chiamato ad occuparmi del caso di suicidio di Rosaline Jackson e le indagini mi hanno portato al Felix e ha scoprire cosa questo in realtà sia >> risponde Sherlock che racconta alla ragazza i retroscena accennati dal fratello. Lizzy lo guarda con la stessa espressione stupita di suo padre e a intervalli regolari scuote il capo incredula delle cose che sta sentendo.
<< Oddio >> sussurra portando entrambe le mani alla bocca. << E ne sono venuta fuori indirettamente grazie al tuo lavoro, papà >> dice posando la mano sul ginocchio del padre.
<< Non vedo l’ora di farlo sapere alla mamma e che si rimangi tutte le volte in cui dice che il tuo lavoro non serve a nessuno salvo che a te >> aggiunge George assestandogli una bella pacca sulla spalla.
Greg guarda incredulo i sorrisi compiaciuti dei suoi figli. Porta le mani ai loro volti che accarezza sempre con quella paura di romperli o danneggiarli.
<< Ragazzi miei >> sorride loro. << So che nell’ultimo periodo la situazione è stata a dir poco disastrosa. Io voglio che sappiate, però, che per voi ci sono e ci sarò sempre, anche se io e la mamma non stiamo più insieme. Lizzy, metteremo fine a questa brutta situazione, te lo prometto. Tu, per favore, promettimi che mi parlerai di qualunque cosa ti capiti, soprattutto di quelle in cui hai bisogno di aiuto >>.
<< Non volevo che tu soffrissi anche a causa mia >> singhiozza la ragazza affondando il viso nella sua mano che delicata la accarezza. Crea un contrasto marcato la mano scura di Greg contro la pelle pallida truccata della figlia.
<< Non ho alcun motivo di soffrire perché tu non hai fatto niente di male >>.
<< Solo perché Peter è arrivato in tempo >> confessa strizzando forte gli occhi. A Greg manca il respiro al pensiero dello scampato pericolo. Volge lo sguardo a Sherlock in un muto ringraziamento che il consulente accoglie inclinando appena il capo. << Tutti quei messaggi… tutta quella cattiveria… quelle foto truccate che hanno messo in giro dicendo che fossi io… stavo per      crollare >>.
George rabbrividisce e Greg rinnova la carezza sulla sua guancia glabra.
<< Quando ho incontrato Peter ero in biblioteca. Guardavo giù dal balcone del quarto piano. Mi è sempre piaciuto quel posto e non c’era nessuno. Pensavo che fare un salto da lì non sarebbe stato male. Come il tuffo dal trampolino alto in piscina, l’ho fatto mille volte. Non sarebbe finito allo stesso modo, ma sono… dettagli >> minimizza abbozzando un sorriso.
<< Dettagli che tuo padre sa gestire >> si intromette John, al quale non è sfuggito il modo improvviso in cui il suo viso ha perso ogni colore. Lo stomaco gli rimanda una stilettata forte e deve reprimere un gemito. Sherlock gli scocca appena un’occhiata preoccupato.
<< Posso immaginare perché vi siate preoccupati >> continua. << Vostro padre è parecchio provato nell’ultimo periodo, ma è sempre Gregory Lestrade, la pietra miliare di Scotland Yard. Merita di sapere come stanno i suoi figli e voi meritate di potergli raccontare ciò che di bello e anche ciò che di meno bello vi trovate a vivere >>.
<< Sì, ma della sua sofferenza… chi se ne occupa? >> chiede Lizzy piangendo in silenzio.
<< Io >> dice Sherlock cogliendo tutti di sorpresa. << Se lui non è in forma o, peggio, se dovesse essere trasferito per negligenza o per qualche colpo di testa perderei la possibilità di partecipare alle indagine, il che sarebbe a dir poco seccante! >> sbotta stizzito.
<< Questa non è una bella cosa da dire >> ribatte Lizzy scattando sulla difensiva.
<< Tesoro, ti assicuro che è il miglior complimento che potessi ricevere da parte sua >> la tranquillizza Greg. Il sorriso che il detective regala al consulente è talmente bello da portare quest’ultimo a distogliere lo sguardo imbarazzato. John si rende conto di quanto importanti siano l’uno per l’altro e stranamente il suo stomaco non viene trafitto da alcuna fitta dolorosa. Li guarda, anzi, commosso e compiaciuto. Questi due uomini così distanti, ma accomunati dall’amore per il lavoro che fanno. La continua lotta per cercare di portare alla ribalta la verità e fare in modo che sia fatta giustizia è la qualità che a lui manca. È abituato, John a obbedire agli ordini. Ad agire prima ancora di pensare, sia come soldato che come medico. Si rende conto di avere così tanto da imparare da questi uomini che ha l’onore di poter definire amici. Oddio, Greg sicuramente. In quanto a Sherlock…
<< Secondo te, Lizzy, perché Daisy e Rosaline si sono suicidate? Sembravano due tutor senior, da come le hai descritte >> chiede Sherlock alla ragazza distogliendo John dai suoi pensieri.
<< Io… non lo so. La notizia dei loro suicidi ha stupito anche me. Il seminario privato si è svolto a casa di Rosaline, che ha approfittato dell’assenza dei suoi per mettere a disposizione la sua casa. Il Master era molto gentile con lei e la ricopriva di attenzioni… troppe attenzioni, secondo me >>.
<< Era un adulto? >> domanda John.
<< Sì, un uomo sulla cinquantina >>.
<< Maledetti bastardi, approfittarsi così dei ragazzini >> ringhia tra i denti Greg.
<< Una amica mi ha detto che Daisy non poteva sopportare Rosaline. In effetti, con la scusa di essere la cocca del Master, se la tirava abbastanza >>.
<< Per attirare l’attenzione di lui, la Cooper gli ha detto di chi eri figlia e questo deve aver passato un brutto quarto d’ora, temendo di veder piombare nell’appartamento tutta Scotland Yard. La cosa non deve essergli piaciuta e ha deciso di punire le ragazze. Avrà usato la tattica del cyberbullismo e dell’istigazione al suicidio per punirle di aver messo in pericolo      l’organizzazione >>.
<< Oddio! Ma allora è stata per colpa mia? >> domanda Lizzy, gli occhioni già colmi di pianto. John e Greg scoccano un’occhiataccia al consulente, che si rende conto troppo tardi di aver, forse, parlato in modo troppo diretto.
<< Non hai nessuna colpa, Lizzy. Le colpe sono di quegli uomini e quelle donne che hanno messo in piedi tutto questo casino >> tenta di mettere una pezza John.
<< Sapresti riconoscere queste persone? >> le chiede Greg carezzandole leggero i capelli
<< Sì. Avevo anche alcune foto fatte alle riunioni, ma pochi giorni dopo che mi hanno buttata fuori mi hanno rubato il telefono >>.
<< Oh, ci ha pensato tuo fratello a recuperarle >> dice Sherlock continuando a inviare e leggere messaggi dal cellulare. Lizzy scocca un’occhiata stupita al fratello che sorride sprezzante del pericolo. Non gli urla contro, questa volta. Scuote il capo rassegnata prima di sorridergli.
<< E sono state anche molto utili >> aggiunge Sherlock.
<< Davvero? >> domanda Greg stupito. << Sherlock… sei sicuro di non dovermi aggiornare sulle indagini che stai conducendo? >> gli chiede incrociando le braccia al petto.
<< In effetti è arrivato il momento di farlo >> dice alzandosi in piedi. << Ma lascerò che sia lui a ragguagliarti >> dice sorridendo in direzione della sua stanza. John segue il suo sguardo e si alza di scatto quando vede un ragazzo sconosciuto fermo a pochi passi dalla cucina.
<< Fox[1]? Cosa ci fai tu qui? >> gli chiede Greg anche lui balzato in piedi.
<< Tu lo conosci? >> gli domanda incredulo John.
<< Non abbiamo molto tempo e rimanderei a dopo le presentazioni, se non vi dispiace! >> dice il ragazzo in tono gentile ma deciso. << Abbiamo individuato dove si trovano i Master dei seminari che sono stati tenuti qui a Londra >> dice ponendosi tra la poltrona di John e la sedia sulla quale è seduta Lizzy, che lo guarda come fosse ipnotizzata << Greg, ti consiglio di mandare una pattuglia a questi indirizzi >> gli dice porgendogli un biglietto. << Le accuse sono di adescamento, corruzione di minore, scambio di materiale pedopornografico, incitamento alla pedoprostituzione, alla prostituzione e al suicidio >>.
<< Ce ne sono tante da sbatterli in galera a vita >> annuisce Greg. << Sai bene, però, che dovrò fare rapporto e non voglio sentir parlare di esclusive giornalistiche e simili cazzate, Fox >>.
<< Io e i miei colleghi lavoriamo affinchè la verità venga a galla, detective. Non intralciamo la giustizia, anzi, quando è possibile la aiutiamo >> ribatte il ragazzo sorridendo cordiale.
<< Hai notizie da Sky sul portale? >> domanda Sherlock. Il ragazzo porta la mano all’orecchio destro e si lascia sfuggire un’imprecazione in spagnolo.
<< Mi spiace, Billy, ma dovremo chiedere l’aiuto del Governo Inglese >>.
<< Speravo di potermelo risparmiare >>.
<< Pure io. Quel portale purtroppo è inespugnabile e per arrivare a chi c’è dietro a tutto questo casino Sky ha bisogno di maggior potenza >>.
<< Va bene. Greg, coordina le operazioni e raggiungici quanto prima al Diogenes Club >>.
<< Avremmo bisogno anche del tuo aiuto per convincere il Governo Inglese a collaborare >> aggiunge Fox, scambiando un’occhiata d’intesa con Sherlock. Questi gli sorride. Lo stesso sorriso che John gli aveva visto dedicare al chitarrista. Osserva attento questo altissimo ragazzo dalla pelle pallida quanto quella del consulente ma spruzzata di efelidi e i capelli ricci rossi come una fiamma viva. Gli occhi verdi di lui incontrano i suoi e a sua volta lo osserva attento. John avverte lo stomaco chiudersi e, per quanto il ragazzo sia attraente e in apparenza gentile e dai modi affabili, sente una profonda antipatia. In qualche modo, per quel che sta capendo, lo ha rimpiazzato affiancando Sherlock nelle indagini.
<< Il… Governo Inglese sarebbe Mycroft? >> domanda Greg e Fox si volta verso di lui per annuire. Il detective ride sonoramente. << E mi spiegate in che modo pensate che io possa aiutarvi a convincere suo fratello a fare qualcosa? >>.
Sherlock scocca un’occhiata al ragazzo e John si rende conto che stanno comunicando senza aprire bocca. Una serie di piccoli cenni del capo ed espressioni appena accennate, quelle che non sfuggono mai alla perspicace vista del consulente e a quanto pare anche a quella di Fox.
<< Do ut des[2], Lestrade. È possibile che vedendomi coinvolto nelle indagini, insieme al team di cui faccio parte, Mycroft non ne voglia sapere di venirci in aiuto. Nei tuoi confronti, invece, ha un conto aperto che finora non ha saldato e penso sia il momento di farlo. Lui può togliere definitivamente dalla rete quanto circola sul conto di tua figlia, salvarle la reputazione, in un certo senso, e aiutare te a salvare qualcuno a cui tieni molto. Proprio come tu hai fatto a suo tempo e tutt’ora fai per lui >>.
<< Le avete pensate proprio tutte, eh? >> annuisce Greg ammirato.
<< Come sempre, Greg >> sorride il ragazzo ringraziandolo inchinando appena il capo.
<< Allora è bene che mi muova. Voglio portare dentro quei bastardi quanto prima >>.
<< Posso venire con te? >> gli chiede George.
<< Non se ne parla nemmeno! >> risponde deciso Greg. << Riporta tua sorella a casa di vostra madre e mettetevi a fare i compiti >>.
<< Lizzy può benissimo portarsi a casa da sola! >> ribatte George piantando le mani ai fianchi.    << Avanti, papà, ho preso anche io parte alle indagini! Non avessi copiato le foto di quei bastardi Sherlock e… questo tipo >>, dice indicando incerto Fox, << non sarebbero riusciti ad individuarli >>.
<< Non ha tutti i torti >> lo appoggia Sherlock.
<< Ma temo che la gloria dovrà limitarsi a questo >> aggiunge Fox scoccando un’occhiataccia a Sherlock. Un’occhiataccia molto simile a quelle che è solito scoccargli lui, nota John e lo stomaco torna a dolergli. Sherlock sbuffa, ed ecco che sembrano nuovamente parlare senza emettere parola.
<< Concordo con te, Fox >> dice perentorio Greg. << Sei stato eccezionale, ma può diventare pericoloso e non voglio dovermi preoccupare per te, intesi >>. George sbuffa, ma annuisce accettando di tornare dalla madre in compagnia della sorella.
<< Oddio, ma tu… tu sei Peter >> esclama la ragazza additando Fox con voce talmente acuta da far trasalire tutti quanti… tranne il diretto interessato. Questi le sorride e annuisce senza distogliere lo sguardo da quello esterrefatto di lei.
<< Degna figlia di tuo padre >> dice facendola arrossire. << Mi dispiace averti mentito, ma se non avessi agito in incognito non ti saresti fidata di me e non potevo rischiare che decidessi di compiere quel brutto salto. Pensi di potermi perdonare? >> le chiede con voce morbida e sguardo ammaliatore. La ragazza arrossisce ancora di più, abbozza un sorriso e annuisce distogliendo lo sguardo.
John non crede a quanto ha appena sentito. Questo ragazzo sarebbe lo stesso che ha scorto nel vicolo con Sherlock? Certo era vestito di nero, come adesso, ma quella che ha ora indosso ricorda la divisa di uno dei corpi speciali dell’esercito, uno di quelli inviato a compiere missioni non del tutto lecite. Un logo rosso campeggia sulla spalla sinistra: il muso stilizzato di una  volpe avvolto da una coda simile una fiamma. John strabuzza gli occhi e si lascia sfuggire uno sbuffo. E’ lo stesso logo lo che ha visto sul corpo della chitarra suonata dal ragazzo che ha trovato in casa con Sherlock. Volge lo sguardo al suo coinquilino che lo stava tenendo d’occhio già da prima. Le sue labbra si incurvano a dare forma a un sorriso e annuisce alla sua muta domanda.
Il dottore non sa se sentirsi sollevato a meno dall’aver scoperto che i due ragazzi con i quali ha beccato il suo coinquilino corrispondono alla stessa persona. Una persona che sembra comunque conoscerlo bene. Anche troppo bene. Una fitta lo colpisce nuovamente allo stomaco.
<< Ragazzi, avanti, fuori da qui. Tornate a casa a fare i compiti! >> intima loro Greg indicandogli la porta. I due giovani Lestrade abbandonano il 221B l’una ancora rossa, l’altro strascicando i piedi. Quando li sente scendere i gradini Greg si avvicina a Fox e gli punta il dito contro il petto.
<< Prova ancora una volta a fare uno dei tuoi giochetti da seduttore con mia figlia e mi dimenticherò che l’hai salvata, ci siamo capiti Fox? >> dice colpendolo con l’indice accusatore.
<< Certo, Greg >> annuisce senza scomporsi dinanzi alla sua rabbia. << Anche se il mio intento non era certo quello di sedurre tua figlia >> aggiunge.
<< Non me ne frega niente, Fox. Lei è una ragazzina e a restare ammaliata da uno dei tuoi sorrisi ci mette un attimo. E io ce ne metto due a farti passare la voglia, anche se lo fai solo per lavoro. Cristo, cosa mi tocca dire! >> aggiunge alzando gli occhi al cielo. << Tu altri amici tranquilli come John no, eh? >> dice a Sherlock scoccandogli un’occhiataccia.
<< Non sapevo che il capitano Watson fosse una persona tranquilla >> ribatte Fox guardandolo serio. Porta distrattamente la mano sinistra ad afferrare il polso destro e John comprende al volo il motivo della discussione tra Sherlock e il punk nel vicolo. Il consulente accenna un gesto di diniego col capo a Fox che per tutta risposta indurisce ancor di più lo sguardo.
“Ti sei cacciato in un bel guaio, Johnny!” gli dice l’Harriet nella sua testa e John sente crollargli sulle spalle tutto l’imbarazzo del mondo.
<< Tranquillo ed equilibrato molto più di voi due lo è sicuramente >> ribatte Greg avvicinandosi alla porta. << E credo che sarà più utile di quanto lo sia io al Diogenes Club >>.
<< Io non verrò al club, Greg >> lo avverte John.
<< E perché? >> gli chiede questi stupito.
<< Sono stato… sollevato da questo caso >> sospira, disprezzando quella scena da vittima delle circostanze. Greg strabuzza gli occhi. Volge le spalle alla porta e pianta le mani ai fianchi, rivolgendo a Sherlock uno sguardo di rimprovero molto simile a quello dedicato ai figli per sedarne la lite.
<< Come diavolo ti è saltato in mente di ‘sollevare John dal caso’? >> sbraita.
<< Era troppo coinvolto >> ribatte Sherlock inacidendosi, come è solito fare quando si sente a disagio.
<< Troppo coinvolto? >> ribatte a gran voce il detective. << Non lo hai ancora capito che senza di lui perdi la bussola? >>.
John sente di essere arrossito ed è mortalmente in imbarazzo.
<< Beh, dai, in qualche modo avrà fatto prima di conoscere me >> tossicchia. Greg lo guarda con tanto d’occhi e scuote il capo sconsolato.
<< Fammi sbattere in galera gli stronzi che hanno tentato di spingere mia figlia al suicidio e poi ti racconterò qualche aneddoto. Così capirai tante cose e forse la smetterai di prenderti a bastonate! >> sbotta Greg. << E tu vergognati! >> punta l’indice contro Sherlock. << Non si mette da parte un amico solo perché ne arriva un altro dal passato >>.
<< Non ho fatto assolutamente nulla di simile >> ribatte Sherlock stizzito.
<< Posso anche darti il beneficio del dubbio, ma è questo quello che sembra stia accadendo >> scocca un’occhiata contrariata a Fox. << John, ti concedo io di partecipare alle indagini. Mi aspetto di trovarti al cospetto di Mycroft. Non ho per nulla voglia di affrontare da solo anche quell’altro fenomeno! >> esclama e discende i gradini lasciando il 221B.
<< Benissimo. e non ho ancora incontrato tuo fratello >> sbotta Fox passando la mano tra i ricci. La porta, poi, all’orecchio e borbotta un’imprecazione. << E’ meglio che ci muoviamo, Billy, ogni attimo è prezioso. Muoviti a raggiungere il Diogenes Club se non vuoi rischiare di diventare figlio unico >> dice dirigendosi verso la camera di Sherlock.
<< Ma si può sapere dove sta andando? >> domanda John.
<< Esce dalla finestra della mia stanza, la stessa dalla quale è entrato >> risponde Sherlock con nonchalance. John lo guarda con tanto d’occhi. << E’ l’unico modo per eludere le telecamere di sorveglianza controllate da mio fratello >> dice indicando con un gesto del capo la finestra alle loro spalle.
<< Capisco >> borbotta John. << No, aspetta, non è vero! Non ci capisco un cazzo, invece! >> sbotta battendo le mani sullo schienale della sua poltrona. << Cosa cazzo sta succedendo, Sherlock? Chi diavolo è quel tipo e perché ti ha chiamato Billy? >>.
<< E’ una lunga storia >> sospira Sherlock. << E non abbiamo molto tempo >>.
<< Non credere di cavartela così >> gli punta contro il dito. << A indagine conclusa pretendo di essere messo a conoscenza di ogni cosa, Sherlock, sono stato chiaro? >>.
<< Trasparente >>.
<< Sarà meglio! Benchè l’idea di saperti figlio unico mi alletti abbastanza, penso sia il caso di raggiungerlo al Diogenes Club. Andiamo! >> ordina e, docile come un cagnolino, Sherlock lo segue.
 
 
[1] Se volete saperne di più su Fox e i suoi colleghi, leggete la mia ff ‘Hasta la verdad, siempre!’
[2] ‘Io do affinchè tu dia’ dal latino

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
<< Quindi voi vorreste che io aiutassi l’hacker di un gruppo di giornalisti investigativi noti per il loro agire ai limiti della legalità? >>.
Mycroft osserva i quattro uomini seduti al di là della preziosa scrivania in legno di rovere del suo studio al Diogenes Club con un sorriso scettico e strafottente.
<< E’ per una buona causa, Mycroft >> risponde John infastidito dal suo tono. << Quel portale ha già indotto al suicidio troppi ragazzini >>.
<< Mi fa piacere rivederla, dottor Watson. Pensavo che questa volta avesse deciso di non prendere parte all’indagine >> lo stuzzica Mycroft puntando gli occhi chiari su Fox.
<< L’ho autorizzato io ad aiutarci >> dice Greg con forse un po’ troppa enfasi. L’essere serafico e fintamente cordiale di Mycroft ben poco gli piace. << Mycroft, le chiedo di permettere a Fox e ai suoi di tentare di distruggere quel portale. Non mi basta aver portato dentro coloro che hanno rischiato di spingere mia figlia al suicidio. Voglio impedire a chi ha creato quell’abominio di mietere altre vittime innocenti >>.
Mycroft lo studia con volto serio e Greg sostiene il suo sguardo, risoluto.
<< Non ci saremmo scomodati dal venire fin qui se non avessimo già tentato il tutto per tutto per forzare quel maledetto portale >> dice Sherlock cercando di far capire al fratello quanto seria sia la situazione. Mycroft gli dedica appena un’occhiata, per tornare poi a posare lo sguardo su Greg. John non capisce cosa possa passare per la brillante, anzi, brillantissima mente geniale del fratello maggiore del suo coinquilino. Se Sherlock gli appare incomprensibile, Mycroft è per lui un vero  enigma.
<< Non è facile comprendere l’animo umano. Tentare poi di capire cosa viva un adolescente è presso che impossibile. Diventano facili prede di male intenzionati e di… soluzioni chimiche al mal di vivere >> dice scoccando un’occhiata al fratello.
Una strana atmosfera si è venuta a creare. John lo avverte sulla pelle, come una sorta di abbraccio caldo e protettivo. Per quanto gli possa sembrare assurdo, sembra essere tutto nato dal cambiamento di Mycroft, impercettibile a occhio nudo ma avvertito da pancia e pelle.
<< Io purtroppo so bene cosa l’ha portata a finire su quel portale >> ammette Greg, lasciando scorrere le mani dal viso ai capelli. << Ho tentato di parlarne alla madre, di dirle che qualcosa stava portando giù nostra figlia. Ed entrambi sapevamo bene cosa fosse. Lei mi ha detto che ero il solito esagerato e che Lizzy stava solo attraversando un normale momento di crisi >> ridacchia nervoso scuotendo il capo.
<< Non è facile ammettere le proprie colpe, riconoscere di essere la causa del malessere dei propri cari >> sussurra Mycroft in modo sentito.
<< Non lo so più di chi sia la colpa, Mycroft. Vedo solo quanto sta accadendo. Lizzy è disperata al punto da pensare di farla finita e George ha lottato per lei prendendo il posto che dovrebbe essere il mio. Non va bene. Non va per niente bene >> sospira e crolla ancora un po’ di più sotto il peso dei suoi dispiaceri.
<< I tuoi figli hanno voluto solo proteggerti, Greg >>.
<< Sono io che devo proteggere loro, John! >> ribatte deciso il detective puntando sull’amico occhi gonfi di lacrime trattenute. << Anche se è più complicato adesso, questo non vuol dire che sia impossibile >>.
<< Lo so, Greg. Tutti noi lo sappiamo >> continua John indicando se stesso e gli Holmes con un gesto della mano. << Ma sei stato ragazzo anche tu e sai quanto è difficile parlare con i propri genitori. Soprattutto quando li si vede già provati e scossi >>.
Greg sembra calmarsi a quelle parole. Posa le mani sul collo e sospira profondamente.
<< Lestrade, mi permetta di fare un’osservazione >> dice Mycroft, catalizzando l’attenzione dei presenti. << Io penso che lei stia dimostrando di essere un buon padre o meglio, per dirlo come la letteratura del settore vuole, un padre sufficientemente buono >>.
Greg strabuzza gli occhi e non sa se quello di Mycroft Holmes sia un complimento o una presa in giro. Decide di attendere il resto prima di capire se ringraziarlo o mettergli le mani addosso.
<< I suoi figli la difendono, e un genitore difeso così sentitamente non può che essere un buon genitore. Non solo. I suoi figli vogliono proteggerla. Le riconoscono di essere stato capace di sopportarne tanto e di essere stanco. Come diceva il dottor Watson, però, sono giovani e ancora propensi a prendere su di sè colpe e responsabilità che non spettano loro. Questo dimostra anche quanto bene li abbia educati al rispetto e al senso del dovere. Ritengo, quindi, che lei si stia dando colpe che non le spettano. Penso ne abbia ricevute già troppe, insulse e assurde, e che quindi possa esimere se stesso dal fare altrettanto. Mio fratello >>, dice indicando Sherlock, stranamente silenzioso e troppo immobile, << ha agito nel tentativo di salvare il salvabile e rendere giustizia a tutti quanti. Esaudire il desiderio dei suoi figli di tenerla fuori da ulteriori preoccupazioni e risolvere una situazione, che è risultata essere troppo complessa senza i giusti mezzi, tentando di non arrecarle noie ma portarle solo buone novelle. Non è la prima volta che le dico come penso la consideri un fratello maggiore molto migliore di me >> dice scoccando un’occhiata a Sherlock che sposta appena lo sguardo ai suoi piedi. << E non è neppure la prima volta che la ringrazio per quanto ha fatto per lui in passato e per ciò che sta facendo tutt’ora. Mi permetta, quindi, di renderle il favore: lei ha salvato mio fratello, lasci che io faccia quanto mi è possibile per risolvere l’incresciosa situazione nella quale si è ritrovata incastrata sua figlia >>.
John è sbalordito e rivede riflesso nel volto provato di Greg il suo stesso stupore. Non è solo per il lungo monologo tenuto dal Governo Inglese, ma per i tanti riconoscimenti a favore del detective. La frase con la quale ha chiuso il suo sermone, poi, sarà pure messa lì per ottenere il giusto effetto, ma riassume molte cose. Cose che John non conosce, alcune che può aver intuite e altre che forse resteranno inspiegate e inspiegabili.
<< E’ un reciproco scambio di bisogni il nostro >> ribatte Greg, volgendo lo sguardo a Sherlock che lo ricambia. << Lui ha bisogno di casi insoliti e di fiducia e io di aiuto per risolverli. Io gli permetto di non dover ricorrere a… agenti chimici esterni per debellare la noia, lui di farmi il fegato marcio non sapendo dove andare a sbattere la testa per uscire da determinate situazioni. Ci salviamo a vicenda il culo, insomma >> ridacchia e Sherlock sorride a sua volta.
John si rende conto solo ora del profondo affetto e del reciproco rispetto che c’è tra il detective e il consulente. Benchè l’uno gli dia costantemente dell’idiota non azzeccandone mai il nome, e l’altro metta in dubbio le sue deduzioni strillandogli contro le peggio cose, il loro equilibrio è perfetto.
<< Avete un piano lei e i suoi colleghi, signor Fox? >> domanda cortese Mycroft, riportando l’attenzione al ragazzo e il discorso sul portale.
<< Certo, signor Holmes >> gli fa il verso questo con la stessa finta e leccata cortesia.                  << Lavoriamo a questo caso da quattro mesi. Ci siamo imbattuti nel portale Fenix mentre facevamo delle ricerche sul cyber bullismo e gli adescamenti on line ai danni dei giovani e giovanissimi. Abbiamo più volte tentato di introdurci nel sistema con profili fittizi, ma chi ha creato quel portale è bravo. Molto bravo, al punto da riconoscerci come intrusi e sbalzarci fuori. È la prima volta che ci troviamo di fronte a un sistema così inespugnabile e poterci avvalere della collaborazione di una ragazzina direttamente coinvolta sarebbe un ottimo punto di svolta nell’indagine. Dovremo operare dal pc della ragazza e dal luogo in cui lei è solita usarlo. Agiremo da remoto, il mio collega, Sky, si trova attualmente a Berlino, dove abbiamo trovato un’altra cellula dei cosiddetti Master di questo portale >> dice Fox. << Se lei, Mycroft, avrà la gentilezza di fornirmi le password, ci connetteremo al main frame dei servizi segreti che permetterà a Sky un maggior raggio di azione, risparmiandoci la fatica e il tempo di forzare il sistema e tutte le noie che ne conseguono >> aggiunge con un sorriso ammaliatore inchinando appena il capo.
<< Mycroft, io credo che la situazione sia così delicata da essere fortunati ad avere dei professionisti in gamba pronti a collaborare con noi >> dice Sherlock che non è certo prodigo di complimenti verso altri che non siano se stesso.
<< E’ ammirevole la fiducia che riponi in questo gruppo di giornalisti investigativi. Devo ammettere che sebbene non approvi i vostri metodi vi riconosco capaci di svolgere ottime indagini, al punto che potrei proporre di ingaggiarvi. Peccato che io, al contrario di mio fratello, non mi fidi dei giornalisti. “Nunca confìes en un periodista[1]!” è quel che dice sempre anche il suo capo, non è così? >>.
<< Garantisco io per lui, Mycroft >> dice Sherlock accigliato.
<< E in che modo questo dovrebbe rassicurarmi? >>.
<< Conosco meglio di te i loro metodi, ho collaborato con loro per un anno a Madrid >> dice e John si stupisce delle sue parole. Sherlock, così attaccato alla sua Londra al punto da abbandonarla solo se proprio è necessario per piccoli e brevi periodi, è stato via un intero anno in Spagna con Fox e i suoi colleghi.
<< Vuoi dire che lui… >> dice additando Fox. << Fa parte del team di giornalisti investigativi di ‘El Mundo’? >> chiede stupito. Sherlock annuisce e Fox sorride appena a John.
Ammira il lavoro di quel gruppo di giornalisti del tutto fuori da ogni regola, ma capaci di portare alla ribalta verità scomode e raccapriccianti. Abili trasformisti capaci di camuffarsi cambiando del tutto la loro fisionomia e fisicità per agire in incognito e portare avanti le loro inchieste. Ora John comprende molti degli avvenimenti accaduti negli ultimi giorni.
<< Signor Fox >> riprende Mycroft. << E’ inutile che le dica che non approvo minimamente i metodi che lei, il suo capo e i suoi colleghi siete soliti mettere in atto. Tuttavia, reputo questa situazione del tutto eccezionale e solo ed esclusivamente per questa ragione permetterò a lei e a quel criminale informatico del suo collega di accedere al main frame governativo. Voglio che sia chiaro che quando il caso sarà chiuso tutte le password saranno cambiate e qualunque tentativo di forzatura da parte vostra sarà perseguita penalmente, a rischio di compromettere gli accordi diplomatici che da anni intratteniamo con il vostro governo >>.
<< E’ stato abbastanza esaustivo, signor Holmes. Anche io avrei preferito non avere mai il piacere di conoscerla >> ribatte Fox e John non può fare a meno di ammirare la faccia tosta di questo ragazzo del quale sa ben poco.
<< Sì, so bene quanto non sia io l’Holmes da lei preferito e la cosa non mi dispiace affatto >> dice disgustato. << Lestrade, penso sia il caso che venga anche io dalla sua ex moglie. Si vedrà piombare in casa mio fratello, del quale ha già una pessima reputazione, insieme a un altro personaggio di dubbia moralità >> dice scoccando un’occhiataccia a Fox che lo ringrazia con un cenno del capo.    << Penso che la mia presenza unita a ciò che rappresento possa esserle utile ad evitarle scontri ed ulteriori travasi di bile >>.
<< Perché lei pensa di poterne essere immune? >> domanda Greg. << No, perché se lo è davvero mi dica dove si è vaccinato che corro ai ripari >> aggiunge ironico. Mycroft sorride e sembra più compiaciuto delle sue battute che infastidito, come John lo vede di solito dinanzi alla manifestazione dell’idiozia umana.
<< L’immunità mi è data dal semplice fatto che qualunque cosa quella donna possa dire o fare… semplicemente per me non esiste e chi non esiste non può ledermi >>.
<< Questa me la segno >> dice George regalando un sorriso sincero al maggiore degli Holmes. Mycroft sembra sussultare per qualche istante e John ha la strana sensazione di aver appena assistito a un improbabile flirt.
 
 
[1] Mai fidarsi di un giornalista

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
Margaret tiene strette le braccia al petto. Scocca occhiate cariche di rabbia all’ex marito a intervalli regolari. Presta ben poca attenzione all’uomo in giacca e cravatta che le sta parlando. La sua attenzione è tutta convogliata nel ragazzo rosso, che, insieme al consulente investigativo tanto decantato dal suo ex, hanno preso possesso della camera di sua figlia.
John la vede gonfiarsi sempre più di rabbia e trattenerla con forza crescente. Esploderà, ne è sicuro, e sarà terribile. Sul volto teso di Greg, fermo a un metro da lei nella stessa identica posizione, legge il suo stesso timore. John li guarda e si chiede come possano due persone che si sono amate e promesse ‘amore eterno’ e che hanno messo al mondo ben due figli essere arrivate a non poter stare nella stessa stanza senza rischiare di fare scintille.
“Evidentemente perchè l’amore non è poi la cosa eterna che si dice sia, Johnny” risponde l’Harriet nella sua testa.
<< Già >> sussurra dandole apertamente ragione per la prima volta.
Lo sguardo vola a Sherlock fermo vicino a Fox, seduto davanti al laptop di Lizzy. Il volto teso, lo sguardo attento, le mani giunte dietro la schiena in quella posa di apparente e tranquilla attesa.
I suoi occhi sono la cosa che per primo lo hanno colpito. Non tanto per il colore particolare e la forma felina, quanto per la sensazione che sono capaci di dare di essere scandagliati anima e corpo. Occhi che passano ai raggi x, si potrebbe definirli.
Subito dopo ha notato le sue labbra, immobili nel viso inespressivo, ma capaci di muoversi veloci al frenetico ritmo che usa quando illustra le sue deduzioni. Una sequela di frasi l’una dietro l’altra, veloci, taglienti e precise così come devono essere i suoi pensieri. Labbra che lo hanno incantato la prima volta che si sono incurvate a formare un sorriso. Non quello cinico che gli ha dato i brividi, né quello ironico o sarcastico che avrebbe voluto togliergli a pugni. Un sorriso sereno, sincero e innocente come quello di un bambino. Un bambino capace di vedere e capire tutto tranne le emozioni e l’animo umano, a quanto pare.
Per ultimo lo hanno affascinato le sue mani. Grandi, sicure nell’afferrare prove, nel recuperare indizi, nel portare pugni se necessario. Mani che agiscono con la stessa precisione asettica dei suoi pensieri quando lavora ai suoi esperimenti, quando carca di ricavare risposte dalla prove che recupera. Le stesse mani che hanno stretto le sue lasciandogli il brivido freddo del loro essere gelide. Quella prima forte stretta dinanzi al portone di quella che sarebbe diventata la loro casa. L’ultima stretta morbida e tiepida, perfino, mentre si prendeva cura del polso che lui stesso gli ha ferito.
Il resto di lui è qualcosa di troppo grande da poter essere sostenuto nella sua totalità. La sensualità che traspare da ogni suo movimento quando si lascia trasportare dalla musica che suona e che compone. I movimenti rapidi che lo rendono così simile a un segugio quando segue la pista durante le indagini. La rigidità nei momenti di imbarazzo o incertezza e il lassismo degli interminabili giorni di noia. Impazzirebbe se prendesse tutte insieme queste cose. Per questo la sua attenzione si porta sempre su questi tre elementi: occhi, labbra e mani.
Il pensiero che quegli occhi possano guardare con desiderio qualcun altro, che quelle labbra possano sorridere dolcemente a qualcun altro e quelle mani sfiorare e toccare il corpo di un altro lo infastidisce. Sì non riesce a tollerarlo
“Sei cotto, Johnny caro!” ridacchia l’Harriet nella sua testa e ridacchia a sua volta, distogliendo appena lo sguardo dal consulente per poi riportarlo. Scopre che lo sta guardando a sua volta. John gli sorride senza rendersene conto, mosso dalla spontaneità che a sua volta è solito reprimere, soprattutto con Sherlock. Lo vede tentennare, gli occhi dilatarsi appena un po’ di più, prima di rispondere al suo sorriso. Tutto quanto lo circonda potrebbe anche scoppiare in questo momento e John non se ne renderebbe minimamente conto.
Il cuore inizia a battergli all’impazzata quando vede Sherlock camminare verso di lui. John sposta il peso del corpo più volte dall’uno all’altro piede sentendosi stranamente a disagio. E’ la prima volta, questa che si ritroverà a parlare con lui faccia a faccia dopo quel bacio distratto che gli ha posato sulla fronte la sera prima. Una cosa da niente, che potrebbe anche essere considerata normale tra due amici. Che male c’è, infondo, in un gesto di affetto? Non è però il loro caso, questo. La tensione tra loro è talmente alta da portarlo, a volte, a uscire di casa solo per poter respirare. Anche adesso vorrebbe poter uscire da quella casa, allontanarsi da lui.
<< Come se la sta cavando Mycroft? >> gli chiede Sherlock, scoccando appena un’occhiata in direzione del fratello.
<< Le do ancora pochi minuti prima di esplodere >> risponde John abbozzando un sorriso.
<< Io scommetto due >>.
<< Con te non scommetto, lo sai >> ridacchia e Sherlock lo segue. Eccoli lì, come sempre a ridere nei posti e nei momenti meno adatti. Cercano di ridarsi un contegno, toccati dallo sguardo torvo di Greg che dappertutto vorrebbe essere tranne che lì.
<< Lì, invece, come procede? >> gli chiede John indicando con un cenno del mento Fox, concentrato sullo schermo del laptop.
<< Benone >> risponde. << Sky sta distruggendo la struttura del portale un pezzo per volta. Un inseguimento virtualmente avvincente >>.
<< Come mai non sei lì, allora? >> gli domanda e Sherlock distoglie lo sguardo.
<< Perché ho colto nell’aria le avvisaglie dell’esplosione imminente >> sussurra facendosi a lui più vicino. John dovrebbe darsi un contegno e smetterla di fissarlo facendo viaggiare incessantemente lo sguardo dai suoi occhi alle sue labbra. Labbra che si curvano in un sorriso ancora più grande ed è così forte la tentazione di afferrarlo per il bavero della giacca e farle sue.
<< Sempre tutta colpa del tuo maledettissimo lavoro! >>.
Ecco che è esploso l’uragano Margaret. John vede Mycroft chiudere lento gli occhi, sospirando prima di volgere a lui e al fratello uno sguardo di disperata rassegnazione nei confronti del genere umano.
<< Ti rendi conto di come il tuo egoistico bisogno di soddisfare il tuo ego accumulando promozioni abbia portato tua figlia tra le braccia di simili malviventi? >> urla Margaret inveendo contro Greg. << Sei in assoluto il peggior padre che ci sia sulla faccia della terra, Gregory! >>.
<< Sta zitta! >> grida Lizzy raggiungendo come una furia sua madre a passi grandi. << Non ti permetto di usare me per coprire di miserie mio padre! >> le punta contro il dito e Margaret la guarda stupita e sconcertata per quella reazione accesa e inaspettata.
<< Lizzy, calmati >> le chiede Greg portandosi a difesa della ex moglie, nonostante tutto.
<< No, papà, io non mi calmo più! >> esclama la ragazza fuori di sé. << Io non sopporto quello che ti ha fatto! Non sopporto di non poter stare con te, anche se per poco tempo. Non la accetto questa decisione e non mi do pace del fatto che anche solo per un attimo ho pensato che lei avesse ragione e che a te andasse bene, che davvero non ci volessi e non ci amassi più, come continua a dire  lei >>.
<< Tu non puoi capire, sei ancora troppo giovane, Lizzy! >> ribatte la madre, la voce spezzata dal pianto per le accuse subite << Tuo padre non c’era mai, sempre a rincorrere chissà chi insieme a quello lì >> dice scoccando un’occhiataccia a Sherlock, imperturbabile. << Io mi sono sentita abbandonata e non potevo sopportare che voi cresceste senza un padre >>.
<< Così hai pensato bene di tentare di metterci contro di lui sputando veleno nei suoi confronti e non perdendo occasione per metterlo in cattiva luce. Ma brava! Questo fa di te un’ottima madre, complimenti >> ridacchia Lizzy nervosa.
<< Io ho fatto ciò che ho ritenuto essere la cosa migliore per voi! >>.
<< Ti ho già detto di smetterla di usarmi per giustificare le tue miserie! >> grida Lizzy obbligando Greg a tenerla ferma per non dare addosso alla madre. << Non è vero che non è un bravo padre e secondo me non è stato neppure un cattivo marito >>.
<< Lizzy, smettila >> tenta di arginarla Greg.
<< E’ sempre stato molto dolce con te. Certo c’era poco, ma quando lo hai sposato sapevi che era un detective e che voleva fare carriera. Io e George non abbiamo potuto scegliere, siamo arrivati dopo e ci siamo trovati la situazione così com’è. Tu, invece, avresti potuto e hai scelto di sposarlo. Che ora te ne esca accusandolo di non esserci mai la trovo una cosa assurda >> dice mettendo su la stessa espressione di disprezzo che John ha visto tante volte in faccia a Greg.
<< Tu sei così ingiusta >> le dice Margaret tra i singhiozzi. Mycroft la guarda nauseato muovendo qualche passo indietro. << Non hai idea di cosa abbia passato io in questo ultimo anno! >>.
<< E questo lo vieni a dire a me! >> esplode Lizzy come una furia. << Tu hai passato le tue giornate in palestra a farti sbattere dal tuo istruttore >>.
<< Lizzy, adesso basta! >> tuona Greg con un tono talmente imponente da spaventare tutti i presenti. La figlia lo guarda stupita prima di sciogliersi nel pianto.
<< Ma è così, papà >> dice aggrappandosi alle sue braccia. << Lei era con lui quando… non c’era quando… eravamo da soli io e George e se non ci fosse stato lui… >> i singhiozzi hanno il sopravvento, mentre Greg la guarda terrorizzato da ciò che non gli ha detto.
John sente lo stomaco dolere trafitto da nuove stilettate. L’incredulità di Greg la conosce bene. Non si può che restare increduli e sgomenti dinanzi a simili manifestazioni di disperazione.
<< Lizzy… cosa è successo? >> sussurra appena. La ragazza scuote il capo con forza e Greg non ce la fa ad insistere. Volge lo sguardo al figlio, che assiste alla scena dal punto più lontano della stanza, ma anche da lui sa che non ricaverà alcuna risposta.
<< La decisione di farsi aiutare a volte arriva prima che il peggio sia compiuto, altre dopo averlo scampato >> dice Mycroft in tono greve placando per un istante il pianto incessante della ragazza. Questa lo guarda stupita e non trova alcun conforto nella sua espressione, né alcuna emozione. Si stringe al petto del padre distogliendo lo sguardo da quell’uomo di ghiaccio.
<< Sonniferi. Una boccetta intera >> continua Mycroft analitico. << Per fortuna si è spaventata e ha cercato aiuto trovando quello del fratello minore, altrettanto spaventato >> dice volgendo a lui lo sguardo. Come la sorella, anche George distoglie lo sguardo spaventato. << Due ragazzini lasciati a loro stessi, persi nella disperazione di un mondo che crolla attorno a loro, nell’assoluta indifferenza degli adulti presenti. Mi lasci dire, signora che lei è fortunata >> dice Mycroft volgendo lo sguardo gelido su Margaret, che, già devastata da quanto ha sentito, lo guarda basita. << Fortunata ad aver sposato un uomo onesto, equilibrato e con una morale salda e un’etica forte. Un uomo che non l’ha uccisa appena scoperto di essere stato tradito. È un detective in gamba e se solo avesse voluto avrebbe potuto far sparire il suo cadavere o tramutarlo in un incidente ed essere credibile al punto da uscirne pulito. Solo uno come mio fratello si sarebbe accorto della sua colpevolezza, ma non credo avrebbe alzato un dito in sua difesa >>.
<< Per una volta siamo d’accordo, Mycroft >> risponde Sherlock con la stessa freddezza.
<< Per qeusto le dico che è stata fortunata. E a questa fortuna ha deciso di voltare le spalle. Patetico >> dice disgustato. << I suoi figli sono fortunati perché hanno un buon padre accanto. Uno di quei padri che continua ad amarli, che non si fa venire dubbi, né demorde e che continua a lottare nonostante non abbia colpe. Questi figli, per i quali lei dice di stare lottando e che, invece, ha messo in pericolo lasciandoli in balia di loro stessi, sono fortunati perché supereranno questo brutto momento sapendo di poter contare sul padre, benchè ci sia poco. Perché per quel poco che ci sarà non si risparmierà >> dice sorridendo a Greg che arrossisce imbarazzato da queste parole accorate, che da tutti poteva pensare potessero giungere tranne che da uno come Mycroft.
<< Ed è fortuanta, signora, perché ha un figlio coraggioso >> continua volgendo nuovamente lo sguardo a George che, chiamato in causa, alza appena lo sguardo verso di lui. << Un figlio che ha dato fondo alle conoscenze acquisite dalla visione dei film per salvare sua sorella e che ha deciso di rivolgersi al consulente investigativo delle cui doti straordinarie suo padre parla tanto, spaventato all’idea che questa potesse essere finita in un brutto guaio. Questa sua curiosità per le indagini che tanto le fanno temere che decida di seguire le orme di suo padre >> dice sorridendo al ragazzo che abbozza un sorriso a sua volta. << A mio avviso, sbaglierebbe se non lo facesse >> gli dice facendolo arrossire di imbarazzo.
John prende un grosso respiro rendendosi conto di essere stato per tutto il lungo monologo di Mycroft in apnea. E’ tornato a quella sera di freddo inverno nella quale ha salvato la sua prima vita. La vita di sua sorella. Aveva la stessa età di George e come lui era spaventato a morte. Nonostante il terrore, però, aveva dato fondo alle lezioni di primo soccorso imparate a scuola e aveva indotto sua sorella a vomitare le innumerevoli pastiglie che si era calata insieme a un quantitativo esagerato di alcool. Harriet, appena 18, stremata dalle accuse di sua madre, dalle malelingue della gente, dal bullismo di cui era vittima a scuola. Lei così apparentemente forte era crollata rivelando l’animo fragile che ancora oggi la caratterizza. Quell’animo che le ha reso difficile separarsi dalla bottiglia per tanto tempo. Forse solo adesso, finalmente, la forza di un tempo è tornata in lei permettendole di rimettersi in piedi. Ora che non ci sono più i loro genitori a darle addosso, ora che non ci sono più i compagni di scuola ad additarla e accusarla di essere indecente e mostruosa, ora che forse il mondo inizia ad essere più aperto ad ogni forma di amore.
Concorda con Mycroft nel pensare che solo grazie alla presenza amorevole di Greg i suoi figli usciranno un po’ ammaccati ma sostanzialmente illesi da questa brutta esperienza. Non avrebbe mai immaginato di trovare tanto conforto anche per se stesso nelle parole di Mycroft. Parole che, sebbene non siano state direttamente rivolte a lui, attendeva da anni. Lo stomaco ha smesso di far male e si è rilassato. Finalmente, dopo così tanti giorni gli sta concedendo un attimo di respiro.
Vede Greg ringraziare in silenzio Mycroft che inchina appena il capo in risposta. Margaret tiene lo sguardo basso del tutto priva della forza di ribattere a quelle parole così taglienti e vere.
<< Tuo fratello ha appena acquistato punti ai miei occhi >> sussurra John a Sherlock avvicinandosi discretamente al suo orecchio.
I due fratelli restano a lungo agganciati l’uno nello sguardo dell’altro. John immagina che stiano comunicando col pensiero, ed è sicuro che due come loro sarebbero in grado di farlo.
Qualcosa distoglie l’attenzione del consulente. Porta la mano all’orecchio destro e volge lo sguardo a Fox. Questi con espressione tesa lo guarda, mentre si dirige deciso verso di lui. John resta al suo posto e assiste a un'altra comunicazione priva di parole. Vede Sherlock impallidire e portare la mano alla bocca. Deve avergli dato una brutta, anzi, bruttissima notizia.
<< Allora, signor Fox, come procede l’operazione? >> domanda Mycroft, al quale non è sfuggito l’atteggiamento del fratello e del giornalista.
<< Magnificamente, signor Holmes! > risponde questi con un grande e falso sorriso. << Il mio collega ha letteralmente fatto a pezzi il portale. Attualmente, le forze dell’ordine polacche stanno andando a recuperare tale Dimitrj Vadlila, 26 anni, il genio del male che ha messo su tutto quanto questo casino! Sarà per me un vero piacere chiedergli il perchè del suo folle piano e ovviamente vi terrò aggiornati >> dice alzandosi dalla sedia.
<< Aspetta, vuoi dire che è davvero finita? >> gli chiede John incredulo.
<< Finita è una parola un po’ grossa, dottor Watson >> risponde Fox. << Diciamo che abbiamo raggiunto un’ottima svolta nelle indagini. Trovato il cervello dell’organizzazione, spegnerne i neuroni uno ad uno sarà più facile, ma comunque estenuante. Abbiamo già bloccato le cellule che si erano create in Spagna, Germania, Francia e qui in Inghilterra. Grey, il mio capo, sta ancora controllando l’eventuale presenza di suicidi simili in altre nazioni e ora che abbiamo messo le mani sull’ideatore anche questo processo sarà più veloce. Sempre ammesso che questi voglia    collaborare >>.
<< Nel caso servisse, il nostro governo sarà felice di rendersi utile mettendo a disposizione i suoi… mezzi di persuasione >> dice Mycroft ed è davvero strano vederlo così disponibile ad aiutare il prossimo.
<< La ringrazio, signor Holmes. Anche i nostri mezzi di persuasione sono molto efficienti, ma non desisteremo dall’accettare il vostro aiuto in caso il soggetto si dimostrasse essere un osso     duro >>.
<< Io temo che lo sia >> ribatte Mycroft. Tiene a lungo sotto il suo sguardo gelido il fratello e il giornalista, i quali, imperscrutabili, sostengono la sua analisi. << Direi che è meglio parlarne nel mio ufficio >> aggiunge rimarcando con la voce quanto quella non sia una proposta ma piuttosto un ordine. << Si unisce a noi, Lestrade? >> domanda al detective, stupito per essere stato tirato in mezzo.
<< Direi di sì, le indagini sono sotto la mia responsabilità e il commissario capo mi ucciderebbe se non le portassi avanti fino in fondo >> risponde questi. << Datemi solo il tempo di mettere a posto alcune cose >> chiede volgendo lo sguardo ai suoi figli e a Margaret fermi ad una distanza l’uno dagli altri molto più grande di quella fisica. Mycroft acconsente con un gesto del capo.
<< Vi raggiungerò al Diogenes >> dice il detective avvicinandosi alla sua famiglia distrutta.
<< Vogliamo andare? >> domanda Mycroft ai tre uomini con lo stesso tono di falsa cortesia. Lo seguono sulla strada dove ad attenderli c’è la nota auto scura. Anthea li attende diligente alla portiera e John si ritrova, suo malgrado, a sedere tra il consulente e il giornalista. Il viaggio breve procede in un silenzio fatto di sguardi e mute conversazioni che tagliano del tutto fuori John, che si sente a disagio e fuori luogo.
Arrivano al club e raggiungono l’ufficio di Mycroft, nel quale si chiudono lasciando il mondo fuori.
<< Pensavo, signor Fox, che lei e i suoi colleghi vi batteste per portare a galla la verità >> esordisce Mycroft, prendendo posto con fare teatrale alla sua poltrona.
<< Infatti è ciò che facciamo, signor Holmes >> ribatte il ragazzo tranquillo.
<< Eppure è una verità parziale quella alla quale ho assistito pocanzi >>.
<< Non ho ritenuto opportuno mettere Lestrande a parte di quella totale >>.
<< E perché mai? >> domanda John accigliato. Il ragazzo scambia uno sguardo con Sherlock e a John non serve l’acume degli Holmes per capire di chi è stata la decisione di compiere quell’omissione.
<< Per non deteriorare i rapporti tra Sherlock e il suo pusher di casi >> risponde Fox abbozzando un sorriso.
<< Scelta di parole decisamente interessante, Fox >> sottolinea Mycroft.
<< Del tutto sbagliate >> ribatte John. << Greg non è un pusher di casi per Sherlock, ma un   amico >>.
<< Quindi lei, dottore, si arrischia a connotare emotivamente mio fratello? >> ridacchia Mycroft e la rabbia monta nella pancia di John.
<< Non ho connotato, ma semplicemente osservato. Sì, stupitevi pure! >> ridacchia a sua volta.    << Non capisco il perché di questo strano gioco che state facendo, dove sembra vogliate ridurre un amico a un semplice oggetto utile >>.
<< Gregory Lestrade è in pericolo, dottor Watson >> rivela Fox ricevendone un’occhiataccia dai fratelli Holmes. << Come lo è stato anche lei e come lo è tutt’ora >>. John raddrizza la schiena e un brivido di consapevolezza la percorre.
<< Chi c’è realmente dietro il portale Fenix? >> domanda e il giornalista sorride soddisfatto della sua intuizione.
<< Un personaggio molto, molto pericoloso che lei e Sherlock avete avuto occasione di conoscere poco tempo fa’ >> risponde il ragazzo scandendo bene le parole.
<< Moriarty! >> esclama John. Sente addosso il peso di quella giacca carica di esplosivo. Nella pancia la paura che il cecchino faccia fuoco facendolo saltare in aria. Paura che poi ha lasciato il posto alla determinazione quando con quello scambio di sguardi si è detto pronto a morire pur di fermare il folle consulente criminale.
<< Il portale Fenix, un sistema complesso e così ben organizzato in funzione da mesi in buona parte d’Europa e impossibile da debellare >> sussurra Sherlock, lo sguardo perso davanti a sé. << Ho temuto fin dai primi istanti che ci fosse lui dietro a quel girone infernale. I continui fallimenti di Sky me ne davano sempre conferma >>.
<< La certezza è arrivata quando abbiamo confrontato i messaggi inviati ai ragazzini che hanno commesso suicidio con quelli ricevuti da Daisy Cooper, Rosaline Jackson ed Elisabeth Lestrade >> dice Fox.
<< Cosa c’era di diverso? >> domanda John che fatica a sostenere la tensione generata dall’aver solo fatto il nome di Moriarty.
<< Il tono delle minacce >> dice Sherlock. << Sadico e crudele. Le foto messe on line di Lizzy, scattate troppo in là nel tempo rispetto a quando la ragazza si è iscritta al portale e provenienti da una fonte esterna e non dall’hard disk della ragazza o dalle immagini postate nei suoi social >>.
<< Vuoi dire che qualcuno la stava tenendo d’occhio già da prima? >> gli chiede e lui lentamente annuisce.
<< Quelle minacce, così come il tutor che le è stato assegnato scrivevano tutti da una cella dislocata ai caraibi, segno palese della presenza di un hacker che vuole mantenere nascosta al sua vera posizione >> continua Fox. << Daisy e Rosaline si sono ritrovate immischiate in qualcosa di ancora più grande nel già grande casino nel quale erano entrate. Con la loro mania di protagonismo hanno reso noto ai Master chi fosse il padre della ragazza, spingendo questo ad escluderla. L’obiettivo, invece, era portarla avanti >>.
<< Ma perché? >>.
<< Perché questo avrebbe distrutto Greg, la sua reputazione, mandato in fumo quel che resta della sua famiglia in un modo ancora più pesante che un suicidio, John >> .
<< E’ assurdo, Sherlock >> ridacchia il dottore. << Questo ci fa capire quanto poco ne sappia Moriarty della natura umana! Una figlia che si uccide distrugge il padre molto di più di scoprirla incastrata in un giro di pedoprostituzione e del vedere sue foto compromettenti on line. Non è certo piacevole, ma almeno non si piange su un corpo senza vita >>.
<< Concordo pienamente con lei, John >> annuisce Fox, mentre i due Holmes lo guardano con la stessa espressione scettica.
<< Hai detto di aver omesso la verità per impedire il deteriorarsi dei rapporti tra Greg e    Sherlock >>.
<< Non è stata una mia idea >> dice il ragazzo volgendo lo sguardo accusatore al consulente.      << Ma lei lo ha già capito, dottor Watson. Sono dell’idea che dinanzi a situazioni disperate, agire nell’ombra, nascondendo a persone amiche quanto si sta vivendo, sia più deleterio che vantaggioso. I rapporti li deteriora la menzogna, miei cari Holmes, non la verità e voi dovreste saperlo >> rimprovera i due fratelli che si chiudono in un insolito mutismo.
<< Pensi che sia il proseguimento del gioco folle in cui lo ha coinvolto il mese scorso? >>.
<< No, John >> risponde il giornalista. << Penso che abbia voluto dimostrargli come possa essere in grado di attuare la sua minaccia >>.
 << Non vedo come potrebbe bruciarmi il cuore con questa storia >> sbotta Sherlock infastidito.
<< Davvero? >> ridacchia Fox. << Il coinvolgimento di Lizzy e Greg ti ha sconvolto, così come renderti conto di come possa agire per compiere il suo scopo >>.
<< Non sono sconvolto >> ribatte acido il consulente.
Due colpi secchi alla porta li interrompono. Un trafelato Greg si unisce a loro accomodandosi sulla poltrona lasciata apposta per lui.
<< C’è un’atmosfera tutt’altro che piacevole qui >> dice abbozzando un sorriso. << Le vostre facce non dicono nulla di buono. Cosa sta succedendo? >>.
<< Dietro il portale Fenix c’è lo zampino di Moriarty >> risponde John senza girarci attorno più di tanto.
<< Moriarty? Il pazzo dinamitardo che ha inscenato quel gioco apposta per te il mese scorso? >> domanda a Sherlock che annuisce piano. << Aveva fatto perdere le sue tracce dopo averti fatto quasi saltare in aria in piscina >> dice rivolgendosi a John. << E ora ce lo ritroviamo dietro un sito per adescare ragazzini. Dio mio… i tuoi fans fanno paura, Sherlock >> ridacchia nervoso. << Come contate di muovervi? >>.
<< Nel momento in cui si è palesato ha disattivato tutti i suoi account e abbiamo perso il contatto. Sarebbe già stato difficile risalire all’host reale da quello fittizio dei caraibi, ma almeno avremmo avuto una possibilità. Ora neppure più questa >> sbuffa Fox. << Come dicevo, continueremo le ricerche di altre cellule sparse per il mondo, in modo da debellarle. Il portale ora non esiste più e molte persone a esso legato sono state arrestate. Non ci resta che sperare non nascano degli emuli e che i ragazzini in crisi possano essere aiutati davvero da chi è in grado di farlo.
<< Conta pure su di me per il proseguimento delle indagini >>.
<< In realtà ci speravo, Sherlock >> gli dice prendendogli la mano. << Occhi come i tuoi tornano sempre utili >> aggiunge sorridendogli e a John torna a dolere lo stomaco.
<< Devo aspettarmi di vederti stare via per un altro anno? >> domanda Mycroft.
<< Non credo potrei sopportarlo per così tanto tempo >> ride di gusto Fox.
<< Posso sempre rimangiarmi la proposta >> ribatte Sherlock stizzito. << E comunque no, se mi offro in aiuto è per abbreviare i tempi. Starò via al massimo un paio di settimane >>.
<< Bene, allora direi che attendo aggiornamenti da parte vostra >> dice Mycroft alzandosi in piedi, dando a intendere che la seduta è tolta.
<< Anche io >> gli fa eco Greg alzandosi a sua volta. << Quei bastardi che avete catturato hanno una lista di precedenti da far paura! Il fermo è stato convalidato e penso proprio che saranno ospiti delle patrie galere per molto tempo. Dovete passare in commissariato per la deposizione, tutti quanti voi >> dice guardandoli negli occhi uno per uno.
<< Allora sarà meglio che mi tolga subito questa impellenza, potrei non essere più tanto disponibile. Ho una riunione diplomatica a breve >> dice Mycroft guardando l’orologio. << Vuole un passaggio, detective? >> domanda a Greg, che tentenna sul da farsi per qualche istante prima di accettare.
<< E’ stato un piacere rivederti Fox e ti ringrazio per ciò che hai fatto per mia figlia >> dice Greg al giornalista porgendogli la mano che lui stringe con vigore.
Il detective si avvicina poi al consulente e lo stringe forte a sé in un abbraccio, cogliendolo del tutto alla sprovvista.
<< Hai salvato la vita della mia bambina, Sherlock. Te ne sarò eternamente grato >>.
<< Io non ho fatto nulla di eccezionale >> borbotta imbarazzato, immobile tra le braccia forti che lo stringono.
<< Smettila con queste cazzate! Si sarebbe buttata dal balcone della biblioteca se non fosse stato per il tuo intervento >> insiste Greg tenendolo stretto.
<< E’ stato Fox a convincerla a desistere dal suo intento, non io >>.
<< Ma sei stato tu a metterlo su di lei >> continua scostandosi da lui, pur mantenendo ancora le mani sulle sue spalle. << Non so cosa avrei fatto se avesse compiuto quel folle gesto. Ora è distrutta e ci vorrà tempo affinchè si riprenda, affinchè tutti quanti si trovi un briciolo di equilibrio. Però è viva ed è questo che conta >> dice sorridendo mentre gli occhi gli si inumidiscono.
<< Tu hai salvato me, direi che era il minimo che potessi fare per te >> ribatte Sherlock abbozzando un sorriso.
<< Non mi aspettavo nulla in cambio. Sono felice di saperti pulito. Per molto tempo mi sono chiesto cosa potesse spingere un uomo dall’intelligenza brillante come la tua a buttarsi via a quel modo. Dopo quanto è successo a Lizzy penso che anche tu, come lei, abbia avuto dei pessimi genitori >>.
<< Non sei un pessimo padre. Credimi, so bene un pessimo padre come sia >> dice Sherlock volgendo appena lo sguardo verso il fratello, fermo accanto alla porta del suo studio. Cogliendo di sorpresa Greg, il consulente gli prende dalla tasca della giacca il pacchetto di sigarette. << Hai smesso con questa roba, ricordi? >> gli dice strizzandogli l’occhio.
<< Hai ragione >> ribatte lui dandogli una pacca sulla spalla. << Ci sentiamo >> dice a John strizzandogli l’occhio, prima di seguire il maggiore degli Holmes fuori dal suo studio.
<< Io devo aggiustare un po’ di cose, prima che Grey me ne dica di tutti i colori >> dice Fox mentre escono dal silenzioso club. << Partirò per Madrid domani mattina. Fammi sapere se ti unisci a me o se mi raggiungerai in un secondo momento. E ricordati di quel che ti ho detto, Billy >> gli dice, puntandogli il dito contro. Il consulente annuisce imbarazzato e il giornalista ridacchia scuotendo il capo. Porta la mano ad accarezzargli la guancia pallida e, con un gesto collaudato e che deve essere normale tra loro, lo avvicina a sé posandogli un bacio sulla fronte.
<< Cuìdate, hermano[1] >> sussurra posando la fronte contro la sua. Si scambiano un sorriso prima di separarsi. << Dottor Watson, sinceramente non so ancora se dire sia stato un piacere o meno. Lo scoprirò in caso avessimo la possibilità di rivederci. Intanto la saluto e la invito a fare qualcosa per la sua rabbia esplosiva >> gli dice accennando un saluto militare. Si allontana a grandi passi lasciandoli sul marciapiede davanti al Diogenes Club. Sherlock si accende una delle sigarette di Greg prendendone una lunga boccata.
<< Mi pareva che anche tu avessi smesso con quella roba >> gli dice John guardandolo storto. Sherlock gli porge la sigaretta.
<< Non fumo, lo sai >>.
<< Che tu non abbia mai fatto un tiro non ci credo >> insiste. John prende con dita incerte la sigaretta e ne tira una lunga boccata sputandone fuori il fumo con un colpo di tosse. Gliela rende disgustato e infastidito dal suo sorriso.
<< A cosa sarebbe servito? >>.
<< A dimostrarti che non c’è nulla di male nello smezzarsi una sigaretta >> risponde prendendone una boccata per poi soffiare via il fumo. John deve ammettere che è una scena alquanto erotica, ma scuote subito via quel pensiero del tutto fuori luogo. Sherlock spegne la sigaretta appena iniziata e la getta via insieme a tutto il pacchetto. Ferma un taxi col suo solito gesto collaudato e si fanno portare a Baker Street.
 
 
[1] Abbi cura di te, fratello

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
Giungono al 221B dopo un viaggio in taxi trascorso nel silenzio, ognuno perso nelle proprie riflessioni. John lascia che come sempre sia Sherlock a fare strada, camminando a passi grandi davanti a lui. Raggiunge per primo l’appartamento e quando John si chiude la porta alle spalle lo trova intento a mettere a posto le sedie sulle quali si sono seduti i tre Lestrade.
Resta fermo, le mani dietro la schiena, a guardarlo compiere quell’insolito lavoro di riordino prima di accomodarsi alla sua poltrona. Solo allora John prende posto alla propria. Lo vede fissare un punto imprecisato del camino e decide che ci vuole un the per affrontare quest’ultima parte della storia. Mette su il bollitore e prepara le tazze, scoccando di quando in quando un’occhiata al suo coinquilino, sempre perso nella contemplazione del caminetto. Torna a sedere con le due tazze in mano e, contrariamente a quanto pensava, Sherlock si ridesta per prendergli dalle mani la propria.
<< Quella storia lunga >> dice John dopo aver preso un sorso ristoratore. << Direi che è arrivato il momento di raccontarmela >>.
Sherlock abbozza un sorriso mandando giù un sorso di the e prende tempo. John lo lascia fare, non è certo la pazienza quella che gli manca, checché ne dica il giornalista riguardo alla gestione della rabbia.
<< Come avrai capito, Fox è uno dei giornalisti investigativi che compongono il team della redazione di ‘El mundo’. Abbiamo lavorato insieme anni fa’ a parecchi casi e siamo rimasti in contatto via e-mail, aggiornandoci vicendevolmente sulle nostre vite>> dice alzando appena lo sguardo su di lui prima di riportarlo alla tazza. << Mi ha contattato con un messaggio quando siamo usciti dalla casa dei Jackson per comunicarmi di essere a Londra. Usando il codice musicale mi ha detto di essere in missione sotto copertura per l’inchiesta sul cyber bullismo alla quale stanno lavorando e che li ha portati ad incappare in questo portale >>.
<< Il codice musicale? >> domanda John curioso.
<< Il medley che tanto ti ha fatto innervosire lo ascoltassi con attenzione >>.
<< Quell’accozzaglia di canzoni senza senso logico era un messaggio? >>.
<< I madrileni hanno dei metodi alquanto curiosi ma molto efficaci >> risponde Sherlock ridendo del suo stupore. << Quel pomeriggio abbiamo scandagliato la vita social e i disegni della ragazza. Successivamente, mi è bastato che Fox mi fornisse pochi dati tra quelli da loro recuperati per capire che Rosaline Jackson aveva avuto a che fare con il Fenix. Fox mi ha chiesto di collaborare, ma di mantenere il segreto circa il loro coinvolgimento nell’indagine e io ho dato la mia parola. Finchè la situazione non è degenerata >>.
<< Allora hai dovuto non solo farlo uscire allo scoperto, ma anche tirare in ballo tuo fratello >>.
<< Cosa che mi sarei sinceramente risparmiato >> dice prendendo un altro sorso di the.
<< Quindi io ti lascio solo per due giorni su un caso e tu lo trasformi nella trama di un film di James Bond, con tanto di giornalista investigativo, scafato, avvezzo a stare in prima linea e con un’abilità nei travestimenti da fare invidia a Diabolik[1] >>.
<< A chi? >>.
<< Lascia perdere >> ridacchia scuotendo il capo. Sherlock dapprima lo guarda stupito, poi si unisce alla sua risata ed eccoli lì, nuovamente a ridere come due adolescenti.
<< Mycroft ha detto che sei il suo Holmes preferito >> dice John cercando di non dare a vedere quanto quell’informazione sia importante per lui.
<< Devo pensare, John, tu sia geloso? >> gli domanda Sherlock dopo una breve pausa.
<< Mi sono sentito sostituito, Sherlock. Da un professionista, per giunta, contro il quale non posso di certo competere >>.
<< E perché dovresti competere con lui? >> gli chiede posando la tazza ormai vuota sul bracciolo della poltrona.
<< Hai ragione. Non c’è assolutamente storia >> dice e una fitta gli trafigge lo stomaco.
<< Temo di non essermi spiegato bene >> dice Sherlock congiungendo le dita sotto il mento.      << Non c’è competizione perchè non c’è alcuna gara, John. Quella sera ci siamo presi in pieno l’acquazzone e ti garantisco che di acqua ne è venuta giù. Siamo arrivati quei zuppi fino alle ossa, per questo quando sei arrivato io ero in vestaglie e lui sotto la doccia. Tu, però, hai visto una parte della storia e l’hai montata a tuo uso e consumo, pensando addirittura che stessi trascurando il caso per concedermi una banalissima avventura, quando, invece, ho trascorso la notte a fare le pulci ai social di quella ragazza. Direi che se c’è qualcuno che dovrebbe sentirsi offeso e umiliato quello sono io. Hai davvero creduto che io potessi portarmi a letto dei perfetti sconosciuti. >> .
<< Non ci sarebbe nulla di male >> dice cercando di minimizzare il sollievo che sta provando.
<< Se non c’è nulla di male allora perché siamo arrivati a questo? >> gli chiede mostrandogli il polso dal livido ormai ingiallito.
<< Io… ti chiedo ancora scusa per quello >> dice distogliendo lo sguardo. << Immagino che a Fox non sia piaciuto e che si sia fatta di me l’idea di un uomo incline alla violenza >>.
<< Sì. E ti assicuro che non mi è stato facile spiegargli il contrario >>.
<< Infatti è stato abbastanza chiaro nel dirmi che non si fida di me >> .
<< Purtroppo è così. Ti rendi conto, John, che la tua gelosia è assurda dal momento che noi… >>
<< Siamo una coppia >> conclude il dottore per lui.
Sherlock lo guarda stupito e John prova un insolito piacere nell’essere riuscito a stupire il brillante consulente investigativo. Lo vede muoversi sulla poltrona improvvisamente scomoda, cambiare l’accavallamento delle gambe e rischiare di far cadere la tazza appollaiata sul bracciolo.
<< Non è vero >> ribatte guardandolo serio.
<< Sì che lo è >> .
<< E da quando lo saremmo? Perché, scusa, ma la cosa mi è sfuggita >>.
<< Direi dal momento in cui Mike Stenford ci ha presentati al Bart’s >>.
<< Non ti sembra di esagerare? >>.
<< No >> risponde incrociando le braccia al petto. Sherlock lo osserva a lungo in silenzio e John lascia che faccia, per nulla intimorito dalla sua imperscrutabile faccia da poker.
<< Questa… cosa >> dice sospirando. << Non è fattibile, John >>.
<< E perché? >>.
<< Perché saresti ancora più in pericolo di quanto tu già non sia se davvero noi decidessimo     di… >>.
<< Stare insieme >> conclude John, ormai deciso ad andare fino in fondo. << E’ per Moriarty? >> gli chiede e Sherlock annuisce.
<< Hai visto cosa è rischiato di accadere a Greg e lui è solo… il mio pusher di casi >>.
<< Greg non è solo quello. Mi pare di aver capito che ti ha… salvato la vita >>.
<< Sì >> annuisce distogliendo lo sguardo. << Mi ha detto che mi dava la possibilità di sperimentare il mio metodo, ma solo se avessi smesso con le droghe >>.
<< E tu lo hai fatto >>.
<< Non potevo perdere un’opportunità come questa! >> .
John ride dapprima piano poi sempre più forte. Gli scocca un’occhiata divertita coinvolgendolo nella sua risata. Si abbandonano entrambi stanchi di risate contro gli schienali delle rispettive poltrone. Le teste mollemente appoggiate indietro e il respiro concitato.
<< Non mi importa del pericolo, Sherlock >> dice John serio tirando su la testa.
<< Ti prego, smettila! >> esclama il consulente spossato. << Non ti rendi conto che è così che agisce? >>.
<< Sì, me ne rendo conto, ma questo non è un buon motivo per non dire le cose come stanno. Hai salvato la vita della figlia di un tuo amico. Hai compiuto un gesto bellissimo e tu stai facendo di tutto per minimizzarlo, per non coinvolgerti emotivamente. Non puoi diventare una fredda macchina solo per impedire a Moriarty di agire i suoi intenti, Sherlock. Non ti rendi conto che così facendo fai comunque il suo gioco? >>.
<< Io… io non voglio che nessun altro sia coinvolto in questo sfida che lui mi ha lanciato >>.
<< E quindi cosa conti di fare? Isolarti, smetterla col tuo lavoro e ritirarti su un isola deserta dove non potrai… nuocere a nessuno? >>.
<< Potrei agire indisturbato contro di lui, almeno >>.
<< No. Non pensarlo nemmeno, Sherlock, non te lo permetto! >> dice scattando in piedi, il dito puntato contro di lui. << Non lo capisci che è questo che vuole quel pazzo? Allontanarti da tutto ciò che ti rende umano, farti pensare di essere fonte di sofferenza per le persone a cui tieni >>.
<< E non è così, John? >> sbotta lui alzandosi a sua volta. << Pensi mi abbia fatto piacere vederti vestito di esplosivo? Usato come una pedina in un gioco? E’ stato uno dei momenti più brutti della mia vita! >> grida serrando i pugni e John li afferra tenendoli stretti nelle sue mani piccole ma determinate.
<< Ero pronto a saltare in aria con te >>.
<< Non saresti dovuto essere lì! >>.
<< Lui lì, però, mi ci ha messo >>.
<< Ed è questo che non va bene, non lo capisci? La cosa più logica che dovresti fare sarebbe quella di andartene, John. Chiunque lo farebbe dinanzi al rischio di divenire una continua esca e non capisco perché non lo abbia fatto tu >>.
<< Perché non mi piego ai giochi di un pazzo, Sherlock >> ringhia stringendogli ancor di più i polsi. << Lui vuole questo, non te ne rendi conto? Vuole dividerci >>.
<< Lo so >>.
<< Se lo sai perché vuoi dargliela vinta? >>.
<< Perché non voglio perderti! >> grida esasperato.
Il silenzio cala come una coperta calda su di loro. Distolgono e riportano lo sguardo l’uno in quello dell’altro più volte, incapaci di dire altro. John allenta la pressione sui polsi di Sherlock e scende a prendergli le mani. Le stringe forte sentendole gelide.
<< Ho anche io paura di perderti, Sherlock >> sussurra guardando quelle mani grandi. << L’ho avuta quando ti ho visto qui con quel ragazzo, quando ti ho visto per caso in quel vicolo con quello che credo essere Peter e ora… ho paura che per il timore che mi accada qualcosa a causa di Moriarty tu possa decidere di andare via da me >> dice alzando gli occhi a incontrare quelli di lui colmi di emozione. << Non hai salvato solo Lizzy dal suicidio, sai? >>.
<< John, non… >>.
<< Ascoltami! >> gli chiede stringendogli le mani. << Prima di incontrarti al Bart’s, quel pomeriggio di ormai sei mesi fa’, tutte le sere mi sedevo con la pistola in mano sul misero letto dell’appartamento squallido della pensione nella quale abitavo. La guardavo, ne sentivo il peso, il ferro freddo che non si scalda mai del tutto a contatto con la pelle e cercavo di impartire l’ordine alla mia mano sinistra di portarla alla tempia e fare fuoco. Avevo perso tutto, Sherlock. tutto ciò per cui avevo lottato. La brillante carriera che mi si apriva davanti, un lavoro soddisfacente, la grande famiglia di commilitoni e superiori della quale ormai mi sentivo parte. Tutto perso, a causa di un colpo di fucile sparato da non so neppure chi durante una guerra che non mi apparteneva. È bastato questo. Non ero più abile al servizio, così mi hanno scartato con una medaglia, tante belle parole e una misera pensione. Io non potevo sopportarlo. Non per la fatica del riabituarmi alla vita civile, come dice Ella, ma perché mi sono sentito rifiutato, abbandonato, gettato via come un pezzo rotto che non si può più utilizzare. Tu mi hai raccolto Sherlock. Mi hai dato un posto dove stare, la possibilità di sentirmi ancora utile e di continuare a combattere una guerra che sento più mia, questa volta. Per te non sono un pezzo rotto. Hai pure guarito la mia zoppia psicosomatica nel giro di una serata semplicemente dandomi fiducia. Sei andato oltre lo zoppo pietoso che tutti vedevano, il reduce di guerra che, poveretto, deve reinserirsi nella società, neppure fossi un criminale uscito dopo anni di galera. Io ti devo la vita, Sherlock, perché se non ti avessi incontrato, una di quelle sere la mia mano sinistra avrebbe obbedito all’ordine e io… ora non sarei qui >>.
Sherlock deglutisce e gli stringe forte le mani. Più volte prova a guardarlo negli occhi ma non ci riesce.
<< E’ stato merito di Mike… >>.
<< Oh, smettila! >> sbuffa strattonandogli le mani. << Merito di Mike, merito del caso, chi se ne frega, la sostanza non cambia, Sherlock! Permettimi di lottare al tuo fianco contro quel pazzo e di stare… con te, se lo vuoi >>.
<< Se lo voglio? Oh, cristo, non immagini neppure quanto >> dice commosso trattenendo a stento le lacrime. John lascia andare una risata, una di quelle cariche di soddisfazione e gioia pura. Una risata che ha l’effetto di scaldargli il ventre ora più leggero. Porta la mano ad accarezzare la guancia pallida e appena velata da un filo di barba del suo consulente investigativo. Con lo stesso gesto fluido di Fox avvicina il volto stupido di Sherlock al suo, ma non è sulla sua fronte che vuole posare un bacio. Gli sfiora le labbra schiuse dalla sorpresa. Le accarezza con le sue sentendolo poco per volta rispondere al bacio.
Scopre, John, mentre bacia l’uomo che ama quanto sia curativa la verità. Tolto il peso delle paure, del senso del dovere, dei ricordi, vive con serenità questo bellissimo momento, sfiorando il corpo longilineo e sottile di Sherlock con le mani, stringendolo in un abbraccio forse troppo possessivo, ma del quale adesso ha bisogno.
<< L’indagine non è conclusa. Partirai con me? >> gli chiede separandosi appena dalle sue labbra.
<< Non ti lascerei da solo con quel Fox neppure se me lo ordinassero >> ribatte John, fecendolo ridere di gusto. Gli morde il labbro inferiore stringendolo ancora di più tra le braccia. << Sono ufficialmente reintegrato ne caso? >> gli chiede premendo il bacino contro il suo.
<< Ufficialmente al mio fianco >> risponde Sherlock, prendendogli il volto tra le mani. << Sarei perduto senza il mio blogger >> sussurra affondando le mani nei suoi capelli, coinvolgendolo in un bacio carico di passione, che spegne la ragione lasciando che siano i loro corpi a parlare silenziosamente.
 
 
[1] Lo so, è un fumetto italiano che non so neppure se sia conosciuto in Inghilterra, ma lo adoro e gli regalo un cameo in questa storia

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 
Capitolo 9
 
John lascia scorrere la mano lungo la schiena nuda del suo compagno che dorme sfinito appoggiato al suo petto. Sente di avere sulle labbra un sorriso beota e soddisfatto, di quelli che sua madre avrebbe definito sciocco.
“E chi se ne frega, Johnny? Sei felice? Allora va bene così!” ribatte l’Harriet nella sua testa. È stata molto presente sua sorella nei suoi pensieri. Dal momento in cui hanno ritrovato il corpo di Rosaline e, a differenza delle fitte allo stomaco totalmente curate dai baci e dalle carezze di Sherlock, la voce di Harry persiste. Evidentemente ha da dirgli ancora qualcosa. Non gli piace l’idea di alzarsi dal letto caldo e dal profumo di Sherlock che lo avvolge, ma sente di dover concludere questa storia.
Indossa la vestaglia del suo uomo, giusto per evitare di far prendere un colpo alla signora Hudson qualora decidesse di piombare nel loro spazio privato, e raggiunge il suo cellulare abbandonato sulla sua poltrona. Richiama il numero della sorella dall’agenda e resta in attesa.
<< Johnny? >> risponde stupita Harry.
<< La tua incredulità mi offende, sorellina >>.
<< Sì, sei proprio tu, il solito, vecchio e stronzo Johnny >> ride e lo riporta ai loro giochi di bambini, quando ancora i tempi bui erano lontani e non era poi così importante amare un maschio o una femmina. << A cosa devo l’onore? >>.
<< Ho pensato a te in questi giorni e mi sono detto che non mi avrebbe fatto male chiamarti >>.
<< Gentile da parte tua >>.
<< Come stai? >>.
<< Bene >> risponde lei. << Davvero, John, sto bene. Ho conosciuto una ragazza davvero carina e… beh, sembra stia funzionando. E tu? >>.
<< Anche io sto bene. Benissimo >> ridacchia ripensando ai momenti lieti appena trascorsi.
<< Hai la voce di uno che è appena uscito dalla parte giusta del letto di una persona davvero interessante >> gli dice maliziosa.
<< In effetti è così >>.
<< Oddio, ma cosa dici! Non le voglio sapere queste cose, Johnny, stavo scherzando! >> dice inorridita, assumendo vagamente il tono della loro madre. John ne ride divertito. << E perché mai chiami me dopo aver… beh dai hai capito. Non è normale! >>.
<< In un certo senso lo devo anche a te, sai? >>.
<< Cosa? >>.
<< Non è una donna >>.
<< Cosa! >>.
<< Non dirmi che la cosa ti inorridisce >>.
<< Ma figurati. Non mi inorridisce. Mi stupisce. Merita? >>.
<< Oddio, sì! >>.
<< Allora non lasciartelo scappare, Johnny >>.
<< Non ci penso nemmeno, Harry. Ti voglio bene sorellina. Abbi cura di te >>.
<< Anche tu, fratellino. E sappi che lo voglio conoscere. Sono curiosa! >>.
Chiude la conversazione sulla risata allegra della sorella e sente di aver messo a posto ogni cosa. Nella sua testa, nella sua pancia e nel suo cuore. Torna a letto e trova Sherlock girato su un fianco. Affonda il viso nei suoi capelli e gli cinge i fianchi.
<< Stai meglio adesso? >> gli chiede il consulente posando una mano sul suo braccio.
<< Sì, adesso sì >>.
 

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