Into the darkness

di pattydcm
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


!ATTENZIONE! Ho deciso di ripubblicare questa storia nata originariamente come una OS per suddividerla in capitoli, data la lunghezza eccessiva. Non ho apportato modifiche alla trama.
 
Ciao a tutti!
Da un po’ di tempo non pubblico una OS. L’idea di questa che oggi vi propongo nasce dall’incontro con una persona speciale con la quale sto lavorando, che mi da ogni volta che la incontro la possibilità di imparare nuovi ‘punti di vista’. Come reagiremmo se di colpo venissimo privati del bene della vista? E soprattutto come reagirebbe una persona che ha fatto delle deduzioni il suo lavoro? Era una sfida troppo interessante per non essere giocata e spero possa piacere a voi leggerla come è piaciuto a me scriverla.
Le diagnosi mediche sono palesemente prese da wikipedia e quindi mi scuso per eventuali strafalcioni con chi tra voi ha studi medici o farmacologici alle spalle. Non conoscendo Londra, invece, mi ha aiutato un po’ google maps e un po’ una guida turistica on line. Anche qui, in caso di strafalcioni non me ne vogliate.
Ovviamente questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Sir Arthur Conan Doyle e la BBC nella trasposizione realizzata da Steven Moffat e Mark Gatiss. Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro, ma per il puro piacere di scrivere e di raccontare. Mi farà piacere leggere le vostre recensioni e spero la storia vi piaccia
Buona lettura
Patty
 
Into the darkness
 
 
I suoni giungono ovattati e lontani. Diventano poi sempre più presenti. Tra tutti primeggia il ‘bip’ cadenzato di un’apparecchiatura medica. Snervante. In secondo piano un respiro regolare, non molto lontano.
La propriocezione giunge dopo il suono. Un supporto rigido sul quale è sdraiato. Le lenzuola che lo coprono sono di un tessuto spesso e ruvido. Cotone grezzo, lavato e inamidato troppe volte. Fastidioso. Gambe e braccia sono pesanti e nude, come il resto del corpo. Il braccio destro è stretto da qualcosa all’altezza dell’incavo del polso. Ha sul torace alcuni oggetti gelidi posti in quattro diversi punti.
Fatica a respirare. L’aria sembra diventata pesante e densa. Alle narici è stata assicurata una cannula per l’irrorazione dell’ossigeno. Più che aiutarlo gli getta a forza dentro aria. Troppa aria. Per contrastare la fatica dell’espirazione sbuffa. La mascella è troppo molle e difficile da muovere.
Il respiro regolare percepito al suo fianco poco prima si interrompe. Riprende, ma più teso. Come fosse in allerta.
L’odorato si risveglia e, contrastando il getto d’aria artificiale, gli da informazioni che confermano la deduzione in corso. Odore di disinfettante. Persistente ed intenso. E, più lieve, quello di medicinali. Soluzioni salina fisiologica e antibiotici. Ora ne sente anche il lento sgocciolare dalla flebo alla cannula.
La persona al suo fianco si muove appena e l’aria che smuove gli rimanda il suo profumo. Vaniglia nera. Leggera, ormai, segno che la giornata è quasi finita. Informazione importante, dal momento che si rende conto di non avere memoria di come sia finito qui.
Sbuffa infastidito e la presenza si fa più vicina. Può percepirne il respiro addosso. Caldo. Amarognolo. Non ha mangiato, quindi è preoccupato. Il suo dottore salta i pasti solo per un buon motivo e ciò che lo ha portato su questo letto d’ospedale deve esserlo.
Volta piano la testa verso il respiro caldo di John e il dolore lo sorprende. Localizzato al volto e alla testa. Una pulsazione intensa dietro l’orecchio destro e un bruciore insopportabile al viso. Fa una smorfia e i muscoli facciali vengono come trafitti da mille spilli incandescenti. Mugola mordendo le labbra. Pessima idea. Il morso gliele fa scoprire gonfie ed indolenzite. Come fossero state punte da una vespa. A conti fatti sembra che tutto il suo viso sia stato punto da una vespa. Oppure che sia caduto a faccia in giù in un cespuglio di ortiche.
John posa la mano piccola e gentile sulla sua spalla sinistra. È leggermente umida, segno di ansia. Decisamente le sue condizioni non devono essere rassicuranti.
Prova ad aprire gli occhi e da questi ottiene l’informazione peggiore. Le palpebre sono bloccate e il dolore si è fatto più intenso al solo tentativo di aprirle. Sente di avere qualcosa sugli occhi. Una benda, forse, e il panico lo assale. Il ‘bip’ del macchinario diviene più frequente e i suoi respiri più corti e per questo ancora più dolorosi da compiere. Alza una mano, che sente pesare come gli fosse stata appesa al polso una catena, e fa per portarla al viso.
<< No, Sherlock, non toccare >> gli dice John afferrandogliela.
<< I miei occhi. Cosa è successo ai miei occhi, perché sono bendato? >> biascica a fatica.
John sospira e Sherlock immagina la sua espressione, imbarazzata e a disagio, mentre recupera il discorso che sicuramente si è preparato mentre era seduto ad aspettare che si svegliasse.
<< Non osare mentirmi! >> esclama a gran voce mettendosi a sedere. La testa gli gira. Al suo labirinto non è piaciuto affatto il brusco cambio di posizione. Stringe forte la mano su quella di John aggrappandosi a lui, che ne rinforza la presa.
<< Non ricordi nulla di quanto è successo stamattina? >> gli domanda e di certo non era questo il discorso che si era preparato. Aveva quindi pensato davvero di mentirgli. Cazzo, la situazione deve essere parecchio grave, allora.
Il panico preme per prendere il sopravvento, pompato da tutte quelle informazioni sempre più allarmanti. Sherlock decide, però, di fare la cosa che gli riesce meglio: cercare informazioni nel suo Mind Palace.
Ciò che trova riguarda il caso che da due settimane stanno seguendo. Lestrade è arrivato al 221B con quella chicca interessante: un dinamitardo. Il soggetto ha iniziato col fare esplodere piccoli oggetti in alcune cittadine irlandesi. Cariche che non hanno fatto danni più grandi di quelli che può fare un petardo. Perché commettesse quelle esplosioni non si è riusciti a capirlo. Non ha lasciato messaggi per rivendicare qualcosa in particolare, né i luoghi in cui queste si sono verificate sono in qualche modo collegati tra loro. Le sue piccole deflagrazioni hanno colpito raduni di reduci di guerra, commemorazioni militari, ma anche manifestanti per la pace. Piccole bombe carta sono esplose nei cortei contrari alle famiglie arcobaleno, così come in quelli a favore.
Ha poi, però, deciso di alzare il tiro quando si è spostato in Inghilterra e più precisamente a Londra. Solo due mesi fa’, un’esplosione di portata maggiore avvenuta durante un raduno femminista in White Chapel ha causato parecchi feriti e la morte di una delle manifestanti. A distanza di pochi giorni ha piazzato una vera e propria bomba sotto la casa di un broker abbastanza famoso, causando la morte di cinque persone.
Sherlock ritiene sia stata una fortuna che queste due esplosioni siano avvenute a Londra, dandogli così la possibilità di essere coinvolto nelle indagini. Inutile dire che né Lestrade, né il resto di Scotland Yard ritengono sia una fortuna che il dinamitardo si sia spostato dall’Irlanda all’Inghilterra, decidendo di venire a scatenare il panico sotto al loro naso.
Il commissario capo in persona ha autorizzato il detective a bussare alla sua porta, dal momento che dopo due mesi né loro, né i colleghi irlandesi sono riusciti a scoprire chi sia questo pazzo.
<< Ricordo che stiamo lavorando al caso del dinamitardo irlandese. So di aver capito il perché delle esplosioni così apparentemente prive di alcuna logica, di aver scoperto dove si nasconde e chi sia, ma… non me lo ricordo >> sussurra affranto.
John gli stringe la mano. La stringe forte e sospira.
<< Cosa è successo, John? Cos’hanno i miei occhi? >> gli chiede. Sente chiaramente il rumore prodotto dalla sua lingua che umetta le labbra.
<< Ieri sei riuscito a risalire al suo nascondiglio attraverso le tracce che questo pazzo ha lasciato erroneamente sul luogo dell’ultima deflagrazione. Si tratta di una baracca sul Tamigi >> dice e si ferma strategicamente. Questa informazione, però, non apre nessun file nel Mind Palace. << Quando siamo arrivati era vuota e tu, io e Greg ci siamo entrati. O meglio, tu sei entrato e noi siamo rimasti sulla porta. Hai dato un’occhiat… hai ispezionato il posto e quando ti sei voltato verso di noi ci hai detto che ora sapevi con chi avevamo a che fare e perché. Non hai, però, aggiunto altro >>.
Sherlock coglie appena la sfumatura di fastidio nell’ultima frase. È rimasto fermo al modo repentino in cui John ha cambiato espressione. Da ‘Hai dato un’occhiata’ a ‘Hai ispezionato il posto’. Il genere di correzione che si fa quando ci si rende conto di stare per incappare in una brutta figura usando termini che potrebbero ferire la sensibilità di un portatore di handicap.
<< Siamo rimasti appostati per l’intera notte nell’attesa che il tizio tornasse nella tana. Quando l’ha fatto, Greg ha ordinato di fare irruzione. Il dinamitardo, però, è riuscito a scappare. Tu lo hai visto e sei partito all’inseguimento. Non so bene cosa sia successo, perché ti ho perso di vis… non sono riuscito a starti dietro >> sospira correggendosi nuovamente, cosa che irrita Sherlock aumentandone la sensazione di panico. << Ti ho sentito urlare. Ho temuto ti avesse colpito. Ti ho visto cadere nel fiume e mi sono buttato per recuperarti. Non è stato facile, la corrente in quel punto era molto forte. Quando finalmente sono riuscito a trarti a riva eri privo di sensi e ci sono voluti due cicli di rianimazione cardiopolmonare prima che ti riprendessi. Sei, però, subito svenuto >>.
<< Ho detto qualcosa prima di svenire? >>.
<< Sì >> risponde riluttante. << Hai detto ‘è tutto buio’ >>.
Sherlock rabbrividisce. Fa per portare l’altra mano al viso, ma il dottore la intercetta e la tiene stretta.
<< Cos’hanno i miei occhi, John? >> gli chiede per la terza volta mettendolo alle strette.
<< Dalle analisi è emerso che ti ha spruzzato sul viso dello spray al peperoncino a getto basico[1] da una distanza molto ravvicinata. Doveva essere a meno di un metro da te e l’effetto è stato ancora più forte. Oltre alla capsicina, il principio attivo dell’oleoresium capsicum contenuto in quegli spray, però, sono state trovate tracce di benzina.
Ho notato subito che c’era qualcosa che non andava. Non solo per quello che mi avevi detto prima di svenire, ma anche per la pelle del viso, gonfia e irritata. Ho temuto fosse l’effetto di una qualche sostanza e mentre aspettavamo l’ambulanza ti ho lavato il viso con dell’acqua, come da procedura in caso di agenti irritanti a contatto con gli occhi. Il fatto tu non ti sia ripreso, nonostante per un buon quarto d’ora ti abbia versato acqua sul viso, mi ha preoccupato ancora di più. In ospedale hanno appurato che oltre alle ustioni da peperoncino hai sbattuto la nuca, probabilmente quando sei caduto nel fiume >>.
<< Quando mi ha buttato nel fiume >>.
<< No, Sherlock >> insiste John. Avverte lo spostamento d’aria causato dal suo scuotere il capo da destra a sinistra. << Eri da solo. Ti ho visto cadere. Un getto di spray urticante a una distanza così ravvicinata non causa solo bruciore agli occhi, che è già di per sè disorientate e allarmante. Genera una forte lacrimazione, fatica nel respirare a causa del rigonfiamento alla gola e bruciore alle mucose di bocca e naso. Ti sarà sembrato di soffocare e questo ti ha portato a perdere l’equilibrio e a sentirti disorientato. Non fossi stato in riva al fiume saresti solo caduto e al massimo ti saresti causato qualche sbucciatura >>.
<< Per quanto tempo sono rimasto svenuto? >>.
<< Dieci ore. Sono le cinque del pomeriggio, adesso >>.
<< Ed è… normale in un caso simile? >>. John sospira e gli stringe ancora di più le mani, senza neppure rendersene conto.
<< Ognuno di noi risponde in modo diverso ai traumi… >>.
<< E’ normale, John? >> insiste irritato dal suo continuare a girarci attorno.
<< No >> ammette finalmente. << Ma tu… la tua testa, il tuo corpo… tu sei diver…, voglio dire, ti ho visto stare giorni senza mangiare, né dormire e resistere in piedi, e anche piuttosto attivo, quando altri sarebbero già crollati. Mi sarei iniziato a preoccupare seriamente se fossero passate le 24 ore e tu non avessi ancora dato segni di ripresa >>.
Sherlock non riesce a sentirsi rassicurato da queste mezze frasi che non sa neppure se definire offensive o lusinghiere.
<< L’oculista attendeva il tuo risveglio per effettuare ulteriori esami >> continua John. << Avviso l’infermiera. Torno subito >>.
Le mani di John lasciano le sue e Sherlock si sente improvvisamente perso. Mulina le braccia a mezz’aria alla ricerca di un nuovo contatto col suo dottore. Il fiato si fa corto e veloce.
<< Sono qui >> dice John afferrandogli nuovamente le mani. << Sono qui, Sherlock >> ripete con un’inflessione dolce nella voce. Il consulente si aggrappa alle sue mani e in quel bisogno di contatto trova la gravità della situazione. I suoi occhi hanno subìto un trauma. Prima di svenire ha detto di essere al buio. Se il trauma dovesse causare una cecità permanente, come potrebbe portare avanti il suo amato lavoro? Come potrebbe… vivere?
<< Ehi >> sussurra John, sedendosi al suo fianco sul letto. Sherlock percepisce la sua presenza più vicina e deduce che stia tentando, con quella maggiore vicinanza, di rassicurarlo ulteriormente. Da bravo medico quale è deve essersi accorto dell’iniziale crisi di panico causata dal suo essersi allontanato per quel breve frangente. E’ grato della sua perspicacia in questo momento.
<< Non riesco neppure a immaginare come debba essere svegliarsi e ritrovarsi… così >> sussurra a un palmo dal suo orecchio, il respiro ad accarezzargli il viso dolente. << Direi che il panico è più che normale >>.
<< Concordo >> dice tenendo a bada il bisogno di poggiare la guancia contro la sua.
La porta si apre con un cigolio impercettibile. John si sposta portandosi via il suo calore rassicurante. Passi strascicati e un dolciastro profumo di fragole invadono la stanza.
<< Oh, si è svegliato, finalmente >> la voce squillante si fa sempre più vicina. Porta con sé uno strano cigolio. << Ora andiamo a fare un giretto. Il dottor Wylde la sta aspettando. Lei può attendere qui fuori >>.
<< No! >> esclama Sherlock al solo sentire il peso di John abbandonare il letto. Gli stringe forte le mani impedendogli di muoversi.
<< Sherlock, l’infermiera deve prepararti per poterti portare dall’oculista. Io aspetterò qui fu… >>.
<< Non se ne parla! >> dice a gran voce.
<< Su, faccia il bravo. Il suo amico è qui con lei da stamattina, gli permetta di sgranchirsi un po’ le gambe >> dice la donna avvicinandosi a lui. L’odore chimico del suo profumo da quattro soldi gli da la nausea.
<< Non mi parli così, non sono un idiota! >> ringhia voltandosi presumibilmente verso di lei.
<< Va bene, non le parlo così. Mi permetta, però, di renderla presentabile. Non è molto vestito, sa? >> ribatte la donna in tono falsamente bonario.
<< Motivo in più per tenerla lontana! >> insiste Sherlock aggrappandosi con più forza alla mano di John.
<< E questo che vorrebbe dire? >> domanda indignata l’infermiera. << Chi crede l’abbia ripulita dalle acque inquinate del Tamigi? Fa parte del mio lavoro, sa? >>.
<< Questo nessuno lo mette in dubbio >> interviene John, impedendo a Sherlock di ribattere. << Non penso si vada contro ad alcun regolamento se per questa volta la sollevo da un incarico, non crede? >>. Sherlock riconosce nel suo tono quell’inflessione sensuale che tanto piace alle donne.
<< Faccia pure >> dice la donna. << Vorrà dire che sarò io ad aspettarvi fuori >> aggiunge e i suoi passi strascicati la accompagnano alla porta insieme al suo profumo troppo forte.
<< Non avevo dubbi del fatto che saresti stato un pessimo paziente >> dice John sganciando i quattro punti freddi che avvertiva sul torace. Prende poi qualcosa da una busta e la agita espandendo uno sgradevole odore di detersivo scadente e amido. << Ora collabora. Distendi le braccia davanti a te >>.
<< Perché sono completamente nudo? >> domanda mentre John fa passare il camice dalle sue braccia.
<< Per via degli elettrodi che avevi attaccati al torace. È la procedura per chi è andato in arresto cardiaco. Il fatto che tu sia caduto nel Tamigi, poi, ha fatto sì che fossi bagnato dalla testa ai piedi. Ho trovato più opportuno restarti accanto piuttosto che andare a prenderti un paio di boxer e un cambio d’abito a casa. Ok, ora girati verso di me e metti i piedi per terra >>.
Sherlock esegue mentre John fa il giro del letto portandosi alle sue spalle per legare il camice.
<< Grazie >> sussurra. Le mani laboriose del dottore si fermano così come il suo respiro. << Ti sei buttato nel Tamigi per salvarmi. Ti sei bagnano anche tu eppure sei rimasto qui >>.
<< Non potevo mica lasciare questi poveri infermieri in balia delle tue minacce una volta che ti fossi svegliato >> ridacchia riprendendo ad annodare il camice. << Scherzi a parte, uno di loro mi ha dato una divisa >>.
John torna al suo fianco e traffica con qualcosa che gli piazza davanti. Sherlock allunga il piede fino a toccare una struttura solida dal forte odore di gomma mista ad acciaio.
<< Una sedia a rotelle >> sbuffa. << Non mi piace l’idea di sedermi e farmi spingere chissà dove da quella donna >>.
<< Sì, concordo che andare in giro su questi cosi non sia il massimo, soprattutto quando si possono usare le gambe. È, però, il metodo più comodo e veloce e in questo caso anche sicuro. Avanti, prendi le miei mani e lasciati guidare >>.
Sherlock si sente in imbarazzo. Sono coinquilini da sei mesi ed è sempre stato John ad occuparsi di tutto a casa loro (dalla spesa alle pulizie). Certo il dottore ogni tanto si lamenta, ma non lo ha mai obbligato a prendersi davvero la responsabilità di collaborare e per questo lui non si è mai sentito in colpa e neppure in dovere. Ora, però, l’idea che debba dipendere dalle sue cure e che si debba occupare in questo modo di lui, gli provoca vergogna. Non può, però, fare altro che mettersi in piedi, lasciarsi guidare vicino alla sedia ed essere aiutato a centrarla.
<< Tieni questo >> gli dice John, mettendogli tra le mani il ferro freddo del porta flebo. << Io ti spingo fuori dalla porta poi lascerò che sia l’infermiera a continuare e ti camminerò accanto >>.
Sherlock annuisce e accetta il passaggio del testimone senza proferire verbo. Per distrarsi dall’ansia crescente all’idea di sapere come stanno i suoi occhi, si concentra sui sensi restanti. Dietro al pungente odore di disinfettante ce ne sono tantissimi altri, che, nel buio fitto che ha davanti agli occhi, aprono file di possibili deduzioni. I rumori lo aiutano ad ampliare queste ipotesi e benchè non siano che indizi secondari in effetti non sono da buttare via. Certo, sarebbe tutto più semplice e veloce se riuscisse a usare la vista.
<< Eccoci arrivati >> cinguetta l’infermiera. La sente aprire al porta e fa sbattere un po’ le ruote della sedia contro gli stipiti, mentre lo spinge dentro lo studio. La stanza ha il forte odore del dopobarba dell’oculista, che non riesce, però, a coprire quello acre e naturale del suo corpo unito a quello di tabacco scadente. Il dottor Wylde ha evidenti problemi di sudorazione e tabagismo e Sherlock si augura non siano legato all’ansia, perchè quel che gli ci vuole è proprio un medico ansioso per completare l’opera.
<< Buonasera John >> dice con voce arrochita dalle sigarette che fuma e che gli rendono l’alito pesante. Lo rassicura sapere che questo Wylde conosce John. Il suo dottore non lo lascerebbe mai curare da un collega del quale non si fida.
<< Buonasera Oliver >> ricambia John entrando nella stanza. Sherlock sente le loro mani stringersi e riconosce nel loro modo di salutarsi una vera stima reciproca.
<< Buonasera signor Holmes >> lo saluta posando la mano grande e asciutta sulla sua spalla sinistra. << Mi dica, per favore, come sta >> gli chiede rimanendo fermo al suo fianco.
<< Mi fa male la faccia. E’ come se mi piantassero aghi roventi ad ogni movimento. Anche gli occhi. Il dolore è concentrato prevalentemente lì. E mi fa male la testa >> dice portando la mano alla nuca, là dove avverte una costante pulsazione. << Fatico a respirare e… ho perso molti ricordi importanti >>.
<< Quello è a causa della botta che ha preso alla testa cadendo. Ne parlerà approfonditamente con il neurologo. A me interessano principalmente i suoi occhi >> gli dice portandosi alle sue spalle. << Ora faremo una visita accurata >> aggiunge spingendo la sedia. << Mentre era incosciente ho effettuato una prima visita e ho rilevato una causticazione corneo congiuntivale unita ad un edema palpebrale che ha interessato entrambi gli occhi. Le ho fatto questo bendaggio lieve con garza vasellinata trattata con antibiotici. Ora toglieremo la benda. Non apra gli occhi finche non glielo dico, mi raccomando >>.
Sherlock avverte sul viso le mani del medico, asciutte e dal forte odore di nicotina. Scioglie la benda e toglie i due tamponi posizionati sulle palpebre. L’odore acre di quello che sembra un disinfettante lo investe .
<< Sto per passarle della soluzione glucosata molto fredda sugli occhi >> gli dice per poi agire. Per quanto sia un’operazione fastidiosa, avverte un immediato benessere. L’oculista si occupa diligentemente di un occhio e poi dell’altro prima di allontanare le mani dal suo viso.
<< Bene. Ora piano piano provi ad aprire le palpebre >>.
Sherlock resta immobile. Ora che la benda e tolta e gli occhi curati aprire le palpebre lo spaventa. Agli occhi della mente gli giunge l’immagine di un vaso percorso da tante crepe. Basterebbe un nonnulla per mandarlo in frantumi. Si rende conto di essere come quel vaso in questo momento. Il nonnulla che lo manderebbe in mille pezzi sarebbe lo scoprire di essere cieco.
Le mani di John si posano sulle sue spalle contratte. Lo stringono appena infondendogli coraggio senza dire una sola parola. Sherlock si rilassa un po’, prende un bel respiro e piano piano le sue palpebre si distanziano tra loro.
<< Mi fanno male >> dice richiudendole immediatamente.
<< Ha un’ustione di secondo grado al volto. Guarirà in una decina di giorni e non lascerà alcuna cicatrice >>.
<< Al diavolo le cicatrici! È la vista quella che mi interessa! >> sbotta afferrando con forza i braccioli della sedia. Nel silenzio che segue percepisce i respiri dei due dottori. Staranno scambiandosi sguardi che non può vedere e l’idea che provino pena per lui lo manda in bestia.
<< Le chiedo di fare uno sforzo, signor Holmes. Ho bisogno di esaminare i suoi occhi >>.
Sherlock apre le palpebre lentamente. La prima cosa che gli viene in mente è che abbiano spento la luce per evitare che questa gli ferisca gli occhi più di quanto già non lo siano. Poi, però, si rende conto che anche fosse così scorgerebbe almeno la sagoma dell’uomo che ha di fronte.
<< E’ tutto buio >> sussurra affranto. Le mani di John si serrano ancor di più sulle sue spalle.
<< Le sue cornee hanno subito un brutto trauma. Prima di scoraggiarsi, però, me le faccia controllare >> gli dice picchiettandogli la guancia con fare paterno. Percepisce uno spostamento d’aria e qualcosa viene posizionato dinanzi al suo viso. << Appoggi il mento qui, così >> lo guida Wylde. << Ora tenga aperte le palpebre il più possibile >>.
Sherlock si rende conto di come non sia per nulla facile quella semplice operazione. Molte volte gli hanno detto di essere inquietante nella capacità di mantenere lo sguardo fisso a lungo, senza battere ciglio. Ora, invece, il dolore e tale da togliergli il respiro.
<< Abbiamo quasi finito >> gli dice l’oculista percependone il disagio.
Accoglie con sollievo la fine della visita. Chiude gli occhi e fa per posarvi sopra la mano ma ancora una volta John la intercetta.
<< Non è proprio il caso, Sherlock >> gli dice in tono bonario. Non ha la forza di fare altro che annuire e sospirare. John gli stringe la mano, sicuramente stupito del vederlo così remissivo.
<< John mi ha detto che i suoi occhi sono caratterizzati da eterocromia >>.
<< Sì. Ho fatto tanti controlli da bambino, ma non hanno riscontrato cause tali da far temere la presenza di glaucomi. Cosa c’entra con la cecità attuale? >>.
<< E’ un’informazione in più per la mia anamnesi. In secondo luogo mi permette di fare delle ipotesi. I suoi occhi al momento sono spenti, anche nel colore. Gli effetti della capsicina svaniscono nel giro di 40 minuti e di solito non lasciano danni a lungo termine. Lei dopo tutte queste ore, invece, presenta una cecità bilaterale. Indubbiamente, i suoi occhi, signor Holmes, sono traumatizzati >>.
<< Dai traumi ci si può riprendere, no? >>.
<< Del tutto o in parte, certo >>.
<< Quindi è una situazione passeggera? >> gli chiede e il silenzio che segue la sua domanda poco gli piace, così come i respiri di entrambi i dottori che si interrompono per un breve istante.
 << La cecità si verifica quando qualcosa ostruisce il passaggio della luce attraverso la cornea, che è la membrana trasparente davanti all’iride e alla pupilla, al cristallino e quindi nell’umor vitreo, che è la sostanza gelatinosa che riempie il bulbo oculare. Lei non ha solo subito un attacco ravvicinato con una sostanza urticante, ma è anche caduto battendo la testa nella zona della corteccia occipitale. Il trauma cranico ha generato un’amaurosi bilaterale, che è data dall’interruzione della corrente sanguigna alla corteccia visiva causata da un’embolia. L’amaurosi può essere completa o temporanea e nel suo caso solo il tempo saprà dirci dinanzi a quale delle due ci troviamo >>.
<< Lei mi sta dicendo che dovrei semplicemente aspettare e vedere cosa succede? >>.
<< Esatto. E mentre aspetta deve portare avanti una cura a base di nifedipina. Se col tempo dalla cecità passerà ad avvertire lampi continui di luce, offuscamento o altri disturbi simili sarà un buon segno. Non le garantisco il ritorno ai dieci decimi, nel caso si tratti di un amaurosi temporanea, ma in questo momento penso sia il male minore per lei sapere di aver perso qualche grado >>.
<< Direi proprio di sì >>  .
<< Oltre alla nifedipina, dovrà portare il bendaggio di garze vasellinate per almeno una settimana, cambiandolo con cura ogni giorno. C’è qualcuno che puoi occuparsi di lei e aiutarla a portare avanti la cura? >>.
<< Me ne occupo io, Oliver >> dice prontamente John. << Siamo coinquilini >> aggiunge, sempre con quel suo maledetto bisogno di sottolineare la tipologia del loro rapporto, affinchè non si generino equivoci imbarazzanti.
<< La fortuna di convivere con un medico >> ridacchia Wylde dandogli un altro fastidioso e paterno buffetto sulla guancia. << Le indicazioni per la cura delle ustioni sicuramente le sai, ma ti prescrivo comunque i farmaci più adatti per una zona delicata come questa >>.
Sherlock sente il graffiare della penna sulla carta. Una carta dura, appoggiata sul ripiano della scrivania. Le mani di John sono ancora ferme sulle sue spalle. Il loro calore lo aiuta a rilassarsi, benchè non ci sia nulla di rassicurante in quel che ha appena sentito. Si trova sospeso su un cinquanta per cento di possibilità: da una parte il recupero della vista, dall’altro la cecità permanente.
“Gli imprevisti del mestiere” gli dice ironico la voce di suo fratello. La scaccia via con un gesto rapido del capo.
<< Tutto bene? >> gli domanda John posando una mano tra i suoi capelli.
<< Mycroft >>.
<< Oh, sì. Tuo fratello mi ha chiamato non appena siamo arrivati qui. Al momento si trova a Hong Kong. Voleva sapere cosa fosse successo e mi ha detto che sarebbe venuto qui appena possibile >>.
<< Mi auguro proprio che non gli sia possibile >>.
 << In condizioni simili il supporto della famiglia è importante, signor Holmes >> borbotta il medico consegnando la ricetta appena compilata a John.
<< Voglio andare a casa >> sussurra Sherlock. Si sente improvvisamente stanco e spossato, cosa che non è per nulla da lui.
<< Dovrà prima sottoporsi alla visita neurologica >> lo informa il dottore. << Chiamo l’infermiera per farle rifare il bendaggio >>.
<< Me ne occupo io, Oscar >> dice prontamente John.
I passi pesanti e veloci annunciano l’uscita di scena del dottore. Il bisogno di nicotina si è fatto sentire. Le mani delicate ed esperte di John si posano sul suo viso tumefatto. Le sente applicare una pomata dall’odore forte sulle ustioni che gli ricoprono il volto.
<< John, ho bisogno che tu mi descriva l’entità del danno >> gli chiede. Le mani del dottore si fermano per poi riprendere con movimenti più lenti. << Ti prego >> aggiunge per incoraggiarlo.
<< Hai un arrossamento. Come fossi stato parecchio sotto il sole, tutto qui >>.
<< John, lo sai come funziono >> ribatte scuotendo il capo. << Non tentare di proteggermi, tanto peggio di così non può andare. Descrivi con dovizia di particolari, come stessi raccontando il caso a un tuo collega >>. John  sospira e dal movimento dell’aria pare anche stia scuotendo il capo, poco convinto di quanto gli sta chiedendo.
<< L’ustione interessa la zona della fronte, le palpebre, il naso e il labbro superiore >> dice con tono professionale e distaccato. << È classificabile come di secondo grado. La pelle è gonfia, arrossata e presenta delle vescicole, come tu fossi caduto a faccia in giù in un cespuglio di ortiche rese ancora più cattive dal sole caldo di mezzogiorno >>.
<< E’ la prima cosa che ho pensato quando mi sono risvegliato >>. John ridacchia nervoso e lui lo imita distrattamente. << E… i miei occhi come sono? >> dice aprendo le palpebre. Punta lo sguardo là dove immagina sia il volto di John e questi trattiene il fiato.
<< La… la sclera è arrossata. I capillari sono evidenti. Le iridi sono… molto chiare >>.
<< Quanto chiare? >>.
<< Quasi bianche. Le pupille appaiono velate >>.
<< Velate? >> lo stomaco di Sherlock si chiude e un brivido lo scuote. << Come… come quelle dei cadaveri? >>.
<< No! >> esclama John. Ha risposto troppo in fretta e con troppa enfasi. Indubbiamente sta mentendo.
<< John… >>.
<< Più simili a una cataratta >> sbotta il dottore allontanando le mani dal suo volto. Restano in silenzio. Il respiro concitato di John ne descrive il suo nervosismo.
<< Devo essere uno spettacolo orribile da vedere >> sussurra Sherlock.
<< L’ustione è fresca. Guarirà e non resteranno cicatrici. I tuoi occhi… >>.
<< Erano già spaventosi prima >>.
<< Ma che cosa vai dicendo? Io li ho sempre trovati affascinanti >>.
La nota di imbarazzo nella voce del dottore lo contagia. Improvvisamente sente la sedia a rotelle farsi fin troppo scomoda.
<< Grazie >> sussurra abbassando lo sguardo, automatismo abbastanza inutile dal momento che tanto non ci vede. << Immagino che ora non lo siano affatto >> ridacchia portando la mano al volto. John la intercetta anche questa volta. La stringe forte con entrambe le mani.
<< Dai loro il tempo di guarire e vedrai che torneranno allo splendore di sempre >>.
Gli immagina sul volto il sorriso dolce che a volte gli rivolge e alza la mano libera per cercarlo. Si rende conto di quanto sta facendo solo quando le sue dita sfiorano il viso di John. Avverte il calore della sua pelle sotto i polpastrelli, che gli rimandano molte più informazioni di quante siano soliti fare. Un velo di barba ricopre le guance solleticandogli le dita. Un piacevole formicolio gli percorre la mano propagandosi per il braccio man mano che sfiora il viso familiare che ora sta ‘vedendo’ in un modo nuovo.
Quando finalmente raggiunge le labbra si ferma stupito. Si rende conto di aver trattenuto il fiato e il respiro che prende lo avverte carico di una strana emozione. Percepisce un movimento sotto le dita. I muscoli del volto di John si sollevano e le labbra sulle quali sono posate le sue dita si incurvano.
<< Stai sorridendo >> dice stupito mentre percorre con le dita il sorriso di John per studiarlo, memorizzarlo nei suoi polpastrelli. Avverte una strana vibrazione nella pancia. Un calore improvviso e piacevole.
<< Anche tu >> gli dice John e il movimento della mascella, dei muscoli facciali e delle labbra lo sorprende ancora di più. Quanto ha detto gli giunge con qualche secondo di ritardo. Si rende conto, in effetti, di stare a sua volta sorridendo. Forse per una sorta di imitazione inconscia, anche se è abbastanza insolito, dal momento che i neuroni a specchio sono attivati dalla vista. È possibile che lo stesso effetto lo si ottenga tramite i polpastrelli? Oppure la motivazione è un'altra. Il sorriso è dato dalla piacevolezza di poter finalmente avere una scusa per accarezzare questo volto tanto amato.
Allontana la mano in modo quasi brusco.
<< Scusami >>.
<< Per cosa? >>.
<< Mi sono preso la libertà di toccarti insistentemente il viso >>.
<< Le dita saranno i tuoi occhi finchè questi non si riprenderanno, Sherlock. Hai bisogno di reperire informazioni e penso non ci sia nulla di male. Se ti dovesse capitare di dover ‘vedere’ con le mani chi non conosci è meglio se chiedi il permesso prima. Con me non farti di questi problemi >>.
Come a sottolineare quanto ha appena detto, John gli sfiora la guancia con la mano. Non è il fastidioso buffetto paterno datogli poco prima dall’oculista. È una vera e propria carezza, piacevole al punto da fargli vedere tutti insieme quali possano essere i risvolti positivi di questa triste situazione.
“Solo uno stupido come te potrebbe perdersi in simili baggianate” irrompe Mycroft acido tra i suoi pensieri. Scuote il capo infastidito e John allontana svelto la mano interpretando quel gesto come rivolto a lui.
<< E’ vero, scusami. Io sì che mi sono preso una libertà di troppo >>.
L’ingresso dell’infermiera gli impedisce di ribattere spiegandogli a chi fosse realmente rivolto il suo moto di fastidio.
<< E’ ora di andare a conoscere il neurologo >> cinguetta quella fastidiosa donna riportando nella stanza il suo orribile profumo fruttato.
Sherlock si ritrova nuovamente spinto lungo un corridoio pieno di voci, odori e rumori sui quali si concentra. Non solo per sedare l’ansia di quella nuova visita, ma anche per allenare quei sensi che usa senza accorgersene, ma che ha sempre ritenuto secondari rispetto alla vista. Concentrasi su questi genera reazioni fisiche nuove che scuotono il suo mondo emotivo. In un certo senso è come se fosse stato cieco fino a quel momento e solo adesso finalmente aprisse gli occhi. Occhi diversi, fatti di onde sonore, recettori olfattivi e sensazioni tattili. Tutta la sua pelle è come stesse diventando un unico grande occhio e il fatto che ciò accada nel breve tragitto da uno studio medico ad un altro lo sovraccarica.
<< Tutto bene? >> gli domanda John avvicinandosi al suo orecchio. L’infermiera ha bussato alla porta dello studio del neurologo. Dal suono che i colpi hanno prodotto deduce sia una porta di compensato ricoperta da una pellicola di resina plastificata. Al di là di questa si avverte un chiacchiericcio. Il dottore pare essere impegnato in una discussione telefonica molto accesa.
<< Troppe informazioni, John >> risponde portando la mano al volto. Questa volta ci sperava che John la prendesse nella sua. << Gli altri sensi. È come se avessero deciso di dare il massimo tutti insieme e all’improvviso. E’… troppo >>.
<< Ok >> sussurra John facendosi più vicino. << Datti il tempo di abituartici, Sherlock >>.
La porta si apre e un nuovo odore lo investe. Un’acqua di colonia costosa e raffinata. Nessuna traccia di fumo, solo l’odore del caffè bevuto da poco.
<< Buongiorno John, Oliver mi ha detto che sareste arrivati. Accomodatevi >> dice con una cordialità reale, nonostante la chiamata appena conclusa.
<< E’ un piacere per me conoscerla, signor Holmes >> gli dice posandogli anche lui la mano sulla spalla. Sembra sia quello il modo di salutare un cieco. << Sono un fan del blog di John e trovo i suoi metodi deduttivi assolutamente fantastici >>.
<< E io concordo con lei, dottore. Ha un amante. Lo lasci perdere e si rifaccia una vita con chi sappia essere in grado di accettare i turni massacranti del lavoro che così tanto ama >>.
Il respiro del neurologo si blocca un attimo per poi esplodere in una risata nervosa.
<< Beh, la privazione momentanea della vista pare proprio non essere un problema per la sua capacità deduttiva >> dice dandogli una pacca più vigorosa sulla spalla.
<< Momentanea? >> domanda Sherlock stupito. << L’oculista ha detto che solo il tempo saprà dire se la mia è un’amaurosi temporaneo o completa >>.
<< Oliver tende sempre a esagerare >> dice il neurologo e dallo spostamento d’aria che avverte Sherlock deduce abbia mulinato la mano a minimizzare le sue preoccupazioni. << La sua risonanza magnetica conferma la presenta dell’embolia che ha generato l’amaurosi bilaterale e la temporanea infiammazione che ha determinato la rottura dei capillari che ostruiscono il passaggio della luce attraverso la cornea al cristallino. A mio parere ci vorrà più tempo per recuperare la vista rispetto a una normale esposizione allo spray, ma questa tornerà. Nel frattempo potrà esercitarsi ad usare gli altri sensi, anche se mi ha appena dato una dimostrazione pratica di come questi siano già ben sviluppati >>.
Sherlock prova un senso di sollievo dinanzi al parere più possibilista del neurologo. Solleva la mano per porgergliela e questi la stringe con vigore. Una mano ferma che indica determinazione e sicurezza.
<< Dal momento che la so nelle sicure mani di John le firmo il foglio per le dimissioni. Mi raccomando, non si affatichi troppo. Il riposo è la migliore cura. Ci vediamo tra una settimana per il controllo. Qualunque cosa accada alla sua vista non esiti a comunicarmelo >>.
John saluta a sua volta il collega e spinge la sedia a rotelle fuori dallo studio.
<< Possiamo fidarci di Howard. E’ scrupoloso nelle sue diagnosi e impeccabile nel lavoro >> gli dice John avvicinandosi al suo orecchio.
Giungono nella stanza e appena John mette il fermo alla sedia Sherlock si alza, insofferente a tutta quella immobilità.
<< Ti ricordo che sei pratilmente nudo >>.
<< Dove sono i miei vestiti? >>
<< Sul letto >>
Sherlock si muove a tentoni. Percepisce lo sguardo di John addosso e gli è grato che lo lasci fare senza impuntarsi nell’aiutarlo. Raggiunge con le mani la superficie del letto e la percorre tutta fino a trovare i suoi vestiti. Riconosce la camicia azzurra dalla consistenza del cotone leggero e pregiato, i pantaloni e la giacca più pesanti e resistenti e i boxer. Hanno un odore per nulla piacevole, lo stesso delle lenzuola e già al tatto sente che hanno usato una temperatura troppo alta che ha rovinato i suoi preziosi abiti.
<< La lavanderia dell’ospedale >> sbotta disgustato.
<< Non è il massimo, lo so >> dice John. Lo sente a sua volta spogliarsi della divisa che gli hanno prestato e indossare i suoi vestiti. << Ma l’alternativa sarebbe stata lasciarti qui ad aspettarmi di ritorno con un cambio fresco e profumato >>.
L’idea che John si sia appena cambiato a pochi metri da lui gli accappona la pelle. Cerca, però, di ridarsi un contegno per evitare situazioni che risulterebbero imbarazzanti. Si affretta a indossare i boxer, accertandosi che non siano ripiegati verso l’esterno. Con le dita cerca l’etichetta che indica il retro, li indossa con movimenti più lenti rispetto al solito, ma ritiene di aver fatto un ottimo lavoro.
Senza che glielo chieda John si porta alle sue spalle e inizia a sciogliere il camice. Sherlock se ne libera e lo getta con malagrazia sul letto. Indossa i pantaloni e litiga per un po’ con i bottoni della camicia. Più volte percepisce John pronto a domandargli se per caso non voglia il suo aiuto, cosa che lo rende ancora più nervoso e impacciato.
<< Fatto! >> esclama soddisfatto quando anche l’ultimo bottone è abbottonato nella corrispondente asola. Sistema la camicia nei pantaloni e li abbottona. Se per i bottoni della camicia poteva aspettarsi qualche difficoltà, non ha invece pensato quanto possa essere difficile allacciare una cintura. Impreca a gran voce, usando parole molto volgari contro il foro della cintura che non ne vuole sapere di farsi centrare. Porta le mani ai capelli esasperato e sente il pianto prendere il sopravvento. John gli posa una mano sulla schiena.
<< Facciamolo insieme, vuoi? >> gli propone e lui si limita ad annuire. John si porta alle sue spalle e raggiunge con le mani la cintura. << Posa le mani sulle mie >> gli dice e lui esegue. << Con la sinistra tiriamo la cintura. Ora con l’indice destro conti ad alta voce il numero dei fori dal più lontano al più vicino >>. Sherlock esegue e comprende il meccanismo che gli sta proponendo. << Ora porta il pollice sinistro sull’ultimo foro e cerca con la mano destra il gancio >>. Esegue e poi prende in mano la situazione. Dirige il gancio verso il foro e non può fare a meno di lasciarsi sfuggire un’esclamazione di trionfo quando si rende conto di averlo centrato.
<< Bravissimo! >> lo incoraggia John battendogli la mano contro il fianco. Si sposta lasciandogli libertà d’azione. Sherlock assicura la cintura ai passanti e poi si volta verso di lui regalandogli un sorriso vittorioso. John risponde con una pacca sulla spalla.
<< Sei pronto per affrontare i lacci delle scarpe >> gli dice e il consulente impreca nuovamente. << Ehi, credevo di essere io lo sboccato. Alcune delle parolacce che hai detto fin’ora neppure le conoscevo >>.
<< Questo perché non hai un passato da tossico >> ridacchia Sherlock sedendosi sul letto per mettere i calzini. Indossarli nel verso giusto è anche quella impresa non facile, per non parlare poi, come anticipato da John, dell’allacciare i lacci. Dopo nuove e folcloristiche imprecazioni, una mezza crisi di nervi e tanti consigli (e infinita pazienza) da parte di John l’impresa e compiuta. E questa era la parte più semplice.
<< Posa la mano sulla mia spalla. Ti guiderò io in caso di ostacoli o gradini >> gli suggerisce John dirigendo la sua mano sinistra sulla spalla.
<< Devo ritenermi fortunato del fatto tu sia stato un medico militare. È lì che hai appreso questi ‘trucchi’ per sopravvivere in caso di cecità >> deduce Sherlock muovendo i primi passi lentamente e in modo incerto. John si adegua al suo ritmo. Non lo strattona, né gli mette fretta. Lo sente sospirare e esitare alcuni istanti prima di ribattere.
<< Avevo un… caro amico sotto le armi. Una granata gli esplose a pochi metri e alcune schegge gli colpirono gli occhi rendendolo cieco. Non la prese bene, ovviamente, e io cercai di fare il possibile per aiutarlo >>.
John non è solito raccontare dei suoi trascorsi da soldato. Le poche volte che ha provato a chiedergli aneddoti si è mantenuto sul vago cambiando subito argomento o dicendogli apertamente che non voleva parlarne. Questo a seconda di quanto fosse insistente o, come lui preferiva dire, assillante. Per questo il suo tirare in ballo questo ‘caro amico’ lo stupisce. Proprio come lo scoprire Harry essere sua sorella e non suo fratello.
A Baker Street la signora Hudson li accoglie con finta nonchalance, ma Sherlock coglie ogni singolo singhiozzo trattenuto. Il suo sguardo preoccupato riesce quasi a vederlo, nonostante le bende, tanto è intenso.
<< Vi lascio salire, sarete stanchi >> dice scappando nel suo appartamento. Mentre sale i 17 gradini appoggiandosi alla parete, Sherlock la sente soffiare il naso. Uno strano senso di colpa lo assale. Arrecare dispiacere alla sua cara padrona di casa lo ferisce e questa è una cosa nuova alla quale non aveva mai pensato. Tante volte è tornato livido dei pugni presi durante una rissa, o in un inseguimento. Molte altre è quasi svenuto sulla soglia di casa stremato dai lunghi giorni di digiuno trascorsi senza chiudere occhio dietro un caso. La donna lo ha sempre guardato con occhi preoccupati e ha tentato anche di dire qualcosa, ma lui l’ha sempre prontamente zittita. È strano come abbia avvertito il senso di colpa proprio ora che la situazione gli ha risparmiato di assistere al suo ennesimo sguardo disperato. La privazione del senso principale sta acuendo non solo gli altri quattro, ma anche qualcos’altro, a quanto pare.
Recuperare la mappa del loro appartamento dal suo Mind Palace è un gioco da ragazzi. Non ricordando gli avvenimenti degli ultimi giorni non può sapere se sia stato lasciato qualcosa in giro sul quale possa inciampare, ma tutto sommato riesce a muoversi senza alcun problema all’interno del suo posto sicuro.
<< Fantastico >> sussurra John.
<< Lo hai detto ad alta voce >> ridacchia lui.
<< Scusami ma… è davvero fantastico, Sherlock. Non hai dovuto prendere misure, mandare a memoria gli oggetti presenti e le distanze tra loro… avevi già tutto nel tuo Mind Palace. Dovresti insegnarmi come si usa, potrebbe tornarmi utile >>.
<< Per ricordare il nome delle tue innumerevoli conquiste, ad esempio? >> lo punzecchia accomodandosi sulla sua poltrona.
<< Molto spiritoso >> ribatte John sedendo alla propria. << Ma devo dire che sarebbe utile, sì >>.
<< Notizie da Lestrade sul caso? >>
<< Vuoi continuare l’indagine? >>.
<< Certo! Ho un conto in sospeso con quel bastardo, non vorrai mica che lasci tutto nelle mani di quegli incapaci degli Yardes? >> dice tra i denti.
<< Greg mi ha scritto solo per chiedermi di te >>.
<< Digli che sto bene e che anche da cieco vedo meglio di tutti loro messi insieme >>.
<< Penso che mi limiterò a dirgli di ritenerti ancora sul caso >> dice e lo sente digitare veloce sui tasti del telefono << E’ mio dovere, però, ricordarti quanto detto da Howard: il riposo è la cura migliore nel tuo caso >>.
<< La cura di ogni male per me è il lavoro, John. Sai bene come sono quando non ho un caso sul quale stare >>.
<< Fin troppo bene >> lo sente soffocare uno sbadiglio. << Ho bisogno di dormire, altrimenti svengo. << Ho detto a Greg di telefonarti, in caso di necessità >> gli dice mettendogli il suo smartphone tra le mani.
<< Il mio cellulare immagino sia andato perso nel tuffo non previsto nel Tamigi >>.
<< Proprio così. Useremo il mio finchè non avremo il tempo di procurartene un altro >>.
<< Benissimo. Mi auguro di non ricevere nel cuore della notte la telefonata di una delle tue spasimanti. Sarebbe imbarazzante pensasse che sei a letto con un uomo >>.
<< Non accadrà, Sherlock. Non ci sono spasimanti in questo periodo e comunque ci mettono poco le donne a capire che vivo con un uomo dagli orari impossibili che aiuto nel suo lavoro impossibile! >>.
<< Allora è tutto a posto. L’uomo impossibile farà una bagno prima di andare a dormire.  Puzzo peggio del Tamigi >>.
John esita qualche istante, ma poi decide di rinnovargli la buonanotte e dirigersi alla sua camera.
Come al solito Sherlock non ricambia il saluto. Resta con il cellulare in mano e ascolta i passi strascicati di John, prima verso la porta poi su per le scale. Un passo stanco, segno che è stato seduto a guardarlo per tutto il tempo, in attesa che lui riprendesse conoscenza. Gliela deve questa notte di riposo e poi lui ha un caso sul quale riflettere. Vuole cercare nel suo Mind Palace la porta dietro la quale si sono rifugiati i ricordi di quelle ultime giornate.
<< Nella vasca da bagno, questa volta >> dice annusando disgustato la propria pelle.
Entra nel bagno e ride di se stesso quando si rende conto di cercare a tentoni l’interruttore della luce sulla parete. Si libera dei vestiti ormai rovinati e li ripone nel cestone dei panni sporchi. Apre il rubinetto e fa scorrere l’acqua nella vasca. Aspetta che si scaldi appoggiandosi al lavandino, come è solito fare.
Tocca il viso sentendo il filo di barba che sarebbe ora di eliminare. Si rende conto che quello è un problema. Non ama i rasoi elettrici perché rendono la barba più dura e gli irritano la pelle più delle lamette. Lamette che da cieco non può usare senza rischiare di sfregiarsi. Sospira e porta la mano agli occhi incontrando l’ingombro delle bende. Le sfiora appena per la prima volta, percorrendo tutta la circonferenza che gli avvolge la testa. Sono aghi incandescenti che lo pungono ad ogni tocco, ma sente il bisogno di capire in che condizioni verte. Sotto le dita la pelle del naso, delle guance e del labbro superiore si presenta gonfia e impiastricciata della pomata che gli ha applicato John. Lo hanno rassicurato del fatto che non resteranno cicatrici e lui ora si concede di dirsi che lo spera davvero. Ha sempre prestato molta attenzione nel non causarsi ferite al volto.
Un viso pulito e in ordine è il miglior biglietto da visita!” era solito dire suo padre. Motto che ha poi ereditato suo fratello. Si rende conto di quanto sia influenzato dai loro pensieri, dalle loro convinzioni. Stringe forte i bordi del lavandino con le mani mentre lo stomaco gli si chiude e un calore forte gli riempie il petto e gli occhi.
“Non posso piangere, mi potrebbe fare male!” dice cercando di controllare il panico. Una nube di vapore caldo lo raggiunge e lo ridesta dai suoi pensieri. Era talmente lontano da non essersi reso conto dell’acqua divenuta troppo calda. Cerca a tentoni il tappo della vasca e lo posiziona nello scarico per poi modulare i rubinetti fino ad ottenere una temperatura ottimale. Appoggia l’asciugamano sul bordo della vasca e vi entra mentre l’acqua la riempie lentamente. Posa la testa contro l’asciugamano. Passa lieve la mano umida sulla  parte della nuca ferita e dolorante e cerca di rilassarsi, di lasciare andare la tensione, come è solito fare nei lunghi bagni che si concede alla fine di un’indagine. Solo che questo caso è ancora aperto ed è ora diventato molto più importante di tutti gli altri che ha seguito.
L’acqua raggiunge il torace e chiude il rubinetto. Nel caldo abbraccio dell’acqua tiepida congiunge le mani sotto il mento ed entra nel suo Mind Palace. Cerca informazioni su questi giorni dimenticati, in modo più approfondito di come non abbia fatto in ospedale. Non ottiene, però, alcun risultato e infuriato colpisce l’acqua generando mille spruzzi. Si siede al centro della vasca e prende la testa tra le mani. Non vuole cedere al pianto, né al panico e si forza di respirare lentamente. Per distrarsi cerca il suo bagnoschiuma tra le bottiglie posizionate sul mobiletto e porta a termine il bagno che non lo ha rilassato per nulla. Toglie il tappo, sciacqua via la schiuma e si asciuga prima di mettere piede fuori dalla vasca. Cerca attento il tappetino e, soddisfatto, vi poggia entrambi i piedi. Sta per congratularsi per essere riuscito a portare avanti in autonomia l’operazione, quando, fatto il primo passo fuori dal tappeto, scivola sulle piastrelle umide di condensa. Riesce per fortuna ad evitare di farsi male aggrappandosi prontamente al bordo vasca, ma col piede urta il mobiletto dal quale cadono le troppe cose che sono soliti appoggiarci.
Sherlock impreca forte. Per la paura che gli ha causato questo scivolone, per il rumore che desterà sia John che la signora Hudson, facendoli accorrere preoccupati, e per la conferma di come il suo sia un problema serio. Siede per terra sul tappetino, l’asciugamano a coprirgli i fianchi e il capo appoggiato al bordo della vasca.
“Non ce la farai mai!” gli dice suo fratello e gli occhi gli bruciano avvolti dalle lacrime.
<< Sherlock >> esclama John che ha sentito scapicollarsi giù dalla sua stanza per correre a vedere cosa gli fosse successo. << Sei scivolato >> gli dice facendogli notare l’ovvio. Gli viene da ridere. Una risata nervosa. << Ti sei fatto male? >> gli domanda inginocchiatosi accanto a lui sul tappeto umido.
<< Non più di quanto già non stia, John >> dice tra le risa. << A chi voglio prendere in giro? Non sono in grado di fare nulla in queste condizioni. Se resterò cieco dovrò dire addio al mio lavoro e… non lo so cosa potrò fare. Non so fare nient’altro >> singhiozza apertamente.
John sospira e gli posa la mano sulla spalla destra. La stringe forte e tentenna qualche istante prima di attirarlo a sé. Sherlock si aggrappa a lui, come cercasse di scomparire dentro il suo dottore. Appoggia la fronte sulla sua spalla e si lascia andare al pianto, sentendo gli occhi bruciare, gli aghi roventi trafiggerli ma non riesce a smettere. John lo sostiene, accarezzandogli i capelli. Silenzioso, perché tanto in questo momento qualunque cosa dicesse non servirebbe. Ora c’è solo questa esplosione. Distruttiva come quelle del maledetto dinamitardo.
John si accinge a parlare solo quando sente il pianto placarsi. Il ritmo finora regolare del respiro si spezza e sembra valutare per un po’ cosa dire.
<< Ricordi quando stamattina ti ho parlato dei tuoi sensi sviluppati più di chiunque altro? >> gli chiede e lui annuisce tirando su col naso. << Sherlock, posso immaginare come tutto ora ti sembri impossibile. Abbiamo detto che il panico ci sta, che è il minimo >>. Annuisce nuovamente tossicchiando. << Anche io mi sono sentito perso quando mi hanno detto che non avrei potuto più operare a causa del tremore al braccio sinistro ferito dalla pallottola. Eppure, come vedi, è tornato stabile e non zoppico più. Certo non è come prima, ma la situazione è comunque migliorata, perché può anche succedere questo, Sherlock: non deve andare per forza sempre tutto male! >>.
La voce di John è calda, resa incerta dalla commozione ed è così confortevole e rassicurante sentirla vibrare nel suo petto. Prova il brivido di questa vibrazione sulla pelle a contatto col suo torace. Lo stomaco contratto si scioglie e le tensioni lo abbandonano, colano via da lui piacevolmente. << La vista tornerà. Ho piena fiducia nella diagnosi di Howard, ma soprattutto ho piena fiducia in te. Forse non sarà più come prima, magari ti ritroverai a dover indossare degli occhiali… non possiamo saperlo. Quel che so per certo è che i tuoi altri quattro sensi ti aiuteranno a fare fronte a questo periodo. Io sono sicuro che riuscirai a portare avanti le indagini anche senza l’uso della vista. Come hai detto poco fa, ci vedi meglio tu in queste condizioni che tutti gli Yardes di Londra. Credici, Sherlock >> sussurra John al suo orecchio. Un altro brivido caldo gli percorre la schiena facendolo tremare. << Penso sia meglio rivestirti e filare a letto. Sono le dieci, Sherlock, ti rendi conto che hai passato più di tre ore in questa vasca? >>.
<< Stavo cercando di recuperare i ricordi nel mio Mind Palace >> si giustifica lasciandosi aiutare a tornare in piedi. Sente John sospirare e, dal movimento dell’aria, scuotere la testa.
<< Dopo il tuffo nel Tamigi e gli abiti umidi tenuti per troppo tempo addosso non vorrei ti prendessi un raffreddore. Non sarebbe proprio il caso >> dice aiutandolo a mettersi in piedi. Sherlock muove un passo e scivola di nuovo prontamente sorretto da John. L’asciugamano cade per terra lasciandolo nudo.
<< Continuo a scivolare, cazzo >> impreca. John gli getta attorno alle spalle l’accappatoio col quale lui si copre prontamente. In altre circostanze avrebbe sfruttato il restare accidentalmente nudo dinanzi a John per punzecchiare il suo lato omosessuale che troppe volte scorge, quando lo sorprende a guardarlo intensamente. In questo momento di debolezza e fragilità, invece, prova solo imbarazzo e vergogna.
<< E’ il tuo brutto vizio di girare a piedi nudi per casa, Sherlock >> gli dice il dottore, conducendolo in camera sua. << Uno scivolone simile ti sarebbe potuto capitare anche con gli occhi perfettamente sani >>.
<< E’ possibile tu abbia ragione >> sussurra sedendosi sul letto.
<< Oddio, Sherlock Holmes mi ha appena dato ragione. Devo segnarlo sul calendario >> scherza. Si interrompe e il respiro prima si ferma e poi si fa più incerto. << Vuoi che resti qui con te stanotte? >> gli  chiede. Sherlock si rende conto di aver stretto ancora di più l’accappatoio solo dopo averlo fatto.
<< Ti ringrazio, ma penso di potermela cavare da solo >> risponde voltando la testa nello sciocco automatismo di volgere altrove lo sguardo.
<< Questo lo so. Era più che altro per evitare rispondessi tu a eventuali telefonate da parte di mie spasimanti. In effetti sarebbe parecchio imbarazzante >>.
<< In questo caso sarebbe una menzogna, dal momento che staresti dividendo per davvero il letto con me >>. In fondo al cuore vorrebbe che lui si fermasse al suo fianco. Gli darebbe sicurezza sentirlo accanto mentre è lì nell’oscurità. Sapere di poter sostare tra le sue braccia accoglienti in caso il panico tornasse.
Il materasso cede e la presenza di John si fa più vicina.
<< Resto qui >> dice il dottore scegliendo per entrambi. Sherlock si limita ad annuire, mentre dentro sente il cuore esplodere dalla gioia. << Dove tieni il pigiama? >> gli chiede e arrossisce all’idea di dirgli che in realtà è solito dormire nudo.
<< Indosso solo i boxer >> ripiega sentendo il respiro di John fermarsi. << E’ un problema? >>.
<< No, perché dovrebbe? >> dice nuovamente troppo in fretta. Un’altra menzogna. Sente il materasso alzarsi, l’armadio aprirsi e John rovistare nel suo cassetto. Lo ha fatto talmente tante volte alla ricerca di chissà quale droga da sapere dove tiene l’intimo. Gli porge un paio di boxer e si porta dalla parte opposta del letto. Sherlock li indossa e lascia cadere per terra l’accappatoio per poi tornare a sedersi. John fa altrettanto.
<< Ehi, perché il tuo materasso è più comodo del mio? >> gli chiede sdraiandosi. << Lo sapevi e per questo hai insistito affinchè prendessi la stanza al piano di sopra, ammettilo! >>.
<< Come ti vengono in mente simili idee? >> gli domanda scivolando sotto le coperte.
<< Ho imparato a conoscerti, mio caro consulente >> ribatte John sistemando il cuscino. Sherlock si avvicina a lui attratto dal suo calore. Si ferma quando percepisce il suo respiro vicino.
<< Buonanotte, Sherlock. Cerca di dormire un po’, per favore >> gli dice accarezzandogli il viso. Si limita ad annuire per poi perdersi nell’armonia del respiro profondo del dottore, sprofondato in un attimo tra le braccia di Morfeo.
 
 
[1] Uno spray a getto basico ha un getto mirato concentrato e in grado di raggiungere una persona fino a 8 metri, ma dato che è diretto e non ampio, come il conico, bisogna avere un’ottima mira.
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2
 
John viene svegliato dal suono del violino. Stropiccia il volto e cerca di mettere a fuoco la sveglia. Strabuzza gli occhi quando si rende conto di non essere in camera sua. È la stanza di Sherlock e lui è nel suo letto per via dello scivolone che questi ha fatto sul pavimento del bagno la sera prima. Ora è tutto chiaro, anche se gli fa comunque uno strano effetto. La sveglia sul comodino di Sherlock lo informa che sono le 6 del mattino. Il consulente gli ha concesso otto ore di sonno. Un vero record!
“Spero che almeno un paio le abbia dormite anche lui” sbadiglia e allontana dalla mente il corpo nudo di lui tra le sue braccia, il vederlo avvicinarsi alla ricerca di calore una volta sdraiati a letto. Maledice se stesso per essere subito crollato addormentato.
“Perché, cosa pensavi di fare? Approfittare della sua disperazione per soddisfare la tua libido? John Hamish Watson sei un maledetto pervertito!”.
Per qualche (neppure tanto) strano meccanismo inconscio, la voce che pronta lo ammonisce ogni volta che si lascia andare a qualche pensiero impuro nei confronti di Sherlock assomiglia molto a quella di sua madre. E, proprio come quando questa era ancora in vita, nonostante cerchi di non darle retta e contrastarla prova una grandissima vergogna. Questa volta, poi, sente che ha davvero ragione. C’erano stati dei momenti di intimità tra lui e Bryan anche dopo l’incidente che lo ha reso cieco, ma i termini della loro relazione erano chiari ad entrambi già da prima. Con Sherlock, invece, di chiaro non c’è proprio nulla. Sì, sarebbe proprio un approfittarsene degno di un pervertito.
Si alza dal letto con l’umore sotto i tacchi e passa dal bagno prima di andare in salotto. Trova Sherlock davanti alla finestra totalmente rapito dai suoi pensieri. Nulla di diverso da tante altre mattine, non fosse per la presenza di quella benda sui suoi occhi.
Come sempre lo saluta, senza aspettarsi alcuna risposta e si dirige in cucina per preparare il the. Sbadigliando apparecchia il tavolo per la colazione e inizia a consumarla, ben sapendo quanto sia difficile stabilire quando il suo coinquilino tornerà sulla terra.
Nonostante la crisi della sera prima, John pensa che, tutto sommato, Sherlock stia affrontando bene quanto gli è successo. Il fatto di avere una memoria fotografica eccezionale e quel suo Mind Palace, che gli piacerebbe davvero tanto poter visitare, lo aiutano molto.
<< Lestrade mi ha chiamato poco fa >> lo informa il consulente continuando a suonare. << Ha detto che passerà tra un’oretta >>.
<< Molto bene. Il the è pronto, se vuoi >>.
Lo vede riporre con cura il violino nella custodia per poi raggiungerlo al tavolo con passo sicuro. Si ferma a mezzo metro da lui e con la mano tasta l’aria alla ricerca della sedia. L’istinto di aiutarlo anticipandolo è forte, ma sa bene quanto importante sia lasciargli la possibilità di tentare e intervenire solo se strettamente necessario. Bryan dava di matto ogni volta che gli diceva ‘Lascia, faccio io’ oppure ‘Aspetta che ti aiuto’ e lui era un uomo tranquillo e alla mano. Non osa immaginare come reagirebbe Sherlock. O meglio, ne ha un’idea neppure così tanto vaga e preferisce non vederla messa in pratica.
La furia cieca si accomoda e cerca con le mani la tazza. La trova urtandola e qualche goccia ambrata cade a depositarsi sul piattino. La afferra con entrambe le mani e la porta alle labbra per trarne un profondo respiro, come stesse per gustare una bevanda sconosciuta anziché il loro solito the del mattino. Poi posa le labbra sul bordo della tazza e ne prende un sorso.
<< Ha qualcosa di diverso il the questa mattina >> dice col tono impostato di un navigato assaggiatore.
<< Veramente è il solito vecchio Grey >>.
<< Oh >> sussurra stupito prendendo subito un altro sorso, non del tutto convinto (a quanto pare) di quanto gli ha detto. Posa la tazza sul piattino e annusa l’aria divenendo davvero molto simile ad un cane da caccia in cerca della pista giusta.
<< Cosa stai…? >> lo zittisce alzando bruscamente la mano aperta davanti al suo volto. Ci è mancato poco lo colpisse.
Sherlock continua ad annusare l’aria sporgendosi verso il centro del tavolo e quando finalmente sembra aver trovato quel che cerca lascia sfuggire un gemito di trionfo. Con la mano va alla ricerca di quanto il naso ha già trovato. Afferra il barattolo ancora chiuso di marmellata di arance, lo avvicina al volto e si esprime in un altro sbuffo di trionfo. Lo apre e vola alla ricerca di un cucchiaino e, quando lo trova, con cautela cerca il bordo del barattolo, immerge la posata e ne prende una porzione considerevole. John lo osserva stupito chiedendosi cosa stia facendo. La marmellata di arance non gli è mai piaciuta eppure adesso che la assaggia sorride soddisfatto.
<< Grandioso >> dice leccando il cucchiaino.
<< Mi fai un riassunto di ciò a cui ho assistito? Temo di essermi perso qualcosa di importante >>.
<< Ti sei mai chiesto quanto siamo dipendenti dalla vista, John? >> gli domanda posando il barattolo di marmellata.
<< Diciamo che ogni giorno ringrazio dio di avere occhi buoni e in salute >>.
<< E’ questo il punto! Facciamo troppo affidamento su ciò che vediamo. Voi, poi, vi limitate a guardare, e pure con superficialità. Ho pensato a lungo a quanto mi hai detto ieri >> dice serio. << Mi rendo conto ora di come gli altri miei sensi, seppure ben sviluppati, siano stati messi in secondo piano dalla vista. Il gusto, poi, non l’ho neppure mai considerato. Questi sono i cibi che quotidianamente mangio eppure hanno oggi un sapore diverso. Il the è maledettamente buono e persino la marmellata d’arance, che non mi capacito come tu faccia ad amare così tanto, mi è più gradevole. La vista mi distrae togliendo attenzione a queste informazioni, come per il the, o mi influenza facendomi dare degli scontati stereotipati, come per la marmellata >>.
John scuote la testa e trattiene una risata. Solo una mente geniale come quella di Sherlock poteva cogliere l’occasione offerta dalla cecità per studiare come si comportano gli altri sensi in assenza della vista.
Il campanello suona  e Sherlock si volta di scatto in direzione della porta.
<< Lestrade >> dice. I muscoli tesi e attenti. John è sicuro che se avessero gli umani le stesse orecchie dei cani ora quelle del consulente sarebbero dritte, pronte a cogliere ogni minimo rumore. << I passi sono veloci. Il respiro affannato. Oh, merda >> balza in piedi sbattendo contro il tavolo. Dalla sua tazza altre gocce di the cadono nel piattino. John lo imita di riflesso, sentendosi a sua volta teso e allarmato.
<< C’è stata un’altra esplosione! >> esclama Sherlock accogliendo Greg, che, trafelato, entra nel loro appartamento. Il detective annuisce poi si rammenta delle condizioni del consulente e si affretta a dire ‘sì’ con un tono di voce anche troppo alto.
<< Ha gettato una bomba carta nel cestino della fermata dell’autobus vicino a una scuola elementare. L’esplosione è stata tutto sommato piccola, ma ha causato venti feriti di cui due in gravissime condizioni >>.
Sherlock impreca e persino Greg resta colpito dalle volgarità che è stato capace di dire. Il detective rivolge a John uno sguardo stupito al quale lui risponde con un’alzata di spalle. Evidentemente l’assenza della vista ha tolto il filtro al turpiloquio.
<< Sherlock, avevi detto di aver capito chi fosse questo pazzo >> gli chiede Lestrade.
<< Non me lo ricordo, cazzo! >> esclama battendo il pugno sul tavolo. << Ho cercato e ricercato per ore nel mio Mind Palace. Ho tentato di ricreare i giorni passati, ma niente! I miei ricordi si fermano al momento in cui scopro il nascondiglio. Non ho memoria di quel posto, né di quanto vi ho visto dentro e che mi ha fatto dedurre chi fosse >>.
<< Forse se ci tornassi potresti dare un’occhiat… cioè, volevo dire… >>.
<< Oh, non fonderti il cervello nel tentativo di non dire cazzate, Gawin! >> sbotta percorrendo a grandi passi avanti e indietro il salotto. << E’ ovvio che devo tornare in quella baracca e spero che i tuoi uomini non abbiano fatto troppi danni. Ho bisogno di sbloccare la situazione nel mio Mind Palace. Non riesco a capire perché non mi ricordi nulla >>.
<< E’ la conseguenza della botta che hai preso, Sherlock >>.
<< Si fottano le conseguenze, John! Io non accetto di avere vuoti di memoria, porca… >>.
<< Anche tutte queste belle parole sono conseguenze della botta >>.
<< Non rompermi il cazzo, John! Merda, sei stato un soldato, non posso credere che qualche parola colorita ti imbarazzi, neanche fossi una verginella frigida >>.
John non sa cosa ribattere e non crede neppure possa servire a qualcosa farlo. È abbastanza chiaro che non è solo la cecità il problema in Sherlock al momento. È possibile che il turpiloquio sia il modo attraverso il quale manifesta il suo disagio per questa nuova condizione. La dove un ‘normale’ essere umano si lascerebbe andare a una depressione reattiva, lui convoglia tutto nell’uso sfrontato di espressioni colorite, come le ha definite. 
<< Va bene, torniamo sul Tamigi. Entriamo in quella maledetta baracca e vediamo se il tuo Mind Palace ci regala qualche gioia! >> esclama John. Si dirige in bagno per una doccia veloce che sbollisca la rabbia. Aggredirlo non servirebbe a nulla, se lo ripete come un mantra, proprio come faceva per Bryan.
“No, non deve succedere anche a lui!” pensa e un singhiozzo gli strozza la gola. Posa la mano sulla bocca sentendo il panico invadergli il petto. Cade in ginocchio sul piatto doccia e si impone di respirare lentamente. Era stato molto felice di comunicare ad Ella la scomparsa dei suoi attacchi di panico notturni, quelli con i quali si svegliava a seguito dei suoi incubi. Non pensa che le dirà di averne avuto uno sotto la doccia pensando a un suo vecchio amico. No, non è Bryan che lo sta mandando nel panico. È ciò che Bryan ha fatto e che teme possa fare anche Sherlock, ora che verte nelle sue stesse condizioni.
“Lui non la sta prendendo male, Johnny. Si sta dando al turpiloquio, che non è la fine del mondo. Andrà tutto bene, quindi ora tirati su e accompagnalo in quella maledetta baracca!”.
Si alza a fatica, ma è ora in grado di gestire il suo respiro e il suo corpo. Si asciuga in fretta e quando esce dal bagno con indosso l’accappatoio trova Sherlock e Greg in piedi l’uno davanti all’altro al centro del salotto. Il detective sta raccontando la sua versione di quanto è accaduto quella sera e Sherlock lo ascolta attento, le braccia conserte e il corpo teso.
John corre in camera sua per vestirsi, considerando che è una posa abbastanza insolita quella per Sherlock. E’ solito unire i polpastrelli sotto il mento o davanti alla bocca quando riflette, o portare le mani ai fianchi quando analizza una scena, ma mai lo ha visto con le braccia incrociate in modo stretto al petto. Una posizione difensiva del tutto nuova, altro indice di come la cecità lo metta a disagio.
“Non pensarci e affrettati a scendere da lui” si dice allacciando le scarpe.
<< Niente, maledizione, non è servito a niente! >> sta esclamando Sherlock portando le mani alla testa. Sbuffa come un toro nell’arena e Greg si volta verso John in cerca di aiuto. Evidentemente il consulente sperava che il racconto del detective smuovesse qualcosa e quell’ennesimo fallimento non è stato ben accolto. John gli si avvicina e posa la mano sulla sua spalla destra, contratta al punto da sembrare di marmo.
<< Prima di andare mettiamo la pomata di nifedipina e rifacciamo il bendaggio >>. Lo vede tremare appena al sentire nominare le cure per i suoi occhi traumatizzati.
<< Ehm, io vi precedo. Ci vediamo sul Tamigi >> dice Greg che sembra non essere interessato ad assistere.
<< Sono messo peggio di quanto immagini, a quanto pare >> sospira Sherlock, che, mansueto, si lascia guidare alla sedia.
<< No. Il viso è già meno gonfio e rosso >> gli dice John tirando le tende dinanzi alle finestre per smorzare la luce  all’interno della stanza. << Non a tutti fa piacere, però, vedere le ferite di un amico >>.
<< Io e Lestrade non siamo ‘amici’ >> ribatte acido. << Lui mi da dei casi e io glieli risolvo. Fine della storia >> sentenzia stringendo le braccia al petto. Di nuovo questo insolito gesto.
<< Va bene, come vuoi >> sorride bonariamente John, fermandosi davanti a lui.
La signora Hudson bussa alla porta proprio nel momento in cui il dottore si appresta a togliere le bende.
<< Oh! >> esclama vedendo quanto sta per fare. << Ho sentito l’ispettore scendere e sono venuta a vedere se per caso avevate bisogno di qualcosa >> borbotta fermandosi sulla soglia.
<< Stiamo per uscire anche noi, signora Hudson >> la informa Sherlock, che sembra aver ritrovato le buone maniere in presenza della loro padrona di casa. Altro comportamento insolito.
<< Oh >> sussurra la donna, muovendo piccoli passi incerti verso di loro. John posa la benda usata sul tavolo e si appresta a togliere le compresse di cotone idrofilo dalle palpebre. << Continuerai a seguire il caso, caro? >> gli chiede.
<< Certo. Non è mia abitudine lasciare le cose a metà, soprattutto se queste cose continuano a generare danni >>.
John lava il volto ancora gonfio di Sherlock con della soluzione glucosata. La signora Hudson rabbrividisce alla vista del bel viso del consulente deturpato dall’ustione. Porta le mani alla bocca per trattenere i singhiozzi. Scuote il capo rivolgendo a John uno sguardo tristissimo. Sherlock decide in quel momento di aprire le palpebre. Lascia vagare lo sguardo per la stanza e per l’anziana donna è troppo. John riesce a sorreggerla prima che crolli a terra.
<< Signora Hudson! >> grida preoccupato il consulente, alzandosi in piedi.
<< Tutto ok, Sherlock, è solo un capogiro >> lo rassicura John, che adagia la donna sul pavimento sedendosi al suo fianco per sorreggerla.
<< Sì, caro. È la mia pressione, sai che con questo caldo impazzisce >> dice la donna abbozzando una risata.
Sherlock si avvicina a loro, si inginocchia e distende un braccio dinanzi a sè finchè non tocca la spalla di John. I suoi occhi dalle iridi talmente chiare da sembrare bianche sono impressionanti nella sclera ancora molto rossa segnata da una fitta rete di capillari rotti.
La signora Hudson preme più forte la mano sulla bocca affondando il viso nella spalla di John. Il dottore si ritrova in difficoltà. Teme per la salute della sua padrona di casa, ma non vuole ferire la sensibilità di Sherlock e rischiare di causare danni al suo equilibrio, stabile solo all’apparenza. La cosa più saggia da fare sarebbe quella di chiedergli di chiudere gli occhi e portare la donna nel suo appartamento. La sente tremare forte contro di sé e sta quasi per seguire la logica quando Sherlock solleva il braccio cercandola con la mano tesa. Le sfiora il viso e questa apre gli occhi sorpresa. Il consulente posa la mano grande sulla guancia umida della donna e la accarezza piano. Questa sorride e vi affonda il viso.
<< Signora Hudson, l’Inghilterra è già sufficientemente in pericolo a causa delle condizioni in cui mi trovo, non vorrà farla crollare del tutto mettendosi fuori gioco, spero? >> le chiede facendola ridere. La donna gli sfiora appena la guancia guardando triste la brutta ustione che gli deturpa la quasi totalità del volto.
<< Sei sempre bellissimo >> sussurra accarezzandogli il mento, l’unica parte sfuggita all’aggressione del peperoncino. Sherlock chiude gli occhi e abbassa il viso verso la sua mano.
<< E’ inutile fare finta di nulla >> sospira affranto. Il cuore di John perde un colpo dinanzi a quell’espressione di profonda tristezza, la stessa che gli ha visto la sera prima, quando lo ha trovato seduto sul tappetino del bagno. << Non me ne faccio niente della bellezza senza la vista. Sono al buio e… temo che resterò così… ancora a lungo >> sussurra. Una lacrima scivola via dalle sue palpebre e percorre il viso senza che lui se ne renda conto. La signora Hudson ne interrompe la corsa asciugandola con dita tremule e, commossa, si avvicina a lui fino a stringerlo in un abbraccio.
<< Ragazzo mio, cosa ti hanno fatto? >> sussurra tra le lacrime cullandolo appena.
<< Mi hanno tirato un brutto scherzo >> risponde Sherlock stringendola a sua volta. John non sa se siano più strane le parole che ha usato o il vederlo così bisognoso di quella dimostrazione di affetto materno.
<< Trovalo, Sherlock >> gli dice tenendolo ancora stretto a sé. << Risolvi il caso e da a quel bastardo ciò che si merita. Non può passarla liscia, non dopo quello che ti ha fatto >> dice accarezzandogli il mento. << E tu, John, resta con lui, non lasciarlo da solo neppure per un istante, intesi? >> gli ordina puntandogli contro l’indice ammonitore.
<< John non può farmi da balia, signora Hudson >>.
<< Oh, smettila con queste stupidaggini >> lo rimprovera lei. << Prenderci cura delle persone che amiamo non è fare da balia, Sherlock. Sei in gamba e so che non sarà questa… situazione a impedirti di andare avanti. Non ostinarti, però, a volertela cavare da solo a tutti i costi. Impara a chiedere aiuto e forse tutta questa storia avrà un senso >> gli accarezza i capelli scompigliati prima di rimettersi in piedi aiutata da John. << E’ meglio che vada, adesso >>.
<< La accompagno >>.
<< No, John. Occupati di lui e mi raccomando >> il suo sguardo gli dice tante cose. Cose che già conosce e altre che ancora non vuole vedere. La tristezza sul volto di Sherlock lo inquieta, ma, come lui stesso ha detto, è inutile far finta che tutto vada bene solo perché è stato in grado, finora, di cavarsela grazie alle sue mappe mentali, alla memoria fotografica e ai suoi sensi sviluppati. Si può anche camminare con una protesi, ma ciò non vuol dire che sia come avere ancora la propria gamba. E non vuol dire che non faccia male continuamente, anche se dopo un po’ ci si fa il callo. Proprio come la sua spalla, che continuamente gli fa male. Un dolore divenuto ormai talmente tanto abituale da essere messo sullo sfondo.
Sherlock è fermo in piedi, lo sguardo rivolto alla porta dalla quale la loro padrona di casa è appena uscita. Deve essere rimasto attento ad ascoltarne i passi per accertarsi che raggiungesse incolume il suo appartamento. John gli posa la mano sulla spalla e lui si scuote appena. Le sue iridi bianche lo osservano cieche.
<< Rifacciamo il bendaggio e andiamo, dai >> gli dice aiutandolo a raggiungere la sedia.
Lo sguardo perso nel vuoto, il volto inespressivo e il silenzio che li avvolge non piacciono per nulla al dottore. Sherlock non è nel suo Mind Palace, non sta riflettendo sul caso adesso. È sulla sua condizione che riflette, glielo legge nell’inespressività del volto. Vi posa delicatamente la mano, pronto a spalmare nel suo occhio sinistro e sopra questo una buona quantità di pomata. Sherlock si lamenta appena. La nifedipina ha il brutto effetto collaterale di bruciare ed essere fredda allo stesso tempo.
<< John >> sussurra Sherlock. Gli rivolge uno sguardo intenso benchè spento. << In questi mesi ho lasciato che fossi tu a occuparti di ogni cosa qui in casa e ti ho chiesto aiuto durante le indagini. Mi rendo conto che dal mio modo di comportarmi non si direbbe, ma non ho mai preteso nulla da te. Se avessi percepito davvero l’intensione da parte tua di non voler partecipare alle indagini o di volertene andare non avrei insistito oltre. Anche se non sembra so quali sono i limiti da rispettare. Allo stesso modo, non voglio che quanto mi è successo condizioni le tue scelte. Potrei davvero restare… cieco e non voglio che né tu, né nessun altro si senta in dovere di restarmi accanto. La signora Hudson ha parlato di amore… io non so cosa questo sia, ma sicuramente non è vincolare qualcuno al sacrificio >>.
<< Non metti in conto che potrebbe essere una mia decisione restarti accanto? >> gli dice occupandosi dell’altro occhio. << Indipendentemente da questo, intendo >> aggiunge, lo stomaco stretto dall’emozione.
<< Non può essere indipendente da questo, John >> dice lui scuotendo il capo. << Per come sei fatto ci penseresti due volte in più a lasciarmi da solo, ora che sono cieco >>.
<< Non abbiamo ancora la sicurezza che tu lo sia >>.
<< Ma le cose al momento stanno così. Non posso ragionare sui ‘se’ e sui ‘ma’, John. Io non ci vedo >> dice stringendo i pugni. << Sono al buio, nell’oscurità fitta e spessa, questo so ora. Forse domani vedrò delle ombre e il giorno dopo tornerò a vedere e rideremo di tutto questo, ma al momento è questa la mia condizione >>.
<< Bene, vuoi stare nel qui ed ora? Stiamo nel qui ed ora, allora! >> sbotta innervosito dalle sue parole e dalle paure che queste smuovono in lui. << Tu sei cieco e io voglio restarti accanto. Voglio aiutarti ad abituarti a questa nuova condizione e voglio prendere a calci nelle palle quello stronzo fino a fargliele risalire alla gola per averti fatto questo >> ringhia gettando in malo modo il tovagliolo col quale si è ripulito le dita dalla pomata.
<< Quanta volgarità, dottore >> lo schernisce Sherlock. Ridono entrambi di una risata nervosa e impacciata. John posa i due tamponi sulle palpebre e rifà il bendaggio con garze vasellinate trattate con antibiotici.
<< Come sto? >> gli chiede una volta ultimata l’opera, con quel moto di vanità che gli ha sempre visto quando sistema i capelli o controlla come gli stanno gli abiti prima di uscire.
<< Aggiunge mistero al tuo personaggio >>.
<< Io non sono un personaggio, John >>.
<< Certo. C’ero anche io poco fa’, se non te ne ricordi >>.
<< Stavo recitando la parte del figlio bisognoso di coccole solo per farle piacere >>.
<< Raccontala a tuo fratello >> ridacchia invitandolo ad alzarsi in piedi. << Forse lui riesci a prenderlo in giro, caro mio. A proposito, si è fatto vivo? >> gli chiede mentre si dirigono al portone.
<< Mi ha chiamato poco dopo Lestrade. Ha detto che sarebbe passato a trovarmi oggi, ma gli ho fatto presente che il lato positivo di essere cieco è proprio quello di non essere obbligato a vedere la sua faccia. Deve averla presa male >>.
John ride prendendolo distrattamente per mano. Ferma al volo un taxi e gli tiene aperta la portiera.
<< Mi è sembrato sinceramente preoccupato quando gli ho detto delle tue condizioni, Sherlock >> gli dice mentre il tassista li conduce sulle rive del Tamigi.
<< Certo. È una rottura dover pensare a dove piazzare il fratello handicappato, John. Così come era stata una rottura cercare una comunità e ancora prima l’ennesima tata capace di sopportarmi >>.
<< Cosa vuoi dire con ‘dove piazzare il fratello handicappato? >>.
<< Credi che mi permetterebbe di vivere da solo se questa cecità fosse permanente? Mi rinchiuderebbe da qualche parte e, a differenza delle comunità, questa volta mi sarebbe davvero difficile scappare e non essere subito ripreso >>.
John non crede alle sue orecchie. Per quanto Mycroft gli fosse sembrato davvero preoccupato per le sue condizioni, e non rispetto a dove piazzare il fratello cieco, quel che Sherlock gli sta dicendo non lo trova poi così impossibile.
<< Non ci vado in un posto dove non vedo cosa possono farmi, John >> dice Sherlock facendolo rabbrividire. << Piuttosto… >>.
<< Piuttosto? >> insiste, sentendo il sangue raggelare.
<< Niente >> sorride voltandosi verso di lui. << Quando saremo alla baracca avrò bisogno del tuo aiuto, John >> dice cambiando argomento. Di quello che gli sta dicendo, però, John non coglie nulla. È rimasto ancorato a quel ‘piuttosto’. ‘Piuttosto’ cosa? Cosa potrebbe preferire uno come Sherlock? Forse la stessa cosa che ha preferito Bryan? Sì… la stessa che avrebbe preferito lui dinanzi all’alternativa di una vita piatta e vuota e che l’averlo incontrato ha scacciato.
 
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3
 
Il forte odore di acqua stagnante e putrida lo investe dal momento in cui scende dal taxi. Sherlock posa la mano sulla spalla di John e insieme raggiungono la baracca con qualche difficoltà. Il terreno è brullo, pieno di piante ed erba alta e più volte rischia di inciampare. Non ricorda nulla di questo posto. Può ipotizzare sia simile a tutte le altre zone intorno al fiume sulle quali si è recato per affari leciti e non, ma non averne una fotografia nei ricordi del suo Mind Palace rende più difficile il tutto. Sente il borbottio delle voci degli Yardes in lontananza. Può immaginare le risate sotto i baffi di Donovan e Anderson, dei quali avverte con l’olfatto la presenza. Usano lo stesso deodorante. Di nuovo. A quanto pare fanno sul serio.
<< Perché c’è anche la scientifica? >> borbotta Sherlock infastidito.
<< Per rilevare eventuali nuovi campioni, credo >> tenta John. Lo percepisce teso, concentrato nella ricerca di passaggi che gli siano comodi e gli evitino di cadere o inciampare.
<< Buongiorno, freak, gran bel bendaggio, ti dona >>.
<< Anche a te, Sally, dona la fragranza del deodorante di Anderson. Ti ringrazio per non avermi usato la gentilezza che si è solita adoperare con i portatori di handicap >> le dice facendo un piccolo inchino.
<< Non ce di chè, freak. Voglio proprio vedere cosa sarai in grado di combinare >> dice sottolineando quel verbo con particolare enfasi.
<< Sally, dacci un taglio >> la richiama all’ordine Greg. << Sherlock, la baracca è tutta tua. Entra, giraci dentro, fai quel che devi e se ti è possibile dammi qualche buona notizia >> gli da una pacca sulla spalla e si sposta di lato. Anderson sbuffa indignato e Sherlock decide che il modo migliore per mettere a tacere quei due idioti è dare loro modo di rendersi conto di come lui privo della vista valga molto più di tutti. Batte la mano sulla spalla di John e questi lo conduce alla baracca.
<< Gradirei me lo chiedessi per favore, Sherlock. Non sono propriamente un cane, sai? >> gli dice una volta dentro.
<< Per favore, John, resta fermo qui e lasciami lavorare >> ribatte staccandosi da lui. Sfiora la parete con le dita. Pietra grezza tenuta insieme con un cemento scadente. L’intonaco con la quale hanno tentato di rivestirla è caduto in molti punti. L’umidità è tale da creare un ambiente in cui la temperatura è più bassa di diversi gradi rispetto all’esterno. Gli accappona la pelle. Procede a piccoli passi disegnando una mappa nella sua mente. Ogni volta che trova un ostacolo lo tocca per riconoscerlo e posizionarlo sulla mappa. Archivia nello stesso file gli odori che sente, ricollegandoli a ciò che è possibile li abbia originati. Lo stesso fa per il suono dei suoi passi sul pavimento di legno marcio, delle sue dita su ogni superficie, dei rumori di ciò che trova lungo il suo cammino. Quando ha finito di ispezionare l’ambiente costituito da un'unica stanza di neppure quattro metri quadri, si ritrova accanto a John.
<< Siamo entrati insieme la prima volta che siamo stati qui, vero? >> gli chiede mentre pulisce le dita con un fazzoletto che il dottore gli ha messo tra le mani.
<< Sì. Sono rimasto sulla soglia anche l’altra volta >>.
<< Ci sono delle differenze che ti saltano all’occhio? >>.
<< Sì >> risponde dopo averci riflettuto qualche istante. << So che può suonare strano, dal momento che è una baracca abbandonata, ma è come se fosse stata … riordinata >>.
<< Cosa vuoi dire? >>.
<< L’altra volta c’era molta più sporcizia. C’erano degli oggetti sul tavolo che ora non ci sono più, lenzuola, coperte, un cuscino sul letto e un poster sulla parete qui a destra. Ora non c’è più nulla >>.
<< Lestrade! >> grida Sherlock mettendo la testa fuori dalla porta. << I tuoi uomini hanno portato via qualcosa da qui? >> gli chiede percependolo al suo fianco.
<< No, non mi pare. Anderson, avete portato via qualcosa? >>.
<< Campioni da esaminare, come sempre >> risponde questo, infastidito dalla domanda che intende ovvia.
<< Mi riferivo alle coperte del letto, agli oggetti che erano sul tavolo e al poster sulla parete >> ribatte tra i denti Sherlock volgendo il capo in direzione della sua voce.
<< Abbiamo preso le lenzuola, la coperta, i bicchieri e le posate presenti sul tavolo per analizzarli >>.
<< E il poster? >> insiste Sherlock facendo un passo verso di lui.
<< No, quello lo abbiamo lasciato appeso lì >> dice l’uomo. Lo sente avvicinarsi per affacciarsi alla porta e indicarlo. << Oh >> esclama quando si rende conto che non c’è più.
<< Avete fatto delle foto durante il sopralluogo? >>.
<< Come sempre, genio, è la prassi >>.
<< Cosa aspetti a darmele, allora? >> lo incalza infastidito.
<< E come conti di guardarle? >>.
<< Dalle a me Anderson e facciamola finita! >> interviene John. Il rumore di fogli, lo sfregare di cellulosa l’una contro l’altra e il respiro attento del dottore rendono impaziente Sherlock.
<< Eccolo! >> esclama John, dandogli di gomito.
<< Descrivimelo dettagliatamente senza tralasciare niente >> gli dice aggrappandosi al suo braccio.
<< E’… beh non saprei come descriverlo. Non è nulla di particolare. In primo piano c’è una spiaggia e l’orizzonte sul mare calmo. Una palma subito sulla destra. L’unica particolarità è la scritta. Sembra essere stata fatta a mano >>.
<< Cosa dice? >>.
<< ‘La pace eterna dona loro, oh signore’. Un verso di una preghiera cattolica. È scritto in rosso con un pennarello a punta grossa. In bella calligrafia. Un carattere tutto fronzoli, molto aristocratico >>.
<< La spiaggia, di che parte del mondo pensi che sia? >>.
<< Oddio non saprei! >>.
<< Osserva, per dio, non limitarti a guardare! >> insiste artigliandogli il braccio. John sbuffa e sembra stia per replicare piccato. Le risatine trattenute di Anderson e Donovan, però, lo fanno desistere.
<< Va bene >> dice. Le sue mani strette maggiormente sulla fotografia producono uno stridio leggero. << Qui in basso a destra sembra esserci scritto qualcosa. È piccolissimo, però >>.
<< Aspetta >>. Sherlock cerca nel taschino della giacca e ne estrae il suo astuccio, lo apre e vi fruga frenetico per trovare la lente tascabile. << Usa questa >> gli dice porgendogliela.
<< La… la tua lente? >> borbotta John prendendogli con dita incerte il piccolo oggetto dalle mani.
<< Certo, la mia lente. C’è qualcosa di piccolo da ingrandire, no? >>. John borbotta qualcosa di indeterminato e sembra gli ci voglia qualche istante per capire come usarla.
<< Repubblica Dominicana >> dice poi entusiasta. << E’ il poster di una spiaggia dominicana >>.
<< E sapere questo a cosa mai potrà servirci? >> domanda Donovan esasperata.
<< La domanda giusta, Sally, non è a cosa può servirci sapere cosa ritrae il poster, ma perché questo sia stato tolto dalla parete dopo il vostro passaggio da queste parti e il mio incidente >> ringhia Sherlock.
<< Andiamo, questo posto è frequentato da un mucchio di disperati. A qualcuno di questi sarà piaciuto e se lo sarà portato via >> interviene Anderson.
<< Certo, lasciamo l’assenza di una potenziale prova al caso >> dice a gran voce il consulente, ritornando nella baracca. << Credo che la scomparsa del poster non sia l’unica novità in questo posto >> dice piazzandosi davanti alla parete alla loro sinistra, quella sulla quale è appoggiato il vecchio tavolo di legno marcio e tarlato. << John, ci sono foto di questa parete? >> chiede al dottore che si appresta a controllare.
<< Sì, eccola >> dice andando al suo fianco.
<< Vedi qualcosa di diverso >>.
<< Oltre l’assenza degli oggetti che Anderson dice aver preso dal tavolo… >>. John resta in silenzio osservando e il tempo che ci impiega (non poi così lungo, ma sicuramente molto più di quanto farebbe lui con i suoi occhi) lo innervosisce.
<< Quelle macchie >> esclama finalmente il dottore. << Ci sono delle macchie qui adesso che non sono presenti nella foto >>.
<< Macchie? >> dice Anderson entrando a sua volta. << E di cosa? >> si avvicina loro portando nell’aria l’odore del suo terribile deodorante.
<< Sangue. Ne ho sentito l’odore >>.
Il silenzio cala tra i presenti che trattengono il respiro. Sherlock percepisce il loro sguardi puntati su di lui.
<< Tu cosa? >> domanda Donovan divertita.
<< L’odore del sangue è molto particolare e qui ce n’è abbastanza da sentirlo. Sempre se si sappia usare a dovere il proprio naso, ovviamente >>.
<< E cosa sei, una specie di vampiro? >> dice la donna disgustata. << In mezzo a questa puzza tu senti odore di sangue. Cristo, metti i brividi >>.
<< Brividi o no, penso sia il caso per l’agente della scientifica di prelevare un campione da analizzare. O sbaglio? >> dice voltando la testa in direzione di Anderson che sembra ancora non capacitarsi della situazione.
<< Usciamo da qui, John, in modo che gli esperti possano lavorare senza intralci >> dice il consulente avviandosi alla porta.
<< Sherlock, dimmi quello che sai >> gli chiede Greg seguendolo fuori.
<< So che qualcuno è entrato in questa baracca stanotte. Il sangue era ancora fresco, ma data l’umidità non posso averne la certezza piena. Purtroppo non so dirti se fossero in due o più persone, dal momento che non mi è stato possibile vedere la presenza di eventuali impronte. So che in ogni caso una di queste ne è uscita morta o ferita. Ti consiglio di far dragare il fiume e controllare le vicinanze alla ricerca di un corpo. Chiunque abbia sparato ha preso anche il poster e questo lo ricollega al nostro dinamitardo >>.
<< E perché? >>.
<< Perché sa che ho capito chi sia, Lestrade. In qualche modo il poster mi ha ricondotto all’uomo. Quando sono stato qui la prima volta e ho visto il poster ho fatto o detto qualcosa? >>.
<< Sei rimasto parecchio fermo a guardarlo >> gli dice John. << Poi hai sorriso e sei uscito dicendo che avevi capito con chi avessimo a che fare >>.
<< No, non può essere solo il poster. Se così fosse lo avrei capito nuovamente e invece… >>.
<< Ancora nessun ricordo dei giorni precedenti l’incidente? >> domanda Greg con un sospiro.
<< Buio assoluto >> risponde Sherlock scuotendo il capo. << Dev’essere qualcosa che ho trovato durante il corso delle indagini. Dove sono stato e cosa ho fatto prima di venire qui? >>.
Il detective e il dottore restano in silenzio per qualche istante. Sherlock ha la sensazione che si siano scambiati un’occhiata e stiano cercando di trovare le giuste parole per rispondere.
<< Non lo sappiamo >> dice finalmente John. << Io ero di turno in ambulatorio e quando sono tornato mi hai chiesto se volevo seguirvi qui >>.
<< Io non ho avuto tue notizie per giorni. Solo messaggi e tutti molto generici. Hai… hai indagato da solo. Come fai sempre >>.
Sherlock impreca e porta le mani ai capelli. Il suo brutto vizio di dimenticarsi del resto del mondo e uscirsene poi con una dimostrazione a effetto capace di lasciare tutti a bocca aperta e lui perfettamente soddisfatto di sé. Decide, però, di non farsi sopraffare dal giogo del giudizio auto sabotante.
<< Vorrà dire che ripartirò da quello che abbiamo trovato >> borbotta voltandosi verso i due uomini. << Lestrade, fa cercare il proprietario del sangue sulla parete e avvertimi appena sai qualcosa. Io porterò la cartella a casa e cercherò di risolvere la situazione. Un’altra volta >> sospira. << Hai notizie dei due feriti gravi dell’ultima esplosione >>.
I respiri dei due uomini si fermano per un istante, sicuramente stupiti da quel suo interessarsi alle vittime, da sempre considerate da lui delle conseguenze poco interessanti in situazioni come quella.
<< La prognosi è ancora riservata >> risponde Greg.
<< Cercherò di fare del mio meglio >> sussurra stendendo poi la mano verso il dottore. << John, per favore >> borbotta imbarazzato. Questi gli prende la mano e la stringe prima di posarla sulla spalla e andare insieme verso la strada e il taxi più vicino.

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Capitolo 4
*** capitolo 4 ***


Capitolo 4
 
Gli occhi di Sherlock sono ancora iniettati di sangue. Le iridi sembrano essersi leggermente scurite. Sono di un grigio pallido e John lo interpreta come un buon segno. Il consulente, però, non accoglie con entusiasmo la notizia. Fissa il vuoto, nello stesso modo inquietante usato prima di uscire dal 221B dove ora si trovano.
Il dottore si siede e ripulisce le mani unte dalla pomata alla nifedipina appena somministrata. Quel silenzio e quello sguardo perso gli chiudono lo stomaco.
<< Sherlock >> dice posando la mano su quella di lui, abbandonata sul bracciolo della sua poltrona. Questi si scuote appena sospirando. << Dove sei? >> gli chiede sentendolo lontanissimo, perso nel buio in cui lui non riesce a trovarlo.
<< Qui >> risponde restando immobile.
<< No. Non sei qui. Non stai neppure riflettendo sul caso. Dimmi dove sei >> insiste stringendogli la mano fredda.
<< Sono nel buio, John >> risponde con voce piatta e priva di alcun colore emotivo. << Nel buio dei miei occhi spenti e nel buio di questo blackout mnemonico. Mi sento così… inutile >>.
<< Inutile? Hai fiutato odore di sangue, Sherlock. Che sia legato o meno al caso del dinamitardo hai scoperto un possibile omicidio solo annusando l’aria! >>.
Sherlock non ribatte. Né per dargli dell’idiota, né per minimizzare quanto è stato in grado di fare. Continua a fissare il vuoto e sporadicamente sospira. Lo stomaco di John si chiude e il calore delle lacrime gli brucia gli occhi. Scuote il capo. Non ne vuole sapere di lasciarsi andare. Non possono disperarsi entrambi, altrimenti non ne escono più. Si porta nella direzione verso la quale è voltato e si inginocchia. Gli prende il viso con entrambe le mani e questa volta sì che riesce a scuoterlo.
<< Cosa fai? >> gli chiede afferrandogli i polsi con le sue grandi mani fredde.
<< So che non è la stessa cosa e che non ci troveremo subito comodi, ma penso che in quella baracca oggi abbiamo fatto un primo tentativo >>.
<< Un tentativo di cosa? >> gli chiede lasciando scivolare le mani lungo i suoi avambracci fino all’incavo dei gomiti.
<< Permettimi di essere i tuoi occhi. Non sono brillante come te e devo imparare a osservare, ma posso aiutarti >>.
<< Hai dimenticato cosa ti ho detto prima di uscire da qui stamattina? >> sbuffa lui cercando di liberarsi delle sue mani che, però, continuano a restare imperterrite sul suo viso.
<< E tu hai dimenticato cosa ti ho risposto? Stiamo indagando su un caso. Un caso pericoloso, dal momento che lo stronzo che ti ha ridotto così continua a fare i suoi comodi. Non posso e non voglio tirarmi indietro e l’unica possibilità che abbiamo, l’unica possibilità che hai, e fidarti dei miei occhi >>.
<< E cosa dovremmo fare? >>.
<< Partire da ciò che abbiamo, come hai detto lasciando la baracca. Abbiamo delle foto e tu ora hai una mappa mentale. Abbiamo un poster mancante e sappiamo che in qualche modo c’entra con il caso >>.
<< Ho già vagliato mille volte tutto quanto nel mio Mind Palace e non riesco a trovare niente >>.
<< Allora smettila di fare tutto da solo e lavoriamoci insieme, cazzo! >>  ringhia affondando le dita sul suo viso.
<< Mi stai facendo male, John >>.
<< Scusami >> dice liberandolo dalla sua stretta. Sherlock massaggia le guance arrossate per poi appoggiare i gomiti alle ginocchia.
<< Hai ragione. Se siamo a questo punto è perché non ho condiviso con nessuno ciò che avevo scoperto >>.
<< Questo faceva parte del tuo metodo. Ora devi modificarlo, date le circostanze. Quando queste rientreranno potrai tornare a fare il misterioso per potertene poi uscire con la soluzione geniale al caso irrisolvibile >>.
Sherlock ridacchia scuotendo piano il capo.
<< Credi davvero che rientrerà, John? >> gli chiede e una lacrima scivola via dal bendaggio. Non sa se siano lacrime di tristezza o i suoi occhi che tentano a tutti i costi di ritornare a regime. Gli accarezza la guancia per cancellarla.
<< Sì, Sherlock. Ribadisco ciò che ti ho detto ieri: tornerai a guardare tutti dall’alto al basso facendoci sentire degli inutili esseri insignificanti >>.
<< E idioti >> aggiunge lui. Ridono entrambi e poi Sherlock fa qualcosa di insolito e capace di togliergli il fiato. Prende con la sua mano fredda quella di John ancora appoggiata alla sua guancia e vi posa sopra le labbra. Le tiene lì, senza l’accenno di un bacio. Lì, a contatto della sua pelle e il cuore di John perde un colpo.
<< Ti ringrazio ostinato dottor Watson >> sussurra sulle sue dita. << E’ giunto il momento, allora, che impari a osservare >>.
<< Sarà un duro colpo per l’umanità, ma temo sia inevitabile, sì >> scherza sfiorandogli il labbro inferiore, quello che non ha subito l’aggressione dell’ustione. Sherlock emette un mugolio che fa nascere un brivido lungo la schiena del dottore. Fissa quelle belle labbra invitanti e vorrebbe solo posarvi sopra le proprie e al diavolo le conseguenze.
Il campanello li interrompe e mentre lui silenziosamente impreca, Sherlock si alza in piedi all’improvviso.
<< Mycroft! >> dice storcendo il naso. Porta una mano al bendaggio e sembra a disagio all’idea che il fratello lo veda così. John ha appena il tempo di rimettersi in piedi quando Mycroft fa il suo ingresso.
<< Buon pomeriggio >> lo saluta John e questi risponde con un cenno della testa.
<< Cosa vuoi? >> domanda brusco Sherlock e le braccia tornano ad incrociarsi al petto. Strette, tese. Anche il fratello le nota e scocca un’occhiata a John, che distoglie lo sguardo.
<< Ci vuole del the, che ne dici Mycroft? >> chiede dileguandosi in cucina.
<< Molto volentieri, John, ti ringrazio >> risponde questi muovendo qualche passo verso il fratello.
<< Allora, Sherlock, come va? >>.
<< Cosa vuoi? >> ribadisce il consulente.
<< Credo sia il minimo da parte mia venire qui a vedere come stai dato quanto è successo >> risponde Mycroft paziente. << Mi spiace, anzi, non essere potuto venire prima. A Hong Kong c’era una vera e propria tempesta e tutti i voli sono stati sospesi >>.
<< Potevi evitare di tornare per me, fratello >> lo ignora Sherlock. << Come vedi sto bene >>.
<< Davvero? >> ribatte lui sarcastico. << A me sembri un po’… cieco >>.
<< Una condizione momentanea che non mi impedisce di lavorare >> fa spallucce il consulente tornando ad accomodarsi. Il fratello si siede sulla poltrona di John e questi li raggiunge con il the. Mette la tazza tra le mani di Sherlock e si siede sul bracciolo della sua poltrona.
<< Ho visionato i referti >>.
<< Si chiama violazione della privacy, Mycroft, non te l’hanno insegnato in uno degli innumerevoli corsi di laurea che hai frequentato? >> ribatte acido Sherlock. La mano gli trema appena e qualche goccia di the cade sul piattino, senza causare troppo danno. A Mycroft non è sfuggito quel tremore e scocca un’altra occhiata a John che questa volta non può ignorarla.
<< Sta portando avanti le cure indicate >>.
<< E immagino che tu lo stia aiutando in questo >>.
<< Sono il suo dottore, che lo aiuti è il minimo >>.
<< Ovviamente >> il sorriso tirato di Mycroft è tra le cose che meno tollera sulla faccia della terra. Non può permette che anche lui agisca in modo cinico nei confronti di Sherlock, già abbastanza provato.
John scuote il capo con decisione. Il maggiore degli Holmes lo guarda curioso e lui ripete il gesto. L’espressione sul volto di Mycroft cambia del tutto. Sorride, cosa alquanto strana, e annuisce per poi alzare l’indice della mano destra. Indica prima John poi se stesso e in ultimo la porta. Il dottore capisce al volo e annuisce prontamente.
<< Beh, fratellino, devo ammettere che sono molto preoccupato, ma vederti così sicuro di te e sapere che hai John accanto mi rassicura >>.
<< Sono felice per te >> ribatte acido Sherlock sorseggiando il suo the.
<< Vi prego di tenermi aggiornato sul decorso di questa… condizione momentanea e se avete bisogno di qualunque cosa non esitate a contattarmi >>.
<< Penso proprio che ce la caveremo egregiamente senza doverti disturbare >> sentenzia Sherlock.
<< Ti ringrazio per la disponibilità, Mycroft. Ti terrò aggiornato e se sarà il caso non esiterò a contattarti >> dice, invece, John generando una smorfia di disapprovazione sul volto del consulente.
<< Bene, allora vi saluto >>.
<< Accompagnalo pure, John. Siete proprio degli idioti se pensate di potermela fare così facilmente >> sbotta Sherlock, rivolgendo la testa prima in direzione del fratello e poi del dottore. I due uomini si guardano stupiti e per John vedere la sorpresa sul volto di Mycroft è una vera novità.
Escono dall’appartamento senza dire niente. Discendono i 17 gradini e si fermano sulla strada. John accosta la porta alle sue spalle.
<< Penso che farebbe meglio a chiuderla del tutto >>.
<< Ma come diavolo ha fatto, Mycroft? >>.
<< Ho imparato, col tempo, a non stupirmi più di nulla quando c’è di mezzo mio fratello >> sospira l’uomo regalandogli un altro sorriso forzato. << E’ terrorizzato, John >> aggiunge serio. << E’ passato molto tempo dall’ultima volta che l’ho visto preda del terrore >>.
<< Chi non lo sarebbe al suo posto. E lui ha dalla sua il vantaggio di avere sensi sviluppati e una memoria fotografica eccezionale >> ribatte John stropicciandosi il viso. << Temo la caduta depressiva, Mycroft >> ammette appoggiandosi di peso al portone. << Ci sono momenti in cui resta immobile, il viso impassibile e gli occhi fissi nel vuoto. Lo sto forzando a occuparsi del caso perché temo che se si fermasse crollerebbe >>.
<< Crollerà >> sentenzia l’uomo senza alcun tatto. << Tutte le volte che è crollato è stata una rovina, John >>.
<< Teme che se la cecità dovesse rimanere permanente lo farai rinchiudere in una qualche struttura >> gli dice e Mycroft distoglie lo sguardo prontamente. << Non farai sul serio? >>.
<< Quale altra alternativa vedi, John? Pensi che se l’ipotesi dell’oculista risultasse fondata si adatterebbe senza alcun problema? Sherlock non sa adattarsi, non ha mai saputo farlo. Si è sempre ribellato a tutto >> sospira carezzando nuovamente la fronte imperlata di sudore. << La farebbe finita, John, lo sappiamo entrambi >>.
<< Lo temo anche io, Mycroft, ma fidati di me, per favore. Sto cercando di aiutarlo e forse ho trovato il metodo giusto >>.
<< E quale sarebbe? >>.
<< Sarò i suoi occhi. Gli descriverò ciò che non può vedere per aiutarlo a completare le deduzioni che già imbastisce con gli altri sensi >>.
<< John, hai idea di quanto questo lo renderebbe dipendente da te, molto più di quanto non lo fosse prima che quel bastardo lo accecasse? >> dice tra i denti. Per la prima volta John si rende conto di quanto davvero Mycroft si preoccupi per il fratello. Non è solo smania di controllo la sua, a quanto pare.
<< Questo non è un problema per me >>.
<< A no? E la vita privata per la quale lo accusi sempre di metterti i bastoni tra le ruote? >>.
<< Da tempo ci ho rinunciato, Mycroft. Sherlock mi ha salvato a modo suo e io voglio salvarlo a modo mio, lasciamelo fare per favore >>.
<< Sacrificheresti la tua vita per un debito di riconoscenza, dunque. Non lo accetterebbe mai e neppure io posso accettarlo. Se dovessi lasciarlo >>, dice scoccandogli un’occhiata torva, << il crollo sarebbe ancora più distruttivo e non voglio vederlo soffrire più di quanto non stia soffrendo ora. Più di quanto non abbia sofferto in passato! >>.
<< Non è un debito di riconoscenza, Mycroft, e neppure un sacrificio. È quel che voglio. Non mi piace, però, parlare come se questa cecità fosse ormai certa >> aggiunge mettendo a tacere una sua nuova replica, cosa che lo infastidisce. << E’ meglio che torni dentro. Non voglio neppure immaginare la quantità di deduzioni con le quali mi accoglierà. Ti auguro una buona giornata Mycroft >> dice entrando in casa.
Lo lascia sui tre gradini del portone che gli chiude in faccia senza remore. Cerca di non badare alla voce che continua a chiedergli se sia certo di quanto ha appena detto. La cecità di Sherlock è provvisoria, ne è più che sicuro. In questo momento è più preoccupante il rischio che cada in depressione ed è suo dovere tenercelo fuori.
“Sì, ma se mister governo avesse ragione? Se restasse cieco, Johnny”. Questa volta è la sua parte più insicura e diffidente che si presenta, insieme a una fastidiosa sensazione di ansia mista a tristezza.
“Sarebbe comunque vivo” ribatte deciso.
“E per il timore che prenda la stessa decisione di Bryan sei pronto a sacrificare la tua vita? Non state neppure insieme”.
“Non mi importa”.
“Con Bryan almeno c’era una relazione”.
“Facevamo solo sesso”.
“Beh, era già qualcosa di più di questo. Qui fai la badante, a gratis e senza nemmeno il contentino del ‘pagamento in natura’. Finiresti col fare il servo alle stesse condizioni”.
“Smettila!”
“Sei lì che ci speri, non è così? Speri che rendendoti indispensabile al punto da essere i suoi occhi cada ai tuoi piedi. Dai, diciamola tutta: che si pieghi davanti a te!”.
“Non è assolutamente vero!”.
“E quel che hai tentato di fare prima che cos’era, allora? Prendergli il viso tra le mani, avvicinarti a lui senza lasciargli scampo? La chiamano violenza su portatore di handicap, sai? E il tuo piano ha tutta l’aria della circonduzione di incapace”.
<< Smettila! >> esclama colpendosi forte la fronte.
<< John… tutto bene? >>.
 La signora Hudson lo guarda perplessa dalla porta del suo appartamento. Le rivolge un sorriso stentato borbottando mezze parole senza senso.
<< E’ la presenza di quell’uomo. Ogni volta che viene crea scompiglio >> sospira la donna. << Come sta Sherlock? >> gli chiede in un sussurro volgendo appena lo sguardo alla sommità delle scale.
<< Stazionario >> risponde lui trovando sicurezza nei termini medici.
<< E tu, caro? >>.
“Prossimo al crollo” ribatte la voce di prima, ma lui scuote il capo per metterla a tacere.
<< Bene >> sorride. << E’ meglio che salga, ora >>. La signora annuisce e lo lascia andare. Resta ferma, appoggiata alla ringhiera, finchè non si chiude la porta alle spalle.
Sherlock è seduto alla sua poltrona, le mani congiunte sotto il mento. Muove appena la testa quando entra in casa.
<< Che ne dici di metterci a lavoro, John? >>.
<< Dico che abbiamo perso fin troppo tempo, Sherlock >>.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
 
Ha davvero eluso i recettori olfattivi al punto da non percepire il puzzo intenso che impregna le pareti dell’obitorio? Sherlock non se ne capacita. L’assuefazione è uno dei meccanismi di autoconservazione principali del corpo, quello grazie al quale, dopo un primo momento, l’informazione olfattiva viene messa da parte e ci si assuefà, appunto, all’odore senza doverci fare i conti in continuazione. Questo meccanismo in lui non ha mai funzionato, ma evidentemente è sempre riuscito a metterlo in secondo piano per fare spazio alle informazioni che giungono dagli altri sensi. Quello visivo soprattutto. Ora però che la vista non c’è, l’olfatto è libero di fare ciò che vuole. Tipo rigirargli lo stomaco per fortuna vuoto.
<< Non è un bello spettacolo >> borbotta Greg, che, a quanto pare, lotta a sua volta con la nausea.
<< Si può sapere dov’è finita Molly? >> sbotta Sherlock esasperato dalla puzza.
<< Sta per arrivare, è stata trattenuta per un altro caso >>.
<< Quali altri casi sarebbero più importanti di questo! >> esclama muovendosi avanti e indietro, cercando di non dare a vedere quanto sia infastidito dall’odore. La porta si apre e l’aria che vi entra spinge contro le sue narici esauste il profumo alla vaniglia chimica di Molly.
<< Eccomi, scusate il ritardo >> ridacchia imbarazzata come è sempre solita fare. Sherlock segue il profumo che, per quanto a dir poco scadente, è sempre meglio del puzzo intenso. Si sorprende di ritrovarsi in pochi passi davanti alla ragazza.
<< Sherlock, come stai? >> gli chiede incerta.
<< Lascia perdere i convenevoli, Molly, e dimmi cosa abbiamo >> le dice standole attaccato, cosa che aumenta l’inquietudine della ragazza portandola a balbettare frasi sconnesse. << Oh, avanti, ti sto solo un po’ più vicino del solito per evitare di perdermi dettagli interessanti, che sarà mai? >> sbotta.
<< Ok >> dice Molly muovendosi a piccoli passi che lui si affretta a seguire. << Da una prima analisi generale ho riscontrato che la morte è avvenuta tra le 8 e le 10 di ieri sera. La vittima è un uomo bianco notevolmente obeso. Non è possibile stabilire un’età certa, in quanto presenta una grande lacerazione al viso causata da un’esplosione. Il volto si è letteralmente spaccato in due, rendendone impossibile il riconoscimento >>.
<< In sostanza non ha più la faccia >> dice Sherlock, il viso quasi affondato tra i capelli della ragazza.
<< Un colpo a distanza ravvicinata? >>.
<< No, John, gli è stato messo un petardo tra i denti >> risponde Sherlock. Sente Molly voltarsi appena verso di lui per poi tornare subito nella posizione di partenza. In effetti forse le sta un po’ troppo addosso, ma non può farci nulla se il suo profumo è più efficace di quello di John o di Lestrade nel debellare il puzzo atroce.
<< Esatto >> balbetta la ragazza. << Ho trovato tracce di polvere da sparo e brandelli di carta rossa, quella che è solita ricoprire i petardi >>.
<< Dio mio, che morte assurda >> borbotta Greg. << Quindi gli ha fatto esplodere la testa e poi lo ha buttato nel Tamigi >>.
<< Dopo avergli strappato i polpastrelli con una pinza, si >> conclude Molly.
<< Giusto per rendere più difficile il riconoscimento >> constata Sherlock ammirato. << Hai trovato qualche segno particolare sul corpo? >>.
<< No, ma ho trovato questo >> gli dice mettendogli in mano una bustina trasparente. Sherlock la rigira tra le dita.
<< Dove l’hai trovato? >>.
<< Era… nel retto. Spinto a forza. Tanta forza. Da provocare notevoli lacerazioni >>.
<< Prima o dopo la morte >>.
<< Decisamente prima >>.
<< Cosa c’è scritto, John? >> chiede al dottore passandogli la bustina. Questi la prende e la gira più volte tra le mani.
<< Laudare, benedicere, praedicare >>.
<< E che diavolo vuol dire? >> domanda Lestrade avvicinatosi sicuramente per sbirciare il reperto.
<< ‘Lodare, benedire, predicare’. E’ latino >>
<< Un altro riferimento religioso, come la preghiera sul poster scomparso >> nota John e Sherlock annuisce. Entra nel suo Mind Palace e cerca la presenza di quelle tre parole. La ricerca procede veloce, finchè la soluzione non appare nitida e semplice.
<< Ordine dei frati predicatori domenicani >> esclama. Solleva le mani entusiasta e colpisce Molly in modo piuttosto forte, a giudicare dal dolore che lui stesso prova alla mano.
<< Oh, cazzo, dove ti ho colpita? >> le chiede cercandola con le mani. La ragazza le afferra con le sue e ridacchia nervosa.
<< Sulla guancia, ma non è nulla di serio. Ti ero solo troppo vicina, scusa >>.
<< No, sono io che ti sono stato troppo addosso >> ammette. Libera la mano destra dalla sua stretta e la avvicina piano al viso di lei. Sente una vasta zona più calda sulla guancia. Sì, l’ha colpita davvero forte.
<< Mettici il ghiaccio prima che diventi nero. Non voglio si dica in giro che ti ho picchiata >>.
<< E’ stato un incidente >>.
<< Con certi elementi di Scotland Yard in attivo anche un incidente di questo tipo mi si ritorcerebbe contro, Molly. Lestrade, per favore, assicurati che ci metta del ghiaccio >> dice voltandosi verso il punto nel quale sente la presenza del detective. Questi si fa loro incontro e lo percepisce imbarazzato mentre prende in consegna la patologa.
<< Grazie, Molly, e… scusami per… >> lascia cadere la frase mulinando con cautela le mani.
<< Nessun problema, Sherlock. Ci vediam… cioè... ciao >>.
Molly, il suo buon profumo e Greg escono di scena. Rimasti soli, John gli prende dalla mano la busta con il reperto e ci mette un fazzoletto. Sherlock ne avverte l’odore pungente. Lo avvicina al naso e lo storce. Certo non è il massimo, ma è sempre meglio che il puzzo del cadavere.
<< Artiglio del diavolo[1] >> dice abbozzando un sorriso. << Te ne sei accorto >>.
<< Solo io, tranquillo >> si affretta ad aggiungere John, anticipando la sua domanda. Forse quella storia dell’essere i suoi occhi potrebbe pure funzionare, dopo tutto. << La pantomima del cieco incapace di gestire le distanze se la sono bevuta entrambi >>.
<< Non prevedevo mi avrebbe fatto questo effetto >> scuote il capo sconsolato.
<< E non volevi si sapesse che il tuo olfatto ora è così sviluppato da farti provare nausea vicino a un cadavere, certo >> dice John dandogli una pacca sulla spalla. << Se non avessi il labbro superiore ancora mal ridotto ti basterebbe spalmarne un po’ lì. Nessuno lo noterebbe e il tuo stomaco starebbe tranquillo >>.
<< Lo terrò da conto per le prossime volte, John, grazie >> dice cercando con la mano la sua spalla. Trova invece il suo viso e velocemente lo accarezza. << Bene >> dice ricomponendosi. << John, questo è il tuo momento: cosa vedi? >>.
<< Vedo un uomo che si è lasciato andare su più fronti. La pelle giallastra è indice di insufficienza epatica, questo ci dice che doveva essere schiavo della bottiglia. L’odore rancido che da lui si propaga non è solo quello della morte. Puzzava così anche da vivo a causa del diabete. Ce lo dicono anche le gambe flebitiche, piene di trombi e vene ingrossate. Mi chiedo come diavolo facesse a camminare. Ha parecchi funghi sparsi sulla pelle. Presenza di verruche su piedi e mani >>.
<< Viveva all’addiaccio >>.
<< Sì, è possibile. E camminava a piedi scalzi. Le piante dei piedi sono callose e dure come quelle di un Hobbit >>.
<< Di un che? >>.
<< Lascia perdere. Come suole, Sherlock. Hai parlato dell’ordine dei frati predicatori domenicani, forse ci troviamo di fronte a un frate e camminare scalzo fa parte del pacchetto. In effetti quel che rimane della testa presente la tipica tonsura ad aureola[2] >>.
Sherlock congiunge le mani sopra il fazzoletto e le porta al mento. Prende un profondo respiro e chiude gli occhi.
<< Un frate predicatore dell’ordine dei domenicani. Alcolizzato. Diabetico. Potenzialmente zoppo o comunque con una deambulazione ridotta e affaticata. Viene ucciso da un pazzo dinamitardo che gli mette a forza quel biglietto nel retto, gli piazza un petardo tra i denti facendogli esplodere la faccia, gli taglia i polpastrelli e poi lo butta nel Tamigi.
<< Ehi, aspetta un momento >> dice John afferrandogli la giacca all’altezza del gomito. << La calligrafia è… >>.
<< La stessa della scritta sul poster >> annuisce soddisfatto Sherlock. << Lo immaginavo e tu stai facendo progressi, bravo >> dice e questa volta indirizza volutamente la mano sulla sua guancia ben rasata per posargli una carezza. La porta si apre e fanno il loro ingresso Greg e Molly. Sherlock percepisce un’insolita tensione nell’aria.
<< Allora hai qualche buona notizia per me? >> gli chiede Greg mettendosi al suo fianco. Percepisce su di lui il tenue profumo alla vaniglia che deve essergli rimasto addosso stando vicino a Molly. L’idea che anche lui possa portarsi dietro un profumo simile ben poco gli piace.
<< Direi di sì >> risponde. << Quest’uomo è un frate domenicano ed è stato ucciso dal nostro dinamitardo. La calligrafia con la quale è stato scritto il biglietto è la stessa della frase riportata sul poster scomparso. La sua colpa è stata quella di tentare di redimere l’uomo e direi che questi ha espresso molto chiaramente ciò che pensava riguardo ai suoi tentativi >> dice prendendo dalle mani di John la bustina con il reperto ritrovato nel retto del defunto. << John, sul mio pc ho salvati i numeri degli irregolari. Direi che è il caso di riportarli sul tuo cellulare e inviare loro qualche messaggio >>.
<< Vuoi ingaggiarli? >>.
<< Certo, John! Chi meglio di loro saprà darci notizie su un frate alcolizzato, obeso, potenzialmente zoppo e  pederasta >>.
<< Pederasta? >>.
<< Vuol dire gay, Lestrade >>.
<< Lo so cosa vuol dire, Sherlock! Mi chiedo tu come possa esserne certo. Non mi sembra il caso di lasciarsi andare a bassi stereotipi >>.
<< Io non mi lascio andare a stereotipi >> ribatte tra i denti. << Il fatto che questo >> dice sventolando il reperto. << Si trovasse nel retto non è solo macabra ironia, Lestrade. Il nostro uomo non deve aver gradito le sue avances o forse anche solo il fatto che un frate si lasciasse andare alla lussuria. Non so se sia anche lui un religioso, ma indubbiamente è molto credente >>.
<< La frase scritta sul poster è il verso di una preghiera e le esplosioni potrebbero stare a indicare il fuoco divino e purificatore che distrugge i peccatori >> medita John ad alta voce.
Sherlock vaglia quanto detto dal dottore e improvvisamente un’immagine compare dinanzi ai suoi occhi.
<< Ah! >> grida portando le mani al volto. L’immagine persiste. Un tabellone carico di fogli, foto, fili che li uniscono e che si diramano da parte a parte in un groviglio apparentemente caotico e senza senso.
<< Sherlock, che succede! >> dice a gran voce John afferrandogli il braccio sinistro.
<< Dobbiamo andare al mio rifugio sul Tamigi! >> esclama voltandosi verso di lui.
<< Hai un rifugio sul Tamigi? >>.
<< John, ho tanti rifugi sparsi per Londra >> sbuffa infastidito, trascinandolo per il braccio verso l’uscita.
<< Ehi, Sherlock, si può sapere che diavolo succede? >>.
<< Succede che John ha detto qualcosa che ha sbloccato i miei ricordi e ho visto dove sono stato durante le indagini e cosa ho fatto >>.
 
 
[1] Una crema fatta con un miscuglio di erbe aromatiche dall’odore molto forte.
[2] Taglio di capelli tipico dei frati domenicani: calvi al centro con un’aureola di capelli attorno.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
 
John si guarda attorno esterrefatto e anche piuttosto disgustato. Il luogo in cui si trovano è umido, sporco e abbandonato a se stesso. Non si capacita di come possa Sherlock aver trascorso buona parte del suo tempo in una baracca che non ha nulla da invidiare a quella del dinamitardo. Non sono neppure poi così lontani da lì, inoltre.
<< Lento, lento, sono troppo lento, cazzo! >> borbotta Sherlock che percorre come ci vedesse lo spazio angusto nel quale si trovano. << Era ovvio che avessi deciso di condurre qui le miei indagini, dal momento che tutto mi stava riconducendo alle rive del Tamigi >> sbotta fermandosi davanti a una bacheca simile a quella che è solito appendere sulla parete del loro appartamento ogni volta che ha tra le mani un caso contorto che necessita di appuntare percorsi, indizi e sospettati. E di roba su questa bacheca ne ha raccolta parecchia.
<< Che senso ha questo posto, Sherlock >> gli chiede infastidito dell’essere stato lasciato all’oscuro di tutto.
<< Non adesso, John >>.
<< Invece sì, Sherlock! >> gli dice afferrandolo per il braccio per farlo voltare verso di lui. Poco gli interessa che non ci veda. Vuole che lui sappia che lo sta guardando dritto in faccia. << Hai detto di avere tanti nascondigli sparsi per Londra e posso immaginare che sia in uno di questi che vai tutte le volte che scompari anche per giorni durante le indagini senza dare alcuna notizia di te. Io non ne capisco il senso e ho bisogno di conoscerlo!
<< Lo faccio quando il caso che seguo è pericoloso, John >> gli dice sbuffando. << Per non mettere a repentaglio l’incolumità di Baker Street e le vite tua e della signora Hudson >>.
<< Perché non me lo hai mai detto? >>.
<< Meno sai, meno rischi corri di essere catturato e torturato per rivelare dove mi trovi >>.
<< Raccontalo a qualcun altro, Sherlock >> ringhia stringendogli il braccio.
<< E’ la verità, John >> grida il consulente liberandosi dalla sua presa con un semplice e fluido movimento del braccio. << Sei libero di non credermi e di darti a tutte le tue fantasie autocommiseratorie su quanto in realtà non ti voglia tra i piedi e ti consideri più un peso che un aiuto. Ovviamente non è così, ma è inutile che perda tempo ed energie a insistere sul contrario. C’è un dinamitardo a piede libero e io ho finalmente ritrovato un pezzo di memoria. Credo sia più urgente portare avanti il caso piuttosto che le nostre controversie personali, non credi? >>.
John si rende conto di tremare da capo a piedi ed è felice che lui non possa vederlo in questo momento. Non gli piace sapere di essere all’oscuro di molte cose importanti che riguardano la vita lavorativa di Sherlock. Non tollera già il fatto di non sapere praticamente nulla di lui mentre al consulente  è bastata una prima breve occhiata per conoscere ogni cosa.
<< E sia, Sherlock. Risolviamo il caso, mandiamo in galera questo pazzo. Poi, però, mi racconterai ciò che non so >>.
<< E a cosa ti servirebbe saperlo? >>.
<< Le cose sono cambiate, se non te ne seri reso conto! Non posso aiutarti se non so cose come questa >>.
Sherlock sospira e serra forte le braccia al petto. Mycroft l’aveva definito un comportamento legato alla paura. Cosa mai potrà spaventare Sherlock, adesso? L’idea della cecità permanente o quella di svelare i suoi segreti?
<< Non ti sto chiedendo di mettermi a parte di aneddoti della tua vita privata >> tenta di rassicurarlo.
<< Io non ho una vita privata, John! >> grida stringendo ancora di più le braccia. << Questa è la mia vita! Il mio lavoro è la mia vita, non ci sono differenze tra l’una e l’altra >>.
<< E quindi non vuoi che io ne faccia parte. Non totalmente almeno >> ribatte con troppa rabbia, cosa della quale si pente.
<< Ma che cazzo vai dicendo! >> sbotta Sherlock balzando verso di lui. Afferra deciso il bavero della sua giacca. << Il mio è un lavoro pericoloso e penso tu te ne sia reso conto poco più di un paio di mesi fa’, quando quel pazzo di Moriarty ti ha rapito e vestito di esplosivo! Ho solo questo modo per poterti proteggere, non lo capisci? Nasconderti alcune cose è il solo modo per proteggerti >>.
<< Io non ho bisogno di essere protetto, Sherlock! >> dice afferrandogli le mani.
<< Certo! Il grande capitano Watson l’immortale. Quando ti metterai in testa che anche tu sei un essere umano, John, quando? >>.
<< Forse quando te ne renderai conto anche tu, Sherlock >>.
<< Oh, io sono fin troppo umano, John. Guardami! >> esclama allontanandosi con la stessa furia con la quale gli si è gettato addosso. << Sono così umano da stare dando di matto. Così umano da non sapere come altro dimostrarti quanto sei importante per me! Tu e la tua maledetta bassa autostima siete sempre lì a pensare di non essere abbastanza, di non valere nulla, di essere invisibili e insignificanti per me. Non è così, cazzo! È massacrante dover lottare costantemente con questo, John! >>.
<< Se solo tu mi aiutassi a capirci qualcosa, Sherlock! >> grida colpito nel vivo dalle sue parole. << Ti chiudi nei tuoi fottutissimi silenzi, dai per scontato che mi siano chiare cose che solo tu sei in grado di comprendere. Come puoi pretendere che ci capisca qualcosa! Io non sono geniale come te, Sherlock! Sono… sono un idiota. Un idiota! >>.
Sta per scoppiare. In quella baracca puzzolente e umida John sta dando il peggio di sé. Vorrebbe scappare via, come fa sempre a Baker Street quando la tensione sale alle stelle e le mani iniziano a prudergli dalla voglia di gonfiarlo di botte. Non prova quel desiderio adesso. Lo stomaco gli si stringe tanto da togliergli il fiato, colpito dalle sue parole. Si rende conto di cosa Sherlock intenda con l’essere anche lui umano. John si trattiene sempre. Cerca di controllare la rabbia esplosiva che ha dentro, di essere ligio e perfetto da bravo soldato e eccellente medico.
<< Non sei un idiota, John >> dice Sherlock. Vede la sua mano muoversi nell’aria, incerta se toccarlo o meno. La osserva e vorrebbe prenderla e allo stesso tempo scacciarla via.  << Sarei perso senza di te. Sei stato tu a guidarmi qui >>.
<< Ho solo detto qualcosa che ti ha riportato alla mente questo luogo >>.
<< E ti pare poco? Sei il mio… conduttore di luce >>.
John sospira e abbozza un sorriso a quella strana definizione che si è appena inventato. Sherlock risponde sorridendo a sua volta, cosa davvero strana dal momento che non può vederlo. E’ possibile che i sorrisi si possano ‘sentire’? Che Sherlock sia in grado di udire ogni singolo movimento dei muscoli e rendersi conto dell’espressione di chi ha di fronte? Non si stupirebbe se gli dicesse di esserne davvero in grado. John afferra la sua mano ancora tesa verso di lui e la stringe forte.
<< Allora è il caso che ti illumini >> gli dice e il suo sorriso si fa più grande.
Quella discussione ha smosso tante cose e loro ora le stanno lasciando lì, all’aria. Come sempre. Verrà il momento in cui dovranno sedersi a tavolino e mettere un po’ d’ordine e non vuole neppure immaginare allora cosa accadrà.
<< Nell’immagine che ho visto, su questo pannello ho raggruppato tutti i luoghi in cui sono avvenute le esplosioni >>.
<< Sì, e sono davvero tanti. Hai messo anche quelli in Irlanda >>.
<< Sì, ero alla ricerca di un filo conduttore. Che quest’uomo agisca a caso non posso crederlo. Non mi ha mai dato l’idea di essere un semplice hater dinamitardo, prodigo nello scatenare il panico seguendo le leggi del caos >>.
<< E in effetti un filo conduttore c’è >> dice John avvicinandosi al pannello per esaminarlo con più cura. Il lavoro apparentemente caotico di Sherlock ora gli appare sempre più chiaro. Segue i fili di cotone che ha appesi da un punto all’altro e le diramazioni che questi creano.
<< La pista religiosa è quella giusta >> dice e sente Sherlock stringergli la mano. << Tutti i posti in cui ha generato esplosioni sono collegati in qualche modo con riferimenti religiosi. Li hai appuntati a lato >> dice voltandosi verso di lui che lo ascolta immobile e attento.
<< Quest’uomo è in un piena crisi mistica e delirio d’onnipotenza >> dice Sherlock con voce greve.
<< Sì >> concorda John. << Quel frate deve averlo scoperto e ha tentato di farlo ragionare >>.
<< E per tutta risposta lui lo ha zittito facendogli saltare la lingua e tutto ciò che c’era attorno e sappiamo il consiglio che gli ha dato circa dove potesse mettersi il suo tentativo di redenzione >>.
John non può fare a meno di ridacchiare e Sherlock si unisce a lui. Ridono sempre più forte come due scemi.
<< Non dovremmo farlo. Non sta bene, è irrispettoso! >> dice John senza però fermare le risate.
<< Sarà pure irrispettoso, ma è la cosa più spassosa che mi sia capitata negli ultimi tempi >>. Ridono ancora più forte fino a tenersi la pancia.
<< Oddio, gli stringerò la mano facendogli i complimenti prima di fargli saltare la testa >> dice John cercando di darsi un contegno.
<< Usa i guanti, non puoi sapere dove siano andate ad infilarsi quelle dita >> ribatte Sherlock, mandando all’aria ogni buon proposito di serietà. << Ok, ok, torniamo a fingere di essere persone serie >> dice battendo la mano sulla spalla del dottore. << Dicevamo di avere a che fare con un pazzo in piena crisi mistica e delirio d’onnipotenza. Avevo anche capito chi fosse… Concentrati sulla prima parte, John, quella delle esplosioni avvenute in Irlanda. Cosa ho segnato lì? >>.
<< In effetti ci sono parecchie note vicino agli articoli di giornale che riportano di quei piccoli episodi >> dice illuminandoli con la torcia. << Monastero domenicano, Contea di Cork e suore domenicane della congregazione inglese di Santa Caterina da Siena. Ma allora avevi già capito che avevamo a che fare con l’ordine dei domenicani >>.
<< A quanto pare. Deve essermi arrivata una soffiata dagli irregolari. Hai detto loro di raggiungerci? >>.
Un rumore fuori dalla baracca impedisce a John di rispondere. Sherlock gli posa le dita sulle labbra e lo guida vicino la porta d’ingresso.
<< Chi vi manda? >> chiede con la voce stentorea e affaticata di un ottuagenario.
<< Billy Kidd il pirata >> rispondono. << Portiamo galeoni e altri tesori >>.
<< Apri pure, sono loro >> gli dice invitandolo a fare quanto detto con un colpetto sulla spalla. John, che si sente subito trasportato in un film di spionaggio, apre la porta e fa entrare due uomini. Lo guardano torvo chinando appena la testa in segno di saluto e lui ricambia perché con certe brutte facce è sempre meglio essere gentili e cauti.
<< Gesùgiuseppemaria, ma allora è vero! >> dice quello dei due vestito di una pesante giacca invernale sporca e rattoppata in più punti. Sul volto rugoso si fatica a riconoscere l’espressione stupita con la quale osserva attendo Sherlock.
<< Sì, Flick, quello stronzo bombarolo mi ha accecato, sono caduto nel fiume, ho sbattuto la testa e non ricordo quanto accaduto nei giorni precedenti >>.
<< Cristodio, che brutta storia >> aggiunge l’uomo, mulinando la mano in direzione del suo viso.
<< Oh, smettila con queste cazzate! Percepisco lo spostamento d’aria >>.
<< Sempre detto io che non sei umano >> ridacchia l’altro che, al contrario del primo, indossa una canottiera macchiata e pantaloncini lisi. << Anche senza vista sei in pista, vecchio pirata, i miei complimenti >>.
<< Grazie, Connor. Rimandiamo, però, le lodi a momenti migliori. A causa di quanto quel bastardo mi ha fatto ci sono stati altri feriti e un vecchio frate ci ha rimesso la vita >>.
<< Sì, abbiamo saputo di O’Malley >>.
<< Lo conoscevate? >> chiede John catturando la loro attenzione. Si voltano appena, quasi infastiditi dalla sua presenza. Non è mai andato troppo d’accordo con gli irregolari. Ha avuto a che fare con loro poche volte e teme che gli si legga chiaro in faccia quanto poco gli piaccia.
<< O’Malley era un povero diavolo. Quando ha saputo che ti aveva messo fuori gioco si è messo in testa di voler redimere il suo concittadino. Glielo avevamo detto di non impicciarsi, ma non ha voluto sentire ragioni >>.
<< E così ora tu ci hai rimesso la vista e lui la vita >> ribatte Connor sputando per terra senza tanti complimenti. << Ci aveva detto di aver parlato con te e di averti detto chi fosse il pazzo bombarolo. Possibile che non te lo ricordi? >>.
<< No, cazzo, non mi ricordo niente! >> esclama battendo il pugno contro la parete. I due uomini lo guardano stupiti per poi scambiarsi un’occhiata. << Vi dicono qualcosa il monastero domenicano della Contea di Cork e le suore domenicane della congregazione inglese di Santa Caterina da Siena? >> chiede indicando le sue note sul tabellone.
<< O’Malley veniva da Cork >> dice Flick strizzando gli occhi nel tentativo di leggere la sua calligrafia. << Delle suore so che si occupano di educazione e opere sociali, come l’assistenza a orfani e anziani e lavoro in ospedale >>.
<< Sapete se O’Malley era solito recarsi dalle consorelle? >>.
<< Se ne era solito? >> ridacchia Connor. << Amico mio, quello viveva sulle spalle dell’ospedale ‘Opera Pia’. Era sempre lì con la scusa del suo diabete e credo che fosse molto intimo di qualcuna di quelle pinguine, non so se mi spiego >> aggiunge l’uomo strizzando l’occhio.
<< Ottima notizia >> annuisce Sherlock. << La stessa cosa potrebbe farla il nostro uomo. O’Malley vi ha detto se il suo concittadino era anche lui un frate? >>.
<< No, Sherlock, su di lui a noi poveri diavoli non ha detto nulla. Era un maledetto diffidente, quel vecchio porco. Si è rivolto a te perché non voleva intervenire in prima persona, ma desiderava che qualcuno lo fermasse. Anche se dall’espressione che ha fatto dopo aver visto una tua foto penso che avesse anche altre intenzioni >> ridacchia Connor sputando di nuovo. A John quest’uomo da decisamente il voltastomaco.
<< Come sospettavo il nostro frate non si faceva problemi circa il voto di castità >> sorride Sherlock, felice di aver azzeccato un altro tassello. Connor e Flick ridono della grossa.
<< Nè su quello, né sul giocare per entrambe le squadre. Avresti dovuto sentire quante te ne ha dette dietro >> ride Flick grugnendo come un maiale.
<< Ne sono davvero lusingato >> ribatte Sherlock disgustato.
<< Ragazzo, ora ti conviene essere più flessibile. Anche se qualcuno che ti si farebbe lo troveresti comunque anche così ridotto >>
<< Ehi, vedi di misurare le parole tu! >> sbotta John muovendo un passo verso di lui. Connor alza subito le mani dinanzi all’espressione furente del dottore. << Oh, buono lì, sto scherzando! Non volevo mancargli di rispetto >>.
<< Invece lo hai appena fatto >> insiste John pronto a menare le mani se necessario. Sherlock gli afferra il braccio e scuote il capo.
<< Ti ringrazio per avermi difeso, John, ma se conoscessi questi due come li conosco io capiresti che le loro sono solo parole >>.
<< Sì, dottore, siamo innocui >> annuisce Flick. << Non potremmo mai torcere anche un solo capello a Sherlock, gli dobbiamo tanto >> aggiunge rivolgendo al consulente un sorriso adorante.
<< E ci spiace non sapere altro per potervi aiutare. Sai che se così non fosse non esiteremmo a dirtelo >>.
<< Sì, lo so. Vi chiedo di contattarmi in caso lo vedeste e di allontanarvi immediatamente >>.
<< Contaci, ragazzo >> dice Connor battendogli pesantemente la mano sulla spalla. << E se il biondino lì non ti soddisfa chiamami che rimediamo >>.
<< Non sono così disperato, Connor >> ridacchia allontanandolo con uno spintone. << John, direi che questi due baldi giovani si sono meritati una bevuta alla nostra salute >>.
Flick e Connor porgono la mano a John regalandogli sorrisi sdentati ben poco rassicuranti. Il dottore sospira, apre il portafogli e posa su ciascuna mano una banconota da dieci sterline.
<< Al suo buon cuore, dottore >> lo ringrazia Flick uscendo dalla baracca.
<< Trattalo con riguardo, intesi? >> gli dice Connor scoccandogli un’occhiataccia per poi seguire l’altro.
<< I tuoi amici sono davvero, davvero, particolari, Sherlock, lasciamelo dire >>.
<< Collaboratori, John. Solo collaboratori >> specifica Sherlock voltandosi verso la bacheca, le mani giunte sotto il mento. << Sorvolando sul fatto che non ho memoria di aver parlato con quel frate, direi che abbiamo aggiunto due frecce al nostro arco >>.
<< Il monastero e la congregazione >> dice John andandogli accanto.
<< Esatto. Dal primo proveniva O’Malley che diceva che il nostro uomo era un suo concittadino. Della seconda ci interessa l’ospedale ‘Opera Pia’, destinazione della nostra prossima tappa >>.
Invita John a precederlo verso la porta. Il suo passo sicuro è interrotto da una tavola di legno rialzata del pavimento sulla quale inciampa.
<< Oh, cazzo >> esclama e John corre subito a sorreggerlo.
<< Preso! >> esclama trionfante. << Il biondino, a quanto pare, è perfettamente in grado di soddisfarti >>.
<< Lasciami dire, John, che sei piuttosto permaloso >> ride Sherlock per poi interrompersi di colpo. Porta le mani agli occhi lasciando sfuggire un lamento.
<< Ehi, che succede? >> gli chiede John, preoccupato.
<< Un lampo. Ho visto un lampo luminoso >> dice, il volto terrorizzato.
<< Davvero!? >> esclama esaltato John.
<< Oddio è… bruttissimo, John >> dice Sherlock tremando appena e il dottore non capisce perché accolga così quella che è a tutti gli effetti una cosa buona. << Mi fanno male gli occhi >> dice facendo una smorfia e John intercetta e tiene strette le mani che sta per portare alla benda.
<< No, Sherlock, hai le mani troppo sporche. Questo luogo, anzi, è troppo sporco. Usciamo da qui >>.
Sherlock trema ancora e più forte di prima e John lo stringe a sé. Incoraggiato dal suo abbraccio, il consulente posa la fronte sulla sua spalla in cerca di conforto e benchè sia maledettamente più alto di lui il dottore lo percepisce così piccolo tra le sue braccia.
<< Ehi, Billy Kidd >> sussurra al suo orecchio e il tono dolce e pacato ha l’immediato effetto calmante. << Non avere paura di tornare alla luce. Questi lampi ci dicono che i tuoi occhi funzionano ancora e questo è… fantastico >> dice posando un bacio sulla sua tempia. Sherlock solleva il volto e accarezza con la propria guancia quella di lui, lasciando John senza fiato. Si volta lento e i loro nasi si sfiorano. Sherlock sospira e il suo respiro lo investe ed è così dolce e caldo da dargli l’acquolina.
<< Sai, John >> sussurra, le sue labbra così vicine. << E’ che l’oscurità non è poi così male >> dice abbozzando una risata. << Non vedere le espressioni di fastidio e disgusto che provoco nella gente è un sollievo >>.
<< Sono solo degli idioti, Sherlock >> sussurra a sua volta, ipnotizzato dalle sue labbra così vicine, così possibili. << Lascia che la vista ritorni e poi deciderai tu cosa oscurare >>.
<< Oscurità selettiva >> ride posando la fronte contro la sua. << Mi piace >>.
<< Bene che ti piaccia. Anche perché ci saranno tante espressioni poco piacevoli attorno a te, ma ce ne sono anche altre che pompano la tua autostima e il tuo ego. Sicuro di voler buttare via l’occasione di poterle rivedere? >>.
<< Hai ragione. Visto? Non sei un idiota >> dice strusciando il naso contro il suo. << E il tuo volto è tra i primi che voglio rivedere. Anche perché è quello che mi regala le espressioni più belle >>.
Sarebbe così facile catturare le sue labbra adesso e coinvolgerlo in un bacio carico di passione. Sherlock, però, si scuote nuovamente colto da un altro lampo.
<< Usciamo da qui, forza >> dice John conducendolo fuori.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
 
Scariche di fastidiosi lampi si alternano all’oblio con una frequenza ormai regolare che si è stabilizzata a una ogni trenta minuti circa. Sherlock si è abituato a loro, nonostante il primo lampo sia sempre capace di togliergli il fiato dalla sorpresa.
<< E’ sicuro di stare bene? >> gli chiede sorella Domiziana, la suora domenicana che si occupa dell’accoglienza degli indigenti presso l’ospedale ‘Opera Pia’ delle suore domenicane.
<< Sì, sto bene >> le risponde Sherlock, infastidito dall’odore pungente di disinfettante e da quello forte dei fiori di gelsomino che sente provenire dalla suora.
<< Pregherò affinchè Gesù la aiuti a recuperare la vista >> dice questa e la gomitata che John gli assesta tra le costole gli impedisce di dire alla donna cosa pensi del suo fantomatico figlio di dio.
<< Ci diceva che l’ultima volta che ha visto frate O’Malley è stata la sera in cui è morto >> le chiede John riportando la conversazioni su basi più interessanti.
<< Sì, esatto. Mi aveva chiesto di pregare affinchè riuscisse nel suo intento di redimere un giovane peccatore >>.
<< Lei sa di che peccatore stesse parlando? >> le domanda John e il respiro della donna si ferma un istante prima di riprendere più concitato.
<< No, mi spiace >> dice in fretta.
<< Credevo che il vostro culto aborrisse la menzogna, sorella >> le dice Sherlock e questa volta il respiro della donna si ferma per qualche istante in più. << Io sono già stato qui, abbiamo già parlato di quest’uomo e sicuramente le ho anche già detto questa frase, sorella Domiziana. Non mi sembra carino lei tenti di prendere in giro un handicappato approfittandosi della sua amnesia post traumatica >> dice severo e la donna scoppia in lacrime.
<< Hai fatto piangere una suora, Sherlock >> gli sussurra John esasperato.
<< Non credo che andrò all’inferno per questo >> sbuffa lui.
<< … mi perdoni, non volevo mentirle è solo che… quel povero, povero ragazzo… >>.
<< E’ il suo amante >> dice infastidito dalla pantomima messa su dalla donna.
<< Che cosa? >> esclama inorridito il dottore.
<< Sei davvero un’anima così candida da credere che suore e preti siano immuni dal sesso, John >> dice, divertito dal suo respiro concitato. Lo immagina guardare con la sua migliore espressione di incredulità, disagio e imbarazzo la donna, che distoglierà subito lo sguardo convinta così di sembrare innocente e ingenua. << Siamo di fronte ad una donna che è solita portare in tasca fiori secchi di gelsomino per profumarsi. Certo, lei ci direbbe che le servono per contrastare l’odore dei malati che vertono in condizioni economiche e igieniche molto scarse e per dare loro sollievo dal puzzo del disinfettante. Non è, però, una pratica in uso tra le sue consorelle, né tanto meno prevista dal regolamento. È il vezzo di una donna alla quale piace apparire piacente, nonostante il velo che indossa >>. Dinanzi alla sua deduzione tagliente i singhiozzi della suora si intensificano.
<< Ok, Sherlock, penso che tu possa anche darci un taglio >> sussurra John pinzandogli il braccio attraverso la manica della giacca.
<< No, che non posso, John, fa parte della spiegazione >> insiste lui carico. << Questa stessa donna vezzosa accetta di buon grado i complimenti degli ammalati, tra i quali è quasi sempre presente il confratello O’Malley. Questi, però, non parteggia solo per la sua squadra, diciamo così. Più volte si è trovata costretta a doverlo rimproverare per il suo modo sfacciato di flirtare con gli infermieri, soprattutto quando aveva qualche bicchiere di vino di troppo in corpo, non è vero? >>.
<< Oh, dio mi aiuti, sì che l’ho fatto! Era sfacciato e gettava fango sull’abito che indossava >> ribatte questa in tono disgustato.
<< Non mi pare che lei, con i suoi gelsomini e il sesso clandestino, facesse qualcosa di diverso, sorella >> ribatte a tono mettendo enfasi nell’ultima parola. La donna fa un verso stizzito e John tossicchia, tentando ancora disperatamente di metterlo a tacere. << Qualche mese fa’, O’Malley è arrivato qui con un suo concittadino, uno che parteggia, e come, per la sua squadra, e che l’ha invitata molto volentieri a giocare con lui >>. La suora deglutisce rumorosamente e, sebbene da lei si propaghi l’afrore di gelsomini, Sherlock percepisce l’odore inconfondibile della paura. << Dal momento che anche suore e preti sono esseri umani, io non ci vedo nulla di male se indulgono in attività sessuali. Le ricordo, però, che proteggere un assassino e omettere di avere informazioni utili all’indagine è reato, sorella. Anche le suore possono finire in carcere. Ma lei tutto questo lo sa, dal momento che sicuramente un discorso simile me lo ha già sentito fare. Deve aver tirato un sospiro di sollievo quando ha saputo da O’Malley di quanto mi era successo e della mia perdita di memoria. Direi che essersene approfittata aggravi ulteriormente la sua posizione >>.
Il suo monologo fa effetto, dal momento che ne segue un lungo silenzio durante il quale la donna si prende il tempo di soffiare il naso due volte. Sospira quattro volte, durante la quali Sherlock è sicuro cerchi con lo sguardo da povera vittima il supporto di John, e poi, constatato il mancato aiuto da parte del dottore, prende un grosso respiro.
<< Io non so come faccia, davvero. Mi ha già stupita la prima volta che l’ho incontrata, ma ora che è cieco… >> dice disgustata gettando del tutto la maschera. << E’ vero, io e Nathan siamo amanti. Non mi è stato possibile resistergli, dio sa quanto ci ho provato >> dice e Sherlock sbuffa dinanzi a quel siparietto di inviolabile virtù. << O’Malley, però, si sbagliava! Non è stato lui a far esplodere quegli ordigni >>.
<< Bene, se ne è così sicura perché non mi dice dove posso trovarlo per poter fare due chiacchiere con lui? >> le chiede Sherlock e la donna si alza stizzita.
<< Non so dove si trovi. È un senzatetto: la città è la sua casa. Ora, se volete scusarmi, gli ammalati mi attendono >>.
<< Benissimo, vada pure dai suoi ammalati. Noi intanto chiameremo l’ispettore Lestrade. Vedremo se anche in commissariato continuerà a barricarsi nel suo silenzio >>. Fa cenno a John di comporre il numero e il dottore esegue.
<< Aspettate, vi prego! >> la suora torna a sedersi e la sente sporgersi verso di lui e afferrargli le mani. Sono sudate in modo disgustoso, piccole e piene di calli. << So che viveva in una baracca sul Tamigi >>.
<< Quella nella quale ha ucciso il frate, lo sappiamo. Peccato che ora non sia più lì >>.
<< Io non l’ho più visto, non so dove sia! >>.
<< Ma sa il suo nome, sorella >> dice mettendo nuovamente enfasi sull’ultima parola. La donna sospira e gli stringe forte le mani.
<< Nathan O’Neel >> sussurra e Sherlock si alza in piedi in fretta.
<< La ringrazio infinitamente >> dice porgendo poi la mano a John che vi posa sopra il telefono. << Lestrade, ho del lavoro per te >>.
<< Hai risolto il caso? >> gli chiede il detective. Il tono teso e concitato denotano una pressione alquanto opprimente sulle povere spalle provate del detective.
<< Sono a buon punto >> risponde sentendolo sospirare. << Vieni all’ospedale ‘Opera Pia’ delle suore domenicane e mi troverai qui in compagnia di una sorella molto ben disposta a raccontarti un po’ di cose su Nathan O’Neel >>.
<< E chi sarebbe? >>.
<< Il nostro dinamitardo >> dice. Lo sente imprecare e ride sotto i baffi, mentre mette giù la chiamata e appoggia la schiena allo schienale della sedia.
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
 
John osserva Sherlock camminare avanti e indietro nel piccolo spazio dell’ufficio di Domiziana. Ripete ad alta voce quanto hanno finora scoperto, giusto per ammazzare il tempo, mentre attendono l’arrivo di Lestrade. Questi giunge dopo neppure venti minuti dalla chiamata, cosa che indica quanto questo caso rappresenti un problema sia per l’ispettore che per il commissario capo. Entra nell’ufficio insieme a Donovan.
<< Ti avevo detto di darti alla pesca, ma tu non ne hai voluto sapere di darmi retta, John >> .
L’agente scelto gli si avvicina col suo solito tono supponente e l’atteggiamento gratuitamente aggressivo, mentre Lestrade pende dalle labbra di Sherlock che lo ragguaglia sull’avanzamento delle indagini.
<< Sai, Sally, non siete poi così diversi tu e Sherlock. Trattate male il prossimo allo stesso modo. La grande differenza è che lui ha quasi sempre ragione di farlo >>.
La donna sembra incassare il colpo e prepararsi al nuovo attacco.
<< Sei un medico e da quanto ne so sei pure parecchio bravo e guardati: ridotto a fare da cane per ciechi >>.
<< Non ti permetto di giudicare le mie scelte, Sally. Credo non gradiresti sapere cosa ne penso delle tue >> ribatte acido John. Lestrade chiama a sé Donovan che scocca un’occhiata truce a John prima di raggiungere il suo capo.
<< Data la particolarità della situazione prenderemo qui la deposizione della… suora. Pensaci tu, Sally? >> ordina Greg alla donna. Donovan si mostra ben felice di assolvere al compito.
<< Ti faccio volentieri compagnia >> le propone Sherlock intenzionato a non uscire da quell’ufficio.
<< Non credo sia il caso, freak >> lo aggredisce la donna.
<< Io, invece, penso di sì, agente >> insiste il consulente. Muove un passo andando a sbattere contro di lei. << Se ti dai una mossa forse riusciamo a finire prima di cena e puoi salvarti l’appuntamento con Anderson >>.
La donna scocca un’occhiata al suo capo che imperterrito le intima di procedere. Questa alza gli occhi al cielo e prende posto alla scrivania. Sherlock, piuttosto soddisfatto, le resta affianco.
<< Da quando mandi Donovan  in avan scoperta? >> domanda John a Greg appena si trovano fuori dall’ufficio.
<< Ho un serio problema con le suore >> risponde questi. << E tu da quando permetti a Sherlock di muoversi da solo? >>.
<< Ho un serio problema con Donovan >> risponde facendo ridere di gusto il detective.
<< Pensa a me che ci lavoro tutti i giorni da anni! Ormai riesco pure a capire quando ha il ciclo >>.
<< Sherlock è come se lo avesse tutti i giorni >> ribatte scoccandogli un’occhiataccia. Greg ride ancora più forte.
<< Uomo fortunato! >> esclama sedendosi sulle scale.
<< Come no! Stare con lui è come stare con dieci donne ognuna in una fase diversa del ciclo e da quando è stato accecato è persino peggio >>.
Greg si fa serio e lo invita ad accomodarsi al suo fianco. John resta stupito del suo repentino cambiamento e lo raggiunge curioso.
<< C’è qualcosa che devi dirmi? >> gli chiede usando su di lui lo sguardo indagatore.
<< In merito a cosa? >> gli chiede colto alla sprovvista. Greg alza gli occhi al cielo sospirando.
<< Senti, mi rendo conto che non sono affari miei, ma ormai ti ritengo un amico ed è da quando circolano quelle voci su di voi che mi ripropongo di chiedertelo >>.
<< Per vincere la scommessa? >> ribatte infastidito.
<< No >> risponde troppo in fretta Greg. John gli scocca un’occhiata tagliente e il detective passa a disagio la mano tra i capelli sale e pepe. << Ok, diciamo che mi aiuterebbe ad indirizzare meglio la mia puntata, ma non è questo il punto >>.
<< Ma non mi dire >> sbuffa John.
<< Senti, io ti devo tanto. Davvero, non sto scherzando >> insiste posandogli la mano sul gomito. << Non sapevo dove sbattere la testa con Sherlock prima che arrivassi tu. Non sapevo mai dove fosse, ne cosa stesse facendo e tutto ciò non faceva per nulla bene né al mio stomaco, né al mio fegato. Poi sei arrivato tu >> gli batte allegro la mano sulla spalla. << E se non riesco a mettermi in contatto con lui posso contare su di te >>.
<< Come se non capitasse anche a me di non riuscire a mettermi in contatto con lui >>.
<< Oh, ti assicuro che non c’è paragone, John! >> ride Greg. << Sherlock ti resiste al massimo per un giorno per poi risponderti o cercarti. Di me se ne fregava, portava avanti le sue indagini e poi piombava nel mio ufficio con la risoluzione del caso. Snervante, amico mio. Assolutamente snervante >> sospira scuotendo il capo. << E io stavo lì, temendo si fosse messo nei guai e di passare a mia volta dei guai per averlo coinvolto, causandone indirettamente eventuali incidenti >>.
<< Tu sapevi dei suoi nascondigli sparsi per Londra? >>.
<< Sapevo che non aveva un posto fisso prima di Baker Street. O meglio sarebbe dire prima che arrivassi tu >>.
<< Andiamo, sembra che tutto ruoti attorno a me! >>.
<< Ed è così, John >> gli dice Greg stupito del suo stupore. << Sei il centro del mondo per lui. E’ palese, non puoi essere l’unico a non essersene accorto, dai! >>.
John strabuzza gli occhi e resta senza parole. Quanto gli sta dicendo il detective non è poi così diverso da ciò che gli ha detto Sherlock nel suo nascondiglio sul Tamigi. Greg lo guarda stupito e non sa se ridere o restare serio dinanzi al suo silenzio.
<< Lui è così… sfuggente >> sussurra John abbassando lo sguardo. << E’ come scalare un muro alto che cresce di altri due metri ogni volta che ti sembra di essere arrivato il cima. È stancante, Greg >>.
<< Non fatico a crederlo >>.
<< Ma anche così affascinante >> aggiunge percependo le sue guance arrossire. << Fosse per me, Greg… quelle voci non sarebbero più solo voci >>.
<< Vuoi dirmi che è lui a essere reticente? >>.
<< Ti stupisce così tanto? È sposato col suo lavoro, non lo sai? >> ride nervoso.
<< John… >> scuote lento il capo, Greg. << Tu sei parte integrante del suo lavoro, amico mio >>.
Il suo essere diffidente lo ha portato a minimizzare quanto dettogli da Sherlock, persona inaffidabile e dall’emotività nascosta e a lui incomprensibile. Di Greg, invece, riesce a fidarsi. Accetta il suo punto di vista perché è quello di una persona imparziale.  
John stropiccia il viso più volte prima di sentire di essere un a posto. Crede proprio sia gioia quella che prova in questo momento. Sì, deve esserlo, perché lo terrorizza e le poche volte in cui si è sentito terrorizzato le ricorda legate a momenti in cui ha provato gioia.
L’esplosione li investe proprio mentre sta per trovare il coraggio di parlare. Lui e Greg vengono colpiti in pieno della nube di polvere e calcinacci. Le orecchie fischiano e John per un attimo si ritrova catapultato in Afganistan. Il capitano prende il sopravvento ancora prima che possa rendersene conto. Afferra il detective per un braccio e lo porta in cima alle scale. Solo quando giungono all’ingresso riallinea l’istinto con la ragione.
<< Sherlock! >> esclama tra un colpo di tosse e l’altro, mentre si rende conto che il suo consulente investigativo è rimasto intrappolato oltre il muro di calcinacci e polvere che è ora l’ingresso degli uffici.
 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
 
Sherlock scuote la testa, intontito. Un fischio continuo e fastidioso gli rimbomba nelle orecchie. C’è stata un’esplosione. Quel pazzo dinamitardo ha piazzato una carica esplosiva in uno degli uffici vicini a quello della suora. Mentre il fischio lentamente scema, si rende conto di essere seduto per terra. La polvere è fitta e l’aria irrespirabile. Toglie la giacca e la annoda sul viso per coprire naso e bocca dalla polvere e poi a tentoni cerca di capire dove sia finito. Sente alla sua destra lo stipite della porta. Era in piedi vicino a questo e la deflagrazione deve averlo sbalzato fuori.
“Sono quindi sul corridoio” dice ripercorrendo con la mente la pianta dell’ospedale recuperata dal suo Mind Palace. John e Greg erano vicino alle scale. Non dovrebbero essere stati coinvolti più di tanto nell’esplosione. O almeno lo spera. Non può però, adesso, preoccuparsi di altri se non di se stesso.
Si alza in piedi a fatica appoggiandosi al muro. La testa gli gira. Inutile spreco di energie, tempo e ossigeno tentare di cercare varchi tra le macerie alle sue spalle. Recupera dalla mappa il modo più veloce per raggiungere l’uscita secondaria. Quei sotterranei fanno un bel po’ di giri inutili prima di arrivare lì. Sarà una lunga strada e spera di non trovare ostacoli lungo il cammino.
Ironia della sorte, inciampa contro qualcosa già dopo pochi passi e perde l’equilibrio rovinando a terra. Solleva una nuvola densa di polvere che filtra appena attraverso la stoffa, facendolo starnutire. Batte la fronte contro un calcinaccio e il dolore che avverte agli occhi è simile a quello di una pugnalata. Non è certo il momento, però, di farsi prendere dal panico, questo. Si accorge di avere le gambe ancora appoggiate all’ingombro soffice sul quale è inciampato. Si avvicina a tentoni a questo e entra in contatto con una stoffa leggera. La studia con entrambe le mani e si rende conto che quella che sta toccando è una testa. Una testa dalla quale sente dipanarsi un forte odore di gelsomini e all’improvviso si ricorda delle due donne che erano con lui nella stanza dalla quale è stato sbalzato fuori.
<< Domiziana! >> esclama. Cerca la carotide della suora per testarne il battito. Tutto fermo. Avvicina l’orecchio al viso e non sente alcun respiro. Sherlock si allontana da lei con lo stomaco chiuso e il petto pesante.
“Merda” pensa e subito parte alla ricerca di Donovan.
<< Sally! >> la chiama, ma non ottiene risposta. Un rumore cattura la sua attenzione. Lieve. Soffocato. Un respiro affaticato.
<< Ti ho sentita! Sto arrivando >> le dice. Sente il respiro fermarsi per poi riprendere più veloce. Percepisce il tentativo di rispondere. << Non sprecare energie cercando di parlare. Fai rumore, basta anche un piccolo rumore in modo che possa raggiungerti >>.
Sente dei piccoli colpi. Li segue finchè non diventano più forti. Si mette carponi tastando il terreno e dopo innumerevoli calcinacci e detriti sfiora qualcosa di caldo che subito gli afferra il polso.
<< Sh…ok >> sussurra la donna.
<< Ti ho trovata, ti porto fuori da qui. Riesci a muoverti? >> le chiede esplorando con la mano libera il suo corpo.
<< Ga…ba >> rantola Sally. Sherlock si libera della stretta della sua mano e percorre la gamba destra della donna trovandola bloccata.
<< Non sono macerie. Sembra uno schedario >> dice toccandolo. << Provo ad alzarlo. Tu mettici tutta la forza che hai per spostare la gamba >>. La donna tossisce in risposta. Non è un gioco da ragazzi spostare quello schedario, data la scarsità di ossigeno che gli toglie le forze e la scivolosità della polvere. Alla fine, però, ci riesce. Sally trascina via la gamba e si volta sul fianco. Con la mano lo cerca e gli si aggrappa come un naufrago ad un asse di legno. La sente singhiozzare e tossire.
<< Dobbiamo andare via da qui, subito >> le dice. << Vedi attorno a te qualcosa col quale poterti coprire naso e bocca? >> le chiede.
 << E’… buio >> risponde la donna.
Sherlock impreca mentalmente. Se la lascia senza riparo rischia di portare in salvo un corpo morto. Decide allora di togliere la benda dagli occhi. Prende il fazzoletto che John gli ha dato in obitorio e veloce toglie la giacca e posa quello su vaso e bocca. Lo tiene fermo con la benda annodandola stretta. I due tamponi restano attaccati alle sue palpebre e spera che se proprio devono cadere lo facciano quando saranno fuori dalla nube di polvere che ora li avvolge.
<< Usa la manica della mia giacca per ripulirti la polvere dal viso >> dice a Sally che esegue con movimenti lenti. Sherlock sente l’odore del sangue attraverso quello acre dell’artiglio del diavolo e spera che siano solo graffi e non una brutta emorragia. Lega poi le due maniche dietro la testa della donna coprendole cosi naso e bocca per proteggerla dalla polvere. La donna trema come una foglia e continua a tenersi stretta a lui.
<< Ora alziamoci, forza >>. Si mette in piedi a fatica trascinando Donovan che poco collabora. << Ti prego, aiutami! >> esclama esasperato << Lo so che sei spaventata e che di me non ti fidi, ma voglio aiutarti e sono in grado di portarti fuori da qui viva. Devi, però, collaborare >> la implora. Sally tenta di sorreggersi sulla gamba sana e di allentare la stretta al suo torace.
<< Perfetto! Ora seguimi >>.
Torna sui suoi passi fino a raggiungere il muro e riprende a seguire la mappa.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
 
<< Sherlock! >>.
John entra nell’ospedale dove ormai il panico regna sovrano. Spintona le persone che spaventate escono in fretta e sente appena Greg urlare il suo nome. Finalmente riesce a raggiungere la porta antipanico che conduce al piano interrato e già lì lo investe la densa nube di polvere dalla quale è scappato poco prima. Greg lo raggiunge e lo strattona via lottando contro la sua reticenza nel voler essere allontanato.
<< Farai la fine del topo se rimetterai piede la dentro! >> grida il detective.
<< Non posso lasciarlo lì! >> insiste John facendosi quasi strappare la giacca di dosso tanto si agita.
<< Non stai ragionando con lucidità, John! >> lo aggredisce Greg. << Il passaggio è bloccato e noi non siamo equipaggiati per uscire vivi da quella nube densa di polvere >>.
John prende la testa tra le mani e inizia a controllare il respiro. Su una cosa Greg ha ragione: non sta ragionando con lucidità. Aveva dato di matto anche quando aveva visto la granata esplodere a pochi metri da Bryan. L’unica cosa che può aiutarlo in questo momento è forse seguire il suggerimento datogli poco prima dal suo inconscio.
<< Conosci le manovre per far fronte alle emergenze in caso di esplosione, Greg? >> chiede al detective afferrandogli le spalle.
<< Certo, ma… cos’hai in mente? >>.
<< Non abbiamo tempo di aspettare che arrivino i pompieri >> dice risoluto. << Troviamo due mascherine e due visiere da sala operatoria, percorriamo il corridoio fino al fondo, troviamo un’altra scala collegata ai sotterranei e da lì lo raggiungiamo. Sherlock ha il mio cellulare. Proveremo a chiamarlo per capire dov’è >>.
<< Non è prudente per noi avventurarci in un edificio in cui è appena avvenuta un’esplosione, John! Quel pazzo potrebbe aver piazzato altre cariche, non ci hai pensato? >>.
<< Certo che ci ho pensato e sai anche tu che preparare deflagrazioni ravvicinate non rientra nel suo modus operandi. Non è la prima volta che opero in emergenze simili, Greg, fidati di me, cazzo! >>.
Lestrade passa la mano tra i capelli. I loro sguardi restano agganciati per un lungo istante al termine del quale il detective annuisce.
<< Facciamolo >> dice e insieme corrono verso il fondo del corridoio
 
***
 
Il cellulare di John suona rimbombando nell’ambiente vuoto. Sherlock si appoggia alla parete per rispondere e Sally si addossata contro di lui.
<< Oh, grazie a dio, sei vivo! >> esclama John. E’ un immenso piacere per lui sentire la voce del suo dottore, sapere che è sano e salvo. Gli rende persino più leggero il tentativo che sta compiendo di salvare la sua vita e quella di Sally.
<< Ho trovato Donovan. Siamo all’inizio dell’ala amministrativa. Ci siamo da poco lasciati alle spalle i detriti. Domiziana è morta >> parlare è faticoso, sempre più faticoso. << Poco ossigeno >> aggiunge.
<< Io e Greg stiamo arrivando, Sherlock. Passeremo da un ingresso secondario e raggiungeremo i sotterranei. Tieni il telefono in tasca. Non perdiamo il contatto. Resisti, ti prego! >>.
Sussurra un debole sì ed esegue l’ordine del suo capitano prima di riprendere il cammino. Procedono lentamente, lui appoggiato alla parete e Sally aggrappata a lui. Trascina la gamba destra e mugola di dolore quasi ad ogni passo. Nonostante questo, però, non demorde. Hanno entrambi il fiato corto e Sherlock dove fermarsi ogni tanto, preda di forti capogiri.
Dopo qualche metro percepisce la polvere farsi meno intensa.
<< Luce >> gli dice Sally e sembra che uscire dal buio la rinnovi di speranza, rinvigorendole il passo.
<< Buon segno >> dice Sherlock. << Ci sono ostacoli davanti a noi? >> le chiede e la donna risponde negativamente. Il consulente sente un refolo d’aria accarezzargli il viso e sposta la benda che ha sul naso per respirare a pieni polmoni. C’è ancora polvere, anche se meno intensa, ma la boccata d’ossigeno è comunque un tocca sana.
<< Respira, Sally >> le dice tirandole giù la sciarpa di fortuna che ha creato con la sua giacca. << Respira >> insiste e la sente a sua volta prendere grandi boccate d’aria che la fanno tossire. Sputa più volte in un modo che sarebbe giudicato poco educato per una donna, ma i confini tra ciò che è etichetta e ciò che è sopravvivenza sono stati abbattuti dall’esplosione.
Secondo la mappa deve ora girare a destra. Si ritroveranno su una rampa che li condurrà al piano terra. Comunica i suoi spostamenti a John.
<< Stiamo arrivando, Sherlock. Abbiamo capito dove siete >>.
Il sollievo che prova a quelle parole è notevole e al suo fianco sente Donovan singhiozzare ugualmente sollevata.
<< Affrontiamo questi gradini, Sally, forza >> le dice e l’agente scelto lo segue faticando a causa della gamba sicuramente rotta che le strappa un gemito ogni volta che vi carica sopra il peso.
<< Non ce la faccio, Sherlock >> dice esplodendo nel pianto.
<< Ok, ok, non ci sono problemi, solo soluzioni >>. Si posiziona davanti a lei muovendosi nel suo abbraccio stretto e si china appena. << Salta su che ti porto >> le dice e a fatica la ragazza segue il consiglio. Sherlock rischia di perdere l’equilibrio quando sale il primo gradino e Sally spaventata gli serra le braccia attorno al collo.
<< No, così non va >> si inginocchia e posa la mano sulla braccia della donna. << Mi stai strozzando >> le dice e questa allenta la presa.
<< Tante volte avrei voluto farlo. Ora non mi sembra proprio il caso >> borbotta abbozzando una risata.
 << Direi proprio di no >> ribatte ridendo a sua volta. Procede a carponi, posizione più sicura per evitare di cadere a metà rampa. Ed è proprio quando giungono a metà che dalla sommità delle scale arrivano delle voci.
<< Sono qui, Sherlock! >> esclama Donovan.
<< Bene, Sally, ora fa quello che ti riesce meglio >>.
<< Sarebbe? >>.
<< Grida! >> .
Non se lo fa ripetere due volte. L’agente scelto lancia grida di aiuto così forti da fargli dolere i timpani delicati. Nel tentativo di proteggersi dalle sue urla, abbassa la testa e i tamponi che ha sugli occhi cadono. Un rumore dalla sommità delle scale lo informa che qualcuno ha aperto la porta. Percepisce della luce al di là delle palpebre chiuse. Sembra diversa dai lampi che lo hanno disturbato finora. Insieme alla luce lo investe una folata di aria nuova e fresca che arriva dall’alto. Sherlock alza la testa per bearsene e automaticamente apre gli occhi. Vede delle ombre stagliarsi nella luce.
<< Oh, cazzo >> esclama stupito. È talmente sorpreso da questo nuovo fenomeno da rendersi appena conto del peso di Sally che gli viene tolto dalla schiena e delle braccia forti che lo sollevano. Resta stupito a osservare tutte quelle ombre sfocate che lo circondano e lo conducono su per la scala. La luce è più forte oltre la porta, l’aria più fresca, quasi del tutto priva di polvere. Sente l’odore forte del sudore dei suoi soccorritori e tra questi lo raggiunge il profumo di vaniglia nera che ben conosce.
<< Sherlock! >> si volta verso il suono della voce di John e benchè veda solo una sagoma scura la riconduce subito al suo dottore. Questi lo stringe forte, così forte da togliergli quel poco del fiato che sta trovando. << Oh cristo, ho temuto tu fossi morto >> gli dice, la voce rotta dall’emozione. Il profumo di John lo avvolge, le sue braccia forti lo sostengono e lui si sente così infinitamente stanco ora.
<< John >> sussurra prima che le forze lo abbandonino facendolo piombare di nuovo nell’oscurità.
 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
 
Per la seconda volta, il risveglio inizia dal percepire i rumori. Prima ovattati e lontani, poi sempre più presenti. Il ‘bip’ cadenzato delle apparecchiature mediche gli dice che, sì, è di nuovo in ospedale. Per la seconda volta nel giro di neppure due giorni. Può segnarlo tra i suoi record personali.
La propriocezione lo informa che le lenzuola che lo coprono sono di un tessuto spesso e ruvido. Cotone grezzo, lavato e inamidato troppe volte. Non le sente però direttamente a contato con tutto il corpo. Pare ci sia un camice, questa volta a vestirlo. Sente di avere le gambe e le braccia ancora più pesanti di quanto non fossero state il giorno precedente. Deve essere stato lo sforzo di aver trascinato Donovan prima lungo il corridoio poi a carponi su per le scale.
Ha gli occhi bendati. Di nuovo. La cosa buona è che questa volta non prova lo stesso dolore della precedente. Sente gli occhi indolenziti e affaticati, sì, ma non è presente la sensazione di avere aghi incandescenti a trafiggerli, né il bruciore del viso.
Anche questa volta ha un ago nell’incavo del braccio destro, ma nessun elettrodo sul torace. Decisamente un buon segno, nonostante faccia fatica a respirare. L’aria, però, non è pesante e densa, ma spruzzata a forza dentro di lui dalla cannula sotto il suo naso.
Percepisce un respiro regolare provenire da non molto lontano rispetto a dove si trova sdraiato.  Si interrompe per poi riprende, sollevato forse dalla sua reazione.
Sente l’odore di un’acqua di colonia leggera e vagamente speziata. È ancora intensa, segno che è stata messa da poco. Deve essere mattina presto, quindi. Sente anche un retro profumo di Argan unito all’acqua di colonia.
<< Mycroft >> sbuffa.
<< Felice di saperti sveglio, fratellino >> risponde questi posando appena la mano calda e asciutta sulla sua abbandonata sopra il lenzuolo << Si dice tu sia stato eroico ieri sera. “Cieco eppure capace di salvare se stesso e un’agente di Scotland Yard”, titolano i giornali. Prevedo un incremento del lavoro nel prossimo futuro. Buon per voi, me ne compiaccio >>.
<< Davvero? >> gli chiede, infastidito dalle notizie che sbattono in prima pagina la sua provvisoria cecità. << Come sta Donovan? >>.
<< L’agente scelto ha la gamba destra rotta in due punti. L’hanno operata. Se la caverà con qualche mese di gesso e tanta fisioterapia. E’ ricoverata su questo piano, qualche stanza più in là >>.
Benchè poco la tolleri, sapere Donovan fuori pericolo è davvero una bella notizia.
<< Ti informo che i miei occhi si stanno riprendendo. Ora vedo delle ombre, non è più tutto buio >> gli dice con una nota di orgoglio.
<< Sì, la tac che ti hanno fatto evidenza il veloce rientrare della scomoda situazione che ti ha colpito >> dice con una palese nota di sollievo nella voce.
<< Non lo credevi possibile, vero? >> lo stuzzica, forse solo per mettere a tacere la parte di lui che gongola dell’interessamento del fratello.
<< Sto iniziando a  pensare davvero che nulla per te sia impossibile, fratellino. Per te e per il tuo… amico >> dice portando enfasi sull’ultima parola.
<< Dov’è John? >> gli chiede stupito del non saperlo al suo fianco.
<< Praticamente svenuto su una delle poltrona della sala d’attesa. Hai sempre il brutto vizio di ridurlo ai minimi termini, quel povero dottore >>.
<< E’ più resistente di quanto immagini >> ribatte, ma il tono che voleva essere stizzito e offeso gli esce, invece, dolce e palesemente innamorato. Sente il respiro di Mycroft fermarsi per qualche istante e intuisce che anche il sorriso che si rende conto di avere sulle labbra deve essere molto eloquente. Quasi sfacciato. << Immagino che Anthea ti aspetti qui fuori >>.
<< Sì, ho una riunione diplomatica tra due ore >>.
<< Ma… che ore sono? >> .
<< Le sette del mattino >>
<< E da quanto tempo sei qui? >>
<< Ho raggiunto l’ospedale non appena John mi ha comunicato dell’esplosione  e di come tu fossi rimasto coinvolto e tratto in salvo >>.
<< E sei rimasto qui per tutto questo tempo? >>.
<< Non è la prima notte che passo al tuo capezzale, Sherlock >> risponde Mycroft, infastidito dal suo indagare l’ovvio. << Certo, speravo di non doverne vivere altre. Cinque anni di tregua, a quanto pare, sono stati troppi >>.
<< Almeno questa volta non sono qui a seguito di un’overdose >> dice mettendosi a sedere. << Grazie per l’assistenza. Penso che ora tu possa andare, non voglio trattenerti oltre: le sorti del mondo dipendono da te >> dice sporgendosi verso di lui. Cerca a tentoni il suo ginocchio e quando lo trova vi picchietta su due volte in modo ironico. Mycroft gli prende la mano nelle sue e la trattiene a sé. Una stretta determinata e decisa che da tempo non avvertiva.
<< Sei stato… eccezionale, Sherlock >>.
Il consulente resta senza parole. È davvero un complimento quello che gli ha appena fatto il fratello? A quanto pare sì. Non percepisce nessun segno di sfottò o di ironia nella sua voce, né tensione nelle sue mani. Potrebbe quasi giudicarle affettuose, per quanto Mycroft e l’affetto siano agli antipodi. Si limita ad annuire e a stringere appena la mano.
<< Approfittane per riposare ancora un po’. Non ci sono casi in questo momento, né persone da rincorrere, decisioni da prendere o deduzioni da fare. Hai dormito solo per sette ore, infondo, e il neurologo ti ha raccomandato il riposo >>. Con delicatezza posa la mano destra sulla sua spalla e lo spinge giù. Gli rimbocca le coperte e poi leggera posa una carezza sulla sua guancia. << Dormi >> gli dice tornando a sedere.
Sherlock resta immobile. Senza parole. Il torace bloccato e il respiro difficile da prendere.
<< Ho… avuto paura, Mycroft >> ammette in un sussurro, spezzando lo strano silenzio nel quale le cure di suo fratello li ha gettati. Il respiro interrotto a metà lo informa di come questi sia stupito delle sue parole. << Da quando mi sono scoperto cieco, ci sono stati momenti in queste ore di buio in cui ho sentito di non potercela fare. Una sensazione peggiore di quando ero preda delle crisi d’astinenza. Quelle prima o poi finivano. Non potevo sapere, invece, se il buio sarebbe finito. Ho avuto paura di non essere più in grado di lavorare e anche di cosa avresti fatto tu se fossi rimasto cieco. Ricordi la prima comunità in cui mi mandasti? >>.
<< Sì, Sherlock, mi ricordo >> dice in tono greve. Il respiro lento gli lascia intendere quanto non siano proprio piacevoli neppure per lui quei ricordi.
<< Mi tenevano legato al letto, ti dicevano di non fidarti di ciò che ti dicevo perché i tossici sono degli ottimi bugiardi e manipolatori. E tu ci hai creduto e non mi hai dato retta finchè una volta hanno stretto troppo forte lasciandomi i lividi. Lì non hai potuto evitare di farti venire il dubbio che forse il bugiardo non fossi io.  Pensarmi in una condizione simile e in più cieco mi ha tolto il fiato, Mycroft. Ho pensato seriamente che se mi avessero diagnosticato una cecità definitiva l’avrei fatta finita piuttosto che rischiare una simile reclusione >>.
<< Lo so, Sherlock >> dice con un sospiro. << Mi… dispiace per quanto è successo. Potessi cambierei il passato, ma purtroppo questo è l’unico potere che non ho >> gli dice stringendogli la mano. Sherlock la trattiene stringendola nella sua e Mycroft accetta quella muta richiesta di vicinanza.
<< Dormi >> gli dice nuovamente, accarezzando col pollice il dorso della sua mano.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
 
Greg raggiunge il piano in cui è ricoverato Sherlock e cerca la stanza. Accanto alla porta, ferma in piedi con lo sguardo fisso sullo smarthphone, trova quella che se non ricorda male è la segretaria di Mycroft.
<< Buongiorno >> la saluta cordiale. La ragazza solleva appena lo sguardo e abbozza un sorriso.
<< Buongiorno ispettore Lestrade >> dice tornando subito a rivolgere le sue attenzioni al telefono.
<< Immagino che il suo capo sia dentro >> dice sentendosi un idiota a constatare l’ovvio con una persona che neppure lo guarda in faccia.
<< Sta per uscire >> dice la ragazza e la porta si apre.
Mycroft incontra il suo sguardo e Greg si sforza di sostenerlo. Quest’uomo ha il potere di metterlo in soggezione, cosa che non gli piace per nulla.
<< Buongiorno ispettore >> dice chinando il capo.
<< Buongiorno >> risponde sentendosi l’ultimo degli idioti.
<< Sherlock sta dormendo >> lo informa.
<< Ho sempre pensato che non fosse in grado di farlo >> gli dice abbozzando un sorriso. << Si è svegliato oppure è rimasto incosciente dallo svenimento di stanotte? >>.
<< Sì, si è svegliato un’oretta fa’. L’ho aggiornato sulle sue condizioni e su quelle dell’agente scelto. Mi ha detto di aver visto delle ombre >>.
<< Questa sì che è una bella notizia! >> esclama e Mycroft sorride insieme a lui.
<< Sì, a quanto pare la vista sta lentamente tornando >> gli dice visibilmente sollevato << Volevo ringraziarla per aver aiutato John a soccorrerlo. So che avete guidato i soccorsi e rese più veloci le manovre di recupero >>.
<< Oh, è tutto merito di John e della sua esperienza in Afganistan >> minimizza, pensando ancora a quanto siano stati da una parte incoscienti e dall’altra fondamentali per trarre in salvo Sherlock e Sally.
<< Sì, ringrazierò anche lui. Non mi pare il caso di svegliarlo adesso: è stata anche per lui una nottataccia >>.
<< E’ tornato a casa? >>.
<< Figuriamoci se tornerebbe a Baker Street senza sapere come sta mio fratello? >> scuote il capo sconsolato. << E’ in sala d’attesa. Ormai fuso con una delle poltrone, immagino >>.
Greg non può fare a meno di ridere di quella battuta. Tutto poteva immaginare tranne che Microft Holmes fosse tipo da lasciarsi andare all’umorismo.
<< Devo scappare. Se non ha fretta entri pure, sono sicuro che gli farebbe piacere poter essere aggiornato sul caso. Le auguro una buona giornata >>.
Si salutano con veloci cenni del capo e delle mani. Mycroft si allontana con incedere meno sicuro del solito, segno che la notte trascorsa al capezzale del fratello deve averlo provato. La sua segretaria, infatti, gli cammina affianco piuttosto che qualche rispettoso passo indietro.
Greg fa capolino nella camera e vede il consulente addormentato. Si avvicina con passo incerto e prende posto sulla sedia accanto a lui.
<< Lestrade >> sussurra Sherlock voltando appena la testa verso di lui.
<< Sherlock >> ribatte lui felice di vederlo vivo. Stanco e ammaccato ma vivo. << Tuo fratello mi ha detto che hai visto delle ombre >>.
<< Sì. È stato talmente inatteso da essere shoccante. Penso di essere svenuto per questo motivo >>.
<< Veramente sei svenuto perchè eri allo stremo delle forze >> ridacchia Greg, vedendogli commentare con una smorfia poco felice la sua verità.
<< Aggiornami sul caso >> gli chiede riportandolo subito sul lavoro.
<< Lo abbiamo preso >> gli dice trionfante.
<< Senza il mio aiuto? Chi l’avrebbe mai detto che Scotland Yard sarebbe riuscita a stupirmi >>.
Greg scuote il capo sconsolato. Con la vista o senza resta sempre il solito inguaribile e geniale stronzo.
<< Veramente… devo ammettere che è tutto merito dei tuoi … collaboratori >>.
<< Gli irregolari? >> domanda incredulo.
<< John ha riconosciuto uno di loro all’ingresso della seconda entrata dell’ospedale. Gli ha raccontato cosa ti era successo e attraverso il mio cellulare gli ha inviare una foto di O’Neel chiedendo di tenere gli occhi aperti e di contattarmi subito se lo avessero avvistato. Questi hanno fatto di più >>.
<< Lo hanno catturato >>.
<< Esatto. E gliene hanno date tante da ridurlo male. E’ ricoverato al piano di sotto, piantonato da un nutrito gruppo dei miei uomini >>.
<< Spero bene che a nessuno di voi venga in mente di accusarli di qualcosa >>.
<< Figuriamoci! Fosse per me gli darei una lauta ricompensa, altro chè >>.
<< Cosa hai scoperto su questo pazzo? >>.
<< Avevo lasciato a uno dei miei il compito di fare ricerche sul suo conto, mentre venivamo in ospedale. È venuto fuori che Nathan O’Neel, è nato a Londra 26 anni fa’ da padre ignoto e madre sconosciuta >>.
<< Come sarebbe a dire ‘sconosciuta’, scusa? >>.
<< A quanto pare la madre è giunta a travaglio avanzato in ospedale e in pessime condizioni di salute, priva di documenti e non troppo in grado di intendere e di volere. È morta durante il parto e il bambino è stato… >>.
<< Spedito in un orfanotrofio di suore domenicane, immagino >>.
Greg sospira e annuisce chiedendosi ancora a cosa gli serva raccontargli le cose se deduce la maggior parte di ciò che gli dice.
<< E’ stato lì per quattro anni prima di essere adottato dai signori O’Neel, originari di Dublino. La famiglia si è trasferita nuovamente in Irlanda, cinque anni dopo, nella contea di Cork >>
<< Immagino vicino al monastero di O’Malley >>.
<< Esatto. Frequentava le attività ludiche proposte dai frati e pare che abbia espresso lui stesso, all’età di 18 anni, il desiderio di prendere i voti. Qualcosa, però, deve essere andato storto >>.
<< Dal momento che è diventato un pazzo dinamitardo con delirio d’onnipotenza e crisi mistica >>.
Greg ignora i suoi interventi e porta avanti il racconto.
<< Ha iniziato a manifestare disagio mentale dopo solo un anno di permanenza nel convento ed è stato rinchiuso in una clinica psichiatrica quando ha fatto esplodere una delle celle dei suoi confratelli. È rimasto in clinica per tre anni ed è stato dimesso perché ormai ritenuto in grado di reinserirsi nella società >>.
<< Giusto per rallegrare un po’ la giornata con qualche effetto pirotecnico speciale >>.
<< Sei pieno di sano umorismo nero, vedo, Sherlock >>.
<< Sì, sono in forma >> dice ironico. << Immagino che mi chiameranno a testimoniare per l’accusa >>.
<< Come minimo. Non solo è grazie a te se lo abbiamo preso, ma ti ha anche arrecato un danno non da poco. Che tu sia tra i testimoni d’accusa è il minimo >>.
<< Ho bisogno di chiederti un favore, Lestrade >> gli dice serio.
Greg si appoggia allo schienale. Sherlock non gli ha mai chiesto un favore, semmai è sempre stato il contrario. Questo cambio di ruoli lo incuriosisce e allarma allo stesso tempo.
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
 
John si stiracchia sbadigliando in modo sgraziato. Stropiccia il viso e volentieri tornerebbe a dormire. Peccato che, per quanto sia comoda, la poltrona sulla quale è crollato ha già compromesso il benessere della sua schiena.
Si alza in piedi ed esce dalla sala d’attesa. Sono appena le nove del mattino e il reparto è avvolto in un silenzio sornione rotto appena dai passi leggeri di qualche infermiera. Un saporito profumo di caffè giunge dalla saletta privata del medico di guardia e John pensa che un po’ di caffeina potrebbe solo giovare.
Bussa alla porta e questa viene aperta da Oliver.
<< Buongiorno John. Sei tornato tra noi? >> gli sorride l’oculista invitandolo a entrare. Gli porge una tazza di caffè senza neppure chiedergli se lo voglia. Deve avere davvero una brutta cera. << Ho sentito delle prodezze notturne tue e del tuo coinquilino all’Opera Pia. Ti faccio i miei complimenti: tu meriti la medaglia che ti hanno dato in Afganistan e lui la nomea di genio che tu stesso contribuisci a divulgare in rete >>.
John si limita a sorridere sorseggiando il suo caffè. Ha un fastidioso mal di testa che spera lo abbandoni nel giro di poco.
<< Mi aggiorni sulle sue condizioni >> chiede al collega accettando di buon grado un altro po’ di caffè.
<< Le infermiere mi hanno detto che il fratello è andato via alle otto lasciando il posto al detective. Questi ha detto loro che Holmes si è svegliato e gli ha detto di aver visto delle ombre prima di svenire >>.
<< Questa è un’ottima notizia! >> esclama John al settimo cielo.
<< Sì >> annuisce l’oculista serio. << Lo devo ammettere, John, da come era ridotto non pensavo proprio potesse tornare a vedere >>.
<< Si era capito, Oliver >> ridacchia il dottore, incapace di trattenere la gioia. << Howard ha avuto più fiducia nelle sue capacità di recupero >>.
<< Howie è un inguaribile ottimista! >> sbotta l’oculista infastidito. << Sto per andare in studio, recupera il tuo amico e portalo da me così vediamo in che condizione sono i suoi occhi >>,
Lo liquida con un gesto della mano e John si trascina fuori desideroso di andare da Sherlock e sincerarsi delle sue condizioni.
Bussa alla porta e senza attendere risposta la apre e vi fa capolino. Sherlock sembra essersi nuovamente addormentato. Entra piano con un sorriso beota stampato il faccia e si accomoda alla sedia. Non la ricordava così scomoda. Scuote il capo stupito all’idea che Mycroft ci abbia trascorso su l’intera nottata. Lui così avvezzo al lusso e alle comodità.
Quando lo ha visto entrare dall’ingresso secondario dell’Opera Pia ha temuto che in qualche modo gli avrebbe messo i bastoni tra le ruote coordinando al posto suo i soccorsi. Invece è rimasto al suo posto. Gli ha detto solo ‘Tiralo fuori da lì, John’ e lui così ha fatto. Sì è stupito quando, una volta giunti in ospedale, lo ha invitato a concedersi qualche ora di sonno.
<< Starò io con lui, John. Vai a riposare. Dovrai essere più che in forma quando si sveglierà >>.
In forma, a dirla tutta, non lo è per nulla, ma sicuramente queste ore di sonno sono servite.
Sherlock respira tranquillo. Il volto è meno gonfio del giorno precedente . Gli prende la mano e la stringe piano per non svegliarlo. Ha ancora davanti agli occhi la sua espressione di stupore, quella che aveva quando i pompieri lo hanno portato su a braccia dalle scale del pian terreno. Gli occhi spalancati che si muovevano svelti e ora sa che non erano più ciechi, ma capaci di scorgere ombre. Fenomeno che sicuramente stava esaminando.
Il peso del suo corpo incosciente gli ha causato un forte dolore alla spalla ferita. Ha temuto di averlo nuovamente perso. Quel sospiro nel quale ha pronunciato il suo nome lo sente ancora ronzargli nelle orecchie.
<< John >>
Si scuote immediatamente al sentirsi chiamare.
<< Sono qui, Sherlock >> gli dice avvicinandosi a lui. Il consulente si libera dalla stretta della sua mano e si avventura alla ricerca del suo viso. John lo aiuta andando incontro alla mano che delicata lo sfiora.
<< Come stai? >> gli chiede.
<< Bene >> sorride e un brivido lo percorre nel sentire le sue dita sfiorare la curvatura delle sue labbra. << Ho saputo che i tuoi occhi vedono ombre >>.
<< Sì >> sorride soddisfatto. << E’ successo quando sei venuto a salvarmi >>.
<< Veramente non ero io >> ammette imbarazzato. << Il capo dei pompieri non ha voluto sentire ragioni. Devo ammettere, però, che è già stato fin troppo collaborativo lasciandomi il coordinamento delle operazioni. Non davo ordini da anni >>.
<< Ti è piaciuto? >>.
<< Oh, sì! >>.
Ridono entrambi e le dita sottili di Sherlock tornano a sfiorare le labbra, le guance, a pettinare la sua barba incolta.
<< Grazie per essere tornato a prendermi, capitano >>.
<< Nessuno resta indietro, soldato >> gli risponde e nuovamente ridono.
John afferra la sua mano e la preme contro le labbra baciando queste dita curiose che tanti piacevoli brividi gli stanno causando. L’espressione di stupore di Sherlock gli strappa un sorriso, ma questa volta non si lascia intimorire dall’idea di stare esagerando. È davvero felice di essere lì con lui.
<< Sei stato bravo a non farti scappare l’occasione di mettere gli irregolari sulle tracce di O’Neel >>.
<< A quanto pare ho imparando da te più di quanto pensassi. Sono stati eccezionali. Hai dei collaboratori fidati che ci tengono tanto alla tua incolumità. Lo hanno ridotto davvero male >>.
<< Vedrò di fare loro un bel regalo, se lo meritano >> ride divertito.
<< I giornali parlano di te >> gli dice accomodando la guancia nel palmo della sua mano grande e fresca.
<< Sì, Mycroft me lo ha detto. A quanto pare sono l’eroe del giorno: cieco, ma in grado di trarre in salvo un agente rimasto intrappolato sotto un cumulo di macerie >> dice storcendo il naso. John sorride e scuote la testa.
<< E non un agente qualsiasi. Donovan >> dice alzando gli occhi al cielo. << Perché quella donna ce l’ha così tanto con te? >>.
<< Le donne sono il tuo settore, John, non il mio. Io non le capisco e non ci spreco neppure tempo nel farlo >>.
<< Ok, ma come puoi non chiederti il perché di così tanto astio? Non perde occasione per aggredirti >>.
<< John, penso ti sarai accorto che la maggior parte della gente con la quale ho a che fare finisce per prendermi a parole o tentare di darmele di santa ragione >>.
<< Sì, lo so, è per il tuo adorabile carattere e il modo dolce col quale esprimi il tuo parere personale. Lei, però, si accanisce più di tutti gli altri. Persino più di Anderson, e con lui ci vai giù pesante >>.
<< Posso supporre che non sia facile per una donna farsi strada in un mondo di uomini. E in un posto come Scotland Yard, dove questi uomini non perdono occasione per mostrare virilità e baldanza, penso sia ancora più difficile. Sally si è sudata le sue conquiste ed essere il braccio destro dell’ispettore capo è stata una di queste. Immagino che vedere arrivare me, che non sono un agente e provengo pure da una famiglia ricca, al contrario della sua, che con due parole risolvo i casi facendo fare loro la figura degli idioti, la irriti. Deve difendere con le unghie e con i denti il suo giardino e non tollera che il suo capo mi accetti permettendomi di calpestarlo >>.
<< Quindi ti tratterebbe male anche se tu fossi gentile con lei? >>.
<< Presumo di si. Tratta male anche te per il semplice fatto che stai con me e tu non le hai mai dato dell’idiota >>.
In effetti Sally ha per lui solo sguardi di sufficienza, giudizi poco lusinghieri sulla sua salute mentale legati alla scelta di seguire il ‘freak’e non perde occasione per ridere di lui. E’ possibile che sia stata proprio lei a mettere in giro quelle voci di corridoio.
<< E nonostante questo, tu l’hai salvata >>.
<< Cosa avrei dovuto fare, abbandonarla tra le macerie? >>.
<< Una come lei se lo sarebbe aspettato. Sei un sociopatico, infondo, no? >>.
Sherlock sospira e un sorriso malinconico nasce sulle sue labbra. John si è chiesto più volte se la diagnosi che così tanto declama appartenergli fosse vera o meno. Ci sono stati momenti in cui ha davvero pensato lo fosse, come durante quel folle gioco inscenato per lui da Moriarty solo un paio di mesi prima. Altri in cui, invece, lo ha trovato molto più umano di qualunque altra persona. Quel che ha fatto per Sally rientra tra questi momenti. E benchè John non lo ammetterebbe mai ad alta voce, quella donna se lo sarebbe meritato di essere lasciata a morire soffocata dalla polvere.
<< Sociopatico iperattivo >> borbotta Sherlock. Più che per correggerlo, però, questa volta sembra quasi ripeterlo a sé stesso per ricordarsene.
<< Io penso tu sia solo iperattivo >>.
<< Pensi di conoscermi così bene? >> lo sfida.
<< Sì >> ribatte determinato. << Molto più di tutti gli altri, penso persino molto più di tuo fratello. È possibile che non ti capisca, ma conoscerti, sì. Ti conosco bene, Sherlock Holmes >>.
Il consulente arrossisce. Sì, questa volta John le vede bene le sue guance farsi rosse. Deglutisce e si volta appena dall’altra parte. Le dita, però, si muovono piano ad accarezzare ancora una volta il suo sorriso. Un muto ringraziamento che riempie il cuore del dottore di commozione.
<< Oliver ti sta aspettando per visitare i tuoi occhi >> gli dice per sollevarlo dall’imbarazzo.
<< Bene, che aspettiamo? >> esclama mettendosi a sedere. John ridacchia del suo entusiasmo. << Questa volta vedo con piacere che non sono stato lasciato nudo come un verme >> dice posando la mano sulla sua spalla.
<< I tuoi vestiti sono ripiegati in una busta. Temo che dovrai gettarli >>.
<< O tenerli a memore ricordo di questa folle avventura >>.
John gli fa strada fino allo studio di Oliver che lo accoglie con una pacca sulla spalla più calorosa del solito.
<< Le avevo detto che ci saremmo rivisti la prossima settimana, signor Holmes >> ride l’oculista. << Invece, a quanto pare, lei ha voluto ridurre i tempi >>.
<< Più che ad essere io sono state le circostanze, dottore >> ribatte Sherlock abbozzando un sorriso.
<< Ho saputo che prima di perdere i sensi si è accorto di riuscire a vedere delle ombre >>.
<< Sì, ho visto una luce forte e le sagome delle persone attorno a me >>.
<< Immagino sia inutile dirle che è una splendida notizia. Vediamo subito che sta succede ai suoi occhi. Si accomodi >>.
Oliver abbassa le tapparelle in modo da creare un ambiente in penombra. Lentamente scioglie le bende e pulisce le palpebre con della soluzione glucosata.
<< Quando vuole, signor Holmes >> gli dice, invitandolo ad aprire gli occhi.
John si rende conto di essere teso. Tiene le braccia strette al petto, i pugni chiusi e sta mordendo il labbro inferiore. L’esito di quel primo sguardo evidentemente è davvero importante per lui. Con una lentezza snervante e che non gli si confà per nulla, Sherlock apre gli occhi. Lo stupore che gli legge sul volto emoziona John. Il consulente si guarda attorno, alza lo sguardo verso Oliver e poi lo rivolge verso di lui. Gli sorride e il dottore si ritrova a soffocare un singhiozzo.
<< E’ bello vedere una macchia scura a forma di te, John >> gli dice e la risata nervosa che si lascia sfuggire è accompagnata da qualche lacrima di gioia.
<< Nessuno mi aveva mai dato della macchia scura. È un bellissimo complimento >> ribatte commosso. Oliver tossicchia e certo riesce a richiamare la sua attenzione, ma non quella di Sherlock che continua imperterrito a guardarlo con un sorriso così bello e contagioso.
<< Spostiamoci al macchinario >> propone l’oculista. Sherlock si alza in piedi, osserva attentamente quanto lo circonda e poi si muove autonomamente verso il macchinario. John e Oliver si scambiano uno sguardo stupito. L’oculista impiega qualche secondo di troppo per sedersi allo strumento e portare avanti la sua visita. Scocca a John occhiate stupite di tanto in tanto, che fanno molto bene all’umore del dottore.
<< Davvero sorprendente >> sussurra Oliver. << La tac che le hanno fatto questa notte evidenzia la diminuzione dell’embolia che ha causato l’amaurosi. Le sue cornee, da quel che posso vedere, sono quasi guarite, come dimostrano le ombre che riesce a vedere. Mi congratulo con lei, è riuscito a stupirmi. Devo ammettere che non avrei scommesso sulla possibilità che tornasse a vedere >>.
<< Me ne ero accorto dottore >> sbuffa Sherlock passando delicatamente le dita sugli occhi. John gli si avvicina per rifare il bendaggio.
<< Continua la cura con la pomata di nifedipina e rifai il bendaggio ogni otto ore fino alla fine della settimana >> gli dice Oliver, aggiornando la cartella clinica. << Nel frattempo cercate un paio di occhiali dalle lenti scure che coprano interamente l’occhio. Quelli temo dovrà portarli a lungo, signor Holmes. Ci vediamo la prossima settimana. E questa volta facciamo che sia davvero così, intesi? >>.
Sherlock ridacchia della battuta del dottore e gli stringe la mano quando questi la avvicina alla sua.
<< Mi raccomando, John, se ti è possibile tienilo a riposo. Non è stata una mossa furba farlo stare in piedi per tutte quelle ore, ieri. Non mi sembra di doverti ricordare che ha avuto un trauma cranico >>
<< Stavamo seguendo un caso >> ribatte Sherlock. << Se mi avesse impedito di continuare a lavorare sarei caduto in depressione e forse sarei ancora al buio >>.
John passa la mano tra i ricci di Sherlock. Una libertà che in altre circostanze non si sarebbe preso, ma in questo momento ben poco gli importa di cosa possa pensare il suo collega.
<< Non per tutti il riposo è la migliore medicina, Oliver >> dice pettinando i ricci del consulente. << Però, ora che il caso è chiuso e che gli occhi stanno migliorando, cercherò di fargli seguire il tuo consiglio >>.
Oliver annuisce soddisfatto e li congeda dando a Sherlock una pacca anche troppo energica sulla spalla.
<< Torniamo a casa, John? >>.
<< Direi di sì, Sherlock >> dice facendogli strada verso la stanza. << Tuo fratello ti ha procurato un completo nuovo >>.
<< Oddio, no! Ha un gusto pessimo >> ribatte esibendosi in una spassosa espressione di disgusto.
<< A me non sembra >> dice tenendo aperta la porta della camera per permettergli di entrare.
John resta sulla soglia e lo osserva aiutarsi con l’odorato a trovare i nuovi vestiti. Ne saggia il tessuto e tenta di capirne la forma.
<< Non ne sono convinto >> sentenzia tenendo per il colletto la camicia tra indice e pollice.
<< Fila a fare la doccia, dai, che non mi fido di come ti hanno lavato e sporcare quel completo sarebbe un peccato >>.
Gli mette in mano asciugamano, sapone e boxer e lo segue attendo con lo sguardo, stupito dalla semplicità con la quale trova il bagno. Vorrebbe dirgli di non esitare a chiamarlo in caso avesse bisogno di aiuto, ma non ce la fa. È stato abbastanza complicato non lasciare intendere l’effetto che gli ha fatto vederlo nudo quando lo ha trovato seduto sul tappetino dal loro bagno. Ora che è più stanco e che già troppe libertà si è preso sarebbe ancora più difficile.
Sherlock trascorre così tanto tempo sotto la doccia da farlo appisolare sulla sedia scomoda. Lo vede uscire con indosso i boxer e i capelli bagnati e avvicinarsi silenzioso al letto dove ha lasciato il completo. John lo osserva mentre si veste e, a causa di qualche strano meccanismo un po’ perverso, assistere alla copertura graduale del suo corpo magro e pallido lo eccita.
<< Tutto bene, John? >> gli chiede voltandosi appena verso di lui, mentre prende la camicia e la sbottona per indossarla. Ridacchia pensando che questa esperienza gli renderà la vita ancor più difficile. Se prima gli bastava un’occhiata per dedurre ogni cosa, ora ha affinato al tecnica al punto che gli basta il minimo suono.
<< Toglimi una curiosità, ma sei in grado di sentire il rumore dei muscoli? >>.
<< Oddio, non oso così tanto >> ridacchia vestendosi. << E’ il respiro >>.
<< Il respiro? >>.
<< Sì. Si possono capire tante cose dalle variazioni del ritmo e del suono del respiro. Il tuo, ad esempio, ora varia da momenti di apnea ad altri più sincopati >>.
<< E cosa ne puoi dedurre? >>.
<< Che sei eccitato >> si volta verso di lui e, benchè ci sia uno spesso bendaggio a coprire gli occhi del consulente, John distoglie lo sguardo imbarazzato. Sherlock ridacchia e si posiziona davanti a lui. Lentamente inizia ad abbottonare la camicia partendo dall’ultimo bottone.
<< Non pensavo ci fossero persone capaci di eccitarsi dinanzi ad un… come chiamarlo? Spogliarello al contrario? >> dice con un tono di voce più basso, lento che trova a dir poco sensuale.
<< Nemmeno io >> ridacchia lui sincero.
<< Dimmi, sto facendo un buon lavoro >> gli chiede con quello stesso tono e John non sa se si riferisca alla lentezza snervante con la quale sta abbottonando la camicia o al fatto che stia facendo entrare correttamente i bottoni nelle asole corrispondenti.
<< Direi di sì >> risponde e la perdita di controllo sempre più imminente la evince dal tono di voce divenuto a sua volta basso e vibrante. Sherlock ride e vedere le sue guance che si colorano di rosso lo manda del tutto fuori.
<< Permettimi di aiutarti >> gli propone, alzandosi in piedi. Scosta le sue dita dai bottoni e continua il lavoro al posto suo. Lento, come lui lo stava facendo. Prova a sua volta a concentrarsi sul respiro di Sherlock e si accorge che tutte le volte in cui sospira questi resta senza fiato.
<< Impari in fretta, capitano >> sussurra. Il suo fiato fresco della menta del dentifricio appena usato manda John in estasi. È giunto al penultimo bottone e vorrebbe strappare tutto con un gesto secco facendo schizzare quei cerchiolini di perla ovunque nella stanza.
<< Ora devo rincalzarla nei pantaloni >> sussurra percorrendo con le dita prima il torace, poi l’addome del consulente, fermandosi ai fianchi.
<< Sì, credo proprio tu debba farlo. È da sciatti andare in giro con la camicia fuori dai pantaloni >> dice questi posando le mani sui suoi avambracci, invitandolo a proseguire.
<< Sì, assolutamente da sciatti >> sussurra John, spostando il bordo dei pantaloni per farsi spazio. Posa le mani sulla schiena di Sherlock e le fa scendere stirando la camicia per poi rincalzarla sulla parte posteriore. Indugia sui glutei sodi, giusto per assicurarsi di stare sistemando per bene l’indumento.
<< Altrimenti scappa fuori >> si giustifica.
<< Non sarebbe per nulla una bella cosa >> sussurra Sherlock al suo orecchio, in questo abbraccio che li porta così vicini. Sente il suo respiro accelerare e la guancia coperta appena da una sottile barba premere contro la sua. Sposta le mani sui fianchi e prima di rincalzare la camicia sul davanti sfiora col naso la sua guancia. Piano Sherlock si volta verso di lui. Dio, come sa essere lento adesso, quando, invece, per ogni altra cosa i suoi movimenti sono così frenetici.
<< Prima, durante la visita, non ho avuto modo di dirtelo >> sussurra fissando lo spesso bendaggio che lo separa dai suoi occhi.
<< Cosa? >> gli chiede Sherlock allarmato.
<< La tua bellissima eterocromia è tornata a colorare le tue iridi >> gli dice sfiorandogli il naso col proprio. Sherlock sorride sollevato.
<< L’unica cosa etero che io possieda >> sussurra malizioso. Con le sue dita lunghe e sottili gli accarezza il viso, ne disegna il contorno. Raggiunge le sue labbra e le percorre di nuovo, creando un brivido ora così forte da scuotere John dalla testa ai piedi. Sherlock sorride della sua reazione.
<< E’ decisamente eccitato, capitano Watson >> sussurra così vicino alle sue labbra da sfiorarle con le proprie. John ridacchia imbarazzato e con un movimento forse un po’ troppo brusco rincalza anche l’ultima parte della camicia nei pantaloni. Sherlock ansima mordendo il labbra inferiore.
<< Anche lei, signor Holmes >> sussurra a sua volta, indugiando nel sistemare la camicia.
<< Una situazione davvero imbarazzante >> sospira Sherlock sfiorando col suo naso quello di lui.
<< Già. Come ne usciremo?>> dice rispondendo alla carezza mentre con la stessa lentezza avvicina i lembi della cerniera, badando bene di premere le dita contro la sua erezione prima di tirarla su. Chiude il bottone e spinge i fianchi di Sherlock contro i suoi. Il consulente lascia sfuggire un gemito.
<< Dobbiamo proprio uscirne? >> gli chiede questi sfiorandogli la guancia con le labbra.
<< Siamo nella stanza di un ospedale. Qualcuno potrebbe entrare da un momento all’altro e non prenderla propriamente bene >>.
<< Perché siamo due uomini? >> gli chiede sfiorando con le dita la sua schiena dalla quale si propagano brividi piacevoli che aumentano la tensione al basso ventre.
<< No, perché sono atti osceni in luogo pubblico, Sherlock >> ridacchia John mordendogli la guancia.
<< Noiosi! >> sbuffa il consulente posando le labbra finalmente sulle sue. John perde il lume della ragione. Lo spinge a indietreggiare fino a toccare la parete e, contrariamente a quanto ha lui stesso detto poco prima, lo coinvolte e si lascia coinvolgere in un bacio appassionato e travolgente.
<< Com’è volubile, capitano >> sussurra Sherlock ridendo, mentre si allontana da lui per riprendere fiato.
<< Sta succedendo tutto un po’ troppo in fretta, non credi? >> dice John, passando le mani sul viso infuocato.
<< Per me sarebbe potuto succedere già tempo fa’ >>.
<< E quando? >>.
<< La sera in cui concludemmo il caso del taxista serial killer. È stato molto eccitante sapere che hai ucciso un uomo per salvarmi >>.
<< Mi avevi detto di essere sposato col tuo lavoro! >> esclama John stupito e anche un po’ infastidito all’idea del tempo che hanno perso.
<< John, durante la cena da Angelo ci hai provato spudoratamente e io non sapevo ancora se potermi fidare di te o no. Non volevo essere solo l’ennesima tacca sulla tua cintura. Non sono tipo da andare a letto con il primo che capita, mentre di te non si può dire lo stesso >>.
John vorrebbe ribattere, ma si rende conto di non avere argomentazioni in suo favore. In effetti ha sempre macinato un flirt dietro l’altro. Alcuni di questi sono diventate pseudo relazioni che comunque, anche prima che arrivasse Sherlock a fargliele capitolare, non duravano mai più di un mese o due al massimo.
<< Quando, invece, ho visto come ti sei preoccupato per me e ho capito che eri addirittura arrivato al punto di uccidere, sebbene mi conoscessi da un paio di giorni… beh, allora ho cambiato idea >>.
<< E perchè non ti sei fatto avanti? >>.
<< All’inizio ho voluto metterti alla prova. Sì, ammetto di essere stato stupido, ma dovevo avere la certezza che potesse essere qualcosa di bello e duraturo >>.
<< Lasciami dire che non ho percepito il minimo tentativo di essere messo alla prova. Pensavo solo fossi uno stronzo privo di alcun rispetto per il prossimo, né capacità empatica >>.
<< Eppure sei rimasto >>.
<< Sì, te lo concedo. Non posso farci nulla se sei affascinante al punto da creare dipendenza >> ammette facendolo ridere. << Non ci hai provato, allora, perché non ho superato il test. Oppure siamo ancora nel pieno della ricerca? >>.
<< No. Il test si è concluso da un bel po’. Solo che, in contemporanea, è arrivato Moriarty >> dice uscendo dal suo abbraccio.
<< E cosa c’entra quel pazzo con noi? >>.
<< Oh, John, tu guardi… >>.
<< … ma non osservi. Sì, il concetto mi è chiaro ormai. Cosa non osserverei, illuminami? >>.
<< Stare con me ti mette in pericolo >>.
<< Direi che una fetta abbondante del motivo per il quale sono rimasto con te nasce proprio da questo >>.
<< Sì, lo so. Tu e la tua dipendenza da adrenalina mista a istinto suicida >> sbuffa scuotendo il capo. << Moriarty vuole bruciarmi il cuore, lo hai sentito, no? L’unico modo in cui potrebbe farlo è facendoti del male >>.
<< E tu vuoi proteggermi tenendomi a distanza >> annuisce John e ora gli è tutto più chiaro. << Sherlock… io sarò quello che ‘guarda ma non osserva’, ma lasciami dire che anche tu alcune cose non le prendi proprio in considerazione >>.
<< Quali cose? >>.
<< Non ti rendi conto che già portandoti a tenermi a distanza sta ottenendo il suo intento? >>.
<< Sì, lo so, ma almeno non ci vai di mezzo tu. Sono il solo a soffrire >>.
<< Su questo avrei giusto due cose da dire. Hai deciso per entrambi e questo non mi va giù. Avresti potuto parlarmene e chiedermi cosa ne pensavo >>.
<< Sapevo già che mi avresti detto che non ti importava delle sue minacce, non potevo rischiare ti impuntassi come stai facendo adesso >>.
<< Certo, perché tu deduci già ogni cosa e, dato che la deduci, parti dal presupposto di sapere già quali saranno le mosse successive dell’altro e le sue decisioni e quindi in base a quelle ti muovi di conseguenza, senza dare all’altro la possibilità di capire cosa stia succedendo. Non funziona così una relazione, Sherlock. Cosa pretendi che dovremmo fare adesso, ad esempio? >>.
<< Dopo questo scambio di effusioni, intendi? >> .
<< Dopo questi baci appassionati e queste carezze molto intime, sì >> dice John, infastidito dal modo in cui ha minimizzato quanto appena accaduto tra loro. << Dovremmo fare finta di nulla? Oppure agire nell’ombra come fossimo due amanti clandestini? >>.
<< No, non mi piacciono le cose nascoste e mascherate, John >> dice deciso. << Per questo ho fatto di tutto per evitare che accadesse >>.
<< Ma intanto è accaduto ed è stato bello >>.
<< Oddio, sì >>.
Sherlock si lancia in un bacio che stona decisamente con quanto ha finora detto. John non ci vede alcuna intenzione di proteggerlo evitando di lasciare libero sfogo ai loro sensi, in questo momento.
<< Abbiamo solo una possibilità, allora >> dice Sherlock rompendo il bacio.
<< Quale? >> chiede John catturando nuovamente le sue labbra, mentre lo stringe a sé per il piacere di farlo gemere.
<< Trovare Moriarty ed eliminarlo >>.
<< Un gioco da ragazzi >> ridacchia John.
<< Ho giusto un paio di idee su come fare >>.
<< Non ne avevo dubbi. Che ne dici se andiamo a casa, in modo che tu possa illustrarmele con dovizia di particolari? >>.
<< Vedo che è molto interessato alla faccenda, capitano >>.
<< Direi che ne va della mia vita… affettiva e sessuale, signor Holmes. E anche della sua >>.
<< E’ così gentile allora da offrimi la spalla per uscire da qui? >>.
John gli prende la mano e si allontana da lui. Sherlock sorride e scuote il capo lasciandosi portare per mano fuori dall’ospedale.
 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
 
O’Neel è immobile, da tre ore. Lo sguardo perso nel vuoto e nessuna intenzione di spiccicar parola. Greg porta avanti l’interrogatorio, ma sembra lui stesso non vedere l’ora di togliersi da lì.
Sherlock li osserva dal vetro unidirezionale. È il suo primo giorno senza il bendaggio e si sta abituando alle lenti scure che gli coprono bene gli occhi. Vede ancora solo ombre, ma riesce a distinguere la scena dinanzi a sè.
O’Neel è stato dimesso dall’ospedale solo il giorno prima e questa mattina alle 8 in punto è stato portato nella stanza degli interrogatori.
<< Di questo passo non andremo da nessuna parte >> sbuffa Sherlock infastidito dal divieto che il commissario capo gli ha imposto. Non vuole dargli la possibilità di interrogare il dinamitardo. Lo ha ringraziato per il suo lavoro, ma ora spetta a Scotland Yard fare la sua parte.
“Buffone!” pensa Sherlock che ha promesso a John di fare il bravo per il bene dei suoi occhi. Il dottore gli si avvicina e posa una mano sulla sua schiena.
<< Va bene, ma sia chiaro che io verrò con te >> dice John, che ha già intuito le sue intenzioni. Il suo dottore ha davvero imparato ad osservare grazie alla sua brutta disavventura. E quando si tratta di osservare lui le sue deduzioni sono ancora più precise.
Fregandosene degli out out imposti dal commissario capo, Sherlock prende la cornetta del telefono e contatta il detective nell’altra stanza. Lo intravede alzarsi e rispondere, quasi sollevato dell’opportunità che gli sta dando di allontanarsi da quell’uomo inespressivo.
<< Lascia provare me >> gli propone e Greg, per quanto sappia di andare contro l’ordine di un superiore, annuisce e li raggiunge.
<< Nessun gesto avventato, Sherlock >> gli intima chiudendosi la porta alle spalle. Questa è la prima occasione che ha di ritrovarsi faccia a faccia con l’uomo che lo ha accecato, è normale che Greg tema che lui o John gli vogliano saltare al collo. << Hai un’ora >>.
<< Mi basterà molto meno >> dice sicuro di sé uscendo seguito da John. Questi lo precede all’interno della stanza degli interrogatori. Il loro ingresso sembra scuotere O’Neel. Sherlock percepisce il suo respiro accelerare leggermente, benchè non sembri manifestare alcun nervosismo.
Sherlock si siede dinanzi a lui e John si posiziona in piedi al suo fianco.
<< Agente può abbassare le luci, per favore? >> chiede al Bobby che silenzioso piantona uno degli angoli della stanza. L’agente esegue e Sherlock toglie gli occhiali e li appoggia sul tavolo. O’Neel ridacchia. Per ore è stato zitto e immobile e gli è bastato così poco per causargli una reazione.
<< Ti ho tirato un gran bello scherzo >> ridacchia folle. Quella risata gli accappona la pelle e gli toglie il fiato. Un lampo gli compare dinanzi agli occhi, come fosse una piccola esplosione, e ciò che teneva bloccati i ricordi nel suo Mind Palace salta. Quella frase lo riporta al momento in cui ha rincorso O’Neel. Lo vede voltarsi verso di lui senza interrompere la sua fuga.
<< Sto per tirarti un gran bello scherzo! >> gli grida per poi estrarre da sotto la giacca la bomboletta e spruzzargli il getto urticante negli occhi.
Ora tutti i ricordi lo investono, togliendogli il fiato. L’incontro con O’Malley, le deduzioni dinanzi alla bacheca nel suo nascondiglio e il tassello mancante trovato grazie al poster nella baracca del dinamitardo sul Tamigi.
<< Sherlock tutto bene? >> gli sta chiedendo John. La sua voce sembra arrivare da molto lontano. Risale lentamente nel mare di ricordi che lo hanno travolto come uno tzunami. Riemerge prendendo una grossa boccata d’aria.
<< Mai stato meglio, John >> risponde volgendo lo sguardo a O’Neel. Le ombre sono più nitide. Non solo più macchie indistinte, come poco prima, ma figure sfocate. Ci dev’essere una qualche connessione tra i suoi ricordi e il problema agli occhi, ma non è questo il momento per indagare.   
<< Un gran bello scherzo, sì >> ribatte Sherlock abbozzando un sorriso.
<< Sono stato bravo, vero? >> si pavoneggia O’Neel per poi ridere forte.
<< Davvero molto bravo >> conferma Sherlock.
<< Io avrei preferito farti saltare la testa, come a quel porco di O’Malley >> ringhia sputando fuori con disgusto il nome del frate. << E’ quella la giusta fine per voi luridi succhia cazzi >> sentenzia sicuro di sé, appoggiandosi allo schienale della sedia. << Lui, però, mi ha detto che accecarti sarebbe stato più divertente. ‘Senza i suoi occhi stregati non è che un omuncolo privo di alcuna qualità’, mi ha detto e devo dire che è vero. Cosa sei ora tu, se non un povero cieco? >> cantilena sporgendosi verso di lui.
Una delle deduzioni alla quale era giunto prima dell’incidente è legata a questo ‘lui’ che ora il ragazzo tira in ballo. Il suo inconscio lo stava rimettendo sulla giusta strada quando lo ha portato a chiedere a Lestrade di fargli il favore di indagare sul materiale che O’Neel era solito usare per le sue bombe. Le differenze nella qualità degli ordigni che di volta in volta ha utilizzato sono evidenti. Ora sa che era stato O’Malley a parlargli di questo benefattore, come il dinamitardo lo chiamava, che lo stava aiutando a compiere la sua impresa.
<< Così hai avuto bisogno di rivolgerti al consulente criminale per poter attuare il tuo piano >> dice e percepisce il respiro del ragazzo fermarsi un istante, stupito del suo sapere chi gli avesse consigliato di tiragli quello scherzo così divertente. Alle sue spalle anche John resta senza fiato.
<< Oh, ti sbagli >> ride O’Neel ritrovando fiducia in sé. << E’ stato lui a venire da me >>.
Questa Sherlock non se l’aspettava. Si impone di non dare a vedere quanto la notizia lo abbia stupito e spera che anche John faccia altrettanto. Percepisce il respiro del dottore prima fermarsi e poi accelerare, ma sa quanto grazie ai suoi trascorsi militari sia in grado di mettere su una vera e propria faccia da poker quando vuole.
<< Siete collaboratori, quindi >>.
<< Oh, sì >> ride allegro. << Mi procura tanti bei giocattoli per assemblare le mie bombe >>.
<< Il gioco a quanto pare, però, è finito >>.
<< No, signor Holmes. Il gioco non finisce mai >> gli dice serio. << Ci sono ancora due grandi bombe da far esplodere >>.
<< E le farà esplodere lui per te? >>.
<< Questi erano i patti: io accecavo te e lui mi aiutava a compiere la mia vendetta >>.
Sherlock resta senza parole. A quanto pare Moriarty ha ingaggiato questo pazzo al solo scopo di privarlo della vista. Perché mai? Gli aveva detto che gli avrebbe bruciato il cuore. Cosa c’entrano i suoi occhi con il suo cuore?
“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore”.
Il proverbio si impone nella sua mente.
<< Non ti rendi conto che già portandoti a tenermi a distanza sta ottenendo il suo intento? >> aveva detto John.
Sherlock chiude gli occhi e scuote lento il capo. È tutto qui. Quel pazzo ha ingaggiato un dinamitardo, con tutte le conseguenze che questo ha comportato, solo per spingerlo ad allontanare John. E lui, proprio come questi gli ha fatto notare, aveva quasi fatto sì che il suo intento si avverasse. Per Moriarty è solo un giochetto macabro e infantile. Fargli sperimentare la cecità. Togliergli il prezioso bene della vista per far sì che si rendesse conto che nulla per lui è impossibile. La rete di Moriarty tocca ogni settore importante d’Europa, se non del mondo intero. Non c’è nessuno che lui non possa avere, nulla che non possa ottenere.
“Tranne me!” pensa e un brivido di paura e orgoglio lo attraversa.
<< E così, Nathan, ti sei lasciato usare. Anche questa volta ti hanno illuso e usato >>.
Il respiro del ragazzo si ferma, così come ogni suo muscolo.
<< Cosa vorresti dire? Io non mi faccio usare, non più! >> grida battendo il pugno sul tavolo. Il Bobby fermo all’angolo muove un passo verso di loro e Sherlock gli intima di fermarsi con un gesto della mano.
<< Non è colpa tua. E’ parte integrante del tuo DNA >> dice tenendolo sotto il tiro dei suoi occhi opachi. << Te lo ha trasmesso tua madre, Nathan >>.
<< Non osare fare il nome di mia madre, maledetto pervertito >> scatta in piedi il ragazzo.
<< Oh, ma io il suo nome non lo conosco. Nel tuo certificato di nascita c’è scritto padre ignoto e madre sconosciuta. Sembreresti essere apparso dal nulla. Figlio di te stesso. Roba molto religiosa, non trovi? >>.
<< Non bestemmiare, maledetto. Io so chi era mia madre! >>.
<< Davvero? >>.
<< Certo, una volta compiuti 18 anni ho fatto delle ricerche e ho scoperto che era una suora domenicana. È stata stuprata da quel porco di O’Malley, che ha ritrattato l’accusa quando gli è stata mossa. Quella stronza della madre superiora l’ha buttata fuori dal convento accusandola di essere un demone seduttore. Lei non aveva nessun altro posto dove andare >> grida il ragazzo, la voce strozzata dal pianto. << Ha vagabondato per nove mesi e quando è arrivato il momento di partorire non ha saputo fare altro che recarsi dalle sue consorelle. Quelle stronze, però, l’hanno ulteriormente oltraggiata omettendo il suo nome dal mio certificato di nascita per non portare il disonore nella loro congregazione >>.
<< Così tu hai visto bene di far saltare in aria ogni luogo gestito dall’ordine dei domenicani >>.
<< Meritano solo di bruciare tra le fiamme dell’inferno per quello che le hanno fatto >> grida battendo i pugni sul tavolo.
<< E per quello che hanno fatto anche a te >> dice Sherlock e il ragazzo si congela sul posto.
<< Tu cosa ne sai di quel che mi hanno fatto? >> ringhia colpendo ancora una volta il tavolo. Sherlock resta immobile e alle sue spalle sente John agitarsi per la piega che sta prendendo l’interrogatorio.
<< So che sei stato affidato all’orfanotrofio domenicano di Londra che ti ha trovato una bella famiglia di origini irlandesi. Con questa sei tornato in Irlanda, ma il destino ha voluto che perdessi i tuoi nuovi genitori in un tragico incidente quando avevi solo 18 anni. Hai deciso, allora di unirti ai frati dell’ordine domenicano, seguendo forse un richiamo inconscio. È lì che hai scoperto cosa è successo a tua madre. Deve essere stato terribile per te sapere che la nuova famiglia che avevi scelto era la stessa che aveva ucciso tua madre. La stessa che attraverso O’Malley stava uccidendo anche te >>.
<< E tu come fai a saperlo? >> gli chiede stupito.
<< Perché è stato lui stesso a dirmelo >>. Il ragazzo si lascia cadere a sedere sulla sedia. << E’ venuto da me per implorarmi di fermarti. Mi ha raccontato del vostro incontro al convento di Cork e di come abbia avuto per te attenzioni troppo esplicite e a te non gradite. A quanto pare, però, non si è dato pena di tirarsi indietro dinanzi ai tuoi rifiuti. Eri talmente disperato di aver trovato l’inferno la dove speravi nel paradiso da tentare di ucciderlo facendogli esplodere la cella. Questa mossa, però, ti si è ritorta contro. Tu sei finito in manicomio e lui sbattuto fuori dal convento. Ha scoperto solo una volta venuto qui a Londra chi eri. Lo ha scoperto proprio grazie a Domiziana alla quale poi ha tentato di affidarti. Diceva di essere pentito di quanto ti ha fatto >>.
<< Quel porco non sapeva cosa fosse il pentimento! >> ringhia il ragazzo.
<< Concordo con te >> gli dice e ne percepisce lo stupore. << Era un uomo viscido, che voleva redimerti solo per lavarsi la coscienza e ha chiesto a me di farlo quando ha capito che non ce l’avrebbe fatta con le sue sole forze. Tu, però, non sapevi che fosse lui tuo padre, non è così? >>.
<< No. Lo avessi saputo lo avrei ucciso molto tempo prima! >> dice tra i denti. << L’ho scoperto solo il giorno dopo averti accecato. È stata quella suora a dirmelo. Le aveva chiesto di mantenere il segreto. Si è resa sua complice e sono felice sia morta >> ride di una risata agghiacciante. << Quando è venuto da me maledicendomi per ciò che ti avevo fatto gli ho reso il ben servito e gli ho fatto esplodere quella maledetta bocca che mi premeva contro ogni giorno. Quella lingua oltraggiosa con la quale lasciava sul mio corpo scie di sudicia bava >>. Il ragazzo prende la testa tra le mani e ansima in modo struggente. << Non potevo permettergli di vivere. Non dopo quanto avevo scoperto >> piange apertamente. << Lui mi ha usato. Diceva che ero la sua bambola e io ho invertito i ruoli e ho fatto quello che tutti i bambini prima o poi fanno alle bambole: l’ho distrutto >>.
<< Anche Moriarty ti sta usando, Nathatn >> dice Sherlock che prova una profonda pena per questo ragazzo vittima di così tanta e ingiusta violenza.
<< No, ti sbagli! >> ringhia battendo i pugni sul tavolo. << Lui mi ha aiutato. È stato l’unico a capire quanto siano stati ingiusti con me e mi ha incoraggiato nel portare avanti la mia vendetta >>.
<< Che però è rimasta incompiuta! >> insiste per portarlo a rivelare i suoi piani. Il ragazzo ride euforico.
<< Questo lo dici tu, mio piccolo topino cieco >> cantilena alzandosi in piedi. << I frati neri hanno vita breve, ormai. Cadranno e travolgeranno tutti coloro che percorrono il loro cammino. Nel giorno di massima celebrazione esploderanno in mille piccoli pezzi e tu non potrai salvarli, Sherlock Holmes. Cosa può fare un povero topolino cieco braccato da un enorme gatto nero? >>.
Quelle parole senza senso hanno tutta l’aria di una profezia. Sherlock la studia, rivedendola pezzo per pezzo nella sua mente e quando trova la soluzione si alza in piedi con furia tale da far cadere la sedia. Esce dalla stanza accompagnato dalle risate isteriche del ragazzo.
<< Cosa cazzo sta succedendo, Sherlock? >> lo accoglie Greg nervoso, chiudendo la porta della stanza unidirezionale alle spalle di John. << C’è Moriarty dietro questa storia? Il pazzo dinamitardo dell’altra volta? Cos’è un proseguimento di quell’assurdo gioco che ha ingaggiato con te? >>
<< In un certo senso temo di sì, Lestrade >>.
<< Cos’era quella frase senza senso, Sherlock? Aveva tutta l’aria di una profezia >>.
<< Lo è John >> annuisce ammutolendo i due uomini e i tre agenti presenti nella stanza. << Ci ha indicato il luogo delle prossime due esplosioni >>.
<< Due esplosioni? >>.
<< Sì, Lestrade e questa volta saranno enormi e maledettamente serie >>.
<< Ti prego, dimmi che l’hai decifrata e che mi sai dire dove avverranno >> lo implora il detective afferrandogli le spalle.
<< Certo che l’ho fatto >>
<< Oh, dio ti ringrazio >> esclama il detective stringendolo tra le braccia.
<< Che giorno è oggi? >> gli chiede liberandosi dal suo abbraccio.
<< Il primo luglio, perché? >>.
<< Lestrade, questa è la tua occasione per dimostrarmi che Scotland Yard vale qualcosa! >> gli dice afferrandolo per il bavero della camicia. << Quei due pazzi hanno piazzato una notevole quantità di esplosivo sul Blackfriars bridge >>.
<< Il ponte dei frati neri![1] >> esclama John portando le mani alla testa. << Quel ponte è sia stradale che pedonale, se dovesse davvero saltare in aria causerebbe migliaia di morti! >>.
<< Cristo! >> esclama Greg. << Non oso immaginare quale sia l’altro >>.
<< Il monastero dei frati domenicani >> lo informa Sherlock facendolo impallidire.
<< Tu mi stai dicendo che dovrò far chiudere il terzo ponte di Londra, mettere in sicurezza tutto ciò che si trova sia su una sponda che sull’altra, e stiamo parlando di inezie come il Waterloo bridge, il Blackfriars Railway bridge, le Inns of court, la Blackfriars station e persino la Tate modern art gallery e l’Oxo , ed evacuare un intero monastero di frati? >>.
<< Sì, Lestrade e grazie al mio brutto vizio di non stare alle regole hai esattamente... che ore sono? >>.
<< Le undici e mezza >> gli dice John.
<< Hai dodici ore e mezza per fare tutto quanto >>.
Greg porta le mani ai capelli, prende un profondo respiro e inizia a impartire ordini come un matto. Chiama gli artificieri e lì fa convergere in zona insieme a tutto uno squadrone di volanti dirette in tutti i punti caldi da lui elencati poco prima.
<< Sherlock, ti rendi conto che se quel ragazzino ti ha giocato un altro bello scherzo questa volta la prossima testa che salterà come quella di quel frate sarà la mia, vero? >> gli dice Greg afferrandolo per il braccio.
<< Non è uno scherzo, Lestrade >> ribatte liberandosi dalla sua stretta. << Preoccupati delle pessime intenzioni dei tuoi superiori, piuttosto che della veridicità delle mie deduzioni >>.
<< E con questo cosa vorresti dire? >>.
<< Il commissario capo non mi ha concesso di interrogarlo fin dall’inizio, facendoci perdere ore preziose. Se a questo aggiungi il fatto che è stato lui a insistere affinchè partecipassi alle indagini, proprio lui così contrario all’uso di professionisti esterni, se unisci i punti puoi farti un’idea di chi lavori per Moriarty anche all’interno del corpo di polizia di cui fai parte >>.
<< Tu mi stai dicendo che il mio capo è un venduto, Sherlock? >>.
<< Venduto o ricattato, Lestrade. Non conosco ancora tutti i particolari, ma so che Moriarty ha ingaggiato O’Neel per accecarmi e che il tuo commissario si è intromesso in modo sospetto, dal momento che sarebbe bastato aspettare che tu venissi a propormi il caso come fai sempre >>.
<< Sono accuse grosse quelle che gli stai muovendo contro, Sherlock >>.
<< Lo so, Lestrade. Tu coordina le operazioni e lascia a me questa parte della patata bollente  >>.
<< Cosa vuoi fare? >>.
<< Trovare le prove che inchiodano il tuo capo. Sarà solo l’ennesima pedina, ma non può passarla liscia >>.
<< Va bene, Sherlock, fai tutto ciò che ritieni necessario. Io ho un po’ di cose da fare adesso >>.
Il detective esce dalla stanza e lui e John lo seguono. Due agenti stanno scortando O’Neel in cella. Questi ride ancora. Letteralmente piegato in due dalle risate, costringe i poliziotti a trascinarlo.
<< Non ce la farete mai! >> grida allegro. << I frati neri cadranno e con loro si compirà la mia vendetta >>.
L’eco delle sue grida si espande per gli uffici di Scotland Yard.
 
 
 
[1] Chiamato così perché la tunica dei frati domenicani è caratterizzata da un cappuccio e copri spalla neri.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Capitolo 15
 
Il giudice ascolta con interesse la deposizione che Greg sta rilasciando circa la strage evitata per un soffio e architettata da Nathan O’Neel . Questi, dal banco degli imputati che lo pone in bella vista, appare orgoglioso di sé. Sembra non essere per nulla in grado di rendersi conto di quali sarebbero state le conseguenze del suo gesto, tesi sulla quale sta battendo il suo avvocato per fargli ottenere uno sconto della pena da trascorrere non in carcere, ma in una struttura psichiatrica.
Sono trascorse due settimane dalla lunga giornata in cui il traffico di Londra è impazzito e il panico si è diffuso nella popolazione, rimasta incollata davanti ai notiziari che facevano a gara per trasmettere immagini in diretta e avere le informazioni più appetitose.
John e Sherlock hanno tenuto la televisione accesa in sottofondo, mentre lavoravano alla ricerca delle prove a carico del commissario capo. Sono corsi a Scotland Yard alle undici di quella lunga giornata, con un dossier carico di documenti e il solo desiderio di congratularsi con Lestrade per il magistrale lavoro fatto nel condurre le operazioni di soccorso, che promozioni e le lodi gli sono valse.
Ancora oggi John trova ingiusto che nessuno possa sapere grazie a chi si sia davvero evitata la strage, che non solo avrebbe distrutto il bellissimo ponte in ferro a 5 archi, ma le vite di migliaia di persone. Sherlock, però, ha preferito che le cose andassero così. Lui, infondo, era ancora in convalescenza, accecato dallo scherzo tiratogli dal dinamitardo.
<< E poi noi effettivamente non eravamo lì con lui, ma a casa a fare le pulci agli ultimi tre mesi di vita del commissario capo >>.
Il processo ai danni di questo avrà inizio il giorno seguente, ma né lui, né Sherlock saranno chiamati a testimoniare. Agli occhi e alle orecchie dei media sarà fatta passare come un’indagine interna per cattiva amministrazione.
<< Se l’opinione pubblica venisse a sapere che quel pazzo di Moriarty è in grado di introdursi a Scotland Yard e fare il buono e il cattivo tempo usando funzionari e commissari a suo piacimento si giocherebbe solo a suo favore >> aveva detto Lestrade trovandoli d’accordo. Entrambi, però, sanno che al consulente criminale basta poco per decidere di mettere lui stesso in circolo la notizia e sbugiardare i detentori dell’ordine nazionale.
Greg torna al suo posto e Sherlock viene chiamato a testimoniare. È dal giorno in cui è giunta a casa loro la lettera di comparizione che John lo prega di tenere a freno la lingua, di non rivolgersi in maniera irrispettosa agli avvocati, né, tanto meno, al giudice, di limitarsi a rispondere alle domande che gli sarebbero state fatte.
<< Dovrò evitare di essere me stesso, insomma >> gli ha detto gaurdandolo storto. John si è trovato costretto a dover rispondere affermativamente a quegli occhi che migliorano di giorno in giorno, benchè la vista non sia ancora nitida.
Sherlock raggiunge con passo sicuro il banco dei testimoni, giura di dire la verità e si accomoda. Un brusio si leva dalla platea. Il pubblico lo indica col dito, parlotta di quanto gli sia successo, si chiede se sia davvero accaduto o sia solo una trovata pubblicitaria. Molti trovano impossibile sia riuscito davvero, benchè fosse cieco, a uscire incolume dai sotterranei dell’Opera Pia, portando in salvo persino un’agente gravemente ferita.
John vorrebbe urlare loro di stare zitti e che non sono degni di pronunciare il suo nome, né tantomeno di giudicarlo. Non conoscono il consulente investigativo, non sanno quanto ha sofferto e quanto ancora soffra, sebbene in silenzio, per questa condizione che forse resterà permanente. Persino Howard non è ottimista sulla possibilità che la sua vista torni nitida.
<< Potrà, però, migliorare la situazione mettendo gli occhiali. Infondo, ora è come fosse molto miope >> aveva detto il neurologo.
Sherlock aveva sorriso e annuito, ma John sa quanto l’idea di dover vivere schiavo degli occhiali lo butti giù. I suoi occhi hanno ritrovato l’eterocromia che li caratterizza, ma sono diventati più chiari di quanto già non fossero, segno del trauma ancora presente. Forse così resteranno per sempre, obbligandolo, seppure la vista dovesse ritornare ad essere quella di un tempo, a indossare perennemente gli occhiali scuri.
John ha temuto di vederlo crollare, nonostante il miglioramento evidente della vista. Ci sono ancora momenti in cui lo vedere perso a fissare il vuoto, assorto in chissà quali pensieri che nulla di buono promettono.
Il timore che possa decidere di fare qualcosa di terribile non lo ha ancora abbandonato. Ogni volta che lo lascia da solo per qualche ora, per andare a fare la spesa o semplicemente per concedersi un meritato sonno, teme di trovarlo senza vita. Proprio come era successo con Bryan.
Anche per questo John ha temuto l’arrivo del processo. I suoi occhi sono per Sherlock argomento molto sensibile, e sia la difesa che l’accusa punteranno molto su questi.
<< Ci può dire, signor Holmes, perché indossa quegli occhiali? >> gli chiede, infatti, l’avvocato dell’accusa, dopo le prime domande di circostanza sul suo ruolo in tutta la faccenda.
O’Neel ridacchia apertamente e John raggiungerebbe volentieri il banco degli imputati, giusto per assestare qualche pugno su quella faccia da schiaffi.
La risposta che Sherlock da, per fortuna risulta essere semplice, priva di fronzoli e chiara. Il consulente racconta il caso, ma l’avvocato continua a interromperlo facendogli domande più personali circa la sua convivenza con la disabilità visiva. John lo vede irritarsi e spera che si ricordi di quanto importante sia ai fini del processo la sua testimonianza e che desista dall’esplodere dinanzi alla corte.
Quando la parola passa alla difesa, John sente di aver già esaurito la sua dose di pazienza. Vorrebbe solo togliere se stesso e il suo uomo da quella situazione snervante e imbarazzante.
<< Come ha tenuto più volte a sottolineare il collega dell’accusa, lei, signor Holmes, oltre ad avere accusato il mio cliente, il signor Nathan O’Neel, di essere l’artefice delle esplosioni che si sono verificate a Londra nei mesi scorsi e delle due sventate da Scotland Yard due settimane fa’, lo accusa anche di averla accecata gettandole negli occhi della polvere urticante unita a benzina, durante il precedente tentativo di cattura >>.
<< E’ così, avvocato. Ho rischiato seriamente di restare cieco in modo permanente >>.
<< Come può, però, dal momento che non solo è rimasto cieco, ma ha anche perso la memoria dei giorni appena precedenti il fatto, essere sicuro che la persona che l’ha accecata sia la stessa che oggi siede qui al banco degli imputati >>.
<< Ho continuato a lavorare sul caso ricominciando da dove i miei ricordi si interrompevano. Questi poi col tempo sono ritornati, confermando quanto avevo nuovamente scoperto. Non ho bisogno della vista, bastano i fatti e le prove recuperate a dimostrare la colpevolezza del suo cliente >>.
<< Eppure il riconoscimento attraverso la vista è una prova fondamentale per l’accusa che lei muove al mio cliente >>.
<< Una persona la si può riconoscere anche attraverso gli altri sensi. Basta recuperarne la memoria sensoriale. Come potrebbero vivere, altrimenti, le persone non vedenti? >>.
<< Lei, però, è rimasto cieco a seguito di un incidente, non ha avuto il tempo di affinare gli altri sensi e costruire memorie sensoriali >>.
<< Il metodo investigativo di cui mi avvalgo ha alla base l’uso di tutti e cinque i sensi, oltre che il ragionamento logico deduttivo. Per portare avanti un’indagine è riduttivo basarsi sulla sola vista, benchè, purtroppo coloro che lavorano alla divisione investigativa si limitano troppo spesso a questa >>.
John chiude gli occhi e si prepara al peggio.
<< Lei vuole davvero farci credere, quindi, di essere in grado di riconoscere una persona usando olfatto ed udito e di essere così bravo da non sbagliare >>.
<< Non voglio farvelo credere. È così >>.
<< Mi perdoni, ma non le credo >> ridacchia l’avvocato dell’accusa.
<< Non mi aspetto apertura mentale, né accettazione da parte di chi, come lei, è solito correggere il primo caffè della giornata con della grappa >>.
Il pubblico ride e il giudice richiama tutti all’ordine. John scuote il capo sconsolato. Sapeva che Sherlock non avrebbe resistito e a dirla tutta non può dargli torto. Questo avvocato sarebbe capace di far perdere la pazienza ai santi, figuriamoci a uno come Sherlock che non figura neppure nella schiera dei beati.
<< Signor Holmes non mi sembra il caso di offendere chi esprime un parere contrario al suo >> dice il giudice e John si chiede se hanno da parte soldi a sufficienza per pagargli la cauzione, dal momento che si aspetta lo sbattano dentro per oltraggio alla corte.
<< Vostro onore, non era mia intenzione offendere. Ho solo dato una dimostrazione di quanto mi si accusa di inventare. Sono sicuro che se chiedesse a uno qualunque del pubblico di annusare l’alito dell’avvocato della difesa vi direbbe che persiste una consideravo fragranza di grappa unita a quella del caffè >>.
<< Questo non dimostra assolutamente nulla! >> sbotta l’avvocato. << Potrebbe avermi visto chiedere la correzione stamattina al bar del tribunale >>.
<< Quindi lei ammette di essere abituato a correggere con l’alcol il caffè già alle 8 del mattino? Pessima abitudine, avvocato >> scuote il capo Sherlock fomentando le risate e l’indignazione dei presenti. Il giudice li richiama all’ordine. << Le ricordo, poi, che per quanto siano trascorse tre settimane dall’arresto di O’Nell, i miei occhi sono ora in grado di vedere, certo, ma la mia vista non è ancora nitida. Se mi fossi affidato solo a questa lei sarebbe stato un’immagine sfocata tra le tante e nel trambusto che c’è nel bar di un tribunale al mattino presto avrei dovuto esserle molto vicino per sentire il sussurro da lei fatto al barista. Se aggiungiamo, poi, che non sono tipo da frequentare i bar e che sono arrivato direttamente in aula da casa mia, ritengo del tutto impossibile la sua ipotesi >>.
Il pubblico è in visibilio e il giudice batte forte il martello sul supporto per metterli a tacere. John porta una mano sugli occhi ormai rassegnato alla fine tragica del suo intervento.
<< Signor Holmes direi che può bastare >>.
<< Io non avrei neppure iniziato, vostro onore. È questo avvocato che si ostina a tentare di salvare chi non merita altro che di marcire in galera per il resto dei suo giorni >> ringhia voltandosi in direzione di O’Neel.
<< Io mi limito a fare il mio lavoro, signor Holmes. Lei, invece, è mosso esclusivamente dal livore personale per quanto le è successo >>.
<< Ammette, quindi, che è stato il suo cliente ad accecarmi? >>.
<< Basta, signor Holmes! Non sta conducendo un interrogatorio! È qui esclusivamente per rispondere con dei fatti >>.
<< Lo farei molto volentieri se mi fossero poste le giuste domande, vostro onore >>.
<< Provi ancora a insinuare di volerci insegnare il nostro lavoro e la faccio arrestare per oltraggio, signor Holmes >>.
Sherlock apre appena la bocca per ribattere, ma poi si ferma. John prende un sospiro di sollievo. Forse tutti i predicozzi di questi ultimi due giorni non sono caduti nel vuoto.
<< Avvocato della difesa ha altre domande per il teste? >>.
<< Nessun’altra domanda, vostro onore >>.
<< Bene. Signor Holmes, direi che può andare >>.
John sospira sollevato dalla fine di quel calvario. Sherlock si alza e con passo sicuro ma lento abbandona la sua postazione.
<< Il gioco non è finito, consulente investigativo >> ride O’Neel nel suo modo agghiacciante. << Ti brucerà il cuore e non ti resterà niente >> aggiunge, sordo ai richiami del giudice e del suo avvocato.
Sherlock si ferma, toglie gli occhiali scuri e volge gli occhi belli, ma ancora parzialmente velati, verso O’Neel.
Il silenzio cala come una coperta. Persino il dinamitardo si zittisce dinanzi agli occhi chiarissimi e al viso sul quale sono ancora presenti, seppure in via di guarigione, i segni della scottatura.
John scende veloce dal suo posto sugli spalti, deciso a trascinare via il suo uomo dalle minacce di quel pazzo. Lo raggiunge e gli posa la mano sulla spalla.
<< Andiamo via >> sussurra, ma Sherlock non gli da retta. Il suo sguardo gelido è puntato contro O’Neel e se questi occhi potessero uccidere del ragazzo non ne resterebbe che polvere.
<< Che ci provi. Mi troverà pronto ad accoglierlo con tutti i riguardi >> ribatte. John stringe la spalla di Sherlock ancora più forte. Il consulente inforca gli occhiali e finalmente si decide ad andare via da lì.
<< Sì, segui il tuo paparino >> ridacchia O’Neel, che il giudice richiama all’ordine senza, però, alcun risultato. Lo sentono ancora ridere mentre lasciano l’aula.
<< Ho bisogno del bagno >> dice Sherlock e insieme lo raggiungono. Il consulente si porta ai lavandini, ripone gli occhiali scuri nel taschino della giacca e bagna il viso con abbondante acqua fresca.
John non riesce a stare fermo. Le parole di O’Neel, le stesse pronunciate da Moriarty in quella maledetta piscina gli girano per la testa. In questi giorni ha volutamente evitato l’argomento, per quanto fosse importante, dal momento che lo  riguarda da vicino. Ora, però, controlla che tutti i cessi siano liberi e si avvicina al suo uomo che ancora massaggia il viso trovando sollievo nell’acqua fresca.
<< Sherlock, perché Moriarty ce l’ha con te? È delirio di onnipotenza? Desiderio di essere il più intelligente e perspicace, come la matrigna di Biancaneve che voleva essere la più bella? >>.
Sherlock ride portando avanti il massaggio.
<< Devo dire che hai scelto il luogo giusto per pormi finalmente queste domande sul suo conto >> dice, osservando la sua immagine riflessa nello specchio. Sospira e prende un tovagliolo di carta col quale terge il viso. << So, come ti ho già detto, che si è messo in testa di fare di tutto per separarci, ma cosa lo muova… non lo so John. Sulla risposta a questa domanda ci sto sbattendo la testa da quella sera alla piscina. Certo, per quanto ora i miei sensi siano più acuiti, il fatto che la vista ci stia mettendo un’eternità a tornare non mi aiuta >>.
<< Tornerà, Sherlock. Dalle tempo >> dice accarezzandogli la guancia umida. Sherlock si volta verso di lui e sprofonda tra le sue braccia.
John ha scoperto in queste settimane quanto questa sia la manifestazione d’affetto preferita dal suo uomo. Tra le sue braccia Sherlock si concede di abbandonare ogni tensione e affidarsi a lui totalmente. Ed è questa una cosa che riempie John d’orgoglio e commozione. Sapere di essere l’unico ad avere il privilegio di assaporare i suoi momenti di affetto e bisogno di cura.
<< E’ stato terribile, John >> sussurra, il viso affondato sulla sua spalla.
<< Lo so >> lo stringe a sè posandogli un bacio sulla fronte.
Sherlock raggiunge le sue labbra e vi posa un bacio leggero. Lo guarda poi con i suoi occhi chiari e bellissimi, carezzandogli lentamente la guancia.
<< Io non ti lascio, John >> lo rassicura baciandolo nuovamente. << Hai deciso di rimanere al mio fianco nonostante ora tu sappia il pericolo che corri. Non ho alcun motivo per allontanarmi da te. E ti do la mia parola che mai farò ciò che fece il tuo… amico sotto le armi >>.
John strabuzza gli occhi e fatica a prendere fiato.
<< Come… come fai a sapere di Bryan? >> gli chiede imbarazzato.
<< L’ho dedotto da come hai parlato di lui quando tutto questo ha avuto inizio e da come i miei momenti di sconforto ti spaventino. Vedi in loro l’ombra della morte e non ti nego che ci sono stati momenti in cui l’ho vista anche io. Ora non più, però >> lo rassicura con un altro bacio intenso. << La battaglia contro Moriarty è appena cominciata e io non potrei che combatterla con te al mio fianco, mio capitano >> sussurra posando la fronte contro quella di lui.
John lo stringe forte a sé. Non può fare a meno di sorridere sollevato, benchè Sherlock abbia appena parlato di battaglie e di pericolo. Nulla in confronto al timore di perderlo per sempre. Lui che è così importante.
<< Andiamo a casa, che ne dici? >>. Sherlock annuisce allontanandosi da lui con riluttanza. Inforca gli occhiali e si prepara a seguirlo, la mano sulla spalla, benchè ora sia perfettamente in grado di vedere dove mette i piedi.
Scendono le scale che dal tribunale li porta sulla strada e stanno per fermare un taxi quando una donna li chiama.
Sally Donovan li osserva sorretta dalle stampelle. La gamba destra ingessata fino a metà coscia le conferisce un’aria traballante e precaria. Muove quei pochi passi che li separa da loro dimostrando di essere diventata molto abile nel camminare con l’ausilio di quei bastoni.
<< Sally >> dice Sherlock andandole incontro.
John resta fermo al suo posto. Dopo lo stress della testimonianza tutto si aspettava tranne che trovare Donovan fuori dal tribunale. Questa li guarda seria, la fronte perennemente corrucciata. Porta il peso sulla gamba sana, appoggia la stampella al fianco e riavvia una ciocca della chioma riccia e ribelle dietro l’orecchio.
<< Il capo mi ha detto che i tuoi occhi stanno tornando piano alla vista >> dice faticando a guardarlo in faccia.
<< A me ha detto che ne hai ancora per due settimane >>.
<< Col gesso, sì. Poi ne avrò per un mese di fisioterapia, se va bene. Insomma, per un po’ non avrete il piacere della mia compagnia >> ridacchia nervosa. << Hai testimoniato contro quel pazzo dinamitardo? >>.
<< Sì. E tu domani sarai chiamata a testimoniare contro il commissario capo >>.
<< Non posso credere che davvero si sia fatto comprare da quel Moriarty >> scuote il capo sconsolata. << Ci siete voi dietro questa accusa, non è vero? >> chiede loro col solito tono aggressivo che a John non era per nulla mancato.
<< Lui si è messo nei guai con le sue mani. Noi ci siamo limitati a fare uno più uno e scoprire il suo gioco >> le dice mettendosi protettivo al fianco di Sherlock.
<< Allora ci credo >> dice l’agente lasciandoli senza parole. Sally li guarda appena. Toglie lo zainetto che ha sulle spalle e ne tira fuori un pacchetto di carta oleata tenuta stretta da uno spago.
<< In lavanderia hanno fatto del loro meglio affinchè tornasse come nuova >> dice a Sherlock porgendogli il pacchetto.
<< La mia giacca. Ti ringrazio >> le dice chinando appena il capo. Sally non sembra prendere bene il suo ringraziamento. Scuote il capo e quando gli si rivolge sembra essere furiosa.
<< Se tu davvero fossi il sociopatico che dici di essere non saresti tornato indietro. Quindi smettila, va bene? Smettila di prendere in giro la gente mentendo su chi sei >> la voce le trema appena.
<< A quanto vedo non sono l’unico che usa una maschera per proteggersi dai mali del mondo >> le dice abbozzando un sorriso. La ragazza scuote la testa e ride nervosa.
<< Tu e le  tue maledette deduzioni >> dice tra i denti.
<< Siamo custodi l’uno del segreto dell’altra, Sally. Io manterrò il tuo se tu sarai disposta a mantenere il mio >>.
<< E quale sarebbe il mio, sentiamo? >> domanda infastidita.
<< Anche tu hai bisogno di qualcuno che ti sostenga e ti incoraggi. Fare tutto da soli e dare l’idea di non aver bisogno di niente e nessuno alla lunga è sfiancante >>.
La ragazza impallidisce e distoglie lo sguardo dalle lenti scure del consulente. Una lacrima solitaria scende dai suoi occhi a rigarle il viso scuro. Annuisce piano trattenendo i singhiozzi.
<< Va bene, accetto >> dice porgendogli la mano. Sherlock scuote il capo dinanzi alla mano tesa. Consegna il pacchetto a John e copre la distanza che lo separa da lei per stringerla in un abbraccio. Sally, stupita, lascia andare le stampelle, che cadono per terra. Dopo un primo attimo di smarrimento risponde all’abbraccio. Un abbraccio lungo, intenso e commovente.
<< Se tu non mi dessi contro continuamente la mia copertura crollerebbe, Sally >> sussurra Sherlock. << Continua, quindi, a chiamarmi ‘freak’, a tentare di allontanarmi dalla scena del crimine e a fare scenate con Lestrade per avermi contattato >>.
<< E tu continua a permettermi di tenerti testa e di essere costretta ad accettare la tua presenza solo perché richiamata all’ordine >>.
Ridono entrambi e in modo goffo si dividono. John raccoglie le stampelle e le porge alla ragazza che per la prima volta da che si conoscono gli sorride.
<< Hai pescato un bell’esemplare, tienitelo stretto >> gli dice facendogli l’occhiolino. Si allontana da loro al ritmo delle stampelle.
<< Chi l’avrebbe mai detto >> sussurra John restituendo il pacchetto a Sherlock.
<< Le donne per me restano comunque incomprensibili >> dice Sherlock, posandogli la mano sulla spalla. << Andiamo a casa? >>.
<< Sì, andiamo a casa >>.
 
 
 
 
 

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