Black Box.

di TsubasaShibahime
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Memorie. ***
Capitolo 2: *** L'ombra. ***
Capitolo 3: *** Scatola nera. ***
Capitolo 4: *** La rosa respira. ***
Capitolo 5: *** Ultimatum. ***
Capitolo 6: *** Achillea. ***



Capitolo 1
*** Memorie. ***


Capitolo 1 - Memorie

" Ordini? " 
" Nessuno. 
Da oggi avrai un po' della tua agognata libertà, Bang Yongguk. "
" Dunque ha preso in considerazione le motivazioni per la quale ho accettato di seguirla, signore? " 
" Ho organizzato tutto. " 
" Ogni cosa? " 
" Fidati di me " 
" Pf... L'ho fatto per quasi 8 anni, non smetterò di farlo proprio adesso. "
-
Yongguk tornò a casa stanco alle primissime luci dell'alba. 
Il cielo era di un azzurro scuro ed opaco. Così, senza nuvole, sembrava presagio di una bella giornata. La luce pomeridiana probabilmente non avrebbe neanche sfiorato il suo volto quel giorno poichè quando, dopo qualche ora di sonno, avrebbe riaperto gli occhi, sarebbe dovuto uscire di casa che era già calata sera. 
Ormai viveva alla stregua di un vampiro.
Quella notte tuttavia, nonostante la sua mente stanca lo implorasse di spegnersi, l'agglomerato di ansia che si era venuto a creare all'altezza dello stomaco lo tenne sveglio più del dovuto. I ricordi si fecero avanti, catapultandolo in una realtà troppo lontana. 

- Ridammela, è mia. -
Yongnam battè un piede sullo sterrato sabbioso e il bimbo davanti a lui fece un passetto indietro, incerto, mentre stringeva la pallina azzurra in mano. 
- Yah! Ho detto ridammela! -
Sembrava che il più piccolo, dagli occhi color nocciola, confusi e incerti, non volesse lasciar andare il giocattolo che era rotolato fino alle sue gambette bianche e sottili. Aveva l'aria di chi stava confabulando qualcosa, ma che al contempo era pronto a scappare su quelle belle gambette se qualcosa fosse andato storto. 
- Allora vuoi essere picchiato! - 
Yongnam fece un altro passo. Il piccino arretrò ancora, poi spiazzato si fermò. Ci vedeva doppio o davvero un secondo ragazzino perfettamente identico al primo si era materializzato davanti a lui?
- Che stai facendo? - chiese Yongguk squadrando il bimbo minuto di fronte a sè che, con le guanciotte tutte rosse, sembrava non voler cedere e tornare la pallina al legittimo proprietario. 
- Non vuole ridarmi la palla. - 
- Aish, e allora cosa vorresti fare? Picchiarlo? Non vedi che è un bambino? Dovresti prenderlo con le buone. - 
Al piccino lì di fronte, che non si era più mosso neanche di un centimetro, Yongguk sembrava andare improvvisamente molto più a genio di suo fratello gemello. Allora Yongguk si avvicinò e si accovacciò di fronte a lui, data la differenza di altezza. 
- Ciao- .... - 
Restò a guardarlo perdendo le parole. Era ridicolo che un bimbo così piccolo lo mettesse a disagio, ma improvvisamente quegli occhioni si erano fatti stranamente speranzosi, sembrava brillassero per il semplice fatto che l'altro si stesse dimostrando gentile con lui.
Yongguk abbassò lo sguardo e ritrovò la concentrazione.
- ...Puoi ridarmi la palla? E' nostra, sai? -
Per la prima volta da quando i due avevano incontrato quel bizarro bimbetto lo videro sorridere e le sue guanciotte sembrarono un po' più piene. Allungò piano la palla azzurra verso Yongguk, che fece lo stesso incontrando le sue mani nel reggerla, ma nonostante questo il più piccolo non lasciò andare il giocattolo e rimase lì a fissare il viso del maggiore. 
- Giochiamo hyung? - domandò con un filo di voce, armoniosa e infantile, che avrebbe fatto sciogliere il cuore di chiunque. Anche quello di Yongguk, ovviamente, che tuttavia, avendo già undici anni, non poteva cedere e quindi mettersi a  giocare con un bimbo che ad occhio e croce doveva averne cinque o poco più. 
Yongnam dietro di lui sbuffava, ricordando al gemello minore che tra non molto la mamma sarebbe tornata a casa e che se non li avesse trovati seduti alle loro scrivanie a fare i compiti li avrebbe messi in punizione entrambi. Yongguk che era un gran fifone da quel punto di vista sentì allora di dover concludere la questione in fretta. Si disse che probabilmente non l'avrebbe più rivisto e che non poteva stare lì a perdere tempo con i capricci di un bambino. Così, tutto d'un tratto e con un po' di forza in più, tolse di mano la palla al più piccolo, il cui sorriso si spense in un attimo, mentre le manine bianche restavano ancora a mezz'aria, troppo deluse e speranzose perchè cadessero lungo i fianchi coperti da una camicetta a quadri. Yongguk avvertì un groppo in gola, ma mentre Yongnam esultava, non potè che scappare alla svelta da lì, lasciando il piccolo lì immobile, con le scarpe sporche della sabbia dello sterrato e gli occhi lucidi. 

La notte stessa, così come nei giorni successivi, Yongguk non riuscì a smettere di pensare a quel breve incontro. Il senso di colpa lo stava divorando vivo poichè dentro di sè qualcosa gli diceva di aver fatto un torto imperdonabile a quel piccino. Così, qualche giorno dopo, nonostante continuasse a darsi dell'idiota, decise di tornare a cercarlo. Un bambino così piccolo di certo non avrebbe potuto fare che qualche passetto lontano dalla porta di casa, dunque Yongguk aveva più che il sentore la certezza che l'avrebbe trovato nei paraggi del loro primo incontro. 
Quando raggiunse il luogo si guardò intorno curioso. Dal punto esatto nel quale aveva visto il bimbo per la prima volta si diramavano due sentieri, uno a destra, uno a sinistra. Essendo nella tipica età dell'impulsività, scelse di andare a destra, dove dell'erbetta costeggiava il sentiero stretto tra due pareti rurali.
Avanzando per il sentiero raggiunse allora una muraglia di cespugli verdi tanto più alta di lui. A primo impatto non poteva che sembrare un vicolo cieco, certo, un vicolo cieco di una certa eleganza dato che dei cespugli così curati dovevano far parte di un terreno privato. Spinto dalla curiosità avrebbe davvero voluto riuscire a vedere oltre. Diede le spalle ai cespugli, posando spazientito le mani sui fianchi e chiedendosi perchè fosse venuto a cercare quel tipetto bizarro, quando sentì qualcosa sbattere sul polpaccio con delicatezza. Alzò le sopracciglia e si voltò, abbassò lo sguardo, e anzichè trovare un qualche animaletto, vide un corpicino avvolto in una salopette blu notte, che gattonava oltre uno spazietto che forse si era appositamente creato tra i cespugli, e che, con la sua testolina di capelli liscissimi, aveva appena sbattuto su di lui. Quando sollevò il viso e incontrò i suoi occhi seppe che per un bizarro caso del destino l'aveva davvero trovato. 
Il piccolo fuggitivo si destò all'istante, un po' goffamente, e come un soldatino davanti al suo comandante si appiattì rigidamente contro il fogliame verde vivido che formava una parete alle sue spalle. Come poteva sapere se si trattava del fratello buono o di quello cattivo? Non sapeva cosa aspettarsi, semplicemente. E poi a pensarci bene... anche quello buono l'aveva tradito. 
Yongguk imbarazzato fece un passo indietro, neanche si trovasse davanti ad un suo coetaneo. Doveva trovare le parole, ma non sapeva neanche se un bambino così piccolo l'avrebbe capito e preso sul serio. Allora si accovacciò come aveva fatto la prima volta davanti a lui e il più piccolo sgonfiò il petto che conteneva tutta la sua ansia, ora era certo che fosse Yongguk. 
- Mi dispiace per l'altra volta, ma non potevo giocare con te, dovevo andare. - cercò di spiegare, mentre il piccolino abbassava gli occhi. Sembrava davvero un bambolotto con quelle guance sempre rosee. Allora Yongguk prese a rovistare nella sacca che si era portato dietro. C'era giusto un portamonete, dei fazzoletti, un taccuino e una matita arancione. E poi c'era una pallina fucsia. Se la rigirò tra le mani un paio di volte e poi la tese verso il più piccolo, che emozionato la afferrò all'istante. 
- A me non importava niente della palla, ma non saresti dovuto essere egoista dato che la palla non è tua. Ecco, questa era di mia sorella maggiore, ma non importa, adesso te la regalo, è tua e dovrai averne cura, intesi? - 
Il più piccolo annuì diverse volte con un bel sorriso in viso, mentre stringeva la sua nuova pallina come fosse la sua amata. 
Yongguk aveva di nuovo la coscienza pulita, missione compiuta. Tornò in piedi per bene e chiuse la sacca, pronto ad andare. 
- Allora ciao. - 
Disse con un piccolo sorriso. Si voltò e alzò un piede, prima di sentire una stretta decisa e autoritaria sull'orlo della sua maglietta.
- Hyung, giochiamo... - la vocina scoraggiata del più piccolo lo raggiunse e anzichè sciogliersi, il suo cuore tremò. Vide la pallina rotolare accanto al suo piede. L'aveva lasciata andare per riuscire a trattenerlo. Fu allora che Yongguk si rese conto di come effettivamente stavano le cose.
Capì che se quel bimbo teneva tanto gelosamente la pallina azzurra tra le mani era perchè avrebbe voluto chiedere anche allo scontroso Yongnam di giocare con lui, consapevole che se l'avesse lasciata andare avrebbe perso l'occasione di giocare con qualcuno e, allo stesso modo, quella volta pur di trattenere Yongguk aveva lasciato andare la pallina. Non era importante il giocattolo, quanto la compagnia. 
Yongguk, che aveva fondamentalmente un cuore molto tenero, si voltò e tornò accovacciato, riconsegnandogli la pallina fucsia appena raccolta da terra. 
- Insomma, non ti ho appena detto di averne cura? Se mia sorella scopre che l'ho regalata a te mi uccide! - 
L'altro afferrò la pallina con una mano, mettendosela subito sotto braccio, mentre con l'altra mano andava a coprirsi la bocca mentre ridacchiava. 
- Ridi? Credi sia divertente? Mia sorella è un vero maschiaccio, potrebbe farmi malissimo! - 
- ...Hyung, giochiamo? - 
Yongguk battè gli occhi, sembrava volesse proprio giocare. Il più grande si guardò attorno, sperando nessuno lo vedesse, poi tornò con lo sguardo sul bambino e sospirò. 
- E va bene, giochiamo. - 
A quella risposta positiva, il piccino saltellò sul posto un paio di volte, poi gli diede le spalle e tornò a gattonare attraverso quel grande buco tra i cespugli. 
- Vieni hyung! - lo chiamò con la sua vocina allegra. 
Addirittura entrare in una proprietà privata? Ah beh, tanto voleva comunque vedere cosa nascondevano quei cespugli. 
Gattonò con un po' di fatica attraverso quel buco troppo stretto per lui e quando sollevò lo sguardo si trovò di fronte uno spettacolo come pochi. Una lussuosa villa ad almeno tre piani si affacciava su un giardino a dir poco immenso. Riusciva ad intravedere una statua in marmo raffigurante una bella sirena dai capelli lunghi e voluminosi, bagnata dai getti coreografici della fontana e tutt'intorno cespugli di rose e primule dei più svariati colori. Una volta fuori dal cespuglio si trovarono sotto una grande quercia che ombreggiava sull'erba fresca di quel prato curato da chissà quanti addetti. Quel bimbo era una sorta di principe o cosa? Sembrava improvvisamente troppo ridicolo che uno come lui, la cui famiglia lottava quotidianamente per arrivare a fine mese, fosse venuto in contatto con un moccioso tanto altolocato. 
Yongguk si mise a sedere a gambe incrociate sotto l'albero, con la schiena poggiata al suo tronco rugoso, mentre il bimbo si posizionava poco distante da lui e gli lanciava la palla fucsia con poca forza, Yongguk gliela ri-lanciava e questo sembrava bastare a farlo ridere un sacco. 
- Come ti chiami? - domandò poi Yongguk, mentre il piccino si metteva a sedere a gambe incrociate di fronte a lui, imitandolo. Iniziò a giocare con le mani nell'erbetta morbida, strappandone qualche filo come se volesse creare un mucchietto di coriandoli. 
- Junhongie - rispose allora e Yongguk capì subito che si trattava di un vezzeggiativo. Dunque, doveva essere "Junhong". 
- Io sono Yongguk. -
- Yo-Yongguk hyung! - 
- Si, esatto. - scoppiò a ridere per il suo troppo entusiasmo e poi tornò a curiosare su di lui. - E quanti anni hai Junhongie? - 
- Cinque e mezzo. - gli rispose sollevando le dita della manina destra. 
- Oh, cinque e mezzo? Sei proprio un ometto allora. - Aveva ben sei anni più di lui. - E perchè un ometto come te dovrebbe scappare via da un buchetto tra i cespugli per andare a giocare se qui ha così tanto spazio? - 
Junhong sembrò rifletterci un attimo. Aveva smesso di giocherellare con l'erba e aveva sollevato il nasino all'insù, verso le foglie grandi della quercia sopra di loro. 
- Appa non vuole mai giocare con me. - 
- Appa? Non hai un fratellino? - 
Junhong scosse il capo. 
- E umma non gioca con te? - 
Junhong scosse di nuovo il capo. 
- E giochi sempre da solo? - 
E questa volta Junhong annuì. A Yongguk sembrava assurdo che un bambino tanto piccolo e adorabile stesse tutto il tempo da solo. Lui era cresciuto in un ambiente povero, ma aveva sempre avuto dalla sua l'affetto dei suoi genitori, di sua sorella e di suo fratello. 
- Però adesso c'è Yongguk hyung. - aggiunse, mentre un sorriso timido si dipingeva sul suo viso e le guanciotte diventavano rosse rosse. Gattonò verso il più grande e prese la sua mano, stringendola piano con la propria, poi si accucciò al suo fianco. Yongguk era sbigottito, ma l'altro come un gattino aveva già preso posto, appiccicato a lui, pronto a fare un sonnellino pomeridiano e forse, inconsapevolmente, aveva preso già posto anche nel suo cuore. 

Da quel giorno Yongguk visitò il bel giardino di rose e quell'allegro principino ogni giorno. Junhong tirava fuori sempre nuovi giocattoli  e insieme inventavano storie fantastiche e nuove avventure. Anche se Yongguk aveva già 11 anni, sentiva che trascorrere del tempo con Junhong anzichè con i suoi compagni di scuola lo faceva sentire più libero, non solo di viaggiare con la fantasia, ma di avere potere sull'umore di un piccolo gioiello che giorno dopo giorno vedeva crescere tra mille risate e giochi. 

-

6:50AM

Yongguk aprì gli occhi, non aveva dormito neanche un secondo nonostante fosse passata anche più di mezz'ora. Sentì la gola arsa e abbandonò il letto dalle lenzuola stropicciate per trascinare i piedi scalzi in cucina. Sfortuna o noncuranza volle che allungando la mano verso la credenza per afferrare un bicchiere di vetro, ne urtò un altro che cadde rovinosamente per terra, infrangendosi in mille pezzi.
In quella notte di ricordi bastò quel fastidioso rumore a risucchiarlo in un vortice e riportarlo indietro nel tempo. 

La tazza cadde a terra e si ruppe con un rumore assordante. 
- Non vengo! Non verrò mai! Resto qui a Seoul, resto anch'io con papà! - urlò Yongguk, stringendo in una mano un peluche di Tigro, voleva portarlo a Junhong e fargli vedere il suo giocattolo preferito. 
- Smettila Yongguk, non sei tu a decidere. Ti ho già spiegato come stanno le cose. E' meglio per noi andare via, non è sicuro. Papà si occuperà di questi affari e poi ci raggiungerà a Brooklin, il nonno ci aspetta già. - sua madre tentava di stare calma mentre gli spiegava le cose, ma era evidentemente agitata, le occhiaie che figuravano sul suo viso raccontavano di quanto avesse tenuto gli occhi aperti durante le ultime notti. 
- Perchè Yongnam deve restare?! Perchè lui e non io? Perchè non entrambi? - 
- Non è sicuro per noi, lo capisci? Yongnam è il più grande tra voi due, resterà lui perchè papà non resti da solo e ci raggiungerà presto. - 
- Ma mamma io- -
- Yongguk, basta! - si era appena spazientita, conscia e ansiosa all'idea che gli "affari" della quale il marito doveva occuparsi non erano esattamente leciti. - Partiamo domattina, alle sei. Adesso vai a fare il bagno, poi indossa il pigiama e mettiti a letto. Alle valige ci penso io. - 
Non voleva andare. Non voleva partire. 
Sollevò lo sguardo verso l'orologio a cucù in corridoio e strinse tra le braccia il tigro. 
" Junhong mi starà aspettando " pensò, per poi lanciarsi fuori dalla porta di casa ed incontrare il diluvio che bagnava strade, alberi e persone. Lui compreso. Sua madre chiamò il suo nome, imprecò contro quel figlio degenerato e così poco comprensivo e si preparò ad andarlo a riprendere. Yongguk iniziò a correre a perdifiato, con una mano reggeva il tigro per una zampa ed entrambi si infracidivano. Di solito si incontravano tutti i pomeriggi alle cinque e invece erano già le nove di sera. Il problema non era tanto mancare all'appuntamento, quanto l'immagine che sapeva si sarebbe trovato davanti agli occhi. 
Il luogo in cui si erano incontrati la prima volta quasi un anno prima. Ora i piedi di Junhong erano un po' più grandi, aveva compiuto sei anni da tre mesi, ma sembrava comunque molto minuto nel bel mezzo di quella strada sterrata, ora piena di pozzanghere e fanghiglia, accovacciato come un gattino infreddolito.
- Junhong! Junhong cosa fai ancora qui fuori?! - domandò ansioso, prendendolo in braccio senza pensarci un attimo e portandolo sotto un balconcino perchè si riparasse. - Guardati dannazione, sei completamente fradicio! - 
Junhong sollevò gli occhioni verso di lui e accennò un sorriso. 
- Avevo paura non venissi più hyung. Però hai portato Tigro! - non gli importava nulla della pioggia, del freddo, del fatto che le sue labbra fossero tremanti e viola. Allungò le braccia e abbracciò il peluche che aveva assorbito tantissima acqua piovana. Junhong si bagnò ulteriormente i vestiti, ma non smise di abbracciarlo. 
- Oggi non possiamo giocare tanto, vero hyung? - chiese il più piccolo guardando il cielo grigio tristemente.
Come poteva lasciarlo andare? Junhong aveva così tanto bisogno di lui. 
- Junhongie... noi, non possiamo più giocare... - mormorò e giurò di aver visto negli occhi scuri di Junhong il suo cuore spezzarsi all'improvviso. - Ma... ma lo hyung tornerà presto, se tu lo aspetterai. E non come hai fatto questa sera, non sotto la pioggia, non solo per qualche ora. Dovrai aspettarmi un po' di più Junhongie... questa volta non potrò giocare con te per tanto tempo, ma se sorriderai e farai il bravo tutto il tempo vedrai che il tempo scorrerà più veloce solo per noi due e allora potremo rivederci presto. - parlava rapido, come per evitare che l'altro gli ponesse domande. Junhong stava evidentemente per piangere, o forse qualche lacrima rigava già il suo viso, ma era troppo bagnato perchè si notasse, ma sembrò capire, annuì piano, gli angoli delle labbra rivolti verso il basso, la frangetta umida sulla fronte, la pelle pallida come la luna che brillava su entrambi. 
Non voleva lasciarlo andare. Per più di un anno Junhong era stato la sua libertà, il suo modo di uscire dalla triste monotonia della realtà. Era stata la ragione di ogni sua scelta. E adesso non ci sarebbe stato più niente del genere fino a chissà quando. 
Sentì la voce di sua madre e sua sorella chiamare il suo nome in lontananza, non poteva lasciare che scoprissero il suo piccolo principe. Lo accompagnò allora ai cespuglietti, lasciandogli la sua giacca e avvolgendolo in essa come un fagottino. 
- Lo hyung tornerà e giocheremo ancora insieme. Cresci e diventa forte e tanto, tanto felice Junhongie. - 
- Hyung, non... - 
Non voleva che lo supplicasse di non andare, non voleva sentire quelle parole perchè avrebbero squarciato maggiormente il suo cuore. Portò un dito davanti alla bocca minuta del bimbo, zittendolo, poi sorrise e gli diede le spalle, correndo via, verso un futuro degradante, senza di lui.
Junhong lasciò cadere il Tigro per terra, in una pozzanghera e allungò le manine bianche verso quella che era ormai la sua ombra immersa nella pioggia fitta. Proprio come la prima volta tendeva le braccine verso la sua sagoma che si allontanava. 
- Non lasciarmi solo hyung... - sussurrò lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. 

L'ultima cosa che Yongguk ricordava di quella notte erano i singhiozzi del principino che aveva abbandonato.
" Tornerò, giuro che tornerò. " 

-

L'aeroporto di New York era affollato come sempre. 
Yongguk non aveva viaggiato molto in quegli ultimi anni. Al massimo si era spostato più a sud, senza andare più in basso di Cuba, dove aveva trascorso i pochi giorni di vacanza che gli spettavano anche quell'anno durante Agosto. L'inverno era tornato più rigido che mai nella grande mela e forse la sua speranza era di trovare un inverno meno austero nel suo Paese nativo.
Non era mai tornato a Seoul da quando l'avevano abbandonata. Non era tornato lì neanche per il funerale di suo padre e suo fratello, appena un anno dopo la sua partenza per gli Stati Uniti. Si era ripromesso che l'avrebbe fatto quando sarebbe stato il momento, ed il momento era arrivato. 

All'arrivo ad Incheon un maggiordomo vestito di tutto punto lo stava aspettando con un cartellone in mano con su scritto il suo nome. Non dovevano esserci molti Bang Yongguk provenienti da New York quel giorno, quindi nessun altro oltre lui si approcciò al maggiordomo. 
Educatamente si inchinò davanti al maggiordomo che fece lo stesso. Aveva un po' perso l'abitudine di inchinarsi, dato che in America non lo faceva mai. 
- Salve. Sono Bang Yongguk, il nuovo tutor d'inglese di casa Jung. La ringrazio per essermi venuto a prendere. - 

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E' la primissima fan fiction che pubblico, siate magnanimi ㅠㅠ So che dal primo capitolo è un po' difficile intuire su che linee si muoverà la trama, ma spero riesca ad attrarre qualcuno, pubblicherò presto il seguito ! :3

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Capitolo 2
*** L'ombra. ***


​"Lusso" era un termine che disconosceva e in realtà non se ne rammaricava affatto. Era un uomo attaccato ai beni morali, piuttosto che materiali. Non poteva che provare disgusto per tutti coloro che, vili e inumani a suo dire, erano così morbosamente attaccati ad una macchina, ad un capo di marca, ad una casa tanto grande da contenere una dozzina di ospiti.
Se per la prima volta stava mettendo piede in quel mondo era perchè, dietro quel sorriso meraviglioso e mielato, celava tutte le peggiori intenzioni.

Seoul, caotica e luminosa, scorreva sotto i suoi occhi pochi minuti dopo il tramonto. Città senza tempo, città pretenziosa, corrotta e patria dei suoi ricordi migliori, Seoul lo abbracciava con l'estro di una cabarettista ubriaca, una delle tante viste a Las Vegas quelle volte in cui andava a trovare sua sorella. Come con quelle cabarettiste ubriache, sbuffava, la snobbava e la allontanava dai propri pensieri e dal proprio cuore.
Perdersi a Seoul era perdersi nei ricordi ancora una volta. Era soffrire del dolore lancinante delle memorie che voleva lasciare seppellite sotto strati di materia vivente.
Il maggiordomo fu allora l'unico modo per restare appigliato alla realtà. Iniziò a chiedergli da dove provenisse, dove fosse nato, perchè avesse deciso di tornare per un lavoro non tanto prestigioso nonostante il calibro del datore. Forse pettegolo o forse particolarmente cauto, cosa più probabile dato che le rughe del suo viso ne tradivano l'esperienza. Sorriso sulle labbra e risposta pronta, Yongguk non si sarebbe lasciato raggirare.

Fu in un attimo di tregua da quella conversazione fondamentalmente noiosa che i suoi occhi si posarono sul finestrino. L'auto frenò in vista del semaforo rosso e una grande folla sul marciapiede passò di fronte all'auto, sulle strisce pedonali calpestate ogni santo giorno ripetute volte. Fu in quella massa che per un ennesimo bizarro caso del destino, gli sembrò di notare qualcosa di strano. O per meglio dire, fu strano per lui rendersi conto di aver notato una cosa in particolare. Uno sguardo, due occhi scuri, profondi, ma estremamente timidi. Il suo cuore iniziò a battere come un tamburo e in un attimo di impulsività allungò la mano verso la maniglia dello sportello, deciso ad uscire, ad inseguire quello sguardo, ad assicurarsi che non fosse lui perchè altrimenti... altrimenti quell'immagine l'avrebbe tormentato tutto il maledetto tempo.
- Si sente bene? - chiese il maggiordomo che aveva già puntato lo sguardo inquisitore sulla sua mano intenzionata a spalancare lo sportello. Solo allora Yongguk tornò in sè. Deglutì, sorrise e scosse il capo. Poco importava che fosse un sorriso forzato, aveva bisogno di qualche attimo in più per rilassarsi.
Quando l'auto ripartì, Yongguk aveva ripreso a respirare regolarmente. Era passato troppo tempo da quella notizia, ma aveva ancora stampato in mente quell'articolo di giornale e l'incubo che gli era sembrato di vivere.
-

- Si, si papà. Dirò alla mamma di chiamarti appena torna. Non lo dimentico, tranquillo. Salutami Yongnam! ...Mh, ciao. -
Yongnam era di nuovo fuori casa per qualche ragione. Sapeva che aveva tanti amici, ma non credeva fossero poi talmente tanti da tenerlo occupato tutto il tempo senza dargli la possibilità di parlare un attimo con suo fratello gemello alla quale poi mancava particolarmente.
Erano passati otto mesi da quando si erano trasferiti a Brooklyn, a casa del nonno. All'inizio era stato un vero e proprio dramma, non conoscendo la lingua, non essendo ben disposto verso quella nuova vita e così via. Ultimamente sembrava le cose si fossero stabilizzate, ma nonostante questo Yongguk sentiva un vuoto nel suo cuore, un vuoto che sapeva un borough come Brooklyn non sarebbe riuscito a colmare.
In compenso, quel giorno aveva ricevuto una notizia positiva. Papà aveva detto che sarebbero potuti tornare a Seoul tra più o meno un mese, perchè le cose si erano sistemate. Non poteva esserci notizia migliore, e non solo perchè aveva voglia di rivedere la parte mancante della sua famiglia, ma anche perchè prima di partire aveva fatto una promessa e in quella città, dietro alti cespugli ben curati aveva lasciato un pezzetto del suo cuore.

In quegli ultimi tempi la casa era piena di quotidiani e giornali d'informazione. Non capiva perchè, per quanto capisse un quarto di ciò che c'era scritto, sua madre si ostinasse a comprarne così tanti, era come se cercasse disperatamente qualcosa, una notizia che era sempre sollevata di non ricevere. Yongguk non prestava troppa attenzione a quelle cose, si limitava a spostare quelle torri di carta quando doveva mettersi accovacciato sul divano a guardare i cartoni.
Una sera tuttavia, uno di quei giornali lo attrasse particolarmente. Ricordò che a pranzo sua madre aveva detto di aver trovato un negozietto che vendeva articoli da edicola internazionali e tra quelli anche qualche quotidiano proveniente direttamente da Seoul. Aveva anche detto con la solita aria sollevata di non aver trovato niente di interessante, che in Corea del Sud succedevano sempre le stesse cose, che sicuramente si sarebbero trovati meglio in America e così via.
Sistematosi sul divano come al suo solito, si ritrovò quel giornale sulle cosce. Davvero non aveva idea del perchè avesse appena iniziato a sfogliarlo, forse per assicurarsi di saper ancora leggere l'hangul come si deve, fatto sta che ad un certo punto il suo corpo si pietrificò.
Una foto. Un bambino dai capelli neri, la frangetta liscia sulla fronte, gli occhi intimiditi e le guance rosse. Le mani iniziarono a tremare e quello stesso tremolio corse poi per tutto il corpo, respirò affannosamente, iniziò a piangere, poi ad urlare. La madre lo ritrovò lì in preda al panico, in lacrime, strepitante. Era tutto falso, era tutto falso. Junhong, il suo piccolo Junhong.
" E' stato ritrovato questa mattina un cadavere sulle sponde del fiume Han. Il corpo apparteneva ad un bambino di soli sei anni di nome Choi Junhong, riconosciuto dalla suora proprietaria dell'orfanotrofio in cui viveva. I risultati dell'autopsia riportano che la morte è stata causata da annegamento. "
Quelle parole rimbombavano nella sua testa. Lo facevano quel giorno, lo fecero nei giorni successivi, nei mesi, negli anni che vennero subito dopo.

Rimbombavano nella sua mente anche mentre afferrata la valigia laccata di nero scendeva dall'auto lussuosa e ringraziava l'autista cordialmente, al fronte di quella sua nuova vita, se così la si poteva chiamare.
Il suo pezzetto di cuore se n'era andato, era annegato ormai dieci anni prima nelle fredde acque del fiume Han.

-

Erano le nove di sera. Il maggiordomo spiegò rapidamente che in quella casa la cena veniva servita alle ore otto in punto e che generalmente entro mezz'ora i padroni avevano già finito di cenare e sgattaiolavano in altre stanze, spazi comuni o camere private in cui naturalmente un tutor ospite della residenza non poteva entrare.
Yongguk era forse troppo rapito da tutto quel maledetto lusso per prestare attenzione alle sue parole.
La casa era incredibilmente grande, curata nei minimi dettagli, dotata di stanze estremamente ampie con soffitti incredibilmente alti. Forse era stata costruita per contenere dei giganti, perchè se non era così Yongguk davvero non sarebbe stato capace di spiegarselo.
Nonostante il lusso però sembrava vuota. Vuota e silenziosa.
Ebbe modo di dare uno sguardo rapido a delle cornici d'argento passando per il salotto, contenevano delle belle foto di famiglia, ma non ebbe abbastanza tempo per soffermarsi sui loro volti che dovette iniziare a salire gli scalini in marmo verso il secondo piano dove, a quanto pare, si trovava la sua camera da letto.
Una volta spalancato l'uscio si trovò davanti ad una camera da letto abbastanza ampia. Non aveva mai dormito in un luogo tanto spazioso. Le pareti erano di un lilla tenue. Sulla parete sinistra poggiava un armadio a tre ante, in legno bianco, con i pomelli in porcellana. Sulla sinistra invece si trovava un letto a due piazze, dotato di voluminoso piumone bianco e tanti bei cuscini sparsi sul materasso sulle tonalità del viola e del glicine. Due comodini, il calorifero e un'ampia finestra che dava su un balconcino che si affacciava ad un giardino immenso.
- Le piace signore? -
Yongguk annuì lasciando la valigia in un angolo.
- La sua camera si affaccia direttamente sul giardino di rose. E' il preferito della signora. -
- E' un giardino di rose? -
- Certo che si. La mia signora ci tiene davvero molto. E' una donna molto ospitale e cortese, per questo ha voluto che le camere degli ospiti volgessero al giardino, crede non ci sia modo migliore di accogliere qualcuno se non con un panorama simile. Vedrà domattina, vedrà e poi mi dirà se non ha assolutamente ragione! -
Più che un maggiordomo adesso sembrava un padre fiero della propria figliola. Beh, adesso era troppo stanco per mettersi a guardare un giardino. E poi... odiava i giardini. E odiava le rose.
- Quante persone abitano qui? - domandò allora, mettendosi a sedere sul letto. Il damerino invece se ne stava lì davanti all'uscio senza permettersi di muoversi troppo in un'area che adesso apparteneva unicamente all'ospite.
- Io, due domestiche e la famiglia Jung che comprende il signor Jung, la signora e loro figlio, che già domani potrete conoscere, immagino. -
- Quindi sei persone. -
- Sei persone, si. E tre di quelle sei persone domattina alle ore otto e trenta faranno colazione nella veranda estiva sul retro della casa, ciò vuol dire che può scegliere di fare colazione alle sette o alle nove e trenta. L'importante è che i ritmi del signor Jung non vengano scombussolati, dunque non pretenda di trovare la colazione ad un orario poco consono e soprattutto non disturbi in alcun modo i momenti di riunione della famiglia. Oh, può accedere solo al bagno che si trova qui accanto alla sua camera, se le scappa al piano di sotto dovrà necessariamente correre qui, perchè gli altri tre bagni sono riservati ai membri della famiglia. Detto questo, domani avrà modo di fare un giro della residenza... naturalmente con discrezione. -
Yongguk avrebbe voluto tapparsi le orecchie. Tutta quella precisione gli stava dando la nausea.
- Ricevuto. Ah- quando potrò incontrare il ragazzo? -
- Il signorino la riceverà domani pomeriggio alle ore 16. -
Yongguk annuì, l'altro si congedò con un inchino, lui lo ricambiò e quando finalmente la porta fu chiusa sospirò pesantemente e si lasciò cadere con la schiena sul letto. Era un posticino profumato e niente male, quantomeno avrebbe trascorso un periodo di tempo apparentemente tranquillo.
Sollevò la valigia, la mise sul letto e tirò fuori tutti i vestiti e i suoi effetti personali, li sistemò nell'armadio, sui comodini e in bagno, poi tornò in camera e indossò una tuta grigia, comoda e una maglietta a maniche corte color blu notte.
E adesso? Cosa doveva fare? Mettersi a dormire? Aish. Aveva ancora così tanta adrenalina in corpo.
Guardò l'ora: le 22:08. Forse il maggiordomo era andato già a letto e magari se avesse fatto un giretto per la casa non ci sarebbero stati troppi problemi. Eventualmente avrebbe tirato fuori la storia del " avevo bisogno di un bicchiere d'acqua " e via.
Infilatosi le ciabatte uscì dalla camera e tornò verso le scale, le scese più silenziosamente che poteva e si guardò attorno. Sembrava che le stanze fossero così distanti le une dalle altre che accendere la luce non fosse un problema. E così fece. Una volta in salotto tornò ad avvicinarsi a quelle cornici avvistate da lontano. Osservò il viso del signor Jung, quello della signora e poi si soffermò particolarmente sul viso di colui che sarebbe stato suo alunno per quel periodo. Aveva un viso simpatico e, impossibile non notarlo, incredibilmente bello. A primo impatto gli fece un'ottima impressione... per quanto avere a che fare con una bella persona potesse essergli di una qualche utilità. Meglio lasciar perdere le foto e non pensarci. Forse sentiva davvero il bisogno di un bicchiere d'acqua a quel punto.
Quella casa era un vero labirinto, ma in un modo o nell'altro riuscì a raggiungere la cucina. Mise un piede all'interno e si pietrificò. Non aveva ancora acceso la luce, quindi trovò il modo di sfuggire alla persona che era appena entrata da una porta che dava sull'esterno. Era l'ombra di un ragazzo che evidentemente stringeva qualcosa tra le braccia. Se era il signorino di quella casa non era il caso di spaventarlo, avrebbe dovuto semplicemente aspettare che accendesse la luce e presentarsi per poi spiegare che si trovava lì solo per prendere un bicchiere d'acqua.
Fu quando qualcun altro entrò in fretta e furia da quella medesima porta che Yongguk sgranò gli occhi e pensò fosse meglio uscire e nascondersi dietro la parete direttamente accanto alla porta.
- Sei pazzo?! Vuoi che succeda una catastrofe?! Eh?! Dimmelo! - una donna esagitata iniziò a parlare, teneva il tono di voce basso, ma non riusciva a contenere un granchè la rabbia. - Facciamo di tutto per proteggerti e tu ci ripaghi così, tentando di scappare da questa casa almeno una volta a settimana! Complimenti! -
A quanto pare il ragazzino dal viso simpatico di quella casa era un piccolo ribelle, magari voleva fuggire dall'eccessiva precisione e puntualità di quel posto. Si rischiava di diventare matti così, lo capiva eccome.
- Sa-sai che devo fare una cosa... - rispose il ragazzo, venendo aggredito subito dopo dalla voce della donna.
- Non dire stupidaggini! Sei forse impazzito? Se vuoi fare arrabbiare tuo padre hai trovato il metodo giusto! Non dire che non te l'ho detto, fallo ancora una volta e ne pagherai le conseguenze sul serio. -
La donna non ottenne risposta, poi si sentì il suo sbuffo e continuò.
- Ti voglio bene, mh? Adesso torna in camera tua e cerca di riflettere un po' di più sulle tue azioni. In questo modo fai del male anche agli altri, non solo a te stesso. Non farci più preoccupare, ok? Verrò a chiudere a chiave la tua port-.. -
- Ma io- .. Non puoi farlo! Soffocherò lì dentro! -
- Smettila, sai di meritare una punizione ed è meglio che te la dia io piuttosto che tuo padre, non credi? -
La donna era spazientita ed evidentemente il ragazzino si sentì intimorito. A quanto pare a bocca chiusa uscì di nuovo dalla porta dalla quale era entrato e Yongguk si affrettò a raggiungere la propria camera, dimenticandosi completamente del tour che voleva fare e del bicchiere d'acqua che voleva prendere.

-

Non servirà a niente correre fino a perdere il fiato. Ciò che è andato perso è irrecuperabile. Non si tratta di un oggetto, non si può comprare, nè barattare, non si può costruire. Si tratta di un'anima, di essenza. Si tratta di un corpo umano, di carne, di ossigeno, di battiti andati sprecati, di pelle fredda come il ghiaccio.
Quanti di questi beni umani hai già perso? Uno, due, tre. Sono volati via troppo lontano senza che potessi dir loro un ultimo addio. Hai infranto tutte le promesse, tutti i " tornerò " hanno dato vita a speranze appassite con i loro corpi.
Non puoi comprarli, barattarli, nè costruirli.
Non puoi fare niente per loro, ma per te stesso... cerca vendetta.

Aprì gli occhi di scatto, ma fu costretto a chiuderli un attimo dopo.
Era quello il bello di avere un balconcino elegante che dava su un ampio giardino? Un raggio di sole micidiale dritto in viso non appena aperti gli occhi? Aveva bisogno di tende più spesse.
Yongguk sollevò il busto dal letto, si voltò verso sinistra e vide la propria immagine riflessa sullo specchiò del comò, contornato da un'ampia cornice in argento che riportava le forme sinuose di foglie e due cornucopie un po' eccessive alla base. Perchè era tutto così sfarzoso lì dentro? Anche il suo viso sembrava essere la cosa più brutta del mondo se incorniciato da quella robaccia in argento. Aish. Era anche pallido. Quel genere di incubi lo facevano agitare parecchio durante il sonno. Era così da tanti, tanti anni ormai.
Scese dal letto, sistemò lenzuola e coperte e si infilò nel suo bagno privato. Una doccia veloce, deodorante e si vestì, indossando qualcosa di fresco, ma non troppo casual, d'altronde stava per incontrare il signorino di quella casa e voleva fare una buona impressione.
Guardò l'orario: erano le nove. Certo, quell'attempato di un maggiordomo aveva detto che poteva fare colazione alle nove e mezza, ma non credeva fosse un reato lasciare la propria camera mezz'ora prima. Così si decise a scendere le scale.

Si guardava ancora intorno, curioso e convinto che di tesori in quel posto ce ne fossero tanti, e non parlava di tesori materiali, quanto di storie, di curiosità tutte da scoprire. Forse più grande era la casa, più cose vi si potevano nascondere senza temere che venissero scoperte.
In compenso quella mattina la residenza non gli sembrò poi così vuota e triste come la sera precedente. Forse il sole brillante faceva la sua parte, illuminando l'atrio, i pavimenti, le vetrate e ovviamente il verde vivido dell'erba del giardino che riusciva a scorgere anche da lì, se guardava giusto oltre le finestre. La sua intenzione era quella di seguire il tragitto della sera precedente e raggiungere alla svelta la cucina, magari evitando di incontrare il vecchio babbione del maggiordomo. Tuttavia, mentre attraversava l'atrio sentì un rumore proveniente da destra... o forse da sinistra. Il classico rumore che generalmente non si vorrebbe sentire in una casa piena di oggetti tanto costosi: rumore di porcellane che sbattono. Forse era riuscito a sentire anche una piccola imprecazione. Si voltò, fece qualche passo ed ecco un'ombra che fuggiva più veloce della luce. Non ebbe neanche tempo di aprir bocca che era svanita, tanto da farlo dubitare e chiedersi se non si fosse immaginato tutto.
Ancora con un'aria stranita addosso raggiunse la cucina. Notò subito che, nonostante il maggiordomo fosse stato chiaro riguardo gli orari, sull'isola ampia era stata imbandita una colazione che non poteva che essere per il personale. Si guardava attorno e la pancia brontolava. E lì non arrivava nessuno a dargli il permesso di mangiare qualcosa. Aspettò allora che si facessero le 9:15 e allungò la mano verso un morbido croissant con marmellata d'albicocca. Forse era la colazione più gustosa che avesse mai fatto, che soddisfazione. Con aria beata si poggiò al bancone e fissò l'infinito soffermandosi con i sensi sulla bontà di quella colazione, quando la porta della cucina si aprì e lo fece sobbalzare. Neanche avesse rubato le caramelle a un bambino mise via il tovagliolino con la quale aveva retto il croissant prima che svanisse magicamente tra le sue labbra e posò gli occhi sulla nuova figura che si era parata di fronte a lui. In realtà il suo viso non gli era per niente nuovo, l'aveva visto la sera prima durante il suo girovagare sconclusionato, dentro una di quelle cornici in salotto.
Era più basso di lui, con le spalle strette, snello e come constatato anche in foto, con un bellissimo viso. Labbra carnose, sguardo profondo, capelli castano chiaro e soprattutto un adorabile neo sotto l'occhio sinistro.
- Yah, stai mangiando i miei croissants.. ? - chiese il ragazzo, additando Yongguk sconvolto, alla quale andò immediatamente qualcosa di traverso, costringendolo a cominciare a tossire.
- P-Pensavo- .. non sapevo .. -
- Chi sei? - nonostante la sua precedente espressione, si era appena sistemato di fronte a lui a braccia conserte con un sorriso ampio e quasi amichevole.
- Il nuovo tutor d'inglese. - ok, si era un attimo ripreso, ritrovando la propria compostezza e il proprio rassicurante sorriso.
- Oh, le tue gengive sono davvero scure! - e si avvicinò a Yongguk con quel dito puntato una seconda volta contro il suo viso.
- ...Immagino lo siano. -
- Certo che lo sono, hyung. O dovrei chiamarti "professore"? Mh, io credo sia meglio hyung. Sarebbe meglio mettere a proprio agio gli studenti, innanzitutto, o sbaglio? -
Yongguk non era preparato su quel campo, così un po' confuso si limitò a scrollare le spalle. - Se preferisci, hyung va bene. -
Il ragazzo ampliò il sorriso scoprendo i denti brillanti e lo superò, raggiungendo un angolino del salotto alla svelta. Prese uno zaino, se lo mise in spalla e poi tornò da Yongguk.
- Allora andiamo a studiare. -
- Adesso... ? Mi è stato detto che la lezione era alle 16. -
- Oh si, era alle 16, ma dato che il nuovo tutor d'inglese ha divorato uno dei miei croissants senza pietà, lo farò lavorare tantissimo, quindi andiamo. -
Continuava a sorridere e aveva un'aria da bravo ragazzo, tanto che Yongguk pensò non volesse sul serio farlo lavorare di più, ma semplicemente trascorrere la mattinata con qualcuno. Prima che il maggiore potesse dargli una risposta, aspettandosi che lo seguisse, era uscito dalla porta della cucina che dava sulla veranda estiva.
- Facciamo lezione fuori?! Yah-... -
Yongguk dovette prendere alla svelta le proprie cose e rincorrerlo.
Non appena uscì dalla porta della cucina un'ondata di sole lo travolse. Ah, quanto lo trovava odioso. Dato che a Brooklyn viveva più di notte che di giorno si era quasi disabituato a tutta quella luce. Che fosse diventato fotosensibile? Probabile. I suoi occhi impiegarono un po' ad abituarsi all'ambiente luminoso, ma poi finalmente riuscì a raggiungere la figura del minore che pestava l'erba alla quale era evidentemente abituato, girando attorno alla casa, diretto ad una zona un po' più distante. L'altro si fermò come un soldatino solo di fronte ad una veranda di mattonelle in terracotta, tutte rossicce e disposte simmetricamente fino a formare un grande rettangolo recintato da una ringhiera in ferro battuto nera, con qualche decorazione dorata. Seduti ad un tavolo ampio con la superficie in ceramica sui toni del bianco e del verde smeraldo, i padroni di casa si godevano la colazione. Lui, dalle spalle ampie, la mascella ben definita e gli occhi grandi, leggeva il giornale e sorseggiava un tè nero, lei invece, avvolta in un abito bianco di lino, aveva appena spostato gli occhi sul figlio che aveva semplicemente l'intenzione di informarla su cosa stesse andando a fare. Yongguk la fissò a lungo. Non importava da che lato la si guardasse, sembrava comunque cadaverica, con la pelle pallida, il collo lungo e sottile, le clavicole bene in vista. Solo il rossetto rosso sembrava dar vita a quel visto smorto.
- Umma, appa, vado a studiare sotto il mio albero. Grazie per avermi comprato questo nuovo hyung! - E tutto contento procedette verso l'albero di cui aveva appena parlato. Yongguk era stranito, parlava di una persona come se fosse un oggetto, ma non poteva neanche dargli troppo peso, era un signorino di buona famiglia, probabilmente anche qualora avesse detto di aver visto un elefante volare le sue parole sarebbero state prese come oro colato. Si inchinò profondamente di fronte ai padroni di casa e loro ricambiarono con un sorriso e un cenno del capo.

Il signorino raggiunse il famigerato albero, era davvero enorme, con una chioma ampia e fitta, e creava una piacevole ombra sull'erbetta fresca. Anche se avrebbe preferito studiare dentro, su una sedia magari, così da non correre il rischio di dolorosi mal di schiena, doveva ammettere che stare lì era davvero gradevole.
- Allora, signor Jung... -
- Signor Jung? Addirittura? -
- Nel contratto c'era scritto che devo darle del lei... come dovrei chiamarla? -
- Aish, gli stupidi contratti di mio padre. Potresti chiamarmi 'saeng, non credi? Mi metterebbe molto più a mio agio. -
- Ah, ma non metterebbe a mio agio me. Il nostro rapporto sarà comunque quello tra un insegnante e uno studente. -
- Hyung non vuole essere mio amico. - Cercò di tenere una sorta di broncio, poi scoppiò a ridere e prima che Yongguk potesse rispondere freddamente tirò fuori tutti i libri così da iniziare la lezione.
Nonostante quella sua aria sbarazzina sembrava proprio un ragazzo intelligente, coglieva i concetti all'istante e probabilmente se aveva delle lacune nella lingua inglese era semplicemente perchè non aveva ricevuto un insegnamento adeguato in passato.
- Ecco, adesso fai questo esercizio. -
- Ma è così lungo... -
- Signor Jung. -
E l'altro annuì intimorito, iniziando a fare l'esercizio.
Amava particolarmente dargli esercizi da fare, l'aveva appena scoperto. Mentre lui li faceva poteva tranquillamente sbadigliare, guardarsi attorno, fantasticare e delle volte anche chiudere gli occhi e godersi il vento delicato e bollente sulla pelle. C'era un'afa paurosa, ma quell'angolino d'ombra era una benedizione.
In quel momento fece vagare lo sguardo per il luogo in cui si trovavano e il cuore entrò rapidamente in tachicardia.
Quel grande albero con la chioma ampia, un giardino sconfinato. Un giardino di rose. Rose e primule. Battè le palpebre un paio di volte. Doveva essere in uno dei suoi stupidi incubi. Niente. Quando li riaprì inquadrò persino una statua, la statua di una sirena dai capelli voluminosi che se ne stava lì in mezzo a una fontana, bagnata dai suoi giochi d'acqua.
Era vittima di un orribile dejavù.
Ansioso più che mai allora portò lo sguardo sul ragazzo di fronte a sè, ancora a pancia in giù sull'erba mentre compilava le schede di esercizi. Yongguk doveva calmarsi, non voleva che il suo atteggiamento sembrasse sospetto, era ancora all'inizio, non poteva rimetterci il posto di lavoro.
- Mi scusi, posso chiederle da quanto tempo abita in questa casa? -
- La smetti di essere così formale hyung? -
- Può rispondermi? -
- ...Pff. Da sempre. Da che ho memoria, ho sempre vissuto qui. -
- Anche da bambino quindi... -
- Certo che si. Sono nato in questa casa, sono sempre vissuto qui. -
Il cuore di Yongguk andava a mille.
- Ah... capisco. Beh, comunque... non le ho chiesto ancora il suo nome... -
- Uhm, hyung! Se te lo dico poi mi chiamerai per nome? -
- ...Immagino si possa fare. -
Yongguk tratteneva il fiato, quasi sicuro di quale nome avrebbe sentito uscire dalle sue labbra.
- Daehyun. -
E fu come se nella sua testa una serie di neon si fossero appena fulminati.
- Daehyun? -
- Forse ti sembra strano perchè hai vissuto in America così tanto tempo, ma si hyung, Daehyun. E' un nome molto diffuso. Mi chiedo come mai i miei mi abbiano dato un nome tanto usuale... -
Yongguk sorrise flebilmente, poco convinto, ma a quanto pare l'altro non vi diede per niente peso.
Era il posto. Era chiaramente quell'esatto posto, ma quello non era il bambino che ricordava, non era quello con cui aveva giocato tutti i giorni per più di un anno della sua infanzia.
Maledizione. Qualcosa non quadrava.
Se il posto era quello, il giardino di rose era quello, l'albero era quello sotto la quale giocavano ogni giorno, se il piccolo Junhong non aveva fratelli, nè sorelle, se quel Daehyun aveva sempre vissuto in quella casa... ah, nulla aveva più senso. Era un puzzle impossibile da ricomporre, mancavano elementi da ogni parte, in qualunque modo cercasse di capirci qualcosa falliva ugualmente. Eppure il suo cuore aveva ripreso a battere come non faceva da tempo. Era come se si fosse preso uno spavento bello e buono e non riuscisse più a calmarsi.
Il destino era così frustrante, si prendeva gioco di lui ogni attimo di più.

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Capitolo 3
*** Scatola nera. ***


- Oh, sta iniziando a piovere, ci conviene rientrare alla svelta. - osservò Daehyun quando le prime gocce di quell'imprevisto acquazzone estivo caddero sulle pagine bianche del suo quaderno di esercizi. 
Yongguk tornò in sè in un attimo. Una goccia aveva appena colpito anche lui e dalla fronte sarebbe frettolosamente scivolata verso il mento se non che all'altezza del naso l'altro avesse deciso di toglierla di mezzo con il dorso della mano. Il cielo era cambiato davvero in fretta, quasi in contemporanea con il fulmineo passaggio di Yongguk dall'essere immerso nel profondo mondo dei ricordi, al riemergere forzato alla realtà che lo circondava.
- Rientriamo. - 
Parlò più con se stesso piuttosto che con il più giovane che, raccolte le sue cose, si era già lanciato in una corsa frenetica alla volta di casa. Yongguk sembrava non avere l'impellente bisogno di rientrare nonostante la pioggia, ci sarebbero state diverse cose che avrebbe voluto controllare in quel frangente, approfittando del fatto che l'altro si fosse allontanato tanto in fretta, ma non voleva correre il rischio che un brutto raffreddore lo costringesse a qualche giorno di inutile agonia. Doveva essere attivo, pronto a qualunque evenienza. Così, trascinando i piedi sull'erba di malavoglia, si avviò anche lui verso la porta d'entrata di quella enorme villa alla quale probabilmente non si sarebbe mai abituato. 

Tornato in camera continuava ad essere tormentato da ciò della quale aveva appena preso coscienza. Non c'erano dubbi sul fatto che si trovasse nel medesimo posto che per anni l'aveva gentilmente ospitato perchè giocasse con il piccolo Junhong. Da ragazzino non aveva mai avuto la possibilità di andare oltre quell'albero, ma ricordava ugualmente quella che appariva come una mastodontica struttura, vedetta di uno sterminato terreno verde curato in ogni suo minimo particolare. E quel giardino di rose. Poteva attendere oltre? Poteva aspettare che il sole sorgesse per venire a capo di quella questione intricata? Mentre ancora nella sua mente se lo domandava,  aveva già raggiunto la veranda.  
L'orologio sul polso segnava le due del mattino. Un po' come quando era giunto nella casa per la prima volta, la villa era spenta, vuota e silenziosa. Solo qualche pallido lampione illuminava il sentiero che portava al cancelletto laterale, poco visibile dalla zona sud del terreno, in cui era collocata la casa con la sua veranda più vasta. Lo sguardo vagò e notò con grande stupore che non fu poi tanto difficoltoso individuare l'albero che stava cercando. Di certo non perchè fosse l'unico albero del giardino, anzi, ce n'erano tanti e sembravano davvero tutti uguali e, come se non bastasse, tutti costeggiavano il recinto di siepi medio-alte che con gli anni avevano intrecciato i rami tra di loro dando vita ad una muraglia impenetrabile. La cosa ambigua che gli permise di individuare all'istante quell'albero, fu il fatto che fosse illuminato da due piccoli lampioni da giardino, che producevano una luce flebile, ma pur visibile. Basandosi poi sulle coordinate valutate dal fatto che si trovava nella veranda in cui i padroni di casa avevano fatto colazione quella stessa mattina, ebbe la certezza che l'albero era effettivamente quello. 
Non si era curato di portare con sè alcun ombrello, da un lato perchè non aveva pensato di doverne comprare uno nella stagione estiva e dall'altro perchè cercarne uno e prenderlo in prestito gli avrebbe tolto troppo tempo. Non credeva che, qualora si fosse svegliato nel cuore della notte per qualche oscura ragione, se il maggiordomo lo avesse trovato in giro per la villa e sotto quella pioggia, sarebbe stato poi così facile non farlo sospettare di sè. Sapeva che sotto quei baffetti grigi avvertiva già il sapore del sospetto. 
Dunque non gli restò che correre a perdifiato fino a raggiungere quei piccoli lampioni, che piantati lì, solitari, sembravano quasi attendere che li superasse come se si trattasse di un traguardo. L'unico traguardo che raggiunse Yongguk invece,  dato che la chioma di quell'albero era abbastanza fitta da assicurargli un riparo, fu quello di non dover più lottare contro le gocce d'acqua che assiduamente battevano sul terreno e che avevano già provveduto a bagnare il suo corpo, ad infradiciare i vestiti.
C'era effettivamente qualcosa, in quel posto, che non aveva visto, che doveva trovare come prova ultima che si trattasse davvero del luogo culla di un'infanzia ormai svanita come un sogno lontano. Aggirò il tronco, stringendo le palpebre come se servisse a vedere meglio nel buio fitto e procedette a tentoni verso la siepe. 
- Dovrebbe essere qui... - sussurrò, come a voler rassicurare se stesso. Andò a tastare allora la siepe, sfiorò foglie umide, rametti scarni e spine dolorose, ma quando si aspettò di trovare un buco poco più alto di cinquanta centimetri, non trovò nulla, o per meglio dire, trovò altre foglie, rametti e spine. Aggrottò la fronte. Era così strano. Si inginocchiò, tastò ancora. Niente. Perchè non riusciva a trovarlo? Eppure ricordava fosse in quel punto esatto. Per più di un anno, ogni santo giorno, aveva accesso a quella proprietà privata sfruttare quel buco tra le foglie ed ogni volta vedeva di fronte a sè il faccino emozionato di Junhong ad accoglierlo, com'era dunque possibile che adesso non riuscisse a trovarlo? 
- Merda. - sbottò, poggiando la schiena contro il tronco rugoso dell'albero. Guardò di fronte a sè il buio tetro e informe che, come se volesse ulteriormente prenderlo in giro, iniziò a ricreare ai suoi occhi il corpicino minuto di un bambino che sorridente allungava una macchinina verso di lui, implorandolo di fare lui, almeno per una volta, la parte del cattivo. 
Si trovava in quel medesimo posto, ma senza Junhong. Che senso aveva? Perchè il fato l'aveva riportato in quel luogo? Più tentava di seppellire le sue memorie, più tornavano a galla. 
E se magari non era colpa del destino, stava semplicemente diventando pazzo. Perchè altrimenti per quale ragione i suoi occhi avrebbero riconosciuto quelli di Junhong tra la folla? Il suo cuore, la sua mente si stavano autoconvincendo che ci fosse speranza di ritrovare quel piccoletto vivo, si stava chiaramente illudendo, evidentemente vittima di una qualche forma di masochismo, che la notizia sulla morte di Junhong fosse uno scherzo, un'invenzione. Purtroppo miliardi di volte la sua mente aveva già generato quei pensieri e tante false speranze che nel giro di breve tempo erano sfumate. 
Si mise in piedi, rassegnato e voglioso solo di tornarsene a letto così che tutti quei dubbi svanissero alla svelta, ma prima di riprendere il sentiero per la veranda, qualcosa dentro di sè lo spinse a provare un'ultima volta. Sbuffando contro quel se stesso così maledettamente cocciuto si voltò, dando le spalle alla casa e si inginocchiò di fronte alla siepe, forse qualche centimetro più in là rispetto a prima. Fece scorrere le dita sulle fronde e ad un certo punto toccò qualcosa di solido. Non trovò alcun buco, ma toccò qualcosa. Aggrottando la fronte ancor più di quando non aveva trovato altro che altre foglie, toccò con curiosità e decisamente poca cautela ciò che col tatto poteva dire fosse decisamente compatto, spigoloso e quadrato. 
- Una scatola? - tentò di estrarla una, due volte, ma solo alla terza riuscì finalmente a tirarla fuori dal terreno, dato che a quanto pare era sotterrata per metà. Facendolo, vide uno spiraglio lieve di luce oltrepassare il buco che era stato tappato proprio da quest'ultima. L'aveva trovato. Un sorriso incredulo ridisegnò la curva delle sue labbra mentre quasi poggiava il petto sull'erba per guadare oltre quel buco. Dava esattamente al sentiero ancora più malandato di quanto ricordasse, ma che senza ombra di dubbio faceva parte dei suoi ricordi. 
Con il cuore più leggero per le certezze ottenute tutto d'un tratto, si rese conto che l'unico dubbio che restava era effettivamente cosa fosse quella scatola, chi l'avesse messa lì e cosa contenesse. Di certo estrarla in quel modo non era stato prudente, ma si disse che ne era comunque valsa la pena. Allora cercò di esaminarla. Perchè il buio non fosse un problema si avvicinò ai lampioni ai piedi dell'albero e la espose alla luce. Potè constatare che si trattava senz'altro di una scatola, una scatola nera, di latta, che si trovava lì da chissà quanto. Sugli angoli la ruggine era evidente, sui lati il colore laccato si era crepato in alcuni punti, in altri aveva ormai abbandonato la superficie liscia della scatola. Yongguk la scosse appena, sentendo che all'interno qualcosa si era appena spostato. Doveva essere un oggetto leggero e non troppo grande. Al culmine dell'irresponsabilità allora si decise a sollevare il coperchio che per via della ruggine venne via con qualche difficoltà e non senza produrre qualche suono fastidioso. 
Dunque la aprì.
La aprì e il suo cuore si strinse, lo stomaco si contorse e gli occhi sgranati per più di qualche attimo non riuscirono a distogliere lo sguardo dall'oggetto contenuto in quella scatola. Di un corpo pietrificato solo le mani tremavano come foglie in autunno. La scatola gli cadde di mano quando ormai le dita erano tanto rigide da essere divenute simili ai rametti delle siepi. Il contenitore cadde su un lato e sembrò che l'oggetto che vi era contenuto fosse dotato di vita propria, quando rotolò fuori da essa, mostrando il messaggio rivolto senza ombra di dubbio a Yongguk. 
Sulla palla fucsia, un po' sgonfia, sporca di terra e mangiucchiata dal tempo, riusciva ancora a leggere la scritta fatta da una mano tremolante, che sicuramente non aveva ancora troppa dimestichezza con lo scrivere e che sicuramente si era trovata in ulteriore difficoltà su una superficie di plastica come quella. 

" Hyung, verrò a prenderti. "

Nel riconoscere la palla che gli aveva donato e il tratto tremolante di Junhong gli si spezzò il cuore. Aveva distintamente avvertito quell'organo vitale implodere dal dolore e, come fosse a bordo di uno dei celerissimi ascensori dei grattacieli newyorkesi, salire fino all'encefalo in un millesimo di secondo, frantumando anche l'ultimo strato della muta di razionalità e freddezza che indossava. 
Fu un secondo lutto alla quale la notte stessa sembrò partecipare con le sue gocce che disperate si schiantavano al suolo, in contrasto con la dolcezza con la quale le lacrime di Yongguk disegnavano la curva della sua guancia, vittima ormai della rassegnazione.
Solo allora la sua mente iniziò ad elaborare come probabilmente le cose erano andate quel giorno. 
Come il piccolo Junhong, tornato solo e sentendosi abbandonato dal mondo, si fosse deciso ad andare oltre quello stretto sentiero sabbioso, oltre quel loro primissimo punto d'incontro, per scovare il luogo in cui il suo hyung era dovuto fuggire, per tirare debolmente la manica della sua felpa e supplicarlo con i suoi irresistibili occhioni dolci di tornare a casa con lui, di non lasciarlo mai più e di inventare nuovi giochi insieme. Junhong aveva incontrato la sua fine sulle rive del fiume Han, poichè era impossibile che un bambino così piccolo potesse superare il fiume, ma prima di lasciare il giardino che l'aveva protetto come una torre farebbe con una principessa infelice, aveva creduto fosse meglio lasciare un messaggio nel caso in cui Yongguk fosse tornato a prenderlo prima che Junhong fosse riuscito a tornare. La sua pallina e quei caratteri poco leggibili. 
Yongguk seppe solo di aver triplicato la propria sofferenza, di aver riaperto una ferita che tanti anni prima sembrava essere stata malamente ricucita.
E nonostante questo aveva ancora risposto ad una sola domanda tra le mille che aveva in testa. Sapeva solo per quale ragione il piccolo principe avesse lasciato la sua fortezza. 
Oltre quello, c'era il buio. 

-

Il giorno seguente, quando aprì gli occhi li sentì bruciare, sentì il naso chiuso e un orribile mal di testa. 
- Buongiorno influenza... - furono le sue prime parole, con la voce più roca che mai. Voleva evitare un semplice raffredore e gli era toccata l'influenza. Beh, non che gli importasse. Il suo umore non era affatto buono. La sera prima era rimasto sotto quella chioma d'albero per ancora diverse ore, fino a quando il cielo non era diventato man a mano più chiaro, solo allora si era deciso a rimettere tutto a posto, come se non avesse mai scoperto quel piccolo dettaglio che l'aveva sconvolto. Yongguk era consapevole di essere un uomo forte ormai, di aver fatto il callo per quanto riguardava la sofferenza e di avere un'ottima capacità di ripresa. Anche detto così comunque, restava una cosa estremamente triste. Essersi abituato al dolore... si, era davvero penoso. 
Ancora immobile, con la testa pesante tra i cuscini tentò di ripensare a cosa aveva in programma per la giornata. La lezione con Daehyun doveva essere alle quattro del pomeriggio. Sollevò lentamente il braccio per dare un'occhiata all'orologio da polso e rischiò di soffocare con la sua stessa saliva. Erano le tre e mezza. Le tre e mezza di pomeriggio. Come aveva potuto dormire fino a quell'ora? Saltò giù dal letto come un canguro e si spogliò alla svelta, rischiando di inciampare nei suoi stessi piedi una serie infinita di volte. Alle quattro meno dieci era pronto e stava scendendo rumorosamente le scale verso la sala da pranzo. Quando la raggiunse gli occhi di Daehyun lo incontrarono all'istante. Era appena arrivato in sala, con lo zaino poggiato su una spalla sola, pronto a metterlo per terra. 
- Stai bene hyung? I tuoi capelli... danno l'idea che tu sia appena uscito da una lavatrice. - e ridacchiò con il solito fare allegro e spensierato. Probabilmente aveva ragione, non aveva avuto il tempo di farsi i capelli, nè di preoccuparsi che i calzini fossero entrambi blu. Sperava che i calzini bicolore andassero di moda in Corea, magari. 
Si mise a sedere accanto all'altro che ancora aveva il fiatone. 
- Ti sei alzato tardi, vero? Avresti potuto dormire un altro po', così io avrei potuto giocare alla playstation anzichè fare inglese. - 
- Ma sta zitto. - sbuffò, dandogli un colpetto in testa e cercando di ricomporsi per riuscire ad iniziare la lezione. 
Dato che aveva imparato ad essere estremamente professionale non fu un gran problema trascorrere quelle due ore insegnandogli effettivamente qualcosa, tuttavia i momenti in cui gli assegnava qualche lungo esercizio diventavano letteralmente micidiali per lui, dato che si rese conto che non riusciva a pensare ad altro se non a quella maledetta scatola nera. Probabilmente anche quella notte sarebbe sgattaiolato fino a quell'albero semplicemente per osservarla, come se un briciolo dell'anima di Junhong fosse ancora racchiuso tra quelle sottili pareti di latta. 
- Sta ancora piovendo, è da ieri ormai. Non sembra neanche estate, vero? - 
- Beh, nonostante la pioggia sembra faccia comunque caldo. - 
- Ma che senso ha un'estate senza sole? - 
- E che senso ha parlare di un'estate soleggiata se non ti farò comunque uscire da questa stanza se non finisci l'esercizio? - 
Daehyun gonfiò le guance e sbuffò, tornando a fare l'esercizio con un po' più di serietà, ma senza prendersela. Dava proprio l'idea di qualcuno che non se la prendeva mai. 
- ...Potrei andare a prendere una merendi-... -
- Daehyun. - 
- Ma hyung! - 
- L'esercizio. -
- Ma ci metto solo un attimo! - 
- Aaaish. Certo che sei proprio un ribelle dalla testa dura. E io che non volevo crederci l'altra notte! - 
- ...L'altra notte? - gli occhi curiosi di Daehyun sembrarono brillare in cerca di una risposta. Yongguk piuttosto si stranì, dato che avrebbe creduto che l'altro intuisse immediatamente a cosa si riferiva. 
- La sera che sono arrivato ero andato in cucina per prendere un bicchiere d'acqua e ho senito una domestica sgridarti perchè sei uscito senza permesso, che scemo. - 
Daehyun battè le palpebre più di una volta, mettendosi a braccia conserte e sollevando lo sguardo verso il soffitto. 
- Credo che tu l'abbia sognato. - 
- Come no. Sono certo di aver sentito la domestica sgridarti. - 
- Ma non può essere, hyung. Che motivo avrei di uscire dalla mia camera la sera? Ho sempre una bottiglia d'acqua accanto al letto e il bagno in camera. Anche che volessi scappare... con che mezzo? Mio padre mi troverebbe in qualunque angolo di Seoul. E poi perchè dovrei scappare? E pergiunta di notte, figuriamoci, credi che sia stupido? - 
Yongguk era sbigottito.
- Allora chi avrei senti-... - 
Il suo sguardo incontrò quello di Daehyun e nei suoi occhi vide qualcosa ardere. Non era il solito sguardo brillante e vivace.
- E' stato solo un sogno, Yongguk. - il suo tono fu per la prima volta quello di un padrone che dava un ordine ad un suo sottomesso. Le parole scandite, il tono di voce mediamente alto. Sembrava che Daehyun stesse crescendo per diventare un leader capace di sottomettere gli altri. Yongguk era rimasto senza parole, così semplicemente annuì, accettando inconscemente che si fosse trattato solo di un sogno. Daehyun soddisfatto sorrise, si mise in piedi e sollevò le braccia verso il soffitto, stiracchiandosi. Poi decise da sè che sarebbe andato a prendere una merendina al cioccolato e Yongguk rimase seduto lì, solo con i suoi pensieri. Forse semplicemente non voleva che sapesse che era scappato di notte, d'altronde si conoscevano da poco, non poteva fidarsi di lui, se Yongguk avesse voluto dirlo per qualche ragione al padre, sicuramente Daehyun sarebbe stato nei guai.
Doveva essere quella la ragione. 

Dato che si era svegliato così tardi quella giornata sembrò non durare niente. 
Le lancette dell'orologio avevano corso e, dopo aver consumato un'abbondante cena assieme agli altri domestici e dipendenti in cucina, si era ritirato in fretta nella sua camera; forse avrebbe dovuto chiamare Lui, ma non c'erano ancora stati sviluppi di alcun tipo e sicuramente non gli sarebbe importato del fatto che era arrivato sano e salvo in Corea. Decise allora che lo avrebbe fatto più tardi. 
Se non fosse stato per una visita spiacevole allora si sarebbe potuto godere la serata in tranquillità. E invece no. 
Poco prima che l'orologio segnasse le dieci sentì bussare alla porta. Quando aprì ecco l'attempato maggiordomo davanti ai suoi occhi.  Si chiede se davvero quel tizio non provasse vergogna nel mostrarsi agli altri con indosso un pigiama a righe verticali tanto ridicolo? Neanche le sue calze bicolore erano di così poco buongusto. Non potè che scrutarlo dalla testa ai piedi, ma il baffetto lì presente sembrò non farci caso. Fece un passo avanti e si chiuse la porta alle spalle. 
- Si? - Yongguk cercò di capire la ragione per la quale si fosse introdotto così furtivamente in camera sua e soprattutto la ragione per la quale non la smettesse di fissarlo come un avvoltoio a pochi centimetri da una preda in decomposizione. 
- Signor Bang Yongguk...- 
- Presente. -
- Faccia poco lo spiritoso, mi sembrava di essere stato chiaro la prima volta che l'ho scortata in questa camera. - 
E allora Yongguk iniziò a preoccuparsi. Non credeva di aver infranto le regole della casa in qualche modo particolare, nessuno d'altronde gli aveva vietato di uscire in piena notte, sotto la pioggia, giusto per prendersi un malanno. 
- Daehyun mi ha riferito che l'altra mattina è sceso in anticipo per la colazione. - 
Yongguk sospirò, aveva sul serio il coraggio di prendersela con lui per una cosa del genere? 
- Sono sceso in cucina mezz'ora prima e ho preso un croissant con 15 minuti di anticipo. Tra l'altro non credo che tutti quei croissant fossero di Daehyun, o sbaglio? -
- In questa casa pretendiamo che gli orari vengano rispettati. Se le viene detto che la colazione viene servita alle 9:30, può lasciare la camera alle 9:29 o alle 9:31, intesi? - 
- Mi sembra davvero ridicolo che per un-... -
- Bang Yongguk, le cose stanno così. Se vuole essere rispedito in America basta dirlo, ci sono davvero tanti coreani sparsi per America e Inghilterra che verrebbero qui a sostituirla molto volentieri. Sia grato al signor Jung e si limiti a fare il suo lavoro con discrezione e non ci saranno problemi di alcun tipo. Detto questo, buonanotte. - ed uscì dalla  camera sbattendo la porta. Viva la cordialità. Quel tipo doveva avere qualche rotella fuori posto. 
Neanche quella giornata si era rivelata esattamente felice, così sentì il bisogno di uscire ancora una volta da quella camera una volta assciuratosi che tutti stessero dormendo, raggiunse quell'albero per stringere semplicemente la scatola tra le braccia e con la fronte premuta debolmente sul coperchio, passare il tempo a chiedersi perchè la sua vita fosse stata sempre così complessa. 


Nei giorni seguenti Yongguk fu costantemente vittima della monotonia.
All'interno di quella casa non aveva grandi compiti se non quello di fare lezione a Daehyun tutti i pomeriggi e mantenere una certa distanza dal resto del nucleo familiare per non far arrabbiare quel maledetto maggiordomo. Non andava affatto bene, essere così distante da quella famiglia era qualcosa di tendenzialmente problematico per i suoi obiettivi. Non era tornato a Seoul nè per guadagnare qualche soldo facendo il tutor, nè per tornare a porsi delle domande sulla misteriosa morte di Junhong. 
Le motivazioni che l'avevano spinto a lasciare il continente americano erano ben altre. Doveva raggiungere traguardi che aimè, anche dopo più di due settimane di permanenza in quella casa sembravano troppo distanti. 
Inevitabilmente, iniziò a perdere la calma. 

Sempre più spesso allora si recava in piena notte all'albero suo e di Junhong, tornava ad osservare quella palla fucsia, come se potesse essergli d'aiuto in qualche modo, come se si aspettasse che da un momento all'altro iniziasse a parlare, raccontandogli per filo e per segno come stavano le cose. Ma non lo faceva mai. Restava uno stupido oggetto in plastica attenagliato ad una lunga serie di ricordi. Più lo guardava, più si faceva del male. E lo sapeva bene. Sapeva bene che sarebbe dovuto tornare a sotterrare quella maledetta scatola non solo sotto le siepi, ma anche nelle profondità del proprio subconscio, il fatto che l'avesse ritrovata doveva svanire, altrimenti sarebbe sempre stato troppo distratto, troppo inquieto per permettersi di fare passi falsi che nella loro slealtà potevano permettergli di raggiungere quell'unico risultato finale. La vendetta. 
Dato che tuttavia, nonostante le numerose volte in cui ormai giornalmente si dava dell'idiota, sentiva il bisogno di raggiungere quell'angolo del giardino ed aprire la scatola, alla fine della terza settimana di Luglio si rese conto che si trattava di un gesto quotidiano che stava lentamente trasformandosi in dipendenza. Così, un pomeriggio, ne sentì inaspettatamente il bisogno quando il sole era ancora alto nel cielo. 
Ogni domenica aveva il giorno libero, più che per lui, per il povero Daehyun che non ne poteva più di studiare inglese ogni giorno, ma quella domenica era particolare. Aveva valutato come tutte le domeniche passate la possibilità di recarsi finalmente al cimitero, ma si era inventato qualche contrattempo pur di non farlo, pur di giustificare il coraggio che gli serviva e ancora non aveva. Sapeva che in quella tetra atmosfera e tra quelle lapidi avrebbe trovato non solo suo padre e suo fratello, ma anche la tomba di qualcun altro. E non si sentiva pronto. 
Ad ogni modo, la particolarità di quella domenica stava nel fatto che quella vuota e silenziosa villa fosse per una volta davvero vuota e silenziosa. I padroni di casa, con tanto di maggiordomo al seguito, si erano decisi a portare Daehyun a fare una gita rilassante sui colli che circondavano Seoul, dunque in casa erano rimasti solo la governante e Yongguk. Dato che si trattava di una ragazza un po' snob, molto sulle sue, era difficile che si interessasse a cosa combinava Yongguk, così, per quel pomeriggio, ebbe come la sensazione di essere libero in quella casa che poteva rivelarsi un parco giochi se solo le telecamere di sorveglianza poste in ogni angolo non stessero lì ad osservarlo attentamente. Non restava che uscire e curiosare all'esterno. 
Munitosi di pantaloncino in maglina blu e maglietta a maniche corte grigia, volutamente combinato come l'anticristo dell'eleganza, uscì di casa e si ritrovò nell'ampia veranda. Le sedie dei padroni erano ancora lì, erano state spostate giusto per la colazione di quella mattina presto. Yongguk levò le braccia al cielo e si stiracchiò. Il clima di Luglio era torrido, ma se non ci si esponeva troppo al sole sapeva essere estremamente piacevole. Le giornate piovose di qualche settimana prima sembravano un lontano ricordo e ormai anche solo guardare il modo in cui i raggi del sole battevano sull'erba facendola risplendere di un verde vivido gli conferiva un senso di rilassatezza e calore. 
Il primo luogo da esplorare era senz'altro l'attrattiva per turisti di quella casa: il giardino di rose. 
Si spostò verso est superata la veranda ampia ed eccolo lì. Quella fontana era eccessiva ed estremamente ben visibile, accesa giorno e notte, illuminata perennemente, che con i suoi giochi d'acqua avrebbe attratto chiunque. Le rose invece non rappresentavano nessuna attrattiva per lui. Lo trovava un fiore banale, usato e strausato in qualunque occasione. Cosa aveva di tanto bello? Non riusciva a capirlo. Ricordava che neanche Junhong li apprezzasse molto, soprattutto perchè dato che era un piccolo sprovveduto gli era capitato più di una volta di pungersi con le spine sul gambo, poi correva da Yongguk disperato, neanche quel taglietto sul polpastrello piccino piccino fosse una ferita mortale.
Nel vagare per il giardino di rose però, notò qualcos'altro, qualcosa che non aveva mai visto prima. 
Si avvicinò stranito a quella costruzione a vetrate le cui pareti sottili, pur essendo in vetro, non consentivano di dare un'occhiata all'interno. Era evidentemente una serra. Una serra gremita di piante di ogni tipo e di edere così alte da celare ciò che conteneva. 
Yongguk si guardò attorno. Sicuramente si trattava di un luogo alla quale non gli era permesso accedere così, senza pensieri, ma occhio che non vede, cuore che non duole. Sempre più incuriosito allora trovò la porta dalla maniglia d'acciaio pitturata sommariamente di bianco e la abbassò una, due volte, senza riuscire a spalancare l'uscio come avrebbe voluto.
Sbuffò, passando una mano tra i capelli. Era enorme. Conteneva sicuramente diverse specie di piante, non solo quelle stupide rose messe in bella mostra. Improvvisamente quella serra sembrava chiamarlo, voleva scoprire quali fiori fossero sbocciati al suo interno. Si, era senz'altro troppo curioso ed in realtà ne era anche consapevole, ma quando il suo istinto dettava qualcosa, non poteva che seguirlo. Tuttavia seppe riconoscere anche da se che non era il momento di rompere una vetrata e infilarsi all'interno con nonchalance, se non voleva perdere il lavoro e finire dritto in galera con una denuncia grande quanto una casa che gli pesava sulle spalle e che sicuramente non gli avrebbe permesso di rifugiarsi a New York. Eh no, in quel caso la curiosità era proprio da tenere a bada. 

Un po' scocciato tornò al piano originale e dopo aver vagato per il giardino come un vagabondo raggiunse finalmente l'albero che come sempre, da anni, produceva la stessa ombra ampia capace di rinfrescarlo dall'arsura estiva. Gattonò fino alla scatola e la tirò fuori ancora una volta, ma appena lo fece si ritrovò ad aggrottare la fronte. 
Era nettamente più pesante. 
Stranito allora si affrettò a sollevare il coperchio, mettendolo da parte, e quando guardò all'interno il cuore si fermò. 
Accanto alla pallina fucsia, un pupazzo non troppo grande sembrava fissarlo come se avesse appena interrotto il suo sonno nella scatola. Un Tigro. Lo stesso pupazzo che, il giorno in cui l'aveva abbandonato, aveva portato a Junhong e che aveva lasciato tra le sue braccia. Era sporco e malandato, una zampina era scucita all'altezza della spalla e l'ovatta che lo riempiva ne fuoriusciva appena, ma nonostante l'aspetto invecchiato emanava un odore dolciastro, un odore... di rose.
Ancora meno cose quadravano. 
Seppur volesse ignorare ciò che riguardava la scomparsa di Junhong sembrava che i quesiti insistessero senza sosta per attirare la sua attenzione. 
Chi aveva messo il peluche dentro quella scatola? Fino a poche ore prima era certo che non ci fosse. I padroni erano usciti quella mattina presto. Che fosse arrivato qualcuno dall'esterno? E anche se fosse stato, come poteva quel qualcuno avere il peluche che Yongguk aveva lasciato al piccolo Junhong proprio il giorno in cui l'aveva lasciato andare per l'ultima volta?  E perchè riporlo in quella misteriosa scatola nera?
Sembrava tutto uno scherzo di cattivo gusto e beh, se lo fosse stato, la tachicardia di Yongguk testimoniava che c'era senz'altro cascato come un idiota. 

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E il terzo capitolo è andato! Tenete duro lettori, dal quarto capitolo inizierete a vedere la luce (?) 
Spero che questo capitolo vi piaccia, buona lettura :3

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Capitolo 4
*** La rosa respira. ***


Nei giorni seguenti Yongguk iniziò a provare una sensazione di spaesamento, di confusione e quasi di paura. Era un uomo razionale alla quale diverse volte nel corso della vita era stato insegnato che illudersi era la cosa peggiore che si rischiasse di fare e, tra l'altro, detestava il non avere le idee chiare. Aveva vissuto sempre con la propria vita scandita da programmi giornalieri, sapeva a che ora doveva mettere giù i piedi dal letto, quanto poteva impiegare per una doccia ogni mattina e quanto tempo avrebbe trascorso per portare a termine un qualche lavoro che gli veniva assegnato, ma la cosa importante era che sapeva sempre e comunque quali fossero le ragioni per le quali agiva, quali fossero i suoi obiettivi finali ed in che modo ruotasse il suo mondo. 
Da quando era alla villa invece, tutto si era capovolto. Gli sembrava di vedere le cose sempre al contrario, aveva l'impressione di camminare a testa in giù, così che tutti i pensieri, grumosi ed intricati, si concentrassero in un punto, impedendogli di andare avanti. Era esattamente così che si sentiva e no, non era affatto piacevole. 

Quando qualche giorno dopo riuscì a tornare a pensare all'accaduto razionalmente, prese un'unica decisione che, in realtà, avrebbe dovuto prendere molto tempo prima: quella di avvicinarsi alla famiglia Jung. Le motivazioni erano più di una. Da un lato faceva parte del piano che Lui aveva stilato prima che Yongguk giungesse in Corea, dall'altro si trattava dell'unico modo di scoprire quale fosse la verità dietro quella stupida scatola nera. In fin dei conti non era possibile che quel pupazzetto prendesse vita la notte e uscisse dalla scatola, andandosene a zonzo, e vi tornasse per riposare alle prime luci del mattino, come per non rischiare di essere visto dagli umani. No, Yongguk era davvero frastornato, ma non fino a quel punto. Sapeva dunque che qualcuno doveva necessariamente mettere e poi togliere il Tigro dalla scatola, ma non sapeva chi fosse, se fosse interno o esterno alla casa e per quale ragione lo facesse. Certo non sarebbe stato difficile per lui scoprirlo se si fosse appostato dietro uno degli alti cespugli di rose del giardino, ma quella casa era popolata da più occhi che persone, dato che oltre ad esse, la quantità di telecamere era impressionante. Se solo il maggiordomo e i suoi occhietti cattivi si fossero accorti di uno Yongguk accovacciato come un idiota dietro un cespuglio, di certo non ci sarebbe stato modo di non farlo sospettare di sè. Sinceramente non aveva voglia di discutere ancora (dato che lo faceva fin troppo frequentemente) con quel maggiordomo rincitrullito. 
Avvicinarsi alla famiglia Jung comunque non era un'impresa facile. Era conscio fin dall'inizio di doverlo fare penetrando con cautela nella cerchia delle persone fidate, perchè non credeva che i padroni di casa dubitassero di lui, ma c'erano di certo cose che non gli avrebbero mai detto, dato che abitava in quella casa da ancora troppo poco tempo e perchè in fin dei conti non c'era ragione di fidarsi di lui. Il primo passo era dunque quello di avvicinarsi al corpo dei domestici. Con il maggiordomo non c'erano molte speranze, ma con gli altri decise di non demordere. 
Tutte le mattine allora, alle nove e trenta in punto, mentre faceva colazione con gli altri, stupendo tutti, iniziò a salutarli, poi a dare il via a conversazioni, porre domande e mostrarsi curioso nei confronti delle mansioni degli altri, riguardo ciò che pensavano riguardo questo o quell'altro e tante altre cose, anche piccoli gesti, che lo aiutarono a raggiungere il suo obiettivo in non troppo tempo. Con Hyoseong, la domestica che credeva così snob e sulle sue, strinse addirittura quella che poteva considerarsi una buona amicizia. Era una ragazza graziosa, ma dalla forza bruta e la personalità iperattiva, ma non era solo questo a rendere Yongguk particolarmente soddisfatto di quella nuova relazione, quanto due vantaggi fondamentali: il primo era che Hyoseong parlava tanto, parlava di tutto, parlava a vanvera e raramente misurava le parole o solo in seguito si rendeva conto di aver detto qualcosa che non avrebbe dovuto, per questo spesso trapelavano dai suoi discorsi informazioni riservate, che sperava Yongguk non tenesse a mente; il secondo vantaggio era che lei, oltre al maggiordomo, era l'unica a poter avere liberamente accesso allo studio del Signor Jung ogni qual volta che quotidianamente egli voleva fare una pausa. Hyoseong entrava in quella che sembrava una camera blindata, in fondo al corriodio del secondo piano, con una porta ampia e in faggio, dalla maniglia laccata in oro, che sembrava più massiccia di entrambi i bicipiti di Yongguk. Hyoseong, con la sua aria graziosa, sembrava quasi cozzare con quella seriosa e lussuosa dello studio di quello che, una volta oltrepassato l'uscio, diventava il Presidente Jung, capo di una grossa multinazionale che, nel campo della tecnologia, aveva ormai conquistato economicamente tutto il Paese e che si preparava ad allargare i propri confini conquistando gli Stati Uniti. 

Era mattina quando si decise a perdere un po' del suo tempo, non spendibile in altri modi, in realtà, a parlottare con Hyoseong durante la colazione.
- Non vedo l'ora, sarà un evento memorabile! - esclamò la ragazza, mordendo un altro toast. Era il terzo, probabilmente, coperto di marmellata alle ciliegie. 
- Parli del compleanno della signora Jung? - 
Lei annuì, lasciando perdere il toast, pronta a raccontargli tutto. Aish, si sarebbe solo voluto tappare le orecchie. 
- Ci saranno moltissime decorazioni, anche se la Signora è ancora indecisa sul colore dei vasi, ma immagino che vada bene il verde menta, si abbina alle pareti. Ah, Yongguk-ssi, sei così fortunato ad andare al ricevimento, io dovrò servire per tutto il tempo. Sai che ci saranno tantissimi nuovi camerieri? La casa ne sarà letteralmente invasa. Spero ce ne sia qualcuno particolarmente carino. Immagini come sarebbe? Ascolta, ascolta. Lui mi vede tra la folla, con un vassoio d'argento in mano, io lo intravedo, ma imbarazzata fuggo con le guance tutte rosse, lui mi insegue... - afferrò il polso di Yongguk con così tanta forza da farlo guaire come un cagnetto alla quale è stata pestata la coda - ...mi prende per il polso e sospira sulle mie labbra. E poi ci sposiamo ovviamente. - 
Yongguk alzò un sopracciglio, riuscendo solo allora a liberare il polso dalla sua stretta e tutto il resto dalle fantasie amorose e parecchio sconnesse di Hyoseong. Certo, potevano essere attratti dal suo aspetto, ma avrebbe voluto proprio vedere in che modo avrebbero fronteggiato la forza di quel troll nascosto nel corpo di una ragazza. 
- Accadrà senza dubbio qualcosa del genere... - commentò ironicamente e lei fece una smorfia e gli diede un pizzicotto sul braccio. 
- Yah, piuttosto, hai visto in che condizioni sei? Da quanti anni non pettini i capelli? Vedi di essere carino la sera del ricevimento o ti farò uno sgambetto nel bel mezzo della sala. E poi ho sentito dalla Signora la vera ragione per la quale vuole che tu ci vada... però aish, non credo dovrei dirtelo... - 
Yongguk la fissò, contando in mente fino a tre. 
- ...Però insomma, non credo sia così importante. Te lo dico, so che vuoi saperlo! Dunque, ricordi di sabato scorso? Daehyun è tornato a casa con un'amica, no? Ah, la Signora era così preoccupata che potesse essere la sua fidanzata che mi ha supplicato di estorcere informazioni alla ragazza, e indovina un po'? La sua risposta è stata " no, Daehyun non mi interessa, ma ho visto di sfuggita quel suo tutor... è così sexy " -. Il suo tono di voce era diventato disgustosamente femminile nelle ultime parole.
Yongguk non fece una piega, non perchè non gli facesse piacere, ma interessarsi ad una compagna di classe di Daehyun lo faceva sentire un pedofilo, giusto perchè trattava il suo allievo come un ragazzino, nonostante avessero solo tre anni di differenza. E poi in realtà le questioni sentimentali non gli interessavano poi tanto. Aveva così tante cose alla quale dedicarsi che figuriamoci se una ragazzina con una cotta per lui potesse attrarre la sua attenzione. 
- Comunque la Signora ha deciso di presentartela direttamente. - 
Yongguk sputò la poca acqua che aveva appena sorseggiato. 
- Yaaah! Guarda che ho appena lavato il pavimento! - sbottò l'altra, dandogli anche uno schiaffetto sul polso poco prima di alzarsi per cercare il mocio, così che potesse dare una ripulita alla veloce, prima che qualcuno dubitasse che avesse svolto le sue mansioni in maniera appropriata. Yongguk tossì. Cosa gli toccava sopportare? 

Il ricevimento fece cadere la casa nel caos, ma a distanza di due giorni dal quarantacinquesimo compleanno della Signora, Yongguk continuava ad esaminare l'attuale situazione, ancora disastrosa, e alla fine si decise a chiedere a Hyoseong quel piccolo favore. In realtà ci volle un po' per farla cedere. Yongguk non credeva fosse una richiesta poi tanto gravosa: voleva solo avere qualche minuto per parlare con il Presidente del rendimento di Daehyun, o almeno questa era la ragione che si era inventato. Dopo mille preghiere e scongiuri, finalmente si convinse. 
La domenica allora, a due giorni di distanza dal pomposo ricevimento, Hyoseong si intrufolò nello studio del Presidente con un vassoio con tè nero e biscottini e quando ne uscì gli rivolse un occhiolino, segno che il Presidente aveva acconsentito a vederlo. Nel momento in cui Yongguk fece un passo verso la porta, il cuore gli salì in gola e iniziò a battere come un tamburo. Sapeva che probabilmente, anche senza volerlo, aveva evitato a tutti i costi quel momento. Aveva sempre visto quell'uomo di sfuggita, le poche volte in cui lasciava il suo studio o non andava a lavoro, ma mai aveva avuto modo di avvicinarsi abbastanza da poter dire quali erano i tratti somatici del suo volto. La questione era che forse non aveva mai voluto che accadesse. Temeva di non riuscire a mantenere il controllo, temeva di mandare all'aria tutto, tutti quegli anni trascorsi con un solo passo falso, con una parola troppo irriverente, con un gesto affrettato e istintivo. Se non fosse riuscito a mantenere l'aria professionale, seria e da bravo ragazzo che si era costruito non solo la sua permanenza lì, ma probabilmente anche la sua stessa vita, sarebbe giunta al termine. 
Alla fine si fece coraggio e fece un passo avanti, superando l'uscio ed infilandosi all'interno. Lo studio era grande due volte la cucina, con le pareti coperte da una carta da parati color giallo ocra e le tende spesse, in velluto bordeaux che coprivano le grandi finestre. Sulla destra c'era la scrivania, ordinata, che ospitava giusto qualche scartoffia, una lampada e una penna stilografica. Dietro di essa un'intera parete era ricoperta da una grande libreria, piena piena di libri e fascicoli, ma dubitava si trattasse di articoli di intrattenimento o lettura per diletto. Forse una prova, ciò che cercava, poteva trovarsi tra quella tanta carta. 
Il Presidente, tarchiato, che per via dei capelli brizzolati non poteva più nascondere i suoi cinquantasei anni, se ne stava invece sulla sinistra dello studio, in una zona dedicata al relax, dotata di due divanetti e due poltrone color senape che sostavano su un ampio tappeto persiano che trasudava preziosità da ogni fibra. Yongguk, rigido come una tavola di legno, si voltò verso di lui e si inchinò. Il Presidente lo guardò da sopra gli occhiali da lettura dalle lenti sottili e con un gesto della mano lo invitò a venire avanti. Sorseggiava il suo tè nero. Lo faceva con estrema calma, come se avesse la coscienza pulita, quell'assassino. Yongguk si avvicinò sorridendo appena e si accomodò sul divano, giusto accanto alla sua poltrona, che sembrava aver preso ormai la forma di quel corpo che spesso la occupava e che magari tanto tempo prima era stato atletico e giovane. D'altronde occupava quell'importantissimo ruolo nell'azienda di famiglia da quando aveva venticinque anni. Si era informato bene su di lui. 
- Hyoseong mi ha detto che volevi vedermi. - 
- Si signore. Volevo semplicemente riferirle del rendimento di Daehyun. -
- C'è qualcosa che non va? - 
- Oh, no, va tutto bene, anche troppo bene, direi. Suo figlio aveva giusto qualche lacuna nella lingua, ma è estremamente sveglio e intelligente. Quello che vorrei consigliarle, una volta terminato il tutorato, è di consentirgli di fare un viaggio all'estero per parlare più frequentemente la lingua. Nel nostro Paese purtroppo non ci sono molte possibilità da questo punto di vista. - 
Lui annuì, bevendo un altro sorso di quel tè bollente. Come facesse a mandarlo giù con quel caldo davvero non se lo spiegava. 
- Io e mia moglie abbiamo già preso in considerazione questa possibilità, tuttavia non credo l'idea per adesso andrebbe molto a genio a Daehyun, essendo un ragazzo molto socievole ha tanti amici e dubito li lascerebbe andare tanto facilmente. - 
Yongguk sospirò e poggiò la schiena alla spalliera, con aria un po' più rilassata, pur avendo le mani sudate dal nervoso. 
- Credo di capirlo, in realtà. Chi vorrebbe lasciare questa bella villa? - 
Lui sorrise fieramente, distendendo finalmente quell'espressione corrucciata e austera. - Allora ti piace? - 
- Come potrebbe non piacermi? La villa è davvero perfetta e il giardino di rose al quale il balcone della mia camera si affaccia è davvero bellissimo. Mi soffermo sempre a dare un'occhiata. - Che bugiardo spudorato. 
- Ah si, mia moglie ha insistito tanto perchè la camera con la vista sul giardino andasse all'ospite. Ama particolarmente le rose, in particolare quelle gialle e quelle color pesca. -
- Comunque il terreno è molto grande, a quanto ho visto, anche l'albero più bello del giardino, quello indicato da quei lampioncini... - 
Lui tornò a corrugare la fronte, stranito. - C'è un albero del genere? - 
Yongguk rise dentro di sè, era ridicolo quanto poco conoscesse camera sua, ma si limitò ad annuire. 
- Beh, è il giardiniere ad occuparsi di queste cose. Mi fido del suo buon gusto. -
- Dunque anche la serra è opera del giardiniere? - 
Lui alzò un sopracciglio, posando la tazza e incrociando le braccia sul petto. Forse stava valutando il fatto che Yongguk se ne fosse andato abbastanza a zonzo. 
- No, quella è opera mia. Vedi, l'albero scelto dal giardiniere sarà anche il più bello tra tanti, ma il vero fulcro del giardino è quella serra. - lo vide quasi inorgoglirsi, mentre fissava fuori dalla finestra, ma le sue labbra restavano immobili, piatte come il mare in giornate fredde e senza vento. 
Yongguk quasi imitò il suo precedente gesto, sollevando anche lui un sopracciglio. 
- E' perchè è una costruzione antica o particolarmente pregiata? O magari per qualcosa che contiene? - 
Il Presidente se la rise e riportò gli occhi su di lui. - Come ho detto mia moglie ama le rose, ma ancor più ama il giardino di rose. Sente il bisogno di avere almeno un mazzolino di quelle stesse rose in camera, o accanto alla sua vasca da bagno. Se le cogliessimo però dal giardino, per lei sarebbe un grande fastidio, perchè vorrebbe dire rovinare la natura dei cespugli. Avevamo la necessità di avere altre rose, che crescessero lontano dalla sua vista e che potessero essere colte ogni qual volta mia moglie desiderava. Ed ecco il perchè della serra. - 
Yongguk era confuso e non riuscì a stare zitto. - La prego, non mi consideri irriverente, ma come può essere una serra contenente altri fiori dello stesso genere il fulcro di un giardino così bello? - 
Lui sembrava divertirsi un mondo, difatti rise ancora. 

- La ragione è, signor Bang Yongguk, che dentro la serra... una rosa respira. - 

Yongguk aggrottò la fronte, era la frase più equivoca che potesse mai sentire, ma prima che potesse aprir bocca per chiedere spiegazioni a riguardo, Daehyun entrò in camera con il suo passo saltellante e canticchiando a labbra serrate con la sua bella voce. Sbigottito notò Yongguk, ma non disse nulla, si inchinò e sorrise ad entrambi.
- Passo più tardi. -
- Ah, no Daehyun - lo fermò il padre - Resta pure, il signor Bang Yongguk stava andando via. - 
E nonostante Yongguk si sentisse cacciato, si alzò, salutò educatamente e uscì dalla stanza, prendendo aria solo quando finalmente si trovò lontano da quel mostro. 

-

Le parole dell'uomo gli avevano dato ancora una volta qualcosa sulla quale riflettere e così, mentre tutti si affannavano per la preparazione del ricevimento e perchè fosse perfetto, lui se ne stava chiuso in camera, uscendo fuori solo quando era costretto a farlo per via delle lezioni con Daehyun, ma anche durante quelle si distraeva facilmente e troppo spesso l'allievo doveva riprendere il maestro perchè tornasse con i piedi per terra e smettesse di volteggiare tra le nuvole. 
Prima ancora che potesse rendersene conto, il giorno del ricevimento arrivò. 
Sarebbe impossibile descrivere quanto quel giorno l'intera tenuta fosse piombata nel caos. La quantità di camerieri giunti in casa era davvero ingente come diceva Hyoseong, quasi non si riusciva più a camminare per i corridoi senza correre il rischio di scontrare un cameriere o una domestica con una pila di stoviglie tra le mani, argenteria, utensili da cucina, o torri di tovaglie. Ormai non si trattava più di attraversare androni, ma di intraprendere quotidianamente un percorso ad ostacoli. Anche perchè beh, se malauguratamente fosse caduta una forchetta dalle manine chiare di una di quelle domestiche e si fosse scheggiata in maniera anche solo appena evidente, sarebbe toccato a Yongguk ripagare tutto il servizio. Hyoseong l'aveva avvertito con un'aria serissima. 
Quella stessa sera, la domestica consegnò in camera sua uno smoking che, sicuramente, era costato un occhio della testa, dicendo che era un omaggio da parte della Signora la quale teneva davvero tanto alla sua partecipazione (che poi non aveva ancora ben capito se fosse perchè voleva appioppargli una fidanzata viziata o se per vantarsi del suo buon tutor d'inglese). Ovviamente non poteva di certo rifiutare un dono del genere, insomma, sarebbe stato un idiota se avesse anche solo pensato di farlo. Una volta indossatolo rimase una mezz'ora buona a rimirarsi allo specchio. Non si era mai sentito così in forma, così elegante. Aveva dato addirittura una bella sistemata ai capelli arruffati, portando il ciuffo all'indietro con giusto un po' di gel. 
Daehyun, che non voleva raggiungere la sala del ricevimento da solo, si intrufolò nella sua camera quando Yongguk era pronto per uscire, così insieme camminarono verso l'ala esterna che conduceva al ricevimento. Riusciva già a sentire la piccola orchestra sinfonica, risa, schiamazzi e il chiacchiericcio allegro degli ospiti, ormai tutti arrivati da un pezzo. Il portone della sala era spalancato, le luci gialle creavano un'atmosfera soffusa ed elegante, batteva sui vasi color menta e sulle tovaglie color glicine, sull'abbondante buffet italiano e coreano e sui sorrisi più o meno stereotipati degli invitati. Daehyun disse di non conoscere quasi nessuno lì dentro, ma i suoi occhi si illuminarono quando finalmente trovò la sua compagna di classe, felice di incontrare un volto amico tra tutti quei manager, politici e mogli di uomini benestanti mai visti prima. Yongguk si sentì un po' meno felice. Gli occhioni di quella ragazza sembravano brillare davanti alla sua figura ben più alta, lo fissavano con insistenza, ma, quando schiuse le labbra per dire qualcosa, il maggiore tossì, dando una pacca sulla spalla a Daehyun. 
- Bene, allora io vado eh? Ho voglia di bere qualcosa di fresco. - 
E in un attimo sgattaiolò via, lontano da quella signorina di buona famiglia, che probabilmente, se avesse voluto, avrebbe potuto comprarlo come fosse un nuovo Ken da dare in pasto a Barbie. 
Avrebbe fatto l'asociale, come faceva alle feste di compleanno dei suoi compagnetti durante le elementari, mettendosi in un angolino e strafogandosi di patatine e coca-cola. Beh, in quel caso il cibo di cui strafogarsi sembrava molto più raffinato, ma lo avrebbe comunque aiutato a fare la parte del figurino che osservava la festa da lontano, partorendo idee su quale potesse essere la vera personalità di tale persona, su cosa nascondesse in realtà quell'altra persona e insomma, che nessuno sembrava notare troppo. Nessuno tranne quella benedetta ragazzina. La vide rispuntare dalla folla dopo una ventina di minuti, con il mento alto e lo sguardo dritto verso di lui, uno sguardo talmente deciso da fargli temere che volesse perforargli la fronte fissandolo. Maledizione, doveva fuggire. Allora, come illuminata da un lampo di luce divina, vide la figura di Hyoseong, non poteva che inseguirla in fretta, sfuggendo una seconda volta alla tipetta con una cotta per lui. Vide la gonna voluminosa di Hyoseong svanire dietro la porta riservata ai domestici e naturalmente la imitò, chiudendosi quella porticina quasi invisibile alle spalle. Ovviamente si ritrovò nel bel mezzo del marasma più assoluto, i camerieri non lo videro neanche, troppo impegnati a svolgere le loro mansioni. Forse fu per miracolo che riuscì a ritrovare la chioma curata e raccolta di Hyoseong che per qualche oscura ragione usciva dalla porta di servizio. Raggiungerla tuttavia non era impresa facile. I camerieri iniziavano a guardarlo male e a chiedersi che diavolo ci facesse lì se era tutt'altro che qualcuno appartenente allo staff domestico. Insomma, tra non molto l'avrebbero buttato fuori a calci. Dunque, per prevenire la cosa, gli toccò uscire da quella porticina e tornare nella grande sala affollata, ancora animata dalle sinfonie eleganti dell'orchestrina. Dov'era finita Hyoseong? Aveva bisogno di qualcuno di ben più genuino come lei con la quale scambiare giusto una parola per sentirsi meno a disagio tra tutti quei "pezzi grossi". Decise di lasciare la sala mentre nessuno sembrava prestargli attenzione e fatto qualche passetto in penombra ritrovò la domestica che sembrava celermente tornare alla porta di servizio dalla quale era uscita un attimo prima. 
- Hyoseong, yah, che ti prende? - 
Notò che reggeva in mano un vassoio e non capiva per quale ragione. Alzò un sopracciglio. 
- Sei andata a dare una parte del buffet alle piante? - 
Lei gli diede un pugnetto sulla spalla, ma sembrava ugualmente un po' sbigottita. - Che idiota, mi hai spaventata. - 
- Ma che vai blaterando? Non mi sembri affatto spaventata. - 
- Torna al ricevimento Yongguk! - 
Era strano trovarla tanto seria, forse era soltanto impegnata con il servizio ai tavoli... o forse nascondeva un qualche cameriere/amante in un angolino del giardino. Certo, adesso stava fantasticando anche lui, ma non si sa mai. Con quel "non si sa mai " in testa allora iniziò a camminare, seguendo il tragitto che aveva percorso la ragazza un attimo prima, ma non trovò niente di più che il giardino di rose, illuminato dalla solita fontana. Allora lo sorpassò, indignato e nauseato da quei maledetti fiori. Pensò che magari fosse il caso di dare un'altra breve controllatina alla scatola nera, ma prima che potesse intraprendere quel sentiero tra l'erbetta umida, venne una seconda volta attratto dalla serra. La serra bianca e vecchia, dalle pareti ricoperte d'edera. Era la costruzione più importante del giardino, aveva detto il signor Jung.
- Ridicolo. - sbottò, raggiungendo la porta. - E' così vecchia e arrugginita, non si curano neanche di riverniciarla. - e sbuffò una prima, seconda e terza volta, dando un calcetto nervoso alla porta. Un "click" a quel punto attrasse la sua attenzione. La porta era aperta. Che qualcuno se ne fosse dimenticato? Forse il giardiniere?
Qualcosa gli diceva che non avrebbe dovuto, ma dando ragione alla sua testa dura, si intrufolò all'interno e si guardò attorno. Dei lampioncini dalla luce davvero flebile illuminavano la serra, appesi a pochi metri di distanza gli uni dagli altri nella parte superiore delle vetrate che si susseguivano nel formare le pareti della costruzione. Come aveva detto il Presidente, vi erano altri vasi di rose, ma non sembrava si trattasse di un'intera coltivazione, ce n'era giusto qualcuna sparsa qui e lì. Ma soprattutto, notò che, a differenza di quelle piantate in giardino e delle preferite della signora Jung, erano tutte bianche. 
Che razza di serra era? Avanzò, nonostante non sapesse bene in che direzione stesse andando. Notò che a dispetto delle serre completamente chiuse che spesso gli era capitato di vedere, quella aveva dei veri e propri buchi sul tetto, come si volesse far entrare la maggiore quantità di ossigeno possibile. Forse dipendeva solo dalla poca manutenzione che veniva riservata a quella costruzione nascosta. L'edera sulle pareti sembrava aver aggredito la serra e averla conquistata di prepotenza; ne ricopriva le pareti all'esterno e all'interno, e persino il pavimento; ai margini di quest'ultimo, si poteva trovare un'ingente quantità di foglie di un bel verde smeraldo. Mentre le fissava, non si rese conto di essersi avvicinato ad una lampada dalla luce un po' più forte delle altre. Fu la sua stessa ombra a far sì che si desse finalmente una svegliata. 
Sollevò lo sguardo, stropicciò gli occhi per via di quella luce che improvvisamente aveva reso tutto sfocato. 
Gli si formò un groppo in gola.
Il peluche se ne stava lì, su una comoda amaca, tra le braccia di un ragazzino dalle dita affusolate, le braccia esili e il viso dai lineamenti delicati. Dei ciuffetti biondi cadevano sulla sua fronte. Sembrava dormire profondamente, sereno, senza pensieri, o piuttosto, la parvenza era che tutto ciò che di brutto poteva aver vissuto, lo stesse riversando nella stretta salda imposta sul peluche di Tigro.
Una rosa respira
Gli tornò in mente quella frase all'improvviso, come un lampo. Sembrava quasi la didascalia dell'immagine che aveva di fronte. Quel ragazzino gli ricordava una delle tante rose bianche sparse per la serra, ma al contrario di esse, riusciva a vedere il suo ventre, nascosto sotto la coperta blu, alzarsi ed abbassarsi. Respirava lentamente. 
Cambiò espressione, seppur ancora dormiente, deglutì nel sonno e accennò un piccolo sorriso. Fu così che riuscì ad intravedere quel piccolo, minuscolo dettaglio, che riportò a galla tutte le sue speranze: notò un'adorabile fossetta sull'unica guancia in vista. Era una caratteristica non comune, quantomeno tra le persone che aveva incontrato nel corso della sua vita. 
Era una caratteristica che apparteneva ad un solo bimbo, quello con la medesima pelle cerea e delicata del ragazzo immerso nei sogni di fronte ai suoi occhi. 

Junhong



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OK, LO SO. Per questo capitolo ci ho messo un pochetto. E' stato un periodo incasinato, ecco tutto. Come promesso, ecco un pizzichino di gioia in più rispetto al solito! L'ho cambiato duecento volte, inserendo e poi togliendo dettagli che ero indecisa se mettere adesso o più avanti... e insomma, questo è il risultato e spero vi piaccia >w<

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Capitolo 5
*** Ultimatum. ***


Sembrava che gli occhi di Yongguk non fossero capaci di vedere altro se non quella verità che, d'altronde, sembrava così palese: si trattava di Junhong, non poteva che essere lui. Nonostante il passare degli anni non aveva mai dimenticato i suoi lineamenti dolci e qualcosa, in quel momento, dal profondo del suo cuore gli urlava di non dubitare, perchè quel viso addormentato apparteneva davvero al piccolo Choi Junhong che ricordava. 
Com'era ovvio che fosse però, le grida del cuore non bastarono a far sì che il dubbio girasse alla larga da lui, ma piuttosto si insidiò, quasi costringendolo a volerlo osservare più da vicino. In realtà era una scelta più che plausibile. Ricordava un bambino davvero piccolo, bassissimo, dai capelli neri e gli occhi grandi, mentre in quel momento aveva di fronte un ragazzino che sembrava abbastanza alto, dai capelli inspiegabilmente biondi e come se non bastasse pure dormiente; in quel modo era quasi impossibile avere la certezza che fosse lui. 
Perchè allora riusciva ad udire quello strepitio in fondo al cuore? 
Forse per il semplice fatto che l'affetto provato per Junhong non l'aveva mai provato per nessuno. Forse aveva tenuto dentro di sè non solo il ricordo visivo di un bambino che aveva allietato le sue giornate per anni, ma aveva registrato i suoi minimi gesti, il suo profumo, le espressioni, tanto che probabilmente l'avrebbe riconosciuto a miglia di distanza o, come in quel caso, addormentato e cresciuto. 
Titubante allora si avvicinò a quell'amaca che sembrava davvero comoda, quasi più del suo letto. Non appena fu a brevissima distanza dal corpo dell'altro si accovacciò per essere alla sua stessa altezza. Nonostante la luce soffusa, da quella distanza la possibilità di osservarlo per bene era migliorata notevolmente. Aveva dei lineamenti davvero delicati; quelli di una ragazzina, al suo fianco, sarebbero probabilmente sembrati più rudi. Più lo osservava, più un sorriso flebile si disegnava sul suo viso. Era davvero il suo piccolo Junhong? Era davvero lui? 
Moriva dalla voglia di sfiorarlo. 
Sollevò la mano, la allungò verso il suo viso. Il polpastrello dell'indice arrivò a sfiorare la sua guancia, ma in quel momento l'altro ebbe come un brivido e scostò il viso. Yongguk sobbalzò, con il cuore in gola indietreggiò goffamente, infilando il piede in un vaso di ceramica vuoto e cadendo all'indietro come un vero idiota. Come intimorito all'idea di essere visto, scoperto, in quelle penose condizioni, con la scarpa ancora incastrata nel vaso, indietreggiò sulla pavimentazione grezza fino a raggiungere un pilastro in cemento, ampio e rivestito d'edera, che lo avrebbe nascosto alla perfezione. Maledette scarpe. La punta era rigida ed incastratasi nel vaso sembrava proprio non volerne uscire in alcun modo. Mentre allora si decideva a sfilare almeno il piede fuori dalla scarpa, lasciando il maledetto calzare nel vaso, sentì qualcosa muoversi poco distante. Ansioso si affacciò oltre le foglioline di edera e tra di esse vide gli occhietti neri e ben aperti del ragazzo, che si guardavano attorno spaesati. Era inevitabile che con tutto quel rumore non si svegliasse, sarebbe dovuto essere in letargo per non sentirlo. Yongguk decise di restare ben nascosto dietro il pilastro, non aveva nessuna intenzione di spaventarlo, di piombargli addosso e abbracciarlo, ringraziando il cielo per aver fatto tornare in vita il suo Junhong o qualcosa del genere. No, non era assolutamente il caso. 
Junhong strofinò un occhio con un pugno e sbadigliò, poi si voltò sul fianco e tornò a dormire, con il peluche rigorosamente stretto tra le braccia. Yongguk attese ancora un po', in quel frangente tentò ancora di tirar fuori quella benedetta scarpa dal vaso, ma niente, e solo quando ormai si rassegnò al lasciare la scarpa lì dentro, si mise in piedi e con un passo zoppicante, da vero scemo, decise di svignarsela. 
Era chiaro che non dovesse essere lì in quel momento. Si trattava sicuramente di un luogo del quale nessuno doveva parlare. Del quale qualcuno era sicuramente a conoscenza. Ne era testimonianza il vassoio d'argento che era sistemato sul tavolino accanto all'amaca, imbandito di cibo. Poche cose erano state mangiate, giusto le tortine e una pizzetta, provenienti direttamente dal buffet del ricevimento.
Hyoseong sapeva dell'esistenza di Junhong. Nonostante questo, come sempre, gli interrogativi erano ovunque. 
Si affrettò dunque ad uscire dalla serra, voltando il capo ogni tre secondi come a volersi assicurare che quella visione, quel ragazzo dormiente sull'amaca, non fosse stato solo un mero sogno, un effetto del poco vino bevuto durante il ricevimento e della sua immaginazione che si divertiva sempre molto a infliggergli ferite dolorose. Chiusa accuratamente la porta scricchiolante della serra, si guardò attorno per assicurarsi che nessuno avesse notato quella sua piccola intromissione in un territorio al quale gli era ovviamente proibito accedere e, non notando nessuno dei paraggi, tirò un sospiro di sollievo e prese il sentiero che lo avrebbe condotto sul retro della casa, così da poter quantomeno andare in camera ad indossare un altro paio di scarpe e poter tornare al ricevimento. La cosa che tuttavia non era riuscito a prevedere fu che non appena toccò il materasso, tutta la stanchezza accumulata in un'intera settimana piombò su di lui, facendolo addormentare come un sasso, senza più presentarsi al ricevimento. 

La mattina seguente, quando riaprì gli occhi, si ritrovò ancora tutto impettito come la sera precedente, con quello smoking elegante addosso e la lacca tra i capelli. Com'era ovvio che fosse il suo primo pensiero fu Junhong e ciò che aveva visto la sera precedente. Rendersi conto che fosse effettivamente la realtà non era poi cosa tanto semplice, data l'assurdità dei fatti. Al diavolo la lezione del giorno e i divieti, Yongguk aveva bisogno di tornare in quella serra alla luce del sole e rendersi conto che effettivamente non si era trattato di un'illusione crudele, che Junhong era davvero vivo, che l'aveva visto e sfiorato.  Si spogliò alla veloce di quello smoking che di comodo aveva ben poco e inossò un paio di bermuda di jeans e una polo nera, leggera e casual. Era pronto ad uscire e affrontare il caldo torrido che imperversava fuori dalla villa. 
Tuttavia, non appena mise un piede fuori dalla camera, il cellulare vibrò in tasca e un attimo dopo la suoneria prese a suonare. Si fermò, restando dapprima sull'uscio, per poi indietreggiare di qualche passo lasciando la porta socchiusa, quando lesse il nome sul display. Non che fosse un nome, ma più che altro una lettera, una R, che stava per Mr. Reed, cognome che ovviamente solo Yongguk doveva conoscere, o sarebbero stati guai seri. Alla fine si era deciso a chiamare. Yongguk rispose, ma rimase in silenzio, consapevole che probabilmente l'altro aveva tante cose da dirgli e domande da porgli, così tante che saluti e cose simili sarebbero stati superflui. 
Mister Reed si schiarì la voce, poi sbuffò e tossì. Probabilmente stava fumando uno dei soliti sigari all'apparenza infiniti. 
- Ti piace la Corea, Yongguk? Perchè se ti piace potrei fare in modo di farti seppellire al cimitero di Seoul tra qualche giorno, così potrai trascorrere il resto della "vita" nella tua terra natale. - 
Yongguk deglutì, non disse nulla. L'altro continuò. 
- Sei lì forse per giocare e divertirti? Perchè se è così credo tu non mi abbia avvisato. Devo ricordarti che la tua cara mamma è ancora qui? - 
- Sto facendo ciò che posso, signore. - intervenne Yongguk, che tremava letteralmente all'idea che si torcesse un capello alla madre, dopo tutto ciò che quella povera donna aveva patito in passato e che continuava a soffrire nel profondo del proprio cuore. 
- " Ciò che posso " non è ciò che ti ho ordinato di fare! - il tono di voce più alto fece raddrizzare la schiena a Yongguk come fosse un soldato sull'attenti. - Dunque? Sto aspettando che mi elenchi i tuoi progressi. - 
Yongguk deglutì, qualcosa doveva pur dirla. 
- Mi sono avvicinato a lui, sono riuscito a parlargli direttamente, ad entrare nei suoi alloggi. Sarà complesso raggirarlo. - 
- Già solo il fatto che ti lascia stare lì è qualcosa, vuol dire che si fida. Non lascerebbe mai che un cancro si espandesse direttamente dal nucleo della sua famiglia, non credi? - 
- Ha ragione signore. -
- Cosa mi dici di lei? -
- Non riesco mai ad incontrarla. Credo sia particolarmente cagionevole di salute, esce raramente dalle sue stanze. - 
- Ieri era il giorno del suo compleanno. - 
Yongguk si stupì del fatto che conoscesse quel dettaglio, ma non disse nulla, era consapevole della relazione tra i due. 
- Bang Yongguk, hai tempo un mese. Un mese esatto per compiere ciò per cui ti ho mandato lì. E' un ultimatum. Altrimenti per te e ciò che resta della tua famiglia... non ci saranno speranze. - 
Sembrò avesse riattaccato il telefono con forza, dato il tonfo sonoro che rischiò di sfondargli un timpano. Yongguk strinse le mani sulla ringhiera bollente. Era stato convinto di voler svolgere quel compito per buona parte della sua vita, mentre adesso vacillava. Sarebbe voluto soltanto sparire nel nulla. 
Quando riuscì a tornare in sè e ritrovare quella che si poteva definire una sorta di calma interiore, o forse sarebbe meglio dire uno stato di stallo che gli consentiva di non diventare folle, si voltò, ma due occhi grandi e scuri lo inchiodarono lì dov'era. Oltre la porta a vetri che separava il balcone dalla camera da letto di Yongguk, Daehyun restava fermo, immobile come una statua, a fissarlo con aria crudele, come se i suoi occhi lo stessero accusando mille e mille volte, come se fosse pronto a tirar fuori un coltello dalla manica e fargli molto, molto male. Che avesse sentito la conversazione? Se fosse stato così sarebbe stata la fine di Yongguk. Doveva muoversi a spiegare, o più che altro a mentire, così che non combinasse un disastro. Allungò la mano verso la maniglia della porta e la tirò indietro, senza riuscire ad aprirla. Quando aggrottò la fronte vide Daehyun oltre essa scoppiare a ridere. 
- Yaah, Daehyun. Mi hai bloccato qui fuori! - e dalle risate di Daehyun si riusciva a comprendere benissimo che di certo l'aveva fatto di proposito. Meglio così, la sua espressione austera doveva essere dipesa dal tentativo di non ridere prima che Yongguk scoprisse lo scherzo. Qualche attimo dopo raggiunse la porta e la aprì, Yongguk tornò in camera, dandogli un buffetto sulla testa. 
- Peste. - 
- Sei in ritardo alla lezione di cinque minuti, quindi dovevo punirti, no? - 
E tutto allegro gli fece cenno di seguirlo fuori dalla stanza. A quanto pare non avrebbe potuto far visita a Junhong tanto facilmente. 
Comunque si era preso un bello spavento. 

Era la prima volta che riceveva un ultimatum da Mr. Reed. In tutto quel tempo aveva svolto il suo lavoro in maniera impeccabile, senza sbagliare un colpo, nemmeno una volta. Era così strano. 
Mentre la lezione con Daehyun (che sembrava essere ormai quasi una scusa per fantasticare e abbandonarsi ai ricordi) procedeva non riusciva a non pensarci, non riusciva a non pensare a come fosse finito in quella situazione, quando mai, dentro di sè, avrebbe voluto farlo. 

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L'asfalto dei marciapiedi di Brooklyn era particolarmente irregolare. Composto di ampie lastre quadrate, l'una di fianco all'altra che si inseguivano per distanze all'apparenza infinite, sembrava asimmetrico in maniera ridicola. A nessuno importava che avesse un'andatura orizzontale quasi ondeggiante, che si rischiasse di inciampare ogni due passi per via di mattonelle sollevate, delle radici magre degli alberi che ormai fuoriuscivano libere dall'asfalto sul quale non veniva applicata alcun tipo di manutenzione. Forse, in fin dei conti, non importava tanto neanche a Yongguk che, per quanto la cosa potesse visibilmente infastidirlo, non poteva far altro che calpestare i marciapiedi della strada che portava a casa, al piccolo appartamento in cui vivevano da tutti quei mesi con il nonno. 
Quel pomeriggio però Yongguk si ritrovò ad essere totalmente rapito dal crepuscolo che governava il cielo e, quando si decise finalmente ad arrestare la sua passeggiata e abbassare lo sguardo verso la pavimentazione urbana e irregolare, si rese conto che non aveva assolutamente idea di dove si trovasse. Senza alcun dubbio non era potuto uscire dagli ampi confini del borough, su questo non nutriva alcun dubbio, ma generalmente non si spingeva oltre il proprio quartiere e quello in cui si trovava la propria scuola. Forse quel suo avere la testa fra le nuvole lo aveva cacciato nei guai e adesso, pur guardandosi indietro, non aveva idea di quale fosse la strada che aveva appena percorso, la traversa da prendere, l'incrocio al quale svoltare. Niente di niente, il vuoto. Non gli restava dunque che procedere alla ricerca di una rete mobile che gli permettesse di chiedere aiuto a qualcuno. Quando notò che sullo schermo del cellulare si accesero due piccole tacche bianche si fermò, con le ginocchia stanche per la lunga camminata, e poggiò la schiena alla parete, tutto intento a comporre il numero. Non appena il cellulare del nonno iniziò a squillare sollevò gli occhi, ma quando lo fece dovette assottigliare lo sguardo in quanto poco distante da lui, sul lato opposto della strada, un vicolo in penombra si estendeva in profondità, ma qualcosa in quei meandri aveva stimolato la sua curiosità. Era qualcosa che evidentemente non sarebbe mai dovuto accadere, lo capì all'istante incrociando gli occhi di quell'uomo, un uomo alto, dai capelli incollati da chissà quanti strati di gel, con una bella giacca beige e sagomata che metteva in rilievo le sue spalle ampie e il fisico statuario. Forse, visto alla luce del giorno, senza lo sfondo tanto tetro di un uomo disteso sull'asfalto in un bagno di sangue, sarebbe sembrato un uomo rispettabile e dalla bellezza ineguagliabile, ma l'unica cosa che venne in mente a Yongguk in quel momento, mentre lo fissava sconvolto, fu "assassino". Parola che gli scivolò dalle labbra più volte, pur non facendo vibrare le corde vocali se non in maniera minima, appena udibile. Gli occhi di ghiaccio di Mr. Reed erano più abili di quelli di un'aquila, probabilmente mentre esaminava il corpicino dell'unico testimone oculare di quell'omicidio al crepuscolo, analizzava già in che modo ucciderlo, in che modo far svanire il suo corpo. Yongguk sapeva di dover fuggire, ma non riusciva a muovere le gambe, terrorizzato da quella situazione e dentro di sè orribilmente stanco perchè troppo aveva patito in quegli ultimi mesi. Un ragazzo con il cuore strabordante di dolore, perchè sarebbe dovuto fuggire a quel punto? Evidentemente la vita lo stava mettendo di fronte a quantità infinita di ostacoli forse perchè non era suo destino che restasse ancora al mondo. Avrebbe subito il fato in silenzio, la pensava così, mentre gli occhi gelidi di Mr. Reed e del suo scagnozzo, immediatamente dietro di lui, con ancora l'arma del delitto in mano, si avvicinavano placidi e intimidatori, come lo strisciare di un boa pronto ad uccidere con la lentezza di un rituale religioso. 
- Se deve uccidermi... lo faccia subito. - mormorò Yongguk, in lacrime, con gli occhi bassi. Mister Reed sembrò stordito da quella richiesta improvvisa, segno di un'evidente rassegnazione. Era chiaro che un ragazzino di quell'età non volesse davvero morire, ma il fatto che sembrasse voler accettare la cosa lo insospettiva, quasi lo inteneriva. 
E non lo toccò. Non lo sfiorò neanche, se non per dargli una pacca sulla spalla, quasi volesse fare il simpaticone. Ricevere una palla sulla spalla da un assassino gli faceva venire il ribrezzo, ma non disse nulla, attese, perchè era la cosa più saggia da fare. L'uomo, dotato di grande intuito e di un'intelligenza scattante a dir poco, seppe che qualcosa in lui non andava, seppe di potergli fare tenere la bocca chiusa più che con una minaccia... con una promessa. E così fece.

- Il destino ci ha fatti incontrare, Bang Yongguk! Non capisci? Vogliamo due cose differenti che portano ad un medesimo risultato. Non è meraviglioso che ci siamo incontrati così? Io posso darti ciò che desideri, sai? - 
Mr. Reed cercava di abbindolarlo con il suo fare teatrale e mentre Yongguk si ripeteva che non ci sarebbe riuscito, i suoi brutti ricordi e il suo dolore venivano plasmati così da permettere a quel ricco assassino di appropriarsi della sua volontà. Il suo studio era estremamente curato, moderno, pulito e profumato. Sembrava così ridicolo che l'uomo che si nascondeva tra quelle mura fosse così marcio dentro, ma circondato da tanta luce. 
Mr. Reed aveva preso le redini di una multinazionale nuova di zecca, era il secondo presidente, suo padre l'aveva creata senza riuscire a portarla ai livelli raggiunti piuttosto dal figlio. I metodi utilizzati erano stati senz'altro sbagliati e poco leali, ma fatto sta che l'intera compagnia, nel giro di cinque anni, era divenuta competitiva su piano internazionale. 
Era solo una l'impresa che ancora ostacolava l'ascesa della compagnia dei Reed verso il potere economico assoluto in quella medesima area commerciale. Si trattava di una compagnia sudcoreana il cui CEO rispondeva al cognome di Jung.

-

Yongguk trasalì all'improvviso e scosse il capo, purtroppo già dopo che Daehyun si era permesso di infilargli la matita nel naso e adesso si sbellicava dalle risate. 
- Yaaah! Sei impazzito? - sbottò, massaggiandosi la punta del naso con un'espressione dolorante. Almeno ci provava a farlo sentire in colpa, che non ci riuscisse era ovvio. 
- Buttala, mh? Non la voglio più. - disse Daehyun, sventolando una mano di fronte al viso con aria schifata. - Approfitti dei miei esercizi per sognare, vero? Hai tanti pensieri per la testa hyung? - 
Yongguk scrollò le spalle, sperando intuisse che non amava le persone particolarmente invadenti, ma Daehyun abbassò gli occhi, quasi intristito. Era un'espressione che non aveva mai visto sul suo volto, affranta come quella di qualcuno che era stato appena tradito, del tutto differente dalla solita faccia da cane bastonato che tentava di addolcire il cuore apparentemente duro di Yongguk, ma proprio quando il maggiore stava per porgli una qualche domanda che riuscisse a capire il perchè di quell'espressione, si alzò con un sospiro e se ne andò, ignorando il fatto che Yongguk stesse chiamando il suo nome con il tono più severo che potesse. Non poteva niente contro la testa dura di Jung Daehyun. 
 
La mattina seguente a quell'ultimatum non aveva di certo dimenticato quelle parole e il tono minaccioso di quell'uomo, infatti quando aprì gli occhi un immediato senso di tensione si fece sentire all'altezza dello stomaco, facendolo sbuffare sin dall'inizio della giornata. Ottimo. 
Scese dal letto, tanto rintontino e sconvolto guardandosi allo specchio con il suo colorito scialbo, da dimenticare completamente di dover dare un'occhiata all'orario. Si limitò a fare una doccia, indossare una tuta comoda e una canotta scollata per poi lasciare la camera e iniziare a scendere le scale. Purtroppo, quando si rese conto che mancavano ancora dieci minuti alle nove e trenta trasalì, se il maggiordomo lo avesse trovato in cucina a quell'ora sarebbe scoppiato il finimondo, sicuramente la cosa migliore da fare era lasciare il posto, fuggire, rintanarsi nella propria camera e tornare giù solo allo scoccare dei trenta minuti. Purtroppo la rinomata testa dura di Yongguk fece capolino anche quella volta, facendogli rischiare seriamente di mettersi nei guai. Era però inevitabile chiedersi per quale ragione dovesse essere così puntuale, perchè il maggiordomo, ma evidentemente la famiglia Jung stessa, fosse così puntigliosa per ciò che riguardava l'ora in cui Yongguk poteva lasciare la camera per fare colazione. Perchè d'altronde era una regola che era certo vigesse solo per lui. Aveva sentito Hyoseong lamentarsi più di una volta del fatto che doveva svegliarsi alle sette tutte le mattine per preparare la colazione per tutti e rendere la casa linda e pinta prima che chiunque altro aprisse gli occhi. Poi i passi inconfondibili del maggiordomo li aveva spesso sentiti attraversare il corridoio sul quale dava la sua camera e spesso di mattina presto, probabilmente anche prima delle sette. Quindi perchè proprio Yongguk non poteva azzardarsi a raggiungere la cucina se non erano almeno le nove e ventinove? Restava un mistero che quella mattina aveva tutta la voglia di risolvere.
Vittima della curiosità allora si avvicinò alla finestra, scostando le tendine in lino bianco e sbirciò fuori con non poche difficoltà. Riuscì ad inquadrare le spalle ampie e spaventose del signor Jung, che con il giornale tra le mani sembrava aver già finito di fare colazione da un bel po'. A causa della schiena grande come un armadio, gli venne difficoltoso scorgere il resto, ma suppose che il posto vuoto accanto a lui dovesse appartenere alla moglie che, magari per via della sua salute cagionevole, aveva preferito ritirarsi nei propri alloggi e godersi il climatizzatore. Il ciuffetto di capelli neri di Daehyun saltò all'occhio, dato che non riusciva a stare fermo neanche per un attimo. Sporgendosi un po' di più lo vide parlare animatamente, sembrava stesse raccontando qualcosa al padre, qualcosa di davvero entusiasmante, al quale il genitore sembrava non dare molto peso. Piuttosto, lo vide sollevare gli occhi dal giornale solo per guardare di fronte a sè, prestando attenzione a qualcuno, o qualcosa, che non riuscì a vedere bene fin quando non si mise sulle punte, con la guancia completamente premuta contro il vetro. Probabilmente se qualcuno l'avesse visto da dietro, anzichè sgridarlo, avrebbe iniziato a ridere di lui. Non importava, perchè quella ridicola posizione gli permise di intravedere ciò che desiderava, quella cosa, o per meglio dire, quella persona, che stavano cercando di nascondere a tutti i costi. 
Junhong se ne stava seduto di fronte al signor Jung, evidentemente intimidito, evidentemente a disagio, con tutta l'intenzione di fuggire alla prima occasione... o nascondersi sotto il tavolo. La sua frangetta bionda, ancora inspiegabilmente bionda, lo faceva sembrare un angioletto e la sua pelle bianca e candida stonava un po' con quella del ben più abbronzato Daehyun al suo fianco, ma anche con la stagione estiva, durante la quale è molto più frequente vedere pelli scure, piuttosto che tanto chiare. Eppure sembrava che il signor Jung prestasse più attenzione al piccolo Junhong, piuttosto che a Daehyun che parlava, che tentava in ogni modo di distogliere l'attenzione del padre dal biondino timidissimo senza tuttavia riuscirci. Junhong invece non apriva la bocca, sembrava che il signor Jung gli stesse dicendo qualcosa, ma lui si limitava a scuotere debolmente il capo e, solo quando il presidente scrollando le spalle riportò lo sguardo sul giornale, il biondo sollevò gli occhietti neri e spaesati, puntandoli istantaneamente sulla finestra. Sgranò gli occhi in contemporanea con Yongguk nell'istante in cui i loro sguardi si incrociarono, lasciò cadere il cucchiaino che teneva in mano, attirando così l'attenzione degli altri due commensali. Yongguk si abbassò immediatamente, fuggendo via dalla cucina in fretta, prima che uno dei due venisse a controllare se effettivamente qualcuno li stava spiando, l'unico particolarmente invadente di quella cosa, l'unico al quale volevano nascondere cose su cose. 
Nonostante quel piccolo avvenimento, durante il pomeriggio Daehyun non disse niente di niente, sembrava il solito vivace Daehyun, che non faceva altro che giocare con la matita e tentare di strappargli di bocca il permesso di andare a fare merenda con una fetta di cheesecake. Yongguk si sentiva sollevato, anzichè fare progressi aveva come l'impressione di scavarsi la fossa giorno per giorno e anche quella sera andò a letto con quella medesima impressione. 

Tuttavia non arrivò a prendere sonno che qualcosa lo svegliò del tutto. 
Erano più o meno le quattro del mattino. Yongguk se ne stava sdraiato tra le lenzuola, tentando disperatamente di ritrovare la tranquillità perduta in seguito alle minacce di Mr. Reed. Teneva gli occhi chiusi, un polso sulla fronte e le caviglie accavallate, in una posizione davvero ambigua da vedere, ma altrettanto comoda. 
Il cigolio lieve della porta che si apriva però gli fece palpitare il cuore all'improvviso. La camera non era troppo buia, grazie alla luna piena di quella sera e le tende aperte, sarebbe stato perfettamente capace di vedere di cosa si trattava, ma era come pietrificato dalla paura. Che fosse il maggiordomo? Daehyun? Chi altro poteva introdursi nella sua camera? O che si trattasse di una semplice folata di vento? Nah, una folata di vento non poteva aprire una porta chiusa a chiave. Che fare? 
I passi leggeri si avvicinarono al suo letto, era un passo cauto, guardingo. Il respiro dell'altro giunse più vicino, lento, regolare. Poi, all'improvviso, nell'attimo in cui lo sentiva vicino, proprio accanto al letto, quasi ad adombrare il suo corpo disteso, lo sentì svanire nel nulla. Attese un minuto, due minuti, poi tre. Raccolse allora tutto il suo coraggio e deglutendo aprì gli occhi. Niente. Niente di niente. Fissò il soffitto per qualche attimo e tirò un sospiro di sollievo. Forse si era trovato in una situazione di dormiveglia e quelle sensazioni erano apparse vere, quando in realtà erano state semplicemente prodotte dal suo cervello. Turbato sollevò il busto, passò una mano tra i capelli e spostò gli occhi sulla porta, era chiusa, ma la chiave era girata dal lato errato. Era stata aperta. 
Solo allora, atterrito, abbassò gli occhi e si rese conto che qualcosa, una testolina bionda, era poggiata proprio lì sul materasso, accanto alla sua coscia. Non potè che urlare terrorizzato. L'altro sollevò il capo all'improvviso, unendosi a quelle urla da film horror e cadendo all'indietro dalla sua posizione accovacciata. 
Yongguk riprese lucidità in fretta e strizzando gli occhi, cercando di mettere a fuoco la sua figura alla luce della luna, riuscì a osservare per bene il ragazzino snello  dallo sguardo ancora spaventato. Se ne stava lì per terra come in attesa di un giudizio universale. Poi notò che stringeva nella mano destra una scarpa. La sua scarpa. Quella che l'altra sera era stato costretto a lasciare nel maledettissimo vaso. Che fosse venuto a riportargliela? E come poteva sapere che fosse sua? 
Forse era il caso di tentare di metterlo a suo agio, ma Yongguk non era un granchè bravo in quelle cose, rompere il ghiaccio era davvero un dramma per lui, così si limitò a muovere il capo e fargli cenno di mettersi in piedi e avvicinarsi, mentre con un dito davanti alla bocca gli intimava di fare silenzio. Se il maggiordomo non fosse venuto a bussare alla sua porta, accusandolo di chissà quali crimini, potevano considerarlo un vero miracolo. Junhong lo guardò incerto, ma si sollevò dal pavimento e si mise a sedere sul letto, accanto a lui, ora reggeva la scarpa con entrambe le mani. Forse Yongguk avrebbe dovuto dimostrarsi sconvolto, chiedergli da dove venisse, perchè non l'avesse mai visto, ma semplicemente non poteva, troppo rapito dal fatto che il suo Junhong era davvero lì davanti a lui e questa volta non era l'unico a godere di quella scena, anche il più giovane era completamente immerso in quell'atmosfera strana, silenziosa, piena solo di sguardi. 
- E' tua? - domandò Junhong con un filo di voce, facendo piombare immediatamente gli occhi verso il basso. Yongguk ci rimase quasi male. Si aspettava che gli dicesse che era felice di vederlo, che gli era mancato, o cose del genere, ma niente, solo una domanda riguardante quella stupida scarpa. 
Yongguk annuì, prendendola dalle sue mani e mettendola a terra, accanto al letto, a sistemarla ci avrebbe pensato il giorno seguente. 
- Come facevi a sapere che è mia? Mi hai visto solo una volta, no? Solo questa mattina, mentre facevi colazione, giusto? - 
Junhong lo fissava senza dire una parola, con le labbra dischiuse come se avesse voglia di parlare, ma non trovasse vocaboli adatti. Il più grande allora insistette con lo sguardo, sollevando le sopracciglia in attesa di una risposta. E Junhong andò nel pallone. Iniziò a scuotere le mani davanti al viso, come a volerlo supplicare di non guardarlo con tanta insistenza. 
- Scusi, scusi signore! E' che... che somiglia così tanto a una persona che conosco! - 
Tutta quella improvvisa formalità fece sentire Yongguk un vecchiaccio, ma non disse nulla, perchè la cosa più importante ( e grave ) era che Junhong non si fosse reso conto che si trattava effettivamente di Yongguk. 
- Una persona che conosci? Di chi si tratta? Come si chiama? -
Junhong lo guardò accigliato, poi alzò le spalle. - Si chiama... " hyung " - 
Yongguk si sarebbe voluto lanciare all'istante giù dal balcone. 
- Come sarebbe "hyung"? Questo hyung non ha un nome? - 
Junhong scosse il capo, con l'aria di chi si sentiva davvero in colpa. - Non ricordo... è uno hyung con cui giocavo quand ero molto piccolo, ma credo di averlo chiamato "hyung" così spesso... da non ricordare il suo nome adesso. - sospirò affranto e nonostante la situazione Yongguk non potè che provare tenerezza. 
- Capisco Junhong, non preoccuparti. - 
Se l'altro avesse avuto un paio di orecchiette da gatto, in quel momento sarebbero divenute ritte sul capo, mentre lo guardava incuriosito. 
- Come sa il mio nome, signore... ? - sembrava abbastanza spaventato, come se fosse un grande guaio il fatto che un ospite sapesse chi era, come si chiamava. Insomma, non è che fosse così saggio piombare di notte in camera di qualcuno se hai un'identità segreta. Yongguk era in difficoltà. Si guardò attorno, abbassando lo sguardo e cercando da qualche parte una risposta, una scusa, che non fosse un immediato " sono lo hyung che ricordi ". Niente da fare però, sembrava che Junhong ci fosse arrivato da sè, perchè all'improvviso si coprì la bocca con entrambe le mani, fissandolo come se avesse fatto una scoperta sensazionale. 
- Può darsi che... che... - 
Yongguk lo guardò, abbozzando un sorriso impacciato che bastò a far scoppiare Junhong. Si lanciò tra le sue braccia, strofinando il visino sul suo collo mentre tentava disperatamente di non piangere, probabilmente con la convinzione di essere grande, di non poter più fare quelle cose, ma in una situazione del genere Yongguk stesso sentiva la commozione travolgerlo. 
Il suo piccolo Junhong era finalmente tra le sue braccia, dopo aver sofferto tanto, dopo averlo cercato e aver sperato, dopo anni e anni... Junhong era finalmente lì tra le sue braccia. C'erano ancora innumerevoli domande che voleva fargli, ma al momento stringerlo in quel modo, con il silenzio infranto solo dai singhiozzi sommessi del minore, bastava a rasserenare il suo cuore, a radere al suolo gli edifici di dubbi e complessi costruiti in sua assenza. Persino la tensione riguardante l'ultimatum ricevuto quel pomeriggio si era dissolta. 
- Alla fine sei tornato a giocare con me, hyung - mormorò Junhong, felice e in lacrime. 
Sotto quel punto di vista, quel piccolo piagnucolone non era cambiato affatto. 

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E rieccomi con il nuovo capitolo! Ho sempre l'impressione di andare troppo a rilento, il fatto è che vorrei raccontare tantissime cose in ogni capitolo, ma so che non è il caso di renderli sovraccarichi ;w;" Credo comunque che arriverò ad un massimo di dieci capitoli con la storia. Grazie a chi recensisce, legge e segue la mia storia, spero che vi piaccia, alla prossima! :) 
 

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Capitolo 6
*** Achillea. ***


La mattina seguente, quando riaprì gli occhi, Junhong non era più al suo fianco. Quasi si maledì per aver ceduto al sonno e non esserselo goduto abbastanza, per quanto fosse riuscito a resistere fino alle cinque e mezza del mattino, quando il sole stava già per sorgere. 
Il piccolo Junhong si era assopito al suo fianco poco dopo aver iniziato a singhiozzare. Nessuno si era azzardato a dire una parola. Yongguk non poneva domande, Junhong non spiegava le proprie ragioni, ma nel silenzio più assoluto di quel mattino ancora tenebroso, sembravano aver stretto un patto che prevedeva di non avere più fretta, di prendersi i propri tempi perchè da quel momento in poi non avrebbero più dovuto temere di perdersi. Era ovviamente illogico. Era forse una promessa che nessuno dei due poteva fare con assoluta certezza, ma si trattava ugualmente di ciò che entrambi erano riusciti ad interpretare dal dettato scandito dei battiti dei loro cuori. 
Yongguk l'aveva cullato tra le sue braccia tutto il tempo, rimboccandogli le coperte di tanto in tanto e osservandolo quasi senza batter ciglio, correndo probabilmente anche il rischio di diventare inquietante. Ne valeva la pena perchè se si trattava di uno dei suoi soliti sogni, voleva goderselo il più possibile, nonostante sapesse che il mattino seguente, una volta aperti gli occhi, sarebbe stato più triste di qualunque altro. Eppure il giorno seguente seppe di non aver sognato quella notte, che il profumo nell'aria che avvertiva, che il fatto che il suo corpo fosse praticamente appiattito solo su un lato, lasciando molto più spazio sulla destra del materasso, erano tutte prove che Junhong era davvero stato lì quella notte. 
Dato che non si erano detti nulla non sapeva per quale ragione dovesse necessariamente nascondersi, fuggire dalla sua camera come un amante dalla coscienza sporca, e tornare, probabilmente, nella grande serra, ma sapendo dove poteva trovarlo non si sentiva troppo preoccupato. Gli sarebbe bastato entrare di soppiato in quella suggestiva costruzione e porgli qualche domanda alla quale sperava Junhong avrebbe risposto senza fare troppe storie. 
A prescindere da tutto il resto, per la prima volta dopo moltissimo tempo, da appena sveglio il suo umore era già alle stelle. 

Quando Yongguk si decise a fare un primo passo verso Junhong quella sera stessa, Hyoseong si era appena ritirata nella sua camera, dopo aver portato l'abbondante cena a Junhong che, tuttavia, giorno dopo giorno, si rivelava sempre meno una buona forchetta. Amava le cose dolci, ma tutto il resto non lo faceva impazzire particolarmente. Tra l'altro era estremamente lento a mangiare qualunque cosa, poiché a quanto pare fantasticare era per lui un hobby che non poteva lasciar perdere neanche per un attimo e restava dunque per interi minuti con le bacchette a mezz'aria scrutando il nulla. Hyoseong era davvero esasperata. 
- Già, credimi, stargli dietro sembra una passeggiata, i signori la fanno facile qui dentro! Mh? E' logico che io mi sia affezionata, me ne prendo cura sin da quando era un bambino, ma non posso dedicargli tutta la vita, no? Se fosse più grande potrebbe nascere una storia d'amore, avrei un motivo in più per andargli a fare visita ogni giorno, per più di una volta. - sbuffò Hyoseong, portando il cellulare dall'orecchio destro a quello sinistro con un movimento fulmineo. L'amica annuiva di tanto in tanto, facendole intendere che l'ascoltava con attenzione. Sapeva bene che certe informazioni riguardanti quella questione non sarebbero dovute uscire da quelle quattro mura, ma erano amiche d'infanzia e senz'altro di lei si poteva fidare. Non aveva dubbi. 
- Quindi questo sabato non verrai con noi al mare? - si azzardò a chiedere l'amica. 
- Questo sabato? Aish, impossibile. I signori partono per la solita gita del mese, giusto per far credere a tutti che sono una stimabile famiglia felice. E io? Io devo restare qui per Junhong. Non dico che mi dispiaccia! Quel ragazzino ha davvero bisogno di me. Mh? No, non sarò sola in casa, ma il tutor d'inglese non sa niente di lui e il maggiordomo non ha idea di cosa sia il tatto, Junhong lo odia e ha in qualche modo paura di lui. Non credo sia il caso di far subire altri traumi a quel poverino, meglio trattarlo con delicatezza. - 
L'amica sospirò. Purtroppo il senso del dovere e di conseguenza il lavoro di Hyoseong venivano sempre prima di qualunque cosa, dell'amicizia, dell'amore, della propria vita privata. 
- Beh, ci sentiamo, mh? Si, faccio una doccia e vado a letto. Dormi bene unnie, a presto. - 
E con un sorriso chiuse la chiamata, lanciando il cellulare sul letto un attimo dopo. Era davvero quella la vita che desiderava? Naturalmente no, ma il denaro era ciò che mancava a lei e alla sua famiglia e un lavoro del genere non poteva lasciarselo sfuggire, forse anche un po' per timore che non la lasciassero andare via o che quantomeno non la lasciassero andare via viva. 
Frustrata, si affacciò alla piccola finestra della camera, del tutto differente dai bei balconcini della facciata principale della casa, ma da quel punto, quando abbassò lo sguardo tralasciando il cielo stellato che la rendeva solo maggiormente una sognatrice disperata, notò una scena curiosa. 
Bang Yongguk, quell'idiota di Bang Yongguk, con un ridicolo passo cauto, si avvicinava alla porta arruginita della serra, poi la apriva e si infilava all'interno. A primo impatto Hyoseong sentì il cuore palpitare. Qualcosa che non sarebbe mai dovuto accadere era appena successo, era successo sotto i suoi occhi increduli. La prima cosa che avrebbe dovuto fare sarebbe dovuta essere scendere rapidamente le scale, raggiungere la serra e... fare cosa? Senza alcun dubbio entrando Yongguk avrebbe visto Junhong, si sarebbe chiesto cosa ci faceva lì, avrebbe cercato delle risposte. Se Hyoseong fosse piombata lì all'improvviso non sarebbe servito comunque a risolvere nulla, non era il genere di persona che pur di proteggere quel segreto si sarebbe macchiata di un qualche crimine, senza farsi alcuno scrupolo. Era impossibile per lei, non le passava neanche per l'anticamera del cervello. Rimase a guardare. Spostò solo gli occhi verso destra, esaminando la situazione all'interno dai pochi buchi in cima al tetto della serra, dai quali aveva sempre spiato Junhong per fare attenzione che non si allontanasse, che non uscisse senza permesso (mettendo sottinteso che ovviamente il permesso non l'aveva mai avuto). 

Bang Yongguk, quell'idiota di Bang Yongguk, era riuscito ad entrare di soppiatto nella serra, combattendo il buio e il sonno che gravava su di lui come un masso. Aveva puntato la sveglia a quell'ora dopo essere andato a letto un attimo dopo aver cenato e aver lavato i denti, così da essere il più energico possibile per parlare con Junhong quella sera. Se ci si chiede se avesse considerato il fatto che Junhong fosse altrettanto mortale e che generalmente durante la notte dormisse beh, no, non l'aveva affatto considerato. Appurato, povero illuso, che nessuno l'avrebbe visto, si chiuse la porta scricchiolante alle spalle e quando si girò aveva già pronto un sorriso da rivolgere a quello che, purtroppo per lui, era un Junhong addormentato, o almeno così sembrava. Non appena sospirando si avvicinò a lui di qualche passo, rassegnato all'idea di limitarsi a guardarlo mentre vagava nel mondo dei sogni, gli occhietti vispi del più piccolo si aprirono e in un attimo il suo sorriso, ben più luminoso delle lanterne sulle pareti della serra, fece sembrare quella notte estiva un po' meno buia. Yongguk rispose con un sorriso e si mise a sedere al suo fianco sotto ordine di Junhong che aveva appena battuto con il palmo della mano destra sul tessuto all'apparenza resistente di quella sorta di altalena dalla quale generalmente Yongguk si teneva alla larga per via di una brutta caduta risalente più o meno all'età di cinque anni. Meglio non pensarci. 
- Speravo venissi, hyung - mormorò Junhong, facendogli un po' di spazio sull'amaca, senza alzare gli occhi, pensando di aver detto una frase troppo imbarazzante per i suoi standard, insomma, probabilmente non l'aveva mai detta a nessuno prima di allora. E pensare che non era neanche niente di che. 
Yongguk annuì, probabilmente più impacciato dell'altro. Aveva tante domande da porgli, ma per il momento sembrava che la sua mente si fosse svuotata, come se stupidamente gli bastasse stargli accanto, ignorando il passato. 
- Ti cercavo - disse Junhong, che fece sentire Yongguk un vero incapace, era sei anni più grande di lui e non sapeva neanche rompere il ghiaccio. Non gli restava che silenziare e attendere che fosse lui a parlare. 
- S-So che ero piccolo e che fino a ieri non ricordavo il tuo volto alla perfezione, ma giuro che sapevo di dover venire a cercarti e... e ovviamente non avevo dimenticato quella promessa. -
Yongguk stava per aprire bocca, ma Junhong riprese, come per timore di esaurire il coraggio di dar voce al suo cuore. 
- Sapevo che saresti tornato. Lo... lo sapevo, ma avevo paura che non riuscissi più a trovarmi. Per questo ogni tanto cercavo di scappare da qui per venire a cercarti, m-ma non conosco bene Seoul, se mi fossi perso Hyoseong sarebbe finita nei guai, non potevo permettermelo e... - 
Yongguk sollevò entrambe le mani mostrandogli i palmi, con un'espressione che gli avrebbe lasciato intendere che forse era il caso di rallentare un attimo perché davvero, non ci stava capendo niente. Gli era tornata in mente una sola cosa. Quando aveva parlato di essere uscito a cercarlo, si era improvvisamente ricordato di quella prima sera, la sera in cui, troppo curioso per restare chiuso in camera come avrebbe dovuto fare, era incappato in una situazione scomoda dalla quale era fuggito il prima possibile, durante la quale qualcuno, che fino a quel momento aveva creduto potesse essere unicamente Daehyun, aveva fatto una bella bravata scappando di casa di notte e guadagnandosi l'insopportabile ramanzina di Hyoseong. Si trattava invece di Junhong. Era Junhong che nel pieno della notte si armava di zainetto pieno di chissà cosa e usciva a cercarlo, probabilmente senza riuscire ad andare oltre il perimetro del vicinato. 
E allora non gli restò che sorridere quando si rese conto che in realtà appena messo piede a Seoul aveva avvistato il vero Junhong, con un berretto rosso in testa, che goffamente attraversava le strisce pedonali, rischiando di far cascare la sua maschera da perfetto tutor diligente davanti all'attempato maggiordomo sin dal primo momento. L'aveva dunque già incontrato in passato e non era stato capace di riconoscerlo in alcun modo nonostante chissà quante volte l'ombra di Junhong l'aveva sfiorato senza che se ne accorgesse.
Junhong inclinò il capo confuso vedendo quel sorriso stampato sul suo viso, ma Yongguk si affrettò a rispondere alle sue parole, altrimenti sarebbe sembrato che non gli avesse prestato attenzione neanche per un secondo. 
- Junhong, capisco che probabilmente non sarà facile per te, ma ho bisogno che mi spieghi cosa ti è successo in questi anni. Capirai che anche il fatto che... vivi in questo posto... non è esattamente normale, no? -
Lui sollevò le spalle e sospirò, consapevole della cosa, ma a quanto pare rassegnato e senza molte speranze a riguardo. Yongguk continuò. 
- Tanti anni fa... ho trovato la notizia della tua morte su un giornale locale. Per tutto questo tempo ho creduto tu fossi morto annegato nel fiume Han. Ho bisogno di spiegazioni adesso, non posso più aspettare. - 
Lo sguardo di Junhong penetrava il terreno, tentava disperatamente di diradare la matassa di ricordi confusi. Perché era lì dentro? Perché era ancora vivo? 

-
16 Ottobre 2001

Le gocce di pioggia battevano sull'asfalto con ritmo irregolare, come volessero dargli il tormento, come se i tuoni che risuonavano in cielo fossero le fragorose risate delle nuvole che si divertivano tanto a punzecchiare il suolo. 
- Lo hyung è andato via - 
Gli occhi di Junhong vagavano al di là della finestra. Il cielo color grigio topo, per niente insolito per quel mese, gli sembrava ancor più mesto. 
- E' andato via... - 
- Non sai dire nient'altro? - sbottò acida la signora Jung, magra e bianca come sempre, probabilmente sin dal momento della sua nascita. 
Junhong tenne la bocca chiusa e gli occhi fissi fuori dalla finestra, pieni di lacrime come le pozzanghere lì fuori erano piene d'acqua piovana. 
- Mamma, Junhong non sta bene? - domandò Daehyun che era da poco tornato da scuola. Non gli era permesso di parlare a Junhong, sua madre diceva che altrimenti sarebbe diventato stupido quanto lui, ma Daehyun era un bambino molto socievole, molto buono, ma altrettanto ubbidiente. Non aveva mai rivolto la parola a Junhong, neanche quando lo incrociava in corridoio e nessuno rischiava di vederli. 
- Smettila Daehyun, sai che se ne occupa Hyoseong, è affar suo. - rispose acida la madre, sistemando lo scialle rosso in lana sulle spalle, mentre sprofondava maggiormente nella poltroncina fiorata sui toni del bordeaux, che pomposa e gonfia com'era sembrava divorare la sua esile mole. Daehyun si mise a sedere di fronte a lei con un libro sulle cosce, dando uno sguardo al testo e uno alle spalle minute di Junhong che teneva le manine sul vetro gelido. Purtroppo non era affar suo. 
Il signor Jung arrivò in salotto, si sfilò la giacca e sorrise a Daehyun e alla moglie. Poi spostò anche lui gli occhi su Junhong, seguendo la traettoria di quelli del maggiore tra i suoi due figli. 
- Qualcosa non va, Junhong? - domandò, mettendosi a sedere sullo stretto davanzale interno della finestra, imbottito di un cuscino in velluto color avorio. 
- Sto aspettando che lo hyung torni - disse Junhong, spostando gli occhi neri sul volto del padre, come covando la speranza che potesse aiutarlo ad accelerare il tempo. - Lo hyung ha detto che tornerà a giocare con me ieri. D-Devo aspettarlo, papà... con questa pioggia potrebbe arrivare e non trovarmi, se resto qui potrò vedere se arriva e correre fuori... - 
Il padre non sapeva di cosa stesse parlando, ma il giorno prima aveva compiuto solo sei anni ed era normale che un bimbo di quell'età vagasse con la fantasia. Doveva trattarsi sicuramente di un amico immaginario. 

- E tutti vissero felici e contenti, capito Junhong? Adesso sistemati sotto le coperte e chiudi gli occhi, mh? - Hyoseong aveva in programma una lunga telefonata con la sua migliore amica, doveva assolutamente raccontarle di quanto fosse avvenente il nuovo giardiniere. 
Junhong però sembrava voler ostacolare i suoi piani. Era scivolato un po' più sotto le coperte, ma teneva gli occhi socchiusi puntati sul profilo del suo coniglietto di peluche marrone con due bottoncini bianchi per occhi, mentre con le caviglie teneva stretto e ben nascosto il peluche di Yongguk. Sapeva che se avessero trovato un giocattolo vecchio come quello l'avrebbero buttato, pensando di fargli un favore. Il piccolo Junhong l'avrebbe protetto con tutte le sue forze. 
- Noona... - 
Hyoseong fece roteare gli occhi e forzò un sorriso - Si, Junhongie? - 
- Dov'è la mia mamma? - mormorò, tenendo gli occhi bassi. 
Era una domanda che faceva stringere il tenero cuore di Hyoseong, nonostante gliela facesse praticamente ogni giorno, insieme a quella strana frase, a quel " lo hyung è andato via " o qualcosa di simile. 
- Junhong.. te l'ho già spiegato. - 
- Me lo spieghi ancora una volta? - 
- La mamma è andata via. E' andata in un posto... più bello, tra le nuvole. Lì c'è una casa grandissima, anzi, un castello, tutto per lei. E' davvero felice lì, sai? - 
- E io.. ? - 
- Tu Junhong sei ancora troppo piccino per andare in quel posto, quando sarai tanto, ma tanto grande potrai raggiungere la mamma. Ma tra molto, molto tempo. Nel frattempo che sei qui dovrai fare del tuo meglio, essere un bravo bambino, perché la mamma ti guarda dall'alto e sa tutto ciò che fai. Se farai il monello potrebbe sgridarti. - 
Junhong sospirò, sparendo sotto il piumone. 
- Voglio che la mamma mi sgridi. - 
Hyoseong lasciò la camera con il cuore a pezzi, era al servizio di quella casa da tre anni, da quando sua madre aveva dovuto lasciarla e non era rimasta che lei per alimentare un minimo le finanze della famiglia. Aveva avuto dunque modo di farsi apprezzare e di far sì che si fidassero di lei e così, semplicemente per soddisfare la sua vena da pettegola, era venuta a conoscenza degli spiacevoli segreti di quella casa. 
Junhong era uno di quei segreti. Il bimbo illeggittimo del presidente di una multinazionale e della sua modesta segretaria, morta per qualche ragione di cui Hyoseong non era a conoscenza appena un giorno dopo aver partorito il suo unico bambino. Era una storia straziante che non avrebbe mai potuto spiegare al piccolo Junhong, che le era stato affidato da quella che era una "famiglia" detta così giusto per etichetta. 

Nonostante la signora Jung non degnasse di uno sguardo Junhong e lo trattasse come un estraneo, o forse, addirittura, come un soggetto pericoloso da evitare a tutti i costi, il piccolo Junhong non portava rancore. Probabilmente non aveva neanche idea di cosa fosse il rancore. Era felice di poter avere il suo papà con sé, si sentiva contento quando gli rivolgeva uno sguardo in più rispetto al solito o quando gli chiedeva come stesse, quando gli raccontava qualcosina su sua madre e anche quando, almeno negli ultimi tempi, prese a consolarlo per la scomparsa di quel suo "hyung", che era ancora convinto fosse un personaggio immaginario che Junhong aveva creato per sé per compensare l'assenza di amici. D'altronde Junhong non poteva uscire di casa. Nessuno doveva sapere della sua esistenza. Nel pomeriggio gli era consentito di uscire in giardino, ma raggiungere solo l'ala est di quell'immensa distesa verde, dove le siepi erano abbastanza alte e fitte da negare a chiunque di poter scorgere il piccolo errore che rendeva la coscienza del signor Jung così sporca. 
Accettare il fatto che Yongguk fosse andato via, senza dargli una spiegazione, senza lasciare che intuisse nulla, non potè che lasciare dentro di lui una profonda tristezza, una voragine che a stento riusciva a riempire con i sorrisi e la genuina felicità che generalmente qualunque bambino della sua età avrebbe dovuto avere. 

- Hyoseong, ho lasciato un mazzo di rose sulla scrivania di Junhong, ricordagli il suo piccolo compito per oggi, va bene? - disse il signor Jung che ci teneva particolarmente che la bassissima percentuale di possibilità che la signora Jung iniziasse a provare un po' di simpatia per Junhong venisse sfruttata. La donna aveva ricevuto quella mattina un'importante promozione sul lavoro e aveva deciso di organizzare una bella cena di famiglia in un ristorante di lusso. Naturalmente Junhong non era compreso nella famiglia, ma il Presidente aveva ugualmente pensato che fosse il caso che quel piccoletto dagli occhi grandi si congratulasse con lei in qualche modo. Un bel mazzo di rose bianche gli sembrava adatto. 
Junhong prese quel piccolo compito con piacere, poiché come già detto il termine "rancore" non apparteneva al suo dizionario, e poiché nutriva il semplice desiderio di far sorridere quella donna che gli sembrava sempre così acida e accigliata. 
Mentre Daehyun era chiuso in bagno, tutto intento a cantare sotto la doccia, e il signor Jung stava per tornare dal lavoro, Hyoseong mise il grande mazzo di rose tra le braccine incerte di Junhong e lo spinse fuori dalla sua camera. La signora Jung, avvolta in un lungo abito di seta blu, adatto alla serata elegante della quale sarebbe stata la protagonista, stava giusto per scendere le scale. Timido com'era Junhong tentò un paio di volte di scappare dal lato opposto del corridoio, ma Hyoseong riuscì a riprenderlo abbastanza in fretta e costringerlo a fare marcia indietro e affrontare la situazione. Alla fine, con le guance tutte rosse, si parò di fronte alla donna in blu, attirando il suo sguardo un attimo prima che scendesse il gradino. Il piccino non disse nulla. Si limitò a sollevare il mazzo di fiori sperando non gliene cadesse nessuno e le mostrò un sorriso timoroso, ma sincero. 
Gli occhi di lei, neri come la pece, che nascondevano chissà quali turbe, chissà quali ricordi passato che avevano pressato la curva della sua personalità fino a farle prendere una connotazione nettamente negativa, non tradivano nient'altro se non ira. L'ira per un cuore tradito più volte, la prima volta nello scoprire che il suo uomo non l'amava come ella in realtà credeva, la seconda quando aveva aperto gli occhi sull'oggettività della sua schiavitù come moglie di un importante personaggio pubblico, al pari di una escort di buon costume, e ancora una volta quando aveva dovuto accettare sotto il suo medesimo tetto il frutto del tradimento del marito. Quei fiori, quel sorriso innocente, sembrarono volerla sbeffeggiare ancora una volta e di fronte a sé vide concretizzarsi le paure, le sofferenze, tutto ciò che aveva patito in quel tempo, quasi sotto forma di gelide salamandre che senza trovare ostacoli attraversarono le fiamme della sua ira avvelendole il cuore. 
- Io ti rovinerò - annunciò con un tenebroso sorriso, mentre Junhong inclinava il capo e non riusciva a capire cosa intendesse, voleva forse dire che le rose non le erano piaciute? Che non avrebbe accettato il suo regalo? 
La donna, avvolta da quella seta leggera, abbandonò la stabilità acquistata sul pianerottolo e, con ancora lo sguardo puntato sul bambino, si lasciò cadere all'indietro sulle scale. Il suo corpo venne sballotato violentemente tra i gradini e raggiunse il piano terra con un tonfo spaventoso. Junhong lasciò cadere i fiori per terra, con gli occhi sgranati per ciò che era appena accaduto. Era paralizzato dalla paura, dalla preoccupazione e neanche l'urlo acuto di Hyoseong che aveva appena raggiunto la scala e che si precipitava ora verso il corpo privo di sensi, servì a svegliarlo. 


- Ti prego, portalo via! Non voglio vederlo! Ho rischiato la vita per colpa sua! - 
- E' solo un bambino, come può aver... - 
- L'ha fatto! L'ha fatto! Mi ha raggiunta con un mazzo di fiori tra le braccia, delle rose bianche, ha urlato che non ero sua madre, ha detto di odiarmi, poi ha lanciato il mazzo di fiori sul parquet e mi ha spinta con entrambe le mani, con tutta la sua forza. Stavo giusto per scendere il primo gradino quando l'ha fatto, ero in bilico, gli è bastato farmi perdere l'equilibrio e sono caduta. L'ho sentito ridere mentre cadevo. Quel bambino ha attentato alla mia vita! - 
- Parla piano, ti prego, non alzare la voce. Sarebbe uno scandalo se si venisse a sapere qualcosa del genere. - 
- Portalo via da quella casa. Portalo via. Non permetterò che stia sotto il mio stesso tetto. Dallo ad un orfanotrofio, abbandonalo. Non voglio vivere assieme a quell'assassino! - 

Le parole della signora Jung sembravano assurde anche per le orecchie del Presidente, nonostante fosse abituato a sentirla delirare, vittima del flusso continuo delle sue ansie, ma in quel caso tutto andava contro Junhong, anche Hyoseong stessa aveva descritto la scena vista, con Junhong paralizzato come se avesse appena fatto qualcosa di orribile, il mazzo di rose bianche a terra, forse l'unico reale inanimato testimone di quell'avvenimento. 
Il Presidente non potè che assecondare le richieste della signora Jung, almeno in parte. Non poteva rischiare che scoppiasse uno scandalo. Le dicerie, i gossip, per un imprenditore come lui che teneva le redini troppo sottili di un purosangue economico, erano più taglienti di una lama. Rischiare non era nel suo stile, preferiva eliminare i problemi in silenzio, rapidamente, senza porre troppe obiezioni anche a richieste ridicole come quella. Non poteva abbandonare suo figlio, nè chiuderlo in un orfanotrofio. Se quella donna non voleva mai più vederlo, non poteva che annullare l'essenza del piccolo Junhong, non poteva che renderlo inanimato proprio come quell'inerme mazzo di rose bianche. Era già un segreto, non gli restava che seppellirlo ancora più in profondità. Seppellire la sua bellezza e innocenza lontano da quel mondo.

Fu solo a quel punto che Junhong trovò in quella che al tempo era solo un'inospitale serra, una dimora. Fu allora che divenne la rosa che respira.



Junhong narrò a Yongguk tutto ciò che ricordava del suo passato tormentato. 
La sua felicità si era spenta quando Yongguk si era allontanato, improvvisamente tutto era andato a rotoli, ma aveva sviluppato una capacità di accettazione che non sapeva esattamente se definire positiva o estremamente negativa. In entrambi i casi, dato che non aveva mai avuto scelta, non aveva mai avuto modo di ribellarsi ai risvolti della propria vita, a prescindere dalle conseguenze non poteva cambiare quel suo atteggiamento. 
Yongguk era a dir poco sconvolto. Credeva che fino a quel momento fosse stato un magnete per le calamità naturali, per le disgrazie e per le sfortune, mentre in quel momento si rendeva conto che qualcuno, qualcuno a cui tra l'altro teneva moltissimo, per quei dieci anni aveva vissuto una situazione peggiore della sua. Forse era un po' egoistico da parte sua, però avvertire una parte di sé che si sentiva sollevata per il semplice fatto che, nonostante gli eventi negativi nella sua vita, quantomeno fosse vivo. Ad ogni modo, c'era ancora qualcosa a cui non aveva risposto: la notizia della sua morte. 
Junhong scosse le spalle e il capo in contemporanea, con un'espressione confusa. 
- Non so molto a riguardo. - 
E definirlo ridicolo era dire poco. 
- Io sono sempre stato qui dentro. All'inizio non potevo uscire a meno che non fossero tutti fuori casa, o che lo fossero quantomento la Signora e Daehyun hyung, non sapevo cosa stava accadendo lì fuori. Hyoseong mi ha fatto vedere l'articolo di giornale, ma credo non se lo spiegasse neanche lei. Diceva che in quei tempi c'era molta tensione in casa, che qualcuno aveva fatto qualcosa di molto grave, che correvano dei rischi. Non sapevo esattamente cosa centrasse con la falsa notizia della mia morte, ricordo solo che la sera seguente all'uscita di quell'articolo, Daehyun hyung mi rivolse la parola per la prima volta. Non l'aveva mai fatto, davvero! Quella sera invece venne da me, ma rimase lì sotto, con la schiena contro la porta chiusa della serra, mi sembrava molto... rigido. Forse perchè stava disobbedendo per la prima volta alla Signora. Mi guardò e mi disse che gli dispiaceva di non avermi mai parlato, che forse se non avessi fatto del male a sua madre un giorno saremmo potuti diventare amici... addirittura fratelli. Subito dopo aprì la porta e fece per uscire... ricordo che aveva un'aria un po' intristita, mi disse " purtroppo saranno le prime e ultime parole che ti dirò, dato che sei appena morto " e poi " addio Junhong ", e mi lasciò qui... -
Junhong aveva in qualche modo compreso di aver smesso di esistere, ma le ragioni non gli erano chiare e la passività, il senso di accettazione che aveva sviluppato era tornato a farsi vedere.

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