Sangue Nero a Parigi

di TheManiae
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Arrivo sulla Terra ***
Capitolo 2: *** Una normale giornata da eroe ***
Capitolo 3: *** Le pedine si muovono ***
Capitolo 4: *** Incontri ***
Capitolo 5: *** Il Sangue Nero ***
Capitolo 6: *** Sconfitta ***
Capitolo 7: *** Corvi e Farfalle danzano nelle tenebre ***
Capitolo 8: *** Il Rituale ***
Capitolo 9: *** Lunga vita alla Regina ***
Capitolo 10: *** Meditazione ***
Capitolo 11: *** Nebbie ***



Capitolo 1
*** Arrivo sulla Terra ***


Francia
Alcuni chilometri a sud di Parigi
Ore: 00.32

 

Un piccolo topo notturno usciva dalla sua tana, in cerca di cibo. Viveva sotto un albero, in cima a una piccola collina, vicino a una fattoria.

Il topo corse rapido tra i fili d'erba e i fiori, annusando l'aria per avvertire la presenza di un predatore o l'odore del cibo.

Si bloccò, alzando lo sguardo verso il cielo. Nelle sue orecchie ipersensibili sentiva qualcosa di strano, come una specie di sibilo distante. In alto, nella volta stellata, vide una luce ingrandirsi sempre di più.

Una fortissima onda d'urto scagliò lontano il piccolo topo. Una pioggia di terra e rocce cadde attorno alla collinetta, evitando per un pelo il roditore, che si era rialzato e stava fuggendo.

Si nascose nella sua tana, terrorizzato, ma sicuro che nessun predatore l'avrebbe mai raggiunto lì. 

Una massa nera scivolò all'interno del tunnel. Preso dal panico, il topo, che era stato messo all'angolo, si avventò sull'aggressore, pronto a difendersi con gli artigli e i denti. La melma lo afferrò appena lui la toccò, ricoprendolo fino a farlo scomparire. Le grida del piccolo topo si spensero mentre veniva divorato.

Dopo aver inglobato completamente l'albero e buona parte dell'erba, lo strano liquido scivolò lungo il fianco della collina, dirigendosi verso la fattoria. Dietro di lui lasciò solo un terreno morto e un pezzo di legno secco e pallido.

Le luci alle finestre erano accese, e un paio di umani era uscita a controllare con in mano dei fucili. Dalla melma nera emerse un occhio di un verde brillante, con la pupilla affilata di un rettile. Un solo pensiero passò nella terribile mente di quell'essere:

"Cibo."

 

 



 

Capitolo corto lo so, ma una breve introduzione faceva più effetto secondo me.

E ne approfitto per un breve discorso.Questa non sarà la classica storia di ship e amori che ormai hanno invaso il fandom.Ci saranno anche quelle, ma non saranno loro il motore della trama.Questo è un nuovo genere di storie.Il MIO genere.Muahahahahahaha.Divertitevi.

-La Follia mi scorre nelle vene.

 

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Capitolo 2
*** Una normale giornata da eroe ***


Capitolo 1: Una normale giornata da eroe


«Muahahahahahahahahah! Non potete fermarmi! Io sono invincibile!» gridò Ocularus dalla cima dell'edificio, circondato da bulbi oculari con ali da pipistrello. Era un individuo vestito con una calzamaglia bianca e rossa, con un occhio gigante al posto della testa.

«E' una mia impressione o gli akumizzati stanno diventando sempre più ridicoli?» chiese Chat Noir, appostato sul tetto di un pullman. Sotto di lui, Ladybug sorrise.

«A Papillon stanno mancando le idee» disse, facendo roteare lo yoyo.

«Come vi permettete! Il mio costume è semplicemente fantastico!»

«Ho visto costumi meno assurdi a una sfilata di carnevale.» 

«Non dire così gattino» lo rimproverò Ladybug. «Anche se un simile costume non lo indosserei nemmeno a un Comics.»

«Zitti!» gridò Ocularus, puntando il dito verso i due supereroi. Gli occhi volanti scesero in picchiata verso di loro, con le iridi che si illuminavano. Chat saltò all'indietro, evitando un raggio rosso  che bruciò il tetto del pullman.

«Attento a non scottarti gattino» disse Ladybug, schivando altri colpi di laser. Lanciò lo yoyo contro uno degli occhi, che venne scagliato contro un muro e cadde a terra. In pochi istanti si trasformò in pietra.

«Non ne ho intenzione, my lady» sogghignò il biondo. Usando il bastone come una mazza, colpì un occhio e lo lanciò verso l'akumizzato come una palla da baseball. Ocularus si abbassò, evitandolo per un soffio. «Sta più attento!»

Due occhi si lanciarono su Ladybug, sparando a raffica coi loro laser. Lei li evitò con dei salti mortali all'indietro, per poi afferrare una macchina con lo yoyo e lanciarla contro i due mostri. Tuttavia, mentre si pietrificavano, altri tre tornavano all'assalto.

Anche per Chat la situazione era simile. Colpiva i nemici col suo bastone, agitandolo in aria per scagliarli lontano o allungandolo per colpirli con precisione millimetrica nell'iride. Ma per ogni nemico sconfitto, altri ne prendevano il posto.

«Non possiamo continuare così!» disse il supereroe felino, saltando per evitare un occhio e colpendolo coi piedi, balzando verso un altro per dargli una bastonata.

«Lo so!» La mora evitò un colpo di laser per un soffio. Prima che l'occhio potesse attaccarla nuovamente, lei gli saltò addosso e gli diede un calcio, scagliandolo via. Lanciò lo yoyo in aria, urlando a pieni polmoni: «Lucky Charm!»

L'energia della creazione si radunò attorno allo yoyo, che ricadde nelle mani di Ladybug, trasformato. Era uno spray al peperoncino.

«E con questo che dovrei farci?» chiese la supereroina. Alzando lo sguardo, vide illuminarsi di rosso e nero la parete dell'edificio davati a lei, la mano di Chat Noir, un palo della luce e lo spray stesso. E allora capì.

«Chat Noir! Distruggi quella parete!» 

Il biondo annuì e gridò: «Cataclisma!» Saltò sopra un occhio e toccò il muro con la mano carica di energia oscura. Lo stucco marcì istantaneamente e si staccò, e il cemento si riempì di crepe, che risalirono fino al punto dove stava Ocularus.
 
«Ma che!» esclamò il supercriminale, lanciando un grido quando il tetto sotto di lui franò. Precipitò urlando, e Ladybug agì.

Saltò sul lampione e si gettò verso di lui, lanciandogli contro lo spray aperto. Il liquido urticante centrò in pieno il villain, che urlando si afferrò l'enorme occhio, ora arrossato e lacrimante. Anche gli occhi volanti si arrossarono, esplodendo in una pioggia di lacrime.

«Dannata Ladybug!» gridò Ocularus, rialzandosi. Aveva l'occhio completamente rosso, da cui scendevano lacrime a fontana. La pupilla era ristretta, furente. «Non è ancora finita!»

E fu colpito in testa dal bastone di Chat Noir, cadendo a terra svenuto.

«Sai, dovresti tenere un OCCHIO ai tuoi avversari» disse ridacchiando. La sua compagna lo guardo disgustata, per poi alzare gli occhi al cielo. Prese l'oggetto maledetto da Papillon, degli occhiali appesi al collo del villain, e li spezzò. La farfalla oscura cercò di fuggire, ma venne catturata dallo yoyo.

«Niente più malefatte piccola Akuma» disse, ritrasformando l'animale in una bellissima farfalla bianca che brillava di luce argentea. Poi lanciò lo spray in aria, gridando: «Miraculous Ladybug!»

L'oggetto esplose in un'energia rossa e nera, che si diffuse per tutta la città, riparando tutti i torti causati da Ocularus. Lo stesso akumizzato tornò alla sua forma normale, un semplice ragazzo. (Che probabilmente aveva incontrato Chloé.)

I due eroi si dierero il pugno. 

«Ben fatto!»

Detto questo, entrambi sentirono il suono dei propri Miraculous che li avvertivano di star per esaurirsi. Si diedero un rapido saluto (con una battuta di Chat sulle lenti) e se ne andarono. All'interno del suo covo, Papillon lanciò le sue solite minacce contro la finestra/telescopio a forma di farfalla. E anche quest'avventura terminò, esattamente come tutte le altre volte. 





Mentre i supereroi prendevano direzioni diverse, lei volteggiando fra i tetti e lui saltando col bastone, due figure sulla cima di un edificio li osservarono con sguardi interessati.




 
-La follia mi scorre nelle vene

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Capitolo 3
*** Le pedine si muovono ***


Capitolo 2: Le pedine si muovono.





La mattina dopo, come al solito, Marinette si svegliò tardi.

«E' tardissimo!» gridò, infilandosi in fretta e furia i jeans. «Dannazione Tikki! Perché non mi hai svegliato?»

«Ci ho provato Marinette, ma tu hai il sonno più pesante di un elefante africano» rispose il Kwami della coccinella. «E hai messo i pantaloni al contrario.»

La giovane guardò verso il basso, e le sfuggì un ringhio di frustrazione. Rapidamente si rimise a posto gli abiti, prese la cartella e corse giù per le scale. Prese una brioche, salutò i genitori con un bacio sulla guancia e uscì dalla porta.

Corse in strada, evitando diverse persone, automobili, biciclette, bus e un pony rosa dalla criniera liscia e uno sguardo folle. Per poco non pensò di usare il proprio Miraculous per arrivare prima, ma non poteva rischiare. Inoltre, l'ultima volta che l'aveva fatto, Tikki si era offesa così tanto che non le aveva parlato per due settimane.

Infine, raggiunse la scuola. E fuori dal cancello, come tutte le altre volte, c'era Alya ad attenderla. La rossa si stava guardando attorno, e appena la vide la salutò alzando il braccio: «Marinette!»

«Scusa...» mormorò, riprendendo aria, curva con le mani sulle ginocchia. «Non mi sono...»

«Non ti sei svegliata in tempo e hai dovuto correre fin qua a perdifiato. Ti conosco abbastanza da saperlo» ridacchiò Alya, per poi incamminarsi verso l'entrata. «Andiamo, prima che arrivi la professoressa.» Marinette la seguì.

Per loro fortuna, quando entrarono in classe, l'insegnante non era ancora arrivata. Tuttavia, per loro sfortuna, Chloé era già lì.

«Ancora in ritardo Dupain-Cheng? Strano. Con quelle orecchie da elefante dovresti sentire bene la sveglia» la derise la ricca bionda. Accanto a lei, Sabrina rise. «Bella battuta Chloé.»

«Lo so. E' una delle mie tante qualità» si vantò lei. Marinette e Alya alzarono gli occhi al cielo, ignorandole e sedendosi al loro posto. Gli altri compagni furono più educati di Chloé, salutandola gentilmente, ma l'unica voce che Marinette sentì fu quella di Adrien. Rischiò di svenire quando lo sentì, e restò immobile a fissare il biondo con occhi sognanti e il cuore che batteva.

«Marinette» la chiamò l'amica con un sussurro, sventolandole la mano davanti agli occhi. «Stai sbavando su tutto il banco!»

In effetti aveva creato una bella pozza di saliva. Le servirono un paio di fazzoletti per ripulire tutto, appena in tempo prima che la professoressa entrasse.

«Buongiorno ragazzi.»

«Buongiorno signorina Bustier.»

Procedettero subito con l'appello. «Siete tutti presenti, bene. Prima di cominciare la lezione, devo dirvi una cosa» disse, e i presenti si allungarono sui banchi, incuriositi.

«Tra due settimane sarà l'anniversario del giorno in cui apparvero per la prima volta gli eroi della nostra città, Ladybug e Chat Noir. Per festeggiare, il sindaco ha indetto una festa per ringraziarli di tutto ciò che hanno fatto per Parigi.»

La classe esplose in una cacofonia di grida gioiose, eccetto che per tre individui: Marinette, Adrien e Chloé. I primi due sembravano sorpresi, mentre l'ultima era palesemente arrabbiata.

«E per Queen Bee niente!? Anch'io sono un'eroina di Parigi!» esclamò, seccata. I compagni accanto a lei sospirarono e risero.

«Tu sei una supereroina solo da un paio di mesi. Ladybug e Chat Noir salvano la città da quasi un anno. Si chiama anniversario per questo» rispose Rose. «Vedrai che tra una decina di mesi la avrai anche tu.»

Chloé stava per rispondere malamente come suo solito, ma improvvisamente apparve pensierosa, per poi sorridere soddisfatta. «Ma certo! Una persona importante come me deve avere una festa propria, senza doverla condividere con gli altri» esclamò con occhi sognati, senza accorgersi delle risate dei compagni attorno a lei.

Invece Marinette aveva un'espressione corrucciata. Ricordava bene che ogni volta che c'erano eventi legati più o meno a lei e Chat Noir le cose potevano complicarsi nei modi peggiori.

Alya alzò la mano. «Signorina Bustier! Come sarà questa festa?»

«Purtroppo non abbiamo ancora informazioni su tutte le attività, ma il sindaco ha assicurato che Ladybug e Chat Noir saranno presenti. In fondo, la festa è per loro.»

Marinette sentì un brivido freddo lungo la schiena. Si metteva di male in peggio.

«Ora basta parlare. Tutti i dettagli verranno forniti dal sindaco fra qualche giorno. Ora aprite il libro di scienze, pagina trecentonovantaquattro»

Le lezioni passarono con una lentezza anormale. Marinette a malapena sentiva la professoressa che parlava, troppo distratta dai propri pensieri riguardo la festa per Ladybug e Chat Noir. Aveva notato che Alya sembrava eccitatissima, e molto probabilmente le avrebbe chiesto di venire con lei, ma se Ladybug si fosse presentata, Marinette sarebbe sparita, e forse qualcuno l'avrebbe notato.

Infine suonò la campanella dell'uscita. Come aveva previsto, mentre camminavano per i corridoi, Alya cominciò a parlare della festa peggio di una fangirl degli One Direction prima di un concerto.

«Non vedo l'ora di scoprire cosa faranno alla festa. Forse un ballo, o una serie di sfida a tema supereroi, oppure una raccolta di denaro. Devo riuscire a ottenere un'intervista con Ladybug e Chat Noir per il mio vlog. Sarà fantastico!»

«Si, fantastico» rispose Marinette, con un tono così basso che Alya lo notò subito.

«Ehi, tutto a posto?»

«Oh, si si, tranquilla» si affrettò a rispondere la mora, sforzando il sorriso più realistico che potesse fare. «Stavo solo pensando agli esercizi di matematica per domani»

«Domani non c'è matematica.» Alya la fissò scettica. «Ammettilo, stavi pensando alla festa. Vuoi andarci con Adrien, non è vero?»

Adrien! Come aveva potuto dimenticarlo. Immaginò di passare una serata con lui durante la festa, a divertirsi assieme. E lui forse l'avrebbe accompagnata a casa sua, e dopo avrebbe chiesto un altro appuntamento. Si sarebbero sposati, avrebbero avuto tre figli, due maschi e una femmina, e un cane. Avrebbero avuto nipotini e bisnipoti, per poi passare gli ultimi anni insieeme in una baita in montagna lontano da tutti, e infine sarebbero stati sepolti vicini con incise frasi d'amore sulle lapidi.

«Marinette? Rientra nel mondo dei mortali.»

La mora si accorse che l'amica stava agitando una mano davanti a lei, e anche che dal labbro penzolava un rivolo di saliva. Si affrettò a pulirsi, arrossendo terribilmente. «Oh scusa, io...»

«Stavi di nuovo pensano al tuo futuro con Adrien?»

Dopo qualche attimo di silenzio imbarazzante, Marinette rispose. «Si.»

«Anche le lapidi?»

Annuì.

«Lo sai vero che è una cosa inquietante?»

«Non è inquietante! E' romantica!»

Le due si fissarono qualche secondo, per poi scoppiare entrambe in una grassa risata. Ormai si conoscevano tanto da capirsi a vicenda.

Quando finalmente si calmarono, Alya parlò: «Hai in mente di invitarlo alla festa?»

«Vorrei...» Non poteva farlo. Ladybug avrebbe dovuto essere presente.

«Non preoccuparti. Ti aiuterò a invitarlo, dovessi perderci la vita!» esclamò la rossa, col tono di chi pronuncia un Voto Infrangibile.

«No Alya» rispose Marinette, scuotendo il capo. «Grazie ma non ce n'è bisogno.»

«Troppo tardi amica mia. Alya Césaire non si rimangia mai la parola data» esclamò, tenendo le braccia conserte e gli occhi chiusi.

Marinette stava per dire qualcosa. Forse voleva ringraziarla. Forse voleva dirle nuovamente che non serviva. Forse voleva mandarla a quel paese. Forse voleva confessarle di amare lei e che tutte le fanfiction dei fan malati di Adrinette e Marichat non servivano a niente.

Non lo sapremo mai, perché improvvisamente un suono acuto di una sirena crebbe sempre di più, fino a fare male alle orecchie. Tre volanti della polizia sfrecciarono ad alta velocità sulla strada davanti alla scuola. Gli studenti si affacciarono alle finestre, dal cancello e alcuni dal muretto, seguendole con lo sguardo. Alcuni cominciarono anche a seguirle, sapendo esattamente di cosa si trattasse. 

Un'Akuma.

 

 



 

-La Follia mi scorre nelle vene

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Capitolo 4
*** Incontri ***


Capitolo 3: Incontri



«Un'altro Akumizzato!» Alya strillò di gioia. «Devo andare a filmarlo per il mio blog. Ti chiamo appena finisce il combattimento!» esclamò, cominciando a correre dietro alla polizia. Marinette voleva dirle che poteva essere pericoloso, ma ormai sapeva che non l'avrebbe ascoltata. «Fai attenzione!» si limitò a urlarle dietro.

«Tranquilla!» rispose Alya, sparendo dietro l'angolo.

Marinette sospirò, ma sapeva che non c'era tempo da perdere. Corse in una stradina secondaria e nascosta. Aprì la borsetta, dalla quale uscì la piccola Kwami rossa e nera. «Tikki, trasformami!»

Tikki annuì e si tuffò negli orecchini. L'energia avvolse il corpo di Marinette, trasformandosi nel costume di Ladybug. La supereroina si lanciò fra i tetti della città, dondolandosi tra di essi con lo yoyo e seguendo il suono delle sirene, sicura che vi avrebbe trovato anche l'Akumizzato. E non era stata la sola a pensarlo.

«Non sapevo che anche a te piacessero le lunghe camminate in riva al mare, my lady.» Chat Noir apparve accanto a lei, balzando da un edificio all'altro col bastone.

«I gatti non avevano paura dell'acqua?» rispose lei con uno sorrisetto malizioso.

«Si, ma ogni tempesta sembra il paradiso se ci sei tu con me.»

«Sei diventato un poeta?»

«Tutto per te, my lady.» Le fece l'occhiolino. Ladybug alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì a non sorridere.

«Sai già chi o cosa dobbiamo combattere?»

«No, ho solo visto la polizia correre a fermarlo.» Una strana sensazione pesava sul petto di Ladybug. Sentiva qualcosa di strano nell'aria.

Man mano che si avvicinavano, i suoni aumentarono costantemente. Riuscirono a sentire distintamente grida, spari, rumori di distruzione e perfino ruggiti animaleschi che gli fecero tremare le ossa. Infine, atterrarono su un edificio e si affacciarono dal tetto sulla strada in basso. Rimasero entrambi a bocca aperta.

La strada in basso era devastata. Le macchine erano state rovesciate e lanciate via da una forza incredibile, mentre diverse persone fuggivano gridando. Anche i poliziotti che avrebbero dovuto proteggere gli abitanti scappavano come conigli. E al centro di quel disastro, una grossa bestia nera stava colpendo ripetutamente un'automobile con i grossi pugni. Delle grida provenivano da essa.

«C'è qualcuno lì dentro!» esclamò Chat Noir, balzando verso il palazzo di fronte. Appoggiò entrambi i piedi contro il muro, e, dandosi forza nelle gambe feline, compì un salto verso il mostro. Ruotando il bastone, lo colpì direttamente sul muso rettiloide. La creatura venne sbalzata all'indietro, cadendo a terra di schiena.

Ladybug atterrò accanto all'auto. Il tettuccio era stato deformato dai possenti colpi della creatura, e dentro si trovavano una donna e una bambina nel sedile posteriore. Grazie alla sua forza, la supereroina riuscì ad aprire le portiere bloccate. «Veloci, andate!»

Le due le rivolsero un rapido ringraziamento e scapparono.

Un ruggito furente riempì l'aria. Il mostro si era rialzato, e ora entrambi gli eroi riuscivano a vederlo meglio. Era un enorme creatura bipede, dall'ampio torace e con grosse braccia coperte di escrescenze affilate, che terminavano con tre grossi artigli ognuna. Il volto appariva serpentino, con corna ricurve da ariete e quattro piccoli occhi completamente verdi, che splendevano di una luce malefica. Grossi spuntoni ricurvi emergevano dalla schiena, scendendo lungo una coda serpentina.

«Amico, cerca di calmarti. Stai facendo troppo chiasso per le mie orecchie» scherzò Chat Noir, il bastone messo in orizzontale dietro il collo. Ladybug lo fulminò con lo sguardo.

«Quello che il mio collega cerca di dire è che non devi obbedire a Papillon. Possiamo aiutarti.»

Il mostro li guardò qualche secondo, senza mostrare alcuna emozione o indizio che avesse minimamente capito ciò che Ladybug avesse detto. Poi, spalancando le enormi fauci e mettendo in mostra le grosse zanne affilate, lanciò un potentissimo ruggito. Balzò in avanti, e i due dovettero saltare all'indietro per evitare i letali artigli.

«Non credo che ti abbia capito, my lady» disse Chat Noir, con un ghigno felino. Piantò il bastone a terra e lo allungò per darsi lo slancio e saltare, rimpicciolendolo a mezz'aria e colpendo il mostro alla testa con un potente attacco verticale. La creatura ruggì di dolore e tentò di colpirlo con gli artigli, ma il giovane si era già allontanato.

«Ehi» esclamò Chat, rivolgendosi a Ladybug. «Come sarebbe a dire "Collega"? Credevo ci fosse qualcosa tra noi! Sento che sto per perdere le forze dalla tristezza» disse con voce falsamente offesa, alzando una mano alla testa per rendere meglio il dramma.

«Chat. Non è il momento adatto.» Ladybug gli rivolse un'occhiata severa e alzò gli occhi al cielo, sospirando. Saltò, evitando le artigliate del mostro, e gli atterrò sopra la testa. Usando lo yoyo, riuscì a chiudergli la bocca col filo sottile ma resistentissimo, cavalcandolo in una strana maniera. «Preso!»

Chat guardò la scena con un sorrisetto felino. «Beato lui. Io sarei ben felice di farmi cavalcare da te, my lady.»

Il volto di Ladybug divenne rosso come un peperone, e rivolse uno sguardo a metà furente e a metà imbarazzato al collega, cosa che lo fece scoppiare a ridere. La risata tuttavia non durò molto. Il mostro si girò su se stesso all'improvviso, colpendo Chat con la grossa coda e scagliandolo urlante contro la vetrata di un negozio, mandandola in frantumi.

«Chat!» esclamò Ladybug, guardando verso il negozio. Prima che potesse dire o fare altro, la coda del mostro si avvolse attorno al suo petto, schiacciandole le ossa e cercando di tirarla via. Lei resistette alcuni momenti, ma alla fine perse la presa. La creatura la scagliò via, contro un muro. Per fortuna, i riflessi dovuti al Miraculous le impedirono di finire spiaccicata contro la parete.

Tuttavia non ebbe nemmeno il tempo di rispondere. Con una velocità inaspettata per una creatura del genere, la bestia si era lanciato verso di lei e aveva sollevato le braccia muscolose per schiacciarla. Lei riuscì a evitare il colpo per un soffio, balzando all'indietro. Rimase comunque scioccata dal fatto che i pugni del mostro avevano distrutto l'asfalto della strada senza fatica. Non voleva nemmeno immaginare cosa avrebbe potuto fare a lei.

Il mostro balzò nuovamente verso di lei, stavolta con gli artigli protesi per afferrarla. Lei cercò di schivarle, ma venne bloccata da una forte presa alla caviglia. Si ritrovò a testa in giù, a pochissimi centimetri dal muso mostruoso della creatura.

«B-Buono bello» mormorò, come se parlasse a un cane. Strillò appena esso aprì le fauci, mostrando la lingua biforcuta. «Aiuto!»

Una bastonata colpì di lato il muso della creatura, scagliando frammenti di zanne ovunque. Il mostro arretrò ed emise versi di dolore, lasciando la presa. Ladybug cadde con un grido, venendo afferrata da due forti braccia. «Serve aiuto, my lady?» chiese Chat Noir con un sorriso.

«Grazie Chat» rispose lei, rimettendosi in piedi. «Stai bene?»

«Per fortuna mi ha lanciato in un negozio di letti e materassi.» Il suo sorriso si fece più sottile e perverso. «Se vuoi, dopo possiamo dividerne uno» disse, facendole l'occhiolino.

Prima che Ladybug potesse fulminarlo con lo sguardo, o dargli direttamente una sberla dietro la testa, lui le mise il braccio dietro la schiena e la spinse a terra. Un'automobile passò a meno di un metro dalle loro teste, schiantandosi sulla strada e strisciando per diversi metri, con un orrendo gemito metallico.

Il mostro tornò all'attacco, caricandoli come un gorilla infuriato. Nei suoi occhi privi di emozione, i due riuscirono a scorgere qualcosa di estremamente simile alla rabbia. Dai suoi denti spezzati colava liquido nero, che a contatto col suolo emetteva del fumo scuro. I due balzarono sui lampioni della luce.

«Dobbiamo distruggere l'oggetto akumizzato» esclamò Ladybug.

«Non mi pare che abbia oggetti con se.» Il lampione si mosse, e aggrappandosi ad esso, Chat vide che il mostro più in basso lo stava staccando da terra come se niente fosse. Balzò rapidamente su un tetto, abbassandosi appena in tempo per evitare il palo lanciatogli contro a velocità assurda. «Forse se l'è mangiato.»

Ladybug non sapeva cosa fare, ed era proprio in questi momenti che doveva tirare fuori la sua arma segreta. Saltò lontano dal raggio d'attacco del mostro, sopra un tetto, e lanciò in aria lo yoyo.

«Lucky Charm!» gridò a pieni polmoni. L'energia avvolse l'oggetto, che ricadde nelle sue mani in forma di lanciafiamme.

«Ma che...»

Era davvero confusa. Normalmente il Lucky Charm non era mai un oggetto realmente pericoloso per l'akumatizzato, figuriamoci un'arma del genere. Scosse il capo. Probabilmente la Vista le avrebbe svelato una soluzione che, sebbene strana, le avrebbe fatto vincere la battaglia, come al solito.

Le uniche cose a illuminarsi furono il lanciafiamme e il mostro.

Il volto di Ladybug era una maschera di confusione, che si trasformò rapidamente in un viso sconvolto oltre ogni limite. Il Miraculous le stava dicendo di dare fuoco all'akumatizzato?

«Non ci penso nemmeno!» esclamò, gettando a terra l'arma con aria disgustata. Questa tornò ad essere il solito yoyo.

«Ladybug!» Chat atterrò accanto a lei. «Perché non hai usato il Lucky Charm?»

«Era un lanciafiamme Chat, un lanciafiamme! Non voglio bruciarlo vivo, chiunque egli sia. E' solo una vittima di Papillon!»

«Se non facciamo qualcosa, quel mostro finirà per fare del male a qualcuno.»

Prima che la discussione potesse degenerare, il mostro balzò sul tetto, producendo un tonfo che fece tremare tutto quanto. Si lanciò alla carica contro i due, e a pochi metri da loro saltò in aria. Gli eroi schivarono appena in tempo, e con la sua enorme mole, la creatura sfondò il cemento, precipitando nella casa sotto di loro.

Un grosso polverone si alzò dal buco che aveva creato. Chat si affacciò per guardare, ma anche con la sua vista felina, non riusciva a vedere nulla.

«Dici che è-AH!» Venne zittito dal grosso braccio che emerse dal buco. I tre artigli si chiusero attorno alla sua testa, sollevandolo come se non avesse peso e scagliandolo verso Ladybug.

«Chat!» esclamò lei, avvicinandosi e chinandosi per vedere se stava bene. Un'ombra calò sui due, che timorosi, guardarono in alto.

Il mostro era uscito dal buco, e ora incombeva su di loro. Liquido nero colava tra le zanne, e i grossi artigli erano pronti a colpire e dilaniare senza pietà.

Sembrava che stesse per attaccarli, ma prima di farlo si fermò. Voltò la testa rettiloide verso la Torre Eiffel, come se sentisse qualcosa. All'improvviso scattò verso la torre, balzando da un edificio all'altro a folle velocità.

«Inseguiamolo!» disse Ladybug, lanciandosi dietro di lui e seguita a ruota da Chat Noir.

«Perché sta scappando? Non dovrebbe prendere i nostri Miraculous?»

«Forse è una trappola. Stiamo attenti» disse Ladybug. Qualcosa non le tornava.

Infine, raggiunsero la piazza davanti alla torre, e quando atterrarono si trovarono davanti una cosa veramente strana, anche per loro che di cose strane ne avevano viste tante.

Una figura stava in piedi, accarezzando il mostro come se fosse un semplice cagnolino. Era un ragazzo vestito con un impermeabile nero lungo fino alle ginocchia e chiuso da una serie di lacci, col bordo inferiore frastagliato e in continuo movimento. Una piccola mantella grigio scuro gli copriva le spalle e la parte superiore del petto. Stivali e pantaloni erano anch'essi neri, attillatissimi come le maniche sulle braccia sottilissime.

Il volto, pallido da fare paura, era incorniciato da lunghi capelli neri a ciocche cadenti che ne coprivano una buona metà, lasciando scoperto un grande occhio dalla sclera nera, verde e allungato come i rettili, con una sottile pupilla nera affilata.

«Ladybug e Chat Noir, vero? Siamo molto felici di conoscervi. Era da tanto che volevamo incontrarvi.» La voce del misterioso individuo aveva qualcosa di viscido e velenoso.

«Chi sei? Cosa vuoi da noi?» chiese Chat Noir, con tono di sfida. Il ragazzo pallido sorrise, un sorriso mostruoso, pieno lunghe zanne affilate che fecero rabbrividire i due.

«Oh, che maleducato» Il mostro improvvisamente si sciolse in una massa nera e informe, che venne assorbita dalla mano dello sconosciuto. La scomparsa della creatura rivelò una falce piantata nel terreno, con la lama nera e ricurva che splendeva in modo inquietante. Il ragazzo la afferrò. «Il mio nome è Kishin, mentre lei è Raven» disse, accarezzando il filo della lama.

«Riguardo a quello che vogliamo, è molto semplice in realtà.» Fiamme spettrali di un blu intenso si accesero sulla falce, danzando sulla lama. Il folle sorriso di Kishin crebbe a dismisura, raggiungendo l'orecchio. «I vostri Miraculous, le vostre vite e la morte di questa patetica città.»

 

 

 

Kishin: Siamo tornati Bitches!
-La Follia mi scorre nelle vene

 

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Capitolo 5
*** Il Sangue Nero ***


Capitolo 4: Il Sangue Nero



Ladybug e Chat Noir erano parecchio confusi, ma non riuscirono a dire nemmeno una parola. Kishin si avventò su di loro, la falce alzata sopra la testa. La schivarono per un pelo, balzando all'indietro, e la lama ricurva penetrò nel cemento come fosse burro. Il fuoco azzurro annerì il terreno.

«Cosa intendi dire?» chiese l'eroe felino.

«Pensavo fosse ovvio anche per quelli come te, Gattino.» Kishin ridacchiò. «Voglio uccidere ogni abitante di Parigi. Il loro sangue mi renderà più forte, e sarà particolarmente divertente. Poi passerò al resto della Francia e poi all'Europa. Credo che il resto sia ovvio.»

Il ragazzo pallido roteò la falce con una facilità incredibile, scagliando due archi di fiamme zaffiro contro di loro. I due le schivarono per un soffio.

«Non capisco. Perché Papillon vuole distruggere il mondo? Non voleva solo i Miraculous, no?» esclamò Ladybug, confusa.

«Papillon?» Kishin scoppiò in una folle risata, dovendosi aggrappare alla falce per restare in piedi. L'orlo del suo impermeabile si agitò. «Pensate davvero che io sia un akumizzato?» chiese, quasi con le lacrime all'occhio.

«N-Non lo sei?» Un improvviso terrore crebbe nell'animo di Ladybug. Fece un passo all'indietro.

«Si vede che non mi conoscete, o non mi avreste mai scambiato per uno di quei patetici cattivi di serie z!» esclamò Kishin, con una punta di rabbia nella voce. Balzò verso Chat Noir, alzando la falce per colpirlo con un attacco verticale. L'eroe felino usò il bastone per parare l'attacco, e spiccando un salto oltre l'avversario, lo colpì al mento con una potente ginocchiata.

Quando Chat Noir si voltò, per poco non vomitò.

La testa di Kishin si era girata di quasi 180 gradi, e lo fissava con quell'inquietante sorriso. I capelli cadevano verso il basso, lasciandogli vedere l'altro orribile occhio. «Ahi» disse Kishin in tono giocoso, ignorando totalmente il fatto di avere il collo piegato in modo innaturale. «Mi hai fatto male.»

Con un disgustoso suono liquido, la testa tornò alla sua normale posizione. I due eroi si allontanarono, in parte per evitare altri attacchi, ma soprattutto per il disgusto e la paura che quell'essere provocava.

«Cosa... cosa sei?» chiese Ladybug.

«Io?» Kishin ridacchiò, e l'iride smeraldo brillò di una luce maligna. «Sono quello che avete nel cuore, quello che consuma l'anima, quello che la annega in un mare nero finché resta solo un guscio vuoto. Sono nato dall'oscurità di una creatura superiore agli dei e ho massacrato e consumato centinaia di mondi.» Dalle sue spalle esplose una fontana di liquido nero, dalla quale spuntarono due deformi ali melmose. Gocce nere cadevano a terra da esse quando le spalancò. 
 

«Io sono il Sangue Nero
 

Con un battito delle disgustose ali, Kishin si lanciò su di loro, tenendo la falce piegata di lato. Era pronto a decapitarli entrambi con un unico, elegante, fendente. I due si abbassarono, evitando l'attacco per un soffio, e mentre il suo avversario passava sopra di lei, Ladybug ne approfittò. Scagliò lo yoyo, avvolgendolo attorno alla sua gamba.

«Evvai!» gridò, stringendo la presa sulla corda e tirandola verso di se. Il piano era quello di bloccare a terra il loro assalitore.

Lanciò un grido acuto, ritrovandosi a trascinare i piedi sul terreno, come una sorta di sci marino sul cemento. Cercò di restare in equilibrio, aggrappandosi al filo per non farsi scappare il criminale. Kishin rideva di gusto, voltandosi a guardarla.

«Sei testarda. Mi piace! Vediamo se a te piace volare.» Detto questo, il ragazzo pallido batté le ali e puntò verso l'alto. Ladybug si ritrovò a mezz'aria, aggrappata al filo, mentre entrambi salivano sempre più velocemente.

Superarono l'altezza della Torre Eiffel, e allora Kishin si voltò. Si lasciò cadere verso Ladybug, che per colpa della spinta era lanciata con forza verso di lui, senza alcuna possibilità di spostarsi.

«Buon volo!» esclamò il ragazzo pallido, roteando la falce e colpendo l'eroina al petto. Ladybug sentì l'aria uscire dai polmoni quando il lato piatto della lama le schiacciò i polmoni. Precipitò nel vuoto, sentendo il vento fischiare vicino alle orecchie. In alto, Kishin si allontanava sempre di più fissandola con quel dannato sorriso.

«Ladybug!» Una mano le strinse il braccio, fermando la caduta. Chat Noir era salito fino a lei allungando il bastone e aggrappandosi alla punta. «Reggiti!»

Lei chiuse entrambe le mani attorno al braccio del compagno, guardando terrorizzata verso il basso. Il bastone oscillava in modo inquietante, piegandosi sotto l'altezza e il vento. Sembrava costantemente sul punto di cadere. «C-Chat, penso sia il caso di scendere.»

Lui annuì e accorciò il bastone. Per Ladybug sembrò di trovarsi su una di quelle giostre che ti lanciavano verso il basso. Non le piacevano, e non le piacque nemmeno quella situazione. Appena furono a una distanza sufficiente, Chat si fermò.

«Cerca di non urlare, my lady.»

«Che intendi? Cosa vuoi far-EEEEEEEEH!»

Il bastone si piegò in avanti, precipitando verso il la Torre Eiffel. Ladybug strillò, aggrappandosi al braccio di Chat e chiudendo gli occhi. Continuò a urlare per diversi secondi, anche quando si sentì presa in braccio.

«My lady, siamo al sicuro.»

Aprendo timorosamente un occhio, Ladybug notò che erano entrambi sulla cima della torre, e che Chat la stava reggendo come fosse una novella sposa. Arrossì, rendendosi conto di aver strillato come una ragazzina spaventata. Balzò giù dalle braccia del partner.

E come ovvio, si aggiunse il la beffa al danno. Gli orecchini suonarono, facendola sussultare. «Dannazione! Non mi resta molto tempo.»

Chat osservò Kishin con sguardo pensieroso. Il nemico si stava avvicinando alla loro posizione con una lentezza allarmante. «Dobbiamo distruggere la falce. Senza quella sarà disarmato. Tu nasconditi e recupera le energie. Io lo terrò a bada.»

«Va bene.»

«Ragazzi! Ehi ragazzi. Non sarete già stanchi, vero? Abbiamo appena cominciato a divertirci.» Kishin lanciò lo yoyo verso Ladybug, che lo afferrò al volo. «Mai abbandonare la propria arma, Miss Bug. O sarebbe meglio Lady Lady?»

«Vuoi il divertimento? Perché non te la prendi con uno della tua taglia?» disse Chat, correndo e usando il bastone come trampolo per saltare verso di lui.

«Frasi da eroe fatte e rifatte. Mio padre dovrebbe impegnarsi di più a scrivere» sospirò Kishin alzando l'occhio al cielo. 

Chat gli calò addosso, il bastone sopra la testa per colpirlo. Il ragazzo pallido alzò pigramente la falce, bloccando l'attacco con il manico. Tuttavia, l'agilità dell'eroe gatto lo lasciò sorpreso quando questi poggiò i piedi a terra e saltò all'indietro, dando un calcio alla falce e facendogliela volare via. L'arma atterrò sulla passerella con un suono metallico e cristallino.

Nello stesso istante, lo yoyo si avvolse attorno al petto di Kishin, legandogli le braccia e bloccandolo. Alle sue spalle, Ladybug si rivolse al partner. «Vai Chat! Lo tengo io!»

Chat annuì, scattando con velocità felina verso l'arma diabolica. «Cataclisma!» gridò con forza, e la mano destra si ricoprì di energia entropica verde e nera. Spiccò un salto e alzò la mano, pronto a toccare la falce e disintegrarla una volta per tutte.

 

Peccato che la falce stessa lo fermò.

 

Chat Noir rimase scioccato qualche secondo da ciò che si trovò davanti. La falce era mutata, illuminandosi di una luce bluastra e trasformandosi in una giovane ragazza dai lunghi capelli corvini, con occhi simili a zaffiri e dalla sclera azzurro pallido. Portava uno stretto abito blu scuro che si apriva in una gonna dal bordo frastagliato che arrivava alle ginocchia, legato alla vita da una cintura argentea. Lunghe bende nere le cingevano braccia e gambe, le prime fino al gomito, mentre le seconde avvolgevano anche i piedi.

Questa ragazza apparentemente fragile, dalle braccia sottili e la pelle pallida come Kishin, aveva fermato il suo attacco, stringendo la mano dietro il polso, evitando accuratamente di toccare l'energia entropica.

La strana ragazza gli sorrise, le labbra nere come il peccato. «E' questa la famosa magia dei Miraculous? Molto interessante.»

Una sfera di energia bluastra si accese nella mano libera della falce-umana, e colpì Chat al ventre. Un'esplosione di potere magico lo scagliò lontano per diversi metri, e purtroppo questo lo portò a toccare il pavimento con la mano. Il metallo si corrose, trasformandosi in pochi secondi in ruggine e svanendo in una nube rossastra.

La ragazza si avvicinò e osservò il buco di diversi metri che si era creato. «Incredibile. Davvero incredibile.» Si chinò, staccando una scheggia di metallo per metà corrosa ed esaminandola da vicino. I suoi strani occhi controllavano ogni minimo dettaglio.

Chat cercò di rialzarsi, ma un improvviso peso lo schiacciò contro il pavimento. Una grossa mano gocciolante sangue nero era spuntata dalla schiena di Kishin e bloccava l'eroe a terra.

«Raven, non è il momento adatto per studiare.»

Lei non lo guardò nemmeno, continuando ad esaminare il pezzo di metallo. «E' sempre il momento per studiare, fratello.»

Kishin ridacchiò leggermente.

«Ladybug?» chiese Raven, alzandosi finalmente in piedi. Chiuse il frammento in una bolla indaco, facendola svanire nel nulla con un gesto della mano.

Un secondo braccio sanguinante si spostò da dietro la schiena di Kishin, rivelando una Ladybug stretta tra i suoi artigli. La schiacciò a terra, vicino a Chat Noir.

«E' stato semplice.» Raven si avvicinò, chinandosi ed esaminando i due eroi con uno sguardo in parte interessato e in parte deluso. «Avevamo sentito tanto parlare di voi. E' un peccato che vi siate rivelati una sfida così semplice. Ci sarebbe piaciuto esaminarvi di più.» Parlò come se parlasse di cavie da laboratorio.

Quelle parole fecero infuriare i due eroi, che la fissarono con sguardi rabbiosi. «Tu brutta...» Chat non riuscì a finire la frase, poiché la mano lo schiacciò a terra con più forza, facendolo gemere di dolore. Sopra di lui, Kishin gli rivolse un'occhiata severa.

«Ah ah. Non si parla così alle signore.»

«Basta perdere tempo. Prendiamo i Miraculous e uccidiamoli» disse Raven.

Kishin annuì e si chinò, allungando la mano verso la testa di Ladybug. Le dita pallide e con le unghie tinte di nero sfiodarono gli orecchini, mentre Raven cominciò a sfilare l'anello dal dito di Chat Noir. Le mascherine sui loro volti cominciarono a dissolversi nell'aria.

«No...» mormorò Ladybug, non riuscendo a muoversi o lottare.

 

«Aspetta» disse Kishin, e allontanò la mano. Raven si fermò, voltandosi a guardare il fratello. «Che c'è?»

«Ho un'idea migliore.» Un sorriso sadico apparì sul viso del ragazzo, che si rivolse ai due eroi, avvicinandosi per guardarli dritti negli occhi. «Voglio proporvi una piccola sfida, miei cari "eroi". Vi lasceremo andare, vivi e vegeti, e vi terrete i vostri Miraculous. Per ora. Tra una settimana torneremo per affrontarvi, e al contrario di questa piccola scaramuccia, useremo tutta la nostra forza.»

Gli sguardi terrorizzati dei due eroi ampliarono il folle sorriso di Kishin.

«Quindi mi raccomando» con una mano schiaffeggiò leggermente il volto di Ladybug. «Migliorate, allenatevi e acquisite nuova forza. Voglio divertirmi prima di farvi a pezzi. Forse avrete perfino la misera possibilità di salvare questo patetico pianeta.» Si alzò e si voltò verso la sorella. «Andiamo.»

Raven sorrise e annuì. La sua pelle si illuminò di magia, e in un istante si ritrasformò in falce. Kishin la afferrò e salì sul bordo della passerella, restando in perfetto equilibrio sulla sbarra metallica. Si voltò a guardare i due eroi, rivolgendogli un sorriso e un gesto delle dita sulla fronte, per poi lasciarsi cadere all'indietro, svanendo oltre il bordo.

 

Con uno sforzo enorme, Ladybug si alzò. Era stanca, i muscoli le bruciavano e a malapena riusciva a camminare, ma doveva andarsene prima che scadesse il tempo. Dietro di lei, anche Chat si alzò.

«Dobbiamo fare qualcosa...» disse, respirando a fatica. «Non possiamo permettergli...»

«Lo so, ma non possiamo restare qui.» Gli orecchini e l'anello risuonarono. «Troveremo una soluzione.»

Chat Noir non sembrava convinto, ma annuì. «Come vuoi, my lady. Ci vediamo» disse, allungando il bastone e dandosi la spinta per un balzò, sparendo fra i tetti di Parigi. La mora lanciò lo yoyo e si dondolò verso casa sua.

 

 



 

Spero vi sia piaciuto questo capitolo.
Kishin: Siamo tornati!
Raven: Più forti che mai!
Eroi di Miraculous: Siamo fottuti.
-La Follia mi scorre nelle vene

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Capitolo 6
*** Sconfitta ***


Capitolo 5: Sconfitta



Ladybug atterrò con un tonfo sul tetto di casa sua. Appena in tempo, poiché la trasformazione era terminata nel momento esatto in cui aveva messo piede a terra. Gemendo dal dolore, strisciò verso la botola, mentre Tikki, che era uscita dagli orecchini, le volò attorno agitata, continuando a chiederle come stava.
Marinette la ignorò e aprì la botola con uno sforzo incredibile, lasciandosi cadere sul letto come un sacco di patate. Non ebbe nemmeno il tempo di aprire bocca che scivolò immediatamente nell'incoscienza.


Quando si svegliò, si sentiva molto meglio. Il dolore ai muscoli era svanito, e i lividi si erano notevolmente ridotti, apparendo solo come macchie di un rosa leggermente più scuro della pelle. Si meravigliò. «Ma come...»
«Mentre dormivi ti ho curata» disse Tikki, che fino a quel momento si stava riposando sul cuscino. Aveva un brutto alone scuro attorno agli occhi, e la voce ne tradiva la stanchezza. «Mi dispiace, ma non ho avuto abbastanza forze per curare tutto quanto.»
Marinette le accarezzò la testa con le dita, cosa che alla piccoletta piacque molto. «Tranquilla, hai fatto del tuo meglio.»
Un oscuro pensiero attraversò la mente di Marinette. Anche lei si era battuta al suo meglio, eppure non era bastato. Quei due mostri li avevano sconfitti con una facilità assurda, e se non avevano preso i Miraculous e condannato l'intero mondo era stato solo un caso, un colpo di fortuna.
Un terribile senso di colpa e impotenza assalì la giovane, che cominciò a immaginare le scene più orribili di ciò che quei due avrebbero potuto fare col potere dei Miraculous. Vide la sua città bruciare, coi palazzi distrutti e in rovina, tanto da renderli irriconoscibili. Per le strade erano sparsi i corpi morti e fatti a pezzi della sua famiglia, dei suoi amici e di tutti i parigini. E sopra tutto questo orrore, quell'inquietante ragazzo, Kishin, osservava dalla sommità di un palazzo, ridendo come un folle assieme alla sorella.
«Marinette? Marinette?» 
La giovane scosse il capo, notando che la piccola Kwami le stava sventolando la zampetta davanti agli occhi. «Stai bene?»
«Io...» Marinette stava per rispondere di si, che andava tutto bene e che era solo stanca. «No, non sto bene» rispose, assumendo un'espressione sofferente. «Quei mostri ci hanno sconfitti, Tikki. Se non abbiamo perso i nostri Miraculous è stato solo per caso.»
«Però abbiamo due settimane per aumentare la nostra forza. La prossima volta li affronteremo con gli altri portatori.»
«Non servirà a niente.» La mente di Marinette era avvolta dall'oscurità e dal terrore. «Io e Chat abbiamo affrontato decine di akumizzati, ma quei due mostri... non hannocombattuto davvero, hanno solo giocato con noi. Anche insieme agli altri non potremo sconfiggerli. Siamo spacciati.» La giovane si strinse le gambe con le braccia e nascose il volto tra le ginocchia.
Un'improvvisa tristezza avvolse Tikki. Il legame fra Kwami e Portatore era qualcosa che andava aldilà del semplice possesso. Più i due vivevano insieme, scambiandosi esperienze ed emozioni, e più il legame cresceva. E ora, per colpa di questo legame, Tikki sentiva le emozioni della sua amica. Paura. Tristezza. Colpa. Rabbia. 
«C'è un modo» disse infine.
Marinette alzò la testa, e la Kwami notò che i suoi occhi erano rossi, gonfi e lucidi. Alcune lacrime scorrevano lungo le guance. «C-Cosa?»
La bocca di Tikki si aprì per dire qualcosa, ma istantaneamente si chiuse. La Kwami si dimenava, come se stesse combattendo contro le sue stesse labbra che non volevano aprirsi. Alla fine sospirò, rassegnata. «Scusami, non posso parlartene come vorrei» disse infine, sconsolata. 
«Perché no? Se c'è un modo tu devi dirmelo!» 
«Non posso» rispose Tikki. «Un incantesimo impedisce a noi Kwami di parlarne. Solo il maestro può risponderti. Però credimi, un modo c'è, ma sarà pericoloso. Molto pericoloso.»
Marinette annuì in silenzio e guardò nel vuoto per qualche secondo, riflettendo. Poi la sua espressione si fece più dura, gli occhi accesi di una nuova fiamma. Chiuse le mani a pugno e si asciugò le lacrime con la manica, per poi rivolgere alla Kwami uno sguardo carico di una determinazione bruciante. 



Adrien Agreste uscì dal bagno, con un asciugamano legato attorno alla vita. L'acqua gocciolava dai capelli bagnati e dal corpo mezzo nudo, cadendo sul pavimento, ma a lui non interessava.
Dopo lo scontro con quei due strani individui, era tornato a casa sua, rientrando dalla finestra non visto. Si era subito ritrasformato, e ancora dolorante si era chiuso a fare un lungo bagno. Ne era uscito quasi due ore dopo, quando fuori una luna piena illuminava il cielo notturno di Parigi. Il suo corpo era ancora coperto di lividi rossastri, e una gamba gli faceva ancora male, ma fisicamente stava bene.
Era il suo spirito ad essere stato schiacciato e abbattuto. Oscuri pensieri tormentavano la sua mente, e il suo cuore era avvolto da un manto di colpa, fallimento e inadeguatezza. Non era la prima volta che perdeva uno scontro contro un nemico, ma a quei mostri erano bastati nemmeno cinque minuti per sconfiggerli, pestandoli come due sacchi da boxe.
Il giovane modello si lasciò cadere sul letto, la faccia schiacciata sul cuscino. Si sentiva come se stesse affondando in un profondo abisso nero, senza possibilità di uscita o salvezza. Non riusciva a sentire nulla, se non le buie emozioni di cui era preda.
Plagg aveva avuto una reazione molto diversa. Il piccolo Kwami iniziò a saltargli sulla testa, picchiandolo con le sue zampette minute. «Alzati! Non puoi poltrire!»
«Lasciami in pace Plagg» mugugnò Adrien, la voce in parte soffocata dal cuscino. 
«Non vorrai permettere a quella maledetta di passarla liscia, vero?» esclamò Plagg, e dal tono che usava si poteva capire che era infuriato. Spostando leggermente la testa per guardarlo, Adrien vide che il Kwami aveva un'espressione furente, e dal suo corpo nascevano piccole sfere nere, che svanivano dopo qualche istante.
«Non possiamo fare nulla» rispose il biondo con voce fredda, lo sguardo inespressivo. «Quei demoni sono troppo forti.»
«Non osare ripeterlo!» esclamò Plagg, e altre bolle nere si generarono dal suo corpo. Con la zampetta colpì il volto di Adrien, come una sorta di schiaffo più debole di una carezza. «Esiste un modo!»
L'attenzione di Adrien aumentò, e rivolse al Kwami uno sguardo incuriosito. Plagg tentò di parlare, ma la sua bocca era come bloccata contro la sua volontà. Alla fine lanciò un gridolino furente. «Dannato incantesimo! Mi impedisce di parlarne.»
«Che incantesimo?»
«Gli antichi monaci ci fecero un incantesimo per evitare che parlassimo di alcuni pericolosi segreti ai nostri Possessori» lamentò Plagg, digrignando i denti per la rabbia. Poi rivolse ad Adrien un sorriso feroce, gli occhi che brillavano luminosi. «So cosa fare. Credimi, gliela faremo pagare a quella dannata ragazzina!»


 


Mi scuso dell'immenso ritardo per questo capitolo.
Di recente sono invaso dagli impegni, ma prometto che cercherò di pubblicare più regolarmente.
-La follia mi scorre nelle vene

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Capitolo 7
*** Corvi e Farfalle danzano nelle tenebre ***


Capitolo 6: Corvi e Farfalle danzano nelle tenebre




Marinette raggiunse la casa del Maestro Fu poco prima di mezzogiorno. Vista la sconfitta di Ladybug e Chat Noir a opera di quei misteriosi e pericolosi individui, la città era in uno stato d'allarme. Il sindaco aveva intimato a tutti di restare chiusi in casa e aveva fatto chiudere le scuole.

I suoi genitori ovviamente non volevano che lei uscisse di casa, e aveva dovuto trasformarsi per poter andarsene, mentendo e dicendo che sarebbe rimasta in camera a studiare e di non disturbarla. Non le piaceva doverlo fare, ma sapeva che doveva trovare una soluzione. 
Entrò, annunciandosi. «Maestro?»

L'ometto comparì da una porta. «Benvenuta, Marinette» disse, unendo le mani e chinandosi leggermente in avanti con la schiena. La giovane fece lo stesso gesto. «Vieni. Ho preparato del tè.»

Marinette lo seguì. Su un tavolo basso e circolare c'erano una teiera fumante e tre tazze vuote. Il maestro si sedette e versò il tè in tutte e tre, spingendone una verso di lei. «Prego, siediti. Vi aspettavo»

Lei ubbidì, inginocchiandosi. Tikki uscì dalla sua borsa e si inchinò. «Salve maestro»

Lui le sorrise, chinando la testa e indicandole la terza tazza, alla quale stava bevendo anche Wayzz. I due Kwami si salutarono calorosamente e presero alcuni sorsi.

«Sapevate che sarei venuta?»

«Ieri mi trovavo casualmente vicino alla Torre Eiffel, e ho visto lo scontro con quei due esseri. Inoltre, Plagg è venuto a farmi visita ieri notte. Era così infuriato che avevo paura distruggesse mezza città.» Un lieve sorriso si accese sul volto del vecchio uomo, ma si spense quasi subito, e il suo sguardo si fece serio e preoccupato. «Tikki ti ha parlato del Rituale, non è vero?»

«Mi ha detto che mi avrebbe aiutato a sconfiggere quei due mostri, ma non mi ha detto altro. Di che si tratta?»

L'uomo sospirò. «E' qualcosa di molto pericoloso, Marinette. Sei sicura di volerlo sapere?

«Voi avete visto quei due all'opera. Ci hanno sconfitto con una facilità incredibile, e forse non hanno nemmeno usato la loro piena forza! Se non li sconfiggiamo... Parigi... Il mondo...» guardò in basso, cercando di non pensare a un così orribile futuro.

«Molto bene» Wang Fu annuì con sguardo teso. «Il Rituale è un antica cerimonia, con la quale i Portatori sbloccavano il vero potere dei propri Miraculous.»

«Il vero potere?»

«Marinette, tu conosci il mito di Tifone?»

Per un istante, la giovane non capì cosa intendesse. Poi si riprese. «Si, l'abbiamo studiato a scuola l'anno scorso.» Il mito narrava di come Gea, la madre terra, avesse generato Tifone, un essere gigantesco e mostruoso, per distruggere le divinità greche e, soprattutto, Zeus. La battaglia che ne risultò scolpì le terre, spianò le montagne e scavò mari, e terminò solo quando il Re degli Dei bloccò il mostro sotto una montagna, creando la Sicilia. «Ma cosa c'entra con questa storia?»

Wang Fu ridacchiò, passandosi la mano sul pizzetto. «Vedi, non è esattamente un mito. Zeus e Tifone furono due antichi portatori che avevano sbloccato il vero potere dei loro Miraculous, quello del Gallo e del Drago.»

Marinette restò ammutolita. Il mastro sorrise e continuò: «E non sono i soli. Le cinque bestie sacre della Cina, il pantheon egiziano, Quetzalcoatl, Oberon e Titania, Jormungandr e molti altri. Tutti erano grandi Portatori, alcuni buoni, altri malvagi, che nei secoli sono stati venerati e divinizzati dalle antiche popolazioni del mondo.»

«E di preciso quanto è forte un portatore col questo potere?» chiese lei, cercando di accettare quelle parole come verità.

«Questa domanda richiedere qualcuno con una conoscenza più diretta della mia» rispose il maestro, rivolgendo lo sguardo al Kwami della Tartaruga. «Wayzz?»

La piccola creaturina verde si voltò, annuì al compagno ed amico, si ripulì la bocca con la zampina e si rivolse a Marinette. «Moltissimi anni fa, fui affidato a un nobile  tedesco. Winhelm si chiamava, e comandava su un castello vicino alla Foresta Nera. Un regnante rivale lanciò un attacco, e pur di vincere scatenò le catapulte contro il castello, con l'obiettivo di raderlo al suolo e uccidere tutti al loro interno.»

«E che accadde?»

«Winhelm e io generammo uno scudo sopra tutto il castello» un lieve sorriso d'orgoglio apparì sul volto di Wayzz. «Resistemmo tre giorni a centinaia di pietre e massi finché un alleato non sconfisse il rivale.»

«Tre giorni!?» esclamò Marinette, sporgendosi in avanti e stringendo il bordo del tavolino con le mani. «E il limite di tempo?»

«Esiste solo perché i Kwami, nella loro forma indebolita, hanno accesso a nemmeno un decimo della loro reale potenza» rispose Wang Fu. «Quando si sblocca il vero potere, l'energia del Kwami e del Portatore diventano una cosa sola. Finché l'umano avrà la forza di combattere, la trasformazione continuerà.»

La giovane stilita si rimise a sedere, guardando la sua tazza con aria pensierosa. Un vortice di emozioni si agitavano nel suo animo, e lei non sapeva bene quale seguire. Nuova speranza, confusione, meraviglia, rabbia. «Perché non l'avete detto quando mi avete dato il Miraculous?» chiese infine, fissando il maestro con un misto di rabbia e confusione. «Con un simile potere, a quest'ora avremmo sconfitto Papillon da mesi!»

L'aveva detto con più furia di quanto volesse, ma tutte le complicazioni che aveva passato per colpa della sua seconda vita le ritornarono in mente, gettando benzina sul fuoco che le ribolliva nel petto. L'umiliazione subita il giorno prima non aiutava di certo.

«Calmati Marinette» disse Fu, la voce e lo sguardo perfettamente calmi e composti. «La rabbia avvelena le parole e i pensieri.»

Marinette gli rivolse uno sguardo stizzito, ma sapeva che aveva ragione, perciò prese un profondo respiro. Si sentì subito meglio, come se espirando avesse buttato fuori buona parte di quel fuoco. Eppure, le braci nel suo petto erano ancora calde, le ferite troppo recenti per svanire presto. 

«Vedi, non è così semplice come pensi, Marinette. Il Rituale è qualcosa di estremamente pericoloso, tenuto segreto a tutti gli iniziati. Solo quando il legame tra Kwami e Portatore era forte, gli Anziani concedevano questa informazione, e anche in questo caso i rischi erano alti.»
Marinette rimase in silenzio, ma la sua espressione tradiva le sue emozioni. 

«Il Rituale consiste nell'entrare in comunicazione con l'Essenza del Miraculous, la sua natura più profonda e pura. Solo quando l'anima del Portatore è una sola cosa col suo Kwami può usarne il pieno potere» si interruppe, e la sua espressione si fece triste. «Tuttavia, superare la prova non è facile. In molti hanno fallito, perdendo per sempre ogni connessione col loro Kwami e non potendo trasformarsi mai più. Non riuscivano più a vederli, e tenere in mano il proprio Miraculous per loro era come stringere un carbone ardente. Quelli che fallivano venivano espulsi dal Monastero, costretti da un incantesimo a non parlarne con nessuno.»

L'idea di perdere per sempre Tikki fu come una sberla sul viso per Marinette. «E' terribile...» D'istinto accarezzò la testa della Kwami, come per accertarsi che non sparisse di colpo. Lei strofinò la testa contro le sue dita. 

«E c'è di peggio» aggiunse il maestro. «La forma pura si basa totalmente sul rapporto tra Portatore e Kwami. Se questo legame viene sconvolto durante la trasformazione, il Portatore non può resistere alle energie del Miraculous e viene fatto a pezzi dall'interno dalle sue energie incontrollabili.»

Stavolta, più che una sberla, sembrava che qualcuno avesse colpito Marinette allo stomaco con un pugno di ferro. Una serie di immagini orribili che comprendevano lei e Chat Noir le passarono davanti agli occhi, immagini di loro due che esplodevano in mille pezzi dal potere dei rispettivi Miraculous.

«Non avevo intenzione di farti conoscere questo potere prima del tempo, ma hai ragione. Questi avversari sono troppo potenti, però devo chiedertelo: Anche conoscendo i rischi ai quali vai incontro, sei sicura di volerlo fare?»

Un terrore abissale strinse il cuore di Marinette, come se le zanne nere di un mostruoso ragno le penetrassero nell'anima e l'avvelenassero, rendendola debole e avvilita. Le sue mani cominciarono a tremare senza controllo, nonostante tentasse di tenerle ferme, e la sua mente era assalita di immagini oscure e pensieri ancora più spaventosi. 

All'improvviso, sentì un tocco delicato sulla guancia. Come risvegliandosi da una cecità improvvisa, vide Tikki davanti al suo viso, che la fissava dritta negli occhi con uno sguardo carico di determinazione, la stessa che aveva mostrato la sera precedente.

E nonostante il terrore e la paura, la minaccia di perdere i poteri o addirittura la vita, un fuoco le si accese nel petto. Non era più rabbia, ma qualcosa di più forte e puro, quella luce che dissolve le tenebre quando ogni cosa sembra perduta. Sorrise e accarezzò la testa della Kwami, mormorandole un grazie dal profondo del cuore, per poi rivolgersi al suo maestro. «Si, devo farlo. Farei qualsiasi cosa per proteggere Parigi e i suoi cittadini, sia da Papillon che da qualsiasi altra minaccia.»

Un piccolo sorriso si formò sul volto del maestro che si alzò. «Bene allora» esclamò, accarezzandosi il pizzetto con indice e pollice. «Ma è meglio che tu torni a casa ora. C'è il coprifuoco, e stanotte dovrai fare visita agli altri.»

«Gli altri?»

«Ovvio» rispose lui, sorridendo. Cliccando un pulsante segreto, dal giradischi fuoriuscì una scatola esagonale di legno nero e lucido, piena di scomparti chiusi e con uno strano disegno color cremisi sulla facciata superiore. «Poteri divini o meno, questa non è certo una sfida che potrai affrontare da sola.»






Alya sbadigliò in modo molto poco femminile, alzò le braccia e si stiracchiò la schiena e le spalle. Stava lavorando al blog da quasi due ore, e fuori la luna splendeva alta nel cielo. Era tempo di andare a letto. Sistemò le ultime cose e spense il pc. Si stese sul letto e si avvolse nelle coperte, chiudendo gli occhi e immaginando il suo amato sopra di lei. 

Prima che potesse immaginare altro, sentì cinque colpi contro il vetro. Aprì gli occhi, imbarazzata e spaventata, e si guardò attorno. Con sorpresa, vide Ladybug alla finestra. In mano reggeva qualcosa di arancione e bianco. 






All'interno di un appartamento anonimo, in un palazzo anonimo, due potenti e terribili entità stavano guardando la televisione.

Kishin era sdraiato sul divano, con una fetta di pizza nella mano destra. La sinistra invece avvolgeva la sorella, che se ne stava serena, la testa poggiata al braccio del fratello. Stavano guardando un horror-poliziesco, godendosi un raro momento di calma fraterna.

«Secondo me moriranno tutti» disse Kishin, dando un morso alla pizza.

«Per te moriranno tutti in ogni singolo programma.» 

«Non puoi dire che non renderebbe le cose più interessanti.» Kishin ridacchiò, mostrando le pericolose zanne da squalo. Un sorriso divertito si formò sulle labbra di lei. «Vero.»

All'improvviso Raven spalancò gli occhi e si alzò a sedere, guardandosi attorno, sentendo qualcosa. Kishin si mosse più lentamente, quasi con pigrizia. «Che hai sentito?»

Lei si voltò verso la finestra. «Sta arrivando qualcosa.»

Una decina di rovi neri, coperti di spine ricurve, spuntarono dalla schiena di Kishin, crescendo e allungandosi lungo tutta la stanza, le punte aguzze rivolte verso la finestra. Un sorriso feroce era stampato sul volto del ragazzo, pronto a qualsiasi cosa.

Dalla finestra entrò una farfalla.

I due erano sorpresi, ma non era un evento del tutto inaspettato. L'insetto era grande all'incirca quanto un palmo, con ampie ali nere, che splendevano di un'inquietante luce viola. La farfalla volteggiò sopra di loro alcuni secondi, muovendosi sinuosa tra i rovi di sangue nero, e scese verso di loro. Raven sollevò una mano, e appena essa si posò, un'ombra scura ricoprì il volto della strega, e una luce brillante color viola dalla forma stilizzata di una farfalla le apparì attorno agli occhi. Una voce risuonò nella sua testa.

«Salve Raven. Io sono Papillon.»

Lei rivolse un gesto silenzioso al fratello. Kishin poggiò la mano sulla sua spalla, e l'ombra e la luce viola apparirono anche sul suo volto. 
«Salve anche a te, Kishin. Ero davvero curioso di conoscervi.»

«Papillon, vero?» rispose Kishin, fissando la farfalla. «Abbiamo sentito molto parlare di te.»

«Cosa vuoi da noi?»

«Vi ho visti lottare contro Ladybug e Chat Noir. Siamo alleati in questo. Voglio proporvi un'alleanza per distruggerli una volta per tutte.»
Kishin sorrise divertito. «Hai fallito così tante volte che vuoi usare due sconosciuti appena arrivati, vero?»

Anche attraverso l'Akuma, i due sentirono chiaramente la rabbia dell'uomo, ma la sua voce non tradì alcuna emozione. Questo fece divertire Kishin ancora di più. «Purtroppo quei due si sono rivelati più forti di quanto mi aspettassi.»

«E cosa ci offri per questa alleanza?»

Entrambi avvertirono la sensazione di trionfo e vittoria. «Potere. Siete due umani incredibilmente forti.» Kishin ridacchiò alla parola "Umani". «Ma io posso aumentare i vostri poteri a livelli che non potete nemmeno immaginare. Grazie a me conquisterete il mondo senza alcun problema.»

«E tu cosa ne ricavi?»

«Voglio i Miraculous di Ladybug e Chat Noir. Solo questo.»

«Per il potere supremo, non è vero?» chiese Raven. «Perché? Cos'è che desidera il famoso Papillon tanto da giocare con le vite dei suoi innocenti concittadini?»

Stavolta i due sentirono chiaramente la tristezza, la malinconia e la rabbia. «Queste sono cose private che non vi riguardano, chiaro?» rispose con una nota furente, riacquistando subito la sua compostezza. «Sappiate che quando avrò ottenuto ciò che voglio, non vi darò alcun disturbo e potrete fare quello che vi pare coi Miraculous. Che ne dite?»

I due fratelli si scambiarono un lungo sguardo, ragionando e consultandosi nel silenzio totale. Un sorriso folle si accese sul volto di Kishin, e come uno specchio, anche Raven sorrise, anche se più gentilmente. Si rivolse alla farfalla e disse: «No.»

Sorpresa e confusione, unite a una rabbia crescente. «Come sarebbe no?»

«Significa che non ci serve il tuo potere, Papy» rispose Kishin, il sorriso che si allargava fino alle orecchie, strappando la pelle delle guance e rivelando la melma nera sotto di esse. «Non abbiamo bisogno del tuo aiuto. Abbiamo umiliato quei fastidiosi moscerini senza nemmeno usare un decimo del nostro potere, e quando arriverà il momento li uccideremo senza di te. Dopodiché uccideremo ogni singolo uomo, donna o bambino di questa patetica città.»

«E sappilo, caro Papillon» aggiunse Raven, con una voce tanto dolce quanto spietata e sadica. «Verremo a prendere anche il tuo Miraculous.»

Paura.

La strega chiuse le dita pallide e sottili sulla farfalla, e una fiamma zaffiro avvolse l'Akuma, che morì in un atroce grido di dolore.

Dolore.






Molto lontano, all'interno di Villa Agreste, Papillon cadde in ginocchio, urlando e reggendosi la testa. Il volto era contratto dal dolore, i denti stretti e le dita premute contro il cranio come se stesse per scoppiare.

Dolore.

Sentiva come migliaia di aghi roventi che gli perforavano la carne e le ossa ovunque, e gli sembrava che la testa fosse bloccata in una morsa di ferro.  Il legame con l'Akuma era stato reciso di netto, bruciato da quelle fiamme infernali. 

Per fortuna il dolore durò solo alcuni secondi. Si rialzò dolorante, tenendosi la testa con una mano. Il suo costume svanì in una nuvola violastra, e il suo Kwami gli volò vicino al volto.

«Maestro! State bene?» esclamò Nooroo, preoccupatissimo. Gabriel alzò una mano tra lui e il Kwami. «Si... sto bene..» rispose con voce dolorante. 

Nooroo si allontanò. Sapeva quanto il suo padrone detestasse mostrarsi debole davanti agli altri. «Credete che quei... mostri... parlassero sul serio?»

Per un istante, Nooroo pensò di aver visto della paura negli occhi di Gabriel, ma solo per un istante. L'attimo dopo il suo padrone aveva ripreso il suo caratteristico sguardo freddo, gelido come il ghiaccio. «Forse.» Attivò l'ascensore. «Vieni Nooroo.»

Il Kwami annuì timidamente, obbedendo. E mentre scendevano fino al suo studio, un pensiero assurdo si insinuò nella mente di Gabriel Agreste, che mai credeva di poter pensare una cosa del genere: Sperava che Ladybug e Chat Noir sconfiggessero quei due mostri.






Raven aprì la mano. Tutto ciò che restava dell'Akuma era una sorta di melma scura, che pulsava di luce violacea come un cuore morente. La strega-corvo fissò la gelatina per alcuni secondi, per poi portarla alla bocca. Quando la inghiottì, i suoi occhi brillarono come zaffiri e ametiste.

«La vedi?» chiese Kishin.

«Si» rispose lei, fissando l'aria. Una scia luminosa nera e viola si dipanava nell'aria, come un lungo serpente che dalla sua mano si attorcigliava lungo la stanza e usciva dalla finestra, verso il luogo da cui il suo maestro l'aveva mandata. «La vedo.»

La ragazza prese un lungo respiro col naso e chiuse gli occhi. Quando riaprì la bocca ne uscì un fumo nero e oleoso, che invase rapidamente una grande porzione della stanza. Dentro alla nuvola di tenebre decine di piccole luci color zaffiro si accesero, e con un suono di battere di ali, una ventina di grossi corvi neri emersero dal buio. Il loro cranio era ben in vista, pallido, come se qualcuno li avesse scorticati. Grosse zanne albergavano nel loro becco, e nelle orbite vuote brillavano piccoli fuochi fatui.  Tutti i "corvi" fissarono Raven, attendendo istruzioni.

«Andate!» ordinò, puntando il dito verso la finestra. Lo stormo si alzò in volo, gracchiando con versi mostruosi e uscì in una tempesta di piume nere.

Raven e Kishin li osservarono svanire nel buio della notte, sorridendo. 








 
Avrei dovuto pubblicare ieri ma alcuni impegni me l'hanno impedito. Chiedo scusa.
Oberon e Titania sono una piccola citazione a La Farfalla senza occhi, di Aliasor.
Andatevelo a leggere, perchè è Brv!
Spero vi piaccia ciò che scrivo.
Alla prossima
-La Follia mi scorre nelle vene

 

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Capitolo 8
*** Il Rituale ***


Capitolo 7: Il Rituale





«Fatemi capire bene» disse Queen Bee, massaggiandosi le tempie con la mano. «Voi state dicendo che per battere questi nuovi avversari dovremo superare un rituale e che se falliamo perderemo per sempre la possibilità di essere supereroi?»
Fu Chat Noir a rispondere. «Si.»
«Ma non è giusto!» la giovane figlia del sindaco sbatté il piede a terra, infuriata, tenendo i pugni chiusi sui fianchi. «Sono un supereroe da nemmeno tre mesi e devo rischiare di perdere tutto? Non è giusto! Non è giusto!»
Ladybug alzò gli occhi al cielo, o meglio, al soffitto arrugginito del capannone abbandonato dove si trovavano. Per quella speciale riunione aveva deciso un luogo nascosto, fuori città, in modo che nessuno potesse disturbarli, o peggio, rubare loro i Miraculous durante il Rituale. 
«Sono d'accordo con lei» esclamò Rena Rouge, lasciando i presenti stupiti, soprattutto Ladybug, che mai si sarebbe aspettata che Alya appoggiasse Chloé.
«Sia chiaro» aggiunse la rossa. «Non condivido i suoi motivi egoistici.»
«Egoistici?» Queen Bee le rivolse un'occhiataccia. L'altra la ignorò e continuò a parlare. 
«Però da una parte ha ragione. Non staremmo esagerando? E' vero che quei due mostri sono forti, ma forse insieme potremmo sconfiggerli senza dover rischiare la vita, non credete? In fondo abbiamo sconfitto più volte Papillon e Mayura.»
Chat Noir scosse la testa con aria afflitta. «Voi non li avete affrontati e non li conoscete. Non ci hanno semplicemente sconfitto, ci hanno umiliati e presi in giro fin dall'inizio, hanno giocato con noi come un gatto col topo.» Si accarezzò l'anello col dito, come per timore che potesse sparire di colpo. «Se non fosse stato per la voglia di lottare di quell'emo, avrebbero preso i nostri Miraculous e ci avrebbero uccisi, e chissà cosa sarebbe successo alla nostra città.»
«E se non superiamo il Rituale?» chiese Carapace, nemmeno lui troppo sicuro dell'idea. «Se perdiamo i nostri poteri come potremo difendere la città?»
«Lo vuoi capire che se non facciamo nulla non ci sarà più nessuna città da difendere?» esclamò con rabbia Chat Noir, rivolgendogli uno sguardo seccato. Ladybug guardò il compagno di una vita con preoccupazione. Non era nel carattere di Chat essere così serio e rabbioso.
«Ehi broh, calmati!» L'eroe della tartaruga alzò le braccia, mostrando i palmi. «Sono solo preoccupato. Non sappiamo nulla di ciò che affronteremo durante questo Rituale.»
«E secondo te noi due non lo siamo?» rispose Chat, facendo un gesto col braccio per includere anche Ladybug. Prima di chiamare gli altri avevano avuto una lunga chiacchierata a Notre-Dame, sopra una delle torri campanarie. Dopo avergli spiegato la situazione, il Rituale e i rischi che potevano correre, lui aveva risposto con un semplice "Se tu ci stai, io ci sto".
«Essere Chat Noir è stata la cosa migliore che mi sia capitata! Secondo te il pensiero di perdere tutto non mi preoccupa?» continuò l'eroe felino, e a quelle parole i tre eroi novizi abbassarono lo sguardo. Ladybug gli posò una mano sulla spalla, come a confortarlo. Si chiese che vita avesse avuto prima di diventare un supereroe, pensando anche a se stessa. Era davvero felice prima di diventare Ladybug?
Rena fu la prima ad alzare lo sguardo. «Mettiamo pure che superassimo questo Rituale, come sappiamo di non lasciarci la pelle dopo?» Puntò un dito accusatore verso Ladybug e Chat Noir. «Voi avete tenuto i vostri Kwami per quasi un anno e li avete tenuti con voi tutto il tempo. Di certo avrete già creato un profondo legame, ma noi no. Noi in tutto li abbiamo visti appena una dozzina di volte, e ognuna di essere era troppo corta per dire qualcosa in più oltre a un "ciao" e un "trasformami". Corriamo molti più rischi di voi. Non vi interessa se falliamo? Non vi interessano le nostre vite?»
Stavolta fu Ladybug a rispondere con rabbia. Scattò in avanti, afferrando Rena per il costume e fissandola negli occhi, i loro volti separati da dieci centimetri d'aria al massimo. «Certo che ci importa delle vostre vite, razza di imbecille!» Anche se non conosceva la sua identità segreta, il pensiero che Alya potesse davvero credere una cosa simile la rattristava. Trattenne le lacrime, e al suo posto lasciò uscire la rabbia «Non vorrei mai mettervi a rischio con un tare pericolo, ma questa è una situazione disperata, lo vuoi capire?»
Prima che la situazione degenerasse, una mano coperta di pelle nera si chiuse attorno al polso di Ladybug. Voltandosi, lei vide il volto di Chat che la fissava con uno sguardo serio. «My lady, calmati. Non aiuti così.» Nonostante il "my lady", il suo tono non aveva alcuna nota di divertimento.
Ladybug sospirò e lasciò andare l'amica. Le due tuttavia continuarono a fissarsi con astio, restando in silenzio. 
Fu Chat a riprendere la parola. «Ascoltatemi. Siamo una squadra, e non ci sono capi tra noi, perciò non vi obbligheremo a fare nulla. Siete liberi di lasciar perdere questa storia e andarvene.» Indicò la porta del magazzino, mezza arrugginita e mezza rotta. «Però sappiate che le vostre azioni avranno delle conseguenze che potrebbero essere terribili, per voi, per la squadra e per Parigi.»
Rena cercò lo sguardo di Carapace, e Carapace cercò lo sguardo di Rena. Restarono in silenzio, gli sguardi che tradivano l'ansia, la paura per il futuro, il terrore di una morte a dir poco violenta. Sapevano di essere davanti a un baratro nero e oscuro, e avevano paura di tuffarsi, non sapendo cosa avrebbero trovato sul fondo. Chi mai avrebbe avuto il coraggio di tentare un simile azzardo?
«Io ci sto.»
Ladybug spalancò gli occhi.
Chat Noir spalancò gli occhi.
Rena spalancò gli occhi.
Carapace spalancò gli occhi.
I quattro eroi rivolsero lo sguardo verso Queen Bee, le loro espressioni piene di stupore e confusione. Lei rispose con un sorrisetto e una risata maliziosa, aggiustandosi i capelli con un gesto della mano. «Se il mondo finisse, nessuno potrebbe più ammirare la mia grande bellezza.»
Un sorriso si accese sul volto di Ladybug. Forse era la prima volta che era davvero felice nel sentire una delle frasi narcisiste di Chloé.
«Il mondo dev'essere impazzito!» esclamò Carapace con un sorriso, mettendosi a ridere, forse per la felicità, forse per la disperazione, forse per entrambe. «Va bene allora. Facciamo questa follia!» E stavolta fu Chat a sorridere leggermente.
Gli sguardi dei presenti si spostarono su Rena, che manteneva ancora un'espressione insicura. «Non lo so ragazzi... »
Carapace le prese le mani e le chiuse tra le sue, si avvicinò e le sussurrò qualcosa all'orecchio. L'espressione di Rena cambiò, passando dallo stupito al commosso, e con le lacrime agli occhi abbracciò il supereroe della tartaruga, dandogli un bacio sulla guancia. 
«A quanto pare siamo tutti d'accordo» disse Chat, e sul suo volto emerse un ghigno feroce. «Prepariamoci.»







In mezzo al magazzino, sul pavimento di cemento pieno di crepe e muschio, erano stati sistemati cinque sacchi a pelo, ognuno di un diverso colore. Rosso, nero, verde, arancione e giallo. Erano stati disposti a forma di stella, attorno a una candela multicolore, grossa e alta come un braccio. 
«Questa cosa come ci aiuterà di preciso?» chiese Queen Bee.
«Questa candela è stata creata con una speciale cera, i cui ingredienti aiutano nella meditazione.» Ladybug girò la rotella dell'accendino, e sullo stoppino si accese una fiamma dai colori cangianti, verde, azzurra, rossa, dorata, nera e bianca. Un odore di vaniglia e papavero si diffuse immediatamente nell'aria. «Dovrebbe permetterci di entrare in contatto coi nostri Miraculous. Sediamoci.»
«Spero per te che questa cera magica non mi coli sui capelli, altrimenti dovrai affrontare qualcosa più pericoloso di quei due tizi» esclamò Queen Bee, sdraiandosi. Ladybug non riuscì a reprimere un sorriso a quella sorta di minaccia. 
Si sedettero tutti quanti, la testa vicina alla candela. «Ricordate, quello che affronterete sarà una specie di sogno, ma se verrete feriti sentirete dolore. Quindi fate attenzione» li avvertì Ladybug.
Tutti annuirono e chiusero gli occhi, lasciandosi cullare dal crepitio della fiamma, dal vento che filtrava dalle finestre rotte, dallo sbattere di ali nere e dallo zampettio di artigli ricurvi sulle travi arrugginite. 
I minuti passarono lentamente, e pareva che ogni secondo fosse lungo quanto un mese. Queen Bee non era mai stata una persona particolarmente paziente, nécon le persone, né col tempo, ma cercò di sopportare. 
E sopportò. Almeno per cinque minuti buoni. Poi con uno sbuffo seccato, esclamò: «Quanto ci vuole ancora? Non ho tutta la notte Ladybug!»
Non ci fu alcuna risposta.
«Ehi, ti sto parlando!» si alzò a sedere, aprì gli occhi e si voltò. «Ladyb...» si bloccò appena capì di non trovarsi più nel magazzino. 
Il pavimento di cemento polveroso e pieno di crepe era stato sostituito da bianche piastrelle di marmo, tanto lucide che ci si poteva specchiare. Era sdraiata al centro di una piccola piazza rotonda, accanto a una grande fontana dalla quale zampillavano getti di acqua cristallina che brillava come fosse fatta di diamante. Attorno a lei c'erano alti e rigogliosi cespugli coperti di rose dorate. Non dorate nel senso gialle, proprio fatte d'oro puro. In alto, anche il cielo aveva la sfumatura del biondo metallo, con nuvole che parevano fatte di gemme bianche. 
«Dove sono?» chiese al nulla.
«Benvenuta» rispose il nulla alle sue spalle.
Queen Bee scattò in piedi e si voltò, pronta ad affrontare qualsiasi minaccia. 
Davanti a lei c'era una strana ragazza che le sorrideva. La sua pelle era fatta d'oro puro, luccicante nella strana luce di quel luogo. Il viso era delicato e gentile, a forma di cuore, con corti capelli neri  a caschetto divisi da due righe orizzontali gialle. Gli occhi, molto grandi e obliqui, avevano la sclera del colore del cielo, nel quale erano immerse sottili iridi simili a oro ossidato. Sopra di essi, due antenne nere dondolavano leggermente a ogni movimento della testa.
«Chi sei tu?» chiese Queen Bee con sospetto. 
«Mi scuso della confusione, mia regina» rispose la strana ragazza, piegando un ginocchio e facendo un leggero inchino. Indossava un tipico abito da maggiordomo, camicia nera, pantaloni stretti neri, guanti neri e tacchi neri, con una spilla a forma di fiore dorato sul petto. «Normalmente non siete abituata a vedermi così.»
L'eroina bionda si avvicinò e le squadrò il viso, come per osservarla meglio. La rivelazione le si poteva leggere sul viso sorpreso. «Pollen? Sei tu?»
La Kwami umanoide le sorrise e annuì, piegando la testa in avanti. «Esattamente, mia regina. Questa è la nostra vera forma.»
«Nostra?»
All'improvviso, tre figure apparirono da dietro i cespugli. Erano identiche a Pollen, eccetto per il fatto che indossassero abiti da cameriera, non da maggiordomo. Le tre si avvicinarono a lei, raggruppandosi e facendo un profondo inchino, ripetendo in coro: «Benvenuta mia regina».
Queen Bee guardò la Pollen maggiordomo e le Pollen cameriere, spostando lo sguardo più volte dall'una alle altre. «Ma tu... loro...» 
«So che siete confusa, ma se volete seguirmi, vi spiegherò tutto.» Pollen maggiordomo si voltò e non disse altro, incamminandosi verso una delle strade tra i cespugli. Queen Bee la seguì, notando che dalla schiena le spuntavano un paio di ali insettoidi trasparenti. Le tre cameriere le seguirono, in totale silenzio. 
«Vedete, mia regina, ogni Miraculous rappresenta un aspetto dell'universo. Esattamente come le coccinelle rappresentano al creazione e il gatto nero la distruzione, le api rappresentano la regalità, il comando e la legge. Noi rappresentiamo quella parte dell'essere umano che cerca un controllo e una guida superiore.»
«Capisco» rispose Queen Bee. Ladybug le aveva già spiegato vagamente la natura dei Miraculous, ma lei era impegnata con qualcosa di molto più importante. Dopotutto le sue unghie non si smaltavano da sole. Sentire che il suo Miraculous fosse così importante però le piaceva. Peccato che Ladybug non parlasse così, altrimenti i suoi discorsi sarebbero stati più interessanti.
Si trovarono davanti a un cancello dorato, che si aprì da solo per permettere loro il passaggio. Una volta entrate, Queen Bee vide diverse statue di marmo ai lati della strada, ognuna che rappresentava una donna diversa dall'altra, anche se con costumi simili. Alcune erano orientali e portavano lunghi e bellissimi kimono, altre erano europee e indossavano con eleganza abiti vittoriani, con tanto di parrucca e ventaglio. C'erano anche donne azteche, indiane, africane, italiane, eschimesi e del medio oriente. C'era perfino una cowgirl.
«Chi sono?» chiese, anche se nella sua mente se n'era già fatta un'idea.
«Loro, mia regina, sono le antiche portatrici, coloro che in passato hanno posseduto il Miraculous dell'ape e hanno combattuto il male in tutto il mondo. Dalla prima all'ultima, ognuna ha ricevuto una statua in loro onore.»
Queen Bee aveva gli occhi brillanti di gioia. Il pensiero di avere una sua statua e di essere elogiata dalle portatrici future le faceva ballare le farfalle nello stomaco. O forse erano delle Akuma? O Tenshi?
Raggiunsero un secondo cancello dorato, e quando si aprì da solo, Queen Bee rimase a bocca aperta.
Davanti a se si apriva una grande piazza, al centro della quale si trovava una grande fontana di marmo dalla quale zampillava oro liquido. Al centro di essa si ergeva un'alta statua di tre metri, una donna dorata, nobile e bellissima. Indossava un antico abito egiziano con tanto di corona, e nelle mani reggeva un lungo bastone che terminava con un uncino e un Ankh, con un'ape incastonata nel buco superiore. Sciami di api dorate le sciamavano attorno ai piedi, in un vortice di devozione scolpito nel biondo metallo.
Pollen notò l'espressione stupefatta di Queen Bee. «Bellissima, non è vero? Lei è Cleopatra, la prima umana che usò il nostro Miraculous.»
L'eroina per poco non si strozzò con la sua saliva. «C-Cleopatra? Quella Cleopatra?»
La Kwami annuì. «L'ultima regina dell'Antico Egitto, prima Portatrice del Miraculous dell'ape, moglie di Cesare e amante di Marco Antonio, la donna più bella dei tempi antichi.» Pollen sembrò sospirare, un sorriso triste sul volto. «Furono grandi giorni quelli.»
Queen Bee era senza parole. La regina Cleopatra era sempre stata una delle poche persone che davvero ammirasse più di se stessa. Amava la sua storia, il suo regno, il suo rapporto con Cesare e Marco Antonio. Il solo pensiero avessero qualcosa in comune, anche solo il possesso del Miraculous dell'ape, la faceva esplodere dalla gioia.
Era così meravigliata che le ci vollero alcuni secondi prima che vedesse l'immenso palazzo alle spalle della statua. 
Era enorme, coprendo l'orizzonte da destra a sinistra fin dove occhio poteva vedere. Era bellissimo, con mura di marmo bianchissimo e finestre che splendevano come diamanti, circondate da rinforzi d'oro. Un'ampia scalinata coperta da un tappeto nero e giallo conduceva al grande portone di legno.
Queen Bee aveva più volte visitato il famoso Palazzo di Versailles, andando in vacanza con i suoi genitori, quelle rare volte che stavano insieme, e ogni volta pensava che fosse l'edificio più bello mai creato dall'uomo. Ora, davanti a quel magnifico quadro di marmo, diamante e oro, le sembrò che Versailles fosse solo una brutta copia.
Pollen la condusse su per le scale, fino al grande portone di legno. I battenti d'oro erano scolpiti a forma di ape stilizzata. Senza alcun ordine, le porte si aprirono verso l'interno, senza emettere un cigolio. 
L'interno era fatto dello stesso marmo bianco, con le pareti piene di quadri e colonne coperte di piante dalle foglie d'oro, e con la volta a raggiera del soffitto dai sostegni dorati. Camminarono prima in un anticamera e poi in un lungo corridoio, senza incontrare anima viva. Continuarono così per un tempo che pareva infinito, finché non raggiunsero un portone identico al precedente, ma questo era fatto completamente d'oro, col simbolo dell'ape inciso su di esso.
Stavolta, quando le porte si aprirono, furono accolte da un'esplosione di voci gioiose. Decine, no, centinaia di Pollen erano radunate davanti a lei, i loro volti illuminati della gioia più pura. Si trovavano in una grande sala di marmo e oro, con forme esagonali incise sulle pareti, simili a celle di un alveare. Un gigantesco lampadario di oro e cristallo pendeva dal soffitto, le braccia metalliche piene di smeraldi, rubini, zaffiri e diamanti così splendenti che ferivano la vista. 
Pollen condusse l'eroina fino al centro della stanza, passando tra le servitrici che ripetevano con un sorriso "mia signora, mia signora". Là, circondato da un fiume d'oro liquido, sopra un piano rialzato, sorgeva il trono. Era alto e bellissimo, lo schienale costruito a forma di addome d'ape, con due ampie ali fatte di cristallo multicolore, le venature in oro. Dei fiori dorati sbocciavano alla base del trono.
La Kwami la condusse fino al fino al fiume, oltre il ponte e sulla scalinata. Poi, voltandosi, puntò la mano aperta verso il posto vuoto. «Prego, sedetevi.»
Queen Bee spalancò gli occhi, sorpresa e confusa. «C-Cosa?»
«Certo, mia regina» rispose Pollen con cortesia. «Siete la Portatrice, e la Portatrice è sempre stata la nostra regina. Il trono è vostro.»
La giovane ragazza rimase immobile qualche secondo, non sapendo cosa dire, non sapendo cosa fare. Stava davvero succedendo? Lentamente si mosse, salendo uno dopo l'altro i gradini. Si sedette con estrema lentezza, e quando posò le mani sui bracciali un cerchio di luce purissima si accese attorno alla sua testa, brillante come un sole in miniatura.
Pollen le sorrise e si voltò, spalancando le braccia e alzando la voce. «Lunga vita alla regina.»
«Lunga vita alla regina!» risposero le servitrici, urlando e saltando, ronzando e festeggiando.





Un soffio di vento gli accarezzò il volto. Quando riaprì gli occhi, Carapace si trovò sotto un cielo verdognolo, profondo e pieno di nuvole pallide. Alzandosi a sedere, si guardò attorno. Un'immensa distesa di montagne lo circondava, infinite, le punte grigie e spoglie che emergevano da un oceano di nebbia come scogli nel mare. Solo quando si alzò notò con orrore di trovarsi sulla punta di una di esse, fin troppo vicino a un profondo precipizio. 
«Per fortuna non soffro di vertigini» mormorò, cercando di stare al centro del piccolo piazzale roccioso. «Almeno spero.»
Si guardò attorno, in cerca di qualche indizio sulla prova che avrebbe dovuto affrontare. Non trovò nulla, eccetto una lunga scala che scendeva in basso, i gradini sconnessi scavati direttamente nella pietra. 
«Non c'è un altro modo, vero?» chiese al nulla. Il nulla non rispose. 
«Oh beh.» Alzò le mani e si incamminò, facendo attenzione a dove metteva i piedi.




Il silenzio era come assordante. Non una mosca si muoveva, nemmeno un alito di vento. Poi un rumore spezzò quell'incantesimo. Era un suono lieve, un rametto che si spezza, eppure pareva avere la potenza di un tuono che squarcia la tempesta. 
Rena Rouge si alzò di colpo. Attorno a lei, nascosti in una pallida nebbia, si innalzavano decine di alberi scuri e sottili, alti fino all'infinito. Il terreno sotto di lei era grigio come cenere. 
«Chi c'è?» chiese ad alta voce.
Nessuno rispose, ma un'ombra nera emerse dalla nebbia. Era alta e snella, troppo lontana per darle una forma precisa, ma Rena poteva vederne chiaramente gli occhi brillare nel buio, braceri ardenti color del sangue. 
«Chi sei?» chiese Rena, piegando le gambe e mettendosi in posa d'attacco, pronta per qualsiasi cosa. 
La figura non rispose. Si limitò a voltarsi e svanire nella nebbia.
«Ehi! Aspetta!» esclamò la rossa, correndole dietro.





Ladybug riaprì gli occhi, osservando un cielo cremisi dalle nuvole rosa chiaro. Quando si rialzò, notò che stava andando a fuoco.
«Al fuoco!» urlò, cominciando a rotolare e battendosi le mani sul corpo per spegnere le fiamme. Solo dopo diversi e imbarazzanti secondi si accorse che non stava bruciando. 
Si trovava in un campo di strani fiori dorati, fatti di fiamme pure che nascevano da steli neri, come strane candele. Al tocco non bruciavano, anzi, trasmettevano una piacevole sensazione di calore e benessere. Appurato che non c'erano pericoli immediati, Ladybug si guardò attorno. Ovunque, quei fiori di fuoco coprivano il terreno a perdita d'occhio. L'unica eccezione era una gigantesca torre di pietra bianca, lontana, che si innalzava all'infinito, svanendo oltre le nuvole più alte.
«Non è uno spettacolo che si vede ogni giorno.»
«Vero, Chat» rispose lei. Dopo qualche secondo, si voltò, trovandosi faccia a faccia il viso del compagno felino. «Chat!? Che ci fai qui?»
Lui alzò le spalle. «Non ne ho idea. Pensavo tu lo sapessi.»
Una serie di dubbi si instaurarono nella mente della supereroina. Aveva forse sbagliato qualcosa? Forse aveva confuso le parole del maestro, oppure aveva svolto male il Rituale. E se per colpa sua lei e Chat avessero perso i loro Miraculous?
Prima che potesse affondare ancora di più nel proprio tormento, una mano le toccò la spalla. «Scusa se ti interrompo, ma credo che abbiamo un problema urgente» disse Chat, alzando un dito artigliato. Da quella direzione si stava avvicinando un gigantesco nuvolone nero, sotto al quale danzavano fulmini smeraldini. I fiori all'ombra della tempesta si spegnevano, e l'oscurità si avvicinava pericolosamente, strisciando letale verso di loro. 
«Credo sia il caso di andarsene, e alla svelta.» Chat Noir si mise a correre verso la torre, seguito a ruota da Ladybug.




In una stanza buia, al centro di un cerchio di candele illuminate da fiamme azzurre unite da un simbolo magico sul terreno, stava seduta Raven. Un grande specchio d'argento fluttuava davanti a lei, e sulla sua superficie osservava con grande interesse una scena molto curiosa: Cinque supereroi sdraiati a terra, attorno a una candela dal grande potere magico. I loro Miraculous brillavano come stelle colorate.
Le labbra di Raven si piegarono in un sorriso.








 
Qui sotto abbiamo un bellissimo disegno di Pollen fatto dal mio amico Cladzky.
Leggete le sue storie perché è bravo.
Cladzky Wattpad:https://www.wattpad.com/user/SakiBron
E vi consiglio vivamente di seguire anche Aliasor. Scrive benissimo e fa belle immagini su Instagram.
Aliasor Efp: https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=1105035

E ovviamente vi consiglio anche il mio canale Instagram:
TheManiae Instagram: https://www.instagram.com/themaniae/?hl=it



-La Follia mi scorre nelle vene

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Capitolo 9
*** Lunga vita alla Regina ***


Capitolo 8: Lunga vita alla Regina

 

Queen Bee si stava davvero godendo quel viaggio mentale.

Era seduta di traverso sul trono, con le gambe stese sopra il bracciolo e un cuscino di velluto dietro la schiena. Attorno a leile servitrici si muovevano in lungo e in largo, volando in giro e obbedendo a ogni suo ordine e più piccolo capriccio. Poco prima aveva mandato una di loro a prendergli un caffè.

Pollen si avvicinò e si chinò in avanti. «Mia regina, è tempo che cominciate la vostra prova.»

«Devo proprio?» sbuffò, arrendendosi poco dopo. «Va bene. Che devo fare?»

«In realtà è molto semplice. Dovrete solo dimostrare di essere una grande regina, comprendendo il potere e la natura del Miraculous dell'Ape.»

«Nulla di troppo difficile. Sono sempre stata una grande leader. Il mio papino lo dice sempre» rispose carica d'orgoglio.

Pollen annuì e si voltò. Una cameriera si stava avvicinando, con un vassoio d'argento su cui c'erano una tazza di caffè e alcuni biscotti. Purtroppo, mentre stava salendo le scale, inciampò con un grido. Queen Bee strillò quando si ritrovò coperta di liquido bollente.

«Stupida imbranata! Impara a camminare!» esclamò cercando di togliersi il caffè di dosso. «I miei capelli! Ci vorranno ore per pulirli!»

«S-Scusatemi» disse la cameriera, inginocchiandosi e tremando come una foglia.

«Mia regina, non potete lasciarla impunita. Si merita una giusta punizione.» Uno strano sorriso apparì sul volto di Pollen.

«N-No, la prego» la cameriera si inchinò più in basso che poteva, premendo la fronte contro il pavimento bagnato. «La prego mia regina.»

«Guardie, prendete questa inetta» ordinò Pollen. Due sue simili, rivestite in armature dorate e armate con alabarde dalla forma elegante, atterrarono ai lati della cameriera, afferrandola per le braccia e forzandola a stare in piedi.

«Datele la punizione che merita.» Queen Bee mosse la mano con un gesto di disinteresse totale, continuando a tentare di pulirsi i capelli. «E portatemi una spazzola e un asciugamano.»

«Portatela fuori e tagliatele la testa. E portate ciò che la regina ha chiesto.»

La cameriera impallidì, e i suoi occhi si fecero lucidi e spaventati. Tentò di divincolarsi dalla presa delle guardie. «Vi prego no! Giuro che non succederà più! Non voglio morire, vi prego!»

Continuò a urlare, mentre le sue simili in armatura la portavano via. Queen Bee rimase senza parole, totalmente incredula. Solo dopo diversi secondi pieni di tensione e urla, riuscì a parlare. «Fermi!» Si voltò verso Pollen. «Ho detto di punirla, non di ucciderla.»

Lei alzò un sopracciglio. «Ma mia regina, questa incompetente vi ha offeso.»

«Un'offesa non merita di certo la morte!» Come poteva dire una cosa simile? Soprattutto nei riguardi di una sua simile.

Lo sguardo della Kwami divenne un cipiglio seccatto. «Una brava regina dovrebbe pretendere il rispetto dei suoi sudditi e far decapitare quelli che disobbediscono.»

Gli occhi di Queen Bee divennero due schegge di ghiaccio brillanti quando si posarono su quelli di Pollen. La sua espressione era seria, la più seria che avesse mai avuto fino a quel momento in tutta la sua. Guardò la cameriera in lacrime, ancora terrorizzata e tremante, che la fissava con una lieve speranza nelle iridi dorate. Tornò a guardare Pollen. «Sono io la regina. Decido io come una regina si deve comportare coi sudditi, e sotto il mio regno certe cose da ora in poi saranno vietate. Chiaro?»

Sotto lo sguardo sorpreso dell'assistente e delle guardie, la regina discese la scalinata e superò il ponte. «Lasciatela andare» comandò, e le guardie obbedirono all'istante. La afferrò prima che cadesse a terra, sorreggendola con un braccio sotto alla spalla.

«Grazie...» piagnucolò tra le lacrime, rivolgendole un sorriso di gratitudine. «Grazie mia regina...»

Nel suo cuore, Queen Bee si sentì stranamente bene.

«Stupida.»

La voce che aveva parlato era gelida, metallica. Voltandosi, Queen Bee vide Pollen in piedi davanti al trono. Una nebbia nera le incoronava la testa, brillando di una luce rossa proprio sulla fronte. La sclera degli occhi si era fatta nera e l'iride si era come ingrossata, facendoli apparire come due eclissi nel mezzo dell'oscurità più pura.

«Non siete stata capace di essere la nostra regina. A questo punto prenderò IO il comando!»

Dalla sua testa, la nebbia la avvolse completamente, attaccandosi a lei come una seconda pelle. Da essa nacque una corazza chitinosa scura, simile a oro bruciato e annerito. Sulla testa si era creata un elmo dalla forma insettoide, con tre grossi rubini come occhi e quattro tenaglie affilate attorno alla bocca. Le ali sulla schiena si spalancarono, contorte e affilate, piene di buchi e brillanti di una malaticcia luce verdognola. Infine, la sua ombra divenne come liquida e cominciò a ribollire, e un lungo bastone nero emerse dalla pozza. Pollen lo afferrò e lo sollevò una mano sola, rivelando che si trattava del manico di una gigantesca ascia bipenne, le lame grosse quanto un torace umano. Nonostante le dimensioni mostruose, maneggiava il letale strumento con una facilità impossibile, roteandolo in aria prima di puntarlo verso Queen Bee. «E lo farò tagliandovi la testa!»

Prima che la ragazza potesse dire o fare qualsiasi cosa, Pollen scattò. Mosse l'ascia per colpirla di lato, ma lei spinse via la cameriera e rotolò, evitando l'attacco per un soffio. Riuscì perfino a sentire la lama che le tranciava la punta dei capelli.

«Stai ferma. Ti prometto che sarò veloce e indolore!» Pollen alzò l'ascia e la mosse in orizzontale. L'eroina la schivò piegandosi all'indietro, come Matrix, scattando poi in avanti per colpire la rivale con un pugno al volto. O almeno, l'avrebbe colpita se lei non l'avesse fermata con una mano.

«Osi colpire la tua regina?» La Kwami strinse la presa, e Queen Bee lanciò un grido, cadendo in ginocchio. Sentiva le ossa della mano sul punto di rompersi. «Guardie! Aiutatemi!»

Pollen rise di gusto. «Non ti obbediscono più, Chloé Bourgeois. Loro sono mie, per sempre!»

La nebbia oscura si radunò attorno ai suoi piedi, vorticandole attorno e aumentando sempre di più. Esplose con forza e si diffuse ovunque, ricoprendo ogni centimetro della stanza. L'oro delle pareti arrugginì e divenne nero e contorto, con volti di insetti mostruosi che emergevano da esso. Dalle bocche di quei mostri fuoriuscirono centinaia di pinze rotonde legate a delle catene, che si chiusero attorno al collo di tutte le servitrici e le guardie all'interno del salone. Gridarono e lottarono, stringendo i collari per rimuoverli, ma senza alcun risultato.

«Lasciale stare!» esclamò Queen Bee. Sfruttando l'agilità del Miraculous, balzò al di sopra dell'ascia, colpendo la rivale con una ginocchiata in faccia. Pollen si sbilanciò, perdendo la presa. Liberatasi, la bionda balzò rapidamente all'indietro e tirò fuori la sua trottola, roteandola in un cerchio luminoso.

La Kwami la fissò con rabbia, e l'oscurità crebbe attorno ai suoi occhi. «Pianterò la tua testa su una picca!» La sua voce era carica di rabbia, disprezzo, odio. Alzò la mano verso la rivale, e dal suo palmo fuoriuscirono una decina di catene che si scagliarono verso di lei, i ganci metallici che mordevano l'aria come serpenti affamati.

La bionda balzò all'indietro, evitando il primo attacco delle catene, che si schiantarono contro il pavimento, distruggendo la pietra come se fosse vetro. Dopo qualche attimo di apparente calma, tornarono all'attacco, uscendo dalla nube di polvere che avevano creato e allungandosi attorno a Queen Bee, circondandola e scagliandosi contro di lei da ogni direzione.

Riuscì a evitare i primi tre attacchi, ma un quarto la colpì alla schiena, togliendole il respiro e probabilmente rompendole qualcosa. Bastò quel piccolo attimo di distrazione, e tutte le altre catene la raggiunsero. Una catena le sfondò il petto, scagliandola con forza verso una sua simile, che la ferì a un fianco e, nuovamente la lanciò verso un'altra catena. Questa sorta di pin-pong del dolore andò avanti per diversi secondi, che per Queen Bee parvero delle ore. Voleva urlare, ma ogni colpo le mozzava il fiato.

L'ultimo attacco la scagliò a terra, generando un piccolo cratere nel pavimento attorno a lei, ma le catene non avevano ancora finito. Venne afferrata per una gamba e alzata in aria, per poi essere sbattuta con forza contro la parete metallica. E questo successe ancora, e ancora, e ancora, finché il pavimento e le pareti non si coprirono di schizzi di sangue.

Dopo quasi un minuto, l'attacco, o meglio, il massacro senza pietà, si fermò. Pollen si avvicinò alla ex regina, che pendeva inerme a testa in giù. Del sangue colava dalla bocca e dal naso, scivolando lungo il volto e i capelli, tingendo l'oro di cremisi. Il suo costume era strappato in più punti, e ovunque la pelle visibile appariva piena di lividi violacei.

«Povera Chloé Bourgeois. Ladybug ha fatto un grosso errore a darti il mio Miraculous.» La catena si sollevò di colpo e si staccò dalla gamba dell'eroina, che fu lanciata verso l'alto. Stava per toccare il suolo, quando Pollen la colpì con il lato piatto dell'ascia a mo' di mazza da baseball, scagliandola lontano. Queen Bee sbattè e rotolò sul pavimento per diversi metri. Tentò di rialzarsi, ma tutti i suoi muscoli sembravano bruciare, e a malapena riusciva a respirare. Sentiva il sapore ferroro del sangue in bocca, e la sua vista era coperta da un velo rosso e puntini neri.

Pollen si avvicinò, con un sorriso crudele sul volto, e poggiò lo stivale corazzato sulla sua spalla. Queen Bee gridò di dolore, mentre sentiva l'osso sotto la carne che si veniva schiacciato e che sembrava sul punto di rompersi.

«Patetica e debole. Sei la Portatrice più inetta che io abbia mai avuto, e ne ho avute tante.» Queen Bee non sapeva se a fare più male fosse la spalla schiacciata o le parole affilate come lame.

«Lasciala stare!»

Pollen si voltò, e Queen Bee alzò lo sguardo. A parlare era stata la giovane cameriera da cui era cominciato tutto, che ora stava in piedi, sfidando la Kwami oscura con lo sguardo. Stranamente era l'unica a non essere bloccata da catene e collari.

«Molto bene.» Pollen tolse il piede dalla spalla e si girò verso la sua simile, puntandole contro l'ascia. «Prima faccio fuori te.»

La Kwami scattò in avanti, gridando di gioia sanguinaria, l'arma in alto, pronta a uccidere. La cameriera gridò e cadde all'indietro dallo spavento, coprendosi il volto con le braccia come se tale gesto potesse difenderla.

Ma il colpo non arrivò.

Pollen tentava di calare l'ascia, ma qualcosa glielo impediva. Guardando in alto, vide che la trottola di Queen Bee era legata attorno al manico. L'eroina la stava trattenendo, impedendole di colpire la povera subordinata.

«Lasciami!» esclamò lei, tirando con forza per calare l'arma, ma lei, nonostante fosse ferita, stanca e sanguinante, non mollò la presa. Anzi, con una forza che nemmeno lei riusciva a capire dove provenisse, diede un forte strattone. L'ascia fu scagliata verso l'alto, colpendo il lampadario, il cui oro era annerito e i diamanti erano diventati rosso sangue, e il gancio che lo sorreggeva.

Per un istante, l'unico suono fu quello del metallo che gemeva e si deformava. Poi il lampadario cadde. La cameriera riuscì ad allontanarsi prima che colpisse il pavimento, ma Pollen non fu così veloce, finendo schiacciata.

Senza perdere tempo, la servitrice corse da Queen Bee, aiutandola a rialzarsi. «Mia regina! State bene?»

«No...» La bionda a malapena riusciva a restare in piedi, aggrappandosi disperatamente alla servitrice. «Dobbiamo...»

Un suono cristallino la interruppe, e le parole le morirono in gola. La nube di polvere che si era creata dalla caduta del lampadario si dissipò, e i resti d'oro bruciato e diamante si mossero. Un'improvvisa esplosione scagliò i pezzi ovunque, mentre una figura enorme e terribile si innalzava dai resti, ergendosi sopra le due per parecchi metri. Era completamente nera, coperta scaglie metalliche e colante oro bruciato da grossi buchi nel petto e nei molti arti. I grossi artigli di ferro delle quattro braccia si strinsero al terreno e alla parete, e il volto insettoide e deforme, pieno di tenaglie e occhi rossi e vuoti, puntava verso di loro. Una corona d'oscurità pura le circondava la testa, dalla quale spuntavano diverse antenne che fremevano rabbiose.

«IO SONO LA REGINA DI QUESTO MONDO! MORITE! MORITE! MORITE!!!» urlò Pollen, o qualunque altra cosa fosse quell'essere, e si tuffò sulle due. Dal suo corpo si crearono centinaia di braccia artigliate, chele, zampe e bocche e tutte puntavano su di loro.

Queen Bee si mise davanti alla cameriera e chiuse gli occhi, attendendo il dolore e la fine. Il terrore la paralizzava, e ogni secondo d'attesa pareva essere infinito.

Non arrivò nessun colpo, e da dietro gli occhi chiusi riuscì a intravedere una luce. Ne aprì lentamente uno, timorosa, ma appena comprese cosa aveva davanti, rimase a bocca aperta.

Pollen si era trasformata nuovamente. Il mostro era svanito, lasciando il posto a una figura che poteva essere definita solo in un modo: Divina. Un abito bianco le copriva il corpo snello, danzando leggiadro in un vento inesistente. Quattro sottili ali d'insetto azzurre si aprivano alle sue spalle, brillanti come diamanti illuminati dalle stelle. Il suo viso ora era gentile e bellissimo, e sulla sua testa brillava una corona fatta di luce purissima.

«Ma che...» Queen Bee non riusciva a capire. Guardandosi attorno, vide che tutta l'oscurità della sala si era dissolta, e tutte le serve e le guardie erano di nuovo libere. Anzi, sembrava quasi che tutto fosse ancora più luminoso e splendente di prima.

Pollen le sorrise. «Hai dimostrato cosa significa davvero regnare. Hai rischiato la tua vita per proteggerla. Un vero capo non è il più forte, non è quello che si impone sugli altri, ma chi protegge il suo popolo mettendosi in prima linea.» Le offrì una mano per rialzarsi, e appena la toccò, Queen Bee si sentì subito meglio. Una luce dorata dalle dita di Pollen avvolse il suo corpo, guarendo le sue ferite.

«Non potevi dirmelo a parole, vero? Dovevi necessariamente prendermi a botte.» Nonostante la guarigione, l'eroina sentiva ancora il dolore, i lividi e le ossa rotte di pochi secondi prima, e rivolse un'occhiata carica di rabbia verso la Kwami.

«Mi scuso per avervi ferito, mia regina, ma per comprendere l'animo di una persona le parole non bastano. Non conta come un Portatore vive, ma da come muore.» Detto questo, Pollen si tolse la corona di luce. Nelle sue mani, il cerchio luminoso emetteva un caleidoscopio di colori. Tutte le sue simili si avvicinarono, circondando le due.

«Mia regina» disse, allzando la corona sopra la testa di Queen Bee e ve la poggiò sopra. Attorno a capo, la giovane eroina sentì una piacevole sensazione di benessere. Pollen si inginocchiò «Siamo onorate di essere tue servitrici.»

Tutte le altre si inchinarono. «Lunga vita alla regina.»

Una luce accecante invase la vista di Queen Bee. L'ultima cosa che vide fu Pollen, che le sorrideva fiduciosa. «Lunga vita alla regina.»


 

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-La Follia mi scorre nelle vene

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Capitolo 10
*** Meditazione ***


Capitolo 9: Meditazione



Nino scese lungo la scalinata di pietra, non senza parecchia ansia. A ogni passo cercava di non guardare verso il basso, nell'abisso di roccia sottostante.

«Chi diamine ha pensato a una prova in un posto del genere?» mormorò, mentre scendeva un gradino particolarmente stretto, tenendo la mano sul muro. Come a volergli rispondere, il gradino si staccò dalla parete.

Nino lanciò un grido e si aggrappò agli scalini, restando a penzoloni con le gambe. Lo scalino traditore precipitò per un numero apparentemente infinito di metri, schiantandosi infine sulle rocce sottostanti e frantumandosi in tanti piccoli pezzi. La paura di finire come quel pezzo di pietra diede la forza al giovane di sollevarsi e continuare a scendere, stavolta misurando attentamente ogni passo.

Dopo quelle che parvero delle ore, finalmente raggiunse la fine della scalinata. Appena superò l'ultimo gradino, si lanciò a terra e cominciò a baciarla come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto. Era talmente preso dalla beatitudine di trovarsi di nuovo sul suolo che si accorse della figura davanti a lui solo dopo diversi secondi.

«C-Chi sei?» chiese, scattando in piedi e mettendosi in posizione d'attacco. La figura nella nebbia non si mosse, restando immobile, seduta nella nebbia.

Passarono diversi secondi di imbarazzante silenzio, dove nessuno dei due sembrava volersi muovere. «Mi senti? Ti ho chiesto chi sei.»

Nuovamente la figura rimase ferma.

Capendo che qualcosa non andava, il giovane si avvicinò. Scoprì che la figura altro non era che una statua seduta in posizione di meditazione, con la testa china e le mani unite sopra le gambe incrociate. La nebbia attorno a lui si ritirò, e Nino vide altre statue simili, che circondavano un grande stagno d'acqua placida e verdognola, piena di ninfee e giunchi verdi.

Questo molto probabilmente doveva essere il luogo per la prova di cui le aveva parlato Ladybug, ma non riusciva a vedere nulla di particolarmente strano, eccetto quelle inquietanti statue. Notò che al centro dello stagno c'era una strana roccia nera.

Non sapendo che altro fare, ci balzò sopra e attese che accadesse qualcosa. Ovviamente non accadde assolutamente nulla.

«Ah. Pensavo che sarebbe successo qualcos-AAAH!» La roccia sotto di lui si mosse all'improvviso, alzandosi di colpo. Nino lanciò un grido e cadde in acqua. Quando tornò a galla, la scena che si trovò davanti lo lasciò senza parole.

La roccia si era innalzata di diversi metri sopra l'acqua, rivelando un intricato disegno di geometrico nero con linee verdi. Una grande testa rugosa emerse dall'acqua, la pelle verde scuro coperta di licheni e piante acquatiche. I due piccoli occhi color oliva si puntarono su Nino, e il becco affilato si aprì lentamente. La lingua rosea si mosse mentre parlava lentamente. «Benvenuto Nino. Ti aspettavo da parecchio.»

Nino rimase qualche secondo in silenzio. In parte si aspettava una cosa simile. Dopotutto era dentro un oggetto magico antichissimo. Dall'altra parte era incredibilmente spaventato ed eccitato per l'immensa creatura che gli stava davanti. Infine, sentiva di riconoscere quella voce.

«Wayzz? Sei tu?»

L'enorme testa annuì, l'acqua che gocciolava lungo le grinze della pelle. «Si. Questa è la mia vera forma. Almeno, la forma che la mente umana percepisce.»

«Wow. Sei...» Nino non sapeva esattamente cosa dire. «Grande.»

L'antica tartaruga emise una serie gorgoglii rapidi ma profondi che fecero tremare l'acqua. Nino intuì fosse una risata, o quanto meno la cosa più vicina a una risata che avesse una creatura magica grande come un camion.

«I tuoi predecessori mi hanno chiamato in molti modi. Maestoso, Saggio, Imponente e Sapiente. Tu sei il primo ad avermi detto una cosa simile.»

Per un istante, Nino ebbe paura di aver già sbagliato, ma subito fu sollevato quando sentì Wayzz ridacchiare ancora.

«Quindi... in cosa consiste questa prova?»

La tartaruga abbassò la testa fino al livello di Nino, fissandolo con un occhio pieno di antica conoscenza e saggezza. Sotto quello sguardo, Nino mandò giù un groppo di saliva, leggermente impaurito.

«E' molto semplice. Devi meditare su chi sei sul perché combatti.»

«Ah, nulla di più semplice insomma. Ottimo, pensavo peggio.»

«E pensavi bene.» Wayzz sollevò il capo e puntò lo sguardo alla riva. «Vedi queste statue? Loro sono i Portatori che hanno tentato la prova ed hanno fallito, e lo stesso accadrà anche a te se non riuscirai. Eterni ricordi del fallimento.»

Nuovamente, Nino sentì il gelo della paura penetrare nella spina dorsale.

«Sei sicuro di volerlo fare? Non c'è disonore nel rifiutare.»

Nino contemplò l'idea per qualche secondo. In fondo, quanto poteva essere difficile quella prova? Doveva solo meditare. Eppure, rivolgendo uno sguardo alle statue, notò che molte di loro avevano l'aspetto di uomini e donne dell'aria molto saggia. Se loro non ce l'avevano fatta, lui che possibilità aveva?

Eppure ripensò a quello che Chat Noir e Ladybug gli avevano detto riguardo quei due demoni. Il potere che brandivano era incredibilmente superiore al loro. Se volevano avere una minima possibilità di batterli, dovevano rischiare.

«Lo farò» esclamò.

«Bene.» Wayzz annuì lentamente, e a Nino sembrò quasi che stesse sorridendo. «Bevi un sorso dell'acqua di questo lago e assumi la posa da meditazione.»

Nino obbedì. Mise le mani a coppa e le immerse nell'acqua. Era tiepida, e aveva un sapore simile alle ciliege. Si sedette e incrociò le gambe, unendo le dita e raddrizzandosi la schiena.

«Ora respira lentamente. Concentrati sul motivo per cui vuoi essere un eroe.»

E Nino lo fece. Ripensò intensamente a tutti i momenti in cui aveva combattuto assieme a Ladybug, Chat Noir, Queen Bee e Rena Rouge. Soprattutto Rena. Ogni volta che appariva uno dei due eroi a consegnargli il Miraculous sentiva qualcosa nel cuore. Cos'era? Altruismo? Ricerca di fama? Volontà di farsi notare? Gentilezza?

Però qualcosa gli disse che stava sbagliando. Non era quello a spingerlo. Era qualcosa di legato alla sua famiglia e ai suoi amici.

Ma chi erano i suoi amici? Aveva degli amici?

Aprì gli occhi di scatto, e con orrore vide le sue gambe trasformate in pietra. La pelle e i vestiti si trasformavano rapidamente in solida roccia grigia, risalendo dal basso ventre. Guardò Wayzz e urlò per chiedere aiuto, ma la voce era bloccata e non uscì alcun suono. Il suo intero corpo si era irrigidito ancora prima di trasformarsi del tutto.

«Calmati Nino» esclamò Wayzz, con tono imponente ma dolce. «Concentrati. Devi concentrarti.»

Nino sentiva il cuore battere così forte nel petto che pensava sarebbe schizzato fuori, ma cercò di controllarsi. Fece brevi e rapidi respiri all'inizio e poi ne fece lunghi e profondi. Chiuse nuovamente gli occhi, tentando di concentrarsi sui suoi amici.

Li ricordava, eppure apparivano come sconosciuti. La ragazza dai capelli blu, quello coi capelli biondi e il resto della classe. Li vedeva, riconosceva i loro volti, eppure ogni secondo che passava la sua memoria lentamente scivolò via, finché quei volti familiari divennero meno che sconosciuti. Aveva mai avuto degli amici?

Allora ripensò alla sua famiglia. Ancora una volta quei volti erano familiari, e nel suo cuore Nino sapeva di amarli. Ma in un tempo che parve lungo pochi istanti e decine di anni, le loro memorie svanirono come fumo nel vento, finché non riuscì nemmeno a ricordare i loro volti.

Pianse. Non aveva più memoria di nulla e non sentiva alcuna emozione, nè positiva nè negativa. Eppure piangeva. La pietra aveva raggiunto il petto e stava risalendo lungo il collo.

Eppure, avvenne qualcosa di inaspettato.

Un ricordo entrò prepotentemente nella sua mente. Una volta, tanto tempo fa, quando era più piccolo. Una ragazzina castana gli aveva rubato l'orologio che sua madre gli aveva regalato, e lui si era messo a piangere sui gradini della scuola. Poi una mano si era posata sulla sua spalla, e lui alzando lo sguardo aveva visto un volto bellissimo, occhi marroni incorniciati da folti capelli rossi.

Quella ragazza lo aveva consolato, e quando lui le aveva spiegato cos'era successo, era andata personalmente dalla ragazzina castana. Era tornata con un livido sulla guancia e l'orologio, sorridente. Eppure, in quel momento, a Nino non era importato nulla dell'orologio. In quel momento, l'unica cosa importante era quella ragazza.

Quella ragazza...

Quella ragazza...

Alya!

Come uno tsunami, i ricordi invasero la sua mente. Ogni singolo momento vissuto assieme all'amica, le passeggiate, i gelati, i momenti tristi, i momenti felici. Ricordava quando stavano vicini, quando sentiva il volto diventare caldo e il cuore battere nel petto.

E ricordò tutte quelle volte in cui lei era stata in pericolo. Era stata rapita da molti akumizzati, e ancora più volte si trovava sulla zona della battaglia, così vicino che più volte aveva rischiato di essere ferita, e un paio di volte era anche successo.

Una volta era andata a casa sua con un grosso taglio sul braccio. Lui l'aveva curata e bendata, rimproverandola che doveva fare attenzione e di smetterla di cacciarsi nei guai.

"Starò bene finché ci sarà il mio eroe ad aiutarmi" aveva risposto lei, prima di baciarlo.

E ripensando a questo, Nino capì perché voleva essere un eroe. Perché doveva essere un eroe. Per proteggere le persone. Per proteggere gli amici e la famiglia. Per proteggere lei.

La pietra aveva quasi coperto la testa quando si fermò. Delle crepe si crearono sulla superficie, allargandosi e moltiplicandosi, emettendo una pallida luce verdognola. Quando la luce si spense, la roccia si staccò, sbriciolandosi nel vento e trasformandosi in polvere.

Nino cadde all'indietro. Prese ampie boccate d'aria, come se non respirasse da mesi. Con una mano posata sul petto per calmare cuore e polmoni, guardò Wayzz. «Come... come sono...»

La tartaruga non rispose. Si limitò ad avvicinare l'enorme capo e a muovere le labbra in quello che pareva un sorriso. La nebbia si avvicinò, e prima che Nino potesse dire qualcos'altro, si ritrovò nelle tenebre. L'ultima cosa che vide furono i grandi e antichi occhi di Wayzz.

 

 

 

Preparatevi. Il prossimo capitolo sarà intenso e brutale. Ihihihih.
-La Follia mi scorre nelle vene

 

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Capitolo 11
*** Nebbie ***


Avvertimento: Questa storia contiene scene di violenza e sangue molto dirette. Se siete persone sensibili vi sconsiglio la lettura. Se volete continuare, non dite che non vi ho avvertito.

Capitolo 10: Nebbia


 

Da quanto stava correndo? Minuti? Ore? Il tempo non sembrava avere senso in quella nebbia grigia. Alya sentiva una stanchezza fisica incredibile, ma al tempo stesso non sentiva nulla. Pensò quasi che avrebbe potuto correre per sempre in quella foresta.

La figura continuava a starle davanti, un'ombra scura abbastanza vicina da vederne la forma ma troppo lontana per capirne l'identità.

Correva più veloce che poteva nella foresta misteriosa. Gli alberi, alti tronchi scuri e sottili, scorrevano così rapidamente nella sua vista che Alya non si accorse nemmeno di altre ombre che si muovevano tra essi.

«Fermati!» urlò la rossa. La misteriosa creatura sembrò non sentirla nemmeno, continuando a correre. Alya lanciò un lamento frustrato, e la rabbia le diede l'energia per correre ancora più velocemente. Eppure non importava quanto fosse feloce, quell'ombra restava un mistero, e lei non poteva accettarlo.

All'improvviso il suo piede di scontrò con una radice. Il mondo si girò per un istante, tutto divenne nero, e Alya si sentì leggera, mentre precipitava urlando nel gigantesco pozzo. Prima che la vista si oscurasse del tutto, riuscì a vedere decine di occhi rossi che la fissavano da oltre il bordo.

 

 

Quando riaprì gli occhi, scoprì di trovarsi stesa sul pavimento della propria stanza, con ancora addosso il costume da Rena Rouge. Scattò in piedi, guardandosi attorno. La figura era sparita.

«Alya...»

La rossa si voltò di scatto e lanciò un grido. A terra c'era sua sorella Etta, coperta di ferite sanguinanti e con una gamba strappata dal ginocchio in giù. Accanto a lei, in una pozza del loro sangue misto, c'era la gemella Ella, riversa a terra e con gli occhi chiusi.

Alya corse di loro e prese la sorellina tra le proprie braccia. «No, no no no! Etta!» Le lacrime cominciarono a scorrere dalle sue guance mentre reggeva la sua testa sulle ginocchia. Respirava a malapena.

«I mostri...» la piccola sussurrò, la voce piena di dolore. «I mostri... sono venuti... la mamma... Ella...» rivolse uno sguardo alla gemella, e ricominciò a piangere. Poi i singhiozzi si trasformarono in una forte tosse, dalla quale uscì del sangue. Troppo sangue.

«Etta! Etta!» Alya la strinse, cercando di fermare la tosse. Lacrime e sangue si mescolarono.

Poi, all'improvviso, la tosse si fermò, i suoi occhi si chiusero e smise di respirare.

«Etta? Etta, parlami!» Alya scosse il corpo della sorellina, ma questa non rispose. Il petto era fermo, e le braccia cadevano inermi verso terra. «No, no ti prego. Dio no, ti prego!» gridò, la voce spezzata dal dolore e dai singhiozzi.

«Aww, che scenetta commovente.»

Alya si voltò di scatto. Un ragazzo stava sulla soglia della porta, fissandola con un occhio verde smeraldo e un sorriso folle sul volto. Lo riconobbe subito.

«Sei stato tu... a fare questo?» chiese. La sua voce era carica di dolore e rabbia. Tanta rabbia.

«Oh no cara, sei stata tu a fare questo.» Kishin avanzò nella stanza. L'impermeabile arrivava fino al terreno, nascondendogli i piedi.

«Ma che stai dicendo?»

«Oh, non ricordi?» Kishin ridacchiò. «Sei fuggita dallo scontro finale, Alya Césaire. Sei scappata come un cane con la coda tra le gambe. Un patetico coniglio travestito da volpe, ma pur sempre un coniglio.»

Con un grido di rabbia e dolore, la rossa si lanciò verso di lui per colpirlo. Con un'espressione di assoluta calma, Kishin strinse la sua mano prima che potesse toccarlo, e con un movimento annoiato la scagliò contro la parete. Alya gemette, sentendo i polmoni svuotarsi e le ossa scricchiolare. Cadde a terra, mentre il ragazzo si avvicinava.

«Sento il tuo odio, la tua rabbia, ma non puoi scappare alla realtà. Hai abbandonato i tuoi compagni nel momento di maggior bisogno, ed ecco il risultato.» La mano di Kishin si gonfiò di colpo e divenne nera, trasformandosi in un gigantesco pugno ricoperto di cristalli scuri. Colpì il muro, che esplose verso l'esterno e creò un'enorme spaccatura.

Guardando fuori, Alya vide una Parigi devastata. Il cielo era coperto di nuvole nere e rosse che nascondevano completamente il sole. I palazzi erano in rovina, ridotti a scheletri di metallo e mattoni, e le strade erano piene di macchine distrutte e cadaveri sventrati nei modi più disgustosi. Ovunque, strane creature nere si aggiravano, divorando i morti.

Alya fissò il paesaggio con sguardo distrutto. Al contrario, accanto a lei, Kishin lo fissava con folle gioia. «Bellissimo, vero?»

«Non può essere... io non avrei potuto...»

«Ma l'hai fatto. Ti vanti tanto di essere una supereroina, ma appena la situazione si è fatta difficile sei scappata, correndo a nasconderti.»

Kishin la afferrò per la gola e la alzò come se fosse una bambola di pezza, tenendola sollevata da terra di almeno due piedi. La fissò, sorridendo in modo psicotico e strinse la presa. Alya gli artigliò la mano con le unghie, ma sembrava che lui non sentisse nulla. Sangue nero scivolò lungo la pelle pallida, gocciolando a terra.

«Smettila di lottare» disse Kishin, stringendo ancora di più la presa. «Hai perso. La tua città è distrutta, la tua famiglia e i tuoi amici sono morti, sventrati e divorati dai miei figli. Hai perso tutto. Arrenditi e lasciati andare.»

Aveva ragione. Aveva perso ogni motivo per vivere. La sua famiglia, i suoi amici, la sua città. Sarebbe stato tutto molto più semplice se si fosse lasciata andare a quella stretta mortale e avesse accolto la morte nel suo petto.

Eppure non ci riuscì. Sentì qualcosa bruciare nella sua anima. Era rabbia? Odio? Vendetta? O qualcosa di diverso? Non lo sapeva, sentiva solo che non poteva mollare così.

Con uno sforzo incredibile per il dolore, riuscì a dondolare il corpo e colpì Kishin con un calcio direttamente al volto. Il ragazzo pallido lasciò la presa ed emise un ringhio divertito. «Piccola stronzetta...»

Non ebbe tempo di dire altro. Alya gli balzò addosso e lo gettò a terra, per poi cominciare a colpirlo al volto con una serie di pugni selvaggi, urlando di rabbia e piangendo di dolore. Continuò a colpirlo finché il volto del nemico non fu ridotto a una massa informe e irriconoscibile di carne pallida e sangue nero.

Le braccia le caddero lungo i fianchi, le mani coperte di lividi e liquido nero. Ansimò, ferma in un limbo tra un pianto disperato e una risata folle.

All'improvviso un tentacolo nero fuoriuscì dal petto di Kishin in un'esplosione di sangue nero, scagliandosi contro Alya e spingendola contro la parete. Lei urlò quando il tentacolo penetrò nella spalla, perforando l'osso e inchiodandola alla parete.

«Questo è stato molto...» Kishin si rialzò in modo inquietante, come un burattino a cui venivano mossi i fili. La testa si risistemò con un sinistro suono melmoso, la pelle bianca che si muoveva e ricopriva la massa nera sottostante. Il folle sorriso rapidamente riapparì sul suo volto. «...divertente.»

Altri viticci neri fuoriuscirono dal suo corpo, infilzando Alya in una decina di punti diversi. La rossa urlò e pianse, sentendo come se fosse avvolta dalle fiamme. Da ogni tentacolo si dipanavano decine di minuscoli viticci neri, che scavavano dentro la carne e penetravano nelle ossa, muovendosi come serpenti.

Kishin si avvicinò, finché il suo volto non si trovò a pochissimi centimetri da quello di Alya. «Ti darò un'ultima possibilità. Arrenditi ora, e ti prometto una morte rapida.»

Come risposta, lei gli sputò in faccia. «Mai.»

Kishin sorrise nuovamente, ma stavolta era un sorriso gentile, compassionevole. La mano sinistra si trasformò in una lama affilata, nera come il peccato. Poco prima che gliela infilasse nel cranio, lei vide brillare il suo occhio cremisi.

 

 

Alya si svegliò urlando. Le dita stringevano le lenzuola bagnate di sudore, mentre la ragazza ansimava e il suo cuore batteva a un ritmo folle.

La porta della stanza si aprì di scatto. «Che succede?» chiese Nora con voce preoccupata. «Urlavi così forte che ti abbiamo sentita dalla cucina.» Dietro di lei apparvero le gemelle, Ella ed Etta.

Alya le fissò in silenzio per diversi secondi, prima di scendere dal letto e correre ad abbracciarle entrambe, piangendo. Le sorelle la guardarono confuse. «Sorellona, stai bene?»

«Si...» balbettò, la voce rotta dai singhiozzi, le labbra curve in un sorriso. «Mai stata meglio.»

Raccontò loro ciò che aveva sognato, ovviamente senza accennare alla sua doppia identità. Le sorelle la ascoltarono attentamente, e quando ebbe finito le diedero tutte e tre un abbraccio. «Stai tranquilla. Era solo un incubo.»

«Si... solo un incubo.»

Fecero colazione tutte assieme e andarono a scuola. Vicino al cancello, Alya vide Marinette che la aspettava. La stilista la chiamò alzando la mano non appena la vide.

«Non ci posso credere» esclamò Alya, abbracciandola. «Marinette Dupain-Cheng in anticipo? Sto sognando?»

Marinette rise. «A volte anche i sogni si avverano. Andiamo.»

Un'esplosione di coriandoli le accolse non appena entrarono in classe. Tutti i loro compagni si misero a gridare, mentre qualcuno sparava una seconda salva di coriandoli, che invasero i capelli di Arya. Lei non capì cosa stesse accadendo. «C-Cosa?»

«Grandi notizie!» esclamò Juleka, porgendole il cellulare. «Sabine Parker ha sentito parlare del tuo vlog su Ladybug e ha dichiarato di volerti avere nel suo show!» Per dare enfasi alle sue parole, fece partire il video sul cellulare.

Mentre lo guardava, Alya non poteva crederci. Sabine Parker era la sua giornalistra preferita e padrona di uno show televisivo tutto suo. Era la sua idola. E sarebbe stata nel suo show! Gridò di gioia, abbracciando Juleka, Rose, la professoressa e Adrien. Ci vollero tre persone, Marinette compresa, per calmarla. «Fai piano» le disse l'amica, ridendo.

«Scusa ma sono... così felice...»

«Propongo un brindisi» esclamò Adrien, alzando un bicchiere di plastica. «Ad Alya!»

«Ad Alya!»

E tutti bevvero

«Vorrei fare un annuncio» disse Nino ad alta voce. Si avvicinò ad Alya e le prese le mani tra le sue, fissandola negli occhi. «Alya Cesaire, fin da quando ti ho vista la prima volta, ho pensato tu fossi la cosa più bella del mondo. Stando vicino a te, questo pensiero è solo diventato più forte. Sei una ragazza splendita, spiritosa e forte. Per questo voglio chiederti questo: Vuoi stare con me?» Appena terminò di parlare, la baciò sulla guancia.

Alya lo guardò per qualche secondo senza dire nulla, toccandosi la guancia come se si fosse appena accorta di averla. I suoi occhi cominciarono a luccicare, e alcune lacrime scesero sulla pelle. Sorrise. «Si. Si!» Saltò addosso al ragazzo, stringendolo e baciandolo con foga. Tutti i presenti applaudirono.

«Ehm Ehm.»

Mentre era preda delle lacrime, Alya vide Chloé avvicinarsi con la sua solita aria da superiore, seguita a ruota da Sabrina. Non se ne preoccupò. Era una giornata così bella che nemmeno quelle due poterono rovinarla. Si separò da Nino per affrontarla.

Chloé si fermò davanti a lei. Alya si aspettò di tutto. Insulti, vanterie, grida di rabbia, una bibita gettata sul viso. Qualunque cosa.

L'unica che non si aspettò era che Chloé la abbracciasse.

«Sono così felice per te!» esclamò la figlia del sindaco, lasciando Alya totalmente scioccata.

«Chloé? Stai bene?» Alya si staccò dall'abbraccio e le toccò la fronte. «Sei malata per caso?»

«Oh Alya, non fare la sciocca» disse lei, per poi schioccare le dita. Sabrina, che per tutto il tempo aveva tenuto le mani dietro la schiena, le passò una piccola busta, che poi Chloé porse ad Alya. «Su prendi. L'ho fatto ordinare da New York.»

Incuriosita, Alya aprì la busta. All'interno c'era una scatola contenente vari prodotti di bellezza, tutti di marche pregiatissime e super costose. La rossa lo guardò per qualche secondo, per poi rivolgere a Chloé un'occhiata sospettosa. «E' un modo per dirmi che sono brutta?»

Chloé ridacchiò, tenendosi educatamente una mano davanti la bocca. «Oddio, certo che no! Però se andrai in diretta internazionale devi essere semplicemente la ragazza più bella della Francia.»

Alya rimase qualche secondo in silenzio, gli occhi spalancati nello stupore totale. «G-Grazie Chloé.» Parole che non avrebbe mai pensato di dire. La abbracciò, come lei aveva fatto poco prima. Un'altra cosa che non pensava avrebbe mai fatto.

E così fecero festa, mangiando torte dolci e di frutta e sorseggiando bibite gassate e lisce. Ballarono a ritmo della musica dello stereo, e Alya danzò insieme a Nino.

Fu bellissimo. La sua famiglia stava bene. I suoi sogni si stavano avverando. Il ragazzo che le piaceva si era dichiarato. Perfino l'odiosa Chloé era gentile con lei. Era tutto troppo bello... per essere vero.

«Questo mondo non è reale, vero?»

Il mondo venne svuotato da ogni colore, e tutti si fermarono.

Marinette si voltò verso di lei e sorrise, ma non era Marinette. La sua pelle era diventata bianca come il latte, mentre i capelli erano color del sangue. Due aloni arancioni le circondavano gli occhi, ora completamente neri e con le iridi rosse e affilate. Sorrise, mostrando le zanne affilate.

«Hai capito in fretta» disse la creatura che era stata Marinette. La sua voce suonava distorta, lontana, eppure chiarissima. «Complimenti.»

«Fammi uscire. Subito.» La voce di Alya era un sibilo furente che non lasciava possibilità di negoziare. Il suo era un ordine.

La falsa Marinette alzò un sopracciglio, rivolgendole un ghigno affilato. «Vuoi uscire? Non preferiresti restare in questo paradiso?» Alzò la mano, e la realtà davanti a loro cambiò. Si ritrovarono su un divano di tela rosso, in mezzo a un set illuminato dai fari. Attorno a loro, nell'ombra, migliaia di spettatori senza volto battevano le mani e gridavano il nome di Alya. «Perché scomodarsi ad affrontare una vita tanto brutta quando potresti restare qui? Io posso far avverare ogni tuo desiderio più nascosto e impossibile.»

Alya osservò l'ambiente attorno a se, la bocca aperta e lo sguardo sgomento. Tutte quelle persone che la applaudivano e la chiamavano a gran voce. Era il suo sogno, no? Scoprire ogni verità e diventare una grande reporter, era questo che voleva. E ora la possibilità di diventarlo era lì, doveva solo allungare la mano e prenderla.

La falsa Marinette le offrì la mano. Le unghie erano cresciute, trasformandosi in artigli ricurvi e neri, in contrasto con la pelle bianca come neve. «Affare fatto?»

Alya alzò la propria mano. Stava per toccare quella di Marinette, o qualsiasi cosa fosse, quando un suono la interruppe. Era delle grida di dolore, qualcuno che veniva orribilmente massacrato. E di colpo, i ricordi dell'incubo le tornarono in mente. Guardò di nuovo la folla che la inneggiava, però vide solo ombre senza volto. Anche la sua famiglia e Nino erano diventati null'altro che ombre.

Tornò a guardare la falsa Marinette. Quando ritirò la mano, il sorriso sul volto del demone svanì. «No.»

«Perché?» La sua espressione tradiva il suo stupore. «Questo è ciò che desideri. Non mentirmi. Ho visto la tua anima. So cosa desidera il tuo cuore. Perché rifiutarlo?»

«Questo non è ciò che desidero. Tutte queste sono solo ombre e inganni.» Alya agitò il braccio, e di colpo ogni cosa svanì. Rimasero da sole, circondate da un infinito vuoto bianco. Il demone si guardò attorno, con espressione sorpresa. «Là fuori la mia città, la mia famiglia e i miei amici hanno bisogno di me. Non intendo vivere i miei sogni in una menzogna.»

La falsa Marinette la fissò per diversi secondi, con un'espressione sorpresa sul volto. Poi sorrise, lo stesso sorriso gentile che aveva Kishin. Si alzò in piedi e si avvicinò.

«Sei stata brava, Alya Cesaire.»


 

Con la coda dell'occhio, Alya vide qualcosa muoversi dietro di lei. Voltandosi, si ritrovò nuovamente nella foresta dove tutto era iniziato. Era al centro di una radura avvolta nella nebbia, gli alberi neri che salivano fino alle stelle. E tra i tronchi scuri, vedeva centinaia di occhi rossi che la fissavano.

«Non tutti riescono a superare le proprie paure» disse la falsa Marinette, ma quando Alya si girò per guardarla, non c'era più. Al suo posto c'era una grossa volpe bianca, alta quanto lei, con due piccoli occhi rossi e luminosi, senza iride o pupilla. Nove code dalla punta rossa danzavano elegantemente dietro di lei. «Pochissimi riescono a resistere ai propri desideri.»

La volpe si avvicinò e toccò la fronte di Alya col muso. L'ultima cosa che Alya vide prima che l'oscurità l'avvolgesse furono gli ardenti occhi rossi della volpe a nove code.

«Ti seguiremo.»

 

 

 

Spero di aver spiegato bene il mio pensiero riguardo le Illusioni e, per estensione, il Miraculous della volpe.
Alla prossima

-La Follia mi scorre nelle vene

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