Aneta dei Lupi di RedeNetele (/viewuser.php?uid=1098572)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Con
delicatezza, Aneta risistemò il coperchio sopra
l'arnia, facendo attenzione che non si creassero correnti d'aria che
potessero
nuocere alle sue preziose api di fuoco. Erano insetti pericolosi, noti
per la
loro aggressività e per la loro puntura estremamente
dolorosa, ma il loro miele
era ricco di proprietà benefiche e medicinali. Il veleno
contenuto nel loro
pungiglione poteva, se trattato adeguatamente, curare l'artrite e i
dolori
reumatici.
Retrocedendo
di qualche passo e prendendosi qualche istante per assicurarsi che le
api che
ancora le svolazzavano attorno non dessero segni di nervosismo, la
ragazza
sollevò la retina che pendeva dal cappello a tesa larga e la
proteggeva dalle
punture degli insetti. "Padre! Io ho finito!" gridò, rivolta
al
genitore che, diverse decine di metri più in là,
si stava ancora affaccendando
attorno a un'arnia.
Concentrato
sul suo lavoro, l'uomo le rispose a gesti, facendole capire capire che
avrebbe
dovuto avere ancora un po' di pazienza. Scrollando le spalle, Aneta si
chinò e
raccolse la cassetta di legno che aveva provveduto a riempire di fogli
di cera.
Nel chinarsi, notò che a terra, seminascosti dall'erba,
c'erano i corpi senza
vita di alcuni insetti gialli e rossi. Corrugando la fronte leggermente
preoccupata, la giovane raccolse il cadavere di un'ape di fuoco. Ne
stavano
morendo più del dovuto, in quel periodo. C'era qualcosa che
non andava.
Con
estrema attenzione, per evitare che il pungiglione degli insetti
penetrasse
oltre il cuoio consumato dei suoi guanti, Aneta raccolse tutte le api e
le
lasciò cadere nella tasca che portava appesa alla cintura.
Quella sera, si
sarebbe occupata di estrarre il veleno ancora contenuto nell'ampolla
posta
sotto il ventre delle bestiole. Ne aveva ancora una buona scorta, ma si
trattava
di una risorsa troppo preziosa perché ne andasse sprecata
una sola goccia.
Un
alito di vento prese a spirare da sud, portandole un vago sentore di
pioggia e
scompigliandole le poche ciocche di capelli biondi che sfuggivano dalla
treccia
arrotolata attorno al capo. Pioverà
di
nuovo, pensò la ragazza, lanciando un'occhiata
corrucciata alle nuvole
scure che si ammucchiavano sopra ai modesti rilievi che sorgevano a sud
del
villaggio. Era stata una primavera estremamente piovosa e la stagione
era in
ritardo di quasi un mese. Se il tempo non si fosse messo al meglio
quanto
prima, le messi ne avrebbero risentito e, una volta giunto l'inverno,
la
situazione avrebbe potuto farsi problematica.
"Ecco
fatto!"
Distogliendo
lo sguardo dall'orizzonte, Aneta vide che suo padre aveva richiuso le
arnie
alle quali stava lavorando e si stava ora dirigendo verso di lei,
tenendo tra
le mani una cassetta che era almeno il doppio di quella che era stata
affidata
a lei. Affrettandosi a raggiungerlo, la giovane fece per tendere una
mano per
aiutarlo. "Aspetta" lo esortò. "Pesa troppo, portiamola un
po'
per uno."
L'uomo
scosse il capo ed emise un mugolio di dissenso. "Ce la faccio" la
rassicurò, rivolgendole quel sorrisetto storto che tanto le
piaceva. "Tu
pensa a recuperare la tua."
La
giovane esitò per qualche istante, poi fece come le era
stato chiesto e
recuperò la propria cassetta, provvedendo a caricarla sul
carretto trainato da
Moscerino, l'anziano asino di famiglia. La povera bestia era talmente
malconcia
che, ormai, veniva utilizzata solo per compiti minori: in cuor suo,
Aneta
pensava che fosse uno spreco tenere in vita un animale che chiedeva
molto e, in
cambio, dava estremamente poco, ma la bestia era più vecchia
di lei e non si
sarebbe mai sentita di mandarla al macello.
Prendendo
le redini di Moscerino, Bromyr, il padre di Aneta, si voltò
verso la figlia.
"Possiamo andare?"
Prima
che la giovane potesse dare il proprio assenso, però, l'aria
fu attraversata
dal suono vibrante di un corno. Uno squillo lungo, uno squillo breve e
un
ultimo squillo prolungato. La ragazza ebbe l'impressione che il sangue
le si
ghiacciasse nelle vene. Senza emettere un suono, incontrò
gli occhi del padre e
vi lesse il suo stesso smarrimento. "Sono gli Skald" mormorò
l'uomo,
constatando ciò di cui erano entrambi perfettamente
consapevoli. "Al
villaggio, veloce!"
Così
dicendo, Bromyr sciolse i finimenti che legavano Moscerino al carretto
e lasciò
l'animale libero di muoversi come meglio credeva. Come intuendo il
pericolo
imminente, l'asino si avviò trotterellando in direzione
della stalla,
distanziando ben presto i due umani.
Mentre
già suo padre si avviava a passo rapido verso il villaggio e
la relativa
sicurezza data dall'alto recinto di pali appuntiti, Aneta
lanciò un'occhiata
carica di rimpianto alle due cassette piene di miele. Anche se era
piuttosto
improbabile che gli Skald distruggessero le arnie - le punture delle
api di
fuoco erano dolorose anche per loro - non aveva alcun dubbio a
proposito del
fatto che gli uomini-lupo avrebbero rubato il raccolto della giornata.
Maledetti
selvaggi! Pensò,
stringendo i pugni in un moto di rabbia
e di disprezzo nei confronti dei predoni che vivevano nei boschi,
insidiando la
vita della gente per bene. "Aneta!" Il richiamo di suo padre la
riscosse e la giovane raccolse le gonne e trotterellò in
direzione del
genitore, affrettandosi ad allontanarsi dalla foresta e dal pericolo.
Sfortunatamente, non c'era niente che potesse fare per cambiare le cose.
Il
corno della sentinella continuava a lanciare il proprio richiamo e, con
la coda
dell'occhio, la ragazza vide alcuni suoi concittadini che fino a poco
tempo
prima erano stati impegnati nei campi correre verso il villaggio. Non
udiva
grida, né altri rumori che lasciassero presagire che ci
fosse un combattimento
in corso: evidentemente, anche quel giorno la sentinella aveva fatto un
buon
lavoro ed era riuscita a dare l'allarme prima che il nemico potesse
cogliere
qualcuno di sorpresa.
Quando
ebbero raggiunto la recinzione, Aneta vide che i preparativi per la
difesa
erano già in atto: i soldati si stavano disponendo lungo le
passerelle
superiori, le lance puntate, le spade sguainate, le torce accese. Nel
vederli,
la giovane provò una stretta al cuore: sapeva che erano
uomini addestrati, ma
sapeva altrettanto bene che le armi comuni potevano poco contro la
ferocia
degli uomini-lupo. Forse avrebbero respinto l'attacco, ma non senza
subire
alcuna perdita.
Al
centro della piazza sterrata posta di fronte all'entrata principale
della
recinzione, un altro soldato impartiva a gran voce le istruzioni ai
propri
concittadini. "Veloci!" gridava. "Ognuno al proprio Rifugio!
Dovete raggiungere il Rifugio che vi è stato assegnato:
rimangano solo gli
uomini addestrati a combattere!"
Quasi
temesse di perderla tra la folla concitata, Bromyr posò una
mano sulla spalla
della figlia e la sospinse verso il luogo in cui si trovava la grande
costruzione fortificata chiamata Rifugio Est. Ce n'erano quattro,
disposte ai
quattro punti cardinali, ognuna delle quali raccoglieva un quarto delle
poche
centinaia di abitanti di Piana Bianca, proteggendo la gente dietro
porte
robuste, pareti fortificate e tre file di possenti pali di faggio.
Muovendosi
quasi in automatico, Aneta lasciò che il padre la guidasse
lungo il percorso
che le era ormai famigliare. Non era la prima volta che doveva cercare
riparo
dietro quelle porte, anzi: negli ultimi anni, gli attacchi degli Skald
si erano
fatti più frequenti di un tempo. La giovane era ormai
abituata agli sguardi
tesi, alle posture irrigidite, alle parole mormorate con la gola
stretta dal
nervosismo e si era dunque aspettata di ritrovarli anche in
quell'occasione.
Ciò che non si era aspettata, però, era il fatto
che la panca d'onore, quella
posta in una posizione rialzata, il più lontano possibile
dalla porta d'ingresso,
fosse occupata.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Oggettivamente
non c'era nulla di strano nel fatto che il Marchese e la sua famiglia
si
trovassero lì. Per loro non valeva la regola che obbligava
gli abitanti di
Piana Bianca a ripararsi nel Rifugio a cui erano stati assegnati: il
rango
nobiliare dava loro il diritto di sfruttare il Rifugio più
comodo e vicino.
Aneta
rimase comunque a osservarli per qualche istante, colta di sorpresa da
quell'incontro inaspettato. Anche se quelli che erano a tutti gli
effetti i
padroni del villaggio non sembravano dedicare la minima attenzione ai
popolani
raccolti ai loro piedi, la giovane non riusciva a fare a meno di
sentirsi a
disagio, al cospetto di quelle persone.
Lord
Gawel, il Marchese, non era mai stato un guerriero, ma la sua
intelligenza e il
suo carisma l'avevano portato in alto. Il suo fascino gli aveva
permesso di
ottenere l'ammirazione dei soldati della guardia, che ancora governava
con fermezza
nonostante fosse ormai entrato nella sesta decade della sua vita. Aneta
lo
temeva. Anche se non aveva mai avuto direttamente a che fare con lui,
ne era
intimorita per ragioni che nemmeno lei sapeva spiegarsi. Forse era per
via
dello sguardo gelido con cui era solito trapassare chi gli stava di
fronte,
forse il motivo era da ricercarsi nella ferocia composta che le pareva
di
intravedere nei suoi gesti: ad ogni modo, preferiva incrociare il suo
cammino
il più raramente possibile.
La
Marchesa non le pareva molto più rassicurante. Figlia di un
Conte delle
Scogliere Occidentali, Lady Nevena era solo di qualche anno
più giovane del
marito, ma mancava completamente del suo carisma. Gelida e distaccata,
la donna
sembrava aver fatto suo il rigore delle rocce nere della sua terra
natia: come
esse era infatti scura, dura e silenziosa. Stando a quanto raccontavano
le voci
che correvano per il villaggio, il suo temperamento, già
cupo per natura, era
stato ulteriormente inasprito dai numerosi tradimenti consumati dal
Marchese
nel corso degli anni.
Quello che
però le piaceva meno di tutti era Marek, l'unico figlio
maschio dei Marchesi e
il solo che il matrimonio non avesse portato lontano dal villaggio. Il
giovane
aveva ereditato l'aspetto piacente del padre e il suo amore per le
donne, ma
non era provvisto della stessa accortezza di cui era dotato il
genitore: era
una testa calda che seguiva i propri desideri con decisione e
arroganza, senza
preoccuparsi dell'effetto che le sue passioni avrebbero potuto avere
sul prossimo.
Con la
coda dell'occhio, Aneta guardò Lady Ylena, la giovane
nobildonna che Marek
aveva sposato l'anno prima. La poveretta non doveva avere una vita
facile.
Pallida e minuta, possedeva una bellezza rara, ma pareva del tutto
priva di una
volontà propria, sottomessa com'era al volere della famiglia
del marito. Era
bionda, cosa che non aveva mancato di far nascere un sorriso di scherno
sulle
labbra degli abitanti del villaggio che l'avevano vista per la prima
volta:
Marek aveva una lunga storia di conquiste dai capelli chiari, tant'era
vero che
a Piana Bianca c'erano molti bambini che assomigliavano a Lord Marek o
al
Marchese suo padre.
Inconsciamente,
Aneta si sfiorò con una mano la treccia pallida. Era
consapevole di avere un
corpo fin troppo asciutto e un viso piuttosto ordinario, ma sapeva
anche di non
aver alcun grosso difetto che potesse renderla indiscutibilmente brutta
agli
occhi di Marek: se non aveva ancora attirato la sua attenzione, era con
ogni
probabilità una questione di mera fortuna.
"Riesci
a vederli?"
La voce di
Bromyr la fece sussultare e Aneta si voltò di scatto verso
il padre. Di chi
stava parlando? Aveva forse notato che stava osservando un po' troppo
intensamente i Marchesi? Lo sguardo dell'uomo non era però
rivolto verso il
palchetto riservato ai nobili, ma era diretto verso il punto in cui la
folla
era più fitta. Scuotendo appena la testa per liberarla dai
pensieri che
l'avevano ingombrata fino a qualche istante prima, la giovane comprese
che il
padre stava cercando Marete, la maggiore delle sue figlie.
"Io..."
Aneta fu sul punto di negare, poi i suoi occhi scorsero la testa scura
di
Stefek, suo cognato. "Sì! Eccoli là, sotto la
seconda feritoia."
Bromyr si
illuminò e si incamminò immediatamente verso la
coppia, facendo segno alla
figlia minore di seguirlo. Pochi istanti più tardi stava
abbracciando Marete,
allargando le braccia per superare l'ostacolo del suo ventre gonfio a
causa
della gravidanza ormai avanzata. "State bene?" chiese, facendo
danzare gli occhi tra la figlia e il genero.
L'uomo più
giovane annuì. "Sì. Fortunatamente eravamo in
bottega e non abbiamo dovuto
fare troppa strada per venire qui. Marete inizia a fare fatica a
camminare...
anche se non lo ammetterebbe mai."
A conferma
di quelle parole, Marete colpì il marito con il dorso della
mano. "Oh, ma
finiscila! Mi tratti come se fossi malata, quando, in
realtà, io sto
benissimo!"
Stefek
sorrise e i suoi occhi neri si accesero di una luce gentile, chiaro
segnale
dell'amore che provava per la moglie. Aneta lo guardò di
sottecchi, mentre un
briciolo di gelosia le pungeva lo stomaco. Anche a lei sarebbe piaciuto
avere
qualcuno che la guardasse in quel modo, eppure, sebbene avesse
già vent'anni -
solo uno e mezzo meno di Marete - non aveva ancora incontrato un
ragazzo in
grado di attirare la sua attenzione e il suo affetto. Era una cosa
insolita, da
quelle parti. Se nei giorni in cui era di buon umore si diceva che non
era che
una questione di tempo, quando si sentiva più pessimista non
poteva fare a meno
di pensare che le sfortunate circostanze della sua nascita avessero
qualcosa a
che fare con il fatto che gli uomini in età da matrimonio
parevano girarle bene
al largo. Sua madre era morta di parto. Sebbene suo padre le avesse
raccontato
che la moglie era morta quando Aneta aveva pochi giorni, c'era chi
sussurrava
una verità differente, messa in giro, si diceva, dalla
levatrice che l'aveva
aiutata a nascere. C'era chi sosteneva che la donna fosse morta prima
di dare
alla luce la figlia e che la levatrice avesse strappato la neonata dal
corpo
già senza vita della madre.
Nata dalla
morte. Aneta nemmeno se lo ricordava, quand'era stata la prima volta
che aveva
sentito qualcuno riferirsi a lei in quei termini. Nessuno ne parlava
più,
oramai, ma quell'ipotesi era stata formulata da labbra sconosciute, in
passato,
e aveva messo radici nell'opinione comune. Non era un reato, non era un
crimine, ma era comunque un'ombra scura che aleggiava sulla giovane.
Era un
segno di sventura; una superstizione, certo, ma era sufficiente a dare
ad Aneta
l'impressione di essere guardata con sospetto.
Ignaro dei
pensieri che stavano attraversando la mente della sua figlia minore,
Bromyr
strinse affettuosamente il braccio di Marete e fece per dire qualcosa,
ma un
movimento proveniente dalla panca d'onore lo indusse a tacere e a
voltarsi.
Il Marchese,
che fino a pochi attimi prima si era limitato a restare seduto
guardando nel
vuoto con aria annoiata, si era improvvisamente alzato in piedi. Quella
semplice azione era stata sufficiente a far sfumare le conversazioni
sussurrate
che riempivano il Rifugio, mentre i cittadini tacevano e attendevano
che
prendesse la parola.
"Quello
di oggi è il quarto attacco degli Skald nel giro di due
mesi" annunciò.
Una delle caratteristiche di Lord Gawel era quella di non avere mai
bisogno di
urlare per farsi sentire e ascoltare: gli bastava parlare con la sua
voce
limpida e sicura perché chi gli stava di fronte pendesse
dalle sue labbra.
"Così non possiamo andare avanti: dobbiamo prendere
provvedimenti."
Per
qualche motivo, nell'udire quelle parole Aneta sentì la
propria pelle contrarsi
in preda a un presentimento oscuro.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
"Dobbiamo
capire", continuò il Marchese,
"perché ci attaccano. Che cosa vogliono? Perché
lasciano i boschi e si
spingono fino ai nostri villaggi, pur sapendo che vi troveranno uomini
coraggiosi, pronti a combatterli per difendere le proprie case e le
proprie
famiglie?"
Gli
occhi chiari di Lord Gawel scivolarono lenti sulla folla che riempiva
la sala,
quasi sfidando gli uomini e le donne radunati nel Rifugio a rispondere
a quella
che era senz'ombra di dubbio una domanda retorica. Perché il
Marchese la conosceva,
la risposta al quesito che aveva appena posto.
"Che
cosa vogliono?" ripeté, scandendo le sillabe, come a
suggerire la risposta
a chi gli stava davanti. "Per quanto scomoda possa essere, la
verità è una
soltanto: vogliono che manteniamo la parola data."
Aneta
ebbe l'impressione che, con lei, l'intera folla tradisse un sussulto e
un
brivido silenzioso. La ragazza abbassò nervosamente il capo,
fissando con aria
vacua la schiena dell'uomo fermo davanti a lei. Anche se il patto a cui
alludeva il Marchese era stato stretto parecchi anni prima della sua
nascita,
era piuttosto certa di aver capito a cosa si stesse riferendo, quando
diceva
che occorreva rispettare la parola data.
L'accordo
era uno di quelli che si facevano nelle leggende o nei racconti dei
Barbari dei
tempi antichi: gli Skald avrebbero garantito la pace se, in cambio,
fosse stata
data loro una fanciulla da sacrificare alla Dea Luna. Era stato il
terzo
Marchese di Piana Bianca a fare quel patto con quello che era all'epoca
il Re
degli Skald - con il beneplacito, si intende, del Duca dell'intero
Distretto
dei Tre Fiumi.
Erano
ormai quasi due decenni che quella pratica era stata abbandonata: gli
ultimi
sacrifici erano stati fatti quando Aneta era molto piccola, e anche
allora si
era trattato di avvenimenti sporadici, che coinvolgevano
perlopiù donne che
erano state condannate per i crimini commessi. E
adesso il Marchese sta dicendo che dovremmo ricominciare a sacrificare
delle
ragazze? Pensò la giovane, con un moto di
sconforto. Non può essere
serio!
Non
doveva essere l'unica a pensarla in quel modo, perché presto
il Rifugio si
riempì di un brusio concitato. Lord Gawel lasciò
passare qualche istante, poi
levò le mani per attirare l'attenzione dei presenti.
"È una scelta
dolorosa, lo so, ma è l'unica che ci viene concessa" disse.
Sebbene le sue
parole esprimessero rammarico, Aneta trovò che la sua voce
fosse totalmente
priva di inflessioni particolari.
Nonostante
l'intervento del Marchese, i mormorii non si placarono e un uomo a poco
distanza dalla panca d'onore si rivolse direttamente a Lord Gawel. Era
Towil,
un mercante che grazie ai propri commerci aveva raggiunto una certa
agiatezza
economica e che aveva certamente particolare interesse che gli attacchi
degli
Skald tornassero a farsi più radi. "Perché non
possiamo continuare a
combatterli come abbiamo fatto sin'ora? Sono loro che cercano lo
scontro, non
noi: non vedo perché dovremmo piegarci al loro volere."
Il
Marchese gli rivolse un piccolo sorriso accondiscendente che non
ammorbidì i
suoi gelidi occhi azzurri. "Capisco i tuoi dubbi. Del resto, sono gli
stessi espressi dalla Marchesa pochi giorni fa." Così
dicendo, Lord Gawel
si voltò per guardare la consorte. Lady Nevena
irrigidì la propria postura. Le
rughe che le solcavano il volto si fecero più profonde e i
suoi occhi scuri e
affossati parvero ardere come brace, ma la donna non disse nulla.
"Purtroppo,
però, non possiamo ignorare il fatto che questi continui
scontri ci stanno
logorando lentamente" riprese il Marchese, le labbra strette in una
smorfia
amareggiata. "Abbiamo sempre respinto gli Skald, è vero, ma
il prezzo che
abbiamo pagato e che stiamo pagando anche in questo momento non
è indifferente:
quanti uomini abbiamo già perso? Quanti ne perderemo ancora?"
Aneta
chinò il capo, rigirandosi nella mente le parole di Lord
Gawel. Per quanto poco
le piacesse ammetterlo, non poteva negare che il Marchese avesse
ragione: ogni
volta che gli Skald si ritiravano, lasciavano sul campo diverse vittime
appartenenti a entrambi gli schieramenti.
"E
come facciamo a sapere che, una volta che avremo consegnato loro le
nostre
donne, quelle bestie non ci attaccheranno comunque?" fece ancora Towil,
in
quello che era un tono apertamente provocatorio.
Il
Marchese sostenne lo sguardo del mercante, apparentemente poco turbato
dal
fatto che un uomo che gli era inferiore per status sociale e lignaggio
osasse
confrontarlo in maniera tanto diretta. "In passato, gli Skald hanno
sempre
tenuto fede all'accordo. Lo faranno anche questa volta, ne sono certo:
non sono
uomini come noi. Sono creature del bosco, fedeli alla loro Dea Luna,
che impone
loro delle regole diverse da quelle che i Tre Re impongono a noi. Per
loro,
infrangere un giuramento equivale ad andare incontro a una condanna a
morte."
Improvvisamente,
il Marchese si interruppe e si voltò bruscamente verso Lady
Nevena. "Hai
qualcosa da aggiungere in proposito, mia Signora?" le chiese, con una
voce
che ad Aneta parve tagliente come la lama di un coltello.
La
Marchesa incrociò rigidamente le mani in grembo. "Gli Skald
sono cambiati,
non rispettano più le tradizioni dei loro padri"
commentò, asciutta. Aveva
una curiosa voce roca, come di chi avesse taciuto a lungo. "Non
v'è alcuna
garanzia del fatto che diverranno più amichevoli nei nostri
confronti."
"Sento
la tua voce, mia Signora, ma le parole appartengono a tuo padre"
replicò,
di rimando, Lord Gawel.
"Mio
padre è morto" ribatté la Marchesa.
"Temi forse che le parole di
un uomo morto possano minare la tua autorità?"
Nel
Rifugio si levarono nuovamente dei mormorii, subito soffocati
però
dall'occhiata del Marchese. Aneta si ritrovò a distogliere
lo sguardo dalla
panca d'onore, sentendosi decisamente a disagio per avere dovuto
assistere a
quello che aveva tutta l'aria di essere un litigio tra coniugi. Sapeva,
per
sentito dire, che i rapporti tra i due non erano esattamente idilliaci,
ma era
la prima volta che vedeva Lady Nevena tenere testa in quel modo al
marito. Ciò
che più la turbò, però, fu il
retrogusto amaro - quasi pregno d'odio - che le
parve di cogliere nel tono della donna.
"Tuo
padre è morto", confermò Lord Gawel, "ma tuo
fratello gode di ottima
salute e si è più volte dimostrato intenzionato a
seguire fedelmente le sue
tracce. A volte mi chiedo se le idee di Lord Dramir non vivano ancora
in
entrambi i suoi figli."
La
Marchesa inarcò un sopracciglio, nero come la pece malgrado
l'età ormai
piuttosto avanzata. "Stai forse mettendo in dubbio la mia
lealtà nei tuoi
confronti e nei confronti di questa terra, mio Signore?"
Prima
che il Marchese potesse controbattere, Marek, che fino a quel momento
si era
limitato a seguire lo scambio in silenzio, allungò un
braccio verso i genitori.
"Madre, ti prego" fece, parlando con voce calma e morbida, in netto
contrasto con quella tesa dei Marchesi. "Non è certo questo
il luogo
migliore per discutere di questi argomenti. La nostra gente ha bisogno
di
stabilità e certezze... Non dobbiamo far nascere in loro dei
dubbi che non
hanno motivo di esistere."
Quali
dubbi?
Paradossalmente, Aneta non si era mai preoccupata un gran
ché delle logiche del
potere che governavano la vita nelle Province del Distretto dei Tre
Fiumi: del
resto, si trattava di una regione piuttosto tranquilla, se si
escludevano gli
attacchi degli Skald, priva di ricchezze che non fossero quelle che
provenivano
dai campi coltivati. Quali beghe
politiche dovrebbero esserci, in un posto come questo? Eppure,
il
commento del giovane Lord le faceva ora venire il dubbio che le cose
fossero
più complesse di ciò che aveva sempre pensato.
"Hai
ragione, figlio mio" annuì il Marchese. "È meglio
rimandare a un
altro momento questi discorsi. Non ne discuteremo oltre, per
ora."
Così dicendo, l'uomo tornò ad adagiarsi contro
l'alto schienale della panca.
Non indirizzò nemmeno uno sguardo alla moglie, ma il cenno
che le rivolse fu perfettamente
eloquente: non si sarebbe dovuta azzardare a sollevare nuovamente la
questione.
Lady
Nevena, che durante la discussione si era sporta leggermente verso il
marito,
tornò ad assumere la posa rigida e composta che aveva tenuto
per tutto il resto
del tempo. Così, per caso, gli occhi neri della Marchesa
incontrarono quelli
grigi di Aneta: in essi la giovane vide una fiamma, un bagliore, e
provò una
scossa alla bocca dello stomaco che la lasciò spiazzata.
Fu
allora che si accorse che, sulla scia di quello sguardo, altri occhi la
stavano
fissando: quelli di Lord Marek, che, notando la sua espressione
smarrita, le
rivolse un ghigno divertito.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
E
così era stato deciso. Era passato più di un mese
da quando
gli Skald avevano attaccato il villaggio e Aneta si era trovata a
condividere
il Rifugio con i Marchesi. Anche se le successive spedizioni degli
uomini-lupo
erano state poco più che scorribande volte a rubare qualche
pecora e a fare
razzia negli orti, Lord Gawel era stato inflessibile: i sacrifici
sarebbero
ripresi.
Non
senza un certo
sgomento, Aneta aveva visto crollare poco alla volta le riserve dei
suoi
concittadini: ben presto, tutti avevano concordato che quella era la
strada
migliore da percorrere, la più saggia. E se anche qualcuno
non si fosse trovato
d'accordo, si sarebbe comunque ben guardato dall'esternare le proprie
perplessità, per timore che queste attirassero su di lui
delle attenzioni poco
gradite. Tacevano dunque le fanciulle che avrebbero potuto ritrovarsi
vittime
del sacrificio, tacevano i mercanti che avrebbero volentieri sterminato
gli
Skald come le bestie che erano, taceva Lady Nevena, qualunque fossero
state le
motivazioni che l'avevano spinta a opporsi al marito, il giorno in cui
si erano
scontrati al Rifugio.
Taceva
anche Bromyr,
all'apparenza, anche se, ormai, tutte le sue conversazioni con la
figlia minore
vertevano su un'unico argomento: la necessità di trovarle un
marito, e in
fretta. Conformemente a quello che era l'accordo stretto
originariamente con
gli Skald, infatti, si era deciso che non sarebbero state sacrificate
le
giovani sposate, che fossero state madri di figli o che avrebbero
presto potuto
diventarlo.
Ma
Aneta non poteva
inventarsi un marito da un giorno all'altro. Non c'era nessuno che le
piacesse
e, cosa più importante, nessuno che si fosse apertamente
mostrato interessato a
lei. Forse, pensava, avrebbe potuto cercare di irretire qualche vecchio
vedovo
alla ricerca di una moglie giovane. Ma i vecchi vedovi erano
sorprendentemente
difficili da trovare, mentre le fanciulle desiderose di salvarsi la
pelle erano
parecchie, molte delle quali più graziose di lei.
Per
non parlare della questione di mamma,
pensava Aneta in una giornata di metà maggio, mentre con un
pestello sminuzzava le foglie di ortica che avrebbe poi usato per
creare un
decotto. Mai come in quei giorni trovava difficile sopportare le voci
che
sussurravano alle sue spalle, chiamandola Nata dalla Morte. Aveva quasi
l'impressione che quello che era stato un pettegolezzo quasi
dimenticato avesse
ora ripreso forza, come se le persone fossero improvvisamente tornate a
interessarsi delle circostanze della sua nascita. E forse era proprio
così.
Aveva quasi il sospetto che le altre giovani nella sua stessa
condizione
avessero preso a raccontarsi a vicenda - avendo cura di spargere quanto
più
possibile la voce - di quanto orribile fosse il modo in cui era venuta
al
mondo: era un modo come un altro per ricordare agli uomini in cerca di
moglie
che, certo, non ne avrebbero voluta una che recava su di sé
un marchio tanto
sgradevole.
Di
qualcuna
criticavano il carattere, di altre la forma del naso. Su di lei,
invece,
evocavano lo spettro della malasorte e della superstizione. Non c'è niente di strano,
rifletté Aneta,
rovesciando le foglie tritate sul piatto della bilancia posizionata sul
tavolo
davanti a lei. Lei avrebbe fatto lo stesso, se si fosse trovata nella
loro
posizione.
In
ogni caso, era
ormai da qualche settimana che sentiva incombere su di sé un
presagio funesto.
Vedeva un'unica strada davanti a sé: la via che conduceva
inesorabilmente al
grande menhir a cui venivano incatenate le vittime sacrificali, in
attesa che
gli Skald venissero a portarle via.
Aveva
più volte
provato a immaginare cosa sarebbe successo dopo,
ma quei sacrifici restavano tutto sommato un mistero. Nessuno sapeva
cosa
facessero gli uomini-lupo con le donne che venivano loro offerte:
l'unica cosa
certa era che nessuna di loro aveva più fatto ritorno per
raccontarlo. Le
giovani sparivano apparentemente nel nulla e non davano più
alcuna notizia di
sé: mai una di loro era stata vista ancora in vita, ma
nemmeno si erano mai
trovati dei corpi che ne testimoniassero la morte.
Era
proprio per
questo che Aneta trovava singolare che non ci fosse stato il bisogno di
cercare
una vittima per il primo - e, per il momento, unico -
sacrificio voluto
da Lord Gawel, dal momento che una ragazza si era offerta come
volontaria. Era
stata Malina a farsi avanti, la più bella tra le fanciulle
di Piana Bianca e,
di certo, la più religiosa. La sua fede era tale che, poco
più che bambina,
aveva fatto voto di entrare nel Tempio quale Ancella dei Tre Re.
Sebbene non
avesse ancora raggiunto i diciotto anni, età minima per
prendere i voti, non
era mai venuta meno al suo proposito di condurre una vita pia e
irreprensibile,
senza mai legarsi a nessun giovane, nonostante la sua pelle
d'alabastro, i suoi
occhi azzurri e i suoi capelli di un nero quasi innaturale -
nonché i soldi di
suo padre, che commerciava seta - facessero gola a molti.
Quando
aveva sentito
che la ragazza si era offerta per il sacrificio, Aneta aveva stentato a
credere
alla proprie orecchie: perché una persona tanto devota ai
Tre Re avrebbe dovuto
gettarsi in pasto a una divinità pagana? Poi,
però, aveva creduto di intuire la
verità: con quel gesto, Malina aveva forse voluto seguire la
legge del Re
Bianco, che predicava carità e compassione. Sacrificando se
stessa, la
fanciulla aveva salvato la vita a un'altra ragazza.
Avrebbe
tranquillamente potuto risparmiarsi la fatica,
considerò amaramente Aneta, riversando le foglie di ortica
sminuzzate all'interno di un sacchettino di lino grezzo. L'indomani,
infatti,
un'altra giovane donna sarebbe stata condotta al menhir ai margini
della
foresta. Il Marchese aveva stabilito che, come da tradizione, si
sarebbe tenuto
un sacrificio in occasione dei due solstizi e dei due equinozi. Aveva
però
anche ritenuto opportuno dare dimostrazione di buona volontà
recuperando in un
certo senso gli arretrati. Malina era stata l'offerta per il solstizio
d'inverno, mentre il giorno seguente, con quasi due mesi di ritardo,
sarebbe
stato portato agli Skald il dono dovuto in occasione dell'equinozio di
primavera.
In
assenza di
volontari, la scelta era ricaduta su Cylia, la terza figlia del vecchio
fornaio
del paese. Aneta non aveva saputo intravedere alcuna logica in quella
scelta:
Cylia era una giovane donna qualunque. Non era particolarmente bella,
era
schiva, ma educata, non aveva mai dato occasione di far parlare di
sé e la sua
famiglia difficilmente aveva dei nemici degni di nota.
Le
sembrava una
designazione del tutto casuale e la cosa la terrorizzava.
Se
non altro, mi è andata bene,
pensò Aneta, per darsi coraggio. Al
suo
posto avrei potuto esserci io.
Il
suono improvviso
del campanello appeso alla porta della piccola bottega che gestiva con
suo
padre la distrasse da quei pensieri. La ragazza ripose il sacchetto con
le
foglie d'ortica accanto a quelli che aveva già preparato in
precedenza e
sorrise alla nuova arrivata, una giovane bionda che teneva in braccio
un
bambino che doveva avere all'incirca un anno.
Mentre
la donnna si
avvicinava al bancone, Aneta cercò di fare mente locale e di
ricordarne il
nome, invano. In compenso, però, ricordava perfettamente
come la ragazza si
fosse ritrovata madre di quel bambino: quando la pancia aveva iniziato
a
crescere troppo per passare inosservata, la giovane, che al tempo era
senza
marito, era stata data in sposa a un soldato della guardia dalle dubbie
capacità intellettive. Ufficialmente si era trattato di un
matrimonio
riparatore, ma nessuno aveva mai creduto che quel bimbo che aveva gli
stessi
occhi freddi del Marchese e di Lord Marek fosse realmente figlio del
marito
della donna.
"Come
posso
aiutarti?" chiese Aneta, sorridendo.
La
donna indicò con
un cenno della mano gli scaffali posti oltre il bancone. "Avete ancora
della pomata all'arnica, giusto?" chiese, strizzando gli occhi per
vedere
meglio.
Aneta
annuì,
ruotando su se stessa per prendere il vasetto che le era stato chiesto.
"Sì, me ne è rimasto ancora un po'. È
quasi finito, ma contiamo di farne
una buona scorta durante l'estate." Tornando a fronteggiare il bancone,
Aneta incartò il barattolo di vetro e poi si rivolse
nuovamente alla sua cliente.
"Altro?"
Quella
abbassò lo
sguardo sul bambino che teneva tra le braccia. "Sono un paio di giorni
che
mio figlio si lamenta del mal di pancia. Credo che abbia ancora un po'
di
coliche: hai qualcosa che possa fargliele passare?"
Aneta
rifletté per
qualche istante. "Beh", disse, poi, "non ho niente che faccia
miracoli, ma, se vuoi, posso darti una tisana di anice e finocchio:
dovrebbe
aiutarlo a stare un po' meglio." Al cenno di assenso della sua
interlocutrice, raggiunse uno dei grandi recipienti di vetro in cui
conservava
gli ingredienti per le tisane e riempì un sacchetto di lino
con il necessario
per preparare un infuso che facesse al caso del bambino.
"Ecco
qui"
disse, tornando al bancone. Nel porgere la merce acquistata alla donna
di cui
non riusciva a ricordare il nome, la ragazza si trovò a
osservare un po' troppo
a lungo il piccolo stretto al suo petto: il suo sguardo ne
seguì i lineamenti
infantili, i capelli sottili, gli occhi dal taglio inconfondibile,
forse anche
un qualcosa nella piega delle labbra. Quando la madre del bambino
tossicchiò,
Aneta sussultò e si affrettò ad alzare gli occhi,
incontrando così quelli della
donna.
Sul
suo volto, però,
non trovò la vergogna che si scorgeva solitamente
nell'espressione delle donne
che avevano messo al mondo un piccolo bastardo. No, le sue labbra erano
piegate
in un sorriso quasi impercettibile, nel suo sguardo c'era una vaga
scintilla di
trionfo.
Quel
figlio e quel
marito che un tempo erano stati un disonore si erano improvvisamente
trasformati in una fortuna e in una protezione.
Eh,
già... Improvvisamente,
l'idea di tenere tra le braccia uno di quei marmocchi con gli occhi
freddi non
le pareva più tanto detestabile.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
La
luce dorata della sera che filtrava attraverso le
fronde degli alberi non faceva nulla per calmare il turbamento di
Aneta. Più
passava il tempo e più la ragazza si convinceva che essersi
unita alla
processione che stava scortando Cylia al menhir ai margini della
foresta fosse
stata una pessima, pessima idea.
Il
sacrificio di Malina era stato un affare privato: per evitare proteste
e
disordini, il Marchese aveva disposto che il tutto si svolgesse quasi
in
segreto. La fanciulla, orfana di entrambi i genitori, era stata
prelevata dalla
casa della zia che le dava ospitalità da un drappello di
guardie comandate da
Lord Gawel e da suo figlio, dopodiché nessuno l'aveva
più vista, né aveva più
avuto notizie di lei.
Dal
momento che non vi erano stati imprevisti, il Marchese aveva deciso di
rendere
pubblica la cerimonia che vedeva protagonista Cylia: gli abitanti di
Piana
Bianca non erano obbligati a prendervi parte, ma era loro permesso
scortare la
sfortunata giovane fino a poca distanza dalla radura in cui avrebbe
avuto luogo
il sacrificio.
Aneta
calcolò che avessero risposto all'invito in cinquanta, una
piccola folla che
procedeva silenziosa lungo la mulattiera che tagliava trasversalmente
il bosco
che si estendeva tutt'attorno al villaggio. Quasi
tutti curiosi, stimò la giovane. Non erano in
molti quelli che erano
veramente lì per dire addio a Cylia: si trattava per lo
più di persone che
volevano capire cosa sarebbe successo, che volevano vedere
cosa si provava a trovarsi nella poco invidiabile
posizione della fanciulla.
Poveretta, pensò
Aneta, con una punta di vergogna. A
nessuno gliene frega veramente qualcosa di lei. È
una cosa davvero triste.
Ed era lei la prima a sentirsi in torto: nemmeno la conosceva, Cylia,
non le
aveva parlato che un paio di volte e nei suoi confronti non provava
altro che
un po' di pietà. Aveva voluto essere presente per il
semplice fatto che sperava
che, vedendo come si svolgeva la prima parte della cerimonia, l'idea di
essere
data in dono agli Skald e alla loro strana Dea le sembrasse un po' meno
terribile. Ma si era sbagliata: il quieto terrore di Cylia, che
procedeva come
in trance, gli occhi sbarrati e le lacrime silenziose che le solcavano
le
guance scarne, e il dolore dei suoi famigliari, che piangevano e
singhiozzavano
senza però osare toccare la ragazza, avevano fatto nascere
in lei qualcosa di
buio e terribile.
Aneta
si guardò attorno, cercando di capire se le persone che le
stavano attorno
condividessero almeno in parte il suo turbamento. Le chiacchiere
sussurrate che
avevano caratterizzato i primi muniti di marcia erano ben presto
sfumate e ora
gli unici suoni che si levavano dalla piccola processione erano i
singhiozzi
dei parenti di Cylia, lo scalpiccio di diverse decine di piedi e il
passo
cadenzato dei cavalli montati da Lord Gawel e Lord Marek.
Ma
il silenzio è dovuto alla noia o all'angoscia? Non
era in grado di giudicare, o forse non
voleva farlo.
Chi
soffriva era certamente Ela, che camminava al suo fianco nascondendo
tra le
mani viso lentigginoso nel tentativo di celare le lacrime, i capelli
rossi
arruffati e spettinati. La giovane soffocò un singulto e
Aneta provò una
stretta al cuore. La ragazza era più vecchia di lei di pochi
mesi ed era la sua
sorella di latte, dal momento che sua madre aveva allattato Aneta
quando questa
aveva perso la mamma e poi si era presa cura di lei e di Marete quando
Bromyr
era stato troppo impegnato per farlo.
La
fanciulla non piangeva per se stessa - aveva marito già da
un paio d'anni e
quindi non era una candidata per il sacrificio - bensì per
Cylia. Le due erano
buone amiche e avevano condiviso i lunghi pomeriggi dell'infanzia:
quando Aneta
era stata troppo impegnata a mescolare intrugli di erbe selvatiche e a
inventare pozioni fantastiche, immaginandosi strega o guaritrice, le
due
ragazzine si erano perse in mille confidenze di sogni e paure. Se ad
Aneta non
era mai piaciuta molto, quella ragazzetta con i capelli color topo e un
naso
troppo lungo, provava comunque un profondo affetto nei confronti di Ela
e
vederla in quello stato la faceva soffrire.
Allungando
una mano verso l'amica, le strinse affettuosamente un braccio.
"Coraggio" le disse, senza però trovare la forza di piegare
le labbra
in un sorriso. Ela abbassò le mani e la fissò con
i suoi occhi verdi, resi meno
brillanti del solito dal velo di lacrime che li ricopriva. "Non
è
giusto" sussurrò con voce roca.
Aneta
stirò le labbra in una smorfia amareggiata. "Lo so. Mi
dispiace che sia
toccato proprio a lei."
Ela
annuì e poi strinse stizzosamente i pugni, mentre le gote le
si facevano rosse
per la rabbia. "Ma perché hanno scelto proprio lei?"chiese,
facendo
eco all'amica. "Non è giusto!" ripeté, senza
curarsi di tenere sotto
controllo il tono di voce.
Nell'udire
l'esclamazione della ragazza, un paio di uomini che camminavano poco
più in là
le lanciarono degli sguardi incuriositi e Aneta trasalì.
"Shh!"
intimò all'amica, facendole segno di non usare un tono tanto
alto. "Parla
piano: è meglio che non ti sentano dire certe cose."
Sebbene
non l'avesse mai dichiarato pubblicamente e in modo incontrovertibile,
era
assolutamente chiaro che il Marchese non intendeva tollerare
rimostranze o
tentativi di insubordinazione: la scorta di soldati che accompagnava il
piccolo
corteo era un segnale piuttosto inequivocabile del fatto che Lord Gawel
era intenzionato
a soffocare sul nascere ogni forma di protesta.
Occhieggiando
verso i due uomini che l'avevano sentita lamentarsi, Ela
annuì un paio di volte
e poi tornò a chinare il capo, mentre una coppia di grosse
lacrime silenziose
le scivolavano lungo le guance.
Dieci
minuti più tardi, la processione che accompagnava Cylia nel
suo ultimo viaggio
giunse ai piedi della ripida scalinata di pietra che conduceva alla
radura in
cui si trovava il menhir. I gradini di granito, scuri e consunti dai
mille e
mille passi che li avevano percorsi, si trovavano lì da
tempo immemore,
irregolari e apparentemente innocui. Con una sgradevole sensazione alla
bocca
dello stomaco, Aneta si chiese quante fanciulle in lacrime fossero
passate di
lì, e quante fossero invece le persone che li avevano
risaliti con un animo più
leggero.
Senza
una parola, il Marchese e suo figlio smontarono da cavallo e porsero le
briglie
dei loro corsieri ai due scudieri che li accompagnavano. "Non
proseguirete
oltre" disse Lord Gawel, innalzandosi sul primo scalino. "Oggi non
oltrepasserete questo limite estremo: da qui in avanti, la Figlia della
Luna
proseguirà da sola il cammino che la condurrà
verso l'elevazione."
Nell'udire
quelle parole, Aneta storse le labbra in una smorfia di
disgusto. Figlia della Luna,
ripeté in silenzio, senza
riuscire a mitigare il lampo di disprezzo che le attraversò
il volto. Che grandissima idiozia.
Cylia non è figlia di
nessuna luna: è figlia di Bhert, il fornaio, e forse dei Tre
Re. Non ha nulla a
che fare con le divinità di quei barbari pagani.
"In
lei", proseguì il Marchese, "rivive una legge antica, che
forse
abbiamo dimenticato troppo a lungo: se vogliamo avere, dobbiamo
innanzitutto dare."
Con
la coda dell'occhio, Aneta vide Ela sussultare. Voltandosi
discretamente verso l'amica,
la giovane le rivolse una preghiera silenziosa. Ti
prego, non fare idiozie, la implorò, notando un
tremito sottile scuotere le
braccia della ragazza dai capelli rossi.
Senza
aggiungere altro, Lord Gawel discese dal gradino sul quale era salito e
raggunse
i suoi uomini. Senza degnare Cylia di un'occhiata, rivolse un cenno
d'assenso
al Capitano della Guardia. Al gesto del Marchese, due uomini si mossero
e
affiancarono la giovane vittima, sostenendola per le braccia e
sospingendola
verso la scalinata che l'avrebbe condotta alla radura con il menhir.
Cylia,
che fino a quel momento aveva pianto in silenzio, si lasciò
sfuggire un lamento
gutturale, simile a quello di un animale ferito. Fu come se le forze
l'abbandonassero e la giovane si ripiegò sulle ginocchia: se
non cadde a terra,
fu solo grazie ai due soldati che le stringevano le braccia.
Un
passo alla volta, la ragazza fu condotta su per gli antichi scalini di
granito.
Già le prime persone accennavo ad allontanarsi, intuendo che
non ci sarebbe
stato altro da vedere, quando un grido improvviso spezzò il
silenzio che aveva
regnato sino a quell'istante.
"Cylia!"
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