Aneta dei Lupi

di RedeNetele
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Con delicatezza, Aneta risistemò il coperchio sopra l'arnia, facendo attenzione che non si creassero correnti d'aria che potessero nuocere alle sue preziose api di fuoco. Erano insetti pericolosi, noti per la loro aggressività e per la loro puntura estremamente dolorosa, ma il loro miele era ricco di proprietà benefiche e medicinali. Il veleno contenuto nel loro pungiglione poteva, se trattato adeguatamente, curare l'artrite e i dolori reumatici.

Retrocedendo di qualche passo e prendendosi qualche istante per assicurarsi che le api che ancora le svolazzavano attorno non dessero segni di nervosismo, la ragazza sollevò la retina che pendeva dal cappello a tesa larga e la proteggeva dalle punture degli insetti. "Padre! Io ho finito!" gridò, rivolta al genitore che, diverse decine di metri più in là, si stava ancora affaccendando attorno a un'arnia.

Concentrato sul suo lavoro, l'uomo le rispose a gesti, facendole capire capire che avrebbe dovuto avere ancora un po' di pazienza. Scrollando le spalle, Aneta si chinò e raccolse la cassetta di legno che aveva provveduto a riempire di fogli di cera. Nel chinarsi, notò che a terra, seminascosti dall'erba, c'erano i corpi senza vita di alcuni insetti gialli e rossi. Corrugando la fronte leggermente preoccupata, la giovane raccolse il cadavere di un'ape di fuoco. Ne stavano morendo più del dovuto, in quel periodo. C'era qualcosa che non andava.

Con estrema attenzione, per evitare che il pungiglione degli insetti penetrasse oltre il cuoio consumato dei suoi guanti, Aneta raccolse tutte le api e le lasciò cadere nella tasca che portava appesa alla cintura. Quella sera, si sarebbe occupata di estrarre il veleno ancora contenuto nell'ampolla posta sotto il ventre delle bestiole. Ne aveva ancora una buona scorta, ma si trattava di una risorsa troppo preziosa perché ne andasse sprecata una sola goccia.

Un alito di vento prese a spirare da sud, portandole un vago sentore di pioggia e scompigliandole le poche ciocche di capelli biondi che sfuggivano dalla treccia arrotolata attorno al capo. Pioverà di nuovo, pensò la ragazza, lanciando un'occhiata corrucciata alle nuvole scure che si ammucchiavano sopra ai modesti rilievi che sorgevano a sud del villaggio. Era stata una primavera estremamente piovosa e la stagione era in ritardo di quasi un mese. Se il tempo non si fosse messo al meglio quanto prima, le messi ne avrebbero risentito e, una volta giunto l'inverno, la situazione avrebbe potuto farsi problematica.

"Ecco fatto!"

Distogliendo lo sguardo dall'orizzonte, Aneta vide che suo padre aveva richiuso le arnie alle quali stava lavorando e si stava ora dirigendo verso di lei, tenendo tra le mani una cassetta che era almeno il doppio di quella che era stata affidata a lei. Affrettandosi a raggiungerlo, la giovane fece per tendere una mano per aiutarlo. "Aspetta" lo esortò. "Pesa troppo, portiamola un po' per uno."

L'uomo scosse il capo ed emise un mugolio di dissenso. "Ce la faccio" la rassicurò, rivolgendole quel sorrisetto storto che tanto le piaceva. "Tu pensa a recuperare la tua."

La giovane esitò per qualche istante, poi fece come le era stato chiesto e recuperò la propria cassetta, provvedendo a caricarla sul carretto trainato da Moscerino, l'anziano asino di famiglia. La povera bestia era talmente malconcia che, ormai, veniva utilizzata solo per compiti minori: in cuor suo, Aneta pensava che fosse uno spreco tenere in vita un animale che chiedeva molto e, in cambio, dava estremamente poco, ma la bestia era più vecchia di lei e non si sarebbe mai sentita di mandarla al macello.

Prendendo le redini di Moscerino, Bromyr, il padre di Aneta, si voltò verso la figlia. "Possiamo andare?"

Prima che la giovane potesse dare il proprio assenso, però, l'aria fu attraversata dal suono vibrante di un corno. Uno squillo lungo, uno squillo breve e un ultimo squillo prolungato. La ragazza ebbe l'impressione che il sangue le si ghiacciasse nelle vene. Senza emettere un suono, incontrò gli occhi del padre e vi lesse il suo stesso smarrimento. "Sono gli Skald" mormorò l'uomo, constatando ciò di cui erano entrambi perfettamente consapevoli. "Al villaggio, veloce!"

Così dicendo, Bromyr sciolse i finimenti che legavano Moscerino al carretto e lasciò l'animale libero di muoversi come meglio credeva. Come intuendo il pericolo imminente, l'asino si avviò trotterellando in direzione della stalla, distanziando ben presto i due umani. 

Mentre già suo padre si avviava a passo rapido verso il villaggio e la relativa sicurezza data dall'alto recinto di pali appuntiti, Aneta lanciò un'occhiata carica di rimpianto alle due cassette piene di miele. Anche se era piuttosto improbabile che gli Skald distruggessero le arnie - le punture delle api di fuoco erano dolorose anche per loro - non aveva alcun dubbio a proposito del fatto che gli uomini-lupo avrebbero rubato il raccolto della giornata.

Maledetti selvaggi! Pensò, stringendo i pugni in un moto di rabbia e di disprezzo nei confronti dei predoni che vivevano nei boschi, insidiando la vita della gente per bene. "Aneta!" Il richiamo di suo padre la riscosse e la giovane raccolse le gonne e trotterellò in direzione del genitore, affrettandosi ad allontanarsi dalla foresta e dal pericolo. Sfortunatamente, non c'era niente che potesse fare per cambiare le cose.

Il corno della sentinella continuava a lanciare il proprio richiamo e, con la coda dell'occhio, la ragazza vide alcuni suoi concittadini che fino a poco tempo prima erano stati impegnati nei campi correre verso il villaggio. Non udiva grida, né altri rumori che lasciassero presagire che ci fosse un combattimento in corso: evidentemente, anche quel giorno la sentinella aveva fatto un buon lavoro ed era riuscita a dare l'allarme prima che il nemico potesse cogliere qualcuno di sorpresa.

Quando ebbero raggiunto la recinzione, Aneta vide che i preparativi per la difesa erano già in atto: i soldati si stavano disponendo lungo le passerelle superiori, le lance puntate, le spade sguainate, le torce accese. Nel vederli, la giovane provò una stretta al cuore: sapeva che erano uomini addestrati, ma sapeva altrettanto bene che le armi comuni potevano poco contro la ferocia degli uomini-lupo. Forse avrebbero respinto l'attacco, ma non senza subire alcuna perdita.

Al centro della piazza sterrata posta di fronte all'entrata principale della recinzione, un altro soldato impartiva a gran voce le istruzioni ai propri concittadini. "Veloci!" gridava. "Ognuno al proprio Rifugio! Dovete raggiungere il Rifugio che vi è stato assegnato: rimangano solo gli uomini addestrati a combattere!"

Quasi temesse di perderla tra la folla concitata, Bromyr posò una mano sulla spalla della figlia e la sospinse verso il luogo in cui si trovava la grande costruzione fortificata chiamata Rifugio Est. Ce n'erano quattro, disposte ai quattro punti cardinali, ognuna delle quali raccoglieva un quarto delle poche centinaia di abitanti di Piana Bianca, proteggendo la gente dietro porte robuste, pareti fortificate e tre file di possenti pali di faggio.

Muovendosi quasi in automatico, Aneta lasciò che il padre la guidasse lungo il percorso che le era ormai famigliare. Non era la prima volta che doveva cercare riparo dietro quelle porte, anzi: negli ultimi anni, gli attacchi degli Skald si erano fatti più frequenti di un tempo. La giovane era ormai abituata agli sguardi tesi, alle posture irrigidite, alle parole mormorate con la gola stretta dal nervosismo e si era dunque aspettata di ritrovarli anche in quell'occasione. Ciò che non si era aspettata, però, era il fatto che la panca d'onore, quella posta in una posizione rialzata, il più lontano possibile dalla porta d'ingresso, fosse occupata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Oggettivamente non c'era nulla di strano nel fatto che il Marchese e la sua famiglia si trovassero lì. Per loro non valeva la regola che obbligava gli abitanti di Piana Bianca a ripararsi nel Rifugio a cui erano stati assegnati: il rango nobiliare dava loro il diritto di sfruttare il Rifugio più comodo e vicino.

Aneta rimase comunque a osservarli per qualche istante, colta di sorpresa da quell'incontro inaspettato. Anche se quelli che erano a tutti gli effetti i padroni del villaggio non sembravano dedicare la minima attenzione ai popolani raccolti ai loro piedi, la giovane non riusciva a fare a meno di sentirsi a disagio, al cospetto di quelle persone.

Lord Gawel, il Marchese, non era mai stato un guerriero, ma la sua intelligenza e il suo carisma l'avevano portato in alto. Il suo fascino gli aveva permesso di ottenere l'ammirazione dei soldati della guardia, che ancora governava con fermezza nonostante fosse ormai entrato nella sesta decade della sua vita. Aneta lo temeva. Anche se non aveva mai avuto direttamente a che fare con lui, ne era intimorita per ragioni che nemmeno lei sapeva spiegarsi. Forse era per via dello sguardo gelido con cui era solito trapassare chi gli stava di fronte, forse il motivo era da ricercarsi nella ferocia composta che le pareva di intravedere nei suoi gesti: ad ogni modo, preferiva incrociare il suo cammino il più raramente possibile.

La Marchesa non le pareva molto più rassicurante. Figlia di un Conte delle Scogliere Occidentali, Lady Nevena era solo di qualche anno più giovane del marito, ma mancava completamente del suo carisma. Gelida e distaccata, la donna sembrava aver fatto suo il rigore delle rocce nere della sua terra natia: come esse era infatti scura, dura e silenziosa. Stando a quanto raccontavano le voci che correvano per il villaggio, il suo temperamento, già cupo per natura, era stato ulteriormente inasprito dai numerosi tradimenti consumati dal Marchese nel corso degli anni.

Quello che però le piaceva meno di tutti era Marek, l'unico figlio maschio dei Marchesi e il solo che il matrimonio non avesse portato lontano dal villaggio. Il giovane aveva ereditato l'aspetto piacente del padre e il suo amore per le donne, ma non era provvisto della stessa accortezza di cui era dotato il genitore: era una testa calda che seguiva i propri desideri con decisione e arroganza, senza preoccuparsi dell'effetto che le sue passioni avrebbero potuto avere sul prossimo.

Con la coda dell'occhio, Aneta guardò Lady Ylena, la giovane nobildonna che Marek aveva sposato l'anno prima. La poveretta non doveva avere una vita facile. Pallida e minuta, possedeva una bellezza rara, ma pareva del tutto priva di una volontà propria, sottomessa com'era al volere della famiglia del marito. Era bionda, cosa che non aveva mancato di far nascere un sorriso di scherno sulle labbra degli abitanti del villaggio che l'avevano vista per la prima volta: Marek aveva una lunga storia di conquiste dai capelli chiari, tant'era vero che a Piana Bianca c'erano molti bambini che assomigliavano a Lord Marek o al Marchese suo padre.

Inconsciamente, Aneta si sfiorò con una mano la treccia pallida. Era consapevole di avere un corpo fin troppo asciutto e un viso piuttosto ordinario, ma sapeva anche di non aver alcun grosso difetto che potesse renderla indiscutibilmente brutta agli occhi di Marek: se non aveva ancora attirato la sua attenzione, era con ogni probabilità una questione di mera fortuna.

"Riesci a vederli?"

La voce di Bromyr la fece sussultare e Aneta si voltò di scatto verso il padre. Di chi stava parlando? Aveva forse notato che stava osservando un po' troppo intensamente i Marchesi? Lo sguardo dell'uomo non era però rivolto verso il palchetto riservato ai nobili, ma era diretto verso il punto in cui la folla era più fitta. Scuotendo appena la testa per liberarla dai pensieri che l'avevano ingombrata fino a qualche istante prima, la giovane comprese che il padre stava cercando Marete, la maggiore delle sue figlie.

"Io..." Aneta fu sul punto di negare, poi i suoi occhi scorsero la testa scura di Stefek, suo cognato. "Sì! Eccoli là, sotto la seconda feritoia."

Bromyr si illuminò e si incamminò immediatamente verso la coppia, facendo segno alla figlia minore di seguirlo. Pochi istanti più tardi stava abbracciando Marete, allargando le braccia per superare l'ostacolo del suo ventre gonfio a causa della gravidanza ormai avanzata. "State bene?" chiese, facendo danzare gli occhi tra la figlia e il genero.

L'uomo più giovane annuì. "Sì. Fortunatamente eravamo in bottega e non abbiamo dovuto fare troppa strada per venire qui. Marete inizia a fare fatica a camminare... anche se non lo ammetterebbe mai."

A conferma di quelle parole, Marete colpì il marito con il dorso della mano. "Oh, ma finiscila! Mi tratti come se fossi malata, quando, in realtà, io sto benissimo!"

Stefek sorrise e i suoi occhi neri si accesero di una luce gentile, chiaro segnale dell'amore che provava per la moglie. Aneta lo guardò di sottecchi, mentre un briciolo di gelosia le pungeva lo stomaco. Anche a lei sarebbe piaciuto avere qualcuno che la guardasse in quel modo, eppure, sebbene avesse già vent'anni - solo uno e mezzo meno di Marete - non aveva ancora incontrato un ragazzo in grado di attirare la sua attenzione e il suo affetto. Era una cosa insolita, da quelle parti. Se nei giorni in cui era di buon umore si diceva che non era che una questione di tempo, quando si sentiva più pessimista non poteva fare a meno di pensare che le sfortunate circostanze della sua nascita avessero qualcosa a che fare con il fatto che gli uomini in età da matrimonio parevano girarle bene al largo. Sua madre era morta di parto. Sebbene suo padre le avesse raccontato che la moglie era morta quando Aneta aveva pochi giorni, c'era chi sussurrava una verità differente, messa in giro, si diceva, dalla levatrice che l'aveva aiutata a nascere. C'era chi sosteneva che la donna fosse morta prima di dare alla luce la figlia e che la levatrice avesse strappato la neonata dal corpo già senza vita della madre.

Nata dalla morte. Aneta nemmeno se lo ricordava, quand'era stata la prima volta che aveva sentito qualcuno riferirsi a lei in quei termini. Nessuno ne parlava più, oramai, ma quell'ipotesi era stata formulata da labbra sconosciute, in passato, e aveva messo radici nell'opinione comune. Non era un reato, non era un crimine, ma era comunque un'ombra scura che aleggiava sulla giovane. Era un segno di sventura; una superstizione, certo, ma era sufficiente a dare ad Aneta l'impressione di essere guardata con sospetto.

Ignaro dei pensieri che stavano attraversando la mente della sua figlia minore, Bromyr strinse affettuosamente il braccio di Marete e fece per dire qualcosa, ma un movimento proveniente dalla panca d'onore lo indusse a tacere e a voltarsi.

Il Marchese, che fino a pochi attimi prima si era limitato a restare seduto guardando nel vuoto con aria annoiata, si era improvvisamente alzato in piedi. Quella semplice azione era stata sufficiente a far sfumare le conversazioni sussurrate che riempivano il Rifugio, mentre i cittadini tacevano e attendevano che prendesse la parola.

"Quello di oggi è il quarto attacco degli Skald nel giro di due mesi" annunciò. Una delle caratteristiche di Lord Gawel era quella di non avere mai bisogno di urlare per farsi sentire e ascoltare: gli bastava parlare con la sua voce limpida e sicura perché chi gli stava di fronte pendesse dalle sue labbra. "Così non possiamo andare avanti: dobbiamo prendere provvedimenti."

Per qualche motivo, nell'udire quelle parole Aneta sentì la propria pelle contrarsi in preda a un presentimento oscuro.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


"Dobbiamo capire", continuò il Marchese, "perché ci attaccano. Che cosa vogliono? Perché lasciano i boschi e si spingono fino ai nostri villaggi, pur sapendo che vi troveranno uomini coraggiosi, pronti a combatterli per difendere le proprie case e le proprie famiglie?"

Gli occhi chiari di Lord Gawel scivolarono lenti sulla folla che riempiva la sala, quasi sfidando gli uomini e le donne radunati nel Rifugio a rispondere a quella che era senz'ombra di dubbio una domanda retorica. Perché il Marchese la conosceva, la risposta al quesito che aveva appena posto.

"Che cosa vogliono?" ripeté, scandendo le sillabe, come a suggerire la risposta a chi gli stava davanti. "Per quanto scomoda possa essere, la verità è una soltanto: vogliono che manteniamo la parola data."

Aneta ebbe l'impressione che, con lei, l'intera folla tradisse un sussulto e un brivido silenzioso. La ragazza abbassò nervosamente il capo, fissando con aria vacua la schiena dell'uomo fermo davanti a lei. Anche se il patto a cui alludeva il Marchese era stato stretto parecchi anni prima della sua nascita, era piuttosto certa di aver capito a cosa si stesse riferendo, quando diceva che occorreva rispettare la parola data.

L'accordo era uno di quelli che si facevano nelle leggende o nei racconti dei Barbari dei tempi antichi: gli Skald avrebbero garantito la pace se, in cambio, fosse stata data loro una fanciulla da sacrificare alla Dea Luna. Era stato il terzo Marchese di Piana Bianca a fare quel patto con quello che era all'epoca il Re degli Skald - con il beneplacito, si intende, del Duca dell'intero Distretto dei Tre Fiumi.

Erano ormai quasi due decenni che quella pratica era stata abbandonata: gli ultimi sacrifici erano stati fatti quando Aneta era molto piccola, e anche allora si era trattato di avvenimenti sporadici, che coinvolgevano perlopiù donne che erano state condannate per i crimini commessi. E adesso il Marchese sta dicendo che dovremmo ricominciare a sacrificare delle ragazze? Pensò la giovane, con un moto di sconforto. Non può essere serio!

Non doveva essere l'unica a pensarla in quel modo, perché presto il Rifugio si riempì di un brusio concitato. Lord Gawel lasciò passare qualche istante, poi levò le mani per attirare l'attenzione dei presenti. "È una scelta dolorosa, lo so, ma è l'unica che ci viene concessa" disse. Sebbene le sue parole esprimessero rammarico, Aneta trovò che la sua voce fosse totalmente priva di inflessioni particolari.

Nonostante l'intervento del Marchese, i mormorii non si placarono e un uomo a poco distanza dalla panca d'onore si rivolse direttamente a Lord Gawel. Era Towil, un mercante che grazie ai propri commerci aveva raggiunto una certa agiatezza economica e che aveva certamente particolare interesse che gli attacchi degli Skald tornassero a farsi più radi. "Perché non possiamo continuare a combatterli come abbiamo fatto sin'ora? Sono loro che cercano lo scontro, non noi: non vedo perché dovremmo piegarci al loro volere."

Il Marchese gli rivolse un piccolo sorriso accondiscendente che non ammorbidì i suoi gelidi occhi azzurri. "Capisco i tuoi dubbi. Del resto, sono gli stessi espressi dalla Marchesa pochi giorni fa." Così dicendo, Lord Gawel si voltò per guardare la consorte. Lady Nevena irrigidì la propria postura. Le rughe che le solcavano il volto si fecero più profonde e i suoi occhi scuri e affossati parvero ardere come brace, ma la donna non disse nulla.

"Purtroppo, però, non possiamo ignorare il fatto che questi continui scontri ci stanno logorando lentamente" riprese il Marchese, le labbra strette in una smorfia amareggiata. "Abbiamo sempre respinto gli Skald, è vero, ma il prezzo che abbiamo pagato e che stiamo pagando anche in questo momento non è indifferente: quanti uomini abbiamo già perso? Quanti ne perderemo ancora?"

Aneta chinò il capo, rigirandosi nella mente le parole di Lord Gawel. Per quanto poco le piacesse ammetterlo, non poteva negare che il Marchese avesse ragione: ogni volta che gli Skald si ritiravano, lasciavano sul campo diverse vittime appartenenti a entrambi gli schieramenti.

"E come facciamo a sapere che, una volta che avremo consegnato loro le nostre donne, quelle bestie non ci attaccheranno comunque?" fece ancora Towil, in quello che era un tono apertamente provocatorio.

Il Marchese sostenne lo sguardo del mercante, apparentemente poco turbato dal fatto che un uomo che gli era inferiore per status sociale e lignaggio osasse confrontarlo in maniera tanto diretta. "In passato, gli Skald hanno sempre tenuto fede all'accordo. Lo faranno anche questa volta, ne sono certo: non sono uomini come noi. Sono creature del bosco, fedeli alla loro Dea Luna, che impone loro delle regole diverse da quelle che i Tre Re impongono a noi. Per loro, infrangere un giuramento equivale ad andare incontro a una condanna a morte."

Improvvisamente, il Marchese si interruppe e si voltò bruscamente verso Lady Nevena. "Hai qualcosa da aggiungere in proposito, mia Signora?" le chiese, con una voce che ad Aneta parve tagliente come la lama di un coltello.

La Marchesa incrociò rigidamente le mani in grembo. "Gli Skald sono cambiati, non rispettano più le tradizioni dei loro padri" commentò, asciutta. Aveva una curiosa voce roca, come di chi avesse taciuto a lungo. "Non v'è alcuna garanzia del fatto che diverranno più amichevoli nei nostri confronti."

"Sento la tua voce, mia Signora, ma le parole appartengono a tuo padre" replicò, di rimando, Lord Gawel.

"Mio padre è morto" ribatté la Marchesa. "Temi forse che le parole di un uomo morto possano minare la tua autorità?"

Nel Rifugio si levarono nuovamente dei mormorii, subito soffocati però dall'occhiata del Marchese. Aneta si ritrovò a distogliere lo sguardo dalla panca d'onore, sentendosi decisamente a disagio per avere dovuto assistere a quello che aveva tutta l'aria di essere un litigio tra coniugi. Sapeva, per sentito dire, che i rapporti tra i due non erano esattamente idilliaci, ma era la prima volta che vedeva Lady Nevena tenere testa in quel modo al marito. Ciò che più la turbò, però, fu il retrogusto amaro - quasi pregno d'odio - che le parve di cogliere nel tono della donna.

"Tuo padre è morto", confermò Lord Gawel, "ma tuo fratello gode di ottima salute e si è più volte dimostrato intenzionato a seguire fedelmente le sue tracce. A volte mi chiedo se le idee di Lord Dramir non vivano ancora in entrambi i suoi figli."

La Marchesa inarcò un sopracciglio, nero come la pece malgrado l'età ormai piuttosto avanzata. "Stai forse mettendo in dubbio la mia lealtà nei tuoi confronti e nei confronti di questa terra, mio Signore?"

Prima che il Marchese potesse controbattere, Marek, che fino a quel momento si era limitato a seguire lo scambio in silenzio, allungò un braccio verso i genitori. "Madre, ti prego" fece, parlando con voce calma e morbida, in netto contrasto con quella tesa dei Marchesi. "Non è certo questo il luogo migliore per discutere di questi argomenti. La nostra gente ha bisogno di stabilità e certezze... Non dobbiamo far nascere in loro dei dubbi che non hanno motivo di esistere."

Quali dubbi? Paradossalmente, Aneta non si era mai preoccupata un gran ché delle logiche del potere che governavano la vita nelle Province del Distretto dei Tre Fiumi: del resto, si trattava di una regione piuttosto tranquilla, se si escludevano gli attacchi degli Skald, priva di ricchezze che non fossero quelle che provenivano dai campi coltivati. Quali beghe politiche dovrebbero esserci, in un posto come questo? Eppure, il commento del giovane Lord le faceva ora venire il dubbio che le cose fossero più complesse di ciò che aveva sempre pensato.

"Hai ragione, figlio mio" annuì il Marchese. "È meglio rimandare a un altro momento questi discorsi. Non ne discuteremo oltre, per ora."  Così dicendo, l'uomo tornò ad adagiarsi contro l'alto schienale della panca. Non indirizzò nemmeno uno sguardo alla moglie, ma il cenno che le rivolse fu perfettamente eloquente: non si sarebbe dovuta azzardare a sollevare nuovamente la questione.

Lady Nevena, che durante la discussione si era sporta leggermente verso il marito, tornò ad assumere la posa rigida e composta che aveva tenuto per tutto il resto del tempo. Così, per caso, gli occhi neri della Marchesa incontrarono quelli grigi di Aneta: in essi la giovane vide una fiamma, un bagliore, e provò una scossa alla bocca dello stomaco che la lasciò spiazzata.

Fu allora che si accorse che, sulla scia di quello sguardo, altri occhi la stavano fissando: quelli di Lord Marek, che, notando la sua espressione smarrita, le rivolse un ghigno divertito. 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


E così era stato deciso. Era passato più di un mese da quando gli Skald avevano attaccato il villaggio e Aneta si era trovata a condividere il Rifugio con i Marchesi. Anche se le successive spedizioni degli uomini-lupo erano state poco più che scorribande volte a rubare qualche pecora e a fare razzia negli orti, Lord Gawel era stato inflessibile: i sacrifici sarebbero ripresi.

Non senza un certo sgomento, Aneta aveva visto crollare poco alla volta le riserve dei suoi concittadini: ben presto, tutti avevano concordato che quella era la strada migliore da percorrere, la più saggia. E se anche qualcuno non si fosse trovato d'accordo, si sarebbe comunque ben guardato dall'esternare le proprie perplessità, per timore che queste attirassero su di lui delle attenzioni poco gradite. Tacevano dunque le fanciulle che avrebbero potuto ritrovarsi vittime del sacrificio, tacevano i mercanti che avrebbero volentieri sterminato gli Skald come le bestie che erano, taceva Lady Nevena, qualunque fossero state le motivazioni che l'avevano spinta a opporsi al marito, il giorno in cui si erano scontrati al Rifugio.

Taceva anche Bromyr, all'apparenza, anche se, ormai, tutte le sue conversazioni con la figlia minore vertevano su un'unico argomento: la necessità di trovarle un marito, e in fretta. Conformemente a quello che era l'accordo stretto originariamente con gli Skald, infatti, si era deciso che non sarebbero state sacrificate le giovani sposate, che fossero state madri di figli o che avrebbero presto potuto diventarlo.

Ma Aneta non poteva inventarsi un marito da un giorno all'altro. Non c'era nessuno che le piacesse e, cosa più importante, nessuno che si fosse apertamente mostrato interessato a lei. Forse, pensava, avrebbe potuto cercare di irretire qualche vecchio vedovo alla ricerca di una moglie giovane. Ma i vecchi vedovi erano sorprendentemente difficili da trovare, mentre le fanciulle desiderose di salvarsi la pelle erano parecchie, molte delle quali più graziose di lei.

Per non parlare della questione di mamma, pensava Aneta in una giornata di metà maggio, mentre con un pestello sminuzzava le foglie di ortica che avrebbe poi usato per creare un decotto. Mai come in quei giorni trovava difficile sopportare le voci che sussurravano alle sue spalle, chiamandola Nata dalla Morte. Aveva quasi l'impressione che quello che era stato un pettegolezzo quasi dimenticato avesse ora ripreso forza, come se le persone fossero improvvisamente tornate a interessarsi delle circostanze della sua nascita. E forse era proprio così. Aveva quasi il sospetto che le altre giovani nella sua stessa condizione avessero preso a raccontarsi a vicenda - avendo cura di spargere quanto più possibile la voce - di quanto orribile fosse il modo in cui era venuta al mondo: era un modo come un altro per ricordare agli uomini in cerca di moglie che, certo, non ne avrebbero voluta una che recava su di sé un marchio tanto sgradevole.

Di qualcuna criticavano il carattere, di altre la forma del naso. Su di lei, invece, evocavano lo spettro della malasorte e della superstizione. Non c'è niente di strano, rifletté Aneta, rovesciando le foglie tritate sul piatto della bilancia posizionata sul tavolo davanti a lei. Lei avrebbe fatto lo stesso, se si fosse trovata nella loro posizione.

In ogni caso, era ormai da qualche settimana che sentiva incombere su di sé un presagio funesto. Vedeva un'unica strada davanti a sé: la via che conduceva inesorabilmente al grande menhir a cui venivano incatenate le vittime sacrificali, in attesa che gli Skald venissero a portarle via.

Aveva più volte provato a immaginare cosa sarebbe successo dopo, ma quei sacrifici restavano tutto sommato un mistero. Nessuno sapeva cosa facessero gli uomini-lupo con le donne che venivano loro offerte: l'unica cosa certa era che nessuna di loro aveva più fatto ritorno per raccontarlo. Le giovani sparivano apparentemente nel nulla e non davano più alcuna notizia di sé: mai una di loro era stata vista ancora in vita, ma nemmeno si erano mai trovati dei corpi che ne testimoniassero la morte.

Era proprio per questo che Aneta trovava singolare che non ci fosse stato il bisogno di cercare una vittima per il primo - e, per il momento, unico -  sacrificio voluto da Lord Gawel, dal momento che una ragazza si era offerta come volontaria. Era stata Malina a farsi avanti, la più bella tra le fanciulle di Piana Bianca e, di certo, la più religiosa. La sua fede era tale che, poco più che bambina, aveva fatto voto di entrare nel Tempio quale Ancella dei Tre Re. Sebbene non avesse ancora raggiunto i diciotto anni, età minima per prendere i voti, non era mai venuta meno al suo proposito di condurre una vita pia e irreprensibile, senza mai legarsi a nessun giovane, nonostante la sua pelle d'alabastro, i suoi occhi azzurri e i suoi capelli di un nero quasi innaturale - nonché i soldi di suo padre, che commerciava seta - facessero gola a molti.

Quando aveva sentito che la ragazza si era offerta per il sacrificio, Aneta aveva stentato a credere alla proprie orecchie: perché una persona tanto devota ai Tre Re avrebbe dovuto gettarsi in pasto a una divinità pagana? Poi, però, aveva creduto di intuire la verità: con quel gesto, Malina aveva forse voluto seguire la legge del Re Bianco, che predicava carità e compassione. Sacrificando se stessa, la fanciulla aveva salvato la vita a un'altra ragazza.

Avrebbe tranquillamente potuto risparmiarsi la fatica, considerò amaramente Aneta, riversando le foglie di ortica sminuzzate all'interno di un sacchettino di lino grezzo. L'indomani, infatti, un'altra giovane donna sarebbe stata condotta al menhir ai margini della foresta. Il Marchese aveva stabilito che, come da tradizione, si sarebbe tenuto un sacrificio in occasione dei due solstizi e dei due equinozi. Aveva però anche ritenuto opportuno dare dimostrazione di buona volontà recuperando in un certo senso gli arretrati. Malina era stata l'offerta per il solstizio d'inverno, mentre il giorno seguente, con quasi due mesi di ritardo, sarebbe stato portato agli Skald il dono dovuto in occasione dell'equinozio di primavera.

In assenza di volontari, la scelta era ricaduta su Cylia, la terza figlia del vecchio fornaio del paese. Aneta non aveva saputo intravedere alcuna logica in quella scelta: Cylia era una giovane donna qualunque. Non era particolarmente bella, era schiva, ma educata, non aveva mai dato occasione di far parlare di sé e la sua famiglia difficilmente aveva dei nemici degni di nota.

Le sembrava una designazione del tutto casuale e la cosa la terrorizzava.

Se non altro, mi è andata bene, pensò Aneta, per darsi coraggio. Al suo posto avrei potuto esserci io.

Il suono improvviso del campanello appeso alla porta della piccola bottega che gestiva con suo padre la distrasse da quei pensieri. La ragazza ripose il sacchetto con le foglie d'ortica accanto a quelli che aveva già preparato in precedenza e sorrise alla nuova arrivata, una giovane bionda che teneva in braccio un bambino che doveva avere all'incirca un anno.

Mentre la donnna si avvicinava al bancone, Aneta cercò di fare mente locale e di ricordarne il nome, invano. In compenso, però, ricordava perfettamente come la ragazza si fosse ritrovata madre di quel bambino: quando la pancia aveva iniziato a crescere troppo per passare inosservata, la giovane, che al tempo era senza marito, era stata data in sposa a un soldato della guardia dalle dubbie capacità intellettive. Ufficialmente si era trattato di un matrimonio riparatore, ma nessuno aveva mai creduto che quel bimbo che aveva gli stessi occhi freddi del Marchese e di Lord Marek fosse realmente figlio del marito della donna.

"Come posso aiutarti?" chiese Aneta, sorridendo.

La donna indicò con un cenno della mano gli scaffali posti oltre il bancone. "Avete ancora della pomata all'arnica, giusto?" chiese, strizzando gli occhi per vedere meglio.

Aneta annuì, ruotando su se stessa per prendere il vasetto che le era stato chiesto. "Sì, me ne è rimasto ancora un po'. È quasi finito, ma contiamo di farne una buona scorta durante l'estate." Tornando a fronteggiare il bancone, Aneta incartò il barattolo di vetro e poi si rivolse nuovamente alla sua cliente. "Altro?" 

Quella abbassò lo sguardo sul bambino che teneva tra le braccia. "Sono un paio di giorni che mio figlio si lamenta del mal di pancia. Credo che abbia ancora un po' di coliche: hai qualcosa che possa fargliele passare?"

Aneta rifletté per qualche istante. "Beh", disse, poi, "non ho niente che faccia miracoli, ma, se vuoi, posso darti una tisana di anice e finocchio: dovrebbe aiutarlo a stare un po' meglio." Al cenno di assenso della sua interlocutrice, raggiunse uno dei grandi recipienti di vetro in cui conservava gli ingredienti per le tisane e riempì un sacchetto di lino con il necessario per preparare un infuso che facesse al caso del bambino.

"Ecco qui" disse, tornando al bancone. Nel porgere la merce acquistata alla donna di cui non riusciva a ricordare il nome, la ragazza si trovò a osservare un po' troppo a lungo il piccolo stretto al suo petto: il suo sguardo ne seguì i lineamenti infantili, i capelli sottili, gli occhi dal taglio inconfondibile, forse anche un qualcosa nella piega delle labbra. Quando la madre del bambino tossicchiò, Aneta sussultò e si affrettò ad alzare gli occhi, incontrando così quelli della donna.

Sul suo volto, però, non trovò la vergogna che si scorgeva solitamente nell'espressione delle donne che avevano messo al mondo un piccolo bastardo. No, le sue labbra erano piegate in un sorriso quasi impercettibile, nel suo sguardo c'era una vaga scintilla di trionfo.

Quel figlio e quel marito che un tempo erano stati un disonore si erano improvvisamente trasformati in una fortuna e in una protezione.

Eh, già... Improvvisamente, l'idea di tenere tra le braccia uno di quei marmocchi con gli occhi freddi non le pareva più tanto detestabile.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


La luce dorata della sera che filtrava attraverso le fronde degli alberi non faceva nulla per calmare il turbamento di Aneta. Più passava il tempo e più la ragazza si convinceva che essersi unita alla processione che stava scortando Cylia al menhir ai margini della foresta fosse stata una pessima, pessima idea.

Il sacrificio di Malina era stato un affare privato: per evitare proteste e disordini, il Marchese aveva disposto che il tutto si svolgesse quasi in segreto. La fanciulla, orfana di entrambi i genitori, era stata prelevata dalla casa della zia che le dava ospitalità da un drappello di guardie comandate da Lord Gawel e da suo figlio, dopodiché nessuno l'aveva più vista, né aveva più avuto notizie di lei.

Dal momento che non vi erano stati imprevisti, il Marchese aveva deciso di rendere pubblica la cerimonia che vedeva protagonista Cylia: gli abitanti di Piana Bianca non erano obbligati a prendervi parte, ma era loro permesso scortare la sfortunata giovane fino a poca distanza dalla radura in cui avrebbe avuto luogo il sacrificio.

Aneta calcolò che avessero risposto all'invito in cinquanta, una piccola folla che procedeva silenziosa lungo la mulattiera che tagliava trasversalmente il bosco che si estendeva tutt'attorno al villaggio. Quasi tutti curiosi, stimò la giovane. Non erano in molti quelli che erano veramente lì per dire addio a Cylia: si trattava per lo più di persone che volevano capire cosa sarebbe successo, che volevano vedere cosa si provava a trovarsi nella poco invidiabile posizione della fanciulla.

Poveretta, pensò Aneta, con una punta di vergogna. A nessuno gliene frega veramente qualcosa di lei. È una cosa davvero triste.  Ed era lei la prima a sentirsi in torto: nemmeno la conosceva, Cylia, non le aveva parlato che un paio di volte e nei suoi confronti non provava altro che un po' di pietà. Aveva voluto essere presente per il semplice fatto che sperava che, vedendo come si svolgeva la prima parte della cerimonia, l'idea di essere data in dono agli Skald e alla loro strana Dea le sembrasse un po' meno terribile. Ma si era sbagliata: il quieto terrore di Cylia, che procedeva come in trance, gli occhi sbarrati e le lacrime silenziose che le solcavano le guance scarne, e il dolore dei suoi famigliari, che piangevano e singhiozzavano senza però osare toccare la ragazza, avevano fatto nascere in lei qualcosa di buio e terribile.

Aneta si guardò attorno, cercando di capire se le persone che le stavano attorno condividessero almeno in parte il suo turbamento. Le chiacchiere sussurrate che avevano caratterizzato i primi muniti di marcia erano ben presto sfumate e ora gli unici suoni che si levavano dalla piccola processione erano i singhiozzi dei parenti di Cylia, lo scalpiccio di diverse decine di piedi e il passo cadenzato dei cavalli montati da Lord Gawel e Lord Marek. 

Ma il silenzio è dovuto alla noia o all'angoscia? Non era in grado di giudicare, o forse non voleva farlo.

Chi soffriva era certamente Ela, che camminava al suo fianco nascondendo tra le mani viso lentigginoso nel tentativo di celare le lacrime, i capelli rossi arruffati e spettinati. La giovane soffocò un singulto e Aneta provò una stretta al cuore. La ragazza era più vecchia di lei di pochi mesi ed era la sua sorella di latte, dal momento che sua madre aveva allattato Aneta quando questa aveva perso la mamma e poi si era presa cura di lei e di Marete quando Bromyr era stato troppo impegnato per farlo.

La fanciulla non piangeva per se stessa - aveva marito già da un paio d'anni e quindi non era una candidata per il sacrificio - bensì per Cylia. Le due erano buone amiche e avevano condiviso i lunghi pomeriggi dell'infanzia: quando Aneta era stata troppo impegnata a mescolare intrugli di erbe selvatiche e a inventare pozioni fantastiche, immaginandosi strega o guaritrice, le due ragazzine si erano perse in mille confidenze di sogni e paure. Se ad Aneta non era mai piaciuta molto, quella ragazzetta con i capelli color topo e un naso troppo lungo, provava comunque un profondo affetto nei confronti di Ela e vederla in quello stato la faceva soffrire.

Allungando una mano verso l'amica, le strinse affettuosamente un braccio. "Coraggio" le disse, senza però trovare la forza di piegare le labbra in un sorriso. Ela abbassò le mani e la fissò con i suoi occhi verdi, resi meno brillanti del solito dal velo di lacrime che li ricopriva. "Non è giusto" sussurrò con voce roca.

Aneta stirò le labbra in una smorfia amareggiata. "Lo so. Mi dispiace che sia toccato proprio a lei."

Ela annuì e poi strinse stizzosamente i pugni, mentre le gote le si facevano rosse per la rabbia. "Ma perché hanno scelto proprio lei?"chiese, facendo eco all'amica. "Non è giusto!" ripeté, senza curarsi di tenere sotto controllo il tono di voce.

Nell'udire l'esclamazione della ragazza, un paio di uomini che camminavano poco più in là le lanciarono degli sguardi incuriositi e Aneta trasalì. "Shh!" intimò all'amica, facendole segno di non usare un tono tanto alto. "Parla piano: è meglio che non ti sentano dire certe cose."

Sebbene non l'avesse mai dichiarato pubblicamente e in modo incontrovertibile, era assolutamente chiaro che il Marchese non intendeva tollerare rimostranze o tentativi di insubordinazione: la scorta di soldati che accompagnava il piccolo corteo era un segnale piuttosto inequivocabile del fatto che Lord Gawel era intenzionato a soffocare sul nascere ogni forma di protesta.

Occhieggiando verso i due uomini che l'avevano sentita lamentarsi, Ela annuì un paio di volte e poi tornò a chinare il capo, mentre una coppia di grosse lacrime silenziose le scivolavano lungo le guance.

Dieci minuti più tardi, la processione che accompagnava Cylia nel suo ultimo viaggio giunse ai piedi della ripida scalinata di pietra che conduceva alla radura in cui si trovava il menhir. I gradini di granito, scuri e consunti dai mille e mille passi che li avevano percorsi, si trovavano lì da tempo immemore, irregolari e apparentemente innocui. Con una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco, Aneta si chiese quante fanciulle in lacrime fossero passate di lì, e quante fossero invece le persone che li avevano risaliti con un animo più leggero.

Senza una parola, il Marchese e suo figlio smontarono da cavallo e porsero le briglie dei loro corsieri ai due scudieri che li accompagnavano. "Non proseguirete oltre" disse Lord Gawel, innalzandosi sul primo scalino. "Oggi non oltrepasserete questo limite estremo: da qui in avanti, la Figlia della Luna proseguirà da sola il cammino che la condurrà verso l'elevazione."

Nell'udire quelle parole, Aneta storse le labbra in una smorfia di disgusto. Figlia della Luna, ripeté in silenzio, senza riuscire a mitigare il lampo di disprezzo che le attraversò il volto. Che grandissima idiozia. Cylia non è figlia di nessuna luna: è figlia di Bhert, il fornaio, e forse dei Tre Re. Non ha nulla a che fare con le divinità di quei barbari pagani.

"In lei", proseguì il Marchese, "rivive una legge antica, che forse abbiamo dimenticato troppo a lungo: se vogliamo avere, dobbiamo innanzitutto dare."

Con la coda dell'occhio, Aneta vide Ela sussultare. Voltandosi discretamente verso l'amica, la giovane le rivolse una preghiera silenziosa. Ti prego, non fare idiozie, la implorò, notando un tremito sottile scuotere le braccia della ragazza dai capelli rossi.

Senza aggiungere altro, Lord Gawel discese dal gradino sul quale era salito e raggunse i suoi uomini. Senza degnare Cylia di un'occhiata, rivolse un cenno d'assenso al Capitano della Guardia. Al gesto del Marchese, due uomini si mossero e affiancarono la giovane vittima, sostenendola per le braccia e sospingendola verso la scalinata che l'avrebbe condotta alla radura con il menhir.

Cylia, che fino a quel momento aveva pianto in silenzio, si lasciò sfuggire un lamento gutturale, simile a quello di un animale ferito. Fu come se le forze l'abbandonassero e la giovane si ripiegò sulle ginocchia: se non cadde a terra, fu solo grazie ai due soldati che le stringevano le braccia.

Un passo alla volta, la ragazza fu condotta su per gli antichi scalini di granito. Già le prime persone accennavo ad allontanarsi, intuendo che non ci sarebbe stato altro da vedere, quando un grido improvviso spezzò il silenzio che aveva regnato sino a quell'istante.

"Cylia!" 

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