Il colore dell'acqua

di SusyCherry
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve, questa storia è stata scritta per l’evento "Merry Christmas!" del gruppo facebook "Johnlock is the way... and Freebatch of course!". Esatto, è stata scritta per un evento di Natale. E terminata a febbraio. E pubblicata a marzo. Il tempismo è il mio forte! È una teenlock e la ship di riferimento è la Johnlock, ovviamente. La storia è già completa, quindi se temete, come faccio sempre anch’io, che potrebbe non avere una conclusione non preoccupatevi, ci sarà per certo. Non so ancora dirvi quanti capitoli saranno perché non ho finito di suddividerla, ma saranno sicuramente meno di 10 e più di 5. Il primo capitolo è forse un po’ piccolo, prendetelo come un prologo, vi prometto che gli altri saranno più lunghi. La storia è prevalentemente fluff, quindi mi spiace amanti dell’angst ma qui ne vedrete ben poco, sono praticamente incapace a scriverne e spesso scado nello smielato. Non dite che non vi avevo avvisato.

Devo ringraziare delle persone che sempre mi supportano e soprattutto sopportano, specie quando piagnucolo in assenza di idee. Quindi grazie a Vale, mi hai aiutato davvero tanto per questa storia, a Chiara, sempre fonte di idee e a Daniela, che mi viene sempre in soccorso quando ne ho bisogno. E grazie a Betta, che fuga ogni mio dubbio lessicale o di sintassi.

I personaggi non mi appartengono e la storia è stata scritta senza scopo di lucro.

Ora vi lascio alla lettura, spero apprezzerete!




 
Il colore dell'acqua


 
«Devi assolutamente imparare a nuotare, è assurdo che un ragazzo della tua età non sia in grado di farlo.»

Così era iniziato tutto, con sua madre che lo ossessionava per convincerlo a iscriversi in piscina e Sherlock che l’aveva ignorata fino a che non era sopraggiunto Mycroft.

«Andiamo Sherlock, non si è mai sentito di un pirata che non sappia nuotare.»

Sherlock aveva reagito ruotando gli occhi con aria scocciata.

«Non sono più un bambino Mycroft, so che non potrò fare il pirata di lavoro.»

«Beh non potrai fare nemmeno quell’altra cosa di cui ultimamente vai blaterando, cos’era? Consulente investigativo. Già mi immagino “il grande Sherlock Holmes battuto da un uomo che si è lanciato nel Tamigi”. Sarai la barzelletta di Londra!»

Sherlock non aveva risposto alla provocazione, sapeva che non era poi un qualcosa di così raro non saper nuotare, ma c’era una cosa che più di tutte lo irritava: Mycroft sapeva farlo. E non esisteva proprio che quel grassone lo superasse in qualcosa, se quella palla di lardo era in grado di galleggiare lo sarebbe stato anche lui, motivo per cui fece passare sufficiente tempo da quella discussione, in modo tale che la sua scelta non apparisse come una diretta conseguenza di ciò che aveva detto suo fratello, dopodiché acconsentì alla richiesta di sua madre.

Ed ecco perché si trovava lì, in accappatoio e ciabatte, sul bordo di una piscina invasa da bambini urlanti, con cuffia e occhialini in una mano e nessunissima intenzione di entrare in acqua.

Innanzitutto c’era troppa gente, le corsie erano super affollate ed erano tutti eccessivamente rumorosi. Notò poi che si trattava di bambini molto più piccoli di lui e questo lo demoralizzò non poco. Dubitava anche che tutti i suoi ricci sarebbero entrati in quella cuffia, sicuramente da solo non ci sarebbe mai riuscito, ma non avrebbe di certo chiesto aiuto ad un istruttore. E infine c’era la questione che non si sarebbe mai tolto l’accappatoio di fronte a tutta quella gente, ma quello era un qualcosa a cui ora non voleva pensare.

Proprio mentre passava in rassegna almeno sette scenari in cui avrebbe potuto filarsela senza farsi vedere, un insegnante di nuoto si avvicinò a bordo vasca invitandolo ad entrare in acqua. Sherlock lo raggelò con uno sguardo e negò con il capo.

«Sto bene qui. Sto studiando e memorizzando il movimento di chi nuota in maniera da riprodurre in seguito le medesime movenze.»

Sì, si disse, avrebbe imparato così. Si sarebbe fatto bastare una buona preparazione teorica.

«Ma non funziona così. Su non avere paura, entra e mettiti insieme a tutti gli altri.»

Gli aveva parlato con lo stesso tono di accondiscendenza che avrebbe usato con un bambino di quattro anni e questo irritò enormemente Sherlock che in risposta iniziò a fare ciò che meglio gli riusciva.

«Perché non la smette di importunarmi e non dedica tutte le sue energie a quella bambina coi boccoli biondi? È evidente che sta cercando ardentemente di far colpo su sua madre. Magari se è fortunato la prossima volta che il marito sarà fuori per lavoro la inviterà a casa, ma io non ci spererei troppo, alla signora piacciono gli uomini facoltosi e affermati e lei chiaramente non è nessuna delle due cose.»

Seguirono come di rito faccia sgomenta, imprecazioni sottovoce (era pur sempre socialmente sconveniente mandare a quel paese un ragazzino) e volontario allontanamento dell’impiccione. Ciò che Sherlock non si aspettava era la vendetta del suddetto scocciatore che si prese la briga di uscire dall’acqua per chiamare sua madre e avvisarla con un prevedibile “suo figlio non sta facendo nessun progresso e non imparerà mai a nuotare se non si decide a collaborare”. Sherlock dedusse tutto dalla faccia soddisfatta del maledetto una volta che tornò in piscina. Avrebbe trovato il modo di fargliela pagare, ma al momento gli premeva maggiormente pensare ad un escamotage per evitare quella noiosissima discussione che l’avrebbe aspettato a casa.

La notizia positiva era che la lezione era finalmente finita e lui poteva lasciare quel luogo infernale, ma prima preferì far uscire la massa schiamazzante, non voleva trovarsi negli spogliatoi con loro. Fortunatamente gli istruttori avevano capito che dovevano lasciarlo in pace, per cui rimase tranquillo a guardare la stanza lentamente svuotarsi, perdendosi nella calma che la superficie dell’acqua, ora placida grazie all’assenza di nuotatori, gli trasmetteva. Quell’idiota non aveva capito nulla, non era l’acqua a fargli paura. Si azzardò a sedersi a bordo vasca, immergendo le gambe, quando un rumore attirò la sua attenzione. Voltò la testa verso l’ingresso e vide entrare un ragazzo all’incirca della sua età, biondo, di altezza leggermente superiore alla propria. Sherlock non avrebbe saputo spiegare il motivo ma la sua attenzione fu subito calamitata da lui. Forse perché era il primo suo coetaneo che aveva visto quel giorno, tentò di giustificarsi, ma c’era qualcosa di più. Lo osservò spogliarsi dell’accappatoio blu che indossava, infilare cuffia e occhialini ed entrare elegantemente in acqua con un tuffo perfetto. Il ragazzo non gli aveva prestato molta attenzione, sebbene Sherlock avesse dedotto fosse un habitué e quindi doveva aver notato fosse uno nuovo, ma si era semplicemente fatto gli affari suoi, cosa che Sherlock apprezzava parecchio di solito. Eppure quella volta non gli sarebbe dispiaciuto interagire con quel ragazzo. Lo osservò a lungo, rapito dai movimenti aggraziati con i quali si muoveva, dalle bracciate ben calibrate, dalla forza delle sue gambe. Lo vide macinare vasche su vasche, ogni tanto cambiando stile di nuoto seguendo evidentemente un programma predefinito. Quel ragazzo era certamente un ottimo esempio da studiare per imparare a nuotare o almeno questa era la scusa che si diede per continuare a guardarlo. Era talmente assorto nell’assorbire ogni suo piccolo spostamento che quasi rimase deluso quando si fermò per riprendere fiato e recuperare le forze, sfilandosi gli occhialini dalla testa. Sherlock si era ritrovato totalmente rapito dalla sinuosità con la quale quello sconosciuto si spostava in acqua, quasi come fosse in completa sintonia con quell’elemento. Il suo sguardo scivolò sull’intera figura per arrivare al suo volto e a dei bellissimi occhi blu che in quel momento si piantarono nei suoi. Il ragazzo si era evidentemente accorto di essere guardato con tanta determinazione e sicuramente doveva aver trovato strana la cosa, considerando che chi lo fissava era seduto in accappatoio a bordo vasca senza nessun motivo apparente. Così, a malincuore, Sherlock decise di rialzarsi e dirigersi verso lo spogliatoio (aveva calcolato che doveva essere vuoto a quell’ora). Per un attimo aveva valutato l’idea di entrare in acqua e provare a riprodurre i movimenti che aveva osservato quel giorno, ma l’idea di spogliarsi davanti a quel ragazzo lo metteva davvero a disagio, motivo per cui aveva tristemente rinunciato. Prima di lasciare definitivamente quella stanza, però, si avvicinò all’uomo che controllava la piscina domandandogli perché quel ragazzo potesse nuotare da solo e questi gli spiegò che quello era il turno deputato a chi sapeva già nuotare e non aveva bisogno di seguire il corso con gli istruttori e che in quel periodo dell’anno era poco frequentato, motivo per cui era facile trovare la piscina mezza vuota. “Perfetto” pensò Sherlock “ho anche trovato la soluzione alla discussione che seguirà con mia madre.”

Mentre si faceva la doccia e si rivestiva Sherlock ripensò a quel ragazzo, in molti frequentavano la piscina a giorni alterni e considerando l’impegno e la passione con cui stava nuotando si poteva ipotizzare ci andasse almeno tre volte a settimana, tenendo poi in conto un giorno di riposo tra un allenamento e l’altro…sì, forse poteva fare in modo di rincontralo. Certo non poteva esserne sicuro, magari variava i giorni in cui nuotava, oppure ci associava un altro sport. Inoltre la piscina apriva la mattina molto presto e chiudeva la sera tardi, chiaramente gli orari dedicati ai corsi con gli istruttori dovevano essere una minoranza, per cui rimaneva molto tempo nel quale la piscina con tutta probabilità era disponibile per il nuoto libero e non poteva essere sicuro che quel ragazzo scegliesse sempre l’ultimo turno come questa volta. In tutto questo si domandava anche perché fosse interessato a rivederlo, non si erano rivolti nemmeno la parola. Magari era antipatico e stupido esattamente come i suoi compagni di scuola, magari se ci avesse parlato l’avrebbe preso in giro per il suo non saper nuotare. O forse avrebbe semplicemente continuato ad ignorarlo. Stava indossando la sua giacca sportiva, prendendo il borsone con una mano per avviarsi verso l’uscita, quando sentì la porta aprirsi: il ragazzo biondo aveva finito di nuotare. Lo vide avanzare verso le docce, accappatoio aperto, occhialini in tasca e cuffia in mano, mentre si asciugava la fronte con la manica. Gli rivolse uno sguardo rapido e lo salutò con un cenno della testa. Sherlock ricambiò con identico distacco, gli aveva solo concesso un gesto di cortesia che non significava nulla, rammaricandosi ancora una volta della scarsa propensione a socializzare dell’altro. Il che aveva dell’incredibile considerando che lui si definiva un sociopatico ad alta funzionalità. Non aveva mai troppo gradito le altre persone (o almeno di questo si era convinto dopo numerose esperienze sociali fallimentari), eppure la lontananza di questo ragazzo gli dispiaceva. Quasi avrebbe preferito si fosse messo a fare banali conversazioni sul tempo o qualsiasi altro argomento, almeno avrebbe potuto facilmente classificarlo come idiota e andare avanti. Proprio mentre si stava voltando per andarsene il ragazzo biondo si fermò e volse il capo verso di lui.

«Ci vediamo dopodomani.»

La frase aveva un vago tono interrogativo e Sherlock non capì se fosse una domanda o un’affermazione. Nel dubbio annuì. Ciò che era chiaro era che il ragazzo avesse voluto fargli sapere quando lo avrebbe ritrovato. In risposta al suo cenno il biondino fece un timido e quasi impercettibile sorriso, dirigendosi subito dopo verso le docce.

Sherlock uscì quindi da quel posto e si sentì molto più felice rispetto a pochi attimi prima, convincere la madre a fargli cambiare turno non sarebbe stato un grande problema, molto più difficile sarebbe stato infatti comunicarle di non voler mai più andare in quel posto, cosa che voleva fare fino a che non aveva visto quel ragazzo. Adesso non vedeva l’ora che i giorni passassero per poter tornare in piscina.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Salve, eccoci qui col secondo capitolo. Ringrazio chi ha recensito il precedente e grazie anche a chi ha inserito la storia tra i preferiti, ricordati e seguiti. Si tratta di un capitolo più sostanzioso rispetto al primo, per lo meno come lunghezza. Se trovate errori vi prego di farmeli notare, sono fissata con i refusi e cerco di rileggere molto, ma a volte sfuggono lo stesso. Spero la lettura sia di vostro gradimento, a presto! 



Gli istruttori avevano sicuramente pensato che sua madre fosse pazza. Insomma lasciare un ragazzo che non sapeva nuotare solo in piscina, senza nessuno che lo seguisse per insegnargli e controllarlo, doveva di certo suonare come un qualcosa di folle e insensato. Era vero che era sempre presente un bagnino a monitorare la situazione e vigilare su eventuali malori, ma non era comunque qualcosa di prudente da fare. In ogni caso la donna aveva liquidato il tutto con un “è una ragazzo intelligente, non annegherà”. Quindi Sherlock si era infilato la cuffia alla bell’e meglio, lasciando fuoriuscire numerosi riccioli ribelli, e una volta che tutti i bambini del turno precedente erano usciti si era immediatamente fiondato in acqua, prima che il ragazzo biondo arrivasse. Ovviamente aveva utilizzato la scaletta, di tuffarsi non se ne parlava proprio, ed era sceso dalla parte bassa della piscina, dove poteva agevolmente toccare il fondo. In più si teneva stretto a bordo vasca, per precauzione. Provò a sollevare i piedi reggendosi fermamente e a muoverli come aveva visto fare l’altra volta, ma questo provocò solo delle movenze scoordinate e lo schizzare di una grande quantità d’acqua. Il tutto, unito alla forza con la quale stava stringendo il suo appiglio per paura che gli sfuggisse e si ritrovasse improvvisamente sott’acqua, gli provocò il fiatone (più riconducibile alla paura che ad un vero sforzo fisico) e fu in quelle condizioni pietose che il ragazzo biondo lo vide non appena mise piede oltre la porta d’ingresso. Sherlock si vergognò immensamente, non poteva scegliere momento peggiore per arrivare, e lo guardò negli occhi cercando tracce di derisione o pietà, ma non ci trovò nulla del genere. Il ragazzo lo guardò serio, salutandolo con un gesto appena accennato della mano, per poi dirigersi verso la sua corsia (la corsia rapida) e incominciare i suoi esercizi. Tutto ciò lo deluse un po’, era sollevato di non aver trovato uno sguardo di scherno e dal fatto che non si era fatto beffe di lui, ma aveva sperato in un saluto un po’ più caloroso o magari di scambiare qualche parola. Tuttavia questo non era successo e doveva rassegnarsi a questa cosa, probabilmente l’altra volta gli aveva rivolto quelle parole per pura formalità e non perché sperasse di rivederlo, probabilmente non si sarebbero nemmeno mai parlati. E a dirla tutta a lui non dovevano nemmeno interessare queste cose, lui era lì per imparare a nuotare e l’avrebbe fatto, così da fargliela vedere a quel pomposo di suo fratello. A lui non era mai interessato il giudizio della gente e se quel ragazzo trovava ridicolo o fastidioso il suo modo di imparare a nuotare, beh peggio per lui! Riappoggiò le mani a bordo vasca e riprese a muovere le gambe in un tentativo di restare a galla, sarebbe riuscito a farlo prima o poi.
 

Circa mezz’ora dopo doveva ammettere che no, forse non ci sarebbe mai riuscito. Tutti i suoi tentativi erano stati inutili e infruttuosi, continuava solo a fare un gran casino con l’acqua, nemmeno ci avessero calato dentro una balenottera che sbatteva la coda. Era talmente demoralizzato che in un ennesimo tentativo persa la presa e finì con la testa sotto il pelo dell’acqua, cosa che lo portò a berne un po’. Riappoggiò immediatamente i piedi a terra e riemerse tossendo, si vergognava tantissimo della sua incapacità e si era molto spaventato. Continuò a tossire decidendo mentalmente che poteva finirla là, con la piscina aveva chiuso e non gli importava più nulla della competizione con suo fratello, quando una voce lo richiamò dai suoi pensieri.

«Sbagli posizione.»

Si voltò lentamente, in effetti dopo il suo piccolo incidente non aveva più sentito rumori provenire dalla corsia impegnata dal ragazzo, e lo trovò fermo a metà vasca con le braccia appoggiate a una delle boe che facevano da separatorio. Aveva la faccia leggermente preoccupata, evidentemente si era fermato per assicurarsi che stesse bene.

«Come?»

«La posizione del tuo corpo. Non è corretta. In più sei troppo rigido.»

Sherlock guardò in basso verso il suo corpo, qual era allora la posizione corretta? Non era in grado di capire da solo dove sbagliasse. Quasi leggendogli nella mente il ragazzo si allontanò dalla boa pronto a immergersi per superare le varie corsie e avvicinarsi alla sua, ma si bloccò all’ultimo momento indeciso sul da farsi.

«Posso?» chiese semplicemente.

Posso cosa? Posso avvicinarmi? Posso aiutarti? Posso rivolgermi a te? A Sherlock non importava, tanto la risposta sarebbe stata sempre la stessa.

«Sì.»

Il ragazzo si immerse e nuotò rapidamente a fondo vasca emergendo direttamente vicino a lui. Lo scrutò per un secondo iniziando poi a dargli indicazioni.

 «Appoggia nuovamente le mani al bordo. Ecco, ora mantieniti dritto, contrai i muscoli ma cerca di non irrigidirti troppo. Tieni le gambe stese una vicina all’altra. Così. Attento a non staccare pezzi di piscina, ti stai mantenendo con una forza disumana!»

Il ragazzo ridacchiò, ma Sherlock non avvertì derisione nelle sue parole, stava solo cercando di stemperare la tensione e di metterlo più a suo agio, doveva aver notato quanto nervoso fosse.

«Perfetto, ora cerca di allungare i piedi, un po’ come le ballerine di danza classica.»

Sherlock lo guardò interrogativo, che diavolo ne sapeva lui di come tenevano i piedi le ballerine di danza classica?

«Ok, ok hai ragione. Devi fare così» gli spiegò, poggiandogli entrambe le mani sul piede sinistro e invitandolo dolcemente ad assumere la giusta posizione. Sherlock sentì il cuore battere forte a quel contatto senza sapere perché, ma cercò di mantenersi comunque concentrato, quel ragazzo stava perdendo del tempo per lui e il minimo che poteva fare era starlo ad ascoltare.

«Bene, la posizione è giusta, ora muovi leggermente le gambe cercando di non perderla.»

Le mani del biondino passarono sulle sue caviglie e lo guidarono nel movimento che finalmente non produsse un maremoto nell’acqua circostante.

«Sei stato bravo, ora devi solo esercitarti. Quando il movimento delle gambe ti verrà naturale potrai passare ad imparare quello delle braccia.»

«Io…ti ringrazio. Ammetto che stavo per rinunciarci.»

«No e perché? Sarebbe un vero peccato rinunciare a nuotare solo per qualche piccola difficoltà iniziale.»

«Piccola difficoltà? Forse non mi hai osservato, ero pessimo.»

E solo Sherlock sapeva quanto gli costasse ammettere di non saper fare qualcosa.

«Beh, ti ho tenuto d’occhio, non eri così male. Sei all’inizio, è normale non sentirsi a proprio agio in acqua, ma poi passa. E non potrai più farne a meno.»

Il ragazzo gli stava rivolgendo un sorriso bellissimo. Era chiaro che amasse nuotare con tutto se stesso. Per di più gli aveva confessato (arrossendo leggermente Sherlock aveva notato) che lo stava guardando. Questo rese inspiegabilmente Sherlock felice, essere invisibile agli occhi di quel ragazzo gli dava uno strano dispiacere, quando di solito lui pregava di passare inosservato agli occhi dei più.

«Io credo di essere negato. Probabilmente se non mi avessi aiutato tu non avrei mai capito la posizione corretta da solo.»

«Ma non è un demerito tuo. Quasi nessuno impara da solo, quindi non hai nulla da rimproverarti. Anzi, complimenti per il coraggio, non è da tutti. Non hai voluto seguire il corso?»

«Ecco, io ci ho provato, però…» tergiversò abbassando lo sguardo.

«Va bene, non importa, non devi giustificarti. Avrai i tuoi motivi.»

Si guardarono leggermente imbarazzati, nessuno dei due sapeva bene come fosse giusto comportarsi. Sherlock avrebbe voluto che l’altro continuasse ad aiutarlo o per lo meno ad interagire con lui, ma capiva che il ragazzo non poteva di certo perdere tutto il suo tempo con lui. Non sapendo bene cosa dire, né come dirlo, si limitò ad un silenzio teso, che fu evidentemente mal interpretato dall’altro che iniziò a muoversi a disagio allontanandosi da lui.

«Allora io torno alla mia corsia. Spero di esserti stato utile.»

Sherlock si agitò, voleva fermarlo, chiedergli di restare un altro po’ con lui, ma come poteva farlo senza sembrare invadente o inopportuno?

«Lo sei stato. Molto. Grazie davvero.»

Il biondino iniziò a voltarsi per immergersi nuovamente, quando parve ripensarci e si voltò con aria ancora più imbarazzata.

«Ovviamente se hai ancora bisogno di aiuto…cioè non intendo che tu non possa essere in grado di farcela da solo! Sono sicuro che sarai bravissimo anche senza di me. Però se volessi un consiglio o ti servisse qualcosa, ecco...non che io mi consideri un esperto, non fraintendere. Dico solo che se hai bisogno chiedi pure.»

Sherlock nascose un sorriso piccino, almeno non era l’unico impacciato tra i due.

«Non vorrei disturbarti, non puoi mica perdere tutto il tuo tempo con me» confessò in un sussurro.

«Ma non disturbi mica.»

Sherlock lo guardò intensamente. Sembrava sincero.

«In realtà ho già finito il mio programma per oggi, quindi non è un problema per me aiutarti.»

«Dici sul serio? Sicuro non ti pesi la cosa?»

Il biondino negò con un cenno del capo, avvicinandosi nuovamente a lui.

«Dai, vediamo di staccarci dal bordo vasca. Innanzitutto sistemiamo questa cuffia, mi chiedo come fai a vedere con tutti i capelli davanti agli occhi» ridacchiò avvicinandosi a lui e sfilandogli la cuffia adagiata sommariamente sul capo.

«Non ho ancora capito come infilarla da solo. È praticamente impossibile riuscire a farci stare tutti i capelli dentro!»

«Per me è più facile, ho i capelli più corti dei tuoi. La prossima volta ti aiuterò a metterla prima di entrare in acqua, così non te li bagnerai tutti. Ora tira tutti i capelli indietro e abbassa la testa, mantieni la parte anteriore della cuffia…ecco così!» lo istruì compiendo poi un movimento fluido con il quale la cuffia si trovò magicamente al suo posto.

«Oh beh, certo che così è molto più facile. E non mi si è impigliato nemmeno un capello in mezzo, prima ho temuto di diventare calvo per quanti se ne sono strappati.»

La cosa fece stranamente scoppiare a ridere l’altro, Sherlock non era molto ferrato nell’umorismo, ma era felice di essere riuscito a suscitare una simile reazione. Il ragazzo gli sistemò dolcemente qualche sparuto ricciolo che indomito era sfuggito anche questa volta e quel gesto fece inaspettatamente battere forte il cuore di Sherlock, oltre che imporporargli leggermente le guance di rosa. Per fortuna l’altro non notò niente.

«A proposito, io sono John.»

«Oh, sì giusto. Piacere John, io sono Sherlock.»

«Sherlock? Non ho mai conosciuto uno Sherlock. È un nome particolare. È bello.»

«Davvero? Non è quello che dicono di solito.»

«Perché che dicono?»

«Che è strano, strano come me.»[1]

John rispose facendo spallucce.

«A me piace molto. Secondo me i tuoi amici sono un po’ idioti.»

«Io non ho amici.»

E per quanto Sherlock si fosse esercitato non sapeva ancora dirlo con l’indifferenza con la quale avrebbe voluto. Dannate emozioni, non era ancora in grado di controllarle a dovere.

«Se è per questo nemmeno io. Avere degli amici è sopravvalutato» gli confidò con un sorriso incoraggiante.

Sherlock si sentì rincuorato all’udire quelle parole. L’idea di non essere l’unico al mondo a non riuscire a stringere legami di amicizia paradossalmente lo fece sentire meno solo. Magari aveva finalmente trovato qualcuno un po’ simile a lui.

«Potremmo iniziare imparando a fare il morto. Almeno riusciresti a galleggiare.»

«Il morto? Sarebbe a dire?»

«Questo» gli spiegò disponendosi pancia all’aria e allargando un po’ braccia e gambe.

Sherlock osservò incuriosito, non sembrava qualcosa di eccessivamente difficile, inoltre sarebbe stato davvero utile per imparare a galleggiare, ma c’era un grande, enorme problema. Tutto il suo corpo sarebbe stato visibile e lui se ne vergognava tantissimo. No, doveva trovare il modo di evitare la cosa.

«Non potremmo provare qualcos’altro, John?»

Il ragazzo lo fissò attentamente, riportandosi in posizione eretta. Carpì il suo nervosismo e il suo disagio, senza però intenderne la natura, ma per fortuna di Sherlock non insistette oltre. Era un ragazzo molto sensibile dietro la sua facciata di distacco e indifferenza e non voleva mettere Sherlock in difficoltà.

«Nessun problema. Potremmo rifare ciò che abbiamo provato prima, però senza il sostegno del bordo vasca.»

«Ma così annegherò» affermò con voce leggermente lagnosa.

«No, perché ci sarò io a sostenerti. Ma in questo modo potresti avanzare.»

Ricreare la posizione e il successivo movimento di gambe non fu semplice, soprattutto perché spesso Sherlock si faceva prendere dalla paura e arrivava a stringere convulsamente le braccia di John che gli si era sistemato davanti. Ciò nonostante il ragazzo dimostrava grande pazienza e comprensione, non lamentandosi nemmeno quando il bruno gli faceva chiaramente male, piuttosto incoraggiandolo a provarci ancora. Fortunatamente i loro sforzi furono premiati perché, dopo qualche tentativo infruttuoso, finalmente Sherlock riuscì a riprodurre il giusto movimento riuscendosi anche a spostare di qualche metro (aiutato anche dall’avanzare a ritroso di John). Il passo successivo fu passare dal completo sostegno di John ad avere le sue sole mani come unico appiglio. Quando anche questa tappa fu gloriosamente conquistata John dichiarò che Sherlock era pronto a provare a rifarlo senza nessun tipo di sostegno.

«Credo che tu sia troppo ottimista» negò Sherlock con il capo «non sono ancora in grado di mantenermi a galla, come potrei farlo da solo?»

«Ma non sarai solo, io sarò qui con te. E nel caso in cui dovessi aver bisogno di aiuto ti sosterrò io.»

Tuttavia la cosa non convinceva del tutto Sherlock, gli sembrava davvero troppo prematuro ciò che John gli stava proponendo.

«Forza fidati di me, mettiti parallelo alla superfice dell’acqua e cerca di muovere le braccia a formare dei cerchi in acqua, dall’interno verso l’esterno, in questo modo» gli spiegò mimando il gesto.

Ovviamente la cosa si rivelò più facile a dirsi che a farsi, Sherlock continuava ragionevolmente a farsi prendere dal panico e a poggiare i piedi a terra, motivo per cui John gli propose di spostarsi dove l’acqua era leggermente più alta.

«John no, non ne sono in grado.»

«Non è vero che non lo sei, devi solo avere più fiducia in te.»

Beh questo era di certo un nervo scoperto per il bruno.

«E se dovessi affogare?»

«Non lo farai perché io ti prenderò.»

«E se dovessimo affogare entrambi?»

«Non succederà nemmeno questo perché io tocco con i piedi sul fondale, sono più alto di te.»

«Aspetta che completi lo sviluppo e poi ti farò vedere io…» sussurrò tra i denti.

«Come hai detto?»

«Niente. Andiamo dai.»

«Ti sei convinto?»

«Sì, ma sbrigati, prima che io cambi di nuovo idea.»

Sherlock si lasciò trascinare lungo la corsia, aggrappandosi totalmente all’altro quando i suoi piedi non furono più in grado di sostenerlo. Quello che stava per fare richiedeva un grande atto di fiducia nei confronti di quello che in fin dei conti era a tutti gli effetti uno sconosciuto, oltre che nelle proprie capacità. Eppure Sherlock decise di fidarsi di questo strano ragazzo che aveva calamitato la sua attenzione fin dal primo momento.

All’inizio non fu semplice, la paura prendeva il sopravvento e iniziava a muoversi in maniera scoordinata, ma la voce di John aveva stranamente il potere di tranquillizzarlo.

«Sherlock per favore calmati. Ci sono io, ti tengo io. Tieni la testa fuori dall’acqua e cerca di stare rilassato, ti tengo, non ti lascio.»

Queste parole furono accompagnate dal movimento delle mani di John che si andarono a posizionare una sulla pancia e l’altra sul petto di Sherlock, sorreggendolo pur mantenendolo in orizzontale. Sherlock si irrigidì immediatamente, in questo modo il ragazzo avrebbe tastato la sua eccessiva magrezza, le coste sporgenti e il fisico ossuto, cosa che lo metteva molto a disagio. Cosa avrebbe pensato John? Lo avrebbe preso in giro come i suoi compagni di scuola? Gli sbeffeggiamenti ricevuti mentre si cambiava negli spogliatoi l’avevano ferito più di quanto fosse disposto ad ammettere e da allora aveva fatto di tutto per evitare che situazioni del genere si ripetessero. Ma questa volta era successo tutto in maniera inaspettata e non aveva potuto far niente per sottrarsi alla cosa. Osservò con sguardo disperato John che però sembrava non essersi accorto di nulla, del tutto concentrato sulla posizione del suo corpo.

«Sherlock ti prego cerca di non irrigidirti così. Fidati di me.»

Non lo stava deridendo, né compatendo. Forse davvero non si era reso conto che qualcosa in lui non andava e se John poteva farlo perché non avrebbe dovuto ignorare anche lui la cosa? Chiamò a raccolta tutta la sua determinazione e si fidò del suo nuovo amico, concentrandosi per ripetere ancora una volta il movimento che gli aveva insegnato. Quando fu in grado di riprodurlo alla perfezione entrambi gioirono di quel piccolo, ma allo stesso tempo enorme risultato, Sherlock sentì addirittura che ad un certo punto John aveva staccato le mani dal suo corpo, pur continuando a seguirlo a distanza ravvicinata, ma ormai aveva preso un suo ritmo e continuò muovendosi da solo. Di certo non si poteva dire stesse nuotando, ma aveva fatto più progressi con John in un giorno di quanti ne avrebbe fatto con quegli stupidi istruttori in un mese, di questo ne era certo. Da loro non si sarebbe mai fatto toccare.

«Bravissimo Sherlock, sei un talento naturale!»

Il moro arrossì a quel complimento che non credeva di meritare, in fondo il merito per gran parte era di John. Non fosse stato per lui in quel momento sarebbe stato già a casa.

«Ora devi continuare in questo modo, l’ideale è usare una tavoletta così puoi concentrarti sulle gambe.»

Sherlock osservò il punto in cui si trovavano tutti gli attrezzi da piscina, prenderli significava uscire dall’acqua e mostrarsi apertamente a John e per questo non si sentiva ancora pronto. Perché diamine non aveva pensato ad avvicinare una tavoletta prima di entrare in acqua? Ma John, splendido e meraviglioso John, ancora una volta capì. Sherlock non sapeva assolutamente come avesse fatto, aveva passato la vita a sentirsi incompreso, ma John sembrava riuscire ad intuire i suoi pensieri come mai nessuno era riuscito fino a quel momento. Captando che qualcosa disturbava l’altro si avvicinò in silenzio al bordo della vasca per sollevarsi agilmente sulle braccia e correre a recuperare una tavoletta, che prontamente passò all’altro. Non ci fu nemmeno bisogno di dirsi nulla, bastò lo scambio di un sorriso ed entrambi si ritrovarono di nuovo in acqua. Passarono il resto del tempo a nuotare vicini, John continuava a tenere d’occhio il nuovo amico e Sherlock si impegnava al massimo per dimostrargli tutti i suoi progressi. Non mancavano inoltre di scambiare qualche parolina o una battuta ogni vasca percorsa e il tempo insieme semplicemente volò.

Quando fu il momento di uscire dall’acqua Sherlock incominciò nuovamente ad innervosirsi pensando a quale scusa avrebbe potuto addurre questa volta, ma John che ormai aveva capito la natura dei suoi turbamenti lo sorprese ancora una volta.

«Ci vediamo nello spogliatoio ok?»

Sherlock si limitò ad annuire con uno sguardo grato. Il modo in cui quello strano ragazzo gli evitava di inventare bugie pietose e fantasiose venendogli incontro lo stupiva molto. Di certo non era una persona come tutte le altre.

Lo raggiunse poco dopo nello spogliatoio e lo trovò chiuso in un box doccia, riuscendo comunque a chiacchierare con lui anche mentre si insaponavano. Gli piaceva veramente tanto la compagnia di John. Ovviamente il ragazzo terminò prima di lui e Sherlock lo raggiunse in accappatoio nella zona comune dove avevano la loro roba. Fortunatamente lo spogliatoio era deserto con eccezione di loro due, in più John ebbe la premura di voltarsi mentre Sherlock si rivestiva. Come avesse fatto a capire le sue preoccupazioni Sherlock proprio non se lo spiegava, non era una persona semplice da leggere di solito. Ma poco gli importava, questi piccoli gesti del biondo erano davvero importanti per lui, gli scaldavano il cuore come nessuno aveva mai fatto. Probabilmente John non l’avrebbe preso in giro se anche avesse visto il suo corpo, ma proprio il suo dimostrarsi così speciale spingeva Sherlock a volersi mostrare perfetto, invincibile e affascinante. Voleva con tutto se stesso che John desiderasse essergli amico.

«Hai finito? Se vuoi ti aspetto così facciamo un tratto di strada insieme, anche se non ho idea di dove tu abiti.»

«Certo, andiamo John.»

Il desiderio di continuare a passare del tempo con lui e la paura che se ne andasse l’avevano portato ad accelerare le cose, col risultato che era ancora mezzo gocciolante.

«Ma che dici, ti prenderai un accidente se esci così. Per favore Sherlock finisci di asciugarti, io ti aspetto qui, non me ne vado.»

Si preoccupava addirittura per la sua salute. Erano sicuramente tutte cose nuove per Sherlock, nella sua famiglia bisognava dimostrarsi sempre forti e in gamba, mai bisognosi di aiuto o attenzioni. Sperava però che John non lo vedesse come un bambino piccolo a cui badare, non voleva apparire così debole. Doveva smettere di essere così precipitoso e iniziare a controllarsi come faceva di solito. Logica e raziocinio. Questo era ciò che gli riusciva meglio. 

«Quindi come mai hai deciso di imparare a nuotare?» gli chiese John una volta per strada.

«Mia madre, era diventata un’ossessione. Non sia mai che uno dei suoi figli non sia capace di far qualcosa. Dobbiamo essere sempre perfetti, in tutto. E poi ci si è messo mio fratello. Continuava a prendermi in giro, non lo sopportavo più.»

«Peccato.»

La risposta di John suscitò un’alzata di sopracciglio e un’espressione perplessa del più piccolo.

«Beh sì. Nuotare è un qualcosa di bellissimo, un’emozione unica. Ti rilassa, ti isola dal mondo, dalle persone, dai problemi. Da tutto. È un peccato che tu ti ci sia avvicinato per motivazioni così antipatiche. Ma meglio di niente in fin dei conti.»

«E tu? Quando hai imparato a nuotare?»

«Quando avevo due anni.»

La risposta spiazzò Sherlock che lo osservò a bocca aperta.

«Fanno avvicinare bambini così piccoli all’acqua? Non è, non so, leggermente pericoloso?»

John ridacchiò della sua sorpresa, aveva un’espressione davvero buffa.

«Beh sì di solito non fanno entrare in piscina bambini tanto piccoli, ma Harry ci andava e io ero desideroso di imitare tutto quello che faceva. Mi hanno messo in acqua per disperazione!»

«Harry è tuo fratello?»

«Mia sorella. Harry sta per Harriet. È più grande di me e da piccolo ero la sua ombra.»

«Capisco. Nuota anche lei?»

«No, lei ha lasciato anni fa, non è molto costante in quello che fa. Io invece ho proseguito.»

«Sai ti ho visto nuotare, sia l’altra volta che oggi» ammise con un lieve imbarazzo «non che ne capisca molto, ma mi sembri molto bravo. Ti stai preparando per qualche gara?»

John cambiò espressione facendosi improvvisamente serio. Lo fissò intensamente negli occhi con un vago senso di sfida, come se volesse trasmettergli un “avanti, prova a contraddirmi su ciò che sto per dire”.

«No. Non sono interessato all’agonismo.»

Sherlock si zittì immediatamente, imbarazzato ed anche lievemente intimorito. Evidentemente aveva toccato un tasto dolente. Incassò la testa tra le spalle e seguitò a camminare guardando dritto davanti a sé. Come al solito aveva parlato troppo, non poteva semplicemente mordersi la lingua?

«Sherlock» lo richiamò con un sospiro. «Sherlock, scusami. Sono stato troppo aggressivo.»

«Tranquillo John, la colpa è mia, non sono fatti che mi riguardano.»

«Non è così Sherlock. Ti prego fermati, guardami un attimo.»

John lo afferrò per una mano, obbligandolo ad arrestarsi di fronte a lui, e si chinò leggermente per intercettare il suo sguardo basso.

 «Non è colpa tua. È che tutti continuano a stressarmi per questa storia, il mio vecchio allenatore, gli istruttori. Vorrebbero che partecipassi alle gare, che pensassi ad un futuro da atleta. Ma io non voglio.»

«Perché non vuoi? Hai paura di non esserne in grado?»

«Sì e no. Sono resistente, ma non mi sento abbastanza veloce. Ma conosco i miei tempi, potrei anche provarci volendo e col duro allenamento potrei migliorare. Ma non è questo il punto. Il nuoto è una passione per me, è evasione, è divertimento. Se passassi alle gare agonistiche tutto questo verrebbe rovinato dalla voglia di vincere, dalla delusione delle sconfitte, dall’ansia prima delle gare. L’ambizione, la competizione, le rivalità non dico che siano qualcosa di negativo, è solo che tutto questo non fa per me. Amo nuotare, ma rimane una passione, un hobby. E soprattutto è una cosa solo mia, solo per me. In ogni caso non è ciò che voglio fare da grande, i miei sogni sono altri e non mi importa quanto sono bravo e dove potrei arrivare, non voglio che mi rovinino una delle poche cose belle che ho.»

Sherlock capì che quello del “potresti fare grandi cose, raggiungere importanti traguardi” era un discorso che gli era stato fatto innumerevoli volte. Ecco perché si era immediatamente messo sulla difensiva.

«In ogni caso ti ringrazio, so che quello che hai detto voleva essere un complimento e non sono un ingrato maleducato, anche se mi sono comportato esattamente in questo modo» aggiunse con un sorriso sincero.

Sherlock lo guardò intensamente negli occhi, cercando di leggere quanto più possibile dentro di lui.

«Sono perfettamente d’accordo con te. Sulla questione di fare ciò che si vuole. Non sono gli altri a dover decidere per te cosa fare e chi diventare.»

John lo ringraziò con un sorriso di vera gratitudine, la ritrosia di poco prima completamente svanita. Ripresero a camminare uno affianco all’altro.

«Quindi se non il nuotatore cosa vuoi fare da grande?»

«Il medico!» esclamò con entusiasmo.

«Medico. Come uno dei tuoi genitori. Tuo padre? No, tua madre.» [2]

«Come fai a saperlo?» Gli domandò con occhi sgranati.

«L’ho dedotto.»

«Dedotto? Sarebbe a dire?»

Sherlock si perse in una lunga spiegazione su ciò che faceva e come lo faceva, al termine della quale lo fissò con sguardo un po’ timoroso. Aveva cercato di contenersi fino a quel momento, ma indubbiamente prima o poi quel suo aspetto sarebbe venuto fuori. Non poteva fingersi ciò che non era. Ora aspettava solo la ormai ben conosciuta reazione da parte di John.

«Questo è stato…»

“Inquietante” pensò Sherlock. “Fuori dai piedi strambo” aggiunse mentalmente.

«…straordinario.»

«Come scusa?»

«Assolutamente fantastico!»

Questo John era decisamente una persona particolare. Fuori di testa forse. Sherlock sentì l’incontenibile bisogno di abbracciarlo.

«Dici sul serio?» domandò timido

«Certo! Strabiliante, davvero.»

«Oh. Beh non è quello che dicono di solito.»

«Certo che ti dicono un sacco di cose eh. Sul nome, su quello che fai. Immagino niente di carino nemmeno questa volta, ma sentiamo, che ti dicono di solito?»

«Levati dalle palle.»

John ancora una volta lo sorprese scoppiando a ridere e Sherlock lo seguì a ruota subito dopo. Come era mai possibile che ridere e scherzare fosse così tanto semplice con questo ragazzo? Cosa aveva di diverso rispetto agli altri? Forse non aveva molta importanza. Ciò che contava era che Sherlock non voleva più lasciarlo andare.

Si salutarono poco dopo, ripromettendosi di rivedersi presto e concordando i giorni in cui andare in piscina. In fin dei conti questa storia dell’imparare a nuotare stava avendo risvolti estremamente interessanti.


 
 
[1] Ho inavvertitamente citato una storia di hikaru83, “La chimica dell'arte”. La cosa non era voluta, ma poi me ne sono resa conto e ne sono stata felice perché è una storia bellissima. Se non la conoscete correte a leggerla!

 
[2] Seconda citazione a hikaru83 questa volta però più che voluta. Volevo che uno dei due genitori di John fosse un medico, ma non sapevo se scegliere il padre o la madre. Poi, nel periodo in cui stavo scrivendo questa storia, mi è capitato di leggere la meravigliosa “Io&Sherlock” di hikaru83 e ho deciso di omaggiarla così.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Salve, rieccomi con un nuovo capitolo. Sono stata fortemente indecisa se dividere il capitolo o meno, avevo (e tutt'ora ho) paura fosse troppo lungo e pesante da leggere tutto insieme. Però non sapevo bene a che punto tagliare, visto che anche il prossimo capitolo sarà bello sostanzioso, e non riuscivo a ricavarne un altro senza che quest'ultimo poi fosse troppo piccolo. Quindi nada, ve lo beccate così, tutto intero. Spero di farvi cosa gradita e di non farvi sbadigliare. Vi ringrazio tantissimo per le bellissime recensioni che mi state scrivendo, era una storia che temevo non piacesse e mi state rassicurando molto. Quindi davvero, grazie. Grazie anche a tutti quelli che hanno inserito la storia in una categoria, apprezzo tantissimo. Ma ora bando le ciance, vi lascio alla lettura. Come sempre se notate errori fatemelo sapere, mi fate un favore e fate del bene alla mia lievissima ossessione per i refusi. Spero il capitolo vi piaccia, a presto!



Il giorno del loro successivo incontro Sherlock arrivò con qualche minuto di ritardo rispetto al solito e questo fece sì che sfortunatamente John fosse già in acqua. Si maledisse mentalmente per non essere riuscito ad arrivare prima e pensò a come fare per immergersi senza che l’amico lo vedesse spogliarsi dell’accappatoio. Di certo non poteva rifiutarsi di entrare in acqua come aveva fatto il primo giorno, sarebbe apparsa come minimo una cosa strana. Si stava strattonando nervosamente la cintura dell’indumento quando John lo vide e lo salutò come al solito con un gesto misurato. Sherlock iniziava a credere che non fosse un modo per esprimere indifferenza o disinteresse, ma più che altro una sua espressione caratteriale, John non sembrava una persona eccessivamente espansiva, in più aveva già imparato a riconoscere della timidezza dietro all’apparente freddezza del biondo.

Era ancora immerso nei suoi pensieri quando John lo interruppe invitandolo ad entrare in acqua.

«Forza, mi giro.»

Sherlock non sapeva ancora bene come sentirsi di fronte a questa cosa. Non gli piaceva essere così trasparente, non voleva che John lo vedesse debole o complessato e non riusciva ancora a capire come l’amico avesse capito ciò che lo turbava. D'altro canto era talmente gentile a volergli andare incontro, così dolce nel suo cercare di metterlo a suo agio che Sherlock proprio non se la sentiva di reagire aspramente come era solito fare.

Attese che l’amico gli desse le spalle, una rapida occhiata intorno lo rassicurò sul fatto che non ci fossero altri sguardi puntati su di lui (il bagnino come al solito impegnato in qualche telefonata con la fidanzata fedifraga), dopodiché si immerse rapidamente con l’ausilio della scaletta.

John aveva stranamente scelto la corsia medio lenta, cosa insolita visto che ovviamente prediligeva quella rapida, ma era ovvio che l’avesse fatto per stargli vicino. Non che ci fosse altra gente in acqua a quell’ora. Gli bastò una rapida occhiata ai movimenti dell’amico per capire che qualcosa non andava: si era ferito, alla spalla sinistra dedusse subito dopo.

«Cosa hai fatto alla spalla?»

«Io…niente, niente.»

«Non è vero, i tuoi movimenti sono più rigidi da quel lato rispetto all’altro, per di più prima hai fatto una smorfia di dolore nell’affrontare un movimento più ampio. E devo proprio citare la mancata simmetria delle bracciate? O il livido che stai cercando malamente di nascondere sotto l’acqua?»

Sherlock osservò John arrossire, chiaramente imbarazzato.

«Perché mi vuoi nascondere la cosa?»

«Non te la sto nascondendo, è solo che…»

«Non riguarda la tua famiglia, non hai subito maltrattamenti in casa. E non si tratta nemmeno di una zuffa.»

Gli occhi di Sherlock vagarono veloci sulla stretta figura cercando di carpire quante più informazioni possibili.

«Non capisco, sei semplicemente caduto, cosa c’è da vergognarsi?»

«Non lo so. È imbarazzante» gli rispose arrossendo un po’ di più.

«Io non ci vedo nulla di male. È normale alla nostra età a volte cadere e farsi male.»

John lo fissò intensamente, l’espressione improvvisamente seria.

«Hai ragione. Ma allora anche tu non devi vergognarti del tuo fisico.»

Sherlock sussultò colto alla sprovvista.

«Sai, ho chiesto alla mia mamma» continuò John a voce più bassa «è un medico, te lo ricordi vero? Beh lei dice che non c’è nulla di strano o sbagliato nell’essere magri alla tua età, che probabilmente crescendo ti irrobustirai. E poi ognuno ha il suo fisico e secondo me tu stai benissimo così.»

Si fermò per far sì che l’altro assimilasse davvero quelle parole. Voleva che gli entrassero fin dentro il cervello e lì si piantassero.

«Tu…tu lo pensi davvero? Non lo dici solo per farmi sentire meglio?» sussurrò Sherlock con un filo di voce.

«Certo. Non dico mai cose che non penso» lo rassicurò con un sorriso.

«A scuola mi chiamano rachitico. Dicono che sono brutto» confessò con la testa bassa e gli occhi velati di lacrime.

«Che idioti. Secondo me sei bellissimo.»

Sherlock arrossì violentemente di fronte a quella rivelazione. Davvero John lo trovava bello?

«Devi farti rispettare Sherlock. La prossima volta che qualcuno dirà una cosa del genere dagli un pugno!»

«Sei serio? È questo il tuo consiglio? Picchiarli? Non è molto etico» ridacchiò Sherlock più sereno.

John parve pensare alla cosa poi si unì alla sua risata.

«No, hai ragione, non lo è. Però funziona!»

Rimasero a guardarsi complici e divertiti per un po’, poi John lo invitò a cominciare a nuotare.

«Aspetta, ho dimenticato la tavoletta.»

John si offrì di andare a prendergliela, ma l’altro rifiutò garbatamente. Era un qualcosa che doveva fare da solo. Anche quando l’amico si propose di voltarsi Sherlock intervenne, dicendogli di non preoccuparsi, era ora di vincere certe paure. Si avvicinò alla scaletta e con un sospiro iniziò ad uscire dall’acqua, in un primo momento premurandosi di dare la schiena a John, ma una volta recuperato l’attrezzo, si voltò deciso guardandolo negli occhi. Sherlock fu sollevato di non trovare né ribrezzo, né pena negli occhi dell’amico, che invece esprimevano una miriade di sentimenti positivi. C’era calore, affetto, orgoglio, tenerezza, felicità. E Sherlock fu contento di essere stato lui la causa di tutto questo. Si avvicinò allegro alla scaletta quando John lo fermò.

«No dai, basta questa scaletta, tuffati!»

Sherlock valutò rapidamente che il fondale era troppo basso, si sarebbe fatto male.

«Non di là genio. Qui, dove l’acqua è più alta.»

«Sei pazzo? Vuoi vedermi annegare?»

«Ma ti prenderei io, dai!»

Sherlock continuava a guardare l’acqua dubbioso, sembrava qualcosa di pericoloso.

«L’altra volta ti sei fidato ed è andato tutto bene. Oggi non sarà diverso.»

«Ma io non so nemmeno tuffarmi!»

«E che ci vuole? Non devi mica fare un tuffo elaborato, corri e poi fa un salto.»

Vedendo che il moro non accennava a muoversi e continuava a mordersi un labbro per via dell’indecisione John uscì rapidamente dall’acqua per mostrargli come doveva fare.

«Hai visto? È semplice, su. E poi è davvero divertente» gli disse non appena riemerse dall’acqua.

«Va bene. Però tu prendimi ok?»

«Te lo giuro Sherlock. Chiudi gli occhi e la bocca e trattieni il fiato non appena entrerai in acqua. Io ti afferrerò e ti riporterò su.»

Sherlock poggiò la tavoletta sul bordo della vasca, fece due respiri profondi e poi chiuse gli occhi, saltando in acqua. Si stava fidando di John. John lo avrebbe preso e riportato a galla, John non lo avrebbe lasciato affogare, mai. John non era i suoi stupidi compagni di classe, non faceva scherzi idioti. John era la sua aria. John.

Nemmeno il tempo di toccare con i piedi sul fondo che due mani forti lo afferrarono da sotto le braccia e lo ritirarono su. Sherlock osservò i suoi meravigliosi occhi blu, vide quelle deliziose macchioline (di che colore erano? Verdi? Grigie? Non riusciva a capirlo) che costeggiavano l’iride e si perse nella placida quiete che gli trasmettevano. John gli passò un braccio intorno alla vita e lo sorresse così, perdendosi a sua volta negli occhi di Sherlock. Restarono per qualche attimo immobili, in silenzio, prima che Sherlock si rendesse conto che effettivamente era in un punto in cui non appiedava, lui che non sapeva nuotare e la consapevolezza di ciò lo mandò in panico. Gettò le mani al collo dell’amico e iniziò a muoversi in maniera frenetica, nel tentativo di cercare un appiglio, gli occhi invasi dalla paura.

«Sher-Sherlock! Così ci farai annegare entrambi!»

Ma il moro continuava ad aggrapparsi disperatamente, portandogli la testa sott’acqua.

«Sherlock ascoltami! Non avere paura, ho il controllo della situazione. Fidati di me, non c’è nulla da temere.»

Ascoltando quelle parole, anche grazie al tono fermo e deciso con cui erano state pronunciate, Sherlock parve calmarsi e si voltò ad osservarlo ancora un po’ spaventato, ma fiducioso.

«Ora ascoltami. Tieni le braccia intorno al mio collo, ma non stringere troppo, fammi respirare. E avvolgi le gambe intorno alla mia vita.»

Si sistemarono esattamente come aveva detto John e iniziarono a galleggiare insieme, John era davvero in grado di sorreggere entrambi.

«Vedi testone? Che ti avevo detto?»

Sherlock dovette ammettere che era piacevole, galleggiavano mollemente a pelo d’acqua e si spostavano lentamente verso il punto della piscina dove il fondale era più basso. Poggiò la testa sulla spalla dell’amico premendo delicatamente il naso nell’incavo tra collo e spalla. La pelle di John profumava di cloro ed era morbida, un’improvvisa sensazione di casa, di calore e affetto. Il suo braccio era ancora stretto forte intorno alla sua vita, rassicurante, solido, quasi volesse comunicargli “ci sono io con te, sei al sicuro”.  Non si era mai sentito così prima d’ora, ma era pur vero che non era mai stato così a stretto contatto con qualcuno. Era bello, confortante, intimo. Quando John giunse al termine della vasca Sherlock se ne dispiacque molto, avrebbe voluto passare altro tempo tra le sue braccia. Non era sicuro fosse un qualcosa di adeguato da provare, ma non se ne curò troppo.

«Come promesso, sano e salvo. Ora riprendiamo i nostri esercizi: voglio che tu impari perfettamente a nuotare entro la fine del mese!»

«Attento John, potrei diventare più bravo di te!»

«Naah, non corro questo rischio. Un bimbetto così piccolo non potrà mai superarmi» ridacchiò stuzzicandolo.

«Bimbetto a chi, scusa? Perché tu quanti anni avresti, grande uomo?»

«Ne ho compiuti quindici da poco» proclamò con fierezza.

«Beh io ne ho quattordici…»

«Visto? Che ti dicevo?»

«…ma sono di gennaio. Non sei più grande di me nemmeno di mezzo anno, quindi fa’ poco il galletto, tra qualche mese compirò anch’io quindici anni.»

L’espressione che assunse voleva essere minacciosa e autoritaria, ma era evidente che John trovasse il suo broncio delizioso e tenero, quindi sbuffò frustrato.

«Va bene, sono felice che siamo coetanei, altrimenti poi mi sentirei in colpa.»

Sherlock annuì solenne, la testa ancora un po’ rallentata dalla vicinanza di poco prima, ma dopo qualche secondo improvvisamente si riscosse e si fece dubbioso.

«In colpa per cosa?»

«Forza, datti una mossa con quella tavoletta, non voglio vederti fermare prima che tu abbia fatto quattro vasche! Lavorare!!»

«Ma John. JOHN!»

Ma l’amico non l’ascoltava già più, si era allontanato in un allegro schizzare d’acqua e aveva preso a nuotare di buona lena. A Sherlock non rimase che recuperare la sua tavoletta e fare quello che gli aveva detto. Probabilmente non sarebbe diventato un campione di nuoto nel mese successivo, ma ci teneva molto a raggiungere un livello quantomeno accettabile e il voler sorprendere John, il volerlo rendere fiero di lui, gli conferì quella spinta in più che gli serviva per impegnarsi a fondo. Sherlock Holmes avrebbe di certo vinto la sfida, non c’era nulla che non potesse fare.
 
 

Nel mese seguente Sherlock imparò effettivamente a nuotare, certo il suo stile non era perfetto e arrancava ancora alcune volte, inoltre non erano andati oltre lo stile libero, ma ora era in grado di mantenersi perfettamente a galla da solo, le sua bracciate erano tutto sommato accettabili e la maggior parte delle volte manteneva le gambe nella giusta posizione. Ovviamente l’aiuto di John era stato fondamentale. Innanzitutto l’aveva istruito sulla respirazione, passando intere ore a spiegargli come trattenere il fiato, quando riprendere aria e come ruotare la testa per incanalare ossigeno senza bere litri d’acqua. Non era stato qualcosa di semplice e più spesso di quanto a Sherlock facesse piacere ammettere aveva bevuto e successivamente piagnucolato prendendosela con l’acqua, John, le piscine di tutto il mondo e la natura che non l’aveva dotato di branchie accessorie. John in fin dei conti si era dimostrato molto meno paziente di quanto fosse apparso inizialmente, spesso litigavano e l’amico se ne tornava nella propria corsia a terminare i propri esercizi, maledicendo quell’insopportabile ragazzino che si era scelto come amico. Ma alla fine tornavano sempre l’uno dall’altro, ormai Sherlock l’aveva capito e non si spaventava più dei loro battibecchi. Cosa che era successa durante il loro primo litigio. Era nato come una bazzecola e più rapidamente di quanto Sherlock potesse immaginare aveva assunto proporzioni gigantesche, nonché drammatiche, almeno per lui.

Ricordava bene quel giorno, era irritato, non capiva proprio per quale principio logico l’acqua non dovesse entrargli nel naso. John aveva provato con immensa pazienza a spiegargli come avrebbe dovuto fare, come espellere l’aria per evitare di farci entrare l’acqua.

«Se un qualcosa esce, non può entrarci altro, no? È perfettamente logico» cercava di spiegargli John con tono leggermente risentito.

«Ma se faccio fuoriuscire l’aria poi i miei polmoni saranno vuoti e avrò bisogno di riempirli con altro. E poiché sarò sott’acqua l’unico elemento a disposizione sarà il monossido di diidrogeno. Che in caso non lo sapessi non è altro che banalissima acqua appunto» gli spiegò come se fosse un bambino particolarmente tardo.

«Sì grazie tante, faccio anch’io scienze a scuola. E io non ti ho detto mica di buttar fuori tutta l’aria, solo un po’.»

«E come faccio io a sapere quanta dovrei cacciarne fuori, John! Ma ti senti? Dici cose completamente senza senso!» decretò alzando la voce.

«Ma non puoi semplicemente fare quello che ti dico? Perché devi sindacare su tutto? Nuoto da sempre, saprò cosa si può fare o meno. Se solo provassi a mettere la testa sott’acqua ti renderesti conto che è un qualcosa che è più semplice a farsi che a dirsi.»

«Perché non sono un cagnolino che fa quello che gli si dice. Se mi dici di fare cose stupide io non le faccio. Esponimi la cosa in maniera chiara e logica e io potrò prenderla in considerazione.»

Stavano discutendo già da un po’ ed evidentemente quella fu la classica goccia che fece traboccare il vaso, perché John perse gli ultimi residui di pazienza rimastagli e scattò esasperato.

«Ohh, sai che ti dico? Fa un po’ quello che vuoi, ne ho abbastanza dei tuoi capricci.»

E lo piantò in asso così, tornandosene a nuotare per conto suo. Sherlock fu colto alla sprovvista da quella reazione e lo osservò stupito, non sapendo bene come comportarsi. Questa volta l’aveva fatto davvero arrabbiare. Forse avrebbe dovuto chiedergli scusa? Ma lui non era molto bravo in queste cose e non sapeva che parole usare, come esprimergli il suo dispiacere per il comportamento tenuto. Quindi restò semplicemente immobile, a guardarlo per un po’ mordendosi il labbro inferiore. Quando capì che John non aveva nessuna intenzione di rivolgergli ancora la parola uscì con sguardo mesto dalla piscina dirigendosi nello spogliatoio. Perché doveva essere sempre così insopportabilmente odioso? Era riuscito a distruggere l’unica cosa bella da…beh da quando ne aveva memoria! Ora John lo odiava e non gli avrebbe più rivolto la parola, magari avrebbe cambiato turno per non rivederlo mai più. Il solo pensiero gli portò le lacrime agli occhi. Si rivestì velocemente dopo la doccia e se ne andò a casa, camminando a testa bassa. Era la prima volta che non tornava con John dacché si erano conosciuti e questo lo rattristava in maniera indicibile.

Non era nemmeno a metà strada quando il suo cellulare squillò. Forse era suo fratello che gli chiedeva a che ora sarebbe rincasato.
 

Ma te ne sei andato?!?!?! JW

Beh sì. SH

E perché?? JW

Credevo non volessi più vedermi. SH

Non ho detto questo. JW

E poi noi ce ne andiamo sempre insieme. Pensavo mi aspettassi. JW

Credevo che non volessi. Che ti avrebbe dato fastidio fare la strada con me. SH

Ma quanto sei idiota da uno a mille? È stato solo un bisticcio, non è un buon motivo per piantarmi in asso così. JW

Sono offeso. JW

Non sei arrabbiato con me? SH

No che non lo sono. Cioè prima un po’ lo ero, forse. Ma questo non significa che non volessi tornare a casa con te. JW

E che significa? SH

Che abbiamo avuto una discussione. Capitano tra amici. Ammetterai di non avere un carattere semplice, come non ce l’ho io. JW

Noi siamo amici, John? SH

John? SH

Scusa. L’ho dato per scontato, ma ora sto pensando che non avrei dovuto farlo. Mi dispiace di ciò che ho detto, non voglio costringerti ad essere mio amico, se non lo vuoi. JW

NO!! Hai capito male, io voglio essere tuo amico. SH

Bene :) JW

Bene. SH

 
Sei arrivato a casa? JW

Sì. SH

Mi stai facendo fare la strada da solo. Potrebbe succedermi di tutto e sarebbe tutta colpa tua! JW

Non eri tu il grande uomo? A cosa potrebbe servirti mai un bimbetto come me? SH

Elementare Mr. Holmes. Lancerei te contro eventuali rapitori e urlerei “Prendete lui, guardate che bei boccoli, ve lo potete sicuramente rivendere meglio!” JW

Io non ho dei bei boccoli. SH

Certo che sì, riccioli d’oro. JW

Ma senti le idiozie che dici? Io ho i capelli scuri, se c’è un biondo tra i due non sono di certo io. SH

Come preferisci Biancaneve. JW

Ti odio. SH

Ehi di che ti lamenti! Alla fine ti becchi un bel principe con un grande castello. JW

TI ODIO. SH

Va bene, va bene la smetto. JW

È una noia fare la strada senza di te, lo sai? JW

Mi spiace davvero John, sono stato precipitoso. È che davvero credevo non volessi vedermi mai più in vita tua. SH

Pazzo. Fosse per me ci vedremmo anche più di quel già ci vediamo. JW

Che vuoi dire? SH

Che magari per farti perdonare domani potresti offrirmi una cioccolata calda. O posso offrirla io a te. Il punto è che mi piacerebbe vederti anche fuori la piscina, qualche volta. E non mi piace come ci siamo lasciati oggi, non voglio aspettare tre giorni per rivederti. JW
 

Sherlock ripensò a John, alla sua timidezza e reticenza, a quando aveva pensato fosse un ragazzo freddo e distaccato. Di certo gli era costato molto scrivere ciò. John gli aveva detto che lo considerava un amico. E voleva vederlo il giorno dopo. Si sentiva al settimo cielo. Un amico. Finalmente.
 

Sempre se ne hai voglia, ovvio. Non sentirti obbligato per ciò che è successo oggi. JW

Certo che voglio! Mi farebbe molto piacere. SH

Perfetto allora. Ti scrivo domani per dirti il luogo e l’ora. JW

A domani allora. SH

Oh Sherlock un’ultima cosa, è importante!!! JW

Dimmi. SH

Non accettare mele dagli sconosciuti. Specie dalle vecchiette. JW

Evito di scriverti ciò che penso per non essere inutilmente scurrile. SH

Ma che bravo bambino. Dai ora ti saluto, sono arrivato a casa. A domani Sherlock, buonanotte. JW

Buonanotte, John. SH
 

 
Il giorno seguente Sherlock era nervoso e impaziente, non era mai uscito prima con un amico e temeva di poter fare qualcosa che avrebbe rovinato tutto. D’altro canto era ormai ben rodato nel celare le proprie emozioni e i propri pensieri, quindi era fiducioso di riuscire a nascondere i propri turbamenti dietro una facciata di sicurezza e disinteresse. Si allenava da tutta una vita in questo.

Raggiunse il luogo dell’incontro con leggero anticipo e si addossò al muro, stringendosi nel cappotto pesante e immergendo la faccia nella sciarpa morbida: iniziava a fare davvero freddo. Affondò le mani in entrambe le tasche per cercare di conservare quanto più calore possibile e iniziò a pensare a quell’incontro, a cosa si sarebbero detti, al tempo che avrebbero passato insieme. Ci sarebbero stati silenzi imbarazzanti? Sherlock non poteva di certo dirsi un mago della conversazione. O meglio lui avrebbe potuto parlare per ore, ma aveva avuto modo di notare che bizzarramente il resto del mondo non condivideva i suoi interessi e aveva la fastidiosa abitudine di trovare noioso o addirittura disgustoso ciò che lui invece reputava affascinante e degno di attenzione. Avrebbe forse dovuto prepararsi una lista di argomenti “frivoli”? Probabilmente avrebbe dovuto studiarsi meglio quell’incontro, ora si trovava impreparato di fronte a tutto ciò e questo iniziava a spaventarlo un po’. E se John non si fosse presentato affatto? La possibilità che ciò avvenisse lo terrorizzava, ma avrebbe mentito a se stesso se non avesse ammesso di aver contemplato quest’eventualità fin dall’inizio, ecco perché aveva deciso di non entrare nel locale, preferendo aspettare John all’aperto rischiando l’ipotermia: tornarsene a casa con la coda tra le gambe sarebbe stato meno imbarazzante che non facendolo dopo aver preso posto ad un tavolo.

Stava per ricontrollare l’ora quando notò la familiare figura dell’amico apprestarsi al bar, indossava un buffo cappellino rosso in lana e nascondeva il naso in una morbida sciarpona. Sherlock aveva già avuto modo di dedurre quanto fosse freddoloso dai pesanti maglioni che indossava una volta usciti dalla piscina. Una volta lo aveva anche preso in giro dicendogli che erano orribili, ma in fondo in fondo gli piacevano, erano così inconfondibilmente John. Sherlock avrebbe voluto affondarci le mani, il volto, stringersi contro e permettere a quell’ammasso di lana e pelle di circondarlo per riscaldarlo fuori e dentro. Doveva ammettere che da quando aveva conosciuto John faceva pensieri piuttosto strani.

John lo individuò subito e gli si avvicinò con un piccolo sorriso.

«Che ci fai qui fuori? Potevi entrare, si gela! Aspetti da molto?»

Sherlock si limitò a scuotere leggermente il viso, ma John non convinto gli accostò una mano alla guancia.

«Abbastanza da congelarti in ogni caso. Entriamo, su, sei così freddo.»

Spinse con una mano la porta, mentre con l’altra, poggiata delicatamente sulla schiena di Sherlock, lo invitò a entrare nel locale. Un caldo tepore avvolse entrambi che sospirarono di contentezza. Cercarono posto in un angolo tranquillo, abbastanza appartati da non farsi disturbare dalle chiacchere altrui. Una graziosa cameriera con il naso cosparso da lentiggini si avvicinò a loro prendendo le ordinazioni, tornando dopo una decina di minuti con due cioccolate calde: una al cioccolato fondente, per John, e una al cioccolato al latte con aggiunta di marshmellow per Sherlock.

La tazza bollente riscaldò le mani del bruno che ancora avvertiva qualche brivido per il freddo preso fuori.

«Sai, è la prima volta che invito qualcuno ad uscire…» ammise esitante John.

Sherlock lo guardò curioso esortandolo a continuare.

«Come ti ho detto non ho molti amici, anzi possiamo dire che non ne ho nessuno. Qualche conoscente al massimo. Quando ho incontrato qualche compagno di classe fuori da scuola è sempre stato perché loro me l’hanno chiesto, sai quelle serate di classe super noiose.»

No, Sherlock non poteva saperlo davvero, non l’avevano mai invitato a nulla del genere.

«Ma non mi è mai importato di invitare qualcuno prima d’ora. Mai nessuno ha mai contato abbastanza per me da farlo. Fino ad adesso.»

«Nemmeno io sono mai uscito con nessuno. Amici, compagni, conoscenti. Nessuno me l’hai mai chiesto, né io ho mai avuto la minima intenzione di farlo. Non che qualcuno avrebbe mai l’insana idea di passare più tempo con me di quel che è costretto a fare.»

Un piccolo sorso alla cioccolata per mandare giù quel groppo alla gola.

«Sono solo e mi va bene così» aggiunse più duro.

«A me piace passare del tempo con te» replicò John con un pizzico di curiosità. Si stava chiedendo perché non fosse così anche per gli altri.

«Mia madre mi ripete che potrei facilmente andare d’accordo con gli altri se la smettessi.»

«Di fare cosa?»

«Dedurli. Correggerli. Se evitassi di fare il saccente, di mettermi in cattedra, di dare loro degli stupidi. Di suggerire di usare il cervello. In pratica dovrei spegnere il mio di cervello, fingermi qualcuno che non sono, arrendermi a questo mare di mediocrità. In altre parole dovrei mettere Sherlock da parte per trasformarmi in ciò che vogliono loro» terminò con disgusto.

John abbassò la testa per riflettere sulle parole appena udite, era giusto chiedere qualcosa del genere ad una persona? Al proprio figlio? Sicuramente era stato fatto pensando che sarebbe stato più felice così, ma era giusto rinnegare la propria natura?

«Molto meglio essere soli non trovi?» proseguì il moro distogliendolo dai suoi pensieri.

John si limitò ad annuire ancora meditabondo, cercando le parole più giuste da dire.

«A me piaci così come sei. Secondo me non dovresti cambiare, non per gli altri almeno.»

«Bene» annuì a sua volta l’altro soddisfatto.

«È per questo che sei il mio primo amico» aggiunse nascondendo l’imbarazzo dietro la barriera offertagli dalla tazza.

John sorrise di fronte a quell’ammissione così dolce. Prese anche lui un sorso dalla sua tazza pensando a qualcosa da dire per stemperare la tensione e allontanare quel senso di tristezza che li aveva avvolti per un momento.

«Parlami un po’ di te. Tu sai che da grande voglio fare il medico, oltre alle mille altre cose che hai dedotto sul mio conto. Ma io di te non so poi così tanto.»

«Cosa vorresti sapere?»

«Non lo so, cose banali. So che hai un fratello perché l’hai nominato qualche volta. Hai altri fratelli o sorelle?»

«Solo un fratello più grande, Mycroft, e credimi basta e avanza.»

«Immagino non andiate molto d’accordo.»

Sherlock scrollò le spalle svuotando un’altra bustina di zucchero nella sua tazza. Come spiegare il suo rapporto con quel pomposo sbruffone?

«Tra noi le cose non sono semplici. Siamo troppo uguali su alcune cose e troppo diversi su altre. Siamo perennemente in competizione su tutto, lui ama stuzzicarmi e io gli rispondo sempre male. Ma non è un cattivo fratello, si preoccupa continuamente per me, fin troppo. Se ho bisogno di qualcosa preferisco rivolgermi a lui piuttosto che ai miei genitori. In più da piccolo gli ero molto legato, volevo imitarlo in tutto e gli stavo sempre appiccicato. Crescendo le cose si sono fatte più difficili, soprattutto da quando è partito per il college, ma in fondo in fondo gli voglio bene, anche se questo non lo ammetterò mai con nessuno. Anzi dubito ripeterò mai qualcosa del genere su di lui. Ritieniti fortunato» concluse con un sorriso. Non sapeva nemmeno lui perché stava dicendo quelle cose piuttosto che limitarsi a rispondere con un semplice sì alla domanda che gli era stata posta.

«Lo capisco fin troppo bene credimi. Il rapporto con Harry non è dei migliori. Eppure da piccolo le ero molto legato, te l’ho detto che ho iniziato a nuotare per seguire lei. Ma credo sia normale ad un certo punto cercare la propria indipendenza. In fondo anch’io continuo a volerle molto bene. Posso chiederti altro?»

«Certo.»

John ci pensò qualche istante, soppesando quale domanda voleva fargli prima.

«Che vorresti fare da grande?»

 «Non so ancora bene. Voglio studiare chimica all’università, ma non mi interessa il lavoro da chimico, non quello tradizionale almeno. Mi affascinano i crimini, i misteri irrisolti.»

«Quindi vorresti fare il poliziotto?»

«No» rispose inorridito «stai scherzando? Dovrei sottostare per anni a una rigida gerarchia composta da incapaci. Sarebbe terribile!»

«A me non dispiacerebbe arruolarmi. Magari nell’esercito. Quindi vuoi diventare un investigatore privato?»

«Una specie. Non potrei lavorare con i casi più interessanti però, quelli di Scotland Yard. Ci sto ancora pensando ma credo inventerò il mio lavoro.»

Sherlock prese quindi a spiegargli la sua idea del consulente investigativo e fu molto soddisfatto del fatto che John non gli desse del pazzo o non lo guardasse con accondiscendenza di fronte alle sue idee. Gli raccontò del violino che suonava, degli esperimenti che a volte conduceva. John proseguì facendogli qualche altra domanda a cui il moro rispose con piacere, vedendo un reale interesse da parte dell’amico per la sua vita. Anche Sherlock ne approfittò per domandargli cose che non ere riuscito a dedurre.

Risero di qualche sciocchezza quando Sherlock posò gli occhi su un buffo baffo di cioccolata che adornava il labbro del biondo. Iniziò a sghignazzare indicandolo e questo provocò perplessità da parte dell’amico.

«Cosa?»

«Sei tutto sporco di cioccolata!»

«Dove?» domandò passandosi una mano sul lato opposto del viso.

«Lì» rise più forte il moro.

«Sherlock!»

«Ok, ok aspetta, fai fare a me.»

Sherlock passò candidamente il pollice sul labbro e sull’angolo della bocca sporchi di cioccolata, raccogliendola sul dito e portandosela alle labbra. [1]

John aveva osservato il gesto senza fiatare, arrossendo violentemente subito dopo. Questa reazione non fu subito chiara all’amico che non sapeva se fosse dovuta alle bonarie prese in giro o se fosse attribuibile al suo gesto. La cosa aveva turbato John? Non sapendo bene come reagire cercò di distogliere l’attenzione da ciò che era appena successo cercando di tornare ad un’atmosfera più scherzosa.

«John la tua cioccolata è orribile! È amarissima!!»

«Ci credo! La tua è un concentrato di zuccheri, è cioccolato dolce a cui tu hai aggiunto zucchero e marshmellow. Mi sta salendo la glicemia solo a guardarla.»

Per fortuna il tentativo di Sherlock aveva avuto esito positivo.

«Invece ti sbagli è buonissima. Prova!»

Gli passò la tazza che John accettò con diffidenza, annusò la cioccolata e poi ne ingoiò un generoso sorso.

«Sherlock ma è dolcissima! Così ti rovinerai i denti.»

«Uffa ma quanti anni hai? Sembri mia nonna.»

«Sherlock finisci i tuoi compiti, altrimenti ti sculaccio e ti mando a letto senza cena!» lo canzonò John imitando una voce anziana.

«Questa sembra più mia madre a dire il vero. Che razza di nonni hai avuto? Loro sono quelli che dovrebbero viziarti, non sgridarti.»

«Diciamo che mia nonna era una specie di sergente. Faceva filare tutti quanti.»

«Ora capisco la menzione dell’esercito di prima. E io che credevo lo facessi per l’uniforme. Dubito ti piaccia prendere ordini con quel caratterino, anzi da come sbraiti in piscina direi che ti piace più darne.»

«Oh perché tu sei un pezzo di pane vero? Docile e mansueto» lo prese in giro con uno sbuffo.

«Sono creta nelle sue mani, senpai.»

«Ma va, va!»

Sherlock pose le mani davanti a sé per parare la pallina di carta che John gli aveva lanciato contro, ridendo di gusto. Non si era mai divertito così tanto in compagnia di qualcuno.

Le ore parvero volare e quando fu ora di rincasare a entrambi sembrava di aver passato ancora troppo poco tempo insieme e non erano pronti per lasciarsi andare. Fecero una parte di strada insieme e quando fu il momento di separarsi si ripromisero di vedersi in piscina. I giorni senza vedersi erano davvero una tortura.

 
 
 
[1] Lo so, lo so. Ho già usato questo espediente in “A New Job”, l’altra mia long pubblicata. Ma non c'è un numero di volte adeguato per togliere baffi di cioccolata alla gente, è sempre troppo poco. Quindi ve lo ribeccate anche qua. Perdonatemi se potete, sono una donna debole.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Salve! Sono in tremendo ritardo, lo so! Vi chiedo perdono, ma ho avuto dei problemi che mi hanno impedito di pubblicare prima. Il prossimo capitolo, salvo ulteriori imprevisti, dovrebbe arrivare quanto prima (sapete già che la storia è conclusa, quindi tranquilli la fine arriverà). Ringrazio chi sta seguendo la storia, chi recensisce e chi l'ha inserita in qualche categoria. Spero che la storia continui a piacervi. All'inzio ho detto che probabilmente avrebbe avuto più di 5 capitoli e meno di 10, facendo un po' di conti dovrebbero essere circa 8-9, sono ancora incerta sulla suddivisione di un capitolo. A presto!



Da quel giorno Sherlock sentì lentamente cambiare qualcosa dentro di lui. Non fu un qualcosa che gli fu chiaro fin dal primo momento, vedere John gli portava sempre molta felicità, ma all’inizio lo attribuì semplicemente al fatto di avere finalmente un amico. Ma più si vedevano e più Sherlock sentiva di aver bisogno di lui, avvertiva la voglia di averlo sempre con sé, di abbracciarlo e di farsi abbracciare e magari anche di…

No quei pensieri erano pericolosi. Non doveva pensarci, rischiava di rovinare l’unica cosa buona che era riuscito a crearsi dopo anni. Doveva distrarsi, fare i compiti e studiare, terminare quell’esperimento che aveva iniziato il giorno prima, dedurre i grattacapi del vicino. Tutto pur di tenere occupata la mente. Non doveva pensare a una simpatica testolina bionda, a un sorriso coinvolgente, agli occhi più blu e belli che avesse mai visto. E stava andando anche bene, aveva il pieno possesso delle proprie facoltà mentali. 

Questo almeno finché era sveglio. Fu proprio lì che la sua mente lo fregò, tra le reti del sonno della notte, quando non poteva imbrigliare il suo cervello che, lasciato libero di vagare, gli presentò splendide immagini di John che lo baciava e diceva di amarlo, che amava lui e lui soltanto e non lo avrebbe mai lasciato. Al risveglio guardando le due vistose occhiaie si chiese se l’inconscio masochista era cosa comune o fosse una sua prerogativa. Che senso aveva indugiare su cose che non sarebbero mai accadute? E cosa voleva dire quel sogno? Si sentiva stremato, per nulla riposato dalla notte di sonno. Si vestì stancamente e si trascinò a scuola, facendo ritorno a casa non appena le lezioni terminarono. Nei suoi progetti c’erano lo strisciare a letto nascondendosi sotto il pesante piumone, possibilmente non emergendone mai più, con la speranza che la sua mente gli desse tregua questa volta.

Mandò un veloce messaggio a John dicendogli che per quel giorno avrebbe saltato la piscina: si sentiva veramente a terra e in ogni caso non ce l’avrebbe fatta ad incontrare John e rimanere impassibile, non con tutte quelle sensazioni ancora addosso. La risposta al messaggio arrivò quasi immediatamente, John si preoccupava che non stesse bene, ma Sherlock lo rassicurò, si sarebbe presto ripreso.

“Almeno spero” ammise tra sé e sé.

La fuga verso la sua stanza fu interrotta dall’incontro casuale con Mycroft, che evidentemente era tornato a casa per quella settimana. Questo gli rivolse al solito una qualche battutina caustica che questa volta fu però ignorata dal minore. Non aveva letteralmente le forze per discutere con lui.

Ovviamente fu la mossa sbagliata perché Mycroft si rese immediatamente conto che qualcosa non andava. Rimase qualche secondo fermo nel corridoio prima di dirigersi verso la sua stanza e bussare alla sua porta.
Sherlock sapeva sarebbe stato inutile negargli l’ingresso, avrebbe solo continuato ad importunarlo, motivo per cui lo invitò subito ad entrare.

«Che vuoi?»

Beh non aveva detto sarebbe stato gentile.

«Che hai?»

«Niente. Ora va via.»

Il maggiore sospirò pesantemente ruotando gli occhi. Odiava le perdite di tempo.

«Devo ricordarti chi è il più intelligente dei due? Non sprecare il mio tempo e dimmi che hai.»

Ma Sherlock non aveva assolutamente intenzione di dargliela vinta e si chiuse nel suo mutismo, avvolgendosi più strettamente nella coperta e dandogli le spalle.

Mycroft dovette capire che qualcosa di serio lo affliggeva, perché cambiò immediatamente tono. Sapeva che l’arroganza non avrebbe funzionato col fratello, se davvero voleva ottenere qualcosa.

«Sherlock» sussurrò più dolcemente. Si avvicinò al letto e si sedette verso il bordo, portandogli una mano sulla spalla.

«Sherlock lo sai che se hai qualche problema con me puoi parlarne.»

Questo per lo meno lo convinse a voltarsi e a mettersi seduto, sebbene ancora non si decidesse a parlare, preferendo martoriarsi il labbro inferiore coi denti.

«Che ti passa per la testa fratellino?»

«Ecco io…» mormorò flebile abbassando il capo. Brutto segno, Sherlock non abbassava mai lo sguardo.

Mycroft gli posò una mano tra i capelli invitandolo a proseguire.

«Se mi fossi innamorato di una persona…»

«I sentimenti non sono un vantaggio Sherlock, lo sai» iniziò Mycroft, ipotizzando che qualcuno lo avesse rifiutato, spezzandogli il cuore.

«Sì lo so, lo so. Ma se fosse successo lo stesso?»

«Questa persona è stata cattiva con te? Ti ha insultato o ferito?»

«Oh no, no. Non ne sa niente.»

«Allora qual è il problema?»

«Beh…e se fosse la persona sbagliata?»

«Come fai a dire che lo è se non ne sa niente? Non puoi sapere cosa pensa, non è così facile dedurre i sentimenti di qualcuno.»

«Ma io non parlo di questo. Se fosse sbagliato? Tutto sbagliato.»

«Sherlock non ti seguo, cosa ci sarebbe di così sbagliato?» domandò il maggiore con un pizzico di apprensione. Che si trattasse di una persona molto più grande di lui? Un adulto addirittura? Un’occhiata più attenta lo portò però ad escludere questa possibilità. Ciò nonostante non riusciva ancora a dedurre l’origine di questa inquietudine.

Sherlock abbassò nuovamente gli occhi, sul punto di scoppiare a piangere. Mycroft non l’aveva mai visto così fragile, forse solo quando gli aveva comunicato che sarebbe partito per il college. Tutte le sue difese erano abbassate, era quasi irriconoscibile.

«E se questa persona fosse un ragazzo?» chiese con un filo di voce, talmente basso che quasi Mycroft fece fatica a sentirlo.

«Oh Sherlock. È questo il problema? Non c’è assolutamente nulla di male.»

«Sicuro? Perché in questo caso io mi sento tanto un mostro come dicono gli altri. Finalmente ho un amico e devo rovinare tutto.»

«No Sherlock, non dire così, mai. Non c’è nulla di sbagliato in te, non sei un mostro. E ok, tenerci non è un vantaggio, ma perché l’essere coinvolto porta a dei rischi, potresti soffrire, potresti finire col cuore spezzato. Ma l’amore non è un qualcosa che rovina nulla, non è qualcosa di brutto quello che senti. Mi segui?»

Sherlock annuì piano.

«Anche se è un maschio come me?»

«Sì. L’amore è amore, in ogni sua forma. Non hai nulla di cui vergognarti.»

«E mamma e papà?»

«Non preoccuparti, non ci saranno problemi. Lo sai, non sono perfetti come genitori. Loro…fanno del loro meglio, ecco. Ma ci amano a loro modo. Se vuoi ci parlo io.»

Sherlock parve pensarci per un po’. Decise che no, per il momento non voleva sapessero e lo comunicò al fratello.

«Sei un po’ più tranquillo adesso?» domandò sporgendosi per abbracciarlo.

«Si Myc, grazie.»

Era tornato a chiamarlo col soprannome di quando era bambino, quando si infilava di nascosto sotto le coperte a letto con lui perché aveva paura del buio, ma era già troppo orgoglioso per ammetterlo. In effetti Sherlock in quel momento sembrava più piccolo della sua reale età, tornato ad essere quel dolce bambino di non molti anni prima.

«Su, fatti più in là, fammi spazio sotto le coperte. Devi raccontarmi tutto di questo ragazzo. Deve essere davvero speciale per aver attirato l’attenzione di niente meno che Sherlock Holmes.»

«Lo è, si chiama John ed è semplicemente fantastico.»

E così Sherlock gli raccontò di quel ragazzo, di come aveva permeato ogni angolo della sua esistenza diventando nel suo cuore, in breve tempo, qualcosa di più di un amico. Gli raccontò delle lezioni di nuoto, della sua pazienza, di quando lo aveva invitato ad uscire e di tutte le altre volte che si erano visti. Continuò a raccontargli di lui, del suo sogno fino a che la stanchezza ebbe il sopravvento e si addormentò col cuore finalmente più leggero.
 

Sherlock aveva tutto sommato accettato con facilità e con un pizzico di rassegnazione di provare certi sentimenti per il suo amico. Parlarne col fratello, sentirsi dire che andava bene, che non c’era nulla di sbagliato in lui anche se si era innamorato di un ragazzo l’aveva molto tranquillizzato. Ne avevano parlato a lungo e nonostante il supporto di Mycroft aveva deciso di non rivelare a John ciò che sentiva. Era una pura questione logica: per la statistica quante possibilità ci sarebbero state che anche lui fosse attratto da un ragazzo? Molte poche. Quindi aveva deciso di sopprimere la cosa, accantonare i suoi desideri. Il rischio era troppo e illogico da correre: avrebbe potuto perdere John, l’unico amico che avesse mai avuto a fronte di cosa? Una piccolissima e remota possibilità che i suoi sentimenti fossero corrisposti?

E si era quasi convinto di tutto ciò, accontentandosi di vedere l’amico in piscina o nelle saltuarie uscite che si concedevano. La scuola impegnava parecchio entrambi, non permettendo loro di passare insieme tutto il tempo che avrebbero voluto. Perché al di fuori di ogni logica a John piaceva davvero passare del tempo con Sherlock e lui non poteva che accettare questo piccolo miracolo con gratitudine e riconoscenza. Questo almeno nel suo cuore, perché all’esterno restava il solito rompiscatole insopportabile, non molto propenso a riconoscere a John i propri meriti o ad esprimere affetto (ad eccezione di qualche raro caso). Ed in fondo non era John che voleva ringraziare, quanto la sorte che gli aveva fatto conoscere una persona tanto straordinaria. Anche John non è che fosse tutta questa grande espansività, ad eccezione dei complimenti che gli sciorinava copiosamente e con ingenua e genuina sorpresa dopo ogni deduzione, non è che si dilettasse in grandi manifestazioni d’affetto. Ma Sherlock era pur sempre una persona estremamente deduttiva e riconosceva i tanti piccoli gesti che faceva per lui e solo per lui, captava il gran bene che gli voleva senza che necessitasse di esprimerlo a parole. Certo John aveva un bel caratterino, nervosetto e insolente, ma gli piaceva così tanto anche per quello.

Quindi Sherlock non aveva mai nemmeno pensato di dirgli qualcosa, o semplicemente di avere una remota possibilità, fino a quel giorno.

Erano i primi giorni di dicembre, in giro iniziava a sentirsi quella tipica atmosfera natalizia. Sherlock galleggiava pigramente abbozzando uno stile rana molto sgangherato. Il movimento non gli era ancora del tutto chiaro e certamente mancava di fluidità. Aveva bisogno di aiuto, in particolare dell’aiuto dell’amico che quel giorno sembrava aver dato forfait. John era in forte ritardo e Sherlock iniziava a pensare che non si sarebbe proprio fatto vedere per quella sera. Odiava nuotare solo, senza John la piscina era così insopportabilmente vuota. Quando si lasciò andare a un sospiro di frustrazione, rassegnandosi a passare quella serata in solitudine, sentì il rumore della porta che si richiudeva e vide la figura dell’amico che si liberava nervosamente dell’accappatoio e infilava cuffia e occhialini.

“Ahia. Giornata no” pensò Sherlock. Lo guardò attentamente, deducendo in breve tempo che il ritardo (e l’evidente malumore) erano stati provocati da un litigio in famiglia. Anzi no, Harry aveva litigato con qualcuno e poi se l’era presa col fratello.

Lo osservò tuffarsi in una corsia poco distante e prendere a nuotare concitatamente. Quando era nervoso John sfogava tutta la sua irrequietezza nel nuoto, ormai Sherlock lo sapeva bene. Come sapeva che era più saggio non disturbarlo e lasciarlo scaricarsi in quel modo. Fu solo dopo duecento metri affrontati a ritmo molto sostenuto (e meno male che si trattava di riscaldamento!) che John si fermò a riprendere fiato. In quei momenti Sherlock capiva perché in molti insistessero affinché passasse all’agonismo: John era un talento naturale.

Notandolo leggermente più rilassato si azzardò ad accostarglisi salutandolo in modo sbrigativo, notando che non aveva nemmeno un po’ di fiatone per il notevole sforzo fisico. Ma si concentrò su ciò che voleva chiedergli, era curioso di sapere il motivo del litigio.

«Beh di cosa ti ha accusato questa volta tua sorella?»

«Ma come…»

«Andiamo, sai già come funziona. Le deduzioni e tutto il resto. Saltiamo le spiegazioni per giungere alla roba interessante.»

John grugnì esasperato. Probabilmente se non avesse avuto la cuffia si sarebbe arruffato i capelli con entrambe le mani.

«Non sono ancora pronto a parlarne. Oggi ho un programma distruttivo, a metà mi fermo e ti racconto, se mi sarò calmato abbastanza. Altrimenti ne parliamo alla fine, va bene? Tu hai il programma che ti ho mandato, sì?»

Sherlock annuì poco convinto. Non voleva dirgli che era in difficoltà ed aveva bisogno del suo aiuto. In fondo John aveva diritto al suo tempo senza dovergli fare continuamente da balia.

Quel giorno John andava avanti come un treno, macinando vasca dopo vasca, riuscendo persino a recuperare il ritardo con cui era arrivato. Era quasi giunto alla fine del suo allenamento, poco prima del defaticamento, quando gettò un occhio in direzione dell’amico trovandolo parecchio in difficoltà. Si rimproverò mentalmente per non averlo seguito maggiormente e mandò alle ortiche il programma di quel giorno, raggiungendolo rapidamente.

«Sherlock tutto bene? L’allenamento di oggi è troppo duro?»

Sherlock voltò la testa in sua direzione, letteralmente sfinito. Nonostante ciò negò col capo, non volendo mostrarsi debole. Se John gli aveva dato quegli esercizi da fare voleva dire che lo reputava in grado di farli.

«Ehi non c’è nulla di male se non riesci a finire il programma, non devi ammazzarti per farlo. In più non ti ho guardato attentamente come al solito, se hai sbagliato qualcosa rischi di esserti stancato inutilmente, quindi è ovvio che ora tu sia esausto.»

«Ma io voglio finire l’allenamento. Voglio esserne in grado» mugugnò con voce affranta.

«Ok, ok, a che punto sei? Vediamo di prendere le cose con calma, ok?»

«Devo fare quattro vasche da cinquanta metri con il galleggiante e poi il defaticamento.»

«Va bene, che ne dici se sostituiamo con otto da venticinque metri? E ne facciamo quattro con il pull buoy e quattro con la tavoletta? Sempre stile rana.»

«Come vuoi tu John.»

«Dai parti, io ti guardo per vedere se la tecnica va bene.»

Come previsto la tecnica non andava affatto bene e Sherlock stava spendendo un sacco di energia inutilmente. John gli si avvicinò nuovamente e lo corresse fino a che l’esecuzione non gli sembrò buona. In effetti in questo modo il movimento era molto più fluente e naturale.

Sherlock ora si sentiva molto più entusiasta e quasi come se avesse recuperato le forze terminò il programma soddisfatto. Fecero il defaticamento insieme e decisero di restare un altro po’ a mollo per chiacchierare tranquillamente, abbandonando cuffie e occhialini a bordo vasca.

«Sherlock mi dispiace molto» iniziò John con voce insicura.

«Per cosa?»

«Per non averti seguito oggi. Ero nervoso e ti ho lasciato da solo.»

«John non sei tenuto a stare sempre con me. Voglio dire, è un favore che mi fai, non è mica il tuo lavoro.»

«Lo so, ma a me fa piacere aiutarti. E non era mia intenzione ignorarti. Spero tu non sia arrabbiato.»

«Non lo sono. Per niente. Ora levati queste idee idiote dalla testa.»

«Va bene. Sarai orgoglioso di te, oggi hai nuotato i tuoi primi mille metri!»

Era vero. Non ci aveva proprio pensato. Guardò John con un sorriso soddisfatto, in fondo il merito era anche suo.

«Tu quanti metri hai fatto?»

«Oggi 3400.»

«Ne ho di strada da fare, eh.»

John ridacchiò intenerito.

«Un passo per volta. Hai appena imparato a camminare e già vuoi correre?»

«Ci arriverò. Ora me lo dici perché eri così arrabbiato?»

John si limitò a sospirare. Era molto più calmo rispetto a prima, nuotare come al solito gli era servito.

«Come hai giustamente dedotto ho discusso con Harry. Lei stava litigando con i nostri genitori, credo fosse nervosa e ha deciso di prendersela con me.»

«E tu che c’entravi scusa?»

Era evidente che gli mancasse qualche pezzo, non riusciva ancora a ben capire cosa fosse successo. Osservò John mordicchiarsi pensieroso il labbro, evidentemente cercando le parole giuste.

«Vedi Harry è omosessuale, le piacciono le ragazze. Ora non è che i miei genitori non accettino la cosa, è solo che…tendono a non prenderla sul serio. Harry è sempre stata volubile, su tutto. Non porta mai nulla a termine, cambia continuamente idea su qualsiasi cosa. E credo che questo abbia portato i miei genitori a credere che si tratti solo di una fase.»

«E tu sei d’accordo con loro?» chiese Sherlock con un sopracciglio sollevato.

«No, ovvio!» si affrettò a chiarire «Voglio dire come si fa a minimizzare una cosa del genere in questa maniera? Non è un qualcosa che oggi c’è e domani non c’è più. È solo che io credo che Harry debba dare più tempo ai nostri genitori per capire. Non sono cattivi, devono solo abituarsi all’idea.»

«Comprensibile» concluse Sherlock con un’alzata di spalle. «E tu cosa c’entri in tutto ciò?»

«Harry si è messa in testa che io non la difendo abbastanza. Dice che è perché in fondo lei mi disgusta, che non accetto ciò che è, che la compatisco per questo.»

«Ed è vero?» domandò diffidente.

«Assolutamente no! Ovvio che no.»

«Sicuro? Ti vedo un po’ nervoso sull’argomento.»

«No, Sherlock, sul serio. Non potrei mai, non io.»

«Perché?»

«Cosa perché?»

«Hai detto non io. Perché non tu?»

«Perché forse, qualche volta, anche a me piacciono i ragazzi» ammise semplicemente con un’alzata di spalle.

«Oh.»

«È un problema per te?»

«No, assolutamente» rispose Sherlock facendosi pensieroso. «Hai detto forse. Non ne sei sicuro?» continuò subito dopo.

«Non so. In ogni caso sono convinto che quando ti innamori di una persona abbia poca importanza se questa sia maschio o femmina. Ti sei innamorato di quella persona specifica per ciò che è, perché la trovi straordinaria, incredibile e vorresti passare tutta la tua vita con lei. Che importa se è un lui o una lei? A dirla tutta non trovo brutto né il corpo maschile, né quello femminile. Non so se questo valga per tutti, ma per me è così.»

«Beh sì, hai ragione. Credo tu abbia detto una cosa molto bella John.»

Sherlock non avrebbe potuto stabilire nemmeno volendo quanto forte il suo cuore stesse battendo in quel momento. Forse avrebbe dovuto dire qualcosa? Cogliere al volo il momento? Com’era? Carpe diem.

Ma non si sentiva ancora pronto ad un passo del genere, era accaduto tutto troppo in fretta, un attimo prima pensava si sarebbe tenuto tutto dentro per sempre e quello dopo scopriva che forse una possibilità ce l’aveva sul serio. Certo non voleva dire molto ciò che aveva appreso su John, si trattava comunque di un discorso astratto, generico, che nulla diceva su un possibile interessamento da parte sua. Ma questo comunque cambiava tutto. Quella stessa statistica che prima lo aveva sbeffeggiato ora gli stava dicendo che invece una possibilità esisteva sul serio, per quanto piccola. E l’avere una speranza era molto più di quanto mai si sarebbe aspettato. Doveva rifletterci su, capire come comportarsi riguardo a questa nuova informazione, decidere il da farsi. Per il momento era meglio aspettare, non agire in maniera affrettata. Motivo per cui rimase in silenzio, con espressione indecifrabile.

John diede casualmente un’occhiata al grande orologio appeso alla parete e si sorprese dalla tarda ora.

«Sherlock dobbiamo sbrigarci, rischiamo che ci chiudano qui dentro!»

Il bruno lo seguì sommessamente, la testa da tutt’altra parte. Entrarono nelle cabine docce e John ne fuoriuscì molto prima dell’amico, che era rimasto a riflettere cullato dal getto d’acqua calda.

«Sherlock datti una mossa, è tardissimo! Tra cinque minuti massimo dobbiamo essere fuori da qui.»

John era praticamente pronto quando un inserviente li avvisò che la piscina stava per chiudere, mentre Sherlock era appena uscito dalla doccia ed era ancora in accappatoio.

«Tranquillo John, mi vesto e ce ne andiamo.»

«Cioè vorresti uscire con i capelli bagnati? Sei pazzo? Si gela fuori! Vuoi prenderti un accidente?»

«O mi vesto o mi asciugo i capelli. Preferisci che io esca nudo e bagnato?» gli domandò con un sorrisetto malizioso.

John arrossì leggermente e abbassò lo sguardo. Ovviamente questo non sfuggì al più piccolo.

«No, certo che no idiota. Tu pensa a vestirti, te li asciugo io i capelli» decretò mentre avvicinava una panca al punto in cui erano fissati i phon.

Sherlock stranamente ubbidì senza fiatare, sedendosi e iniziando a spogliarsi per indossare i suoi vestiti. Questa situazione lo incuriosiva alquanto.

John dapprima prese un asciugamano col quale si premurò di tamponare i capelli energicamente, ma sempre con un pizzico di dolcezza. A Sherlock parve un gesto familiare, sembrava quasi una mamma che si occupa del suo bambino. Si ricordò quando da piccolo anche la sua di madre aveva compiuto gesti simili.

Quando i capelli non furono più grondanti acqua recuperò un phon con la mancina e prese a passargli il getto caldo sulla testa, mentre gli passava la mano destra tra i capelli per sciogliere eventuali nodi. Sherlock non aveva mai sperimentato qualcosa di tanto intimo, mai, neppure quando si era stretto a lui in acqua. Era una sensazione incredibile. Rallentò volutamente la fase di vestizione per non dover proseguire lui stesso in ciò che John stava facendo con tanta attenzione.

John gli passava la mano tra i riccioli, accarezzandogli di tanto in tanto la cute, massaggiandogli lo scalpo. Sherlock dovette mordersi le guance per non mugolare di contentezza. Anche John sembrava godersi quel momento, giocando con le dita ad arricciargli le punte dei capelli e spostandogli la testa per raggiungere i punti più difficili. Anche quando Sherlock fu completamente vestito e i capelli ormai praticamente asciutti, non interruppe quella piccola bolla di intimità, non volendo ancora dar termine a quel momento.

Sherlock chiuse gli occhi e in un momento di trasporto si appoggiò totalmente con la schiena alle gambe dell’altro, adagiando il capo contro la sua pancia piatta. John non protestò per quel gesto, anzi mosse la mano con maggiore delicatezza, trasformando il tutto in una dolce carezza.

Fu l’ulteriore avviso dell’uomo di poco prima a convincerli che dovevano proprio andarsene. Si trovarono in strada, c’era silenzio tra loro, ma l’atmosfera non era per nulla tesa, quanto familiare. Era il silenzio di due persone che possono permettersi di restarlo senza imbarazzo. Raggiunsero il punto in cui di solito si separavano e si voltarono uno di fronte all’altro per salutarsi.

«Ci vediamo dopodomani quindi?»

«Sì, purtroppo domani non posso uscire, devo studiare per un compito in classe.»

Restarono a guardarsi per qualche secondo, non volendo ancora lasciarsi andare.

«Oh John, per quanto riguarda tua sorella io credo che lei non le pensi davvero quelle cose. Era solo nervosa e aveva bisogno di sfogarsi, ma sono convinto si sia già pentita di ciò che ha detto.»

«Lo spero proprio Sherl. Non mi piace che lei mi veda in quel modo.»

Sherlock lo guardò intensamente, voleva dirgli che era fantastico e questo era l’unico modo in cui la gente avrebbe dovuto vederlo, che il mondo era pieno di idioti, ma lui era meno idiota degli altri, che era grato di averlo conosciuto, che avesse deciso di rivolgergli la parola, che non si fosse fermato alle apparenze. Voleva confessargli che probabilmente si era innamorato di lui, che avrebbe voluto buttargli le braccia al collo e baciarlo, che avrebbe sperato con tutto se stesso non si scostasse e lo ricambiasse, che lo amasse a sua volta. Ma non era pronto per nessuna di queste cose, non ancora.

Raccolse tutto il coraggio che riuscì a trovare dentro sé e gli si avvicinò, lasciandogli un piccolo bacio sulla guancia, morbido, delicato.

«Grazie per avermi aiutato ad asciugare i capelli.»

Con timore si riallontanò osservando la sua espressione, terrorizzato di trovarci disgusto o disagio, di aver fatto la cosa sbagliata.

«Non c’è di che» mormorò John. Sorrideva. Un sorriso appena accennato, ma bello, vero, non di quelli finti e di cortesia.

Sherlock sorrise a sua volta, felice per quella piccola conquista. Una mano di John raggiunse il suo capo, arruffandogli i capelli.

«A presto Raperonzolo.»

«A presto grandissimo idiota.»
 



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Salve! Sono imperdonabile, lo so!! Purtroppo ci sono una serie di cose che mi stanno tenendo impegnata e mi impediscono di correggere il capitolo in tempi accettabili e questo mi spinge a far slittare ogni volta la pubblicazione. Ma ora siamo qui, spero che il capitolo valga l'attesa. Ci tengo a ringraziare le meravigliose ragazze che stanno recensendo la storia, mi riempite ogni volta di gioia. Non mi aspettavo la storia potesse essere tanto apprezzata e davvero non so come ringraziarvi per il calore che mi dimostrate. Tra l'altro ho scoperto che alcune di voi fanno parte del nostro gruppo "Johnlock is the way... and Freebatch of course!" e questo mi fa ancora più piacere. Un abbraccione virtuale a tutte voi, bellezze! Risponderò quanto prima a tutte le recensioni! Ovviamente ringrazio anche chi ha inserito la storia nei preferiti/ricordati/seguiti. Spero davvero che il capitolo piaccia a tutti voi. Ci rivediamo, per la prima volta, nelle note a fine capitolo! Un bacione a tutti!



A dispetto di tutto non fu Sherlock ad ammalarsi qualche giorno più tardi, ma John che non si era presentato al solito appuntamento in piscina. Sherlock si preoccupò molto, l’amico non gli aveva detto nulla, e passò tutto il tempo in acqua a eseguire distrattamente i suoi esercizi, con la testa occupata ad immaginarsi le peggiori catastrofi e un occhio sempre rivolto verso l’entrata, nella speranza che l’amico arrivasse da un momento all’altro. Ma John non si presentò e Sherlock, terminato il suo allenamento, si incamminò mogio verso lo spogliatoio. Odiava nuotare da solo. Prima di infilarsi sotto la doccia sbloccò il suo armadietto per dare un’occhiata al cellulare, senza troppe speranze. Tuttavia c’era un messaggio non letto e aprendolo scoprì che si trattava di John.
 

Sherlock oggi non sono potuto venire in piscina, scusa se ti avviso solo ora, ma mi sono addormentato. JW

Stavi dormendo a quest’ora? Quindi sei malato. SH

 
Aspettò qualche minuto una risposta, ma non ricevendone una e iniziando a sentire in primi brividi di freddo si portò sotto il getto caldo, abbandonando nuovamente il cellulare nel suo armadietto.

 
Non ti chiederò nemmeno come tu abbia fatto a capirlo, ma sì. Ho la febbre. JW

Che schifo essere ammalati, sto morendo di noia. JW

A te come è andato l’allenamento? JW

Oggi mi è mancata la piscina :( JW

 
Sherlock lesse i vari messaggi mentre si preparava per tornare a casa, indispettendosi leggermente per l’ultimo. Era solo la piscina ad essergli mancata?
 

Semplice, non sei un tipo che dorme molto e soprattutto non dormi mai di pomeriggio altrimenti soffriresti di insonnia notturna. Il fatto che tu non ti sia svegliato in tempo implica che stavi dormendo da un po’, non ti eri appena addormentato, questo perché non ti saresti mai messo a letto sapendo che così facendo avresti rischiato di perdere la lezione, cosa che poi difatti è accaduta. Quindi sospetto che le cose siano andate così: tornato da scuola hai iniziato a studiare, ma non sentendoti bene ti sei messo a letto, calcolando che se anche ti fossi addormentato ti saresti comunque svegliato in tempo per l’appuntamento di stasera. Ma nel sonno la febbre deve essere salita rendendoti letargico, quindi hai dormito per molto più di quanto preventivato. In ogni caso se anche ti fossi svegliato in tempo non saresti potuto uscire di casa, figuriamoci mettere piede in acqua. SH

Straordinario! Mi lasci ogni volta senza parole. JW

Era una deduzione piuttosto semplice. SH

Sì, forse per te. Per noi esseri comuni resta un qualcosa di fantastico. JW

Per rispondere alla tua domanda, l’allenamento è andato bene. SH

Non ti sei sentito solo? JW

 
Stupido di un John Watson, ovvio che si era sentito solo! E si era anche terribilmente preoccupato.
 

Se mi stai velatamente chiedendo se mi sei mancato vorrei farti notare che a quanto pare io non sono mancato a te, quindi perché tu avresti dovuto farlo? SH

E chi ha detto che non mi sei mancato? JW

Hai detto che ti è mancata la piscina, non io. SH

Una cosa non esclude l’altra. JW

Ti sono mancato? SH

Mi manchi sempre quando non sei con me. JW

 
Sherlock tremò nel leggere quella risposta. Era normale scriversi cose simili tra amici? O questo implicava altro? La verità era che non lo sapeva, non aveva la minima esperienza in materia. Inoltre da quanto aveva capito ogni caso era a sé, magari per altri non era normale, ma loro erano due ragazzini soli che si erano trovati, era possibile che questo li portasse ad essere maggiormente affettuosi in certi momenti, anche se nessuno dei due era particolarmente espansivo di natura, senza che questo implicasse qualcosa di più sentimentale. John gli voleva bene, questo era chiaro, ma tutto ciò aveva a che fare con l’amore? O con un senso di protezione che aveva sviluppato nei suoi confronti? Sherlock proprio non lo sapeva. Non sapeva nemmeno a chi rivolgersi, avrebbe potuto consultare Mycroft, ma non voleva farlo. La volta precedente era stata un’eccezione, Sherlock si era sentito totalmente sopraffatto da una situazione che aveva avvertito come più grande di sé e irrisolvibile, arrecandogli molto dolore. Ammetteva a se stesso che la presenza del fratello era stata un sollievo, ma in questo caso poteva gestirla da solo, erano cose che ogni essere umano si trovava a dover vivere e lui avrebbe affrontato la situazione esattamente come chiunque altro. Poteva venirne a capo da solo.
 

Posso venirti a trovare? SH

Non hai paura di contagiarti? JW

Sono malanni stagionali, rischio di contagiarmi con qualunque persona io incontri. SH

Ma in quel caso il rischio è ipotetico. Questo è reale. JW

Che devo dirti…sono un amante del pericolo. SH

Oh sì certo…ricordo ancora quel povero bordo vasca che stavi cercando di fare a pezzi per quanto forte ti tenevi! JW

Sai che ti dico? Ci ho ripensato. Stammi bene. SH

Dai, ti stavo solo prendendo in giro. JW

Una delle cose che più ami fare, a quanto pare. SH

Se ti dà fastidio la smetto. JW

Allora posso venire o no? Io starei ancora attendendo una risposta. SH

Mi farebbe tanto tanto piacere. JW

Bene. Vedrò di venire domani pomeriggio dopo la scuola, se per te va bene. SH

È perfetto. JW

A domani allora. SH

Aspetta! JW

Sei arrivato a casa? JW

Sì mamma, sono appena entrato in camera mia. SH

Sì, sì sfotti pure, non mi importa. Ma almeno so che sei a casa al sicuro. JW

Ancora paura delle vecchiette? SH

Le vecchiette, i cacciatori…i pericoli sono tanti. JW

In tutta questa storia c’è ancora una cosa che non mi è chiara. SH

Sarebbe? JW

Ma tu che nano sei? SH

Uno che domani ti prenderà a calci in culo. Ricorda che il più basso dei due sei tu, Cucciolo. JW

Sono confuso, non ero Biancaneve? SH

Se continui a lamentarti diventerai Brontolo. JW

E comunque io non sottovaluterei lo sviluppo. Secondo la mia genetica dovrei crescere ancora molto. SH

Vedremo. Per il momento sei più basso di me, oltre che più piccolo. Vedi di portarmi rispetto. Dovresti chiamarmi “Sir”. JW

E tu dovresti proprio metterti a dormire. È evidente che la febbre ti sta facendo delirare. Ogni tanto mandami un messaggio, giusto per farmi sapere che sei ancora in vita. SH

E ora chi è la mamma chioccia tra i due? JW

Quello che mi fa mandare un messaggio ogni santa volta che devo tornare a casa. A volte mi chiedo se vivo a Londra o in una zona di guerra altamente pericolosa. SH

Se ti dà tanto fastidio, come ti ho già detto, posso sempre smetterla. JW

Ora sei tu che brontoli però. Vai a dormire su. E ricordati di mandarmi qualche messaggio. A domani. SH

Buonanotte mammina. Il bacio della buonanotte non me lo mandi? JW

Sei serio John? Alla tua età ancora il bacio della buonanotte dalla mamma? Non so se esserne inorridito o intenerito. SH

Ma sono malato! Me lo sono guadagnato. JW

Essere malati è un merito? SH

È sicuramente una sfiga. Dovresti essere più dolce con me. JW

Disse colui che beve la cioccolata calda più amara che io abbia mai assaggiato. SH

Appunto, manco di zucchero, dovresti aggiungerne tu, visto quanto ne metti nella tua cioccolata. JW

Essere malato ti rende davvero strano. Attribuirò la cosa ai deliri della febbre alta. Riguardati. SH

Uffa, va bene. Quanto sei noioso. Tutto è noioso. JW

Benvenuto nel mio mondo. SH

Avrei fatto anche a meno. Seguirò il tuo consiglio e cercherò di riposare. JW

Bravo. Buonanotte Sir. SH

(Guarda un po’ le cose che mi fai dire. Ringrazia il fatto di essere malato.) SH

Buonanotte Kid :) JW [1]

 
Il giorno seguente Sherlock si trovò all’ora concordata sulla porta di casa Watson. Era la prima volta che ci andava e si sentiva leggermente nervoso al pensiero. Suonò con un misto di apprensione ed aspettativa ed attese mentre ascoltava dei passi che rapidamente si facevano più vicini. La porta fu aperta da quella che doveva essere la signora Watson, come dedusse con facilità Sherlock. Nei suoi occhi c’era qualcosa che urlava inconfondibilmente John.

«Sì?»

«Ehm, buonasera, sono un amico di John.»

«Oh sì, giusto! Tu devi essere Sherlock. John ci ha parlato così tanto di te!»

«Sì, sono Sherlock Holmes» rispose con una punta di imbarazzo all’idea che John parlasse tanto di lui «lieto di conoscerla.»

«Vieni entra pure, non restare sulla soglia. Fa così freddo e ci basta un malato.»

«Sei ancora a casa mamma?» Sherlock udì domandare in lontananza da una voce familiare, osservando poco dopo l’amico avanzare imbacuccato in una grande coperta in pile. «Oh ciao Sherlock, sei arrivato!»

Il moro rispose con un timido saluto, non volendo interrompere la conversazione tra madre e figlio.

«Sì tesoro, pensavo di chiamare per avvisare che oggi non vado a lavoro. Piuttosto che ci fai in piedi? Dovresti essere a letto.»

«Mamma non ce n’è bisogno. Te l’ho detto, sto bene.»

«Ma hai ancora la febbre alta. Non mi va di lasciarti solo per tutta la notte!»

«C’è Sherlock con me e quando se ne andrà mi metterò subito a dormire.»

La donna continuò a guardarlo dubbiosa, non gli andava proprio di lasciare il figlio in quello stato senza nessuno che gli fosse vicino in caso di necessità.

«Mamma i tuoi pazienti hanno bisogno di te. Lo so io e lo sai tu» aggiunse il ragazzo con voce dolce.

Se lo era meritato un ragazzo così buono e gentile? La signora Watson se lo chiedeva ogni giorno. Questo in ogni caso otteneva il risultato di farla sentire ancora più in colpa per ogni volta che non poteva essere fisicamente presente per i suoi figli.

«Perché devi rimanere solo?» si intromise flebilmente Sherlock.

Entrambi rivolsero l’attenzione verso lui, ricordandosi immediatamente della sua presenza.

«Mamma ha il turno di notte e mio padre è fuori per lavoro. Harry è andata a dormire da un’amica» spiegò velocemente il biondo.

«Oh. Se il problema è questo potrei fermarmi io per la notte. Semmai John avesse bisogno di qualcosa. Tanto domani non ho scuola» propose con un po’ di timore. Magari la sua presenza non era gradita.

«Davvero?» chiese con un pizzico di speranza l’amico.

«Sarebbe meraviglioso Sherlock, ci risolveresti senza dubbio un problema. Sarei molto più tranquilla sapendo che c’è qualcuno con John.»

«Nessun problema, chiamo casa ed avviso» annunciò semplicemente con una scrollata di spalle.

La mamma attese che il ragazzo si allontanasse un po’ per rivolgersi nuovamente al figlio.

«Sembra proprio un bravo ragazzo.»

«Lo è» rispose con un sorriso John.

La donna non aveva dubbi su questo. John era un ragazzo assennato e responsabile, sebbene un po’ solitario. L’aver stretto amicizia con questa persona significava che era degna di fiducia e anche un po’ speciale. Ecco perché non la preoccupava l’idea di lasciarli soli a casa. Era così felice che il figlio avesse stretto finalmente amicizia con qualcuno e che questa persona gli piacesse tanto da invitarla a casa.

«Comportatevi bene.»

«Non preoccuparti. Fidati di me.»

«Lo faccio. Sempre. Sei il mio ometto» sussurrò mentre gli lasciava un bacio sulla fronte.

«Ora va, non voglio che arrivi in ritardo al lavoro.»

«Ah sì? Sicuro che tu non abbia paura che inizi a fare domande indiscrete al tuo amico? Ti vergogni della tua mamma?» lo squadrò con un ghigno.

John rise apertamente, in fondo era un po’ vero.

«Anche. Ma penso soprattutto al bene dei tuoi pazienti. Ti voglio fuori da casa in due minuti, su.»

«Va bene, va bene, vado. Se hai bisogno di qualcosa chiamami. Le medicine sai già dove sono, non affaticarti. E resta idratato. E…»

«Mamma so già tutto!» si lamentò il ragazzo mentre osservava il ritorno dell’amico.

«Ho avvisato, nessun problema. Non si preoccupi signora Watson, lo terrò io d’occhio.»

«Grazie Sherlock caro. In cucina ci sono dei soldi se volete ordinarvi qualcosa da mangiare e ti lascio anche il mio numero in caso di necessità. In bagno ci sono degli spazzolini nuovi e per il pigiama puoi usare uno di quelli di mio figlio. Se hai bisogno di altro chiedi pure, fa come se fossi a casa tua. Divertitevi e tu John cerca di riposare.»

John la salutò con un bacio mentre Sherlock lo osservava curioso, dopo di che salutò la donna a sua volta con un sorriso aperto.

Quando furono finalmente soli il moro iniziò a guardarsi attorno attentamente deducendo quante più cose possibili sulla famiglia Watson.

«Alla fine mi farai una relazione completa sulle tue deduzioni. Chissà magari scopri qualcosa che ancora non so nemmeno io» pronunciò scherzando l’amico.

«Ammetto che ero un po’ preoccupato. Sai guardando i tuoi maglioni e il tuo abbigliamento temevo che l’orrido gusto fosse ereditario, ma devo ammettere che non è così. Hai una bella casa.»

«Ehi!! I miei maglioni sono bellissimi!»

“Indossati da te lo sono” pensò Sherlock, senza però avere il coraggio di ammetterlo a voce alta e limitandosi a sorridere divertito.

«Andiamo in camera mia, così avrai qualcosa da criticare.»

Salirono le scale con lentezza, era evidente che John fosse spossato e Sherlock lo guardò con un misto di preoccupazione e affetto. In fondo l’amico si era preso cura di lui fin dal primo giorno in cui gli aveva rivolto la parola, era felice di poter finalmente ricambiare.

John fece strada verso camera sua e una volta entrato si affrettò a chiudere la finestra.

«Ho aperto per far arieggiare l’ambiente, avevo paura fosse ormai pieno di microbi. Anche se dormendo qui rischi proprio di contagiarti.»

L’espressione un po’ corrucciata e il vago senso di colpa con il quale John aveva pronunciato quelle parole fecero sciogliere il cuore di Sherlock. Anche in un momento simile si preoccupava per lui. Quanto amava quel ragazzo.

«Ti ho già detto che non è un problema. Al massimo mi salterò qualche giorno di scuola, poco male.»

«Ma tra un po’ inizieranno le vacanze di Natale. E se ti rovinassi il Natale?»

«La smetti di fare il bambino lagnoso? La febbre ti rende irritante. Ho detto che va bene e non voglio ripeterlo più. Piuttosto non hai freddo?»

«Sai Sherlock non è mia abitudine girare con una coperta stile mantello di Batman. Quindi sì, se sono così imbacuccato è perché ho freddo. Ma non eri un genio?»

«E torniamo in salotto allora idiota! Potrei prepararti…un tè?»

John lo guardò con diffidenza. Non era da lui tutta quella gentilezza.

«Che ci vuoi mettere dentro?»

«Sono offeso dalla tua mancanza di fiducia nei miei confronti. Sto solo cercando di prendermi cura di te.»

«È vagamente inquietante.»

Sherlock gli scoccò uno sguardo omicida.

«Ok, ok. E tè sia. Grazie Sherlock» aggiunse con vocetta canzonatoria mentre si dirigevano nuovamente al piano sottostante.

«Non appena ti sarai ripreso ti affogherò.»

«Impossibile, nuoto molto meglio di te, ranocchio.»

«Abbiamo cambiato favola?»

John scoppiò a ridere voltandosi verso di lui.

«Ti giuro che per una volta hai fatto tutto tu. Non mi era minimamente passata per la mente una cosa del genere. Quindi se ti bacio ti trasformerai in un principe?»

«Ti sei appena dato della principessa, John?» rispose con un’alzata di sopracciglio.

«Con un mantello del genere? Dai sono chiaramente un principe.»

«Un principe che bacia un ranocchio che si trasforma in un principe? Ma che razza di favola hai letto?»

«Ehi e chi dice che non possa andare così? A me piace questa versione. È molto più originale no?»

Sherlock lo fissò di nascosto. John lo lasciava sempre così confuso. Cos’era quello che facevano? Stavano scherzando? Flirtando?

«Comunque qui c’è il bollitore e lì la teiera.»

La voce di John lo riscosse dai suoi pensieri. Per il momento non voleva pensarci e preferiva godersi la giornata. Afferrò in silenzio il bollitore iniziando a riempirlo d’acqua, sotto lo sguardo critico dell’amico.

«Ma almeno hai mai fatto un tè in vita tua?»

«John contrariamente a ciò che pensi non sono cresciuto nella bambagia circondato da camerieri e governanti. Quindi sì, sono abbastanza autosufficiente. Siediti sul divano e aspettami.»

«D’accordo. Oh, dai un’occhiata in giro, devono esserci dei biscotti. Anzi controlla in frigo se è avanzata della torta.»

Dopo una decina di minuti Sherlock tornò in salotto reggendo un vassoio con due tazze di tè, un piattino con dentro dei biscotti e due generose fette di torta. John stava male e si meritava una merenda sostanziosa.

«Grazie Cenerentola.»

«Prego matrigna.»

«Cioè io sarei la matrigna?» replicò scandalizzato.

«Chi vuoi essere? Una delle sorellastre?»

«Sempre e solo il principe. In fondo sei nel mio castello, no?»

«Ed è così che tratti tua moglie? Come una serva? Bell’affare che ha fatto Cenerentola sposandoti. Dove sono i cuochi e i camerieri?»

«Non ne abbiamo bisogno perché sono un principe moderno. Mi occupo della casa tanto quanto mia moglie. Sono per la parità dei diritti io. Ma sai, oggi sono malato…» lo rimirò con occhioni da cucciolo.

«Smettila di fare il cretino e mangia. Hai perso qualche chilo dall’ultima volta.»

John sorrise e afferrò la forchettina con la quale si portò un pezzo di torta alla bocca. Adorava quei botta e risposta con l’amico, amava il fatto di poter scherzare così liberamente con lui.

Il pomeriggio passò veloce, tra chiacchiere e risate, Sherlock gli aveva raccontato di qualche caso che aveva già risolto e John ne era rimasto stupito e affascinato. Purtroppo vista la giovane età del ragazzo non in molti erano disposti a dargli credito, ma John non dubitava che col tempo tutti si sarebbero resi conto di quanto brillante fosse. Forse non l’avrebbero amato, Sherlock aveva pur sempre un carattere molto difficile, ma non si poteva sfuggire alla sua intelligenza. John sperava di continuare ad esserci nella sua vita, almeno per proseguire a ricordargli quanto meraviglioso fosse e che se gli altri non lo capivano era solo perché erano tutti irrimediabilmente idioti. Sentiva che nella sua seppur giovane vita Sherlock aveva già sofferto parecchio, non voleva immaginare cosa sarebbe potuto succedere se si fosse trovato ad affrontare da solo l’adolescenza e gli anni a venire. Un brivido l’attraversò per tutto il corpo. No, lui ci sarebbe stato per Sherlock, sempre, ad ogni costo.

Sherlock dal canto suo aveva notato che qualcosa non andava, non lasciandosi sfuggire il fatto che John si era fatto più vicino a lui ed un brivido l’aveva scosso. Preoccupato che la febbre fosse risalita gli portò senza troppe cerimonie una mano sulla fronte. In effetti era caldo.

«John che ne dici se ci spostiamo in camera tua? Ormai dovrebbe essere calda, la finestra l’hai chiusa da un po’.»

Ancora distratto dalla scia dei brutti pensieri che aveva fatto poco prima John si limitò ad annuire e a seguirlo su per le scale. Una volta giunti in camera Sherlock tentò di metterlo subito a letto, ma l’altro si rifiutò insistendo per dare prima all’amico tutto l’occorrente per la notte. Aveva paura di collassare una volta messo piede sotto le coperte e non voleva che si trovasse costretto a dormire con abiti scomodi.

Dopo aver sistemato la questione si rifugiò sotto l’invitante piumone acconsentendo alla richiesta di Sherlock di misurargli la temperatura. Il forte mal di testa che stava provando era già una prova sufficiente che la febbre era tornata prepotente.

Sherlock approfittò dell’attesa che il termometro facesse il suo lavoro per indossare il pigiama di John. Era un po’ largo, ma tutto sommato andava bene. Non pensò nemmeno di cambiare stanza per spogliarsi, l’avevano fatto così tante volte nello spogliatoio della piscina che ormai non aveva davvero più senso, entrambi avevano visto tutto quello che c’era da vedere. Eppure si voltò timidamente a guardare la reazione di John a quello spettacolino e si trovò di fronte all’amico che ridacchiava: evidentemente doveva avere un aspetto buffo. Sbuffò fintamente infastidito e si avvicinò al malato dandogli una leggera gomitata.

«Dammi il termometro. E ricorda che fino ai vent’anni almeno non puoi cantare vittoria. Lo sviluppo John.»

«Ma io sono certo che tu diventerai più alto di me. Ecco perché mi godo il momento adesso!»

«Mi vendicherò.»

«Sono sicuro anche di questo.»

«John la temperatura è molto alta» esclamò preoccupato mordicchiandosi un labbro «che devo fare?»

«Non preoccuparti, non è nulla di grave. Passami quelle pillole sul comodino e un bicchiere d’acqua per favore. Tra mezz’ora starò meglio, non temere.»

Sherlock eseguì tutto quello che gli era stato detto e tornò a guardarlo preoccupato. Che poteva fare per l’amico?

«È quasi ora di cena. Vuoi che ordini qualcosa?»

«Mi andrebbe tantissimo di mangiare dei noodles con pollo e verdure. A te vanno? Possiamo ordinarli da un locale qui vicino, ne fanno di buonissimi.»

«Certo, quello che vuoi. Non ti facevo un tipo da noodles.»

«Quelli già pronti che trovi al supermercato sono orrendi. Ma questi vedrai che li adorerai! Anche quelli al maiale e verdure sono deliziosi.»

«Ok, come desidera. Chiamo e torno.»

«Il numero è vicino al frigo!» gli urlò mentre l’altro già si apprestava a lasciare la stanza.

Circa un’ora più tardi entrambi sedevano sul letto di John cercando di non rovesciare nulla. Il cibo era caldo e il profumo invitante, ma John si sentiva troppo debole per tornare di sotto in sala da pranzo. Mangiava a piccoli bocconi e di tanto in tanto sorrideva verso Sherlock, nell’evidente tentativo di non farlo preoccupare troppo per le sue condizioni. Sherlock dal canto suo non smetteva di osservarlo, attento a non farsi sfuggire nemmeno un piccolo dettaglio che potesse metterlo in allarme. Aveva dato la sua parola alla madre dell’amico che si sarebbe preso cura di lui e non voleva venir meno a quella promessa in nessun modo.

«Avanti ammettilo. Sono deliziosi.» 

«Effettivamente…» concesse l’amico sollevando l’angolo delle labbra.

«Tutto qua? Andiamo!»

«Ti entusiasmi troppo per il cibo John. Di questo passo nemmeno il nuoto ti salverà.»

«Simpatico. E io che volevo farti assaggiare i miei con il pollo. Ma non te lo meriti, criticone!»

«Fammi provare questa prelibatezza, su.»

«Stai alla larga dal mio cibo.»

«Non essere ingordo. Condividi!»

«Sciò!»

«Ho detto dammeno un po’!»

«E io ho detto no. Sei sordo?»

Sherlock face l’espressione più arrabbiata di cui era capace, considerando che gli veniva da ridere. Appoggiò il contenitore da cui stava mangiando sul comodino e lo scrutò minaccioso, alzandosi sulle ginocchia.

«John Watson tu ora mi darai un po’ di quello che stai mangiando.»

«Giammai! Dovrai passare sul mio cadavere!»

«Come vuoi» esclamò con tono basso prima di lanciarsi su di lui.

John si trovò ben presto in difficoltà, cercava di tenere a bada con una mano l’amico, aiutandosi anche con le gambe, mentre aveva l’altra impegnata nell’arduo compito di difendere i suoi noodles. In tutto questo le risate gli toglievano le già poche forze che aveva. Sherlock gli era quasi completamente sdraiato su e stava allungando un braccio per raggiungere la sua meta, quando con un rapido gesto l’amico riuscì inaspettatamente a ribaltare la situazione.

«Vergognati Sherlock. Sono debole e febbricitante e ti ho comunque battuto con una mano!» proclamò mentre lo immobilizzava portando le ginocchia intorno ai suoi fianchi, sedendosi su di lui. In realtà sapeva benissimo che Sherlock, conscio delle sue condizioni, c’era andato molto piano con lui.

Sherlock dal canto suo restava immobile, quella posizione gli evocava scenari molto meno casti e non poteva permettersi che la sua mente vagasse verso quella direzione.

«Devi decretare la mia vittoria. Devi dire ‘John è il mio unico signore’.»

«Cosa? Sei pazzo! Lasciami andare.»

John, insoddisfatto della risposta, appoggiò il proprio cibo accanto a quello di Sherlock e tornò a rivolgere tutta la sua attenzione verso l’amico.

«Vediamo come posso convincerti. Forse è il momento di scoprire se soffri il solletico.»

«John! Non osare!»

I tentativi di Sherlock di scacciare l’amico furono velocemente interrotti da John che gli immobilizzava le braccia sulla testa, bloccandogli i polsi con una mano. Non indugiare verso quella direzione diventava sempre più difficile.

«Allora? Qualcosa da dichiarare?»

«Non mi piegherò mai a questo subdolo ricatto!»

«Come vuoi. Propongo di iniziare dai fianchi.»

Non fece in tempo a portare una mano a sfiorargli la vita che Sherlock iniziò a dimenarsi sotto di lui.

«Ma allora lo soffri il solletico. Un sacco direi!» esclamò John ridendo a sua volta.

«Ok, ok mi arrendo.»

«Wow, che grandissima forza di volontà. Ho appena iniziato.»

«Mi basta così, grazie. Non voglio essere torturato.»

«Allora dillo.»

«Devo proprio?»

«Sì.»

«John è il mio unico signore.»

John sorrise divertito e gli si avvicinò per scoccagli un bacio sulla guancia che portò via a Sherlock tutta l’aria nei polmoni.

«Bravo ragazzo. Ora come premio avrai un po’ del mio cibo. Apri la bocca.»

Sherlock ancora scioccato dal gesto di poco prima ubbidì in silenzio, rendendosi conto subito dopo che John aveva recuperato il contenitore con i noodles e in pratica lo stava imboccando. Trovò il gesto molto tenero.

Dopo poco John lo liberò e ripresero a mangiare allegramente, Sherlock aveva imitato il gesto dell’amico imboccandolo per fargli assaggiare i suoi noodles al maiale e verdure e si scoprì felice di condividere con qualcuno tutta quell’intimità.

Una volta terminato Sherlock si preoccupò di pulire tutto e buttare i contenitori ormai vuoti di cibo. Se solo sua madre l’avesse visto si sarebbe chiesta che fine avesse fatto suo figlio. Tornò sul letto con l’amico ancora in vena di prenderlo in giro.

«E comunque ringrazia di essere malato. Avrei potuto liberarmi in qualunque momento, ma ho avuto pietà di te.»

«Oh sì? Davvero?»

«Proprio così.»

«Allora vediamo un po’.»

Prima che Sherlock avesse la possibilità di dire o fare niente l’amico gli si risistemò su, nella stessa posizione di poco prima.

«Su, fammi vedere, liberati.»

Sherlock cercò di divincolarsi, ma John lo teneva stretto con le gambe e quando aveva provato a aiutarsi con le braccia l’altro gli aveva bloccato anche quelle. Niente da fare, la differenza di altezza e di peso si facevano sentire. John si era perso a guardare la faccia rossa e affaticata dell’amico, giudicandola deliziosa, quando l’altro sbottò.

«Ora basta John. Non è più divertente.»

Il ragazzo rilasciò immediatamente la presa, facendo per alzarsi spaventato di aver fatto qualcosa di inopportuno che avesse fatto arrabbiare l’amico, quando si sentì rovesciare sulla schiena e prima che potesse realizzare ciò che era successo Sherlock gli era sopra bloccandogli ogni movimento.

«John, John, John. Caro, vecchio e leale John. Il tuo punto debole è sicuramente il tuo buon cuore, troppo allettante per non approfittarne.»

«Ma quanto sei stronzo! Io credevo di averti fatto male o di averti offeso in qualche modo.»

«In guerra tutto è valido, non lo sai?»

«Beh non solo in guerra secondo il detto…» sussurrò tra i denti il biondo.

«Che?»

«Niente. Beh hai vinto, ora lasciami andare.»

«Ti piacerebbe. Com’era? “Devi decretare la mia vittoria”» imitò con vocetta canzonatoria.

«Te lo scordi, hai vinto con l’inganno!»

«Non c’è scritto da nessuna parte che non sia un’opzione valida.»

«Sherlock Holmes sei un essere infido.»

«Ma pur sempre un vincitore.»

«Ok, cosa devo dire?»

«Fammi pensare, qualcosa che esprima tutta la mia magnificenza e importanza.»

«Addirittura.»

«Già. E poi devi aggiungere che sei il mio scendiletto[2]» terminò ridendo.

«E questa come ti è venuta?» rispose ridendo a sua volta

«Non saprei, devo averla sentita da qualche parte.»

«E va bene Sherlock Holmes, facciamo come vuoi tu. Qualcosa che esprima la tua magnificenza e importanza hai detto» si zittì per qualche secondo pensieroso per poi riprendere subito dopo «ok ci sono.»

«Sono tutto orecchie.»

John attese un attimo prima di parlare, prendendo un lungo respiro e guardandolo fisso negli occhi. C’era qualcosa che non andava in lui, ma Sherlock non ci fece caso troppo distratto da quelle iridi del colore del mare.

«Credo che tu sia diventato la persona più importante per me. Il che ha dell’assurdo visto che non lascio mai entrare nessuno nella mia vita.»

Sherlock arrossì immediatamente, sentendo il cuore battergli forte. Non era preparato a qualcosa del genere, come ci erano arrivati? Un attimo prima stavano scherzando e quello dopo John gli diceva qualcosa di così bello. Incapace di proferir parola Sherlock si limitò a osservarlo in silenzio, mentre John gli concedeva tutto il tempo di cui necessitava per metabolizzare la cosa. Quando finalmente il volto del moro si aprì in un sorriso notò una rapida espressione di fastidio sul volto di John.

«Che ti prende?»

«A che ti riferisci?»

«Non far finta di niente, cos’hai? Ti fa male qualcosa?»

«Non è niente Sherlock.»

«John!»

«Ho solo un po’ di mal di stomaco, niente di cui preoccuparsi davvero.»

 «Sicuro che è solo questo?»

«Te lo giuro.»

«Ok. Solo un po’ di mal di stomaco?» chiese ancora in modo un po' infantile per avere un’ulteriore conferma sulle condizioni dell’amico.

«Più come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco o me lo stessero torcendo con forza, ma sì, solo un po’ di mal di stomaco.»

«Aspetta mi alzo, sono seduto proprio su di te…»

«Non ti muovere» esclamò portando entrambe le mani sulle sue cosce per bloccarlo in quella posizione «non mi dai fastidio.»

«Sicuro?»

«Sicuro.»

«Ehi! Ma non hai detto tutto quello che ti ho chiesto! Non è che è una scusa per farmene dimenticare?»

«Oh no! Mi hai scoperto!»

«Avanti John Watson, sei biondo come un Lannister, vedi di pagare i tuoi debiti.»

«Io un Lannister?? Al massimo uno Stark! Mi ritengo gravemente offeso.»

«Sì, sì, come vuoi. Io starei ancora aspettando.»

«Ok, ok. Sono il tuo scendiletto, contento?»

«Molto!»

Entrambi scoppiarono a ridere divertiti e solo dopo qualche minuto furono di nuovo in grado di parlare, seppur ancora tra i risolini.

«E poi Game of Thrones? Sei serio? Tu?»

«Che posso dirti? Tu sei un patito di serie tv e non facevi che parlarne, mi avrai trascinato sulla cattiva strada.»

«Non c’è di che!»

Rimasero un altro po’ così, a ridacchiare e riprendere fiato, godendo della serenità lasciata dall’euforia e dalla gioia. Era bello passare questi momenti con John, Sherlock si sentiva bene come non mai. Fu sulla scia di quel buon umore che Sherlock avvertì un cambio d’atmosfera. Vide John farsi più serio e guardarlo con occhi diversi, febbrili e sognanti. Semplicemente gli sembrò il momento giusto, sentiva di dover far qualcosa. Così si appoggiò per bene alle braccia che lo sostenevano ai lati della testa dell’amico e iniziò ad abbassarsi lentamente per raggiungere quelle labbra che gli risultavano invitanti come non mai. John lo guardava con occhi spalancati e Sherlock non volle chiudere i propri per cercare di scorgere ogni minima esitazione o rifiuto. Mancavano ormai pochi centimetri quando John gli negò il contatto visivo serrando forte le palpebre e assumendo un’espressione di dolore. Sherlock si allarmò subito cercando di capire cosa non andasse, quando lo vide portarsi una mano sullo stomaco.

«Sherlock, scusa io…»

Non ci fu nemmeno bisogno di spiegare la situazione che Sherlock era già in piedi, pronto a seguire John in bagno sorreggendolo mentre rimetteva l’intera cena. John appariva completamente senza forze, con un’espressione tremendamente colpevole sul viso.

«Sherlock mi dispiace così tanto.»

«Shhh. Non dirlo nemmeno, piuttosto ora ti senti meglio?»

«Io…credo che tutti quei volteggi sul letto e ridere così forte…non so…ma Sherlock io non volevo…» Sherlock osservò che l’amico era quasi sull’orlo delle lacrime e gli si strinse il cuore. Come poteva pensare che fosse arrabbiato con lui? Gli si fece più vicino e lo attirò a sé, stringendolo in un abbraccio.

«Ehi, va tutto bene. A me interessa solo che tu stia bene.»

Lo tenne stretto finché l’amico non smise di tremare e rispose al suo abbraccio.

«Che ne dici se ci rimettiamo a letto? Hai bisogno di riposare. Ti starò accanto finché non ti addormenti.»

No, non era proprio da lui tutta quella tenerezza, il tono dolce con cui si stava rivolgendo all’altro. Ma John sembrava così tanto perso in quel momento, così spaurito e in difficoltà che Sherlock aveva solo voglia di prendersi cura di lui. Non erano in molti ad affidarsi in quel modo a lui, anzi a dirla tutta non lo faceva nessuno, nessuno riponeva così tanta fiducia in lui.

«Va bene, però prima fammi lavare i denti, ho un saporaccio in bocca.»

«Ti aspetto in camera.»
 

John lo raggiunse poco dopo, mentre Sherlock prese il suo posto in bagno per lavarsi a sua volta i denti e prepararsi per la notte. Quando tornò nella stanza di John temeva di trovarlo già addormentato, invece l’amico l’attendeva seduto a bordo letto.

«Perché non ti sei messo sotto le coperte?»

«Ti aspettavo.»

«Ma così prenderai freddo.»

«Non importa. Sherlock io…ti volevo ringraziare. Per tutto. Mai nessuno al di fuori della mia famiglia si era interessato così a me. Tu ti stai prendendo cura di me e io te ne sono grato.»

«John tu lo fai da quando ci siamo conosciuti, mi sembra il minimo. Ora fila sotto le coperte e non farmi arrabbiare.»

«Agli ordini. Tu dove preferisci dormire? Il mio letto è grande, ma capirei se non volessi stare tutta la notte vicino ad un portatore di germi. Volendo puoi dormire in camera di Harry.»

«Se tu sei d’accordo a me va benissimo dormire con te» rispose timidamente il bruno.

Evidentemente John doveva esserlo perché si esibì in un sorriso bellissimo.

«Certo, vieni qua» indicò scostando il caldo piumone.

Sherlock non se lo fece ripetere due volte e si infilò a letto vicino a John, molto più vicino di quanto una normale amicizia prevedrebbe, ma senza abbarbicarglisi addosso. A questo ci pensarono entrambi una volta addormentati, non a caso Sherlock si svegliò in piena notte con l’amico stretto contro di lui mentre a sua volta gli passava le braccia intorno alle spalle con fare protettivo. Evidentemente nell’incoscienza del sonno si erano entrambi mossi l’uno verso l’altro fino a diventare un irriconoscibile guazzabuglio di arti.

Sherlock strizzò gli occhi cercando di riprendere coscienza di ciò che lo circondava, cosa lo aveva svegliato? Aveva sentito un rumore, qualcosa. Si strinse ancora più forte l’amico contro il petto attento a captare ogni eventuale pericolo. Ma poco dopo si rese conto che ciò che l’aveva ridestato erano i lamenti dell’amico, che evidentemente stava avendo un incubo. Cominciò ad accarezzargli lentamente un braccio e la schiena, chiamandolo con dolcezza. John aprì gli occhi poco dopo, ancora inquieto per ciò che l’aveva scosso nel sonno, si guardò intorno con fare allarmato realizzando solo dopo qualche secondo dove si trovava e con chi.

«Ehi. Va tutto bene, era solo un sogno.»

«Sherlock.»

«Sì sono io, sono qui.»

John non pronunciò altre parole limitandosi a seppellire il volto contro il petto dell’altro, respirando l’odore dell’amico mischiato al proprio, proveniente dal suo pigiama. Gli piaceva quella combinazione. Sherlock profumava di buono, di fresco e di pulito e il calore che proveniva dal suo corpo era estremamente confortante. Il bruno lo coccolò per qualche altro minuto, permettendogli di tornare pienamente in sé, prima di far sentire nuovamente la sua voce.

«Ne vuoi parlare?»

«No.»

«Va bene» concesse, passandogli una mano tra i capelli. Probabilmente non avrebbe mai più indugiato in simili gesti, ma era come se l’oscurità della notte permettesse molto più di quanto fosse normalmente accettabile. Si azzardò anche a portare le proprie labbra sulla fronte dell’amico, un po’ per sentirgli la temperatura, un po’ per lasciargli un piccolo bacio.

«Ti è salita di nuovo la febbre. Prendiamo le medicine?»

John si limitò ad annuire, ma senza alcuna intenzione di staccarsi dall’amico, cosa che provocò qualche difficoltà a Sherlock che cercava di fare tutto senza sballottare troppo l’altro. Fortunatamente era stato previdente e aveva preparato ogni cosa prima di mettersi a letto, lasciando il necessario a portata di mano. John fece tutto quello che l’amico gli diceva, stranamente ubbidiente, prima di risistemarsi ancora più appiccicato a lui. Non voleva in nessun modo sciogliere quell’abbraccio. E Sherlock la pensava uguale, visto che gli fece sistemare la testa vicino al suo collo, passandogli le braccia intorno alla schiena in un gesto possessivo. Cullato dalle sue carezze e con la febbre che gli appannava la mente John impiegò davvero poco tempo per riaddormentarsi, mentre Sherlock preferì godersi ancora un po’ quel momento che probabilmente non sarebbe mai più ricapitato. John era debole e indifeso, ma cosa sarebbe successo una volta che si fosse rimesso in forze? Probabilmente avrebbero ignorato la cosa non parlandone mai più, fingendo che nulla fosse successo. Eppure John non sembrava intenzionato a tirarsi indietro quando Sherlock aveva provato a baciarlo. Che non avesse capito le reali intenzioni del moro? Ma poi valeva la pena rischiare la loro amicizia per una minuscola possibilità? Certo rispetto al principio le probabilità che John potesse ricambiarlo erano sicuramente salite, ma statisticamente parlando di che percentuale si trattava? Era sufficiente per rischiare? E se anche fossero diventati una coppia quante possibilità ci sarebbero state, visto la loro giovane età, che la cosa funzionasse a lungo termine? Non era molto più probabile che un amicizia avesse una data di scadenza più lontana di un amore?

Sherlock lo sapeva, non era uno stupido, era conscio che era troppo piccolo per poter parlare di amori che duravano tutta una vita. Cosa si conosce del mondo a nemmeno quindici anni? Ma Sherlock sapeva anche di non essere una persona come tutte le altre, sentiva che non avrebbe mai provato le stesse cose per nessun altro. Che non si sarebbe mai potuto innamorare di qualcuno che non fosse John Watson. Lui era la sua persona. E poco importava che probabilmente qualsiasi ragazzino della sua età la pensasse allo stesso modo, per lui non c’era mai stato nessun altro se non John. Ma poteva dire lo stesso dell’amico? Se anche avesse ricambiato i suoi sentimenti (e questo era ancora tutto da vedere), quanto a lungo sarebbe durata? Quanto prima che gli spezzasse il cuore, da amico o da qualcosa di più?

«Mi farai a pezzi, lo so» sussurrò a bassa voce, immergendo il naso nei suoi morbidi capelli e inalandone il profumo. Era pronto a rischiare, voleva esserlo, perché avere John nella sua vita, in qualunque modo questo volesse esserci, era ciò che più desiderava al mondo.

«Sei l’amore della mia vita» bisbigliò flebile depositando un bacio tra i capelli. John sorrise soddisfatto, ancora immerso in un sonno profondo. Sherlock lo strinse impercettibilmente e l’altro rispose sfregando leggermente il naso contro il suo collo. La tenerezza di quel gesto, il respiro caldo dell’amico sul suo collo e il tepore del suo corpo lo accompagnarono poco dopo in un sonno sereno.
 




Note:
Vi avevo preparato delle note lunghissime. Non scherzo sono davvero, davvero lunghe. Erano principalmente su due argomenti, la mamma di John e un eventuale OOC dei protagonisti (lo so, lo percepisco che mi odiate per questo! Ma credetemi ho le mie ragioni, nella mia testa tutto questo funziona ed ha un senso, non è OOC. Nella mia testa). Ma io odio spiegare queste cose, vorrei davvero che emergessero dal testo, quindi facciamo così: per il momento non dico nulla, aspetto le vostre reazioni al capitolo, dopodiché se dovesse essercene bisogno le aggiungerò in seguito. Vediamo un po' quanto sensibili siete voi e quanto schifo faccio io ad esprimermi! A presto!!



 

[1] Martin Freeman ha detto che una delle prime volte che ha visto Ben recitare ha pensato “Chi è questo bimbo?” usando proprio la parola “kid”. La tentazione di usarlo era troppo forte, è una cosa troppo tenera!
[2] È una cosa ripresa da Scrubs, un gioco tra JD e Turk.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Salve, rieccoci col nuovo capitolo. So che ultimamente i tempi si stanno un po' dilatando, purtroppo è un periodo in cui non riesco nemmeno ad avvicinarmi ad un computer per il poco tempo che ho. Motivo per cui non ho riletto il capitolo tante volte quanto avrei voluto e faccio di solito, ma davvero se avessi fatto diversamente avrei finito per pubblicarlo chissà quando. Quindi se notate errori e refusi per favore fatemelo notare. Alla fine comunque ci siamo, ringrazio chi sta tenendo duro, chi mi dedica un po' del suo tempo recensendo e chi ha inserito la storia in una categoria. Mi date un sacco di gioia e mi spingete a tenere sempre a mente che devo aggiornare la storia! La buona notizia è che per il prossimo capitolo sicuramente non dovrete aspettare così tanto, la cattiva è che sarà più piccolo degli altri, proprio per questo cercherò di pubblicarlo a non troppa distanza da questo. Spero continuiate ad apprezzare la storia, vi lascio alla lettura. A presto!




John ci aveva messo un po’ a riprendersi e quando finalmente si sentì meglio non poté tornare in piscina perché chiusa per le vacanze di Natale. Un po’ gli dispiaceva, ma in fondo le feste gli permettevano di vedere Sherlock più spesso. Mancavano pochi giorni a Natale e decisero di approfittare di un pigro pomeriggio per andare un po’ a zonzo per la città. Aveva nevicato parecchio, quindi le strade erano ricoperte di bianco, cosa che conferiva un pizzico di spirito natalizio in più all’ambiente. A John piaceva quel periodo, l’atmosfera di festa e lo spirito che si respirava in ogni dove, Sherlock lo aveva facilmente dedotto già dalla sua richiesta di “andare a fare una passeggiata sotto le luci di Natale”. Lui invece era indifferente a tutto questo, ma avrebbe cercato di non fare il guastafeste, d'altronde stare con John valeva bene prendere parte per un po’ a quel teatrino. E in fondo in fondo doveva ammettere che gli piacevano davvero i colori di cui la città si era tinta, in contrasto con il bianco niveo del manto stradale nei punti in cui questa si era accumulata ad opera degli spazzaneve. Del resto era anche ovvio: filtriamo gli impulsi e le sollecitudini esterne in base al nostro stato d’animo. Negli scorsi Natali Sherlock si era sempre sentito infelice, non capiva cosa ci fosse di diverso rispetto ad un qualsiasi altro giorno e trovava stupide e fastidiose le tradizioni correlate. Quest’anno invece era bastata la sola presenza di John per fargli vedere tutto sotto un’altra luce: le decorazioni luccicanti, i profumi invernali, i bastoncini di zucchero e le bancarelle che vendevano ogni tipo di dolciume. Ovviamente non era diventato tutto ad un tratto un tipo tutto miele e sorrisi, doveva pur sempre mantenere un certo aplomb e autocontrollo, aveva una reputazione che ci teneva a mantenere. Però dopo i soliti canonici cinque minuti in cui si era lamentato di tutto e in cui John lo aveva sopportato e assecondato pazientemente (o per meglio dire ignorato) aveva deciso che poteva anche smetterla e godersi quella giornata. La sua nomea di sociopatico ad alta funzionalità era salva (che poi lo sapeva bene che John non credeva nemmeno un po’ a quell’autodiagnosi). Stavano camminando su una strada buttando un occhio alle vetrine decorate quando udirono entrambi una tipica canzoncina natalizia che veniva sparata ad alto volume da un altoparlante lì vicino. Parlava di amore, Natale e speranza. Sherlock immaginò che sarebbe stato bello camminare in quell’atmosfera mano nella mano con John. Se solo fosse stato il suo ragazzo. Ma come previsto non avevano più nemmeno sfiorato l’argomento dopo quel giorno a casa dell’amico e non se l’era proprio sentita di affrontare un discorso tanto spinoso. Si sarebbe fatto bastare quello che avevano, almeno per il momento. Rise silenziosamente di sé, era bravo a mostrarsi freddo e scostante all’esterno, quando nella sua mente fantasticava come una ragazzina alla sua prima cotta. Lui, John, le luci di Natale e una dolce canzoncina in sottofondo, magari anche un cucciolo da portare in giro con loro. John l’avrebbe fermato e gli avrebbe stampato un bel bacio sulle labbra. O magari l’avrebbe bloccato lui per sporgersi a cercare la sua bocca. Sospirò insultandosi da solo per concepire pensieri tanto smielati, non ne avrebbe mai fatto parola con anima viva. I ragazzi non pensano queste cose, giusto? Sono forti, virili e non fantasticano. Sherlock si era sempre trovato stretto negli stereotipi e nei cliché, certo non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbero stati quel tipo di preconcetti a stargli stretti, i sentimenti erano stati da lungo tempo aboliti dalla sua mente. Ma ora si trovava qui, incastrato in questa situazione in cui era innamorato del suo migliore amico, con la recondita convinzione che non sarebbe mai successo nulla tra di loro. Perché doveva negarsi anche il semplice indugiare in quei pensieri che lo facevano sentire tanto bene? In nome di cosa? Di una sconsideratezza e superficialità tutta maschile? Perché gli uomini sono incapaci di provare sentimenti, amore? Lui sapeva di essere all’altezza della situazione per ciò che riguardava le cose importanti. La sua mascolinità la mostrava nell’essere in grado di prendersi cura dell’amico e non si sentiva più debole nel permettere all’altro di farlo a sua volta con lui. Tutto il resto, gli atteggiamenti da macho, semplicemente non gli interessavano. Probabilmente non avrebbe mai esternato i suoi pensieri, ma questo aveva poco a che fare con la spacconeria e molto con la timidezza e la difficoltà ad aprirsi, facendo fuoriuscire la sua parte più sensibile. Che era ben presente, viva e forte, ma accuratamente celata. Ma almeno con se stesso non doveva fingere e sapeva bene che con John avrebbe volentieri acconsentito ad ogni sdolcinatezza possibile, magari dopo una parvenza di reticenza, giusto per mantenere le apparenze e non sovraesporre quel suo io così emotivo.

Sherlock doveva essere perso nelle sue riflessioni già da un po’ perché quando si girò trovò lo sguardo di John su di sé che lo osservava curioso. Arrossì lievemente quasi temendo che i suoi pensieri potessero essere visibili sul suo volto e affondò un po’ di più la testa contro la sciarpa.

«Perché mi fissi?» domandò titubante.

«Avevi un’aria così assorta. Eri carino così concentrato.»

Il lieve rossore di poco prima si caricò ulteriormente colorandogli tutto il viso. John se ne usciva sempre con frasi del genere con una semplicità disarmante.

Era indeciso se cogliere l’occasione per riprendere un discorso in realtà mai cominciato quando la loro attenzione fu calamitata da un uomo vestito da Babbo Natale che suonava una campanella. Accanto a sé reggeva un sacco di iuta e un cartello spiegava che era una raccolta di beneficenza. John fu subito entusiasta della cosa e si avvicinò estraendo dalla tasca il portafoglio per lasciare una piccola offerta a quell’uomo. Sherlock lo seguì in silenzio, contribuendo anche lui alla giusta causa. Ammetteva che probabilmente non ci avrebbe mai pensato se avesse incrociato l’uomo da solo, ma questo era uno dei motivi per cui amava John: lo manteneva sulla retta via[1]. L’uomo in risposta al loro gesto fece suonare la campana che reggeva in mano augurando loro un buon Natale, ovviamente preceduto dall’iconico “Oh oh oh”. Sherlock riuscì persino a non evidenziare gli evidenti errori di travestimento dell’uomo, né obiettò sull’inutilità di una simile figura nell’immaginario dei bambini (anche se dovette mordersi piuttosto forte la lingua per non farlo) e John inspiegabilmente capì l’enorme sacrificio che aveva appena fatto e lo ricompensò con un sorriso e una timida carezza tra i capelli.

«Quando eri piccolo credevi a Babbo Natale?» gli domandò curioso John allontanandosi di qualche passo dall’uomo.

«Mi costa ammetterlo ma hanno rifilato anche a me quella stupida storiella. Ovviamente non è andata avanti a lungo, ci ho messo poco a capire l’illogicità della cosa. All’asilo già informai tutti i miei compagni di classe sulla realtà dei fatti. Ricordo non la presero molto bene.»

«Immagino» ridacchiò divertito.

«E tu? Fino a che età hai creduto a Babbo Natale?»

«Non mi hanno mai raccontato la favola di Babbo Natale» rispose con un’alzata di spalle.

«Oh.»

Chissà perché proprio non si aspettava una cosa del genere. John aveva un cuore tanto buono ed era in grado di mostrare un tale genuino stupore per le sue deduzioni che gli era venuto spontaneo supporre che avrebbe amato credere in una simile figura. Invece i genitori lo avevano privato di questa possibilità.

«Non fraintendere, ricevevo anch’io dei regali di Natale. Solo che sapevo che erano i miei genitori a portarmeli.»

«E non ti è dispiaciuto? Non credere a questa magia almeno per un po’.»

«Ma se hai appena detto che è una stupida storiella!»

«Che c’entra, io sono io. Non ci sono molte persone logiche e razionali come me. So che il resto del mondo ci tiene molto a queste cose.»

«Comunque no, non mi è pesato. Anzi credo di aver apprezzato l’onestà dei miei genitori. Non saprei dirti se prenderei la stessa scelta se mi ritrovassi nei loro panni, ma non ho nulla da recriminare loro. Certo, questo non significa che vado dai bambini a infrangere i loro sogni!» terminò con una risata.

John restava un mistero sotto certi aspetti. A volte sembrava la persona più felice e serena del mondo, altre mostrava una vena di malinconia e tristezza che Sherlock proprio non capiva da dove derivasse. Era un meraviglioso, intricato enigma. Restò a fissarlo per qualche istante quando con la coda dell’occhio carpì i movimenti di una persona che stava attraversando la strada per dirigersi verso l’uomo vestito da Babbo Natale. Si voltò di scatto a guardarlo deducendo in poco tempo le sue intenzioni. John dovette notare il repentino cambio d’atmosfera perché la sua postura mutò in una più rigida, pronto a scattare al segnale.

«Che succede Sherlock?»

«Quell’uomo. Vuole derubare il Babbo Natale.»

Non fece in tempo a finire la frase che l’uomo in questione cominciò a correre afferrando con una mano il sacco con le offerte. La scena si svolse veramente in qualche secondo, senza dare all’uomo in costume il tempo di reagire, ma i due ragazzi erano pronti all’azione e in breve si precipitarono all’inseguimento del ladro. Gli erano entrambi alle calcagna quando Sherlock appoggiò un piede su una lastra di ghiaccio scivolando malamente a terra. John che gli stava qualche metro davanti non notò subito l’incidente e terminò l’inseguimento poco dopo, balzando sul malvivente e immobilizzandolo al suolo. Nel frattempo la confusione creata aveva attirato l’attenzione di molte persone che si avvicinarono con l’intenzione di dare una bella lezione al ladro, rubare dei soldi destinati alla beneficenza ad un Babbo Natale era davvero qualcosa di miserabile. Solo l’intervento di alcuni funzionari della polizia che erano stati richiamati dalla folla salvò il malcapitato dall’ira della massa. John si voltò in cerca dell’amico e lo trovò poco più in là che cercava di tirarsi su. Fu da lui in pochi passi e gli porse una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi, cercando di sincerarsi delle sue condizioni. Mentre cercava di capire se l’amico si fosse fatto male furono entrambi interrotti dalla gente che si era avvicinata a John per fargli i complimenti, compresi i due agenti che lo ringraziarono per il coraggio mostrato.

«Io non ho fatto niente, è tutto merito del mio amico, è stato lui a capire le intenzioni di quell’uomo» si sminuì, lasciando Sherlock a bocca aperta.

«Non ho fatto nulla di che John…» cominciò bisbigliando all’amico, in fondo era lui che aveva bloccato il ladro e se i soldi della beneficenza erano salvi era tutto merito suo. Ma John lo ignorò e continuò a parlare ad alta voce alla folla.

«Non saremmo mai riusciti a fermarlo se non avesse dedotto in anticipo quello che stava per fare, è stato grazie a lui e alla sua enorme intelligenza. Anzi, sono certo che se non fosse scivolato lo avrebbe bloccato prima di me!»

E questa era un’enorme bugia, John era più vicino all’uomo di lui. Sherlock voleva dirlo ma si ritrovò immobilizzato di fronte a tutte quelle persone che gli facevano i complimenti, gli chiedevano come avesse fatto a capirlo, lo elogiavano. Non gli era mai successo in vita sua di essere apprezzato in quel modo per qualcosa che aveva fatto. Le persone li accerchiarono per celebrarli e lodarli e per la prima volta tutti sembravano realmente interessati ad ascoltare ciò che Sherlock aveva da dire. Ne ebbe un po’ paura, come ogni volta che si raggiunge qualcosa di tanto agognato e si portò un po’ più vicino a John, cercando il suo sostegno che non si fece mancare. Mezzo nascosto dietro la spalla dell’amico spiegò ciò che l’aveva portato a capire che quell’uomo volesse derubare il Babbo Natale e tutti si esibirono in versi stupefatti ed encomi generosi, lo chiamavano genio e non mostro, gli dicevano “fantastico!” e non “fuori dai piedi”. E tutto grazie a John. Fu conseguire ciò che a lungo aveva desiderato che gli fece aprire gli occhi: non gliene importava niente. Non era la considerazione di questi estranei che voleva ottenere, né quella di nessun altro. I loro elogi lo lasciavano indifferente, non gli avevano fatto battere il cuore come quando John aveva pronunciato per la prima volta “straordinario!”. I due agenti gli fecero i complimenti e gli dissero che sarebbero servite persone come lui in centrale e Sherlock provò sì un moto d’orgoglio, una conferma per quello che avrebbe voluto nel suo futuro lavorativo, ma i suoi occhi restarono incollati sull’amico. Confuso per tutta quella situazione si avvicinò ancora di più a lui e stringendosi contro il suo braccio mormorò un «Sono stato bravo?»

«Sì Sherlock, molto. Sei stato davvero bravo.»

In seguito si sarebbe vergognato di quell’infantile ricerca di conferme, ma in quel momento sentiva tutto vorticare intorno a sé. Dopo aver ricevuto i ringraziamenti anche da parte dell’uomo vestito da Babbo Natale la folla rapidamente si disperse, lasciando modo ai due ragazzi di sincerarsi delle condizioni del moro. La caviglia gli faceva male, doveva aver preso una bella botta. Provò a poggiare la gamba a terra e a fare qualche passo, ma caricare il peso sulla gamba gli provocava fitte di dolore. Fu così che decisero di tornare a casa di Sherlock che era la più vicina tra le due. John si posizionò dal lato della caviglia infortunata e gli passò un braccio intorno alla vita, reggendolo forte, mentre Sherlock si appoggiava alla sua spalla. Trovare un taxi in quel giorno di festa sarebbe stata un’impresa, motivo per cui iniziarono a dirigersi verso la loro destinazione zoppicando un po’. Fu solo dopo parecchia strada, con molta fatica da parte di entrambi, che una gentile coppia di fidanzati decise di cedergli il loro taxi, una volta appurate le condizioni di Sherlock. John quindi lo sollevò di peso facendolo sedere all’interno dell’autovettura, con sommo imbarazzo da parte del più piccolo.

«Potevo farcela anche da solo.»

«Lo so, ma preferivo che tu non sforzassi la caviglia. Sicuro di non voler andare in ospedale?»

«Sì John, è solo una distorsione.»

«Guarda che le distorsioni possono essere pericolose quanto le fratture.»

«La ringrazio dottore ma le assicuro che sto bene.»

«Sì sfotti, sfotti. Verrà il momento in cui dovrai darmi retta, almeno per le questioni di natura medica.»

«Credo sarò sempre un paziente difficile, scusa John.»

«Non saresti tu, altrimenti!»

Il taxi si fermò di fronte all’indirizzo che gli era stato comunicato e John scese ad aiutare l’amico, dopo aver pagato la corsa.

«Non capisco perché hai pagato tu il taxi se lo abbiamo preso a causa mia» affermò mentre si dirigevano lentamente verso l’ingresso.

«Shhh, fammi fare una buona azione su. Piuttosto preferisci che vada o…»

«Non dire sciocchezze John, entra.»

Entrarono in casa e al suono della porta richiusa Mycroft fece capolino.

«Non ti aspettavo così presto, che è successo?»

Ovviamente non bastarono che pochi secondi e una lunga occhiata affinché il maggiore degli Holmes capisse tutta la situazione. Sherlock, ben conscio di ciò, evitò di rispondere alla domanda, ma John che invece non sapeva con chi aveva a che fare si ritrovò in imbarazzo di fronte al silenzio dell’amico e cominciò a parlare incerto.

«Ecco…Sherlock è scivolato e…»

«Non sprecare fiato John, ha già dedotto ogni cosa.»

«Oh.»

John passò lo sguardo dallo sconosciuto a Sherlock e poi di nuovo verso il primo che ora lo fissava con interesse e con l’ombra di un sorriso sulle labbra.

«Credo di dovermi presentare. Sono John Watson, un amico di Sherlock, piacere di conoscerti.»

«Mycroft Holmes, sono il fratello di Sherlock. Non sai che piacere sia per me conoscerti» pronunciò in tono mellifluo.

John si trovò leggermente a disagio sotto lo sguardo insistente di questo, che lo fissava come se volesse carpire ogni suo più piccolo segreto o come se John possedesse le risposte ai più grandi interrogativi del mondo e lui potesse venirne a conoscenza solo osservandolo. Per fortuna ci pensò Sherlock a trarlo d’impaccio.

«Mycroft che ci fai lì impalato? Non vedi che sto male? Vammi a prendere del ghiaccio!» esclamò lasciandosi cadere sul divano come una vera regina del dramma.

Il maggiore inaspettatamente lo accontentò in silenzio, tornando poco dopo con un impacco che passò al fratellino.

«Una cosa non mi è chiara. Perché stavi correndo pur sapendo il pericolo delle strade ghiacciate?»

«Stavamo inseguendo un ladro» rispose annoiato.

«Cosa?!»

«Oh sì! Sherlock è stato semplicemente fantastico, ha capito subito le intenzioni di quell’uomo e dopo un attimo lo stavamo rincorrendo. Tutta la gente che era lì gli ha fatto i complimenti, addirittura i due agenti che hanno arrestato l’uomo!» sciorinò con voce colma di entusiasmo e guardando adorante l’amico che si premeva il ghiaccio sulla caviglia.

«In realtà è stato John a fermarlo. Io sono caduto e non ho potuto fare molto.»

«Ma senza le tue deduzioni l’avrebbe di sicuro fatta franca. Il merito è tutto tuo.»

«Le persone ti…hanno fatto i complimenti?» si intromise Mycroft con sguardo sbigottito.

Sherlock si limitò ad un’alzata di spalle, mentre John annuiva vigorosamente.

«Già, quando poi ha spiegato come ha fatto a capire tutto sono andati fuori di testa, hanno capito che è un genio! I poliziotti hanno anche detto che servirebbero persone come lui al distretto» terminò con un moto d’orgoglio.

Mycroft, che fino a quel momento aveva fissato il fratello, spostò i suoi occhi spalancati dallo stupore su John, che invece teneva lo sguardo fisso su Sherlock. Fissò quella scena intenerito e alla fine si concesse un sorriso che riuscì abilmente a nascondere agli altri due.

«John posso offrirti un tè?»

«Oh, non preoccuparti, non vorrei disturbare.»

«Nessun disturbo. Vorrei inoltre ringraziarti per aver accompagnato Sherlock a casa.»

John lo osservò dubbioso, dove avrebbe dovuto lasciarlo secondo lui? Sherlock aveva bisogno d’aiuto, non avrebbe mica potuto abbandonarlo in quelle condizioni. Ovviamente il maggiore captò la sua perplessità perché si affrettò a chiarire mentre si portava in cucina.

«La lealtà non è una qualità da tutti.»
 

Qualche minuto più tardi Mycroft ritornò in salotto reggendo un vassoio con tre tazze di tè e dei biscotti. I loro genitori non c’erano e quindi toccava a lui fare le veci di padrone di casa e, a differenza di Sherlock, a quanto pareva il maggiore dei fratelli Holmes conosceva bene i formalismi di una buona accoglienza degli ospiti. Ciò nonostante John si sentì come sotto una lente d’ingrandimento, era evidente che l’altro lo stesse valutando e studiando. Un po’ gli sembrò esagerato, non stava mica chiedendo la mano del piccolo di casa Holmes, ma poi ripensò al fatto che Sherlock non aveva amici oltre lui e che gli altri erano soliti trattarlo male e deriderlo: un po’ di diffidenza da parte della sua famiglia era comprensibile, motivo per cui si impegnò parecchio per cercare di fare bella figura. Ci teneva all’amico, quindi voleva che Mycroft lo vedesse di buon occhio. Dopo qualche altra chiacchera, a cui Sherlock non partecipò, fu proprio quest’ultimo a dire che poteva bastare così ed invitò John ad andare in camera sua. Era rimasto insolitamente in silenzio per tutto il tempo, quasi a voler concedere al fratello il tempo per appianare i suoi dubbi. Mentre si stavano dirigendo verso la stanza del moro Mycroft richiamò il fratello, lasciando che John iniziasse a salire le scale che portavano al piano superiore.

«Che altro vuoi? Non ti è bastato il terzo grado?»

«Sei il solito esagerato. Ho fatto giusto qualche domandina di cortesia.»

«Sì come no. Beh?»

«Cosa?»

«Immagino tu mi abbia richiamato per dirmi qualcosa su di lui e le tue deduzioni. Sentiamo» esclamò con aria seccata, modulando la voce affinché John non sentisse.

«Oh no, no. Era per dirti che oggi è arrivato un pacco per te.»

«Un pacco per me?»

Cosa mai poteva essere? Una bomba? No Mycroft l’avrebbe di certo capito se fosse stato qualcosa di pericoloso. Ma lui non riceveva mai pacchi da nessuno e non aspettava nulla.

«Già. Un regalo» aggiunse enigmatico con un sorrisetto tronfio.

La faccia di Sherlock se possibile assunse un’espressione ancora più sorpresa. Prese esitante la scatola che Mycroft gli passò e la guardò incerto. L’esterno non dava molti indizi, era avvolto in un’anonima carta da pacchi marrone e presentava un’unica etichetta con su scritto il suo nome ed il suo indirizzo. Fece per voltarsi intenzionato a raggiungere l’amico quando si fermò, lanciando un’altra occhiata a suo fratello. Non sapeva come chiederlo, non voleva ammettere che gli interessava l’opinione di Mycroft. Non lo avrebbe mai confessato ad anima viva, ma sapeva che Mycroft era più bravo di lui con le deduzioni. Cosa aveva visto in John Watson? Aveva capito qualcosa che a lui era sfuggito? Voleva sapere, ma l’orgoglio gli impediva di parlare, per cui si limitò ad osservarlo mordendosi inconsciamente il labbro in un gesto di nervosismo, cercando il modo di ottenere quello che voleva senza dover chiedere esplicitamente.

Fortunatamente Mycroft non era in vena di vederlo sul patibolo, quindi intuendo cosa passasse per la testa del fratellino decise di andargli incontro.

«È un bravo ragazzo. Hai scelto bene.»

Seppur la scelta delle parole fosse banale Sherlock conosceva Mycroft e sapeva cosa realmente significasse riuscire ad ottenere la sua approvazione. Per cui cercò di nascondere un sorrisetto soddisfatto e si voltò per dirigersi zoppicando verso la scala.

«Ovvio che sì Myc, non sono mica un idiota. E in ogni caso non mi importa di ciò che pensi tu.»

Al maggiore non sfuggì il ringraziamento nascosto in quel nomignolo e si ritenne soddisfatto. Mostrare più emotività non sarebbe stato da loro.

John lo attendeva in cima alle scale, non volendo risultare invadente, e quando vide avvicinarsi l’amico ridiscese per aiutarlo a salire. Occhieggiò la scatola che Sherlock teneva in mano ma non disse nulla.

Lo sostenne fino al letto dove il moro si adagiò, facendo riposare la caviglia, e John si affrettò a sistemargli un cuscino dove poterla appoggiare.

«John mi passeresti il pacco che ho lasciato sulla scrivania? A quanto pare ho ricevuto un regalo.»

«Oh quindi finalmente è arrivato!» esclamò allegro.

«È da parte tua?»

«Sì, è il mio regalo di Natale, temevo non arrivasse in tempo.»

«Oh. Io…ti ringrazio.»

«È solo un pensiero, non è nulla di che, ma spero che ti piaccia.»

Sherlock arrossì imbarazzato e abbassò lo sguardo sulla scatola che John gli aveva passato.

«Che c’è? Ti ho messo a disagio? Se è perché tu non mi hai preso niente non ti devi preoccupare, non l’ho fatto per questo. È che l’ho visto ed ho subito pensato a te.»

«A dire il vero io ho un regalo per te» pronunciò sempre senza guardarlo.

«Oh. Ma non dovevi» balbettò imbarazzato a sua volta.

«Beh nemmeno tu dovevi, se è per questo» rispose spostando lo sguardo su di lui.

«Giusto.»

Sherlock era incerto se dare o meno il pacchetto all’amico, ma il sorriso aperto in cui l'altro si esibì solo al sentire che gli aveva fatto un regalo gli scaldò il cuore. Sollevò gli angoli delle labbra e indicò un cassetto con un cenno del volto.

«Saresti così gentile da prenderlo tu? Dopo tutta la fatica fatta per stendermi credo non mi alzerò mai più da questo letto.»

John ridacchiò divertito avvicinandosi al punto che gli era stato indicato. Aprì il cassetto e individuò subito il pacchetto tra il resto delle cose, sforzandosi di non ficcanasare troppo tra la roba dell’amico. Ciò nonostante non potette fare a meno di notare un teschio che a tutti gli effetti sembrava vero.

Si girò ritornando vicino al letto, evitando accuratamente di fare domande, ma Sherlock dovette dedurre cosa aveva visto.

«Lui è Bill, un mio amico.»

«Carino. Ma mi avevi detto di non avere amici, quindi mi hai mentito!» esclamò con aria divertita.

«È così, non ho amici.»

John lo guardò perplesso e con un pizzico di delusione in fondo agli occhi, ma Sherlock mantenne il contatto visivo ben saldo e specchiandosi nei suoi occhi continuò a parlare.

«Ne ho solo uno.»

Si ritrovarono a osservarsi, senza poter distogliere lo sguardo l’uno dall’altro, una strana elettricità nell’aria.

«Di non inanimato almeno!» aggiunse subito dopo con una risatina nervosa per spezzare la tensione. John sorrise scuotendo la testa e sedendosi sul letto con lui. Aveva forse perso un’altra buona occasione? Probabile, ma non se l’era proprio sentita, la paura lo aveva immobilizzato. Arrivati a questo punto sarebbe ancora stato in grado di vivere senza John Watson? O ormai non poteva più trascorrere il resto della sua esistenza senza lui, sia pure accontentandosi di averlo con sé unicamente come amico? Sherlock era terrorizzato dalla risposta.

«Vuoi che apriamo ora i regali o vuoi aspettare Natale?»

«Tu che preferisci?»

«È uguale, facciamo quello che decidi tu.»

Sherlock iniziò a osservare il pacco, non aveva molti indizi con cui potesse indovinare il contenuto e fremeva dalla voglia di sapere cosa John gli avesse regalato. Erano poche le cose che era riuscito a dedurre: al di sotto della carta era presente una scatola di cartone e al suo interno c’era più di un elemento che faceva rumore al movimento. Qualcosa di delicato, ma non fragile come un oggetto di vetro o ceramica, o se c’erano erano ben imballati in modo da non tintinnare. Non molto per giungere ad una conclusione plausibile.

«Ok, ok ho capito, apriamoli ora!» aggiunse il biondo divertito dalla scena.

«Va bene. Inizio io.»

«Sei curioso come una scimmietta. Vai pure.»

Sherlock scartò in fretta la carta pacchi, per trovarsi di fronte a una scatola di cartone, esattamente come aveva dedotto, su cui spiccava la scritta “The chocolution”, l’immagine di alcuni chicchi di cioccolata e di alcune foglie. Sherlock aprì la scatola esterrefatto trovandosi di fronte a dei sacchettini contenenti chicchi di cacao di vario tipo e provenienti da varie parti del mondo, oltre ad una bottiglietta ben imballata contenente un liquido ambrato.

«Ti piace? Ho pensato alla tua passione per la cioccolata, per la chimica e gli esperimenti e mi sembrava un buon compromesso» domandò incerto.

«John ma è bellissimo. Nessuno mai mi aveva fatto un regalo così bello!» rispose Sherlock con gli occhi lucidi.

«Meno male, sono contento. Temevo che lo trovassi un regalo stupido.»

«Stupido è pensare una cosa del genere. È un regalo magnifico.»

«Quindi in definitiva sono comunque uno stupido» concluse ridendo l’amico.

«Che ci vuoi fare. Il mondo è pieno di idioti.»

«Ora posso aprire il mio regalo? Sono davvero curioso.»

Sherlock annuì timoroso.

«Solo che dopo aver visto il tuo regalo mi sento a disagio per il mio, non è davvero nulla di che, non regge proprio il confronto.»

«Permetti a me di giudicare.»

John scartò delicatamente la carta trovandosi di fronte a una sorta di sacchettino in velluto chiuso in cima da un laccetto.

«Ma è un omamori??»

Sherlock si limitò ad annuire in silenzio.

«Quando sono venuto a casa tua ho visto tutti quei manga e quella roba giapponese…non lo so John, non sono bravo coi regali, è stata un’idea stupida.»

«Sherlock, ma che dici? È bellissimo, grazie! Ma dove lo hai trovato? È una vita che ne cerco uno ma qui è praticamente impossibile da trovare e le spedizioni su internet sono eterne.»

«Sì ho visto. Questo…beh…l’ho fatto io.»

«L’hai fatto tu?» domandò John incredulo ricevendo in cambio un cenno d’assenso.

John si perse ad osservare meglio i dettagli dell’amuleto, riconoscendo così il bastone con avvolto un serpente, simbolo della medicina, presente sul sacchetto.

«Incredibile, hai anche trovato il bastone di Asclepio!»

«Ovvio, non avrei mai usato il Caduceo, non sarei mai stato così approssimativo.»[2]

«Ci avrai messo un mucchio di tempo a farlo.»

Sherlock fece spallucce, sminuendo il suo operato.

«Ripeto, non è nulla di che» decretò accarezzando lievemente il regalo che gli aveva fatto John.

John tornò a guardare il sacchettino, questa volta concentrandosi sulla bellezza della stoffa, sui dettagli curati in maniera quasi maniacale. All’interno come da tradizione c’era un pezzo di legno su cui era stata intagliata un’iscrizione in giapponese. Doveva averci lavorato veramente a lungo e con dedizione.

«Chi è lo stupido tra i due ora?» esclamò mentre lo stringeva forte. «Non avrei potuto chiedere regalo migliore, è meraviglioso e il pensiero che tu abbia perso così tanto tempo per me…grazie, grazie davvero.»

«Non è tempo perso…» sussurrò timidamente il moro.

Si staccarono dopo qualche secondo, con il cuore che ancora batteva forte. John sembrò sul punto di chiedergli qualcosa, ma poi rinunciò.

«Che c’è?» domandò Sherlock.

«Non ti si può mai nascondere nulla» ridacchiò il biondo.

«È ridicolo anche solo che tu ci possa provare.»

«Ok, ok. Amo il tuo regalo, davvero, ma posso chiederti anche un altro regalo?»

«Certo John, tutto quello che vuoi.»

«Suoneresti qualcosa per me? È da quando mi hai detto che suoni il violino che muoio dalla volta di ascoltarti. Ma forse ti fa troppo male la caviglia…»

«No, ce la faccio, tranquillo. Mi piacerebbe molto suonare per te.»

Sherlock si portò lentamente in piedi aiutato dall’amico, che gli passò anche lo strumento. Rimase immobile qualche secondo per pensare al pezzo da eseguire. Si focalizzò su John, sul suo strano modo d’essere, sulla sua allegria, ma anche sulla sua malinconia, sull’amore che provava per lui. E la scelta fu chiara.

Attaccò a suonare e lo sguardo colmo di ammirazione con cui lo guardò durante tutta l’esecuzione fu il regalo più bello che John gli potesse mai fare. Era forse amore quello che gli riempiva gli occhi? Sherlock proprio non lo sapeva e non osava sperare tanto, nonostante qualche segnale positivo ricevuto negli ultimi tempi dall’amico.

John ascoltò in silenzio per tutto il tempo, assaporando ogni nota. Solo una volta giunti al termine, quando Sherlock abbassò l’archetto si permise di proferir parola.

«È stato magnifico, un vero spettacolo. Che pezzo era? Come fai ad essere così perfetto?»

Sherlock arrossì per l’ennesima volta, gli unici complimenti mai ricevuti in vita sua erano venuti tutti da John.

«Era la Serenade di Schubert.»

«È bellissima. Così delicata ed espressiva. Ti arriva l’amore, l’inquietudine e la tristezza. E tu l’hai eseguita in maniera magistrale.»

«Non puoi saperlo, non conosci l’originale» ridacchiò Sherlock.

«Vero, ma non può essere diversamente. Sei riuscito a trasmettermi così tante emozioni tutte insieme…»

«Sono contento che il pezzo ti piaccia. Non è da tutti rilevare così tante cose di un pezzo di musica classica.»

«È un complimento mister Holmes?»

«Magari sei un po’ meno idiota degli altri, dottor Watson. Ma non ti montare la testa.»

«Troppo tardi. Dai vieni a letto bella addormentata, hai bisogno di riposo.»

Sherlock zoppicò verso il letto, con lo sguardo di John fissò su di sé.

«Anche se a dirla tutta mi sembri più capitan Uncino in questo momento.»

«Oh finalmente un bel personaggio, era ora!»

«Ti piace capitan Uncino?»

«Ovvio è un pirata.»

«Ma è il cattivo.»

«Trascurabile. Spero di non averti traumatizzato, Trilli.»

«Ah sarei Trilli io? Beh sì, in effetti credo che quel vestito giallo mi starebbe d’incanto.»

«Trilli ha un vestito verde, idiota.»

«Oh scusa tesorino. Ho offeso il tuo cartone animato preferito?»

Sherlock trovò fosse meglio rispondere alla provocazione con una cuscinata che colpì John in pieno viso.

Risero e giocarono ancora per qualche ora, accettando l’invito a restare a cena che si svolse con insolita serenità e calore domestico. Sherlock mangiò più volentieri del solito e Mycroft fu silenziosamente grato a John di questo. Poi giunse l’ora in cui John dovette tornare a casa, Mycroft si assicurò che salisse su un taxi e pagò in anticipo la corsa nonostante le rimostranze di John. Era evidente che in una certa misura badasse lui al fratello minore, quando era a casa dal college, in assenza dei loro genitori. E qualcosa suggeriva a John che questo avvenisse piuttosto di frequente.

Rimasto solo in camera Sherlock riprese in mano la scatola osservandola dolcemente. Fu così che notò un bigliettino sul fondo che gli era sfuggito prima.

“A Sherlock, il mio migliore amico. John”

Proprio in quello stesso momento il suo cellulare squillò.
 

Sono a casa. Ti lamenti che ti chiedo di mandarmi un messaggio quando devi rientrare e poi fai la stessa identica cosa con me. D’ora in poi non voglio più sentire lamentele. JW

Che ti devo dire, le brutte abitudini sono contagiose. Poi devo stare attento al mio migliore amico, no? SH 

Ah l’hai trovato alla fine. Perdi colpi vecchio mio. JW

Taci. Buonanotte. SH

Buonanotte Uncino. Attento a Tic Tac. JW

Buonanotte Trilli. Attenta a Peter Pan. SH

Aspetta, non erano amici Trilli e Peter Pan? JW

Sì amici…e poi è bastata una Wendy qualunque perché lui si dimenticasse di lei. SH

Non me lo ricordavo proprio così. JW

Se è per questo non ti ricordavi nemmeno il colore del vestito di Trilli. SH

Ok, hai ragione tu. Spero non arrivi nessuna Wendy che ti faccia dimenticare di me. JW

Di questo dovrei essere molto più preoccupato io… SH

Ma questo farebbe di te un enorme idiota. Ma di dimensioni colossali proprio. JW

Tu dici? SH

Certo. È completamente fuori dalla realtà e da ogni logica. JW

Se lo dici tu… SH

Sì, lo dico io. Dai riposati ora. Buonanotte Sherl. JW

Buonanotte John. SH





Note:

Ringrazio Daniela e Lucrezia per avermi aiutato con i regali. L'idea della scatola con la cioccolata è infatti di Lucrezia, mentre quella dell'omamori è di Dany. 

La canzone che Sherlock suona al violino per chi non la conoscesse è questa https://www.youtube.com/watch?v=0bjB-IWEYI0. Qui potete sentirla suonata da un solo violino, cioè come la suonerebbe Sherlock https://www.youtube.com/watch?v=H0rm3RgyfUg

 
 
[1] “John Watson, you keep me right” citazione della 3x02. La traduzione non segue quella dell’adattamento italiano, Daniela spero tu sia contenta della mia scelta.
[2] Sebbene il Caduceo (associato al dio Ermes) venga utilizzato spesso in riferimento alla medicina e molti ordini professionali medici utilizzino entrambe le versioni, è più propriamente il bastone di Asclepio o di Esculapio il simbolo della medicina. Il Caduceo, ad esempio simbolo dell’ordine dei farmacisti, consiste in un bastone alato con due serpenti attorcigliati ad esso, il bastone di Asclepio invece presenta un solo serpente arrotolato intorno al bastone o verga (non ridete).

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Salve a tutti. Avrei voluto pubblicare questo capitolo prima, ma tra le varie cose mi sono anche ammalata e avendo la febbre alta non avevo proprio la forza di rileggere e pubblicare. In ogni caso arriva prima dei tempi standard a cui ormai mi sto attenendo! Dovete ringraziare soprattutto K_MiCeTTa_K che mi ha gentilmente invitata a muovere il cul...a darmi da fare. No scherzo, lei è stata dolcissima e vedere che c'è gente che aspetta con tanto entusiasmo il nuovo capitolo mi ricorda davvero che devo darmi una mossa. Ma passiamo al capitolo, come vi avevo annunciato è più corto rispetto agli altri, ma non sapevo davvero come altro dividere la storia. Ho provato a vedere se potevo tagliare in un momento diverso, ma non era possibile, ho provato anche a rimpolparlo, ma essendo una storia ormai completa non è semplice per me intervenirci su. Quindi spero mi perdonerete questo capitolo piccolo. Ci avviamo verso la fine della storia, dopo di questo ci saranno altri due capitoli, ma l'ultimo è un po' slegato da tutto il resto da un certo punto di vista (non a caso sono ancora indecisa se pubblicarlo come ultimo capitolo o come shot a parte). Questo è il massimo dell'angst che sono in grado di produrre (ed è un livello davvero misero), non che mi ci sia davvero impegnata, il mio intento era quello di scrivere una storia serena, piuttosto che elaborare qualcosa di triste o sofferente. Volevo raccontare una storia, questa storia e volevo esprimere sentimenti positivi. Alla fine dovrete dirmi voi se il risultato complessivo sarà positivo. Ok la smetto qui altrimenti questa introduzione sarà più lunga del capitolo stesso. Ringrazio le fantastiche persone che stanno recensendo (cercherò di rispondere a tutti quanto prima, come vi dicevo ho avuto qualche problemino), chi sta resistendo, chi ha inserito la storia in qualche categoria e le meravigliose ragazze che mi dicono cose belle (e che a volte mi bestemmiano). Buona lettura!




Erano i primi giorni di gennaio quando la piscina riaprì, ma questa era più vuota del solito. Il freddo, i pranzi e le cene abbondanti e l’atmosfera di festa che ancora si sentiva nell’aria non invogliavano la gente a fare attività fisica, quanto piuttosto a restare in panciolle sul divano, magari in famiglia e con una bevanda calda tra le mani. Questo però non valeva per John e Sherlock che avevano atteso quel momento con grande impazienza, nell’aspettativa di rivedersi. Tra Natale e Capodanno erano riusciti ad incontrarsi qualche volta, ma molto meno di quanto desiderassero, dovendosi accontentare di qualche messaggio inviato tra una portata ed un noioso discorso con parenti vari. Perciò il sentimento che prevalse nel rivedersi fu la gioia, come una sorta di promessa mantenuta. Arrivarono entrambi in perfetto orario e si salutarono nello spogliatoio, cambiandosi insieme e chiacchierando delle vacanze appena trascorse, tra buffi aneddoti e drammi famigliari, che non mancano mai in una buona festa che si rispetti.

Si diressero verso la piscina e stavano ancora parlottando tra loro ridendo complici quando un gridolino attirò la loro attenzione. Nemmeno il tempo di voltarsi che una ragazzina all’incirca della loro età era saltata addosso a John, portandogli le braccia al collo e abbracciandolo stretto.

«John! Finalmente! Non sai quanto ho penato per trovarti. Ho dovuto fare un giro assurdo di persone per sapere i tuoi turni in piscina.»

«Ciao Jeanette, che ci fai qui?» domandò John leggermente a disagio.

«Mi sono iscritta anch’io, così potremo nuotare insieme. Non è fantastico?»

«Ehm, sì certo, certo.»

John si girò verso Sherlock con sguardo affranto mentre quest’ultimo aveva osservato la scena con la sua tipica aria glaciale e disinteressata.

«Jeanette ti presento Sherlock, un mio amico» provò John, ma era chiaro che a nessuno dei due potesse interessare meno dell’altro. Si salutarono svogliatamente e la ragazza tornò a dedicare tutte le sue attenzioni al biondo.

Avanzarono insieme appendendo gli accappatoi all’attaccapanni, dopodiché John si avvicinò a Sherlock per aiutarlo come al solito ad indossare la cuffia.

«Jooohn! Aiuti anche me? Ho i capelli troppo lunghi!»

«Un attimo, finisco con lui e arrivo» rispose già evidentemente seccato. Il tono non lasciava dubbi e, se anche quello non fosse bastato, il movimento con gli occhi che fece all’udire la voce della ragazza fu molto più che esplicativo.

«Dai tuffiamoci insieme!» esclamò una volta che il ragazzo ebbe terminato con l’aiutarla e, senza nemmeno attendere una sua risposta, gli strinse la mano e lo trascinò verso la vasca. John, spiazzato dalla situazione e momentaneamente incapace di pensare a un modo per scollarsela di dosso, non oppose molta resistenza facendosi trascinare in acqua. Sherlock, che aveva osservato tutta la scena con aria severa, strinse le labbra in una linea dura e si portò verso la scaletta discendendo lentamente in acqua. Arrivato nella sua corsia, quella media, incominciò a prepararsi per l’allenamento del giorno. Era infastidito da tutta quella situazione, ma voleva innanzitutto capire che rapporto ci fosse tra i due prima di agire in qualunque modo. John non sembrava felice della presenza della ragazza, ma questa agiva con una certa naturalezza e, per quanto irritante lei potesse essere, molto più probabilmente significava che c’era stato qualcosa tra i due.

Entrambi riemersero e lei non perse occasione per avvinghiarsi a lui, palesemente puntando alle sue labbra, anche se John prontamente si scostò. Questo confermò i dubbi del moro, c’era stato del tenero in passato tra i due. Sicuramente c’era stato un bacio, forse era stata la sua ragazza, chissà. Chiaramente la situazione non si era chiusa in maniera netta, visto che questa Jeanette ancora nutriva delle speranze.

Dedurre la situazione lo gettò in uno stato di sconforto, per cui decise di indossare gli occhialini e partire con il riscaldamento, non voleva osservare quei due un attimo di più. Faceva troppo male.

Nuotò più veloce del solito e una volta terminato il primo step si fermò a riprender fiato con il cuore che batteva a mille. Non era del tutto certo fosse solo a causa dello sforzo fisico.

John attirò la sua attenzione, si era spostato dall’altra corsia media in cui si era tuffato con l’impiastro a quella rapida, che si trovava tra quella di Sherlock e quella in cui ancora era Jeanette. Il resto della piscina era completamente vuoto, persino l’addetto al salvataggio si era defilato da qualche parte, forte dello scarso affollamento di quel giorno.

«Cerca di rallentare, altrimenti non lo reggi tutto il programma. E migliora il movimento del braccio durante la bracciata, ricorda come abbiamo fatto l’ultima volta.»

Sherlock si voltò ad osservarlo, il nervosismo per quanto osservato l’aveva distratto da tutto il resto, ma non voleva deludere l’amico. Annuì riconoscente, John continuava a preoccuparsi di lui.

«John perché non aiuti anche me? Dammi qualche dritta su!» si intromise l’intrusa.

«Ora non posso Jeanette, la mia pausa è durata fin troppo, magari dopo ok?» e dettò questo ripartì in tutta fretta, prima che la ragazza avesse modo di rispondere.

«Uffa però, non è giusto.»

Sherlock la guardò ancora un attimo. Era carina, l’aveva osservata prima. Aveva un bel fisico, con le forme al punto giusto che risaltavano grazie ad un costume intero che la fasciava perfettamente. Pensò a se stesso, alla sua magrezza, al suo fisico maschile. Cosa aveva di bello lui? Nulla. Come poteva anche solo minimamente pensare di competere? Non aveva niente da offrire a John, niente. Non un seno sodo, né dei fianchi morbidi in cui affondare le dita o magari i denti. Nessun sorriso radioso o aria sbarazzina, nulla che esprimesse sensualità o provocasse desiderio. Non era gentile, né simpatico, né amabile. Guardava lei, morbida, provocante, desiderabile. E poi guardava se stesso, il suo corpo ossuto e sgraziato. Niente di lui era attraente, non il suo fisico, tantomeno la sua personalità. John non avrebbe mai potuto innamorarsi di qualcuno come lui.

Depresso da questi pensieri ricominciò a nuotare, ma era distratto, continuava a fare errori e non riusciva a tenere il ritmo.

A metà allenamento John gli si riavvicinò, preoccupato delle sue condizioni.

«Va tutto bene? Ti fa ancora male la caviglia?»

«No John, sto bene. Sarò un po’ fuori forma a causa delle feste, non preoccuparti.»

«Sicuro?» John non sembrava molto convinto della risposta. In ogni caso non ebbero modo di approfondire l’argomento perché Jeanette li interruppe nuovamente reclamando attenzioni. Era chiaro che John si stava innervosendo, ma non voleva essere eccessivamente duro e questa fastidiosa ragazza sembrava proprio non voler recepire i nemmeno tanto velati messaggi che il biondo le mandava.

Pur di togliersela di dosso per un po’ John accettò di aiutarla, dandole qualche suggerimento e sistemandole la postura, anche se Sherlock notò che lei stava volutamente sbagliando alcune cose.

Se John aveva sperato che questo gli desse un po’ di tregua si sbagliava di grosso perché Jeanette non perdeva occasione per civettare con lui, intromettendosi ogni qual volta provava a scambiare due parole con l’amico. Il culmine fu raggiunto quando la ragazza oltrepassò la propria corsia occupando quella del biondo, per andare ad abbracciarlo da dietro. John era veramente stanco di questa invadenza, quel modo di fare lo esasperava, motivo per cui se la staccò di dosso e riprese a nuotare in un tentativo di fuga.

«Non dovresti importunarlo in questo modo, sta seguendo un allenamento» le fece notare Sherlock.

«Io non lo sto importunando!»

«A me sembra proprio di sì.»

John ritornò indietro senza fermarsi e la ragazza fu costretta a passare nella corsia del moro per continuare a discutere con lui senza rischiare di essere travolta dall’altro.

«E tu che ne sai scusa? Non sto facendo nulla di diverso da te, gli sto semplicemente chiedendo aiuto» continuò, sempre più ostile.

«Con la semplice differenza che io non lo interrompo, è John che quando ha tempo mi dà una mano, ma io non mi sono mai permesso di chiedergli niente e soprattutto non lo infastidisco mentre sta nuotando. Hai addirittura invaso la sua corsia!»

Jeanette gli riservò uno sguardo di puro odio prima di cambiare radicalmente espressione, sorridendogli freddamente. Col senno di poi Sherlock ammise a se stesso che avrebbe dovuto riconoscere il pericolo.

«Sai, sei simpatico» gli disse prima di poggiargli entrambe le mani sulla testa spingendolo sott’acqua. Sherlock si sentì improvvisamente sprofondare, l’acqua che lo avvolgeva ormai ovunque. Durante la pausa si era tolto gli occhialini e ora sentiva il cloro che gli bruciava gli occhi, che si muovevano frenetici cercando disperatamente una via di fuga.

Provò a divincolarsi, muovendo mani e piedi cercando di spostarla, ma la presa era salda e lo spingeva giù. Un sordo terrore si impossessò di lui, sentiva l’aria mancargli e illogicamente i suoi polmoni gli ordinarono di respirare, anche se la sua mente sapeva che era solo acqua quella che avrebbe inspirato. E così fu e la sensazione di tutta quell’acqua che gli entrava in bocca e nel naso lo gettò nella disperazione, mentre sentiva le forze che venivano meno. Avrebbe mai lasciato la presa? No, rispose il suo cervello in preda al panico, sarebbe morto affogato lì, ormai ne era certo. E John dov’era in tutto questo? Ebbe a malapena il tempo di pensarlo che avvertì la presenza di qualcun altro accanto a loro e la presa opprimente sulla sua testa d’un tratto sparì. Sentì anche due braccia che decise lo prendevano tirandolo su e finalmente potette di nuovo tornare a riempire i suoi polmoni d’aria, tossendo violentemente per tutta l’acqua inalata.

«Ma sei impazzita?» sentì urlare una voce conosciuta «Potevi ucciderlo!»

«Quante storie. Stavo solo scherzando.»

«Solo scherzando? Ma che hai nella testa! Lo stavi affogando!»

Sherlock mise lentamente a fuoco la situazione, vide John che lo teneva vicino a sé mantenendogli la testa fuori dall’acqua e vide Jeanette, che con aria annoiata galleggiava poco distante da loro. John si era interposto tra loro come a voler proteggere l’amico da quell’orribile ragazza che aveva rischiato di farlo annegare.

«Avanti Sherlock diglielo anche tu che era solo un gioco.»

Sherlock la guardò con astio e sentì la rabbia montargli su. Era ancora molto spaventato da ciò che era successo poco prima e sentiva le guance bagnate, se di lacrime o di gocce d’acqua non lo sapeva.

«Lasciatemi in pace entrambi!» urlò con voce resa roca dall’acqua e dal cloro ingurgitato. Era arrabbiato con quella terribile ragazzina, era arrabbiato con John che l’aveva baciata o era stato con lei, era arrabbiato con sé stesso per una serie infinita di motivazioni. Si scostò bruscamente da John dirigendosi verso la scaletta, come aveva potuto John tradirlo in quel modo? E dire che lui si era così tanto fidato di lui, gli aveva dato il suo cuore, il suo amore, il suo affetto incondizionato.

John restò pietrificato in un primo momento, incapace di capire cosa avesse fatto, ma poi si riscosse e seguì l’amico cercando di fermarlo, per lo meno per capire se stesse bene.

«Sherlock aspettami!» provò a bloccarlo per un braccio ma il moro si scostò infuriato intimandogli di non seguirlo. Appena messo piede fuor d’acqua aveva sentito un dolore lancinante nella caviglia: mentre cercava di divincolarsi doveva aver sbattuto il piede contro qualcosa e ora la caviglia era tornata a gonfiarglisi e a fargli male. Zoppicò tristemente verso l’uscita, intenzionato a non rimettere mai più piede lì dentro.

«Sherlock ti sei fatto male, non puoi tornare a casa da solo. Permettimi di accompagnarti.»

«Già mi sono fatto male, indovina per colpa di chi. Non seguirmi John e non preoccuparti, chiamerò Mycroft e mi farò venire a prendere da lui. Da oggi non sono più un tuo problema.»

John restò impalato lì, con la bocca spalancata e gli occhi pieni di disperazione.

Era finito tutto.





Note: Se vi state chiedendo se la cosa che succede a Sherlock è fisicamente possibile vi dico di sì, è stata tristemente testata in prima persona visto che è un qualcosa che mi è successo anni fa. Purtroppo non c'era nessun John da contendersi, l'artefice di tale gentilezza semplicemente la riteneva una cosa divertente. Non era nemmeno bullismo perché era una mia amica, pura e semplice stupidità. 




 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Lo so che questa volta è passato più del solito e mi merito tutti gli improperi che avete pensato. Ma credetemi è un periodaccio, non ho davvero tempo per far nulla. Ciò nonostante, avendo realizzato il tempo trascorso mi sono convinta che tre ore di sonno tutto sommato sono più che sufficienti e quindi mi sono messa a correggere questo capitolo per poterlo finalmente postare. Mi dispiace per come è andata, sicuramente non ho gestito la cosa delle pubblicazioni al meglio, però si impara dai propri errori e sicuramente non posterò più storie prima di averle rilette e controllate le mie consuete 354736 volte, perché mi ero cullata del fatto che la storia fosse conclusa, senza pensare al tempo che porta via rileggerla più e più volte (sono leggerissimamente fissata con i refusi. Ma è un disturbo molto, molto leggero. Sui livelli del military kink di Sherlock più o meno. Anzi come al solito se notate errori fatemelo sapere!).

Ma bando alle ciance passiamo alle cose importanti. Siamo arrivati al penultimo capitolo, spero di farmi perdonare un po'. La storia si potrebbe benissimo considerare conclusa con questo e come vi ho accennato in precedenza (o l'ho fatto su Facebook? Non ricordo) sono stata a lungo indecisa se pubblicare il prossimo capitolo a parte o come conclusione della storia. Per il momento, salvo ripensamenti, sarà pubblicato assieme a questi, il che significa che la storia passerà al rating rosso. Se c'è qualcuno che la sta seguendo senza possedere un account quindi si affrettasse a leggerla, perché dopo non sarà più possibile farlo. Per tutti gli altri metterò degli avvisi direttamente nel prossimo capitolo, in modo che possiate decidere se continuare la lettura o meno (non sono stati trattati argomenti scabrosi o altro, è un normalissimo capitolo a rating rosso, ma visto che la storia era nata come un rating verde non vorrei che qualcuno si sentisse disturbato da questo).
 
Infine vorrei ringraziare quelle sante ragazze che ancora non mi hanno mandato a quel paese, che continuano a leggermi e ogni tanto mi mandano dei gentili reminder. Grazie davvero ragazze, mi riempie di gioia sapere che c'è qualcuno che attende la mia storia e che continua ad apprezzarla. Vi ringrazio per ogni singola recensione che mi lasciate, mi spronate a pubblicare le cose che scrivo e a non tenerle chiuse nel cassetto. Risponderò a tutte singolarmente, ma nell'attesa volevo farvi un enorme ringraziamento qua. Grazie anche a chi ha inserito la storia in una categoria, crescete sempre più e mi riempite d'orgoglio. 

Dopo questa interminabile sproloquio vi lascio al capitolo, spero davvero possa piacervi. A presto!






Sherlock disertò la piscina per le due settimane successive. Sapeva di aver esagerato e che aveva attribuito a John colpe inesistenti, John non lo aveva tradito e non aveva mai fatto nulla per ferirlo, tutt’altro, eppure dentro di sé si sentiva davvero come se fosse stato preso in giro. Forse era stata l’abbagliante consapevolezza che John non avrebbe mai provato nulla per lui, che avrebbe sempre preferito baciare una Jeanette piuttosto che le sue labbra. E se in precedenza aveva pensato che avere John nella sua vita come amico era meglio di niente adesso non ne era più così tanto sicuro. Se vederlo con Jeanette gli aveva dato così tanto fastidio, e John non aveva davvero fatto nulla per incoraggiare le avances di lei, cosa sarebbe successo quando l’amico gli avrebbe presentato una fidanzata? Quando gli avrebbe confessato di amare qualcun altro, quando si sarebbero baciati davanti a lui, quando un giorno si sarebbe sposato? Forse era meglio cercare adesso di salvare il salvabile tra i cocci del suo cuore, sperando che non fosse troppo tardi.

Era perso tra le sue riflessioni, mentre se ne stava mollemente sdraiato sul letto, quando udì qualcuno bussare alla porta. Poco dopo fece il suo ingresso in camera Mycroft, nel suo solito portamento tronfio e l’espressione enigmatica.

«Che vuoi?»

«Controllavo le tue condizioni.»

«Sto bene, puoi andare. Ciao.»

«Oh lo vedo che stai bene» esclamò ambiguo «in effetti la tua caviglia è guarita del tutto. È ora di tornare in piscina, non credi?»

«No, non credo. Vuoi altro?»

«Sherlock» cominciò con voce supponente «lo sai meglio di me che non potrai nasconderti per sempre. Non è così che agisci di solito, non sei un codardo, perché vuoi iniziare proprio ora?»

Sherlock strinse i denti e i pugni, cercando di contenere la rabbia.

«Io lo so chi sei davvero, so che combatti per ciò in cui credi, per le cose per te importanti, perché vuoi improvvisamente smettere?»

«Perché magari non c’è nulla per cui combattere, Mycroft» esclamò con voce triste e rassegnata.

«E come fai a dirlo? Perché non ti concedi una possibilità, una vera questa volta?»

«I rischi…i rischi da correre sono inaccettabili.»

«Oh andiamo, sei sempre stato sprezzante del pericolo, non hai mai avuto la minima cura di te stesso e proprio ora sei diventato prudente?»

«Non c’entra Mycroft. In quel caso si parlava del mio corpo, non mi fa paura il dolore fisico. Ma non è questo il caso.»

«Sherlock…lo sai che nonostante tutto sei il mio fratellino. Io ti voglio bene. E so che sai anche che sono il più intelligente tra i due. Secondo te ti farei correre un rischio del genere se sapessi che non ci sono possibilità? Io vi ho visti, ho visto come ti guarda. Devi tentare Sherlock. Non posso darti la certezza che andrà bene, ma credimi il rimpianto di non averci mai nemmeno provato sarebbe molto peggio di qualsiasi cosa possa succedere.»

Sherlock ascoltò attentamente il discorso del fratello. Solo lui poteva inserire una dichiarazione d’affetto e subito dopo un insulto, ma forse aveva ragione. Forse doveva darsi finalmente una possibilità.

Si alzò di scatto iniziando a preparare il borsone, dando occhiate nervose all’orologio. Mycroft sorrise soddisfatto e si alzò dal letto dove si era seduto scuotendosi dai pantaloni degli invisibili granelli di polvere.

«Tra cinque minuti ti aspetto giù, ti do un passaggio in macchina.»

 
Sherlock si era preparato il più velocemente possibile e aveva guardato nervosamente fuori dal finestrino per tutto il tragitto verso la sua meta. Una volta giunto a destinazione si era fiondato fuori dalla macchina e si era preparato in tutta fretta, ma esitò nel momento di aprire la porta che l’avrebbe condotto in piscina. E se John fosse stato in compagnia di Jeanette? Come avrebbe reagito? Era una cosa a cui non aveva pensato e non era da lui tralasciare certe eventualità. John gli stava mandando in malora il cervello. Stava quasi per rinunciare e tornare indietro quando gli tornarono in mente le parole del fratello. Aveva mai lottato davvero per questa cosa? O si era comodamente rifugiato dietro mille scuse e pseudo ragionamenti logici? Strinse la maniglia con più forza e si fece coraggio, varcando quella porta.

La piscina era deserta, escludendo un unico nuotatore che non fece molto caso alla sua presenza. Come al solito l’addetto alla sicurezza era latitante, impegnato con la sua nuova amante (in fin dei conti non era solo la sua fidanzata ad essere fedifraga), Sherlock davvero si chiedeva perché si sforzassero ad elargirgli uno stipendio, per quanto misero fosse. Fosse dipeso da quello scansafatiche lui sarebbe morto l’ultima volta che era stato lì. Si avvicinò alla piscina, liberandosi dell’accappatoio, gettando contemporaneamente un occhio al nuotatore solitario e riconoscendolo immediatamente come John. Non si era fermato nemmeno per un attimo e non aveva neppure sollevato la testa, anche se doveva essersi reso conto dell’arrivo di qualcuno. Che John fosse arrabbiato con lui? No, probabilmente non si era accorto che il nuovo arrivato era lui, evidentemente non riteneva possibile un suo ritorno in piscina.

Si immerse lentamente in acqua e si portò nella corsia adiacente alla sua, come era solito fare. Attese che John finisse le sue vasche e quando finalmente si fermò per riprendere fiato ne approfittò per salutarlo.

«Ciao John.»

Il ragazzo si girò di scatto, chiaramente sorpreso di vederlo.

«Sherlock!»

Il bruno accennò una sorta di piccolo sorriso, incerto su cosa dire, ma l’altro riprese parola traendolo d’impaccio.

«Non mi aspettavo di vederti qui. Anzi a dire il vero non credevo di rivederti mai più.»

«Beh sì, quello era il piano iniziale.»

«E cosa ti ha fatto cambiare idea?»

Sherlock si limitò ad un’alzata di spalle, distogliendo lo sguardo. L’espressione di John si fece più nervosa, a disagio.

«Io…non ho intenzione di chiederti scusa, sappilo. Non ho fatto niente, non sono io ad averti tenuto la testa sott’acqua. Non ho potere sulle azioni altrui, quindi come ho detto non ho intenzione di scusarmi» pronunciò improvvisamente più duro, ma con voce sofferente. Anche lui non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia mentre pronunciava queste parole, preferendo focalizzare l’attenzione sull’acqua circostante.

«Non era mia intenzione chiederti di scusarti» rispose Sherlock sbalordito. Perché John pensava questa cosa?

«Non sei arrabbiato con me?» chiese trovando finalmente il coraggio per guardarlo negli occhi. Sherlock si limitò a un diniego con la testa.

«Ma non ti sei fatto vedere per due settimane! Sono state terribili. Tu non venivi ed io continuavo ad aspettarti, volevo mandarti un messaggio o chiamarti o venire a casa tua, ma tu mi avevi ordinato di non farlo e avevo paura di farti arrabbiare ancora di più» esclamò John tutto d’un fiato, il panico e lo sconforto ben chiari nella sua voce.

Sherlock aveva passato due settimane a piangersi addosso, rimuginando sul suo dolore, sull’umiliazione ricevuta, sull’angoscia e l’amarezza che gli attanagliavano il cuore, ma mai nemmeno per un momento aveva pensato alla sofferenza che stava infliggendo al suo amico. Ed ora era tutta lì, ben visibile sul suo volto.

«Hai ragione, ma non mi sentivo pronto a tornare. E poi la caviglia mi faceva ancora male.»

«Oh giusto. Come va ora?»

«Molto meglio. In fondo sono qui no?»

John annuì pensieroso, pensando a cosa dire, cercando le parole giuste.

«Mi dispiace per quello che è successo l’altra volta. Jeanette è una stupida.»

«Come hai detto non è colpa tua. Non pensarci. Oggi non viene?»

«Non credo verrà mai più. Almeno non durante i nostri turni» affermò con un sorrisetto.

I nostri turni. Quanto gli era mancato questo noi.

«Come mai?»

«Beh quella sera stessa mi sono premurato di far sapere ai suoi genitori quello che aveva fatto. Si sono profusi in mille scuse e credo abbia avuto una punizione esemplare. Non si farà vedere mai più credimi. Ora mi odia» concluse con una risata.

Sherlock lo guardò curioso. John aveva fatto tutto questo per lui? Col rischio di ripercussioni da parte di quella strega? Avrebbe dovuto ringraziarlo, ma non trovava le parole giuste. Sapeva che John non ci avrebbe fatto troppo caso se anche avesse soprasseduto.

«Avevo paura non mettessi più piede in acqua» sussurrò il biondo.

«Come mai?»

«Beh è frequente rimanere traumatizzati dopo un’esperienza del genere.»

«Ci vuole ben altro per scalfirmi John, non dire idiozie!»

«Hai ragione. Sono felice che tu sia tornato.»

«Anche io.»

«Quindi le cose tra di noi sono a posto? Non ce l’hai con me?»

«No John. Va tutto bene.»

«Bene.»

John appoggiò la nuca a bordo piscina, guardando verso il soffitto pensieroso. Non aveva alcuna intenzione di ricominciare subito a nuotare. Sherlock si appoggiò anche lui sul bordo, incrociando le braccia e posandoci la fronte sopra, meditando su come introdurre l’argomento. C’era innanzitutto una cosa che voleva sapere, su cui si era arrovellato in quelle lunghe settimane.

«John posso chiederti una cosa?»

«Certo.»

«Jeanette era la tua ragazza?»

John scoppiò a ridere, pur senza smettere di fissare il punto su cui si era focalizzato.

«No, per l’amor del cielo, no.»

«Ma qualcosa tra di voi c’è stato.»

«Sì, ma si è trattato solo di qualche bacio, nulla di più.»

«Capisco.»

«Ed è stato prima che ci conoscessimo» aggiunse, apparentemente senza alcun motivo.

Sherlock si mordicchiò il labbro indeciso se chiedere o meno. Decise di buttarsi e diede via libera alla sua voce.

«John.»

«Sì Sherlock?»

«Com’è baciare qualcuno?»

Questa domanda riuscì a smuovere John dal suo stato di immobilità, facendogli puntare gli occhi dritti su di lui. Ma Sherlock evitò quello sguardo cercando di nascondere ancor di più il viso tra le sue stesse braccia.

«Non hai mai baciato nessuno?»

«No» sussurrò l’altro.

«Uhm, vediamo. È…morbido! Sì è morbido…e bello» rispose con una punta di divertimento.

«Morbido e bello.»

«Già. E anche bagnato.»

«Oh.»

Rimasero qualche altro secondo così, Sherlock era troppo imbarazzato per riuscire a dire altro e continuava diligentemente ad evitare il suo sguardo. John dovette intuire la cosa perché si affrettò a cambiare discorso.

«Senti so bene cosa ho detto prima, ma ammetto che un po’ in colpa mi ci sento. Cosa posso fare per farmi perdonare?»

«Non hai nulla da farti perdonare, John.»

«Dai lasciami fare.» 

«Come vuoi tu. Potresti…vediamo…mi piacerebbe molto imparare a tuffarmi di testa» confessò timido.

«Consideralo già fatto! Dai seguimi.» 

Lo prese per un braccio, colmo d’entusiasmo, trascinandolo fuori dall’acqua e iniziò a spiegargli la tecnica.

«Ti insegno un metodo facile, perché devi prima imparare a sbilanciarti, poi man mano che avrai preso confidenza lavoreremo su un’esecuzione più elegante, ma per il momento impara a farlo così. Innanzitutto posiziona il piede destro in avanti, leggermente fuori dal bordo, così, come se volessi aggrappartici con le dita» gli spiegò mettendosi lui stesso in posizione «ora tieni le braccia tese, rivolte verso l’alto e incrociale dietro la testa, petto in fuori e pancia in dentro. Bravo. Chinati e inizia a sbilanciarti leggermente verso l’avanti, quando senti che stai per cadere datti una forte spinta con la gamba destra. Forza!»

Sherlock voleva tuffarsi, gliel’aveva chiesto lui di insegnarglielo, ma forse le sue gambe non erano dello stesso avviso, perché rimasero ferme e immobili e non parevano volersi schiodare da lì. Questa insubordinazione del proprio corpo indispettì parecchio il ragazzo, che si riportò in stazione eretta.

«Rilassati, è normale aver paura all’inizio, per questo te lo sto insegnando così. Rimettiti in posizione.»

Sherlock obbedì e John gli poggiò delicatamente una mano sulla schiena.

«Quando ti sentirai pronto ti darò una piccola spinta, preferisco avvisarti e non farlo d’improvviso cosicché tu possa non spaventarti. Appena ti sentirai cadere ricordati si spingere con la gamba, come se vorresti arrivare il più lontano possibile.»

Questo primo tentativo non andò malaccio e John fu abbastanza soddisfatto dell’esecuzione. Riprovarono più e più volte, Sherlock trovò anche il coraggio di sbilanciarsi da solo, con risultati più o meno validi, qualche panciata non potette evitarsela nemmeno lui.

Erano all’ennesimo tentativo e il moro se la cavava piuttosto bene, ma c’era ancora qualcosa di imperfetto, quindi John gli disse di osservare il modo in cui si tuffava lui per capire bene il movimento. Si mise in posizione e con un movimento fluido ed elegante scivolò in acqua, producendo pochissimi schizzi, tanto precisamente aveva rotto il pelo dell’acqua.

Riemerse poco lontano e si sfilò occhialini e cuffia, gettandoli vicino a Sherlock.

«Verrai rimproverato» lo ammonì il moro.

«Io non vedo nessuno qui attorno.»

«Solo perché chi di dovere non sta facendo il suo lavoro.»

«Come al solito. Muoviti dai, voglio un tuffo perfetto! Devi cercare di arrivare qui dove sono io.»

«Ma sei lontanissimo!»

«Ce la puoi fare. Io so che puoi farlo.»

Rinvigorito dalla fiducia che l’amico riponeva nei suoi confronti Sherlock si posizionò sul ciglio della piscina, ripensò al movimento che gli aveva appena visto fare, calcolò attentamente i tempi affinché il risultato finale fosse quanto più fluido possibile. Si concentrò sull’obiettivo e nel momento in cui si sentì cadere verso il basso spinse quanto più forte possibile con la gamba. Mentre sentiva l’acqua avvolgerlo completamente rise, perché seppe di non aver tradito le aspettative di John. Ce l’aveva fatta.

Stava già riemergendo quando sentì due braccia forti tirarlo su e stringerlo a sé, in un gesto familiare, come quando mesi prima gli aveva insegnato a tuffarsi in maniera molto più raffazzonata ma ugualmente divertente. Le stesse mani che lo avevano salvato quando era ormai sicuro che sarebbe annegato, mani amate e ricercate. Sherlock si sfilò gli occhialini e la cuffia e si avvinghiò istintivamente con le gambe all’amico, facendosi sorreggere completamente da lui.

«Hai visto? Io te lo dicevo che sei un talento naturale! Sei stato perfetto.»

Entrambi ridevano, scioccamente felici per una cosa così insignificante, ma che sembrava tutto. Si erano ritrovati, riappacificati quando ormai sembrava che tutto fosse finito e ora si trovavano lì, in perfetta sintonia. Fu in quell’istante che Sherlock capì di volere di più, sentì che era giunto finalmente il momento giusto. Lo guardò languidamente, il respiro appena accelerato, un pizzico di paura per quello che ne sarebbe seguito, ma questa volta non aveva intenzione di farsi paralizzare da essa.

John sembrò quasi intuire le intenzioni dell’amico perché rimase fermo, in attesa, ricambiando il suo sguardo. Si osservarono fino all’ultimo istante, chiudendo gli occhi solo quando le labbra di Sherlock impattarono delicatamente contro quelle di John, in un contatto tanto casto quanto emozionante. Stava baciando John, il ragazzo che sentiva di amare, sul quale aveva fantasticato tante notti. Aveva cercato di immaginare più e più volte come sarebbe stato toccare le sue labbra, accarezzarle con le proprie, ma la realtà stava di certo superando ogni sua aspettativa, per quanto quel dolce contatto fosse un qualcosa di talmente effimero da essere quasi impalpabile.

Si staccarono entrambi con un piccolo schiocco e Sherlock riaprì gli occhi impaurito di cosa avrebbe visto sul volto dell’amico: confusione, panico, disgusto, imbarazzo, disagio, perplessità, turbamento, sdegno? E se John gli avesse chiesto spiegazioni, cosa avrebbe risposto? Avrebbe vuotato il sacco parlandogli dei suoi sentimenti o avrebbe cercato una scappatoia, magari menzionando fantomatici esperimenti?

Fortunatamente non ebbe bisogno di pensarci a lungo perché il volto di John mostrava solo un bellissimo e luminoso sorriso. Sherlock tirò letteralmente un sospiro di sollievo.

«Beh, come è stato?» si sentì chiedere. Dovette pensarci un attimo prima di rispondere, non avendo ancora avuto modo di riflettere su ciò che era appena successo.

«Avevi ragione, è morbido» mormorò pensieroso.

«E bello no?»

«Molto» annuì convinto, guadagnandosi un altro sorriso «posso rifarlo?»

«Tutte le volte che vuoi.»

Lo baciò ancora e ancora, tanti soffici contatti che si facevano man mano più decisi, degli ingenui sfioramenti impacciati, ma estremamente dolci.

«Però non è bagnato, a meno che tu non ti riferissi all’acqua qui intorno. Hai baciato anche Jeanette in una piscina?»

John rise del candore con cui quella domanda gli era stata posta. Col senno di poi Sherlock si sarebbe dato dell’idiota per un quesito tanto stupido, ma evidentemente in quel momento le endorfine gli appannavano le facoltà cerebrali. In ogni caso non se la sarebbe presa troppo per quella momentanea défaillance intellettiva perché John, in seguito, avrebbe definito quel momento perfetto e Sherlock e la sua ingenuità adorabili.

«No, non ho baciato nessun altro in una piscina, né in vicinanza di altre fonti d’acqua. Per avere un bacio bagnato devi usare la lingua.»

«Oh.»

«Vuoi provare?»

Sherlock annuì freneticamente, incapace di esprimersi a parole, imbarazzato e intrigato da quella nuova situazione. John si riavvicinò al suo volto, lentamente, osservando ogni sua più piccola reazione. Sherlock deglutì, sentendo il suo respiro caldo sulle labbra e fremendo nell’attesa. Voleva John, voleva sentirlo su di sé, voleva la sua bocca, il suo calore, il suo sapore. John poggiò delicatamente le sue labbra su quelle del moro, baciandolo lentamente, dolcemente. Intrappolò il suo labbro inferiore mordicchiandolo senza forza, non intenzionato a fargli male, ma solo per il gusto di seguire un capriccio, volendo giocare con quelle labbra così tanto carnose e invitanti. La stessa sorte toccò a quello superiore, se possibile ancora più ammaliante per quanto era pieno e soffice. Tutto di Sherlock era attraente e desiderabile per lui. Solo quando fu pago di quel desiderio a lungo represso smise di passare i denti su quella bocca, passando ad accarezzargliela con la lingua. Sherlock rimaneva immobile, ammaliato da quel contatto, in attesa di ciò che sarebbe seguito. Avrebbe voluto affrettare le cose, ma era anche curioso di vedere quale sarebbe stata la prossima mossa di John, il quale prese a baciarlo delicatamente. Sherlock si abbandonò totalmente tra le sue braccia, in completa balia dell’amico che iniziò a trasportarlo lentamente verso il bordo della vasca. Fu quando la sua schiena impattò sofficemente contro la parete della piscina che la lingua di John prese a intrufolarsi gentilmente tra le sue labbra, accarezzandogliele con reverenza. Era una sensazione strana, nuova, un contatto così intimo che fece rabbrividire il moro. John lo strinse più forte a sé, approfondendo il contatto, ma ogni singolo movimento esprimeva il grande rispetto che provava nei suoi confronti. Era bello, profondo, totalizzante, ma allo stesso tempo pregno della paura del biondo che temeva un ripensamento da parte dell’amico. La sua lingua esitante giocava timidamente con quella del moro, sfiorandogli di tanto in tanto, con un pizzico d’audacia, l’arcata dentale. Si scostò esitante, temendo di aver osato troppo, e l’espressione sperduta di Sherlock contribuì ad aumentare la sua insicurezza. Una cosa era certa: Sherlock, con quelle labbra lucide e piene che sporgevano tremanti e semichiuse, le guance arrossate e gli occhi acquosi che brillavano d’emozione, era lo spettacolo più bello che avesse mai visto.

«È stato bellissimo, John.»

«Davvero? Non ti ha fatto senso?»

«Assolutamente no!» negò col capo.

John sorrise rincuorato.

«Fallo di nuovo» sussurrò il moro, avvicinando la sua bocca a quella dell’amico.

John, non se lo fece ripetere e serrò le sue labbra su quelle dell’altro, più sicuro delle proprie azioni. Questa volta il contatto fu meno delicato e Sherlock percepì tutta la passione che aveva sempre immaginato, nelle notti passate a fantasticare su quello che all’epoca sembrava un evento impossibile da realizzarsi. Mugolò di piacere avvertendo la lingua di John che si spingeva con decisione contro la sua, accogliendola con entusiasmo nella sua bocca. Ora era il suo turno di darsi da fare e cominciò a rispondere ai movimenti dell’amico, ruotando la testa per incastrare bene le loro labbra, in modo che fossero quanto più vicine possibile. Si strinse ancor di più contro il ragazzo che tanto amava, muovendo la sua lingua in sincronia con quella dell’altro e succhiando le sue labbra. Quando si staccarono fu il turno di Sherlock di ammirare le labbra rosso acceso dell’altro, il respiro lievemente affannato e l’espressione accaldata. Entrambi ne volevano di più e poco dopo Sherlock tornò a baciarlo con veemenza, forse non sarebbe mai stato sazio di questo e sperò con tutto se stesso che John non gli avrebbe negato tanto presto un simile paradiso. Non sapeva dire per quanto ancora glielo avrebbe concesso, quindi si impegnò anima e corpo nel baciare quelle labbra a lungo desiderate, nella speranza di imprimersi a fuoco nella mente le sensazioni che stava provando in quel momento.

Non seppero dire per quanto tempo rimasero lì, a scambiarsi baci e saliva, nascosti dalla scaletta che celava la loro vista a eventuali occhi indiscreti, ma in un momento non ben precisato John si separò, seppur in maniera sofferta, dalle labbra di miele dell’altro.

«Io…credo di aver bisogno di fare una bella nuotata. Sì. Per schiarirmi le idee» ridacchiò, portando la testa leggermente sott’acqua. Una doccia fredda forse sarebbe stata più appropriata.

«Già, credo ti seguirò, ho il tuo stesso problema. Devo schiarirmi le idee anch’io» rispose divertito l’altro.

«Non so cosa tu mi abbia fatto Sherlock Holmes» pronunciò questa volta portandosi completamente sotto il pelo dell’acqua.

Sherlock aspettò che l’altro riemergesse per avvicinarsi nuovamente a lui e lasciare un innocente bacio sulle sue labbra. John lo accettò con molto piacere.

«Su, rimettiamoci a lavoro, potrebbe sempre tornare il bagnino in qualsiasi momento.»

«Quello scansafatiche? Figuriamoci.»

«In ogni caso sta buono. Ho bisogno di calmarmi e tu non sei d’aiuto, piccolo tentatore.»

«Non è colpa mia se sei così bello. Non ti rendi conto dell’effetto che mi fai? Non sei l’unico in difficoltà qui.»

John sollevò l’angolo delle labbra, lusingato.

«Sbrighiamoci a finire il nostro programma, ne ho uno molto più interessante per dopo.» sussurrò al suo orecchio «Include un'unica cabina doccia e labbra, mani, pelle…»

Sherlock gemette sofferente, immergendo i suoi ricci sott’acqua.

«Ora spiegami come dovrei calmarmi dopo che mi hai detto questa cosa. No davvero. Sei crudele John Watson.»

«Il mio era solo un incoraggiamento, così sarai motivato a finire in fretta.»

«Non riuscirò nemmeno a nuotare in queste condizioni!»

«L’esercizio fisico aiuta, fidati. Datti una mossa bella addormentata.»

«L’importante è che dopo mi sveglierai con un bacio.»

«Ti darò tutti i baci che vuoi. Sicuro che ne vorrai altri, vero?»

«Sempre. Dai inizia a nuotare, ti seguo.»

«Sarà l’allenamento più breve di sempre.»

John riprese a muoversi stringendo la mano dell’altro, tirandolo con sé. Non voleva più lasciargliela e forse non l’avrebbe fatto.
 
 





 

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