Io, me ancora io e me

di ManuEL73
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Postumi ***
Capitolo 2: *** Questo non sono io ***



Capitolo 1
*** Postumi ***


Un soffitto bianco... una finestra leggermente aperta faceva entrare uno splendido raggio di sole e la brezza primaverile. Il cinguettio degli uccelli era dolce e mi rilassava, ma l'ansia non tardò a farsi sentire. Mi guardai il corpo e le gambe, ero costretto al letto di un ospedale. Io, risposte non ne ho, ma di domande ne ho quante ne vuoi. Ad esempio, perché sono dentro la camera di un ospedale attaccato ad una flebo? Perché non ne conosco il motivo? “Piantala di farti domande, tanto sarai morto prima o poi.” Mi guardai intorno ma non vidi nessuno eppure avrei giurato di aver sentito una voce. “Non disturbarlo, non vedi che si sta godendo l'aria tiepida delle dieci di mattina?” Questa era un'altra voce. Cominciai a pensare di esser diventato pazzo, dissi qualcosa parlando da solo: “Dove siete? Non parlatemi alle spalle!” Sentii i due ridere, poi uno ritornò a parlare: “Ma guardatelo è convinto che siamo fuori! Svegliati Francesco, siamo dentro la tua testa!” L'ansia si trasformò in terrore, sentivo questi due parlare dentro la mia testa, come se fossero due persone contraddistinte, davanti a me, ma in quella stanza ero solo io ed il lettino. Urlai e mi agitai, poi improvvisamente un'infermiera entrò visibilmente scossa, disse qualcosa: “Ehi, ehi, va tutto bene, calmati!” Scossi il letto, tentai di alzarmi, ma lei cercava di tenermici ben saldo mentre chiamava qualcuno. “Paolo! E' sveglio, aiutami a sedarlo si agita troppo!” Entrò un altra persona, un uomo sulla cinquantina, col camice bianco e una maglietta verde sotto quest'ultimo. “Eccomi!” Mi tenne fermo, la sua presa era molto più salda, non riuscii a muovermi del tutto. L'infermiera iniettò qualcosa nella flebo con una siringa. Sulle prime non sentii nulla, ma dopo cinque minuti smisi di muovermi con la frenesia di prima, mi calmai. Avevo sonno.

 

Quando ripresi coscienza, alla mia destra era seduta una persona, un'altra infermiera, ma non era la stessa di prima. “Ciao! Come ti senti?” Mi sentii stordito, confuso. “Cosa mi è successo?” Le chiesi. “Non ho letto la tua cartella clinica, ma ho sentito dire che soffri d'amnesia. Come ti chiami?” Domandò gentilmente. Aveva una capigliatura dorata, una coda di cavallo che le arrivava almeno a metà schiena, la primavera doveva essere la sua stagione, poiché i suoi occhi sfoggiavano un verde sgargiante. “Francesco...? Soffro d'amnesia? Come fate a saperlo? Mi sono svegliato solo adesso...”

“Non importa, comunque, come ti senti?”

“Bene, credo...” Si alzò dalla sedia, indicando la porta d'uscita della stanza.

“Okay, adesso chiamo il medico a capo della clinica, così ti spiegherà meglio come è la situazione.” Se ne andò. Avevo la vista leggermente annebbiata, come se fossi assonnato, ma mi sentivo come se avessi dormito un'intera notte. Fuori dalla finestra il vento soffiava dolcemente, qualche foglia verde volava leggiadra sullo sfondo di una strada ed un albero la cui chioma si muoveva appena. La porta della stanza venne aperta ancora, stavolta era lo stesso uomo che mi aveva tenuto fermo durante la “crisi”. “Allora, Francesco. La situazione è questa... fisicamente stai bene. E' sul tuo cervello che dobbiamo parlare...” Appoggiò il dorso delle braccia al telaio del lettino, me lo ritrovai esattamente di fronte a me. “Oltre all'amnesia che, seppure poco frequente è normale, pensiamo tu possa aver sviluppato una doppia personalità. Infatti, come mi ha detto la signorina che poco fa hai trovato al tuo “primo” risveglio, mi ha detto che senti di esserti svegliato per la prima volta.” Ci fu una breve pausa, forse il dottore non sapeva cosa dire o come dirmelo. “Senti, senza troppi giri di parole... non è la prima volta che ti svegli questa. Credi di sì, cioè per te potrebbe anche esserlo eh, anzi, a conti fatti, la parte di personalità tua, di adesso, si è svegliata per la prima volta ora. Ma un'altra... chiamiamola sfaccettatura della tua personalità, si è svegliata prima di te.” Mi tremavano la mani, ero in preda al panico. La macchinetta che mi segnava i battiti cardiaci aveva cominciato a dare segni di allarme. “Francesco, non ti devi preoccupare, sei al sicuro qui. Ti seguiremo e ti aiuteremo a sistemare questa cosa.” Mi disse col tono rassicurante tipico del medico. “Ha ragione, ci aiuterà, ci sistemerà...!” Ricominciai a sentire le voci in testa. E' una cosa che reputai fastidiosa oltre ogni cosa immaginabile. “Ehm... giusto per cominciare, è normale che senta delle voci nella testa?”

“Non parlare di noi a lui!”

Il medico mi rispose: “In questi casi è abbastanza comune, ma ripeto, non devi preoccuparti, la soluzione c'è e guarirai.” Detto questo, il dottore se ne andò, lasciandomi da “solo”.

“Ragazzi cerchiamo di andare d'amore e d'accordo però... siete dei veri stronzi, lo sapete?” Disse un'altra voce nella testa. Non seppi cosa pensare. Quella voce quasi sicuramente era l'unica con cui avrei potuto ragionare, ma è pure vero che se mi sarei abituato ad una cosa del genere sarei arrivato a reputarla normale e questa cosa non sarebbe assolutamente stata normale. Decisi quindi per il momento di ignorarle. “Franci cosa ti piace fare nel tempo libero?” Sentii che questa domanda era rivolta al me stesso 'vero', quello sveglio attualmente. Per il momento contai circa tre voci nella mia testa: una era minacciosa e provocatoria, dal tono stridulo e poco raccomandabile, un'altra era quasi gentile e calma, la terza pareva neutrale. “Va be' rispondo io per lui, a me piace fare cattiverie. Ho un passato da criminale, sono stato in prigione diversi anni. All'inizio ho cercato di seguire una vita dalle buone abitudini ma la mia indole non cambierà mai, semplicemente adoro far del male agli altri.” Disse la voce maligna e stridula. “Ma dici sul serio? Uuh spero di non incontrarti mai di persona!” Disse la voce neutrale. “Mi piace stare per i fatti miei, lavoravo in borsa prima di svegliarmi qui dentro.” Continuò. “la borsa di Milano, vivevo là, avevo una vita adagiata e abbastanza benestante devo dire.”

“Ma dov'è Gabriele?” Disse il maligno. “Starà dormendo.” rispose quell'altro. Sebbene queste tre personalità facessero parte di me, era come se fossero tre persone contraddistinte, come se tre persone che non ho mai conosciuto e che avevano una vita propria si fossero accasate nella mia testa. Eppure... erano tutte frutto del mio cervello. Perché era accaduta questa cosa? Me ne restai disteso, ad osservare il soffitto, con un fiume di domande che non trovavano risposta, con l'unica cosa che so su me stesso... il mio nome.

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Capitolo 2
*** Questo non sono io ***


Stavo fumando una sigaretta in una rimessa fatta di cartongesso e pancali usati come sedie da sdraio. Reputai la cosa oscena, sputai la sigaretta tossendo, un tipo ultra tatuato con della barba bianca ed un berretto stile motociclista mi guardava strano. “Oh Alessio, che mi combini?” Alessio? Mi chiamavano Alessio. Il mio nome è Francesco! “Niente, vado... niente.” Mi guardai intorno, data la compagnia e l'ambiente non sembrava un posto così tranquillo. Tossii, non riuscivo a respirare bene. Uscii dal posto, era notte... Mi trovavo sotto il Ponte della Carraia di Firenze, all'interno della linea di acquedotti, qualcuno qui dentro pareva aver allestito una sorta di rifugio, anche se non capivo bene per chi, considerando però come era all'interno e chi mi faceva compagnia, non era così difficile intuirlo. Passeggiai lungo l'Arno, pensando... quale era il nome della clinica dove ero stato tenuto? Impossibile saperlo, visto che non ricordai nulla di come ero arrivato lì. Raggiunsi una delle strade del centro di Firenze, camminai sotto le luci dei lampioni... pioveva. Passava qualche auto di tanto in tanto, scorrazzando da una parte all'altra, provocavano schizzi d'acqua ovunque per via delle pozze per terra. Vuoto totale, non riuscivo a ricordarmi nulla. Ero come un corpo senza una propria identità. “Ironico visto che qui dentro di identità ce ne sono ben quattro” pensai. Vidi una serie di negozi, gioiellerie e abbigliamento perlopiù, sotto la pioggia e le luci notturne trovai anche un mercatino dell'usato, sembrava chiuso ma avevano messo un televisore in vetrina.
Ed era acceso, forse sintonizzato oppure era la registrazione, di un telegiornale. Faceva vedere le immagini dello scoppio di un enorme cilindro, sembrava un reattore nucleare, ma c'era scritto “L'acceleratore di particelle fiorentino esplode, diverse vittime e morti.” Acceleratore di particelle? Vidi nella mia testa immagini di un terremoto, una persona che mi sembrava familiare di cui tuttavia non so nulla, mi diceva di scappare, un mucchio di persone stavano correndo terrorizzate. Mi sentii male, non riuscivo a stare in piedi. Tentai di reggermi alla vetrina del negozio. Vidi delle luci puntare verso di me e la vetrina. “Signore? Si sente bene?” Mi domandarono, non mi voltai, non riuscivo a stare in piedi, avevo la nausea. “Qualcosa non va?” Domandarono ancora, dopodiché mi illuminarono la faccia e presero di peso. “Ma è lui? Fa' vedere...” Mi presero per il braccio, cascai per terra, mi bagnai gambe e fondoschiena. Non riuscii a vedere nulla, avevo la vista offuscata e l'illuminazione notturna non aiutava. Mi puntarono una torcia in pieno visto, rimasi completamente accecato. “E' lui...” Mi sollevarono di nuovo con più violenza, presero le braccia e me le misero dietro la schiena, mi ammanettarono. “Francesco Mancini la dichiaro in arresto per rapina a mano armata.” L'unica cosa che pensai in quel momento era... “...Ma seriamente?”

“Ti rendi conto di quello che hai fatto, Asmodeo?” Disse una voce agitata nella mia testa, forse era Gabriele, quello che dormiva. “So esattamente quello che ho fatto. E vi ho fatto un enorme favore, senza soldi non si vive, lo sapete?”

“Questo è vero, ma non è andando a rapinare una banca che ci si riempie le tasche! Le persone normali si trovano un lavoro onesto e guadagnano i propri soldi in modo onesto!”

“Ma così si faceva più in fretta!”

“Suvvia ragazzi perché queste storie? Smettetela... tanto viviamo in italia, Nella peggiore delle ipotesi verremo incarcerati per poi venir liberati dopo pochi giorni.” Ribatté Asmodeo. Gabriele però non era d'accordo. “Ma non è quello che volevo dire!”

Alzai la testa dal tavolo, ero dentro una stanza che era palesemente una che serviva per interrogare i sospettati. Ed io ovviamente ero legato alla sedia. A dir la verità, ero legato al pavimento, con un piede allacciato. L'unica luce che c'era proveniva dal soffitto, tutto il resto era buio. Entrò una poliziotta con in mano un dossier, si sedette davanti a me. “Francesco Mancini, venticinque anni, celibe... vivi qui, corretto?” La sua voce era docile, non riuscivo a vederla completamente ma dal suo viso si notava che era una signora in carne. “Sì...” Risposi abbassando la testa. “Hai subìto un incidente e sei stato costretto alla clinica di Fante Giuliani... poi sei scappato. Ti è stato diagnosticato un disturbo dissociativo dell'identità, considerando quindi che non possiamo sapere se sia stato il vero Francesco Mancini o no a fare il colpo in banca, dobbiamo riportarti alla clinica e farti guarire da questa malattia.”

“Pfft.... pwahahahaha...” Una voce si mise a ridere nella mia testa. “Avevo ragione o non avevo ragione? Ve l'ho detto, non abbiamo fatto in tempo ad andare dietro le sbarre, che ci buttano fuori di nuovo!”

“Ecco a cosa era dovuto quel vuoto di memoria... ecco perchè mi trovavo dentro quell'acquedotto... ci si nascondeva perché avevo rapinato una banca... e con un tizio che nemmeno conosco?” Pensai. “Questa cosa sta diventando troppo grande per i miei gusti.” Pensai, ad alta voce, tremando, avevo paura. “Come?” Domandò la poliziotta. Cominciai ad innervosirmi con questo disturbo, il cervello stava impazzendo, stavo sviluppando tre personalità che erano capaci addirittura di prendere il controllo del mio corpo senza farmi ricordare nulla successivamente. “Signor Mancini? Si sente bene?”

“Sì, aspetti... puo' dirmi di più su questo incidente?” Chiesi alla poliziotta. “Lei è stato trovato dove... “ Lesse sul dossier. “Dove l'acceleratore di particelle è esploso, insieme a tanti altri.” Mi guardò smettendo di leggere. “E' una delle tante vittime. Non se lo ricordava?” Mi chiesi cosa ci facevo lì, se avevo a che fare o no con l'esplosione. “No, evidentemente no... senta, sono sincero, non mi importa nulla della rapina in banca se devo passare degli anni in prigione lo farò, quel che mi interessa è guarire... io... io non ricordo nulla di quando ho rapinato la banca... non so nemmeno quale, né dove... non posso prendermi responsabilità di una cosa di cui non ricordo niente!” Non sapevo se dirle anche di quel covo sotto il ponte. Non sapevo se svelarle fino a che punto non ricordavo. Avevo la possibilità di approfittarmi di un briciolo di quel denaro che era stato rubato per aiutarmi a prendermi una casa. Ma in questa maniera sarei diventato un ladro pure io. No...

“Comunque, tra non molto verrà qualcuno a prenderla per portarla in un ospizio, li avranno modo di controllarla ogni giorno e a tutte le ore, anche grazie ad uno psicologo che la aiuterà con una terapia.” Alzandosi, se ne andò e seppi già come sarebbe andata a finire.

“Forza fratello, non dirmi che sei arrabbiato con me adesso, eh?” Stavano di nuovo iniziando le conversazioni tra io, me, l'altro me ancora e ancora io.

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