Il re di denari

di lauramelzi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** destinazione Parigi ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** destinazione Parigi ***


Annalì sbattè le lunghe ciglia e si stiracchiò come un gattino sul sedile scomodo. La schiena indolenzita le fece emettere un mormorio di disapprovazione. 

Eppure, si rese conto, non sarebbe scesa da quel treno neppure se le avessero rimborsato il biglietto e offerto un tour europeo in prima classe.

Un sorriso dolce e spensierato le increspò le labbra, mentre l'entusiasmo velava i suoi occhi chiari, di un colore inusuale che molti avevano definito tra lo smeraldo e il verde acqua.

Parigi era vicina, lo sentiva nel formicolio insolito della pelle, nel battito inaspettatamente più rapido del cuore, nella stretta inusuale allo stomaco. Notando lo sguardo curioso della vecchietta vicina di posto, Annalì le sorrise timidamente. Le sembrò un'aristocratica dama, di un'epoca ormai passata, con i suoi capelli grigi che raccolti in un'alta crocchia ordinata le scoprivano le orecchie pallide, sormontate da un paio di orecchini in oro. Annalì pensò subito che fossero finti vista la loro dimensione enorme. Un trench primaverile era appeso tra quella spalla leggermente ricurva e il finestrino, insieme a una sciarpa color lavanda chiaro. 

Essendo nei posti a quattro, avevano di fronte dei tavolini, rimasti inesorabilmente vuoti dalla parte della signora, inevitabilmente pieni di confezioni di cracker e succhi di frutta dalla parte di Annalì.

La mente di Annalì corse a sua sorella, che l'attendeva sicuramente alla stazione. Quanto le era mancata per questi due anni. Tanto, forse troppo rifletté amareggiata. Si sentiva la metà ammaccata di qualcosa che era stato creato unito. Aveva sempre ammirato la più singolare sfaccettatura del suo carattere, trovandola fantastica e speciale come solo una sorella minore sa fare. 

Un modello di vita, un esempio da seguire, a partire dal modo caparbio di rispondere a loro padre. Era l'unica persona che conoscesse in grado di tenergli testa.

Gli occhi verdi le si adombrarono improvvisamente. Johnson Mensen non era il genitore ideale, non lo era mai stato. A dir la verità, rifletté, non ci aveva neanche mai provato veramente. Sapeva che per via del suo aspetto gli ricordava la mamma, eppure aveva sempre sofferto quel distaccamento volontario nei suoi confronti. Il desiderio di andare avanti, di svoltare pagina e iniziare così un nuovo capitolo della sua vita aveva prevalso infine in lei.

Ecco il motivo per cui era finita su quel treno con tutti gli averi e metà degli ultimi gioielli rimasti della madre, quelli non venduti. L'altra parte Maresa, sua sorella, l'aveva già portata a Parigi, nel proprio appartamento. Tra le due, Maresa era sempre stata la più lesta, nelle azioni come nelle previsioni.

D'un tratto dalla porta d'entrata del vagone riecheggiarono delle urla. Molte teste si girarono. Annalì confusa cercò di capire cosa stava succedendo, riflettendo che, se era uno scherzo, sarebbe stato senz'altro di cattivo gusto.

Improvvisamente i suoi occhi si sgranarono, terrorizzati: un uomo incappucciato aveva appena atterrato un signore sui quarant'anni, e ora lo intimidiva con una pistola a restare sul pavimento del vagone.

I muscoli le si irrigidirono istintivamente mentre la paura le congelava il sangue nelle vene e le attanagliava il petto. Si ritirò nella sua cuccetta tremante. Respirando a fatica sentì confusamente la porta del vagone sbattere e ascoltò con il cuore in gola i passi pesanti e strascicati dell'uomo avvicinarsi.

"Vi preghiamo di stare seduti, e nessuno si farà male." gridò quello mentre le passava accanto. Annalì ritrasse subito le gambe mentre prendeva nota mentalmente dell'abbigliamento da rapinatore che quell'uomo vestiva. Il battito le si fece più rapido.

Il respiro le si bloccò in gola quando la sua mano, stretta al bracciolo di mezzo in una presa ferrea, venne sfiorata. Una mano rugosa con le unghie perfettamente curate e con un velo di smalto rosa antico le stava accarezzando il dorso.

Sgranando gli occhi sollevò il viso verso quella signora anziana che con un sorriso tremolante cercava di tranquillizzarla. Annalì sentì il cuore aumentare i battiti mentre istintivamente riportava lo sguardo sull'uomo che l'aveva superata e che stava in piedi più avanti, al suo lato sinistro.

Se l'intenzione dello sconosciuto era effettivamente derubare tutti i passeggeri, lei non poteva permetterselo.

Lentamente, e con gli occhi vigili e terrorizzati sull'uomo, tolse la mano da sotto quella dell'anziana e l'avvicinò alla borsa che aveva sulle gambe. 

Non poteva lasciare che le prendesse il cellulare, altrimenti una volta arrivata a Parigi non avrebbe saputo come fare. 

Infilò la mano nella sacca, cercando di fare meno rumore possibile e mantenendo l'attenzione sulla schiena dell'uomo, che ora stava facendo deporre
tutti gli oggetti personali di valore dentro un borsone nero, di media grandezza.

Mossa dalla paura, cercò a tastoni il cellulare, sentendo sotto il palmo tutto tranne che quello. Improvvisamente una mano inguantata le afferrò da dietro la spalla e la tirò su in piedi malamente. Annalì sbatté contro il petto marmoreo di un uomo, fasciato da un maglione nero.

La mano passò fulminea dalla sua spalla al collo sottile, senza lasciarle tempo di respirare. Le dita si strinsero spietate sulla sua pelle. Sentì un dolore alla gola, mentre delle fitte acute le impedivano di muoversi. Annalì annaspò mentre il suo corpo si tendeva tutto.

Un paio di occhi azzurri dal taglio quasi affilato si incatenarono ai suoi attraverso i fori del passamontagna.

Erano minacciosi, ed estremamente duri.

Tutto d'un tratto, Annalì si rese conto che i rapinatori erano in due, e che uno di loro aveva visto il suo gesto e non l'aveva gradito. Senza volerlo, iniziò a tremare visibilmente e cercò di sfuggire alla costrizione come un uccellino intrappolato che sbatte le ali in preda al terrore. La presa sulla sua pelle delicata si fece per un attimo più forte, ma quando Annalì iniziò a diventare rossa sulle guance si affievolì, seppur lentamente.

La ragazza inspirò a fatica, mentre l'aria le bruciava la gola e le filtrava nei polmoni come ostacolata da un setaccio invisibile. Con una mano si difese la gola, stordita.

Debolmente scacciò quelle dita spietate, conscia che se l'uomo avesse veramente voluto opporre resistenza non le avrebbe smosse di un centimetro. Il suo sguardo sconcertato si legò per pochi secondi con quello impenetrabile dello sconosciuto, ed ebbe la sensazione che le mancasse il suolo sotto i piedi. 

Alcuni uomini ce l'avevano, quella scintilla d'intensità che poteva metterti sottosopra una giornata tranquilla. 

Poi qualcosa attirò la sua attenzione, un movimento dalla direzione del suo sedile.

"Ti prego ... no" cercò di dire con voce spezzata quando vide l'altro uomo, il primo, avvicinarsi veloce alla sua borsa. Non parve sentire il suo rantolo soffocato. Come prevedendo il suo fragile tentativo di opposizione, lo sconosciuto dai due topazi azzurri come occhi la costrinse contro il sedile. Annalì inspirò a fatica, gli occhi scongiuranti verso la sua borsetta e l'uomo che la teneva tra le mani. Distolse lo sguardo quando lo vide rivoltarla e afferrarne il portagioie, il portafoglio e il cellulare.

Riportò gli occhi pieni di lacrime nel volto dell'uomo che le si stagliava difronte. 

Quelle iridi azzurre trasmettevano un'energia gelida che la spinse a non muoversi più di tanto. 

Come avesse avuto di fronte un animale pericoloso, pronto a ferirla se solo avesse azzardato il minimo gesto.

Se solo si fosse accorta prima che erano in due, se solo non fosse stata così stupida. E ora? Come avrebbe fatto senza documenti e soldi e numero di sua sorella?

Viaggiando parecchio Maresa cambiava spesso scheda telefonica e Annalì non poteva vantare una memoria così vasta. All'improvviso venne afferrata per il mento e l'uomo l'avvicinò a sé. Annalì notò le spalle larghe, e ricordò la durezza del suo petto oltre del suo sguardo. Ebbe l'impressione che sotto tutto quel nero, si celasse un ragazzo poco più grande di lei. 

Ma non era solo il corpo slanciato che la sovrastava, ma l'intensità di quello sguardo attento fisso su di lei, mentre il compagno derubava il resto del vagone.

La pelle intorno agli occhi era liscia, senza alcuna ruga rivelatrice, e le sfumature di quell'iride erano di un azzurro così intenso, così raro e fuori dall'ordinario, da attrarre l'attenzione di chiunque in quel vagone.

Annalì si accorse che il suo sguardo curioso lo stava innervosendo, ma non sapeva che altro fare, dove guardare. Così alzò il piccolo naso verso lo sconosciuto, osservandolo accusatoria con un cipiglio sulla fronte delicata. 

Gli occhi azzurri sembravano trafiggerla con una tale energia che la ragazza pensò per un attimo di aver ricevuto un pugno nello stomaco. 

Poi uno scoppio di risa le giunse all'orecchio. Il secondo uomo aveva appena finito di raccattare tutto il possibile.

Intenta ad osservare quell'individuo, sussultò di paura quando avvertì una mano sul sedere. Soffocando un gridolino, portò immediatamente le mani piccole sulle spalle dell'uomo che aveva difronte per respingerlo. Malgrado la resistenza, quello non tolse la mano ma la lasciò semplicemente posata su di lei. 

Sotto il passamontagna nero, Annalì poté quasi intravedere un sorriso beffardo.

Dopo pochi secondi d'impudente affronto lo sconosciuto le diede una pacca delicata, e le fece cenno col mento di risiedersi al proprio posto. 

Annalì arrossì fino alla punta dei capelli, tra l'infuriata, l'oltraggiata e l'imbarazzata. Lentamente si rimise accanto alla vecchia signora. Emise un sospiro tremulo. 

Era appena stata letteralmente tra le mani di un delinquente, di un rapinatore. Sentì il proprio corpo tendersi.

Lo avvertì anche prima di vederlo, il suo odore, il suo passo quieto. La sorpassò senza degnarla di un ultimo sguardo. I muscoli della schiena delineati e le scapole che si muovevano leggermente. Poi lo vide fermarsi, inaspettatamente, e voltarsi dalla sua parte. Annalì trattenne il respiro, mentre cercava inconsapevolmente il suo sguardo. 

Di cos'altro voleva derubarla? 

Non aveva più niente con sé.

Il ragazzo le si avvicinò in poche falcate, non lasciandole il tempo di reagire. Si abbassò verso di lei, sul suo sedile e Annalì chiuse gli occhi di getto, il cuore che le batteva impazzito nel petto. 

Eppure non avvertì nessun tocco, nemmeno il più lieve. Socchiudendo le lunghe ciglia scorse la mano inguantata con il palmo aperto e rivolto verso l'alto in direzione dell'anziana signora. Poi vide la donna con uno sguardo seccato togliersi piano, con una calma sorprendente, gli orecchini, e posarli nella mano di lui.

Annalì non poté trattenersi dall'osservare il profilo di quel volto mascherato. 

Non che potesse vederlo bene, ma il tratto marcato dello zigomo e quello decisamente dritto del naso gli conferivano un'aria elegante, quasi aristocratica.

Sprecata per un comune rapinatore.

In pochi istanti, lo vide raggiungere il compare, caricarsi la borsa in spalla e sparire dalla porta comunicante.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La polizia la interrogò, chiedendole di descrivere tutti i dettagli e i particolari che riuscisse a ricordare.

Ci volle poco, praticamente solo due ore e mezza, tra lei e tutti gli altri passeggeri.

Non avendo carte di credito nel portafoglio derubato, la denuncia non era urgente, per cui la ragazza decise di rimandarla al giorno seguente. La sua necessità più grande era al momento di ritrovare sua sorella, senza di lei, era persa.

Non appena fu libera di aggirarsi in cerca di Maresa per la stazione, si affrettò a perlustrarla tutta, da angolo a angolo, guardando vicino ai tabelloni con gli orari, o sulle panchine. Andò persino nei sottopassaggi bui, reprimendo la paura ma non riuscendo comunque a trovarla.

Con le lacrime agli occhi per la frustazione, le venne improvvisamente voglia di tirare di boxe. Magari contro un viso particolare. Era tutta colpa di quei due idioti, se solo ... se solo non fossero saliti su quel treno.

In preda alla desolazione, il suo viso delicato fu attraversato da un tremito di costernazione.

Si incamminò verso la stazione dei taxi, dopo essersi guardata attorno inutilmente per un'ultima volta.
Notò che il tardo pomeriggio aveva lasciato posto alla freschezza della sera.  Rabbrividendo, si avvicinò ad una macchina parcheggiata.

Chiaramente non poteva permettersi di pagare, quindi chiese solo dove si trovasse rue de la Perle. D'altronde era l'unica via di cui ricordasse il nome. Un vecchietto con naso grande e un paio di occhiali piccoli infilati sopra, le rispose educatamente. Quando intuì che la ragazza faceva fatica a seguirlo, tirò fuorì un taccuino e una penna.

Dopo pochi secondi staccò il foglio con un movimento brusco, e glielo porse con un sorriso. Una piccola mappa era stata approssimata con piccoli tratti di inchiostro ancora non del tutto asciutto.

Annalì gli sorrise di rimando, grata di quell'aiuto. Si sistemò in spalla la borsa vuota, se non per un libro, e si incamminò verso destra, come segnato sul disegno.

Quando si sentiva troppo stanca per proseguire, pensava al volto di sua sorella, a un letto caldo, a una cioccolata bollente e ad un'infinità di cose che la spingevano ad arrancare.

La freschezza della sera aveva ormai lasciato posto al freddo netto della notte quando Annalì giunse in rue de la Perle. Guardando l'orologio nella vetrina di un negozio, si rese conto che erano quasi le dieci. Con i piedi che le facevano male, si sedé per pochi istanti su dei gradini rialzati vicino a un portone.

Si prese la testa tra le mani, cercando di far mente locale. Ovviamente, il numero civico non lo sapeva, quindi le toccava vedere ogni citofono di ogni palazzo e vedere se uno di quei cognomi le avesse ricordato qualcosa.

Costringendosi, si rimise in piedi, e iniziò a leggere i cognomi inscritti nei rettangolini bianchi dei citofoni. Non sentì alcuna familiarità con nessuno di essi, quindi proseguì con il palazzo accanto. Al numero civico 23, un cognome le ricordò qualcuno. "Delmert". Si chiese se per caso fosse stato un fidanzato di sua sorella.

Con qualche esitazione e non poco imbarazzo, vista l'ora e la situazione, premette il pulsante adiacente. Annalì sperò con tutta se stessa che rispondesse una voce maschile e se femminile, solo in caso si fosse trattata di quella di sua sorella.

Nessuno rispose. Forse non avevano sentito il suono, pensò titubante. Stava per risollevare il dito quando una voce roca, sicuramente appartenente ad un esponente dell'altro sesso, colmò il silenzio.

"si?"

"so-sono Annalì" disse deglutendo "Annalì Mensen" specificò.

Per un secondo la voce non replicò, e la ragazza temette di aver sbagliato in pieno. Poi la sentì di nuovo.

"Mensen? Conosco Maresa. Maresa Mensen". Il tono era scettico, quasi scontroso.

Annalì si sentì arrossire, sentendo il cuore cominciare a battere più veloce, un po' per la gioia, un po' per il disagio.

"Sono sua sorella" annunciò lievemente.

La voce non rispose. Nè il portone si aprì.

"Lei è con te?" chiese Annalì con un filo di preoccupazione.

"No."

No?

"è  uscita?"

La voce sembrò esitare, prima di risponderle brevemente.

"Aspetta, scendo un attimo."

Dopo qualche minuto, un giovane varcò la porta. Aveva probabilmente tra il 20 e i 30 anni, un viso tirato, con dei meravigliosi occhi di un colore simile all'ambra colpita dai raggi di sole. Il fisico era slanciato, ma non troppo alto, così come piaceva a sua sorella.

Lo sguardo del giovane si posò sul viso stanco e un po' pallido di Annalì, rimanendo affascinato da quella bellezza quasi irlandese. I capelli rossi furono la prima cosa che intercettò e di cui rimase senza parole, poi l'arco delicato delle sopracciglia, infine gli occhi, di un verde raro, forse non presente in natura.

"...Annalì" assaggiò la dolcezza del nome, ricordandolo improvvisamente.

"Si. Sono io" la sentì dire un poco impacciata. Notò subito il suo sguardo penetrante, intenso. Voleva sicuramente sapere dove si trovava sua sorella, rifletté in un istante.

"Tua sorella non vive più qui."

Quella notizia la sorprese, ed Annalì sentì le ginocchia tremare. Tutta la felicità di aver trovato finalmente un punto fermo, sparì, lasciandola esausta.

"Ha-hai ancora il suo nu-numero?"

Lo sentiva osservarla in viso, e l'orgoglio le impedì di mostrare gli occhi lucidi. Dio! Tutto questo era insostenibile! Quasi inverosimile. La rapina, sua sorella e i suoi cambi di programma, la ricerca della via durata ore, per non parlare di quella dei citofoni...

"Si. Sempre se non l'ha cambiato. Vado a prenderlo." Notando il pallore che il viso della ragazza aveva assunto, di malavoglia aggiunse " Vuoi salire per un thé caldo?"

La vide annuire debolmente, e le fece segno di seguirlo. Annalì si sentì avvolgere dal caldo dell'appartamento e per poco non si lasciò cadere sul divano poco signorilmente. Lui sorrise, notando il suo sguardo di amore incondizionato verso quel soggiorno piccolo ma accogliente.

"Tranquilla, credo che tu passa sederti" scherzò andando in cucina. Di striscio, la vide rifugiarsi in una poltrona e legarsi i capelli ricci in uno chignon disordinato.

Annalì pensò a cosa dirgli, se tutto o niente. Si prese la testa tra le mani, giocando con una ciocca che le era sfuggita dalla crocchia. D'un tratto tutto lo stress, tutta la stanchezza del giorno le piombò addosso, incurvandole le spalle. Si vide porgere una tazza fumante e la prese con dita tremanti. Guardò il viso del giovane e notò che le stava sorridendo, così ricambio fievolmente.

Dopo un sorso esitante, decise di sfogarsi raccontando tutto, a volte guardando le sue reazioni, a volte no. Gli spiegò del treno, della polizia, del vecchietto gentile nel taxi, e con un sorriso imbarazzato anche dei citofoni.

Sentendo lei stessa quanto fosse ridicola in parte quella situazione, si lasciò andare in una risata leggera a cui ben presto si unì anche quella del ragazzo.

"Mi chiamo Alexis, per la cronaca" si strinsero la mano con sguardo amichevole "puoi restare qui per la notte in ogni caso" le indicò il divano, mettendosi in piedi. Le prese la tazza ormai vuota dalle mani, sentendole fredde. Andò in cucina, con l'intento di prepararle qualcosa da mettere sotto i denti.

" Maresa non vive qui, perché ci siamo lasciati. Senza offesa, ma tua sorella è un po' ..."

"uno spirito libero?" gli venne in soccorso lei sorridendo con un'occhiata indagatoria.

Lo vide annuire, con un sorrisetto veloce.

"come mai non hai chiamato tuo padre, e non ti sei fatta dare il numero di tua sorella?" lo sentì chiederle dalla cucina.

Lei riprese ad attorcigliarsi delicatamente un riccio attorno all'indice.

"Ci avevo pensato, sai? Ma subito dopo mi sono data della stupida, visto che lei e papà non si sentono da alcuni anni."

"Per via del trasferimento di Maresa qui a Parigi?" le chiese confuso.

"Si, anche. Maresa ha espresso chiaramente il desiderio di non voler essere condizionata da nessuno. Mio padre è il tipo d'uomo che ti chiede se hai attivato la suoneria del cellulare quando ti sta già chiamando, e mia sorella come forse ... bhe, insomma, non è disposta a sottostare a delle regole."

"Non è proprio tagliata per dei legami fissi, è diverso." ribatté il ragazzo.

Annalì si interruppe un po' a disagio. Istintivamente sentì la naturale spinta a proteggere Maresa da quella accusa, ma cercò di non sembrare scontrosa "Il nostro legame è solido, e dura da una vita. Il fatto è che lei con gli uomini non si lascia troppo andare. Quando sente che qualcosa sta nascendo sul serio, li abbandona." registrando lo sguardo ironico di Alexis, sorrise in difficoltà "è così, non ci puoi fare niente. Lei è fantastica in tutto, ma in questo ha ... qualche problema."

"... qualche." Annalì ammutolì, osservandolo avvicinarsi con un toast tra le mani. La sua espressione lo fece ridere, ed entrambi sentirono la tensione scendere. Parlare di sua sorella non era un buon argomento per conversare con un suo ex.

"Grazie mille, sei davvero gentile." gli sorrise "Domani mattina toglierò subito il disturbo, ma... mi dispiace tornare in argomento, mi sai dire dove si trova Maresa in questo momento?"

Lui alzò lo sguardo verso il soffitto, riflettendo. Si accarezzò il velo di barba scura che gli adombrava le guance. "Mi pare ... dalle parti della Torre Eiffel."

"Ma è un quartiere da ricchi! Non penso si possa permettere..."  sussurrò sorpresa. Alexis la guardò nuovamente ironico, con un sorriso sbieco.

"Infatti non è casa sua. Sta dal nuovo fidanzato. Un fotografo a quanto pare."

Annalì registrò confusamente le sue parole. Perché Maresa non le aveva detto niente? D'un tratto si sentì come esclusa da un capitolo importante della vita di sua sorella. Il senso di colpa per non averla seguita dall'inizio e averla abbandonata in una città grande come Parigi, la scosse nel profondo.

"Bene, domani mattina chiederò in giro, e andrò alla sua vecchia agenzia." pianificò tra se e se, non rendendosi conto di parlare ad alta voce. Alexis dopo averla guardata di striscio, si alzò velocemente.

La delicata e fragile presenza di quella ragazza, stonava con l'immagine impressa nella sua mente di Maresa, così appariscente e sicura di se. Decise di lasciarla da sola per la notte, non prima di averle provvisto delle coperte.

Dopodiché, se ne andò alla svelta a dormire, turbato.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


La mattina seguente, quando Annalì si svegliò, sentì dalla cucina rumori soffusi che sapevano di casa.

Purtroppo non la casa dove avrebbe voluto essere.

Sbadigliando, si alzò dal divano e automaticamente protese una mano per cercare in borsa il suo cellulare. Quando si rese conto della distrazione, Annalì si diede della nonnina-scorda-tutto e si guardò in giro preoccupata, con la sensazione di aver poltrito fin troppo.

Doveva trovare Maresa.

Si mise velocemente il cappotto addosso, e infilò le ballerine. Alexis intanto era uscito dalla cucina, e la guardava confuso.

"Già in piedi?" le domandò porgendole una brioche calda e un caffè.

Annalì sorrise istintivamente, e dopo avergli dato educatamente il buongiorno, gli spiegò che doveva andare. D'altronde non poteva rischiare un'altra notte di rimanere a dormire fuori.

"Sei stato molto gentile, e se ti può far piacere darò a Maresa una bella lavata di capo per essersi lasciata scappare un uomo buono come te."
Alexis scoppiò a ridere, e la accompagnò sulla porta di casa.

"Non ti preoccupare, forse un giorno capirà da sola." le disse dopo un veloce e impersonale saluto.

Le porse un biglietto con l'indirizzo del fotografo, e una piantina di Parigi. Annalì sorrise emozionata di tanta gentilezza, e mentre scendeva le scale lo salutò di nuovo con la mano.

Sarebbe andata da questo fotografo, avrebbe parlato con lui e si sarebbe fatta dire dove fosse sua sorella.

"Maresa, sorellina" disse tra sé e sé, mentre usciva in strada e un vento freddo l'avvolgeva tutta.
 
 
 
 
****
 
"Ma come non la vede da due settimane?!"

Dopo un'intera giornata di ricerche, la ragazza era finalmente arrivata al moderno studio fotografico, e attesi 40 minuti la disponibilità di questo Simeon, a quanto pare impegnatissimo per un servizio fotografico. Poi le si era presentato difronte un uomo sulla trentina, con una barba incolta e un'aria seccata. Per di più, la prima cosa che aveva detto dopo aver saputo chi fosse, era stata una frase che l'aveva lasciata basita.

Come poteva non essere lì?

Annalì era sconvolta. Maresa pareva scomparsa … eppure lasciava sempre delle informazioni su dove si fosse spostata.

"Ma lei è sicuro di essere proprio Simeon Gavroche?" chiese accigliata Annalì.

"Basta! Non ho tempo da perdere! " borbottò adirato l'uomo artigliando con le mani la macchina fotografica. "Lei sta sprecando il mio tempo signorina!"

Gli occhi pallidi dell'uomo sembrarono fulminarla sul posto, e Annalì strinse le labbra innervosita.

"MI SCUSI, ma io sto cercando mia sorella! E non mi pare che gli costi tanto rivelarmi dove sia in questo momento!" ribatté a tono.

Nervosamente l'uomo si guardò a destra e a sinistra. "Celle maudite! Que putain!" borbottò furioso. Accertatosi che non ci fosse nessuno, la guardò dall'alto al basso, mentre l'aveva tirata così vicina che Annalì si era trovata con la sua barba tra le labbra.

Con una smorfia di disgusto, Annalì alzò lo sguardo su quel viso rosso.

"Tua sorella se ne è andata, via, via da me! Et Moi, Je ne sais pas pourquoi! Ho sentito che si è fatta… vedere nel locale di quel bastardo di Lambert ..."

"E chi sarebbe?"

"Mon Dieu, lei non sa chi sia Lambert?" la guardò con gli occhi sgranati "Ma allora lei non sa proprio niente di Parigi." concluse con una nota di disgusto nella voce.

Esasperata Annalì incrociò le braccia, tentando di rimanere calma. "Lei non me lo voleva dire prima, perché mia sorella a quanto pare la abbandonata per un altro uomo?"

"Non, jamais! Lei ha solo perso. Non ci ha guadagnato rien. Lambert non ha mai una compagna, solo un'avventura."

Ma chi era questo tizio? Il protagonista di una soap opera? Francamente non poteva crederci, perché un tale individuo come minimo doveva essere apparso in tv, sulle riviste, per radio ... e lei, di Lambert non ne aveva mai sentito parlare.

"Ha un nome questo Lambert?"

"Oui, ma pochi lo sanno. E comunque il suo locale è poco distante da qui, se è in taxi le occorreranno presque quaranta minuti."

Quaranta minuti non a piedi, Signore Santo.

Annalì annuì esasperata. "E come si chiama?"

"Glielo chiederà direttamente lei, ora devo tornare al lavoro. La mia segretaria le lascerà l'indirizzo del locale."

Lasciandola sola, l'uomo se ne andò via irritato, lasciando la ragazza a fremere di disgusto.

Mio Dio. Come aveva potuto sua sorella stare con un tale idiota di questo calibro! Assurdo poi che questo Lambert non avesse un nome, a discapito del ventunesimo secolo. Internet non forniva forse il nome di un uomo così fortunato o bello da avere una donna al giorno? O a notte?

Annalì passò dalla segretaria, che senza staccare gli occhi dallo schermo del computer le passò un bigliettino con un indirizzo. Ringraziò e se ne andò velocemente.

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