Imperdonabile peccatore

di Mash
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** prologo ***
Capitolo 2: *** Strani omicidi ***
Capitolo 3: *** Confine ***
Capitolo 4: *** L'appeso ***
Capitolo 5: *** Tradimento ***
Capitolo 6: *** Nuove scoperte ***
Capitolo 7: *** Un attimo di respiro ***



Capitolo 1
*** prologo ***


Questa storia partecipa al COWT9
Quote: Il sole splendeva, non avendo altra alternativa. (Samuel Beckett, Murphy)


Prologo
 
 
08 settembre 20XX ore 00.10 – tetto della cattedrale di St. Paul – Rivendell
 
La creatura si guardò intorno facendo ben attenzione a tutti i particolari della città in cui si trovava. Mentre abituava la vista, si stupì dei nuovi, immensi grattacieli costruiti nel centro della città, così come i centri commerciali e le strade, che erano state ampliate a dismisura e avevano ormai fatto abbattere i pochi spazi verdi che ricordava esserci stati. Quanti anni erano passati dall’ultima volta che aveva osservato quel luogo? Come se l’avesse evocata, la memoria tornò subito. Come sempre erano passati trent’anni.
Nonostante il cambiamento, tutto sembrava sempre uguale: lo stesso odore di smog, lo stesso cielo coperto da fitte nuvole basse, le stesse inutili, meschine, persone che camminavano senza meta, assorbite dalla solita routine. Solo loro non cambiavano mai, queste, erano identiche a quelle che lo avevano tradito secoli prima.
Quando si risvegliava dal suo lungo sonno, tornava al principio ma allo stesso tempo la sua era come una nuova esistenza, ampliata dagli stessi vecchi e pesanti ricordi.
Il sole splendeva, non avendo altra alternativa e così lui, proprio come il sole che doveva brillare nel cielo, era condannato a ritornare in quella città ogni trent’anni, dopo la prigionia in uno stupido libro. Se gli umani avessero continuato a comportarsi in quel modo, il suo involucro sarebbe presto stato distrutto.
Era ancora nella stessa biblioteca da circa cento anni, ma non sapeva quando il suo libro avesse lasciato la dimora precedente, il luogo in cui tutto era iniziato.
L’unica cosa che sapeva era quello che avrebbe dovuto fare a ogni suo risveglio se voleva essere liberato dalla sua maledizione.
Uccidere quante più persone avrebbe ritenuto opportuno.
C’erano state volte in cui aveva deciso di non volerlo fare e aveva semplicemente atteso di tornare nel libro. Alcune in cui aveva solo ucciso senza rispettare le regole, un po’ per il gusto di farlo e un po’ per noia; e altre, dove aveva tentato di trovare il modo per uccidersi e farla finita una volta per tutte, troppo stanco di non riuscire a trovare il modo per distruggere le catene che lo tenevano prigioniero. Quello che avrebbe deciso di fare quella volta non lo sapeva ancora.
Una cosa però era chiara, era stanco della sua maledizione, stanco che quella strega avesse scelto una simile punizione per il suo tradimento, stanco di dover abbandonare le città quando, in qualche modo, si stava divertendo. Se avesse potuto, avrebbe ucciso quella donna milioni di altre volte, solo per il gusto di sentire la sua mano trapassare il suo petto e strappare il suo cuore senza alcun ripensamento.
Aveva infranto una promessa sugellata con il sangue e aveva ricevuto ciò che la donna pensava si meritasse. Aveva cercato di ribellarsi al giogo che lo teneva ormai imprigionato da più di due secoli, ma tutto quello che aveva provato a fare era naufragato e lui si trovava ancora lì, a ripercorrere gli stessi passi e nel compiere le stesse azioni.
Si era addirittura abbassato a chiedere aiuto ad altre streghe che sperava avrebbero potuto liberarlo dal maleficio lanciato dalla loro congiunta, ma nessuna di esse era mai riuscita nell’intento e a volte – ne era certo – alcune non avevano voluto nemmeno provarci.
Aveva quindi assecondato quanto la sua carnefice gli aveva detto.
Nel periodo di tempo che gli avrebbe donato il maleficio avrebbe dovuto innamorarsi di nuovo di qualcuno e anche questa persona avrebbe dovuto provare per lui gli stessi sentimenti ma il problema arrivava dopo.
Se qualcuno gli avesse detto che lo amava, la maledizione sarebbe scattata e lui, anche se si fosse ribellato, sarebbe stato spinto a uccidere chiunque avesse pronunciato quelle parole.
Era un destino crudele il suo.
Aveva perso la donna che amava per mano di quella strega e poi il suo maleficio lo condannava a perdere qualsiasi altra persona avrebbe nuovamente amato per mano propria.
Nonostante però avesse trovato innumerevoli persone che avevano giurato di amarlo, nessuna di queste era mai riuscita a spezzare il maleficio.
Era certo che il problema derivasse dai suoi sentimenti, ancora ancorati al passato; una parte di lui, infatti, pensava ancora alla donna che aveva amato e per cui aveva rischiato tutto, finendo in quella situazione.
Nel corso degli anni aveva pensato molto a lei e nonostante una parte nel suo profondo continuasse a provare dei forti sentimenti per la donna, sapeva bene che ormai era diventata più un ideale effimero che un vero e proprio sentimento d’amore.
C’erano dei giorni in cui non riusciva nemmeno a ricordare il suo viso e questo, unito all’insoddisfazione di dover sottostare alle regole di qualcun altro, lo intristiva.
Però, il ricordo sfuocato della donna gli donava la speranza che qualcuno riuscisse a conquistare ancora una volta il suo cuore. Certo, per un demone innamorarsi era difficile, ma non impossibile.
Malgrado ciò non era ancora riuscito a trovare la persona che avrebbe spezzato il maleficio ed erano ormai passati secoli; aveva sedotto innumerevoli creature della notte ed esseri umani, molti avevano detto di amarlo e aveva divorato moltissimi cuori, ma nessuno aveva mai spezzato la maledizione.
Non gli era chiaro chi fosse da incolpare, se gli altri, che prendevano l’amore troppo alla leggera o se stesso, che aveva il cuore ancora chiuso nel ricordo di una donna che non sarebbe mai più tornata. Come dicevano in passato, la colpa doveva trovarsi nel mezzo, lui aveva sigillato il suo cuore e aveva cercato solo qualcuno che potesse sciogliere la sua maledizione ma alcune delle persone che aveva incontrato non provavano sentimenti sinceri nei suoi confronti. Era quasi una sfida per vedere se avrebbe mai veramente amato qualcun altro oltre quella donna. Una cosa era certa, non aveva mai provato niente nell’istante in cui la sua mano trapassava il petto delle sue prede. Certamente non amava uccidere per colpa di qualcun altro, ma, nemmeno era pentito per quello che era spinto a fare se ciò significava poter tornare a nuova vita. Chissà se qualcuno sarebbe mai riuscito nella missione e lui sarebbe di nuovo tornato libero sulla Terra. Forse dentro di sé si dava già una risposta, anche se la sua testa continuava a negarlo, spingendolo a compiere il massacro ogni volta.
Se per lui morire fosse stata una concreta possibilità, l’avrebbe abbracciata da tempo; ma aveva provato a interrompere il maleficio facendosi del male e tentando di porre fine alla sua vita, ma niente sembrava avere effetto, come se fosse quasi diventato immortale.
Potere che non aveva mai avuto.
“Questa volta andrà diversamente…” sussurrò il demone iniziando a muoversi.
 
08 settembre 20XX ore 10.45 – centrale di polizia di Rivendell
 
“Ho bisogno di un caffè!” tuonò una voce in maniera così forte che i vetri dell’ufficio della centrale tremarono.
“Subito signore!” scattò il giovane precipitandosi immediatamente fuori dall’ufficio per poi dirigersi verso la macchinetta del caffè con il cuore che batteva all’impazzata e non aveva intenzione di fermarsi in alcun modo. Si passò una mano tra i corti e spettinati capelli castani e poi, con un sospiro, si abbassò per prendere il caffè al suo nuovo capo.
Quello non era assolutamente uno dei migliori giorni che aveva passato nella sua vita.
Se pensava che solo poche ore prima avesse salutato sua sorella, tutto contento di iniziare la sua carriera di detective, era quasi assurdo.
A quanto pareva però, la fortuna non aveva giocato per niente dalla sua parte, e anzi, lo aveva spedito in un luogo che rassomigliava più all’inferno che a una stazione di polizia.
Il caos regnava ovunque, con agenti che andavano e venivano, superiori che urlavano, criminali seduti sulle sedie della centrale pronti a essere interrogati e i telefoni che squillavano in continuazione.
Sbuffò recuperando una bottiglietta d’acqua per sé e poi si diresse verso l’ufficio del suo superiore fermandosi per un istante davanti alla porta senza essere in grado di aprirla, avendo entrambe le mani occupate. Come se la porta gli avesse letto nel pensiero, si spalancò, mostrando il barbuto comandante con un dito alzato e un’espressione arcigna sul volto.
“Se non riesci ad aprire la porta avendo entrambe le mani occupate, fai due viaggi ragazzo.” Dovette trattenersi dallo scoppiargli a ridere in faccia.
L’altro l’aveva detto con un tono così serio che per un istante non si chiese se lo stesse prendendo in giro. Quando comprese che in realtà parlava sul serio, tentò di assumere un’espressione risoluta che però non gli riuscì particolarmente bene.
“Mi scusi, è solo che non sono ancora abituato alla vita in ufficio, avevo pensato di entrare subito in azione e invece mi ritrovo qui a portarle il caffè.” disse, come spinto a dover dire la verità per chissà quale motivo.
“Coloro che non hanno poteri speciali, raramente possono permettersi di entrare in azione su una vera scena del crimine; puoi ritenerti fortunato che ti abbia ammesso alla squadra unicamente per via dei tuoi voti accademici” disse per poi continuare “Essere il migliore del corso varrà pur qualcosa, spero. Ma dovrai dimostrarmi di essere veramente adatto a mandarti sul campo, prima di potermi fidare di te e farlo.” Concluse, sorridendo per la prima volta da quando il giovane l’aveva incontrato in quella strana mattina.
Biascicò qualcosa che doveva essere un ringraziamento e poi uscì, dirigendosi alla sua scrivania, ritornando con la mente agli anni di accademia, forse i più difficili della sua intera vita.
Daniel Thermian era un anche troppo normale, senza poteri particolari, una corporatura esile e non particolarmente alto, poco più della media; i capelli erano corti e ribelli e gli occhi di un verde cangiante, che davano quasi sull’ambrato, sempre attenti a quello che gli accadeva intorno. Aveva ventisette e da quattro anni aveva conseguito il diploma all’accademia di polizia, per poi diventare da poco più di un mese detective, conseguendo uno dei punteggi più alti di tutti i comuni umani diplomatisi quell’anno e negli anni precedenti.
Aveva fatto la gavetta come semplice agente dal suo diploma fino a due anni prima, quando aveva provato a studiare per diventare un detective a tutti gli effetti. Essere un umano senza poteri paranormali era molto complicato per la sua epoca, soprattutto se la tua aspirazione era far carriera nella polizia. Da quando le varie razze credute fino a quel momento semplice superstizione erano uscite allo scoperto e il governo aveva cercato di uniformarsi grazie esperimenti che avevano creato specie completamente nuove, tutto si era fatto più difficile per quelli che nascevano come comuni umani. Gli organi delle forze dell’ordine erano occupati per la maggior parte dalla categoria dei mutanti.
Anche il suo capo era uno di essi, per la precisione aveva poteri di telecinesi.
Era quindi raro incontrare semplici umani che svolgessero lavori ad alto rischio, ed era ancora più raro trovare detective senza poteri paranormali. Lui era una delle poche eccezioni che, come si diceva, confermava la regola.
La città in cui si trovava non aveva mai avuto grandi casi negli ultimi anni, ma, aveva voluto essere trasferito in quel luogo per via di alcuni omicidi ciclici in cui si era imbattuto più volte nel corso dei suoi studi. Il caso non sembrava complicato, persone scomparivano nel nulla, e a volte comparivano solo i loro cadaveri, o quello che ne rimaneva. Nelle vittime ritrovate c’era sempre una parte mancante, il cuore. Per questo motivo il colpevole era stato ogni volta creduto un licantropo, che, a causa dell’influsso lunare, impazziva e iniziava a uccidere vittime casuali.
Per Daniel però, doveva esserci un’altra spiegazione. Il caso non poteva essere così semplice e avere cadenze così lineari. Era stato affascinato fin da quando in accademia aveva studiato i primi casi archiviati come irrisolti, si era quindi informato, nel corso del tempo, su ogni caso che potesse minimamente essere a essi connessi e aveva creato talmente tanti appunti che avrebbe potuto riempirci un’intera stanza. Aveva scoperto che quella serie di omicidi era accaduta almeno altre tre volte nell’arco di un secolo, ma non erano in molti a pensarla come lui, anche perché, da quello che aveva letto sui casi archiviati, si aveva sempre un colpevole che confessava i suoi misfatti senza aiuto di particolari mezzi di persuasione e proprio per questo, i poliziotti non avevano mai sospettato ci fosse un filo conduttore per alcuni di quei casi che lui invece aveva inserito tra le sue ricerche.
Lui non aveva mai creduto che la soluzione potesse essere così semplice, e ormai, se aveva calcolato bene gli anni trascorsi, prima della fine di quell’anno si avrebbe avuta la prima vittima. Era stato spinto a conseguire il titolo di detective proprio perché questo gli avrebbe permesso di poter investigare per proprio conto e soprattutto di poter accedere a fascicoli che da semplice agente gli erano proibiti. Era rimasto un unico problema. Il non avere poteri speciali, che purtroppo lo rendeva inferiore agli occhi dei suoi colleghi e che non gli avrebbero permesso tanto facilmente di entrare in azione sul campo, cosa a cui sperava di poter porre rimedio in qualche modo. Essendo gli umani senza poteri la minoranza nella civiltà odierna, non era ben accettato da tutti all’interno dell’ufficio della polizia e al momento era relegato a portatore di caffè e consigliere, dei compiti che non l’avrebbero portato tanto lontano nel fermare un assassino.
Sospirò aprendo il file sul computer, iniziando a mettere insieme i pezzi dei casi precedenti, per creare un fascicolo che avrebbe in seguito presentato al suo superiore, sperando di ricevere un riscontro positivo in quello che aveva scoperto nel corso dei suoi studi.
 
08 settembre 20XX ore 19.28 - casa Thermian
 
“Sono a casa.” bofonchiò il ragazzo togliendosi le scarpe all’ingresso dopo aver chiuso dietro di sé la porta e aver poggiato a terra la cartella che aveva portato a casa dal lavoro.
Una chioma di un forte colore castano scuro che dava quasi sul rosso, si affacciò dalla cucina sorridendo allegra, esclamando pimpante: “La cena è quasi pronta, sbrigati a sistemarti e poi vieni a mangiare che muoio di fame, fratellino.”
“Certo, certo.” ripeté il ragazzo dirigendosi in camera sua, poi, chiudendo la porta alle sue spalle, si sdraiò esausto sul letto, completamente esausto per la giornata appena trascorsa.
“Quanto ci vorrà prima che mi trattino seriamente?” si domandò, guardando fuori dalla finestra la città lontana illuminata dal bagliore di un’enorme Luna piena.
Improvvisamente il paesaggio fatto unicamente di tetti e di cielo stellato fu oscurato da un’ombra che sfrecciò su un tetto della casa vicina; incuriosito, Daniel si avvicinò alla finestra e l’aprì, certo di aver visto qualcosa, sporgendosi verso l’esterno alla ricerca di quell’ombra.
Mettendo a fuoco la strada comparve lo spettro di qualche istante prima.
In realtà si trattava di un uomo in completo scuro e lunghi capelli argentati legati in una coda bassa che si stava sistemando un cappello, sul ciglio della strada accanto all’ingresso che avrebbe portato dritto a casa sua. Daniel lo guardò interessato, fissandolo con attenzione.
Alla luce della luna, con il contrasto del completo scuro, la sua pelle sembrava bianca, quasi come fosse di porcellana. Non sembrava originario di quelle parti e aveva un’aura quasi eterea, ma nel complesso, non c’era una sola cosa che stridesse. Non riusciva a vederlo in volto, essendo l’altro girato verso la strada, però, c’era qualcosa in quella figura che lo turbava. Un’insolita curiosità non voleva lasciarlo andare, qualcosa dentro di lui sapeva che doveva vederlo in viso.
No, voleva vedere il volto di quell’uomo…
“Ehi!” lo urlò quasi senza pensarci, sperando di farlo voltare, realizzando subito dopo che la sua voce non l’avrebbe mai raggiunto e che se l’avesse fatto sarebbe sembrato solo ridicolo a gridare a uno sconosciuto in mezzo alla strada.
Invece l’altro si girò e incrociò i propri occhi con quelli del ragazzo alla finestra, che rimase come pietrificato. Non era un comune essere umano… I suoi occhi erano glaciali, del colore dei suoi capelli argentei, o almeno, dalla luce lunare sembravano avere quell’insolito colore; ma i suoi lineamenti erano delicati, come se non ci fosse il segno della fatica e del lavoro, angelico quasi, sebbene qualcosa in quel viso gli sembrava essere fuori posto. Sul volto dello strano personaggio si allargò un sorriso, scoprendo una fila di perfetti denti bianchi, ma dalle sue labbra non uscì alcuna parola, si limitò a fare un gesto con la mano destra in direzione di Daniel e poi si girò di nuovo verso la strada per scomparire nell’oscurità della notte, lasciando il ragazzo a domandarsi chi mai fosse quello strano individuo e perché lo avesse turbato e allo stesso tempo incuriosito così tanto.
“Daniel ti ho chiamato cento volte. Scendi?” domandò la ragazza, che, in un momento di distrazione, aveva aperto la porta della stanza e si era affacciata all’interno.
“A… Arrivo.” rispose il giovane, palesemente turbato da quello strano incontro. Vedere quel tipo gli aveva fatto scordare sia di sua sorella, sia della serie di omicidi che sarebbe ben presto iniziata.
 
30 settembre 20XX ore 03.32 – appartamento sconosciuto – Rivendell
 
La creatura si accese una sigaretta, aspirando annoiato.
Si voltò verso la figura al suo fianco, socchiudendo gli occhi, guardando l’espressione di confusione che era rimasta sul volto del cadavere della donna quando lui le aveva portato via il cuore, togliendole anche la vita che aveva innanzi.
Non era durata molto e già sapeva che la sua morte non sarebbe servita a niente, dato che lui per lei non provava alcun sentimento.
Almeno si era divertito e poteva dire di aver racimolato anche dei soldi che gli avrebbero permesso di comprare qualche bel completo e appagare qualche piccolo vizio, come erano ormai diventate le sigarette.
Si alzò dal letto ancora completamente nudo e poi si affacciò alla finestra.
La piccola Luna nel cielo lo fece sorridere e si domandò quanto sarebbe passato prima che la polizia fosse sulle tracce, dato che non avrebbe in alcun modo occultato il cadavere.
Tornò quindi a guardare la donna, anche lei nuda, e decise di apportare solo una piccola modifica a quanto aveva compiuto.
Rivestì quindi il corpo e la posizionò meglio sul letto, chiudendole gli occhi in un gesto di compassione e poi, dopo che anche lui fu di nuovo vestito, con un sorriso sghembo, uscì dalla porta, per tornare nel suo appartamento.


NdA:
Ci lavoro da anni.
La prima bozza, pubblicata nel lontano 2010 non ha mai visto fine, nonostante la storia sia stata finita in quegli anni su cartaceo.
E' stata riportata interamente in word e poi modificata più volte, e anche adesso, nonostante avessi apportato quella che credevo fosse l'ultima revisione, è stata nuovamente modificata e aggiornata. Cose sono state tagliate, cose sono state inserite successivamente... e non sono ancora sicura che questa sarà la storia definitiva, se mai ci sarà una versione definitiva; ma almeno il COWT mi ha permesso di metterci mano e di convincermi che in questo modo, per me, poteva andare bene.
Poi chissà, magari tra un mese, un anno o dieci mi farà schifo.
Per eventuali errori o sviste sarò contenta se mi scriverete qualcosa, perchè sicuramentece ne sono ancora.
Grazie per essere arrivati fino qui!

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Capitolo 2
*** Strani omicidi ***


I Capitolo – Strani omicidi
 

30 settembre 20XX ore 08.42 – centrale di polizia – Rivendell
“Cosa?!” l’uomo sbatté con violenza il cellulare e uscì fuori dal suo ufficio indossando la giacca che aveva abbandonato quella mattina sul divanetto.
“Signore, c’è qualche problema?” domandò Daniel guardando il proprio capo dirigersi velocemente verso l’ascensore e premere con nervosismo il pulsante di chiamata. Si avvicinò a lui con passi rapidi e notò l’espressione sul suo viso, che non prometteva nulla di buono.
“Un omicidio. La vittima è di sesso femminile, sulla trentina d’anni, la famiglia è già stata avvisata e pare che sarà una grande rogna per via del lignaggio della signora. Cosa più preoccupante è che è il nostro secondo caso simile in meno di un mese. Le è stato asportato il cuore e non ci sono segni di violenza né altre ferite apparenti. Siamo arrivati a quota due…”
Il comandante prese respiro e premette di nuovo il pulsante dell’ascensore, biascicando qualcosa che non sembrava troppo carino. “Inoltre il medico ha detto che il cuore è stato asportato a mani nude, non c’è alcun segno dell’utilizzo di qualche arma…” aggiunse, turbato.
Daniel guardò in volto il comandante, facendo combaciare tutti i pezzi del puzzle che aveva scoperto ormai anni prima e capì che avrebbe dovuto in tutti i modi cercare di entrare nel caso e farsi affidare anche un banalissimo compito per poter indagare sulla vicenda senza troppi vincoli.
“Signore, so che è solo un mese che sono stato affidato al dipartimento ma mi faccia venire con lei sulla scena del crimine; mi permetta di prendere parte all’indagine.” disse, determinato a non essere lasciato indietro.
L’uomo lo squadrò per qualche istante, l’indecisione dipinta sul suo volto. Poteva ben comprendere la voglia di mettersi in gioco di quel ragazzo, l’aveva avuta anche lui quand’era più giovane ma non era sicuro se affidargli la sua fiducia oppure no. Guardò la sua espressione e comprese che il volersi intromettere in quell’indagine erano delle ragioni personali che l’uomo ancora non capiva ma sapeva che la cosa non l’avrebbe portato da nessuna parte. Portarlo con lui non sarebbe stata la scelta migliore da prendere, però c’era qualcosa in quel suo sguardo che gli ispirava fiducia.
L’ascensore si aprì con un trillo e il comandante fece segno a Daniel di entrare, per poi schiacciare il piano terra incrociando le braccia sul petto, con uno sbuffo. Si era già pentito per quella decisione.
“Questo significa che posso venire, signore?” domandò il giovane, affrettandosi a entrare prima che l’ascensore partisse senza di lui o l’altro cambiasse idea.
“Verrai, ma non devi fare cazzate lì fuori. Non voglio intromissioni di sorta, azioni indipendenti o parole non necessarie. Sei ancora un maledetto novellino e per di più non hai niente che possa proteggerti a parte una pistola d’ordinanza.” ordinò il comandante. E dal suo sguardo Daniel capì che non avrebbe accettato obiezioni.
“D’accordo, signore. Resterò a portata di voce.” affermò il giovane cercando di trattenere un sorriso entusiasta.
“E ricordati che non stiamo andando a una gita scolastica. È appena morta una donna, mi aspetto che i miei detective non sorridano per cose del genere. Non essere contento di assistere a un’indagine per omicidio. Non essere contento se una persona muore. Non essere contento per le motivazioni che portano al tuo lavoro, sii contento solo se lo svolgi bene catturando i colpevoli.” puntualizzò l’uomo, uscendo subito dopo dall’ascensore che aveva raggiunto il piano terra. Il giovane non aggiunse nulla a quelle parole, in un certo senso capendo il messaggio che il comandante volesse dargli ma non credendo di meritarselo. Era contento che finalmente potesse dimostrare quanto valesse e che servissero anche tutti gli anni impiegati a studiare casi simili, non che ci fosse stata un’altra vittima.
Insoddisfatto, si morse il labbro e uscì dall’ascensore.

30 settembre ore 9:05 – attico davanti al parco della città di Rivendell
Daniel seguì il suo capo sulla scena del crimine, inquieto per trovarsi così vicino a un vero cadavere e timoroso della reazione del suo corpo. Durante il periodo come agente semplice, non gli era mai capitato di vederne uno e una parte di lui avrebbe preferito non doverlo fare mai. Il comandante, non appena arrivati, iniziò a discutere con un membro della scientifica che stava cercando all’interno della stanza una possibile arma che avrebbe potuto esportare il cuore in una maniera tanto precisa, senza però aver individuato un possibile riscontro. Daniel invece si avvicinò al corpo, interessato a guardare la vittima per vedere se qualcosa corrispondesse ai vecchi fascicoli degli omicidi degli anni passati.
“Non sembra nemmeno sia morta.” si disse tra sé osservando la donna. Sembrava come addormentata, anche se il volto pallido e quasi bluastro mostrava inevitabilmente il decesso. La cosa che più attirava l’attenzione era che il cadavere era stato magistralmente sistemato ad arte dall’assassino. La donna era, infatti, vestita in maniera elegante e ordinata, come se stesse uscendo per andare a lavoro. I capelli vaporosi erano sistemati con cura sul cuscino del letto rifatto e il volto era quasi sereno, come se non si aspettasse di venire uccisa da un momento all’altro.
Questo poteva solo voler dire che l’assassino aveva avuto notevole tempo per poter sistemare la donna in quel modo e che sicuramente era stato invitato ad entrare o che possedesse la chiave essendo quell’appartamento a prova di poteri speciali. In qualche modo però c’era qualcosa che stonava in quel posto. Non sembrava un luogo del delitto. Era tutto troppo pulito e anche se l’assassino avesse sistemato e cancellato ogni segno del suo passaggio, qualcosa sarebbe dovuta rimanere. A meno che l’omicida non fosse così calmo da riuscire a gestire tutto quello che stava passando, pulendo con cura la scena. L’unica cosa che stonava con il corpo era una lieve macchia rossa sulla parte superiore del petto sinistro. Il sangue, infatti, aveva macchiato l’abito, segno che quando la donna era stata rivestita la ferita era ancora fresca. Daniel storse le labbra a quel pensiero.
“Ti ha dato fastidio, vero?” pensò nel notare la macchia, certo che quella piccola cosa toglieva tutta l’eleganza che l’altro aveva cercato di inscenare in quel luogo.
Nonostante fosse nascosta dalla camicetta, Daniel sapeva che al di sotto dovesse esserci una ferita che dimostrava la mancanza del cuore in quel corpo. Si portò una mano alla bocca trattenendo un conato di vomito. Ora il suo corpo iniziava a reagire alla vista del cadavere. Si girò dall’altra parte e cercò di scacciare la vivida immagine nella sua mente che ritraeva con abbondanza di particolari la donna e la sua mancanza di un cuore. Il buco all’altezza del petto era ancora sanguinante e i suoi occhi, invece di essere chiusi, erano spalancati e terrorizzati. Qualcuno gli mise un braccio attorno alla spalla, distogliendolo da quella visione e facendolo voltare nella sua direzione.
“I…Ivan!” esclamò, notando il suo collega che gli sorrideva come se l’avesse appena incontrato in mezzo a una normale strada. L’uomo ricambiò lo sguardo e i suoi occhi nocciola scintillarono incontrando quelli di Daniel.
“Ehi, Dan, che sorpresa. Come hai fatto a convincere il comandante a portarti con lui?” domandò.
“Non sono affari che ti riguardano.” borbottò il giovane tornando a guardare il corpo della donna, cercando la minima cosa che non lo convincesse. Ivan non aveva proprio alcuna decenza a parlargli in quel modo di fronte a un cadavere. “E non chiamarmi Dan, sai che non lo sopporto mi si storpi il nome; soprattutto durante il lavoro.” aggiunse, continuando a osservare l’abbigliamento della vittima.
Vestiti di marca, capelli tenuti in maniera impeccabile, trucco perfetto, unghie curate, scarpe… Storse un po’ il naso. La vittima portava un paio di scarpe che non c’entravano per nulla con l’abito. Era certo che una persona che comprava simili capi avrebbe saputo come abbinare quei vestiti. Insospettito, con una mano si avvicinò al lembo del pantalone della vittima, ma una voce lo fece fermare: “La prego di indossare i guanti, agente.” comandò un uomo della scientifica, notando che stava per compiere uno dei più gravi errori nel suo mestiere.
Daniel, insultando mentalmente il fatto che avesse dimenticato una cosa così importante, afferrò i guanti che l’altro gli stava porgendo senza replicare, evitando di puntualizzare che lui non fosse più un agente, e dopo averli infilati sollevò il lembo di pantaloni che copriva le scarpe. Attaccato a esso, c’era un pelo o un capello veramente troppo corto e liscio per essere quello della donna. Finalmente la fortuna girava dalla loro parte. Prese una pinzetta, una busta e sigillò la prova trovata mettendola tra le altre. A prima vista, poteva non essere troppo importante per le indagini, la donna avrebbe potuto avere animali domestici o il capello sarebbe potuto essere stato raccolto mentre camminava, ma era pur sempre qualcosa e almeno si era reso utile.
Se il caso avesse combaciato con quelli precedenti il ritrovamento avrebbe potuto in qualche modo confermarlo. Daniel aveva qualche idea sul riscontro che avrebbe portato, anche se dentro di lui sperava di sbagliarsi. Quello che era certo e che tutti avevano capito era che la donna era stata rivestita di tutto punto. Il perché non era chiaro, ma anche questo aspetto era già comparso in casi precedenti. L’assassino sembrava essere qualcuno che progettava tutto nel minimo dettaglio, anche il ritrovamento. Sperava solo che non ci fossero altre vittime di cui ancora non sapevano nulla in giro e che quella donna fosse l’ultima di una ben più lunga serie. Si spostò dal corpo per andare a rovistare negli oggetti personali della donna. Sentì Ivan seguirlo e iniziare a parlare di un loro vecchio dissapore, ma lui non lo ascoltava, interessato più a scoprire qualcosa d’interessante per l’indagine che a risolvere vecchie battaglie di quando ancora facevano l’accademia.
Prese, sempre con i guanti, il portafoglio della vittima iniziando a guardarvi all’interno. Vi erano tre banconote di grosso taglio, due carte di credito, vari scontrini, schede e infine, un biglietto di colore viola. Poteva escludere la rapina solo guardando l’interno di quel portafoglio. La vittima conosceva il colpevole e l’aveva invitato a entrare, troppi elementi potevano dimostrarlo. C’era qualcosa dentro il portafoglio che attirò la sua attenzione. Il biglietto viola. Lo prese e lesse l’unica scritta che risaltava all’occhio su quel campo interamente monocolore, in bianco con un carattere che sembrava stranamente familiare.
“Horizon”
Quella parola e nient’altro. Girò il biglietto e vide che sull’altro lato era stampato un simbolo. Una chiave scura su sfondo bianco.
“Questo è interessante.” considerò, rivolto al biglietto.
“Non sembra nulla di che, solo un semplice biglietto.” disse Ivan facendolo tornare alla realtà. Si era completamente dimenticato che fosse ancora vicino a lui: “Sai quanti biglietti ho io nel mio portafogli?”
Ovviamente a Daniel non interessava minimamente il contenuto del portafoglio di Ivan, così lo ignorò, concentrandosi sull’oggetto: “Sembra un biglietto da visita. Dietro c’è disegnata una chiave. Potrebbe essere un posto che la vittima frequentava, magari una discoteca, oppure un bar… Potremmo dare un’occhiata e vedere se qualcuno sa qualcosa che avrebbe potuto attirare le antipatie verso questa donna. E quella chiave potrebbe darci qualche indizio in più.”
“È solo uno stupido disegno.” disse, alzando le spalle.  Prese il biglietto tra le mani e lo osservò attentamente. “Una chiave è una chiave, probabilmente si annoiava e ci ha disegnato sopra.”
“Una chiave può significare qualsiasi cosa. Inoltre, è l’unica pista utile che abbiamo. Un biglietto di un luogo chiamato “Horizon” e questo disegno dietro.” Daniel passò la mano su di esso. Era ruvido al tatto e guardandosi i palmi vide che sui polpastrelli si era depositata una leggera patina opalescente. In qualche modo gli piaceva, probabilmente era veramente una discoteca o simile.
Ivan sospirò pensando a quello che potesse essere quella chiave, ma non gli venne in mente nulla che non fosse più di una semplice chiave. Però lui non era tipo da ragionamenti deduttivi, la sua abilità con il computer avrebbe potuto risolvere ogni problema e ogni mistero, perché gli oggetti elettronici non avevano segreti per lui. Se c’era qualcosa di più di una semplice chiave in quel disegno, avrebbe scoperto tutto quello che c’era da scoprire interrogando il web.
“Farò delle ricerche per scoprire cos’è questo Horizon. Sicuramente è un locale o roba così. Vedrai che con il mio portatile ci metterò un attimo nello scoprire qualcosa.”
Ivan faceva parte della sezione informatica del dipartimento. I due si erano conosciuti in accademia, e poi si erano ritrovati a lavorare nello stesso distretto quando Daniel era stato assegnato come detective in quella città. I due giovani avevano stretto uno strano rapporto di amicizia, a Daniel Ivan non dispiaceva, ma trovava la sua esuberanza troppo fastidiosa in certi momenti, e alcune volte anche fuori luogo, inoltre, ogni volta che nominava sua sorella o lei lo chiamava al telefono, lui iniziava a fare dei commenti o insisteva per conoscerla.
Cosa che non sarebbe mai accaduta finché ci sarebbe stato lui.

30 settembre ore 15.35 – strada principale di Rivendell
“Un Night Club eh?” domandò Daniel.
“Sì. È parecchio famoso tra i signori e le signore di questa città. La clientela per la maggioranza è femminile ma ci sono un discreto numero di uomini che richiedono i loro servigi. Spesso sono ricchi figli di papà, o anziani con soldi da spendere in sesso e divertimenti. All’esterno è un semplice locale, ma nel web ho trovato informazioni interessanti sui servizi che offrono.”
Il detective sospirò portandosi una mano a scompigliare i capelli scuri, riflettendo su quanto appena appreso. Un night club con clientela sia maschile sia femminile. Non era una grande cosa su cui partire, ma almeno avevano ristretto il campo.
“Devo cercare di entrare lì dentro per indagare sui loro clienti e impiegati.” disse, prendendogli il fascicolo che gli aveva portato sul Night Club.
“Ehi, ehi, frena un attimo! La fai facile tu. Ci sono parecchie restrizioni per accedere in quel posto. Per scoprire qualcosa di più a parte l’indirizzo e di cosa si occupava ho dovuto faticare parecchio. Le informazioni non trapelano nemmeno tra le macchine… Pare che abbiano clienti parecchio importanti. Il capo non rischierà mai di mandarti lì dentro.” in realtà aveva tentato in vari modi di ottenere altre informazioni, ma niente si era sbottonato più di tanto, nemmeno il server principale lo aveva degnato di troppe attenzioni. Cosa che di solito invece non vedeva l’ora fare. Essere ignorato dalle macchine non gli piaceva neanche un po’, perché voleva dire che chi si occupava di gestirle era in grado di bloccare persino uno come lui.
“Non permetterò che qualcun altro s’intrometta in questo caso, e tu non sei un detective, ma più un tecnico, quindi non mi sembra il caso di affidare a qualcun altro la nostra scoperta, non credi?” chiese, girando tra le mani il fascicolo: “Voglio fare una semplice ricognizione. Entrare, guardare cosa combinano al loro interno, incontrare uno dei dipendenti e chiedergli qualcosa senza espormi troppo.”
Ivan sospirò, passando una mano tra i capelli: “Non ti ci vedo in un Night Club, a intrattenerti con un uomo e carpire informazioni…”
“Invece potrei sorprenderti.”
Ivan rise a quelle sue parole, non credendogli minimamente e Daniel arrossì appena, offeso per quella mancanza di fiducia da parte del collega.
“Per il pelo invece la scientifica ha già scoperto qualcosa?” domandò Ivan, cambiando discorso, cercando di far riprendere l’altro.
“No. Ci stanno lavorando, ma non sembra essere della vittima. Potrebbe essere del nostro colpevole o un qualche animale che ha incontrato in strada o da qualche amica. Fatto sta, che finché non avremo rintracciato qualcosa a riguardo, non possiamo escludere niente.”
“Ci potrebbero volere mesi… inoltre, sai meglio di me che se è un pelo di animale è una cosa del tutto inutile. Stupida tecnologia che non avanza di un singolo passo. Sembriamo ancora bloccati agli anni dell’anteguerra.” non c’era nemmeno bisogno di dirlo, Daniel capiva perfettamente quella sensazione di impotenza.
“Altro nella stanza?” aggiunse Ivan.
Daniel scosse la testa e abbassò lo sguardo sul fascicolo: “La stanza era pulita. Si sospetta che la morte della donna sia avvenuta in un altro luogo. Il capo è irritato al massimo. Da quando siamo tornati, ha bevuto cinque tazze di caffè.”
“Quindi la nostra unica pista è quel dannato posto.”
Daniel annuì e strinse la presa sul fascicolo. Non piaceva nemmeno a lui non avere niente in mano, ma quello era comunque un inizio. Probabilmente non sarebbe riuscito a convincere il suo superiore a mandarlo a indagare, ma era pur sempre qualcosa.

30 settembre ore 15.50 – strada principale di Rivendell
Un paio di occhi dorati si fissarono sul ragazzo dai capelli scuri e sul suo accompagnatore. C’era un odore strano che arrivava da loro, inoltre, qualcuno gli aveva detto che doveva guardarsi da entrambi ma l’odore di uno dei due era più pungente dell’altro e sentiva come se avesse dovuto tenerlo particolarmente d’occhio. La cosa gli sembrava strana, non l’aveva mai visto prima di allora ma sembrava a tratti familiare, come se qualcun altro che conosceva l’avesse già visto. L’odore che emanava era buono per essere un comune umano. L’olezzo che sentiva inoltre era quello di un mutante. Sputò a terra disgustato. Odiava quella razza creata dal governo; era contro natura.
Annusò l’aria cercando di tenere nelle narici solo l’odore dell’umano e sorrise continuando a osservarlo camminare, mantenendosi a una distanza che gli permetteva di seguirlo con gli occhi acuti ma purtroppo di non sentire cosa si stesse dicendo con l’altro giovane. Sembrava arrabbiato, o forse frustrato per qualcosa che non l’aveva soddisfatto.
“Puoi andare, adesso ci penso io.” al suono di quella voce, mentre si girava verso chi aveva appena parlato, la vista gli si appannò e gli sembrò perdere i sensi per un attimo.
Si svegliò nella sua stanza, accorgendosi che era passata più di un’ora. Fissò la sveglia sul comodino e sospirò, rimettendosi a sedere. Quello che era successo dopo che aveva visto il giovane era tutto confuso, come se un tir lo avesse investito. Riusciva però a ricordare la sensazione di pericolo e l’odore dei due giovani, qualcosa che sapeva di menta e un altro odore estraneo, tipo di qualche altro fiore di cui non sapeva il nome.
La porta della sua stanza si aprì e la confusione dentro di lui tornò di nuovo con un lampo argenteo.

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Capitolo 3
*** Confine ***


Questo capitolo partecipa al COWT10
M3: Sinfonie celestiali - “Nell’estasi o nel fango” di Michele Zarrillo

II Capitolo – Confine

 

2 ottobre 20XX ore 22.50 – Night club Horizon

Superò la guardia all’ingresso che l’aveva perquisito con un sorriso più imbarazzato che spavaldo e si diresse verso il centro di quell’immenso locale. Cercò di guardarsi intorno il meno possibile, fallendo miseramente, notando parecchie donne poco vestite e parecchi uomini che sembravano usciti da un deludente film di serie B. Senza niente da togliere a quei film, anzi, in realtà quel genere di film non gli dispiacevano.

Si appoggiò a un bancone con un’aria a dir poco annoiata dipinta sul volto, cercando di recitare per bene la sua sgradita parte. Nonostante fosse quello che aveva insistito per andare a indagare, essere lì in quel momento non era per niente facile, dato che non si sentiva per niente a suo agio in un simile ambiente. Non avrebbe mai ammesso con nessuno che i suoi colleghi avessero ragione nell’affermare che non era portato per indagare in un simile posto. Detestava che qualcuno pensasse che si trovasse lì per piacere e la mancanza del suo distintivo si faceva sentire.

In quel momento, se qualcuno avesse dovuto descriverlo, imbarazzato e annoiato sarebbero state le parole più adatte.

Daniel fece un respiro più profondo e svuotò la mente.

Era pronto a rischiare.

1 ottobre ore 11.30 – centrale di polizia di Rivendell

“Daniel, ho riflettuto su quello che hai detto l’altro giorno,” iniziò il comandante della polizia rivolto al suo sottoposto, in piedi davanti a lui: “… controllando con Ivan, abbiamo scoperto che all’ingresso dell’Horizon hanno una restrizione su alcune creature soprannaturali specifiche, non importa quanto facoltose esse siano. È un modo per tutelare i propri dipendenti, a quanto pare. Cosa che non si applica per i dipendenti, si possono trovare moltissime razze diverse.” l’uomo tossì dopo aver detto quella parola, come se nel pronunciarla ci fosse intriso tutto il suo disgusto.

“Nel mio dipartimento non ho agenti umani o più alti in grado che siano stati informati del caso, a parte te.” si fermò per un istante, come se il resto di quelle parole fosse troppo difficile da pronunciare “Mi vedo quindi costretto ad accettare, nonostante non voglia assolutamente farlo, la tua richiesta di prendere parte alle indagini sul campo. Almeno finché non ci sarà qualcosa di talmente importante che ci permetta di entrare con un mandato e fare le dovute domande del caso ai proprietari e ai dipendenti.” 

Le sue parole tradivano tutto il suo fastidio per aver preso una simile decisione, e Daniel riusciva perfettamente a leggerglielo sul volto. Ma non gli importava. L’importante era aver avuto l’occasione che aspettava.

Il volto del giovane assunse un’espressione che poteva essere definita grata, e forse in minima parte entusiasta per l’opportunità ricevuta: “Non la deluderò signore. Ripagherò la fiducia che sta riponendo in me.”

“Mi raccomando, non scoprirti troppo e soprattutto non combinare guai. Come ti dicevo, non tutte le persone che lavorano all’interno dell’Horizon sono semplici esseri umani, inoltre, la cosa più importante è che devi ricordarti che sei sotto copertura, non potrai andare lì dentro mostrando il tuo distintivo, dovrai agire in incognito. Spacciati per un cliente, che ne so, seduci qualcuno con il tuo aspetto. Sei giovane, sono più che sicuro che assumendo un’aria da ricco figlio di papà in cerca di divertimento riuscirai a passare inosservato.”

La faccia del detective tradì il fastidio per il giudizio del suo superiore: “Ricco figlio di papà in cerca di divertimento?” si aspettava di dover agire in incognito, ma non pensava di spacciarsi per un cliente. Non poteva farsi in qualche modo assumere? “Pensavo che avrei potuto chiedere di essere assunto, non di dover frequentare i dipendenti spacciandomi per un cliente!”

Il comandante aggrottò le sopracciglia: “Abbiamo provato a far assumere uno dei nostri agenti e non siamo riusciti a nascondere in alcun modo il loro passato, nemmeno con il lavoro migliore dei nostri informatici. Hanno un controllo troppo alto quando si tratta di assunzioni e gli schermi mentali li insospettiscono anche di più che una risposta poco chiara.”

“Capisco.”

“Sono sicuro che riuscirai a inventarti qualcosa, puoi inventare la storia che preferisci, Ivan ti darà tutto il supporto informatico per farla combaciare, basta che non spifferi ai quattro venti di essere un poliziotto; inoltre, se la cosa non ti soddisfa, posso sempre mandare qualcun altro al tuo posto.”

“No, non è necessario! Non ho problemi a essere un perfetto figlio di papà in cerca di divertimento.” disse il giovane con un tono che faceva trapelare la sua soddisfazione per l’opportunità concessa.

“Perfetto, questione chiusa. Ah, un secondo…” il comandante lo fermò con un gesto della mano: “Come stai messo a livello di guardaroba? Hai cose migliori rispetto quello che indossi di solito a lavoro?” domandò sarcastico il comandante.

“Sta criticando il mio normale abbigliamento?” chiese a sua volta Daniel, sospettoso che quello non fosse ironia ma che nascondesse una parte di verità.

L’uomo sorrise facendo cenno di no con la testa e il giovane uscì dall’ufficio ancora più infastidito di prima.

2 ottobre ore 22.51 – Night club Horizon

E alla fine eccolo lì, appoggiato a un bancone a sorseggiare chissà quale drink dal nome impronunciabile. Fingendo di essere qualcuno che non era, avvicinando i dipendenti come se fosse un cliente. Non era così che aveva immaginato il lavoro sotto copertura, ma di certo avrebbe continuato quella piccola recita dando del suo meglio per passare inosservato e riuscire a recuperare tutte le informazioni che gli servivano per risolvere il caso.

Aveva deciso di seguire i consigli di sua sorella, e aveva messo una semplice camicia azzurrina, che secondo la ragazza s’intonava con i suoi occhi verdi, sbottonata per i primi bottoni e un paio di pantaloni del suo completo migliore, di un cupo blu notte. Non aveva aggiunto altro, né giacca né cravatta, ai piedi dei semplici mocassini e i capelli tirati indietro con del leggero e quasi invisibile gel.

Era quindi riuscito a entrare senza problemi, ma ora sarebbe arrivata la parte più difficile… Trovare qualcuno che avesse effettivamente incontrato la vittima. Magari colui che le aveva dato il biglietto. Quella “chiave” che gli mancava per completare il puzzle. Non aveva pensato molto a cosa potesse significare, aveva capito quasi immediatamente che quello fosse un biglietto da visita e che quella stampa fosse un nick per indicare il soggetto che si era visto con la donna. C’era qualcuno in quel posto che si chiamava come una chiave.

Key era quello che doveva trovare per avere qualche risposta.

“Benvenuto!” esclamò una voce chiaramente in falsetto di un uomo. Daniel, perso nei suoi pensieri, si fissò sulla figura che gli aveva parlato, notando che l’altro aveva tentato, con discreto successo, di assumere l’aspetto di una donna. Non aveva mai visto una drag queen e per un attimo rimase senza parole, era fantastica.

“Salve…” rispose al saluto con una voce che tradiva un certo nervosismo, rivolto alla persona dietro il bancone, che, aveva tutta l’aria, di essere uno dei pezzi grossi del locale.

“È la sua prima volta, signore?”

L’altro assunse un’espressione imbarazzata, quel tono che aveva utilizzato, quasi come se si stesse rivolgendo a lui come a un bambino, non gli piaceva.

“Posso consigliarle delle bellezze niente male… Ho dei giovanotti che farebbero al caso suo.” continuò la signora notando dalla sua faccia una risposta affermativa alla sua precedente domanda. Con un gesto della mano indicò un paio di uomini più avanti che sembravano tutto, tranne che il suo tipo.

“Veramente… Vorrei incontrare Key.” sussurrò il giovane, interessato alla reazione della donna davanti a lui nel sentire quel nome.

“È impossibile.” affermò l’uomo abbassando il tono della sua voce di qualche nota, fissandolo negli occhi.

Non si aspettava che gli sarebbe stato proibito, ma perlomeno la sua deduzione era esatta, esisteva un certo Key che lavorava in quel luogo. Lo guardò mostrando tutta la sua sorpresa: “Perché mai?” domandò cercando una spiegazione a quel rifiuto, assumendo un’espressione curiosa ma allo stesso tempo insoddisfatta per aver ricevuto un rifiuto. Di certo non credeva di essere ricevuto a braccia aperte, ma, nemmeno si aspettava la negazione nel vedere uno dei dipendenti.

“Kay si occupa solo delle nostre clienti, non vuole avere a che fare con gli uomini.” Daniel registrò l’informazione e la pronuncia esatta di quel nome, la donna dietro il bancone continuò: “Potrei però presentarti qualche altro ragazzo interessante.”  disse facendogli l’occhiolino e lasciandolo a dir poco senza parole.

“Sono interessato a lui.” notando il dubbio sul volto del dipendente, si sbrigò a precisare sperando che non facesse troppo caso al suo nervosismo: “Me ne ha parlato una mia cara amica e mi ha descritto quanto sia fantastico.” aveva concordato una storia con una delle clienti il giorno prima, e anche se avessero controllato, la faccenda della sua amica era più che vera. Anche se ciò gli era costato cancellare un bel po’ di multe al suo contatto.

Una mano gli si posò sulla spalla facendolo trasalire.

“Perché vuoi incontrarmi? Mi pare ti sia stato detto che io non sia affatto interessato agli uomini.” vibrò una voce alle sue spalle.

Daniel si girò e riconobbe immediatamente chi aveva davanti, restando semplicemente a bocca aperta. Capelli lunghi, legati in una coda bassa, occhi che brillavano di un chiaro e penetrante color argento, l’abito scuro e un’espressione tutt’altro che allegra sul volto. Chiuse la bocca per dire qualcosa ma rimase in silenzio, limitandosi a fissare l’uomo che aveva davanti.

“Oh, sei il ragazzo di quella notte…” sussurrò l’uomo davanti a lui con un sorriso divertito.

A quelle parole il detective ritrovò la sua mente. Non capiva nemmeno lui cosa fosse effettivamente successo e come fosse possibile perdersi dopo aver guardato in quegli occhi argentei ma scosse la testa ritrovando se stesso e tirando fuori una plausibile scusa da utilizzare con quel tipo. Con quelle parole l’uomo gli aveva dato la storia giusta da poter utilizzare senza destare il minimo sospetto.

“L’ho cercata dappertutto!” esclamò sorridendo all’altro dolcemente, almeno all’apparenza dolce, anche se in realtà si poteva vedere una forzatura nel renderlo più enfatico di quanto Daniel volesse: “La prego, mi permetta di rimanere almeno un’ora con lei.”

Kay guardò il ragazzo per quelli che sembrarono interminati istanti. Lo studiò per bene, il sorriso un po’ troppo enfatizzato, quel portamento che sembrava non essere minimamente adatto a quel luogo, il suo perdersi così facilmente a osservarlo. Sarebbe stato divertente vederlo rivelare i veri motivi per il quale voleva incontrarlo.

“Se è disposto ad accettare i miei prezzi, sarò ben lieto di accontentare la sua richiesta.” l’uomo era passato dal dargli del tu al lei senza tanti complimenti quando aveva accettato di averlo come cliente.

Si rivolse poi al proprietario dietro al bancone, che era rimasto a guardare senza parole entrambi e gli disse, gentilmente: “Faccio un’eccezione per questa volta Sally.” alla fine fece un gesto a Daniel, invitandolo a seguirlo fino alla sua stanza.

Daniel lo seguì con uno stato d’animo inquieto ma allo stesso tempo eccitato per finalmente aver avvicinato il suo obbiettivo. Nessuno dei due disse niente fino a quando entrambi non si furono accomodati su due poltroncine nella stanza personale di Kay.

“Preparo un drink” disse, mentre si rialzava e avvicinava al piccolo baretto da un lato della camera. Riempì due bicchieri con un liquido ambrato e senza che Daniel avesse effettivamente risposto a quell’affermazione gliene passò uno, risedendosi in poltrona.

Si fissarono per altri interminabili istanti, nessuno che voleva fare la prima mossa in quel gioco di silenzi. Vicini ma a distanza.

Il primo a rompere il silenzio fu Kay. Di scoprirsi non gli importava. Doveva capire quanto potesse essere fastidioso quel giovane per il suo futuro. Se stava sospettando di lui, o se era capitato lì per puro caso e le sue teorie fossero campate per aria.

“Allora signor poliziotto. Che cosa vuole domandarmi?” chiese l’uomo al giovane, mentre accavallava le gambe e prendeva un sorso dal suo bicchiere.

Daniel a quelle parole sbiancò. Che errore aveva fatto per farsi scoprire in un così breve tempo? Aprì la bocca per negare ma poi ci ripensò. L’altro non si sarebbe fatto convincere nemmeno con la migliore bugia, non aveva senso giocare quel gioco. L’avrebbe fatto condurre per il momento e avrebbe visto fin dove si sarebbe spinto.

“Come hai fatto a capire che sono un poliziotto?”

Kay sorrise e fu contento di non dover insistere nell’affermare quanto sospettava: “Non sembri proprio il tipo di persona che mi cercherebbe disperatamente soltanto per aver avuto un colpo di fulmine.”

“Non sono un idiota hai ragione, ma allo stesso tempo non credo sia l’unica cosa che te l’abbia fatto capire… cosa hai percepito grazie ai tuoi poteri?” chiese il giovane passando anche lui a dare all’altro del tu.

“Ohhh…” soffiò l’altro, quasi come se fosse ammirato da quella domanda: “È il tuo odore. Odori di sangue e carne in putrefazione e ciò significa che o sei un volgare assassino, o un poliziotto.”

Daniel posò il bicchiere che l’altro gli aveva passato su un tavolino vicino a lui. Non aveva osato toccare una singola goccia del liquido e aveva bisogno di avere entrambe le mani libere. Anche la sua posizione, dapprima più rilassata si irrigidì.

“Inoltre, l’odore che ti sento addosso è quello di una delle mie clienti, Cherry; fare due più due non è difficile per chi possiede un cervello.” concluse, giocando con il bicchiere e prendendo un nuovo sorso da esso.

“Cheriel Amanto è stata ritrovata deceduta tre giorni fa e all’interno del suo portafogli c’era questo biglietto,” espose mostrandogli il biglietto da visita del locale che aveva preso precedentemente all’ingresso: “dietro, al contrario di questo, c’era la stampa di una chiave.” tirò fuori una penna e fece il disegno stilizzato di una chiave sul retro del biglietto da visita, imitando nello stile e nella forma quello che aveva visto sul biglietto che aveva trovato alla donna.

“Il mio biglietto da visita… sei stato bravo ad arrivare a capire che potesse essere in qualche modo collegato a una persona.”

“Fare due più due non è difficile per chi possiede un cervello.” ribatté Daniel imitando quanto l’altro gli aveva detto in precedenza. Era bene che l’altro non lo trattasse troppo da stupido.

Kay sorrise alle sue parole e prese un ulteriore sorso dal bicchiere. Ormai aveva quasi finito il suo drink mentre Daniel il proprio non l’aveva minimamente toccato.

“Che tipo di creatura sei, signor Kay?” domandò curioso, dopo che aveva lasciato la scena del crimine non si era riavvicinato al corpo della donna, quindi quell’odore di sangue che diceva di sentire era quello di tre giorni prima e lui si era lavato prima di quella sera.

“Sono un demone.” rivelò l’altro come se fosse una comune razza. Cosa che non era. Trovare un demone era una cosa rara, soprattutto perché i loro esponenti non amavano raccontare ai quattro venti di essere dei demoni, per paura delle reazioni degli altri intorno a loro. Potevano fare talmente tante cose che nessuno ancora aveva capito fin dove si potessero spingere i loro poteri e se avessero effettivamente alcuni limiti alla loro influenza sugli altri. Mentre Daniel lo fissava, realizzò che gli occhi dell’altro non lo avevano ancora degnato di uno sguardo da quando erano entrati nella stanza, fissi sul bicchiere e il liquido al suo interno.

“Un demone? E cosa ci farebbe un demone a lavorare come accompagnatore?” chiese Daniel cercando di non far trasparire troppo l’incredulità dalle sue parole. Riflettendoci però, era probabile che fosse un demone del sesso, un succubus, o almeno credeva fosse quello il nome per coloro della sua razza.  Lavorare in un night club sarebbe stato in più di un modo conveniente in caso avesse ragione.

“È di rilievo per la sua indagine, signor poliziotto?”

“No, non allo stato attuale delle indagini.” Daniel chiuse appena le labbra, irritato per il suo evadere la domanda.

“Allora non sono tenuto a rispondere.” Kay si sistemò più comodamente sulla sedia, sorseggiando il bicchiere pieno di un liquore ambrato che Daniel non era riuscito a identificare solo con l’odore. Più passava il tempo a guardare il bicchiere dell’altro, più avrebbe voluto riprendere il proprio e berlo tutto d’un fiato.

Doveva resistere all’impulso di farlo. Non si fidava per niente di qualsiasi cosa ci fosse nel suo bicchiere.

“Quand’è l’ultima volta che l’hai vista?” chiese, iniziando a domandarsi perché l’altro passasse a dargli del tu e del lei con così forte frequenza, come se volesse mettere in evidenza le risposte che dava al Daniel civile e al Daniel ufficiale di polizia.

“Circa una settimana fa.” rispose, mentre con un gesto faceva girare i blocchi di ghiaccio nel bicchiere e prendeva con un ultimo sorso il resto del liquido nel suo bicchiere e lo appoggiava sul tavolino alla sua destra.

“Perché hai accettato di parlare con me?” chiese di nuovo, sperando che adesso che aveva finito di bere, l’altro alzasse lo sguardo su di lui, degnandolo finalmente di una vera attenzione.

“È di rilievo per la sua indagine?” domandò di nuovo, alzando lo sguardo su di lui per un istante, per poi allungare la mano verso il bicchiere di Daniel e prenderlo tra le sue mani.

“Sì.” ribatté quella volta azzardando un sorriso.

“Perché non ho nulla da nascondere.” rispose schietto, quella volta fissando il detective negli occhi.

Daniel ricambiò lo sguardo per qualche istante, specchiandosi negli occhi argentei del demone, sentendo la stessa sensazione che aveva provato la prima volta, perdendosi in quell’oblio argentato che sembrava trascinarlo sempre più a fondo di un pozzo. Staccò il contatto visivo e si accorse di riuscire a respirare di nuovo, come se quegli occhi avessero avuto su di lui uno strano maleficio. Era forse possibile? Avevano quel tipo di poteri? Incantare con un semplice sguardo coloro con cui parlavano?

“Sei deluso?” domandò Kay sorridendogli: “Forse avrei dovuto dirti che sono rimasto colpito da te e volevo avere solo una scusa per parlarti?” domandò sarcastico passando a una voce più sensuale, come se si fosse ricordato che l’altro era al momento un suo cliente, e niente di più. Continuava forse a prendersi gioco di lui come aveva fato all’inizio?

“Affatto.” rispose il giovane: “Conosci qualcuno che avrebbe potuto avercela con la vittima?” pensò che ignorare le sue provocazioni sarebbe stato meglio che assecondarle o ribattere a tono, così tornò a fare domande inerenti il caso.

“No. Cherry non mi parlava molto di sé.” l’altro non sembrava esserci rimasto male per il suo ignorare le provocazioni, alzò il bicchiere alle labbra e bevve ancora.

“Hai delle altre clienti che avrebbero potuto provare gelosia nei confronti della vittima?” non sospettava particolarmente che una delle sue clienti umane fosse la colpevole del caso ma ogni pista doveva essere indagata.

“No. Ho molte clienti, ma… non farebbero niente del genere.”

Quell’uomo era strano. Daniel avrebbe quasi giurato che nelle sue parole si nascondesse qualcosa che volesse fargli intendere che sapeva tutto quello che era successo. Perché gli parlava in quel modo sospetto? Che fosse in realtà proprio quel demone il suo colpevole? Allora perché stava rispondendo tranquillamente alle sue domande? Un’altra tattica? Magari per evitare che sospettasse di lui a causa del suo atteggiamento collaborativo? Scosse mentalmente la testa e sospirò, girando il polsino della camicia, nervoso per le troppe domande e teorie che il suo cervello gli stava suggerendo.

Forse era il caso di andare via. Sentiva di star perdendo del tempo prezioso ma allo stesso tempo voleva continuare a fare domande a Kay, sperando che magari si sarebbe in qualche modo tradito se fosse stato effettivamente il colpevole dell’omicidio.

“Da quanto la conoscevi?” chiese, sperando che le domande nella sua testa si calmassero.

L’altro sembrò rifletterci: “Da qualche settimana.”

“Siete…” si bloccò un istante ma poi riprese senza ulteriori tentennamenti: “… stati a letto insieme?”

“Sì.” rispose senza nemmeno un’esitazione nel rivelare certi particolari. D’altronde la sua era una domanda superflua, dubitava che i clienti venissero al locale e pagassero un conto così alto semplicemente per farsi due chiacchiere. Forse avrebbe dovuto appuntarsi qualcosa delle sue risposte, ma era abbastanza sicuro di riuscire a ricordare tutte le sue risposte.

“Non mi hai detto il tuo nome.” disse l’altro, manifestando per la prima volta interesse nell’interlocutore, posando il secondo bicchiere ormai vuoto sul basso tavolino alla sua destra, vicino a quello che aveva precedentemente finito.

“Daniel.” rispose il ragazzo non pensando minimamente di dargli un nome inventato.

“Se l’idea ti aggrada potrei accettarti come cliente abituale, non sei troppo male per essere un esemplare maschile.” disse sorridendogli.

Un leggero fastidio si lesse sul suo volto a quelle parole, si stava prendendo gioco di lui, di nuovo. Era tutto un gioco per quel demone, non gli interessava altro che divertirsi con qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Inoltre, davvero aveva detto “esemplare maschile”?

“La vostra razza è longeva?” domandò scegliendo di nuovo di ignorarlo, anche se provava un certo fastidio con se stesso perché doveva ammettere di aver veramente riflettuto sulla sua proposta per un attimo.

“Come prego?” in maniera del tutto inaspettata, Daniel vide passare un lampo di pura sorpresa negli occhi del demone, come se quella domanda l’avesse totalmente spiazzato.

“La vostra vita. Potete vivere per quanto? 100 anni? 200? Invecchiate?” scosse la testa pensando che se anche l’altro avesse voluto rispondergli, nulla gli avrebbe assicurato che le sue parole fossero la verità. La vita dei demoni, i loro poteri, la loro storia… tutto era avvolto nel più oscuro mistero. E lui non avrebbe potuto risolverlo parlando tranquillamente con uno di loro. Si alzò in piedi quasi di scatto: “Lascia stare… non aveva a che fare con l’indagine, era una mia curiosità personale.” sorrise, sperando che l’altro non facesse troppo caso alla domanda che aveva posto: “Sarà il caso che vada, è quasi passata un’ora e il mio superiore non sarà felice di pagare il salato conto che gli porterò in centrale.”

“Aspetta…” disse il demone avvicinandolo e porgendogli un biglietto simile a quello di quella donna.

“Con questo sei ufficialmente un mio cliente. Sally non ti darà più fastidio e ho aggiunto il mio numero di telefono, contattami e chissà, forse, ti risponderò.” concluse sorridendo, scoprendo dei denti di un bianco quasi irreale e dei canini leggermente più appuntiti di quelli di un essere umano normale.

Daniel prese il biglietto con sospetto e fece per avviarsi alla porta.

“Riguardo la tua domanda di poco fa, alcuni demoni possono vivere per tutta l’eternità…” disse, per poi aprirgli con galanteria la porta della stanza, facendolo uscire fuori.

“Per l’eternità…?” ripeté l’altro come sconvolto da una simile aspettativa di vita. Stava per fargli un’ulteriore domanda quando Kay fu più veloce di lui nel formulare i saluti.

“A presto, signor poliziotto, ricordati di saldare il conto prima di uscire.” informò, chiudendogli praticamente in faccia la porta della propria stanza.

“Ma che diavolo…” borbottò Daniel tra sé scendendo malvolentieri a saldare quanto doveva per quell’ora passata insieme. Quando gli fu presentato il saldo sbiancò, il suo stipendio giornaliero era infinitamente sotto quella cifra. Sperava solo che il tutto gli fosse rimborsato in qualche modo, soprattutto vedendo due zeri accanto al primo numero.

2 ottobre ore 23.54 – Interno della stanza 303 Horizon

“Il poliziotto è un piacevole imprevisto, da ciò che ha domandato sembra aver già idea degli omicidi degli anni precedenti, non so in quale modo…” versò nuovamente da bere nel suo bicchiere e lo finì in un solo sorso. Poi riempì un altro bicchiere per lui e il suo ospite, posandolo tra le sue mani.

Si affacciò alla finestra della propria stanza vedendo il poliziotto cercare di attirare l’attenzione di un taxi giallo che lo ignorò completamente: “Forse potrebbe tornarmi utile in più di un modo.” ripensò al loro incontro e la strana scarica elettrica che aveva provato nel raggiungere i suoi occhi quando quella notte l’aveva chiamato per strada. C’era stata una connessione tra loro, l’aveva sentito anche lui. Come se si fossero già incontrati.

“La rincarnazione potrebbe non essere così lineare come pensavo, qualcosa potrebbe essere andato storto nella scelta…” si passò una mano sul volto, poi chiuse le tende dopo aver visto il giovane sparire in un taxi che l’aveva finalmente degnato di un’attenzione e sorrise tra sé.

“Forse potrei provare a dare una possibilità a questo ragazzo, tentare non costa nulla e potrebbe rivelarsi un gioco interessante, lo stimolo che aspettavo.” si rivolse quindi all’altra creatura nella stanza con lui e sorrise: “Mi servirà il tuo aiuto.”

5 ottobre 20XX ore 09.12 – Laboratorio della scientifica di Rivendell

“Avete scoperto qualcosa su quel pelo trovato sulla scena del crimine?” domandò Daniel a una dottoressa del laboratorio.

“Purtroppo per noi, è un pelo di mannaro.”

“Assurdo.” disse Daniel avvicinandosi al microscopio per esaminare il pelo con i suoi occhi. Lo sapeva dal primo momento in cui la sua attenzione era andata a quelle scarpe. L’assassino voleva fargli trovare quella prova. Era stato piazzato lì, come negli altri casi.

“Sì, un pelo di un mannaro adulto, sui quarant’anni. Colore dei capelli scuro: marrone rossiccio. Di sesso maschile.”

“Ne è sicura?”

“Certamente.” rispose la dottoressa infastidita da quella mancanza di fiducia nel suo lavoro: “Abbiamo fatto tutte le analisi, non possiamo spingerci oltre come ben sa.”

Sapeva benissimo che ulteriori indagini non avrebbero portato ad ulteriori elementi, ma avevano scoperto che il pelo apparteneva a un mannaro. Sapeva benissimo che non poteva essere il suo colpevole, soprattutto perché non avrebbe mai accettato una soluzione a quel caso come gli anni precedenti. Un lupo mannaro come colpevole equivaleva ad ammettere la sconfitta della sua teoria. Una teoria che l’aveva accompagnato per tutti i suoi anni in accademia e durante lo studio per diventare un detective. Se gli toglievano quel caso, gli toglievano tutte le sue convinzioni.

Era sicuro della sua teoria. Che qualcuno aveva voluto far scoprire quel pelo. Collegarlo con un mannaro, così come aveva fatto in precedenza. Di certo non si aspettava che qualcuno avrebbe collegato un caso del genere con quelli risolti di trent’anni prima.

Sospirò appoggiandosi all’interno dell’ascensore per tornare alla centrale.

Avrebbe scoperto gli elementi che gli mancavano e avrebbe arrestato il vero colpevole. Il volto del demone di nome Kay balenò nella sua mente.

Era una persona sospetta, intelligente e calcolatrice. Non avvertiva alcun pericolo stando vicino a lui, ma, c’era qualcosa di strano nel modo in cui l’aveva guardato e per come gli aveva parlato. Sicuramente conosceva qualcosa che lui ancora ignorava.

Ripensò alla scarica elettrica che aveva provato a incontrare i suoi occhi quella prima notte di luna piena. C’era qualcosa in lui che non poteva ignorare, nemmeno se avesse voluto.

Rimaneva nella lista dei sospetti per via dei suoi rapporti con la vittima e soprattutto perché continuava a ripensare alle sue risposte dirette. Ripensava al suo modo di non interessarsi per niente alla conversazione, al fatto che stava parlando con un ufficiale di polizia. Un colpevole l’avrebbe mai fatto? Avrebbe mai risposto a tutte le sue domande in maniera così limpida? Forse, ma poteva essere la parte di un piano più grande e di gran lunga più complesso di quello che lui avrebbe potuto immaginare.

Quello che doveva fare era chiaro nella sua testa. Parlargli ancora una volta. Non gli importava quando gli ci sarebbe voluto, quanta energia avrebbe dovuto impiegare per raggiungere il suo obiettivo.

Fece un respiro più profondo.
Era pronto a rischiare un po' di più.

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Capitolo 4
*** L'appeso ***


Questa storia partecipa al COWT10
M2: parole che il cuore sussurra
Non sapevo se potevo iniziare con un'introduzione del luogo come faccio negli altri capitoli, in caso ho usato l'iniziale del mio nick in entrambe le frasi iniziali (nick = Renx)

III Capitolo – L’appeso

 

Rivendell, casa Fermian – 24 ottobre 20XX ore 16.20

Respirando una boccata d'aria fresca, il ragazzo si affacciò alla finestra della stanza fissando un punto imprecisato della strada sottostante, sperando di notare un bagliore argenteo. La casa vicina era come al solito imponente, ma decisamente ridotta in pessimo stato. Da quanto tempo i suoi vicini non davano una bella potata agli alberi in giardino? Troppo tempo di sicuro.

A parte le case a schiera, intorno a loro non c’era molto. C’era un piccolo rivo posto a circa cinquecento metri dal complesso residenziale, una vecchia fabbrica ormai inutilizzata da anni e un lungo stradone che portava fino al distretto in cui abitava costeggiato da ogni dove da bancarelle, presenti solo nelle ore diurne, che vendevano ortaggi e oggetti a poco prezzo e da piccoli negozietti che non attiravano molta gente se non gli abitanti della loro zona. Le altre case erano poste a circa 100 metri dalla loro, accoppiate a due a due. Di solito non c’era molta gente da quelle parti, ma quella mattina, così come ogni domenica, la strada e la porta della sua casa erano fastidiosamente affollate.

Pensandoci bene, da qualche mese ormai aveva smesso di considerarlo strano, essendo quello il giorno libero di sua sorella. La domenica la ragazza apriva eccezionalmente la loro casa per offrire predizioni a poco prezzo che le permettevano di divertirsi e di guadagnare qualcosa; dato che si lamentava sempre che quello che guadagnava dal suo lavoro come insegnante in una scuola materna non era abbastanza per iniziare a pensare di mettere su famiglia.

Serin era molto diversa da Daniel. I loro caratteri tanto per iniziare, ma poi c’erano molte altre cose. La ragazza aveva, al contrario del fratello, dei poteri di preveggenza che le permettevano di poter svolgere molto bene il ruolo d’indovina, inoltre era brava con le carte e a dosare le parole quando non le era chiara una predizione. Quindi non era strano che molte persone, soprattutto giovani donne, accorressero per farsi leggere le carte o la mano da sua sorella. Daniel era decisamente contrario alla cosa, ed entrambi non avevano più tirato fuori l’argomento perché lei si divertiva e riusciva anche a pagare una buona parte delle loro spese. Da parte sua, lui non aveva alcuna intenzione di farsi predire il futuro, perché la sorella si faceva troppo influenzare dalla loro parentela quando in passato aveva tentato di fargli le carte. Forse, Daniel nemmeno ci credeva troppo al destino. Era più per l’idea che il futuro di tutti non fosse scritto e che ognuno scegliesse come veramente vivere la propria vita. Scelte giuste o sbagliate che fossero. Sapeva che qualcosa era in serbo per lui, ma pensava fosse giusto poter decidere con la sua testa per quanto poteva.

Sospirando e chiudendo la finestra della propria stanza, decise di scendere di sotto per vedere se potesse essere utile a sua sorella. Non era da lui fare qualcosa durante i giorni in cui sua sorella lavorava, non essendosi mai interessato alla magia o alla predizione, ma, poteva rendersi utile nel distribuire dei talismani che la sorella creava per i suoi clienti, dandoli come omaggio a chiunque la visitasse o vedere se qualcuno voleva un po’ di tè.

“Serin, posso fare qualcosa per–” le parole si fermarono a mezz’aria quando vide l’uomo sorridente girato verso di lui che gli faceva un tranquillo segno di saluto con la mano, come se fossero grandi amici.

“Grazie Dan ma non serve, va tutto alla grande” trillò la ragazza girandosi verso di lui, visibilmente contenta di poter parlare con l’uomo dai lunghi capelli argentei.

“Che piacevole coincidenza.” salutò il cliente rivolgendosi al giovane, alzandosi dalla sedia come se avesse incontrato un vecchio collega di lavoro.

Daniel inghiottì mal volentieri il rospo di essere stato rintracciato così facilmente e cercò di sorridergli, riuscendo unicamente a mettersi sul viso un’espressione che sembrava più di disgusto che di felicità: “K-Kay, che cosa ci fai qui?” domandò avvicinandosi.

Da quando lo aveva avvicinato la prima volta al locale, e aveva sborsato quella terribile cifra, che sarebbe arrivata con lo stipendio del mese successivo, Daniel aveva preso l’abitudine di andare da lui almeno una volta a settimana, per fargli delle domande e per tenerlo d’occhio in qualche modo. Fortunatamente il dipartimento gli rimborsava le spese e anche Kay aveva deciso di fargli un prezzo di favore, così che il suo fastidio di pagare si era un minimo ridotto. Lo aveva visto un paio di volte anche intorno ai posti che frequentava, non aveva certezze che non fossero coincidenze ma adesso era arrivato a un punto in cui non era tanto sicuro su chi stesse effettivamente sorvegliando chi. La faccenda iniziava a essere strana per i suoi gusti. Venire a casa sua era un atto che non avrebbe dovuto fare.

“Volevo una predizione. Ho sentito tanto parlare di lei da una delle mie clienti e non ho resistito alla tentazione di incontrarla.” in realtà si stava riferendo a lui, che gli aveva per sbaglio parlato di ciò che faceva sua sorella.

La ragazza arrossì e sorrise: “Non sono brava come dicono le voci”

Daniel sbuffò a quella falsa modestia di sua sorella. L’aveva sentita troppe volte elogiare le sue doti da indovina per crederle. Kay non sembrava dello stesso avviso, mentre le sorrideva comprensivo.

Le clienti del locale, che avevano creato un cerchio attorno al tavolo, ridacchiarono e una di loro si attaccò al braccio di Serin: “Le tue predizioni non sbagliano mai. Tutti quelli del distretto vengono da te, lo sai.”

Daniel si rivolse, irritato per la piega della situazione, al demone: “Sei quindi venuto per farti predire il futuro da mia sorella?” domandò, calcando la parola “sorella” con fastidio.

“In effetti, notavo una certa somiglianza, il gene della bellezza si tramanda nella vostra famiglia, per caso?” pronunciò quelle parole sorridendo come se avesse appena detto che fuori c’era il sole.

Il giovane arrossì nello stesso modo della sorella, ma al suo contrario sbuffò irritato: “I tuoi complimenti non funzionano, te l’ho già detto, non sono una delle tue clienti.”

Kay si avvicinò appena all’orecchio dell’altro, abbassando il tono della voce per non farsi sentire dagli altri intorno a loro: “Ma lo sei in realtà.” soffiò con il solito tono usato ogni volta apposta per dargli fastidio, guardandolo fissare nervosamente il pavimento.

Daniel non digeriva niente di quello che stava accadendo, a partire dagli sguardi curiosi di sua sorella e gli altri clienti e ingoiò il rospo senza rispondere.

“Non dovevi farti predire le carte da mia sorella? Smetti di perdere del tempo con me e vedi cosa ti riserva il futuro.”

“Ho un’idea migliore, che ne diresti di fare tu la predizione al mio posto?” domandò il demone.

“Tua sorella mi ha già fatto una predizione più che sufficiente, non ho bisogno di altro.” aggiunse, con un sorriso.

“No, non indento assecondarti.”

“Ma come? Hai paura delle carte?” insistette Kay sogghignando divertito.

Daniel si sedette sulla sedia dove poco prima vi era l’altro a parlare con sua sorella, e sbuffò: “Ah! Perché mai dovrei avere paura? Non volevo far perdere del tempo a mia sorella e ai suoi clienti.”

“Non ci vorrà molto.”

Daniel guardò sua sorella, cercando da lei un appoggio che non arrivò.

“Certo che vai proprio d’accordo con questo tuo amico di cui non mi avevi parlato, Daniel.” calcò l’ultima parte della frase e iniziò a mischiare le carte che aveva in mano.

“Non ti ci mettere anche tu.”

“Farò in fretta, siediti.” disse Serin aspettando che si sedesse di fronte a lei. Non amava fare le carte a persone di cui gli importava, perché le sue stesse emozioni potevano influenzare il flusso delle carte, però era anche interessata al perché suo fratello avesse accettato l’invito dell’altro, cosa che non sembrava proprio da lui. Convincerlo a farsi predire il futuro, seppur per semplici frivolezze era pressoché impossibile e doveva lottare per avere da lui qualcosa di più di un grugnito di assenso. Chi era l’altro per lui? Senza accorgersene, quella domanda divenne il fulcro della sua predizione per il futuro di suo fratello.

Iniziò a porre le carte per poi girarle e dare il responso per ognuna.

Erano uscite delle carte banali, Daniel non aveva avuto chissà che predizione, tutto nella norma, tra cui anche un eventuale colpo di fulmine. La penultima carta fu l’inizio della fine.

“L’appeso… Stai affrontando dei pericoli lungo la tua strada. E questi non cesseranno.” sollevò delle carte per capire al meglio quello che intendeva la carta dell’appeso e il suo volto si fece scuro. Stavano uscendo i semi peggiori e le loro caratteristiche singole non preannunciavano nulla di positivo, nemmeno nella risoluzione del conflitto: “Ci sono e ci saranno delle morti.” si fermò un istante girando lentamente un due di spade, una voce dentro di lei le stava intimando di fermarsi.

“Infine…” sollevò una carta per concludere la predizione dell’appeso e uscì l’ultima carta del seme di spade. Era impossibile ricordare tutte le combinazioni delle carte, ma quella era fin troppo chiara. Guardò l’ultima carta e decise che non l’avrebbe voltata.

Avrebbe preferito non sapere, non era il caso andare oltre.

“Infine che cosa?”

Serin deglutì e rifece un piccolo mucchio con le carte che aveva utilizzato, non vedendo la carta che sarebbe dovuta uscire.

“Ehi!” esclamò Daniel, mentre la sua previsione scompariva alla velocità della luce “Non puoi lasciarmi senza una conclusione! Non hai nemmeno guardato la carta!”

Serin ridacchiò: “Non c’è bisogno di farlo, supererai tutti i problemi come sempre, non hai bisogno di una previsione, no?”

Un vociare confuso si levò tra i clienti, non capivano nemmeno loro cosa fosse accaduto, ma non avevano mai visto la ragazza così sconvolta da una predizione.

Kay aveva osservato la scena per tutto il tempo. In realtà grazie ai suoi poteri, era riuscito a vedere la carta che si celava alla fine della predizione, ma non aveva idea di dove avrebbe portato avere un simile arcano nella mano del giovane. Forse però, avrebbe potuto sfruttare la previsione a suo vantaggio e turbare le idee dell’altro.

Daniel si alzò infastidito e scrollò le spalle: “Ecco perché non mi faccio predire il futuro da te, hai sempre paura di arrivare fino in fondo a una previsione, soprattutto se sembra negativa.”

“Mi dispiace, non avrei dovuto chiedere di farti leggere le carte.”

“No, non importa, fatti fare una predizione, compra un amuleto, fai come preferisci, io me ne torno di sopra a lavorare; buona giornata.”

Il demone sorrise.

24 ottobre ore 17.05 – Camera di Daniel

Si era buttato sul letto e osservava da un tempo infinito il soffitto, ripensando nuovamente alla predizione che gli era stata appena fatta. Era abbastanza facile intuire dove dovessero portare quelle carte. Una serie di uccisioni che alla fine sarebbero culminata con la sua. O almeno questo era quello che aveva pensato sua sorella, temendo nel girare l’ultima carta e dar vita alla sua stessa predizione. Odiava quando faceva così. Vedeva delle cose nel suo futuro a metà perché spaventata e lo lasciava con il dubbio di quello che sarebbe successo. Non sempre si trasformavano in cose negative, quindi non sapere la fine di una previsione era sempre quello che più l’aveva portato ad allontanarsi da quel mondo.

Il problema era che adesso non riusciva a smettere di pensarci. Era meglio sapere piuttosto che continuare ad arrovellarsi su quale carta potesse essere.

TOC TOC

“Serin, vattene, a meno che tu non abbia la soluzione alla tua predizione, non voglio vederti.” borbottò il ragazzo non spostandosi da quella posizione.

“Potrei aiutarti.”

“Vattene, con te non voglio avere niente a che fare.” disse, riconoscendo la voce del demone.

Kay, non curandosi di quelle parole, entrò nella stanza del giovane chiudendo dietro di lui la porta.

“Non mi hai sentito? Ti ho detto che con te non voglio parlare” esclamò per poi girargli le spalle, mettendosi su di un fianco. Era proprio l’ultima persona che voleva vedere al momento. Era colpa sua se adesso non faceva altro che pensare a quella mezza previsione e al suo futuro circondato da omicidi. L’altro posò due tazze di tè sul comodino, ignorando le sue parole.

“Mi ha mandato tua sorella… ti ha preparato il tè e ha chiuso la sua piccola attività per iniziare a preparare la cena, pensava ti servisse compagnia.” disse, avvicinandosi al letto, sperando che l’altro gli rivolgesse di nuovo uno sguardo. Non gli piaceva trovarsi in quella situazione.

Era interessante la compagnia di quel ragazzo, ma la situazione era sfuggita di mano e lui non era certo il tipo che voleva consolare qualcuno o rassicurarlo che sarebbe andato tutto bene. Soprattutto perché era probabile che quella previsione fosse legata a lui e a quello che stava facendo. Daniel sarebbe potuto benissimo essere ucciso dalle sue mani, oppure chissà, forse sarebbe successo il contrario e l’altro l’avrebbe finalmente fermato.

“D’accordo, adesso vattene per favore.”

Il demone sospirò. Gli umani erano strani delle volte. Quelle parole non rispecchiavano per niente quello che l’altro voleva in quel momento, lo capiva perfettamente.

“Va tutto bene? Sembri sconvolto dalla predizione di tua sorella.” Kay si era abbassato verso di lui, mantenendo una delle espressioni che più lo infastidiva, il sorriso di cortesia. Daniel sbuffò e si mise a sedere, lasciandogli spazio, nel caso volesse, di mettersi accanto a lui. Apprezzava quello che stava cercando di fare, ma non ne aveva bisogno. Non voleva una spalla su cui piangere o qualcosa di simile, aveva bisogno di sapere cosa avesse visto sua sorella di così grave nel suo futuro.

“Puoi rimanere, ma non azzardarti a infastidire mia sorella.”

“Non preoccuparti, lei non prova alcun interesse nei miei confronti, e nemmeno io; non posso di certo tradire i miei clienti” disse sorridendogli divertito alludendo all’altro, notando la sua espressione infastidita.

“Smettila di parlarmi in questa maniera, ti avrò detto anche troppe volte di non trattarmi come una tua cliente.” sbuffò, sistemandosi meglio sul letto e afferrando una delle tazze fumanti.

“Tua sorella mi ha invitato a cena e mi ha detto di venire a controllare come stavi… ha inoltre aggiunto qualcosa tipo di giocare insieme finché la cena non sarà pronta, o una cosa del genere…” fu interrotto da un borbottio di Daniel.

“Non ci posso credere, mi tratta ancora come un moccioso che porta i suoi amici a giocare a casa con i video giochi, comunque, se la vostra intenzione era di farmi stare meglio, beh, non ha avuto l’effetto sperato, anzi, adesso sono ancora più infastidito di prima.”

Kay sorrise a quelle parole, un sorriso vero, che l’altro non notò sul suo volto, troppo impegnato a soffiare sulla tazza fumante: “Non devi pensare a quella predizione, era incompleta, non necessariamente avrebbe portato a qualcosa di tragico”

Il fatto che dentro di lui pensasse che qualcosa di tragico sarebbe accaduto lo portava a provare una strana stretta al cuore, qualcosa che non provava da ormai troppo tempo. Si stava affezionando a quel ragazzo nonostante tutto, quindi sapere che potesse essere lui stesso la distruzione dell’altro gli faceva provare del rimpianto.

“Non ci sto pensando”

“Ti si legge in faccia che ci stai pensando,” disse tranquillamente l’altro sedendosi sul letto del giovane “ e che la cosa ti preoccupa.”

L’espressione di Daniel si rilassò appena, come un bambino colto in flagrante mentre ruba un biscotto di troppo: “Non sono proprio preoccupato, quanto più curioso da quell’ultima carta.”

“Non eri tu quello scettico, che non credeva nel destino prestabilito e che non apprezzava le doti di preveggenza della sorella perché secondo lui poteva vedere solo in un futuro prossimo e che nonostante tutto poteva essere cambiato?”

“Oh, sono impressionato dal tuo ricordare tutti questi dettagli, quindi mi stavi ascoltando durante l’ora estremamente salata che passavo con te.” ridacchiò.

“Ma certo che ti stavo ascoltando.”

“Sì, va bene.”

“Se ti consola, posso dirti quale fosse l’ultima carta.

Daniel si voltò verso di lui con gli occhi sbarrati: “Come hai fatto a vedere l’ultima carta?” chiese incredulo. Se era un altro dei poteri di quegli esseri, beh, sapevano fare di tutto.

“Quando tua sorella l’ha presa per riporla nel mazzo ho visto il numero dell’arcano, quindi posso dirti quale fosse con precisione.” un sorriso si allargò sul suo volto. Sarebbe stato così facile in quel momento mentirgli, dirgli un numero diverso, fargli credere che i suoi incubi potevano avverarsi da un momento all’altro.

“Voglio saperlo.”

Dirgli che era il numero tredici sarebbe stato un ottimo passo avanti per il suo piano, no? Era facile fargli credere di essere in pericolo, giurargli di rimanere con lui, di aiutarlo e proteggerlo se necessario, come un cavaliere dalla scintillante armatura. Peccato che non avrebbe funzionato con l’altro. C’era una certa fragilità in lui, ma non tale da fargli avere una tale fiducia da credere alle sue false promesse.

“Il mondo.”

“Sono venuta a vedere se serviva qualcosa e portare al mio fratello preferito i suoi biscotti preferiti.” Serin spalancò la porta della stanza del fratello agitando una busta di biscotti al cioccolato, urlando un po’ troppe volte la parola “preferito”.

“Oh, Rin, ci hai interrotti sul più bello” esclamò il demone dai capelli argentati girandosi verso di lei sorridente, mentre si allontanava dall’altro.

La ragazza arrossì terribilmente a quelle parole, pensando al peggio. Cosa aveva interrotto di preciso?

“No! Aspetta! Serin!” esclamò Daniel scivolando via dal letto: “Non stavamo facendo niente!” cercò di urlarle dietro per farsi sentire e per spiegare il malinteso, inseguendola per le scale.

Dal canto suo, Kay ridacchiò divertito.

24 ottobre ore 21.45 – Camera da letto di Daniel

Daniel sbuffava seccato guardando fuori dalla sua finestra la strada sottostante illuminata unicamente da un lampione che si accendeva e spegneva a intermittenza, inutile dire che gli altri fossero tutti fuori uso ma se l’unico rimasto si comportava in quel modo, beh, sperava si fulminasse presto per non dover più avere il fastidio di quella luce che andava e veniva. Per convincere sua sorella che stavano soltanto parlando c’era voluta un’eternità e quel maledetto demone non aveva di certo semplificato le cose con le sue frasi criptiche e maliziose. Ancora non capiva se parlava in quel modo per distrarlo o se cercava veramente di sedurlo, ma non gli doveva importare, lui era soltanto lavoro, niente di più, nonostante si spacciasse per il suo migliore amico. Era riuscito a convincere sua sorella che fosse un semplice conoscente del lavoro soltanto dopo aver giocato tutte le sue carte e fortunatamente la sorella sembrava aver accettato la sua versione.

Anche se quando l’altro se n’era andato lei aveva iniziato a chiedergli se fosse in qualche modo interessato all’altro e fosse un suo interesse amoroso. Negando con tutte le sue forze aveva più o meno convinto la sorella, anche se era rimasto sorpreso da quelle domande, pensava davvero che ci potesse essere qualcosa tra loro? Impossibile, perché avrebbe voluto dire che notava qualcosa nel suo comportamento che glielo faceva intendere. Non si faceva problemi e doveva ammettere che Kay era un uomo veramente avvenente e la sua vicinanza in quei giorni era stata piacevole e divertente, soprattutto parlare con lui; però era una questione di lavoro, non poteva mischiare il privato in quelle questioni, soprattutto perché nulla aveva ancora allontanato i suoi sospetti dall’altro.

“No, non ci posso pensare!” pensò scuotendo la testa, cercando di scacciarlo dai suoi pensieri.

“Che cosa ci facevi insieme a quella ragazza?” urlò una voce femminile giù in strada.

Daniel si sporse affacciandosi alla finestra per vedere meglio, sperando che il lampione non lo abbandonasse in quell’occasione. Una donna di bell’aspetto stava discutendo con qualcuno, coperto dall’oscurità e sembrava davvero arrabbiata.

“Non sono affari che ti riguardano.” quando l’uomo parlò Daniel lo riconobbe immediatamente. Era la voce di Kay. Senza nemmeno pensarci, uscì dalla propria stanza, correndo di sotto per raggiungere i due individui in strada.

Poteva accadere di tutto e se quel malinteso fosse nato a causa di sua sorella, beh, lui avrebbe potuto spiegarlo alla donna, sicuramente una sua cliente.

24 ottobre ore 21.43 – Esterno di casa Fermian, lampione ballerino

Kay incominciava a perdere la pazienza con la donna. Quel giorno era stato piacevole e adesso invece la donna non voleva saperne di smettere di piangere per via di una gelosia del tutto infondata su lui e la sorella di Daniel. L’aveva placcato mentre usciva dal vialetto della piccola villa e aveva iniziato a urlare, costringendolo a spostarsi più lontano dal portone della casa dei due fratelli per mettersi sotto la luce fioca di un lampione che non sembrava molto funzionante: “Adesso basta urlare e piangere Gwen! Calmati.”

La donna smise di singhiozzare e lo guardò infuriata: “Ti ho visto! Che cosa ci facevi insieme a quella donna?!” domandò alzando la voce più del dovuto.

“Non sono affari che ti riguardano, ho una vita fuori dal locale, lo sai.” disse sorridendole e tendendole una mano per portarla con lui in un luogo meno alla vista di tutti: “Non è il caso di parlare qui.”

“E invece è il caso! Voglio sapere tutta la storia… Ora! Qui! Voglio sapere se è qualcosa per te, se io… Se io sono qualcosa per te…” dannazione, se continuava in quella maniera, sarebbe finita molto male. Quella donna non era ancora veramente innamorata di lui, e lo usava solo come scusa per un matrimonio ormai finito da qualche tempo.

Il problema è che la maledizione sarebbe scattata nello stesso modo, anche se ancora non aveva un sincero interesse. Uno spreco e un fastidio se fosse accaduto proprio in quel luogo.

“Te lo dirò al locale… per favore, non aggiungere altro e vieni con me.”

Gwen scostò la mano di Kay più decisa di prima: “Tu non capisci! Io sono innamorata di te, ti amo!” esclamò gettandosi contro di lui.

“Sono trascorse appena… due… s-settimane, tu non mi ami veramente, non è possibile.” mormorò cercando di controllare la maledizione che si stava impadronendo velocemente di lui. Altre volte aveva tentato di controllare il proprio corpo, ma mai era riuscito nell’intento.

“No, io ti amo verament– ” le parole le morirono in gola e il suo petto fu squarciato dalla mano destra di Kay che si portò il cuore della donna alle labbra divorandolo in tre bocconi. Il corpo senza vita cadde a terra rumorosamente, e gli occhi senza vita della donna si posarono su quelli di un intruso inaspettato.

Passarono interminabili istanti, ma, come Kay si aspettava, non successe niente. La maledizione non era ancora stata spezzata. Quel cuore non aveva in sé alcun sentimento che lo potesse aiutare a sconfiggere il potere della maledizione.
“Un’inutile perdita di tempo.” disse il demone.

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Capitolo 5
*** Tradimento ***


Questa storia partecipa al COWT11
M4: You already know the answer to the questions lingering inside your head.


IV Capitolo – Tradimento
 
24 ottobre 20XX ore 21.48 – Esterno di casa Fermian, lampione ballerino
Si appoggiò al muro che separava l’incrocio trattenendo un conato di vomito, mettendo la mano sulle labbra, cercando di riprendere a respirare.
Che diamine era accaduto? Quella donna… Doveva assolutamente fare qualcosa, cercare qualcuno per aiutarla… No, era già morta, non avrebbe ottenuto niente. Era stato davvero Kay a compiere quel gesto? Era stato veramente lui a fare una cosa del genere…?
Iniziò a correre per tornare il più in fretta possibile a casa. Non poteva pensarci. Il Kay che conosceva, quello che poche ore prima gli aveva parlato gentilmente sembrava essere scomparso e aver lasciato posto ad una creatura che non sembrava nemmeno umana. Realizzò poco dopo che in realtà lui non era umano. Era un demone.
Nel vero senso della parola. Avrebbe preferito non vedere mai la sua parte demoniaca in azione, ma adesso che l’aveva vista, l’idea di quel corpo non se ne sarebbe più andato dalla sua mente. Si fermò travolto dal senso di disgusto per quello cui aveva appena assistito e iniziò a vomitare sul lato della strada.
Circa un minuto dopo che le fitte furono passate, si pulì le labbra con la manica della felpa e iniziò a respirare affannosamente per il nervosismo, il disgusto ancora presente dentro di lui. Kay era quello che l’aveva appena consolato. Quello che gli aveva promesso che non sarebbe morto, che sarebbe stato vicino a lui per proteggerlo. Quello che aveva deciso non potesse essere l’assassino. Colui che appena dieci minuti prima avrebbe solo voluto far scagionare dai sospetti che nutriva nei suoi confronti… E da qualche giorno la sua testa era piena solo di pensieri riguardanti quel demone. Pensieri che in quel momento lo portavano solo a essere disgustato.
Sbatté un pugno al muro della casa accanto alla sua cercando di riprendersi per non spaventare sua sorella. Se nella fretta non avesse scordato il cellulare avrebbe chiamato la centrale, ma ora doveva per forza entrare.
-L’hai visto allora?- domandò il demone comparendo alle sue spalle, fermandosi a qualche passo da lui. La sua espressione era insondabile, il buio lo avvolgeva completamente.
-Non ti avvicinare.- Daniel indietreggiò senza rispondere alla sua domanda, ma dicendogli indirettamente con quella frase e quegli occhi pieni di terrore, che la risposta doveva essere affermativa.
-Dan…-
-Non chiamarmi così! – per quanto spaventato fosse, il giovane esplose nel sentirlo rivolgersi a lui con il tono gentile di qualche ora prima. -Sei tu il colpevole di questi omicidi, non è vero? Sono sicuro che anche la donna scomparsa sia collegata in qualche modo a te…-
Kay si lasciò scappare una risata e si portò una mano sul volto.
-Che cosa hai adesso da ridere?- domandò il giovane cercando una possibile arma con cui difendersi non avendo con lui la pistola. Era lui quello che avrebbe dovuto ridere. Era uscito di corsa da casa propria per aiutarlo con quella donna, e invece adesso cercava qualsiasi cosa che potesse servirgli per proteggersi dall’altro.
-Rido per la stupidità di voi esseri umani, di quanto voi possiate essere spaventati ma rimanere nello stesso punto per un senso macabro di orgoglio. Hai paura ma invece di scappare stai cercando di guadagnare tempo. Probabilmente vorresti svolgere il tuo dovere di poliziotto. Pensa forse di arrestermi, signor detective?- domandò sarcastico.
Un lampo d’indecisione passò negli occhi di Daniel. Arrestarlo? Arrestarlo significava che non c’erano alternative, che quel demone era il colpevole. Significava che avrebbe dovuto smettere di parlare con lui e che avrebbe dovuto considerarlo per ciò che realmente era, un assassino.
Il demone rise di nuovo notando l’indecisione nel suo sguardo.
-I tuoi sentimenti nei miei confronti ti bloccano, Dan?- chiese avvicinandosi a lui.
-Non provo niente nei tuoi confronti!- rispose indietreggiando fino a toccare il muro della casa dietro di lui, vuota.
-Suvvia… Non negarlo anche a te stesso. Non è corretto giocare così.- disse, i loro corpi a pochi metri di distanza mentre continuava ad avvicinarsi.
-Fermati. Se non ti fermi…- il giovane s’interruppe a metà della minaccia, non sapendo effettivamente cosa aggiungere capendo che non aveva alcuna arma dalla sua parte. Anche se lo avesse colpito, non sarebbe riuscito a scappare, dove poi? Non poteva mettere in pericolo sua sorella fuggendo in casa.
-Devi soltanto rilassarti e stare tranquillo.- una mano sfiorò la fronte dell’altro, scostandogli i capelli dagli occhi, per poi indugiare sulla sua guancia. -Farò tornare tutto come prima.- aggiunse, sorridendogli stranamente dolce.
-Tranquillo? Come puoi dirmi una cosa del genere dopo quello a cui ho assistito? Sei un assassino! Mi hai mentito. Hai mentito su tutto ciò che mi hai detto finora.- domandò guardandolo negli occhi argentei. Stranamente si sentiva tradito. Tradito proprio quando aveva iniziato a fidarsi di lui. Non sapeva quando l’altro aveva guadagnato una simile fiducia da parte sua, ma sapeva che strappandogliela l’aveva deluso come poche altre cose prima d’ora.
-Non ho mentito. Semplicemente, non hai fatto le domande giuste e ho eluso la verità.-
-Se… Se ti costituisci spontaneamente, potresti riuscire ad evitare la pena capitale.- disse cercando di spostarsi da così vicino a lui. Era a disagio. I comportamenti di Kay l’avevano sempre fatto sentire a disagio. Preso in giro. Ma quella volta, sembrava stranamente sincero.
-Non ho intenzione di costituirmi.- sussurrò, prendendogli una delle mani tra le proprie.
-Dovresti.- mormorò il giovane tentando, senza successo, di mettere tutta la sua forza per staccarsi dalla sua presa.
-Ho cercato di essere gentile con te ma se proprio non vuole fare ciò che ti ho chiesto, mi trovo costretto ad agire per conto mio.- disse, senza volere alcuna risposta. -Lascia fare a me.- aggiunse il demone poggiando la mano libera sugli occhi del detective.
-Che diavolo fai?- domandò sentendosi come risucchiare via tutte le forze e non riuscendo più a muovere un solo muscolo, come se qualcuno lo stesse svuotando della sua linfa vitale.
Kay sorrise divertito avvicinando le proprie labbra a quelle socchiuse dell’altro per poi soffiarvi sopra:-Non ti ricorderai neanche di questo. Sarà come un brutto sogno per te.-
Chiuse poi la distanza tra loro non dando nemmeno il tempo all’altro per rispondere e stampò un bacio su quelle labbra che sin dal loro primo incontro lo avevano come chiamato.
Terminò con quel gesto la revisione della memoria del giovane.
25 ottobre 20XX ore 07.00 – Camera da letto di Daniel
BI BIP BI BIP BI-
Si svegliò di soprassalto completamente madido di sudore.
-Che…?- si passò una mano sul volto per poi sostare sulle proprie labbra.
Perché mai aveva sognato di baciare quel tipo? Era forse stata colpa della conversazione con sua sorella della sera prima?
“Di certo accetterei un tuo qualsiasi orientamento sessuale, ma… Devi stare attento, lo conosci da pochi giorni.” Dannazione, Serin gli aveva detto proprio quelle parole! Pensava davvero che ci potesse essere qualcosa tra loro due?
-Non ci posso pensare!- esclamò scuotendo la testa, riabbandonandosi subito dopo sul cuscino.
Strano… Eppure gli sembrava di aver già vissuto un simile momento. Era un deja-vù? Sorrise cercando di ricordarsi il sogno che aveva fatto. Cosa succedeva prima del bacio? C’era qualcosa che avrebbe dovuto ricordarsi, qualcosa di importante, ne era sicuro. Lui aveva mosso le labbra e gli aveva detto qualcosa che forse avrebbe dovuto ricordare.
Scese da sua sorella immerso in quei pensieri, cercando di ricordare il sogno appena fatto. Non capiva il perché ma più ci pensava più tutto diventava distante, non sapeva quello che succedeva prima di quel bacio, ricordava solo le labbra dell’altro sulle sue. E una sensazione di piacevole tepore in tutto il corpo.
Un’altra sensazione che non voleva abbandonarlo inoltre, era la paura. Aveva avuto una terribile paura pochi istanti prima di sentire le sue labbra catturare le proprie. Che cosa l’aveva spaventato così tanto? D’accordo, non gli era mai passato per la testa di poter fare un simile sogno, ma provare così tanta paura per un bacetto era assurdo. Daniel sapeva perfettamente che per avere una risposta a quei quesiti avrebbe dovuto in qualche modo sforzarsi di ricordare quello che avveniva.
-Daniel, va tutto bene? Ripensi ancora a quella predizione che ti ho fatto?- domandò la ragazza preoccupata, notandolo pensieroso.
-No, no, pensavo a un sogno che ho fatto.- anche se ora che la sorella l’aveva nominata, le carte dei tarocchi tornarono di nuovo a impossessarsi dei suoi pensieri. Qualcosa però lo rendeva stranamente tranquillo. E tutto si legava di nuovo a Kay.
-Un sogno?- chiese Serin avvicinandosi ai fornelli, cercando di finire la pastella per le frittelle che stava cucinando, per poi armeggiare con le tazze e la brocca di caffè.
Daniel annuì, sedendosi.
-Vuoi un’altra predizione? So leggere anche i sogni sai?- domandò sarcastica poggiandogli la tazza con il caffè latte davanti.
-No, preferisco evitare un’altra tua predizione. E comunque non è un sogno che ti possa interessare.- replicò, portandosi alle labbra la tazza.
-Riguarda per caso Kay questo tuo sogno?-
Per poco il caffè che stava bevendo non si rovesciò sul tavolo. Sua sorella lo leggeva anche troppo bene.
-Assolutamente no!- negò, forse con troppa enfasi.
-E che cosa ci facevi con lui ieri sera?-
-Non sono stato con lui ieri sera! L’ho salutato con te e poi non l’ho più rivisto. Inoltre, il sogno, non riguardava Kay.- mentì, cercando di convincerla.
-Uhm, se proprio vuoi negare per questa volta te lo lascerò fare. Ma ti do un consiglio gratuito per questa volta. Spesso i sogni sono degli avvertimenti su ciò che desideriamo normalmente.-
-Spesso, ma non sempre…- sussurrò l’altro arrossendo.
Serin sorrise e sfornò le ultime frittelle, posando il piatto al centro della tavolata, sedendosi con lui per mettere qualcosa sotto i denti.
Passarono più di dieci minuti senza dire una parola, Daniel immerso nei pensieri e lei che lo fissava indecisa su cosa dirgli. Mentre si rialzava per togliere il suo piatto e aiutare l’altro a sparecchiare, decise però che si era tenuta quella cosa anche fin troppo.
-Comunque… Non te l’ho ancora detto ma, vorrei scusarmi per ieri e per la predizione. Non avrei dovuto interromperla in quel modo. Ti ho fatto solo preoccupare. Mi sono spaventata perché stavano uscendo tutte carte negative una dietro l’altra. Probabilmente non ho letto bene le carte precedenti e devo averle in qualche modo influenzate mentre le giravo.- almeno questo era quello che la giovane continuava a ripetersi da quando aveva visto la morte del proprio fratello nelle carte. Parlargliene le era costato tutto il suo coraggio.
-Non preoccuparti. Non mi preoccupo delle predizioni, e anzi, come ben sai, non ci credo.- Daniel ridacchiò divertito alzandosi e cingendole la vita da dietro:- E poi sono un poliziotto. Noi non moriamo così facilmente, sai?- le appoggiò il mento sul capo, cosa che poteva permettersi superandola di più di mezza spanna in altezza, cosa che a lei aveva sempre dato fastidio ma che a lui tranquillizzava perché in qualche modo sentiva come di poter fare qualche volta anche lui il fratello maggiore.
-Sicuramente ho sbagliato qualcosa. Sai che la morte non è un brutto tarocco no? Sicuramente ti stava avvisando riguardo un avvenimento futuro. Dovevo guardare meglio invece di agitarmi per via delle altre carte. – Serin non si lamentò della vicinanza del fratello, limitandosi a una scrollata di spalle.
-Sono sicuro che non intendesse davvero la mia morte, di certo qualcosa ti è sfuggito.- disse stringendola dolcemente:-Noi due moriremo insieme così come siamo nati insieme.- sua sorella sorrise, staccandosi da lui e scompigliandogli i capelli.
-Mi sembra ovvio!- nelle sue parole non c’era il minimo dubbio: -Comunque, pensavo di invitare qualche volta Kay a cena…-
-Che cosa?! Ti ho detto come e perché l’ho conosciuto, no? Cerca di non stargli troppo vicina, rimane comunque un sospettato in un caso di omicidio.-
-Non preoccuparti non ho intenzione di mettermi tra voi due.- disse con un sorriso, facendogli l’occhiolino.
-Ma quale metterti tra noi due! A cosa vai a pensare?- domandò il giovane iniziando a farle il solletico.
-Ahahaha, fermati!- si lamentò la ragazza ridendo ma cercando di staccarsi il fratello di dosso che continuava a colpire i suoi punti deboli. Odiava quegli attacchi a sorpresa. Soprattutto quando era intenta a fare qualcosa. Rimasero a ridere per qualche altro minuto, poi, Daniel si staccò da lei, lasciandola fare ciò che stava facendo prima che la disturbasse.
-Bene. Punizione effettuata. Vado al lavoro adesso, tu mi raccomando, cerca di non stancarti troppo con i bambini.- disse dandole un bacio leggero sulla fronte. Parlare con sua sorella riusciva sempre a fargli dimenticare i brutti pensieri che lo opprimevano. Non sapeva cosa avrebbe fatto senza di lei. E questo valeva anche per Serin. Il legame che avevano era così forte che spezzarlo era impossibile.
-Buon lavoro!- disse la ragazza cercando di mantenersi allegra.
Nonostante tutto sapeva che qualcosa della sua predizione si sarebbe avverata. Suo fratello era nei guai. E quel Kay non la convinceva neanche un po’. Era sospetto, ed emanava delle strane vibrazioni negative. Di certo non era il semplice gigolò che le aveva descritto suo fratello. C’era qualcosa di più profondo nascosto dentro di lui.
Lo avrebbe tenuto sotto controllo. Niente le avrebbe strappato suo fratello.

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Capitolo 6
*** Nuove scoperte ***


Questa storia partecipa al COWT11
M4: Orietta Berti – Quando ti sei innamorato
“La senti e già lo sai che brucia dentro
Come una fiamma ormai ti lascia il segno
Quando mi guardi tu so quello che vorrei”
V Capitolo – Nuove scoperte
 
-Ti ho visto con quella donna…- la sua voce continuava a urlare parole che il giovane non riusciva a inquadrare in una conversazione già avvenuta.
-Che diavolo fai?- era la sua voce, ma, era come se non uscisse dalle proprie labbra. Lui era come uno spettatore di quel sogno, guardava tutto dall’esterno. Non stava vivendo quel momento, lo stava come guardando di nuovo.
Il buio. Era circondato dal buio. Dove si trovava? Che cosa stava succedendo? Una luce fioca illuminò il luogo facendo apparire una figura dai capelli argentei.
-Non preoccuparti, non … niente…- disse avvicinandosi al suo corpo immobile come in balia di una corrente che non poteva fermare o arginare.
2 dicembre 20XX ore 03. 48 – Camera da letto di Daniel
Si svegliò di soprassalto quando le labbra del demone si poggiarono sulle sue. Il respiro era affannato e gli sembrava come se avesse corso i centro metri in dieci secondi. Cercò di calmarsi e di far ritornare lento il respiro e il cuore che oramai andava a tremila. Era più di un mese che faceva quell’incubo. Ogni volta che sognava il demone e il loro bacio, si risvegliava sempre in quello stato. Che diavolo gli stava capitando? Possibile che stesse sviluppando dei sentimenti per l’altro nonostante tutto quello che stava scoprendo sul suo conto?
Le parole che diceva Kay ogni volta si ampliavano e diventavano più chiare, anche se ancora non riusciva a capirle. Non era un vero e proprio sogno, aveva in qualche modo l’impressione che avesse già vissuto quel momento, anche se la cosa gli sembrava assurda, non ricordando assolutamente di aver mai scambiato un bacio con l’altro. Non sapeva perché, ma era sicuro che se avesse risolto il mistero dietro quel sogno, tutto sarebbe stato più chiaro.
Si passò una mano sul volto cercando di non pensare a quello che aveva appena sognato. Probabilmente stava esagerando come suo solito, a causa di quel maledetto caso passava troppo tempo con il demone e stava iniziando a uscire pazzo per via del suo modo di fare e soprattutto dalle attenzioni che gli dedicava, trattandolo veramente come un suo cliente.
Sospirando, si rimise sdraiato per poi riaddormentarsi dopo essersi rigirato nel letto per quasi un’ora. Questa volta però, facendo un sonno senza sogni.
20 dicembre 20XX ore 19. 15 – Centrale della polizia – Rivendell
Daniel aveva sei fascicoli sparpagliati sulla scrivania.
Dall’ultimo caso la situazione si era evoluta in negativo. Dopo il primo omicidio, erano scomparse altre tre donne, era stato trovato un altro cadavere, proprio vicino a dove abitava il detective. Daniel non aveva mai visto la vittima, ma aveva avuto modo di analizzare le fotografie della scientifica. La modalità era simile per entrambi gli omicidi. Le donne non avevano segni di violenza e non avevano ferite a parte l’enorme squarcio sul loro petto che ne aveva causato la morte. Il cuore, era assente in entrambi i corpi. Per quel che riguardava la seconda donna c’era da dire che si trovava in un luogo molto lontano rispetto quelli che era solita frequentare e che, al contrario del primo omicidio, non aveva segni di rapporti sessuali recentemente avvenuti. Inoltre, al contrario della prima vittima, rivestita di tutto punto e posizionata quasi in posa sul letto della sua abitazione, nessuno aveva manomesso il suo corpo. Le somiglianze andavano unicamente per il modo in cui erano state uccise, per quanto riguardava il corpo e la sua posizione c’erano delle differenze, sembrava che quella volta l’assassino fosse stato come interrotto e anzi, non avesse messo la cura che c’era stata nel primo omicidio. Come chi viene interrotto sul più bello e deve lasciare la scena del crimine più in fretta del previsto. Nessun testimone però si era fatto avanti e anche il cadavere era stato ritrovato la mattina dopo, parecchie ore dopo la morte della donna.
L’unica cosa che sembrava accomunare i cadaveri e le donne scomparse oltre la modalità dell’assassinio era un’altra cosa.
L’Horizon.
Entrambe le donne decedute e due delle donne scomparse erano clienti fisse di un demone chiamato Kay. Il demone era stato interrogato ogni volta in cui un nuovo fascicolo si era aggiunto alla sua lista e ogni volta non aveva trovato niente con cui minare la sua innocenza, nonostante inoltre il sospetto rimanesse, non erano mai riusciti a incriminarlo o a farlo entrare nella lista di sospetti pericolosi che sarebbe stato meglio tenere sotto controllo.
Inoltre, lui e quel tipo erano diventati amici e Daniel iniziava a provare uno strano affetto nei suoi confronti, nonostante avesse cercato in tutti i modi di mantenere la loro relazione in maniera professionale, senza affezionarsi troppo, qualcosa era subito scattato dentro di lui, anche se a spiegarlo a parole era anche troppo complicato. Sua sorella avrebbe detto che si era innamorato, ma lui aveva escluso la possibilità, cercando di reprimere i sentimenti che comunque sentiva di provare nei confronti dell’altro.
Infine, come se non bastasse, da circa due mesi, aveva iniziato ad avere incubi più o meno ricorrenti su lui e quel demone che…
-Questo non lo scrivo nelle mie note personali…- mormorò il ragazzo chiudendo il taccuino su cui stava scrivendo fitto una rete d’informazioni pressoché inutili ma che lo aiutavano a tenere la situazione sotto controllo e ad avere un quadro completo di quello che stava accadendo nelle indagini. Ci ripensò subito dopo e sbuffando riaprì il taccuino riprendendo a scrivere. Aveva bisogno di appuntarsi tutto quello che sapeva e che gli passava nella testa. Compreso quel sogno.
Decise però di non segnare la parte finale dell’incubo, non era necessario scrivere proprio tutto. Kay era uno dei principali sospettati degli omicidi, se fino al momento si era salvato da un’incriminazione ufficiale era perché ogni volta sembrava avere un alibi stabile. Solo per il secondo cadavere forse si potevano avere degli appigli, ironia del destino, solo qualche ora prima il demone si trovava nella zona, ironia della sorte, a casa sua. Ma infine, non erano riusciti a ricavare niente, dato che sembrava che l’ora della morte fosse avvenuta quando il demone stesse già lavorando al locale.
Il secondo omicidio e il fatto che si trovasse stranamente in quella zona aveva reso Kay più sospetto agli occhi dei suoi superiori, che stavano discutendo sull’aumentarne la sorveglianza. I demoni poi erano una razza particolare nel loro mondo, nessuno sapeva bene che genere di cose potessero fare. Magari aveva il dono dell’ubiquità o poteva cambiare i ricordi delle persone facendo credere ai suoi clienti e datori di lavoro che fosse con loro in un momento diverso. Non avrebbe saputo dirlo e nemmeno tra i casi della polizia c’erano segnate molte informazioni.
La durata della loro vita era lunga, quindi per la sua teoria di collegare gli omicidi presenti e passati a un unico colpevole, Kay era sicuramente il candidato perfetto.
Per quello che lo riguardava però, ultimamente aveva rivalutato la sua possibile colpevolezza. Rimaneva sospetto, non la smetteva di provocarlo e di dargli i nervi, però, era anche vero che l’aveva aiutato in un paio di situazioni e l’aveva tirato anche su di morale. Quindi la parte che voleva credere alla sua innocenza era sempre più pressante rispetto a quella che voleva credere nella sua colpevolezza.
Per quanto riguardava l’Horizon affermava con tutto se stesso di non amare quel locale e ancora di meno chi lo frequentava. Alcuni dipendenti sembravano veramente strani e c’era uno di loro che ultimamente lo seguiva sempre con lo sguardo e che gli dava i brividi. Non capiva perché lo fissasse ogni volta che entrava dalla porta ma, soprattutto quando saliva di sopra nelle camere, sentiva i suoi occhi gialli che lo seguivano quasi rabbiosi, come se stesse commettendo il più grave dei crimini.
Aveva proposto più volte al suo capo di far diventare la sua visita ufficiale, ma quello gli aveva sempre risposto negativamente, sostenendo che avere un infiltrato fosse la cosa migliore che potesse loro capitare. Peccato che Daniel non la pensasse a quel modo.
Ivan invece sembrava divertirsi molto in quella faccenda, nonostante non lo riguardasse personalmente. Una volta aveva persino chiesto di portarlo per vedere qualche bella ragazza del locale e magari incontrare anche il famoso Kay. Per tutta risposta Daniel lo aveva fulminato con lo sguardo e ignorato i suoi successivi discorsi sull’argomento. Prese il nuovo fascicolo che era rimasto da un lato e si alzò mettendosi in tasca il taccuino. Guardò di nuovo la fotografia della donna scomparsa. Sarebbe dovuto andare all’Horizon per un incontro con Kay anche quella sera.
20 dicembre 20XX ore 22. 15 – sala d’aspetto Horizon
Incominciava a perdere la pazienza. Era da poco più di un’ora che si trovava all’Horizon, aspettando che Kay finisse il suo incontro con una donna e che poi potesse dedicargli del tempo. Aveva dapprima fatto finta di niente, poi quando i minuti erano diventati quarti, aveva deciso di prendere qualcosa da bere. Seduto al bancone del bar del locale guardava sciogliersi il ghiaccio all’interno del bicchiere della limonata, profondamente seccato per il tempo perso in quel posto, soprattutto perché non gli era stato dato un rifiuto ma semplicemente una richiesta di aspettare che si liberasse. Quindi secondo il suo pensiero sarebbe stato sconveniente prendere e andarsene via dato che l’altro gli aveva chiesto di aspettarlo.
Però si stava esagerando.
-Posso offrirle da bere?- domandò una voce maschile dietro di lui poggiandogli una mano sulla spalla. Il giovane si voltò e trasalì leggermente. Era l’uomo che lo seguiva ogni volta con lo sguardo incattivito.
Lo guardò più da vicino. Era un bell’uomo, sulla trentina, capelli a spazzola castano scuro, occhi piccoli e di uno strano colore dorato. Erano proprio quegli occhi a dargli i brividi, e se li sentiva addosso ogni volta che andava nel locale, come un lupo sulla propria preda prima di attaccare.
Sorrise leggermente cercando di essere cortese nel rifiutarlo:-Grazie per l’offerta ma non si preoccupi. Ho già pagato la mia bibita.-
-Allora mi permetta di offrirle un altro giro.- disse non facendolo nemmeno rispondere e ordinando subito dopo: -Due bicchieri di J. B. con ghiaccio.-
-No, io… in realtà è meglio che non beva.- replicò poco convinto, non poteva certo dirgli che era in servizio e aveva bisogno di essere lucido.
-Suvvia, un bicchierino, non le farà poi così male.- insisté l’altro facendo quasi dardeggiare i propri occhi: -Ma lasci che mi presenti. Laurence, per servirla.- aggiunse sorridendo e alzando appena il bicchierino, invitandolo a fare lo stesso.
-Daniel.- rispose imitandolo nel gesto, maledicendosi subito dopo per avergli detto il suo vero nome, anche se probabilmente l’uomo lo conosceva già.
-Piacere di fare la sua conoscenza, Daniel.- disse Laurence facendogli un altro sorriso e allungando il bicchiere verso di lui, aspettando che facesse tintinnare il proprio contro quello dell’altro.
Forse lo aveva giudicato male. Non sembrava una persona così pessima. Di certo non sembrava troppo minaccioso quando sorrideva, di certo le apparenze potevano ingannare e non si poteva permettere di abbassare la guardia. Però… un bicchierino non avrebbe effettivamente fatto male a nessuno, no? Osservò il bicchiere colmo di liquido ambrato e decise di assecondarlo, prendendolo e allungandolo verso il suo ospite, facendo tintinnare il vetro.
20 dicembre ore 23. 15 – sala d’aspetto Horizon
-E poi non la smette di chiamarmi con quel ridicolo nomignolo, lo trovo insopportabile, ho sempre odiato quando si storpia il mio nome.-
L’altro rise alle parole del giovane che oramai gli aveva raccontato tutto quello che non gli piaceva dei modi di Kay. Il problema di Daniel e l’alcool era che dopo aver bevuto il primo bicchiere, aveva deciso che un altro non gli avrebbe fatto poi così male e così il successivo, quello ancora dopo e l’ultimo che aveva appena bevuto. Non era ubriaco e riusciva ancora a limitare quello che raccontava all’altro, ma forse non avrebbe retto il nuovo bicchiere che gli era stato passato.
-Che ne dici se spostiamo la nostra conversazione nella mia stanza? Ti andrebbe di salire?- chiese Laurence, rifiutando che il barman riempisse di nuovo il suo bicchiere.
-No, io… Devo vedere Kay. Non si è ancora degnato di farmi chiamare o dirmi di tornare a casa, sono qui da più di un’ora e…- alzandosi in piedi sentì la testa girargli e si appoggiò alla sedia cercando di non cadere. Gli scappò una maledizione dalle labbra.
-Non sembri reggere così bene l’alcool come mi dicevi…-
-Forse ho un po’ esagerato, una visitina al bagno degli uomini e poi sarò come nuovo.- rispose, con un sorriso, trovando di nuovo l’equilibrio e spostandosi verso l’ascensore, deciso ad andare a chiedere spiegazioni a Kay: -Anche se è impegnato dovrebbe almeno farmi delle scuse e farmi andare a casa, non farmi sprecare il mio tempo, l’ho aspettato due ore e lui sa benissimo che dovrebbe darmi la priorità rispetto agli altri suoi clienti…- una donna lo fissò per poi bisbigliare qualcosa al suo accompagnatore, ridacchiando.
-Aspetta. Forse è il caso che io ti accompagni di sopra, non sembri molto stabile sulle gambe.- replicò Laurence seguendolo per sorridere quando sbatté contro le porte dell’ascensore.
-Non ne ho bisogno.-
-Tanto la mia stanza è sullo stesso piano, non ci metto niente ad accompagnarti un po’ più avanti.- aggiunse, schiacciando il pulsante dell’ascensore.
Questo aprì le sue porte e i due vi entrarono. Daniel si appoggiò allo specchio abbassando lo sguardo verso il pavimento. La testa iniziava a girargli in maniera fastidiosa. Aveva bevuto troppo nonostante sapesse l’effetto che questo gli dava. Nonostante si fosse riproposto di essere lucido e di non strafare, dopo il primo bicchiere l’altro aveva preso ad ordinare ancora liquore e lui gli aveva fatto compagnia, per poi iniziare a parlare di Kay dopo aver finito il terzo bicchierino. Era più forte di lui, l’alcool gli piaceva e da molto tempo non era riuscito a godersi una serata in cui poter bere senza pensieri. Anche se forse aveva scelto la serata peggiore in cui farlo e soprattutto una compagnia sbagliata.
Nonostante avesse problemi nel mantenere un equilibrio e biascicasse alcune parole però, si sentiva ancora lucido.
-Dimmi, come mai tra tutti i nostri dipendenti hai scelto proprio Kay? Ho sentito che hai richiesto lui di proposito il tuo primo giorno qui. - domandò incuriosito.
-E’ una storia complicata, non c’è un vero e proprio motivo, ne ho sentito parlare da una conoscente e ho voluto dargli una possibilità. -
-Kay dice di non volere clienti maschi ma accetta te… la cosa è molto strana. Pensavo non fosse interessato alla clientela maschile, ma se continua così ruberà tutti i miei clienti maschili, già le donne sono sempre meno... se adesso inizia ad aprirsi anche con gli uomini prevedo pochi guadagni nel mio futuro…-
-Sono sicuro che i tuoi clienti non risentiranno del mio vedermi con Kay, non preoccuparti.-
-Diventa anche tu un mio cliente, sono sicuro che potrei soddisfarti di più rispetto a Kay, di certo ho più esperienza.-
Daniel rise: -Ti stai sbagliando, non facciamo niente di quello che immagini. Non sono quello che si può definire un vero e proprio cliente. E comunque non voglio cambiare, mi trovo bene con lui. – si mise sulla difensiva, cominciando a osservare le luci intermittenti dei numeri, fino a quando non si arrivò al terzo.
L’ascensore si fermò al terzo piano aprendo lentamente le porte.
-Bene, sono arrivato.- disse uscendo, cercando di camminare più dritto possibile, dandosi un tono.
-Aspetta, io…- mentre l’altro stava parlando una voce lo interruppe.
-Daniel, tutto bene?- domandò Kay mentre apriva la porta della sua stanza e si avvicinava verso di loro, un sorriso sul volto, ma gli occhi affilati che squadravano il collega.
-Kay…-
-Laurence, non ti ho forse detto che lui è uno dei miei clienti, o sbaglio? Non hai il permesso di avvicinarti ai miei clienti.- domandò il demone all’altro, calcando sull’aggettivo possessivo. Laurence alzò, per tutta risposta, le spalle come se l’informazione non lo toccasse minimamente.
-Volevo soltanto farci due chiacchiere. Non ho fatto niente di male.- si allontanò verso la sua stanza, dopo aver gettato uno sguardo che non sembrava essere dei più amichevoli all’altro.
Kay afferrò un braccio di Daniel e lo trascinò velocemente nella sua stanza, come se avesse fretta di mettere più distanza possibile tra loro e l’altro dipendente.
-Ehi! Che ti prende? E cos’era quel discorso sui tuoi client? È sembrato fossi una tua proprietà. - domandò il giovane abituandosi gradualmente alla luce fioca che regnava in quel posto al contrario del locale illuminato a giorno. Era grato che Kay non amasse le luci, perché in quel momento sentiva di non riuscire a sopportare troppa luminosità.
-In qualche modo essendo un mio cliente abbiamo una specie di contratto, no? Non sei un oggetto che possiedo, ma sei una persona legata a me in qualche modo. Tu invece, che ci facevi insieme a Laurence?-
-Beh, abbiamo bevuto qualcosa insieme e poi mi ha accompagnato perché avevo qualche problemino a deambulare fino alla tua stanza.- disse sedendosi sul letto dell’altro che sembrava mezzo sfatto. Evidentemente tra lui e la sua cliente si era consumato ben più che una semplice conversazione. Guardò le lenzuola con un po’ di disprezzo, e subito si accorse di avere gli occhi di Kay addosso.
All’altro non ci volle molto nel buttarsi sopra di lui e farlo sdraiare sul letto, e Daniel non oppose nemmeno quella che poteva chiamarsi una vera e propria resistenza.
-Che cavolo fai?- domandò mentre lo osservava cercando in qualche modo una via di fuga dalla situazione che si stava facendo troppo spinosa, soprattutto per via della condizione psicologica in cui si trovava. Sentiva un eccitamento verso l’altro che non aveva mai provato in precedenza e resistere alla tentazione di toccargli i lunghi capelli argentei che scendevano ai lati del viso era insopportabile.
-Non dirmi che sei geloso perché ti ho lasciato tutto questo tempo da solo, ignorandoti.-
-Affatto. Semplicemente sono infastidito per il fatto di aver perso del tempo che avrei potuto spendere in maniera più proficua,- replicò, irritato: -adesso, per favore, spostati.-
Kay lo guardò sospettoso. Era come se l’alcol avesse portato alla luce una parte di Daniel che non conosceva. Aveva visto il lampo di gelosia nei suoi occhi quando l’altro aveva guardato le lenzuola, e anche se le sue parole dicevano qualcosa, il suo corpo rispondeva diversamente a quella presa di posizione da parte sua. Sentiva chiaramente il battito del suo cuore andare più veloce, le guance arrossati e un accenno nella parte bassa dei pantaloni.
-E se invece approfondissimo il nostro rapporto?- domandò stringendo una mano attorno al polso destro dell’altro per fermarglielo sul letto, senza metterci però troppa forza, come se si stesse divertendo a provocarlo, sapendo che la cosa lo infastidiva. Stava giocando con lui, provocandolo e aspettando una sua reazione.
-No. Sai perfettamente che la situazione non deve essere modificata, e non voglio di certo…- il suo sguardo si posò sulle sue labbra socchiuse e gli tornò in mente il sogno che ormai lo tormentava da parecchi giorni in un momento sbagliatissimo. Le labbra di Kay che si univano alle sue… Quella sensazione di calore che provava ogni volta che si svegliava… No, non doveva pensarci. Non in quel momento. Alzò lo sguardo nei suoi occhi, che lo scrutavano come a leggerlo dentro, e in quel momento seppe benissimo quello che voleva. Avvicinarsi all’altro era pericoloso, ma era ciò che voleva fare. Chiudere la distanza tra di loro e far avverare quel sogno che lo tormentava.
-Sei facile da leggere come un libro aperto. A cosa hai appena pensato?- domandò curioso. Conosceva bene la psiche umana e sapeva capire quando sul volto di qualcuno passava una nota di desiderio. Soprattutto se il desiderio era per lui.
-A un sogno che faccio ultimamente.- non era il caso né di mentire né di approfondire la questione.
Nel giro di un paio di secondi a quella risposta, fu Daniel a prendere in mano la situazione e a spingersi verso il volto dell’altro, lo sguardo stranamente deciso mentre lentamente chiudeva le palpebre raggiungendo le labbra di Kay. Fu un bacio quasi delicato il loro, come se Daniel avesse paura di romperlo in mille pezzi a forzare più la pressione tra le loro labbra. Dopo un attimo di smarrimento da parte del demone, preso completamente alla sprovvista da quell’azione inaspettata dell’altro, il volto si distese e le labbra si allargarono in un sorriso. Le mani si portarono dietro la nuca dell’umano e lentamente, dischiudendo le labbra, la lingua iniziò a premere su quelle di Daniel, che dopo qualche istante si rilassarono.
Dischiuse la bocca e la sua lingua incontrò quella del demone dopo qualche secondo, ricambiando il bacio e cominciando a far unire e separare i loro respiri che sembravano cercarsi da secoli. Sentì un piacevole e improvviso calore dentro tutto il suo corpo. Come una fiamma che scavava dentro di lui, lasciandogli segni infuocati a ogni nuovo lembo che raggiungeva.
Lo sentiva dentro di lui e lo sentiva anche nell’altro, un calore che lo conquistava e lo faceva sentire come se non ne avesse abbastanza. Lo sentiva sotto la sua pelle, ogni parte di lui percepiva l’eccitazione che fluiva a ritmo quasi insopportabile. Ne voleva ancora di più.
Era come se quel bacio gli avesse fatto perdere la ragione, o avesse semplicemente dato avvio a quello che realmente voleva, scacciando la sua mente razionale. Scacciando la parte di lui che ancora s’interrogava se l’altro era veramente colpevole, spingendo da parte tutti i dubbi che aveva provato sul suo sesso e sul ruolo che aveva nell’indagine.
Era come aver ceduto il suo corpo a qualcuno che non era veramente lui. Qualcuno che avrebbe voluto essere, una persona con meno pensieri, a cui non interessava il dopo ma soltanto il momento che stavano vivendo. La mano libera si spostò tra i suoi capelli, accarezzandoli. Erano piacevolmente morbidi al suo tocco, e v’indugiò, tirandoli appena.
La mano del demone scese lungo la sua camicia slacciandogli un bottone, infilandosi nel varco aperto per iniziare a toccare la pelle dell’altro. Un sospiro gli scappò dalle labbra che vennero poi, nuovamente, ricatturate in un bacio. Quando anche l’altra mano lasciò la propria per andare a toccare l’interno coscia del giovane, Daniel si staccò da Kay spingendolo via, aveva il respiro affannato, ma si sentiva più lucido di prima, come se avesse ritrovato quella parte di se stesso che aveva tanto cercato di soffocare.
-Io… mi-mi dispiace.- disse, alzandosi traballando, portandosi una mano alla bocca, decisamente imbarazzato, più con se stesso che con l’altro. Aveva veramente ceduto a quella parte di lui che desiderava Kay? Cosa era scattato per fargli perdere la ragione in quel modo?
Forse stava di nuovo sognando, chissà.
Kay lo guardò leccandosi in modo sensuale le labbra, ancora umide del sapore dell’altro. No. Non era un sogno, lui si trovava proprio lì davanti.
-Non devi scusarti, inoltre, non sembra esserti così dispiaciuto.- sussurrò, indicando il cavallo dei suoi pantaloni.
-Ah… No. Questo non significa niente.- disse sedendosi su una poltroncina lì davanti, evitando di rimanere sul letto. Sentiva ancora le pulsazioni della sua eccitazione, ma con un po’ di calma avrebbe risolto tutto, forse. Il solo saperlo essere lì a pochi metri da lui lo faceva impazzire. Quella situazione era paradossale. Come aveva potuto lasciarsi andare in quel modo sotto il suo tocco? E perché nella sua mente voleva soltanto riscacciare di nuovo la parte razionale di lui e lasciarsi nuovamente andare?
-Non sarà che ti piaccio davvero?- chiese Kay sorridendogli.
-No. Sono venuto per lavoro, la sai.- disse, approfittando per ricomporsi ancora di più e recuperare la cartellina bianca che aveva portato con sé, tirando fuori un fascicolo con all’interno la fotografia della donna scomparsa.
-Oh… La conosco, è una delle mie clienti. Anche lei è scomparsa? In effetti, non la sento da circa un mese.- disse sedendosi sul letto, portando i piedi sul copriletto senza nemmeno sfilare le scarpe. Osservò il giovane iniziare la sua solita routine, ovvero scribacchiare tutte le sue risposte su un vecchio e ormai quasi finito taccuino. Gli umani erano veramente strani.
-Un mese?-
-Sì, un mese.- ribadì Kay, mantenendosi inespressivo.
- È scomparsa una settimana fa, ti aveva forse dato il benservito?-
-A me aveva detto che voleva tentare di riconciliarsi con suo marito, quindi pensavo fosse andata bene e avessero risolto i loro problemi… evidentemente non è andata così bene come credevo se è scomparsa da tutto questo tempo.- sbuffò Kay alzando le spalle.
Daniel chiuse il taccuino e ripose il fascicolo nella cartellina, rimettendola nella borsa scura che portava sempre con sé. La situazione sembrava ripetersi ogni volta, a ogni nuovo omicidio o scomparsa, Kay era invischiato nella faccenda, ma per qualche motivo non sembrava essere possibile incriminarlo in nessun modo.  Che si stesse solo prendendo gioco di lui? Forse non era implicato in quei casi, forse avrebbero fatto meglio a seguire un’altra pista. Sì… Ma quale? Si portò una mano sulla fronte, aveva un cerchio alla testa insopportabile. Perché si era messo a bere con quel tipo? A proposito di quel tipo… e se avesse fatto delle richieste simili anche alle altre clienti del demone oltre che a lui?
-Quel tipo… Laurence… Ha fatto storie simili a tutte le tue clienti? Perché mi ha proposto di diventare un suo cliente invece che rimanere con te, forse…-
La bocca di Kay si allargò in un ghigno che non faceva trasparire per niente buoni propositi, che però Daniel perse, dato che ancora cercava di evitare l’altro nella zona del viso, specialmente in quella delle labbra.
-Ora che ci penso alcune delle mie clienti si sono lamentate riguardo Laurence. Per questo lo avverto sempre di stare lontano dalle persone che vengono da me… Inutile che ti dica che molte se ne infischiano e ci stanno ugualmente. Per molte donne non importa con chi stare, basta che ci sia qualcuno che estingui il loro senso di solitudine. -
-Devo informarmi meglio su questa faccenda. Potrebbe essere in qualche modo implicato in questa storia.- finalmente c’era uno spiraglio di luce in quella totale oscurità.
-Basta tu ci stia lontano, non è qualcuno di affidabile.-
-Sai dirmi se ha dei poteri particolari o è un semplice essere umano?- chiese, sperando nella seconda ipotesi.
-No, Mi dispiace. Come avrai notato non siamo amiconi che fanno grandi conversazioni su faccende private.- rispose sarcastico.
-Forse potrei provare…- il giovane fu interrotto dalle parole dell’altro, che anticiparono i suoi stessi pensieri.
-Vorresti rischiare di trovarti a faccia a faccia con un assassino?- chiese il demone.
-Potrei trovarmi già adesso a faccia a faccia con un assassino, non dimentichiamocelo.-
-Hai ragione.-
-Beh, ci penserò quando sarà il momento.- si alzò dalla poltroncina e recuperò la busta, appallottolandola e infilandosela in tasca:-Adesso è meglio che me ne vada a casa. Domani dovrò alzarmi presto.-
-Rimani qui. Sei ubriaco, uscire a quest’ora potrebbe essere stupido e tornare indietro in taxi non è un’esperienza che consiglio, specialmente se caschi dal sonno. Io ho finito di lavorare, rimani qui con me questa notte.-
-Mi stai prendendo in giro?- Daniel sgranò gli occhi alla proposta dell’altro, come paralizzato dalla decisione a quella proposta.
-No. Resta a dormire qui. - ripeté il demone con un tono dolce, che ancora non gli aveva mai sentito.
Daniel arrossì leggermente ripensando a quello che era successo poco prima:- Se resto tu non…-
-Non ti farò dormire, logico.- completò la sua frase, sarcastico.
-Non hai proprio alcun pudore…- disse il giovane sbuffando appena, divertito nonostante tutto dalla situazione.
-Non si può fare una battuta con te.-
-Non sono interessato a demoni di mezz’età.- mentì a se stesso, sorridendogli e capendo che una parte di lui stava iniziando ad abituarsi all’altro, ai suoi modi di fare e alle sue provocazioni e in qualche modo ricambiava il favore stuzzicandolo.
-Demone di mezz’età?- domandò stupito sporgendosi verso di lui e tirandolo poi giù nel letto in una morsa soffocante: -Sappi che hai decretato la tua condanna. Adesso rimarremo per sempre così, fino a quando non morirai per inerzia. - aggiunse con una risata.
-Ehi! Non ho detto che rimango!- esclamò l’altro cercando di staccarsi dall’altro e dalla sua stretta.
-Troppo tardi. Non intendo rialzarmi per aprirti la porta.-
-Se mi permettessi perlomeno di sistemarmi, non devi fare niente, giusto allentare la presa, prometto che non me ne andrò, questa notte rimarrò qui a disturbarti con il mio russare…-
-Non scappare.- disse l’altro lasciandolo e mettendosi a un lato del letto coprendosi subito dopo con un lembo del lenzuolo, lasciando all’altro la tanta agognata libertà: -Buonanotte.- sussurrò.
Daniel si spostò al lato opposto, sorridendo senza però ricambiare l’augurio, addormentandosi dopo qualche istante.
21 dicembre 20XX ore 01. 18 – camera di Kay – Horizon
Il demone passò una mano tra i capelli del giovane addormentato sorridendo. Quel giovane era diverso dalle donne che aveva avuto nella sua stanza, perché non voleva accettare il suo tocco e i suoi baci? Per quale motivo lo respingeva in quel modo nonostante lo volesse così come lui voleva l’altro? Gli esseri umani erano strani, lo aveva sempre pensato.
C’era qualcosa che lo infastidiva, anche lui si stava comportando in maniera diversa dal solito. Era come se Daniel si fosse infilato dentro di lui, come a voler occupare prepotentemente un posto che Kay credeva sarebbe per sempre rimasto vacante. Sapeva di essere contento di trovarsi assieme a quel giovane in quel momento, riusciva a percepirlo grazie ai vari stimoli del suo corpo. Nonostante non ammettesse i suoi sentimenti, non si lasciasse andare e nonostante fosse un dannato ficcanaso, non poteva fare a meno di provare una certa tenerezza nei suoi confronti.
Non era amore, ne era sicuro, ma passare il tempo con lui era piacevole e fino a quel momento non gli era mai successo con nessuno.
-Dormi bene Daniel.- sospirò, poggiando un bacio sulla sua testa.
-Vedremo quanto ancora ti ci vorrà prima di cedere ai tuoi stessi sentimenti.- concluse alzandosi dal letto e portandosi alla finestra.
Il cielo coperto dalle nuvole temporalesche gli impediva di vedere le stelle, ma la Luna faceva appena capolino dalle nubi, illuminando la strada sottostante e gli edifici di fronte.
Kay aprì il vetro e un filo di vento gli arrivò addosso, chiuse gli occhi ricaricandosi con il soffio vitale e lentamente, scivolò via dai suoi cupi pensieri.

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Capitolo 7
*** Un attimo di respiro ***


Questa storia partecipa al COWT11
M3 - Hamilton:
  I’m just sayin’, if you really loved me you would share him.
 
VI Capitolo – Un attimo di respiro
 
21 dicembre 20XX ore 08. 15 – Residenza Fermian

Aprì gli occhi e sbadigliò, stiracchiandosi piano, guardando l’orologio sul comodino; si era alzata prima del suono della sveglia. Le capitava spesso quando doveva fare qualcosa di importante. Rimase per qualche altro minuto nel letto, cercando di accumulare le forze, per poi alzarsi definitivamente e andare in bagno, sistemandosi per uscire.
Passò un istante nella camera del fratello, notando che il letto era fatto e che non c’era nessuno all’interno. Sospirò. Doveva essere uscito presto anche quella mattina. Ultimamente Daniel rincasava tardi e usciva all’alba. Il lavoro gliel’avrebbe portato via prima o poi, lo sapeva bene ma non credeva così presto. Si recò in cucina e poco dopo mezz’ora fu fuori casa mentre sorridendo raggiungeva la metropolitana, pronta a fare la sua speciale compera all’ultimo minuto.
Tra pochi giorni sarebbe stato Natale e Serin, tra una cosa e un’altra, non era ancora riuscita a comprare il regalo per suo fratello. Ormai la loro era una tradizione, quello di scambiarsi anche una piccola stupidaggine e non era certo lei quella che l’avrebbe infranta, anche se immaginava che suo fratello quell’anno si sarebbe completamente scordato del Natale e sicuramente sarebbe stato lui a infrangere la loro tradizione.
I suoi regali erano abbastanza semplici, così come i gusti di suo fratello dopotutto, ma ogni volta cercare qualcosa che potesse piacergli o servigli era come partecipare a una scalata. Faticosissimo. Nemmeno lei che era la sorella, riusciva a capire che cosa gli passasse per la testa e cosa gli piacesse oppure no. Sembrava come non avere opinioni su niente e trovare tutto apprezzabile. Quell’anno aveva già cercato in altre due occasioni qualcosa che potesse piacere l’altro, ma era sempre ritornata a casa con la coda tra le gambe e nessun regalo per Daniel, anche se, come al solito, con parecchie cose per lei. Un altro dei suoi piccoli vizi.
Quella mattina però non sarebbe tornata a mani vuote. Avrebbe comprato il regalo perfetto, già immaginava la faccia di Daniel, così felice che finalmente le avrebbe rivolto un sorriso sincero, uno che da troppo tempo non riusciva più a scorgere sul suo viso.
La ragazza cercava quanto mai di non perderlo d’occhio, preoccupata dagli orari improponibili che faceva ogni giorno e dalla sua espressione. Inoltre, quando lui credeva che lei non lo guardasse, il suo viso cambiava e s’incupiva. Era preoccupato per qualcosa, Serin riusciva a capirlo. E tutto ciò non le faceva piacere, facendola preoccupare a sua volta.
Il suo lavoro lo stava fagocitando, in tutti i sensi. Tornava di rado a casa e ogni volta era scontroso e s’irritava per la più piccola sciocchezza. Era chiaro per lei che Daniel necessitava di una pausa, e gliene avrebbe data una, con la sua splendida festa per il Natale imminente. Aveva persino invitato i suoi vecchi amici e qualche collega della centrale.
Si era però rifiutata di chiamare l’uomo dai capelli argentei. Lo aveva visto un altro paio di volte dopo il loro primo incontro, ma ogni volta qualcosa in lui la metteva sempre più in guardia, come fosse un’ombra che cercava di inghiottire suo fratello, assorbendolo sempre di più. Riusciva a vedere i fili invisibili che l’altro aveva legato stretti intorno al corpo di Daniel, e avvicinandosi, non faceva che stringerli. Nonostante lui sembrava quasi rilassarsi in sua compagnia, lei non voleva che stessero così vicini, per via di quell’ombra che l’altro gettava su suo fratello, facendolo diventare sempre più scuro.
Inoltre, Daniel non gliene voleva parlare, ma Serin sapeva dei sogni che il fratello faceva, ormai sempre più di frequente. Lo sentiva gridare durante quelle notti, ogni volta la stessa identica parola.
“Kay.”
Il nome di quell’uomo.
La giovane non aveva più fatto le carte al fratello dopo quanto accaduto, ma era più che sicura che il suo destino si fosse intrecciato a quello dell’altro. Che la sua presenza fosse un male o un bene per il fratello lei non riusciva a capirlo con precisione, ma in qualche modo tutto si ricollegava a lui. E il suo sesto senso non l’aveva mai tradita.
La metropolitana arrivò, sferragliando e attutendo il rumore della folla nel sottopassaggio, e lei vi entrò, cercando in qualche modo di non venire schiacciata tra i vari pendolari. Odiava muoversi con i mezzi pubblici, ma non aveva mai preso la patente e suo fratello non poteva accompagnarla.
Il viaggio fu abbastanza piacevole, dopo le prime fermate la gente si dimezzò e riuscì anche a trovare un posto a sedere, intrattenendosi a parlare con un’anziana donna seduta vicino a lei, chiedendole consigli su un possibile regalo per suo fratello.
Ovviamente buchi nell’acqua.
In un’altra mezz’ora concluse il suo viaggio e uscì di nuovo alla luce del sole, immergendosi nella strada piena di negozietti e bancarelle, pronta per la ricerca al regalo perfetto.

21 dicembre ore 12.45 – bar “Eleven after”

Ivan attendeva il suo turno con impazienza, sbirciando il suo orologio di tanto in tanto. Adorava il sapore del loro caffè tostato, la fila ogni volta era estenuante e se non fosse stato che necessitava di tanto in tanto di bere del vero caffè e smetterla di dipendere dalle brocche dell’ufficio, non avrebbe mai sopportato tutto il caos e il tempo perso ad attendere il suo turno, soprattutto se questo si toglieva alla sua pausa.
Quando finalmente toccò fare la sua ordinazione, prese, oltre alla sua tazza di espresso da portar via, anche due sandwich col tonno e un espresso per il suo capo, che saputo che usciva gli aveva chiesto di portare anche a lui un vero caffè. Dovette aspettare altri due minuti prima che il ragazzo alla cassa gli allungasse la sua ordinazione, e dopo aver pagato, senza tanti complimenti, uscì dal bar, iniziando a camminare svelto per tornare indietro senza far finire la sua pausa pranzo.
Come in ogni film di bassa lega che si rispetti, si distrasse solo un istante, alzò gli occhi al grande orologio del campanile dopo il rintoccare delle lancette e combinò il danno.
Non aveva minimamente notato che una ragazza stesse camminando verso di lui, anche lei con la testa rivolta verso l’alto, e bastò poco per far si che le rovesciasse il contenuto del caffè che aveva nella mano destra sulla sua camicia chiara, facendole scappare un gridolino per via del calore. In un istante il giovane tentò di tenere in equilibrio le altre cose, prima che combinasse un’ulteriore danno e sprecasse tutta la sua lunga attesa alla cassa.
-Mi dispiace tanto!- esclamò, non sapendo bene cosa fare, guardando la giovane che si sporgeva appena più avanti per non far finire delle piccole goccioline sulla gonna a pieghe, agitando piano una mano.
-No, non stavo guardando. Non è colpa sua.- la sua voce era gentile, Ivan capì che non lo stava dicendo tanto per dire, ma che lo pensava veramente.
-Sono mortificato.- aggiunse, tirando fuori dalla tasca un fazzoletto di stoffa, porgendoglielo: -La prego, usi questo.- concluse.
La giovane alzò lo sguardo su di lui e gli sorrise, ringraziandolo, accettando e iniziando a passare il fazzoletto sulla macchia che si era aperta sulla camicia, posando a terra una piccola busta di colore rosso che sembrava contenere un regalo di natale preso all’ultimo momento.
Mentre per la prima volta alzava lo sguardo sul volto della giovane e non sulla camicia della ragazza, ormai rovinata, fu per lui essere come folgorato. Gli occhi chiari della ragazza lo trafissero fin dritto al cuore in un istante. Non aveva mai creduto all’amore a prima vista ma un semplice battito delle sue ciglia fece crollare tutte le sue convinzioni al riguardo.
-Avrei dovuto guardare la strada, invece mi sono messa a fantasticare e ho perso il senso di quello che accadeva intorno a me.- una risata dolce lo riportò alla realtà e si accorse che la stava fissando. Distolse subito lo sguardo, leggermente imbarazzato per non riuscire a controllare il suo comportamento da adolescente e le sorrise anche lui.
-No, no, la colpa è soprattutto mia. Stavo guardando l’orologio invece di dove camminassi. – disse, trovandosi a pensare che ormai mancava poco alla fine della sua pausa e lui doveva assolutamente tornare indietro, nonostante tutto.
-Diciamo che entrambi avremmo dovuto fare più attenzione.- una nuova risata fendette l’aria e Ivan si trovò ad allungare la mano verso di lei, desiderava conoscere il suo nome. Desiderava sapere tutto di quella giovane.
-Comunque, io sono Ivan.- si presentò.
La ragazza sorrise, ma non strinse la mano dell’altro: -Mi scusi, le stringerei la mano, ma è tutta bagnata di caffè.-
Il giovane abbassò lo sguardo sulla mano, notando che effettivamente grondava di liquido e fece una smorfia, imbarazzato e divertito al tempo stesso per la situazione. Quando guardò di nuovo l’orologio e impallidì facendosi scappare una maledizione: -Accidenti, devo assolutamente andare o il mio capo mi ucciderà.- si fermò un attimo e poi guardò di nuovo la ragazza: -Signorina, se mi lascia il suo numero le ricomperò un’altra camicia o le pagherò il conto della lavanderia.- forse richiedere il suo numero in quella maniera poteva sembrare una scusa, ma un po’ perché si sentiva veramente in colpa, un po’ perché voleva veramente rivederla, le era sembrato l’unico modo fattibile per ottenere un possibile secondo incontro con lei.
-La prego, mi chiami Serin e non si stia a preoccupare per la camicia, anche il suo fazzoletto si è tutto rovinato. Basterà una buona dose di smacchiante e sono sicura che torneranno entrambi come nuovi.- disse la ragazza facendogli un altro sorriso. Poi frugò nella borsetta e prese un vecchio biglietto e una penna, scribacchiando dei numeri su di esso per poi porgerlo al giovane, mantenendo il sorriso.

24 dicembre 20XX ore 16.35 – centrale di polizia

-E poi le ho dato il mio numero… -
Daniel sbuffò. Ascoltava quella storia per l’ennesima volta. Da qualche giorno sembrava che Ivan non pensasse ad altro descrivendo a chiunque di quanto era bella, gentile e angelica la ragazza che aveva incontrato in centro, rovesciandole addosso una tazza di caffè bollente. Cosa che gli era apparsa come il più brutto cliché che potesse mai accadere a due persone. Ogni volta aggiungeva un particolare nuovo nella descrizione di questa ragazza, e ogni volta lui sembrava fare sempre meno la figura dell’idiota. In realtà nella prima versione lui non le dava il suo numero ma scappava lamentandosi che era in ritardo… e ancora non l’aveva chiamata, vergognandosi di chissà che cosa.
-Io vado.- salutò Daniel accumulando le sue cose, prendendo un paio di cartelle dato che per una settimana non sarebbe venuto al lavoro, avendo ottenuto con sua piacevole sorpresa le ferie che aveva richiesto sebbene in un periodo non proprio facile: - Ancora auguri, ragazzi.-
-Aspetta Daniel, vengo con te.- disse Ivan salutando anche lui i suoi colleghi, e augurando a tutti una buona Vigilia di Natale infilandosi giusto in tempo nell’ascensore con lui, tutto contento per aver finalmente finito di lavorare.
-Stasera ti vedremo a casa?- domandò il giovane sistemando i vari fogli per evitare cadessero.
-Non perderei quest’occasione per nulla al mondo. Sono contento di avere finalmente qualcosa da fare nella Vigilia di Natale.-
Da come Daniel aveva capito, Ivan non era di quella zona e ritornare a casa dalla sua famiglia gli sarebbe costato denaro e soprattutto tempo che non aveva, quindi aveva deciso di rimanere per le feste a Riverdell, nonostante inizialmente non avesse alcun programma. Daniel poi aveva deciso di invitarlo sia il 24 che il 25 a casa propria, così che avesse qualcuno con cui passare le feste e lui gli era sembrato veramente felice di accettare l’invito.
-Pensavo volessi cercare quella ragazza per chiederle di uscire.- sogghignò il detective, divertito di riuscire finalmente a punzecchiarlo in qualche modo.
Ivan stranamente non rispose, forse era riuscito veramente a stuzzicarlo su un punto in cui anche l’altro poteva essere preso di mira. Buono a sapersi, ora che aveva un’arma l’avrebbe utilizzata il più possibile. L’ascensore arrivò al pian terreno e i due colleghi uscirono, continuando a parlare.
-Dai Ivan, stavo solo scherzando. Domani scrivile un messaggio per augurarle buon Natale. Potrebbe essere un buon modo per tentare un approccio con lei.- disse raggiungendolo e uscendo fuori dalla centrale.
-Tu non capisci Daniel… Non riesco a smettere di pensarla.- rivelò il collega, abbassando lo sguardo: -Ogni volta mi torna in mente il suo viso e il suono della sua risata. Quella ragazza mi ha lanciato un incantesimo, sicuramente è una sirena o qualcosa di simile. Non riesco a spiegarmi. Al momento voglio solo rivederla, sentire il suo della sua voce. Anche se fosse solo per farmi restituire il fazzoletto.-
Daniel stranamente riusciva a capire, anche se la cosa lo metteva a disagio, perché lui provava gli stessi sentimenti per quel demone che stava sorvegliando e non per una bella ragazza dal viso angelico e la voce melodiosa. Sospirò e gli batté una mano sulla spalla: -Il messaggio di auguri è un’ottima occasione, dammi retta- aggiunse, cercando di tirarlo su di morale.
“Daniel.”
Il giovane si girò al suono di quella voce familiare e impallidì. Era l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere: -Beh Ivan, ci vediamo questa sera allora. Non fare tardi o mia sorella s’irriterà moltissimo a dover rimandare l’inizio della cena a causa tua, e posso assicurarti che lei non è una splendida e angelica ragazza che lascia correre queste cose.- disse sorridendo e separandosi di fretta dal collega per avvicinarsi all’uomo che lo aveva chiamato.
-Si può sapere cosa ci fai qui?- domandò quando fu a portata di voce. Poco prima, infatti, il demone non aveva parlato, ma gli aveva come inviato direttamente al cervello il suono della sua voce, chiamandolo. Man mano che lo conosceva aveva imparato alcuni dei suoi poteri, ma ogni volta lo sorprendeva con qualcosa di nuovo e spesso non in positivo.
-Volevo vederti. Sto per partire e non tornerò che tra due settimane. – rispose, come se avesse spiegato per filo e per segno qualcosa che per Daniel doveva essere ovvio.
Cosa ovviamente che non lo era. Non che gli interessasse se partiva oppure no, ma, dirgli delle mezze informazioni non era di certo una cosa opportuna.
-Parti? Comunque, ti avevo detto di non venire alla stazione di polizia. Potrebbe essere…- cos’avrebbe potuto dire? Pericoloso? Inappropriato? Imbarazzante?
-Non volevo venire da te. Sai, non sembro piacere molto a tua sorella.- lo interruppe prima che riuscisse a dare una definizione a quanto volesse effettivamente dire. Allungò una mano e gli sorrise di nuovo, porgendogli una confezione rettangolare.
Daniel sbuffò prendendo il pacchetto: -Io non ti ho preso nulla. Non credevo i demoni festeggiassero il Natale.- si scusò.
-Non importa, non te l’ho preso aspettandomi qualcosa in cambio.- sul suo volto spuntò un sorriso: -Aprilo, dai.- aggiunse, alzando le sopracciglia indicando il regalo.
-Dovrei aprirlo domani, così vorrebbe la tradizione ma dato che stai partendo farò un’eccezione.- disse girandosi l’oggetto tra le mani. Non era una grande confezione, anzi, sembrava apparentemente qualcosa di piccolo. Lo scartò delicatamente, per paura di rompere qualcosa e scoprì con sua grande sorpresa che gli aveva regalato un nuovo taccuino. Rise nel vederlo, non perché non apprezzasse il gesto, ma perché l’altro aveva trovato qualcosa che potesse piacere anche a lui e che fosse effettivamente utile.
Era bello, di ottima fattura e di dimensioni perfette per farlo stare in una tasca della sua giacca. Vi era una semplice decorazione astratta su uno sfondo grigio scuro che nonostante tutto non gli dispiaceva. Il demone aveva indovinato al primo colpo qualcosa che potesse piacergli ed essergli utile allo stesso tempo, cosa che raramente le persone facevano, regalando solo cose inutili o imbarazzanti.
-Ti piace?- domandò Kay incuriosito dal fatto che l’altro non aveva ancora detto una parola ma si limitava  a girarsi l’oggetto tra le mani.
-Molto.- rispose il giovane alzando lo sguardo sul demone, sorridendogli grato: -Ti ringrazio. Mi serviva un nuovo taccuino.-
Il demone sorrise e poi gli passò una mano a cingergli la vita, avvicinandolo a sé.
-Buon Natale.- sussurrò.
Daniel si ritrasse appena, imbarazzato che qualcuno potesse vederli, messi in bella vista in mezzo alla strada, vicino al distretto di polizia, durante la vigilia di Natale, ma poi gli sorrise, in fondo non gli importava. Non quel giorno. Si avvicinò di nuovo e ricambiò l’augurio.

24 dicembre ore 23.45 – residenza Fermian

Daniel spostò lo sguardo dai due e sbuffò infastidito dalla situazione. Sua sorella e Ivan avevano passato tutta la sera a parlare, come se tutto quello che avevano intorno non fosse più importante. Sembravano estranei da tutto e da tutti, immersi in un loro mondo incantato, dove sicuramente i due avevano il ruolo dei personaggi principali. Quando aveva sentito la faccenda del caffè da entrambi, con due versioni differenti, non aveva pensato che fosse proprio sua sorella la ragazza che aveva incontrato Ivan quella volta al centro. Se l’avesse saputo avrebbe troncato la cosa sul nascere, invece, lo aveva anche incoraggiato. Sua sorella, infatti, non gli aveva detto nulla del ragazzo che gli aveva rovesciato addosso il caffè, e aveva liquidato la cosa molto velocemente, almeno rispetto l’esodo di Ivan, che aveva parlato per ore, solo di quanto fosse stato fortunato in un simile incontro.
-Stai monopolizzando mia sorella Ivan. Non sarebbe il caso di parlare anche con qualcun altro?- domandò Daniel, avvicinandosi ai due, un sorriso tirato sul volto che non nascondeva l’irritazione che stava in quel momento provando. Notò che Serin arrossì a quelle parole. Ivan invece ridacchiò, pensando stesse scherzando, cosa che ovviamente non stava facendo. Si alzò in piedi e gli passò un braccio intorno al collo, tutto elettrizzato.
-Dovevi dirmi subito che avevi un angelo come sorella.- sussurrò cercando di non farsi sentire dalla ragazza.
-E farti evitare l’imbarazzo di rovesciarle addosso del caffè? Non avrei mai potuto.- rispose sarcastico, parlando a voce più alta rispetto l’amico, cercando di farsi sentire dalla ragazza.
-Dai, Daniel, se mi volessi bene l’avresti condivisa con il tuo migliore amico.- disse, con un sorriso a trentadue denti.
-Ah? Migliore amico? Condividere? Quanto hai bevuto Ivan?-
Ivan rise e lo abbracciò più forte, quasi stritolandolo.
Serin guardò i due giovani e sorrise. Era contenta che Daniel fosse così rilassato. Che sorridesse e facesse battute. Sembrava essere tornato quello di un tempo e anche il suo viso era meno scuro e corrucciato. Quella settimana a casa gli avrebbe fatto bene. La ragazza si alzò in piedi e prese suo fratello sottobraccio.
-Ivan, vorrai scusarmi, ma devo allontanarmi un attimo con mio fratello.- disse la ragazza con un sorriso, spingendo appena Daniel, per farsi seguire.
Ivan sorrise e si guardò intorno, forse in cerca di qualcuno con cui poter parlare o forse in cerca di qualcosa da mangiare, un’espressione sognante ancora spiaccicata sul viso.
I due fratelli uscirono dal loro salone e salirono le scale. Daniel aveva iniziato a parlare del suo collega e di come la sorella dovesse stargli alla larga, ma Serin non lo ascoltava nemmeno, eccitata dal pensiero di potergli finalmente dare il suo regalo. Certo, sarebbe stata la mezzanotte tra qualche minuto ancora, ma non era un grave problema, no?
-Serin, mi stai ascoltando?- domandò il ragazzo, sicuro che la sua fosse una domanda retorica. Era ovvio che non lo stesse ascoltando, altrimenti avrebbe fatto una scenata sul fatto che voleva proibirle qualcosa.
-Si, si. Sbrigati dai.- disse la ragazza tirandolo dentro la sua stanza.
Daniel aggrottò le sopracciglia quando, una volta buttatosi sul letto, la ragazza gli passò una busta rossa: -Che cos’è?- chiese, come confuso da quel regalo.
Serin strabuzzò gli occhi, non si aspettava di certo una simile reazione: -Come “che cos’è”? Il tuo regalo di Natale, ovviamente!- suo fratello arrossì alle parole della sorella e a Serin bastò un attimo per capirne il motivo. Come immaginava si era completamente dimenticato della loro tradizione.
-Io non ti ho preso niente. Tra una cosa e l’altra… Me ne sono scordato.- rivelò il giovane abbassando il capo tristemente.
Serin scosse la testa. Quella non era di certo la prima volta che il fratello dimenticava qualcosa, non riusciva a ricordare quando le avesse dato un regalo nel giorno stesso di un evento, addirittura per il suo compleanno, gli aveva fatto avere qualcosa solo una settimana dopo, con la scusa che era impegnato con lo studio all’accademia.
-Non è un problema. Ormai ti conosco, Danny.-
Il giovane aggrottò di nuovo le sopracciglia a quel nomignolo, ma non le disse niente, come sentendosi in obbligo nei suoi confronti. La sorella sorrise e si sedette vicino a lui sul letto: -Su, aprilo, forza.- continuò, eccitata nel sapere se il fratello avrebbe apprezzato quello che aveva scelto per lui. Daniel sbuffò e poi sorrise, iniziando ad aprire delicatamente la busta.
Di solito sua sorella non aveva dei gusti tanto stravaganti, almeno per quello che riguardava i suoi regali, proprio perché sapeva che gli piacevano le cose semplici e utili. Comunque, gli regalava di rado cose che non gli piacessero, ma quella volta superò se stessa. Daniel si trovò addirittura ad arrossire nel guardare l’interno della busta.
-Se- Serin…- stava cercando le parole giuste, ma queste non vennero. Pensò di aver immaginato il contenuto, così diede una nuova occhiata all’interno del pacchetto. Erano ancora lì dentro. Posizionati in bella vista, così che non era difficile capire cosa ci fosse disegnato sopra anche senza aprire tutta la busta.
-Allora, ti piacciono?- domandò la ragazza, sinceramente interessata.
Daniel deglutì, nervoso. Rispondere a quella domanda non era facile. La verità, o rendere felice sua sorella? Qual era la scelta meno dolorosa? Optò per la seconda e si morse appena un labbro, tirando fuori il regalo e guardandolo meglio, cercando di sorridere e di tranquillizzare Serin, che lo guardava, in attesa di una risposta.
-Sono… molto, particolari.- disse, cercando di dare alla parola un significato più positivo di quanto in realtà pensasse.
-Non ti piacciono quindi.- liquidò la ragazza sorridendo divertita, facendo diventare il fratello scarlatto. Detestava che riuscisse a leggerlo così bene. Non riusciva a mentirle e la cosa gli dava non pochi fastidi.
-Non direi proprio che non mi piacciono. Più che non sono da me.-
-È la stessa cosa che ho detto al commesso. Ma, mi ha assicurato che sono l’ultima tendenza e che sarebbe stato divertente guardare la tua faccia aprendo il pacchetto se veramente eri così suggestionabile.- Daniel si girò verso sua sorella e vide che tratteneva a stento una risata: -Aveva ragione. Dovresti vederti Danny, diciamo che più che un regalo per te, questo era per me.- la ragazza non si trattenne oltre e scoppiò a ridere.
-Sei terribile. Hai comprato questi… cosi, solo per farti una risata? Non posso credere tu sia arrivata a tanto Serin… Sono orrendi e la scritta dietro è così… Di cattivo gusto.– disse non volendo identificare l’oggetto per quello che realmente era, anche perché non li avrebbe mai indossati. Piuttosto la morte che indossarli.
-No, in realtà vorrei che li mettessi. Ma, non posso costringerti.-
-E tu ti aspetteresti un mio regalo dopo questo?- chiese Daniel richiudendo la busta con l’oggetto, voltandosi verso la sorella, ghignando divertito.
-Certamente sì.-
-Darò tutto me stesso per eguagliare questo splendido dono di cui mi hai reso padrone. – abbozzò un inchino e fissò la ragazza, notando che tentava di non ridere per le sue parole, anticipandola di poco nella risata successiva.
Risero così per un po’, fino a quando non si accorsero che la mezzanotte era passata e che stavano risultando degli ospiti maleducati.
Sorridendo, Serin prese il fratello sottobraccio e tornarono alla loro festa ancora allegri per quell’insolito scambio di doni.
-Non ti ho fatto ancora gli auguri, sorellina.- disse Daniel stringendosi a lei mentre si avvicinavano a una coppia di amici che voleva sicuramente fargli gli auguri.
-Buon Natale, Dan.- rispose lei, anticipandolo.
Daniel sorrise di nuovo e l’abbracciò.
-Buon Natale.-
 
 

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