Storie della Buonanotte

di Asia Dreamcatcher
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Fiore Notturno ~ Shibumi ***
Capitolo 2: *** Winter is coming ⁓ Komeroshi ***
Capitolo 3: *** A Distanza ⁓ Cafuné ***
Capitolo 4: *** Non piangere, Hime ⁓ Serendipity ***
Capitolo 5: *** Bacio raffreddato ⁓ Cheiro no cangote ***



Capitolo 1
*** Il Fiore Notturno ~ Shibumi ***


01-Shibumi
Fiore Notturno
~
Shibumi



Lo zaino tenuto malamente su una spalla sola, pareva sul punto di abbandonarsi alla forza di gravità una volta per tutte, le mani ficcate a forza nelle tasche dei Levis sdruciti ad arte, il passo strascicato, di chi di reggersi sulle gambe proprio non aveva voglia.
Lo sguardo chiaro ed annoiato di Filippo Parini vagliò la numerosa e variegata fauna umana, che bazzicava di prima mattina davanti alla biblioteca.
Era un luogo, quello, che non era abituato a frequentare, di certo non rientrava nella sua top five di posti in cui potersi rilassare o dedicarsi ad una qualsiasi delle sue attività preferite, ma era la sua ultima spiaggia. Spense la sigaretta, ormai consumata, nel cestino, si stropicciò i capelli biondo rame nervosamente, decidendosi poi ad entrare.

Filippo prese posto in uno dei lunghi tavoli scuri accanto alla finestra, da cui penetrava qualche tiepido raggio solare; gettò malamente sul banco il volume di Fisica tecnica con annessi appunti; non poteva permettersi un’altra bocciatura in quell’esame, o i suoi genitori non avrebbero perso tempo a rinfacciargli di aver preferito, erroneamente a parer loro, Architettura a Giurisprudenza.
«Questo posto è libero?» la voce bassa e delicata lo distrasse appena, tanto che annuì senza nemmeno alzare lo sguardo; la sedia scricchiolò debolmente, un fruscio di fogli e il grattare morbido di una penna furono gli unici rumori che si udirono per diverso tempo.

Avrebbe voluto piantare la testa dritta nel libro Filippo, magari sarebbe entrata qualche nozione nella sua testa con un contatto più “diretto e violento”, invece si limitò ad alzare la testa verso il soffitto e sgranchirsi platealmente le spalle. Alla disperata ricerca di qualcosa con cui distrarsi, i suoi occhi vagarono dapprima sugli appunti di chi gli stava davanti, attratto dalla calligrafia asciutta ma estremamente elegante, con le
l” belle allungate e il tratto deciso arricciato dolcemente al termine della t”. Sollevò lo sguardo incuriosito e lo puntò sulla persona proprietaria di quella grafia.
Una ragazza, dall’aspetto alquanto comune: il volto era regolare, lineamenti dolci certo ma nulla all’infuori dell’ordinario; il suo colorito era pallido, forse troppo, gli occhi castani non possedevano alcuna sfumatura. I lunghi boccoli cadevano selvaggi, indisciplinati sulle spalle minute, il mascara sbavato macchiava appena il contorno dei suoi occhi e le labbra erano tese naturalmente all’ingiù, in una sorta di broncio infantile. Era ben lontano dal genere di ragazza che lo attirava e da cui si faceva coinvolgere, eppure…
Eppure qualcosa in lei gli impediva di distogliere lo sguardo per dedicarsi ad altro.
Forse il suo volto poteva apparire ordinario ad un primo sguardo, ma il suo profilo era distinto, solenne quasi nobile; anche la sua postura era ben dritta, per nulla ingobbita come ogni buon studente, le spalle aperte quasi stesse sfidando il libro stesso a piegarla.
La sua attenzione scivolò sulle mani: affusolate, si muovevano sicure, i suoi gesti erano armoniosi, le eleganti dita raccolsero i capelli fermandoli con una matita, qualche ciocca ribelle accarezzò impertinente il suo viso, creando giochi d’ombra inediti.
Ma fu il suo sguardo che lo catturò: intenso, profondo, sognante; anche lei aveva smesso di studiare e guardava fuori, oltre la finestra, forse osservando qualcosa che poteva vedere solo lei. Non era uno sguardo vacuo ma vivo e luminoso, traboccante di cose inespresse; ciò donava al suo volto una bellezza malinconica.
La sua bellezza, comprese, era sottile, nascosta, che non andava sperperata ma protetta; un fiore notturno che si schiudeva quando nessuno guardava.
Improvvisamente lei si voltò, i suoi occhi cercarono i suoi senza paura e gli sorrise.
Filippo aprì la bocca e la richiuse imbarazzato di essere stato colto in flagrante.
Il suo sorriso era aperto, vistoso e pieno di calore con una pennellata di irriverenza sulle labbra ben disegnate. Stese anche lui le labbra, gli era impossibile non ricambiare un sorriso come quello, era quasi certo di non averne mai ricevuto uno.
Quello sprazzo di sole scomparve fin troppo rapidamente e lui per un attimo si sentì perso.
Lei raccolse le sue cose, mentre una sua probabile amica l’attendeva poco distante. Scomparve dalla sua vista con grazia e in un punta di piedi così com’era arrivata.

Credo proprio che verrò anche domani”.

"Shibumi: Bellezza poco appariscente. Si tratta della grande raffinatezza che si nasconde dietro un aspetto ordinario e comune."

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Buonasera a chiunque si fermerà a leggere fino a qui! Come avete visto dall'intro questa raccolta partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.
Ogni capitolo si sviluppa attorno ad una parola da me scelta dall'elenco fornito da Soly Dea, per questo primo capitolo ho scelto la parola giapponese Shibumi.

Ogni capitolo tratterà personaggi nati dalla mia fantasia, mi riservo di riutilizzarli per eventuali long semmai mi venisse una buona idea per il contesto e lo sviluppo della trama.
Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto e se i personaggi vi hanno intrigato!
Ringrazio chiunque leggerà e chiunque vorrà recensire!

Al prossimo capitolo! Un bacio!





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Capitolo 2
*** Winter is coming ⁓ Komeroshi ***


02-Winter is coming

Winter is coming

Komeroshi

Nives camminava velocemente, il respiro leggermente affannato, la guance arrossate e i piedi che iniziavano a bruciare per lo sforzo che quella camminata scattante imponeva.
Si era attardata troppo in biblioteca e no, non aveva preparato nemmeno metà dell’esame, ma in compenso si era caricata di libri, che ovviamente non c’entravano nulla con la sua facoltà. Il risultato? Rischiava di perdere l’ennesimo autobus.
Aveva quasi raggiunto la fermata e con orrore vide che l’autobus era già lì, fremente di ripartire; si obbligò ad uno scatto felino ma qualcosa la bloccò un attimo prima di fare quell’ultimo salto nell’umido calore del mezzo.
Era il vento. Ma non era un vento qualsiasi no, quel soffio impetuoso lei ormai aveva imparato a riconoscerlo e aveva il potere di risvegliare qualcosa nel suo intimo. I suoi capelli sfuggirono dal cappotto, librandosi nell’aria, il suo corpo fremette mentre l’autobus chiudeva le porte e ripartiva, lasciandola lì inchiodata.
Un’altra folata la colpì, era fredda, pungente, si insinuò fra i vestiti lasciando una carezza gelida sulla pelle.
Il suo corpo prima tremò, poi emanò un calore nuovo, Nives si strinse ancora di più negli abiti pesanti. Un sorriso allegro nacque sulle sue labbra rubre, il naso piccolo  e leggermente all’insù puntò verso il cielo, i suoi occhi si bearono del cielo azzurrissimo, così carico che le sembrò un colore impossibile da riprodurre. L’aria già fresca e limpida mutò, riempiendosi di tinte terse e fredde, di pigri e tiepidi raggi solare, di notti buie e silenziose.
La ragazza afferrò il cellulare e digitò veloce un messaggio. La sua meta ora era decisamente cambiata.

La graziosa villetta a schiera risaltava sulle altre per il rigoglioso giardino all’inglese che collocava l’intera proprietà in un’altra epoca.
L’espressione sul volto di Nives si fece dolce non appena scorse la porta della veranda aprirsi e un’anziana signora, dall’aspetto curato nonostante l’inclemenza del tempo incedere verso di lei.
«Nives! Mia dolce Neve!» la sua voce era soave come una carezza e chiara come lo scroscio fresco dell’acqua, non pareva la voce di un ultrasettantenne, ma di qualcuno che ancora molto aveva da dire.
«Nonna! L’hai sentito? Dimmi che l’hai sentito anche tu!».
La risata aperta di sua nonna la contagiò, la abbracciò venendo avvolta dal familiare e rassicurante profumo di pipa, legno bruciato e arancia, che a Nives ricordava la stagione in arrivo.

«Certo che l’ho sentito, il
Maestro dei venti ha deciso di onorarci con la sua presenza» la ragazza sorrise, seguendo l’anziana all’interno dell’abitazione.
Il Maestrale era giunto, preannunciando l’arrivo dell’inverno.
Se per molte persone l’inverno era solo una gran scocciatura e con tristezza osservavano gli indumenti pesanti, detestando l’idea di seppellircisi dentro, Nives non era dello stesso avviso.

Per la giovane l’inverno era una stagione magica: fatta di calore cercato e donato, di fuoco scoppiettante nei camini, di profumi dolci amari, di tessuti caldi e morbidi e del Natale. E sua nonna non era da meno, era lei che le aveva insegnato a riconoscere il
Mistral e ciò che portava con sé. Come da tradizione sua nonna le passò una fumante tazza di tè caldo, sempre lo stesso ogni anno, mentre lei stendeva sulle gambe di entrambe la grossa coperta di lana e cashmere rossa.
Erano, come sempre, sedute sulla panchina in ferro battuto nel retro del suo lussureggiante giardino.
Nives assaporò grata il caldo liquido profumato, chiuse gli occhi e rimase lì ad ascoltare i sussurri carichi di promesse del vento.

Komeroshi: il vento freddo che inizia a soffiare quando l’inverno sta per arrivare.

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Buongiorno a tutti! Eccomi tornata con un nuovo capitolo one shot, questa volta ho prediletto un momento di famiglia: nipote-nonna, e per farlo ho scelto un altro termine giapponese Komeroshi.

Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi recensirà questo e a chiunque arriverà a leggere fino a qui!
Buona giornata!




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Capitolo 3
*** A Distanza ⁓ Cafuné ***


Cafuné

A Distanza

Cafuné



Michele si stava godendo i primi raggi del tiepido sole di Maggio, seduto comodamente in una delle tante panchine che costellavano il polo linguistico dell’università.

La sessione era alle porte ma lui era un tipo rilassato per natura, che si faceva prendere dal panico all’ultimo minuto, quando ormai non c’era più possibilità di tirarsi indietro e allora sfoderava il suo sorriso caldo e un po’ impertinente, riuscendo sempre e comunque a cavarsela.

«Ehi Mich! Ohi, ci sei?».

Il ragazzo dai capelli castano chiaro osservò l’amico da sopra le lenti scure dei suoi occhiali da sole, muovendo appena la testa in un pigro cenno d’assenso. Si tirò su stropicciandosi il volto, poi la sua attenzione si catalizzò su altro; l’ultima traccia di sonnolenza nei suoi occhi venne spazzata via da una sguardo più attento.

«Sì vedo come ci sei bro!» si lamentò l’altro ragazzo, Stefano, che seguì lo sguardo di colui che era il suo migliore amico e roteò gli occhi al cielo.

«Mich almeno per oggi puoi fare il bravo e non darle noia?» lo supplicò, sapendo bene che le sue parole sarebbero rimaste bellamente inascoltate. Quando si trattava di lei si trasformava in un perfetto idiota.

L’idiota in questione infatti non diede segno di averlo sentito, il suo cuore aveva cominciato a battere talmente forte da sovrastare, in ogni caso, qualsiasi altro suono.

Osservava, come un assetato in mezzo al deserto, la ragazza a qualche metro da lui, di cui era irrimediabilmente innamorato dal secondo anno di liceo e che lei, per contro, detestava.

Perché? Perché era più facile infastidirla, lasciare che lei lo detestasse piuttosto che affrontare ciò che sentiva; averla, rischiare di rovinare tutto e perderla definitivamente non avrebbe potuto sopportarlo. Un vigliacco ecco cos’era, piuttosto di complicare tutto lui preferiva darle noia. C’era chi gli avrebbe detto di crescere e smetterla di comportarsi come un bambino capriccioso e lui sarebbe stato perfettamente d’accordo, ma era più facile così. Semplicemente non voleva che le cose cambiassero.

Lei rise e Michele abbozzò un sorriso a sua volta, anche senza vederla, avrebbe saputo descrivere perfettamente la sua risata: leggera, discreta mentre i suoi occhi si stringevano lucidi di divertimento, creando delle dolci e sottili increspature attorno ad essi.

Si alzò dirigendosi verso di lei e i suoi amici, sentì Stefano, accanto a sé, sbuffare.

«Buongiorno a tutti!» salutò stendendo le labbra in un bel sorriso irriverente e assumendo una faccia da schiaffi.

Il resto dei presenti salutò più o meno calorosamente i due ragazzi, eccetto Daria: sorrise gioviale a Stefano mentre un’occhiata a Michele e il suo sorriso si spense, limitandosi ad un cenno.

Il ragazzo però non si lasciò scoraggiare e con grande nonchalance si avvicinò a lei, la sua mano corse verso il capo e con delicatezza le sfilò l’elastico che teneva stretti i suoi capelli chiari in un precario chignon. I suoi occhi si bearono di quel movimento sinuoso: la chioma le ricadde sulle spalle in ciocche scomposte, spettinate.

Prima che Daria se ne rendesse conto, Michele fece scorrere le sue lunghe dita fra le sue ciocche lisce e setose; il suo cuore accelerò e il suo sguardo si illuminò d’una mesta dolcezza. Era una sensazione bellissima e per pochi attimi immaginò come sarebbe stato chinarsi e baciarle i capelli che profumavano di mandorla e di pulito, abbracciandola dolce e protettivo, come un ragazzo fa con la propria compagna.

Osservò impotente il suo sguardo passare dall’incredulità al puro fastidio.

«Ma che cazzo! Ridammi l’elastico!».

Lui se lo rigirò fra le dita e poi ammiccò impudente;

«Stai meglio coi capelli sciolti».

La guardò mordersi il labbro inferiore più sottile e velato di gloss, arrossire, ma nemmeno per un secondo il suo sguardo pieno di acredine credette alle sue parole.

«Va al diavolo Michele! E’ uno dei migliori che ho, cazzo!» sibilò irritata.

Michele ridacchiò e proseguì verso la lezione, dopo aver fatto un cenno all’amico. Ignorò le proteste di Daria. Niente da fare si disse, quell’elastico era appena diventato il suo portafortuna.




Cafuné: (porteghese) Accarezzare la chioma della persona amata facendo scorrere le dita fra i suoi capelli.

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Buonasera a tutti! Eccoci qui con il terzo capitolo. La parola scelta, come avrete già capito è Cafuné; spero che questo taglio di trama vi sia piaciuto. Cosa ne pensate di questi due personaggi?


Ringrazio chi ha recensito questa storia, chi l'ha inserita nelle liste speciali e chi semplicemente leggendo è giunto fino a qui. Ci vediamo alla prossima storia! Un abbraccio

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Capitolo 4
*** Non piangere, Hime ⁓ Serendipity ***


4. Serendipity

Non piangere, Hime

Serendipity

Caterina sentiva di essere fuori dal suo corpo. Era possibile vivere un'esperienza extracorporea senza essere in punto di morte? Perché altrimenti non si spiegava quel suo sentirsi lontana, non più centrata, si guardava, cazzo non era normale: guardava se stessa e lui; lui che parlava e parlava, gesticolava ma mai una volta che tentasse di sfiorarla, di fare un gesto verso di lei.
Lui, quel ragazzo dai capelli scuri e riccissimi, fisico allampanato e nervoso, labbra carnose e sguardo basso era il suo ragazzo. No, a quanto pare non più a quanto stava farfugliando proprio in quel momento, era appena diventato il ex ragazzo; e lei era come in una fottuta boccia d'acqua.
Reazione? Non pervenuta. Caterina più che ascoltarlo lo fissava ad occhi sgranati continuando a chiedersi perché non avesse ancora detto nulla ne fatto niente: sollevare il tavolo e gettare tutto all'aria, sarebbe stata una reazione conforme, no? Abbastanza plateale da farla passare per l'isterica di turno; ma le sarebbe poi dispiaciuto per i ragazzi del locale con cui aveva ormai un po' di confidenza.
Davvero tutta quella compostezza non era da lei, era una cantante, una prima donna, una che non si nascondeva dietro una falsa timidezza, tutti ne erano a conoscenza. Non era forse per questo che il suo ragazzo – EX! Ex ragazzo stava parlando così concitatamente? Per impedirle di esplodere?
Caterina continuava a restare impietrita, lo fissava ma non riusciva a cogliere che stralci di quel monologo ormai alquanto ridicolo, ridondante, pieno di parole stanche, sfinite.
In verità non poteva dire di essere così sorpresa. Sapeva da settimane che le cose non stavano andando bene da qualche settimana, lui si era allontanato, e lei? Lei che cosa aveva fatto? Nulla, lo aveva lasciato andare, che vigliacca.
Il fastidio e la rabbia iniziarono a crescere, strinse le mani fra loro, c'era davvero qualcosa di sbagliato in lei, almeno lui aveva avuto le palle per prendere in mano la situazione e andarsene, quando lei aveva atteso indifferente la fine del film della sua relazione.
«Basta» Smettila. «Ora basta» Smettila di sbattermi in faccia la mia inettitudine.
«Ti prego vattene» lui si zittì. Tentennò poi per qualche minuto indeciso, si limitò infine a scusarsi un'ultima volta e sparì dalla sua vista. Ancora una volta la giovane restò di pietra. “Sei proprio un mostro, Cate”.
Lasciò che la musica del duo acustico la cullasse, il drink sbavato di rossetto davanti a lei rimase intoccato.

Davide si spostò, in un gesto abitudinario, i capelli scompigliati e rossicci dagli occhi, si gettò il canovaccio sulla spalla e salutò con un bel sorriso i ragazzi del duo. Era pronto a chiudere il locale, restava solo la ragazza dai tratti asiatici e capelli tinti di platino, rimasta immobile al suo tavolo per tutta la serata. Si chiese se stesse bene.
«Scusami» iniziò affabile avvicinandosi «Ma io dovrei davvero chiudere-» ammutolì.
La ragazza aveva sollevato il capo e Davide rimase colpito dal suo volto rigato di lacrime. Non se lo aspettava: i suoi occhi, dal taglio orientale, erano enormi, di un caldo castano con alcune screziature verdi lucidissimi, col trucco sciolto che le segnava inesorabile il contorno di quegli occhi esotici e graziosi. Le labbra sottili, color pesca, erano dischiuse in un'espressione sorpresa, sembrava quasi confusa di essere ancora lì.
Davide non era cieco: aveva seguito con la coda dell'occhio ciò che era successo tra lei e quell'altro tipo... Caterina! Sì, era quello il suo nome, l'aveva vista spesso ultimamente e no, decisamente non era cieco.
«Ascolta aspettami all'ingresso, d'accordo? Ci metto un minuto».

Non si era accorta di star versando tutte quelle lacrime, si asciugò timidamente il viso mentre osservava il barman, mmh... Davide?! Controllare che fosse tutto in ordine. Era davvero imponente, perfino col giubbotto in pelle si notavano i muscoli delineati e gonfi tendersi sotto il tessuto, sicuramente doveva aver praticato qualche sport come boxe o rugby; era più grande di lei, forse vicino ai trenta. Chissà se aveva fatto bene a fermarsi, in fondo lei che ne sapeva di uno come lui?
Il ragazzo si avvicinò e lei tremò davanti la sua mole, lui le poggiò la mano sul capo in un abbozzo di carezza, possedeva un sorriso accattivante ma caldo, quasi comprensivo.
«Qualsiasi cosa sia successa mi spiace, ma ti assicuro che già domattina le cose sembreranno meno peggio» pareva parlare per esperienza diretta.
«Sono stata piantata» sputò quasi Caterina mordendosi le labbra compulsivamente.
«Che scemo» fu la laconica risposta, lei accennò un sorriso, poi si strinse nelle spalle volgendo il capo per evitare che vedesse le lacrime pericolosamente in bilico fra le sue ciglia.
«Può essere, ma è colpa mia, non ho fatto nulla per evitare che succedesse».
Lui non rispose subito, si accese con tutta calma una sigaretta e si girò il frontino del cappello al contrario, Caterina osservò sfacciatamente i lineamenti marcati e virili del suo volto, molto differenti da quelli affilati e fini del suo ex.
«Nemmeno lui ha lottato, no?» disse infine con uno sguardo lontano, meditabondo «In una relazione si è in due, se uno dei due si allontana quanto meno un tentativo per aggiustare le cose si dovrebbe fare. Voglio dire, piccola Hime1, che tu potrai aver anche peccato, ma lui non è stato da meno. Ha mollato. Si è arreso, nemmeno lui ha lottato per te» disse, rivolgendole ancora una volta quel sorriso conturbante.
Caterina si coprì gli occhi con mani tremanti, non riuscendo a trattenere oltre le lacrime. Si addossò a lui in cerca, disperata, di calore, di un po' di comprensione, di qualcuno che la facesse sentire un po' meno mostro. Solo per un po'. Lo trovò, Davide accolse la sua silenziosa richiesta e le circondò le spalle con un braccio stringendosela contro.
Rimasero così in silenzio, senza scambiarsi nemmeno uno sguardo, solo il movimento delle labbra di lui mentre aspirava ed espirava lentamente il fumo.
Caterina rimase in ascolto di quel respiro calmo e profondo che avvertì immediatamente rassicurante; colpita rifletté sulle sue parole, percependole profondamente vere: non era stata solo colpa sua, nessuno dei due aveva combattuto per l'altro, lui se ne era alzato e andato lasciandola lì inchiodata alla sua colpa, alla sua apatia. Provò un'intensa tristezza per qualcosa che andava oltre loro due e la loro storia, qualcosa di soffice ma inafferrabile e doloroso. Nonostante ciò si sentì rincuorata da quelle parole, forse sarebbe riuscita a chiudere gli occhi stanotte.
Si scostò quando se la sentì, lui indugiò per un istante poi la lasciò scivolare via.
«Meglio?» lei annuì, regalandogli un sorriso delicato, etereo come l'acqua fresca e limpida di un placido laghetto. Si incamminò, pronta a tornare a casa.
«Ah comunque, non so come tu abbia azzeccato con tanta precisione il fatto che io sia per metà giapponese, ma ti assicuro che sono tutto fuorché una principessa1!» gli disse voltandosi.
In risposta ricevette la sua risata aperta e profonda, non era per nulla un suono sgradevole, pensò.

Parole: 1154

Serendipity: Lo scoprire qualcosa di inatteso e importante che non ha nulla a che vedere con quanto ci si proponeva o si pensava di trovare, attitudine a fare scoperte fortunate e impreviste.

______________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti, finalmente sono tornata ad aggiornare questa raccolta a cui tengo molto! Ringrazio tutti voi che seguite e commentate, spero che anche questa volta la storia sia stata di vostro gradimento!

A presto!


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Capitolo 5
*** Bacio raffreddato ⁓ Cheiro no cangote ***


Parole Intr 5

Bacio raffreddato

~

Cheiro no cangote

Julian poggiò le mani sul bordo della piscina e apparentemente senza sforzo si sollevò, tirandosi fuori dall'acqua. Per quel giorno si era allenato a sufficienza, si guardò attorno e come sempre si rese conto di essere l'ultimo rimasto. Non che il fatto gli dispiacesse, aveva un suo rituale e odiava avere gente intorno, prese l'asciugamano frizionandosi il corpo e si diresse verso le docce.
Solitamente, al termine dell'allenamento, prendeva del tempo per sé, non preoccupandosi del suo scorrere: i suoi gesti in quel momento parevano misurati, lenti e armonici, essenziali quasi la chiusura della sua giornata fosse una cerimonia del tè giapponese; quel giorno invece le affusolate dite apparivano nervose, i gesti frementi, il corpo longilineo e modellato dall'acqua scattava veloce, quasi non avesse tempo, quasi avesse un'urgenza.
Il ragazzo si accorse di tutto ciò e si impose calma, l'ampio petto glabro si alzava e si abbassava seguendo docile la sua respirazione profonda, si diede dello sciocco: era proprio messo male se si agitava per un simile pensiero.
Si rivestì in fretta e si soffermò più del solito sui suoi biondi capelli: con le dita cercava di sistemarli in ciocche disordinate sulla fronte e mentre lo faceva le labbra, solitamente tese con un accenno di spocchia, erano velate da un timido e morbido sorriso. Si fissò imbambolato allo specchio: stentava a riconoscersi, il pensiero subito si perse e si addensò attorno ad un'unica persona, come poteva fare così tanto la differenza?
Scrollò il capo e ridacchiò della sua follia.
Quando uscì dalla palestra della scuola prese un'uscita secondaria, lui era lì. Sigaretta fra le dita magre e nervose, pelle tremendamente pallida, capelli ossigenati e la bocca ben disegnata leggermente socchiusa nell'atto di espirare il fumo.
Come se avesse avvertito la sua presenza Damien si voltò; Julian non poté che restare, come ogni santissima volta, colpito da quello sguardo assottigliato ma privo di giudizio con gli occhi blu che lo guardavano impietosi come se dovessero sondargli l'anima. Il suo cuore si strinse a tradimento nel petto e si ritrovò a piegare il capo di lato e sorridergli sghembo.
Damien abbassò lo sguardo quasi subito, per evitare di arrossire davanti a quel sorriso voluttuoso ed obliquo mentre dolci e sottili lineette si increspavano attorno a quei suoi occhi chiari e cangianti.
«Mi aspetti da molto?» Julian si avvicinò a lui talmente tanto che sembrava dovesse abbracciarlo da un momento all'altro, ma le sue braccia non si mossero e le mani restarono ficcate nelle tasche del giubbotto.
«Sembra che tu abbia un porcospino in testa» ribatté l'altro senza alcun intento derisorio, anzi lo trovava tenero.
«Simpatico» replicò lugubre il nuotatore lanciandogli un'occhiata raggelante, che avrebbe fatto ritirare impaurito chiunque, ma non Damien che sorridendogli appena si incamminò al suo fianco.
Salirono sul vecchio pick up di Julian e per tutto il tragitto non dissero molto, ma Julian trovava la sola presenza dell'albino al suo fianco estremamente rilassante; i silenzi fra loro non erano pesanti, anzi quando erano uno accanto all'altro era come se fossero avvolti da una tiepida e distesa brezza primaverile. Il campione lasciò che la sua mano si levasse dal cambio e accarezzasse impalpabile la mano del compagno, che vide sorridere felice.
Giunti alla lussuosa casa di Damien, vuota come la maggior parte delle volte, Julian lo afferrò impetuoso per il bavero del cappotto e lo travolse in un bacio che pareva essere stato in attesa per una vita intera.
«Oggi dove sei sparito durante letteratura?» domandò ad un soffio dalle sue labbra. Damien avvertendo la lieve, quasi nascosta, nota preoccupata del suo tono si intenerì, stava per rispondere quando...
«Etciù!» uno starnuto, seguito da molti altri.
Julian lo osservò stranito poi appoggiò la mano sulla fronte e capì.
«Scotti. Hai la febbre?!» disse allarmato, Damien si strinse nelle spalle infreddolito e si appoggiò di colpo contro il corpo dell'altro, che lo avvolse prontamente fra le braccia, infischiandosene del possibile contagio.
«Che idiota! Eri in infermeria, vero? Che cazzo perché non sei andato a casa?» Julian era infervorato, sopratutto con se stesso: primo per non essersene accorto, secondo perché probabilmente lo aveva aspettato fuori al freddo chissà per quanto tempo.
«Temevo che non saresti venuto» bofonchiò l'albino talmente piano che l'altro fece fatica a sentirlo.
Il biondo sospirò, non gli disse che quelle parole pronunciate con il suo classico timbro graffiato ma estremamente fragile in quel momento, gli avevano provocato dei piccoli brividi lungo la schiena.
«Scemo» gli sussurrò con dolcezza «Andiamo ti metto sotto le coperte».
Andarono di sopra, lo aiutò a spogliarsi e a mettersi addosso qualcosa di più comodo, lo stesso fece lui, ma prima di coricarsi al suo fianco gli diede alcune medicine e gli preparò qualcosa di caldo da mangiare.
«Resti comunque?» chiese Damien ostinato ma anche ansioso che lui se ne potesse andare.
Julian roteò gli occhi;
«Mia madre e mia sorella sono partite per il weekend. Rimango Reed. Certo che rimango, altrimenti chi ti tiene d'occhio conciato così?» rispose burbero.
Damien lo fissò con gli occhi liquidi a causa della febbre, Julian lo trovò comunque estremamente attraente, poi gli si fece più vicino e strofinò dolcemente la punta arrossata del naso sottile contro il suo collo, in un gesto di dolce appartenenza.
Il cuore del nuotatore sembrò tremare violentemente davanti a quelle calde sensazioni, guardò in basso e notò che Damien aveva chiuso gli occhi e si era completamente addossato a lui, arrendendosi docilmente fra le sue braccia che lo avvolsero ancora di più. Provò il forte impulso di baciarlo profondamente, ma si limitò a posargli un casto bacio sui capelli chiarissimi.
«Indipendentemente da tutto, avrei sempre e comunque scelto te, Damien».


Parole: 938
Cheiro no cangote: strofinare la punta del naso sul collo della persona amata.

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