Storie della Buonanotte di Asia Dreamcatcher (/viewuser.php?uid=205428)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Fiore Notturno ~ Shibumi ***
Capitolo 2: *** Winter is coming ⁓ Komeroshi ***
Capitolo 3: *** A Distanza ⁓ Cafuné ***
Capitolo 4: *** Non piangere, Hime ⁓ Serendipity ***
Capitolo 5: *** Bacio raffreddato ⁓ Cheiro no cangote ***
Capitolo 1 *** Il Fiore Notturno ~ Shibumi ***
01-Shibumi
Fiore Notturno
~
Shibumi
Lo
zaino tenuto malamente su una spalla sola, pareva sul punto di
abbandonarsi alla forza di gravità una volta per tutte, le mani
ficcate a forza nelle tasche dei Levis sdruciti ad arte, il passo
strascicato, di chi di reggersi sulle gambe proprio non aveva voglia.
Lo
sguardo chiaro ed annoiato di Filippo Parini vagliò la numerosa e
variegata fauna umana, che bazzicava di prima mattina davanti alla
biblioteca.
Era
un luogo, quello, che non era abituato a frequentare, di certo non
rientrava nella sua top five di posti in cui potersi rilassare o
dedicarsi ad una qualsiasi delle sue attività preferite, ma era la
sua ultima spiaggia. Spense la sigaretta, ormai consumata, nel
cestino, si stropicciò i capelli biondo rame nervosamente,
decidendosi poi ad entrare.
Filippo
prese posto in uno dei lunghi tavoli scuri accanto alla finestra, da
cui penetrava qualche tiepido raggio solare; gettò malamente sul
banco il volume di Fisica tecnica con annessi appunti; non poteva
permettersi un’altra bocciatura in quell’esame, o i suoi genitori
non avrebbero perso tempo a rinfacciargli di aver preferito,
erroneamente a parer loro, Architettura a Giurisprudenza.
«Questo
posto è libero?» la voce bassa e delicata lo distrasse appena,
tanto che annuì senza nemmeno alzare lo sguardo; la sedia
scricchiolò debolmente, un fruscio di fogli e il grattare morbido di
una penna furono gli unici rumori che si udirono per diverso tempo.
Avrebbe
voluto piantare la testa dritta nel libro Filippo, magari sarebbe
entrata qualche nozione nella sua testa con un contatto più “diretto
e violento”, invece si limitò ad alzare la testa verso il soffitto
e sgranchirsi platealmente le spalle. Alla disperata ricerca di
qualcosa con cui distrarsi, i suoi occhi vagarono dapprima sugli
appunti di chi gli stava davanti, attratto dalla calligrafia asciutta
ma estremamente elegante, con le “l”
belle
allungate e il tratto deciso arricciato dolcemente al termine della
“t”.
Sollevò lo sguardo incuriosito e lo puntò sulla persona
proprietaria di quella grafia.
Una
ragazza, dall’aspetto alquanto comune: il volto era regolare,
lineamenti dolci certo ma nulla all’infuori dell’ordinario; il
suo colorito era pallido, forse troppo, gli occhi castani non
possedevano alcuna sfumatura. I lunghi boccoli cadevano selvaggi,
indisciplinati sulle spalle minute, il mascara sbavato macchiava
appena il contorno dei suoi occhi e le labbra erano tese naturalmente
all’ingiù, in una sorta di broncio infantile. Era ben lontano dal
genere di ragazza che lo attirava e da cui si faceva coinvolgere,
eppure…
Eppure
qualcosa in lei gli impediva di distogliere lo sguardo per dedicarsi
ad altro.
Forse
il suo volto poteva apparire ordinario ad un primo sguardo, ma il suo
profilo era distinto, solenne quasi nobile; anche la sua postura era
ben dritta, per nulla ingobbita come ogni buon studente, le spalle
aperte quasi stesse sfidando il libro stesso a piegarla.
La
sua attenzione scivolò sulle mani: affusolate, si muovevano sicure,
i suoi gesti erano armoniosi, le eleganti dita raccolsero i capelli
fermandoli con una matita, qualche ciocca ribelle accarezzò
impertinente il suo viso, creando giochi d’ombra inediti.
Ma
fu il suo sguardo che lo catturò: intenso, profondo, sognante; anche
lei aveva smesso di studiare e guardava fuori, oltre la finestra,
forse osservando qualcosa che poteva vedere solo lei. Non era uno
sguardo vacuo ma vivo e luminoso, traboccante di cose inespresse; ciò
donava al suo volto una bellezza malinconica.
La
sua bellezza, comprese, era sottile, nascosta, che non andava
sperperata ma protetta; un fiore notturno che si schiudeva quando
nessuno guardava.
Improvvisamente
lei si voltò, i suoi occhi cercarono i suoi senza paura e gli
sorrise.
Filippo
aprì la bocca e la richiuse imbarazzato di essere stato colto in
flagrante.
Il
suo sorriso era aperto, vistoso e pieno di calore con una pennellata
di irriverenza sulle labbra ben disegnate. Stese anche lui le labbra,
gli era impossibile non ricambiare un sorriso come quello, era quasi
certo di non averne mai ricevuto uno.
Quello
sprazzo di sole scomparve fin troppo rapidamente e lui per un attimo
si sentì perso.
Lei
raccolse le sue cose, mentre una sua probabile amica l’attendeva
poco distante. Scomparve dalla sua vista con grazia e in un punta di
piedi così com’era arrivata.
“Credo
proprio che verrò anche domani”.
"Shibumi: Bellezza poco appariscente. Si tratta della grande raffinatezza che si nasconde dietro un aspetto ordinario e comune."
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Buonasera a chiunque si fermerà a leggere fino a qui! Come avete visto dall'intro questa raccolta partecipa alla "Challenge delle Parole Quasi Intraducibili" organizzata da Soly Dea sul forum di EFP.
Ogni capitolo si sviluppa attorno ad una parola da me scelta
dall'elenco fornito da Soly Dea, per questo primo capitolo ho scelto la
parola giapponese Shibumi.
Ogni
capitolo tratterà personaggi nati dalla mia fantasia, mi riservo
di riutilizzarli per eventuali long semmai mi venisse una buona idea
per il contesto e lo sviluppo della trama.
Fatemi sapere se questo capitolo vi è piaciuto e se i personaggi vi hanno intrigato!
Ringrazio chiunque leggerà e chiunque vorrà recensire!
Al prossimo capitolo! Un bacio!
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Capitolo 2 *** Winter is coming ⁓ Komeroshi ***
02-Winter is coming
Winter
is coming
⁓
Komeroshi
Nives
camminava velocemente, il respiro leggermente affannato, la guance
arrossate e i piedi che iniziavano a bruciare per lo sforzo che
quella camminata scattante imponeva.
Si
era attardata troppo in biblioteca e no, non aveva preparato nemmeno
metà dell’esame, ma in compenso si era caricata di libri, che
ovviamente non c’entravano nulla con la sua facoltà. Il risultato?
Rischiava di perdere l’ennesimo autobus.
Aveva
quasi raggiunto la fermata e con orrore vide che l’autobus era già
lì, fremente di ripartire; si obbligò ad uno scatto felino ma
qualcosa la bloccò un attimo prima di fare quell’ultimo salto
nell’umido calore del mezzo.
Era
il vento. Ma non era un vento qualsiasi no, quel soffio impetuoso lei
ormai aveva imparato a riconoscerlo e aveva il potere di risvegliare
qualcosa nel suo intimo. I suoi capelli sfuggirono dal cappotto,
librandosi nell’aria, il suo corpo fremette mentre l’autobus
chiudeva le porte e ripartiva, lasciandola lì inchiodata.
Un’altra
folata la colpì, era fredda, pungente, si insinuò fra i vestiti
lasciando una carezza gelida sulla pelle.
Il
suo corpo prima tremò, poi emanò un calore nuovo, Nives si strinse
ancora di più negli abiti pesanti. Un sorriso allegro nacque sulle
sue labbra rubre, il naso piccolo e leggermente all’insù
puntò verso il cielo, i suoi occhi si bearono del cielo
azzurrissimo, così carico che le sembrò un colore impossibile da
riprodurre. L’aria già fresca e limpida mutò, riempiendosi di
tinte terse e fredde, di pigri e tiepidi raggi solare, di notti buie
e silenziose.
La
ragazza afferrò il cellulare e digitò veloce un messaggio. La sua
meta ora era decisamente cambiata.
La
graziosa villetta a schiera risaltava sulle altre per il rigoglioso
giardino all’inglese che collocava l’intera proprietà in
un’altra epoca.
L’espressione
sul volto di Nives si fece dolce non appena scorse la porta della
veranda aprirsi e un’anziana signora, dall’aspetto curato
nonostante l’inclemenza del tempo incedere verso di lei.
«Nives!
Mia dolce Neve!» la sua voce era soave come una carezza e chiara
come lo scroscio fresco dell’acqua, non pareva la voce di un
ultrasettantenne, ma di qualcuno che ancora molto aveva da dire.
«Nonna!
L’hai sentito? Dimmi che l’hai sentito anche tu!».
La
risata aperta di sua nonna la contagiò, la abbracciò venendo
avvolta dal familiare e rassicurante profumo di pipa, legno bruciato
e arancia, che a Nives ricordava la stagione in arrivo.
«Certo
che l’ho sentito, il Maestro
dei venti
ha
deciso di onorarci con la sua presenza» la ragazza sorrise, seguendo
l’anziana all’interno dell’abitazione.
Il
Maestrale era giunto, preannunciando l’arrivo dell’inverno.
Se
per molte persone l’inverno era solo una gran scocciatura e con
tristezza osservavano gli indumenti pesanti, detestando l’idea di
seppellircisi dentro, Nives non era dello stesso avviso.
Per
la giovane l’inverno era una stagione magica: fatta di calore
cercato e donato, di fuoco scoppiettante nei camini, di profumi dolci
amari, di tessuti caldi e morbidi e del Natale. E sua nonna non era
da meno, era lei che le aveva insegnato a riconoscere il Mistral
e
ciò che portava con sé. Come da tradizione sua nonna le passò una
fumante tazza di tè caldo, sempre lo stesso ogni anno, mentre lei
stendeva sulle gambe di entrambe la grossa coperta di lana e cashmere
rossa.
Erano,
come sempre, sedute sulla panchina in ferro battuto nel retro del suo
lussureggiante giardino.
Nives
assaporò grata il caldo liquido profumato, chiuse gli occhi e rimase
lì ad ascoltare i sussurri carichi di promesse del vento.
Komeroshi: il vento freddo che inizia a soffiare quando l’inverno sta per arrivare.
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Buongiorno
a tutti! Eccomi tornata con un nuovo capitolo one shot, questa volta ho
prediletto un momento di famiglia: nipote-nonna, e per farlo ho scelto
un altro termine giapponese Komeroshi.
Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi recensirà questo e a chiunque arriverà a leggere fino a qui!
Buona giornata!
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Capitolo 3 *** A Distanza ⁓ Cafuné ***
Cafuné
A
Distanza
⁓
Cafuné
Michele
si stava godendo i primi raggi del tiepido sole di Maggio, seduto
comodamente in una delle tante panchine che costellavano il polo
linguistico dell’università.
La
sessione era alle porte ma lui era un tipo rilassato per natura, che
si faceva prendere dal panico all’ultimo minuto, quando ormai non
c’era più possibilità di tirarsi indietro e allora sfoderava il
suo sorriso caldo e un po’ impertinente, riuscendo sempre e
comunque a cavarsela.
«Ehi
Mich! Ohi, ci sei?».
Il
ragazzo dai capelli castano chiaro osservò l’amico da sopra le
lenti scure dei suoi occhiali da sole, muovendo appena la testa in un
pigro cenno d’assenso. Si tirò su stropicciandosi il volto, poi la
sua attenzione si catalizzò su altro; l’ultima traccia di
sonnolenza nei suoi occhi venne spazzata via da una sguardo più
attento.
«Sì
vedo come ci sei bro!»
si lamentò l’altro ragazzo, Stefano, che seguì lo sguardo di
colui che era il suo migliore amico e roteò gli occhi al cielo.
«Mich
almeno per oggi puoi fare il bravo e non darle noia?» lo supplicò,
sapendo bene che le sue parole sarebbero rimaste bellamente
inascoltate. Quando si trattava di lei
si
trasformava in un perfetto idiota.
L’idiota
in questione infatti non diede segno di averlo sentito, il suo cuore
aveva cominciato a battere talmente forte da sovrastare, in ogni
caso, qualsiasi altro suono.
Osservava,
come un assetato in mezzo al deserto, la ragazza a qualche metro da
lui, di cui era irrimediabilmente innamorato dal secondo anno di
liceo e che lei, per contro, detestava.
Perché?
Perché era più facile infastidirla, lasciare che lei lo detestasse
piuttosto che affrontare ciò che sentiva; averla, rischiare di
rovinare tutto e perderla definitivamente non avrebbe potuto
sopportarlo. Un vigliacco ecco cos’era, piuttosto di complicare
tutto lui preferiva darle noia. C’era chi gli avrebbe detto di
crescere e smetterla di comportarsi come un bambino capriccioso e lui
sarebbe stato perfettamente d’accordo, ma era più facile così.
Semplicemente non voleva che le cose cambiassero.
Lei
rise e Michele abbozzò un sorriso a sua volta, anche senza vederla,
avrebbe saputo descrivere perfettamente la sua risata: leggera,
discreta mentre i suoi occhi si stringevano lucidi di divertimento,
creando delle dolci e sottili increspature attorno ad essi.
Si
alzò dirigendosi verso di lei e i suoi amici, sentì Stefano,
accanto a sé, sbuffare.
«Buongiorno
a tutti!» salutò stendendo le labbra in un bel sorriso irriverente
e assumendo una faccia da schiaffi.
Il
resto dei presenti salutò più o meno calorosamente i due ragazzi,
eccetto Daria: sorrise gioviale a Stefano mentre un’occhiata a
Michele e il suo sorriso si spense, limitandosi ad un cenno.
Il
ragazzo però non si lasciò scoraggiare e con grande nonchalance si
avvicinò a lei, la sua mano corse verso il capo e con delicatezza le
sfilò l’elastico che teneva stretti i suoi capelli chiari in un
precario chignon. I suoi occhi si bearono di quel movimento sinuoso:
la chioma le ricadde sulle spalle in ciocche scomposte, spettinate.
Prima
che Daria se ne rendesse conto, Michele fece scorrere le sue lunghe
dita fra le sue ciocche lisce e setose; il suo cuore accelerò e il
suo sguardo si illuminò d’una mesta dolcezza. Era una sensazione
bellissima e per pochi attimi immaginò come sarebbe stato chinarsi e
baciarle i capelli che profumavano di mandorla e di pulito,
abbracciandola dolce e protettivo, come un ragazzo fa con la propria
compagna.
Osservò
impotente il suo sguardo passare dall’incredulità al puro
fastidio.
«Ma
che cazzo! Ridammi l’elastico!».
Lui
se lo rigirò fra le dita e poi ammiccò impudente;
«Stai
meglio coi capelli sciolti».
La
guardò mordersi il labbro inferiore più sottile e velato di gloss,
arrossire, ma nemmeno per un secondo il suo sguardo pieno di acredine
credette alle sue parole.
«Va
al diavolo Michele! E’ uno dei migliori che ho, cazzo!» sibilò
irritata.
Michele
ridacchiò e proseguì verso la lezione, dopo aver fatto un cenno
all’amico. Ignorò le proteste di Daria. Niente
da fare
si
disse, quell’elastico era appena diventato il suo portafortuna.
Cafuné:
(porteghese) Accarezzare la chioma della persona amata facendo
scorrere le dita fra i suoi capelli.
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Buonasera
a tutti! Eccoci qui con il terzo capitolo. La parola scelta, come
avrete già capito è Cafuné; spero che questo
taglio di trama vi sia piaciuto. Cosa ne pensate di questi due
personaggi?
Ringrazio chi ha recensito questa storia, chi l'ha inserita nelle liste
speciali e chi semplicemente leggendo è giunto fino a qui. Ci
vediamo alla prossima storia! Un abbraccio
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Capitolo 4 *** Non piangere, Hime ⁓ Serendipity ***
4. Serendipity
Non
piangere, Hime
⁓
Serendipity
-
-
Caterina
sentiva di essere fuori dal suo corpo. Era possibile vivere
un'esperienza extracorporea senza essere in punto di morte? Perché
altrimenti non si spiegava quel suo sentirsi lontana, non più
centrata, si guardava, cazzo non era normale: guardava se stessa e
lui; lui che parlava e parlava, gesticolava ma mai una volta
che tentasse di sfiorarla, di fare un gesto verso di lei.
-
Lui, quel
ragazzo dai capelli scuri e riccissimi, fisico allampanato e nervoso,
labbra carnose e sguardo basso era il suo ragazzo. No, a quanto pare
non più a quanto stava farfugliando proprio in quel momento, era
appena diventato il ex ragazzo; e lei era come in una fottuta boccia
d'acqua.
-
Reazione?
Non pervenuta. Caterina più che ascoltarlo lo fissava ad occhi
sgranati continuando a chiedersi perché non avesse ancora detto
nulla ne fatto niente: sollevare il tavolo e gettare tutto all'aria,
sarebbe stata una reazione conforme, no? Abbastanza plateale da farla
passare per l'isterica di turno; ma le sarebbe poi dispiaciuto per i
ragazzi del locale con cui aveva ormai un po' di confidenza.
-
Davvero
tutta quella compostezza non era da lei, era una cantante, una prima
donna, una che non si nascondeva dietro una falsa timidezza, tutti ne
erano a conoscenza. Non era forse per questo che il suo ragazzo –
EX! Ex ragazzo stava parlando così concitatamente? Per impedirle di
esplodere?
-
Caterina
continuava a restare impietrita, lo fissava ma non riusciva a
cogliere che stralci di quel monologo ormai alquanto ridicolo,
ridondante, pieno di parole stanche, sfinite.
-
In verità
non poteva dire di essere così sorpresa. Sapeva da settimane che le
cose non stavano andando bene da qualche settimana, lui si era
allontanato, e lei? Lei che cosa aveva fatto? Nulla, lo aveva
lasciato andare, che vigliacca.
-
Il
fastidio e la rabbia iniziarono a crescere, strinse le mani fra loro,
c'era davvero qualcosa di sbagliato in lei, almeno lui aveva avuto le
palle per prendere in mano la situazione e andarsene, quando lei
aveva atteso indifferente la fine del film della sua relazione.
-
«Basta»
Smettila.
«Ora basta» Smettila
di sbattermi in faccia la mia inettitudine.
-
«Ti
prego vattene» lui si zittì. Tentennò poi per qualche minuto
indeciso, si limitò infine a scusarsi un'ultima volta e sparì dalla
sua vista. Ancora una volta la giovane restò di pietra. “Sei
proprio un mostro, Cate”.
-
Lasciò
che la musica del duo acustico la cullasse, il drink sbavato di
rossetto davanti a lei rimase intoccato.
-
-
Davide si
spostò, in un gesto abitudinario, i capelli scompigliati e rossicci
dagli occhi, si gettò il canovaccio sulla spalla e salutò con un
bel sorriso i ragazzi del duo. Era pronto a chiudere il locale,
restava solo la ragazza dai tratti asiatici e capelli tinti di
platino, rimasta immobile al suo tavolo per tutta la serata. Si
chiese se stesse bene.
-
«Scusami»
iniziò affabile avvicinandosi «Ma io dovrei davvero chiudere-»
ammutolì.
-
La
ragazza aveva sollevato il capo e Davide rimase colpito dal suo volto
rigato di lacrime. Non se lo aspettava: i suoi occhi, dal taglio
orientale, erano enormi, di un caldo castano con alcune screziature
verdi lucidissimi, col trucco sciolto che le segnava inesorabile il
contorno di quegli occhi esotici e graziosi. Le labbra sottili, color
pesca, erano dischiuse in un'espressione sorpresa, sembrava quasi
confusa di essere ancora lì.
-
Davide
non era cieco: aveva seguito con la coda dell'occhio ciò che era
successo tra lei e quell'altro tipo... Caterina! Sì, era quello il
suo nome, l'aveva vista spesso ultimamente e no, decisamente non era
cieco.
-
«Ascolta
aspettami all'ingresso, d'accordo? Ci metto un minuto».
-
-
Non
si era accorta di star versando tutte quelle lacrime, si asciugò
timidamente il viso mentre osservava il barman, mmh...
Davide?! Controllare
che fosse tutto in ordine. Era davvero imponente, perfino col
giubbotto in pelle si notavano i muscoli delineati e gonfi tendersi
sotto il tessuto, sicuramente doveva aver praticato qualche sport
come boxe o rugby; era più grande di lei, forse vicino ai trenta.
Chissà se aveva fatto bene a fermarsi, in fondo lei che ne sapeva di
uno come lui?
-
Il
ragazzo si avvicinò e lei tremò davanti la sua mole, lui le poggiò
la mano sul capo in un abbozzo di carezza, possedeva un sorriso
accattivante ma caldo, quasi comprensivo.
-
«Qualsiasi
cosa sia successa mi spiace, ma ti assicuro che già domattina le
cose sembreranno meno peggio» pareva parlare per esperienza diretta.
-
«Sono
stata piantata» sputò quasi Caterina mordendosi le labbra
compulsivamente.
-
«Che
scemo» fu la laconica risposta, lei accennò un sorriso, poi si
strinse nelle spalle volgendo il capo per evitare che vedesse le
lacrime pericolosamente in bilico fra le sue ciglia.
-
«Può
essere, ma è colpa mia, non ho fatto nulla per evitare che
succedesse».
-
Lui non
rispose subito, si accese con tutta calma una sigaretta e si girò il
frontino del cappello al contrario, Caterina osservò sfacciatamente
i lineamenti marcati e virili del suo volto, molto differenti da
quelli affilati e fini del suo ex.
-
«Nemmeno
lui ha lottato, no?» disse infine con uno sguardo lontano,
meditabondo «In una relazione si è in due, se uno dei due si
allontana quanto meno un tentativo per aggiustare le cose si dovrebbe
fare. Voglio dire, piccola Hime1,
che tu potrai aver anche peccato, ma lui non è stato da meno. Ha
mollato. Si è arreso, nemmeno lui ha lottato per te» disse,
rivolgendole ancora una volta quel sorriso conturbante.
-
Caterina
si coprì gli occhi con mani tremanti, non riuscendo a trattenere
oltre le lacrime. Si addossò a lui in cerca, disperata, di calore,
di un po' di comprensione, di qualcuno che la facesse sentire un po'
meno mostro. Solo per un po'. Lo trovò, Davide accolse la sua
silenziosa richiesta e le circondò le spalle con un braccio
stringendosela contro.
-
Rimasero
così in silenzio, senza scambiarsi nemmeno uno sguardo, solo il
movimento delle labbra di lui mentre aspirava ed espirava lentamente
il fumo.
-
Caterina
rimase in ascolto di quel respiro calmo e profondo che avvertì
immediatamente rassicurante; colpita rifletté sulle sue parole,
percependole profondamente vere: non era stata solo colpa sua,
nessuno dei due aveva combattuto per l'altro, lui se ne era alzato e
andato lasciandola lì inchiodata alla sua colpa, alla sua apatia.
Provò un'intensa tristezza per qualcosa che andava oltre loro due e
la loro storia, qualcosa di soffice ma inafferrabile e doloroso.
Nonostante ciò si sentì rincuorata da quelle parole, forse sarebbe
riuscita a chiudere gli occhi stanotte.
-
Si scostò
quando se la sentì, lui indugiò per un istante poi la lasciò
scivolare via.
-
«Meglio?»
lei annuì, regalandogli un sorriso delicato, etereo come l'acqua
fresca e limpida di un placido laghetto. Si incamminò, pronta a
tornare a casa.
-
«Ah
comunque, non so come tu abbia azzeccato con tanta precisione il
fatto che io sia per metà giapponese, ma ti assicuro che sono tutto
fuorché una principessa1!»
gli disse voltandosi.
-
In
risposta ricevette la sua risata aperta e profonda, non era per nulla
un suono sgradevole, pensò.
Parole:
1154
Serendipity:
Lo scoprire qualcosa di inatteso e importante che non ha nulla a che
vedere con quanto ci si proponeva o si pensava di trovare, attitudine
a fare scoperte fortunate e impreviste.
______________________________________________________Asia's Corner
Buonasera a tutti,
finalmente sono tornata ad aggiornare questa raccolta a cui tengo
molto! Ringrazio tutti voi che seguite e commentate, spero che anche
questa volta la storia sia stata di vostro gradimento!
A presto!
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Capitolo 5 *** Bacio raffreddato ⁓ Cheiro no cangote ***
Parole Intr 5
Bacio
raffreddato
~
Cheiro no cangote
-
Julian poggiò le mani sul
bordo della piscina e apparentemente senza sforzo si sollevò,
tirandosi fuori dall'acqua. Per quel giorno si era allenato a
sufficienza, si guardò attorno e come sempre si rese conto di essere
l'ultimo rimasto. Non che il fatto gli dispiacesse, aveva un suo
rituale e odiava avere gente intorno, prese l'asciugamano
frizionandosi il corpo e si diresse verso le docce.
-
Solitamente, al termine
dell'allenamento, prendeva del tempo per sé, non preoccupandosi del
suo scorrere: i suoi gesti in quel momento parevano misurati, lenti e
armonici, essenziali quasi la chiusura della sua giornata fosse una
cerimonia del tè giapponese; quel giorno invece le affusolate dite
apparivano nervose, i gesti frementi, il corpo longilineo e modellato
dall'acqua scattava veloce, quasi non avesse tempo, quasi avesse
un'urgenza.
-
Il ragazzo si accorse di tutto
ciò e si impose calma, l'ampio petto glabro si alzava e si abbassava
seguendo docile la sua respirazione profonda, si diede dello sciocco:
era proprio messo male se si agitava per un simile pensiero.
-
Si rivestì in fretta e si
soffermò più del solito sui suoi biondi capelli: con le dita
cercava di sistemarli in ciocche disordinate sulla fronte e mentre lo
faceva le labbra, solitamente tese con un accenno di spocchia, erano
velate da un timido e morbido sorriso. Si fissò imbambolato allo
specchio: stentava a riconoscersi, il pensiero subito si perse e si
addensò attorno ad un'unica persona, come poteva fare così tanto la
differenza?
-
Scrollò il capo e ridacchiò
della sua follia.
-
Quando uscì dalla palestra
della scuola prese un'uscita secondaria, lui era lì. Sigaretta fra
le dita magre e nervose, pelle tremendamente pallida, capelli
ossigenati e la bocca ben disegnata leggermente socchiusa nell'atto
di espirare il fumo.
-
Come se avesse avvertito la sua
presenza Damien si voltò; Julian non poté che restare, come ogni
santissima volta, colpito da quello sguardo assottigliato ma privo di
giudizio con gli occhi blu che lo guardavano impietosi come se
dovessero sondargli l'anima. Il suo cuore si strinse a tradimento nel
petto e si ritrovò a piegare il capo di lato e sorridergli sghembo.
-
Damien abbassò lo sguardo
quasi subito, per evitare di arrossire davanti a quel sorriso
voluttuoso ed obliquo mentre dolci e sottili lineette si increspavano
attorno a quei suoi occhi chiari e cangianti.
-
«Mi aspetti da molto?» Julian
si avvicinò a lui talmente tanto che sembrava dovesse abbracciarlo
da un momento all'altro, ma le sue braccia non si mossero e le mani
restarono ficcate nelle tasche del giubbotto.
-
«Sembra che tu abbia un
porcospino in testa» ribatté l'altro senza alcun intento derisorio,
anzi lo trovava tenero.
-
«Simpatico» replicò lugubre
il nuotatore lanciandogli un'occhiata raggelante, che avrebbe fatto
ritirare impaurito chiunque, ma non Damien che sorridendogli appena
si incamminò al suo fianco.
-
Salirono sul vecchio pick up di
Julian e per tutto il tragitto non dissero molto, ma Julian trovava
la sola presenza dell'albino al suo fianco estremamente rilassante; i
silenzi fra loro non erano pesanti, anzi quando erano uno accanto
all'altro era come se fossero avvolti da una tiepida e distesa brezza
primaverile. Il campione lasciò che la sua mano si levasse dal
cambio e accarezzasse impalpabile la mano del compagno, che vide
sorridere felice.
-
Giunti alla lussuosa casa di
Damien, vuota come la maggior parte delle volte, Julian lo afferrò
impetuoso per il bavero del cappotto e lo travolse in un bacio che
pareva essere stato in attesa per una vita intera.
-
«Oggi dove sei sparito durante
letteratura?» domandò ad un soffio dalle sue labbra. Damien
avvertendo la lieve, quasi nascosta, nota preoccupata del suo tono si
intenerì, stava per rispondere quando...
-
«Etciù!» uno starnuto,
seguito da molti altri.
-
Julian lo osservò stranito poi
appoggiò la mano sulla fronte e capì.
-
«Scotti. Hai la febbre?!»
disse allarmato, Damien si strinse nelle spalle infreddolito e si
appoggiò di colpo contro il corpo dell'altro, che lo avvolse
prontamente fra le braccia, infischiandosene del possibile contagio.
-
«Che idiota! Eri in
infermeria, vero? Che cazzo perché non sei andato a casa?» Julian
era infervorato, sopratutto con se stesso: primo per non essersene
accorto, secondo perché probabilmente lo aveva aspettato fuori al
freddo chissà per quanto tempo.
-
«Temevo che non saresti
venuto» bofonchiò l'albino talmente piano che l'altro fece fatica a
sentirlo.
-
Il biondo sospirò, non gli
disse che quelle parole pronunciate con il suo classico timbro
graffiato ma estremamente fragile in quel momento, gli avevano
provocato dei piccoli brividi lungo la schiena.
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«Scemo» gli sussurrò con
dolcezza «Andiamo ti metto sotto le coperte».
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Andarono di sopra, lo aiutò a
spogliarsi e a mettersi addosso qualcosa di più comodo, lo stesso
fece lui, ma prima di coricarsi al suo fianco gli diede alcune
medicine e gli preparò qualcosa di caldo da mangiare.
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«Resti comunque?» chiese
Damien ostinato ma anche ansioso che lui se ne potesse andare.
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Julian roteò gli occhi;
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«Mia madre e mia sorella sono
partite per il weekend. Rimango Reed. Certo che rimango, altrimenti
chi ti tiene d'occhio conciato così?» rispose burbero.
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Damien lo fissò con gli occhi
liquidi a causa della febbre, Julian lo trovò comunque estremamente
attraente, poi gli si fece più vicino e strofinò dolcemente la
punta arrossata del naso sottile contro il suo collo, in un gesto di
dolce appartenenza.
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Il cuore del nuotatore sembrò
tremare violentemente davanti a quelle calde sensazioni, guardò in
basso e notò che Damien aveva chiuso gli occhi e si era
completamente addossato a lui, arrendendosi docilmente fra le sue
braccia che lo avvolsero ancora di più. Provò il forte impulso di
baciarlo profondamente, ma si limitò a posargli un casto bacio sui
capelli chiarissimi.
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«Indipendentemente da tutto,
avrei sempre e comunque scelto te, Damien».
Parole: 938
Cheiro no cangote: strofinare la punta del naso sul collo della persona amata.
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