Puoi imparare tante cose dai fiori

di _Turs_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Campanule ***
Capitolo 2: *** Girasoli, Orchidee e un leggero tocco di Glicine ***
Capitolo 3: *** Garofani Gialli e Ugual Rose ***
Capitolo 4: *** Aquilegia ***
Capitolo 5: *** Viole e Lavande ***



Capitolo 1
*** Campanule ***


Capitolo primo, Campanule
 
La gratitudine, come certi fiori, non cresce in alta quota e riverdisce meglio nella terra buona dell'umiltà.
-Josè Martì
 
Se li era trovati davanti un giorno come tanti, non li aveva nemmeno notati quando, ben quattro ore prima, era entrato nell'appartamento in cui ora viveva, preferendo decisamente accomodarsi sulla sua poltrona così da poter catalogare al meglio nel suo palazzo mentale il caso appena concluso. Un quattro, causato da una serie di tradimenti di una donna di quarant'anni circa con evidenti problemi di alcolismo che gli stavano causando calcoli ai reni fin troppo dolorosi, evidente, almeno per lui, per i lavoratori di Scotland Yard a quanto pare era stato fin troppo complicato scorgere quei dettagli, e per evitare di essere distratto dallo sproloquiare di Anderson in merito al suo coinvolgimento nel caso, aveva preferito semplicemente allontanarsi e ritornare all'appartamento per restare un po' in solitudine. Cosa che non avvenne, dato che al suo ingresso aveva scorto la figura di John Watson al suo portatile, mentre cliccava con una lentezza inaudita i tasti che scricchiolavano leggermente sotto il suo tocco (quel portatile era fin troppo antiquato, avrebbe fatto meglio a comprarne uno decente il prima possibile, o Sherlock avrebbe avuto fin troppe noie mentre lo utilizzava in sua assenza). Ovvio che l'ex soldato si trovasse lì, d'altronde era il suo coinquilino, anche se Sherlock non si era ancora abituato all'idea di avere qualcuno che girava per l'appartamento in sua presenza, non che lo infastidisse, specialmente ora che lo aveva aiutato con il suo disturbo psicosomatico, almeno preparava un buon tè, mentre il compito di portare i biscotti era della Sig. Hudson, seppur ad essi seguissero sempre delle lamentele riguardanti il suo ruolo in quell'edificio, ben presto interrotte dallo sbattere della porta dello stesso consulente investigativo, che preferiva il silenzio alle chiacchiere. Per questo era entrato subito nel suo palazzo non appena arrivato, quasi nemmeno sentendo il saluto di John, che gli arrivò flebile alle orecchie, quasi fosse lo stesso sfruscio che la poltrona emetteva mentre si portava le mani sotto al mento e chiudeva gli occhi assorto. 
Alla fine ci si era perso in quello stesso palazzo e aveva finito per metterci molto più tempo di quanto avrebbe dovuto, tanto che si ritrovò con le gambe leggermente intorpidite dalla posizione scomoda e duratura. Aprì gli occhi flebilmente e fu allora che li scorse con la coda dell'occhio, facendolo voltare di scatto quasi fossero una qualche allucinazione, ma no, quelli rimasero lì immobili, in quel vaso di dubbio gusto. Perchè sì, non potevano che essere fiori quelli, campanule per essere precisi. Aggrottò le sopracciglia mentre gli occhi rimanevano sulle piante quasi stesse cercando di carpirne i segreti, cosa che bene o male fece, capendo ben presto come il vaso fosse della Sig. Hudson (il motivo violaceo che si espandeva dalla base, uguale a quello dei piatti che lasciava loro con i biscotti appena sfornati, quindi un pacchetto, un dono di nozze forse) ma che non fosse stata lei a posizionarli lì (erano vicini al laptop di John e il vaso non era troppo pulito, segno che la donna non lo teneva in mostra ma era stato sicuramente tolto fuori da delle scat-no, non delle scatole, uno sgabuzzino, magari dall'appartamento 221C che nessuno voleva mai). Potè presto capire che quei fiori erano quindi del suo coinquilino e ciò gli fece arcuare un sopracciglio interdetto, non che fosse uno dalle visioni ristrette, ma nei pochi giorni in cui aveva conosciuto l'ex medico militare non avrebbe mai detto che fosse uno "dal pollice verde", come si era soliti dire.
"Che ne pensi?" Lo riscosse una voce dietro di sè, proveniente dalla cucina, John si era alzato poco tempo prima che lui si svegliasse dalla sua trance e stava preparando il tè a quanto pare, lo si capiva dall'odore che ora gli riempiva le narici. Quindi come immaginava, quel pezzo dell'arredamento era opera sua. Era aspettativa quella che sentiva nella sua voce? Non ne era sicuro, troppi pochi dati.
"Sono...fiori..." Disse sbattendo le palpebre mentre le ciglia sfrigolavano delicatamente, gli occhi ancora fissi su quei fiori che tanto stonavano con il disordine che albergava su quel tavolo e nel loro appartamento (e anche nella sua vita, ma questo era un discorso che preferiva non aprire). Si morse la lingua nell'aver detto una cosa così ovvia, prima di voltarsi verso il suo coinquilino, che gli sorrideva leggermente appoggiato allo stipite della porta che divideva il soggiorno e il cucinino, le due tazze del tè in mano e un quasi sospiro sulle labbra. Gli occhi tradivano quel luccichio che Sherlock aveva ormai come catalogato come ammirazione, seppur non ne fosse così abituato, tanto che ogni qual volta intravedeva quella sensazione, gli si mozzava il fiato. (Ma questo lui non l'avrebbe mai ammesso)
"Mhmh, sono campanule." Annuì l'altro, sempre come se si stesse aspettando qualcosa.
"Lo so." Alla precisazione dell'altro lo interruppe con tono seccato, allontanando le mani che teneva ancora sotto il mento per rilasciarle sui poggiagomiti, le dita che stringevano la pelle sotto di esse, quasi in difensiva. "Dell'ordine delle Campanulales, famiglia delle Campanulaceae, sottofamiglia Campanuloideae, il primo ad aver dato questo nome fu Dodoens, anche se solo Von Linnè lo rese ufficiale per iscritto. Potrei stare l'intera serata a parlarne, ma dalla tua espressione allucinata direi che la tua conoscenza in materia sia relativa al nome del fiore e che non sei per niente interessato a scoprire altro a riguardo, quindi per una volta sarò magnanimo. Passiamo al punto, che ci fanno delle campanule sul tavolo del nostro appartamento?"
Un brivido lo scosse impercettibile nel pronunciare quel "nostro", una sensazione ancora di novità che lo accompagnava nel riconoscere che sì, era loro, insieme. John d'altro canto aveva dischiuso le labbra a quel lungo discorso, rimanendo in silenzio prima di leccarsi quello inferiore, il disagio che si faceva sentire sotto le membra, quasi come se si fosse sbagliato su qualcosa, come se quella non fosse la risposta che voleva sentire, e ciò non fece che irritare maggiormente il consulente, che aprì le braccia elegante in attesa di una qualche parola in merito. Non capiva proprio e ciò non faceva altro se non aumentare il suo fastidio, tanto che la tentazione di prendere la pistola e sparare al muro iniziava a farsi sentire sottopelle. O sarebbe stato meglio un cerotto alla nicotina? Il biondo sospirò sbattendo le palpebre più volte prima di parlare, quasi i suoi pensieri si stessero rischiarando velocemente, alla ricerca di un qualcosa da dire ora che il suo copione era stato strappato e buttato nella spazzatura.
"N-niente, pensavo dessero un po' di colore alla stanza, non credi?"
Sherlock lo fissò come se fosse impazzito in quell'istante, nemmeno gli avesse detto che Mycroft era riuscito a perdere i chili in eccesso che si portava dietro da una vita in una sola mattinata. Si notava lontano un miglio che non era quella la sua intenzione, sopratutto che quella era una menzogna tirata fuori sul momento.
"Ma se non ti piacciono nessun problema, li toglierò." Aggiunse immediatamente John, ma qualunque risposta del consulente fu bloccata da quel leggero fischiare che indicava la fine della bollitura del tè, al che l'ex soldato si voltò, smettendo di parlare e dirigendosi a riempire quelle due tazze che ancora teneva tra le dita, nascondendo il suo sguardo. Il consulente continuava a guardarlo con la coda dell'occhio, confuso riguardo quel comportamento, ma rimase anche lui in silenzio, prendendo il giornale e aprendolo tra le sue mani, prima di sentire i passi del coinquilino e allungarsi a prendere la sua tazza con una mano senza nemmeno voltarsi, mentre riguardava gli articoli alla ricerca di un qualcosa (qualunque cosa) di interessante. Un motivo per distrarsi magari.
"Come vuoi, i fiori non sono un problema." Gli sfuggì dalle labbra senza nemmeno accorgersene prima di bere un sorso, incrociando le gambe, gli occhi fissi sulla pagina. Potè quasi sentire il sorriso di John che riemergeva sul suo viso, il rumore che gli ricordava molto quello della carta. Aveva un che di rassicurante in tutto ciò, sapeva quasi di casa, ma questo pensiero il consulente investigativo l'avrebbe formulato solo molto dopo.
"Guarda che non per questo ti farò tenere le dita nel microonde." Scherzò l'altro, ridacchiando dietro la tazza che si stava portando alle labbra, gli occhi che brillavano.
"Ma Jooohn!" 
Da lì il discorso si chiuse, tra una risata e dei passi che correvano su per le scale, procurando un fracasso tremendo che finì con la Sig. Hudson che riprendeva animatamente Lestrade, minacciando di prendere la scopa e tirargliela in testa, prima che Sherlock si alzasse, già pronto ad uscire per il prossimo caso, seguito dall'ex soldato nemmeno un istante dopo, i fiori che rimasero su quel tavolo, dimenticati fino al loro ritorno.


















Angolo Autrice:
Benvenuti nel mio angolino di scrittrice a tempo perso, che scrive per la prima volta nel suo fandom preferito facendosi il segno della croce per aver appena rovinato la sua otp assoluta. Ho messo l'OOC per questo, John e Sherlock sono decisamente difficili da manovrare.
Comunque sarà una raccolta di circa 10 capitoli se non cambiano i programmi, ambientati in vari momenti dalla prima stagione al post stagione quattro, questo per esempio è ambientato qualche giorno dopo la 1x01. Per chi non lo sapesse, la campanula nel linguaggio dei fiori simboleggia la gratitudine, quella che John prova per Sherlock dopo che quest'ultimo l'ha aiutato con il suo "problemino" alla gamba.
Detto questo, ditemi che ne pensate con una recensione(positiva o negativa), spero davvero vi piaccia comunque, al prossimo capitolo.

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Capitolo 2
*** Girasoli, Orchidee e un leggero tocco di Glicine ***


Capitolo secondo, Girasoli, Orchidee e un leggero tocco di Glicine
 
Io conosco il prezzo del successo: impegno, duro lavoro e un'inarrestabile devozione alle cose che vuoi veder succedere.
-Frank LLyod Wright

 

Le campanule non furono le uniche a presentarsi su quel tavolino nel tempo. La maggior parte delle volte Sherlock nemmeno se ne accorgeva prima che sfiorissero e si ritrovasse con i petali appassiti sulla poltrona un attimo prima di sedersi, altre volte ci si sedeva sopra attaccandoli ai vestiti e finiva per portarli in giro con sè, con le conseguenti risatine di Anderson e Donovan sulla scena del crimine.
Se si ritrovava in un periodo morto per Scotland Yard e gli era stata requisita la pistola (con suo sommo disappunto considerato che non era lui a mancare di rispetto ai vicini con il suo fracasso, come era solito dire John, ma loro a lui con la stupidità di cui erano muniti) molte volte prendeva quelle foglioline posizionandole sotto il microscopio per analizzarle. Nei momenti di massima noia tentava di capire che fiore fosse solo prendendolo tra le mani, per tentare di tenere la mente occupata. Mente che si sarebbe potuta occupare tranquillamente con una sigaretta, ma quelle sembravano essere un'opzione negata sia dalle continue proteste del coinquilino sia dalla Sig. Hudson. 
A volte erano girasoli, altre orchidee, l'ex soldato ultimamente sembrava essersi fermato su quei due fiori, seppur ben poco si addicessero al vaso in cui erano sistemati. Rimaneva di cattivo gusto comunque. Ormai quelle due piante sembravano aver fatto parte della loro quotidianità, talvolta Sherlock pensava pure di sognarsele, notandole con la coda dell'occhio nel mentre girava per i corridoi di quel palazzo che era la sua mente. 
Erano nel bel mezzo di un caso, o come la chiamava lui "la sfida", quando il pensiero di quei fiori gli si parò davanti, quasi un campo che si estendeva in altezza e larghezza a bloccare completamente il suo passaggio nel corridoio che l'avrebbe dovuto condurre verso la soluzione del caso, e loro non avevano tempo da perdere. Tanti girasoli che con i loro fiori toccavano il soffitto, maestosi e quasi luccicanti alla vista, nemmeno brillassero tra le mura della sua mente.
"Perchè dovrebbe essere un falso, perchè, perchè, perchè- John, perchè i girasoli?" Aveva interrotto la sua stessa frase, indicando con un gesto veloce della mano il vaso che faceva bella mostra di sè al centro del tavolo, i  petali che avevano perso già da qualche giorno il caratteristico colore giallognolo. Questo perchè John non li innaffiava da quando quel maledetto cellulare rosa era stato recapitato loro, troppo occupato con i mille e uno enigmi del dinamitardo che tanto gioiva nel mettere in pericolo le persone per il puro divertimento di vedere i piccoli ingranaggi del cervello del consulente investigativo muoversi. Non si era nemmeno bloccato, continuando a camminare avanti e indietro come suo solito mentre ragionava, quasi come se quella domanda fosse relativa al caso e gli stesse chiedendo di ricontrollare un'informazione. 
Al sentirsi richiamare, il coinquilino, assopito su quella scomoda sedia con il viso appoggiato sulla mano, gli occhi ormai quasi completamente chiusi e la mente nel mondo di Morfeo, si ridestò completamente. Sobbalzò leggermente, sbattendo le palpebre prima di passarsi indice e pollice sugli occhi assonnati. Quand'era l'ultima volta che aveva davvero dormito? Se Sherlock non si fosse messo a vorticare come un tornado per la stanza, sollevando i fogli che ormai erano diventati parte del pavimento, avrebbe senz'altro dedotto che era passato molto tempo, forse da prima dell'inizio di quel grande gioco che comprendeva la sua mente e quella di questo fantomatico Moriarty. 
Al non sentire la risposta alla sua domanda, dato che John era molto più occupato a ricordarsi chi fosse e dove si trovasse al momento, si voltò verso di lui gesticolando animatamente, le mani che passavano più volte tra i capelli mentre compiva qualche altro passo veloce in quel tratto di pavimento davanti al divano. 
"Perchè? Potresti usare qualunque altro fiore e invece ti sei fissato sui girasoli, o sulle orchidee, che personalmente odio, quindi grazie per non averle fatte comparire eccessivamente. Non si addicono al vaso, d'altronde come potresti capirlo tu, considerati i tuoi maglioni non sai nemmeno cosa sia il buon gusto. Non sono nemmeno tra i tuoi fiori preferiti, dato che non rimani a fissarli o cambi espressione al vederli, quindi direi che per te sono fiori come altri. Niente di speciale o di nostalgico per cui. Quindi perchè proprio i girasoli? Mh?"
Gliel'aveva sputato in faccia come niente, quasi fosse l'ennesimo quesito che si poneva per i casi. Però solitamente quella parlantina veloce Sherlock la usava quando parlava tra sè e sè. Per questo John rimase qualche secondo a fissarlo, le fronte corrucciata e la bocca schiusa, ormai sveglio per via della voce alta usata dall'altro, che intanto lo guardava con un sopracciglio inarcato, scorrendo gli occhi su di lui, fulminei. Stava cercando di capire dalla sua reazione la risposta, potè intuire l'ex soldato, mentre si sentiva, come suo solito, sotto lo scanner che gli occhi chiari del coinquilino rappresentavano.
"Eh? I girasoli? Sherlock-" si passò le mani sul viso stancamente, per eliminare completamente le tracce di sonno che ormai lo prendevano quando il consulente iniziava i suoi monologhi interiori "Ma cosa ti interessa se metto i girasoli piuttosto che le rose? Non dovresti pensare a risolvere il caso? Sai, il dinamitardo, vite in pericolo da salvare, magari nessuna bomba pronta ad esplodere nel giro di un miglio da qui..."
Era sulla difensiva, questo il detective lo scorse subito dalla sua espressione, dal come si fosse alzato rigidamente dalla sedia, diretto verso la cucina per preparare il tè, che come sempre fungeva da interruzione per qualsiasi discussione poco gradita. John Watson era il perfetto inglese d'altronde.
Forse Sherlock non si sarebbe nemmeno concentrato su quelle piante, non nel bel mezzo di un caso almeno, se non fosse che da quella giungla di fiori nel suo cervello non fosse comparso Mycroft, impeccabile nel suo vestire, l'ombrello tra le mani che veniva sbattuto sul pavimento piastrellato con fermezza. L'espressione del fratello divenne sempre più ghignante, come quella di qualche giorno prima, quando era andato da lui ad assumerlo per quel noiosissimo caso di informazioni missilistiche perdute. Come quel giorno si era voltato a guardare i fiori, il sorrisetto che si faceva sempre più grande sul suo viso, prima di parlare.
"Oh Sherlock, tu osservi ma non comprendi." 
Inutile dire che come un soffio di vento lo fece sparire da davanti a sè, accompagnato con un gesto della man0, simile al gesto dello scacciare una mosca fastidiosa. Non che Mycroft fosse molto differente da essa per lui. Il politico si era rivolto, dopo quelle parole, verso il suo coinquilino.
"Non si preoccupi, Dottor Watson, Sherlock è sempre stato quello lento della famiglia."
Ed era così sparito dalla porta, non prima di aver lasciato i dati di quel caso, prontamente cestinati. 
Da quel momento il pensiero di quei fiori non aveva abbandonato il minore degli Holmes, portandolo a quell'istante, mentre seguiva il medico nell'altra stanza, determinato ad avere una risposta, le mani che fremevano dal muoversi. John finse di non notarlo, continuando a bollire l'acqua per il tè, anche se Sherlock dalle sue spalle contratte poteva ben intuire che fosse teso. Perchè così tanta segretezza per quei maledettissimi fiori? Non lo comprendeva, e ciò lo faceva impazzire. 
Stava per parlare ancora, ma le labbra si fermarono nell'atto, trasformandosi all'ultimo in un sorriso vittorioso. Ma certo! Era stato così lento.
"John, dobbiamo andare al museo. Adesso."
Lo interruppe spegnendo il fornello con un gesto veloce della mano senza nemmeno aspettare la risposta del coinquilino, dirigendosi verso la porta, sicuro di essere seguito. D'altro canto, il medico, confuso da quel cambio di direzione, ci mise mezzo secondo prima di andargli dietro, chiudendo con forza la porta, ormai dimentico del discorso che avevano intrapreso. 
Intanto alcuni petali caddero delicatamente sul pavimento, quasi fossero stati presi alla sprovvista.



"Questa tua "passione" per i fiori ci porterà a qualcosa di male un giorno."  Mormorò Sherlock mentre si sistemava la giacca e seguiva John all'interno di quel negozietto, alzando lo sguardo nemmeno mezzo secondo prima di arricciare il naso per il soffocante odore di "natura" e passare una mano sotto di esso. Non era nemmeno sicuro di ciò che aveva detto, voleva solo uscire nemmeno un secondo dopo aver superato la porta in legno. Evitò perfino di guardare attentamente qualunque cosa se non il pavimento, dove potè notare qualche macchia di cemento, sicuramente un muratore che appena finito il suo turno si era deciso a comprare un mazzo di rose per la sua fidanzata. No, era l'amante, decisamente. Nessuno comprerebbe quelle rosa per una fidanzata e sopratutto non le stringerebbe così forte da farne cadere quasi completamente i petali, che erano rimasti ormai nel cemento secco. Almeno quello lo aveva distratto qualche secondo, prima di sbuffare. Sinceramente, quale fioraio era aperto dopo le 8 di sera? E sopratutto, perchè John Watson doveva proprio decidere di andarci dopo le 8 di sera, quando nemmeno un'ora prima era ricoperto da un giubbotto pieno di esplosivo, in ostaggio di uno psicopatico con un discreto gusto per la musica?
Eppure lui da quando erano usciti da quella piscina sembrava tranquillo, anzi, gli angoli della bocca erano leggermente tirati verso l'alto in un sorriso segreto, mentre guardava i vasi ricolmi.
"I fiori non hanno mai fatto del male a nessuno Sherlock, non più di una pistola o di una bomba." Rispose infatti calmo il medico, allungando la mano verso alcune piante che ricadevano dal soffitto. Glicine, lo catalogò in un secondo nella sua mente il detective, un attimo prima di sollevare gli occhi al cielo esasperato.
"Dillo a Laurel Prince, che è stata avvelenata da un mazzo di fiori mandato dall'amante del marito nel 2008. Un caso da 6." Fu allora il turno di John di alzare gli occhi al cielo, prima di rivolgersi all'addetto per chiedere qualche pianta di quel fiore che sembrava averlo incantato, evitando così di rispondere alla sua provocazione. Per fortuna dopo qualche minuto furono fuori da quello che Sherlock aveva appena finito di catalogare come "inferno, evitato accedere", il più basso con i fiori tra le braccia e un sorriso soddisfatto in viso.
"Almeno così non ti lamenterai più dei girasoli, no?" Gli disse l'amico, facendolo bloccare nel mezzo del marciapiede, prima che una risatina gli scappasse dalle labbra, in tempo perchè un taxi si avvicinasse al lato della strada.








Angolo Autrice:
Benritrovati nel mio angolino, appena due giorni dopo il primo capitolo perchè sinceramente in questi giorni ho tempo libero, non prometto aggiornamenti così veloci dopo questo. Prima di tutto grazie a tutti quanti quelli che hanno messo la ff tra le seguite e anche a chi l'ha recensita, mi fa davvero piacere che siate interessati, ma ora passiamo alle cose più tecniche.
Questo capitolo è ambientato nell'1x03, aka durante il gioco di Moriarty e i vari casi che si susseguono. La prima parte durante il caso del dipinto falso, la seconda appena dopo l'incontro in piscina (che qui ho già fatto concludere senza prolungarlo nel capitolo che sarà ambientato nella 2x01). Specifico non sia mai non sia riuscita a farlo intendere, scusate.
I fiori citati nel capitolo sono: i girasoli (devozione), le orchidee (dedizione) e il glicine (amicizia). Per quanto riguarda la devozione e la dedizione, penso che in un certo senso rappresenti il loro rapporto tra coinquilini (non ancora come amici, non per niente John compra il glicine solo alla fine) come quando John si occupa di Sherlock per il cibo o le sue strane prese di posizione, la dedizione sopratutto (per questo Sherlock poco le sopporta, odia che la gente si occupi di lui). 
Come ultima precisazione, il caso citato alla fine, quello della morte per mano del mazzo di fiori, è ovviamente inventato. 
Penso di aver detto tutto, lasciate pure una recensione per dirmi cosa ne pensate, al prossimo capitolo
_Turs_ 

 

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Capitolo 3
*** Garofani Gialli e Ugual Rose ***


Capitolo terzo, Garofani Gialli e Ugual Rose
 
 
Vivi o muori, ma per amor di Dio non avvelenarti con l’indecisione.
-Erica Jong
 

Sherlock aveva sempre pensato che se a John avessero chiesto chi fosse la vera Regina del Dramma, avrebbe senz'altro alzato il braccio e indicato lui senza nemmeno pensarci un solo istante, ma da quando avevano incontrato La Donna, non era più certo di potersi affibbiare quel titolo.
Lei, morta e resuscitata, ora si trovava seduta sulla sua poltrona, i capelli sciolti e senza trucco, in quella che su qualunque altra persona sarebbe sembrata una maschera di miseria, ma che sul suo volto sembrava l'ennesima conferma di fierezza. Di certo non si sarebbe piegata, neanche in quella condizione sfavorevole, quegli occhi lo confermavano. Gli stessi occhi che in quel momento erano fissi sul suo coinquilino insieme ad un sorriso malizioso, che l'altro stava cercando di evitare guardando altrove. 
Insofferenza.
Era l'unico sentimento che l'investigatore percepiva dal comportamento dell'amico, così come aveva sempre fatto dal primo incontro in cui se l'era trovata nuda davanti agli occhi. Il tremore degli arti, specialmente la gamba che batteva a terra frenetica e irregolare, la costante voglia di evitare anche solo la vista di quella donna, tanto da fissare lo sguardo sugli oggetti più inutili e anche gli occhi che ogni tanto gli si rivolgevano, in quello che sembrava un invito a mandarla via. Eppure questi ultimi erano effimeri, per quanto quel fastidio fosse persistente, il Dottor Watson era un uomo troppo buono per evitare l'aiuto ad una persona in difficoltà. O forse considerava il suo giudizio abbastanza influente da obbligarlo a tacere.
Quel pensiero lo fece lievemente sorridere, attirando l'attenzione dei due. Le reazioni furono gli estremi opposti e ciò sembrò, per l'ennesima volta, interessante per la sua mente, sopratutto per lo sguardo accusatore di John stesso, che sembrò offendersi da quel sorriso fuoriluogo, quasi captasse in esso un pensiero ben lontano da quello reale. D'altro canto lo sguardo di Miss Adler gli provocò quello stesso senso di fastidio che sentiva provenire dal suo coinquilino, come se lei sapesse qualcosa che lui ignorava e di cui sembrava lontana la soluzione. Più la sua irritazione cresceva, più il sorriso della donna si allargava sulle guance, lo stesso che si avrebbe nel compatire un bambino stupido. 
A interrompere quel momento fu John stesso, che tirò indietro la sedia, facendola stridire contro il pavimento per poi leccarsi le labbra, quasi come se fosse un movimento del tutto casuale. Aveva poi tossito, guardando i due forse per la prima volta da quando si erano riuniti davanti al camino ora spento e trovandoli intenti in quel gioco di sguardi, per poi spostare gli occhi sul vaso che stava immobile a pochi centimetri dal gomito di Sherlock, quello che da Natale sembrava tappezzarsi in maniera costante con garofani gialli di tutte le dimensioni possibili. Un lampo di dolore prese possesso delle sue iridi, rapido, ma al detective sembrò non fosse il momento per parlarne, non con Irene lì davanti a loro, pronta a sfruttare le loro debolezze, ma che sembrava ben più conscia di loro di quali fossero. Represse quindi qualunque istinto, abbassando la mano che non si era accorto di aver leggermente alzato nella sua direzione con un gesto elegante e disinvolto.
"Sa, non mi piacciono molto i garofani, sono così... instabili. Sembrano lasciarti con l'amaro in bocca proprio sul più bello." Aveva detto così la Adler, alzandosi con l'finezza di un felino e compiendo quei passi che l'avrebbero portata davanti al tavolino, accanto alla sedia su cui era seduto l'investigatore. Gli occhi del medico la seguivano con attenzione, un sopracciglio alzato e uno sbuffo che aveva preso la forma sulle labbra, ma le spalle rigide della posa militare, pronto a scattare. Di questo Sherlock però non se ne accorse, avendo alzato il volto in direzione di Irene, che lo sovrastava ora che aveva allungato le mani verso il vaso con un tocco delicato. Fu l'investigatore stesso a fermarla, dopo aver capito le sue intenzioni, prendendola per il polso con fermezza, a protezione di quell'ornamento che tanto pareva inutile ai suoi occhi ma che sembrava così importante per l'amico. 
"I suoi gusti in fatto di fiori non sono affar mio, nè di John, sinceramente, quindi evitiamo i discorsi inutili e andiamo al dunque."
L'odore forte della donna gli inondava le narici, uno Chanel, il n° 5 molto probabilmente. Non gli era mai piaciuto, quello, era scialbo per lui, troppo forte, troppo invadente.
"Oh, quindi a lei piacciono?" Aveva invece chiesto lei, quasi senza ascoltare le sue parole, sempre quel tono di derisione in volto. "Non la facevo tipo da garofani sa, pensavo li avesse già...superati. O forse ho avuto troppa fiducia nelle sue capacità intellettuali. Sono un po' delusa." E così piegò il capo, stringendo leggermente le palpebre prima di far scivolare la mano dalla sua presa, passando le dita sul palmo di quella dell'altro, quasi lo stesse analizzando in base a dei nuovi dati, ma senza ricevere alcuna reazione se non un altro sopracciglio inarcato dato dall'irritazione. Sherlock si stava davvero trattenendo dall'urlare dall'irritazione che gli provocavano i suoi modi.
La Donna continuava a fare riferimento a certi discorsi a lui così stupidi, poco vitali in confronto al contenuto del telefono, e ciò gli stava facendo perdere la poca pazienza che già possedeva. 
"Ma lei non lo sa, vero?"
"Cosa dovrei sapere?" Fu la risposa diretta e veloce data dall'investigatore per la frustrazione, e pur rivolgendosi ad Irene, si voltò verso il suo coinquilino, che tratteneva il respiro con la mascella serrata nel guardare con odio la donna davanti a lui. Si aspettava quasi che fosse l'ex soldato a dargli tale risposta, ma quello non gli rivolgeva il minimo cenno del capo, intento a stare sull'attenti contro il pericolo imminente, che però Sherlock non comprendeva.
"Il perchè lei non ha bisogno di stupidi garofani, semplicemente." Disse candidamente lei, prima di scattare senza poter essere fermata e spingere con due dita il vaso, che barcollò cadendo giù dal tavolo, precipitando verso il pavimento.
Nessuno schianto però avvenne.
La mano del detective si era stretta attorno al collo di porcellana del vaso, a pochi centimetri dal terreno, mentre quella del medico, a nemmeno qualche millimetro di distanza, tremava in maniera impercettibile, ma non agli occhi di Sherlock, che lo guardò in cerca di risposte, non ricevendone alcuna. Perchè si comportava così? Davvero, alcuna spiegazione scientifica sembrava del tutto razionale in quel frangente. I messaggi, la fronte che si aggrottava al solo sentire la suoneria, il contarli, l'astio nei confronti della donna, come se lei gli avesse fatto qualcosa di personale e stesse continuando a stuzzicarlo.
E Sherlock non capiva, perchè Irene non aveva avuto contatti con John se non davanti ai suoi occhi, nessun motivo poteva essere causa di tale odio.
Eccetto.
Già, eccetto per la questione del loro "amore" come lo chiamava lei, quello a cui il medico aveva risposto con un "non sono gay" che si sarebbe potuto sentire fino in Scozia se solo avesse alzato di un tono la voce.
Che se la fosse presa per quello? Era una reazione esagerata, e sopratutto era iniziato tutto molto prima. Tutto ciò non aveva il minimo senso.
Nel mezzo di questo ragionamento fin troppo lungo, fonte di distrazione, nemmeno si accorse che il suo amico aveva preso il vaso dalle sue mani, ormai vuoto perchè erano riusciti a salvare la porcellana, ma i garofani erano caduti rovinosamente a terra insieme all'acqua che ora formava una pozza sotto il tavolo. Fortuna che non c'erano prese lì accanto.
Sherlock si riscosse alzandosi, le mani incrociate al petto in una posa composta che fece ghignare la donna ancora più apertamente. Sembrava trovasse il tutto fin troppo divertente e ciò non faceva che aumentare la voglia di evadere, ma non poteva, c'era troppo in gioco. 
Si voltò comunque verso John che però sembrava troppo occupato a raccogliere i petali caduti, quasi volesse concentrarsi solo su quelli e nient'altro.
"Ripeto. I fiori non dovrebbero essere nel nostro interesse, dica ciò che sa e basta. Non mi piacciono i giochetti."
Ammise burbero nei confronti di quella che stava diventando una presenza come quella del profumo stesso che emanava, invadente, pretendeva l'attenzione che non le si voleva dare, prepotentemente anche. 
"Io non sto giocando, Signor Holmes, sto cercando di aiutarla. Lei aiuta me, io aiuto lei, mi pare equo, non crede?" Aveva risposto sempre lei, allargando leggermente le mani innocentemente, come se fosse la cosa più ragionevole al mondo, ma sempre con quel sorriso accorto. 
"Non penso che Sherlock abbia bisogno di alcun aiuto." Fu la risposta pronta e decisamente brusca dell'amico, che si era appena alzato con quel che rimaneva delle piante fradicie. L'occhiata irata che continuava a darle era solo uno dei tanti punti che scopriva la sua rabbia, era più che altro quel tremore incontrollato, come se Irene avesse fatto ben altro se non buttare a terra dei fiori.
"Suvvia John, sono solo dei fiori." Sussurrò infatti Sherlock, gesticolando. "Appena finiremo questa cosa potrai comprare tutti i garofani che vuoi." 
Forse aveva l'intento di rassicurarlo con quelle parole, ma ebbe l'esito opposto, tanto che potè quasi sentire John digrignare i denti prima, seppur fosse di spalle.
"Non c'è problema, in fondo ha ragione Miss Adler, non c'è bisogno dei garofani ormai." 
Nella rabbia di quella sentenza, la sconfitta era totale, tanto da destabilizzare l'investigatore.
"Vedo che concorda con me, finalmente. E' sempre bello avere ragione, Dottor Watson, e in questi casi, io non sbaglio mai. Suvvia, le ho solamente dato una mano, non dovrebbe guardarmi come se stesse tentando di non saltarmi alla gola. Le darò un altro consiglio comunque, usi le rose gialle stavolta, direi che sono le più adatte." Quel tono accondiscendente continuava a presentarsi nella voce divertita della donna, stonando alle orecchie di Sherlock come una nota di una corda spezzata nel violino. Aprì la bocca per rispondere ma il soldato fu più veloce.
"Non so di cosa lei stia parlando. Non pensa di darsi fin troppa importanza?" Più andava avanti, più John sembrava deciso a zittirla o a saltarle direttamente alla giugulare, ma si tratteneva appena, come notava Sherlock dai suoi stessi pugni chiusi.
"Io? E cosa mai c'entrerei in questo discorso? Oh, Dottor Watson, lei è davvero adorabile, si è appena fregato e nemmeno se n'è accorto." Il sorriso di lei sparì in una risata sonora mentre si portava una mano al di sopra del petto per diminuire gli spasmi. Per una volta, Sherlock si trovò dall'altra parte, quella dei pesci rossi, e ciò non gli piaceva affatto. Li guardava attentamente, li analizzava in ogni minimo dettaglio, ma non riusciva a collegare davvero tutti i dati, rimarcando più volte nel suo cervello l'espressione prima terrorizzata e poi furiosa di John. Ora voleva capire, ma lei non glielo permise.
"Ma ora, parliamo di cose importanti, visto che così vuole il Signor Holmes, poco interessato ai fiori. Quasi quasi mi dispiace per lei, Dottor Watson. Quindi, che fine avete fatto fare al mio telefono?"














Angolo Autrice:
Ed eccomi qui con il terzo capitolo yoohoo
Prima di tutto:
dettagli tecnici: *inserire musichetta di superquark*
il garofano giallo rappresenta l'indecisione dei propri sentimenti aka John che non capisce bene ciò che prova per Sherlock.
la rosa gialla citata dalla cara Irene ha due significati principali, l'amicizia e la gelosia. Il trucchetto che lei utilizza serve un po' a far ammettere a John la propria gelosia, infatti lei dice "dovresti mettere le rose gialle" nel senso che "come dici tu, siete amici, metti quelle" ma John al volo comprende che si tratti del significato di gelosia e quindi al solito dà di matto e dice che non è vero.
Questo capitolo è stato quello che io definirei un parto vero e proprio, con tutte le ore di travaglio etc etc. Non è stato per niente facile da scrivere, perchè Uno Scandalo a Belgravia è quello che un po' rappresenta la svolta in cui sti due capiscono di essere due idioti ma non ne parlano e quindi diventano idioti alla seconda. Qui iniziano tutti i casini insomma. 
E descriverlo tutto in un pezzo è un po' un incubo. Sopratutto perchè Irene è davvero davvero difficile da manovrare.
Comunque, ho già scritto il capitolo successivo (che per ora è anche il mio preferito) e lo posterò settimana prossima, ma nel frattempo ditemi che ne pensate di questo con una recensione,
alla prossima,
_Turs_


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Capitolo 4
*** Aquilegia ***


Capitolo quarto, Aquilegia
E’ un piacere nascondersi, ma è una catastrofe non essere trovati.
-Donald W. Winnicott

Almeno era finita.
Con un trauma sui cani che non se ne sarebbe andato molto presto, ma almeno era finita. Forse sarebbe rimasto per un po' lontano anche dallo zucchero, non si poteva mai sapere. E da qualunque cosa Sherlock potesse preparare di commestibile, anche se commestibile non era. Per niente. L'aveva imparato a proprie spese.
Con un sospiro uscì dall'hotel, le valigie (la sua e quella di Sherlock, perchè sia mai che quella primadonna se la portasse da solo, gli si sarebbe rovinata la manicure) dietro di sè ferme davanti all'uscio, pronto a partire. Ma a quanto pare qualcuno doveva essere di un diverso avviso, considerato che lui era lì da solo davanti all'edificio. Possibile che riuscisse a ritardare anche in quelle situazioni? Chissà dove si era cacciato poi, a fare chissà cosa soprattutto. 
Per un attimo il dubbio che fosse riuscito a prendere uno di quei conigli fluorescenti e che lo stesse vivisezionando in un qualche angolo solitario lo colse, facendogli andare la saliva di traverso alla visuale di ciò che gli si era creata nella mente. Gli ci volle qualche istante per riprendere a respirare normalmente e stavolta fu uno sbuffo ad uscire dalle sue labbra, mentre con le mani in tasca, decideva di andare a cercare l'amico. Sherlock poteva pur arrivare in ritardo, ma lui voleva troppo tornare a Londra e se l'altro non si fosse presentato, beh, l'avrebbe lasciato lì. Senz'altro.
E invece eccolo ad incamminarsi per le stradine che aveva già percorso, alla ricerca di un qualcosa di familiare che poteva aver catturato l'attenzione del consulente nel loro girovagare per trovare indizi. Il sole non era ancora alto e al mattino si fece vivo un venticello che prontamente lo colpì al collo, facendolo rabbrividire nel mentre si rannicchiava nelle spalle. Maledizione a quell'idiota. 
Non ci volle tanto a trovarlo, e per fortuna non aveva un bisturi tra le mani per poter vivisezionare qualcosa. In effetti ci sperava ma non ne era minimamente sicuro, conoscendolo tutto diventava probabile. Al pensarci sorrise di sottecchi, senza farsi vedere mentre si avvicinava, notando come quel venticello facesse muovere dolcemente i ciuffi scuri del consulente, quasi una ninna nanna sul suo viso pallido in quella mattinata dalle tempere così soffici. Un pochino gli venne in mente un dipinto che si sarebbe potuto benissimo trovare in un museo e non potè smettere di sorridere come un ebete a quella visione.
"Hai intenzione di rimanere lì fermo per molto?"
Ovviamente la magia del momento venne interrotta dalla voce sarcastica di Sherlock, che nemmeno si era voltato, rimanendo lì in piedi in quello che John potè riconoscere solo in quel momento come un giardinetto. Alzando gli occhi al cielo si strinse nuovamente nelle spalle, spostandosi fino al suo fianco e posando gli occhi sull'oggetto che pareva aver catturato così tanto lo sguardo chiaro del consulente.
Aquilegia.
John strabuzzò gli occhi, interdetto dal vedere il razionale investigatore fermo a fissare un fiore, corrucciando la fronte nel voltarsi verso Sherlock, che un istante prima aveva spostato lo sguardo da lui, riuscendo a non farsi beccare nell'atto di fissarlo. Il medico comunque non si mosse, quasi aspettandosi spiegazioni a riguardo, le spalle che in un movimento istantaneo si alzavano leggermente per esprimere il proprio turbamento, un attimo prima di parlare.
"Ti prego dimmi che non vuoi mangiarla solo per vedere che effetto fa sull'organismo."
Scherzò leggermente per coprire il silenzio che l'altro aveva instaurato, rimanendo con gli occhi immobili. Per un attimo si chiese se ancora poteva sbattere le palpebre o se improvvisamente si era trasformato in una statua di sale, ma d'altronde quell'uomo era capace di rimanere ore intere con gli occhi chiusi nel suo palazzo mentale, una statua di sale lo era già, quando voleva lui ovviamente. E il fatto che la maggior parte delle volte succedesse quando John gli intimava di andare a fare la spesa non era per niente una coincidenza.
"Oh, non essere stupido, John. Conosco fin troppo bene le proprietà tossiche di questa pianta."
Rispose piccato l'altro, lanciandogli un'occhiata offesa per quella poca fiducia nelle sue capacità intellettuali e di ricerca. Nella mente dell'ex soldato comparve uno Sherlock intento a digitare una pagina sul proprio blog di riconoscimento di tutti i tipi di veleni esistenti, come aveva fatto con i vari tipi di tabacco. Ma no, avrebbe aiutato troppo i criminali incalliti, nel caso in cui fosse balenato nella mente dell'altro doveva cercare di dissuaderlo assolutamente.
Ma comunque, alzò le mani all'altezza del viso in segno di scuse, sentendo il cambio di temperatura sulla pelle, ma sempre con il sorrisetto sulle labbra, che presto ne ottenne uno simile in risposta sul volto del moro.
"Comunque, escludendo esperimenti che penso tu abbia fatto ai tempi dell'università, allora perchè guardi così insistentemente questi poveri fiori?"
La voce di John si fece tesa nella domanda, anche se dall'espressione quel nervosismo non si captava minimamente, i muscoli facciali troppo abituati a nascondere davvero ciò che provava. Perchè sì, era nervoso in quel momento, tanto da sentire la pelle d'oca sulle braccia ed essere sicuro che non fosse una qualche conseguenza del freddo vento che nel frattempo si era riscaldato rendendo l'atmosfera piacevole. Perchè lui sapeva, ma non era tanto sicuro di voler sapere se anche Sherlock era al corrente del significato di tutto ciò. E nel caso l'investigatore ne fosse al corrente, John si sarebbe premurato di non voler conoscere assolutamente il motivo di quello sguardo così assorto e fuori dal tempo. 
Nella sua mente si era già formata l'immagine dal tratto felino e ciò gli provocò un'ondata di calda rabbia al cervello.
Per questo si leccò le labbra nell'attesa di sentirlo parlare, stringendo i pugni lungo i fianchi, senza accorgersi che l'altro stava seguendo con lo sguardo quel movimento grazie alla coda dell'occhio, quasi incantato e ormai noncurante delle piante davanti a loro.
"Alle superiori."
"Cosa?"
"L'esperimento sulle piante velenose l'ho fatto alle superiori."
Un attimo di silenzio seguì quella rivelazione, prima che scoppiassero entrambi a ridacchiare come due adolescenti, le guance tirate e la tensione che sembrava essersi affievolita. John gli mise la mano sulla spalla per istinto, stringendola delicatamente e rilasciando il capo indietro nello sfumare delle risa.
"Comunque niente di che, sembrava solo...interessante."
Se John fosse stato un buon allievo di Sherlock, e no, non lo era, forse si sarebbe accorto del tentennamento della voce del consulente, del suo leggero movimento di spalle o del suo deglutire e allora avrebbe dedotto in un nanosecondo la grandezza di quella menzogna. Ma il medico non lo era, quindi non notò nulla di tutto ciò.
E fu quell'ignoranza a fargli spegnere il sorriso sulle labbra, come una fiammella senza ossigeno o come la speranza che in quel momento aveva dentro di sè che spariva nel battito di un paio di ciglia. O forse fu del sollievo, non lo sapeva neanche lui a dirla tutta. Si morse il labbro inferiore, dondolando sui piedi, le mani che tornavano nelle tasche del giubbotto in una posizione di difesa personale quasi, tanto che le spalle si racchiusero a riccio.
"Beh, è un bel fiore, no?"
"La bellezza è un qualcosa di totalmente soggettivo, John, dato dal proprio stile di vita e da tanti fattori esterni di cui le persone non si rendono conto. Senza parlare delle condizioni esterne e momentanee come il gioco di luci o la temperat-"
"Ho capito! Va bene, ho capito!" 
Lo interruppe il medico esasperato. E lui che voleva almeno apprezzare la bellezza di un fiore, invece no, doveva subirsi la lezione di psicologia avanzata da un sociopatico ad alta funzionalità. Sbuffò nuovamente nel reprimere una risata dovuta dal sorriso beffardo di Sherlock così da non dargliela vinta, prima di sentire le campane suonare e alzare lo sguardo verso il campanile, iniziando a voltarsi per incespicare nella camminata svelta verso l'hotel, non prima di aver fatto cenno al consulente di seguirlo.
"Sbrigati, non vedo l'ora di tornare a Londra."
Bisbigliò mentre già si incamminava allontanandosi. Il consulente non ci badò immediatamente, seguendolo con lo sguardo prima di rivolgere un'ultima occhiata all'aquilegia che sembrava rispondere al suo sguardo con aspettativa.
"Non ancora."
Disse solo, non sapeva neanche lui se parlasse a se stesso o alle piante (e al pensarlo si sentì stupido, considerato che le piante non parlavano), ma nel mentre muoveva i primi passi al seguito dell'amico, si chiese se John gli avrebbe permesso di essere lui stavolta a scegliere i fiori da mettere nel vaso appena arrivati a Baker Street e se il fioraio avesse delle aquilegie dai colori così vivi come quelle che stava lasciando dietro di sè. 
Sperò solo di avere il tempo di poter spiegare a John di quante cose era venuto a conoscenza nell'ultimo periodo.










Angolo Autrice:
Ciao!

Inizio con il dire che il mio capitolo preferito che ho citato nell'ultimo pubblicato, beh non è questo. Questo non era contemplato nello schema che avevo in mente, ma si è più o meno scritto da solo dopo aver rivisto THB, non esattamente tra i miei episodi preferiti fino a qualche tempo fa, perchè penso sia quello più complicato di tutti. Se in ASiB era tutto un dire/non dire/negare, THB si basa tutto sul notare dettagli che non ti salterebbero mai agli occhi. Ci credo che si sente fumare il cervello alla fine della visione.
Ma comunque, dettagli tecnici, l'aquilegia ha il significato di amore nascosto, un po' come è nascosto tutto nell'episodio in poche parole.

Ci tengo a dirlo, ma Sherlock e John ora sanno dei loro sentimenti, quindi il fiore è un po' un regalo da entrambi, e sopratutto ora Sherlock sa cosa vogliano dire i fiori, pur non avendo davvero capito che sono indirizzati a lui. Per quanto mi piaccia fargli fare la figura dell'ignorante, non poteva farlo per tutta la storia.... (No, John non sa che Sherlock sa)
okay, ho esagerato con le note, che ogni volta sembrano chiavi di lettura, comunque spero vi sia piaciuto, lasciate una recensione (positiva, negativa) 

Alla prossima, 
_Turs_

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Capitolo 5
*** Viole e Lavande ***


Capitolo quinto, Viole e Lavande 
 
La fedeltà è lo sforzo di un'anima nobile per eguagliarsi ad un'altra anima più grande di lei.
-Goethe

 




Da consulente investigativo amante del crimine e degli studi dei cadaveri, si potrebbe dire che Sherlock Holmes fosse in grado di riconoscere a prima vista solo le cose negative della vita. Gli si illuminavano agli occhi e improvvisamente capiva qualunque cosa. Eppure dal suo sguardo sembrava sfuggire qualsiasi cosa ne riguardasse le positive: l'amore, i sentimenti, quelle stesse che la sua maschera di sociopatico gli offuscava alla vista, dietro tantissimi segnali a intermittenza su cui c'erano scritti a caratteri cubitali una serie di avvertimenti.
Pericolo. Attenzione. Da evitare assolutamente.
Erano solo degli esempi di quei cartelli, molto simili ai segni stradali delle vie di Londra, che svolazzavano nella sua visione di ciò che lo circondava, posandosi sopra tutto ciò che il suo cervello sembrava astenersi dal captare. Ormai era abituato da così tanto tempo che non riusciva nemmeno a ritenerla una mancanza, era più che altro un'abitudine radicata dentro di sè e di cui non era mai riuscito a liberarsi completamente. 
Forse proprio per via di quella che lui denominava deformazione professionale se ne accorse a prima vista.
Non era mai successo, solitamente non risaltavano ai suoi occhi, molte volte non li notava nemmeno, neanche se risaltavano con quei colori sgargianti, giallo sole nella sala dai toni scuri, eppure stavolta quel lilla nella penombra aveva catturato i suoi occhi non appena messo piede nell'appartamento. Il cappotto ancora indosso e le mani ferme nell'atto di sfilarselo dalle spalle, ma gli occhi inchiodati su quello spettacolo grottesco. O almeno così lo definì il suo cervello, i mille segnali mandati dai neuroni che lo facevano sentire come in un incubo ad occhi aperti. 
Rilasciò le braccia lungo i fianchi, i passi che risuonavano nel silenzio mentre si avvicinava lentamente, gli occhi ancora ancorati a quel lilla tanto orribile. Sporse una mano a sfiorare il vaso gelido, con cautela, quasi fosse un imminente pericolo per la sua vita. Sentì il freddo del collo decorato in maniera grossolana contro le punte dei polpastrelli mentre lentamente lo toccava, risalendo con attenzione fino a sentire quel leggero solletico dei fiori al suo interno sul dorso della mano stessa.
Lavanda.
Che fiore magnifico, ma non in quel caso.
Ogni stelo, ogni singolo petalo, ogni sfumatura di quel mazzetto lo fissava truce, lo bloccava a terra, con la mano ancora per aria. Senza poterlo prevedere, chiuse il pugno, racchiudendo qualche piantina. Non si fermò, strinse più forte, ancora di più, sentì le sue stesse unghie conficcarsi nel palmo della mano in maniera dolorosa. Ma il suo viso era inespressivo, fosse stata una canzone, sarebbe stata il silenzio più assoluto.
Nessuna emozione traspariva dagli occhi chiari che guardavano quell'uccisione di cui lui stesso era colpevole. 
Nel sentire una lieve fitta di dolore, che gli provocò un leggero gemito, chiuse gli occhi brutalmente con le ciglia che sfrigolavano per lo sforzo e improvvisamente si trovò nel suo palazzo mentale. La lavanda era ovunque si voltasse, in ogni antro nascosto, ogni angolo a cui arrivasse lo sguardo, e lo sovrastava cadendogli addosso. 
Tutto l'edificio si riempì di fiori, non lasciandogli spazio per respirare e lui affogava e affogava in quel viola così chiaro che sembrava non volerlo far vivere un attimo in più. Sentì i rami stringersi attorno al suo petto in una sensazione così reale che sembrò togliergli ancora più fiato di quanto già quei petali non stessero facendo. Gli erano entrati in bocca, nei vestiti, e non smettevano di aumentare e di coprirlo. Appena se li toglieva di dosso quelli tornavano sopra di lui in una situazione soffocante. E lui tentava di risalire affannosamente, ma finiva sempre più in basso, sempre più a fondo, come una nave che affondava senza più speranza di risalire.
Lui stesso la perse quella speranza, lasciandosi andare contro tutto quel viola e aspettando, nel mentre chiudeva gli occhi in quella sua immagine mentale, che la lavanda lo vincesse.
"Sherlock?"
Fu quella voce a riscuoterlo, facendogli aprire gli occhi. Ed eccolo ancora lì, nel suo appartamento, la mano ancora serrata e i piedi ben ancorati a terra. Eppure con la coda dell'occhio gli parve per un minimo breve istante di vedere altri petali dal soffitto. Dischiuse la mano e i petali martoriati che aveva tenuto fino a quel momento nel pugno arrossato caddero a terra, volteggiando fino al pavimento. Si accorse che il vaso era caduto a terra frantumandosi in mille cocci di porcellana, pochi centimetri dalle punte delle sue scarpe. 
Diede una rapida occhiata alla sua mano, riscontrando quelle piccole mezzelune rossastre nel palmo, e la richiuse più volte delicatamente per le leggere scosse di dolore che gli provocava il movimento. Sembrò quasi essersi incantato da quel movimento, mentre non scostava lo sguardo da esso.
"Sherlock, tutto bene?"
La voce si era fatta più vicina, parlandogli con una premura che in quel momento gli parve così tanto falsa. Vide attorno a sè i cartelli che coprivano ogni cosa. Pericolo, pericolo, pericolo.
"Dio, cosa hai fatto?" 
Qualcuno prese la mano tra le sue con delicatezza, girandola e osservandola con occhi critici, ma a Sherlock sembrava non importare, spostando la visuale sulla lavanda seviziata da lui stesso. Quei pochi steli che rimanevano in piedi si erano rivolti verso il basso, quasi afflitti in un segno di scuse nei suoi confronti. Come se delle scuse potessero rimediare alla morte che gli avevano procurato pochi istanti prima.
"Sta giocando anche con la tua mente, come fai a non accorgertene?"
Sussurrò senza alcuna inflessione nella voce pochi minuti dopo, ancora immobile in quella posizione, sentendo la garza sulle piccole ma profonde ferite. Quella garza avrebbe aggiustato anche le ferite dei rami che si erano chiusi attorno alla sua cassa toracica, comprimendola? Se avesse aperto la propria camicia, ci avrebbe trovato i lividi violacei, della stessa tonalità di quella raccapricciante pianta?
In risposta sentì solo un respiro bloccarsi, nello stesso istante in cui quelle mani tanto meticolose attorno alle proprie si fermarono per concedersi un tremito. Un sospiro seguì di pochi istanti.
"Non penso, ti conosco bene, nessuno potrebbe fingersi tanto irritante per così tanto tempo."
Alzò finalmente gli occhi, con una lentezza estenuante, trovandosi davanti i capelli biondi nel tipico taglio militare.
Oh, John.
Era stato così stupido.
Un lieve sorriso gli increspò le labbra a cuore, flebile ma sincero. Si compativa da solo e succedeva fin troppo ultimamente, mentre sentiva il petto liberarsi di quella costrizione.
"Forse hai ragione." Gli concesse, osservandolo finire il lavoro prima di ritrarre la mano fasciata, facendola cadere nuovamente contro il suo fianco, ma senza scostarsi o smettere di guardarlo. Il medico se ne accorse, incrociando i suoi occhi, un sorrisetto in risposta.
"Il grande Sherlock Holmes che mi da ragione, che grande evento, fammelo segnare sul calendario ti prego." 
L'insieme delle loro risate a bassa voce riempì la sala, finendo nel silenzio che l'aveva iniziata, concedendosi un ultimo sguardo. John fu il primo a terminarlo, spostando il viso per guardare il disastro a terra e aggrottando le sopracciglia nella confusione che si presentava a chiare lettere sul suo volto, prima che un'espressione di disgusto sopprimesse il tutto.
"Ah, spostati su, così pulisco, non vorrei far venire un infarto alla Sig. Hudson."
Lo spinse via con un braccio verso la poltrona, in un muto invito a sedersi per non disturbarlo, prima di inchinarsi e iniziare a raccogliere i cocci con attenzione, il timore di ferirsi dietro l'angolo.
"Dovrai trovarti un altro vaso, mi dispiace."
"Ma no, tranquillo. Sono cose che succedono, anche a Sherlock Holmes."
"Ma erano dei fiori davvero orrendi. Ti prego non portarli mai."
A quell'affermazione, fu John ad essere scosso da una risata, che gli fece inclinare il capo leggermente all'indietro. L'amico, alle sue spalle, si beò di quel movimento nascondendo un altro lieve sorriso.
"Hai assolutamente ragione, credimi. Ti direi che la prossima volta avvertirò chiunque li abbia messi qui, ma sinceramente spero che questa sia l'ultima."
"Solo tu puoi dare colore a questa stanza, John."
Tante cose rimasero implicite in quella frase, la maggior parte lo stesso medico le ignorava, eppure il consulente gli aveva rivelato tutto con quelle semplici parole. Solo che nessun'altro se ne accorse, e a Sherlock andava bene così. 
Sopratutto quando, ore dopo, notò quel mazzo di viole blu posato sul tavolo della cucina, tra le mille provette, dimenticato lì insieme al fiocco enorme che teneva gli steli insieme. Sì, Sherlock non era mai stato bravo a vedere a colpo d'occhio le cose buone.




"Sherlock, un ultimo miracolo. Puoi? Per me?"
Silenzio, ancora, nessun fuoco d'artificio, nessun sipario che si apriva mostrando la figura del suo coinquilino. Una risata amara gli sfuggì. Coinquilino? Era molto più di questo.
"Non...essere. Non essere morto. Puoi?"
La sua richiesta cadde nel rumore del vento che si alzava, muovendo i lembi del giubbotto con veemenza. Stirò le labbra prima di morderle, gli occhi che pungevano prontamente coperti dalle dita nel frattempo che un singhiozzo prendeva possesso della sua gola affaticata. 
Mise la mano nella tasca estraendo un piccolissimo ramoscello di biancospino e facendolo cadere sulla tomba. Lo osservò per qualche istante, ma niente accadde.
I fiori significavano tante cose, ma non erano magici.
Eppure ci aveva sperato, per qualche ingenuo millesimo di secondo ci aveva sperato.



 
Non seppe mai che appena lui se n'era andato, una mano inguantata aveva recuperato il fiore, nascondendolo nella tasca del cappotto che svolazzava nel vento.






 











Angolo Autrice:
Mi scuso immensamente per il ritardo per prima cosa, ma è stato un periodo affollato e pur avendo il capitolo già bello che pronto non ho trovato quell'attimo per sistemare prima di oggi. Ma eccoci qua, vivi e vegeti!
Prima di tutto i soliti dettagli tecnici: la lavanda è la sfiducia, per questo Sherlock ha reagito così male, siamo nel periodo del complotto di Moriarty e pensa che anche John stia credendo al suo rivale (ricordiamo la scena in cui urla contro John etc, ammetto di non riuscire a vedere molto spesso l'episodio per il magone che mi sale alla gola). Ho sempre immaginato che per quanto sembrasse comunque calmo avesse paura che John gli voltasse le spalle e quindi vedere lì un chiaro messaggio dei suoi timori l'ha leggermente fatto uscire di testa. Ma! Spero si sia capito, non è stato John a mettere i fiori, ma Moriarty, per giocare con la mente di Sherlock con  una delle sue debolezze. E' riuscito a nascondere delle telecamere, di certo mettere un mazzo di fiori in bella vista non gli doveva esser difficile.
Ed ora andiamo al vero fiore di John, che è comparso tre secondi ma hey, la viola blu, che è completamente l'opposto e rappresenta la fedeltà. John sta dimostrando che crede a Sherlock sempre e comunque, ma Sherlock all'inizio non lo notava perchè è davvero troppo abituato a vedere solo il peggio del mondo e per quanto si fidi di John ancora non riesce a credere completamente che a. John sia suo amico b. possa essere innamorato di lui. Per quanto riguarda la parte davvero romantica della storia, sono ormai giunti a conoscere i loro sentimenti (come detto nel precedente capitolo) ma nessuno dei due si è fatto avanti e soprattutto sono ignari di essere corrisposti (o almeno Sherlock bene o male ci fa qualche pensierino ma lo mette da parte perchè ha paura). 
E passiamo all'ultima parte con il biancospino, che è la speranza, non penso ci sian0 da fare delle vere spiegazioni a riguardo...
Mi sono dilungata tantissimo mio solito, ma comunque, spero vi piaccia e nel caso lasciate una recensione positiva o negativa,
alla prossima,
_Turs_

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