Elemental: I Semi Della Vita.

di Fabio_Ierardi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un brutto inizio ***
Capitolo 2: *** Scoperte ***



Capitolo 1
*** Un brutto inizio ***


Era sera quando tutto è iniziato.
Stavo tornando a casa da scuola dopo l'ultima ora di discorsi sull'epoca della distruzione e sulla nascita di Ignis, una città nata dalle rovine del mondo e dalla distruzione, la stessa città dove vivo adesso.
Mi chiamo Aaron e ho diciotto anni. Odio ascoltare queste leggende da strampalati, ma purtroppo devo farlo se voglio andare bene a scuola.
Non ho mai amato raccontare le leggende. Sono cose che solitamente fanno i vecchi saggi rivolti all'ennesimo giovane passante, ma per voi farò un'eccezione.


Circa un secolo fa una guerra devastò il mondo: La Guerra degli Elementi. La storia di questa guerra fu narrata così tante volte che si formarono leggende attorno ad essa.
Si narra di cinque governatori, ognuno avente una dote speciale: la capacità di governare un elemento ciascuno tra l'aria, l'acqua, la natura, il fuoco e l'ombra.
Inizialmente gli stati governati da ognuno di loro vivevano in pace gli uni con gli altri, ma poi Brayden, il governatore dell'ombra, iniziò ad avere fame di potere e formò un esercito: l'Umbra. Egli marciò per gli altri quattro stati distruggendo ogni cosa che cercasse di ostacolarlo.
I quattro rispettivi governatori sapevano di non essere capaci di affrontare Brayden perché il suo potere era troppo potente per essere controllato. Così decisero di imprigionare i loro poteri all'interno di un seme azzurro come il cielo, inserito in un sigillo di pietra, protetto da fiamme inestinguibili e spedito nelle profondità degli abissi. In questo modo qualcuno avrebbe potuto usufruirne in caso di urgente bisogno.
Il governatore oscuro affrontò i quattro guardiani, che si sacrificarono per imprigionarlo nel Buio, una dimensione vuota e infinita dalla quale è impossibile uscire. Devastati gli abitanti dei quattro regni, formarono quattro città fortezza con mura d'acciaio, Ignis (fuoco), Aquam (Acqua), Caeli (Aria), Shizen (Natura), si rinchiusero all'interno per evitare altri scontri, mentre l'Umbra controlla dall'esterno con i suoi mille occhi, in attesa del ritorno di Brayden.
Alcuni dicono che il seme sia ancora nascosto nelle profondità degli abissi, altri dicono che il sigillo si sia aperto e che stia cercando altri quattro guardiani. Altri ancora, come me, non credono a niente di tutto questo.
Mentre mi avviavo verso casa, pensavo a mia madre. Ero preoccupato per lei: era rimasta sola tutto il giorno e io non avevo avuto neanche il tempo di cacciare qualche lepre per cena.
Guardavo per terra e calciavo i sassi che intralciavano il mio cammino. Che cosa potevo fare per sdebitarmi?
Mia mamma mi ricordava sempre che ad Ignis il cibo scarseggia, e che spesso dobbiamo ricorrere alla caccia per soddisfare la nostra fame.
Dopo la guerra tutto ritornò ad uno stato quasi primitivo, e cacciare divenne l'unico modo per potersi nutrire. Così fui costretto a imparare da mio fratello maggiore Jaxon. 
Erano passati cinque anni da quando ci lasciò per sempre.
Uscì dalla città per procurarsi un cerbiatto per festeggiare il compleanno di mamma, e un guerriero dell'Umbra lo uccise. Era sempre stato lui quello coraggioso e da quando è morto io ho sempre cercato di somigliargli almeno un po'. Era il mio idolo, il perfetto modello da seguire: così intrepido, forte e intelligente.
Ripensando a lui, una lacrima mi attraversò il viso. Cercai di distrarmi, ma tornai a ripensare a quel giorno in cui gli avevo detto di essere pronto per andare fuori a cacciare. Ovviamente mi sbagliavo.
Mi aveva raccomandato di restare a casa, al sicuro. Ma io volevo essere come lui. Volevo dimostrargli di valere qualcosa, così lo seguii. Non passò molto tempo prima che vidi la lama nera come la pece di un Umbromante attraversare il suo petto e uscire dal lato opposto.
Pensando a quell'orribile giorno strinsi i pugni per la rabbia e chiusi gli occhi, le mani diventarono rosse fuoco e poi ritornarono del loro rosa vivo non appena allentai la stretta. Lasciarmi andare ai sentimenti mi aiuta a sopportare il dolore. Mi scarico subito e sono subito pronto a sembrare abbastanza forte agli occhi degli altri.
Presi la stradina fatta di ciottoli sul lato destro della strada che portava verso il bosco, e mentre camminavo pensavo a quello che mi aveva insegnato mio fratello sulla caccia. 
Non avevamo armi a disposizione, così ce le fabbricavamo da soli. Era divertente, nonostante fosse pericoloso maneggiare oggetti taglienti e polveri infiammabili. Spesso ci tagliavamo e la mamma, durante una severa e lunga ramanzina, ci medicava. Teneva così tanto a Jax. Dopo la sua morte non è più stata la stessa. Proprio come me.

Jax, sei anni fa, mi regalò un bracciale, nel quale era incastrato un coltello, e appena staccai l'arma dall'incavo vidi un filo sottile che la collegava al bracciale. Sapevo che per trovare il materiale e per assemblarlo doveva averci messo almeno un mese, così lo abbracciai e gli fui riconoscente. Sapevo che mi voleva bene, anche se non lo diceva spesso.

Pensando a quel momento sorrisi, tirandomi su la manica del braccio destro per ammirare quello che Jaxon era riuscito a fare per me perché mi voleva bene, ed io come lo avevo ringraziato? Stando dietro a una cassa di legno, poco fuori da Ignis e guardandolo morire, quando avrei potuto provare ad aiutarlo.
"Chi voglio ingannare? Io non sono come lui, non avrei mai potuto aiutarlo." Sono le parole che mi ripetevo per convincermi che non era stata colpa mia, che non potevo farci niente. 
Per evitare di piangere ritornai a pensare al giorno in cui Jaxon mi insegnò a usare il coltello da polso.
Eravamo nel giardino della casa. I fiori colorati ci circondavano, mentre davanti a noi delle figure di legno ci osservavano con sguardi vuoti e assenti.
- Devi tirare un po' fuori il coltello per prenderlo dal manico - mi disse mostrandomi i passaggi con la sua arma. – Poi lo lanci con un colpo potente di polso mirando al bersaglio – Jaxon tirò il coltello e trafisse il manichino in pieno petto trapassandolo da parte a parte. Rimasi scioccato dalla sua bravura, trattenendo un sussulto.
Provai anch'io subito dopo, ma con scarsi risultati.
Ci addestrammo tutto il giorno e pian piano iniziai a migliorare.
Ripensando a quei felici ricordi, mi ritrovai nel bosco senza accorgermene. Stormi di foglie verdi mi sovrastavano tremolanti, sembrava che danzassero al ritmo del vento. Tronchi scuri e chiari in alternanza si presentavano intorno a me come milioni di osservatori silenziosi.
Tirai fuori dei coltelli dalle fodere allacciate ai polpacci e mi arrampicai sull'albero conficcandoli nella corteccia uno sopra l'altro fino ad arrivare a un ramo abbastanza robusto da reggermi. Attesi a lungo che qualche animale si facesse vedere, poi mi spostai verso il torrente, dove di solito le lepri vanno a bere e ne scovai una abbastanza grossa da sfamare me e mia madre. Corsi sui rami degli alberi vicini facendo attenzione a non farmi sentire e, arrivato sopra l'animale, presi il coltello dall'incavo del bracciale, diedi un colpo di polso, proprio come mi aveva insegnato Jaxon. La lama trapassò il collo della creatura innocente e la corda si ritrasse velocemente nel bracciale portandomi in mano la ricompensa.
Infilai l'animale nella sacca che portavo sulle spalle e cercai un'altra preda. Camminavo veloce silenzioso sui robusti rami, cercando nell'ombra gli occhi della prossima vittima.
Vidi lo scintillio di due occhi verde chiaro e mi fermai di colpo. Pensai che fosse un cervo e iniziai a estrarre il coltello dal bracciale. Guardai meglio vicino ai grandi occhi verdi per cercare il punto in cui lanciare la lama, ma non vidi nessun corpo.
Improvvisamente arrivò la nebbia e arretrai, sapevo che non era un buon segno. Era troppo uniforme e sembrava seguire una direzione ben precisa. Era una nebbia nera e molto densa che sembrava circondare quello sguardo misterioso. 
Le palpebre dell'essere si abbassarono a metà dei suoi occhi, trasformando il suo sguardo da docile a minaccioso. Sapevo che si stava preparando ad attaccare.
Scesi dall'albero spaventato, iniziai a correre. Mi misi lo zaino sulle spalle mentre un costante scalpitio si avvicinava a me. Mi girai e scoprii che la strana creatura mi stava seguendo. Quegli occhi avanzavano più minacciosi di prima, circondati dalla nebbia oscura che appariva come un mantello nero posato su un animale invisibile.
Estrassi un coltello dalla fodera sul polpaccio piegandomi in corsa e lo scagliai puntando alla fronte del mostro, ma l'arma lo trapassò trascinandosi parte del fumo del mostro, senza recargli alcun danno. Rassegnato, mi voltai e corsi più veloce che potevo fuori dal bosco. Inciampai su una roccia una volta uscito e mi girai convinto di avere l'animale già addosso, ma esso si era fermato al confine. Ci osservammo a vicenda incuriositi per qualche minuto e poi l'essere sparì, rassegnato, tra gli alberi. L'avevo spaventato con i coltelli? Probabilmente no. Una creatura simile non ha paura. Una creatura simile non esiste.
Mi diressi verso casa confuso, da ciò che era appena successo. Oltrepassai la staccionata che delimitava la foresta, ed entrai nel villaggio.
D'inverno la neve cade spesso e abbondantemente sulle case di Ignis. Il bianco subito dopo l'oscurità del fitto bosco, faceva male agli occhi e sembrava quasi stordirmi. Chiusi le palpebre strizzandole e misi il braccio davanti a me per bloccare la luce intensa.
I bambini del Villaggio dei Poveri di Ignis stavano facendo una battaglia con le palle di neve. Mi scappò un sorriso vedendoli ridere e giocare. Si sdraiavano per terra e muovevano gambe e braccia dall'interno all'esterno per formare delle figure angeliche sul terreno.
Un bambino si accorse di me e mi tirò una palla di neve sul petto. Fui preso dall'entusiasmo risi e risposi al fuoco. Passai poco tempo a giocare con i piccoli prima di ricordarmi che dovevo assolutamente tornare da mia madre. Osservai i bambini: erano sporchi intorno al viso e sul corpo, coperti da vestiti stracciati. Sembravano affamati così presi il panino che mia madre mi aveva dato per merenda da dentro lo zaino e lo donai a quei poveri bambini. Mi guardarono riconoscenti e stupiti dal mio gesto, poi sorrisero e si sedettero su un muretto per mangiare. 
Corsi attraverso tutto il villaggio, fino ad arrivare nel centro di Ignis, nel Quartiere dei Ricchi, dove vivo io.
I ricchi di Ignis hanno abbastanza soldi da mandare i propri figli a scuola, ma nessuno a Ignis compra il cibo. Per sfamarsi bisogna cacciare. Tutti cacciano ad eccezione del Governatore che ha cacciatori esperti al suo servizio. I cacciatori sono molto costosi, così costosi che neanche la famiglia più ricca del mio Quartiere può permetterseli.
Faccio parte della famiglia Jace, viviamo in una casa modesta, né troppo grande, né troppo piccola. Un cancello basso e piccolo apre l'ingresso alla corta stradina che porta al porticato della mia casa giallo canarino. Fiori di ogni colore, piantati da Lucy Jace, mia madre, contornavano il sentiero. Emanano un dolce profumo che, insieme al colore vivace della casa, rende piacevole il piccolo tragitto fino all'ingresso.
Salii i pochi scalini che portavano al porticato. Guardai alla sinistra della porta, dove c'era una sedia a dondolo. Poi guardai la porta e vidi che era socchiusa.
Rimasi perplesso, poi con delicatezza aprii la porta di casa che cigolò in modo agghiacciante. Brividi percorsero la mia schiena e le mie braccia.
Entrai cauto sulle punte dei piedi. Se qualcuno fosse entrato in casa e mi avesse sentito mi avrebbe attaccato, così cercai di fare meno rumore possibile.
- Mamma?- non ricevetti risposta – Mamma, dove sei?-
Camminai lentamente guardandomi intorno: c'erano vestiti buttati in giro per la casa, cassetti dei mobili smontati e buttati per terra, brandelli di sedie rotte sparsi sul pavimento. Qualcuno era entrato e stava cercando qualcosa.
Sul tavolo c'era un biglietto:
Caro Aaron,
Sono andata a faRe un giro Al mercato ortofrutticolo.
Prima che io torni, devi fare una cosa: Pulisci la tua stanza.
Se vedI un po' di disordine, non Ti preoccupare. Poi metto a posto
bAci mamma.

Mia mamma non era di certo andata a fare la spesa. Aspettava sempre me prima di uscire, perché voleva assicurarsi che io tornassi sano e salvo.
La rilessi in cerca di una risposta. C'erano delle lettere maiuscole in momenti casuali del biglietto. Non poteva essere un errore, mia madre non era il tipo da fare errori così banali.
Presi l'agenda sul tavolo, una penna della cucina e strappai un pezzetto di carta. Rilessi la nota e annotai le lettere maiuscole errate.
RAPITA

Sussultai, caddi e indietreggiai spaventato. I miei occhi si riempirono di lacrime pronte a cadere. Mia madre era stata rapita, ma non capivo per quale motivo. Non aveva mai fatto niente di male, non aveva nessun nemico. Ero confuso e arrabbiato, così lanciai in aria il foglio. La carta incontrò la luce del sole che attraversava la finestra. Altre lettere comparvero come per magia dietro al messaggio. Presi il foglio prima che cadesse per terra e guardai dietro. Non c'era scritto niente. Me lo sono immaginato?
Guardai con attenzione tutto il foglio e notai qualcosa di strano. L'angolo era diviso in due strati. Ne presi uno e lo separai dall'altro tirandolo. Il messaggio era contenuto al loro interno:
Ricordati dove passammo momenti felici. Ricordati di quegli attimi.
Cercai di capire il significato di quello che c'era scritto. Ricordati dove passammo momenti felici. In famiglia abbiamo l'abitudine di festeggiare nel cortile del retro. Ogni occasione era buona per cucinare un bel cinghiale e dividerlo con i propri parenti: buoni voti a scuola, compleanni, ragazze (soprattutto di Jaxon) e la Festa dei Fuochi.

Quest'ultima era la più bella.
È una festa che si svolge in primavera in cui si ricorda il gesto eroico eseguito dai governatori "bianchi" (chiamati così per ricordare la loro purezza di cuore) per salvare le quattro città.
In questo giorno le vie di tutta Ignis sono attraversate da una grande sfilata rosso lucente. Mangiatori di fuoco imitano i draghi, carri raffiguranti varie scene della leggenda attraversano le strade e la folla lancia coriandoli rossi e arancioni su di essi.
Io non credo alla leggenda dei governatori bianchi, ma mi piace la parata e amo l'aria festosa che si respira in quei giorni.
Mi ricordo ancora della festa dei fuochi di dieci anni fa. La mia famiglia era a casa ad aspettare i carri mentre mangiavamo le bistecche alla brace fatte da papà. 
Mio padre era un bravo cuoco e organizzava i barbecue migliori della città. Molte volte lo chiamavano durante le festività più importanti per cucinare piatti speciali, tipici di Ignis. Quella volta, però, rifiutò per stare in nostra compagnia.
Eravamo la famiglia al completo quell'anno, e fu il momento più felice della mia vita. Non capitava spesso che ci fossero tutti. Con mio padre che cucinava per gli altri, era raro passare una Festa dei Fuochi tutti insieme.
Smisi di pensare a quei giorni, per non ricordarmi di cosa successe di lì a poco.
Attraversai la porta che dava sul giardino sul retro. La mamma non aveva badato ai fiori in quel lato della casa perché le ricordavano troppo i bei momenti in cui tutta la famiglia era unita.
Mi guardai intorno: una vecchia griglia arruginita, un capannone di legno e tanta terra erano le uniche cose che vedevo, nulla di utile.
Mi ricordai della cassetta contenente le foto di famiglia che avevamo sepolto in giardino per non far stare male mia madre.
Presi la pala e scavai a fondo, fino a trovarla. La aprii: al suo interno c'era un album fotografico contenente alcuni dei momenti più felici della mia vita.
Dovetti vedere varie foto prima di trovare quella che mi fece piangere: mio fratello mi circondava le spalle con un braccio ed entrambi sorridevamo alla macchina fotografica. 
Le lacrime che prima erano raccolte nelle mie palpebre scesero per tutto il mio viso fino a bagnare la foto. Continuai a guardarla come se fosse l'unica cosa che mi fosse rimasta della mia famiglia e, in effetti, lo era. Mio fratello era morto, mia madre era stata rapita e mio padre... lui se n'era andato. Ero solo. Cosa avrei fatto d'ora in poi? Come sarei sopravvissuto al dolore? Non sapevo trovare risposte a queste domande che mi passavano per la mente e mi ferivano più dei coltelli più affilati che possiedo.
Non avevo famiglia, certo, ma avevo un'amica: Ally. Lei sarebbe riuscita a trovare una spiegazione logica a tutto questo, ne ero sicuro. E' una ragazza intelligente e intuitiva. La mia migliore amica, nonché l'unica.
In mezzo al raccoglitore c'era un cerchio di vetro luminoso con i contorni in metallo: è un ologramma. Lo presi e lo misi al centro del cortile. Poi schiacciai il pulsante sul lato del dischetto. Una luce bianca e potente salì per qualche metro verso il cielo, poi si aprì a ventaglio mostrando una figura femminile. Era una donna bionda adulta, ma dall'aspetto giovane. I suoi occhi azzurri cercavano l'obbiettivo della videocamera. Le sue labbra e i suoi lineamenti erano molto delicati, ma il suo sguardo mostrava una forza interiore, quasi nascosta. Il suo vestito azzurro e leggero fluttuava intorno a lei ad ogni movimento. Sembrava molto seria e preoccupata. Il messaggio cominciò:
- Aaron, sono la mamma. Se stai guardando questa registrazione vuol dire che...- la mamma unì le mani e guardò verso il basso prima di alzare lo sguardo per proseguire la frase. – ...che sono morta o in grave pericolo. - altre lacrime mi marcarono il viso.- Vuol dire che l'Umbra ci ha trovati nonostante il Protocollo Elemental. – Protocollo Elemental? Non sapevo a cosa si riferisse. Non avevo mai sentito quel nome fino a quel momento. Un misto di curiosità e terrore mi attaccò la pancia creandomi una lieve nausea. Era troppo da gestire.
- Devi sapere che sei un ragazzo speciale, con delle doti uniche. Doti che l'Umbra vuole portarti via. Doti che potrebbero salvare o distruggere le quattro città. Sta a te decidere che cosa fare. – Ero piuttosto confuso. Protocollo Elementaldoti distruttive o salvatrici... Mia madre era a conoscenza di qualcosa che io non sapevo, qualcosa di grande e pericoloso. 
Mi inginocchiai confuso e strinsi i fili d'erba che si trovavano sotto di me. Odio i segreti. Odio non essere a conoscenza delle cose.
Mia madre continuò:– So che dopo tutto questo sarai confuso, ma devi sapere che c'è solo una persona che può spiegarti tutta questa storia: Allyson Reed.
Allyson? Come poteva sapere tutto questo? Ero sicuro che mi avrebbe detto una cosa così importante.
Pensai a tutto quello che mi stava succedendo, alla rabbia e la tristezza che avevo provato in poco tempo...
Chiusi gli occhi e mi ripetei: "Ti troverò, mamma. Non lascerò che ti facciano del male."
E adesso sono qui, a pugni stretti, con gli occhi chiusi, e la pelle bagnata dalle mie lacrime.
Allyson.
Leggo: "Veggenza. Tutti i segreti sulla predizione del futuro.", un libro vecchio e rilegato in pelle, "Preistorico" come direbbe Aaron. Essere come me è difficile: ho pochi amici perché leggo spesso e molto, ma quelli che ho sono i migliori che si possano desiderare. Avevo appena finito il capitolo sulla lettura delle carte quando mio padre mi chiamò: - Allyson! – quando non mi chiama Ally voleva dire che stava succedendo qualcosa la cui colpa solitamente era mia, e io odio ascoltare i suoi rimproveri. Se non scendo subito, potrei peggiorare la situazione, così corro giù per le scale e arrivo in cucina davanti a mio padre, che stranamente non ha quello "sguardo accusatorio" che ha di solito. Sta, invece, guardando alla finestra che dà sulla casa dei vicini: I Jace. 
- Vieni a vedere. – dice papà con un tono così serio da farmi preoccupare. Non riguarda me, ma i vicini.
Mi avvicino alla finestra e vedo un bagliore rosso fuoco provenire dal cortile della casa di Aaron. So che cosa significa, quindi mi volto verso papà. Abbiamo entrambi lo stesso sguardo preoccupato. Spero che capisca che cosa intendo fare. Con un cenno del capo mi dà il permesso di andare a vedere che cosa succede.
Appena arrivo sulla porta del cortile, vedo quello che io e mio padre ci aspettavamo di trovare, un evento che avrebbe cambiato la nostra vita.
Aaron è inginocchiato per terra, le lacrime attraversano il suo viso e una volta arrivate al confine al posto di cadere salgono verso il cielo. Lunghe lingue di fuoco formano un cerchio intorno a lui e salgono seguendo la traiettoria delle lacrime, ma non bruciano niente intorno a loro e non fanno del male al mio amico.
Capisco immediatamente che cosa sta succedendo: il Sigillo è stato rotto.

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Capitolo 2
*** Scoperte ***


La nebbia nera oscurava l'intera città. Si arrampicava sui tetti aggrappandosi ad ogni sporgenza, anneriva lo sguardo, avvelenava le piante colorandole di un viola innaturale e distruggeva tutto ciò che toccava.
Si raccoglieva e si compattava tutta intorno al palazzo del governatore facendolo sparire nel buio.
Qualcosa mi attirava a lei. Un forte istinto che non riuscivo a frenare. Correvo e respiravo affannosamente mentre cercavo di raggiungerla. Entrai nel palazzo, salii le scale saltando tre gradini alla volta. Arrivai sul tetto e mi fermai, stavo aspettando qualcosa, ma non sapevo cosa. 
Da una sfera di fumo nero uscì Jaxon e un brivido mi percorse la schiena arrivando fino alla nuca. 
- Vieni con me fratellino.- Disse porgendomi la mano. L'istinto mi diceva di non accettare la sua proposta, anche se la vista mi diceva che era una faccia conosciuta, di cui mi potevo fidare.
- Con te? Dove?-
- Unisciti a noi, Aaron. Io e papà ti stiamo aspettando. – Dopo queste parole, indietreggiò e si avvicinò al cornicione.
Mi tuffai su di lui per non farlo cadere, ma sparì in una nube di fumo scura, e io precipitai nel vuoto in una caduta che sembrava non terminare mai.
Jax riapparse accanto a me mentre cadevo, avvolto dalla stessa nebbia scura che mi aveva circondato poco prima. Ci guardammo negli occhi per qualche istante. Gli occhi di Jaxon erano verdi smeraldo, con una macchiolina nera sull'iride. 
Ero così concentrato sugli occhi di mio fratello da non accorgermi che il suo corpo era sparito ed era stato sostituito dalla nebbia oscura. 
Sussultai e il mostro che mio fratello era diventato mi salì addosso spingendomi giù ancora più velocemente. Mi dimenai, ma l'impatto con l'asfalto fu inevitabile.
Non sentii nessun dolore ed improvvisamente la strada sotto di me si fuse, come se fosse sciolta dalla lava, facendomi affondare nel pavimento, finché non raggiunsi il centro della terra: una sfera, non incandescente, ma ghiacciata. Sentii un calore improvviso e mi accorsi che ero avvolto dalle fiamme. Sussultai, ma mi accorsi di non star provando alcun dolore. Il calore del fuoco che emanavo sciolse il cuore ghiacciato della Terra e l'acqua che si creò spense le fiamme sul mio corpo.
Mi alzai di scatto sbarrando gli occhi. Il sogno sembrava così reale che mi ci volle un po' per calmarmi. Mi guardai intorno per capire dove mi trovassi. Ero fradicio di sudore sdraiato su un letto con le coperte bianche, la stanza in cui stavo dormendo era quasi completamente vuota. C'era una scrivania blu e una libreria senza neanche un libro sugli scaffali, la porta era di metallo blu ed era blindata. Sopra di essa le iniziali in bianco: OE. I miei vestiti erano diversi da quelli che indossavo ieri: indossavo una maglietta dei pantaloni bianchi con una striscia grigia che percorrevano entrambi i fianchi e una maglietta bianca a maniche corte con delle strisce grigie sui fianchi e sui bordi delle maniche. Sul mio petto si notavano le stesse iniziali presenti sulla porta d'ingresso alla stanza, ma in blu. 
Rimasi perplesso e confuso da tutto ciò che mi circondava. Cercai di ricordarmi come fossi finito in questa situazione, ma l'ultimo ricordo che avevo era l'ologramma di mia mamma che mi parlava.
La luce bianca che illuminava la stanza iniziò a sfarfallare. Alzai la testa verso il soffitto e vidi una pozza d'acqua intorno al lampadario. Le mie sopracciglia si unirono in un'espressione di completo smarrimento. Improvvisamente, l'acqua mi cadde addosso in un'abbondante cascata.
Rimasi a bocca aperta e mi tolsi l'acqua dal viso con fare scocciato. Mi alzai di scatto avvicinandomi alla porta mentre sfioravo il muro azzurro e freddo con le dita. La mia mano quasi si congelò, così la avvicinai al mio petto per scaldarla. Come avevo fatto a sudare in una stanza così fredda?
La confusione si trasforma in rabbia che mi portò a sbattere ripetutamente i pugni contro il metallo freddo mentre urlavo più volte – FATEMI USCIRE! –.
La porta si spalancò ed io indietreggiai per non essere colpito. Entrò un uomo con i capelli rossi e la barba folta. Il suo viso era segnato da poche, leggere rughe. I suoi lineamenti erano duri e la sua mascella era squadrata, ma i suoi occhi color nocciola erano delicati e il suo sguardo era dolce. Indossava un panciotto verde sopra una camicia bianca. Stava guardando un orologio da taschino legato al panciotto da una catenella d'oro. Sul retro erano incise le iniziali: RR.
Indossava una giacca marroncina di tweed, come i pantaloni, sbottonata. Le scarpe nere, eleganti e lucide si mossero verso di me e i suoi occhi incontrarono i miei. Era Robert Reed, il padre di Ally.
- Ciao, Aaron – il suo tono sembra fin troppo serio, quasi minaccioso.
Il pensiero che arrivò alla mia mente fu spaventoso: mi aveva rapito, ma perché?
Strinsi i pugni e portai l'avambraccio sul suo collo spingendolo verso il muro. Lo guardai dritto negli occhi mentre lo interrogai sul suo intento.
- Come hai potuto farmi questo? A cosa ti servo? Perché mi hai rapito? Ti sbagli se pensi che tua figlia sarà d'accordo con te! – Urlai. Qualsiasi cosa mi rispondesse non avevo intenzione di credergli.
Sorrise. Evidentemente non si sentiva minacciato da me. Poi tornò serio e iniziò a parlare.
- Aaron calmati. – Il tono della sua voce era così calmo che mi fece allentare la presa sulla sua gola. – Non sono un tuo nemico. Non voglio farti alcun male. -
Non gli credetti, così spinsi più forte l'avambraccio sul suo collo e lui fece una smorfia di dolore.
- Come faccio a fidarmi di te? –
- Ti sei sempre fidato di me. – Aveva ragione. Lui era il padre della mia migliore amica, andavo sempre a casa sua e non avevo sospetti su di lui, ma le cose erano cambiate. Lui proseguì con il discorso. – Ma se serve ti dimostrerò che non sono contro di te. – Annuii e lo lasciai andare. Si massaggiò il collo con la mano facendo ancora smorfie di dolore.
- Hai trovato l'ologramma di tua madre vero? - 
- Sì, e quindi? -
- Quindi sai del Protocollo Elemental. – Lo guardai interrogativamente.
– Ti starai chiedendo come faccio a saperlo. Beh, io lavoravo a questo progetto con tua madre e tuo padre. - I miei genitori e Robert lavoravano insieme? Volevo sapere tutto di questo protocollo o avrei finito per sentirmi stupido.
- Non ho la più pallida idea di che cosa sia il protocollo Elemental. Spiegami che cos'è. -
Mi guardò sorridendo. Sapeva che in quel momento mi fidavo di lui e che ero pronto ad ascoltare cosa avesse da dirmi.
- Non qui e non adesso. Sei troppo stanco per rimanere attento e per capire che cosa io e Ally dobbiamo dirti. -
- Va bene. Per quanto tempo ho dormito? -
- Per un paio di giorni – Un paio di giorni? Non avevo mai dormito così tanto in vita mia, eppure mi sentivo stanchissimo. 
- Seguimi, usciamo dalla Stanza di Autocontrollo. – 
Lo seguii senza fare domande. Uscimmo dalla porta blu e percorremmo un corridoio che sembrava non finire mai. Tutto intorno a me vidi tante porte blu come quella della stanza in cui ero io. Si sentivano urla e rumori di urti provenire da dietro ogni porta. Sussultai ad ogni rumore improvviso.
– Stai tranquillo. Sono solo incubi. – mi rassicurò Robert. 
Come quello che avevo fatto io. Dovevo aver fatto molto rumore mentre dormivo.
Mi rilassai e continuai a camminare. Arrivammo in un'enorme spiazzo sotterraneo. Il cemento era rialzato di pochi metri verso il centro in una forma circolare, e una rampa di scale permetteva di accedere ad esso. La stanza era piena di sacchi da box, attrezzi di vario tipo e pesi di una portata incredibile. Armi di vario tipo erano riposte su scaffali di acciaio. Una centinaia di ragazzi si stavano allenando al combattimento. Si sentivano esplosioni, urla rabbiose e alcuni lampi illuminavano le pareti.
Un ragazzo con i capelli di media lunghezza lisci e blu mi guardò insistentemente, come se fossi la sua preda. I suoi occhi erano viola chiaro, un colore che non avevo mai visto su nessun occhio umano. Indossava una maglia gialla a maniche lunghe aderente con dei fulmini blu disegnati all'altezza del gomito. I pantaloni, invece, avevano i colori invertiti e i fulmini si trovavano sui fianchi.
Risposi al suo sguardo con uno altrettanto minaccioso per fargli capire che non mi spaventava. All'improvviso schioccò le dita e una folgore si creò a mezz'aria. La afferrò e la lanciò con forza colpendo un manichino che prese istantaneamente fuoco dividendosi in due.
Mi lasciai scappare un'espressione di sorpresa, ma la sostituii subito con l'indifferenza. Non volevo apparire debole a nessuno.
Doveva aver notato la mia prima reazione perché mi guardò sogghignando mentre correva verso il bancone delle armi. 
Robert mi guardò sorridendo.
- Come ha...? – dissi mentre indicavo il "ragazzo fulmine".
- Te l'ho già detto. Ti spiegheremo tutto io e Ally. – disse interrompendomi.
Attraversammo tutta la piazza passando sotto i portici che la circondavano, e arrivammo davanti a una scala a chiocciola. Salimmo affrettando il passo. Lo sguardo di Robert non era più calmo e dolce, ma severo e preoccupato. Si fermò e aprì una botola sollevandola, poi si girò verso di me facendomi cenno di entrare. La stanza che mi trovai davanti aveva le pareti verde scuro decorate da cornici di legno. In ogni cornice c'era una foto diversa rappresentante un evento speciale della famiglia Reed. Un tavolo di legno scuro era posto al centro, sopra di esso un cesto di paglia intrecciato contenente un mazzo di fiori di pesco. Nell'angolo della stanza c'era una cucina molto moderna. Ero stato parecchie volte in quella casa e non era cambiato niente. Allyson era seduta al tavolo che mi guardava aspettando che io mi accorgessi di lei. Rob camminò verso sua figlia e la salutò abbracciandola e arruffandole i capelli.
La ragazza con cui ero cresciuto si girò verso di me, e mi guardò con i suoi occhi marroni scuro. La sue labbra si allargarono in un sorriso appena mi vide. Iniziò a correre verso di me allargando le braccia. Le andai incontro e la strinsi a me in un abbraccio mentre la tiravo su. La posai a terra e poggiai il mio mento sulla sua testa. Il suo viso affondò nel mio petto mentre mi diceva:
- Finalmente sei sveglio! Pensavo non ti saresti più svegliato. – Io speravo di svegliarmi al più presto, invece.
- Dobbiamo spiegargli tutto, Ally. Abbiamo poco tempo. –
- Sì, papà. Abbiamo alcuni mesi qualche minuto non cambia nulla. – Rispose scocciata mentre mi prendeva per mano guidandomi alla sedia accanto alla sua.
Mi sedetti e aspettai di sapere cosa avevano da dirmi. Guardai Robert che sembrava titubante, così decisi di arrivare dritto al punto. 
- Allora – mi schiarii la voce. - Che cos'è il Protocollo Elemental? -
Il mio tono sicuro li lasciò interdetti, così alzarono lo sguardo scrutando nei miei occhi per trovare un qualsiasi cenno di debolezza.
- Prima di rispondere a questa domanda dobbiamo fare alcuni passi indietro. – rispose Ally guardando suo padre e poi me.
I suoi capelli castano chiaro scendevano lunghi sulla sua spalla e oltre, fino ad arrivare alla fine della sua schiena. Li vedevo ondeggiare in modo quasi ipnotico mentre si avvicinava a me.
- Dobbiamo parlarti di quando tutto è iniziato – La sua voce calma mi riportò alla realtà.
Annuii, ma non capivo veramente di cosa stesse parlando. In quei giorni mi sembrava di non aver mai saputo neanche in che mondo stavo vivendo. 
- Ma per farlo ho bisogno che tu stringa la mano di mio padre. - 
La guardai interrogativamente.
- Cosa?! E perché?! -
- Tu fallo e basta. – Mi incitò Ally.
La fiducia che avevo in lei spingeva le mie mani verso quelle di suo padre che le strinse. I suoi occhi calmi incontrarono i miei, e non li lasciavano andare. 
- Rilassa la mente e il corpo. – la voce dell'uomo di fronte a me era così calma e ferma che mi fu impossibile non obbedire ai suoi ordini. Improvvisamente fu tutto nero intorno a me e la voce di Robert mi rimbombò nella testa:
Una guerra, da questo è partito tutto.
Un tempo c'erano quattro uomini saggi e potenti al governo di uno stato gioioso e pacifico.

Davanti a me iniziarono a comparire prati così vasti da non riuscire a vederne la fine. Fiori di ogni forma e colore li decoravano come gioielli. Alcuni bambini corrono e giocano allegri nell'erba. Gruppi di farfalle formavano mosaici colorati nel cielo migliori di quelli di ogni opera artistica. Sul lato destro scorreva un fiume, e sulla sua riva dei pescatori lucidi di sudore e affaticati portavano reti colme di pesci. Sul lato sinistro c'erano tanti contadini in fila a raccogliere i frutti del loro duro lavoro in delle ceste di paglia. Oltre l'orto una distesa interminabile di alberi creava l'unico posto buio del paese.
Ognuno di loro aveva un compito preciso, legato alla propria dote speciale.
C'era Sirio Bailey, un uomo capace di proteggere gli abitanti dalle minacce esterne, combattendo il fuoco con il fuoco.

Il primo scenario si dissolse mentre Robert parlava, e al suo posto un uomo giovane comparve davanti a me. Aveva i capelli di colore rosso acceso con ciocche che miravano al cielo prendendo ogni direzione possibile. Indossava una giacca di pelle lunga e nera che lo copriva quasi completamente. Solo gli anfibi neri e i guanti in pelle nera sporgevano da quella uniforme. Delle strisce rosse percorrevano la chiusura della giacca e i bordini delle maniche. Il suo sguardo era concentrato, e i suoi occhi azzurri contornati da un debole rosso scrutavano verso l'orizzonte. L'aspetto giovane era contrastato dalla folta barba rossa che gli conferiva un aspetto più maturo. L'uomo stava dritto con le mani unite dietro la schiena sopra un alto muro di pietra.
Improvvisamente una freccia infuocata venne scagliata sulla sua fronte. Sussultai prima di accorgermi che Sirio l'aveva fermata con un gesto della mano a pochi millimetri dalla sua pelle. Il fuoco dell'arma venne assorbito dal suo palmo destro, e la freccia cadde ai suoi piedi. Subito dopo una sfera di fuoco si creò sul suo palmo sinistro e venne scagliata verso un arciere che si trovava dall'altra parte delle mura.
Questo gesto mi ricordò il ragazzo che avevo visto in quella specie di campo di addestramento.
Il ragazzo rosso sparì e fu tutto nero.
Poi c'era Glauco Scott.
Viaggiava per mare per proteggere pescatori e marinai, e per prendersi cura degli esseri viventi che popolavano il mondo subacqueo.

Un vasto oceano comparve davanti ai miei occhi, con solo una nave che galleggiava sopra di esso. Un uomo dai lunghi capelli biondi stava in equilibrio sull'albero maestro. Indossava soltanto un paio di pantaloni aderenti blu simili a quelli da sub, ma questi avevano una fantasia a scaglie di pesce su ogni centimetro. Una cintura in oro massiccio circondava la vita dell'uomo. Sopra di essa erano in mostra i possenti muscoli di Glauco. I polsi erano nascosti da massicci bracciali d'oro con gemme azzurre incastonate su di essi.
L'uomo si tuffò con un'eleganza tale che una volta arrivato alla superficie dell'acqua sembrava quasi avesse chiesto il permesso di entrarci e essa si fosse semplicemente spostata.
Una volta arrivato sott'acqua, un delfino gli diede un passaggio sul suo dorso mettendo a disposizione la sua pinna dorsale. L'animale nuotò velocemente verso una luce oltre degli scogli e poi scomparve insieme a Glauco.
Infine c'erano due sorelle: Zoe e Mistral Moore.
La prima faceva germogliare anche il più secco dei fiori.La seconda ordinava al vento quando e dove soffiare, mentre teneva lontane le tempeste.

Davanti a me apparirono due giovani ragazze. Una aveva i capelli marroni con le punte verdi raccolti in una treccia che circondava la sua testa come una corona. Indossava un vestito bianco lungo con una fantasia floreale molto colorata sulle maniche e sull'orlo. L'altra ragazza aveva i capelli grigi con le punte bianche sciolti sulle sue spalle. Il suo vestito è leggermente più corto di quello della sorella, ed è azzurro sfumato in grigio verso la fine. Il tessuto che ricopriva la giovane era leggero e delicato, e la seguiva mentre si librava nell'aria. Entrambe avevano dei corpi delicati e esili, ma ero sicuro che nascondessero una forza nascosta.
Zoe era distesa su un prato che creava germogli su un campo arato con un solo gesto della mano mentre Mistral guidava una piccola nube da cui cadevano piccole gocce di pioggia sopra le piante della sorella.
All'improvviso la luce del sole scomparve e venne sostituita dal buio più nero. La terra tremò e tutti gli abitanti, governatori compresi, alzarono lo sguardo verso il cielo, in cerca della causa di tutta quella oscurità.
I momenti che seguirono furono dominati dal caos. Tutti iniziarono a scappare in preda al panico. Si udivano urla provenire da ogni angolo dello stato. Le madri stringevano i figli a sé e i padri proteggevano la famiglia raccogliendo tutto il coraggio che potevano trovare. Il loro sguardo non si distoglieva neanche un secondo dal cielo.
Lo seguii incuriosito e vidi una grossa nuvola nera come il carbone oscurare il sole.
I Guardiani erano gli unici fermi e con sguardo di sfida rivolto a chiunque fosse la causa di tutto ciò. Si riunirono in fila mentre scie di fumo nero si diramavano minacciose dalla nube precipitandosi verso di loro.
In pochi secondi fu buio pesto e la voce rilassante divenne tenebrosa. Non era più Robert a parlare, qualcun altro aveva preso il suo posto.
Abbiamo dimenticato il governatore più importante: Brayden Black.
La sua voce fece rabbrividire ogni centimetro della mia pelle.
Un uomo affascinante e intelligente capace di governare tutta l'oscurità del mondo.
Sfortunatamente, venne escluso e isolato dai suoi stessi amici.

Il tono della sua voce divenne più aggressivo e alterato.
TRADITO DA QUELLI CHE CONSIDERAVA A SUA FAMIGLIA! ODIATO DA TUTTO LO STATO PER COLPA LORO!
La voce possente di Robert cercava di accavallarsi a quella dello sconosciuto: – ESCI DALLA SUA TESTA! –
Ci fu una grande confusione nella mia testa, e poi il vuoto.
Nessun suono, nessuna immagine.
Solo buio.

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