Un marine troppo zelante

di udeis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Realpolitik e mandarini ***
Capitolo 2: *** Ispezione a sorpresa ***



Capitolo 1
*** Realpolitik e mandarini ***


Realpolitik e mandarini.



La grande battaglia di Marineford e la sconfitta di Barbabianca non aveva rivoluzionato le vite degli abitanti del villaggio di Cocoyashi nel mare Orientale. Tutti, però, erano rimasti colpiti dall’importanza mondiale dell’evento e per due o tre settimane l’avevano commentato, atteggiandosi a esperti di realpolitik.
Nel caos di opinioni, accuse, allarmismi, entusiasmi e previsioni da quattro soldi, alimentate da una birra a buon mercato e dalla balordia dei giorni di festa, alla locanda, emergevano forti e chiare le voci di Genzo e Nojiko. Gonfie di scettico cinismo, l’una, e di pacato pragmatismo, l’altra, cercavano di far passare l’idea che peggio che con Arlong non sarebbe mai potuta andare e, in caso contrario, sarebbero stati, comunque, ben preparati.
“Erano troppo periferici per essere interessanti”, dicevano a chi prevedeva la crescita esponenziale della pirateria. “Nessuno sano di mente si sarebbe vendicato di Cappello di Paglia sul loro villaggio”, rispondevano a chi temeva ritorsioni. “Era meglio farlo sul villaggio di Rufy” aggiungevano, se quelli continuavano. “I pirati sono odiati soprattutto dalle loro città d’origine, quindi la vendetta resta senza senso, cretino”, concludevano, poi, se ancora non li avevano azzittiti.
“Non occorre correre ai ripari e rinnegare la Gatta Ladra” avvertivano chi si preoccupava della carriera di Nami, “perché era abbastanza intelligente da non rivelare a nessuno la sua terra d’origine”
“No, ai quattro imperatori non importava nulla del Mare Orientale”, sentenziavano contro i complottismi. “E siamo pure fuori rotta dalla Grand Line."
Avevano il loro bel daffare nel calmare le acque, ma la cosa li teneva sufficientemente impegnati da non doversi chiedersi che fine avesse fatto veramente la loro piccola Nami.
 
Con il tempo, siccome non succedeva effettivamente niente di eclatante, i dibattiti si diradarono e la gente tornò alla sua solita vita, dimentica della paura, di Barbabianca e della realpolitik.
 
Quando l'esistenza aveva ripreso a svolgersi lenta e monotona come l’acqua di un fiume e alla locanda si era finalmente tornati a parlare del gossip del paese, la calma del villaggio era stata rotta di nuovo dall’arrivo del Comandate Smile che aveva fatto diventare le giornate degli abitanti di Cocoyashi molto meno pacifiche.
Tra tutti gli esperti di realpolitk del villaggio, nessuno aveva immaginato che i maggiori problemi li avrebbero avuti proprio dalla marina.
 
Ciò nonostante, qualcuno osò comunque un “Lo dicevo io!”, ma fu rapidamente zittito. Con Genzo e Nojiko, i millantatori avevano vita breve.
 
Smile, si diceva, arrivò sull’isola con una grande nave e si presentò come il nuovo comandante della base della marina poco distante, il villaggio lo accolse, perciò, con fredda cortesia e poco entusiasmo. Era ancora fin troppo vivo il ricordo dei marine corrotti al soldo di Arlong che rivoltavano certi campi di mandarini, distruggendo le loro speranze e i loro sacrifici, senza il minimo rispetto dei sentimenti della loro piccola Nami -e senza neanche provare a liberarli dal giogo dei pirati, oltretutto-.
Il comandante sembrò prendere questa indifferenza sul personale: dopotutto lui, un ufficiale della Grande Marina, l’istituzione che aveva sconfitto l’uomo più forte del mondo, stava facendo personalmente il giro dei suoi domini, come osavano questi stolti civili non esserne grati?
Quando gli abitanti lo videro tornare sull’isola con una scorta più piccola e meno formale pensarono subito che fosse un tipo molto permaloso, quando iniziò a chiedere informazioni specifiche si resero conto che voleva anche fare carriera sulla pelle altrui.
Smile sapeva che Nami, la Gatta Ladra, era originaria di quell’isola e si era ben documentato: voleva sapere se avesse ancora una famiglia sull’isola, voleva sapere la fine dell’ex marine Bellemere, voleva sapere cosa fosse successo negli ultimi dieci anni.
Il villaggio si coalizzò immediatamente, si chiuse a riccio e iniziò ad applicare il protocollo “Noi tutti odiamo Nami, la piratessa, fidatevi è così”: l’intera isola sapeva che quella storia non poteva essere compresa appieno da un uomo che veniva a rinvangare il loro passato con arroganza.
Le risposte, perciò, furono date a spizzichi e bocconi, tra un’allusione di corruzione alla marina e un silenzio ostinato e testardo. Smile, però, sembrava trovare quella reticenza oltraggiosa e giorno dopo giorno si convinceva sempre di più che i dannati abitanti di Cocoyashi fossero dei collaborazionisti filopirati che erano passati da una sudditanza all’altra per mero interesse. Anche se non riusciva pienamente a spiegarsi perché Cappello di Paglia non avesse lasciato nessuno dei suoi sottoposti a governare il suo territorio.
                                                             
Siccome nulla di tutto ciò aveva avuto l’effetto sperato: nessuna Gatta Ladra era, in effetti, comparsa dal nulla e nessuno degli abitanti aveva abbandonato l’isola o il villaggio nel cuore della notte per mettere in guardia quella feccia, Smile iniziò le perquisizioni.
Quando trovarono le gigantografie della Gatta Ladra a casa di Genzo pensarono immediatamente di aver fatto tombola.
 
Il vecchio, però, si rivelò un osso fin troppo duro: fece innanzitutto notare che era normale trovare poster di ricercati a casa di un poliziotto e aggiunse che non era un delitto conservare la foto di una bella donna. Andassero a controllare gli armadietti dei loro marine, scommetteva che ne avrebbero trovate altrettante e non tutte erano lì a scopo lavorativo. Scornati e in preda a un cocente imbarazzo- quasi tutti avevano fantasticato di qualche romantica avventura con una bella piratessa da redimere-, i marine cambiarono bersaglio.
 
Pensando del tutto irrazionalmente, che una donna sola e il suo giovane assistente potessero essere una preda più facile, tornarono ai campi di mandarini. Nojiko, continuò a lavorare senza fare una piega, lasciando che i marine frugassero nuovamente in lungo e in largo la casa e il magazzino degli attrezzi. Quando alla donna fu chiesto- più ferocemente del dovuto, a dire il vero- perché i suoi mandarini avessero come contrassegno il tatuaggio della Gatta Ladra, Nojiko rispose semplicemente: “Una libera imprenditrice non può forse utilizzare il marchio che vuole sui propri prodotti?”.
Il marine non sembrò gradire la risposta e così vennero le accuse: il simbolo dimostrava la loro sudditanza alla ciurma di Monkey D. Rufy, stavano nascondendo Nami, la gatta ladra, insieme ai membri della sua ciurma, stavano nascondendo il suo immenso tesoro, l’isola in realtà era la base segreta di Cappello di Paglia.
La risata cristallina e beffarda della donna, fu un duro colpo per l’ufficiale, e parole che seguirono furono ancora peggio: “Avete frugato dappertutto, cosa credete che la nasconda sotto le piante di mandarini?”
 
Ferito nell’orgoglio –“Come osava quella ragazzina sfacciata e tatuata peggio di un pirata mancargli di rispetto in quel modo?”- dato che le sue erano tutte ipotesi più che valide, il comandante si risolse a cambiare strategia.
Sapevano che la Gatta Ladra fosse sua sorella, le disse.
“Bene” rispose Nojiko “E quindi?”
“Perché usava un marchio legato a dei pirati? Capiva che in questo modo le accuse che le aveva rivolto- un po’ frettolosamente, doveva scusarlo, ma lui era un tipo molto passionale nel suo lavoro, perché amava la giustizia- erano più che legittime?”
Il tono dolce non parve sortire alcun effetto su quella donna di granito che rispose che, semplicemente, le era sempre piaciuto il tatuaggio di sua sorella. “Ma copiare un disegno non è un crimine, vero comandante?” Chiese con uno sfarfallio sospetto delle ciglia, “Non credevo che qualcuno se ne fosse accorto. A questo punto, mi piacerebbe tenerlo comunque, per la pubblicità.” Ammiccò “Nami è una donna molto attraente, non trova?” per poi tornare di un colpo la pragmatica contadina che era stata fino a un secondo prima: ”Certe cose aumentano la clientela, sa com’è”
Smile sobbalzò, restando senza parole: il fatto che quella donna infernale avesse appena accostato tra loro pirati e belle donne era per lui una bestemmia peggiore dell’ananas sulla pizza. Come poteva il culmine della bellezza e della grazia essere messo sullo stesso piano della feccia più lurida e viziosa? Si promise vendetta, si promise di non lasciarsi ammaliare, confondere, fuorviare o, fosse mai, farsi prendere per il naso, nello svolgimento della sua sacra missione investigativa.
Per questo motivo una guarnigione della marina fu stanziata su quell’isola a tempo indeterminato e interrogatori e piccoli soprusi divennero giornalieri.
Nojiko, in particolare ne divenne una delle vittime abituali, ma ella oppose alle loro domande un silenzio ostinato e un’ironia pungente. Si spinse addirittura a impiegare i prodi marine del comandante come braccianti, senza alcuna remora, quando una brutta tempesta gli abbattè tre dei suoi amati alberi, ancora carichi di frutta. Con un miscuglio di razionalità, pugno di ferro e pesanti lavori agricoli, riuscì anche a tenere a freno con successo i bollenti spiriti del suo assistente adolescente, Chabo, che minacciava di scoppiare a ogni più piccola provocazione. Insomma, riuscì a non farsi sfuggire una parola più del necessario, almeno fino a quando Smile non accusò Nami di complicità nell’omicidio di Bellemere, definendolo il suo primo atto da criminale.
 
Fu a quel punto che Nojiko si voltò a fronteggiare i supposti tutori della legge con un diavolo per capello, impugnando con forza un paio di affilatissime cesoie. La situazione avrebbe potuto anche degenerare, se Chabo -forse per pietà, forse perché i Marine non sarebbero stati un buon concime per i campi- non si fosse frapposto tra lei e loro. Nojiko a quella vista tornò in sé e, facendosi largo tra comandante e sottoposti, si limitò a potare l’albero che le stava davanti con un certo impeto: “Nami è una criminale” disse con tono gelido, “E di lei può pensare quello che vuole, comandante, ma non osi più sporcare la memoria di Bellemere o farò rapporto immediato ai suoi superiori”.
 
Della piratessa Nami, la Gatta Ladra, si diceva che fosse una strega malefica, ma, evidentemente, era una dote di famiglia, dato che anche la sorella sembrava nascondere dentro di sé un demone assetato di sangue.
Più tardi, alcuni degli uomini che assistettero alla scena, mentre cercavano rifugio dentro una pinta di birra a poco prezzo, riassunsero l’intera faccenda così: “Quella Nojiko, te lo dico io, mangia in testa anche a Big Mum”. Non lo dissero troppo forte, però, perché non osavano pungolare più del dovuto, il bistrattato amor proprio del loro traumatizzato comandante che affogava rabbiosamente i propri dispiaceri nell'alcol a un tavolo di distanza. Il barista, che era dello stesso parere dei marine, suggellò le parole dei soldati, offrendo a tutti un ottimo amaro al mandarino: “ Che ci vuoi fare” disse “Sono donne”.
 
Smile lasciò l’isola nel pomeriggio, portandosi dietro la sua guarnigione e rimuginando chissà cosa, ma la minaccia di Nojiko sembrò funzionare perché, per un po’, nessuna nave della Marina apparve più all’orizzonte.
 
Nemmeno una settimana dopo dell’uscita ad effetto del Comandante Smile che, rosso di rabbia, aveva smantellato il suo presidio, promettendo di ricorrere alle maniere forti, un veliero della marina era apparso placido all’orizzonte ed era approdato al piccolo porto del villaggio. Chi più chi meno, tutti si erano radunati al molo o si aggiravano nei paraggi, fingendo di avere qualcos’altro da fare. Tutti volevano conoscere quello che il destino avrebbe riservato al loro villaggio e, allo stesso tempo, fare fronte comune contro l’ennesima bizzarria della marina.
Genzo raggiunse a passo di carica la piccola folla che si era radunata al molo e aggredì i marine che erano appena scesi dalla nave, senza neanche fermarsi a riflettere.
“Cosa volete ancora? Non nascondiamo nessun pirata su quest’isola, fatevene una ragione, l’avete già frugata in lungo in largo. Lasciateci in pace!”.
Un uomo che Genzo non aveva mai visto in vita sua scese dalla nave, sfoggiando un leggero sorriso.
“Lei deve essere il signor Genzo, capo della polizia del villaggio di Cocoyashi” disse.
“Sono io. Lei è un altro dei sottoposti di Smile?”
Il Marine si lasciò sfuggire una leggera risatina.
“No, è fuori strada. Io vengo da parte del vice-ammiraglio della Marina Monkey D. Garp, l’Eroe.”
Suo malgrado Genzo deglutì impressionato, “ Monkey D. come il maledetto pirata?” scommise, impavido.
“Sì, Rufy Cappello di Paglia è suo nipote”.
L’ufficiale estrasse un taccuino gli diede un’occhiata distratta e continuò: “Ho l’ordine di comprare l’intera produzione di mandarini di quest’anno della signorina Nojiko, e desidero farlo a prezzo triplicato. Inoltre,” Continuò sorridendo all’espressione di puro stupore sul volto del suo interlocutore, “Il vice-ammiraglio desidera che io le porga le scuse formali della Marina. Ci dispiace non essere potuti intervenire prima per salvare questo villaggio dalla follia di Arlong”.
“Genzo! Genzo che succede?! Cosa vuole da noi la Marina?”
“Chabo, smettila subito, torna qui! Dannato ragazzino, non attaccar briga con la marina!”
Una donna e un ragazzino arrivarono, correndo al molo: sul loro grembiule, inconfondibile, si stagliava il tatuaggio della gatta ladra.
“Siete ancora qui per la faccenda dei pirati? L’abbiamo già spiegato agli altri Nami non è qui e comunque noi le vogliamo bene anche se è una criminale!” urlò il ragazzino, arrabbiato.
“No, Chabo, il signore non è qui per questo” Lo azzittì Genzo “E smetti di dire stupidaggini, a noi non piacciono i pirati”.
“Certo che no, a nessun buon cittadino piacciono le canaglie. Il vice ammiraglio lo ha fatto personalmente presente al comandante Smile e ai suoi superiori. Sapete, lui è originario di un’isola qui vicino e sa benissimo che quel simbolo è tipico del mare Orientale: un emblema molto antico e nobile, mi ha detto”.
Borgat mentì con naturalezza e un sorriso galante. Quello che Garp in realtà gli aveva detto era più simile a “Va, inventati qualcosa e fai stare zitto Smile. Quell’idiota spreca risorse della marina a vuoto: Nami la Gatta Ladra non è di certo in questo tratto di mare e quel villaggio ha sofferto abbastanza. E visto che esci va a comprarmi dei mandarini, su quest’isola non ce ne sono per niente!”
Conoscendolo da anni, Borgatimmediatamente capito l’antifona.
Le bocche dei due ragazzini, se possibile, si spalancarono ancora di più, mentre l’uomo chiamato Genzo sembrava stesse per avere un attacco di cuore. Borgat si chiese distrattamente se fosse il caso di chiamare un medico.
“Allora, signorina vogliamo parlare d’affari?” chiese.
“Certo.” Disse Nojiko, sorridendo e insieme si avviarono verso il villaggio.


 
 
Note: in uno degli episodi/mini avventure pre capitolo, "Dalle Tolde del mondo" si vede una Nojiko che coltiva arance che hanno come marchio il tatuaggio di Nami e si chiamano Bell-Mere e Chabo, il ragazzino che cerca di uccidere Arlong e Nami ferma, lavora per lei. Ho cercato di caricare l'immagine qui nel capitolo, ma non sono sicura di esserci riuscita, me lo fareste sapere?

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Capitolo 2
*** Ispezione a sorpresa ***


Ispezione a sorpresa


“Signore c'è una nave della Marina all'orizzonte”. Comunicò un giovane soldato dopo aver fatto un perfetto saluto militare, Bogart alzò la testa dalle carte che stava controllando e lanciò uno sguardo fuori dalla finestra: all’orizzonte s’intravedevano le vele bianche di una nave fin troppo famigliare. "Signore, vuole che vada ad avvertire il vice ammiraglio Garp? Come sa, è uscito per un giro di pattuglia".
“Non serve. È la nave dell’ispettore Sengoku. Dì agli uomini di mettersi in alta uniforme, andremo noi ad accoglierla.”
“La nave dell’ispettore Sengoku? Signore, ma intende proprio quel Sengoku? L’ex Grand ammiraglio della marina?”
Bogart lo guardò con aria di sufficienza. “Sì, soldato, proprio lui”.
“Non dovrebbe essere il vice-ammiraglio ad accogliere una persona così importante?”
“Soldato, da quanto tempo lavori in questa base?”
“Tre mesi, signore.”
“Bene, soldato, non si faccia ingannare dai modi del viceammiraglio, qui, come in qualsiasi altra base della Marina, vige l’abitudine di eseguire gli ordini, non di discuterli.”
“Sì, signore, mi scusi, signore.” Disse l’uomo, arrossendo mortificato. Borgat sospirò e offri una spiegazione: “Il vice-ammiraglio e l’ex Grand’ammiraglio si conoscono da molto tempo e tra loro i rapporti sono piuttosto… informali. Bastiamo noi ad accoglierlo, ma voglio lo stesso gli uomini in alta uniforme. Ora va!” Il soldato scattò sull’attenti e, ancora imbarazzato, si affrettò ad eseguire l’ordine.
 
Quando la nave attraccò al porto e l’ispettore generale della marina, Sengoku, vi scese, trovò ad accoglierlo sul molo una piccola guardia d’onore guidata dal sottoposto più fidato di Garp.
“Signore,” disse, “Per noi è un onore averla qui”.
Sengoku rise, allegro. “Bando alle formalità Bogart, sono venuto solo per fare quattro chiacchiere con un vecchio amico”.
L’uomo si rilassò, ordinò il riposo ai suoi uomini e sorrise.
“Il vice-ammiraglio al momento non si trova nella base, ma manderò uno dei miei uomini a chiamarlo, nel frattempo saremo onorati di ospitarla”.
“Non serve, Bogart, non serve, dopotutto sono solo un ispettore, andrò io a cercarlo, se mi dici dove posso trovarlo”.
“Ma certo, signore, come preferisce. Il vice-ammiraglio Garp si trova sulla collina: è uscito questa mattina presto per fare una ricognizione”.
“Posso chiederle di prepararmi del tè, Borgat?”
“Mi sono permesso di anticipare la sua richiesta, signore” Rispose l’ufficiale, porgendo a Sengoku una busta di carta.
“Hai fatto benissimo, sono sicuro che così Garp apprezzerà di più i miei biscotti”. Rispose Sengoku, sventolando un pacchetto. “Sai, sono quelli del quartier generale della marina”. Sorrise l’uomo malinconico.
“Sono sicuro che avranno un sapore eccezionale”. Annuì l’altro.
 
Sengoku risalì lentamente la china della collina fino alla cima raggiungendo la figura del viceammiraglio che, seduto sotto a un albero, osservava il mare in silenzio. L’ispettore della marina gli si sedette accanto e iniziò a svolgere il pacchetto che aveva portato con sé, rivelando un pacco di biscotti, termos e due tazze che furono subito riempite.
“Che ci fai qui Sengoku? Il mare Orientale è lontano da Marineford”, disse Garp, prendendo la tazza che l’amico gli offriva.
“È questo il modo di accogliere l’ispettore della Marina, Garp?”
“Che cosa vuoi? Non ho fatto niente di male”.
Sengoku cercò di mettere a tacere la vocina fastidiosa che gli faceva notare che, quella, probabilmente, era proprio l’isola d’origine di Rufy cappello di Paglia e Ace Pugno di fuoco e che avrebbe dovuto arrestare tutti gli abitanti per complicità.
Ora che non era più Grand’ammiraglio, quello che Garp aveva fatto e stava facendo gli faceva stranamente ridere.
 
“Vengo per il buco di bilancio registrato a carico di questo avamposto della Marina. Secondo i nostri ragionieri spendi il 3% del tuo budget annuale in mandarini, pagandoli anche discretamente cari, rispetto ai normali prezzi di mercato”.
“La frutta mi serve a mantenere i miei uomini in salute. Mi stai consigliando di cambiare fornitore?”
“Ho qui anche un rapporto del Comandante Smile che accusa gli abitanti di un’isola del mare orientale, Cocoyashi, di complicità e favoreggiamento di una banda pirata. Precisamente quella di Rufy Cappello di Paglia, che come tu ben sai è un pirata da 300 milioni”.
“Non ne so niente” disse Garp, tranquillo. “Certo che Akainu si fissa proprio con delle piccolezze. Sia mai che nel suo regno di Pace e Giustizia qualcosa non funzioni alla perfezione.”
“Il nuovo Grand’Ammiraglio e, probabilmente, anche qualcuno sopra di lui, mi ha mandato per ricordarti che fai ancora parte della Marina e non sei libero di seguire le tue ispirazioni filo-pirata”
“Ma che gentili”.
“Mi dispiace Garp”.
“Di un po’ sono tutti ammattiti al Quartier Generale?” Si alterò Garp, aprendo una crepa nel terreno con un pugno “Cos’altro devo fare, Sengoku? Ho lasciato che mio nipote morisse, in quella guerra. Non mi sono intromesso, non mi sono opposto. Perché mai dovrei aiutare i pirati adesso che non ho più nessun buon motivo per farlo?”
“Parlami di questi mandarini” Chiese Sengoku, spingendo il sacchetto di dolcetti verso l’amico. Garp afferrò un biscotto e dopo averlo fissato truce per un istante se lo mise in bocca e iniziò a masticare rumorosamente.
“I mandarini provengono dal villaggio di Cocoyashi”.
“Un’isola qui vicino, se non sbaglio” rimuginò l’ispettore, l’altro annuì.
“Li coltiva la sorella di Nami la Gatta Ladra, la donna imbarcata sulla nave di mio nipote”.
“E perché diamine hai pensato di comprare i mandarini da una persona così compromessa e di insabbiare un rapporto così significativo? Perchè l’hai insabbiato tu, vero?”
Sengoku aveva provato a mantenere la calma, ma non ce l’aveva fatta: non era in pensione da abbastanza tempo per poter ignorare le azioni sconsiderate dell’amico con animo sereno. Non quando gli venivano sbattute sul muso senza il minimo tatto.
Il vice ammiraglio rimase calmo e rispose, serafico: “ Tutti gli abitanti del villaggio nasconderebbero volentieri la Gatta Ladra alla Marina. Dopotutto,” continuò, ignorando lo sguardo truce lanciato dal suo collega ,“questo villaggio farebbe lo stesso per Rufy. Nelle isole piccole funziona così, lo sai anche tu”.
Sengoku si passò una mano sul volto, preoccupato e sospirò. Garp non avrebbe mai imparato a comportarsi correttamente in questo genere di circostanze, ma questa volta stava giocando con il fuoco: la sua posizione di Eroe non poteva difenderlo a lungo con Akainu al potere e lui, di sicuro, non poteva più aiutarlo come un tempo.
“L’ho fatto per un buon motivo”. Ebbe anche il coraggio di dire.
“Se il buon motivo è perché la ragazza è amica di tuo nipote e stai cercando di risarcire la sua probabile morte ad opera della Marina, ti avviso che non è affatto un buon motivo”.
“Non è per quello. Se i pirati muoiono o vengono catturati di sicuro non mi rattristo: è la vita che si sono scelti, lo so io e lo sanno loro”.
Ma la famiglia,” Pensò Sengoku tra sé, “La famiglia è un’altra cosa, non è vero, Garp? Ed è proprio questo che preoccupa tanto le alte sfere”
“Allora perché l’hai fatto?”
“Cocoyashi è il villaggio di origine di Nami, è vero, ma è anche il villaggio di cui Arlong, l’uomo pesce, si era impadronito e che aveva tiranneggiato per anni. Sono stati i pirati di Cappello di Paglia a cacciarli, mentre la Marina non è mai intervenuta. Se lo avesse fatto quella ragazzina non sarebbe diventata un pirata e sarebbe rimasta con la sua famiglia. Pensavo solo che meritassero un risarcimento, la sorella e l’intera isola, intendo. Ho solo cercato di farlo in maniera discreta. Alla Marina non serve un altro scandalo, giusto? E quella faccenda è già stata insabbiata- e non da me-: non vale la pena di ritirarla fuori”.
“Hai fatto bene”. Disse Sengoku quando si fu ripreso dalla sorpresa: conoscendolo lo si scordava facilmente, ma Garp era un buon tattico. Non era geniale come Tsuru, né abile quanto lui, ma il suo titolo non era stato affatto frutto del caso, né era dovuto solo al suo leggendario pugno, per quanto lo stesso vice ammiraglio amasse vantarsi del contrario. Dopotutto era pur sempre l’uomo che aveva tenuto nascosto il figlio di Roger per anni.
“Arlong, quella sì che era stata una bella gatta da pelare.”
“Già. Contento di non essere più grand’ammiraglio della marina, Sengoku?” chiese, allegro, il vice ammiraglio, dando una grossa pacca sulla spalla all’uomo seduto accanto a sé.
“Non sai quanto. Non dover avere più la tua famiglia tra i piedi è un immenso sollievo. Comunque,” aggiunse, alzandosi in piedi e ignorando lo sguardo offeso lanciatogli dall’amico. ”Darò io le spiegazioni necessarie alle alte sfere. Anche se, Garp, hai il grado e l’esperienza per fartele da sole certe cose. Akainu non avrebbe rifiutato un’iniziativa simile se gliel’avessi proposta e spiegata per bene: avrebbe giovato all’immagine della Marina.”
“Il quartier generale è troppo lontano, Sengoku, ci avrei messo troppo tempo e tutti quei mandarini sarebbero andati a male.” Spiegò il vice ammiraglio e anche se il borbottio aveva un tono scanzonato e vagamente offeso, l’amico riconobbe nei pugni chiusi e nello sguardo sfuggente il vero motivo per cui Garp, l’Eroe non aveva contattato il suo superiore.
“E poi se quel comandante da strapazzo non si fosse intromesso, nessuno avrebbe saputo mai nulla! Perché è stata colpa sua, vero?”
“ Già, ha mandato una lettera di protesta al Quartier Generale della Marina” rispose Sengoku, sollevato che il momento di malinconia fosse stato se non dimenticato, almeno superato. “Quindi sei stato tu a insabbiare il rapporto del comandante Smile, ma è vero che gli hai anche ordinato di non mettere più piede in quel villaggio?” Chiese, ostentando un finto tono scandalizzato.
“Certo che sono stato io, Sengoku! Infastidiva gli abitanti di Cocoyashi e lo faceva per una scemenza!” Sbattè a terra il bicchiere vuoto, si pulì la bocca con la mano e continuò con meno enfasi: ”Lo sappiamo tutti benissimo che, se i compagni di Rufy sono ancora vivi, di certo non sono nel Mare Orientale. Mio nipote non è uno che torna indietro e i suoi uomini sono fatti della stessa pasta, altrimenti non sarebbero si sarebbero mai imbarcati con lui.”
Sengoku annuì. “In effetti, per salpare con tuo nipote devono proprio essere fuori di testa.”
“È lo spirito del Mare Orientale, temo”
Sengoku, soprassedé, con un alzata di spalle: la storia gli insegnava che il collega non avesse poi tutti i torti. “Mentre Smile è il classico esempio di novellino troppo zelante.” Aggiunse tra sé.
I due sorseggiarono l’ultima tazza di tè, guardando il mare ognuno immerso nei propri pensieri, ma poi l’ispettore non riuscì più a trattenersi: “Certo che, Garp, quei maledetti mandarini potresti anche comprarli con i tuoi soldi, invece di sfruttare i fondi destinati al rifornimento della base!”
“Lo stipendio di un viceammiraglio in pensione non è così alto, che ti credi? Non me li posso permettere”.
“Quando non avrai più soldi come pensi di comprarle le munizioni?”
“E che problema c’è? Le ruberò ai pirati. Non possono di certo denunciarmi!”
Sengoku si lasciò andare a una risata di cuore alla risposta spontanea dell’amico: gli era mancato il suo modo di fare.
“Che ne dici Garp? Ora che abbiamo finito le formalità ti va di mostrarmi la tua nuova base? E neanche mangiare qualcosa dalla tua famosa Makino, mi dispiacerebbe”.
“Solo se tu mi dici che ne hai fatto della tua capretta.”
 
 
E finisce così, con Garp e Sengoku che camminano verso il tramonto prendendo in giro Akainu e mangiando dolcetti, Nojiko felice e miliardaria e Borgat che, probabilmente, si sta occupando di tutte le pratiche burocratiche che Garp ha lasciato sulla sua scrivana. Sì, quella di Borgat, non la sua, perché, insomma, avere dei sottoposti dovrà pur servire a qualcosa, no?
Bogart non me lo sono inventato io, ma i creatori dell’anime ed è questo tizio qui.
Sengoku dopo il Time Skip si porta dietro un gorilla e io non posso fare a meno di chiedermi che fine abbia fatto la capretta: insomma, è improbabile che sia nell’ufficio di Akainu, Garp sicuro non ce l’ha, Akoiji ha il suo pinguino… Quindi che fine ha fatto? Se la saranno mangiata? Sarà morta di vecchiaia? Si sarà trasformata in gorilla? Il dubbio non mi lascia dormire la notte.
Per quanto riguarda la faccenda Arlong: è vero che ufficialmente era il sottoposto di uno dei pirata della flotta dei sette, ma stava cercando di conquistare il mare Orientale e si era appropriato di un’isola: la marina avrebbe dovuto intervenire ugualmente (o fare intervenire Jimbe). Dopotutto l’ha fatto o ha finto di, nel caso di Crocodile, che faceva o cercava di fare la stessa cosa. Se, invece, volete leggere qualche altra avventura di Garp e Sengoku potete dare un'occhiata a "Compagni d'armi" una raccolta di Oneshot e flahfic che li vede protagonisti insieme a Tsuru. Grazie a chiunque passerà a leggere la mia storia

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