Sukairīchi Orphans

di Jeo 95
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Chapter 1- Signum ***
Capitolo 2: *** Separatum et Colligentes ***



Capitolo 1
*** Chapter 1- Signum ***


N.d.A.- Chaossu! 
Non so esattamente come mai ho deciso di pubblicare questa..."cosa", forse spinta dalla curiosità di provare qualcosa di nuovo in questo fandom, forse perchè ultimamente mi è tornata la passione verso Kuroko, o semplicemente perchè sono masochista e mi voglio male ^o^
Come detto questa storia è stata ispirata da una letta nel fandom inglese, ma soltanto la parte dello street basket e del team, il resto è farina del mio sacco!
Solo che l'accostamento di questi determinati personaggi mi ha affascinata, e volevo assolutamente scrivere qualcosa su di loro! Spero la storia possa anche solo attrarre la curiosità di qualcuno, non sono brava nelle intro quindi perdonate se non è un gran che >-<
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay


 

Enjoy the reading!
 

*w*w*w*w*w*


Con un considerevole numero di eventi a caratterizzare la propria vita, Seiko poteva vantare una vasta conoscenza della natura umana, dovuta anche all'esperienza maturata durante tutti gli anni in cui aveva gestito l'orfanotrofio "Skyreach": in cinquant'anni di lavoro e dedizione aveva visto crescere un considerevole numero di bambini, tanto da riuscire ormai a comprendere il carattere di una persona in poche occhiate.

Il linguaggio del corpo spesso comunicava più di quanto non venisse detto a parole, e Seiko preferiva fidarsi del suo istinto, di ciò che leggeva nei gesti e nei movimenti di una persona piuttosto che fidarsi delle sole parole; un'abilità che i suoi ragazzi avevano aiutato ad affinare, e sulla quale si basava spesso per giudicare se le famiglie che si presentavano da lei per un'adozione fossero adeguate o meno. Nella maggior parte dei casi la sua intuizione si rivelava corretta.

Seiko amava il suo lavoro ed amava i bambini che avevano la sfortuna di entrare nel suo istituto -perchè non importa quanto impegno mettesse nel rendere i suoi ragazzi quanto più felici possibili, restare orfani non era mai un'esperienza felice- per questo avrebbe fatto di tutto affinché crescessero nel migliore dei modi, nelle cure di persone che potevano svolgere quel compito con effettiva competenza.

Nonostante l'affetto che provava per tutti loro, tendeva tuttavia a restare distante, senza mai instaurare un rapporto più profondo di quello che poteva esserci tra un'insegnate ed un allievo, amando ognuno dei suoi preziosi bambini senza però legarsi a nessuno in particolare.

Fino a quel momento Seiko era sempre stata fedele a quella filosofia, ripromettendo di occuparsi dei ragazzi con fermezza e serietà, sempre con professionalità ed imparzialità, senza coinvolgere sentimenti personali ed avendo così la certezza di poter prendere la miglior decisione possibile con la massima lucidità possibile: una teoria che aveva sempre funzionato, poi erano arrivati loro, e tutto aveva assunto nuovi colori.

Tetsuya era stato il primo. Aveva quattro anni quando l'aveva visto per la prima volta, vittima innocente di una rapina finita nel peggiore degli scenari, il massacro di una famiglia intera, l'unico sopravvissuto ad una tragedia di cui nessuno sembrava voler parlare.

Secondo le ricostruzioni, Tetsuya era rimasto nascosto nell'armadio per giorni prima che qualcuno si ricordasse di lui, trovato quasi per caso durante le indagini per cercare di approfondire il movente ed il modus operandi del criminale; quando i referti medici le erano stati presentati davanti agli occhi, Seiko avrebbe voluto prendere a calci chiunque avesse esplorato la casa nei giorni precedenti, mentre le budella le si torcevano nello stomaco solo al pensiero di ciò che Tetsuya aveva dovuto passare.

La prima volta che lo aveva incontrato era stato in ospedale, una settimana dopo l'accaduto, accompagnata da Ogai -il maggiore dei suoi figli- colui che l'aveva trovato e soccorso non appena accertatosi delle sue condizioni.

A Seiko si era stretto il cuore nel vedere un bambino così piccolo disteso sul letto dell'ospedale, pieno di tubi con cui cercavano di integrare il nutrimento che era venuto a mancargli durante i giorni nell'armadio: il suo corpo era stato irrimediabilmente compromesso, ma i dottori erano positivi che con le cure adeguate il piccolo Tetsuya avrebbe potuto vivere una vita normale senza troppe complicazioni.

La seconda volta che aveva potuto incontrarlo era stato al funerale dei genitori un mese dopo l'accaduto, a cui aveva Seiko partecipato per onorare la nonna di Tetsuya, sua sempai ai tempi del liceo, nonché finanziatrice del suo progetto per l'accoglienza e la riabilitazione degli orfani. Ogai l'aveva accompagnata, più come un favore per la madre che non per vero interesse verso la morte di alcuni civili come lo erano tanti altri.

Mentre lo cercava, Seiko aveva notato con disappunto come nessuno sembrasse essersi ricordato di lui, come se niente fosse rimasto da quella tragedia se non un vuoto per la perdita di tre brave persone: un nuovo moto di rabbia e tristezza si mosse nel cuore della donna, che con passo spedito aveva setacciato la stanza in cerca del bambino come se da questo dipendesse la sua vita.

L'aveva poi trovato accanto alle bare aperte dei famigliari, testa china e sguardo fisso, calmo all'apparenza, completamente solo e abbandonato. A colpirla maggiormente era stata la maturità con cui Tetsuya -aveva solo quattro anni- sembrava affrontare la situazione, controllato e inespressivo, reprimendo la voglia di piangere ed urlare che, Seiko sapeva, lo stava logorando dentro.

In quella grande sala triste e solitaria, Seiko sembrava essere l'unica a vederlo.

C'era qualcosa negli occhi azzurri del piccolo che l'avevano conquistata, risvegliando in lei qualcosa che si era spendo non appena l'ultimo dei suoi figli aveva abbandonato il nido, non lasciando spazio all'esitazione quando si era avvicinata a Tetsuya sorridendo, Ogai sempre accanto, pochi passi dietro di lei.

«Sei un bambino forte.» gli aveva detto, senza mai staccare lo sguardo dagli occhi cerulei e sinceri del bambino.«Come ti chiami?»

Lui l'aveva guardata intensamente, nessuna emozione apparente sul viso tondo e dai lineamenti dolci. «Tetsuya.»

Seiko non aveva perso il sorriso, chinandosi per guardarlo bene in viso, stringendogli attorno al collo la sciarpa di seta rossa che indossava poco prima.

«Ti va di venire con me, Tetsuya? Ti porto nella tua nuova casa.»

Aveva visto l'esitazione negli occhi del piccolo, prima di prendere le mani della donna ed annuire timidamente, probabilmente consapevole che nessuno si fosse proposto per prendersi cura di lui in ogni caso: ed era così che il giovane aveva fatto il suo ingresso a "Skyreach".

Shoichi e Yukio erano arrivati insieme, sei mesi dopo Tetsuya, mano nella mano, inseparabili dal momento in cui l'aereo su cui viaggiavano si era schiantato al suolo, privandoli di ogni cosa.
Un modo terribile di conoscersi, ma il legame che ne era nato aveva superato ogni aspettativa Seiko aveva sperato potesse nascere tra i due: il supporto l'uno dell'altro sarebbe stato essenziale per il loro futuro recupero.

Yukio non aveva parenti che potessero occuparsi di lui, mentre nessuno dei famigliari di Shoichi aveva voluto prendersi la responsabilità di accogliere nella propria casa un ragazzino che era nulla più di un peso.

Era stato quasi inevitabile portarli da lei, ma Seiko non se ne era lamentata: la sua porta era sempre aperta per qualunque bambino ne avesse avuto bisogno.

L'incontro con Tetsuya poi era stato quasi un miracolo.

Nei sei mesi trascorsi alla struttura, il bambino non aveva fatto amicizia con nessuno -sempre solo in un angolo, dimenticato dagli altri bambini e dallo stesso personale dell'orfanotrofio- trovando conforto solo nelle visite giornaliere di Seiko, l'unica con cui era lui stesso a cercare un approccio: questo fino all'arrivo di Yukio e Shoichi.

Mentre il primo piangeva spesso -in disparte, sempre nell'abbraccio protettivo di Shoichi- il secondo guardava con diffidenza e sospetto chiunque si avvicinasse, proteggendo Yukio da qualunque cosa ritenesse un pericolo.

Tetsuya aveva fatto ciò che gli altri bambini ed il personale dell'orfanotrofio non erano riusciti a fare.

Forse perché i sentimenti erano gli stessi, forse perché avevano vissuto esperienze simili più o meno nello stesso momento, Tetsuya era stato l'unico a penetrare il muro di tristezza che aleggiava nei due bambini, insinuandosi in quel legame e divenendo presto parte di qualcosa che Seiko aveva visto accadere altre volte, ma mai in modo così rapido e intenso: si era ripromessa di guardare attentamente gli sviluppi successivi, prendendo sotto la propria ala il trio di bambini che -ancora non lo sapeva- erano già diventati per lei speciali.

Kazunari era arrivato un anno dopo, il corpo ancora pieno delle ferite che la madre gli infieriva ogni giorno, prima che i servizi sociali decidessero finalmente di togliere il ragazzino dalle sue grinfie.

Non era stato facile per lui ambientarsi, sempre scontroso e arrabbiato, seduto in un angolo mentre aspettava qualcosa che nessuno sapeva, litigando e azzuffandosi spesso con altri bambini che avevano la pessima idea di infastidirlo: aveva addirittura morso una delle ragazze quando questa aveva provato a toccarlo, un errore per cui Seiko l'aveva aspramente rimproverata, ricordandole le procedure che aveva insegnato a tutti loro su come comportarsi con bambini che avevano subito certi tipi di abusi per non peggiorare le loro ferite.

Dopo quell'evento, Kazunari era diventato ancor più schivo e violento, e dopo un mese di tentativi falliti, Seiko aveva quasi temuto che per lui fosse tardi, che qualsiasi tipo di recupero fosse ormai impossibile: le si spezzava il cuore, pensare che Kazunari non avrebbe mai potuto ridere e giocare come un bambino normale, che le ferite inferte al suo corpo e al suo spirito fossero così profonde da non poter essere curate.

Non era sicura di sapere come accadde: pioveva quel giorno, le lezioni erano finite e Seiko stava girando per i corridoi dell'istituto in cerca dei suoi tre protetti per pranzare insieme e parlare come ormai facevano ogni giorno. Li trovò in giardino sotto la pioggia, mentre la risata di Kazunari le riempiva le orecchie come una dolce canzone, accompagnata dalle grida gioiose di Yukio, Shoichi e Tetsuya.

Erano sporchi di fango dalla testa ai piedi, stesi a terra sotto la pioggia battente, senza alcuna preoccupazione a poterli disturbare.

Seiko non aveva avuto cuore di rimproverarli, richiamandoli solo quando lo scroscio si era fatto più intenso e violento, portandoli tutti e quattro nel bagno più vicino e asciugandoli attentamente, mentre strappava loro la piccola promessa di non scappare più a giocare sotto la pioggia senza avvisare nessuno.

Quando era stato il turno di asciugare Kazunari aveva esitato, attendendo trepidante il permesso di poterlo toccare anche solo con l'asciugamano, avvicinandosi con lentezza solo quando il bambino aveva annuito e abbassato il capo.

Anche attraverso il tessuto ruvido, Seiko poteva sentire il corpo di Kazunari irrigidirsi, tremando ad ogni suo movimento non per freddo -di questo era certa- ma per paura: non le era stato riferito tutto ciò che Kazunari aveva subito, ma era evidente che non ci fossero andati leggeri.

Tetsuya gli strinse la mano quasi inconsciamente, un contatto che a Kazunari non sembrò dispiacere, come non parve infastidito dalla vicinanza di Yukio e Shoichi alle sue spalle: sembrava più rilassato quando li aveva attorno.

«M-Mi dispiace aver morso Uta-san...» e forse quella era la prima volta che sentiva la sua voce.
Seiko si abbassò per guardarlo in volto, sorridendogli come una madre -una nonna- avrebbe fatto col suo bambino:«È stata anche colpa sua, ti ha toccato all'improvviso sapendo che non ti avrebbe fatto piacere, non è così?»

Kazunari aveva abbassato lo sguardo, e Seiko ne aveva approfittato per porgergli una mano. «Tuttavia morderla non è stato carino, sono felice che tu l'abbia capito. Ti va di andare insieme a chiederle scusa?»

Aveva aspettato, e quando il piccolo le aveva afferrato la mano spontaneamente, Seiko l'aveva stretta con dolcezza, convertendo i suoi sentimenti più chiaramente possibile.

Ed in quel momento, ebbe la certezza che il suo gruppo di bambini speciali fosse cresciuto.

Suo nipote Kotaro era semplicemente stato trascinato nel mezzo, l'estate di quello stesso anno, quando sua figlia l'aveva lasciato a lei per le consuete due settimane che passavano assieme.

Solitamente Seiko non andava mai all'istituto quando Kotaro era con lei, ma decise di fare un eccezione soltanto per quella volta, per esaudire il desiderio dei bambini -i suoi bambini- di conoscere il nipote di cui tanto aveva parlato.

Non era difficile per Kotaro fare amicizia, era come un sole allegro e spensierato, capace di trascinare nella sua gioia chiunque lo avvicinasse: questa volta era stato lui ad essere trascinato.

A sorpresa era stato Kazunari -dal carattere spontaneo e sicuro, riemerso dopo anni di paura e dolore- ad approcciarlo per primo, trovandosi in sintonia con Kotaro più di quanto Seiko stessa avesse creduto, inglobando così anche il nipote nel bizzarro gruppo che si era creato all'orfanotrofio.

Di lì a poco erano iniziati i pigiama party: che fosse Kotaro a restare all'istituto o che fosse Seiko ad accordare un'uscita speciale ai quattro bambini -normalmente non sarebbe stato possibile, ma era ormai palese che la donna avesse un occhio di riguardo per quel gruppo in particolare, quindi nessuno provava ad opporsi- per soggiornare a casa sua non aveva importanza, ogni scusa era buona per passare del tempo insieme.

E con Kotaro era arrivato il basket: anche a distanza di anni Seiko non avrebbe mai potuto dimenticare il ruolo che il basket aveva avuto nella riabilitazione dei quattro bambini, e di come questo fosse stato il collante che aveva accresciuto il già forte legame che si era instaurato tra i suoi bambini.

Erano appassionati, si divertivano a guardare gli altissimi giocatori dell'NBA mentre volavano verso il canestro con salti incredibili, mentre dribblavano ed eseguivano tiri da tre punti, e quando a Natale aveva regalato loro il primo pallone, Seiko non esagerava nel confermare che nemmeno la neve sembrava poter fermare i suoi bambini -perché ormai li considerava tali- dall'uscire sul campo a giocare per ore ed ore. Molti vasi dell'istituto avevano incontrato la loro fine nei giorni di pioggia, quando era davvero impossibile per loro uscire di casa a giocare.

Tatsuya era stato l'ultimo ad aggiungersi -sebbene a distanza- al gruppo.

L'amico americano di Kotaro, che era stato suo compagno di giochi durante il soggiorno a Los Angeles, partecipava attivamente a chiamate via computer piuttosto frequenti -controllate da adulti in entrambe le parti- ad orari convenienti sia per loro in Giappone che per Tatsuya e la sua famiglia in America.

Seiko credeva fosse un buon allenamento, e spesso chiedeva al giovane di parlare in inglese, così che anche i suoi bambini potessero impararlo al meglio ed esercitarlo in attuali conversazioni.

Seiko era orgogliosa dei suoi bambini, di come si erano trovati insieme ad affrontare le difficoltà che la vita gli aveva posto davanti; erano cresciuti insieme, e ancora lo avrebbero fatto, un passo alla volta, mano nella mano, e se mai avessero avuto bisogno di un sostegno, lei sarebbe stata al loro fianco pronta a sorreggerli, a curargli le ferite qualora fossero caduti lungo il percorso.

Mentre li osservava giocare in cortile, Seiko non poté che augurarsi che quella pace trovata durasse per sempre.

 


 

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Capitolo 2
*** Separatum et Colligentes ***


N.d.A.- Chaossu! 
Ehm... salve? *fucili che si puntano contro l'autrice* prima di sparare, un secondo!
Lo so che non esistono giustificazioni, ma se vi dico che sono stata impegnata con gli esami dell'università mi credete? Spero che la lunghezza del capitolo compensi il ritardo, e vi prometto che farò del mio meglio per far uscire il prossimo molto prima!
Buona lettura e alla prossima!
Baci


Jeo95/ArhiShay



p.s. per info, la parte in corsivo è il passato, mentre l'altra è il presente.


Enjoy the reading!
 


*w*w*w*w*w*



Per ognuno dei bambini che risiedevano nel complesso dell'orfanotrofio "Skyreach", il giorno dell'adozione era senza ombra di dubbio l'evento più atteso dell'anno -secondo solo al Natale e ai suoi regali.

L'idea di poter avere una famiglia, vivere felici con qualcuno da poter chiamare mamma e papà riempiva di gioia e speranza il cuore dei bambini, che pregavano la sera prima di trovare la coppia perfetta, di essere scelti e sentirsi di nuovo parte di qualcosa.

Seiko aveva visto tanti bambini trovare una nuova casa e continuare felicemente con la loro vita -con alcuno di loro era ancora in contatto, quelli che provavano gratitudine nei suoi confronti per averli accolti e aver dato loro una possibilità- ma ne aveva visti tanti altri trascorrere i loro giorni all'istituto, senza mai trovare la giusta famiglia che potesse dare loro una nuova casa; alcuni avevano scelto di restare e lavorare per lei, altri se ne erano andati per la loro strada giunta la maggior età, e di alcuni non aveva più avuto notizie nel corso degli anni: non era così ingenua da credere che tutti avessero trovato la felicità, ma in cuor suo restava la speranza che per ognuno dei bambini passati alle sue cure vi fosse stato un lieto fine.

Mentre dava il benvenuto con un sorriso ai candidati a genitori nella grande sala d'accoglienza, dando la possibilità ad ogni bambino di presentarsi e chiacchierare con le numerose coppie presenti, lo sguardo di Seiko cercò istintivamente delle figure a lei famigliari, che però sembrava non riuscire a scorgere tra il mare di persone che si affollavano nell'istituto.

Sospirando, la donna non si stupì di non riuscire a trovare quel particolare gruppo di orfani -dopo quattro anni passati con loro ormai riusciva a capirli meglio di chiunque altro- che ad ogni incontro per l'adozione riuscivano sempre a sparire chissà dove: se Tetsuya era difficile da individuare persino quando lo si aveva accanto, gli altr non passavano certo inosservati, e il non riuscire a scorgere né Shoichi -il più alto, il primo a spiccare tra tutti- né a sentire le urla sfrenate di Kazunari -ora pieno di vita e più chiassoso che mai- era alquanto inusuale.

«Tsurugi-kun.» fermò uno dei suoi collaboratori senza staccare lo sguardo dalla folla, prima di concentrarsi sul ragazzo e sullo sguardo perplesso che le stava rivolgendo.«Hai visto per caso Yukio, Shoichi, Kazunari e Tetsuya?»

Tsurugi si guardò un attimo attorno, come aspettandosi di trovarli tra la folla e giocare con gli altri orfani; quando fu chiaro che di loro non vi fosse traccia, lo vide sbiancare come u lenzuolo, mentre si scompigliava i capelli e si lasciava prendere dal panico per la scomparsa dei quattro.

«Come diavolo ci sono riusciti?! Eppure stavolta sono stato attento, non ho lasciato Tetsuya-chan da solo nemmeno per un secondo! Ero sicuro fossero venuti qui insieme agli altri, quelle piccole pesti... quando metterò loro le mani addosso...!»

Seiko scosse il capo sorridendo e congedò il ragazzo, affidandogli il compito di gestire la sala mentre lei si occupava di recuperare le loro "pecorelle smarrite"; sapeva che per questo particolare gruppo di bambini l'adozione era vista come qualcosa di negativo -la sola idea di separarli spezzava il cuore anche a lei- e benché volesse rispettare i loro desideri, sapeva anche che una nuova famiglia era ciò di cui tutti loro avevano bisogno per ricominciare a vivere una vita normale.

Immersa nei suoi pensieri, Seiko si ritrovò a camminare per il corridoio che portava alle classi, seguendo l'istinto e l'intuito che -senza ombra di dubbio- l'avrebbero portata dai bambini mancanti: ne ebbe la conferma quando la figura di Okai le si palesò davanti, rigido ed immobile davanti alla porta di un'aula, fissando con serietà l'interno in cerca delle stesse persone che probabilmente stava cercando anche lei; si sarebbe ucciso prima di ammettere che anche lui si era affezionato a quei ragazzini, in special modo a Tetsuya.

«Assolutamente no!» la voce squillante di Kazunari le arrivò chiara, assieme a quelle di Shoichi e Yukio che davano man forte al fratellino: non poteva sentirlo, ma sicuramente anche Tetsuya si era schierato dalla loro parte.

Vide Ogai sospirare, raggiungere il pacchetto di sigarette che teneva in tasca e fermarsi un attimo, esitante, rilasciandolo senza estrarne nemmeno una e concentrandosi sui bambini: Seiko sapeva che aveva una voglia sfrenata di fumare -i colpetti nervosi delle dita sul braccio, l'impercettibile schioccare della lingua- ma cercava di trattenersi per dare il buon esempio e perché sapeva che se fosse stato visto, non l'avrebbe passata liscia.

«Smettetela di fare i bambini, la vecchia sarà preoccupata a morte.»

«Ma noi siamo bambini, Ossan.» sentì la protesta di Shoichi, ma quello che davvero le premette era l'affermazione precedente di Ogai sulla “vecchia”: non si stava riferendo a lei giusto?

Istintivamente lo raggiunse, colpendolo con quanta forza aveva nelle mani e facendo perdere l'equilibrio a quel degenere di un figlio che fu comunque in grado di mantenere l'equilibrio e non ribaltarsi a terra: tze, peccato.

«Ha chi hai dato della vecchia?! Non ho ancora raggiunto i sessata lo sai?!»

Schioccando la lingua infastidito, Ogai la incenerì con lo sguardo ma non disse nulla, massaggiandosi la parte lesa e borbottando parole sconnesse che Seiko non riuscì a tradurre. Lasciò perdere il figlio e si concentrò sull'interno dell'aula, dove i quattro fuggitivi avevano trovato un rifugio sicuro, prima che il detective arrivasse e rovinasse i loro piani; la donna li guardò con un occhio di rimprovero, sospirando ancora nel notare i visi rattristati dei bambini.

«Non avevamo già discusso sullo sparire durante la giornata delle adozioni? Perché non siete nel salone?»

Shoichi si frappose tra lei e gli altri, dimostrandosi ancora una volta il fratello maggiore di cui avevano bisogno, cariandosi di responsabilità e doveri che Seiko non avrebbe voluto dargli: voleva che si sentissero al sicuro, che potessero contare su di lei per ogni evenienza, non che vivessero sulla difensiva, sempre attenti che qualcuno non li tradisse e voltasse loro le spalle.

«Ma noi siamo andati nel salone con tutti gli altri.» affermò, sistemandosi gli occhiali e sorridendo a Seiko in quel modo particolare che spesso nemmeno lei riusciva ad inquadrare.«Poi alcuni adulti strani si sono avvicinati, volevano parlare da soli con Kazu e lui non voleva. Non si è sentito molto bene e abbiamo deciso di venire qui per calmarlo, non ci stavamo nascondendo!»

Gli altri diedero man forte, sostenendo la versione di Shoichi e promettendo, quando Kazunari si fosse sentito meglio, li avrebbero raggiunti di sicuro nell'atrio: istintivamente Seiko sapeva che se li avesse lasciati soli non sarebbero mai tornati indietro.

Sospirò, grattandosi il collo in difficoltà, improvvisamente vogliosa di fumarsi una sigaretta e ambire ad un po' di pace -aveva smesso anni prima con quel vizio, ma ogni volta che le si presentava una situazione complicata e stressante non poteva fare a meno di sentire la mancanza di una bella fumata- che sapeva non sarebbe arrivata fino a quando non avesse convinto questi quattro bambini che l'adozione non era poi una cosa così terribile da affrontare.

«Non vogliamo essere divisi, Seiko-san.» fu la voce onesta e sincera di Yukio a richiamarla. Lo guardò, e negli occhi blu del bambino lesse solo tanta paura e solitudine, il desiderio di non essere separato da coloro che il suo cuore aveva imparato ad amare: ed improvvisamente, l'adozione ordinaria non le sembrò più la soluzione giusta per loro.«Senza Kotaro e Tatsuya è triste, se fossimo tutti separati sarebbe troppo doloroso.»

«Ci piace qui, vogliamo bene a Seiko-san e agli altri insegnanti.» continuò Kazunari, affiancando Yukio e stringendogli la mano, sorridendo alla donna con tristezza, quasi paura di ricevere una punizione per star parlando ed esprimendo i propri sentimenti -il suo trauma era ancora li, vivo, nessuna famiglia ordinaria avrebbe mai potuto aiutarlo.

Tetsuya si aggrappò alla gamba di Ogai, nascondendosi dietro il detective in cerca di qualcosa -forse protezione, forse sicurezza, forse la certezza che qualcuno potesse vederlo, che non si dimenticasse di lui ancora una volta.«Anche Ogai-san. Vogliamo stare tutti insieme.»

In quel momento, Seiko li guardò uno ad uno per secondi interminabili, cercando nella sua mente e nel suo cuore la soluzione che potesse renderli felici senza però privarli della vita che li aspettava oltre le mura dell'orfanotrofio: perché se da una parte rispettava e capiva il loro desiderio di restare assieme, di crescere come i fratelli che erano diventati, dall'altra sapeva che una famiglia era ciò di cui avevano bisogno per curare le proprie ferite e trovare la strada della felicità che li avrebbe portati verso un futuro radioso. Una famiglia qualunque però non andava bene, e per questo Seiko doveva pensare ad un'alternativa.

«Capisco quello che provate, è normale voler stare insieme, anche noi qui vi vogliamo bene.» sorrise, abbassandosi alla loro altezza e guardandoli uno ad uno. Ogai non proferiva parola, restando fermo a guardare mentre con una mano accarezzava il capo di Tetsuya.«Ma è proprio perché vi vogliamo bene che organizziamo questi incontri, per darvi una casa e una famiglia, così che possiate crescere nel miglior modo possibile.»

Si fece serie, alzandosi e incrociando le braccia sotto il seno, mentre vedeva i volti dei piccoli adombrarsi, prossimi alle lacrime, la prospettiva di separarsi sempre più dolorosamente concreta e spaventosa. Sorrise, incapace di trattenersi.«Sappiate che solitamente non faccio questo genere di cose, ma siccome sembra che voi non vogliate saperne di dividervi, ho una proposta da farvi.»

Sperò soltanto che tutto andasse come previsto.

 

***


Imayoshi Hotaka era passato per le cure di Seiko all'istituto “Skyreach” quando aveva già quindi anni, il giorno in cui i suoi genitori erano stati coinvolti in un incidente e nessuno aveva potuto prendersi cura di lui mentre il padre e la madre erano ricoverati all'ospedale in gravi condizioni.

Hotaka avrebbe solo voluto urlare, scappare da quel luogo e restare in ospedale accanto ai genitori, tornare nella propria casa e prendersi cura di tutto fino a quando anche loro non avrebbero potuto farci ritorno, eppure sembrava che nessuno volesse ascoltare la sua voce: gli adulti facevano sempre come gli pareva, decidevano per lui sicuri di fare la cosa giusta, quando sarebbe invece bastato ascoltare la sua voce per capire che stavano sbagliando, che essere abbandonato in un orfanotrofio fino alla completa guarigione dei suoi genitori -sempre se si fossero mai risvegliati- non era quello che voleva.

Poco importava comunque, poiché Hotaka non era interessato a ciò che gli adulti avevano da dire, preferiva fare quello che gli suggeriva l'istinto, quindi aveva già pronto in mente un piano per scappare la sera stessa in cui l'avrebbero lasciato all'istituto, l'indirizzo dell'ospedale in una mano e qualche spicciolo d'emergenza nell'altro: se gli adulti non volevano ascoltarlo, lui di certo non avrebbe ascoltato loro.

Si era reso conto subito che Seiko era diversa:«Il ragazzo è d'accordo?» era stata la prima domanda che aveva rivolto quando si erano presentati davanti alla sua porta -c'era anche un ragazzino al suo fianco, capelli neri ed occhi azzurri, dallo sguardo gelido come il ghiaccio- i capelli rosso ciliegia scompigliati, una sigaretta alla bocca e nessun trucco a coprirle le imperfezioni del viso. Anche così era comunque una bella donna, che non risparmiava di guardare con dubbio e disgusto i suoi accompagnatori, mentre questi le assicuravano che aveva aderito volontariamente alle loro condizioni.

Hotaka aveva storto il naso ma non aveva ribattuto, sicuro che nemmeno se avesse protestato la direttrice dell'orfanotrofio gli avrebbe creduto: la parola di un ragazzino di quindi anni contro quella di due adulti non valeva niente, era la dura realtà con cui si era scontrato quando la sua vita aveva iniziato ad andare a pezzi.

Seiko l'aveva invitato nella sua casa -solo in un secondo momento aveva scoperto che quella specie di castello non era la struttura dell'orfanotrofio ma la casa in cui la donna risiedeva, e che il ragazzino dallo sguardo raggelante era suo figlio- comunicandogli che per quella sera avrebbe dormito da lei, e che solo in un secondo momento l'avrebbe portato all'orfanotrofio: assegnandogli una stanza si era poi congedata, dicendo che se aveva bisogno di qualcosa Ogai e Chika -i figli della direttrice- lo avrebbero aiutato in qualsiasi momento.

Era stato strano, ma nessuno dei tre abitanti della casa aveva fatto domande, parlando come se Hotaka fosse sempre stato con loro: Ogai che faceva l'irriverente figlio impassibile, Chika l'energica ragazzina che parlava troppo e sorrideva costantemente e Seiko, la madre single che si lamentava costantemente della sua età e di come i figli non le portassero il dovuto rispetto, ma che aveva sempre un occhio di riguardo qualora qualcosa preoccupasse l'uno o l'altro: in poche serate l'avevano trascinato nella loro folle routine, ma Hotaka si sorprese nel constatare che non gli dispiaceva, era una sensazione piacevole sentirsi di nuovo parte di qualcosa, sentirsi a casa, se non avesse avuto genitori in gravi condizioni che avevano bisogno di lui, probabilmente non gli sarebbe dispiaciuto restare.

«E tu dove credi di andare, ragazzino?» la sera della fuga si era premurato di non destare sospetti, comportarsi come al solito e ritirarsi nella propria stanza all'ora consueta, aveva studiato ogni dettaglio per far si che nessuno lo scoprisse, quindi non capiva perché Seiko fosse in piedi appoggiata allo stipite della sua porta, le braccia conserte sotto il seno e gli occhi azzurri che lo scrutavano attentamente: aveva lo zaino in spalla, un paio di scarpe tra le mani e le lenzuola appallottolate per formare una lunga fune, prove molto evidenti della sua colpevolezza.

Hotaka non rispose, distogliendo lo sguardo, non avendo il coraggio di fronteggiare negli occhi la donna che l'aveva accolto e trattato con gentilezza: alla fine tutti gli adulti erano uguali, se anche avesse provato a spiegarle, probabilmente lei non avrebbe capito.

La sentì sospirare, richiamando Ogai e affidandogli il compito di tenerlo d'occhio fino al giorno seguente, quando l'avrebbe portato a “Skyreach” per il suo soggiorno all'orfanotrofio:«Voi ragazzini siete davvero impazienti... e problematici.» e con questa frase se ne era andata, lasciandolo solo assieme ad Ogai, in un pesante silenzio che nessuno dei due sembrava voler rompere.

«Sei un'idiota.» se ne era poi uscito l'altro ragazzo, scatenando in Hotaka la furia ceca di chi ormai non ha più nulla da perdere: non poteva capire, lui aveva ancora la sua famiglia, a posizioni inverse avrebbe probabilmente fatto lo stesso.

«Che ne sai tu di cosa...?!»

«Quello che so.» l'aveva interrotto, fissandolo con quegli occhi gelidi dai quali non riusciva a staccarsi.« È che la vecchia vuole aiutare gli orfani, aiutare quelli come te ad ogni costo. Forse non tutti ti hanno ascoltato, ma stai pur certo che lei lo ha fatto.»

Non aveva capito il significato di quelle parole, non fino al giorno seguente, quando invece che all'orfanotrofio si era ritrovato all'ospedale, accanto ai suoi genitori, con un permesso speciale di restare al loro capezzale quanto desiderasse, ogni giorno che volesse.

Seiko gli aveva poi consegnato una chiave, al che Hotaka l'aveva guardata con confusione: «È la chiave del tuo nuovo appartamento. È a metà tra la scuola e l'ospedale, inoltre è vicino a casa mia, così se avessi bisogno di qualcosa potrai venire da me in qualunque momento. Sarò la tua tutrice e mi occuperò di te fino a quando i tuoi genitori non saranno in grado di farlo di nuovo, è stata la condiziona imposta dai servizi sociali per concederti questa possibilità.» ed era stato più di quanto avesse mai potuto chiedere.

Aveva pianto per ore quel giorno, ringraziando Seiko di cuore e promettendole che un giorno -a qualunque costo- avrebbe ripagato il debito che aveva nei suoi confronti: era rimasto in contatto sin da allora, sia per la gratitudine verso la donna, sia per il legame di profonda amicizia che aveva sviluppato con Ogai e Chika, che anche a chilometri di distanza restava forte come il primo giorno.

Quando quindi aveva ricevuto una chiamata da parte di Seiko, la quale aveva accennato ad un favore importante, Hotaka non aveva esitato a prendere sua moglie e partire alla volta di Tokyo, per incontrare la donna e sentire ciò di cui aveva bisogno.

«Ti trovo bene, Imayoshi-kun.»

«Tutto merito tuo e del tuo aiuto, Seiko-san. È un piacere rivederti.» le sorrise.

Sua moglie avanzò con lui, inchinandosi alla donna in segno di rispetto.«Buongiorno Seiko-san, mi fa piacere trovarla in forma.»

«Anche io sono felice di vederla in forma, Imayoshi-san, spero che vostro figlio stia altrettanto bene.»

«Oh si, cresce splendidamente. A proposito, grazie ancora per il pallone nuovo, lo ha apprezzato davvero molto! E la prego, Emiko è più che sufficiente.»

Seiko sorrise e accennò ad un assenso col capo, tornando poi a puntare il suo sguardo su di lui, seria e composta come se la ricordava quando uno dei suoi orfani era nei guai e aveva un disperato bisogno del suo aiuto.

«So che è piuttosto improvviso, ma volevo chiederti un favore importante, Imayoshi-kun. Ovviamente solo se sarai d'accordo, non è un obbligo, bensì una proposta.»

Hotaka rizzò le orecchie sistemandosi la cravatta senza staccare gli occhi dalla donna.«Che tipo di favore, Seiko-san?»

La direttrice sorrise, spostandosi una ciocca color ciliegia dietro l'orecchio ed incrociando le braccia sotto il seno.

«Saresti interessato ad un adozione?»

 

***


Prima di sposare suo marito ed acquisire così un cognome, Hisako era stata nessuno per molto tempo: maltrattata dalla sua stessa famiglia, picchiata e sfigurata dalle persone che avrebbero dovuto prendersi cura di lei, aveva ripudiato ogni collegamento con esse, e solo quando aveva accettato la proposta di Yuji-kun, aveva acconsentito ad assumere una nuova identità, a tornare ad essere qualcuno. Da quel momento era diventata Takao Hisako, e portava fiera il nome di famiglia come un tesoro prezioso da custodire e proteggere.

Non era stato facile superare i traumi e le paure del passato, le insicurezze dovute allo sfregio che le sfigurava la parte destra del volto, ma grazie all'amore di Yuji-kun e alla dolcezza di Chika-chan -la sua migliore amica- alla fine Hisako aveva potuto vivere una vita normale, senza il costante terrore di imbattersi in persone sconosciute e non essere in grado di muoversi per paura di avere contatti indesiderati, seppur innocenti.

All'epoca la sola idea di un braccio che sfiorava il suo per casualità la metteva a disagio: Seiko e Chika avevano giocato un ruolo fondamentale nella sua riabilitazione, e anche per questo era loro estremamente grata; in un certo senso le avevano insegnato come vivere di nuovo.

Quando la sua migliore amica l'aveva chiamata -era sempre bello sentire l'energia di Chika, non era cambiata per nulla negli anni- raccontandole di uno dei bambini di”Skyreach” con un passato simile al suo, con lo stesso tipo di trauma e che a causa di questo non era in grado di adattarsi a nessuna famiglia, Hisako ne aveva subito parlato al marito, esprimendo il suo desiderio di andare a conoscerlo e -se il bambino avesse voluto concedergli una possibilità- le sarebbe piaciuto accoglierlo in casa come un figlio: Yuji aveva accettato senza indugio, e in pochi giorni si era ritrovati su di un treno diretto che da Yokohama li avrebbe portati a Tokyo, dove Seiko li aspettava trepidante.

Ogai li era andati a prendere alla stazione, ed Hisako era stata felice di constatare che non fosse cambiato poi molto, sempre lo stoico inespressivo della loro giovinezza, ma che aveva il cuore più buono di chiunque altro avesse mai conosciuto.

Aveva abbracciato Seiko una volta arrivata all'orfanotrofio, venendo poi travolta dalla frizzante energia di Chika, anche lei presente per passare due settimane in compagnia della madre come era solita fare -«Da quando Kotaro si è fatto degli amici qui non vede l'ora di tornare! Se prima gli piaceva passare del tempo con la nonna, ora vorrebbe vivere con lei piuttosto che con me e suo padre!»- e Hisako non poteva essere più felice di avere la sua migliore amica accanto in un momento così importante.

«Più tardi vi porterò a conoscere i bambini, prima c'è qualcosa di cui vorrei parlarvi.»

Hisako si strinse a Yuji, temendo che una qualche grave notizia stesse per piombare su di loro come un fulmine a ciel sereno: magari era successo qualcosa al bambino, magari qualcuno di poco esperto era riuscito ad adottarlo prima che potessero arrivare loro, peggiorando ancora di più il suo trauma e rendendo impossibile ogni tipo di speranza per il futuro di quella povera creatura. Al solo pensiero, una morsa le strinse le stomaco, portando in superficie un conato di vomito che riuscì però a trattenere.

Yuji le strinse una mano, cercando di darle forza che però sapeva essere necessaria anche a lui: seppur fosse stata una decisione avventata e improvvisa, entrambi avevano già preso a cuore il bambino ancora prima di conoscerlo, ed il solo pensiero che potesse essergli capitato qualcosa -non essere stati abbastanza veloci, se solo avessero fatto più in fretta- procurava ad entrambi una spiacevole sensazione di tristezza e dolore.

«Non è solo per le similitudini nei vostri casi che ho chiamato te, Hisako, c'è anche un altro... problema, se così possiamo chiamarlo.»

Hisako sussultò appena, ma non osò interrompere: aveva giurato a sé stessa che avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di aiutare quel bambino, così come Yuji, Chika e Seiko avevano fatto anni addietro, anche lei avrebbe ridato la gioia a qualcuno che aveva sofferto per colpa di chi lo aveva messo al mondo.

Al costo ci avrebbe pensato in un secondo momento.

 

***


Kasamatsu Koichi e sua moglie Miyoko erano una coppia felice.

Nella loro confortevole casa a Funabashi, nella prefettura di Chiba, con il loro bambino di quattro anni, i coniugi conducevano una vita semplice ma agiata, contenti e soddisfatti dei loro possedimenti, con l'unica ambizione di crescere il figlio senza mai fargli mancare nulla.

Come coppia non potevano essere più diversi -Miyoko era razionale e posata, perseguiva l'eguaglianza e la giustizia verso chiunque le si presentasse davanti, mentre Koichi era energico e infaticabile, sempre in movimento e alle volte fin troppo rumoroso, capace di travolgere con la sua allegria anche la più seria delle persone- eppure nelle loro differenze avevano trovato l'amore che molte volte restava solo un sogno per molte coppie.

Benché ora vivessero a Funabashi, Miyoko era originaria di Sapporo -si era poi trasferita a Tokyo durante il suo primo anno di liceo, doveva aveva poi trascorso l'intera adolescenza- mentre Koichi era nato e cresciuto a Tokyo, assieme ad un altro bambino che lui stesso aveva additato come suo migliore amico.

Certo, Ogai non era la persona più facile con cui interagire -ogni volta che provava a chiamarlo, il telefono gli veniva sbattuto in faccia prima ancora che potesse parlare- ma gli voleva bene come ad un fratello: erano cresciuti insieme, stessa scuola e stessa classe ogni singolo anno, come uniti da un filo rosso dell'amicizia che voleva legarli assieme per sempre. A Koichi piaceva pensarla così.

Forse era per questa sua romantica convinzione che quando Ogai l'aveva chiamato -era la prima volta che prendeva l'iniziativa, per ognuno dei loro incontri era solitamente Koichi l'organizzatore- chiedendogli di recarsi a Tokyo con Miyoko il prima possibile, non aveva perso un solo secondo.

Una settimana dopo era in viaggio per la capitale giapponese con la moglie ed il figlio, che avrebbero lasciato alle cure dei nonni prima di recarsi a “Skyreach”, per ascoltare la richiesta urgente di cui Ogai aveva parlato al telefono.

Non era stato però l'amico ad accoglierli, bensì Seiko -sua madre- che con sguardo stanco e provato li aveva scortati fino al suo ufficio, mentre spiegava loro il motivo per il quale aveva chiesto ad Ogai di chiamarli con tanta urgenza.

«Avrebbe dovuto accennarvi qualcosa lui, non badateci, è sempre stato un'idiota, con l'età è soltanto peggiorato.» Koichi trattenne a stento una risata.

La schiettezza di Seiko era sempre disarmante.

«Per quale motivo ci voleva qui, Seiko-san? È successo qualcosa con l'ultima donazione?»

Di comune accordo, Koichi e Miyoko era diventati donatori per l'orfanotrofio, impiegando tutti i mesi una cospicua somma di denaro per aiutare l'istituto a mantenersi in piedi e continuare ad accogliere quanti più bambini possibile: sapevano che la famiglia di Seiko poteva sostenere sé stessa e l'orfanotrofio piuttosto bene, ma erano d'accordo che qualche yen in più non avrebbe che potuto giovare alle casse personali di “Skyreach”.

La direttrice scosse il capo, negando che la ragione del loro richiamo fosse legata ad un qualche problema finanziario.«Non c'entrano i soldi, è un favore più personale di così, e molto più importante.»

Koichi alzò un sopracciglio, scambiandosi uno sguardo con la moglie e restando in ascolto di Seiko, pendendo completamente dalle labbra della donna.

«Sarò diretta, girarci a torno non servirà a nulla: sarete interessati ad un'adozione?» di tutte le cose che Koichi avrebbe potuto aspettarsi, questa era di sicuro la più inaspettata.

«Prego?»

Seiko prese un profondo respiro, guidando la coppia per i corridoi che li avrebbero condotti in quello che lui sapeva essere l'ufficio della donna.

«In questi mesi sono capitati all'orfanotrofio alcuni ragazzini... speciali.» cominciò, mentre un sorriso le si apriva in volto. Vedendolo, Koichi capì che chiunque fossero questi nuovi bambini, avevano conquistato il cuore di Seiko più di quanto la donna stessa avrebbe mai voluto ammettere.«Non sono semplicemente loro ad essere speciali, anche le circostanze che li hanno portati qui sono piuttosto particolari.»

Arrivarono davanti alla porta bianca dell'ufficio, in cui Seiko li fece accomodare: con grande sorpresa di entrambi, Koichi e Miyoko scoprirono di non essere i soli convocati, tutte facce note con cui avevano trascorso gran parte della loro adolescenza e che frequentavano, puntualmente, tutt'ora.

Hotaka era seduto a sinistra della scrivania, vicino alla parete contro cui poggiava Ogai, con Emiko accanto che si voltò a guardarli con un cenno del capo in segno di saluto; accanto a lei sedeva una sorridente Hisako, ma se Koichi la conosceva bene come credeva, poteva scorgere l'impazienza dietro la sua felicità, emozione riflessa in maniera simile anche nello sguardo di Yuji, seduto accanto alla moglie che le stringeva la mano come a volerla sostenere. C'era anche Chika nella stanza, seduta dietro la scrivania, accanto alla poltrona nera che probabilmente apparteneva alla madre.

Se prima la richiesta di Seiko era parsa strana, ora i coniugi Kasamatsu avevano la certezza che questi bambini fossero speciali per la donna in un modo che non era mai stato, visto quali persone erano state convocate in quella precisa stanza: persone fidate, che si conoscevano tra loro, sulle quali Seiko sapeva di poter contare.

Invitando Koichi e Miyoko a prendere posto accanto a Yuji, sulle due sedie libere preparate apposta per l'occasione, Seiko si recò al proprio posto dietro il mobile, sedendosi e passando lo sguardo dall'uno all'altro dei suoi ospiti.«Vi ringrazio per essere venuti, non vi avrei mai chiamato se non fosse stato importante.» prendendo un profondo respiro, scambiandosi uno sguardo d'intesa con i figli, la donna continuò.«Credo sia giunto il momento delle spiegazioni, e della proposta che ho in mente di fare ad ognuno di voi.»

Non sapeva da dove derivasse quella sicurezza, eppure Koichi non poteva scacciare la sensazione che qualunque fosse stata la proposta della donna, nessuno avrebbe avuto il cuore di rifiutarla. Sarebbe stata una riunione intensa.

 

***


Tetsuya era seduto nel salone da solo, stringendo tra le mani l'unico oggetto che lo faceva sentire a casa, come se i suoi fratelli fossero ancora lì con lui, e non diretti verso le loro future abitazioni, assieme alle loro nuove famiglie: era piccolo Tetsuya, ma capiva il mondo meglio di qualunque altro bambino.

Dondolava le gambe all'aria, la sedia troppo alta per permettergli di raggiungere il pavimento, aspettando la signora Seiko come gli era stato detto di fare, comportandosi sempre come un bravo bambino: se si fosse comportato bene, magari qualcuno avrebbe voluto anche lui.

Seiko arrivò qualche minuto dopo accompagnata da Ogai, stranamente più rilassato e felice di quanto non fosse di solito: era difficile capire cosa pensasse Ogai, ma Tetsuya era fiero di poter dire che sapeva sempre quello che l'uomo pensasse, nonostante l'espressione di quest'ultimo fosse sempre seria e spaventosa.

Vide la direttrice abbassarsi per guardarlo negli occhi, un sorriso rassicurante ad illuminarle il viso.«Ascoltami bene Tetsuya, un signore si è offerto di adottarti. Normalmente non sarebbe possibile, cerchiamo sempre di favorire le coppie, ma questa persona è una mia affidabile conoscenza, e so che ti tratterà con affetto e gentilezza. Che ne dici?»

Tetsuya sbatté le palpebre, pensoso: una sola persona significava che avrebbe avuto soltanto un papà, nessuno da poter chiamare mamma, diverso da qualsiasi famiglia avesse portato via i suoi fratelli solo qualche ora prima. Annuì, pensando che fino a quando avesse fatto il bravo, non sarebbe mai rimasto solo: o almeno questo era quello che sperava.

Seiko sorrise ancora, alzandosi ed invitando Ogai ad avvicinarsi. Tetsuya li guardava confuso.«Lascia che vi presenti allora: Tetsuya, questo è Ogai, il tuo nuovo papà; Ogai, questo è Tetsuya, da oggi legalmente tuo figlio.»

Solitamente inespressivo e tranquillo, Tetsuya iniziò a piangere di gioia, mentre si lanciava tra la braccia di Ogai e lo ringraziava ininterrottamente, avvolto nel calore famigliare dell'uomo che lo aveva già salvato una volta. Anche Ogai si lasciò andare ad un piccolo sorriso mentre carezzava con dolcezza la schiena di Tetsuya, in un vano tentativo di calmarlo.

Con gli occhi stanchi per le emozioni ed il pianto della giornata, Tetsuya stava per cadere nell'abbraccio di Morfeo quando le parole di Ogai lo raggiunsero, regalandogli altra felicità che non credeva di poter provare.

«Benvenuto in famiglia, Kuroko Tetsuya.» e in quel momento, si addormentò.



...

 

Con la sveglia del cellulare che suonava fastidiosa il suo richiamo, Kuroko allungò un braccio da sotto le coperte, cercando di spegnere l'aggeggio infernale che richiamava insistentemente la sua attenzione. Un raggio di sole dispettoso, insediatosi attraverso le fessure delle persiane, lo colpì in volto, rendendo così vani i suoi tentativi di rigirarsi nel letto e tornare a riposare.

Sbuffando si arrese alla forza universale che voleva si destasse ad ogni costo e con fatica si sedette sul letto, cercando le proprie pantofole così da non aggiungere il freddo del pavimento alla lista dei peggiori modi di svegliarsi mai provati.

Con pigrizia, stiracchiandosi la schiena come un gatto, decise di lasciare il conforto della propria camera e scendere in cucina -non prima di essersi vestito con la divisa che aveva preparato la sera prima- dove era sicuro che lo aspettasse un'abbondante colazione.

Scese stancamente le scale ancora addormentato, maledicendo la lunghezza dei corridoi e delle gradinate che la mattina rendevano arduo raggiungere la sala da pranzo per consumare il pasto più importante della giornata, quello che gli avrebbe dato la carica per intraprendere un nuovo e lungo giorno di scuola.

«Buongiorno, Obaa-san.» salutò, mentre la figura della donna era coperta dal quotidiano che leggeva con interesse, ma che mise da parte per squadrare il giovane con disappunto e rimprovero.

«Sono ancora nella sessantina sai? Non sono così vecchia.»

Tetsuya annuì soltanto, procedendo verso la cucina e lasciando la donna alla sua lettura, mentre il rumore di spadellamenti si faceva sempre più forte man mano che si avvicinava alla stanza. Quando vi fu dentro fu accolto da una figura che gli dava le spalle, vestito di tutto punto in una divisa scolastica diversa dalla propria, con un simpatico grembiule rosa a proteggerla da eventuali schizzi di olio e varie cibarie.

«Buongiorno, Kazu-kun.» salutò, la voce impastata e di un tono troppo basso, ma che Kazunari sentì ugualmente.

Stava fischiettando, ma smise subito per girarsi e salutare Tetsuya con un sorriso.

«Buongiorno Tecc... pff... Ahahahahahahahah! Cosa sono quei capelli?!»

Tetsuya inclinò leggermente il capo, confuso, mentre Kazunari continuava a ridere, con le lacrime agli occhi e tenendosi lo stomaco per la forza con cui lo stava facendo.

«Chiassoso già di prima mattina, Kacchan?»

«Si può sapere che succede?»

Altre due persone entrarono nella cucina, attirate dalle risate improvvise e curiosi di scoprire cosa le avesse scatenate. Tetsuya si girò appena, salutando i due nuovi arrivati con un cenno del capo.

«Buongiorno, Shou-nii, Yukio-nii.» i due più grandi risposero al saluto trattenendo un sorriso alla vista dei capelli scompigliati di Tetsuya.

«Neh neh, guarda un po' qui Tetsu-chan!»

Appena Kuroko si rigirò verso Kazunari. Questi scattò una foto con il cellulare che aveva prontamente preparato, inviandola poi sulla chat di line che condividevano tutti insieme.

«Questa finirà nell'album di Tecchan a mani basse!»

Un secondo avviso di messaggio ricevuto seguì poco dopo, mostrando una seconda foto che ritraeva Kazunari con addosso il grembiule rosa e la frangetta legata sul capo con un pratico elastico. Shoichi sogghignò trionfante all'espressione sconcertata del ragazzo.

«Hisako-san sarà felice di aggiungere questa al tuo album, Kacchan.»

«Sei sleale, Shocchan!»

Yukio e Tetsuya sorrisero alla scena, per poi riportare l'attenzione di tutti sulla cosa più importante in quel momento: la colazione.

«Come mai stai preparando tu, Kazu? Oggi era il turno di Shou se non sbaglio.» puntualizzò Yukio, aiutando a portare i piatti con i pancake appena sfornati nel salone da pranzo.

Kazunari sorrise, spegnendo i fornelli e appendendo al gancio il grembiule.«Beh, sono due settimane che vivo qui ormai, volevo fare qualcosa per celebrare l'inizio della nostra ritrovata convivenza!»

Presero per buone le suo parole e una volta tutti seduti attorno al tavolo si godettero il pasto in compagnia, raccontandosi della scuola, di come procedessero le lezioni ad appena due settimane dall'inizio.

«Allora Yukki, come procede la tua vita da capitano del Kaijou, Yukki?» domandò Shoichi, bevendo il proprio tè caldo.

Yukio sospirò, assaggiando i pancake e complimentandosi con Kazunari per il gusto: una colazione diversa ogni tanto non era affatto male.«I ragazzi degli scorsi anni non sono male, e tra le matricole ce ne sono con del potenziale, tuttavia... c'è qualcuno che mi urta incredibilmente i nervi.» cocluse, bevendo dalla propria tazza mentre una vena nervosa gli pulsava sulla fronte.«E tu? Come va alla Tōō?»

Shoichi sospirò.«Diciamo che ho qualche problema a gestire una matricola svogliata e che si rifiuta di partecipare agli allenamenti, e Wakamatsu sta diventando ingestibile quando si parla di suddetta matricola, una vera faticaccia.»

«Beh, se si parla di faticaccia, alla Shūtoku non è da meno! C'è questo compagno di classe che è anche nella squadra di basket, un vero presuntuoso narcisista!» asserì Kazunari seccato, addentando uno dei pancake accompagnandolo con un bicchiere di latte, per poi gettarsi addosso a Tetsuya con finta disperazione, impedendo a quest'ultimo di finire parte della propria colazione.«Se solo Tecchan fosse nella mia scuola, tutto sarebbe bellissimo!»

«Kazu-kun, mi stai soffocando.» fu la lieve protesta di Kuroko.

«Ahn? Se dovesse mai cambiare idea, sono sicuro che la Kaijou sarebbe la scelta migliore per lui. A quegli esaltati farebbe bene la presenza tranquillizzante di Tetsuya.» aggiunse allora Yukio.

Shoichi non perse l'occasione per aggiungersi alla mischia.«Se mai Tecchan dovesse cambiare idea, la Tōō lo accetterebbe senza alcun problema.»

«EhiEhi! Voi avete potuto godervi la compagnia di Tecchan per ben due anni! Lasciatelo a me ora!»

Nel caos mattutino che era la sua famiglia, Tetsuya sorrideva mentre gli altri discutevano, poiché era consapevole che lo stavano facendo per lui, per risanare almeno in parte la ferita che pulsava ancora aperta su sul petto, a pochi centimetri da un cuore che ormai batteva a rilento: se non fosse stato per loro, probabilmente a quest'ora si sarebbe già fermato.

«Avete finito di fare baccano?» Seiko interruppe le loro discussioni con voce nervosa, indicando l'orologio appeso alla parete che segnava già le 8:30.«Non ho acconsentito ad ospitare dei ritardatari nullafacenti! Muovetevi e andate a scuola, ci rivediamo stasera.»

«Agli ordini Seiko-san!» risposero in coro, sistemando ognuno le proprie stoviglie e dirigendosi poi all'ingresso.

Si cambiarono le scarpe ed uscirono, percorrendo parte del tragitto assieme, prima di separarsi e dirigersi ognuno verso la propria scuola. Mentre camminavano fianco a fianco bisticciavano, ridevano e scherzavano, con Yukio che li rimproverava per il troppo chiasso, Shoichi che sogghignava, Kazunari che rideva sguaiatamente raccontando di scene buffe viste alla televisione la sera prima, e Tetsuya che ascoltava ed osservava come l'ombra che era.

Quando fu separato dai suoi fratelli, Tetsuya estrasse dalla borsa un libro e cominciò a leggerlo -sempre prestando attenzione alla strada attorno a lui- concentrandosi su di esso mentre raggiungeva la propria scuola, beandosi della calma che lo separava dall'ingresso alla Seirin.

«VOGLIO DIVENTARE IL NUMERO UNO DEL GIAPPONE!»

«Bakagami, la prova era ieri, non c'è bisogno di urlarlo ogni giorno, BAKA!»

Ecco appunto.

Sospirò. Un classico inizio di giornata per l'ordinario Kuroko Tetsuya.

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