About a Galway Girl and a perfect night

di Hilarie Winfort
(/viewuser.php?uid=113365)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Jayne Backett era sempre stata una bambina piena di sogni e aspirazioni,
fermamente convinta che la vita le avrebbe donato soddisfazioni e serenità e
aveva continuato a crederlo fino all’adolescenza.
Quando divenne grande, maturò anche l’idea che aveva della propria vita e
cominciò a non curarsi più di essere una ragazza perfetta e di seguire le regole
che le erano state imposte.
Al contrario invece ogni occasione era propizia per andare controcorrente
come quella volta che si era tinta i capelli di un blu elettrico o quando aveva
disobbedito a suo padre uscendo dalla finestra del bagno per recarsi
fuori di casa di nascosto.
All’età di diciassette anni suo padre aveva perso ogni speranza, la sua piccola
Jayne non era più la stessa e avrebbe dovuto fare i conti con quella realtà.
Così quando un giorno le disse che l’avrebbe mandata via di casa, Jayne non
disse niente e non oppose resistenza neanche quando la accompagnò
all’aeroporto.
Certo, non la stava cacciando di casa ma per Jayne era lo stesso.
Qualsivoglia regola rappresentava per lei un’imposizione e una cosa che mai
avrebbe voluto accettare, tantomeno trasferirsi a chissà quanti chilometri di
distanza dalla città in cui era cresciuta.
Una volta giunta all’aeroporto suo padre la strinse in un rapido abbraccio, non
era mai stato tipo da smancerie e a Jayne andava bene così; raccolse la sua
valigia da terra e avanzò senza guardarsi indietro.
Erano ormai passate molte ore quando finalmente l’aereo atterrò con un
piccolo sbalzo quasi impercettibile, facendola sussultare.
Quando uscì dall’aeroporto la pioggia scrosciava lungo i marciapiedi e Jayne si
ritrovò a sbuffare, fissando le minuscole goccioline scendere lungo
la sua mano tesa.
Sarebbe rimasta in quella posizione per un tempo interminabile se una voce
non avesse richiamato la sua attenzione, batté le palpebre come se si stesse
destando da un sogno e si voltò verso quella voce.
“Così ti bagnerai tutta, vieni qui sotto”
Era da anni che Jayne non udiva il suono di quella voce ma la riconobbe
all’istante, apparteneva a Cal Davies nonché migliore amico di suo padre.
Jayne lo conosceva molto bene, Cal l’aveva vista crescere ed era uno di famiglia
infatti quando era piccola passava quasi ogni estate a casa di lui.
“Cal!”, esclamò Jayne correndogli incontro.
Lui la strinse in un abbraccio, facendola mettere sotto l’ombrello per evitare
che si bagnasse ulteriormente.
Salirono in auto e per tutto il tragitto nessuno disse niente, finché Jayne avvistò
la grande tenuta dall’aria così familiare da farla sentire di nuovo bambina.
Non aveva mai dimenticato l’ampio giardino pieno di fiori dai mille colori che la
signora Davies accudiva come fosse un figlio, o il ciliegio sotto il quale aveva
passato così tante giornate a leggere i suoi libri.
Le tornò alla mente una sfilza di ricordi così nitidi da farle stringere il cuore,
ricordando i tempi in cui tutto ancora andava bene ed era perfetto.
Deglutì, percorrendo il piccolo vialetto e seguendo la striscia di ciottoli fino
all’ingresso della casa.
Riusciva quasi a sentire il profumo dei fiori di lavanda con cui Brigit era solita
preparare il tè o il sapore della zuppa che mangiavano spesso a cena.
Jayne aveva passato dei momenti indimenticabili a Galway e adesso si sentiva
come se fosse tornata a quei tempi ma allo stesso tempo si sentiva in qualche
modo inquieta e ansiosa.
“Hai cambiato colore di capelli di nuovo?”, chiese Cal con un sorriso.
Sospirò, stringendo tra le mani una ciocca dei sui capelli lunghi
di un biondo sbiadito.
“Già”, rispose priva di entusiasmo.
Erano anni ormai che tingeva i suoi capelli sempre in modo differente,
cercando di coprire la sua vera tonalità rosso rame che ormai spiccava sotto la
ricrescita rendendo il biondo quasi inesistente.
Sua madre le aveva sempre ripetuto quanto fossero meravigliosi i suoi capelli
rossi ma lei non li aveva mai sopportati.
La porta di casa si aprì all’improvviso rivelando la figura di Brigit, il volto
riempito dal suo solito sorriso raggiante.
“Jayne, quanto tempo!”, esclamò correndo ad abbracciare la ragazza che
subito ricambiò la stretta accennando un sorriso.
Jayne era sempre stata molto affezionata a Brigit, una figura quasi materna che
l’aveva accompagnata in parecchi momenti della sua vita e non solo quando si
recava per le vacanze a Galway.
“Quanto sei cresciuta!”, disse osservandola attentamente.
“Sei una giovane bellissima donna”
Jayne si sentì in imbarazzo, ma accennò ugualmente un sorriso in direzione di
Brigit che continuava a sorridere emozionata.
La donna non era cambiata poi molto: aveva le solite guance leggermente
paffute e gli stessi occhi verdi e sinceri incorniciati dai capelli castani.
Jayne notò che aveva perso parecchi chili e stava decisamente meglio, anche se
era sempre stata una donna attraente.
“Lasciala entrare”, disse Cal ridendo.
La moglie gli lanciò un’occhiataccia e fece strada a Jayne all’interno della casa.
Tutto era esattamente come la ragazza ricordava. Le grandi vetrate che
circondavano il soggiorno, il divano di pelle bianca posizionato di fronte al
caminetto antico, le foto che ritraevano la famiglia Davies nei momenti più
importanti della loro vita, i lampadari pendenti con la luce leggermente soffusa
che rendeva la casa incredibilmente accogliente nonostante
i saloni ampi e spaziosi.
Tutto sembrava immutato, a parte ovviamente le persone che ci abitavano.
“Guarda chi c’è, la piccola Jenny Backett”
Jayne avrebbe riconosciuto quella voce anche a distanza di cento anni, sicura e
penetrante come nessun’altra voce avesse mai udito.
Ace Davies se ne stava di fronte a lei, l’espressione divertita dipinta sul volto e
le braccia distese lungo i fianchi.
Jayne aprì la bocca per parlare e poi la richiuse.
Ace Davies era cambiato talmente tanto che avrebbe faticato a riconoscerlo se
non fosse stato per gli occhi scuri e le piccole lentiggini che costeggiavano il
naso ma che da quella distanza non riusciva a scorgere.
I capelli erano sempre gli stessi, scuri e arruffati sulla fronte e perennemente in
disordine come quando era un bambino che gli donavano quell’aria
strafottente che decisamente gli apparteneva.
Solo che adesso incorniciavano un paio di occhi verdi penetranti, scuri e
tenebrosi anche se un occhio attento avrebbe potuto distinguere le minuscole
venature verde smeraldo identiche a quelle della madre.
Le labbra erano piegate nel suo solito sorriso tagliente e carico di scherno che
l’aveva sempre contraddistinto anche se in quel momento erano piene e
incredibilmente carnose.
Ace Davies era sempre lo stesso: attraente, intrigante, egocentrico, narcisista
ma l’occhio attento di Jayne riusciva a notare tutte quelle piccole differenze
che avevano mutato profondamente il suo aspetto.
Era sempre stato un ragazzino assolutamente affascinante ma Jayne non si
sarebbe aspettata di trovarselo di fronte, così dannatamente affascinante.
Non era preparata a rivederlo dopo tutti quegli anni, gli occhi di lui erano
ancora incredibilmente penetranti e capaci di perforare.
“Mi chiamo Jayne, ricordi?”, disse la ragazza con tono di sfida.
Ace la studiò per un istante, come il cacciatore che osserva la sua preda prima
di stanarla e forse era proprio così che il ragazzo voleva farla sentire.
“Ma per me sei sempre stata la piccola Jenny”, sussurrò lui con un ghigno
volutamente pronunciato stampato in volto.
I ragazzi rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, finché Brigit disse: “Oh,
è vero, era così che ti chiamava sempre Ace!”
“Che cosa dolce, si ricorda ancora”, aggiunse sorridendo ai due ragazzi.
Anche Jayne se lo ricordava bene, come si ricordava il tono di scherno con cui
era solito rivolgersi a lei il ragazzo e quanto gli piacesse infastidirla.
Ace Davies era sempre stato un bambino capriccioso e soprattutto dispettoso,
non amava condividere i suoi giocattoli con gli altri bambini e soprattutto non
aveva mai sopportato la presenza di Jayne e non aveva mai perso occasione
per dimostrarglielo.
“Ciao, ti ricordi di me?”
Alis Davies si avvicinò a Jayne con un sorriso, la figlia dei Davies era cresciuta
parecchio fisicamente nonostante avesse soltanto all’incirca quattordici anni.
Aveva gli stessi capelli castani della madre, ma non scuri come quelli del
fratello ma una sfumatura molto più chiara.
“Ehy, ciao!”, esclamò Jayne e abbracciò la ragazzina.
“Certo che mi ricordo. Sei cresciuta tantissimo Alis”
Brigit continuava a sorridere, felice di riavere Jayne con loro.
“Non c’è bisogno che ti mostri la casa, vero? Te la ricordi ancora, no?”
Jayne annuì con la testa, si ricordava alla perfezione ogni singolo dettaglio di
quelle stanze anche se erano passati anni dall’ultima volta
che era stata dentro quelle mura.
“Tra poco sarà pronta la cena”, aggiunse Brigit.
“Alis perché non mostri la sua camera a Jayne?”
Jayne raccolse nuovamente la valigia che aveva appoggiato sul pavimento e si
preparò a salire le scale.
“Aspetta Alis, la accompagno io”
La voce di Ace la colpì come un pugno nello stomaco, mentre il ragazzo le
sfiorava la mano per toglierle la presa sulla valigia.
“La valigia è pesante”, aggiunse lui con un sorriso angelico in direzione della
madre che sembrava piuttosto sorpresa.
“Come sei gentile, caro”
Ace sfoderò nuovamente un sorriso perfetto, prima di dirigersi al piano
superiore seguito da Jayne.
Era l’ultima persona che la ragazza avrebbe voluto seguire, ma non voleva
creare problemi all’interno della casa quindi camminò dietro di lui in silenzio.
Continuarono a camminare per un po’ senza dire nulla e Jayne ne fu sollevata,
dopotutto erano cresciuti ed era sicura che Ace non fosse ancora lo stesso
bambino dispettoso che era un tempo.
All’improvviso Ace si fermò, davanti alla piccola stanza degli ospiti in cui era
solita soggiornare Jayne quando era piccola e fece segno
alla ragazza di entrare.
“Te la ricordi questa stanza, piccola Jenny?”, mormorò lui sghignazzando
mentre la ragazza posava la valigia sul letto.
Lei si voltò verso Ace per fronteggiarlo, lui ricordava esattamente quanto lei
odiasse quel nomignolo che le aveva affibbiato.
“Sono Jayne, chiaro?”, disse lei con un tono di voce meno deciso
di quanto avrebbe voluto.
Ace posò lo sguardo su di lei, fissandola attentamente negli occhi come
qualche attimo prima e gustandosi gli occhi incerti della ragazza.
Ace Davies aveva sempre amato giocare con Jayne e non avrebbe rinunciato
per nessun motivo al mondo.
“Non sono più la piccola Jenny”, aggiunse lei sperando di riuscire a sostenere lo
sguardo deciso di lui.
Quest’ultimo scoppiò in una risata fragorosa, che Jayne trovò tremendamente
fastidiosa e puntò gli occhi scuri su di lei.
La squadrò da capo a piedi, percorrendo ogni centimetro del corpo della
ragazza e poi risalendo al viso dove indugiò per qualche secondo.
“A me sembri sempre la stessa”
Jayne deglutì a fatica, incapace di sostenere quegli occhi così magnetici.
“Nonostante i tuoi patetici tentativi di nasconderti dietro dei capelli biondi
stinti, sarai sempre la solita piccola Jenny”
Il ragazzo scandì bene le ultime parole, per essere sicuro di colpire nel segno.
Jayne indietreggiò fino a sfiorare il letto dietro di lei in attesa di trovare il
coraggio per ribattere e per fronteggiare Ace.
“Farai meglio a sbrigarti, la cena è pronta”
Lui sfoderò di nuovo quel sorriso angelico, finto e forzato che avrebbe potuto
funzionare solo con Brigit e poi uscì dalla stanza a grandi passi.
Jayne rimase un attimo immobile, seduta sul letto cercando di trovare il
coraggio per scendere al piano di sotto.
Il suo soggiorno a Galway era appena iniziato, così come il suo inferno
personale che aveva i capelli scuri e gli occhi penetranti e portava il nome di
Ace Davies.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Jayne si trovava a Galway da quasi una settimana e si sentiva sempre di più come quando aveva otto anni, le cose sembravano rimaste esattamente com’erano una volta.
Ace continuava a punzecchiarla ogni volta che ne aveva occasione e lei continuava a ignorarlo, con l’unica differenza che non scappava in camera sua in lacrime come avrebbe fatto in passato.
Almeno quella era una consolazione.
La mattina si svegliava e faceva colazione con la famiglia, prima che Cal andasse a lavoro (possedeva un pub tradizionale nella piazza Eyre Square) e Brigit iniziasse a preparare la sua colazione abbondante per lei.
Nonostante Jayne ripetesse spesso di non avere molto appetito al mattino, lei cucinava di tutto e di più per farla sentire serena e questo la ragazza lo apprezzava moltissimo quindi si sforzava di ingurgitare tutto.
Alis andava a scuola e Jayne rimaneva da sola con Ace e Brigit ed era grata che ci fosse anche la signora Davies in casa così il ragazzo non l’avrebbe tormentata più di tanto.
“Quando glielo dirai che non vuoi mangiare quella roba?”, disse Ace in tono tagliente osservando Jayne che mangiava a fatica le sue frittelle.
La ragazza non alzò lo sguardo, né diede l’impressione di aver sentito le parole del ragazzo così lui continuò: “Credevo che dopo tutti questi anni avessi un po’ di fegato, ma a quanto pare mi sbagliavo”
Jayne non sopportava il modo in cui lui le parlava e odiava come fingeva di fronte ai suoi genitori, come sembrava sempre adorabile ai loro occhi.
Avrebbe voluto che lui si mostrasse per il cafone che era e smettesse di fare finta di essere sempre così accondiscendente.
Brigit tornò in cucina con un gran sorriso in volto e si avvicinò a Jayne che colse l’occasione per smettere di fingere di masticare.
“Tesoro, Ace lavora nel pub del padre di tanto in tanto e questa sera è di turno”
Jayne sollevò gli occhi dal piatto, timorosa di sentire il seguito della frase di Brigit.
“Che ne dici di andare con lui? Magari ti fa conoscere qualche amico”
Ace si stampò in faccia il solito sorriso fintamente cordiale e si voltò in direzione di Jayne. “Mi sembra un’ottima idea”
Jayne avrebbe voluto obiettare, ma non ne era capace come in tutte le altre occasioni che le si erano presentate.
Nonostante amasse andare controcorrente, negli ultimi anni si era chiusa totalmente in se stessa e la sua volontà era diventata quasi inesistente.
Anche se non voleva fare qualcosa alla fine acconsentiva sempre, tranne con suo padre che era l’unica persona che riusciva a fronteggiare qualche volta.
Nonostante suo padre la definisse una ribelle la ragazza non lo era affatto, quelli che lui definiva dei comportamenti inaccettabili non erano altro che i tentativi di Jayne di farsi valere e ogni tanto ci riusciva.
Certo, la preoccupazione di suo padre per lei non era immotivata visto che nell’ultimo periodo non usciva di casa praticamente quasi mai e la sua vita sociale era inesistente o quasi, quindi Jayne non riusciva a biasimare suo padre per averla mandata a Galway anche se ancora non lo accettava.
“E’ l’unico posto in cui io ti abbia vista felice”, le aveva detto suo padre con un sorriso stanco e Jayne aveva annuito prima di recarsi a preparare le valigie.
“Allora, che ne pensi?”, la voce di Brigit la fece tornare alla realtà.
Jayne ignorò lo sguardo fisso di Ace su di lei e si rivolse alla donna che le stava davanti, con un sorriso appena accennato.
“D’accordo”, disse in un sussurro. “Tanto volevo fare un salto al porto”
Brigit sorrise entusiasta, iniziando a sparecchiare la tavola e Jayne si alzò per aiutarla a riordinare.
“Come sei gentile, cara”
Jayne sorrise a Brigit e continuò con la sua opera ignorando la lunga occhiata che le rivolse Ace.
Se ne stava seduto sulla sedia con le gambe distese distrattamente davanti a lui e il suo solito ghigno stampato in volto.
Jayne decise di ignorare anche i suoi occhi perennemente luminosi e incredibilmente penetranti, concentrandosi sulle faccende domestiche.
“Sai, credo proprio che ci divertiremo”, disse lui e Jayne si chiese se avesse notato soltanto lei il pizzico di sarcasmo intriso nella sua voce.
La ragazza non rispose, si limitò ad accennare un sorriso poco convinto e poi continuò a riporre le tazze nel lavello della cucina.
Una volta finito tornò nella sua camera da letto e aprì la valigia voluminosa che aveva riposto sotto il letto la sera precedente, svogliata prese a tirare fuori tutti i vestiti e a riporli con ordine nella cassettiera che sosteneva il televisore.
Dopodiché fu il turno del borsone, dove aveva riposto tutti i libri che avrebbe voluto leggere e altri oggetti che pensava le sarebbero serviti.
Decise di prendere in mano la guida turistica di Galway che suo padre le aveva acquistato, sosteneva che fosse indispensabile per Jayne.
Lei invece credeva fosse una perdita di tempo, considerando che aveva visitato la città molte volte quando era una bambina.
Alla fine decise comunque di dargli un’occhiata, scese al piano di sotto e percorse il lungo corridoio fino all’uscita posteriore della casa.
La veranda era il suo posto preferito della Villa, c’erano una pace e una quiete indescrivibili ed era un luogo ideale per dedicarsi alla lettura.
Jayne si sedette sulla panchina rivestita di velluto e cominciò a leggere la guida su Galway, incredibilmente trovò le prime righe assolutamente interessanti e proseguì con la lettura.
Rimase piacevolmente sorpresa, c’erano un sacco di posti che avrebbe voluto visitare e Galway era ancora tutta da esplorare nonostante ci fosse stata parecchie volte.
Come prima cosa però Jayne voleva visitare il porto, che era di gran lunga il suo luogo preferito fin dalla prima volta che era arrivata in città.
La ragazza si ritrovò a sorridere. Forse era stata una buona idea quella di suo padre di o mandarla così lontano da casa, Jayne era praticamente appena arrivata e già sentiva che avrebbe potuto ricominciare.
Trascorse la giornata immersa in quel libro e prese a sottolineare con un evidenziatore tutti i luoghi che avrebbe voluto visitare nei giorni seguenti, poi tornò al piano di sopra e preparò la borsa per la serata riempendola delle cose indispensabili che portava sempre con sé.
Decise anche di riporvi la guida della città, così se si fosse annoiata avrebbe avuto qualcosa da fare per passare il tempo.
Non vedeva l’ora di buttarsi sotto l’acqua calda della doccia e rimase entusiasta quando constatò che c’era anche una vasca, così entrò in quella e si lasciò rilassare dal tocco dell’acqua sulla pelle.
Si rilassò talmente tanto che dopo qualche minuto le palpebre di Jayne si stavano chiudendo, lei si tirò su a sedere e sbatté gli occhi varie volte.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Non poteva permettersi di dormire visto che sarebbe dovuta andare al pub con Ace, cosa di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Si vestì in fretta: indossò un paio di pantaloni scuri con una camicetta celeste, il suo colore preferito.
Non sapeva che clima aspettarsi, il giorno precedente pioveva ma ad Aprile a Galway il tempo era imprevedibile.
Quando uscirono di casa, infatti, Jayne rimase sorpresa nel constatare che non faceva affatto freddo.
Anzi, si rese subito conto che la giacca era superflua così decise di lasciarla in macchina prima di scendere insieme ad Ace in Eyre Square.
La piazza era esattamente come la ricordava, con l’enorme fontana al centro e un sacco di persone che facevano avanti e indietro.
Ma la cosa più strana è che non era una semplice piazza di passaggio, Eyre Square era il cuore vibrante della piccola città con gruppi di persone che si ritrovavano per chiacchierare e passare il tempo.
Il pub della famiglia Davies era proprio nella piazza ed era uno dei più famosi della città.
Non lo possedevano da molto tempo. Quando Jayne era piccola Cal Davies si occupava di finanza a Dublino e la casa di Galway era soltanto un ritrovo estivo.
Col tempo, invece, si erano innamorati di quella piccola città e la famiglia Davies aveva deciso di investire in un pub tradizionale irlandese e ci avevano visto giusto perché gli affari andavano a gonfie vele.
“Non siamo in Alaska”, disse Ace ridendo dell’abbigliamento di Jayne.
La ragazza aveva una camicetta a maniche lunghe, mentre il ragazzo indossava una t-shirt a mezze maniche scura che faceva pendant con i capelli.
Jayne sollevò gli occhi al cielo, infastidita dal comportamento del ragazzo che non perdeva certo occasione per schernirla.
“Non sapevo cosa aspettarmi dalla serata, Brigit ha detto che il clima può variare qui”, si giustificò lei stringendosi nelle spalle.
Ace non disse nulla, si limitò a farle strada fino al locale e Jayne fu grata del silenzio che si era creato.
Quando entrarono Jayne rimase a bocca aperta: il locale era molto più spazioso di quanto ricordasse e l’arredamento era fenomenale.
Era un locale in perfetto stile irlandese: i tavoli e le sedie in legno chiaro donavano un’atmosfera antica e suggestiva, i lampadari che pendevano dal soffitto con le luci soffuse rendevano l’ambiente confortevole e c’erano numerose cornici che contenevano fotografie dei luoghi più importanti di Galway.
Jayne rimase estasiata per un dipinto ad olio che ritraeva il Lynch Castle, era assolutamente meraviglioso e occupava quasi interamente una delle tanti parete tinte di verde.
Il locale era assolutamente favoloso, un mix tra antico e moderno fusi perfettamente a creare un ambiente adatto a qualsiasi tipo di clientela.
Anche i cibi avevano la stessa intenzione, infatti c’erano i cibi più tradizionali ma anche pizza e altri sapori provenienti da tutto il mondo.
Jayne era ancora a bocca aperta, quando Cal sgattaiolò fuori dal bancone per andarle incontro con un sorriso. “Benvenuta!”
La ragazza ricambiò il sorriso, mentre osservava Ace che prendeva il posto del padre dietro il bancone del bar e cominciava a lavorare.
“Questo posto è incredibile!”, esclamò Jayne sinceramente colpita. “L’arredamento è antico e tradizionale, ma anche moderno ed elegante. Come ci sei riuscito?”
Cal continuò a sorridere, poi indicò un punto dietro di lui e Jayne si rese conto che stava indicando Ace.
“Ace ha apportato queste modifiche”, disse pieno d’orgoglio. “Continuava a ripetermi che era tutto troppo antiquato e aveva ragione, così è perfetto!”
Jayne rimase senza parole, incredula che un ragazzo così irritante potesse al contempo avere così tanta inventiva.
“Sai, Galway è una città universitaria e la maggior parte dei clienti sono ragazzi”, continuò Cal. “Se non si contano i negozianti e i turisti. Abbiamo accontentato tutti”
Jayne sorrise, ancora incredula che Ace avesse rimodernato il locale in modo così eccellente.
“Avete fatto un ottimo lavoro”
Cal le rivolse un sorriso carico d’affetto, poi le fece segno di accomodarsi al bancone dell’angolo bar.
“Vuoi qualcosa da bere? C’è un favoloso Bulmers con estratto di mela!”
Jayne non amava l’alcol e non ne aveva quasi mai bevuto a parte quella volta che le sue amiche avevano preso delle birre e l’avevano praticamente costretta a berne una.
“E’ alcolico?”, chiese in un sussurro per non farsi sentire dai numerosi ragazzi seduti davanti al bancone.
Cal le rivolse un’occhiata comprensiva, prima di dire: “Non molto, ma se preferisci posso prepararti un caffè con un po’ di panna montata sopra”
Jayne gli sorrise, grata che Cal capisse e annuì con la testa.
“Ricordo che era praticamente l’unica cosa che bevevi quando eri qui”, disse Cal con una risata.
Jayne si sistemò meglio sullo sgabello e attese che il suo caffè arrivasse, ignorando lo sguardo di Ace che sembrava perforarla.
Qualche minuto dopo Cal poggiò sul bancone un grande bicchiere strabordante di panna, strizzando l’occhio a Jayne. “Ho evitato di versarci il whiskey”
La ragazza arrossì lievemente, sentendo gli occhi dei presenti su di lei e si rese conto che doveva sembrare una specie di aliena ai loro occhi.
“Grazie”, mormorò rivolgendo a Cal un sorriso sincero.
Trascinò il bicchiere verso di lei e con un cucchino prese a ingurgitare tutta la panna che c’era sul bordo, adorava la panna fresca.
Il resto della panna lo fece scivolare nel caffè, mescolando il tutto finché non si formò una crema omogenea.
“Che stai facendo?”, la voce di Ace la costrinse a sollevare gli occhi dal bicchiere.
Jayne lo fissava senza capire, tutto quello che faceva sembrava irritarlo senza una ragione ben precisa e questa cosa le dava sui nervi.
“Quel caffè è fatto volutamente in modo che non si mescoli alla panna, e tu hai fatto esattamente questo”
La ragazza sostenne lo sguardo di Ace, si chiese come un ragazzo così incredibilmente bello potesse essere anche così irrimediabilmente insopportabile.
“Quindi?”, mormorò lei con aria di sfida. “Credo che l’Irlanda sia un paese libero, o qui avete regole diverse che impongono di bere il caffè come decidete voi?”
Il ragazzo sembrò sorpreso dal tentativo di lei di fronteggiarlo e chinò la testa da un lato, come se la stesse studiando.
Jayne si sentì completamente in soggezione sotto lo sguardo fisso di lui, non l’aveva mai guardata negli occhi così a lungo e si chiese perché avesse deciso di cominciare proprio in quel momento.
“Allora, avevo ragione? E’ ancora il tuo preferito?”
Fortunatamente Cal si rivolse a Jayne spezzando quel momento interminabile di imbarazzo che si era creato.
La ragazza annuì con la testa e sorrise all’uomo, poi decise di prendere posto in uno dei tanti tavoli del locale per stare più comoda.
Tirò fuori dalla borsa la guida di Galway e fu grata di averla portata con sé perché cominciava ad annoiarsi a morte, non era mai stata una ragazza festaiola e non si trovava particolarmente a suo agio in mezzo a tanta gente.
La musica che riempiva la stanza le toglieva un po’ di concentrazione ma riuscì comunque a gustarsi il suo libro, si rese conto che avrebbe voluto ardentemente una tazza di cioccolata calda come quella che era solita preparare sua madre.
Sospirò, cercando di scacciare dalla mente i brutti ricordi che puntualmente si facevano strada nella sua mente e le rendevano impossibile stare tranquilla.
Non era il momento giusto per farsi venire un attacco d’ansia, quindi cercò di respirare profondamente e di concentrarsi sulla lettura del libro.
C’erano un sacco di altri luoghi che avrebbe voluto visitare, compreso il museo e decise che ci sarebbe andata al più presto.
All’improvviso sentii una sedia strisciare accanto a lei, costringendola ad alzare lo sguardo dal libro.
Ace era seduto sulla sedia accanto alla sua, con lo schienale girato al contrario tipico dei film americani.
Jayne inarcò un sopracciglio, che cosa voleva?
“Ti sei resa conto di quanti adolescenti ci sono in questo posto?”, disse Ace con voce incredula.
La ragazza continuò a fissarlo senza sapere cosa dire, se ne stava lì davanti a lei con quell’aria di superiorità e aveva messo la sedia al contrario come a mostrarsi sicuro di sé ma non ci riusciva tanto bene.
Almeno non con Jayne.
“Con tutte le persone che ci sono, ti sei messa a leggere?”
Stava scuotendo la testa come se non riuscisse a capire il comportamento di lei, come se non lo accettasse addirittura.
“Non capisco quale sia il problema, è una guida della città”
Ace sospirò, poi in un attimo si avvicinò a Jayne e le strappò il libro dalle mani.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


“Che stai facendo?”, disse Jayne visibilmente incredula mentre osservava il ragazzo nascondere il libro dietro la schiena.
“Ti costringo a socializzare, ti vesti e ti comporti come se avessi ottant’anni”, rispose lui senza neanche cercare di mascherare l’espressione divertita sul suo volto.
Jayne aprì la bocca per parlare, poi la richiuse senza riuscire nemmeno a pensare a cosa dire.
“Risparmia il fiato per farti degli amici”
Detto questo si alzò dalla sedia e tornò al suo lavoro, lasciando Jayne inebetita al suo tavolo.
La ragazza si strinse la borsa al petto, non era mai stata brava a socializzare e non aveva nessuna intenzione di affinare la sua tecnica proprio in quel momento.
C’erano un sacco di cose che avrebbe voluto dire ad Ace, ma nessuna avrebbe mai reso il concetto di quanto fosse arrabbiata.
Come si permetteva di decidere per lei?
Forse era vero, Jayne si comportava come se non avesse diciassette anni ma non le importava.
Voleva solo tornare a leggere il suo libro in pace, magari davanti a un caminetto come faceva sempre quando era piccola.
“Sempre il solito Ace”
Jayne spostò la testa in direzione della voce, trovandosi davanti una ragazza con dei lunghi capelli castani che superavano la schiena e un paio di occhi grandi e azzurri su un volto leggermente squadrato.
“Tu lo conosci?”, rispose Jayne sentendosi molto stupida visto che era ovvio che lo conoscesse da come aveva parlato.
La ragazza annuì, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Indossava una canottiera striminzita che lasciava in bella mostra le forme prosperose del suo corpo e dei pantaloncini di jeans, era bellissima.
“Ho lavorato qui per un po’ l’anno scorso”, rispose lei sbattendo gli occhi da cerbiatta. “Frequento l’università e di tanto in tanto faccio qualche lavoretto”
Jayne le sorrise, mentre la ragazza prendeva posto accanto a lei.
“E tu? Ti ha tolto il libro che stavi leggendo. Perché?”
Non sapeva da dove cominciare, così decise di rispondere con calma alla domanda.
“Non ho idea del perché mi abbia tolto il libro di mano”, le sfuggì una risata isterica mentre ripensava alla scena. “Credo sia perché vuole che io socializzi, ma non è affare suo la mia vita sociale”
La ragazza ascoltava in silenzio, sembrava davvero interessata al discorso di Jayne così lei proseguì.
“Lo conosco da sempre”, mormorò deglutendo. “Quando ero piccola venivo in vacanza qui praticamente ogni estate. E anche adesso, sto da Cal per un po’”
Vide la ragazza sorridere e sorrise anche lei.
“Che fortuna”, disse in tono sarcastico facendo scoppiare a ridere Jayne.
Forse sarebbero andate d’accordo, la ragazza sembrava spiritosa e cordiale e a un certo punto si presentò.
“Io sono Fiona”
Jayne le sorrise, poi vide Fiona lanciare un’occhiata impercettibile ad Ace e si chiese che rapporto ci fosse tra di loro.
Alla fine decise che non erano fatti suoi e distolse lo sguardo.
“Ci sta guardando”, disse Fiona con una risata.
Jayne seguì il suo sguardo e vide Ace con gli occhi puntati su di loro, si mise a ridere anche lei anche se non capiva perché.
L’allegria di Fiona contagiava anche lei.
“Io dico che non è giusto che stia qui a tenerci d’occhio”, disse ad un tratto alzandosi dalla sedia. “Credo proprio che andrò a farmi un giro e tu?”
Jayne la guardava confusa, dove voleva andare a quell’ora di sera?
Ace continuava a guardarle e la cosa infastidiva anche lei, così si alzò senza pensarci due volte. “Andiamo”
Uscirono dal locale senza lanciare neanche un’occhiata in direzione di Ace, l’aria fredda la colpì come uno schiaffo.
La temperatura era cambiata totalmente in quelle poche ore e la piazza che prima era gremita di gente, adesso contava solo qualche passante.
“Dove vuoi andare?”, le chiese cogliendola alla sprovvista.
Ci pensò su un secondo, poi senza quasi rendersene conto mormorò: “Al porto”
Fiona acconsentì e cominciarono a camminare, Jayne seguiva la ragazza sperando che almeno lei sapesse dove stessero andando.
Dopo qualche minuto di camminata, udirono una voce che le fece sussultare e Jayne era quasi sicura di aver sentito il nome di Fiona.
Accelerarono il passo, finché una figura non comparve davanti a loro facendo sobbalzare Jayne che si appiattì contro il muro che costeggiava la stradina stretta.
“Bram, mi hai fatto prendere un colpo!”, esclamò Fiona con un sospiro di sollievo.
La figura si avvicinò a loro, finalmente era esposto alla luce e Jayne si rese conto che era soltanto un ragazzo.
Aveva i capelli biondi che gli toccavano quasi le spalle, due zigomi sporgenti e un sorriso sincero illuminato dagli occhi azzurri incredibilmente simili a quelli di Fiona.
“E’ mio fratello Bram”, disse lei scuotendo la testa. “Si diverte a comparire dal nulla”
Jayne sorrise, grata che fosse il fratello di Fiona e non un maniaco psicopatico.
“Lei è...”, solo in quel momento parve accorgersi di non sapere il nome di Jayne.
“Jayne”, mormorò la ragazza al suo posto in direzione di Bram.
Quest’ultimo le rivolse un ampio sorriso incatenando i suoi occhi in quelli di lei, poi disse: “Che ci fate qui?”
Fiona rispose per prima, scrollando le spalle.
“Stavamo andando al porto”
Bram sembrava perplesso. “A quest’ora?”
Fiona annuì con la testa, poi si rivolse a Jayne. “E’ stata un’idea sua”
Jayne si rese conto solo in quel momento di quanto fosse stata irresponsabile ad andarsene dal locale senza avvertire nessuno e inoltre non conosceva affatto Fiona e si era fidata subito di lei.
“Sì, ma credo sia meglio tornare indietro. Si sta facendo tardi”
Fiona non sembrava d’accordo, puntò i grandi occhi su Jayne. “E gliela dai vinta così?”
Jayne sorrise, non le importava di cosa Ace pensasse di lei e poi gli aveva già dato una lezione scomparendo dal pub.
“Direi che per stasera ho esaurito la mia dose di ribellione”
Si incamminarono di nuovo verso il pub e Bram si offrì di accompagnarle, Jayne si sentì più sicura visto che le strade erano ormai deserte.
“E tu che ci facevi lì?”, chiese Fiona al fratello.
“Stavo andando al pub”, disse lui come se fosse una cosa ovvia. “Dovevamo incontrarci lì”
Continuarono a camminare ancora per qualche minuto, poi finalmente avvistarono le luci delle insegne del locale.
Jayne sospirò di sollievo, non era solita comportarsi in modo così avventato anche se alla fine era uscita solo con Fiona e suo fratello.
Decise di ignorare la voce nella sua testa che le ricordava di averli appena conosciuti e rientrò nel locale.
Si aspettò di trovare Ace al bancone e non vedeva l’ora di gustarsi il suo sguardo ma si accorse che non c’era.
Cal era nel pieno del lavoro e sembrava non essersi accorto di loro e forse neanche che se ne fosse andata.
“Dov’è Ace?”, gli chiese guardandosi intorno.
Cal si strinse nelle spalle. “Ha detto che andava a fare un giro”
Detto questo si rimise a spillare le birre, il pub in quel momento era pieno di persone e Jayne si chiese come riuscisse a gestire tutto.
Doveva trovare Ace e riportarlo al locale.
Si diresse verso l’uscita del locale e Fiona e Bram la intercettarono per chiederle dove stesse andando, alla fine decisero di andare con lei.
“Dove pensi sia andato?”, chiese Fiona.
“Non ne ho idea”, rispose lei una volta usciti dal frastuono del locale.
Jayne si chiese dove fosse andato, camminarono nella stessa direzione di qualche minuto prima e all’improvviso scorsero una testa dai capelli scuri.
Era sicuramente Ace.
Infatti il ragazzo si fece più vicino, rivelando un paio di occhi verde intenso che potevano appartenere solo a lui.
“Tuo padre ti cerc...”, le parole morirono nella gola di Jayne quando vide l’espressione dipinta sul volto di Ace.
Non l’aveva mai visto con quegli occhi fiammeggianti, il ragazzo respirava profondamente come se cercasse di controllarsi.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Ace spostò lo sguardo da Jayne a Fiona e a Bram e poi di nuovo su Jayne, sembrava furioso.
“Dove siete stati?”, chiese con la voce ridotta ad un sussurro.
Fiona sorrise. “Non credo siano affari tuoi”
Ace le rivolse uno sguardo talmente carico di rabbia che Jayne si chiese come riuscisse Fiona a fronteggiarlo in quel modo.
Bram non disse niente, sembrava intimorito da Ace e Jayne non riusciva a dargli torto.
“Dai Fiona, torniamo a casa. E’ tardi”, disse Bram rivolto alla sorella.
Fiona rimase a fissare Ace a braccia conserte, non avrebbe ceduto per nessun motivo al mondo.
“Ascolta tuo fratello”, intimò Ace con gli occhi rivolti a due fessure.
La ragazza non sembrava per nulla intimorita da lui, spostò lo sguardo su Jayne e poi disse: “Io me ne vado dentro. Jayne, mi trovi al tavolo se ti servo”
Scomparì nel locale insieme a Bram e Jayne si sentì improvvisamene indifesa sotto gli occhi di Ace.
“Te lo richiedo”, mormorò lui senza neanche guardarla. “Dove sei stata?”
Jayne si accorse che sembrava faticasse a incrociare il suo sguardo, probabilmente era troppo arrabbiato per farlo.
“Sono andata a fare un giro con Fiona”, balbettò lei deglutendo.
Non doveva dargli alcuna spiegazione, eppure si sentiva come se dovesse convincerlo di qualcosa.
Lui rimase impassibile. “Sei andata con una ragazza che nemmeno conosci”
“E un ragazzo che poteva avere delle cattive intenzioni!”, sbottò avvicinandosi pericolosamente a lei.
Jayne indietreggiò, finché sentì la pietra fredda del muretto contro la schiena.
“Sono andata con Fiona e poi abbiamo incontrato Bram”
Ace sembrava incredulo, continuava a tenere gli occhi puntati sul pavimento e la mascella contratta.
“Cosa ti dice il cervello?”, chiese in un sussurro. “Ti ho cercata dappertutto, persino al porto”
Jayne rimase sorpresa, trovò il coraggio di sollevare gli occhi e di incrociare quelli di Ace.
“Al porto? Perché pensavi che fossi lì?”
Lui continuò a fissarla e Jayne riusciva a percepire il suo respiro caldo, anche se Ace la sovrastava quasi completamente.
Era decisamente più alto di lei e la ragazza si sentiva impotente sotto di lui.
“Era il tuo posto preferito”, sussurrò lui spiazzandola completamente. “Quando eravamo bambini andavi sempre lì quando...”
Si interruppe, come se non volesse far rivivere a Jayne quei ricordi ancora terribilmente dolorosi.
“Te lo ricordi?”, chiese lei con un filo di voce.
Ace ignorò la domanda, si limitò a tenere lo sguardo puntato su Jayne e sembrava ancora tremendamente in collera.
“Se Cal si fosse accorto che eri sparita? Vuoi giocare alla ragazzina ribelle anche qui?”
Jayne deglutì, non sopportava proprio il modo in cui il ragazzo si rivolgeva a lei, come se fosse una stupida bambina di sei anni.
“Non eri tu che volevi farmi socializzare?”, ribatté lei stringendo le braccia al petto e cercando di indietreggiare ulteriormente.
Aveva già la schiena contro il muro, quindi il suo tentativo non servì a molto quando Ace si avvicinò ulteriormente a lei.
Jayne finse di non notare quanto fosse diventato bello il ragazzo e nemmeno che la sua bocca era incredibilmente vicina e avrebbe potuto sfiorarle la fronte.
Da quella distanza si sentiva davvero una bambina impotente, Ace la sovrastava senza alcuna fatica e lei non riusciva a fare altro che fissare il suo volto perfetto.
“Fai anche la spiritosa adesso?”, mormorò lui in tono duro. “Ringrazia che hai incontrato Fiona e Bram e non qualche squilibrato”
Aveva ragione e Jayne lo sapeva bene, ma allo stesso tempo trovava che fosse esagerata la sua preoccupazione, dopotutto erano a Galway che era una città piuttosto tranquilla.
“Da quando ti preoccupi per la mia incolumità?”, chiese Jayne incredula.
Ace non perdeva occasione per farla sentire indesiderata e adesso si metteva a farle la predica perché si era allontanata dal pub.
La ragazza si accorse di aver detto la cosa sbagliata, quando lui ridusse gli occhi a due fessure e li piantò dritti su di lei.
“Forse questa tua recita della ragazza intrepida può funzionare con tuo padre, ma è soltanto una facciata”
Quella risposta la spiazzò, come faceva Ace a conoscerla così a fondo?
Riusciva a carpire anche le cose che neppure lei comprendeva di se stessa, eppure lui era assolutamente sicuro di riuscire a decifrare chiunque.
“Ma è così che fai, giusto? Te ne freghi delle conseguenze”
Jayne deglutì, senza capire dove volesse andare a parare.
“Non ti importa se con le tue azioni sconsiderate potresti farti del male. Hai così poca considerazione di te stessa?”
Lei non riusciva a capire perché Ace stesse dicendo tutte quelle cose, non era vero che non le importava delle conseguenze.
E non riusciva a comprendere perché fosse così tanto arrabbiato, in fondo non gli importava nulla di lei quindi perché continuava a dirle quelle cose?
Soltanto per tormentarla?
Il ragazzo si voltò e poi, senza neanche guardarla, disse: “Ti conviene andare dentro se non vuoi che torni a cercarti”
Jayne non riusciva a farsi valere, era da anni ormai che si sentiva così impotente e indifesa e Ace non faceva altro che farla sentire ancora più insicura.
In quel momento invece riusciva soltanto a provocarlo ed era uno scontro in cui non sarebbe mai riuscita a prevalere, non c’era nessuno bravo a provocare quanto Ace Davies.
La ragazza tornò dentro e subito Fiona volle sapere cosa le avesse detto Ace; Jayne si limitò a dire che era soltanto preoccupato per lei.
Poco dopo i due ragazzi dissero che sarebbero andati a casa, salutando Jayne con un sorriso amichevole.
Anche lei voleva tornare a casa, non ne poteva più di quella serata. E per fortuna, qualche minuto dopo, Cal disse: “Andate pure a casa, ci penso io a chiudere”
Ace gli chiese se era sicuro di fare la chiusura da solo e suo padre gli sorrise, dicendogli che aveva l’aria stanca e doveva riposare.
“Ci vediamo dopo”, aggiunse poi in direzione di Jayne.
La ragazza lo salutò con un cenno della mano, era ancora troppo scossa per proferire parola.
Era stata una serata pesante e il comportamento di Ace non aveva fatto altro che peggiore il suo umore già sotto i piedi.
Seguì Ace senza dire niente e lui fece lo stesso, poi salirono in macchina e partirono diretti a casa.
Durante tutto il tragitto nessuno dei due disse nulla e Jayne constatò che forse era meglio così, tanto non avrebbero fatto altro che punzecchiarsi.
Una volta arrivati percorsero il vialetto fino all’ingresso di casa ed Ace le sussurrò di non fare rumore, sicuramente Brigit ed Alis stavano già dormendo.
Salirono al piano superiore in punta di piedi e a metà strada si separarono ognuno diretto nella propria stanza.
“Buonanotte”, mormorò lei prima di addentrarsi nell’oscurità del corridoio ma non ottenne alcuna risposta da parte del ragazzo.
Quando entrò nella sua camera si buttò sul letto, era talmente stanca che avrebbe voluto addormentarsi senza neanche sfilare i vestiti.
Sbuffò, prima di aprire la cassettiera in cerca della biancheria e del suo pigiama preferito.
Uscì nuovamente nel corridoio buio, per raggiungere il bagno doveva oltrepassare le altre camere quindi cercò di camminare il più lentamente possibile per non fare rumore.
Quando passò davanti a quella di Ace si accorse che la luce all’interno era accesa e la porta socchiusa, cercò di non fare il minimo rumore e sperò che il ragazzo non si accorgesse di lei.
Chissà cosa le avrebbe detto, Jayne sospettava che non sarebbe stato nulla di carino.
Si bloccò, quando intravide la massa di capelli scuri in contrasto con la pelle chiara. Stava armeggiando con qualcosa e all’improvviso Jayne si rese conto che si trattava della maglietta che stava cercando di sfilarsi.
Lei arrossì, senza riuscire a smettere di guardare la schiena scolpita di Ace: aveva le spalle ampie ma non troppo e la pelle non era costeggiata da lentiggini come si sarebbe aspettata, fatta eccezione per il naso.
Jayne si costrinse a distogliere lo sguardo e si diresse rapidamente verso il bagno, senza riuscire a togliersi dalla mente la schiena nuda di Ace.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Era già passate più di due settimane da quando Jayne era giunta a casa dei Davies e si sentiva decisamente più tranquilla, proprio come aveva sostenuto suo padre prima di mandarla lì.
Ovviamente Ace la tormentava di continuo ma la ragazza aveva imparato a non farci caso e a farsi scivolare addosso qualsiasi cosa, passava la maggior parte del suo tempo a leggere e negli ultimi giorni aveva visto spesso Fiona e Bram.
Quel giorno il pub era chiuso e quindi Cal aveva la giornata libera, così propose di visitare il parco nazionale del Connemara e Jayne fu subito entusiasta all’idea.
Non ci era mai stata, ma aveva visto le illustrazioni nella guida e ne aveva sentito parlare molto quindi era in trepidazione.
“Ma ci siamo stati un milione di volte”, si lamentò Ace sbuffando sonoramente.
Suo padre gli rivolse uno sguardo ammonitore e incrociò le braccia al petto, mentre Brigit stava raccomandando ad Alis di portare la macchina fotografica.
“Jayne non ci è mai stata e poi è da tanto che non facciamo una gita in famiglia”, disse Cal mentre il figlio alzava gli occhi al cielo.
“Tecnicamente Jayne non fa parte della famiglia, quindi...”
Brigit si voltò di scatto verso Ace, poi si avvicinò pericolosamente a lui e Jayne notò quanto gli occhi della donna fossero simili a quelli del figlio.
“Jayne starà qui per un bel po’ e poi ha sempre fatto parte di questa famiglia, in un certo senso. Quindi non ti permetto di usare quel tono, Ace Davies”
Il ragazzo sollevò le braccia in segno di resa e, dopo aver sbuffato di nuovo, salì al piano superiore a preparare le sue cose.
“Non farci caso, cara”, aggiunse Brigit con fare amorevole.
Jayne le sorrise, ormai non ci rimaneva neanche male per quello che diceva Ace e
cominciava a farci l’abitudine.
Inoltre aveva deciso di non farsi rovinare l’umore da lui, sarebbero andati al parco nazionale del Connemara e lei non vedeva l’ora di arrivare.
Salì al piano di sopra praticamente correndo e si precipitò in camera per preparare l’occorrente; scelse una borsa a tracolla capiente in cui mise tutto ciò che credeva le potesse servire e in quel momento si rese conto di non avere più la guida di Galway.
Doveva avercela ancora Ace, così decise di andare in camera sua per chiedergli di riaverla indietro e rimase sorpresa nel trovare il ragazzo sdraiato sul letto a fissare la televisione.
“Non dovresti prepararti?”, chiese perplessa e si guardò intorno nella stanza alla ricerca del suo libro.
Lui sollevò spostò gli occhi dalla tv con fare annoiato, poi si passò una mano tra i capelli scompigliati. “Dovrei rivolgerti la stessa domanda”
Jayne si chiese come facesse il ragazzo ad avere sempre la risposta pronta, con lui era una continua lotta verbale in cui non avrebbe mai potuto vincere.
“Io sono venuta a riprendere il mio libro”
Ace si alzò dal letto, avvicinandosi a Jayne con un sorriso divertito.
“Ti serve una guida anche per visitare un parco?”
Lei rimase interdetta, non sapeva come rispondere davanti alla sua espressione carica di scherno.
“Rivorrei solo indietro il mio libro”, rispose con voce flebile senza riuscire a sostenere lo sguardo di Ace.
Quel giorno indossava una t-shirt nera e dei jeans slavati che con i capelli scompigliati gli davano un’aria terribilmente sexy, le labbra erano incorniciate dalla barba appena accennata e gli occhi erano di un verde così intenso che avrebbero potuto illuminare l’intera stanza e allo stesso tempo decisi e penetranti.
Era di una bellezza devastante ma non la solita bellezza senza carattere, Ace aveva un fascino particolare e intrigante.
Jayne si accorse solo in quel momento di essere rimasta a fissarlo per chissà quanto tempo, lui la guardava incuriosito e la ragazza arrossì inevitabilmente.
“Dunque, dov’è?”, continuò lei cercando di spezzare quel momento infinito di imbarazzo.
Ace continuò a tenere gli occhi puntati su di lei, intanto aprì il primo cassetto del suo comodino e tirò fuori la guida di Galway.
“Sai, mi chiedevo perché continui a sottolineare tutta quella roba”
Jayne fece per togliergli di mano il libro, ma lui non glielo permise e attese che lei dicesse qualcosa in risposta a quello che aveva detto.
“Sono dei luoghi che ho intenzione di visitare”, rispose lei debolmente cercando di afferrare ancora una volta il suo libro.
Anche questa volta il tentativo fu inutile e Ace prese a fissarla con insistenza, con un sopracciglio leggermente inarcato.
Jayne cominciava a trovare snervante quel suo modo di fare, aveva intenzione di tormentarla per il resto della sua permanenza a Galway?
“Non andrai in nessuno di quei posti, lo sai anche tu”, disse lui.
Non era una domanda, sembrava che il ragazzo ne fosse assolutamente sicuro.
“Sì che ci andrò e non vedo perché debba importarti”
Ace scoppiò in una risata carica di scherno, il genere di risata che Jayne trovava assolutamente odiosa, la stessa che le rivolgeva anche quando erano bambini.
“Te ne stai tutto il giorno a leggere quella stupida guida o chissà cos’altro”, continuò lui come se non l’avesse sentita. “Ti dirò una cosa, Jayne, non serve a niente sottolineare i posti in cui vorresti andare”
Jayne lo guardava, confusa e irritata al tempo stesso.
“Dovresti andarci e basta, uscire e... vivere le avventure che sei abituata soltanto a leggere”
Lei rimase sorpresa. Ace questa volta aveva parlato con un tono di voce privo di qualsiasi traccia di divertimento o scherno, le stava parlando davvero per la prima volta.
“Credi di conoscermi così bene?”, mormorò Jayne con la voce più bassa di quanto avrebbe voluto.
All’improvviso Ace annullò la distanza che li separava, arrivando a un millimetro dalla ragazza. “Credo che tu voglia far credere di essere tanto forte, di essere una ribelle. Ma in realtà non sei mai stata libera, indossi soltanto una maschera come la maggior parte delle persone”
Jayne rimase senza fiato, ma non per quello che aveva detto.
Lui era talmente vicino che riusciva a perdersi nei suoi occhi penetranti, a percepire il suo profumo e il respiro caldo.
“E perché dovrei farlo?”, mormorò Jayne in tono di sfida.
Le parole del ragazzo la trafissero, sentì una morsa allo stomaco quando lui disse: “Sei convinta che così facendo ti lasceranno in pace, speri che si stufino di te a tal punto da mandarti dall’altra parte del mondo. A Galway, ad esempio”
Ace si fece ancora più vicino e Jayne sentì il suo cuore martellare forte nel petto, non riusciva a credere a ciò che le aveva detto.
Era la verità.
Come faceva un ragazzo che non vedeva da un’eternità a conoscerla così profondamente?
Era come se le avesse scavato nell’anima alla ricerca dei suoi più profondi timori e li avesse estrapolati in quella semplice frase.
Quello che Jayne non voleva ammettere neanche a se stessa, era che aveva sperato con tutte le sue forze di farsi spedire lontana da casa.
Non disse niente, non avrebbe saputo come ribattere alla frase del ragazzo e si limitò a scostare lo sguardo da quello di lui.
Ace sapeva di aver fatto centro, sapeva che quello che aveva detto su Jayne era la verità ma in quel momento non riuscì a sentirsi compiaciuto.
Ci aveva preso gusto a infastidire Jayne, ma si accorse di non riuscire a guardare quegli occhi pieni di tristezza e incredibilmente lucidi.
Rimasero fermi per una manciata di minuti che sembrarono un’eternità, poi lei si affrettò a prendere il suo libro.
Quando le sue dita sfiorarono quelle di Ace avvertì come un brivido, nonostante la mano di lui fosse calda e morbida.
“Vado a prepararmi”, mormorò Jayne tenendo lo sguardo fisso sul pavimento e si affrettò ad uscire dalla camera.
Cercò di togliersi dalla mente le parole di Ace ma fu tutto inutile, era come se fosse riuscito a farla piombare di nuovo in quel vortice di sconforto e di rabbia che in quei pochi giorni a Galway credeva di essere riuscita a mandare via.
Neanche la gita al parco del Connemara riuscì a farla sentire meglio.
Brigit e Cal le chiesero un paio di volte se stesse bene e lei si limitò ad annuire, gli animali e la natura regnavano sovrani in quel posto splendido e lei non riusciva neanche a goderseli.
Ed era tutta colpa di Ace Davies, in quell’istante Jayne si rese conto che in fondo il ragazzo aveva ragione, non era capace di vivere.
Quella consapevolezza si fece strada dentro di lei, cominciava a chiedersi se ci fosse qualcosa di sbagliato nel modo in cui affrontava la vita.
O se ci fosse qualcosa di sbagliato in lei.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Nei giorni seguenti Jayne rimase il più possibile lontana da Ace, non aveva alcuna intenzione di farsi leggere nel pensiero come l’ultima volta che si erano parlati.
Inoltre gli avrebbe fatto soltanto un favore, era evidente che a lui non piacesse averla intorno e lei finalmente l’avrebbe accontentato.
“Va tutto bene?”, le chiese ancora una volta Brigit in tono affettuoso.
Jayne si sforzò di sorridere ma era come se tutti i problemi della sua vita che aveva cercato di ignorare, fossero tornati a galla con una sola frase.
Uscita dalla bocca di Ace Davies.
“Sì, è tutto okay”, mormorò senza entusiasmo.
Brigit non ci credette, era evidente, ma lasciò cadere l’argomento e suggerì a Jayne di finire la sua colazione.
La ragazza percepiva la presenza di Ace anche se non lo guardava, era come se non potesse fare a meno di udire ogni minimo rumore prodotto dal ragazzo e la cosa la faceva innervosire parecchio.
“Stasera sei dei nostri?”, chiese Cal con un sorriso incoraggiante. “Abbiamo ingaggiato una band e ci sarà della musica dal vivo”
Jayne non aveva alcuna voglia di ascoltare della musica né tantomeno di passare la serata nello stesso posto in cui era Ace, ma non le sembrava giusto deludere le aspettative di Cal.
“Certo”, rispose con un sorriso. “Ci sarò”
Ace si avvicinò a lei, una volta che i sui genitori furono usciti dalla stanza.
La ragazza sostenne il suo sguardo, Ace non aveva mai sopportato quello sguardo altezzoso e carico di sfida, anche se Jayne riusciva a tirare fuori quella determinazione in poche occasioni.
“Cerca di non metterti nei guai, stasera”, intimò lui in un sussurro. “O sarò costretto a cercarti”
I modi di fare di Ace erano davvero odiosi e Jayne sentì la rabbia montare dentro di lei, avrebbe voluto far scomparire quel sorrisetto strafottente dal volto di lui.
“Hai mai pensato che forse non voglio che mi cerchi?”, rispose lei guardandolo dall’alto in basso.
Lui era decisamente più alto di lei e in un attimo Jayne se lo ritrovò davanti, la sovrastava completamente.
Gli occhi di lui lampeggiarono quando si posarono su di lei, mentre avanzava con passo sicuro.
“Credo proprio che tu lo voglia, invece”, aveva parlato con un tono di voce talmente basso che Jayne non sarebbe riuscita a sentirlo se non fosse stato a un millimetro da lei.
Jayne deglutì e si ritrovò schiacciata contro il tavolo dal corpo di lui.
Rimase senza fiato, mentre il ragazzo chinava la testa per fissarla dritto negli occhi.
Si accorse di avere il respiro affannato soltanto quando la bocca di lui si piegò in un ghigno, era consapevole di essere tremendamente attraente e aveva deciso di trasformarlo in un’arma contro di lei.
Tra di loro era sempre stato così, una lotta continua per cercare di avere la meglio che non si sarebbe mai conclusa.
“Ti sbagli”, rispose lei con un filo di voce.
Non era riuscita a trovare una risposta più convincente e lui colse subito l’occasione per dire: “Riesco leggerti dentro, ricordi?”
Lei non disse nulla, si limitò a deglutire rumorosamente e a chiedersi cosa volesse ottenere Ace sfidandola in quella maniera.
In quell’istante udirono un rumore provenire dal salotto e Ace si allontanò subito come se avesse preso la scossa.
Alis entrò in cucina, teneva tra le mani uno zainetto viola e avanzava verso suo fratello con un sorriso.
“Ho saputo che stasera canterai”
Ace accennò un sorriso, accarezzando lievemente la guancia di sua sorella.
“Domani c’è scuola, lo sai”
Alis voleva sempre andare a vederlo quando suonava al locale e al fratello faceva piacere, ma non voleva compromettere i suoi voti scolastici.
“Chiederò il permesso alla mamma”, concluse lei con un sorriso trionfante. “Ho promesso alle mie amiche di portarle a vederti, stravedono per te”
Lui si morse un labbro con fare decisamente ammiccante e Jayne sentì il respiro mozzarsi nella gola. “Come tutte”
Detto questo, lanciò uno sguardo in direzione di Jayne, che avrebbe tanto voluto sprofondare sotto terra.
“Credevo che Cal avesse ingaggiato una band”, disse per cercare di ignorare lo sguardo di lui.
“Sì, ma Ace a volte suona quando il locale è in chiusura”, disse Alis dando un piccolo bacio sulla guancia al fratello.
“Ora corri a scuola”
Jayne si rese conto che Ace era una persona diversa quando era con sua sorella, la guardava con degli occhi pieni di affetto che non gli aveva mai visto prima.



Il buio arrivò in fretta, così come l’ora di andare al pub.
Jayne decise di indossare un paio di pantaloncini corti neri e una camicetta lilla con le maniche corte e vaporose e una profonda scollatura sul petto.
Quella sera aveva deciso di osare, Ace sosteneva che non fosse in grado di godersi la vita e lei non vedeva l’ora di dimostrargli il contrario.
Aveva lasciato i capelli ricaderle sulle spalle, dove si posavano con delle onde morbide e leggere.
Si era addirittura passata un po’ di fondotinta e di eyeliner e il mascara sulle ciglia che erano già incredibilmente folte, sulle labbra aveva messo un leggero strato di rossetto rosso.
Ai piedi, invece, infilò dei sandali viola chiusi sulla punta e con un tacco non troppo vertiginoso visto che non amava le scarpe alte.
Si diede una rapida occhiata allo specchio e sorrise, compiaciuta, poi scese al piano di sotto dove la stavano aspettando.
La prima a sorriderle fu Brigit. “Stai benissimo, tesoro”
Jayne le sorrise, radiosa, quella sera non si sarebbe fatta rovinare l’umore da Ace e si sentiva stranamente serena.
“Concordo”, disse Cal subito dopo la moglie.
Jayne sorrise anche a lui. “Vi ringrazio”
Davanti alla porta, pronti per uscire, c’erano anche Ace e Alis.
Jayne ignorò il ragazzo, ma riusciva a sentire il suo sguardo seguirla in ogni movimento.


 

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Quando arrivarono al locale, Jayne rimase sorpresa di quanta gente fosse arrivata per sentire la band.
Di solito era pieno, ma quella sera era così affollato che dovette spintonare un bel po’ di persone per riuscire ad entrare.
“E’ incredibile!”, disse Jayne guardandosi intorno a bocca aperta.
Cal le sorrise compiaciuto, urlando per farsi sentire con la musica assordante che riempiva il locale.
“Questa band va forte nei dintorni”
Fortunatamente la famiglia Davies aveva un tavolo riservato, così presero posto tutti tranne Ace e Cal che andarono ad aiutare i ragazzi che servivano da bere.
“Vado a cercare le mie amiche”, disse Alis dopo un attimo alzandosi da tavola e armeggiando con il suo cellulare.
Brigit acconsentì ma le raccomandò di non allontanarsi.
“Non sapevo che Ace suonasse”, disse Jayne senza neanche sapere perché.
Osservava il ragazzo armeggiare con le bottiglie e si concesse di guardarlo davvero per una volta.
Aveva i suoi soliti capelli scompigliati e indossava una camicia verde che si intonava perfettamente ai suoi occhi, abbinata a dei jeans neri e delle scarpe dello stesso colore.
Il suo sguardo era incredibilmente concentrato e di tanto in tanto sorrideva ai clienti che si avvicinavano al bancone.
Guardarlo era quasi doloroso per Jayne, non si fermava mai a riflettere su quanto fosse bello o interessante altrimenti sarebbe stato impossibile odiarlo.
“E canta, anche”, rispose Brigit con gli occhi pieni di orgoglio. “E’ anche un’artista, lo sapevi?”
Jayne scosse la testa, non ne aveva idea.
“Quello l’ha fatto lui”, continuò Brigit indicando davanti a sè.
Jayne seguì la linea tracciata dal suo dito, sgranando gli occhi per la sorpresa.
Stava indicando il dipinto ad olio del Linch Castle!
Rimase senza fiato, quel quadro era pieno di passione e ammirazione, tutte cose che non appartenevano a Ace Davies.
“Quel ritratto è meraviglioso”, disse in un sussurro.
Brigit le sorrise di sottecchi. “Come mai quel tono sorpreso, stai parlando di mio figlio”
Jayne accennò un sorriso, sentendosi in imbarazzo.
“Sai, ha molte qualità nascoste e ti sorprenderebbe sapere quanto possa essere gentile e altruista”, aggiunse con una risata.
Jayne ricambiò il sorriso, spostando nuovamente gli occhi su Ace che proprio in quel momento sollevò la testa dal bicchiere che stava riempendo di birra.
I loro occhi si incontrarono e lei si sentì avvampare, aveva paura che il ragazzo sapesse veramente leggerle nella mente e in quel momento non riusciva a pensare a nient’altro che non fosse il suo sguardo penetrante.
“Ciao, Jayne!”, esclamò una voce costringendola a distogliere lo sguardo da Ace.
Era la voce di Fiona, seguita da Bram che sorrideva entusiasta.
“Questa band è pazzesca!”, esclamò il ragazzo mandando giù quasi tutto il contenuto del bicchiere che teneva in mano.
Jayne sorrise di rimando. “Ciao ragazzi”
Anche Brigit li salutò e poi disse che sarebbe andata da suo marito, mentre i due ragazzi pendevano posto accanto a Jayne.
“Allora, non vedo nessun libro tra le tue mani”, disse Fiona con un sorriso. “Hai deciso di ascoltare la musica stasera?”
Jayne si strinse nelle spalle, senza riuscire a trattenere un sorriso.
“E’ nascosto nella borsetta”, sussurrò come se fosse una specie di segreto e i due ragazzi scoppiarono in una risata fragorosa.
La cosa più ironica è che Jayne teneva sempre un libro nella borsa che tirava fuori all’occorrenza, solo che Fiona e Bram non lo sapevano.
All’improvviso Jayne incontrò lo sguardo di Ace, non si era resa conto che si fosse avvicinato fino a quando non arrivò davanti al tavolo in cui era seduta.
Il ragazzo non era riuscito a non guardarla per tutta la sera e non sopportava gli occhi languidi di Bram che la seguivano in ogni istante, si chiese se la ragazza si fosse vestita in quel modo per attirare l’attenzione del fratello di Fiona.
Quel pensiero lo fece irritare ulteriormente, rimase a fissarli sentendo la rabbia montare dentro di lui e non sapeva cosa dire.
“Stai benissimo stasera”, proprio in quel momento Bram aveva deciso di fare il cascamorto con Jayne.
Ace era sicuro che avesse indossato abiti provocanti soltanto per mandarlo in bestia, era una specie di sfida per dimostrargli che sapeva godersi la vita ma evidentemente non aveva capito con chi aveva a che fare.
“Grazie”, rispose lei arrossendo lievemente sulle guance.
Jayne continuava a sentire lo sguardo di Ace su di lei, era come se bruciasse sulla pelle e non riusciva a ignorarlo neanche per un istante.
“E’ una delle tue solite fasi?”, disse puntando gli occhi dritti in quelli di Jane. “Chi interpreti stasera? La ragazza ribelle senza inibizioni?”
Aveva usato un tono di voce tagliente, voleva ferirla e questo Jane lo sapeva bene.
Era sempre stato così tra di loro, era più facile sbattersi in faccia tutto l’odio che provavano ed era così da quando erano due bambini.
Jayne non era mai stata furiosa come in quel momento, non solo Ace amava umiliarla ma quella sera aveva scelto di farlo di fronte ai loro amici.
“Tu interpreti lo stronzo, egocentrico e insensibile?”, si alzò dalla sedia senza pensarci e sostenne lo sguardo di lui. “Ah no, non è una recita”
Ace sgranò gli occhi, incredulo, continuando a inchiodarla con lo sguardo e finse di non notare gli occhi di lei che si erano fatti lucidi.
Avrebbe voluto dire un sacco di cose, c’erano una miriade di cattiverie che avrebbe potuto sbatterle in faccia in quel momento ma rimase semplicemente a fissarla.
Le ciglia di lei erano valorizzata dal mascara e rendevano i suoi occhi ancora più grandi e spauriti, Ace aveva sempre pensato che gli occhi di Jayne fossero l’unica parte di lei che non sarebbe mai riuscita a mascherare o nascondere.
“Tocca a te”, disse Fiona cercando di attirare l’attenzione del ragazzo. “La band ha finito di suonare”
Ace non voleva distogliere lo sguardo da Jayne ma non poteva nemmeno restare lì a sfidarla in eterno, così si voltò verso Fiona.
Si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti, poi si stampò in faccia il suo solito sorriso ammiccante e si diresse verso il piccolo palchetto in fondo alla sala.
Fiona e Bram lo seguirono ma Jayne rimase lì, impietrita sul posto.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***



    Seguì Ace con lo sguardo, si stava sedendo su un piccolo sgabello con la chitarra in grembo e muoveva le dita lentamente per accordarla.
    Aveva i primi due bottoni della camicia slacciati, che lasciavano intravedere una porzione notevole di pelle e i muscoli guizzavano sotto gli avambracci scoperti.
    Jayne non rimase per nulla sorpresa dal gruppetto di ragazze che si era formato di fronte al palco, bensì da quante persone fossero rimaste per ascoltarlo cantare.
    In quell’istante una dolca melodia si diffuse nel locale, mentre Ace iniziò a sussurrare e ad accompagnare la musica con la voce.
    Aveva un timbro quasi graffiante e ben presto la lenta melodia si trasformò in qualcosa di più profondo, le parole cominciarono a farsi più incisive e la voce prorompente.
    Ace era magnifico, risucchiava il palco e l’attenzione delle persone che erano attorno a lui; Jayne rimase senza fiato per l’intensità di quella canzone e distolse lo sguardo.
    All’improvviso un ricordo si fece strada dentro di lei, sentì gli occhi farsi lucidi e la gola secca.

Era una delle tante volte in cui Jayne era scappata dalla Villa a Galway.
I suoi genitori si erano messi a litigare, di nuovo e lei si era rintanata sotto le coperte per non sentire più quelle urla ma ben presto si era accorta che l’unico modo per non udirle era allontanarsi da lì.
Aveva cominciato a correre a perdifiato, senza sapere dove andare e si era fermata sotto il tronco dell’albero più imponente del giardino.
Le lacrime continuavano a sgorgare senza sosta, l’ennesimo tentativo di Cal e Brigit di far riappacificare i suoi genitori non era andato a buon fine e lei non riusciva più a sopportare quel frastuono.
All’improvviso un paio di occhi verdi apparvero nel suo campo visivo, Ace si stava sedendo accanto a lei sul prato con la schiena appoggiata al tronco dell’albero.
“A volte si arrabbiano anche i grandi, sai?”, le disse con un tono di voce calmo e tranquillo. “Non farci caso”
Jayne non aveva risposto, si era limitata a singhiozzare sonoramente e ad accasciarsi ulteriormente contro l’albero.
Aveva all’incirca nove anni, quindi Ace ne aveva quasi dodici e la ragazza era rimasta sorpresa dal tono di voce calmo e maturo che aveva usato.
Si erano sempre punzecchiati ed era la prima volta che Jayne lo vedeva preoccupato per lei, aveva un tono di voce dolce e affettuoso.
“Ti va di cantare una canzone?”, aggiunse lui con un grande sorriso stampato in faccia.
Jayne scosse la testa, nascondendo il viso tra le mani e cercando di smettere di singhiozzare.
“Allora mi esibirò in esclusiva per te, non capita mica tutti i giorni”
Lei non riuscì a trattenere una risata, anche se la tristezza non l’aveva ancora abbandonata ma era già un inizio.
Poi Ace iniziò a cantare: era una di quelle filastrocche che insegnano ai bambini, ma lui aveva una voce calda e rassicurante che riusciva a calmare il battito del  cuore.
Jayne sollevò la testa e si sporse oltre il tronco per osservarlo.
Aveva la testa abbandonata contro l’albero e muoveva le labbra lentamente, i capelli scuri gli ricadevano sugli occhi e mettevano in risalto le piccole lentiggini sul naso.
“Va meglio?”, chiese lui guardandola di sottecchi.
Lei annuì con la testa, si ritrovò a sorridere e si accorse che anche Ace aveva un sorriso raggiante stampato in volto.



Jayne tornò alla realtà, aveva il respiro affannato ed era semplicemente incredula.
Aveva rimosso quel ricordo e l’aveva seppellito in fondo al suo cuore e adesso era riaffiorato, accompagnato dalla voce di Ace che si faceva sempre più roca.
In quel momento lui incontrò i suoi occhi, senza smettere di cantare e continuò a guardarla per un tempo interminabile.
Jayne cercò di respirare profondamente, di scacciare quel groppo che le si era formato in gola e all’improvviso non ce la fece più.
Quel familiare senso di oppressione all’altezza del petto che non percepiva da molto tempo ormai, era tornato a galla insieme ai ricordi.
Cercò di respirare profondamente, ma la voce di Ace le rimbombava in testa e non riusciva a pensare razionalmente.
Si alzò di scatto dalla sedia, continuando a fare respiri profondi ma all’improvviso l’ambiente intorno a lei le sembrava come rimpicciolirsi.
Era come se le pareti volessero soffocarla e il suo respiro si fece ancora più affannoso.
Non sapeva cosa fare, Ace continuava a fissarla e lei faticava a sostenere il peso del suo sguardo e non riusciva a pensare a nient’altro che non fossero quelle mani che si muovevano sulle corde della chitarra.
Si catapultò fuori dal locale, faticava ancora a respirare ma la sferzata d’aria fresca che le scompigliò i capelli la fece rinsavire.
Cominciò a correre quasi senza rendersene conto e si allontanò il più possibile dal locale di Cal.
Erano passati anni dall’ultima volta che si era sentita così ma conosceva quella sensazione perfettamente, era come se non se ne fosse mai andata veramente e aspettasse soltanto il momento di tornare a tormentarla.
Cercò di respirare a fondo ma era praticamente impossibile, la gola di Jayne bruciava così come i suoi occhi e non riusciva a pensare.
Si diresse nell’unico posto dove sapeva di poter trovare la calma necessaria per far scomparire quel senso di oppressione dal suo petto, era il luogo in cui si rifugiava sempre quando era una bambina.
Una volta arrivata al porto, le tornò alla mente la scorciatoia che portava alla Villa: era un piccolo sentiero nascosto nella vegetazione che collegava magicamente il molo con il resto di Galway.
Era il passaggio segreto con cui fuggiva sempre dalla Villa quando era piccola e si sorprese di non essersene ricordata prima.
Non sapeva cosa avrebbe fatto, una volta giunta a casa, sapeva solo che voleva allontanarsi il più possibile da lì.
Si sentiva proprio come quando era piccola, come se non avesse un posto nel mondo e riflettendoci bene era proprio così.
L’unico posto che avesse mai considerato come un rifugio era la villa di Galway, ma i Davies non erano la sua famiglia e Jayne lo sapeva bene.
Forse sarebbe stato meglio che non fosse mai tornata a Galway, meglio per Ace che la detestava e meglio anche per Cal e Brigit che avevano già abbastanza responsabilità.
Jayne non voleva scappare da Galway, ma in quel momento non vedeva alternative all’orizzonte.
Stava per imboccare il vialetto che l’avrebbe condotta alla Villa, quando una voce la fece bloccare sul posto.
“Vedo che ti ricordi la scorciatoia”, Ace aveva le maniche della camicia ancora arrotolate sugli avambracci e il respiro lievemente affannato.
Jayne si chiese se avesse corso per riuscire a raggiungerla.
“A dire il vero me ne sono ricordata poco fa”, rispose senza incontrare gli occhi del ragazzo.
Jayne voleva andarsene il più lontano possibile da lui, aveva già causato abbastanza problemi ai Davies e si sentiva di troppo. Inoltre Ace aveva ribadito più volte quanto la sua presenza lo infastidisse.
“Ti chiederei che intenzioni hai, ma conosco già la risposta”
Ace cominciava a sentire la rabbia montare dentro di lui, era come se si stesse ripetendo la stessa scena di qualche anno prima e lui si sentiva impotente esattamente come all’ora.
Non sopportava quella ragazzina con i capelli stinti e quegli occhi perennemente spenti, non sopportava il suo modo di fare e non sopportava il suo vittimismo.
Come se non bastasse l’aveva costretto ad abbandonare il locale pieno di ragazzine in visibilio per lui che gli avrebbero concesso qualunque cosa, come qualsiasi altra ragazza a dire il vero.
Ace aveva avuto numerose conquiste ma non gli importava nulla di nessuna ragazza con cui era stato, gli importava solo di se stesso e questo gli era sempre piaciuto.
Adorava giocare con loro, prenderle in giro per vedere fino a che punto sarebbero arrivate ed era quello che aveva sempre fatto anche con Jayne.
Anche se il loro rapporto era diverso naturalmente, Jayne aveva sempre fatto parte della sua vita e lui l’aveva sempre odiata per questo motivo.
Le altre ragazze poteva allontanarle quando decideva che non gli interessavano più, Jayne invece era sempre lì a tormentarlo con i suoi occhi pieni di tristezza che lo facevano infuriare ancora di più.
“Dove pensi di andare?”, aggiunse quando la ragazza non diede segno di averlo sentito.
Teneva lo sguardo fisso sui propri piedi e non sembrava intenzionata a fornirgli una spiegazione, sarebbe scomparsa nel nulla come aveva già fatto in passato.
“Ti sei chiesta come la prenderanno i miei?”
Jayne non disse nulla, ancora una volta, ed Ace strinse i pugni lungo i fianchi per cercare di mantenere il controllo.
“No, certo che no, non ti importa”
All’improvviso lei sollevò la testa e puntò i suoi grandi occhi su Ace, sembrava contrariata e incredula.
“Non voglio creare altri problemi, è proprio per questo che me ne devo andare”, disse lei con un filo di voce.
Ace scosse la testa, non riusciva a credere alle parole che stavano uscendo dalla bocca di lei e sapeva che non sarebbe riuscito a mantenere la calma ancora per molto.
“E’ l’unica cosa che sai fare, scappare. Quando le cose diventano complicate non sai fare altro che tagliare la corda”
Ace si rese conto di avere usato un tono di voce incredibilmente tagliente e sapeva anche di ferire Jayne ma non gli importava.
L’avrebbe messa davanti all’evidenza, visto che nessuno sembrava avere il coraggio di fare lo stesso.
“Io almeno sono sicura di ciò che sono”, Jayne si avvicinò a lui per fronteggiarlo. “Non ho paura di essere me stessa, l’ho avuta per troppo tempo e ho deciso di cambiare. Tu puoi dire lo stesso?”
Ace socchiuse gli occhi, senza riuscire a comprendere il significato delle parole di Jayne e attese che continuasse.
“Mi hai umiliata da quando sono arrivata a Galway. Anzi, a pensarci bene da quando sono stata qui la prima volta.”
Lei scosse la testa, poi proseguì. “Ricordo che portavo due nastri tra i capelli e ricordo anche che me li strappassi di dosso e li gettasti nel mare”
Ace sorrise a quel ricordo, aveva dimenticato i nastri orribili che era solita portare quando era piccola.
“Volevi sempre prevalere su di me, come se la cosa ti eccitasse ed è lo stesso anche ora”
Jayne si avvicinò ulteriormente a lui, le parole stavano uscendo così velocemente dalla sua bocca che non riusciva a controllarle.
“Mi hai odiata dalla prima volta che mi hai visto, senza una ragione, hai deciso che meritavo di essere tormentata. Come se non lo facessero abbastanza già i miei genitori”
Ace non sapeva cosa dire, era la prima volta che Jayne sembrava tirare fuori un po’ di coraggio e di determinazione.
“Sei gelido, insensibile. Anche ora.”
All’improvviso Jayne si ritrovò schiacciata contro il muro dal corpo di lui, la fissava con uno sguardo che mai gli aveva visto prima ed ebbe la certezza che la odiasse veramente.
“Ho sempre detestato quei dannati fiocchetti che portavi tra i capelli”, parlava con un tono di voce duro ed era a un centimetro di distanza da Jayne.
“Non sei mai riuscita a reagire, sempre a lamentarti di quanto la vita sia stata orribile con te senza nemmeno curarti delle persone che ti stanno intorno”
Ace continuava a parlare, fissando con disprezzo quegli occhi ormai colmi di lacrime. “Non sei neanche in grado di farti valere”
Jayne incassò quelle parole cariche di disprezzo, chinò la testa incapace di sostenere gli occhi di Ace e il suo odio.
Si chiese come un ragazzo così bello potesse essere anche così sadico e incapace di provare empatia verso gli altri.
“Tu non mi conosci affatto”, disse lei senza fiato. “Tu non sai niente di me, non hai idea di come sia stata la mia vita quindi evita di sputare sentenze e tornatene alla tua vita perfetta”
Ace aveva il respiro affannato e continuava a tenere gli occhi fissi su di lei, non era mai stato così furioso in vita sua.
Avrebbe voluto riuscire a smettere di fissare quegli occhi lucidi e le labbra socchiuse di lei, avrebbe voluto non averla mai conosciuta.
“Vattene”, intimò lei con un filo di voce. “Non preoccuparti, potrai tornare alla tua vita senza interferenze da parte mia”

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


“Spero che questa volta sia vero”, rispose lui con voce tagliente. “Non ti fermerò di nuovo”
Finalmente Ace si era allontanato, lasciandole modo di respirare e di pensare soprattutto.
Dove sarebbe andata?
Non voleva tornare da suo padre né tantomeno da sua madre ma non aveva altro posto in cui andare.
Sospirò, prima di imboccare il sentiero e cominciare a camminare a passo spdito verso la Villa.
Quando entrò in casa, sentì un nodo in gola.
Era l’ultima volta che avrebbe percorso quei corridoi e passato del tempo nell’unico posto che avesse mai considerato casa.
Si diresse al piano di sopra, con le lacrime che sgorgavano ormai senza sosta e il petto che le bruciava.
Aprì la sua valigia e cominciò a buttare dentro tutte le sue cose, la rabbia che cresceva a dismisura dentro di lei.
Non riusciva a credere al modo in cui Ace l’aveva trattata e alle parole che le aveva rivolto, stentava a crederci.
Mentre riponeva i libri e le ultime cose, ripensò all’ultima frase che Ace le aveva detto.
Aveva detto che non l’avrebbe fermata di nuovo, che intendeva dire?
Jayne continuò a ripensarci anche quando scese le scale per dirigersi al piano inferiore dalla casa.
C’erano così tanti ricordi che avrebbe lasciato in quel posto.
Gran parte della sua infanzia che, dovette riconoscerlo, non era stata sempre difficile e dolorosa.
Ripercorse tutti i corridoi, come se volesse imprimerli nella mente e poi tornò di corsa al piano di sopra in camera di Ace.
Rovistò tra le sue cose, senza sapere neanche lei cosa stesse cercando ma alla fine la trovò.
Era una vecchia fotografia, ritraeva due bambini seduti spalla contro spalla con le gambe a penzoloni nell’acqua.



Ace era tornato al locale senza sapere cosa raccontare, i suoi genitori avrebbero sofferto moltissimo una volta scoperto che Jayne se n’era andata.
Scosse la testa, decise che non era un suo problema cosa combinasse lei e cercò di non farsi vedere dai suoi genitori mentre tornava sul palco per recuperare la chitarra.
L’aveva abbandonata lì, quando era corso dietro a Jayne.
Un attimo prima i suoi occhi si erano fermati su quelli di lei e aveva pensato... scosse la testa, era meglio non indugiare su quei pensieri.
Ripose la chitarra nella custodia e poi si preparò ad affrontare i suoi genitori.
“Che è successo?”, chiese Brigit con un lieve velo di preoccupazione stampato in volto. “Dov’è Jayne?”
Ace non sapeva cosa dire, i suoi genitori erano fermi davanti a lui e pretendevano una spiegazione che lui non era in grado di fornirgli.
“Non lo so”, disse stringendosi nelle spalle. “Sono andato a cercarla ma non l’ho trovata”
“Magari è tornata a casa”, aggiunse quando si accorse che sua madre stava trattenendo il respiro.
Il viaggio di ritorno trascorse in silenzio, nessuno voleva affrontare l’argomento ma sapevano che Jayne non sarebbe stata a casa al loro rientro.
Ace cominciò a sentire uno strano senso di colpa.
Certo, Jayne aveva deciso di sua spontanea volontà di fuggire ma lui non l’aveva dicerto dissuasa.
Se i suoi genitori avessero scoperto che le aveva parlato prima che se ne andasse, si sarebbero infuriati come non mai.
Quando arrivarono alla Villa Ace trattenne il fiato, sapeva come avrebbe reagito sua madre e non era ansioso di assistere alla scena.
Si fermarono nella veranda, i suoi genitori gli lanciavano occhiate sospettose e Ace era certo che non credevano alla sua storia.
Sospirò, mentre sua madre si preparava ad aprire la porta.
Oltrepassarono il primo corridoio ed entrarono in salotto, Ace era pronto a trovare una qualche scusa che potesse spiegare come mai non avrebbero trovato Jayne a casa ma non gli veniva in mente nulla.
“Jayne”, Brigit ispezionò la stanza alla ricerca della ragazza ma di lei non c’era traccia.
Diede una rapida occhiata anche in cucina ma niente, Jayne non era lì e cominciava a temere di sapere il perché.
Anche Cal si mise a cercare la ragazza ed Ace fece lo stesso per non destare sospetti anche se sapeva che era tutto inutile e gli dispiaceva che i suoi genitori si impegnassero tanto per trovarla.
“Scusate se sono tornata prima, avevo bisogno di una doccia”
Jayne Beckett fece il suo ingresso nella stanza, scendendo piano la scalinata e tamponandosi i capelli con una asciugamani.
Indossava un pigiama di flanella viola, composto da un paio di pantaloncini corti e una canottiera con un ricamo sul petto.
Ace spostò lo sguardo, incredulo che lei fosse veramente lì.
“Tranquilla, tesoro”, mormorò Brigit stringendo la ragazza al petto.
Cal sorrise a Jayne e anche Alis, prima di annunciare che sarebbe andata a letto visto che l’indomani avrebbe dovuto alzarsi presto.
“Avremmo dovuto aspettare domani mattina”, disse Brigit porgendole una piccola scatola del colore del mare. “Ma, dopotutto, è già domani”
Jayne sorrise, si erano ricordati del suo compleanno e non c’era stato bisogno che glielo dicesse lei com’era solita fare con suo padre.
Sentì gli occhi farsi improvvisamente lucidi e afferrò la scatola che Brigit le stava porgendo, continuando a sorridere.
Jayne riusciva a percepire gli occhi di Ace su di lei, che la seguivano in ogni movimento mentre toglieva il nastro dalla scatola e ne sollevava il coperchio.
Le ci volle un attimo per distinguere ogni singolo volto.
La scatola conteneva una meravigliosa cornice dorata, dentro la quale c’era una fotografia che era stata scattata alla Villa proprio davanti al Ciliegio che Jayne adorava.
Ricordava benissimo quel momento: Brigit aveva insistito affinché facessero una foto tutti insieme e si erano posizionati nel giardino della casa, indossando i loro abiti migliori.
Accanto a Brigit e Cal c’erano i genitori di Jayne, in uno dei pochi momenti in cui sfoggiavano un sorriso e vicino a loro Ace e Alis.
Accanto ad Ace c’era Jayne.
La foto era stata scattata un attimo prima che lui le staccasse i nastri dai capelli e cominciasse a correre verso il molo.
Jayne continuò a fissare la foto senza sapere cosa dire, avrebbe voluto tornare a quel momento e congelare il tempo per sempre, avrebbe desiderato tante cose che non sarebbero mai accadute.
L’ultima volta che aveva sentito sua madre al telefono avevano litigato come sempre e Jayne si sorprese a fissare il sorriso raggiante che aveva in quella fotografia, la mano intrecciata a quella di suo padre.
Continuò a stringere la cornice tra le mani, poi sorrise grata a Cal e Brigit.
“E’ un regalo meraviglioso”, mormorò ancora scossa dall’immagine nella cornice.
“Vi ringrazio”
I Davies la strinsero in un abbraccio, poi Cal le mise una mano sulla spalla e disse: “Ha telefonato tuo padre oggi e tua madre vuole che la richiami”
Jayne sospirò, improvvisamente tutto il risentimento che si era tenuta dentro per troppo tempo sembrò dissolversi in un attimo.
“Lo farò”, rispose continuando a pensare ai volti pieni di speranza che avevano i suoi genitori in quello scatto.
I genitori di Ace andarono al piano superiore, lasciando il figlio con Jayne in salotto.
I due ragazzi rimasero a fissarsi per un po’ senza dire nulla, poi Ace sussurrò: “Credevo te ne fossi andata”
Jayne accennò un sorriso, non aveva alcuna voglia di litigare di nuovo quindi si limitò a dire: “Non mi conosci così bene a quanto pare”
Ace non rispose, scivolò sulla poltrona di pelle bianca e sospirò.
Cercò di ignorare il sollievo che aveva provato quando aveva visto Jayne scendere le scale un attimo prima, con indosso quel grazioso pigiama.
Jayne d’altro canto non riusciva a dimenticare la foto che aveva trovato in camera del ragazzo, era stata quella a farle cambiare idea e a farla restare a Galway.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Dopotutto Ace non la odiava così tanto come avrebbe voluto far credere, se aveva conservato quella fotografia ci doveva essere una ragione.
A quanto pare l’infanzia trascorsa con Jayne aveva dovuto significare qualcosa per lui anche se non voleva ammetterlo.
Inoltre si era ricordata di un particolare che le era sfuggito, aveva riflettuto a lungo sulla frase che Ace le aveva detto al molo quella sera ed era giunta alla conclusione che significasse qualcosa.
Quindi le era tornata alla mente una giornata che aveva rimosso dai ricordi.

Aveva quasi tredici anni ed era l’ennesima vacanza passata a Galway o l’ennesimo tentativo da parte dei Davies di fare riappacificare i suoi genitori.
Inutile dire che non era servito a nulla, non si erano nemmeno degnati di fare una tregua per il suo compleanno presi com’erano a discutere.
Jayne si era precipitata il più lontano possibile dalla villa, furiosa con sua madre e suo padre per averla ignorata proprio il giorno del suo compleanno.
Si era rifugiata nel suo posto preferito e aveva immerso i piedi nell’acqua, avrebbe voluto farsi trasportare dalle onde del mare e sparire chissà dove senza più tornare indietro.
“Che ci fai qui?”, una voce la costrinse a sollevare gli occhi dal mare. “Dovresti essere alla tua festa”
Ace prese posto accanto a lei sul pontile, rivolgendole un sorriso rassicurante ma che Jayne ignorò.
Niente avrebbe potuto farla sentire meglio in quel momento.
“Non gli importa niente del mio compleanno e neanche di me”, piagnucolò Jayne con gli occhi pieni di lacrime.
Ace scosse la testa.
“Non dire sciocchezze, ti vogliono bene”
Jayne sentiva la rabbia che si stava per impossessare di lei e si alzò di scatto, cercò di respirare profondamente per calmarsi.
“Ah si?”, Jayne lo fronteggiò.
Ace era già un ragazzo, aveva quasi sedici anni e quando si alzò anch’esso da terra la ragazza si accorse che la sovrastava completamente.
“Mi hanno lasciata sola tutto il giorno”, aggiunse incredula che Ace potesse prendere le difese dei suoi genitori.
“Hanno dei problemi che riguardano i grandi, quando crescerai capirai molte cose ma adesso devi tornare alla festa”
Jayne strabuzzò gli occhi, non sarebbe mai tornata indietro a vedere i suoi genitori azzuffarsi.
“Non parlarmi come se fossi una bambina e poi non ci torno alla festa”
Ace si fece più vicino, non riusciva a sopportare quando Jayne faceva i capricci.
“Ti stanno cercando tutti, dacci un taglio e torniamo indietro”
Lei non voleva cedere né tantomeno lui, avrebbero potuto continuare a fronteggiarsi in eterno.
“Facciamo così, quando arriviamo a casa ti farò scartare il mio regalo in anticipo”
Ace aveva un sorriso incoraggiante stampato in volto, credeva che a quel punto Jayne avrebbe ceduto e sarebbe tornata di corsa alla villa.
Ma lei non lo fece, anzi, incrociò le braccia al petto e lo studiò con aria di sfida.
“Puoi dire ai tuoi genitori di continuare pure la festa senza di me”
Ace strabuzzò gli occhi, non l’aveva mai vista lottare così audacemente per qualcosa. Di solito si arrendeva in qualsiasi confronto diretto con lui.
“Allora dovrò restare tutto il giorno con te, non posso mica tornare indietro da solo”
Jayne sbuffò, lui stava facendo di tutto per costringerla a tornare a casa ma lei non aveva alcuna voglia di affrontare i suoi genitori.
“E se io non ti volessi?”
Ace rimase sorpreso, finse di non notare quello strano dispiacere che si stava impossessando di lui.
Jayne approfittò del momento di distrazione da parte del ragazzo e sgattaiolò lontano dal molo, se avesse corso velocemente magari sarebbe riuscita a seminarlo.
Ma Ace era decisamente più alto di lei e correva sicuramente più veloce, quindi in un attimo se lo ritrovo di fronte a braccia conserte.
“Smettila di seguirmi!”, sbottò lei.
Non si era mai sentita così nervosa prima, perché Ace doveva continuare a insistere se lei non voleva tornare indietro?
“Dove pensi di andare da sola? Non conosci nemmeno bene la città”, la schernì lui con l’ombra di un sorriso.
“Non sono affari tuoi”, sentenziò lei con voce dura. “Vattene via, capito?”
Ace socchiuse gli occhi, il comportamento di Jayne lo stava ferendo più di quanto avrebbe voluto.
“Non ti lascio andare da sola”, rispose lui con un sospiro.
Jayne sapeva quale fosse l’unico modo per farlo allontanare da lei, non voleva avere nessuno intorno in quel momento.
“E invece io voglio stare sola”, disse Jayne fronteggiandolo. “E’ così difficile da capire?”
Ace non rispose, così lei continuò a parlare a raffica. “Non ho bisogno di nessuno, posso cavarmela da sola. Non ho bisogno di una stupida festa di compleanno né tantomeno di te”
“Non ti voglio, Ace”, aggiunse lei in tono tagliente.
Il ragazzo rimase senza fiato, nessuno gli aveva mai parlato in tono tanto carico di disprezzo e non avrebbe mai creduto che l’avrebbe fatto Jayne.
Prima che potesse dire qualcosa, lei cominciò a correre a perdifiato lasciandolo lì.
Ace considerò l’idea di correrle dietro, ma era già troppo lontana e inoltre le era andato dietro già una volta.
A cosa sarebbe servito dal momento che non lo voleva con lei?
Le ore successive trascorsero tra ansie e timori, tutta la famiglia pattugliò la città alla ricerca di Jayne e incolparono Ace per averla persa di vista.
Alla fine scoprirono che si era rifugiata in taverna, nella villa e nessuno se n’era accorto.
La sera stessa i genitori di Jayne decisero che avrebbero divorziato e trascinato la figlia lontano da Galway.
I Davies avevano salutato Jayne con un caloroso abbraccio ma Ace non aveva voluto vederla.
Brigit le aveva consegnato il regalo del figlio prima che lei salisse in macchina con i suoi genitori.
Jayne rimase a fissare fuori dal finestrino, sentendo le lacrime scendere copiose sulle sue guance. Galway era la sua casa.
Quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe trascorso l’estate alla Villa.
Successivamente aveva aperto la scatola che conteneva il regalo di Ace ed era rimasta di stucco: c’erano un paio di nastrini blu, ma non di un blu qualsiasi,
erano blu cobalto.
Ace si era ricordato quale fosse la sua tonalità preferita di blu e le aveva regalato un paio di nastrini.
Infilato nell’angolo della scatola c’era anche un biglietto con una frase scritta con la calligrafia ordinata di Ace.


- Scusa se ho fatto sparire gli altri.
Comunque questi sono più belli.
Buon compleanno, Jenny. -



Ecco perché Ace aveva detto che non l’avrebbe seguita una seconda volta, l’aveva già fatto in passato quand’erano ragazzini.
Jayne aveva dimenticato cosa fosse successo l’ultima volta che era stata a Galway ma, quando aveva visto la fotografia che Ace teneva nascosta, le era tornato tutto alla mente.
“Sembravi quasi sollevato quando mi hai vista scendere le scale”, disse Jayne sollevando un sopracciglio in direzione del ragazzo.
Lui puntò gli occhi su di lei con fare noncurante.
“Fa lo stesso”, rispose alzandosi dalla poltrona e superando Jayne.
“Io vado a dormire”
La ragazza avrebbe voluto dirgli tante cose, chiedergli della fotografia che teneva in camera ma non aveva il coraggio.
Avrebbe voluto dirgli di smetterla di fare finta che non gli importasse nulla di nessuno, ma non aveva il coraggio nemmeno di dire questo.
Quindi si limitò a seguirlo al piano superiore.
Camminarono lungo il corridoio, spalla contro spalla e a Jayne venne in mente la foto in cui erano seduti uno accanto all’altra.
Alla fine del corridoio si separarono, ognuno diretto nella propria stanza.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Il giorno successivo Ace si alzò presto, non era riuscito a chiudere occhio ed era ancora incredulo che Jayne fosse rimasta a Galway.
Almeno gli aveva risparmiato tutte le domande insistenti che gli avrebbero rivolto i suoi genitori non trovandola a casa.
Fece colazione con un panino ricoperto di marmellata e poi si buttò sul divano a guardare la tv.
Sua madre entrò nella stanza poco dopo, porgendogli il telefono.
Ace rispose distrattamente, sentendo la voce di Evelyn, la turista svedese con cui era uscito all’inizio dell’estate.
“Senti, te l’ho già detto, non mi interessi”, ripeté trovando alquanto fastidioso l’accento della ragazza.
“Buon viaggio”, disse sovrastando la voce di lei prima di riagganciare.
Sua madre gli diede un colpetto sulla nuca e lo fissò con aria severa.
“Mi spieghi perché ti comporti così con tutte?”, disse Brigit incredula. “Quella ragazza era gentile e bella”
Ace sbuffò, non gli importava un fico secco di quanto fosse carina o gentile.
Sua madre non attese che rispondesse, prese la borsetta dal tavolino e gli disse che sarebbe andata ad accompagnare Alis a scuola.
Suo padre era già a lavoro quindi ben presto Ace rimase solo.
Non sopportava tutte quelle ragazze che gli ronzavano intorno, lui poteva dire o fare qualunque cosa e loro erano sempre lì pronte a farsi disprezzare.
Le donne lo trovavano incredibilmente attraente, per loro importava soltanto il suo aspetto e non avevano un briciolo di dignità.
Dopo qualche minuto Jayne entrò nella stanza, lui non si era nemmeno ricordato che ci fosse anche lei in casa.
La salutò con un cenno della mano, senza staccare gli occhi dalla televisione e la sentì armeggiare con i cassetti in cucina.
Poco dopo si diresse anche lui nell’altra stanza per pendere un bicchiere d’acqua e rimase di stucco.
Jayne era appoggiata al ripiano della cucina, stava sorseggiando una tisana e sollevò i grandi occhi su di lui.
Indossava una maglietta senza maniche, di un blu cobalto con uno scollo generoso sul petto e degli shorts bianchi ma quello che l’aveva lasciato senza fiato era l’acconciatura della ragazza.
I capelli ricadevano ai lati del viso in onde morbide e sinuose, intrecciati in due nastrini della stessa tonalità di blu della maglia.
Erano quelli che gli aveva regalato lui l’ultima volta che era stata a Galway, li aveva conservati.
Jayne fissò il ragazzo con aria compiaciuta, era proprio l’effetto che voleva ottenere quando aveva deciso di indossare i nastrini.
“Hai ancora quei ridicoli nastrini?”, mormorò lui rompendo il silenzio che si era creato.
Lei si limitò a continuare a sorseggiare la sua tisana, mantenendo gli occhi incatenati in quelli di Ace.
“Che c’è?”, Jayne aveva usato un tono di voce carico di sfida. “Vuoi sbarazzarti anche di questi?”
Lui sembrò dapprima sorpreso, poi le sue labbra si piegarono in un sorriso tirato che sembrava più un ghigno.
“Mi stai forse mettendo alla prova?”
Jayne sorrise, un sorriso accattivante che il ragazzo non le aveva mai visto prima, poi posò la tazza sul ripiano.
“Adesso so correre molto più in fretta”
Ace si mordicchiò il labbro inferiore, un gesto che la ragazza trovò terribilmente seducente e poi si avvicinò lentamente.
“Faresti meglio... a cominciare”, aveva parlato lentamente e a voce bassa con il tono che sapeva faceva impazzire le ragazze.
Jayne arretrò, poi si voltò di scatto e cominciò a correre più in fretta che poteva.
Aprì la vetrata che conduceva alla veranda e si precipitò fuori, sentiva già la gola bruciarle e il respiro che diveniva affannato.
Sentiva i passi decisi di Ace dietro di lei e fu subito catapultata a molti anni prima, quando scappava dal ragazzo e le loro risate si disperdevano tra gli alberi.
Continuò a correre, usando gli alberi come scudi e questa volta era sicura di riuscire a seminare Ace.
All’improvviso si sentì una bambina, era come se il tempo non fosse mai passato e senza pensarci si voltò a guardare il ragazzo.
Aveva la fronte imperlata di sudore e la maglietta si alzava e si abbassava seguendo i movimenti del suo corpo, lasciando intravedere una striscia di pelle.
Aveva lo sguardo incredibilmente concentrato, deciso a non farsi scappare la preda ed era proprio così che Jayne si sentiva.
Si era sempre sentita preda dei giochetti di Ace, ma quello che fino a poco prima non aveva capito era che le piaceva, le piaceva tremendamente.
All’improvviso lui la raggiunse e fece per afferrarla, ma lei si chinò per schivare la sua mano e fece perdere l’equilibrio al ragazzo ritrovandosi schiacciata dal suo corpo.
Trattenne il fiato, sentendo ogni parte del suo corpo rispondere a quel contatto e il cuore cominciare a battere incessantemente nel petto.
Sollevò gli occhi, timorosa di incontrare lo sguardo di lui.
Ace aveva i muscoli delle braccia contratti per lo sforzo di non schiacciarla completamente con il suo peso, il fiato corto e il suo sguardo sembrava confuso.
Rimasero a fissarsi per un tempo interminabile, poi lui si tirò indietro i capelli ma una ciocca gli ricadde comunque sugli occhi lasciando Jayne senza fiato.
A quella distanza lei riusciva a intravedere ogni singolo particolare di quel viso mozzafiato: gli occhi grandi e penetranti, le piccole lentiggini sparse sulla punta del naso e le labbra carnose che in quel momento erano serrate.
Era dolorosamente bello.
“Ti ho presa”, sussurrò lui senza distogliere lo sguardo da Jayne.
Lei deglutì, avrebbe preferito che il ragazzo non riuscisse a leggerle nella mente così bene perché in quel momento stava pensando delle cose che non avrebbe mai ripetuto ad alta voce.
All’improvviso Ace fece una cosa inaspettata, si chinò su di lei e le sfiorò una ciocca di capelli liberandoli dalla morsa dei nastri.
Ne strinse uno tra le mani, osservandolo attentamente poi guardò di nuovo Jayne.
“Dove li hai trovati?”, le chiese a un millimetro dal suo viso e lei riuscì a percepire il suo fiato caldo sul collo.
“Li ho sempre avuti”
La voce di lei era tremante e insicura, mentre distoglieva lo sguardo incapace di incontrare quegli occhi così penetranti.
Ace non sapeva cosa dire, c’erano così tante cose che gli passarono per la mente in quel momento ma la bellezza di Jayne lo lasciò senza fiato.
Osservò attentamente quegli occhi grandi che riuscivano a scaldare il cuore, i capelli di un ramato così particolare che potevano appartenere solo a lei e quelle labbra sottili ma incredibilmente carnose, che Ace aveva sperato di vedere in tutte le ragazze con cui era uscito.
Per anni aveva cercato di convincersi che lei non gli mancasse, ma ogni volta che aveva sentito i suoi genitori parlare al telefono con il signor Backett aveva sperato che Jayne chiedesse di lui.
Non era mai accaduto e l’orgoglio aveva lasciato spazio al risentimento e così facendo aveva deciso di non farsi più incastrare da nessuna ragazza, ma aveva sottovalutato un particolare.
Il suo cuore era sempre rimasto incatenato a quegli occhi pieni di tristezza e a quella risata che Jayne aveva sempre regalato soltanto a lui.
Tutti i momenti passati insieme alla Villa gli tornarono in mente e fu come una pugnalata al cuore.
Si erano rincorsi, inseguiti fino allo sfinimento senza cedere mai, avevano condiviso risate e anche lacrime e si erano feriti a vicenda così tante volte nel tentativo di rimandare quel momento per sempre.
Quel momento era appena arrivato, l’attimo in cui non c’era spazio per incomprensioni e scontri.
Ace posò le labbra su quelle di Jayne, con una durezza che non credeva di possedere.
Si lasciò scivolare contro il suo corpo con forza, costringendole a dischiudere la bocca per permettergli di entrare con la lingua.
Mantenne gli occhi chiusi, cercando di respirare e da non farsi scalfire dalla morbidezza di quelle labbra che si stavano appiccicando in maniera perfetta alle sue.
Ace si rese conto che era il momento più doloroso che stavano condividendo, la prima volta in cui la rabbia lasciava spazio al timore.
Deglutì, insinuando una mano tra i capelli di lei e attirandola contro il suo petto.
Jayne sussultò, incapace di sottrarsi a quella stretta e sentendo le proprie convinzioni vacillare.
Avevano passato anni a rincorrersi senza mai incontrarsi veramente e invece in quel momento erano una cosa sola, si stavano fondendo alla perfezione e questo la spaventava.
Ace continuava a baciarla con una sicurezza e una lentezza snervante, la stava torturando e Jayne non voleva cedere.
Non voleva abbandonarsi completamente a quelle labbra, ma era più forte di lei e non riusciva a ragionare.
Si staccò da lui, ansante e lo guardò dritto negli occhi.
Fu un errore madornale: Ace era chino su di lei con la bocca arrossata e leggermente gonfia e si stava mordicchiando il labbro inferiore per riuscire a trattenersi dall’annullare nuovamente la distanza che li separava.
Gli occhi erano più scuri del solito, le pupille dilatate e stava deglutendo rumorosamente.
Jayne dischiuse la bocca per dire qualcosa ma Ace le posò una mano sulle labbra, accarezzandole lentamente.
“Non dire niente, ti prego”, sussurrò con voce arrancata. “Quando parliamo noi... finiamo sempre per litigare”
Lei rimase sorpresa dalle parole di lui, si rese conto che non c’era nulla di cui parlare.
Aveva passato anni a parlare in continuazione, senza mai capire che l’unica cosa che voleva era chiudere la bocca.
O meglio, chiuderla contro quella di Ace.
Sospirò, prima di ribaltare le posizioni e comandare lei il gioco.
Adesso Ace era sdraiato sotto di lei, sorpreso da quella presa di posizione e respirava profondamente.
“Sai, non mi sono mai piaciuti i nastrini”, disse lei prima di unire nuovamente le loro labbra.
Sentì Ace ridere contro la sua bocca e scoppiò a ridere anche lei, prima che lui dicesse: “Io invece comincio ad adorarli”
Rimasero a fissarsi negli occhi, come non avevano mai fatto prima di quel momento e capirono molte cose l’uno dell’altra.
Cose che avrebbero capito molto tempo prima, se solo avessero chiuso la bocca per qualche minuto.
Se non altro, impararono a farlo insieme.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3757780