La ragazza del ritratto

di daphtrvnks_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo Uno. ***
Capitolo 3: *** Capitolo Due. ***
Capitolo 4: *** Capitolo Tre. ***
Capitolo 5: *** Capitolo Quattro. ***
Capitolo 6: *** Capitolo Cinque. ***
Capitolo 7: *** Capitolo Sei ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sette. ***
Capitolo 9: *** Capitolo Otto. ***
Capitolo 10: *** Capitolo Nove. ***
Capitolo 11: *** Capitolo Dieci. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


L'aria era gelida, entrava fin dentro le ossa assieme al vento costante ed impetuoso, spazzava via le foglie lungo la strada ed il flusso dei pensieri. Si guardò intorno stringendo le mani cerulee nelle tasche della felpa grigia e calda, rabbrividì ma non smise di camminare.
Qualche goccia le cadde sul viso facendola sussultare, alzò il capo osservando il cielo nuvoloso, una lastra scura e pesante di nubi in procinto di scaricar tempesta.
Aumentò il passo calpestando pozzanghere di fango con le scarpe logore, poco le interessava, doveva tornare immediatamente a casa. Pensò di esser forte, cosa poteva mai farle un soffio di vento o la completa oscurità? Nulla.

Se lo ripeteva da tempo.

Si era trasferita a Seoul in modo da poter terminare gli studi di lingua, vent'anni e nessun futuro da poter percorrere, nessuno obbiettivo da inseguire. Aveva lasciato alle sue spalle una città splendente e soleggiata della California, un paradiso in terra con i suoi giardini, i palazzi brillanti e l'aria di festa, leggera e non pesante come quella  coreana.
Rifletteva mentre i tuoni e i lampi si facevano sempre più frequenti spaccando la tranquillità di quei luoghi isolati, e forse per questo pericolosi.
Un rumore, impercettibile quasi, un movimento poi simile ad un'ombra.
Un topo, pensò, cosa poteva mai essere? Quei quartieri erano pieni di ratti, gatti randagi e chissà che altro.

Non aveva niente di cui aver paura.

Fece un breve giro su se stessa, il tempo di accertarsi e far mente locale quando, ricominciando a camminare e dandosi della stupida per i suoi inconsci timori, un dolore acuto e profondo si espanse per tutto il suo candido collo, esso imbrattato poi dal liquido cremisi del suo stesso sangue.
Si sentì morire mentre i battiti del suo cuore aumentavano e le gambe diventavano molli, le dita esili delle sue mani, dalla bellezza pura come facessero parte di un quadro, si contorsero.
Il grido d'aiuto le si bloccò in gola, incatenato dal panico e dal sonno che, indisturbato come uno spirito immondo, si impadronì di lei.
Prima che le iridi lucenti potessero venire inghiottite da un nero pece riuscì ad intravedere una figura dalla forma vagamente umana, e l'udito scaltro percepì una frase: 'Dormite, creatura divina.'  

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Capitolo 2
*** Capitolo Uno. ***


Svegliatevi' 

Si sentì toccare ripetutamente. 

Una mano sembrava fosse poggiata sulla sua spalla ancora coperta dalla felpa. Stonata ed ancora confusa preferì non rispondere a quel richiamo, addolcita dalla comodità e dal calore che il letto su cui era poggiata le stava donando. Nuovamente la mano riprese la sua opera, questa volta con maggior vigore, il suo corpo minuto veniva scosso con una forza, così le era parso, sovrumana. 

'Kassava Clayer, vi ordino di alzarvi!' 

Lentamente riprese lucidità, i crini dai colori autunnali erano sulla sua guancia, appena umidi. Decifrò in un secondo ciò che lo sconosciuto le aveva detto nonostante il coreano fosse appena arruginito.

Come poteva quella voce così roca e profonda sapere il suo nome, eppure non le parve di conoscerla. 

Il panico la colse scatenando un flusso di adrenalina che la portò a mettersi seduta con uno scatto improvviso. Sul materasso coperto con grazia da lenzuoli in velluto rosso percepì di essere estranea a quel posto, a disagio. Quando riuscì a mettere a fuoco, ancora sconvolta e intontita, le si parò dinanzi una camera dai mobili in legno, così lussuosa e lontana dallo spazio e dal tempo.

Un'epoca dalle sfaccettature barocche, un'esplosione di intarsiature e contorni che abbellivano con sicurezza armadi e comodini, persino quel letto che scoprì essere a baldacchino. 

Era sicura di non essere nella sua casa, scontato, osò pensare.

Non aveva idea di come ci fosse arrivata fin lì e bastò chiudere le palpebre e fare un profondo respiro. L'ossigeno arrivò nei suoi polmoni trasportandola in un effimero momento di pace; ricordava adesso, seppur sfocatamente.

'Vi siete ripresa, donzella?' 

Quando ancora quella voce fece capolino arricciò il naso contrariata. Perché mai rivolgersi a lei in quel modo?

Ma ciò che maggiormente la sorprese una volta aver spostato la sua attenzione sull'uomo fu che, contrariamente a quanto si aspettasse, egli fosse davvero attraente.

Forse suo coetaneo. Portava con estrema eleganza un cappotto blu scuro che la sua mente fugace era riuscita a sovrapporre alle divise napoleoniche; bottoni dorati e medaglie d'onore accuratamente posizionate sulla destra, in alto. Le spalle avevano dei fronzoli corti, anch'essi di quella tonalità. Al di sotto del cappotto ecco far capolino una camicia bianca perfettamente stirata, essa portata dentro dei pantaloni stretti e neri, i piedi ed i polpacci fasciati accuratamente da degli stivali in cuoio, neri. Ma non fu solo l'abbigliamento inusuale a colpirla ma il suo viso, i tratti duri e la carnagione d'avorio, delicata. Le iridi come carboni ardenti, cupi come la notte, le bloccarono il fiato con la forma dei suoi occhi a mandorla. 

Le labbra carnose, fiori di pesco, poi i suoi capelli scompigliati, corvini e ribelli, una frangetta a coprirgli la fronte, indomabile. Quanti contrasti in un solo essere, luce e tenebre in un'unica persona. Qualcosa le era sfuggita alla vista ma la notò solo successivamente; dei bianchi guanti alle mani. 

'So cosa pensate, il mio nome è Kim Taehyung e sì, non appartengo a questo secolo.' 

Kassava non credeva a nulla che lo sconosciuto ragazzo stesse facendo uscire dalla sua bocca, come se non lo stesse ascoltando ella cercava conferme in altri dettagli. Quel modo di vestire, il comportamento consono a uomini d'alto rango e la sua posa eretta, immobile come una statua di cera. 

Il sorriso che venne accennato sul viso di Taehyung la paralizzò, sincero ed onesto, che non volesse farle del male? 

'Capisco la vostra reazione, vi lascerò riflettere in solitudine. Oh, un consiglio, se vogliate - ' 

Era sul punto di aprire la porta e lasciarla sola quando con l'indice e il medio le fece segno di toccare il collo. 

'Meglio che vi puliate, siete sporca, Kassava.' 

Detto ciò la sua figura imponente uscì dalla stanza, aveva percepito la serratura scattare, segno che avesse chiuso a chiave e con lentezza, apparente calma ed al contempo un turbinio di emozioni, aveva preso coraggio. Le dita avevano tastato la pelle alla ricerca di segni che poi aveva sfiorato, due fori al tatto simili; un morso. 

Scese con irruenza giù dal letto, i piedi scalzi avevano rabbrividito contro il marmo bianco della camera. 

Come una furia aveva corso fino ad uno specchio dalla cornice argentata ma quando si fu avvicinata, col cuore scalpitante, aveva notato che il suo riflesso non ci fosse. 

Le splendide giade dei suoi occhi lasciarono cadere lacrime amare, un pianto silenzioso e colmo di domande a cui non aveva risposta. 


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Capitolo 3
*** Capitolo Due. ***


Erano passate ore o forse solo minuti, rimase il fatto che la sua pazienza stava per raggiungere un limite massimo. Non aveva idea di dove si trovasse, il perché di quello che stava succedendo e la sensazione di spossatezza che aveva avvertito una volta sveglia continuava peggiorando. La testa le sembrava pesante e le labbra venivano costantemente morse, stranamente sentiva la necessità di avvertire il sapore ferrugginoso del sangue, prelibato e raro. Gli zigomi erano asciutti e i capelli appena ondulati e di un rosso spento erano lasciati liberi di vagare sul cuscino dalla fodera in seta, un mare dalle onde mistiche, quel cremisi che incorniciava il suo viso di porcellana. Le ciglia, lunghe esse, conservavano i residui di quel furibondo pianto mentre una costellazione di lentiggini si posava indisturbata sulle sue guance. Assorta dai suoi pensieri contorti la porta venne aperta con irruenza, sull'uscio di questa uno sconosciuto, non era Taehyung ma qualcuno di più grande; egli aveva una carnagione pallida, sicuramente proveniente da luoghi dal freddo più intenso. L'aveva guardata per qualche attimo riservandole uno sguardo amichevole, quasi fraterno. 

'Taehyung vi vuole, se volete seguirmi Kassava.' 

Si alzò come se nulla avesse a perdere, silenziosa aveva camminato sinuosamente, passo dopo passo. Non ne aveva il motivo ma il suo corpo reagiva stranamente, quasi come se una nuova personalità stesse prendendo il sopravvento, selvaggia essa era come un fuoco scoppiettante pronto ad ardere e divenire incendio. Aveva seguito quell'uomo intuendo che anch'egli fosse di un altro contesto storico, rinascimentale, accurò fosse del 500' per le sue vesti dal tessuto in velluto e il mantello sulle spalle simile ai mercanti italiani di quell'epoca, non si sarebbe mai detto ma le lezioni di storia dei corsi universitari erano serviti a qualcosa. La condusse per un lungo corridoio, i lumi sulle pareti ad olio d'inizio novecento e poi, dopo un cammino interminabile di quadri e dipinti arrivarono in un enorme salone. Le pareti di un grigio freddo e distaccato, su di queste erano raffigurati ritratti di donne e uomini d'ogni secolo ma ciò che la stupì fu una tela dalle dimensioni spropositate, posta sopra il grande camino in marmo acceso. Raffigurava Taehyung seduto su una poltrona, nella mano sinistra coperta dal guanto un calice traboccante una sostanza rossastra, lo sguardo vacuo era fisso, la mano destra teneva un'altra mano, più delicata e femminile... qualcosa non tornava, la tela era tagliata, mancava un personaggio, una figura principale accanto a quel soldato. 

'Bene, grazie tante Seokjin puoi ritirarti. Kassava, vi dispiacerebbe sedervi?' 

Ebbe un sussulto, come aveva fatto a non notarlo, certamente la sala era immensa ma tra le poltrone e il grande tavolo in mogano non lo aveva visto. Possibile fosse arrivato dopo?

Era seduto sulla stessa poltrona del dipinto, tra le dita una sigaretta e la posizione comoda, rispetto a quella ritratta. Ella si era guardata intorno e dopo essersi seduta su una poltrona in pelle marrone aveva fatto vagare lo sguardo ovunque, in soggezione ma con un grande tarlo a martellarle le tempie. Cosa stava accadendo?

'Calamatevi mia cara, percepisco da qui i vostri dubbi e timori.' 

Il tono mellifluo della sua voce l'aveva tranquillizzata, un effetto benefico sul suo corpo che aveva smesso di torturarsi, eppure, il bisogno di stringere con forza il labbro inferiore non l'aveva abbandonata. Vivace il rosso, un fiume in piena che le si era sparso per il palato, per la bocca, la lingua che assaporava avida ogni singola traccia.

'Vi capisco, la prima volta è tragica per tutti noi ma con calma, non è il vostre sangue che dovete gustare per quanto buono esso possa apparire.'

Ancora una volta le aveva sorriso e con lentezza aveva portato la sigaretta alle sue labbra, aspirando profondamente e lasciando in una nuvola aspra e pungente la nicotina. La cenere, cadde come neve sul marmo e lei si fermò a guardarla in estasi. Un soffio di vento la turbò, trovò dinanzi al suo viso un calice e l'odore inebriante del liquido contenuto la stordì. 

'Bevete, Kassava.'

Gli smeraldi delle sue iridi si erano spostati sul viso del soldato e il calice, impotente si era abbandonata agli istinti. 

Bevve.

Il sangue colava dalla sua bocca cadendole sulle vesti, la poltrona, percorrendo dal mento al collo in una via splendente. Quel liquido scendeva e macchiava l'anima della ragazza, la corrompeva e la distruggeva, il diamante grezzo e puro divenne di quel rosso, rubino non era altro che lo spirito della creatura immortale e sadica che era divenuta.


//Yay!

È la prima volta che appaio nelle note di questa storia...ma dettagli. Sono daph e questa è la mia prima storia su i bangtan, premetto di aver preso spunto da una mia vecchia storia del 2014, ripescata, modificata e riadattata. Insomma, ditemi se vi piace e lasciate un recensione! Vedrò di aggiornare presto!

Alla prossima!

-Daph

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Capitolo 4
*** Capitolo Tre. ***


Il vento soffiava forte, raffiche impetuose facevano sbattere con tonfi le persiane in legno della villa. Il manto dai colori gialli e aranciati si muoveva come un'onda, di vita propria si esibiva in un ballo lasciando che le foglie secche svolazzassero sospinte dall'aria frizzantina dell'autunno.
Il fuoco scoppiettava nel camino dalle colonne in granito rosa finemente lavorato illuminando con il suo bagliore il viso di perla del ragazzo seduto sulla poltrona, i suoi capelli bianchi come la neve accarezzavano freddamente la sua pelle e gli occhi come la pece osservavano senza sosta il piano venir suonato con maestria da un giovane.
Le piccole mani di quello producevano arte, mellifluo il suono che incombeva nella casa e nell'anima di colui che lo guardava.

Si infiltrava nel suo cuore la musica, ogni tasto premuto con leggerezza era un eco nell’involucro vuoto del suo corpo, ritornava in vita, si concedeva alle emozioni e poi si lasciava cadere stanco da cotanta bellezza.
Egli si soffermava sui dettagli; le labbra socchiuse dei fiori di ciliegio, le iridi lucide e le spalle che scosse dalle note seguivano il ritmo.
Rimaneva incantato dalla morbidezza dei suoi crini di seta e rifletteva nei suoi taciti pensieri paragonandolo alla primavera, avido di lui che era l'inverno.

Contrastanti, poli invertiti e attratti.

Il loro amore si celava tra le mura di quella grande casa scricchiolante, con il passare lento delle stagioni e degli anni e dei secoli che non li facevano mutare.

Yoongi ricordava il giorno in cui si incontrarono, in cui tutte ebbe inizio: c'era vento ed era anche lì autunno, la fine dell'800' era vicina e le armate giapponesi avevano fatto irruzione nella loro città creando scompiglio e confusione.
Vagava alla ricerca di cibo nelle abitazioni isolate e disastrate di chi aveva trovato la morte, il rumore dei suoi passi in quella sera gelida d'ottobre erano pesanti, le assi in legno cigolavano sotto il suo peso e le mani infreddolite aprivano con irruenza ogni cassetto, ogni volta deluso nel non trovarci nulla. Aveva imprecato più volte quando il rumore di una ciotola caduta a terra lo distolse dalle sue blasfemie.
Rizzò le orecchie e furtivamente si avvicinò nella stanza accanto alla cucina, quella che una volta apparteneva ad un semplice pastore e alla sua famiglia. La paura gli faceva ribollire il sangue nelle vene, la testa girava per i morsi della fame e del freddo. Si fece coraggio stringendosi nella sua casacca sgualcita e fece la sua entrata in quella che doveva essere una sala da pranzo ammobiliata con un tavolo e quattro sedie ricoperte da un lieve strato di polvere: trovò dinanzi a sé un ragazzo più giovane, stringeva tra le mani un pezzo di pane e in piedi lo guardava spaventato e tremolante. Nella penombra Yoongi fece qualche passo in avanti, lo guardò quasi con tenerezza notando si togliessero solo qualche anno e che, in egual modo, anch'egli stesse patendo le sue stesse pene.

'Non voglio farti del male… cerco solo da mangiare.'

Il ragazzo abbassò le spalle tranquillizzandosi e posando gli occhi sul pezzo di pane che costudiva gelosamente lo divise in due parti allungandone una verso lo sconosciuto.

'Possiamo mangiarlo assieme se ti va.'

Aveva sussurrato elargendogli poi un sorriso rassicurante.
Da quel momento in poi ogni volta che uno dei due avesse trovato qualcosa si sarebbero trovati in quel luogo per condividerlo, si erano conosciuti instaurando una forte amicizia, dopo di essa con l'arrivo dell'estate sfociò l'amore e con questa anche l'immortalità che li avrebbe legati in eterno.

Una notte di metà luglio con l'arrivo di nuove truppe giapponesi dovette scappare per cercare rifugio nel fitto bosco che costeggiava la città, ricordava bene quei momenti, a dire il vero ricordava ogni cosa come se fosse accaduta appena un giorno prima. Portava addosso ancora i segni di quello che definiva come 'incidente', perché benché conoscesse come le sue tasche Jimin egli gli aveva nascosto un segreto pesante che reggeva unicamente da solo, e che poi come quel pezzo di pane, aveva condiviso con lui.
La corsa sfrenata tra le fronde gli era costata graffi e cicatrici, le tracce del suo sangue risultarono fiutabili a chilometri e una creatura che credeva inesistente si palesò a lui non appena aver varcato il confine per la nuova città.
I battiti del suo cuore, come tamburi, avevano coperto i passi felpati del licantropo e quando lo trovò dinanzi al suo viso ringhiante e con i lunghi artigli delle zampe a sbarrargli la strada, lo riconobbe; quegli occhi, le iridi lucenti e la forma dolce, non poteva essere altro che il suo amato.
Un lupo dalle grandezze spropositate e dal manto grigiastro, così ammaliante anche in quella forma selvaggia.
Aveva provato a persuaderlo ma preso dagli istinti l'aveva graffiato all’altezza del fianco destro.
La carne squartata e le lacrime a riempire il viso, si era ritrovato tra gli arbusti e le foglie, tra un singhiozzo e l’altro, la paura a stringergli le membra e il lancinante dolore. Al contrario di quanto si aspettasse, convinto che sarebbe bastato poco per venir ucciso, il grande lupo elegantemente aveva chinato il capo sul suo corpo martoriato e con lentezza aveva preso a leccare la ferita. Gli restò accanto fino al mattino seguente, stringendolo e prendendosi cura di lui, attento ad ogni minimo spostamento o insolito suono.
Quando tornò nelle sembianze umane decisero che non si sarebbero divisi e che  in quel modo sarebbero stati per sempre insieme.
Egoistico forse, sapeva che Jimin si pentisse ogni giorno per quel gesto sfrontato ma a lui andava bene così, si amavano e anche se avrebbero sofferto si sarebbero fatti forza. Alla fine però quella pelle iniziava a star stretta, fuggire, cambiare, un circolo folle che dava alla testa.
Volevano metter fine al prezzo insolente dell'immortalità e presto ebbero la possibilità di farlo; era giunta notizia da un loro vecchio conoscente che un'altra primogenita dei Clayer fosse giunta in Corea e che ora fosse in custodia da uno dei Kim.

C'era una leggenda in merito alle primogenite femmine della famiglia Clayer, ovvero che una volta trasformate in una delle orribili creature sovrannaturali il loro cuore, strappato pulsante e morso, potesse far tornare i mostri nuovamente umani, liberi dal passare del tempo e mortali.

Sapeva che erano ben in sette a voler usufruire di quel dono e sperava che il più giovane dei Kim non cadesse di nuovo in tentazione rovinando il piano ben architettato ed innamorandosi dell'umana, per quel motivo anni orsono si era creata una faida che aveva fatto perdere loro i contatti.

'Jungkook mi ha inviato una lettera scrivendo che una delle Clayer è a casa dei due Kim.'

L'ultimo tasto del piano venne premuto e il tono serio del ragazzo arrivò dritto fino ai suoi timpani.
Si posizionò sulla poltrona leccando le labbra sottili e leggermente rossastre.
Non lo aveva avvertito, risuonava come un rimprovero quel commento.

Perché diavolo non me lo hai detto?'

Si girò sullo sgabello osservandolo con attenzione, i loro sguardi si scontrarono e se in uno si leggeva mera sfida nell'altro aleggiava rabbia.

'Sai bene che Taehyung cederà ancora, non l'ho detto per non farti illudere inutilmente.'

Gli rispose con tranquillità e notando i denti digrignati del ragazzo capì che quella risposta non gli era per nulla piaciuta.
Lo vide alzarsi di scatto e portare furiosamente le mani tra i ciuffi chiari, l'orecchino pendente sull'orecchio destro si mosse riflettendo di luce cremisi la fiamma nel camino.

'No, lo impediremo. Non riesco a stare più di una settimana chiuso in questa maledetta casa con-'

Yoongi lo interruppe scandendo le parole  che stavano per fuoriuscire dalla sua bocca con uno sforzo immane.

'Con la paura di poterti trasformare ancora… Vieni qui.'

Si guardarono per qualche attimo e poi, come un bambino ubbidiente, andò a sedersi sulle ginocchia del maggiore posando il capo sulla sua spalla e soffocando un singhiozzo.
Lo avvolse in un abbraccio stringendo la sua schiena con le braccia e lasciando che si sfogasse, le lacrime salate gli bagnarono la giacca ma a lui non importò più di tanto.

'Farò di tutto per porre fine al nostro calvario, te lo prometto.' 

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Capitolo 5
*** Capitolo Quattro. ***


C'erano incubi che tagliavano la tranquillità della notte, il bagliore delle stelle scemava diventando un flebile ricordo e dava spazio alle paure più profonde, rendevano inquieti e insicuri, spesso essi non era altro che spezzoni di vita vissuta che cauti bussavano alla porta della mente e senza aspettare risposta si infilavano maldestri, spesso sfocati e confusi, distruggevano e poi andavano via.
Solitamente le creature come lui non avevano bisogno di riposo eppure uno strappo alla regola c'era sempre e quello era il suo caso; amava, egli, rimanere al riparo tra le lenzuola con il capo sul cuscino morbido a divagare tra i pensieri con occhi chiusi, si abbandonava infine tra le braccia di Morfeo lontano dai mostri.

La neve si nascondeva in ogni fessura, quella che aveva considerato come meraviglia si era rivelata in quel paese ostile come qualcosa di orribile. Entrava perfino negli stivali, alti e neri, arrivavano fino al polpaccio e dei suoi piedi ormai non ne sentiva più neanche le dita. Il fucile poggiato sulla spalla destra non era altro che un impiccio per le sue mani gelate - non credeva lì in Russia facesse così tanto freddo.
La punta del suo naso era rossa, un torpore sulle guance provocato dal suo fiato caldo che appariva come un nuvola lieve spazzata via dal vento che portava con sé i fiocchi.
Lo stomaco chiuso per la fame.
Affondava passo dopo passo e le iridi scure osservavano metro dopo metro i disgraziati crollare nel soffice manto colti dalla morte improvvisa.
Si faceva coraggio lui che lì non avrebbe dovuto esserci, perché un orientale a proteggere un paese occidentale non si era mai visto ma il suo giovane animo era stato rapito dalle fluenti parole di un uomo, che solo in seguito avrebbe definito egoista e tiranno, il quale governava ora la Francia.
Perché gli ideali di rivoluzione avevano sorpreso tutti, perfino un semplice coreano che felice di viaggiare per il mondo seppur con pochi spiccioli, si era prestato a quella gloriosa missione.
Era stato felice poi di trovare altri stranieri, anch'essi coreani ed unitesi all'armata napoleonica ma era stato sfuggente quel sentimento, un nulla.

'Non arriveremo mai a Mosca...'

Quelle parole rimbombavano nei suoi timpani in un eco incessante, ma non servirono a un granché perché a Mosca ci arrivarono e questa era in fiamme.
Si alzavano alte con zampilli di fuoco, le case disabitate e le scorte di cibo assenti, tutto crollava in boati incontenibili e si percepivano le urla dei soldati sorpresi da attacchi.
Si era inginocchiato tra la coltre bianca attendendo un proiettile, assieme a lui i suoi due nuovi conoscenti, amici in quel viaggio che conduceva in un'unica direzione e le lacrime di Jungkook le ricordava, sentiva ancora i suoi singhiozzi scostanti e i borbottì di Hoseok che stringeva con forza il tessuto della sua divisa con le falangi insanguinate e i crini che venivano bagnati dalla neve, gli si appiccicavano al volto e lui ringhiava con le labbra screpolate.
Restava in silenzio, in quello scempio che pareva gli inferi.
Quando poi si presentò a loro uno sconosciuto, reggeva tra le mani un'arma e la sua era una divisa nemica; un cappotto verde e lungo, una cintura nera e spessa e il cappello tipico di quel popolo dei ghiacci ma i suoi occhi, riconobbe la forma simile alla sua, a quella di Hoseok e di Jungkook.
Parlò poi, il tono fermo e apatico, ciuffi di un castano chiaro a contornargli la fronte e di nuovo quelle parole rimbombarono ma più forti e minacciose che mai:

'Vi propongo un accordo, è semplice e spero accettiate, anzi, siete obbligati a farlo. Dunque, l'immortalità in cambio del vostro aiuto.'

Nessuno credette alle sue parole ma la canna del fucile era così vicina ai loro visi che ognuno di loro, poi, si vide costretto ad accettare ignaro delle conseguenze che arrivarono a fiotti di sangue.
Ciò che ne seguì fu un massacro; mutati, trasformati in vampiri la voglia di bere era così travolgente che i soldati della loro stessa armata furono presi indistintamente.
Quelli con cui avevano condiviso le pene del freddo vennero uccisi, dissanguati uno ad uno.
Chissà se non avessero accettato, se lui non si fosse offerto per primo lasciandosi ingannare dal sorriso sincero di quel ragazzo, scoperto infine essere Namjoon, leader e capo di una delle più grandi progenie di vampiri in Russia e dintorni.
In Francia ne tornarono 100.000 ma quelli arrivati a Mosca ed uccisi da loro ne cantavano ben 307 nel giro di tre giorni.

Non c'era luce quando si svegliò, regnava indistinta la completa oscurità e il suo pensiero andò ai due: con Hoseok aveva perso i contatti da mezzo secolo, dopo quella faida che aveva diviso i sei irrimediabilmente, un errore umano, sì, era stato definito così il suo amore per una delle Clayer.
Jungkook al contrario spesso mandava delle lettere, particolari, ognuna di queste possedeva un odore e francobolli dai colori sgargianti, gli riferiva qualsiasi cosa e di buon grado da fratello maggiore gli rispondeva con consigli e rassicurazioni.
Pensandoci bene nell'ultimo mese non aveva ricevuto nulla ma si tranquillizzò sapendo che anche Seokjin, padrone di casa e vampiro da quasi cinque secoli nonchè suo amico più fidato e maestro, scambiasse lettere con lui e che non ci fosse motivo di allarmarsi.
Il filo dei suoi pensieri era veloce, difficile da stare al passo perché subito esso andò a Kassava, la sua voce era acuta e le sue risa arrivavano fin lì.
Controvoglia si alzò, frastornato e barcollante si diresse verso il fulcro di quei rumori trovando a sua sorpresa un Seokjin intento a raccontare una delle sue strabilianti avventure; tra le mani un bicchiere in cristallo a coppa che faceva muovere avanti e indietro alzando ed abbassando il tono per imitare messeri d'altri tempi per rendere la sua storia il più realistica possibile ed ella poggiata al tavolo lo ammirava estasiata ridendo.

'Perciò risposi: " Messere quello che portate è un mulo non un cavallo!" e la sua faccia, avresti dovuto vederla!'

Altre risa si alzarono e i due scossero il capo cercando di calmare i respiri, il bicchiere venne posato e quando Seokjin alzò lo sguardo tentò di tornar serio, inutilmente, dato il lato delle labbra tendente ancora verso l'alto.

'Vi divertite noto.'

Kassava spostò la sua attenzione sul viso del soldato notando quanto esso fosse impeccabile, nessuna imperfezione nonostante si vedesse chiaramente si fosse appena destato.
I crini erano al loro posto rendendolo ammaliante e le iridi verdi percorsero con troppa audacia le forme del corpo dell'uomo finché nuovamente Seokjin non interruppe:

'Jungkook scrive ancora, è sul tavolo in salotto... sarebbe opportuno la leggeste per prendere al più presto provvedimenti e quasi scordavo - sospirò appena per poi riprendere con lineamenti più seri - Namjoon desidera incontrarvi.'

// Yay!
Una precisazione all'Alberto Angela e sparisco giuro ; L'armata Napoleonica cercò invano di invadere la Russia nel 1812 ma il clima era così rigido che la campagna finì con la disfatta francese.  Mosca, appunto, venne bruciata dai russi stessi in modo da non lasciar nulla e sorprenderli.
Ovviamente Namjoon è un soldato 'russo' e Hoseok, Jungkook e Taehyung fanno parte dell'armata francese.
Bye! 

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Capitolo 6
*** Capitolo Cinque. ***


- Caro Taehyung,
mi dispiace non averti scritto in queste ultime settimane e puoi capire il perché io non l'abbia fatto, la nostra amicizia è salda e lo è sempre stata fin dal primo giorno e confido in te con questa nuova ragazza che sai bene ella sia la nostra ultima spiaggia, la possibilità di poter tornare umani, mortali in mente e corpo, per ricominciare a vivere e spero vivamente che tu non commetta lo stesso sbaglio.
Ti siamo vicini e sappi che, anche se forse questo è un errore, mi sono preso la libertà di avvertire gli altri.
Namjoon desidera incontrarti, non sii arrogante nei suoi confronti, vuole il nostro bene e l'ha sempre voluto.
Verrò a trovarti appena ne avrò la possibilità lì a Seoul.
Saluti, Jeon Jungkook. -

Sospirò stropicciando la carta all'odore di cannella, il foglio giallognolo era stato scritto a mano con l'inchiostro come i vecchi tempi.
La sua epoca gli mancava, desiderava poter tornare indietro e cambiare il corso della storia ma ciò era impossibile e amaramente se ne pentiva.
Sarà stata l'ottava volta che rileggeva quella semplice lettera e spesso Kassava era al suo fianco, lo osservava e questo lo metteva a disagio facendolo sentire scomodo, inadatto al compito che gli era stato affidato.
La somiglianza con la sua antenata era incredibile e questo giocava a suo sfavore, le iridi verdi come i prati lo facevano fremere sulla poltrona in pelle e l'autocontrollo gli impediva di fiondarsi sulle labbra carnose di quella donna, che copia, un tempo l'aveva stregato.
L'amore che li aveva colti era stato irrefrenabile, un uragano dai colori sgargianti e il profumo di rose.
La ricordava stretta in quell'abito color crema che le fasciava la vita, occidentale con il viso di perla e il seno candido come la neve spesso ricoperto da gioielli della sua nobile origine.
La tela sopra il camino però gli riportava alla mente il perché di quel personaggio tagliato, il perché di quel sentimento impossibile ed a ciò che aveva provocato con quel gesto insulso, non uccidendola ma lasciandola libera, alla fine, gli eventi erano giunti sempre nella stessa direzione, con la sua morte ma attenzione, voluta, desiderata e bramata per poter togliere di dosso la maledizione che poi era stata tramandata fino a Kassava, ignara la povera anima che non si faceva molte domande perché non sapeva quello che le stava per accadere.

'Quindi, per quando è fissato?'

Il soldato si risvegliò di soprassalto dai suoi pensieri e lo sguardo di ghiaccio di Namjoon lo fece appena tossire.

'Suppongo che tra qualche settimana si possa procedere, no?'

Egli annuì sorseggiando dal calice un po' del vino, lo posò sul tavolino di vetro al suo fianco e prendendo un profondo respiro si alzò dalla sua posizione guardandosi attentamente intorno.
Irriconoscibile nei suoi abiti pesanti; un lungo cappotto scuro lo copriva, aperto lasciava intravedere un dolce vita nero che accarezzava con il tessuto morbido il suo collo esangue.
I ciuffi argentati cadevano sulla fronte e velavano il taglio dei suoi occhi.
Ogni qualvolta Namjoon facesse visita, e ciò avveniva raramente, l'atmosfera diveniva stranamente tesa e questo non era per il suo status di vampiro ultracentenario ma per uno scambio di sguardi piccante che rivolgeva ad un uomo soltanto, il quale aveva amato follemente ma in silenzio.

'Lei dov'è?'

Taehyung sospirò ed indicando con l'indice contornato da anelli da gemme rosse il corridoio alzò appena lo sguardo.
Percepiva l'ansia di Namjoon e notava tremasse, la sicurezza che lo aveva condotto fino alla sua casa scemava non appena una delle risate di Seokjin sembrasse divenire più nitida.

Ed era vero infatti, sempre più limpida e contagiosa.
I passi di Seokjin accompagnati da Kassava e poi le loro figure.
Per ragioni contrastanti il soldato ed il maggiore rimasero senza fiato, impalati come statue di marmo.

'Non credevo fossi qui. '

Le risa si zittirono e il suo petto che lentamente riprendeva il ritmo regolare assieme al suo respiro fu intercettato da Namjoon.
Il tono rauco non era appartente a Jin ma venne spontaneo e spaventoso per l'altro che iniziò a rimurginare sui suoi sbagli e tornò indietro con la memoria, a un tempo in cui tutto andava per il verso giusto e in cui... finalmente poteva ritenersi vivo.

Kassava osservava curiosa i due, attenta ai dettagli e alle espressioni che incorniciavano i loro visi.
Le mani erano posate con grazia sulla gonna ampia e dorata, i ricami su questa erano soffici al tatto e i crini ondulati del bel cremisi si adagiavano sul corpetto, fili erano sulle sue spalle candide ricoperte da lentiggini.
Una dea in quella veste ottocentesca che metteva in risalto il suo fisico gracile ma armonioso.

Seokjin le aveva fatto fare un giro della casa lasciando che ammirasse e toccasse con mano tutti gli oggetti risalenti a secoli prima, le raccontò le storie che essi celavano e poi, quando si trovarono nella camera di Taehyung essenziale e priva di colore, aprendo il suo armadio trovarono in un angolo, un anfratto nascosto, il magnifico vestito che decise di provare.
Il ragazzo non le aveva dato molte spiegazioni, si limitò a dire che forse esso era appartenuto a qualche dama che aveva vissuto in quella casa prima del loro arrivo,  ma il modo in cui lo disse le risultò strano e le continue pause nella frase le fecero capire che fosse una menzogna e che in quei lunghi anni Jin non avesse imparato a mentire.
Dunque il dubbio rimase e si ripromise che avrebbe prima o poi chiesto spiegazioni.

'Raccontavano che col passare del tempo i sensi diventassero più acuti ma noto che per te, Seokjin, sia il contrario.'

Una punta di sarcasmo era stata inserita tra le parole e lo sguardo che poi rivolse al vampiro fu indecifrabile, come volesse innervosirlo e far scatenare in lui una reazione, quasi come se tra le lettere gli stesse urlando:  'Ti sei dimenticato di me tanto da non accorgerti che io fossi qui a respirare il tuo stesso ossigeno.'

'Bada a quello che dici, potresti accidentalmente morderti la lingua con i tuoi stessi denti.'

Taehyung allungò una mano in avanti, il palmo aperto, cercando di calmarli.
La sua attenzione che qualche minuto prima era stata rivolta a Kassava fu bruscamente rimpiazzata dai due uomini.
Si fissavano con occhi truci e al segnale che le iridi di Seokjin, strappate da un mare di rancore, stessero per divenire dell'azzurro dei fiumi si alzò dalla poltrona.

'Non è tempo per discutere e... - un brivido percorse la sua schiena nell'incrociare lo sguardo di Kassava che con le labbra schiuse e segnate da lievi tagli lo scrutava. -
sarebbe meglio se vi cambiaste, sarebbe un peccato rovinare l'abito.'

Il seguito uscì come un sussurro e il capo si chinò, sentiva sulle spalle il peso dei ricordi che opprimenti si facevano spazio a forza cercando di possederlo e più li respingeva più essi diventavano reali prendendo forma e cambiando lo spazio e tempo.
La pelle liscia macchiata da puntini rossastri simili a costellazioni che amava baciare posando con lentezza le labbra gonfie dai baci impuri e la lingua che assaggiava il sapore dolciastro dei suoi seni.
Nulla, non era rimasto altro che quel pezzo di stoffa come segno indelebile di quella donna e dello sconvolgimento che aveva provocato nella sua vita con la sua sola esistenza. 

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Capitolo 7
*** Capitolo Sei ***


La luna era alta nel cielo, illuminava con il suo intenso bagliore le distese incolte di grano e i sentieri sterrati. 
Le fronde dei pini e salici si muovevano in armonia come in una danza senza musica, la folata soffiava tranquilla e il galoppare dei destrieri li conduceva verso Roma.
Lo stato pontificio con le sue arti li affascinava e i mantelli svolazzavano durante la cavalcata. 

Seokjin si lasciava cullare dalla brezza di luglio ascoltando attentamente le parole del suo compagno che nel suo abito seicentesco svettava in bellezza; un rosso vermiglio dai bottoni dorati e catenelle che avvolgevano il suo collo pallido.
L'accento che seguiva in ogni sua frase, del nord, lo affascinava, il francese che usavano per comunicare rendeva magica l'atmosfera. 

'Non siete mai stato nella Vestfalia? '

Egli scosse il capo lasciando che la frangia scura divisa in due parti venisse tirata indietro dal soffio della natura.
Si stagliava in lontananza la città, nelle sue costruzioni romane e nella meraviglia delle architetture imponenti, non comparabili con quelle di Firenze in cui oramai viveva. 

'C'è guerra e peste, al momento non ho neanche denari sufficienti per poter affrontare un viaggio di tale distanza.' 

Il cavallo dal manto bianco di Namjoon si fermò e il suo sguardo volse al cielo stellato. Seokjin rimase qualche secondo ad osservarlo per poi far avanzare lo stallone nella sua direzione. 

'Cosa ammirate?'

Chiese con curiosità accarezzando la criniera dell'animale, soffice e delicata al tatto. 

'Questo cielo e questa luna mi ricordano voi, il candore vi accomuna e fate rimanere senza fiato.' 

Il maggiore si lasciò travolgere da un rossore che si sparse per le guance e il volto portandolo ad abbassare lo sguardo per l'imbarazzo, non un sussurro uscì dalle labbra carnose e portando il mantello dietro le sue spalle fece riprendere lo stallone a proseguire. 

'Non mi paragonate a nulla messere?' 

Scappò una leggere risata che portò Namjoon a fare una smorfia e il ragazzo rispose a quella domanda posta con troppa franchezza.

'Non c'è nulla a cui possa paragonarvi.'


Passò con lentezza le dita tra i ciuffi scuotendoli appena.
La venuta del vampiro lo aveva scosso fin dentro l'anima in un turbolento vortice di ricordi che si erano fatti vivi nei suoi occhi lucenti, sembrava riprendessero vita tornando veri e palpabili.
C'era silenzio nella cucina, nell'oscurità teneva tra le mani una tazza di thè tiepido che aveva lasciato in sospeso come un altro ricordo...


'E non ci lasceremo mai
abbiamo troppe cose insieme
se ci arrabbiano poi
ci ritroviamo poi
un corpo e un'anima... -

Le finestre delle case erano illuminate dai riflessi delle piccole televisioni e le canzoni si facevano spazio tra le strade isolate di quella Milano uggiosa.
Non passava una macchina in quella sera di febbraio del 75' e uno sconosciuto era seduto con le mani nelle tasche di un lungo cappotto marrone su di una panchina, in solitudine.
Dinanzi a sé un parco colmo di fiori e pini, le altalene e gli scivoli. 

- Le stesse cose che vuoi tu
le voglio io e questo è amore
anche stasera noi - ' 

Sembrava monotono esser lì ogni sera d'ogni anno a vedere il mondo cambiare in quel paese che aveva iniziato ad apprezzare come casa.
La rilassante melodia gli fece chiudere le palpebre per qualche attimo beandosi di quelle piccole gocce cadute giù dai nuvoloni grigi e pesanti.

'Noi siamo più che mai, un corpo e un'anima.'

Scattò in piedi nel sentire quella voce così familiare sussurrare al suo orecchio le parole di quella canzone.
Si sentì travolgere dai brividi al pensiero di aver quasi osato dimenticare quanto bello e particolare fosse il suo tono. 

' Namjoon? Non scherzare con me. ' 

Non percepì altro se non la voce del presentatore fare avanti nuovi cantanti e le vetrate delle finestre venir mosse dal vento che leggiadro aveva portato fin ai suoi piedi dei petali di smeraldo.


'Anche tu sveglio?' 

Kassava si sedette al suo fianco portando i capelli rossastri sulle spalle.
Nel buio riusciva a individuare le sue iridi brillanti e le sorrise con gentilezza spostando la tazza in avanti. 

'Già... non riesco a riposare bene. E tu?' 

Ella sospirò chinandosi sulla superficie in legno e si sfogò di tutta l'inquietudine e la confusione che l'affliggeva. 

'Non ho idea di ciò che sta accadendo, ho abbandonato gli studi e ora mi ritrovo in una casa con gente sconosciuta e improvvisamente scopro di essere un vampiro ed io... io sinceramente non avrei mai voluto tutto questo.' 

Seokjin arcuò le labbra in un sorriso, conosceva bene quella sensazione di smarrimento e l'aveva provata, sì, secoli e secoli prima. 

'Nessuno lo vorrebbe ma non sembri dispiacertene o sbaglio?' 

L'aura di onestà che avvolgeva la figura del ragazzo incuriosiva Kassava, riusciva a leggere le emozioni di chi aveva intorno senza il minimo sforzo e nuovamente crollò in una nube di domande, senza risposta, vorticavano insistentemente portandola ad un gran mal di testa. 

'Non avevo progetti per il futuro e non li ho neanche adesso, aspetto, ma esattamente non so cosa.' 

'Dai tempo al tempo e vedrai che tutto avrà un senso.' 

Seokjin le fece segno di andare e lei intuì che voleva essere lasciato da solo con i suoi pensieri.
Capiva quanto la presenza di Namjoon lo avesse reso inquieto e che in quel momento sarebbe stato inutile disturbarlo, dunque si alzò, lasciò una bacio a fior di labbra sulla fronte del moro e ritornò nella sua camera gettandosi tra le calde coperte. 

Ci volle un attimo perché la stanchezza si impadronisse del suo corpo ma un mugugno e le lenzuola tirate dal lato destro la svegliarono di soprassalto cancellando il torpore del sonno e rimpiazzandolo con la sorpresa e lo spavento.
Quando il battito del suo cuore divenne più lento e regolare il respiro di Taehyung la tranquillizzò.
Girato di spalle stringeva con le dita esili il tessuto del cuscino e il volto d'avorio era parzialmente illuminato dai raggi lunari rendendolo etereo con i crini neri a cadergli sulle ciglia lunghe.
Rimase a fissarlo facendo attenzione a non sprecare ogni minimo dettaglio del suo volto perfetto, lo impresse nella sua mente come una fotografia e con delicatezza si sporse sfiorando con la punta del suo naso colma di lentiggini la guancia fredda del giovane. 

'Non stai dormendo...' 

Sussurrò a un palmo di distanza dal suo orecchio ma non ebbe risposta, imperterrito egli continuava a far finta di dormire e Kassava si chiese se fosse davvero così. 

'Taehyung...

Il nome scandito dalla sua bocca non provocò nessun effetto e sconsolata si rigirò dal suo lato coprendosi, un altro mugugno e lo coperte vennero tirate ancora.
Provò ad ignorare il suono del suo respiro e l'immagine che i suoi occhi avevano colto ma risultava impossibile, egli era così perfetto da assomigliare a un angelo. 

'Amelia...' 

Sgranò gli occhi, Taehyung aveva appena parlato e non era il suo nome quello ma di un'altra.
Collegò Amelia alla donna del ritratto, quella di cui poteva riconoscere solo la candida mano.
La stava sognando e poteva sentire il cuore del vampiro battere più velocemente, il fiato divenire più corto.
Amelia, era questo il suo nome?


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Capitolo 8
*** Capitolo Sette. ***


Le dita si infilavano delicatamente tra i suoi crini, soffici da parir seta ma infuocati del colore accesso che apparteneva a essi.
La pelle di perla del suo viso era baciata, leggera dalle labbra carnose di lui.
Le tende si muovevano con lentezza coprendo e scoprendo i loro corpi poggiati al balcone in marmo, Taehyung la stringeva a con la paura che potesse scomparire in un attimo lasciandolo nuovamente solo.

'Perché ci impediscono di stare insieme?'

Sussurrò ella a qualche centimetro dal suo orecchio decorato da orecchini scintillanti.
Le stelle nel cielo erano molte e il firmamento sembrava volesse essere partecipe di quello scambio di battute e emozioni, li osservava e contemplava la loro bellezza.

'Invidia, solo questo.'

Mentiva nonostante fosse inutile, sperava sebbene sapesse già il finale di quel libro.

Nel cuore della notte si era ritrovato tra le coperte, al suo fianco Kassava giaceva dormiente.
Qualche ora prima non aveva badato a quale delle tante camere si stesse dirigendo, i ricordi non gli davano tregua ed era come se una condanna in quella casa si fosse scagliata con furia contro lui e Seokjin riportandoli indietro nel tempo e maledicendoli per aver giocato con la morte.

Si era semplicemente disteso, provando seppur senza nessun risultato a portare via dalla mente i pensieri sbiaditi, ma bastardi si erano insinuati anche nel sonno.
Le rivolse un'occhiata; girata di spalle la sua figura si sovrappose a quella di Amelia e nuovamente un ricordo prese vita, il primo;


I sette avevano imparato a conoscersi e da dieci anni aspettavano con ansia che Amelia compiesse la maggiore età, la osservavano da lontano e facevano attenzione a ogni suo movimento o passo.
Si erano quasi affezionati alla bambina vivace e piena di vita che avrebbero dovuto uccidere.
Come angeli custodi evitavano si facesse male, allontanavano i pretendenti che le giravano intorno ma sempre nell'ombra e senza farsi scoprire.
In quel periodo erano a Londra e convivevano in una grande casa, nonostante le discussioni e le liti che spesso nascevano ognuno conservava per Amelia un compito speciale.
Jimin e Hoseok risultavano essere i più protettivi e mancava poco si facessero scoprire, entravano di soppiatto nella villa di Amelia e la seguivano, le lasciavano dei segni del loro passaggio; una bambola di stoffa posata sul letto, delle collane e fiori che come in una caccia al tesoro lasciavano in giro per le camere conducendola a volte in un regalo.
La prima volta che la vide aveva appena nove anni e spiando fuori dalla vetrata della sua camera la osservava mentre cercava di seguire le lezioni del suo insegnante di musica.
Il violino poggiata sulla spalla le dava fastidio e tra una smorfia e l'altra si lamentava di quanto quello strumento non le piacesse, si divertiva nel vederla sbuffare e sbattere i piedi per poi fare la linguaccia al suo insegnante che infuriato la rimproverava.
Minuta e con i capelli rigorosamente sciolti a cascarle come acqua sulla schiena, indomabili che preferiva non legare.
Se per lei un tempo provava solo affetto quel sentimento prese a mutare, divenne attrazione, violenta di giorno in giorno, passione e sentimento.


'Namjoon ha parlato con Taehyung, dice che manca poco.'

Il telefono venne gettato con poca grazia sul divano in pelle e Jungkook si accigliò appena.

'Nervoso?'

Non ricevette risposta dal corvino che in silenzio versò dell'alcool in un bicchierino in vetro.
Lo conosceva da molto e capiva quando qualcosa non andasse e l'espressione afflitta, le movenze agitate e le dita della mano tremanti si riconducevano a un solo nome; Jimin.

'Sento puzza di cane bagnato, sai? No, non è Yoongi, Jimin?'

In risposta il ragazzo bevve tutto d'un sorso leccando le labbra sottili impregnate dell'amara sostanza.
Jungkook intuiva, Jimin per Hoseok era stato un grande amico, il migliore che avesse mai potuto avere ma il ragazzo del rosa impediva che i due si vedessero e forse non era gelosia, antipatia più che altro, un odio a pelle che da sempre li aveva uniti.

'Sta' zitto. Idiota.'

Jungkook sospirò, recuperò il telefono del ragazzo e sbloccandolo ritrovò una foto dei due come schermata, scattata anni addietro la grana non era delle migliori.
I loro sorrisi erano gioiosi, gli occhi socchiusi e uniti in un abbraccio stretto.

'Ti manca?'

Hoseok nuovamente non rispose ma si leggeva sul viso che fosse un tacito sì.
Le unghie non limate delle dita provocarono un tintinnio contro la superficie del bicchiere ed abbassando lo sguardo sul pavimento in legno del salotto rimase ad ascoltare la lieve pioggia che sbatteva contro le vetrate dell'abitazione.


Jimin correva a perdifiato nel parco, faceva strada a Hoseok che per ripararsi dai raggi solari teneva tra le mani un ombrello nero.
I fili d'erba accarezzavano le loro gambe e il più piccolo era scalzo, non importava quanti invisibili pezzi di legno si infilzassero tra la pelle e la pianta del piede provocandogli ferite, amava correre e sentire l'erba bagnata e il vento infrangersi sul suo corpo.
Hoseok ammirava il suo essere libero e ingenuo, uno spirito selvaggio che non voleva farsi domare ma che, alla fine, era stato incatenato da Yoongi... e forse per questo non l'aveva mai visto di buon occhio.
Credeva fosse un ostacolo.

'Veloce! Sei lento!'

La sua voce acuta arrivò ai suoi timpani come una freccia che immediatamente lo fece sorridere.
Aumentò il passo ma un movimento sbagliato e un braccio fuori dall'ombra lo fece gemere dal dolore, lo sguardo preoccupato di Jimin non tardò e quella fu una delle poche volte in cui sentì il peso dell'essere un mostro.
Namjoon ricordava loro fosse solo questione di abitudine, che prima o poi avrebbero fatto pace con ciò che erano, ma questo non era possibile e mai lo sarebbe stato.

Stesi sul prato Jimin gli teneva compagnia e osservava il cielo per lui e Hoseok.
Raccontava quanto limpido fosse, le nuvole bianche che leggere venivano sospinte creando forme assurde e divertenti.

'È un peccato tu non possa stare al contatto col sole, ma non è un problema sai?'

'Ah no? E perchè mai?'

'Beh, potresti diventare tu stesso il sole.'



'Sì, mi manca.' 


//È corto, I know, anzi cortissimo. È un periodo pieno zeppo di interrogazioni e poca ispirazione, dalla prossima settimana prevedo un capitolo mooolto più lungo e pieno di tensione.

Non dico altro!

-Daph

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Capitolo 9
*** Capitolo Otto. ***


Il lungo tavolo in mogano portava intorno a sè sette uomini vestiti nei loro abiti più eleganti in un occasione più che particolare.
Bicchieri in cristallo e alcolici per festeggiare una riunione tra amici, conoscenti, nemici.
Il camino accesso nella villa di Kim Namjoon illuminava tenuamente la sala in stile ottocentesco, egli amava i dettagli e le intarsiature dei mobili e il lampadario colmo di gemme delle più stravaganti tonalità ne erano la dimostrazione.

'Buone notizie spero perché questa rimpatriata non me la spiego.'

Jungkook sbottò, giocava con un coltello in argento pizzicando le dita e i palmi rivolgendo qualche ghigno ai due licantropi.
Per l'occasione aveva deciso di cacciare dal suo armadio la sua vecchia uniforme, ancora pregna del sangue degli uomini uccisi nella campagna di Russia e Taehyung non era stato da meno.

'No, nessuna notizia per il momento.'

Namjoon alzò le spalle versando del vino nel suo bicchiere e portandolo alle labbra con eleganza, il suo modo di fare ammaliava ogni donna ma i suoi occhi erano rivolti ad una sola persona, seduta a capo tavola dall'altro lato, il quale picchiettava nervosamente le dita provocando un rumore che infastidiva l'udito fragile del suo vicino, Jimin.

'E allora, perché siamo qui?'

Il fumo grigio galleggiava nell'aria leggero, si librava dalla sigaretta accesa riempendo la sala dell'aspro odore.
La cenere cadeva con noncuranza sul tavolo.
Le iridi scure del giovane sguizzavano tra i presenti e la mano curata di perla che tra l'indice e il medio teneva con delicatezza la stecca.

'Semplicemente Namjoon ci ha scomodato per nulla.'

Un Yoongi alterato si alzò spostando rumorosamente la sedia in legno tinta di un tenue bianco, tutti gli occhi furono puntati sul suo viso.
I capelli biondi scendevano sulla fronte coprendo appena le sopracciglia e una miriade di orecchini ad anello riempivano i suoi lobi.
L'eterea bellezza del suo corpo era fasciata da una giacca blu scuro con cinghie dorate e pantaloni stretti e neri che conferivano al suo essere una certa inquietudine.
Al suo tono irriverente seguì Jimin che lentamente lo seguì facendo più attenzione, venne fermato prontamente da Hoseok che in una tacita richiesta lo fece risedere.

'Non per arrecarvi disturbo, Yoongi.
Dati i tempi ho creduto che rivederci non sarebbe stata una cattiva idea.'

Rispose l'interessato accennando un lieve sorriso ed alzando il suo bicchiere colmo fino all'orlo del vino che traboccò al gesto macchiando il pavimento a scacchi sotto i suoi piedi.

'Pessima, senza giri di parole sappiamo bene che tra noi non corre buon sangue.'

Una smorfia decorò il viso di Seokjin che smettendo di muovere con furia le dita si era dato una tregua prendendo un profondo respiro e incatenando il suo sguardo con quello del leader per eccellenza.

'Calmate gli animi, non siamo qui per litigare. Lasciate fuori il vostro odio e i disguidi.'

La voce pacata di Namjoon fece risedere Yoongi che nervosamente si era fatto indietro poggiando la schiena allo schienale e socchiudendo le palpebre nel tentativo di calmare gli istinti animaleschi.

'Se siamo qui è anche per discutere sulla questione riguardante Kassava, immagino che siate a conoscenza della situazione.'

Taehyung si irrigidì e spense prontamente la sigaretta lasciandola in bella vista al centro della tavola, ancora fumante.
Schiarì la gola e inumidendo le labbra carnose alzò il capo mascherando i suoi tormenti in un espressione neutra.

'Certo, e sappiamo anche come andrà finire. Le hai messo già le mani addosso Taehyung?'

Jimin lo schernì sfoderando un sorrisetto che non piacque a Hoseok; lo ricordava diverso, meno schietto, discreto e dolce come lo zucchero.
Era ancora lui il suo migliore amico o si era trasformato in un altro uomo?

'Chiudi la bocca, cane.' 

Jungkook si portò in avanti puntano i palmi delle mani sul tavolo in un tonfo.
Si alzó spostando rumorosamente la sedia e assottigliando gli occhi fece mostra dei suoi canini brillanti.

Taehyung rimase immobile, quasi assente.

Di risposta Jimin scosse il capo e il suo amato rivolse al corvino un occhiataccia sfoderando le sue iridi divenire di un verde accesso e ingrandirsi.

Il suo sguardo fece ridacchiare Seokjin che lentamente portò la mano candida tra i crini, doveva portare ordine essendo il maggiore.
I novelli vampiri potevano solo tremare alla grandiosità del suo potere, alle tecniche che col tempo aveva limato rendendole perfette e quegli insulsi licantropi non erano che mosche fastidiose.

'Silenzio!

Tuonò.
Il fuoco stesso attenuò le sue fiamme e spifferi entrarono dalle finestre facendo sibilare gli interni della casa come un essere vivente, respirava e lasciava scricchiolare le porte e i mobili antichi.
Osservò ogni volto inquadrando con le iridi azzurre i presenti e intimando di serrare le labbra.
Un brutto segno il suo mutare forma, la natura, regina incontrastata del mondo, cedeva al suo dominio piegandosi e se essa lo faceva cosa avrebbero mai potuto fare gli altri?

Non un respiro fu udito e cuori seppur vuoti battevano impauriti.
Namjoon bramava la sua grandezza, l'ammirava, l'adorava, l'amava.
Rimaneva stupito ogni qualvolta si presentasse la rara occasione di poter vedere quella trasformazione; l'azzuro dei cieli, lapislazzuli che risplendevano in contrasto con la pelle esangue.
Le leggere occhiaie violacee, le labbra intensamente scarlatte.
Crollava dinanzi a tale bellezza, si sentiva morire nonostante non potesse ritenersi piú vivo.

'Riprendete.' 

Con il suo consenso Hoseok riprese a respirare normalmente, versò con agitazione dell'alcool nel suo bicchiere e bevve d'un sorso.

'Cinque giorni, il limite massimo.
Non aspetteremo oltre, qui, e ognuno avrà la sua parte.
Uno sgarro e non risponderò delle mie azioni.
Taehyung, mi fido, lascio carta bianca.'

Annuirono tutti seppur un crescente sintomo di avidità albergasse nella maggior parte delle loro anime.

Ogni porta, ogni finestra, ogni via d'uscita era serrata e nonostante il costante pensiero di fuggire si ripresentasse ogni secondo tendeva ad ignorarlo concentrando la sua mente su altro.
I due non le avevano detto nulla uscendo come nulla fosse e facendo finta di non sentire le sue domande, dunque si era così ritrovata nella biblioteca di quella casa che possedeva una distesa interminabile di libri, qualsiasi genere aveva trovato il suo posto tra gli scaffali impolverati.
Latino, greco, lingue sconosciute e mai sentite, generi impensabili convivevano lì.

I polpastrelli delle dita accarezzavano le pagine ingiallite dei volumi che chiudeva poi annoiata.
Rigirava tra le mensole.
Assurdo come una sala tanto grande potesse esistere in quello che lei riteneva come un edificio, sospettava si trovasse in alto dato il paesaggio fuori dalle finestre, non lontana dalla caotica Seoul.
Sicuramente una cittadina poco distanze, tacita e tranquilla.

Presa dai suoi ragionamenti l'indice inceppò in un foglio più sottile incastrato tra un grande libro intitolato 'Promessi Sposi' e uno più piccolo 'Guerra e Pace'.
Cacciò con attenzione quell'insolito foglio scoprendo poco dopo che si trattasse di una lettera.

Il timbro rosso mostrava una grande K, situata al centro e aprendola la calligrafia elegante e raffinata la incuriosì maggiormante.
Si ributtò con euforia sulla poltrona con un incontrollabile sorriso, come se avesse scoperto qualcosa di incredibile e importante.
La carta aveva un odore particolare che non riuscì a riconoscere immediatamente.
L'inchiostro appena sbiadito fortunatamente risultava ancora leggibile;

'Dolce Amelia,

Incontro il tuo viso tra milioni di genti e soffro della tua mancanza.
Quanti anni son passati dalla tua dipartita, venti? Ormai, che ha senso ha contarli?
Questi lustri non invecchiano la mia pelle ma aridiscono il mio cuore, soffro ogni secondo e mi pento ogni minuto per non averti protetta a dovere e per averti lasciata in balia di quelle bestie.
Ogni sera sembra di sentire il tuo respiro, immagino i tuoi smeraldi fissarmi nel buio, la tua voce risuonare nelle mie orecchie e le lacrime scendono senza tregua.
Mi pento, non ho avuto il coraggio di seguirti perchè sono un vile, ti vergognerai di me in qualunque posto tu sia, Amelia.
Lo so, non sono altro che un fallito.
Mi avevi detto di non fumare, dicevi che di qualcosa sarei dovuto morire ma che quello non sarebbe stato il motivo perché io, Amelia, io quella notte sono morto con te.
Sono morto sulle tue labbra, sulle tue dita che ancora stringevano insanguinate quel maledetto pugnale e Dio mi perdoni se ancora penso a queste assurdità.
Le persone pretendono di morire per poter incontrare il proprio amore, ma a me anche questa possibilità è stata negata.

Addio mille volte, amata. '



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Capitolo 10
*** Capitolo Nove. ***


Decine di lettere erano state nascoste tra i libri, spuntavano all'improvviso ricordandole una caccia al tesoro.
Ognuno di quei fogli giallognoli, sottili e spesso macchiati d'inchiostro, sangue e lacrime nascondevano un pezzo, un tassello fondamentale di quella donna dal nome delicato.
Il modo in cui Taehyung scrivesse quel nome, perfettamente e senza sbavature, la riportava in vita rivelandole il suo eterno amore che anche con il passare del tempo non sembrava essere mutato.
A volte risultava rabbioso, arrogante in alcune frasi, ritornava dolce e malinconico poi.

L'ultima che gelosamente teneva tra le dita era datata 12 Dicembre 1899.



Raccontava furibondo i suoi pensieri, il fatto che le liti con gli altri ragazzi fossero aumentate.
Non sapeva di chi stesse parlando ma i nomi nella lettura pian piano vennero scoperti.
Si scagliava contro un certo Jimin e subito dopo contro Yoongi, li definiva come animali nello spirito e nella loro completa esistenza, egoisti ed avari.
Dedicava a Jungkook ammirazione per averlo protetto in varie occasioni e provava disprezzo per Hoseok che restava ancora dietro a Jimin che non riusciva a vedere la vera natura di quel ragazzo abbagliato, forse, per colpa dalla grande amicizia che aveva nei suoi confronti.

Sentì la sua voce nelle parole, incrinata e ruggente.

' Non posso tollerare altro, li hai visti?! Li hai visti Seokjin?! '

Sgranò gli occhi non ritrovando nella lettera quelle testuali parole.
Erano tornati, erano in casa e lei non doveva essere lì a leggere cose così private.

Prontamente si alzò mentre le urla aumentarono di tono facendola rabbrividire, profonde e graffianti le sue grida mentre oggetti venivano lanciati fuori dalla porta in legno della biblioteca.
Si frantumavano a terra in rumori assordanti e in fretta cercò di rimettere in ordine le lettere, impacciatamente fece cadere diversi libri provocando dei tonfi che nell'attimo in cui il silenzio era calato tra Seokjin e Taehyung risuonarono più forti del dovuto.

Il cuore prese a battere furiosamente nel petto e le gambe sembrarono cedere dalla paura che aveva invaso il suo corpo in brevi scariche elettriche.

' Dov'è Kassava? '

Sentì pronunciare in un sussurro Seokjin, poi i suoi passi pesanti e la porta venne spalancata in un impeto.
Credeva stesse tentando di scappare, di fuggire da quella casa, ma al contrario quando la vide in piedi dinanzi alla libreria con le mani ancora occupate da due volumi e le palpebre strette il cipiglio che aveva occupato il suo viso scomparve.

' Sei qui. '

Il ragazzo fece diversi passi indietro e dopo aver rivolto uno sguardo a Taehyung andò nella sua camera.
Al suo posto il corvino fece la sua entrata chiudendo la porta con un tonfo che fece tremare le pareti.

' Che diavolo stai facendo nella mia biblioteca? '

Kassava rabbrividì ulteriormente lasciando la presa ai due volumi che caddero sul pavimento, si fece indietro spaventata schiacciando la schiena contro la libreria in legno e continuando a tenere gli occhi serrati.

' Tu - un ringhio quando notò i pezzi di carta posati sul tavolino, scattò in avanti prendendo quelle che ella non era riuscita a rimettere al proprio posto - hai letto, cazzo! Chi ti ha dato il permesso Kassava! '

Le stava urlando non trattenendosi dal lasciar apparire la sua vera forma, la pelle che lentamente diveniva più pallida e le labbra più scure e scarlatte assieme alle sue iridi grigie e penetranti, intense e grandi, lucenti come argento puro.
Stringeva con forza le lettere stroppicciandole tra le esili dita ancora pregne dell'odore di nicotina.

Non credeva di poter mai vedere quel lato di Taehyung, lo stesso che aveva letto in quelle lettere.
Non lo credeva possibile.

Adirato, non lucido con la mente, si gettò contro il corpo di Kassava ancora poggiato alla libreria.
La tenne intrappolata con il suo corpo posando le mani ai lati della sua testa.
La osservò per qualche secondo percorrendo le linee del suo viso, le guance coperte da un velo rosso e mentre il suo fiato caldo si infrangeva contro la sua bocca appena dischiusa grugnì contrariato lasciando tremare il suo pomo d'Adamo ricoperto da gocce di sudore brillanti.

Ricordava la sua Amelia, sensuale e elegante come un felino che spesso rimaneva bloccata tra le sue braccia negli attimi di passione più travolgente.

' Che non accada mai più, intesi Kassava? '

Sussurrò avvicinandosi maggiormente a poggiando il suo petto a quello di lei, si abbassa ed alzava irregolarmente.
Si sentì avvampare, un fuoco che gli ardeva dentro e gli istinti carnali che premevano per essere esauditi, per divorare la preda che aveva dinanzi.
Avrebbe voluto posare la sua bocca sul suo collo ora scoperto, sentirla tremare nuda sotto il suo tocco ma non per la paura.
Esplorare con la lingua i posti più indecenti e nascosti.
A quei pensieri il respiro divenne più affannoso, i pantaloni presero a stringere per l'imponente erezione.

La vide aprire le palpebre, socchiuderle appena e guardarlo con curiosità.
Un mugolio fuoriuscì dalle sue labbra ed egli si sentì sul punto di scoppiare, le soffiò ancora, questa volta portandosi in avanti e lasciandole sentire cosa le aveva provocato.

' Non entrerai più qui dentro senza il mio permesso. '

Il fiato caldo le inumidì l'orecchio e dopo un ultimo impercettibile gemito soffocato si allontanò sbattendo per finire il palmo della sua mano sulla libreria facendola sussultare.

Uscì velocemente dalla biblioteca lasciandola da sola.
Non aveva idea di come dovesse sentirsi, quella ragazza lo mandava fuori di testa e non capiva se fosse lei il problema o chi le ricordasse.
Impazziva al solo pensiero che dopo secoli potesse nuovamente avere l'opportunità di farla sua, di averla a pochi metri di distanza e non poterla nemmeno sfiorare con un dito.


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Capitolo 11
*** Capitolo Dieci. ***


Kassava uscì dalla biblioteca velocemente, i suoi passi risuonavano nella casa assieme al respiro di Seokjin che aspettava impaziente nel salotto, seduto sulla poltrona picchiettava come suo solito fare le dita sul bracciolo.
Alzò lo sguardo sulla sua figura e socchiuse le labbra carnose con un cipiglio preoccupato, Taehyung in quel periodo era nervoso e temeva che un gesto sconsiderato da parte sua potesse, in qualche maniera, rovinare i loro piani.
La brama di poter tornare ad una vita normale, senza la paura del sole e la continua voglia di sangue, non poteva in alcun modo svanire per i capricci lussuriosi di un giovane senza amore.

' Ho sentito urlare, qualche problema? '

Domandò con una voce calma e pacata che rilassò nel giro di qualche secondo la confusione che riempiva la mente della ragazza.

' Nessuno. '

Rispose prontamente ella.
Annuì per rinforzare la sua risposta, quasi a volersi convincere del fatto che davvero nulla fosse accaduto e che il suo cuore non stesse martellando nello sterno pronto ad uscire.
Inumidì le labbra e nascose le dita tremanti dietro la schiena dirigendosi verso la sua camera, era stanca e per il momento l'unico pensiero lucido era quello di stendersi e dormire fino all'indomani mattina.


Taehyung aveva ricevuto diverse telefonate da Hoseok, un comportamento a dir poco strano dati i contatti sporadici che negli ultimi decenni avevano avuto dopo la famosa faida.
Non rispose a nessuna di queste, sia perché odiasse parlare al telefono e sia perchè la sua mente era concentrata su altro.

Quella parte del ritratto lo ossessionava, l'aveva davanti ai suoi occhi, poteva sfiorarla, sentire l'odore della pittura riempirgli i polmoni assieme alla sigaretta che teneva tra le dita mentre lo fissava con esaustiva attenzione.
Non poteva correre rischi, quel dipinto, unica immagine che ritraesse alla perfezione la sua amata andava bruciato.
Poco importava il valore affettivo, le lacrime che avrebbe versato.
Al suo fianco un'intera bottiglia di Rum aspettava di fare la sua fine sulla tela, bagnandola e impregnandole dell'alcol, sarebbe poi bastata quella sigaretta che ostinava a fumare, eppure era ormai all'ottava.
Non riusciva a decidersi, non trovava il momento, titubante, sembrava volesse concedersi sempre un ultimo addio.


Le candide lenzuola coprivano i corpi nudi e eterei dei due ragazzi stretti in un abbraccio, le gambe aggrovigliate e le mani posate sui petti sudati.
Tornati a casa avevano dato sfogo del loro nervosismo e delle paure in una danza di passione e amore, le lingue si erano intrecciate senza pudore e gli occhi seguiti tra i lembi di pelle d'avorio, le dita avevano tracciato ogni singolo angolo e le fila di crini biondi e rosati.
Si erano poi addormentati risvegliandosi alle prime luci dell'alba, il sole timido filtrava dalle tapparelle socchiuse illuminando con imbarazzo i loro volti esausti.
Il minore teneva la testa del più grande sul suo stomaco, tracciava con le lentezza le punta del suo naso e la bocca aperta, sbuffi caldi e le palpebre chiuse dolcemente decorate dalle ciglia nere e corte.
Si ripeteva fosse davvero l'unico uomo della sua vita e sentiva il battito divenire accellerato ad ogni sguardo di troppo, cadeva nell'abisso di quel sentimento ingannevole ad ogni tocco e la debolezza si impossessava di lui privandolo d'ogni genere di energia al suo fianco, al suo cospetto cadeva in ginocchio accecato dalla bellezza e dall'amore folle che provava nei suoi confronti.

Caddero, tentati, i suoi occhi sulla cicatrice sul fianco, appena visibile dato il colore di perla, indugiò prima di accarezzarla e sospirò.

Se si sentisse in colpa? Un eufemismo.

Ogni giorno ed in ogni attimo di questo se ne pentiva, poi ripensava alla sua vita senza il biondo dal carattere glaciale e a tratti fastidioso e credeva, seppur per poco, che avesse fatto la scelta giusta.
Anche solo immaginare un'ora senza di lui provocava un vuoto incolmabile nella sua anima che non credeva ci sarebbe mai potuta essere opportunità di riempire.

Lo vide muoversi, arricciare il naso con tenerezza e mugolare qualcosa per poi sbattere più volte le palpebre per mettere a fuoco la stanza.

' Buongiorno. '

Sussurrò togliendo la mano dal punto delicato e portandola sulla sua guancia paffuta strizzandola appena e sorridendo.

' Mh. Che ore sono Jimin? '

Sbottò togliendo la sua mano e buttandosi sulla sua parte di letto fredda.
Scosse il capo alla sua reazione essendoci abituato e si mise seduto sul materasso.

' Non ne ho idea. '

Si guardò in giro alla ricerca dei suoi boxer che qualche ora prima aveva gettato alla rinfusa sul pavimento troppo impegnato a fare altro, quando li ebbe adocchiati si gettò per prenderli facendo qualche smorfia al contatto col pavimento ghiacciato.
Li indossò dando le spalle a Yoongi che era ritornato in dormiveglia.

' Ti faccio il caffè? '

Domandò girandosi e trovandolo in quello stato, sbuffò e passando una mano nel ciuffo rosa si risedette sul letto lasciandogli un bacio sulla fronte e coprendolo con le lenzuola.

Un bussare alla porta lo insospettì, velocemente recuperò i suoi abiti vestendosi in fretta e correndo verso il portone.
Chi mai sarebbe potuto essere?
Non avevano amici e lì non abitava nessuno se non loro, inoltre chi mai avrebbe bussato a quell'orario insolito?

Aprì la porta non aspettandosi dei capelli corvini e un viso allungato fin troppo familiare.
Rimase sull'uscio e con la porta spalancata che fece entrare il vento assieme a qualche foglia ingiallita.

Hoseok davanti ai suoi occhi giocava con un orologio a pendolo in una mano, il capo chino e una sciarpa rossa che gli avvolgeva il collo.
Jimin morse il labbro inferiore sorpreso e incapace di dire altro se non il suo nome sussurrato senza logica.

' Posso entrare? '

Chiese il vampiro con voce flebile, a disagio portò il pendolo in una tasca
Solo dopo qualche secondo l'altro si accorse dell'ombrello nero sopra la sua testa che stringeva con forza.
Un ricordo si fece spazio nella mente, lo stesso ombrello, un'altra stagione a far capolino e risvegliare i suoi sensi; l'odore dell'erba fresca e il canto degli uccellini posati sui rami degli alberi in fiore.

' Sì... entra. '

Disse soltanto e facendogli spazio.

Il giovane entrò guardandosi in giro spaesato, non aveva mai avuto occasione di poterla ammirare, a dirla tutta non era mai stato invitato nella sua dimora e l'indirizzo era riuscito ad averlo solo dopo una lunga supplica a Namjoon.
Chiuso l'ombrello lo tenne poggiato sul polso dal manico, dal lungo corridoio poteva notare una camera dalla porta socchiusa piacevolmente illuminata e con una figura distesa su un letto.
Il resto era arricchito da mobili in legno e oggetti provenienti da ogni parte del mondo, alle pareti arazzi dai più svariati colori e l'oro e il mogano che predominavano; ogni stanza però conservava stili differenti, quasi come se i proprietari avessero scelto una stanza ciascuno e decorata a loro piacimento.
Il salotto era sofisticato, gli oggetti ricercati e eleganti, al contrario lo spicchio di cucina che aveva intravisto dal lato destro era essenziale, senza carattere come ormai aveva etichettato Yoongi.

' Come mai qui? '

Domandò Jimin chiudendo la porta senza far rumore, gli indicò poi il salotto e Hoseok lo seguì sedendosi su una delle poltrone, lontano dalle grandi finestre, all'ombra.

' Semplicemente avevo bisogno di parlarti, magari, senza la presenza del tuo ragazzo. '

L'ultima parte fu detta con stizza e il giovane di Busan storse le labbra con irritazione.

' E di cosa? Fa veloce, la puzza di sangue mi dà alla nausea, e anche a Yoongi. '

Hoseok sgranò gli occhi a quel commento, non riusciva più a riconoscerlo.
Si gettò su di lui senza pensarci più di un secondo artigliandolo con le unghie lunghe per le spalle, il ragazzo che era poggiato al camino si ritrovò subito dopo al pavimento con il corvino sopra al suo corpo e a un palmo dal viso i suoi occhi divenire di un rosso penetrante, i canini sfioravano la pelle della sua guancia, un centimentro dalle sue labbra schiuse dalla sorpresa.
Sentiva il suo respiro affannoso e il suo petto seguire un ritmo regolare adiacente al suo.

' Hobi... '

Mormorò appena, una risatina nervosa e le ciglia a sbattere velocemente.
Dopo un minuto che parve infinito Hoseok si tolse.
Lo vide dall'altra parte della sala, veloce come un lampo a far sparire i canini e le iridi come rubini.

' Che diamine ti è preso?! '

Jimin evitò di alzare troppo il tono, con una mano stringeva la spalla sinistra.
Quelle maledette unghie avevano scavato nella carne creando dei solchi evidenti, Yoongi se ne sarebbe accorto.

' Dannazione, Yoongi ti fara a pez- '

' Yoongi! Yoongi! Sempre Yoongi! Ah, Yoongi. Il matto. Ovvio. '

Hoseok lo fermò mettendosi a ripetere il nome del suo ragazzo senza tregua, quasi come fosse impazzito e a Jimin quasi non venne un colpo quando trovò il diretto interessato a fissarli a braccia conserte.









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