History is a story told by the winners of the fight

di Khailea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno (01) ***
Capitolo 2: *** L'ala perduta (02) ***
Capitolo 3: *** Il sorriso cancellato (03) ***
Capitolo 4: *** La scelta sbagliata (04) ***
Capitolo 5: *** I sogni bruciati (05) ***
Capitolo 6: *** Lacrime di terrore e dolore (06) ***
Capitolo 7: *** L'incontro (07) ***
Capitolo 8: *** Pensieri (08) ***
Capitolo 9: *** Le ruote girano (09) ***
Capitolo 10: *** Incertezza (10) ***
Capitolo 11: *** Provocazioni e risultati (11) ***
Capitolo 12: *** La missione (12) ***
Capitolo 13: *** Fallimento (13) ***
Capitolo 14: *** Rammarico (14) ***
Capitolo 15: *** Tutto da capo (15) ***
Capitolo 16: *** L'importanza della conoscenza (16) ***
Capitolo 17: *** Tappe (17) ***
Capitolo 18: *** Scatti (18) ***
Capitolo 19: *** Permettimi di essere egoista (19) ***
Capitolo 20: *** Un messaggio tra i cadaveri (20) ***
Capitolo 21: *** Inviti e tentativi (21) ***
Capitolo 22: *** Paure e preparativi (22) ***
Capitolo 23: *** Magari, in un altro tempo, una vita più felice insieme (23) ***
Capitolo 24: *** Un nuovo tentativo...(24) ***
Capitolo 25: *** Tre giorni (25) ***
Capitolo 26: *** Esiste più di un modo per uccidere qualcuno... (26) ***



Capitolo 1
*** Il ritorno (01) ***


Ci fu un tempo, in cui le cose non erano così difficili, in cui ci si poteva godere nelle tranquille giornate pomeridiane l’azzurro del cielo in tutto il suo splendore, mentre le cotonate nuvole bianche l’abbellivano fino al giungere del tramonto. In cui il suono del vento che passava tra le foglie degli alberi produceva come una ninnananna agli abitanti dei boschi, ed un piacevole rinfresco per coloro vi si muovevano all’interno.
Tutti potevano avere i loro momenti di felicità e le giornate in cui splendere, ed ora, chissà cosa la gente sarebbe disposta a pagare per avere tutto indietro…
Per molti la distruzione delle loro vite avvenne nel giro d’un giorno senza che nemmeno potessero evitarlo, ma la verità era che aveva richiesto numerosi anni, lasciati nel segreto in modo nessuno potesse ostacolare l’avanzamento del male.
Dopo secoli di prigionia, Sombra, un uomo dal cuore nero ed avido che in tempi ancor più lontani aveva condotto l’impero di cristallo in uno stato di dolorosa tirannia, era tornato per far lo stesso sull’intera Equestria.
Tutto ciò certamente era stato facilitato dall’ignoranza delle persone nei confronti sia di quel luogo che di questo nome, quasi nessun libro infatti ne parlava e così nessuno aveva potuto leggere alcun segno.
Sombra in passato fu un uomo dotato di un potere inimmaginabile ed inarrestabile, e purtroppo, oscuro e malvagio come pochi.
Equestria era un regno speciale in cui vivevano in armonia uomini normali, oppure dotati di poteri magici o ali. I primi sin dall’antichità possedevano notevoli abilità di raccolta, e per questo motivo vennero chiamati umani-terrestri. I secondi invece avevano sulla loro fronte un lungo e talvolta affilato corno e per questo motivo, ed anche il fatto la sua presenza denotasse il possedere dei poteri magici, vennero chiamati umani-unicorni. I terzi infine avevano sulle loro schiene delle splendide ali dai colori diversi in base a persona a persona, e vennero chiamati umani-pegasi. 
Il possedere ali o magia comunque non significava fossero tutti allo stesso livello di potenza o abilità, c’era chi possedeva capacità superiori rispetto ad altri e Sombra, purtroppo, era uno di quelli più forti.
Già solo il suo aspetto incuteva timore, era un uomo alto e dalla notevole muscolatura, vestito con un armatura in ferro grigio che gli proteggeva collo, petto, braccia e gambe, solo ai legamenti i pezzi erano separati e così si poteva notare uno spesso tessuto nero, certamente difficile da superare perfino con un coltello. Alla schiena teneva oltretutto un lungo mantello rosso sangue dai bordi bianchi, i suoi guanti erano dotati d’artigli neri che spesso aveva usato senza alcun problema contro i suoi nemici. 
La sua pallida carnagione era messa in risalto dalla lunga e mossa chioma nera che gli ricadeva dietro la schiena e sul capo portava una particolare corona, anch’essa di ferro con ai lati delle piccole ma affilate lance. 
I suoi occhi erano del color del sangue e quando utilizzava la sua magia l’iride diveniva verdastra e sembravano emanare un fumo violaceo. Dalla sua fronte infine era impossibile non notare un lungo ed affilato corno dalla base nera che poi andava a sfumare nel rosso.
Tutto in quell’uomo lasciava presagire morte, perfino i suoi denti che erano stati affilati come le zanne di un lupo, o d’un serpente.
Le sue origini sono perse nel tempo e forse lui stesso non le porta nella sua memoria, tutto ciò che si sa o che è stato dato sapere fu che un giorno comparve nell’Impero di cristallo, un luogo splendido ed inimitabile in tutta Equestria, in cui le case e perfino le persone brillavano come, appunto, i cristalli quando erano colpiti dalla dolce ed amorevole luce del sole, le persone viaggiavano da ogni dove per poter ammirare l’immenso castello che svettava rispetto a tutte le altre abitazioni. In qualche modo Sombra riuscì a superare tutte le guardie presenti nel castello, fino a raggiungere la principessa che allora vi regnava e ad eliminarla...
La principessa Amore venne trasformata in cristallo, distrutta e sparsa in vari angoli del modo facendo sì che il popolo non avesse nemmeno modo per porgerle un saluto.
Tutto ciò che si sa di lei è il fatto fosse un alicorno.
Questa parola non può altro che esser citata assieme al nome principessa, in quanto sono persone che possiedono sia la magia dell’unicorno che le ali di un pegaso, e solitamente sono solamente regnanti. Per diventare alicorno bisogna superare una prova diversa per ogni tipo di persona che s’avvicina a raggiungere questo ruolo, e dopo averla superata acquisiscono anche il titolo per poter regnare, o almeno questo è ciò che si sa.
Fino a questo momento sono solo quattro gli alicorni nella storia, la principessa Amore, che come è già stato detto venne uccisa da Sombra, la principessa Mi Amore Cadenza, la principessa Celestia e sua sorella, la principessa Luna.
Purtroppo anche quest’ultima non ha subito una sorte piacevole, in origine regnava con la sorella in tutta Equestria, la prima s’occupava di far sorgere il sole mentre l’altra della luna e della notte, con il passare del tempo però Luna iniziò a provare gelosia nei confronti della sorella, la quale poteva gioire dell’affetto che i cittadini le mostravano e che poteva passar del tempo con loro venendo così ricordata, mentre al suo contrario Luna poteva regnare solamente la notte, quando ormai tutti dormivano ed il suo ruolo riguardava solo il controllare i loro sogni. In questo modo era quasi come un mito, un miraggio di cui nessuno poteva esser certo al cento per cento, e questa gelosia accompagnata dal dolore della solitudine le fece compiere dei gesti drammatici. Utilizzò il proprio potere per far sì la notte regnasse perenne, e così lei sarebbe stata l’unica principessa, l’unica che poteva essere amata.
Divenne così Nightmare Moon, un essere malvagio e senza cuore.
La sorella non potendo più ragionare con lei nel dolore fu costretta ad utilizzare gli elementi dell’armonia, gemme preziose d’un epoca vecchia quanto il tempo stesso e conservanti un potere indicibile, per fermarla e bandirla così nella luna.
Da quel giorno lei fu l’unica sovrana di Equestria, portatrice sia del giorno che della notte ed immortale e giusta entità.
Per quanto riguarda la principessa Mi Amore Cadenza il discorso è ben più complesso.
Dopo che Sombra ebbe ucciso la prima sovrana dell’impero di Cristallo lo governò per molto tempo sotto il pugno di ferro, creando nelle menti dei suoi sottoposti indicibili sofferenze, riuscendo così a spezzare le menti anche dei più forti arrivando a sottometterli al suo volere, rendendoli praticamente degli zombie attraverso il lavaggio del cervello.
Il suo scopo era quello di creare un esercito che potesse espandere il suo regno fino al dominio totale, ed avrebbe anche potuto riuscirvi se non fosse stato per le principesse Celestia e Luna, che venendo avvertite del pericolo utilizzarono gli elementi dell’armonia contro di lui.
Il corpo del re divenne solo una nuvola di fumo malvagia che venne bandita e segregata nel ghiaccio dell’artico, e lì avrebbe dovuto rimanervi fino alla fine dei tempi.
Circa mille anni dopo il suo esilio avvenne la tragica storia delle due sorelle, e forse fu da questo che si scatenarono una serie di tragici eventi.
Gli elementi dell’armonia nonostante fossero stati utilizzati più volte nel corso del tempo celano ancora oggi il loro vero funzionamento, mille anni prima di Sombra furono usati contro Discord, l’incarnazione vivente del caos che venne tramutato in pietra, poi su Sombra, divenuto fumo, ed infine su Luna che venne bandita sulla luna. Come si può imparare dalla storia ad ogni loro uso corrisponde una punizione diversa, ma questa è strettamente legata a chi ha utilizzato il loro potere.
In seguito all’esilio di Luna ed alla sua trasformazione maligna la connessione che lei aveva con gli elementi venne sciolta e passò completamente sulla sorella, questo però bastò a far sì che l’incantesimo su Sombra iniziasse ad indebolirsi, fino a quando non fu in  grado di liberarsi completamente.
Un presagio annunciò questo alla principessa Celestia, alla sua sconfitta il re riuscì a lanciare una maledizione sull’intero Impero di Cristallo, facendolo svanire nel nulla in una bufera di neve perenne, questa rimase ma l’impero tornò, ed è da qui che iniziò il ruolo della principessa Mi Amore Cadenza, molto più giovane di Celestia e forse anche mortale, visto non è dato per scontato tutti gli alicorni lo siano visto principessa Amore non ha potuto dimostrare il contrario, e lei era ancora troppo giovane per fare lo stesso.
Celestia capendo il motivo del ritorno dell’impero scelse di mandarvi Mi Amore Cadenza, il motivo stava nel fatto che il potere dell’alicorno si basava sull’amore e da ciò che l’altra sapeva l’impero in passato doveva la sua forza proprio a questo sentimento.
Mi Amore Cadenza venne così mandata per proteggere l’impero e, in seguito al ristabilire in ogni cuore quel potente sentimento, regnarvi per molti anni. 
Arrivatavi però questa dovette affrontare numerose difficoltà, non solo la bufera di neve indebolì presto il suo corpo, ma Sombra nonostante non avesse ripreso completamente le proprie sembianza era già in grado d’utilizzare la propria magia, e con un colpo riuscì a bloccare i suoi poteri generando dei cristalli assorbi magia sul suo corno.
Mi Amore Cadenza non fu quindi in grado di creare alcuno scudo protettivo, e così quando il vecchio re riprese le sue complete sembianze subì lo stesso destino della precedente principessa…Sombra creò sul suo corpo dei cristalli neri che la ricoprirono completamente fino a quando non venne trasformata in uno di essi.
L’Impero di cristallo perì così una seconda volta per mano sua, e ben presto le menti di tutti furono sotto il suo controllo.
La principessa Celestia non era potuta andare con Mi Amore Cadenza perché, essendo l’unica sovrana, doveva assicurarsi che tutto il regno fosse al sicuro, aveva già radunato numerose truppe in caso l’altra principessa avesse avuto bisogno d’aiuto, ma più le settimane passavano senza alcuna notizia più le sue paure crescevano.
Tentò d’inviare anche dei messaggi per accertarsi fosse tutto apposto ma quando non ricevette notizia fu chiara la verità.
Non trascorse nemmeno un giorno prima che inviasse delle truppe per aiutare l’impero, ma questi erano composti da umani, unicorni o pegasi, non certo da alicorni capaci perfino di teletrasportarsi per lunghe distanze, e se lei avesse tentato questi non avrebbero potuto raggiungere quel luogo senza la sua guida, per questo motivo passò quasi una settimana prima potessero arrivare.
Una volta lì, tutto ciò che videro non fu altro che distruzione ed agonia…
I meravigliosi cancelli d’entrata alti più d’una decina di metri, le lisce strade dove chissà quante risate s’erano perse nel tempo, le imponenti abitazioni certamente un dì abbellite con fiori e nastri ora erano state aggredite da giganteschi cristalli neri come il catrame e dalle punte affilate.
Muri erano stati abbattuti al loro passaggio ed a giudicare da alcune delle loro punte rosse non erano stati pochi i feriti, il terreno s’era aperto nello stesso modo e per la stessa causa mentre il castello, una volta simbolo di pace e serenità, ora si trovava imprigionato da quei cristalli che gli avevano conferito un aspetto macabro e per nulla cordiale.
La principessa Celestia ed i suoi soldati camminarono per le strade provando dei profondi brividi lungo la schiena, mentre cercavano disperatamente qualche superstite lungo la strada che portava al castello.
Man mano che s’avvicinavano le case si diramavano ma ancora non trovarono nessuno, fino a quando non giunsero alla piazza sottostante al castello.
Lì sembravano essersi radunati tutti i cittadini dell’impero di cristallo, ciascuno di loro però indossava delle pesanti armature di ferro nero. La schiena dei loro busti, le spalline e perfino gli elmi che indossavano erano percorsi da fila di denti bianchi ed affilati in grado di procurare certamente un notevole dolore.
L’elmo che indossavano nascondeva loro completamente il viso impedendo così di capire se fossero uomini e donne, perfino gli occhi si trovavano sotto dei vetri verdi che emettevano una strana luce, probabilmente erano stati tutti ipnotizzati dal re.
Quest’ultimo si trovava su una delle terrazze nel castello ed osservava silenziosamente i suoi soldati muniti di grosse spade e lance, dai manici perfino seghettati in modo forse nessuno avrebbe potuto rubarli con facilità.
I soldati di Celestia rimasero immobili attendendo i suoi ordini ma questa fissava impietrita la scena non potendo credere alla crudeltà di quell’essere, purtroppo quella titubanza le fu fatale. Sombra presto riuscì a notarla perfino da quella distanza e mostrando un malvagio sorriso alle schiere nemiche li indicò urlando alle sue truppe di ucciderli.
Celestia non tardò a capire che in quella situazione erano in netta minoranza e che sarebbe stato solo un pericolo rimanere a lottare, ordinò quindi alle sue truppe di ritirarsi in modo da poter organizzare un migliore attacco. Riuscirono a raggiungere i limiti della città e ad entrare nella bufera di neve che la circondava, lì pensarono d’essere al sicuro ma si sbagliavano.
Gli uomini di Sombra non sembravano sentire il freddo o la fatica, e forse orribilmente nemmeno il dolore, dalle ombre giunsero correndo come se avessero appena iniziato a muoversi ed ebbe così luogo il primo degli scontri.
I soldati di Celestia presto vennero circondati, non riuscivano ad assestare dei colpi mortali ai loro nemici perché erano tutti consapevoli fossero degli innocenti a cui era stata tolta la volontà di far qualsiasi cosa, e questa bontà d’animo portò numerose morti tra di loro.
Quando ormai non era rimasta che solo la metà di loro Celestia utilizzò la propria magia per creare un’onda d’urto che spazzò tutti via, forse non avvertivano il dolore ma i loro corpi erano comunque fatti di carne, perciò ritardavano solo l’inevitabile momento in cui si sarebbero spezzati per gli sforzi accumulati.
Rimasero così a terra il tempo necessario a permettere ai superstiti di scappare e mettersi in salvo, quello però fu solo l’inizio della fine.
Tornata a Canterlot, la splendida città costruita sul bordo di una montagna, in cui vi vivevano solo la crema d’Equestria, la principessa convocò subito i maggiori esponenti di ciascuna città in modo si potesse organizzare un attacco in massa contro la minaccia che Sombra stava gettando su di loro.
Per questo genere di cose però serviva molto tempo, e questo era proprio ciò che a tutti mancava.
I messaggi furono subito inviati e così vennero ricevute anche le risposte, ma già una settimana era in questo modo trascorsa, e quando fu il momento di riunirsi erano già passati una decina di giorni.
Nessuno poteva sapere ciò che il re malvagio stava facendo, ma certamente non era rimasto fermo senza far nulla.
In segreto l’uomo s’era concentrato sull’attaccare i piccoli villaggi sperduti e le case isolate, accrescendo così di volta in volta il proprio esercito e riducendo invece una possibile crescita del nemico.
Ovunque passava bruciava i campi, distruggeva le foreste, prosciugava i fiumi ed il cielo, proprio come la terra su cui camminava, si tinse presto di rosso sangue, mentre i suoi cristalli neri accompagnavano il paesaggio e segnavano l’aumento dei suoi territori.
Prima che potesse rendersene conto l’intera Equestria venne spinta in una guerra e le vite di tutti vennero irrimediabilmente sconvolte.
La speranza più grande però talvolta può nascere anche dal dolore più forte…

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Capitolo 2
*** L'ala perduta (02) ***


Una stanza completamente vuota e fredda. 
Bluastre pareti nascoste dietro una serie d’armadietti in ferro.
Un gelido pavimento di piastrelle grigie percorso al centro da due file di panche di legno, e solo porta di legno, al momento chiusa.
In questo piccolo ed angusto luogo solo una figura si trova seduta a riflettere, una donna.
I suoi corti capelli erano stati rasati dietro ed ai lati, era però rimasto un lungo ciuffo alla frangia che le copriva metà viso, possedevano tutti i colori dell’arcobaleno ma tenevano un tono spento, smorzato forse dalle ripetute lotte. 
Il suo corpo era la prova di quante ne aveva vissute, i suoi splendidi occhi color ciliegia sono gelidi come il ghiaccio e quello sinistro è spezzato da una lunga cicatrice bianca che mai sarebbe svanita.
Questa se l’era procurata durante una delle sue prime battaglie, Celestia bisognosa di quanto più aiuto possibile aveva radunato ogni persona capace di combattere o che avesse le potenzialità di farlo rapidamente, e lei era stata tra queste. 
Arrivata sul posto s’era ritrovata in una sperduta landa innevata, insieme a lei c’erano molte altre persone e tutte non mostravano la minima emozione, anche lei aveva cercato di farlo ma il battito accelerato del cuore la tradiva.
In pochi secondi davanti a loro si poterono vedere i soldati di Sombra, ed in ancor meno tempo la battaglia ebbe inizio. Lei aveva menato quanti più colpi possibili, usando l’arma che le era stato dato, un coltello ben affilato, ma non aveva tolto nemmeno una vita.
In quel caos ogni istante era accompagnato da urla, colpi, fiotti di sangue, e persone che s’accasciavano a terra morenti. Lei aveva cercato anche d’aiutare qualcuno ma ben presto uno dei soldati nemici la prese di mira e lei fu costretta ad usare tutte le sue forze contro d’esso. Riuscì perfino a farlo cadere a terra, dopo avergli colpito l’elmetto con il manico del coltello, usando una forza tale da toglierlo.
Ed in quel momento non vide altri che una giovane ragazzina, i suoi lineamenti lasciavano intendere quanto fosse giovane ma i suoi occhi erano privi di vita e completamente verdi.
Vedendola la donna s’era immobilizzata provando una morsa allo stomaco, accompagnata poi dal disgusto per quell’uomo che utilizzava perfino queste giovani vite per i suoi scopi.
Un rigolo di sangue scese dalla tempia della giovane e l’altra, temendo fosse qualcosa di grave, s’inginocchiò per cercare d’aiutarla, possibilmente sciogliendo anche l’incantesimo.
Quello fu il suo primo errore, mostrare pietà.
La ragazzina le afferrò con uno scatto la lama e senza dubbio alcuno la colpì in viso, lei sentì un acuto dolore, il sangue caldo che scendeva lungo il suo viso, ed il dolore che s’espandeva lungo esso.
Cadde a terra e vide la giovane cercare d’aggredirla, certamente l’avrebbe potuta conciar molto peggio se una lancia non l’avesse trafitta proprio in quel momento.
Quell’occasione le aveva fatto capire due cose, la prima era che in guerra poteva trovare chiunque, non importava sesso o età, e la seconda era che non doveva mostrarsi più così caritatevole ed indifesa.
Un’altra ferita che s’era procurata era anche all’orecchio sinistro, nel quale le mancava buona parte della pelle ed anzi era quasi spezzato.
Questa ferita gliela procurò un soldato-unicorno nemico, che lanciandole un raggio a distanza era riuscito a colpirla, purtroppo non ci fu modo di sistemarglielo…
Il corpo della donna era magro e tonico, indossava una tuta blu con delle linee gialle ai fianchi ed ai lati delle gambe, il materiale di cui era fatta impediva fosse facilmente lacerabile, oltretutto sulla schiena, al petto ed alle ginocchia aveva una protezione aggiuntiva, un po’ pesante sì, ma se una lancia avesse cercato di trafiggerla avrebbe dovuto impiegare una notevole pressione.
La parte del suo corpo che era stata maggiormente ferita però erano le ali.
Le sue splendide ali di cui in passato andava tanto fiera…e questa storia era forse la più dolorosa della sua vita.
Prima della guerra era cresciuta a Nuvola City, una magnifica città tra le nuvole in cui ogni cosa era costruito con esse, in cui solamente gli umani-pegaso potevano vivere, infatti solo loro possedevano la capacità di camminare sulle nuvole.
Di queste sono costruite tutte le loro città, le abitazioni, le strade, i grattacieli, i negozi, ogni cosa, Nuvola City però a parer suo era tra le migliori. Non solo possedevano una meravigliosa arena dove i pegasi gareggiavano per dimostrare chi era il migliore, oppure l’accademia di volo dove i più piccoli imparavano a muovere le ali, ma vi era presente una fantastica fabbrica creatrice del tempo la cui zona adibita agli arcobaleni percorreva l’intera città, ed infatti già da lunghe distanze era impossibile non notare una splendida cascata liquida color arcobaleno che andava ad unirsi ad altre che cadevano dal cielo.
Era un luogo pacifico in cui erano nati i migliori aviatori di tutta Equestria, e lei aveva sempre desiderato esser tra questi. Solo il cielo stesso poteva sapere quanti allenamenti aveva fatto già dall’infanzia per superare tutti quanti, anche se più d’una volta aveva assaggiato il sapore amaro della sconfitta, ma mai s’era arresa e mai l’avrebbe fatto.
Nuvola City, nonostante avesse comunque una certa importanza, non era particolarmente interessata nell’informarsi su quello che accadeva tra le città terrene, infondo nessun male sarebbe mai potuto arrivare lì.
Ma questi pensieri, erano orribilmente sbagliati…
Anche se l’Impero di Cristallo, per qualche motivo, non aveva tra il suo popolo altro che umani-terrestri, questo non aveva impedito a Sombra di scagliare degli incantesimi contro le città nel cielo per farle precipitare a terra, e solo questo lasciava ben capire quanto fosse potente.
Lei era lì quel giorno, mentre la sua casa crollava, la gente urlava e tentava di salvare quanti più ricordi e persone possibili, ed aveva visto il re in tutta la sua malvagità.
Non che fosse particolarmente cambiata, ma a quel tempo era terribilmente impulsiva e forse anche troppo sicura di sé, per questo non appena aveva visto l’uomo s’era lanciata in picchiata contro di lui per fermarlo. Sombra non aveva avuto bisogno nemmeno di muovere un dito per fermarla…utilizzando una delle sue magie l’aveva completamente bloccata lasciandola in sua balia. 
La guardò con un macabro sorriso mostrando tutti i suoi denti affilati, anche altre persone stavano per giungere contro di lui ma la stessa magia bloccò tutti quanti.
La donna non avrebbe mai dimenticato quel momento, con voce tonante Sombra annunciò “Che questo sia un avvertimento per tutti coloro che osano mettersi contro di me!”.
Lei era solo una ragazzina, troppo giovane per capire il pericolo a cui era andata incontro ma troppo grande per poter restare senza guardare. L’uomo la fece sdraiare a terra di schiena, e senza utilizzare nessuna arma le afferrò l’ala sinistra.
Un brivido freddo percorse la schiena della ragazza, a cui era stata tolta perfino la possibilità di parlare, mentre le dita dell’uomo raggiungevano la base dell’ala, dopo di che, afferrandola con una sola mano, iniziò a tirare bloccando il resto del corpo a terra.
Solo i suoi occhi potevano descrivere quell’indicibile dolore, la carne che andava a lacerarsi, le ossa e le fibre muscolari che venivano sradicate dal suo corpo con una brutalità estrema, il sangue che le colava addosso mentre l’ala le veniva strappata via come se fosse stata un fiore dal terreno.
Fu come se un fulmine di puro dolore l’avesse colpita al centro del cervello e fosse andato a propagarsi in tutto il corpo, gelandole il sangue ed allo stesso tempo provocandole un inteso bruciore a tutta la pelle.
Neppure le lacrime le furono concesse in quel silente dolore. 
Quando l’osso si staccò completamente fu come se il suo cuore avesse smesso di battere per qualche secondo, perfino il dolore era svanito, ma era solo un’illusione. Tornò solo più forte di prima e quando Sombra gettò l’ala proprio accanto al suo viso il dolore fu senza controllo.
Quella era stata la prova che non importava chi fosse davanti a lui, gli avrebbe comunque tolto ogni cosa cara…e per lei quel momento fu agonizzante non solo fisicamente ma anche psicologicamente, perché sentì dentro il suo cuore che non avrebbe mai più potuto fare ciò che amava, ciò che la rendeva lei…
Ci vollero anni perché il dolore iniziasse a svanire, ma la guerra continuò senza aspettarla, peggiorando giorno dopo giorno.
Le cose non sembrarono mai migliorare col tempo,  Equestria venne messa a dura prova e non un solo angolo del regno poteva dirsi salvo.
Durante tutti quegli anni però nella mente della donna c’era stato sempre un pensiero.
Vendetta.
Non solo Sombra aveva ucciso innumerevoli vittime, distrutto vite e famiglie, ma le aveva portato via qualcosa che non sarebbe mai tornato, e per questo motivo quando fu il momento decise d’unirsi ai soldati di Celestia per combatterlo. I suoi genitori invece andarono sotto sua richiesta lontano da Canterlot, a Baltimare, il motivo principale era perché non voleva che accadesse loro qualcosa, e quella città era abbastanza lontana da aver la probabilità d’esser colpita tra le ultime. Bow Hothoof, suo padre, era un uomo pegaso alto e molto muscoloso, dai capelli rasati ai lati e con una cresta arcobaleno e gli occhi dorati, proprio come la sua, aveva vissuto come costruttore di case a Nuvola city, e la sua forza era sempre stata superiore ai collaboratori, sua madre invece, Windy Whistles, anche lei un pegaso, bassa e magra però dai capelli arancioni e gli occhi viola, con delle simpatici lentiggini sulle guance. Da lei aveva ereditato la testardaggine, e fino all’ultimo la donna aveva insistito per restare, ma alla fine aveva ceduto. 
La ragazza sapeva bene però fosse la scelta migliore, perché così ebbe modo di concentrarsi sugli allenamenti nell’esercito.
In quelle fila trovò così un nuovo motivo per vivere, uccidere Sombra.
Per aiutarla in quest’impresa la principessa le diede anche un grande aiuto, una nuova ala.
Non avrebbe mai potuto essere come la precedente, ed era molto più facile si danneggiasse se avesse tenuto certe velocità, ma le fece impiantare un’ala d’un metallo speciale che le avrebbe permesso di volare ancora nel cielo.
Ogni giorno lottava per raggiungere il suo scopo, non aveva altro nella propria mente ormai spezzata da troppi dolori, la guerra l’avrebbe cambiata e non sarebbe mai più tornata indietro.
Quello era, purtroppo, il destino scelto per lei…


 

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Capitolo 3
*** Il sorriso cancellato (03) ***


Una landa desolata, in cui non vi sono altro che ramoscelli secchi, sabbia e delle rocce. Una di queste si trova tra le mani di una donna dai corti capelli rosa pastelli, rasati sulla parte sinistra mentre sulla destra erano tenuti lunghi. I suoi freddi occhi azzurri fissavano quella pietra che ormai da chissà quanto tempo continuava a fissare.
Non era però una cosa così strana per lei, dopotutto la sua vita era da sempre stata a contatto con le rocce…
La sua famiglia era d’un genere molto tradizionale, tutti umani terrestri che da intere generazioni avevano lavorato nella fattoria di rocce della famiglia, ad Equestria non erano più molti simili luoghi in cui i lavoratori s’impegnavano per trovare, catalogare e raccogliere quanti più tipi di pietra possibile. Con l’avvento di nuove tecnologie e tecniche erano ormai troppo antiquate e non concedevano secondo alcuni una vita felice ai proprietari.
Ma i suoi genitori mai avrebbero voluto vivere in un luogo diverso.
Suo padre, Rocco Igneo Pie, era un uomo alto e dal fisico asciutto, con dei corti capelli grigi di cui si vedevano solo i basettoni visto portava sempre un grosso cappello nero, i suoi occhi dorati però, per quanto inespressivi e glaciali, non avevano mai mancato di trovare le migliori pietre in tutta la fattoria. Sua madre invece, Quarzina Fumé, anche lei dal fisico asciutto, aveva dei lunghi capelli blu pallido, tenuti però sempre legati in uno chignon, ed i suoi occhi azzurri erano in grado di vedere la bellezza anche nelle rocce apparentemente più brutte.
Solo la sua famiglia era in grado di trovare degli aggettivi per dei sassi…
Loro avevano cresciuto lei e le sue tre sorelle con un rigido stile di vita, sveglia all’alba per lavorare, una breve pausa per mangiare una zuppa condita con delle rocce, ed ancora lavoro fino a quando il sole non tramontava, e dopo l’ultimo pasto subito bisognava andar a dormire non appena la luna era in vista.
Non c’erano risate, non c’erano sorrisi o segni d’affetto, solo qualche sporadico “Ben fatto- Brava- Sarai una degna Pie”, e certo non erano parole da poco, ma da quando era nata non l’aveva mai visto sorridere.
Da parte della madre le cose forse erano leggermente diverse, ricordava infatti che quando erano bambine andava sempre a rimboccar loro le coperte dando un bacio sulla fronte, ma perfino quando raccontava delle storie il suo tono era serio e lugubre, e nemmeno sulle sue labbra un sorriso compariva nelle lunghe giornate.
Questo stile di vita aveva influito in maniera diversa su tutte e quattro.
Sua sorella Calcarea, più grande di lei di qualche anno ma non maggiore di tutte, già dopo pochi hanno iniziò a mostrare un carattere duro, se non quanto, più di quello del loro stesso padre. Era la prima a svegliarsi e quella a dare ordini, se qualcuno sbagliava andava subito a correggerla ed impartiva ordini perfino per sistemare i piatti in tavola.
Ripeteva sempre che un giorno la fattoria sarebbe passata a lei e l’avrebbe gestita al meglio, quindi già da quei giorni d’infanzia doveva prepararsi al lavoro più duro ed a gestire chiunque avesse mai lavorato per lei in futuro. 
Per lei, non con lei, perché non intendeva avere dei colleghi ma dei sottoposti. Un vero peccato che con il passare degli anni s’era fatta sempre più scontrosa e diffidente con tutti, soprattutto per quanto riguardava il Masso di Holder.
Questa gigantesca pietra era il simbolo della loro famiglia, attorno ad esso il loro antenato aveva costruito la loro gigantesca fattoria, e se solo uno osava toccarlo lei non mancava d’aggredirlo con delle urla e minacce.
Gli unici sorrisi che si potevano vedere sul suo viso erano dei ghigni di superiorità, accompagnati da uno strano luccichio nei suoi occhi d’una sbiadita tonalità dorata, poco diversa da quella del padre. Aveva ereditato anche i suoi capelli grigi, che teneva corti fino al mento e pettinati sul lato destro, con una piccola frangetta obliqua.
C’era poi Marmorina, nata pochi minuti dopo la sorella dai capelli rosa che ancora teneva la roccia tra le mani. Di lei praticamente si poteva vedere un solo occhio violaceo visto metà del visto era nascosta sotto una lunga frangia grigia scuro. Al contrario dell’altra l’atteggiamento severo dei genitori le aveva fatto sviluppare un atteggiamento di pura sottomissione e timore per qualsiasi cosa. A malapena riusciva perfino a parlare, l’unico suo modo d’esprimersi era attraverso monosillabi o piccoli versi sussurrati.
Quante volte l’aveva vista piangere per la paura, solo perché vedeva un’ombra nel corridoio, o perché degli sconosciuti arrivavano alla fattoria per comprare le loro pietre.
Perfino con la gemella faticava a parlare, teneva sempre lo sguardo basso e non importava quanti incoraggiamenti potessero dirgli, lei non riusciva in alcun modo a distruggere quella fragilità creatasi nel nulla del mondo.
Per ultima infine, c’era loro sorella maggiore, Maudalina Daisy Pie, una donna alta e snella dai capelli violacei rasati, ad eccezione di una rigida frangetta che le arrivava a metà fronte. I suoi occhi verde acqua ed il suo viso asciutto erano tra i più inespressivi di tutti a parer di molti, ma non per lei che vi poteva legger dentro mille e più emozioni.
Proprio queste però non riusciva a mostrare, e non perché ne avesse paura o simili. Era come se il suo intero corpo fosse un guscio apatico ed inespressivo, perfino la sua voce si manteneva su un unico tono.
Ma questa freddezza celava il calore di mille fuochi.
Siccome era la maggiore non aveva vissuto molto tempo con le sorelle minori alla fattoria dei genitori, e nell’infanzia della rosa era presto partita per studiare pietrologia.
Avevano però mantenuto i contatti scrivendosi quanto più spesso possibile, e ad ogni incontro si scambiavano delle collane fatte con delle speciali pietre commestibili scoperte da Maudalina.
Era veramente una persona straordinaria, ma sulle cui labbra nemmeno si vedeva un sorriso.
A dire il vero, nemmeno la donna seduta in mezzo alla desolazione lo faceva.
Fin da quando era una bambina l’era sempre sembrato mancasse qualcosa nella sua vita, qualcosa di fondamentale che l’avrebbe potuta rendere…lei.
Ma tutto ciò in cui poteva cercare erano pietre e caverne, giorno dopo giorno non faceva altro che lavorare osservando il cielo come sperando potesse cambiare qualcosa.  
A ben pensarci, quel desiderio è stato il suo più grande errore.
Gli anni erano passati e lei e le sue sorelle, ormai divenute adulte, continuavano a lavorare alla fattoria, di ciò che accadeva nel mondo non importava loro particolarmente. Coloro che desideravano acquistare le loro gemme venivano apposta davanti alla loro porta per parlarne, e per quanto riguardava il mangiare bastava al padre un ora di viaggio sul suo vecchio carro per raggiungere una fattoria a Poniville, una città vicina alla fattoria che lei però non aveva mai visitato.
Avevano tutto ciò di cui avevano bisogno, ma perfino delle persone così isolate presto notarono dei cambiamenti.
Primo tra tutti fu l’improvvisa comparsa di persone ferite. I primi furono dei bambini, la sorella maggiore aveva una grossa ferita alla testa mentre il minore era giunto ormai privo di sensi, non appena li avevano notati accasciati a terra nella loro proprietà li avevano subito soccorsi.
Ci vollero però ben tre giorni prima si riprendessero ed il racconto su ciò che era successo aveva un qualcosa di macabro ed orribile.
Raccontarono di soldati vestiti con armature dagli occhi verdi che, giunti in città, avevano distrutto ogni cosa ed entrando nelle case avevano rapito numerose persone, incluso il padre dei due. La madre aveva fatto di tutto per farli fuggire ma durante il tentativo uno dei soldati era riuscito a ferire i due con le sue armi, ed alla donna forse era stato riservato un destino ancor peggiore.
A quelle parole il corpo della donna s’era come paralizzato, non riusciva a credere che qualcuno potesse esser capace di tanto, ma dovette ricredersi quando nei mesi seguenti arrivarono ancor più persone a chiedere riparo.
Ogni storia era peggiore delle precedenti, c’erano genitori che avevano perso i figli, fratelli che avevano visto morire le sorelle per difenderli, ed ogni genere d’atrocità possibile. Loro padre si mostrò sempre ben disposto nei confronti di queste persone ed aveva offerto non solo la sua casa ma anche il container che, dopo esser stato svuotato, era stato modificato con scale e nuovi pavimenti in modo potessero restarvi un gran numero di persone.
Più persone arrivavano comunque più si rendevano conto di ciò che stava succedendo, impararono da un giornalista a cui era stato reciso un braccio che dal perduto Impero di Cristallo era giunto un uomo potente e malvagio, e che questo mirava alla conquista di tutta Equestria. Tutti vivevano nel terrore che un giorno potesse arrivare davanti alle loro case, ma per il momento zone come quella in cui si trovavano erano al sicuro dal suo occhio avido.
Per qualche anno le cose andarono avanti così, ma non fu sempre semplice. Durante i suoi viaggi per compare il necessario per sfamare tutte quelle bocche suo padre aveva notato dei soldati identici alle descrizioni dei feriti muoversi lungo strade alternative, ma soprattutto a quanto pare avevano assediato anche Poniville e così il numero di viveri s’era drasticamente ridotto.
Per far fronte al rischio l’uomo decise di trasformare la fattoria di rocce in una vera e propria fattoria, fece l’impossibile insieme alle sue figlie per far sì il terreno diventasse fertile.
Il lavoro era sì aumentato, ma nella cuore della donna aveva iniziato a crescere un senso di soddisfazione per riuscire a far qualcosa che regalasse un sorriso agli altri, aveva anche iniziato a ridere insieme ad alcuni di loro.
Purtroppo però, fu solo come un sogno nelle ombre della notte che è destinato a finire…
A causa della sua posizione isolata la fattoria era riuscita ad evitare qualche assalto, ma fu solo una questione di tempo prima che le armate di quell’esercito arrivassero alla fattoria.
Fu Marmorina a vederli in lontananza, durante una mattina in cui era alla ricerca di qualche erba medica. Riuscì a vedere i loro occhi verdastri tra le ombre della foresta vicina e subito abbandonò qualsiasi cosa tenesse tra le mani iniziando a correre verso la fattoria.
Quella certamente fu la prima volta in cui chiunque poté udire la sua voce tenere la stessa forza di cento uragani, chiara, cristallina ma potente gridava con quanto più fiato aveva in corpo “Sono qui!” ripetendolo più volte.
In questo modo sicuramente diede modo a tutti di andare a nascondersi prima che fosse troppo tardi, ma allo stesso tempo si rese un facile bersaglio, e così accade l’irreparabile.
Mai, mai avrebbe potuto dimenticare quel momento, i suoi grigi capelli scompigliati che ondeggiavano per ogni suo balzo, le sue sottili labbra aperte che avvertivano tutti, i suoi occhi spalancati dalla paura. 
E l’improvviso getto di sangue che uscì proprio dalla sua fronte…
Accadde tutto in un secondo, suo padre urlò in preda al dolore, la madre fece altrettanto e s’accasciò a terra, mentre lei non riuscì a far altro che rimanere immobile senza poter nemmeno respirare.
Marmorina cadde a terra pochi attimi dopo, gli occhi persero la scintilla di luce che era stata presente fino ad un momento prima, e tutto precipitò in un tetro silenzio.
Nello stesso momento delle fila di soldati comparvero nello sfondo, ma lei non riuscì nemmeno a notarli. Tutto si stava facendo nero…
Una voce però la riportò alla realtà, o meglio un urlo, quello di sua sorella Calcarea. Come le anche la sorella era rimasta impietrita, ma una volta resasi conto di ciò che era accaduto aveva afferrato il forcone che il padre teneva tra le mani e, con un urlo disumano di pura rabbia e dolore, aveva iniziato a correre.
Avrebbe dovuto fermarla, avrebbe dovuto…ma non ne ebbe le forze, ogni fibra del suo corpo era come morta.
Suo padre tentò di fare qualcosa ma Calcarea lo colpì allo stomaco con il manico del forcone, facendolo piegare in due e riprendendo subito a correre. In una manciata di secondi aveva ormai raggiunto il corpo della sorella, per quanto riguardava i soldati poteva aver ancora un po’ di tempo per tornare indietro.
Lei invece sollevò il corpo di Marmorina, urlando e piangendo allo stesso tempo chiamando il suo nome più e più volte, se la caricò poi sulle spalle come se potesse esserci ancora qualcosa da fare, e prese a correre contro quegli uomini.
Nonostante il peso la sua velocità non era minimamente rallentata, ma nessuno di quegli assassini mostrò alcuna emozione, marciavano come se fossero posseduti, con una calma irreale.
Non seppe mai cosa stava passando veramente nella mente della sorella, forse aveva avuto paura come lei ma l’aveva scacciata con la rabbia, sicuramente il suo cuore era distrutto ma aveva cercato una spinta per tentar di fermare il tutto. 
L’unica cosa certa era che non l’avrebbe mai saputo…a pochi metri dal suo obbiettivo una lancia andò a conficcarsi nel suo stomaco, trapassandola in un sol colpo. Questo non riuscì a fermarla, nemmeno quando del sangue uscì dalle sue labbra, ed allo stesso modo non fecero nemmeno una seconda ed una terza lancia, ma quando una spada la colpì direttamente al collo anche il suo corpo cessò di muoversi, ed insieme a Marmorina cadde in una pozza di sangue…
Pochi secondi erano bastati per perdere due delle sue sorelle, pochi attimi per vedere ogni cosa distruggersi…il dolore ancora però non la raggiungeva, forse perché si rifiutava di credere fosse veramente successo, almeno fino a quando non sentì le braccia del padre e della madre trascinarla lontano da lì.
La portarono fino al container, dove già molti s’erano nascosti, e quando le porte di questo iniziarono a chiudersi mentre i cadaveri delle sorelle rimanevano fuori tutto il dolore si palesò, distruggendola.
Le sue urla riempirono quell’angusto spazio, le gambe non riuscirono a reggere il peso di quel sentimento e la fecero cadere, le sue stesse lacrime parevano esser fatte di fuoco tanto facevano male.
Sentì qualcuno abbracciarla ma non riuscì a capire di chi si trattasse, il dolore l’aveva completamente isolata.
Non era certa di quanto tempo fosse passato fuori da lì prima che si calmasse, sentirono però chiaramente la loro casa venir distrutta e le grida di coloro s’erano nascosti all’interno, per qualche motivo però stavano risparmiando il container.
Alcuni ipotizzarono volessero catturarli per portarli dalla loro parte, come avevano già fatto, e che per non sprecare energie o uomini preferivano attendere che la fame e la sete li spingessero allo stremo.
Durante la loro attesa scelsero d’accamparsi esattamente fuori dalla porta, nulla sarebbe potuto uscire senza che lo notassero.
Passarono così i giorni e presto tutti loro iniziarono a soffrire di questi mali, lei invece ancora non riusciva a riprendersi dal dolore, e forse mai avrebbe potuto farcela. Dopo la prima giornata però si rese conto che sarebbe giunto il momento per piangere i suoi cari, ma che non era quello.
Cercò quindi assieme agli altri una soluzione e l’unica che trovarono fu quella di scavare un passaggio. Lei, suo padre e sua madre avevano un’esperienza maggiore, conoscevano il terreno e sapevano dov’era meglio agire, in poche ore furono in grado di scavare per una lunghezza d’almeno due metri, ma il passaggio era pericoloso e sarebbe potuto crollare da un momento all’altro. Non se la sentivano di creare subito l’uscita perché i soldati potevano notarli. Vollero quindi portar avanti il progetto fino a quando i loro corpi lo permettevano, anche le altre persone li aiutarono, certo il loro contributo riusciva a portare a malapena un metro in tre ore, ma era sempre meglio di niente.
Più facevano progressi però più le loro energie diminuivano rapidamente, e presto non furono più in grado di far nulla. Capirono quindi che era il momento di tentar la loro impresa, ma c’era comunque l’alto rischio che venissero scoperti. Fu allora che la madre prese il comando, parlò in privato, per quanto possibile, con alcune persone, la maggior parte adulti, mentre incaricò lei, la penultima delle sue figlie rimasta, di stare a capo delle persone che per prime sarebbero uscite.
Non potendo dir nulla per obbiettare lei fece ciò che le era stato detto ed iniziò a muoversi per quello stretto cunicolo creato, arrivati ormai a metà però accadde qualcosa. Lo spazio per il quale erano passati crollò, impedendo così a chiunque altro di raggiungerli.
La donna subito preoccupata si mosse nel buio, mentre tutti iniziavano a preoccuparsi per ciò che stava accadendo, e quando arrivò a quel grosso cumulo di terra il suo primo pensiero fu di scavare, ma udì qualcosa dall’altra parte. Delle urla di persone che urlavano di scappare ed il suono di armi che si scontravano contro il ferro delle pareti del loro rifugio, udì anche la voce di sua madre.
“Portali al sicuro”
Era questo che le stava urlando, e fu allora che capì. Avevano scelto di essere un diversivo per permettere la loro fuga. 
Avrebbe perso anche loro.
Il suo corpo venne scosso da un brivido mentre la mente stava quasi per sprofondare nuovamente nel buio, ma i pianti dei bambini alle sue spalle la mantennero dov’era, e così trattenendo le lacrime tornò in testa alla fila scavando una via d’uscita.
In pochi minuti tutti quanti erano fuori a correre verso il bosco, mentre vedevano distanti i soldati che costringevano le loro famiglie a piegarsi contro il loro volere, legando i loro colli e mani con dei guinzagli di ferro.
Tutto ciò che avrebbe voluto in quel momento era tornare lì per aiutarli, chissà quante volte aveva rallentato la sua corsa spinta dall’impulso di tornare, ma una cosa ben precisa le impediva di farlo.
Il senso di responsabilità nei confronti di quelle piccole vite che ormai non avevano più nessuno.
Spinta da ciò raggiunse insieme a loro la foresta e da lì dovettero soltanto trovare un villaggio che ancora non era stato attaccato per trovare riparo.
La sua mente però era ormai andata distrutta dai massacri a cui aveva assistito, i suoi occhi mai avrebbero potuto rimuovere quelle immagini che tormentarono le sue notti per mesi e mesi.
Il sorriso mai sarebbe potuto tornare su quelle labbra che avevano urlato il dolore peggiore.
Ma questo dolore non fu abbastanza forte da spezzarla completamente, anzi, la rese più forte.
Quando ne ebbe l’occasione entrò subito tra le fila dell’esercito della principessa Celestia, con il preciso obbiettivo di distruggere Sombra una volta per tutte.
Inaspettatamente in questo preciso luogo trovò una nuova fonte di felicità, sua sorella maggiore. Anche lei a quanto pare aveva assistito alla distruzione che quel mostro era in grado di compiere, e quando le raccontò ciò che era accaduto alla loro famiglia non riuscì a mantenersi fredda.
Piansero insieme condividendo quel dolore, abbracciandosi ed urlando, maledicendo il nome di quell’uomo e la guerra da lui creata.
S’erano ritrovate nel peggiore dei modi ma mai si sarebbero perse.
Divennero un team formidabile, capace con la sola forza delle mani di frantumare le rocce, proprio come quella che la donna teneva tra le sue mani.
Mentre nel silenzio la rigirava nel palmo della mano alzò improvvisamente lo sguardo, incontrando gli occhi della sorella che le veniva incontro.
Con una semplice stretta frantumò la pietra riducendola in frantumi come se fosse fatta di vetro, ed alzandosi la raggiunse per prepararsi al prossimo scontro sul campo di battaglia.
Combatteva con tutta la sua forza per poter un giorno veder il re Sombra frantumarsi come quella roccia, non importava quali ferite ricevesse o quali orrori vedesse. Non si sarebbe mai arresa.
Quello era, purtroppo, il destino scelto per lei…

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Capitolo 4
*** La scelta sbagliata (04) ***


L’incessante suono di un grande macchinario è l’unica cosa che riempie il silenzio nel granaio. La sua struttura è composta da  varie parti, la prima si trova vicino all’entrata ed è un grosso imbuto dove tutte le mele, raccolte in degli scatoloni, vanno gettate, in seguito queste percorrendo una pedana a scorrimento ai cui lati sono posti degli strumenti per la sbucciatura. Al termine di questo loro primo viaggio giungono completamente senza buccia, che finisce tutta a terra senza che nessuno la raccolga fino alla fine del turno, ad un gigantesco pentolone di ferro costantemente acceso, e dopo esser sottoposte ad un trattamento di bollitura e schiacciamento escono da un piccolo rubinetto sotto forma di sidro, finendo così in delle lattine già preparate. Le quali a loro volta sono collegate ad un altro meccanismo, connesso ad un gigantesco contenitore pieno di questi oggetti, che dopo esser stati afferrati da un gancio metallico vengono messi su una terza pedana che le fa fermare ad una ad una sotto il rubinetto.
Seguendo poi una quarta pedana ancora, dopo esser state colpite sulla testa con dei pesanti martelli per chiuderle, finiscono in delle casse, che verranno poi portate ai compratori.
Soltanto una persona si trova all’interno di questa struttura, una giovane donna dalla corporatura tonificata dal duro lavoro, vestita con una tuta verde muschio e dei grossi stivaloni marroni. Metà del suo viso è coperta da una mascherina ma i suoi splendidi occhi verdi sono chiaramente visibili, anche se hanno una sfumatura quasi meccanica.
Porta poi, oltre ad una bandana dello stesso colore della tuta, una retina per capelli che le tiene raccolte le sue lunghe ciocche dorate.
Senza quasi nemmeno il bisogno di guardare davanti a sé la donna si sta assicurando che ogni parte del macchinario sia pienamente funzionante, gettando ogni qualvolta il loro numero cala troppo delle mele nell’imbuto.
Certamente non era questo avrebbe desiderato, nessuno potrebbe voler vivere in una città ormai abitata solamente fantasmi, ed in un luogo pieno di ricordi dolorosi.
Non era stato sempre così anni fa, ma lei in realtà non poteva esser certa di quanti cambiamenti erano effettivamente avvenuti. 
Quel preciso luogo in cui si trovava aveva un tempo il nome di Giardino Dolci Mele, ed apparteneva alla sua famiglia da generazioni, ricordava chiaramente nei lontani anni della sua infanzia gli infiniti campi d’alberi di mele che si stagliavano sotto l’azzurro del cielo, il quale metteva in risalto il loro bel colore rosso maturo.
Ricordava poi la morbida erba che le accarezzava il viso, il profumo di sidro appena fatto, il calore del sole che le accarezzava il viso quando la mattina si svegliava per lavorare…questi ricordi però non erano altro che frammenti.
Non passarono molti anni prima che tutti questi particolari, che nel presente ora le mancavano terribilmente, diventassero monotoni ed insufficienti nella vita di una giovane ragazza che desiderava emergere e vivere in qualcosa di più sofisticato.
Questo pensiero era nato in seguito ad una visita dei suoi parenti, gli zii Orange, una giovane coppia che viveva a Manehattan, la città più cosmopolita e viva di tutta Equestria, in cui i grandi erano destinati ad emergere. Suo zio era un uomo ben composto e colto dai corti capelli verdi, e rigorosamente senza baffi, basette o barba, di solito indossava sempre delle camicie arancioni, dei gilet bianchi e dei pantaloni color crema. Sua zia invece aveva dei lunghi capelli arancioni tenuti in una rigida acconciatura sulla testa, che la faceva sembrare ancor più alta del normale, aveva un grazioso neo arancione sulla guancia sinistra ed indossava quasi sempre degli abiti color crema con delle cinture nere e delle scarpe bianche. 
Entrambi avevano degli splendi occhi azzurri ed ogni loro parola trasudava eleganza. I loro racconti poi sulle luci della città, le feste e gli eventi che si tenevano avevano subito catturato la sua giovane mente, che paragonando una vita di città ad una di campagna aveva subito scelto quale fosse meglio per lei.
Era abbastanza grande comunque per poter tentare, anche se non fu semplice abbandonare il luogo in cui era cresciuta, e soprattutto la sua famiglia.
Questa, non contando ovviamente i parenti lontani perché altrimenti si sarebbe dovuto parlare di tutta Equestria, era composta al momento da tre membri oltre a lei.
La prima era sua nonna, Granny Smith, una donna dai bianchi capelli agghindati in uno chignon e dagli occhi arancioni pieni d’energia. Indossava sempre una bandana bianca a quadri arancioni che portava al collo, mentre non teneva mai degli occhiali che probabilmente l’avrebbero aiutata a veder meglio.
Era una donna sì anziana ma dalla vitalità instancabile, durante la notte degli incubi allestiva nella loro fattoria uno speciale labirinto della paura per far sì che i più piccoli si divertissero, mentre il resto dell’anno si impegnava nella raccolta delle mele, in particolare in quella delle Zap Apples, uno speciale tipo di mela color arcobaleno che cresceva solamente una volta l’anno nel giro di pochi giorni, e che andavano raccolte nel giro di poche ore altrimenti svanivano in un lampo. Era difficile crederci, ma grazie a queste stesse “mele” era nata Poniville, la città vicina alla fattoria, infatti sua nonna e la sua famiglia in origine vagavano per Equestria vendendo semi, ma giunti a Canterlot ottennero da Celestia un luogo da chiamare casa, e fu proprio lì che Granny trovò i semi di Zap Apples, grazie alle quali produssero delle marmellate talmente buone che numerose persone di anno in anno, sentendo la notizia, viaggiavano per assaggiarla, ed alcuni rimasero anche costruendo così la città.
Era una donna straordinaria, che sicuramente avrebbe potuto tener testa anche al peggiore dei mascalzoni…e così in un certo senso aveva fatto…
C’era poi suo fratello maggiore, Big McIntosh, un uomo alto e muscoloso, con dei corti capelli arancioni e gli occhi verdi. Su di lui c’erano da dire allo stesso tempo tante e poche cose, innanzitutto non si perdeva mai in chiacchiere, le uniche cose che diceva erano “Eh già” oppure “Eh no”, ma le volte in cui effettivamente parlava significava sempre era accaduto qualcosa di grave, come ad esempio la volta in cui lei aveva combinato un disastro, visto in infanzia aveva la cattiva abitudine di raccontare frottole, mentendo ad uno degli uomini più influenti di Poniville facendosi così commissionare un ordine impossibile. Era però anche molto buono, non mancava mai d’aiutare chi aveva bisogno e di rendersi utile ogni volta gli era possibile. Inutile dire poi fosse uno degli ascoltatori migliori in città.
Infine, c’era la loro sorellina minore, Apple Bloom, purtroppo di lei però ricordava solamente i capelli rossi ed i vispi occhi arancioni…
Purtroppo infatti il suo desiderio di crescere altrove non le aveva permesso di conoscerla meglio, praticamente allora la piccola non era nemmeno capace di parlare, ciononostante lei aveva preso la sua decisione, e nemmeno questo dispiacere fu abbastanza forte da farla restare.
Il viaggio in treno per arrivare a Manehattan durò per vari giorni, ed una volta esservi giunta non poté far altro che esser travolta dalla sua incredibilità. Palazzi alti ai suoi occhi quanto montagne, gente diversa che correva in ogni dove vestita con splendidi abiti, la musica che giungeva da ogni dove, tutto era così vivo ed incredibile per lei che subito fu convinta nel cuore d’essere nella sua vera casa.
Gli zii Orange furono molto felici di ospitarli a casa loro, come se fosse oltretutto loro figlia, visto non potevano purtroppo averne, e subito comprarono tutto il necessario per organizzare una festa in modo fosse presentata alla società.
Le fecero indossare un vestito arancione e le agghindarono i capelli proprio come quelli della donna, e già il giorno seguente almeno una decina di sconosciuti vennero a pranzo da loro per conoscerla. Casa Orange era molto grande rispetto a quella alla fattoria, anche se quella aveva più d’un piano infatti le stanze erano piccole e rustiche, lì invece tutte erano grandi almeno il doppio e piene d’oggetti costosi, tutti i muri poi erano stati dipinti d’arancione mentre i pavimenti erano composti da lucide piastrelle bianche. 
Dopo che tutti si furono accomodati iniziarono a porle varie domande, come si trovava nella loro città, com’era stato il viaggio e certi volevano anche parlasse della sua vecchia casa. Già da queste domande però le sembrava di non essere all’altezza del loro sofisticato linguaggio, ed in effetti per alcune sue risposte gli altri ridevano anche, facendola sentire a disagio.
Altre difficoltà arrivarono presto, come ad esempio il fatto non capisse il motivo per cui i piatti dovevano esser così dannatamente ridotti, oppure il dover sempre sorridere ed indossare abiti scomodi.
I castelli di carta creatasi nella sua mente giorno dopo giorno caddero sempre di più, fino a quando anche solo l’uscire dalla propria stanza le sembrava insopportabile…le mancava la sua fattoria.
Non poteva però tornare in quel modo, dopo aver detto che non le bastava gestire il loro meleto e l’essersene andata abbandonandoli. 
Rimase per chissà quanti giorni, forse settimane, ad osservare il cielo oltre la propria finestra, cercando come un segno che le indicasse la giusta cosa da fare, ma questo non era mai arrivato.
O forse…non nel modo aveva desiderato lei.
Per buona parte della sua vita visse a Manehattan, crescendo seguendo le sue regole ma non riuscendo mai ad adeguarsi completamente. Ovviamente una città come quella non poteva non esser ben informata di ciò che accadeva ad Equestria, e così ancor prima che le truppe di Sombra arrivassero le persone cercarono d’andarsene e di salvare le loro famiglie, ma non riuscirono a muoversi abbastanza velocemente per evitare il peggio. 
Al giungere dell’alba i soldati del re iniziarono a percorrere le strade principali della città, come se non avessero paura di farsi scoprire, anzi, era un vero e proprio tentativo di ostentazione del proprio potere, che portò solamente distruzione.
Le forze dell’ordine non riuscirono in alcun modo a fermarli, ma invece che venir uccisi vennero catturati e legati, sicuramente l’intenzione del loro re era quella di far anche a loro il lavaggio del cervello, uomini addestrati fanno sempre comodo infondo.
Entrarono nei negozi e negli appartamenti sfondando le porte, uccidendo e rapendo senza discriminazioni.
Lei si trovava nella propria stanza quando tutto ciò accadde, si svegliò solamente quando sfondarono anche la porta del loro appartamento e le urla dei suoi zii si sentirono anche attraverso i muri. Lei subito aveva afferrato la prima cosa a portata di mano, anche se si trattava solo di una lampada da notte, ed era corsa in loro aiuto.
Purtroppo però erano entrati ben una decina di uomini armati, suo zio stava tentando di tenerli a bada con una sedia ma questi si avvicinavano sempre di più senza nessuna paura d’esser feriti, ed in effetti contro uno di questi ruppe perfino l’oggetto sul viso.
Lei a sua volta tentò di saltar loro contro e di colpirli, ma finì presto a terra dopo esser stata colpita alla testa ed allo stomaco. Con un rivolo di sangue che scendeva dalla tempia cercò subito di rialzarsi per combattere, ma venne fermata dalla zia che accanto a lei la guardò con le lacrime agli occhi.
Era chiaro che non avrebbero potuto far nulla per sconfiggerli, almeno non in quel momento.
La situazione era completamente senza speranza, fino a quando almeno lo zio non gridò contro le due, “Scappate per le scale, io li tretterrò!”, urlò a squarciagola senza nemmeno guardarle. Subito dopo si gettò letteralmente contro il gruppo di uomini, bloccandone quanti più possibili.
Lei non avrebbe mai potuto abbandonare l’uomo che soddisfando un suo capriccio le aveva offerto la propria casa, e che l’aveva cresciuta come se fosse stata sua figlia, le braccia della zia però, che iniziarono presto a tirarla contro la finestra nel salotto, non le diedero scelta.
Mentre superavano il vetro per raggiungere la loro via di fuga lei osservò suo zio, che con tutte le sue forze cercava di far guadagnar loro più tempo possibile, e non poté non chiedersi perché non era stata lei a fare una cosa simile...
Non appena furono fuori dall’appartamento videro uno scenario orribile, moltissimi edifici avevano preso fuoco e lungo le strade i corpi dei feriti stavano crescendo ad un ritmo preoccupante, per non parlare dei soldati che sembravano non finire mai.
Il cielo a causa del fumo era stato nascosto sotto a delle grigie nuvole, le quali nei punti vicino alle fiamme più alte a loro volta s’erano fatte rosse.
Le urla dei cittadini accompagnavano qualsiasi altro suono presente in quella distruzione.
Raggiungendo la strada evitarono d’esser prese dai soldati nel loro appartamento, anche se in verità questi non sembravano intenzionate a seguirle per il momento. Corsero a perdifiato cercando un luogo dove nascondersi, ma era tutto inutile, la folla di fuggitivi poi aveva rischiato più volte di separarle, alcuni erano stati pure travolti durante le varie corse.
Per giorni le due cercarono un riparo e di offrire quanto più aiuto possibile ai cittadini, ma per quanto tutti cercassero di combattere quell’attacco tutti i tentativi furono vani, ed i fallimenti fecero solo crescere la paura nei loro cuori.
I più fortunati riuscirono dopo numerose fatiche a raggiungere la stazione, l’unico luogo che per il momento era riuscito a reggere contro l’attacco e che dava modo ai civili ed ai loro bambini di scappare lontani. 
Sua zia le disse che doveva tornare a Ponyville dalla sua famiglia, una piccola cittadina come quella forse non era stata ancora presa di mira ed i cittadini dovevano essere avvertiti per tempo. Lei ovviamente era stata d’accordo, non solo per quelle persone ma anche per sua nonna ed il fratello e la sorella, ma quando arrivò il momento di partire sua zia non volle salire sul treno. Secondo lei non sarebbe stato giusto, la sua casa era a Manehattan, e suo marito anche, doveva tornare indietro per cercarlo.
Lei obbiettò dicendo che ormai la casa era andata distrutta, ma che se voleva ritrovare lo zio l’avrebbero fatto insieme, la donna però con le lacrime agli occhi la costrinse a salire con la forza e scese pochi attimi prima che il treno partisse.
Non aveva potuto far nulla per fermarla, se non guardarla con le lacrime agli occhi ed urlando dal finestrino del treno, alcuni sconosciuti le si avvicinarono per darle conforto, ma le loro parole erano solo aria al vento.
Il viaggio durò giorni interi, durante i quali lei però non riuscì a dormire, non solo perché aveva ceduto il proprio posto a dei bambini che avevano più bisogno di lei di riposare, ma anche per tutti i pensieri che le passavano per la testa.
Sapevano tutti di Sombra, ma non avevano idea fosse già così potente, mille preoccupazioni le presero il cuore insieme ai rimpianti. Da un lato erano presenti quelli che più s’erano insidiati nel suo cuore, e che vi vivevano da anni, ovvero il rimorso per aver abbandonato la sua famiglia a Ponyville, il timore che potesse esser successo loro qualcosa la distruggeva ed in questo caso si sarebbe reputata colpevole per non aver fatto nulla per aiutarli. Dall’altro lato invece c’era l’effettivo senso di colpa per non esser riuscita a far nulla per i suoi zii, ed esser semplicemente scappata, ma sapeva che sarebbe stata l’unica scelta, ancora non era abbastanza forte per far qualcosa.
Il giorno in cui arrivò a destinazione però il suo cuore andò letteralmente in frantumi, della città in cui era nata ormai non rimaneva che il vago ricordo…le case erano state distrutte, e quelle rimaste erano visibilmente abbandonate da tempo, il terreno era stato rovinato, numerosi alberi abbattuti o bruciati, e sangue e giganteschi cristalli neri si potevano trovare in varie zone o strutture.
Anche altre persone erano scese dal treno assieme a lei, ma praticamente tutte vedendo le condizioni del luogo preferirono risalire sul treno per cercare altri ripari, lei invece camminò per le strade della città alla ricerca di qualcuno, spostandosi man mano verso la fattoria della propria famiglia.
La situazione però non migliorava di certo…gli alberi di mele erano stati bruciati e pochissimi avevano tra le loro foglie dei frutti, del granaio e dei recinti invece non rimanevano che tavole di legno distrutte. L’unica cosa ancora in piedi era la vecchia casa dentro la quale aveva trascorso una parte dell’infanzia, con le lacrime agli occhi corse urlando i nomi della sua famiglia, ma non sembrava esserci nessuno.
Le finestre erano state sbarrate con delle tavole di legno, e la porta era chiusa a chiave, tentò di aprirla sfondandola ma un urlo la bloccò. A fermarla era stata la voce di suo fratello maggiore, Big McIntosh, che trovandosi nella casa le stava parlando da una delle finestre del piano superiore.
Il ragazzo scese correndo per raggiungerla e subito i due si abbracciarono tra lacrime di gioia e di paura.
La donna chiese subito cosa fosse successo, e dove fossero Apple Bloom e Granny Smith, a quel nome però il viso del ragazzo si rabbuiò.
Big McIntosh la fece prima entrare nella loro vecchia casa, i mobili purtroppo erano stati distrutti e c’erano numerosi segni di lotte. Il loro salotto dai muri verdi ed i pavimenti in legno, una volta così confortevole con il loro divano rosso e la sedia a dondolo della nonna, ora era solo una stanza piena di cocci e legni rotti, ed un divano diviso a metà. Facendola sedere su questo il ragazzo le spiegò che Ponyville, nonostante non fosse un luogo così conosciuto, venne assalito tra i primi dal malvagio re, probabilmente perché occupandosi prima dei pesci piccoli avrebbe evitato questi andassero ad ingrossare potenze più grandi, e rapendo chiunque potesse essergli utile aveva fatto esattamente questo con la sua armata.
Lui aveva combattuto con i loro vicini per proteggere la città, ma era stato tutto inutile, era riuscito però a far prendere tempo in modo che alcuni potessero scappare, ed anche lui era riuscito ad evitare d’esser catturato.
Venne però il momento di parlare di   Granny Smith…a quanto pare anche la donna, dopo aver messo al sicuro Apple Bloom, aveva cercato di radunare quante più persone possibile per salvarle, all’arrivo dei soldati poi non aveva esitato ad uscir di casa gridando loro d’andarsene. 
Quest’azione però le costo caro…un raggio magico la colpì dritto al cuore, ed i soldati superando il suo corpo privo ormai di vita avevano iniziato a distruggere la fattoria, uccidendo perfino Winona, la splendida cagnolina dal manto marrone dal petto, la pancia e la punta della coda bianchi, che aveva fin da cucciola aiutato la famiglia nei lavori come poteva. 
Big McIntosh purtroppo non era lì quando tutto ciò accadde, quindi non aveva potuto far nulla, e come ulteriore danno, al posto suo c’era Apple Bloom.
La piccola aveva assistito a tutto dalla finestra della propria camera, e da quel giorno non era più uscita da lì.
Tutto ciò pietrificò sul posto la sorella che ormai non sapeva neppure più se urlare dalla rabbia o piangere dal dolore, le braccia del fratello in qualche modo le diedero conforto riuscendo a farle prendere una decisione, e furono le lacrime.
Dopo essersi sfogata chiede comunque di poter vedere la sorellina, e così venne accompagnata dalla sua stanza. Era così strano passare per i corridoi della casa dopo così tanto tempo, ma soprattutto veder sovrapporsi i ricordi con la realtà.
Quando arrivò dalla camera della piccola però il cuore le si strinse per l’ennesima volta, la carta da parati era stata strappata, qualsiasi giocattolo distrutto, e del letto a baldacchino solo il materasso era rimasto intatto.
Lei era seduta proprio sotto la finestra, i suoi lunghi capelli rossi le coprivano il viso, ed erano tenuti a fatica in ordine da un largo fiocco rosa.
La donna subito cercò d’andarle incontro per abbracciarla ma la piccola afferrando un oggetto glielo lanciò contro, urlandole di non avvicinarsi.
L’altra tentò di spiegarle chi fosse ma Apple Bloom risposte che lo sapeva già, ma che non la voleva vedere, le frasi che seguirono distrussero completamente l’animo della giovane, che quasi credette di svenire:
“Ci hai abbandonati…è colpa tua se Granny è morta.”
Mai parole le suonarono così dolorose…e purtroppo vere…
Durante le ore seguenti la donna rimase in uno stato di completo dolore emotivo, rimanendo accasciata contro la parete esterna della camera della bambina. Big McIntosh cercò di consolarla dicendole che non era colpa sua ciò che era successo, ma lei non riusciva a credergli. La verità faceva molto più male.
Non poteva però andarsene, forse Apple Bloom non la voleva più vicina, ma non per questo lei sarebbe andata via, non aveva più nessun’altro posto.
Oltretutto il fratello le spiegò che nonostante Ponyville sembrasse disabitata qualcuno ancora c’era nascosto, e che lui cercava di rendersi utile coltivando del cibo per tutti, soprattutto per questo motivo quindi la donna scelse di rimanere.
Le difficoltà però non furono certo poche. Il terreno ormai in vari punti s’era inaridito ed era inutilizzabile, più di due quarti degli alberi erano stati abbattuti e tutti i loro attrezzi distrutti.
Sembrava che al peggio non potesse mai esserci fine, ma ben presto scoprirono che il male aveva varie forme, e che perfino in quelle condizioni le persone s’approfittavano delle difficoltà altrui.
Dopo quasi un anno di stenti e dolori un giorno arrivarono alla fattoria due strani figuri.
Dissero di chiamarsi Flim e Flam, ed erano fratelli gemelli, entrambi umani-unicorni.
I loro capelli ricordavano un po’ le caramelle di natale, visto erano di colore rosso con alcune ciocche bianche, Flam li portava completamente pettinati all’indietro mentre Flim teneva una frangia arricciata ai lati, completamente rossa. Altra cosa che li distingueva era il fatto che quest’ultimo avesse dei baffi rossi al labbro superiore, ma per il resto erano completamente identici.
Stessi occhi verdi pieni d’avidità, stesso viso asciutto e stessa corporatura magra.
Portavano entrambi dei cappelli di vimini con un nastro azzurro, una camicia bianca dalle maniche arrotolate, un papillon nero, un gilet azzurro a strisce bianche verticali, dei pantaloni marroni e delle scarpe nere.
Si presentarono alla famiglia spiegando d’esser lì per una questione d’affari, prima della guerra infatti la fattoria degli Apple era famosa per la sua grandezza e la qualità delle loro mele, ed ora che la situazione ad Equestria era crollata in molti pativano la fame.
Per questo motivo volevano mettersi in società con loro, per poter produrre dei viveri che potessero sfamare le masse, avevano in mente una speciale zuppa fatta con le mele e dissero di aver progettato un macchinario che avrebbe potuto velocizzare ogni cosa.
La prospettiva sembrava grandiosa, avrebbero potuto aiutare molte persone così, ma presto i due gemelli passarono all’argomento di loro vero interesse, il denaro.
Dissero infatti che se avessero accettato avrebbero diviso i guadagni tra il venticinque percento ed il settantacinque, e quest’ultima cifra sarebbe andata a loro.
Alla protesta della donna spiegarono che loro avrebbero creato il macchinario, comprato gli attrezzi adeguati e ricostruito la fattoria, loro invece avrebbero solo dovuto coltivare le mele. Fecero poi leva sul senso di colpa della famiglia, dicendo che se non volevano far nulla per aiutare Equestria avrebbero trovato qualcun altro disposto a farlo. 
Quella fu la parolina magica che portarono sia la donna che il fratello ad accettare, non avevano altra scelta…
Flim e Flam mantennero comunque la parola, ricostruirono ogni cosa, anche se in maniera nettamente differente…al granaio vennero aggiunti tre camini in mattoni che emettevano continuamente del fumo, e sulla cima un sidro contenente il sidro ottenuto dalle mele, ma ancora da preparare a dovere. Il loro macchinario venne montato dentro il granaio e da fuori si poteva vedere chiaramente una delle pedane mobili uscire dalla finestra del piano superiore ed arrivare a terra accanto a numerosi barili, finendo poi in una piccola bacinella dove erano raccolti scarti di mele. Perfino i pollai vennero modificati, ciascuno provvisto ovviamente d’un piccolo caminetto come i tre precedenti, ed all’interno c’erano altri tipi di macchinari che servivano a nutrire meccanicamente le galline, ed a trasportare le loro uova in delle ceste.
Modificarono perfino la struttura più vecchia della loro fattoria, si trattava infatti di una specie di mulino, ormai in disuso da anni, dipinto una volta d’un allegro arancione che ormai era sbiadito. Sul tetto era stato costruito l’ennesimo camino, gli erano state aggiunte poi delle gigantesche ruote in modo potesse spostarsi ed una mini gru capace di sollevare le casse di cibo, la sua funzione era quella di tagliare il grano, lavorarlo all’interno e sistemarlo in dei contenitori.
Tutto il fumo prodotto dai loro macchinari presto oscurò il cielo, e così la donna ed i suoi fratelli non poterono nemmeno più godere del suo colore durante le giornate di lavoro…
Apple Bloom non partecipò a nulla di tutto ciò, rimanendo sempre chiusa in casa, Big McIntosh invece non solo lavorava raccogliendo le mele, ma le trasportava perfino di città in città per consegnarle ai clienti. 
La donna invece si limitava a lavorare nel granaio assicurandosi che ogni cosa fosse al suo posto, ma come ciliegina sulla torta i fratelli avevano pensato di abbellire i barattoli per dar loro un qualcosa d’amichevole, utilizzando una vecchia foto di Granny Smith. Avendo molti più diritti della famiglia, i due non avevano potuto opporsi.
Era ormai diventata questa la vita della donna, svolgeva un lavoro che oltra ad esser diventato monotono non le dava alcuna soddisfazione, per ingrossare le tasche di due uomini avidi che aveva imparato con il tempo a conoscere a sue spese.
Faceva tutto questo però nella speranza di poter veramente aiutare qualcuno, ed un giorno magari avrebbe fatto veramente qualcosa di utile.
Quello era, purtroppo, il destino scelto per lei…

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Capitolo 5
*** I sogni bruciati (05) ***


Il rumore di almeno trenta, vecchie, macchine da cucire verdastre era l’unico suono che si poteva sentire all’interno dell’enorme stanza dentro cui altrettante persone si trovavano. Sia i muri che le pareti erano in legno, ma rovinato in più punti ed in cui erano presenti grossi graffi, per non parlare poi delle finestre, talmente sporche da impedire quasi di vedere i colori dall’altra parte.
In mezzo a tutto questo si trova una giovane donna, la cui incredibile bellezza non riesce ad esser scalfita dagli sporchi abiti che indossa, o dalle condizioni in cui sta lavorando.
I suoi capelli violacei sono stati tagliati in modo le arrivassero poco sotto le spalle, e pieni di doppie punte erano in parte nascosti sotto una bandana grigia. Il corpo snello mantiene la sua forma nonostante la tuta grigia che indossa, di cui le uniche decorazioni sono una cintura, utile solo per far capire la sua vera stazza visto l’indumento si toglieva tramite una lampo sulla schiena, ed un piccolo taschino alla coscia. Solo le sue mani però rendono chiara l’idea di quanto in realtà lavori ogni giorno, queste infatti sono piene di calli e graffi. Grazie al suo corno biancastro alimenta l’oggetto davanti a sé, che viene utilizzato per cucire ogni giorno centinaia e centinaia di tute dello stesso tipo.
Ciascuna di loro deve essere consegnata ai soldati dell’esercito, il loro colore è quindi grigio, con delle imbottiture nere sul petto, il collo e le articolazioni, e sono oltretutto provviste di guanti viola cuciti insieme a tutto il resto. 
I suoi occhi però fissano quasi con fare vuoto quella sua “creazione”. Non riesce a considerarla tale, lei, che da sempre aveva sognato di aprire una boutique, di poter vestire le celebrità più famose, di regalare a tutti un sorriso facendoli sentire bellissimi, non faceva altro che lavorare come se fosse una macchina, senza passione, senza amore, senza felicità.
Ma questo sentimento ormai da molti anni aveva abbandonato il suo cuore, lo ricordava bene…
In giovane età aveva sempre vissuto a Ponyville, una cittadina graziosa ma semplice, in cui nonostante vivesse serena sapeva di non poter raggiungere il suo massimo potenziale. 
In realtà era cresciuta insieme ai suoi genitori nel camper di famiglia, suo padre, un uomo terrestre alto e dalla robusta corporatura che indossava sempre e solo ridicole camicie hawaiane e jeans larghi, con profondi occhi azzurri e folte sopracciglia e baffetti marroni, la cui tonalità era la stessa degli ispidi capelli che sempre nascondeva sotto un cappello giallo di paglia, era stato da sempre una persona amante dei viaggi, e così anche sua madre. Una donna unicorno i cui capelli viola pallido erano sempre raccolti in un’acconciatura che li faceva sembrare grandi il doppio, dentro cui riusciva a perdersi perfino la visiera di un cappello azzurro, ma non almeno il suo corno rosa pallido. I suoi occhi, anch’essi azzurri, erano pieni di vitalità ed ogni giorno indossava, insieme ad una maglia rossa e dei pantaloni bianchi, una collana su cui era legata la prima conchiglia che lei e suo marito avevano trovato al primo viaggio.
Lei però, nonostante dalle gite d’infanzia avesse imparato a riconoscere ad occhio le mode locali, non s’era mai trovata completamente a suo agio spostandosi senza avere veramente uno scopo, ma l’aveva presto trovato nel confezionare vestiti.
Quando nacque la sua dolce sorellina, Sweetie Belle, una bambina dagli occhi verdi, i capelli a righe viola e rosa e con un piccolo corno bianco, proprio come il suo, aveva insistito per poterle fabbricare tutti i vestiti di cui aveva bisogno. Tale possibilità le fece rendere conto che amava render felici gli altri fabbricando loro dei vestiti, e così, non appena ne aveva avuta la possibilità, aveva fatto costruire nel centro di Ponyville, città in cui era nata, il suo primo negozio,  era veramente bellissimo. Costituito da ben tre piano si poteva quasi dire somigliava ad un tendone per certi aspetti. La gigantesca base dalla forma rotonda aveva quattro finestre, della stessa forma, agghindate con delle tende gialle che s’abbinavano meravigliosamente alle pareti esterne azzurro chiaro, provviste di fini abbellimenti quasi bianchi, la parte inferiore di tutto ciò però era caratterizzata da una lunga linea violacea che circondava l’insieme. 
Di questo stesso colore erano anche le sei sottili colonne a strisce viola scuro e chiaro. 
In mezzo a due di queste si trovava la porticina blu, provvista di due vetri azzurro chiaro dalla forma di rombo, situati l’uno sopra l’altro. Sopra questa si trovava poi la sua insegna bianca con al centro un cavallo giallo da giostra, con un sottile palo viola scuro che spuntava dalla schiena e sulla cui cima si trovava un cuore rosso.
Il tetto di questa prima parte, dipinto con rombi rosa e viola chiaro, andava poi ad assottigliarsi verso un anello giallastro dalla quale partiva la seconda parte della struttura, nella quale però solitamente non andavano visto utilizzava la boutique anche come casa, e solo il primo piano era per le vendite.
Questa seconda parte assomigliava molto ad una giostra, la base era viola chiaro e con alcune decorazioni a stella ed al centro di questa, più piccola di almeno una trentina di centimetri rispetto a questo bordo, c’era una parete azzurra anch’essa circondata da sei sottilissime colonne, su quattro di queste però erano stati sistemati dei finti cavalli azzurro scuro, c’erano infine tre finestre, due piccole e sempre nascoste da delle tende azzurre, ed una centrale decisamente più grande le cui tende erano invece rosa. In passato apprezzava rimaner seduta lì davanti ad osservare il cielo, era in quei momenti che l’ispirazione colpiva.
Il tetto la cui parte inferiore era gialla s’allargava raggiungendo la stessa grandezza della parte su cui poggiava, ed un muretto ondeggiante decorato con dei cuori viola, e dai bordi gialli, racchiudeva la punta della struttura che assottigliandosi sempre di più giungeva infine ad una torre blu scura, ai cui lati aveva fatto installare delle lanterne dello stesso colore che di notte avrebbero potuto rendere visibile la boutique.
Il tetto di questa torre era infine a strisce gialle dalle varie sfumature ed aveva una bandiera rossa in cima.
Sicuramente era qualcosa di mai visto prima in quel luogo, ma non era così difficile riuscirci, si trattava infondo di quel tipico luogo in cui tutti si conoscevano, quindi la clientela non poteva variare nemmeno più di tanto.
Per questo motivo aveva sempre cercato di farsi notare dalle grandi celebrità di Canterlot o Manehattan, in modo così da divenire famosa e conosciuta in tutta Equestria, perfino quando passeggiava per strada faceva sempre attenzione a mantenere i suoi capelli, un tempo lunghi, in un’acconciatura perfetta ed indossava sgargianti abiti degni di nota.
La sua vita certo una volta non poteva dirsi insoddisfacente, era amata da tutti, e tutti desideravano conoscerla, ma imparò presto che anche le cose belle sono destinate a finire…
Durante una notte, in cui la sua sorellina era venuta a trovarla per passare del tempo insieme, le truppe del re Sombra giunsero alla pacifica cittadina nel silenzio più totale. L’unica cosa che fece capire ai cittadini della loro presenza furono le urla degli stessi quando distrussero tutto ciò che incontrarono sul loro cammino, a partire dalla grande biblioteca costruita all’interno d’un albero cavo che venne bruciata.
Non era stata comunque la prima volta che l’uomo aveva fatto agire così i suoi uomini, il modo migliore per distruggere dei futuri nemici era lasciandoli sin dall’infanzia nell’ignoranza, e lui contava che distruggendo quanti più libri possibili di magia non si sarebbe mai arrivati a trovar qualcosa da utilizzare contro di lui.
La donna si svegliò di soprassalto quando sentì la porta del piano inferiore venir buttata giù, e subito si precipitò a controllare ciò che stava accadendo, trovando però in questo modo solo estranei vestiti con pesanti armature che stavano distruggendo ogni sua creazione.
Il suo primo istinto tu quello d’urlare per fermarli, ma portandosi una mano davanti alla bocca riuscì a trattenere perfino il respiro per evitare potessero sentirla, dopo di che corse direttamente nella camera della sorella, più importante di qualsiasi altro capo.
Lei incredibilmente stava dormendo insieme alla loro amata gattina bianca, Opalescence, ma bastò scrollare entrambe per far sì si svegliassero, fatto ciò impedì a Sweetie Belle d’urlare e cercò di capire quanto vicino fossero quei soldati, i quali purtroppo avevano rapidamente iniziato ad uscir le scale setacciando ogni stanza.
Loro si trovavano al secondo piano, non avevano altre uscite se non la porta o…la finestra.
Non aveva tempo per pensare ad un piano migliore, tutto ciò che desiderava era la sua adorata sorellina potesse mettersi in salvo.
Prendendo in braccio sia lei che Opalescence, la quale fortunatamente era abbastanza intelligente da capire che non doveva assolutamente dimenarsi, tolse dal letto della bambina il lenzuolo e ne annodò un’estremità ad una delle sue gambe, avvicinandolo con alcune spinte alla finestra. Riusciva a sentire quegli uomini farsi sempre più vicini, ed il suo cuore sembrava esser sul punto d’esplodere.
Tutto ciò però non le impedì di spalancare la finestra e, tenendosi ben stretta al tessuto, lanciarsi fuori appena in tempo prima di vedere i loro aggressori distruggere la porta ed entrare.
Sweetie Belle urlando spaventata le si aggrappò stringendola quanto più possibile, purtroppo però qualcos’altro spaventò la bambina, l’imminente caduta causata dallo strappo del lenzuolo, troppo sottile per poter reggere il peso di entrambe.
La prima cosa che la donna fece fu abbracciare le due piccole creaturine, subendo così lei stessa l’urto maggiore. Sentì il respiro mancarle completamente, delle ossa rompersi, ma il cuore battere ancora. Con la vista intontita si guardò intorno vedendo con orrore la sua bella città distrutta tra le fiamme ed il sangue, ciascuno dei civili urlava spaventato gridando aiuto, tentando di mettersi in salvo ma ben pochi ci riuscivano, alcuni venivano catturati mentre altri brutalmente uccisi dalle armi di ferro dei nemici.
Come ulteriore problema vi fu poi il fatto che l’urto l’aveva talmente intontita da non farle nemmeno sentire la voce della sorellina, che chiamandola la incitava a correre. Lei tentò d’alzarsi ma a scoprì in questo modo d’essersi rotta il piede, e nel suo cuore vi fu la certezza fosse la fine. Non volle però mostrare delle lacrime alla piccola, nonostante la voce tremante ed i singhiozzi trattenuti, guardandosi intorno notò che le persone a lei più vicine erano i signori Cake.
Il marito era un uomo dai verdi occhi alto ed incredibilmente magro, ma con un grosso mento sporgente e dei capelli arancioni a spazzola, siccome era solito indossare sempre la tenuta da lavoro le persone lo vedevano sempre con un cappello senza visiera arancione e bianco, un papillon dello stesso colore, una camicia azzurra, dei pantaloni marroni ed un grembiule. La moglie invece era molto più bassa di lui e robusta, i suoi occhi erano color ciliegia ed i suoi capelli rosa erano sempre in un’acconciatura che ricordava un cono gelato, anche lei poi indossava sempre una maglia blu, dei verdi ed un grembiule giallo dai bordi rosa. Erano bravissime persone sempre dedite al loro lavoro nella pasticceria che avevano costruito, e pronte ad aiutare chiunque, da sempre poi avevano desiderato dei figli ma ancora purtroppo non v’erano riusciti, ma visto ciò che stava accadendo in città forse era stato meglio così.
Il primo istinto della donna fu quello di chiamarli e questi, rendendosi conto delle sue condizioni, tentarono subito di prestarle soccorso ma lei rifiutò, pregandoli di prendere Sweetie Belle ed Opalescence e di scappare. Sia la piccola, che l’animale, ed i due coniugi protestarono sconvolti, tentando ancora di portarla via con loro, ma lei rimase irremovibile spiegando che li avrebbe solo rallentati, e che la sua priorità era la sorellina. Solo in quel momento le lacrime iniziarono a rigarle il viso, e quasi urlando li scongiurò di esaudire il suo desiderio, che forse sarebbe stato anche l’ultimo. I due, iniziando a loro volta a piangere, si guardarono per qualche secondo prima di prendere la piccola e la gattina in braccio, ed ignorando le sue proteste iniziarono a correre quanto più lontano possibile.
Le urla della sorella e le sue lacrime furono ciò che procurò nel cuore della donna il dolore peggiore, ma lentamente la sua immagine iniziò a sbiadire, ogni suono divenne sordo, e l’oscurità calò sui suoi occhi insieme alla certezza della fine.
Così, però non fu…
La prima cosa che sentì fu un forte dolore alla testa, seguito da delle lancinanti fitte a tutto il corpo. Giunsero poi una serie di deboli suoni doloranti, e quando i suoi occhi si aprirono, dopo aver dovuto sopportare un leggero fastidio ed offuscamento, poté rendersi conto di dove si trovava.
Era come un gigantesco tendone verde mela, utilizzato a quanto pare come una sorta di infermeria, infatti v’erano numerosissimi lettini bianchi su cui erano sdraiati ogni genere di persona, ciascuno di loro però non nelle condizioni migliori.
Poté vedere uomini anziani dai volti coperti di sangue, o altri giovani ragazzi attaccati a dei macchinari che permettevano loro di respirare, alcuni di loro nonostante le condizioni avevano però preferito lasciare il posto a qualcuno di ben più grave, accontentandosi purtroppo del freddo suolo di pietra sotto di loro.
Nell’aria si respirava sangue e medicinali, e tutto ciò diede alla testa alla povera donna per qualche secondo, ma poi le tornò alla memoria la sua sorellina e subito tentò d’alzarsi per vedere se anche lei fosse lì.
Anche se per la verità nemmeno lei sapeva dov’era quel lì.
Quando però cercò di tirarsi a sedere sentì una tale fitta alle costole che fu costretta a tornare a sdraiarsi su un sottile cuscino bianco, trattenendo dei gemiti di dolore ma cercando comunque la sorella con lo sguardo. Ben presto però arrivò qualcun altro, si trattava di una curiosa donna-pegaso dagli occhi dorati, di cui però uno guardava nella direzione opposta dell’altro rendendo così impossibile capire da che parte guardasse. Le sue ali grigie sembravano trovarsi in difficoltà con la stretta divisa da infermiera, ed i suoi capelli biondi erano mal tenuti in una coda di cavallo, forse per evitare le intralciasse la vista in certi momenti. La prima cosa che questa fece fu cercare di utilizzare una leva, la quale si trovava su una delle gambe del lettino, per far sì metà di questo si alzasse permettendo all’altra di sedersi, ma a quanto pare non dosò bene la sua forza e così il materasso scattò direttamente in una rigida posizione, causando uno strappo alla schiena della donna. Lei però non si arrabbiò, non solo per le numerose scuse della bionda che tentò subito di rimediare, ma perché da subito aveva notato delle borse sotto agli occhi, quindi non dubitava l’altra fosse così stanca da far talvolta errori simili. Ciò comunque non le impedì di porle numerose domande, tra le cui prime ci fu il desiderio di sapere dove fosse, e cosa fosse successo, e se per caso tra le persone presenti v’era anche una bambina che corrispondeva alla descrizione della sorella.
La donna, che disse di chiamarsi Derpy Hooves, rispose subito spiegandole che si trovava a Canterlot, la città più famosa di Equestria ed in cui viveva la stessa principessa Celestia, perché per volere di quest’ultima strade, case, ed il suo stesso castello, dovevano venir utilizzati per accogliere i feriti ed aiutarli a guarirli. Non conosceva i dettagli di come fosse arrivata lì, ma non dubitava fosse stato perché la sua casa venne attaccata dal malvagio re Sombra, e quando il suo assedio s’era concluso, e le truppe della principessa erano andate alla ricerca di superstiti, avendola trovata ancora viva l’avevano trasportata assieme agli altri lì. Per quanto riguardava la bambina…non aveva notato nessuno che potesse anche solo somigliarle.
Con quella risposta le sembrò il mondo le stesse crollando per l’ennesima volta addosso, e le lacrime erano già a solcare il suo già pallido viso, che non chiedeva altro che un po’ di sollievo. Trovò qualcosa di simile però tra le braccia di Derpy, che non appena la vide in queste condizioni l’abbracciò accarezzandole la testa, sussurrandole che non sapeva chi stesse cercando, ma che sicuramente stava bene.
Sapeva che era una bugia, non poteva esserne sicura, ma in qualche modo la fece comunque sentir meglio, non era certa dopotutto nemmeno a Sweetie Belle fosse successo qualcosa, quindi poteva ancora sperare.
Non volle però trattenere alcuna delle lacrime che serbava nel cuore, e restituendo l’abbraccio della donna si lasciò andare, senza dar peso ai suoi singhiozzi o a ciò che le altre persone avrebbero potuto pensare.
Provava dolore, come ciascuno di loro, ed aveva bisogno di farlo uscire dal suo petto.
Non fu certa di quanto tempo rimasero abbracciate, ma le servì per riprendersi e finalmente avere le idee più chiare. Nelle settimane seguenti, che le servirono per poter guarire, lei e Derpy parlarono a lungo delle loro vite, la donna le raccontò che per molti anni era cresciuta a Nuvola City, una città splendida in cui abitavano solo umani-pegasi, ma che tuttavia non le dava completa soddisfazione.
Persone come loro infatti erano fin dall’antichità d’indole competitiva, non a caso possedevano uno dei colossei più grandi di Equestria per le loro gare, e visto lei non era particolarmente brava o competitiva aveva col tempo sviluppato il desiderio di trovare qualcos’altro. Prima però di riuscirci la guerra era iniziata, e la sua casa fu uno dei primi luoghi a crollare…
Da quel giorno la sua vita era cambiata, aveva assistito a scene orribili da parte del re, come il primo giorno in cui lo vide, quando strappò con indicibile brutalità un’ala di una sua coetanea, distruggendo così qualsiasi suo volo futuro. Lei era però riuscita a fuggire insieme ad altri, ovunque andassero la situazione non cambiava, per questo motivo lei ed i suoi compagni decisero d’unirsi alla causa della principessa Celestia, per combattere Sombra.
C’erano molti modi per aiutare però, come ad esempio assistere i malati, non necessariamente bisognava fare del male a qualcuno. La donna rimase ad ascoltare ogni suo racconto imparando quanto le persone stessero soffrendo, e quando il suo corpo gliene diede la possibilità anche lei volle fare qualcosa.
Desiderava con tutto il cuore ritrovare la propria sorellina, ma confidava nel proprio cuore che fosse al sicuro, e sentiva anche che dove si trovava c’era già qualcuno che aveva bisogno di lei. Per questo motivo per un po’ di tempo rimase a Canterlot, aiutando i feriti come infermiera.
Come Derpy, anche lei assistette alle scene più dolore, genitori che arrivavano con figli gravemente feriti e ma che uscivano dalla tenda senza di loro, uomini i cui corpi necessitavano d’urgenti cure mentre a fatica riuscivano anche soltanto ad urlare, figli che perdevano padri e madri, umani-unicorno dai corni spezzati e pegasi dalle ali strappati, incapaci d’esser mai più come realmente erano…
Aveva trascorso notti insonni ricordando i loro corpi aperti, e le ultime parole dei più sfortunati, e certamente mai avrebbe potuto abituarsi a qualcosa di simile.
Il suo carattere però era drasticamente cambiato, un tempo passava intere giornate alle spa per curare la sua bellezza, ora faceva solo il necessario per non apparire trasandata, aveva perfino tagliato i capelli, da morbidi e lunghi, nell’acconciatura attuale, ispida ed  a dir il vero, malfatta. Se poi un tempo anche solo l’idea di camminare nel fango la disgustava, perché avrebbe comportato il rischiar di sporcare le sue scarpe, nel presente si ritrovava perfino con le mani nei corpi delle persone durante le operazioni.
L’unica cosa invariata era il fatto che non passava giorno in cui non pensava alla sua sorellina, ma pregava per non vederla mai entrare lì perché avrebbe significato il peggio…
Aveva però nel corso dei mesi notato una cosa importante, il numero dei soldati che arrivavano era sempre maggiore, e spesso la causa delle loro ferite era dovuta alla scarsa qualità delle proprie divise. Non era comunque una cosa così impensabile, visto per millenni interi non v’era stata nemmeno l’ombra d’una guerra non c’era mai stato bisogno di un simile equipaggiamento, ma ora che qualcuno con una conoscenza maggiore di tale orrore era giunto le truppe della principessa si trovavano in netta difficoltà. Fu da questo dettaglio però che alla donna venne in mente un altro modo con cui avrebbe potuto unirsi alla causa, ovvero cucendo divise più adeguate. Infondo, era pur sempre una sarta, e dopo aver preso vari materiali e fatto numerose prove aveva finalmente ideato una tenuta adeguata, dai toni scuri ma con delle imbottiture, non pesanti ed ingombranti, che avrebbero reso più difficoltoso raggiungere la carne dei soldati.
Non era possibile raggiungere direttamente la principessa per parlarle di queste modifiche, ma visto il grande numero di soldati, ed il fatto i loro alloggi fossero molto vicini al castello di Canterlot, le bastò dirigersi lì per poter incrociare la strada con qualcuno di loro, cercando ovviamente qualcuno con un alto grado. Normalmente probabilmente non si sarebbe fatto caso ad una donna che dal nulla arrivasse con una tenuta per combattere, ma lei fin da giovane aveva sempre potuto contare sulla propria furbizia per convincere gli altri a far ciò che volevano. Dando i giusti elogi, usando saggiamente il linguaggio del corpo, ed usando il tono di voce adatto convinse così quell’uomo a far delle prove, ed il giorno dopo questo la mandò subito a cercare per poter discutere di una fabbricazione in massa di quelle tenute.
Lei non poté far altro che accettare, entusiasta di poter dare un contributo maggiore alla guerra, ed in un modo che non l’avrebbe nemmeno costretta ad uccidere qualcuno, tuttavia ciò avrebbe anche comportato un ulteriore allontanamento da Ponyville. Canterlot per quanto fosse divenuta una città piena e forte, era utilizzata solo per i soldati ed i feriti, altre città s’occupavano d’altre necessità, e quella che riguardava il vestiario era Manehattan. Essendo già dal tempo della pace la città per eccellenza dove si trovavano i migliori stilisti di moda era stata per la principessa la prima scelta, così tutti i volontari stilisti avevano rinunciato al loro desiderio di creare capi famosi per aiutare nel fabbricare sempre gli stessi, ma per una giusta causa.
Non fu semplice però salutare Derpy e le altre persone con cui per quasi un anno aveva lavorato aiutando chi aveva bisogno, ma era la cosa giusta da fare, e così, dopo due settimane di preparativi, giunse nella città dove aveva così tante volte sognato d’andare per mostrare i suoi capi. L’ironia era quasi divertente, in effetti infatti lo stava facendo, ma non con gioia o serenità.
Le truppe di Celestia l’aiutarono a trovare un capannone adeguato dal quale iniziare la sua “attività” con un gruppo di persone che, dopo aver analizzato la sua divisa, erano concordi con lei nel trovarla nettamente superiore alle vecchie. Per vari mesi quel piccolo gruppo di circa quindici persone cucirono senza sosta spedendo ogni giorno decine e decine d’abiti ai soldati, la cosa proseguì fino a quando una donna non comparve davanti alla sua porta, il suo nome era Sassy Saddles.
Aveva degli splendidi capelli arancioni ed un corno azzurro, i suoi occhi dorati lasciavano ben intendere la sua furbizia ed il fiuto per gli affari, ed era proprio per questo che l’aveva cercata. Anche lei infatti in passato aveva lavorato nel mondo della moda, e non aveva certo smesso anche se s’era dovuta adeguare alla guerra, lavorava infatti per Fancy Pants, un uomo unicorno che in passato era stato il culmine dell’alta società, e che ora dirigeva le industrie tessili e le forniture delle tenute dei soldati.
Avendo sentito del suo operato aveva subito deciso di conoscere meglio ciò che aveva realizzato, ed in caso favorevole desiderava perfino entrare in società. Un tempo conoscerlo avrebbe significato ritrovarsi sulle riviste migliori di Equestria, e così l’ironia fece nuovamente ridere la donna visto poteva sperare di farlo solo in una situazione così sfavorevole per l’intero regno, ma acconsentì felice ed onorata di ciò.
Il loro incontro però avvenne durante il suo orario di lavoro, e per questo motivo provò un grande disagio nel presentarsi a lui in condizioni così sciatte. Perfino durante la guerra quell’uomo era…perfetto.
Dal fisico ben definito e dagli splendidi capelli azzurri, pettinati all’indietro con soli due ciuffi che gli ricadevano ai lati della fronte, e dei piccoli baffi dello stesso colore al labbro superiore, indossava una giacca e dei pantaloni neri. Solo il fatto d’esser osservata dai suoi gentili occhi celesti la fece sentire come se tutto si fosse improvvisamente sistemato, peccato la realtà era ben diversa.
Assieme a lui era presente anche la donna unicorno più bella che avesse mai visto, la cui figura snella ma dalle deliziose curve avrebbe potuto incantare chiunque, per non parlare della sua bianca pelle, dei suoi cotonati capelli rosa pastello e dei suoi occhi viola chiaro. Il suo nome era Fleur de Lis, e nonostante la sua grazia chiunque al giorno d’oggi sapeva perfettamente in realtà era una donna forte ed abile nella lotta, per questo era infatti la guardia del corpo di Fancy Pants.
Passarono la giornata nel capannone dove la donna lavorava imparando quanto più possibile, sia delle tenute che, a quanto pare, anche di lei, l’uomo infatti ogni tanto osava con qualche domanda personale, alla quale lei non mancava di rispondere senza timore, infondo non aveva nulla da nascondere.
Quella giornata si rivelò fondamentale per il suo futuro, perché già la settimana seguente i due avevano deciso di cooperare, sostituendo le vecchie divise prodotte dalle industrie dell’uomo con quelle di lei.  Quante più persone furono riunite per imparare il progetto, ed in nemmeno un giorno nuove divise erano pronte per esser spedite. Lei avrebbe potuto smettere di lavorare e limitarsi a controllare l’andamento del mercato insieme all’uomo, che più di una volta le aveva fatto questa proposta, ma lei rifiutava sempre insistendo nel voler lavorare insieme agli altri.
E così, eccola lì, in una gigantesca stanza chiusa a creare una copia dopo l’altra, senza più ormai il minimo sentimento, non aveva più bisogno di seguire le sue regole di tempo, amore e couture. Forse per questo in certe notti di lavoro era arrivata ad odiare quei tessuti, s’era imprigionata in una gabbia di monotonia fatta da lei stessa, ma doveva rimanervi per poter aiutare qualcuno.
Era grata comunque a Fancy Pants per vari aiuti che lui le offriva, come il prendere il suo posto durante i lavori, o trovare qualsiasi cosa potesse anche solo lontanamente farle provare una sensazione rilassante, con il passare del tempo avevano imparato sempre più a conoscersi e lei non poteva negare di non provare un batticuore quando le loro mani si sfioravano, ma non se la sentiva di confessare tutto ciò.
Si auto-negava certi piccoli piaceri, come l’amore, perché temeva di perdere tutto ancora una volta, come già era successo, e sapeva che se fosse anche nato qualcosa tra di loro non avrebbe potuto coltivarlo per occuparsi adeguatamente del suo lavoro, oppure viceversa. La sua priorità oltretutto era anche ritrovare la sua famiglia, e se un giorno ne avesse avuto anche solo una piccola notizia, avrebbe abbandonato certamente ogni cosa pur di raggiungerli.
Non era una scelta facile, e ciò che aveva vissuto le sarebbe rimasto impresso per sempre, ma non si sarebbe spezzata e sarebbe andata avanti.
Quello era, purtroppo, il destino scelto per lei…

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Capitolo 6
*** Lacrime di terrore e dolore (06) ***


Le cose...non sono mai state facili, ma non avrebbe mai potuto pensare potessero andare anche peggio.
Una giovane donna-pegaso, dai corti capelli rosa aventi solo una frangetta tenuta di lato, nascosti sotto una bandana verde militare, che indossava una divisa marrone piena di tasche dentro cui erano riposti strumenti per la tosatura, era impegnata nel suo lavoro, ovvero tosare appunto il bestiame che le veniva mandato. La sua pelle olivastra era in più punti sporca di fango, ed i suoi meravigliosi occhi azzurri non avevano altro che malinconia e tristezza dentro. 
Eppure il luogo in cui lavorava lo si sarebbe potuto definire piacevole, rispetto sempre ad altri. Si trattava infatti di una piccola fattoria costruita nelle campagne di Canterlot, circondata da alberi di mele che permettevano al grande fienile rosso d’esser nascosto dalle foglie. 
Lì tuttavia non si coltivava nulla, e perfino le mele non erano molto usate, quel luogo serviva infatti per allevare gli animali e, una volta giunto il tempo, utilizzare le loro pellicce che sarebbero state mandate a fabbriche per la creazione di nuove divise. Per questo motivo l’intera struttura era racchiusa in un grande recinto bianco, vista la sua posizione è stato pensato che difficilmente un luogo simile avrebbe potuto destare interesse e quindi venir attaccato, ma i lavoratori per pura precauzione hanno voluto ammucchiare gigantesche balle di fieno, per far sì che almeno se fosse arrivato qualcuno sarebbe stato rallentato dando tempo a loro di scappare in delle gallerie segrete. Il cielo però, come ormai ogni angolo di Equestria, si mostrava sempre ingrigito e privo di vita. 
Ancora fortunatamente non era successo nulla di tutto questo.
Oltre a lei però quel giorno non c’erano altro che pecore e caproni, divisi tra coloro a cui doveva essere ancora tolto il manto e chi era già stato sottoposto a tale procedura. E dire che lavorare con degli animali avrebbe dovuto rallegrarla, visto si trovava certamente molto più a suo agio con loro che con altre persone, ma le cose non vanno mai come si desidera…
Fin da bambina aveva sempre dimostrato una grande timidezza e paura nei confronti di tutto ciò che la circondava, essendo lei un umano pegaso la gente suppone loro siano di natura temeraria, ma anche in questi stereotipi sono presenti delle eccezioni. 
Nata a Nuvola City la maggior parte del suo tempo l’aveva passato a casa da sola, entrambi i genitori erano impegnati nei propri lavori, mentre il fratello minore preferiva star fuori a sfogare la sua creatività.
Suo padre, un uomo dalla pelle tendente al verde ma dagli occhi azzurri, con dei simpatici baffi bianchi sul labbro superiore ed una capigliatura dello stesso colore che ricordava una nuvola o del gelato, e che indossava solitamente una camicia verde acqua con sopra un maglione azzurro e dei pantaloni marroni, lavorava alla fabbrica arcobaleno, mentre la madre, una donna bassa dagli occhi perennemente nascosti sotto degli occhiali azzurri, dello stesso colore poi dei capelli fucsia che però lasciavano ben vedere sia dei rotondi orecchini  a margherita ed una collana di perle giallognole, e che solitamente indossava una lunga gonna gialla ed una camicetta rosa pallido,  lavorava in uno splendido negozio di fiori che aveva aperto lei stessa in gioventù. 
Entrambi erano persone deliziose, mai un urlo si sarebbe potuto sentire dalle loro labbra, anche se spesso erano fin troppo accondiscendenti con gli altri, tuttavia nessuno avrebbe potuto mancare di dire quanto fossero grandi i loro cuori.
Lei aveva pressappoco il loro stesso carattere, ed era stato un miracolo il fratello invece fosse cresciuto diventando man mano più sicuro di sé e vivace. Zephyr Breeze era il suo nome, ed anche se era più piccolo di lei da sempre l’aveva superata in altezza. Aveva un fisico alto e snello, dei capelli biondi sempre raccolti sulla testa e gli stessi occhi dolci della madre, per questo era impossibile dirgli di no, perfino alle sue innumerevoli richieste di tentar di seguire una nuova vocazione pochi minuti dopo averne abbandonata un’altra.
Ma la sua vita non era comunque così male, passava molto tempo a leggere tranquillamente, tranne quando era costretta ad andare alla scuola di volo…lei non era brava come gli altri, soprattutto a causa della sua poca autostima e del timore di venir derisa.
Queste paure la bloccavano talmente tanto che le sue ali si rifiutavano di muoversi, facendola più che altro cadere e ricevere così dei canzonamenti da parte degli altri. Non aveva nemmeno la grinta necessaria per difendersi, quindi in silenzio s’allontanava facendo del proprio meglio per trattenere le lacrime.
In quei giorni lontani l'unica persona che avesse creduto in lei era stata una sola...anche se purtroppo si era subito allontanata.
Lei era il suo esatto opposto, piena di grinta, incapace d’abbassare la testa riguardo ai soprusi e soprattutto la migliore in qualsiasi cosa, soprattutto il volo.
All'accademia un piccolo gruppo di ragazzini l'aveva presa in giro appunto riguardo alla sua incapacità, e durante uno di questi momenti proprio quest'altra persona si era schierata dalla sua parte, arrivando a sfidarli per proteggere il suo onore.
Era indescrivibile la felicità che aveva provato nel sentire un'amica vicina, anche se purtroppo aveva perso la gara di volo contro gli altri, ma non le importava, il gesto contava molto di più.
Eppure proprio dopo quella sconfitta la sua eroina aveva smesso di parlarle, a malapena la salutava...l'aveva fatta arrabbiare forse, oppure si era resa conto non aveva motivo di sprecar tempo per lei...
Aveva cercato di migliorare ma i suoi tentativi erano alquanto scarsi, ed all’arrivo della guerra ogni cosa precipitò, proprio come aveva fatto la sua casa…
Re Sombra in persona era arrivato nel punto in cui si trovava Nuvola City, e grazie alla sua magia dopo un primo attacco aveva fatto sì la città cadesse in frantumi. Lei in quel momento si trovava nella propria stanza impegnata a leggere, almeno fino a quando non sentì delle urla fuori dalla propria finestra e le pareti attorno a sé tremare. Tutta la sua famiglia era fuori e non possedevano animali, quindi lei non pensò altro che a fuggire per cercare riparo, ma tutto ciò che vide furono solo le strade in frantumi e gli altri abitanti della città volar via urlando.
La paura le schiacciò il petto con una forza tale che si sentì quasi svenire, ma forse il fato volle impedirglielo per farle assistere alla distruzione della propria casa.
Questa era molto modesta, con solo due piani e costruita con nuvole di mattoni bluastre, dal soffitto invece morbido alla vista e con un alta colonna portante al lato sinistro. Era poi piena di finestre, solo nella facciata principale del secondo piano ve n’erano almeno quattro, tutte comunque nascoste da tende viola, mentre al piano inferiore ne era presente solo una che però ricopriva tutta la parete.
Era piccola, ma accogliente e con tanti meravigliosi ricordi, ed ora stavano crollando sotto il suo sguardo.
Quella vista la scioccò talmente tanto che non riuscì nemmeno a volare, ma quando sentì il terreno mancarle sotto i piedi un grido di puro terrore uscì dalla sua gola mischiandosi a quello degli altri che stavano volando via.
Precipitò con rapida velocità temendo il peggio, ma la fortuna non aveva voluto abbandonarla completamente e così la sua caduta terminò in prossimità dei primi alberi della foresta sopra cui la città precedentemente si trovava, i quali attutirono sì la sua caduta, ma non la nascosero.
I suoi occhi rimasero chiusi per qualche secondo, come se non volessero credere fosse riuscita a sopravvivere, ma un forte dolore al polso della mano sinistra ed alla schiena confermavano fosse ancora viva, quando però li riaprì desiderò non averlo mai fatto.
Forse per puro caso, forse per divertimento altrui, o per qualsiasi altra ragione esistente, in quell’esatto momento ad osservarla da lontano c’era la stessa persona che aveva appena distrutto la sua casa. Quei verdi occhi dalle pupille rosse, colme di malvagità, la stavano guardando quasi divertiti del suo dolore.
Il cuore di lei sembrò battere talmente rapidamente per la paura che poteva sembrar fermo, mentre il suo corpo impallidito tremava come se avesse visto la morte stessa, anche se in un certo senso era così.
Non erano solo quegli occhi però a terrorizzarla, ma tutto ciò che li circondava, i denti affilati del sorriso di lui, la pesante armatura che portava, i soldati di cui si circondava, i pegasi che a mezz’aria erano stati bloccati dalla sua magia, e soprattutto l’ala che teneva tra le sue mani. Da quella distanza non le fu possibile vedere a chi appartenesse, ma era chiarissimo ciò che era successo e riuscì per poco a trattenersi dall’impulso di dar di stomaco alla vista del sangue.
Contrariamente a quanto si sarebbe aspettata però lui non fece niente, non la indicò per far sì venisse raggiunta ed uccisa, continuò a guardarla mentre le sue truppe catturavano persone innocenti, ferendole e forse uccidendone alcune, mentre anche le ultime macerie della città raggiungevano il suolo dissolvendosi come semplici nuvole.
Ed in quello scenario di sangue e morte, lui non aveva smesso di guardarla fino a quando non s’allontanò con le sue truppe, qualsiasi tentativo da parte d’altri di fermarlo venne distrutto da quei soldati incapaci di fermarsi nemmeno quando venivano trafitti o colpiti con tutta la forza che gli avversari possedevano, uscendo così vittoriosi da ogni singolo scontro.
L’immagine degli arti spezzati, delle grida, del sangue e delle urla l’avrebbero perseguitata per tutta la vita, e perfino quando tutto tornò alla calma lei non vedeva altro che quello scenario, paralizzata ed incapace perfino di piangere dal terrore.
Rimase paralizzata per molto tempo, perfino quando il suo nome iniziò a venir chiamato a gran voce lei non riuscì a rispondere, sentì però le braccia del fratello abbracciarla, accarezzarle il viso e scuoterla per farla risvegliare da quella trance. Pochi istanti dopo arrivarono anche i suoi genitori, erano tutti sani e salvi, con solo qualche graffio sui vestiti ed i capelli in disordine, sicuramente erano stati più fortunati d’altri.
Furono suo padre e suo fratello ad aiutarla ad alzarsi per camminare quanto più lontano possibile da lì, nessuno di loro se la sentiva di volare, e visto lo shock sarebbe stato solo molto rischioso.
Nei dintorni non c’erano molti luoghi dove potersi considerare al sicuro, avrebbero potuto raggiungere Ponyville ma il timore d’incontrare nuovamente i soldati di re Sombra era alto e non avevano le energie per affrontare un viaggio fino a Canterlot, per avvertire la principessa. Trovarono più sicuro cercar riparo in un luogo dove nessuno avrebbe mai guardato, e così scelsero la Everfree forest, una gigantesca e fitta foresta in cui la notte gli alberi dalle nere cortecce impedivano perfino di veder le stelle lasciando come uniche luci solo gli occhi delle pericolose creature che vi vivevano all’interno. Per ironia della sorte era vicina a Ponyville, il buon senso quindi avrebbe detto di giungere lì, ma il loro timore d’assistere ad un nuovo attacco rischiando di non esser fortunati come lo erano stati fu più forte di quella che potevano nutrire per i mostri della foresta. Cercando di far quanto meno rumore possibile passarono tra gli intricati rami, fermandosi solo raggiunta una grande grotta apparentemente vuota, per una notte sarebbe potuta bastare per riposare. Lei però non riuscì a prendere sonno in alcun modo, continuava a vedere gli occhi del re ovunque, perfino tra le piante che la circondavano rischiando di farla urlare dal terrore.
Non furono però i suoi occhi a comparire tra le tenebre, ma due spettri gialli nascosti sotto uno scuro mantello, suo padre subito si portò davanti alla famiglia per proteggerla, domandando chi fosse lo straniero che li aveva raggiunti. Gli rispose una misteriosa voce femminile che parlò perfino in rima, spiegando che non dovevano provare alcun timore nei suoi confronti e che li avrebbe potuti condurre in un luogo veramente sicuro nella foresta, la sua casa. Anche se non erano certi di potersi fidare vollero credere nella presenza di brave persone nel mondo, e la seguirono arrivando fino ad un gigantesco albero cavo, alle cui radici erano state lasciate delle inquietanti maschere di legno dipinti di scuri colori, mentre tra le foglie erano appesi dei talismani che emettevano dei deboli bagliori. Entrando si ritrovarono in un ampia stanza dai muri ben levigati, al centro era stata scavata una fossa riempita poi di carbone e legna, che serviva a scaldare un calderone proprio sopra d’essa. Ai muri si potevano trovare vari scaffali pieni d’ampolle contenenti oggetti d’ogni tipo, dalle erbe a parti d’animali, di queste cose era piena in particolare una scrivania ricavata con delle radici d’alberi intrecciate sapientemente. Non mancavano poi le stesse maschere sistemate fuori che però stavolta erano appese al soffitto tramite delle corde, e come fonti di luce c’erano numerose candele accese.
Non sembravano esserci altre stanze ma solo quel piano era abbastanza spazioso da contenere anche in un angolino, sotto una finestra, un letto di paglia con sopra una coperta gialla ricamata a mano.
Solo una volta che tutti furono entrati la donna rivelò il suo aspetto, il viso aveva caratteristiche estranee rispetto a quelli a cui loro erano abituati, la pelle innanzitutto era tendente al grigio ed in alcune zone, come le mani o le braccia, erano presenti delle zebrature scure. I suoi capelli erano stati pettinati in una cresta bianca  a strisce grigie, ed i suoi grandi occhi azzurri sembravano racchiudere una grande sapienza. Indossava poi anche una collana d’anelli che le nascondeva l’intero collo, aveva un bracciale simile anche al polso destro e degli orecchini dorati talmente grandi da allungarle le orecchie in maniera innaturale. 
La donna disse di chiamarsi Zecora, e spiegò che non apparteneva alla loro terra ma ad una ancor più distante, non era quindi da considerarsi un umano-terrestre, perché anche lei possedeva grandi abilità nel preparare incantesimi forse superiori perfino a quello di certi umani-unicorni. 
Preparò subito degli infusi in grado di lenire il dolore e rasserenare lo spirito, occupandosi soprattutto di lei che agli occhi di tutti era evidente avesse subito il maggior danno, nemmeno le suppliche della madre riuscirono a farle dire una parola.
Passarono circa tre giorni nella casa della donna e la sua famiglia riuscì a riprendersi rapidamente, lei invece gli unici miglioramenti riuscì a fare fu sussurrare qualche debole parola di ringraziamento. Zecora durante quei giorni spiegò alla famiglia quanto sapeva della crudeltà del re, e di ciò che stava accadendo anche nelle zone vicine. Ancora non s’erano avvicinati alla Everfree forest quindi potevano dirsi veramente al sicuro, ma era solo una questione di tempo. 
Zecora comunque mostrò sempre gentilezza nei confronti della famiglia, invogliandoli a restare anche quando questi dicevano fosse il momento di partire, non per coraggio però, semplicemente non era la loro casa e non volevano rubarla a qualcun altro. La donna però disse che era solo una fonte di felicità avere qualcuno con cui parlare, anche al tempo della pace in verità le persone non l’avevano mai avvicinata, limitandosi a scappare da quell’estranea dall’aspetto misterioso, tutto perché avevano paura di ciò che non conoscevano. Loro però non ne mostravano e durante le freddi notti a seguire la donna e Zecora trovarono molto di cui parlare, condividevano l’emozione d’essersi sentite spesso estranee al mondo, anche se per una derivava dalla propria paura del mondo mentre l’altra era perché il mondo aveva paura di lei, e rispettavano in egual modo la pace e la tranquillità della natura.
La gentile padrona di casa s’offrì anche d’insegnarle qualcosa sulla magia, nulla che riguardasse quella degli unicorni però ma che dipendesse solo dalle piante e dagli oggetti attorno a loro, questa per lei fu un prezioso modo per distrarre la mente dagli orrori visti ed i loro “studi” si concentrarono particolarmente sugli animali. Lei infatti già dalle prime volte aveva mostrato un particolare legame con loro, e Zecora l’aiutò presto a capire le apparenze ingannano e che perfino una manticora può rivelarsi docile, se si sa come agire. Con il passare del tempo il suo umore sembrò migliorare, tornò a parlare normalmente con la propria famiglia ed instaurò un buon legame con la donna, considerandola una vera amica.
Purtroppo però ciò che disse in passato si rivelò vero, fu solo una questione di tempo prima che, una notte, i soldati di Sombra si muovessero tra gli alberi della foresta, abbattendone alcuni ed uccidendo ogni creatura che incontravano. Tutti loro nel frattempo stavano riposando dopo una giornata passata a raccogliere delle erbe mediche, ma furono svegliati da Zecora che aveva notato qualcosa di strano nella foresta ed andando ad indagare aveva visto i verdi occhi dei soldati.
Colta dal panico la famiglia temette di dover rivivere ancora la perdita d’una casa, ma essendone a conoscenza riuscirono a radunar ogni cosa importante, ed uscendo da un porticina nascosta evitarono d’incontrare quegli uomini. Il cuore della donna batteva con la stessa intensità di quel giorno, gli occhi che credeva d’esser riuscita a cancellare l’assalirono nuovamente ad ogni angolo rischiando di farla paralizzare, ogni suono sembrava esser portatore di pericoli.
Iniziarono poi a sentire un forte odore di bruciato ed una luce giungere dal luogo da loro abbandonato, voltandosi riuscirono a vedere delle gigantesche fiamme ergersi tra le foglie, non fu difficile intuire avessero bruciato il tronco cavo, Zecora però non disse nulla, tenendo il capo basso cercò perfino di trattenere le lacrime, e solo una scappò dal suo controllo. 
Tutti loro corsero a perdifiato per la foresta per sfuggire ai nemici, ma la situazione si complicò ancor di più quando arrivarono in prossimità di un gigantesco castello ormai diroccato ed abbandonato da chissà quanti secoli. Le rocce con cui era stato costruito erano coperte da spessi strati di muschio, varie pareti erano crollate lasciando così intravedere gigantesche stanze che, forse, un tempo erano ricche di sfarzo, mentre ora la polvere e la vegetazione avevano nascosto il colore dei muri e dei pavimenti. 
Ci fu però un importante dettaglio che dissuase tutti dall’entrarvi, dei giganteschi cristalli neri.
La donna sentì come se l’intero mondo stesse crollando una seconda volta, forse era una specie di gioco per qualcuno, in cui lei era la povera vittima.
L’unica possibilità avevano era quella di volare, ma sarebbero stati facili bersagli e non solo Zecora non poteva farlo, ma nemmeno la donna stessa se la sentì. Suo fratello Zephyr rendendosi conto delle sue condizioni le disse di non preoccuparsi, che sarebbe stato in grado di portarla al sicuro, e così facendo del proprio meglio il giovane la prese in braccio pronto a volare. Il padre invece s’offrì d’aiutare Zecora ma questa rifiutò, spiegando poi che non poteva abbandonare in quel modo la foresta, il luogo che le aveva offerto un rifugio e casa, non senza combattere. Tentarono di convincerla a venir con loro, spiegandole non c’era alcuna possibilità per lei di farcela, ma lo sguardo della donna era irremovibile, e con un ultimo sorriso iniziò a correre nella direzione opposta alla loro.
Ancora una volta lei non riuscì a far nulla se non guardare, mentre la sua famiglia l’aiutava a fuggire da quel luogo.
Volarono quanto più basso possibile per evitare d’esser visti, suo fratello purtroppo visto il peso extra fece più fatica del previsto ma con l’aiuto sia del padre che della madre la portò fino al limite della foresta.
Era terribilmente chiaro che ovunque potessero andare il destino non avrebbe riservato loro un trattamento diverso da questo, ma c’era ancora un luogo in cui speravano di poter trovare riparo.
Con il cuore spezzato continuarono a volare per giorni e giorni, fino a quando davanti ai loro occhi non videro la meravigliosa Canterlot. I suoi muri erano ancora della stessa tonalità della neve, mentre sui tetti viola, talvolta a strisce gialle delle case, sventolavano fieramente le bandiere simbolo della città, ed il glorioso castello della principessa regnava sovrano nella montagna su cui tutto ciò era costruito.
L’intera zona era però circondata da un campo di forza dai torni rosati.
Questo certamente serviva come protezione alla città, ma la sua famiglia sperò comunque li lasciassero entrare per trovar riposo e pace, infatti solo quando furono davanti alle porte della città scesero a terra, stanchi e quasi senza forze.
Andarono loro incontro quattro robusti uomini protetti da armature dorate, sui cui caschi era presente una cresta azzurrognola. Ciascuno era armato d’una lancia e la puntarono contro di loro, ma quando capirono non avevano nulla da temere permisero a tutti d’entrare.
Di quei giorni la donna ebbe solo brevi ricordi, venne portata dentro delle grandi tende e curata da gentili volontari, che fecero anche l’impossibile per parlar con lei ma a causa della sua timidezza e della grande paura riuscì solamente a sussurrare dei monosillabi inudibili.
Passarono circa una decina di giorni in cui gli infermieri tentarono di ristabilire nei membri della sua famiglia un equilibrio sia fisico che mentale e quando sembrarono esserci dei miglioramenti mandarono alcuni uomini a parlar con loro.
Si trattava per lo più di soldati, accompagnati però dal capitano delle guardie reali, Flash Sentry, un uomo alto e robusto, dai corti capelli divisi in due sfumature di blu e dagli occhi celesti e gentili. Al contrario dei suoi sottoposti che indossavano armature color oro la sua era violacea e la cresta sul suo copricapo era di un blu intenso.
Il motivo per cui si trovava lì era per raccogliere informazioni dai feriti su un possibile loro incontro ravvicinato con re Sombra, ogni dettaglio poteva essere di vitale importanza. A lei però bastò solo sentire quel nome per sprofondare nuovamente nel terrore, e colta dal panico si rannicchiò nel letto in cui si trovava tremando, esser circondata da così tante persone poi non l’aiutava in nessun modo. Per lo meno il capitano rendendosi conto delle sue condizioni evitò di parlarle lasciandola riposare, tuttavia fatto il giro di tutti i presenti si fermò davanti alla porta spiegando che non si poteva lasciar le cose in uno stato simile, e che tutti nel loro piccolo avrebbero dovuto aiutare la principessa Celestia nell’affrontare la minaccia del re.
Questo non significava comunque dovessero scendere in battaglia, anche solo aiutare nel fabbricare armi o divise, o procurare viveri era qualcosa d’importante.
In seguito al suo discorso, dopo aver recuperato completamente le forze, a lei ed alla sua famiglia vennero assegnati dei compiti, la madre avrebbe aiutato ad assistere i feriti portando loro da mangiare, il padre e Zephyr Breeze invece sarebbero stati impiegati nella fabbricazione di armi, lei invece aveva il compito di tosare gli animali in una fattoria vicino alla città ed in caso di bisogno di portare i materiali a coloro che li avrebbero lavorati.
Alla fine le cose non furono così male come aveva temuto, le dispiaceva star lontana dalla sua famiglia la maggior parte della giornata, ma lavorava in un ambiente sereno e la principessa garantiva sicurezza a tutti. Quando però iniziò a tosar le prime pecore e vide i loro sguardi sentì come una fitta al cuore, quei poveri animali costretti a stare chiusi tutto il giorno in un recinto, costretti ad aspettare il loro turno per la tosatura, cosa che poi veniva fatta non appena il loro manto raggiungeva la giusta misura, lasciandoli perennemente spogli. Ogni giorno al calar delle tenebre però correva subito verso gli alloggi che la principessa aveva fatto preparare all’interno del castello, terrorizzata anche solo dal pensiero di poter vedere nell’oscurità gli occhi verdi dalle pupille rosse che ancora rivedeva. In origine comunque quelle stanze sarebbero state usate per incontri o anche semplice svago, ma vista la situazione erano state riempite di letti a castello d’almeno sei file, in modo una sola camera contenesse quasi una ventina di persone. 
Rispetto a quando era giovane le cose non erano cambiate molto, non aveva nessuno con cui parlare, ogni volta veniva guardata quasi squittiva e correva via temendo potessero avercela con lei, anche se tutti loro erano troppo impegnati visto i giorni consistevano nello svegliarsi, far colazione, lavorare, pranzare, riprendere a lavorare, cenare ed andare a dormire. Nelle notti in cui non riusciva a prender sonno pensava a Zecora, sperando potesse esser salva e magari avesse trovato un posto sicuro, provando una nostalgia tale da farla perfino piangere.
Non c’era gioia tra quelle ore, nessuna risata o nessun sospiro sollevato, solo il costante terrore di poter vedere ogni cosa distruggersi ancora una volta da qualcosa non aveva mai voluto.
Quello era, purtroppo, il destino scelto per lei…

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Capitolo 7
*** L'incontro (07) ***


Un incessante vociare si ode nella grande stanza scavata sotto il suolo.
Da quando la guerra è iniziata nessuno è più al sicuro, ma non per questo la gente ha voluto rinunciare ai propri piaceri, come ad esempio il bere in compagnia, per questo alcune persone hanno voluto costruire dei veri e propri bar sottoterra, ovviamente completamente legali ed approvati dalla principessa Celestia. Li si poteva trovare in ogni città ormai. A FortHoof però uno in particolare era il preferito di soldati e lavoratori in cerca di riposo, il Broken hoof. La città esternamente non aveva più nulla di diverso dalle altre, le strade erano praticamente perennemente deserte, fatta eccezione per alcuni carri da lavoro o dell’esercito della principessa, le case ed i giardini erano mal tenuti e negli occhi di chiunque si poteva trovare la paura. L’entrata per il bar era alquanto inusuale, in superficie c’era infatti solo un minuscolo insieme di mattoni di appena due metri quadrati di grandezza ed alto circa due metri, costruito con grigi mattoni, dal tetto piatto e con solo una porta di ferro, aperta questa però si poteva trovare una botola in legno sopra cui era incisa la scritta “Broken hoof”. Sollevando anche questa le sorprese non finivano visto che si trovava una scala di pietra che procedeva nel terreno per circa dieci metri nell’oscurità.
Certo non era poco, ma ne valeva la pena per restare al sicuro, ed una volta giunti al termine della scalinata s’arrivava in uno stretto corridoio alla fine del quale c’era un’altra porta, stavolta in legno e con un simpatico zerbino marrone con la scritta verde “Benvenuti” ricamata sopra.
Si arrivava così nel vero cuore del bar, una gigantesca stanza dal pavimento di tavole di legno, nascoste sotto fila e fila di tavoli rotondi, senza tovaglie o simili, e con circa quattro sedie per ciascuno, anche se per quelli più grandi potevano variare.
I muri erano di mattoni rossi, appesi ad essi c’erano alcuni quadri astratti, certi avevano toni scuri come se il pittore avesse tentato di cogliere le più tetre ombre della notte, mentre altri avevano dei colori più allegri, anche se questi toni erano ormai sbiaditi e non solo per il tempo, ma perché gli occhi delle persone non erano più in grado di vedere la profonda bellezza di tali scene senza pensar al dolore della loro perdita.
Alla sinistra dell’entrata era presente un lungo bancone in legno levigato lungo i cui bordi erano state messe delle sottili sedie senza schienale ma con de cuscinetti rossi sulla seduta. Dall’altra parte del mobile c’erano almeno cinque scaffali pieni di bevande alcoliche.
Le luci della stanza erano date da delle sottili lampade a conca bianche, legate al soffitto tramite delle catene nere, e concedevano di veder l’indispensabile anche in quel luogo chiuso.
Il proprietario del bar si chiamava Horte Cuisine, un uomo-terrestre alto e dal fisico tonico che indossava sempre un’elegante giacca bianca, dei pantaloni dello stesso colore, lucide scarpe nere ed un papillon rosso. Curava meticolosamente i suoi capelli blu ed i sottili baffi al labbro superiore, i suoi occhi gialli poi erano sempre seri ma ascoltava senza difficoltà il ciarlare di  qualsiasi suo cliente.
In origine aveva lavorato a Ponyville in un allegro ristorante vicino alla biblioteca ricavata da un albero cavo al centro della cittadinella, costruito con mattoni bianchi e legna verde e dai due tetti di paglia, ciascuno in città andava matto per quel luogo dove si poteva mangiare sia fuori su eleganti tavoli viola o all’interno circondati da un’atmosfera rustica. Era però tutto cambiato all’arrivo di re Sombra, e quel luogo come tanti altri era bruciato, il signor Horte però era riuscito da semplice cameriere ad aprire un bar tutto suo, volendo regalare ancora ai poveri cittadini un luogo dove scacciare i pensieri e riempire lo stomaco, anche se non nella sua amata città. Era più per abbandonare il dolore nell’alcol o ritrovare amici distanti che la gente andava lì, era permesso anche fumare e siccome il proprietario che gestiva completamente solo il bar vendeva anche dei sigari spesso ci si ritrovava immersi nella cortina di fumo che si creava.
Non importava però per quale motivo s’arrivava lì, era un luogo in cui sfuggire alla guerra per qualche ora, dove poter riavere anche solo l’illusione di ciò che c’era stato un tempo.
Tuttavia, anche nelle profondità della terra, circondati da fango e dolore, mischiati al sangue, può sorgere la speranza che porterà i cuori dei forti alla vittoria…
Ogni giorno il bar si riempiva d’un gran numero di persone, la maggior parte delle quali spesso passavano inosservate tra loro e gestivano interazioni solamente tra colleghi di lavoro o amici di vecchia data. Il primo caso si poteva facilmente rispecchiare alle due donne appena entrate, entrambe dai corpi snelli si distinguevano principalmente, non solo per il colore rosato dei capelli di una e viola dell’altra, ma per il portamento, se la prima infatti stava praticamente rannicchiata su se stessa l’altra si guardava attorno con sicurezza, e perfino indossando solamente la propria divisa da lavoro riusciva ad attirare numerosi sguardi. I loro nomi erano rispettivamente Flutteshy e Rarity, avevano avuto modo di conoscersi, purtroppo, solo all’arrivare della guerra, infatti la viola gestiva un’importante fabbrica tessile che forniva un gran numero di divise ai soldati dell’esercito, mentre l’altra s’occupava in una sede a parte di raccogliere tutti i materiali, specialmente di tipo animale. Nonostante i loro luoghi di lavoro fossero distanti Flutteshy talvolta era anche incaricata di viaggiare per portare le merci ai clienti. In una di queste occasioni una delle tasche della divisa della rossa s’era bucata, forse a causa degli affilati strumenti di lavoro che utilizzava, ed accorgendosene Rarity s’era subito proposta di sistemargliela. All’inizio non era stato per niente facile approcciarsi a causa della timidezza della ragazza, abbastanza forte da far sì riuscisse solo a sussurrare debolmente il suo nome, che venne coperto più volte dal brusio delle macchine da cucito in lontananza. La perseveranza di Rarity però con il tempo aveva dato i suoi frutti, ogni volta la vedeva si salutavano cordialmente ed avevano perfino pranzato assieme. Avevano così scoperto d’avere molte cose in comune, come ad esempio una buona conoscenza sulla moda, oltretutto quando ancora erano in un periodo di pace entrambe avevano scoperto fosse piacevole riposarsi per qualche ora ad una spa, anche se Fluttershy l’aveva fatto con sua madre mentre Rarity ogni volta si presentava l’occasione. Per quanto riguardava i loro vissuti per la guerra entrambe non amavano parlarne, anche se conoscevano abbastanza l’una dell’altra per capire avevano sofferto.
Dopo un anno entrambe potevano dire di considerarsi amiche, e siccome Fluttershy aveva dovuto fermarsi a Manehattan perché in seguito alla sua ultima consegna sembravano esser stati avvistati dei soldati di Sombra, Rarity aveva insistito per ospitarla e per festeggiare l’evento l’aveva portata nell’unico posto si potevano trovare delle risate, ovvero il bar in cui si trovavano.
-Rarity…sei sicura siamo al sicuro qui?-
-Ma certo, non preoccuparti qui non potranno arrivare altro che amici.-
Rispose la viola sorridendole cortesemente, anche se conoscendola poteva capire l’altra si sentisse a disagio anche solamente dallo star in mezzo a tutte quelle persone.
Tra queste però due spiccavano rispetto a tutti, entrambe le figure erano sedute al bancone del bar ed a giudicare dalla quantità di boccali attorno a loro non erano lì certamente per conversare. La prima ragazza, un umano-pegaso, aveva dei corti capelli arcobaleno ed una divisa da soldato, l’altra invece dai capelli biondi aveva una normale divisa a motivi militari scuri, negli occhi di entrambe però si poteva chiaramente leggere competizione e determinazione. I loro nomi erano rispettivamente Rainbow Dash e Applejack.
C’era anche un’altra ragazza, dai capelli rosa e lo sguardo assente, che al contrario delle due beveva con calma il proprio ordine, anche lei indossava la stessa divisa del pegaso, il suo nome era Pinkamena Diane Pie.
Molte persone s’erano radunate in quel punto per guardare quella che sembrava una gara di bevute e c’era da dire fosse veramente incredibile il modo in cui le due trangugiassero fino all’ultima goccia dei contenitori. 
Avendo finito il suo Rainbow Dash sbatté il calice sul legno del bancone, asciugandosi le labbra con il dorso della mano.
-Credi di potermi stare ancora dietro?-
Anche l’altra fece lo stesso gesto e la guardò con sfida.
-Posso berne anche il doppio…-
Effettivamente nonostante la quantità bevuta non erano per nulla ubriache, Pinkamena accanto alla collega non batté ciglio continuando a sorseggiare educatamente.
La conversazione però non era certo finita, visto che Rainbow Dash guardò l’altra sorridendo con fare schernente.
-Tsk, con tutto quello che hai fatto cadere a terra ci credo che puoi ancora prenderne. Facile barare.-
-Ripetilo se hai il coraggio!-
Applejack subito scattò in piedi, c’erano aggettivi che non potevano esserle dati con tanta semplicità, come essere un baro.
In realtà quella sfida era partita quasi in amichevole, le due militari frequentavano spesso quel bar visto le aiutava a non dover pensare e ripensare agli orrori della guerra all’infuori di essa, l’altra ragazza semplicemente aveva dovuto fare una consegna urgente e stanca aveva chiesto il luogo migliore per riposare qualche ora.
Per puro caso si erano sedute vicine e quando Rainbow Dash aveva notato Applejack mandar giù un bel bicchiere come se fosse acqua aveva fatto una piccola battuta:
“-Ehi, certo che ci sai fare.-
Applejack in un primo momento non aveva risposto limitandosi a far spallucce, l’altra ragazza aveva però continuato a guardarla per qualche istante e forse risentita dal fatto non avesse ricevuto risposte ordinò la stessa bevanda e la mandò giù ancor più rapidamente.
-Io però sono più brava.-“

Da questo punto in poi avevano continuato ad ordinare per vedere chi era in grado di resistere più a lungo senza star male. La rosata non aveva partecipato perché non v’era alcun interesse, d’altronde lei non provava mai questo sentimento per qualcosa di “divertente”.
Gli sguardi delle due donne si erano fatti più animati, forse d’orgoglio mista a frustrazione e desiderio di vittoria, ma certamente visti gli animi le cose sarebbero potute andare ben oltre una semplice gara di bevute, forse perfino in una lotta. Sia Rarity che Fluttershy avevano notato questa scena ma se la seconda era più propensa ad allontanarsi il più possibile l’altra andò quasi in mezzo alle due.
-Signore, non è necessario litigare così. Siamo tutti in buona compagnia no? Beviamo qualcosa tutte insieme, offro io.-
Disse la viola sorridendo dolcemente, facendo poi cenno al barista di preparare i boccali. Rainbow Dash ed AppleJack rimasero qualche istante perplesse per l’intrusione, fino a quando quest’ultima non riconobbe la donna.
-Rarity?-
Ci fu un breve scambio di sguardi, fino a quando anche la viola si rese conto di chi fosse.
-Oh mi ricordo di te, da bambine vivevamo entrambe a Ponyville! Che piacere rivederti.-
In effetti ben prima della guerra le due erano state compaesane, anche se non si erano mai parlate s’erano conosciute di vista in quando Applejack era stata solita accompagnare Granny Smith in centro città per vendere le mele, oltretutto essendo la sua la famiglia possedente il più grande meleto nelle vicinanze non erano certo persone sconosciute. 
Mai però avrebbero potuto pensare di ritrovarsi in quel piccolo bar, Rarity in un gesto di cortesia le porse la mano che fu gentilmente stretta dall’altra.
Rainbow Dash nel frattempo era rimasta momentaneamente in disparte, fino a quando non notò la timida ragazza che, nonostante stesse assistendo a tutto ed avesse anche riconosciuto la donna, era rimasta in silenzio.
-Flutteshy!-
Al contrario suo l’altra era certamente più esuberante, e vedendola quasi urlò dallo stupore fosse anche lei lì.
-Ciao Rainbow Dash…-
Sussurrò la rosata sfregandosi le mani come in imbarazzo, la sua voce era stata appena udibile ma grazie a varie esperienze l’altra aveva imparato a leggere il labiale, così non ebbe problemi.
-Ancora non hai tirato fuori il coraggio di parlare vedo…sono sorpresa di vederti qui.-
-Vi conoscete?-
S’intromise Rarity incuriosita che una ragazza così timida conoscesse un soldato dell’esercito, con un carattere simile per giunta.
-Vivevamo entrambe a Nuvola City, e frequentavamo la stessa scuola di volo.-
Asserì semplicemente l’altra, senza mostrare lo stesso affetto la viola aveva dato ad Applejack per la vecchia conoscenza.
-Oh capisco, molto piacere allora, io sono Rarity, un’amica di Fluttershy.-
Rispose l’altra donna presentandosi.
-Rainbow Dash, lei è la mia collega.-
Disse questa indicando la ragazza rimasta in silenzio per tutto il tempo, osservando comunque i minimi dettagli presenti sul corpo delle nuove arrivate.
- Pinkamena Diane Pie. Siete una sarta ed una tosatrice, non è vero?-
-Oh, come hai fatto ad indovinare?-
Chiese sorpresa Rarity.
-Le tue mani sono piene di tagli e calli, soprattutto al polso dove sicuramente ti appoggi quando lavori a macchina, tracce di terreno sui tuoi piedi rivelano poi la zona in cui sei stata, ovvero a nord da qui ed in quel luogo si trova un grande stabilimento che fabbrica le divise dei soldati della principessa Celestia. Lei invece indossa un abito pieno di tasche, quindi usa molti strumenti, però queste hanno molte cuciture e ci sono anche dei graffi sulle mani, quindi sono affilate, ed il fango secco sulle sue scarpe è originario di una zona accanto a Canterlot, la quale è usata appunto per gli allevamenti di animali. Visto il suo carattere evidentemente sottomesso e timido ho escluso s’occupasse della loro eliminazione.-
Asserì la giovane mantenendo un tono monotono e pacato, l’ultima parte del discorso però fece abbassare lo sguardo a Fluttershy, sapeva bene d’esser timida e sottomessa, ma quando glielo si faceva notare non era certo piacevole. Era comunque impressionante come avesse capito quelle cose solo dal terreno.
-Caspita, è veramente incredibile. Perché non andiamo a sederci ad un tavolo? Mi sembra che avremmo molto di cui parlare, ed abbiamo anche qualcosa da bere.-
Propose Rarity indicando i cinque boccali sistemati sul bancone, nessuna delle presenti rifiutò quell’invito, Applejack per il fatto sarebbe potuto esser piacevole conversare con una sua vecchia connazionale, Rinbow Dash perché se c’era da bere gratis certo non si lamentava, Pinkamena perché la precedente aveva accettato, ed era stato ordinato anche per lei, e Fluttershy, la quale in realtà nemmeno beveva, non volva far arrabbiare le altre rifiutando l’offerta.
Trovarono un posto libero in un angolo del bar in un tavolo leggermente più distante dagli altri, alla parete vicina  era presente un candelabro che regalava una perfetta illuminazione a ciascuna di loro. Rarity che con il suo carattere non aveva alcun problema a socializzare fu la prima a portare avanti la conversazione.
-Allora, Applejack, come stai? Non ci siamo mai parlate veramente ma mi piacerebbe sapere come sono andate avanti le cose. Lavori ancora in quella bella fattoria vicino alla città?-
-Sì, ma ora ci siamo solo io e mio fratello, ci occupiamo di fornire i viveri ai soldati e cittadini.-
-Oh, e tua nonna come sta? Ricordo era molto amata da tutti a Ponyville.-
Quella era certamente una domanda scomoda, non che l’altra potesse sapere, ma il viso dell’arancione assunse una tale espressione che forse non sarebbe neppure servito parlare. Ma lei era comunque una persona sincera, ed in quel mondo era inutile nascondere i danni subiti.
-E’ stata uccisa dai soldati di Sombra quando io sono andata a vivere per un po’ a Manehattan.-
Rarity corrugò la fronte, non solo per il dispiacere ma anche perché come all’altra quel nome faceva lo stesso effetto, ma non solo a loro…
-Mi dispiace molto…anche io ho perso la mia casa, e smarrito mia sorella minore…posso immaginare come ti senti.-
Rispose la viola abbassando la voce, mentre Applejack mandò giù il primo sorso dal proprio boccale.
-Quel bastardo un giorno la pagherà…è stato lui a strapparmi l’ala. Sapete cosa è un pegaso incapace di volare? Niente!-
Ringhiò Rainbow Dash sbattendo il pugno sul tavolo, facendo sobbalzare Fluttershy non molto distante da lei. Questa già dal primo istante l’aveva vista era rimasta scioccata per l’ala, ricordava perfettamente che la vecchia compagna di scuola era un’appassionata del volo ed il suo sogno più grande era quello di entrare nei Wonderbolts, una speciale squadra dei migliori pegasi i quali compievano incredibili acrobazie, ma dopo l’inizio della guerra questa squadra era stata riformata riportandola alle origini, ovvero non come degli incredibili atleti ma come dei soldati volti a proteggere la principessa stessa.
-Stiamo lottando per sconfiggere Sombra, è tutto ciò che possiamo fare…-
Borbottò Pinkamena assottigliando gli occhi, la risposta della collega però non fu certo meno brusca.
-Ma non sta funzionando! Ogni soldato nostro perso è uno guadagnato per loro. Quel verme sta ancora nel suo castello, a organizzare chissà cosa, mentre noi siamo qui! Tu stessa hai perso la tua famiglia a causa sua, e tu Fluttershy sei stata lì quando ha fatto crollare la nostra città, non è vero?!-
L’esser stata tirata in causa fece sobbalzare la ragazza, che però rispose con un cenno del capo.
La rabbia e l’impulsività avevano preso il sopravvento su Rainbow Dash, ma non era la prima volta la collega la vedeva così.
-Solo perché sembro calma non vuol dire non provi un profondo, malsano e corrosivo odio nei suoi confronti. Vorrei vedere la sua testa rotolare a terra un milione di volte…-
Rispose infatti Pinkamena mentre nei suoi occhi rivedeva tutto il sangue della guerra, riprendendo poco dopo a parlare.
-Non possiamo far nulla…-
Per molti minuti tutte loro rimasero in silenzio, fissando il legno del tavolo, un punto fermo nel proprio bicchiere o qualcosa in un luogo completamente diverso, fino a quando Applejack non parlò attirando l’attenzione di tutte.
-Perché non possiamo?-
Il silenzio non era mutato, ma stavolta era differente, carico non di rabbia ma di curiosità.
-Cosa ci impedisce di tentare? Mi sembra chiaro che a causa di Sombra abbiamo già perso tutto, nel peggiore dei casi moriremmo, ma vale la pena vivere in un mondo così?-
Perfino Fluttershy, che tra tutte era l’ultima a desiderare di combattere, non riusciva a dare una vera risposta, da un lato per la paura di morire, dall’altra effettivamente per la costate paura stessa del vivere in quelle condizioni.
-Cosa hai in mente?-
Chiese Rainbow Dash sporgendosi verso la donna.
-Un attacco contro Sombra.-
-L’esercito di Celestia sta già facendo questo.-
Rispose Pinkamena incrociando le braccia.
-Esatto, Sombra è concentrato sulla guerra e tutti quanti ad Equestria ormai fanno parte della causa. Ma se ci fosse un’organizzazione, o perfino una squadra, nettamente più piccola e sconosciuta?-
Domandò Applejack, la quale sinceramente non aveva idea del perché stesse proponendo una cosa simile. Certamente nessuna l’avrebbe ascoltata, ma le sue stesse parole non volevano fermarsi e nel cuore iniziava a fondarsi la convinzione di voler tentare. Aveva perso tutto, la sorella la odiava, forse solo suo fratello le era rimasto vicino ma per quanto?
Quanto tempo sarebbe passato prima che per la sua forza fosse chiamato in guerra, e così perdesse la vita?
-Non se lo aspetterebbe…-
Sussurrò Rainbow Dash sorridendo.
-L’unica nostra arma sarebbe l’effetto sorpresa…ma in effetti, nessuno ancora ha tentato.-
Disse a sua volta Pinkamena, improvvisamente interessata.
-Potrebbe funzionare...potremmo sbarazzarci di Sombra.-
Concluse Rarity unendosi al sorriso della ragazza dai capelli color arcobaleno. Solo Fluttershy sembrava restia all’argomento.
-V-volete v-veramente tentare…qualcosa di simile?-
Avrebbe voluto dire fosse una follia, alzarsi e tornare alle compagne dove lavorava, ma gli sguardi di tutte ora puntati su di lei la paralizzarono.
-E se funzionasse? Infondo, la storia è raccontata dai vincitori delle lotte. Vogliamo che a farlo siano le truppe di Sombra?-
Rispose Rarity abbandonando il bicchiere e tamburellando le dita sul tavolo.
-I nostri interessi sono gli stessi, ci è già stato tolto tutto.-
Continuò poi, sostituita da Applejack.
-Proveniamo da ambienti diversi, ma se collaborassimo potremmo farcela. Forse è stato il destino stesso a farci riunire tutte qui oggi.-
Negli sguardi delle quattro si stava formando un fuoco, potente e feroce volto alla vittoria.
-Abbiamo più mezzi in effetti di molti soldati dell’esercito. Non solo la forza e l’esperienza mia e di Rainbow Dash, ma la possibilità di creare solo per noi abili camuffaggi grazie a Rarity, una vasta rete di conoscenze grazie all’attività di Applejack, che certamente sarà connessa ad altre persone, ed i carri per il trasporto usati certamente da Fluttershy o dai suoi collaboratori.-
La rosata squittì quando venne nominata, non ci teneva a far parte di una simile missione, le altre però sembravano essere ormai decise a farlo.
-Fabbricheremo ogni dettaglio nell’ombra, ci incontreremo come delle semplici amiche organizzando l’omicidio nei minimi dettagli. Nessuno potrebbe nemmeno sospettare di noi, dobbiamo però tenerlo per noi altrimenti rischieremmo di farci scoprire, anche le ombre di questi tempi hanno le orecchie.-
Continuò Rarity stringendo i pugni.
-Dobbiamo essere pronte a pagare ogni prezzo, anche la morte se una sola di noi avesse successo.-
Rispose Rainbow Dash convinta fermamente nelle sue parole, nessuna mostrò paura in queste, tranne Fluttershy che però non riuscì a dire nulla, schiacciata dal fuoco dei loro animi, e forse pure terrorizzata da loro.
-Perciò siamo tutte d’accordo, dobbiamo essere attente e sagge.-
Disse Pinkamena guardando tutte le presenti.
-La vita di Sombra avrà fine per mano nostra. La storia ci ricorderà nella gloria!-
Gli occhi di Rainbow Dash quasi brillavano, e come per ufficializzare quel discorso alzò il proprio calice in attesa di un brindisi. Tutte quante fecero lo stesso, fino a quando non rimase che Fluttershy.
La ragazza quasi tremava, voleva andar via ma sembrava che loro avessero deciso perfino per lei, e così in un certo senso fu visto i loro sguardi le indicavano chiaramente di siglare quel patto con loro.
A fatica per la tensione alzò il proprio calice, tenendolo con entrambe le mani.
Le cinque fecero scontrare i propri boccali con un suono pieno, dando vita ad un muto patto che sarebbe stato firmato nel sangue del loro nemico…

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Capitolo 8
*** Pensieri (08) ***


Durante i giorni successivi le donne s’incontrarono quanto più spesso possibile, facendo ben attenzione a non mettere da parte i loro lavori ed a non creare sospetti. Ogni volta che si sedevano a quello stesso tavolo ciascuna tentava di formulare un piano adatto al loro scopo, tutte tranne Fluttershy che si limitava ad ascoltare e talvolta ad esser tirata in mezzo dalle altre.
Come prima cosa Rainbow Dash insistette per conoscere le proprie “colleghe”, volle che a turno ciascuna raccontasse qualcosa di sé, in modo da sapere sia cosa aspettarsi ed anche i punti deboli.
Rispettivamente stilò nella propria mente il seguente schema, che riguardava anche lei stessa: Applejack disponeva di una buona forza fisica, ma non avendo un allenamento solido non possedeva tecniche adatte ad uno scontro di lunga durata con i soldati. Rarity era un abile interlocutrice, il suo fascino ed il suo carattere tenevano in pugno chiunque, ma nonostante la sua mente potesse portarla a trovare numerose soluzioni non aveva forza sufficiente per un combattimento. Pinkamena al contrario loro era perfettamente capace nelle lotte, aveva delle buone basi e tattiche, la sua forza era talmente grande da poter sbriciolare a mani nude un masso, ma era più una donna che seguiva gli ordini piuttosto che impartirli. Lei invece, come la precedente, era forte fisicamente ed era in grado di sostenere un combattimento anche con più di un soldato nemico, ma, come dovette fastidiosamente ammettere, era impulsiva ed il suo carattere spesso poteva avere la meglio. Fluttershy infine…era la peggiore, sostanzialmente una nullità incapace di combattere corpo a copro e forse anche di elaborare un piano contro Sombra.
Per quanto in passato Rainbow Dash avesse tentato una volta d’aiutarla nel presente la situazione era diversa, doveva pensare in maniera oggettiva e seppur poteva cercare di spronarla ad allenarsi sapeva bene che se fosse rimasta sola con un soldato sarebbe morta.
Dopo aver detto ciò, nella seguente reazione della rosata che scoppiò quasi in lacrime, il suo pensiero certo non si attenuò, intervenne tuttavia Rarity dicendo che queste non erano le uniche forze di cui disponevano.
Lei ad esempio poteva creare numerosi travestimenti, Applejack poteva dar loro un carro per muoversi o nascondersi, ed anche Fluttershy avrebbe potuto far questo, mentre ovviamente le altre due ovviamente potevano raccogliere informazioni sul nemico molto più facilmente di quanto avrebbero potuto far loro.
Fu quando il discorso prese quella piega che Applejack alzò di scatto la testa per parlare.
I carri potevano essere la soluzione.

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Capitolo 9
*** Le ruote girano (09) ***


Le ruote del carro si muovevano rapide sotto la guida di Applejack, che teneva strette tra le mani le briglie di corda dei due grossi cavalli marroni davanti a sé. Erano passati circa tre giorni dall’ultima volta in cui aveva rivisto Rarity, Rainbow Dash, Pinkamena e Fluttershy, ed ogni ora era durata quasi anni per lei. Tornata a Ponyville aveva lavorato come ogni giorno qualunque, in un silenzio che forse per il fratello non voleva dire nulla ma che per lei in realtà aveva molte parole, non parlava perché non aveva nulla da dire, ma perché aveva troppo a cui pensare.
Passarono così circa due giorni nei quali Applejack aumentò al massimo la produzione di sidro, lavorò giorno e notte senza interruzioni senza darsi pensieri su cosa Big McIntosh o Flim e Flam potevano pensare, visto che questi due controllavano scrupolosamente il numero di merce prodotta, venduta e trasportata.
Lei voleva solamente raggiungere un obbiettivo, e cioè avere l’occasione d’andare a Rainbow Falls. Già da prima dell’inizio della guerra questa città era famosa per il tradizionale giorno del baratto che capitava una volta all’anno, in cui ogni persona poteva scambiare tutto ciò che aveva con altri beni. La tradizione della città però era cambiata all’arrivo di Sombra, non vi si andava lì più solo una volta all’anno ma ogni volta ne si aveva la possibilità. I mercanti la utilizzavano soprattutto per la sua comoda posizione nella zona centrale di Equestria, potevano incontrarsi senza che nessuno dovesse faticare più di altri ed una volta lì contrattare e condividere anche preziose informazioni, come quali fossero i luoghi da evitare assolutamente.
Era conveniente andare però solamente quando si avevano una gran quantità di merce con sé, altrimenti ben pochi avrebbero prestato attenzione, ma non era solo per questo che Applejack si era impegnata tanto. Le serviva solo una scusa per andare lì perché nell’edificio più importante della città si trovava una mappa segnante i turni dei carri in passaggio e le zone da evitare perché utilizzate frequentemente dai soldati di Sombra. Ovviamente per mantenere la facciata avrebbe comunque dovuto vendere il sidro ad una bella somma di denaro, fortunatamente non era la prima volta che lo faceva visto era un modo per aver qualche soldo in più, già per questo motivo non aveva dovuto inventare scuse con il fratello.
Flim e Flam acconsentivano a questa cosa solo se non intaccava il guadagno generale dei loro affari, quindi una volta tornata avrebbe dovuto lavorare per compensare la perdita.
Per il viaggio le bastò mezza giornata, ma durante tutto il tragitto aveva continuato a grattare con l’unghia la corda delle briglie rovinandola leggermente, almeno fino a quando non vide i contorni della città.
Questa era stata costruita sulla cima di una delle montagne più basse, spianata per permettere la costruzione di case, e l’unico modo per arrivarvi era o volando o passando per l’unico ponte in pietra costruito sul burrone che la distanziava dalle altre montagne.
Ciò che però risaltava più all’occhio era la stessa cosa per cui aveva preso il suo nome, ovvero almeno una decina di cascate arcobaleno che cadevano da delle soffici nuvole. La maggior parte erano distanti e finivano nel vuoto ma una cadeva esattamente al centro della città dove si trovava infatti uno splendido lago. L’intera zona era circondata da alte mura di legno che permettevano a malapena di vedere i tetti di alcune delle case, i toni delle quali erano più sul verde muschio ed il grigio.
L’intera zona era circondata da una debole nebbia che rendeva il tutto ancor più tranquillo, la giovane spronò i due cavalli a marciar più rapidamente almeno fino a quando non misero piede sullo stretto ponte, che permetteva a malapena il passaggio di due carrozze. Una volta arrivata le era facile vedere quante persone e carri c’erano oltre al suo, molti stavano fermi a parlare mentre altri facevano affari con alcuni dei tendoni sistemati in varie zone, che servivano come dei mini-negozi smontabili all’occorrenza. 
Lei però ignorò tutto questo proseguendo verso il centro della città, in cui era stato costruito da poco l’edificio più importante, fatto con solidi mattoni e rivestito internamente con muri di ferro, il motivo era ovviamente nell’importanza delle informazioni racchiuse all’interno. Il tetto spiovente rosso aveva sulla cima una bandiera raffigurante il simbolo di Equestria, color azzurro chiaro con varie stelle ai bordi aveva al centro il disegno di un sole e di una luna, al lato sinistro si trovava un alicorno dalla criniera e la coda verde acqua e dal manto bianco, mentre alla sinistra un secondo alicorno blu con criniera e coda viola.
L’ingresso poi era costituito da una grande porta in legno a due ante, lasciata aperta solamente durante il giorno in modo da far passare chiunque avesse bisogno.
Era una cosa facile, bastava entrare, vedere ciò che voleva ed uscire, era questo che la donna continuava a ripetersi nella mente e la sua concentrazione le impedì perfino di notare che qualcuno la stava chiamando.
-Applejack!-
A chiamarla era stato Trouble Shoes, un uomo dalla pelle scura con alcune chiazze bianche attorno alle labbra e sulle braccia,  incredibilmente alto e robusto, tanto che a confronto gli altri sembravano dei ragazzini, i suoi lunghi capelli gli arrivavano in parte perfino a nascondergli gli occhi verdi. Indossava come suo solito dei jeans blu, una camicia bianca ed una giacca marrone, mentre sul capo teneva un cappellino giallo decisamente troppo piccolo per lui.
Era un brav’uomo che aveva vissuto la maggior parte della sua vita in una cittadina vicino ad Appleloosa, con non poche difficoltà però visto che a causa della sua goffaggine aveva causato numerosi problemi durante le fiere del paese ed i cittadini avevano confuso tali incidenti per atti vandalici. Paradossalmente le cose erano migliorate solo quando la sua città venne attaccata da alcuni soldati nemici, Trouble Shoes stava raccogliendo della legna quando aveva sentito delle urla provenire da non molto distante da dove si trovava. Una volta arrivato vide quei soldati che stavano tentando d’attaccare la città ed il suo primo istinto fu quello di aiutare, ma un laccio delle sue scarpe era sciolto e così inciampò andandosi a scontrare contro dei cumuli di paglia accatastati in un’alta torre. Fu proprio grazie a questo incidente però che la pila cadde addosso agli intrusi dando così il tempo alle persone di scappare.
Da lì i suoi rapporti con i coetanei s’erano addolcite, ma visto la sua sbadataggine era oltremodo pericolosa era stato comunque costretto ad allontanarsi, aveva quindi deciso di costruirsi una piccola casa non molto distante da Rainbow Falls e per mantenersi sfruttava sia un piccolo campo per la coltivazione che gli scambi della città. Lui ed Applejack s’erano incontrati varie volte durante i tragitti per raggiungere la città, la prima volta lei l’aveva perfino aiutato perché la ruota del suo carro s’era rotta.
In ogni caso ogni volta che si incontravano lui non mancava mai di salutarla, come in quel momento infondo, l’unica differenza era che al contrario di lei l’uomo stava guidando il solo cavallo che possedeva  da terra.
-Oh, buongiorno Trouble Shoes.-
Rispose lei distrattamente salutandolo con una mano, tenendo gli occhi fissi sull’edificio a cui puntava.
-Era da un po’ non ci vedevamo, come sta la tua famiglia?-
-Bene grazie.-
-Ne sono felice, sai ho seguito il tuo consiglio per il materiale della recinzione, ora gli animali non dovrebbero più rovinare il raccolto.-
Disse l’uomo continuando a parlare allegro cercando di guardarla negli occhi, lei però continuava a rispondere a monosillabe.
-Mh, bene.-
-Sembri un po’ distante, va tutto bene?-
-Sì non ti preoccupare.-
Voleva distruggere Sombra, si immaginava di averlo davanti a sé e di poterlo schiacciare facilmente con il proprio carro, sarebbe stata una bugiarda se avesse detto che in passato non aveva mai avuto pensieri simili, ma ora che questi stavano per diventare realtà era quasi un chiodo fisso. Avrebbe vendicato sua nonna, i suoi zii e tutte le persone che avevano perso qualcosa a causa sua. Questo le bastava per sorridere ma anche per perdere l’attenzione su ogni cosa, almeno fino a quando non arrivò finalmente in prossimità dell’edificio.
-Trouble Shoes per favore potresti tenere d’occhio il mio carro? Devo controllare una cosa sulla mappa che usiamo per i trasporti delle merci.-
Parlando la donna aveva interrotto per sbaglio una frase dell’altro, questo però non ne sembrò infastidito e le mostrò un dolce sorriso annuendo comprensivo.
Lei subito scese a terra avvicinandosi verso l’edificio, una volta superato l’ampio portone si ritrovò in un salone dalle piastrelle grigiastre separate da delle sottili linee nere, i muri invece erano in legno ed in vari punti erano state sistemate delle lampade di vetro verde in modo da garantire una buona illuminazione anche di sera, senza contare poi un grande lampadario di bronzo appeso al soffitto.
La stanza era molto più ampia di come appariva, ma era stata separata al centro da un muro di mattoni, perché oltre a questo si trovava il salotto dovei  membri influenti del mercato di Equestria si incontravano per discutere a riguardo delle zone migliori o peggiori. Davanti alla porta di questa vi era un piccolo bancone con dall’altra parte una giovane donna-terrestre dalla pelle scura e dai biondi capelli, che si occupava di tener contro del registro della struttura.
Sopra alla porta comunque si trovava il motivo per cui Apple Jack era lì, la gigantesca mappa di Equestria rappresentata in ogni singolo dettaglio, in particolare tutte le strade, alcune delle quali però erano state dipinte di rosso. Questo stava a significare pericolo, e che si poteva incontrare nel tragitto i soldati di Sombra.
Purtroppo quel colore non era certo indifferente in alcune zone…
Nel mentre osservava ciascun dettaglio con grande attenzione un piccolo sorriso comparve sul suo volto, poteva già sentire il dolce sapore della vendetta sulle proprie labbra, la sua concentrazione venne però spezzata da una gioviale voce femminile che la chiamò.
-Apple Jack! Che bella sorpresa vederti.-
Voltandosi poté vedere Cherry Jubilee, una donna terrestre dai lunghi capelli fucsia ciliegia tra i quali si poteva notare una bandana gialla con disegnate sopra delle piccole ciliegie, aveva degli splendidi occhi verdi delle lunghe ciglia nere, un adorabile dettaglio suo era poi il neo che aveva sotto l’occhio sinistro. Dal fisico alto e snello indossava un abito rosso con un piccolo grembiule giallo, ed un fazzoletto rosa legato al collo. Cherry era la proprietaria di un ciliegeto a Dodge Junction, una città non molto distante da lì. Era una donna apprezzata per la sua gentilezza e sincerità, le sue buone maniere poi conquistavano chiunque.
Possedendo poi una certa porzione di terra la sua presenza non era certo da poco nel mercato, e spesso veniva a Rainbow Falls per alcuni affari. 
Lei ed Apple Jack s’erano incontrate proprio durante una di queste visite, la bionda stava trasportando numerosi barili di sidro e l’altra aveva visto in lei buone potenzialità nel lavorare la terra, soprattutto dal suo fisico tonico, e le aveva proposto di venir a lavorare nel suo ciliegeto. Visto il contratto con Flim e Flam ed anche la sua famiglia lei non aveva potuto accettare, anche se erano rimaste in buoni rapporti.
Cherry era una persona meravigliosa che aveva aiutato numerose persone portando loro viveri ed ospitandoli nella sua fattoria, sicuramente era tra le donne migliori da incontrare.
-Oh, salve Cherry. Sei qui per vendere delle ciliegie immagino?-
-Sarebbe bello, ma no purtroppo. Devo parlare con l’amministrazione riguardo delle modifiche alla mappa.-
Rispose l’altra abbassando lo sguardo.
-Delle modifiche? Ci sono delle nuove zone che non si possono percorrere?-
-Sì, in una delle strade secondarie di Fillydelphia qualche settimana fa ho trovato un plotone di soldati nemici. Ho preferito fare un rapporto prima che si verifichino alcuni problemi.-
In effetti prima di modificare la mappa era necessario avvisare la principessa Celestia ed attendere che questa inviasse dei soldati per un controllo, una volta fatto qualsiasi mappa sarebbe stata aggiornata repentinamente.
Apple Jack guardò quella sulla parete davanti a sé stringendo i pugni.
-Quel bastardo…sta cercando di ottenere ogni angolo di Equestria.-
-Purtroppo non possiamo fare molto per fermarlo, ma anche questi piccoli contributi magari un giorno si riveleranno fondamentali. Dobbiamo solo continuare ad avere speranza.-
Tentò di dire Cherry sorridendole ed appoggiandole una mano sulla spalla, ci si doveva sostenere a vicenda in tempi così duri, ma Apple Jack rispose con un sorriso altrettanto radioso, il suo sguardo però celava l’ardore di mille fiamme che mai sarebbero potute estinguersi.
-Credimi, io ho una speranza.-

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Capitolo 10
*** Incertezza (10) ***


Quattro ore.
Quattro ore erano passate da quando Fluttershy si era svegliata all’improvviso nel cuore della notte ed aveva iniziato a fissare il muro davanti a sé.
Non riusciva a togliersi dalla testa mille dubbi e sensi di colpa, la paura oltretutto ampliava qualsiasi sua emozione facendole battere il cuore talmente forte da rimbombarle nelle orecchie.
Non voleva farlo, non voleva partecipare ad un omicidio.
Da quando la guerra era iniziata lei era comunque riuscita a non far del male a nessuno e ad evitare qualsiasi tipo di lotta, che fosse contro i soldati di Sombra o screzi con dei colleghi di lavoro. Potevano anche chiamarla codarda ma a lei andava bene così, nessuno faceva caso a quella piccola ombra insignificante lasciandola vivere in assoluta pace, per quanto possibile in quell’ambiente.
E allora come aveva fatto a trovarsi complice di un piano di omicidio?
Ovviamente questi pensieri non stavano a significare non detestasse Sombra, ma aveva visto ciò di cui era capace, tutta Equestria lo sapeva e se perfino la principessa Celestia non era in grado di batterlo frontalmente che possibilità avevano gli altri?
Inoltre con quale diritto lei poteva decidere se togliere o meno la vita a qualcuno?
Quell’uomo era un mostro, è vero, ma macchiandosi le mani con il suo sangue non si sarebbe abbassata anche lei al suo livello?
Se doveva pagare per i suoi crimini avrebbe preferito fosse bandito, sigillato o rinchiuso in una cella per sempre, perfino le fosse stato ucciso non avrebbe gioito per questo motivo, per la liberazione del regno dalla sua ombra e per la ritrovata pace sì, ma mai per la morte di qualcuno.
Allo stesso tempo questi pensieri la facevano sentire una meschina ipocrita, tutti desideravano la sua eliminazione e se non lo pensavi anche tu significava eri dalla sua parte, senza quel re malvagio non ci sarebbero state innumerevoli perdite e la distruzione avrebbe cessato di raggiungere anche gli angoli più remoti.
Si sentiva in colpa per non riuscire a provare la stessa furia degli altri, c’era ma era anche schiacciata dall’infinita paura di rivedere quegli agghiaccianti occhi verdi dalle pupille rosse, come il sangue che aveva sparso…
-Hiii!-
Solo immaginarli la faceva tremare dal profondo del cuore, forse dipendeva dal fatto l’aveva visto dal vivo e quel ricordo ancora la spaventava.
In ogni caso non erano solo questi i motivi dei suoi pensieri, non si reputava utile al fine della missione scelta dalle altre ragazze, lei non aveva alcuna qualità, nel volo non era abile, non aveva una parlantina sciolta con gli sconosciuti, non era forte ma fifona. Che contributo avrebbe mai potuto dare?
Forse a causa sua il loro piano sarebbe pure potuto andare a monte, sarebbe stata solo un peso…ma nonostante le occasioni per farlo presente ci fossero state le parole non volevano saperne di uscire, ricacciate giù dall’entusiasmo delle altre.
Aveva però così tanta paura di ciò che sarebbe potuto succedere…non voleva, non poteva seguirle nel loro scopo.
Nello stesso istante in cui questa frase si concludeva nella sua mente la sveglia mattutina destò tutti i suoi compagni di stanza dal sonno, e come un robot lei stessa si alzò istintivamente per iniziare la giornata, lavandosi il viso, alzandosi e percorrendo gli scalini della torre nella quale viveva per raggiungere i piani inferiori, arrivando fino all’uscita.
Durante tutto questo tragitto fu come se i suoi pensieri si fossero bloccati, la sua espressione era però rimasta paralizzata nell’incertezza e paura ma non era una cosa così rara e forse per questo nessuno domandò nulla. Varie volte si morse le labbra sentendo nel petto lo schiacciante desiderio di correre via, soprattutto quando, dopo aver raggiunto il campo in cui lavorava volando a bassa quota, la ragazza invece che mettersi al lavoro caricò su un carro alcuni sacchi con vari materiali e strumenti per la loro lavorazione. Salendovi spronò poi i cavalli in modo si dirigessero verso la sua prossima destinazione, ovvero Manehattan.
Ad aspettarla in questa città, alle porte dell’edificio nel quale lavorava, c’era Rarity la quale aveva praticamente passato una notte insonne.
Non certo per la paura come Fluttershy, anche se l’intensità dell’emozione era la stessa.
Potevano liberare Equestria da quel mostro, avrebbero avuto la loro vendetta e magari sarebbero perfino state in grado di ritrovare ciò che avevano perso, come sua sorella minore.
Ogni notte s’era chiesta come potesse stare nella paralizzante paura le fosse potuto capitare qualcosa, qualsiasi ferita al suo dolce visino sarebbe stato un colpo inflitto al malvagio re quando fosse stato il tempo.
Era rimasta tutta la notte sui progetti della parte del piano che la riguardava, in modo da non fare nemmeno il più piccolo errore per poter raggiungere subito la loro meta. Aveva fatto anche alcune prove su tessuti minori ed era certa d’aver imparato ogni singolo dettaglio per rendere il tutto perfetto.
L’unica cosa che restava da fare era attendere l’arrivo di Fluttershy, sapeva la paura di questa e la sua incertezza, ma ormai erano tutte in ballo e non ci si poteva più tirare indietro. Non che apprezzasse ferire qualcuno o addirittura uccidere, ma se c’era qualcuno che meritava quella sorte era proprio il loro nemico.
Avrebbero utilizzato le ore che precedevano i turni di lavoro degli altri, in modo da non intralciarli ed allo stesso tempo coinvolgerli. Rimase così davanti alla porta dell’edificio fissando la strada, fino a quando finalmente il carro dell’altra ragazza non comparve assieme a lei. 

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Capitolo 11
*** Provocazioni e risultati (11) ***


Il castello della principessa Celestia esternamente sembrava ricco di sfarzo e piaceri, dalle alti torri bianche che si stagliavano lungo il profilo del regno sottostante, eppure all’interno v’era una grande varietà di stanze che differivano sia per gli stili che per il loro utilizzo. Alle cime delle torri precedentemente citate si trovavano le stanze più importanti ma anche riservate della principessa, o almeno da ciò che si poteva sapere, e che venivano oltretutto utilizzate per ospiti di una certa risma, quindi era naturale avessero splendidi mobili e disponessero di ogni piacere. Lungo i primi piani dei palazzi la cosa iniziava leggermente a cambiare, i grandi saloni che una volta erano allestiti per le feste ora erano costantemente vuoti o usati per le riunioni, molte delle stanze più grandi erano riservate a quella parte della popolazione che era accorsa in cerca di riparo, quindi s’erano allestite delle sorte di infermerie gigante, che si fermavano poco prima delle cucine.
Lo stesso giardino che una volta era il vanto del gran galà galoppante, la festa annuale alla quale tutti desideravano partecipare, adesso era a malapena tenuta visto ogni mano doveva aiutare nella guerra.
V’erano infine i livelli sotterranei del castello, costruiti solo recentemente per permettere alle guardie dell’élite d’allenarsi senza temere d’esser spiati da lontano, o che in caso di attacco non avrebbero subito danni immediati. La principessa aveva fatto costruire una grande armeria dove tenessero tutte le armi ed armature, una piccola infermeria in caso di infortuni, una camera con brandine per chi si fosse fermato a lungo, una stanza utilizzata dalle figure più autorevoli per organizzare i loro attacchi e strutturare le truppe, ed infine una gigantesca stanza per gli allenamenti.
Era qui che Rainbow Dash e Pinkamena s’erano dirette dopo il canto del gallo, i soldati che vivevano nel castello dopo tutto dovevano essere i migliori tra i migliori, non potevano adagiarsi sugli allori visto le aspettative si aveva nei loro confronti.
Entrambe le donne stavano indossando solamente una canottiera bianca e dei pantaloni di pelle nera, non era necessario indossare divise o armature durante gli allenamenti, soprattutto perché volevano rinforzare il loro corpo e la loro pelle. Pinkamena in particolare era riuscita in questo compito, prendendo esempio da sua sorella Maud che già da parecchi anni aveva sviluppando una grande resistenza alle mani, era infatti capace di farle colpire una parete rocciosa nel punto più sensibile per farla crollare senza ferirsi. La rosata s’era sottoposta ad un allenamento simile ed ora erano entrambe in grado di sbriciolare perfino un masso a mani nude.
La conoscenza impartita dalla loro famiglia s’era rivelata molto utile in questo.
Per quanto riguardava Rainbow Dash semplicemente voleva essere la migliore, per questo si sottoponeva ad allenamenti completi per ogni parte del corpo.
Non erano comunque sole nella stanza, oltre a molti altri soldati nella stanza c’era anche Lightning Dust, una donna-pegaso dai biondi capelli pettinati in un’alta cresta e rasata ai lati. La donna era tra i migliori soldati, ma era anche conosciuta per il suo mancato senso di solidarietà, la sua competitività ed il suo mettere il vincere davanti ad ogni cosa, perfino al vita delle persone che la circondavano.
Aveva fatto perdere la vita a molti solo per ottenere quelle dei nemici, e solo lei reputava il sacrificio adatto. Non era però capito non fosse anche lei a pagare un alto prezzo, ovvero il suo braccio sinistro.
Accadde qualche anno fa durante un attacco, la guerra era durata per giorni ed i soldati del re Sombra non accennavano ad arrendersi, loro però avevano piazzato delle mine in una specifica zona del campo di battaglia in modo da poterne eliminare in gran numero. Dust non sopportava quando le cose si dilungavano, perciò aveva teso un’imboscata ad uno squadrone nemico attirandoli nella zona delle mine, questi però le avevano incredibilmente evitate tutte, forse in qualche modo erano venuti a conoscenza della loro posizione, ma anche questo non fece arrendere la donna che, come loro ricordavano le posizioni, anche lei ne era in grado e trovando la più vicina l’attivò facendo così saltare in aria tutti.
Lei fu l’unica a sopravvivere, ma il suo braccio era andato. Si risollevò però quando questo venne sostituito con uno meccanico, perfettamente funzionante ed ancora più forte, voleva continuamente apportargli delle modifiche impossibili, facendo impazzire la squadra della scientifica.
Un tempo lei e Rainbow Dash lavoravano fianco a fianco, più precisamente durante i primi giorni da soldati visto al tempo era d’obbligo essere in coppia con qualcuno. Entrambe volevano vendetta ed essere le migliori, la reciproca competizioni le portava a surclassare chiunque, stabilire nuovi record ed a migliorarsi reciprocamente, ma quando fu il momento d’andare sul campo di battaglia la ragazza si rese conto di che tipo di persona era in verità.
Erano state mandate a soccorrere un villaggio a nord di Canterlot, disperso tra le montagne, inizialmente tutto era andato bene visto s’erano occupate di eliminare quanti più nemici possibili, quando però trovarono un bambino sopravvissuto tutto precipitò. Rainbow Dash riuscì a convincerla solo di poco a portarlo via in volo, ma fu Lightning Dust a prenderlo, tuttavia quando erano ormai in alto nel cielo la bionda afferrò la propria lancia volando in picchiata contro dei soldati rimasti, impalandoli ed uccidendoli sul colpo.
Quando la sua compagna la raggiunse scoprì con orrore che il bambino era stato colpito alla testa da uno dei nemici, se la donna non avesse agito così si sarebbe salvato. Quando Dust poi se ne accorse non batté ciglio, abbandonando il cadavere con poca delicatezza affermando che i deboli non potevano farcela in ogni caso.
Volevano entrambe la vendetta, ma Rainbow Dash non intendeva lasciar morire anche degli innocenti soprattutto a causa sua, per questo motivo andò subito a chiedere d’esser sostituita, finendo assegnata al gruppo di Pinkamena e Maud. Erano silenziose e rigide, ma erano anche leali, coscienziose e rispettose.
Per quanto riguardava il rapporto con la bionda da allora erano sempre state rivali, e la cosa non era cambiata, come Lightning Dust notò la ragazza subito la guardò con una smorfia.
-Ma guarda chi si vede, hai deciso di allenarti come si deve invece che giocare?-
-Sai, non volevo ridurmi ad un fallimento come te.-
Ribatté a tono Rainbow Dash, ricevendo uno sguardo d’odio, Pinkamena accanto a loro invece era assolutamente calma e s’era diretta, non molto distante da loro, verso alcuni pesi per utilizzarli.
-Io sono il miglior soldato in questa guerra.-
-Rimani un fallimento nell’onore.-
-Cosa dovrebbe importarmi quando posso far fuori Sombra ed i suoi uomini? Tu non saresti neppure in grado di far questo.-
Affermò Dust avvicinandosi ad una sbarra per trazioni ed utilizzando solo il braccio meccanico ne fece almeno una decina in pochi istanti.
-Potrei usare l’ascensore ed avrebbe lo stesso effetto.-
Commento l’altra andando ad una sbarra adiacente e facendo lo stesso ad un ritmo quasi identico.
-Tu puoi solo sognarti d’esser come me Crash.-
-Lo so, faccio troppo spesso incubi simili.-
Crash era il soprannome di Rainbow Dash, glielo aveva dato tempo fa Spitfire il capitano attuale dei Wonderbolts, una donna alta, dalla muscolatura tonica, gli occhi arancioni ed i capelli a cresta dello stesso colore con alcune sfumature gialle. Le truppe di Celestia erano divisi in vari squadroni e questo, formato esclusivamente da umani-pegasi, era il più importante ed antico. In seguito all’esilio della principessa Luna infatti venne creata la guardia EUP per proteggere Celestia e mantenere la pace, durante la celebrazione del primo anno di pace venne scelta una squadra d’élite di aviatori per commemorare l’occasione. La performance fu così carica d’energia che un lampo di pura magia riempì gli spalti ed il generale dello squadrone di allora, Firefly, chiamò per questo motivo la squadra Wonderbolts.
Spitfire Era una persona forte e carica di spirito che si occupava anche di addestrare le truppe, purtroppo quel soprannome non era arrivato per un qualche grande gesto di Rainbow ma perché durante il primo giorno la ragazza aveva mancato la prima regola dell’accademia, ovvero guardare a sinistra ed a destra lungo la pista d’atterraggio, e così aveva rischiato di finire addosso a delle persone durante un allenamento e per evitarli era finita nel pattume. La cosa più brutta per lei fu il fatto che anche da bambina la chiamavano Crash, per lo stesso identico sbaglio paradossalmente.
Fu una sensazione umiliante per la ragazza, che tentò perfino di fare delle pazzie come inventarsi dei nuovi attacchi pericolosi pur di ricevere un soprannome migliore, questa però svanì quando la sera seguente Soarin, un pegaso maschio dai capelli ed occhi neri facente parte dell’élite dei Wonderbolts, avendola notata a pomeriggio le andò a parlare rivelandole per tirarle su il morale che la faccenda dei soprannomi era il modo effettivo per entrare a far parte della cerchia più ristretta dei soldati.
Ed in aggiunta le rivelò anche il suo soprannome, Clipper, ottenuto perché durante il suo primo giorno aveva tagliato con le ali la bandiera del campo d’addestramento mentre precipitava. I due erano rimasti a lungo a ridere ed a scherzare, trovandosi bene nella reciproca compagnia, da quel giorno lui poi non aveva mai mancato di salutarla.
Peccato che al momento aveva a che fare con un soggetto molto peggiore, che la guardò ancora con odio e sfida.
-Non hai un briciolo della mia stoffa Crash.-
-Non sarai mai abbastanza per uccidere Sombra.-
A quella frase Lightning Dust abbandonò l’esercizio competitivo saltando addosso all’altra, che però non reagì lasciando che le venisse afferrata la gola con il braccio meccanico. Pinkamena stessa non fece nulla, limitandosi però ad osservare in caso la situazione fosse peggiorata. Come per tutti i presenti nel castello il nome del re era portatore di ricordi dolorosi e chiunque cercava vendetta. La competizione della donna la portava ad odiare il non essere considerata “abbastanza”, soprattutto per il motivo per cui era arrivata fin lì.
-Potrei spezzarti il collo come se fosse un ramo…-
Sussurrò la bionda.
-Il problema sta proprio tra il potere ed il fare.
-Che cosa sta succedendo!-
L’urlò di un uomo fermò tutti i presenti nella stanza, nessuno s’era messo in mezzo a quella situazione perché vigeva ormai la legge dell’”ognuno deve essere forte abbastanza per cavarsela”, ma questo comunque non contava per la persona appena entrata.
Soarin al contrario dei presenti era vestito con una maglia nera aderente che lasciava intravedere la perfetta muscolatura e dei particolari pantaloni creati con all’interno dei pesi per aumentare la forza nelle gambe, l’uomo però fu abbastanza agile e veloce da raggiungere le due donne in meno di un secondo, afferrare il braccio di Dust, piegarglielo e farla cadere a terra.
-Cosa credevate di fare!-
Lightning Dust guardò l’uomo assottigliando gli occhi, non apprezzava quando qualcuno tentava di metterla a terra riuscendoci, ma non poteva certo comportarsi sfacciatamente con un membro d’élite.
-Pensavamo a come Dust non abbia la forza necessaria nemmeno per spezzare un ramo.-
Disse improvvisamente Rainbow Dash sorridendo leggermente, l’altra spalancò gli occhi con rabbia sollevandosi.
-Prova a dirlo ancora Crash!-
Le urlò contro in un modo tale che Soarin si vide costretto a mettersi in mezzo, ma l’altra non si calmò soprattutto visto Rainbow Dash non smise di stuzzicarla.
-Non saresti mai in grado di fermare uno squadrone nemmeno di venti persone, non senza qualche esplosivo almeno.-
-Potrei ucciderne anche cinquanta! Te lo dimostrerò senza problemi.-
-Tu non dimostrerai un bel niente Dust! E tu Rainbow finiscila di provocarla!-
Urlò Soarin bloccando entrambe con le mani, visto le due ragazze si stavano facendo sempre più vicine.
-Vedi? Perfino l’élite pensa non ne sei in grado.-
Affermò Rainbow Dash vittoriosa.
-Non intendevo questo Rainbow, perché ti stai comportando così? Non è da te.-
Commentò l’uomo con un tono profondamente deluso e dispiaciuto, ma l’altra non volle cedere e continuò.
-Allora lasciamoglielo dimostrare, quanto ci vorrà mai? Ogni settimana ci sono delle zone da pattugliare per possibili arrivi e puntualmente lì arriva qualcuno.-
-Perché non intendo far andare qualcuno in un campo minato da solo contro i soldati di Sombra!-
A quella frase il sorriso di Rainbow Dash s’allargò leggermente, e Pinkamena smise di allenarsi guardando la scena.
-Molto bene…direi è una motivazione sufficiente.-
Rispose Rainbow Dash allontanandosi dalla mano di Soarin, ed assieme a Pinkamena avviarsi verso la porta sotto lo sguardo di rabbia di Dust e di confusione dell’uomo.

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Capitolo 12
*** La missione (12) ***


I deboli raggi del sole stavano iniziando a comparire lungo il profilo dell’orizzonte, mentre il vento gelido faceva da compagnia a coloro che si stavano svegliando.
Non tutti però erano privati del torpore dei propri letti, alcuni quella notte non l’avevano nemmeno provato, soprattutto in quel luogo così lontano da qualsiasi città.
La gola galoppante era situata a nord ovest rispetto a Canterlot ed a sud rispetto all’Impero di Cristallo, non molto distante da questo purtroppo, il bordo della gola era completamente circondato da forti e robusti alberi, che s’estendevano fino a raggiungere le rotaie del treno che venivano utilizzate per muoversi in tutta Equestria, un tempo le rotaie che attraversavano questa gola chiusa dalla lunga fila di montagne che nascondevano lo Yanhooyer, raggiungevano le montagne in prossimità dell’Impero di Cristallo, ma naturalmente dopo l’inizio della guerra Celestia si è assicurata di farle distruggere. 
Il burrone della gola arrivava ad un’altezza di quasi più di trenta metri, quindi era inutile per un non pegaso tentare di superarla, e terminava con un arido terreno che ricopriva vari kilometri dell’area circostante. Un tempo sopra quel punto, originariamente una verde radura,  vi si poteva spesso trovare Nuvola City, ma adesso che era crollata quel luogo inabitato era stato il principale punto d’attacco della guerra contro re Sombra, soprattutto perché l’Impero di Cristallo alle spalle non aveva altro che alte montagne a ricoprire l’intero spazio, dopo un vario tratto di neve gelida che non cessava di battere sulla città, e procedendo sempre verso sud si trovava come primo luogo Canterlot, la quale al contrario dal punto di vista di difese naturali era scoperta.
L’unica cosa di cui si poteva trovare svantaggio nell’impero era, originariamente, le fonti di materie prime. Sia per le montagne che per la neve che lo circondava non poteva contare su un particolare tipo di agricoltura, e ciò che si riusciva a far crescere certo non poteva sfamare con facilità un regno intero, ed il fatto per mille anni è stato separato dal resto del mondo si poteva dire dal punto di vista delle armi fosse arretrato rispetto al resto d’Equestria. Per questo prima di iniziare con il suo attacco di massa il re aveva deciso di conquistare i luoghi più vicini, in modo da assicurarsi d’avere terre coltivabili e materiali da per la costruzione delle nuove armi.                                                                                                                                                
Buon punto però per il primo obbiettivo era, appunto, lo Yanhoooyer, una delle prime conquiste del re. Si era tentato in vari modi di salvare la città, tentando di utilizzare uno stretto passaggio al centro della catena montuosa per evitare d’avvicinarsi troppo al territorio nemico. Era stata tuttavia avviata una doppia azione, quella precedentemente descritta ed una seconda che riguardava il sotterramento di numerose mine lungo la gola galoppante in modo da esser certi d’evitare degli attacchi alle spalle senza che ce ne si potesse accorgere. Lo scontro però v’era stato anche con questa precauzione da entrambi i lati, e così le truppe della principessa erano state costrette a lasciare la città al loro sfortunato destino, e per evitare le truppe del re usufruissero del passaggio usato dai soldati della principessa erano state fatte saltare in aria le pareti delle montagne vicine, creando così un muro ed un’ulteriore condanna per i cittadini. Almeno per il momento era impossibile raggiungere la città senza passare per il grande campo di battaglia che portava quasi direttamente all’impero o passando per una fitta boscaglia ad ovest, mentre per gli uomini di Sombra era incredibilmente facile raggiungere lo Yanhooyer senza dover mai cambiare direzione e così rifornirsi.
Non si poteva esser certi di quanto tempo passasse tra uno spostamento e l’altro, ma Rainbow Dash e Pinkamena avevano raccolto quante più informazioni possibili riducendo l’errore a solo un paio di giorni, si era così preparata la messa in atto del piano congeniato.
Lungo la strada dalla quale erano state sradicate le rotaie del treno in lontananza si iniziò a vedere un solo carro accompagnato da circa una decina di soldati del re Sombra, ciascuno di loro indossava l’armatura del re ed i loro lugubri occhi verdi lasciavano dietro di sé una corta scia di luce ad ogni movimento. Procedevano a passo spedito in eterno silenzio, come semplici burattini lungo quella strada, dove di tanto in tanto sembravano essersi accumulate nel corpo del tempo delle foglie secche.
Durante la loro marcia ogni cosa sembrava procedere senza intoppi, almeno fino a quando, improvvisamente, il terreno sotto i loro piedi non crollò e si aprì una voragine che fece cadere sia la maggior parte dei soldati che il carro vuoto che accompagnavano.
In quel preciso istante Pinkamena e Rainbow Dash uscirono allo scoperto, brandendo delle lance affilate, e grazie all’effetto sorpresa riuscirono ad avere la meglio sui nemici prima che questi potessero fare qualcosa.
Attaccarono prima di tutto coloro che erano rimasti in piedi, colpendo direttamente al cranio riuscendo con la loro forza a fracassare l’elmo, dopo di che  uccisero coloro che si trovavano nella fossa a sangue freddo, ma non un grido si udì da quei cadaveri, che già lo erano da chissà quanto tempo.
Sorridendo vittoriose le due guardarono uno specifico punto della parete rocciosa non molto distante da  loro, e Rainbow Dash parlò.
-Venite fuori, è il momento!-
Da una roccia comparvero le complici del piano, Applejack, Rarity e perfino Fluttershy, le prime sicuramente più calme di quest’ultima che a stento non tremava. Rainbow Dash e Pinkamena in vista dell’attacco avevano fatto sì loro potessero utilizzare per proteggersi le armature dei soldati della principessa Celestia, ed avevano preso all’occorrenza delle lance che avrebbero potuto utilizzare.
Naturalmente tutto questo era stato rubato nella massima cautela, ma per non destare sospetti le avrebbero riportate al loro posto una volta conclusosi tutto, se fossero tornate tutte vive, ovviamente.
-Molto bene, queste armature sono di varie taglie più grandi di noi, non sarà un problema indossarle sopra queste.-
Disse Rarity indicando con disgusto i cadaveri, in effetti le loro erano aderenti e non occupavano spazio, al contrario delle altre. Solo alcuni soldati portavano delle pesanti corazze e dei grandi elmi, ma non era loro caso.
-Muoviamoci allora.-
Rispose semplicemente Applejack iniziando a spogliare uno dei cadaveri, infilandosi nella sua armatura, ed allo stesso modo fecero anche le altre, tutte ad eccezione di Fluttershy.
La vista del sangue non faceva certo un bell’effetto sulla ragazza, e soprattutto vedere quegli occhi spenti e la vistosa ferita inferta per ucciderli, il fatto stesso di utilizzare i loro abiti la rendeva agitata, tanto che il suo stomaco non riuscì a sopportarlo.
Piegandosi in due rigettò per qualche minuto, mentre solo Rarity avvicinandosi premurosamente le accarezzò la schiena.
-Va tutto bene cara. Passerà tutto.-
Della stessa idea però non era Rainbow Dash, per niente d’accordo sulla presenza della rosa.
-Vedi di sbrigarti Fluttershy, ogni minuto è prezioso.-
-Hii…-
L’unica cosa che l’altra riuscì a dire fu un leggero squittio, ma obbedì all’ordine, seppur tra le lacrime.
-Sarà stata una buona idea portare anche lei?-
Borbottò Rainbow Dash scetticamente guardando Pinkamena.
-Forse come esca.-
Rispose l’altra freddamente, ma in fin dei conti non c’era da meravigliarsi visto era sempre stata così. 
Le cinque una volta pronte riuscirono a tirar fuori il carro dalla fossa, e fortunatamente poterono constatare non aveva subito alcun danno per la caduta. Non v’erano cavalli per portarlo così Rainbow Dash e Pinkamena, proprio come avevano fatto i precedenti possessori, afferrarono delle corde ai lati trascinandolo con la sola forza, dopo le prime spinte il resto venne da sé. Nel frattempo le altre marciavano assieme a loro mantenendo il silenzio, dopo aver naturalmente nascosto le armi nel carro.
Tutto ciò che dovevano fare era proseguire lungo il tragitto nel loro travestimento per raggiungere l’Impero di Cristallo, e da lì sempre con quell’armatura avrebbero potuto raggiungere il re…
Al solo pensiero quasi tutte loro non potevano non sorridere, ignorarono la fatica ed il peso dell’armatura grazie a ciò percorrendo il sentiero per vario tempo nella calma più assoluta.
All’improvviso però la situazione cambiò.
Davanti al loro piccolo gruppo, dopo chissà quanto tempo visto avevano già superato la gola galoppante, iniziarono a comparire varie figure, circa una ventina di uomini che come loro indossavano le stesse armature.
Le cinque sentirono un brivido percorrere la loro schiena, mentre Fluttershy quasi si paralizzò.
-Continua a muoverti.-
Disse Applejack ammonendola, ma almeno evitò di farsi scoprire subito.
-Continuate a camminare ma state pronte a qualsiasi cosa…-
Disse invece Pinkamena preoccupata, non avevano idea di come funzionassero i rapporti tra i soldati del re o i loro spostamenti, e questo le metteva in grande pericolo. Fino a quando non fossero state serene era meglio non agire fino a quando non fosse stato strettamente necessario.
Più quei soldati si avvicinavano però più le cinque avvertivano una forte sensazione di paura, in particolar modo non quando questi passarono direttamente accanto a loro ma quando le superarono. Non le avevano guardate e non avevano detto assolutamente niente, o controllato perfino se ci fosse qualcosa che non andasse. Quella calma innaturale spinse Applejack a voltarsi per vedere se avrebbero proseguito nel muoversi o si sarebbero fermati, anche se nel primo caso si rese conto che avrebbero trovato da lì a poco i cadaveri dei compagni, quindi loro avrebbero dovuto muoversi rapidamente per seminarli, ma al contrario il gruppo aveva fatto esattamente il contrario.
Disponendosi in una perfetta fila erano tutti rivolti verso di loro, e tra le mani tenevano tutti degli archi con delle frecce pronte a scoccare.
-Arcieri!-
Urlò la donna avvertendo le altre, Fluttershy voltandosi lanciò un grido di paura andando a nascondersi direttamente dietro al carro, seguita per il momento anche dalle altre, visto era la loro una salvezza contro quelle frecce.
-Merda! Come ci hanno riconosciute?!-
Sbraitò Rainbow Dash prendendo subito le lance rimase nel carro non appena le frecce cessarono.
-Dobbiamo andarcene!-
Rispose lesta Rarity, era evidente che la loro missione era fallita.
-Siamo in cinque, e solo io e Fluttershy siamo in grado di volare, potrei trasportare due di voi ma tu saresti in grado di portarne almeno una?-
Chiese Rainbow Dash seria togliendosi l’elmo all’altra.
-I-io n-non credo di riuscirci!-
Rispose la rosata terrorizzata, già non le era facile volare in condizioni normali, men che meno quando paralizzata dalla paura.
-Dannazione…l’avevo detto io sarebbe stata un peso!-
Quell’affermazione avrebbe quasi potuto far piangere l’altra ragazza, se non fosse già stata in un fiume di lacrime.
Nel frattempo le raffiche di frecce continuavano e i nemici iniziavano ad avvicinarsi a loro volta, il tempo sarebbe presto finito.
-Utilizziamo il carro come un ariete!-
Propose Applejack evitando di poco che una freccia la ferisse.
-Così però rischieremo di non avere difese.-
Osservò Pinkamena afferrando delle piccole rocce da terra e lanciandole contro i nemici con una forza tale da ammaccare senza difficoltà perfino quelle dure corazze.
-Sempre meglio che morire!-
Ribatté Applejack.
-Io sto con lei, Fluttershy?-
Chiese Rarity voltandosi verso l’amica.
-E’ inutile che chiedi, si farà così! Tutte pronte?-
Urlò poi Rainbow Dash, aspettando che le altre mettessero come lei le mani sul carro. Fluttershy si sentì nuovamente ferita da quell’atteggiamento, dopo tutto erano state buone amiche in passato, era cambiata così tanto?
L’urlo dell’altra le impedì per la paura di cercar risposte.
-Via!-
Tutte e cinque iniziarono a spingere con quanta più forza possibile, acquisendo sempre più velocità e senza mai arretrare nemmeno di fronte alle frecce che continuavano a scagliarsi su di loro, i soldati nemici di rimando non avevano fatto nulla per evitare di venir travolti, ed alcuni finirono pure in questo modo forse con l’aspettativa si sarebbero fermate per attaccare, ma le cinque semplicemente approfittarono di quei pochi secondi per cercar di guadagnare anche una minima possibilità di fuga.
Corsero con quanto più fiato avevano in corpo, i loro cuori acceleravano ad ogni passo e la paura della morte improvvisamente s’era fatta viva nelle loro menti.
Non volevano finire così, non prima d’aver raggiunto il loro obbiettivo, e come la paura aveva risvegliato questo sentimento fece render loro conto di quanto la loro idea fosse stata sciocca…
Applejack approfittando della rete di conoscenze dei mercanti aveva scoperto le tratte da evitare assolutamente e che si sapeva con certezza fossero frequentate dagli uomini di Sombra. Pinkamena e Rainbow Dash avevano fatto sì si creasse una situazione di tensione sotto la presenza di Soarin, il quale seppur di buon cuore quando era teso ed in difficoltà emotiva si lasciava sfuggire un gran numero di informazioni senza nemmeno saperlo, come il fatto ci fossero delle mine nel luogo in cui a breve sarebbero andati i nemici, che corrispondeva nella zona in cui loro erano andate. Fluttershy e Rarity infine s’erano occupate del finto terreno che aveva fatto sì gli uomini cadessero nella trappola senza rendersene conto, la prima aveva portato i materiali da Canterlot e la seconda, con il suo aiuto, li aveva cuciti con grande maestria. Se avesse voluto avrebbe potuto perfino creare un costume di un drago, e forse nemmeno loro avrebbero notato la differenza.
Il loro scopo era dirottare un carro di Sombra, eliminare i proprietari, tornare all’Impero di Cristallo con le loro uniformi, raggiungere il re ed ucciderlo. Ma ora questo piano dimostrava quante lacune avevano, e quanto era stato grave il loro errore.
-Verso la gola! Dobbiamo lanciarci!-
Urlò Rainbow Dash senza voltarsi, sapeva benissimo dal modo in cui cadevano le frecce che i nemici erano ancora vicini.
-Ma moriremo!-
Fluttershy era ormai sommersa dalle lacrime, nonostante avesse l’elmo i singhiozzi erano perfettamente udibili, ma non scalfì i cuori dei due soldati.
-Moriremo se non lo facciamo.-
Ribatté infatti Pinkamena afferrandola per il braccio con una presa forse un po’ troppo forte.
-Non ce la faccio! Non ce la posso fare!-
Fluttershy stava iniziando a rallentare, già la sua velocità era inferiore rispetto alle altre, che ormai erano molto più vicine alla meta, e seppur con la stessa paura avevano deciso di farlo.
-Flutteshy! Non è complicato, lo puoi fare in un fiato! Se vuoi lo puoi fare, devi solo saltare!-
Mentre Pinkamena parlava per distrarla le due erano ormai all’orlo della gola, il terreno seppur ripido non lo era completamente e permetteva così di non finire direttamente schiantate al suolo.
Le altre tre erano ormai già a mezz’aria e toccarono prima di loro terra, Rainbow Dash, più abituata a simili situazioni, rotolò su se stessa mantenendosi sul fianco riducendo così le ferite, mentre purtroppo Rarity, al contrario suo, stava ruzzolando senza controllo producendo anche alcuni urli di dolore a causa dei sobbalzi, Applejack infine, seppur con un po’ più di controllo, si stava anche lei trovando in notevole difficoltà.
Come le ultime due saltarono Fluttershy si sentì svenire, ed avrebbe tanto voluto poterlo fare all’istante ma purtroppo venne ben svegliata dalle ripetute cadute e rotolamenti che le portarono solo ancor più dolore. Gli arcieri nel frattempo stavano tentando di colpirle ancora una volta, ma ormai la velocità della loro caduta impediva una corretta mira.
L’altezza della gola era notevole, abbastanza da far sì i soldati non avessero l’intenzione di sprecare del tempo con dei pesci piccoli che avevano semplicemente attentato alla vita di alcune pedine, e lasciarono le cinque alla loro morte scelta.
Bastò poco tempo perché arrivassero al termine di tutto ciò, Rarity e Fluttershy non abituate a quei tipi di sforzi fisici risentirono particolarmente della caduta, e vennero aiutate dalle altre a rialzarsi, zoppicavano doloranti e sicuramente da sotto l’armatura presentavano vari tipi di ferite, la più profonda però era nei loro animi.
La loro missione era miseramente fallita, non potevano far altro che tornare a casa a leccarsi le ferite…

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Capitolo 13
*** Fallimento (13) ***


Dopo ciò che era accaduto alla gola galoppante…passarono diverse settimane prima che le cinque riuscissero a trovare la forza di rivedersi. 
Una volta tornate al sciuro la prima reazione di tutte loro fu d’un sentimento completamente spontaneo che rivelava il loro io. Rainbow Dash urlò dalla rabbia come se questo semplice gesto avesse potuto cancellare l’onta del fallimento, che gravava su di lei con un peso tale da farle sentire la ferita inflitta da Sombra alla sua ala strappata bruciare ancora.
Pinkamena come lei era furiosa, ma non emise alcun suono, inginocchiando afferrò una grossa roccia a terra e la frantumò con la sola forza della mano nuda, mentre gli occhi erano sbarrati in un gelo assoluto.
Rarity aveva avuto un attacco di panico invece, ed aveva sentito il bisogno di togliersi di dosso la divisa dei soldati in quanto stava faticando a respirare. Era pur sempre una sarta, non un soldato, una simile situazione in quel momento l’aveva mandata completamente fuori di testa. Quando stavano complottando o perfino mentre erano sul campo non s’era resa conto della realtà dei fatti e del pericolo che comportavano, ora che ne aveva assaggiata una parte…il suo corpo stava cedendo.
Applejack nel frattempo, come le prime due, aveva sentito il forte bisogno di sfogare la propria rabbia, ed aveva scelto di farlo contro il tronco di un albero vicino, che aveva colpito con un calcio. Era una pratica che una volta utilizzava per la raccolta delle mele, ma siccome era andata via di casa e con i macchinari di Flim e Flam non ne aveva avuto più bisogno si trovava fuori allenamento, e così il suo calcio non produsse altro che un dolore alla caviglia.
La persona che però aveva reagito peggio però era Fluttershy, la quale, come s’era tolta l’elmo, aveva avuto subito lo stimolo di rigettare e non era riuscita a resistere. Il suo cuore le batteva perfino nelle orecchie ed ancora piangeva impaurita. L’aveva detto fin dall’inizio, anzi, l’aveva pensato che quello non era il suo posto, che non fosse adatta per una simile cosa, eppure non aveva fatto altro che seguire le altre come una pecorella, ed aveva quasi rischiato la vita.
Le ginocchia non la reggevano più, ma nessuna delle altre si rese conto delle condizioni di ciascuna, troppo impegnate ad interagire con le proprie emozioni. Forse i soldati potevano affrontare una situazione simile anche ogni giorno, ma lei no, purtroppo però Rainbow Dash non le diede il tempo di riflettere che subito scattò.
-Toglietevi le tute, il piano è fallito.-
-Cosa faremo adesso?-
Domandò Rarity con voce tremante.
-Abbiamo fallito, questo non basta?-
Commentò Pinkamena gelidamente.
-E volete arrendervi così?!-
Sbraitò Applejack, che nonostante il terrore provato non intendeva arrendersi in quel modo.
-Cosa dovremmo fare allora?!-
Ribatté Rainbow Dash altrettanto furiosa, non tanto per i toni ma per la frustrazione che provava dalla sconfitta.
-Ritentare! Dobbiamo ritentare!-
-Hiii…-
Un urletto si sentì chiaramente da parte di Fluttershy, che quasi si sentì svenire, Rainbow Dash nel frattempo colpì delle rocce sul terreno lanciandole lontano, tentando in qualche modo di sfogarsi.
-Non siamo nelle condizioni di parlare adesso…diamoci una settimana, se al termine ed a mente lucida saremo dell’opinione è tutto inutile non tenteremo mai più una simile impresa.-
Disse Pinkamena cercando, pur nel suo evidente stato di alterazione, di ragionare in qualche modo. Nessuna comunque ebbe da ridire, era evidente avessero tutte bisogno di riposarsi  e soprattutto riprendersi, per questo senza aggiungere altro si tolsero le tute da soldato, avendo sotto degli abiti comuni non fu un problema, ed allo stesso modo presero tutte direzioni diverse.
I loro spiriti nel giro di poco tempo erano stati distrutti…

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Capitolo 14
*** Rammarico (14) ***


Durante il periodo di riposo che si erano concesse ciascuna di loro affrontò la situazione in maniera diversa.
I primi giorni Fluttershy non riusciva a smettere di piangere, durante la notte andò perfino nelle stanze in cui i suoi genitori alloggiavano assieme ad altri dormendo assieme alla madre. Questa non fece alcuna obbiezione in merito, infondo la figlia era stata da sempre fragile e timida, quindi credeva che il suo improvviso crollo dipendeva dalla situazione in cui vivevano che stava iniziando a schiacciarla.
Le accarezzava con dolcezza la schiena mentre le ripeteva che andava tutto bene, che le cose si sarebbero sistemate, e solo dopo un po’ di tempo queste facevano effetto permettendole di dormire, seppur la prima sera non chiuse assolutamente occhio.
Durante le mattine aveva comunque il lavoro a tenerla impegnata, non volle fare neppure una pausa per evitar di pensare a quello che era successo, perfino le chiacchiere del fratello su come lui potesse essere una formidabile guardia, o un prodigioso soldato, erano meglio di qualsiasi altro pensiero le potesse venire in mente.
Intanto, a Manehattan, inaspettatamente come Fluttershy s’era concentrata unicamente sul suo lavoro Rarity aveva fatto tutto il contrario, smettendo di cucire per giorni era rimasta in camera sua immersa nell’oscurità con solo le ombre come compagnia.
Per cucire aveva delle regole precise, o almeno le aveva avute, tempo, amore e couture, da quando la guerra era iniziata aveva dovuto fabbricare lo stesso abito esattamente nello stesso modo, ma anche lì aveva mantenuto la sua passione per uno scopo superiore, anche se era stata dura, ma in quel momento sapeva non avrebbe fatto altro che errori e rallentato la produzione. Era capitato anche prima della guerra, ma in quei casi aveva l’affetto della sorella e la compagnia della sua adorata gatta, in quel momento invece non aveva altro che se stessa…non aveva comunque voluto comportarsi completamente come allora, ad esempio non si strafogava di gelato perché sapeva bene che determinati cibi erano diventati costosi o erano necessari altrove. Fancy Pants dopo un paio di giorni aveva iniziato a preoccuparsi, e nonostante lei non volesse aprire la porta per non mostrarsi in condizioni pessime era rimasto oltre questa parlandole, con parole dolci e tranquille fino a quando non sentì il suo umore migliorare.
Non tutti però avevano qualcuno su cui appoggiarsi, ma non per la sua assenza, ma per la testardaggine.
Applejack tornata alla fattoria aveva tenuto nascosto ogni dettaglio, compresa la fatica psichica e fisica subita quel giorno, lavorando come se nulla fosse. Il suo orgoglio le impediva di chiedere aiuto, o anche solo un abbraccio, a suo parere per il fatto di non esser stata lì quando la sua famiglia aveva sofferto non lo meritava nemmeno. Per pareggiare doveva soffrire in silenzio, ed andare avanti.
Durante la prima notte s’era bendata le ferite curandosi al meglio di quanto aveva potuto, ed al mattino s’era svegliata più presto del solito iniziando a lavorare, non a caso aveva agito così però. Nelle sue condizioni i lavori potevano rallentare, e per questo confidava che iniziando prima avrebbe potuto rimaner in pari. Aveva trovato comunque modo di sfogarsi nelle prime giornate colpendo con le gambe i tronchi degli alberi, certo, non riusciva più a far cadere le mele come un tempo visto gli anni passati in città, ma era efficace contro i suoi scatti di rabbia. Dopo quattro giorni però aveva avuto l’inaspettata visita di Trouble Shoes, che per ringraziarla ancora una volta del suo aiuto in passato le aveva portato una torta fatta in casa, che purtroppo gli cadde addosso come si ritrovò davanti alla donna. Nonostante lo stress e la situazione in cui si trovava Applejack non riuscì a trattenere una risata, di cui presto lei gli fu grata. Ne aveva bisogno, altrimenti si sarebbe immersa in una spirale di rabbia dalla quale non sarebbe uscita facilmente.
Non era stata comunque la sola a trovare il proprio sfogo nell’attività fisica, Rainbow Dash soprattutto, ed in parte anche Pinkamena, dopo aver rimesso le tute al loro posto ed essersi curate le lievi ferite avevano iniziato un allenamento intensivo senza quasi fare un minuto di pausa. Solo nei momenti in cui arrivavano allo stremo ed i loro corpi non riuscivano più a sopportare lo sforzo si fermavano per una decina di minuti, ma ne avevano bisogno. In quanto soldati dovevano essere costantemente in perfetta forma fisica, ed un fallimento come quello accaduto giorni prima significavano erano troppo deboli per poter affrontare la guerra. 
Questo dettaglio non passò inosservato comunque tra gli altri soldati, ma nessuno volle dir loro niente, infondo ciascuno aveva lo stesso motivo per far lì ed un allenamento intensivo capitava tra le truppe.
Rainbow Dash però rispetto all’altra si allenò anche la notte, Pinkamena sosteneva che il corpo aveva comunque bisogno di riposare, e così ad una data ora terminava l’allenamento incontrandosi con la sorella facendosi raccontare come era andata la giornata di questa. Maud nonostante la situazione aveva mantenuto l’amore per le rocce, ed un pomeriggio guardandosi attorno con circospezione le parlò in privato mostrandole un minuscolo sassolino che aveva trovato. Disse d’averlo chiamato Macigno, e che era il suo nuovo animaletto. Anche se altri avrebbero potuto pensar fosse pazza la rosa non la riteneva affatto tale, anzi  accarezzò il sasso proprio come se fosse un’animale, lasciando che la sorella le raccontasse di come l’aveva trovato. Era una storia molto semplice in verità, mentre stava spostando alcuni materiali l’aveva notato in un angolino tutto solo, e qualcosa in lui l’aveva toccata a tal punto che aveva deciso di prenderlo con sé.
Rainbow Dash invece, come già stato detto, passò anche la notte ad allenarsi, ma questa volta a notarla non fu uno qualunque, ma Soarin. La prima sera lui si limitò a chiederle cosa stesse facendo, andandosene per lasciarla allenare, ma già la seconda sera rimase più a lungo, intuendo fosse turbata. Lei non poteva nasconderlo, ma non ne parlò, così il ragazzo non vide altra soluzione se non farle  compagnia ed allenarsi insieme. Dire che il gesto non le fece piacere sarebbe stata una menzogna, e nonostante non avessero parlato quelle ore trascorsero più rapidamente del previsto.
In questo modo, ben presto una settimana passò, ed il gruppo si ritrovò come avevano stabilito al bar da cui era iniziata ogni cosa…

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Capitolo 15
*** Tutto da capo (15) ***


La scena era identica alla prima, cinque donne davanti a dei boccali di birra, che però stavolta nessuna sembrò voler toccare, nessun brindisi, nessun sorriso, nessuno sguardo sicuro di sé. Fluttershy era stata la sorpresa più grande però erano tutte certe non si sarebbe presentata, ma se la rosata era lì dipendeva solo dalla paura di ciò che sarebbe potuto accadere se non fosse andata, e dalla speranza di poter sentire dalle “complici” che nulla sarebbe andato in porto. Le altre però se erano lì era proprio per la convinzione contraria, che necessitava una conferma.
-Quindi? Cosa facciamo?-
Chiese Applejack spezzando il silenzio.
-Come prima cosa analizziamo l’accaduto. Il nostro precedente attacco era pieno di falle, troppo semplice e con troppe poche informazioni. Abbiamo lasciato che le emozioni ci guidassero, e non la ragione. Se vogliamo ritentare, dobbiamo agire diversamente.-
-Ed in che modo?-
Domandò stavolta Rarity alzando lo sguardo.
-Principalmente dobbiamo renderci conto di ciò che stiamo facendo, del rischio e dello scopo. Quindi direi da iniziare da questo, in modo anche da conoscerci meglio…io sono Pinkamena Pie, e desidero avere vendetta su Sombra che mi ha tolto la mia famiglia.-
Iniziò la rosa con fare gelido, al quale però seguì Rainbow Dash.
-Rainbow Dash, voglio vendicarmi per avermi umiliata e strappato l’ala, assieme alla possibilità di volare libera come un tempo.-
Ci fu un momento di silenzio, al quale presto però la voce di Applejack porse rimedio.
-Io sono Applejack, desidero fermare Sombra in modo da evitare altre persone soffrano.-
In effetti non poteva addossare tutta la colpa della vita su di lui, se fosse rimasta a casa magari sua nonna sarebbe stata ancora viva, e per quanto comunque fosse effettivamente colpa del re il suo desiderio non andava alla vendetta, ma all’evitare si ripetesse una simile situazione.
-Io sono Rarity. E voglio fermare Sombra per far sì nessuna città venga più distrutta, come nessuna vita.-
Non provava il desiderio di vendetta solo perché confidava sua sorella ed i suoi genitori fossero vivi, ma capiva molto bene la gravità della situazione. 
Gli occhi ormai però andarono tutti su Fluttershy, che si rannicchiò su di sé impaurita, le cose non stavano andando come desiderava.
-Tesoro…non avere paura, non vogliamo farti nulla. Parla liberalmente.-
Disse Rarity accarezzandole la schiena tremante, ma la voce della ragazza uscì più debole di un sussurro del vento.
-Più forte.-
Borbottò Rainbow Dash, ma il secondo tentativo fu scarso come il primo.
-Più forte.-
Disse nuovamente l’altra, stavolta più severamente, ma ancora nulla di udibile.
-Più forte!-
-Hiii!-
Questa volta il messaggio era arrivato chiaro, e così Fluttershy si vide costretta a parlare.
-I-io…voglio andare a casa…-
Non voleva combattere, non voleva uccidere, voleva continuare nella sua vita con la sua famiglia, e non fare assolutamente nulla di ciò che le quattro stavano dicendo. Non riuscì però nemmeno a guardarle in faccia e sentiva già le lacrime salire.
-Fluttershy…mi rendo conto hai paura, ma ti prego, pensaci bene.-
Disse Rarity gentilmente.
-C-ci ho pensato…non ne sono in grado.-
-Allora basta, tornatene a casa.-
Ancora una volta il tono di Rainbow Dash la bloccò, ma quasi fu grata per quelle parole, se non fosse stato per l’intervento della viola.
-Ora basta Rainbow Dash! Non siamo soldati addestrati! Non hai il diritto di parlarle in questo modo!-
-E’ stata un peso fin dall’inizio, che cosa ha fatto oltre a piangere?-
-Ha procurato i materiali ed aiutato a cucire il finto suolo per la missione.-
Commentò Pinkamena stavolta schierandosi contro la compagna d’armi, cha storse il naso.
-Rarity ha ragione, forse tu sei una tosta che può reggere tutto. Ma Fluttershy non merita questo trattamento, non avevate detto d’essere andate alla stessa scuola di volo? Anche a quel tempo ti comportavi così?-
Chiese Applejack incrociando le braccia, facendo ammutolire per qualche istante l’altra.
Alla scuola di volo…no, non l’aveva mai trattata in tal modo. Ricordava la prima volta che l’aveva vista, così fragile e presa di mira da tutti, in particolare da due bulletti che la canzonavano per la sua incapacità nel volo. Aiutarla era stato istintuale, non se l’era sentita di rimanere a guardare, e per difendere il suo nome aveva sfidato quei due in una gara di volo. Per buona parte di questa era stata certa d’aver la vittoria in tasca, lei al contrario dell’altra era molto brava, ed amava volare, ma ad un certo punto, durante l’ultima parte in cui doveva raggiungere un anello particolarmente vicino al suolo, qualcosa l’aveva bloccata, era stata incapace di muoversi ed aveva potuto solamente guardare lo sfidante batterla.
L’umiliazione era stata cocente, e forse proprio da questa il rapporto con la rosata era sfracellato, non riusciva a guardarla in faccia per la vergogna, ogni volta veniva bullizzata avrebbe voluto aiutarla ma il ricordo della sconfitta era più forte, e così girava lo sguardo. 
Perse di vista lei era cambiata dall’inizio della guerra, ed era diventata ciò che vedevano. 
Forse troppo simile a quegli stessi ragazzi che aveva sfidati.
Prendendo un profondo sospiro lasciò quindi cadere l’argomento, lasciando che l’altra parlasse.
-Io…Rainbow Dash ha ragione, sarei solo un peso…-
-Non dire così, sei stata di grande aiuto la prima volta. Abbiamo però usato un approccio sbagliato.-
Rispose Rarity sempre così cortese.
-Se stavolta agiremo con più calma, pensando ad un piano veramente efficace, potremmo avere una possibilità.-
Concluse Applejack seria. Fluttershy però provò la stessa emozione della prima volta, ovvero il trovarsi incastrata in un incubo, lo sguardo delle altre si stava accendendo, con un fuoco contenuto sì, ma ardeva anche così.
Abbassando il capo quasi in segno di rassegnazione non espresse più parola, facendo così pensare non avesse altro da replicare.
L’ultima a parlare, per il momento, fu Pinkamena.
-Questa volta, le cose andranno diversamente.-

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Capitolo 16
*** L'importanza della conoscenza (16) ***


Era passato ormai un mese dal giorno in cui le cinque avevano preso la decisione di riprovare, ma questa volta non si erano limitate a studiare un piano, ma moltissimi. Per ciascuno di loro avevano tentato di trovare delle falle, ed una volta scoperte avevano ricominciato da capo. Questo aveva permesso di evitare che potessero esserci errori,  alla base di ciascuno di questi però c’era la mancanza di informazioni.
Per questo motivo Rainbow Dash e Pinkamena avevano deciso di raccoglierne quante più possibile, e dopo un attento pensiero avevano scelto l’uomo che faceva al caso loro.
Al castello della principessa oltre alle guardie c’erano anche molte altre figure importanti, ma solo una di loro aveva una conoscenza a tutto tondo, un uomo unicorno chiamato Sunburst.
Già in tenera età aveva dimostrato un grande potenziale nell’apprendimento e nella magia, ed arrivato alla corte della principessa per sottoporsi ad un esame che avrebbe deciso se meritasse o meno di prender posto tra le fila della scuola da lei diretta, per la convivenza di pegasi, terrestri ed unicorni, non smentì tutto ciò. Conclusi questi anni rimase a Canterlot ampliando la sua cultura e quando la guerra arrivò la principessa ricordò le sue capacità, dandogli il compito di lavorare assieme ad altri unicorni per una ricerca che portasse alla sconfitta di Sombra.
Sunburst aveva però una sua stanza privata in una delle torri più alte del castello, visto l’ammontare dei suoi tomi era superiore a tutti gli altri.
Rainbow Dash non avrebbe mai pensato di dover chiedere aiuto ad una testa d’uovo simile, ma non c’era scelta. Percorrendo i corridoi assieme alla compagna d’armi arrivarono fino alla scalinata che avrebbe condotto alla stanza dell’unicorno, davanti a questa però si trovava un uomo unicorno imponente, dalla lucente armatura argentata dalla quale si intravedevano i capelli e gli occhi azzurri.
-Avete bisogno di qualcosa?-
Chiese subito lui quando si fermarono davanti alle scale, non era strano stesse facendo la guardia in quanto in quel punto era racchiuso molto sapere.
-Dobbiamo parlare con Sunburst, Shining Armor.-
Disse subito Pinkamena. Shining Armor come l’altro lo si poteva definire una promessa dell’esercito, eccelleva nella forza fisica e nelle capacità magiche, in particolare quelle riguardanti gli scudi. Avrebbe potuto diventare il capitano delle guardie, ma a quanto pare aveva rifiutato l’incarico per sua sorella minore. Questa come Sunbrust aveva fatto l’esame per entrare nella scuola della principessa, ma aveva fallito a causa dell’agitazione che le aveva impedito di usare la magia. Da quel giorno la piccola aveva perso il sorriso, la sua vita era diventata i libri, se già prima era sempre china su questi e giocava solo con il fratello dopo quel fallimento peggiorò chiudendosi costantemente in stanza a studiare, sostenendo che con lo studio avrebbe potuto farcela. Divenuta adulta s’era trovata una casa, vicino alla biblioteca di Canterlot, ma la situazione non era cambiata, anzi senza la madre quasi non mangiava e la sua dimora era in condizioni orribili. Il fratello l’andava a trovare ogni settimana o più per accudirla, letteralmente ed aveva rifiutato l’incarico, sogno della sua vita, perché sapeva che questo avrebbe preso troppo tempo nella sua vita.
-Per quale motivo?-
-Abbiamo bisogno di raccogliere più informazioni sui soldati di Sombra.-
Rispose Rainbow Dash, senza mentire. L’uomo le guardò un paio di volte, ma siccome non erano due facce poco note acconsentì a lasciarle passare, e così le due salirono rapidamente tutti i gradini della torre fino ad arrivare alla stanza più alta dove si trovava l’unicorno.
Davanti a questa porta però v’era un altro soldato, più basso rispetto al primo e dall’armatura dorata, e dagli occhi e dai capelli azzurri, se non andavano errate il suo nome era Flash. 
-Ferme, chi siete?-
-Raibow Dash e Pinkamena Pie, soldati di Celestia, dobbiamo parlare con Sunbrust.-
Dopo averle guardate per qualche secondo il ragazzo si decide a lasciarle passare, lasciando così che entrassero nel gigantesco studio dei Sunbrust.
Impossibili da non notare erano le gigantesche pile di libri accatastati ovunque, raggiungendo quasi il soffitto, i muri di pietra erano coperti da degli scaffali colmi di tomi pesanti, che riempivano anche il pavimento assieme ad una grande quantità di fogli.
Si poteva notare che alcuni erano accartocciati e rovinati, significava probabilmente che il proprietario stesso non s’era reso conto d’avervi camminato sopra.
Come unico mobile, oltre ad uno sgabello di legno ed accanto all’unica finestra al momento chiusa, c’era un tavolo da lavoro completamente nascosto sempre sotto fogli e libri, ed era proprio lì che la figura dell’uomo era china a scrivere.
I suoi capelli arancioni erano scombinati, come se si fosse passato le mani tra i capelli talmente tante volte da averli resi impossibili da domare, indossava un lungo mantello blu con delle stelle verde acqua disegnate sopra, ed era talmente concentrato da non rendersi conto della loro presenza.
-Eh-ehm.-
Tossì Rainbow Dash per attirare la sua attenzione, ma non servì.
-Eh-ehm!-
Riprovò ancora ma l’unico rumore di risposta fu lo scribacchiare della matita, prima che si mettesse ad urlare però ci pensò Pinkamena, con un tono di voce calmo ma alto.
-Sunbruts.-
Stavolta l’uomo sobbalzando si voltò di scatto, fissando le due con i suoi piccoli occhietti azzurri nascosti sotto un paio d’occhiali dello stesso colore, erano rossi come se non dormisse da giorni.
-Chi siete?-
-Pinkamena Pie e Rainbow Dash, siamo qui per farle delle domande riguardo i soldati di Sombra.-
Rispose subito la rosata, tranquillizzando a quanto pare l’uomo che prendendo un respiro si passò una mano nella barbetta sul mento.
-Capisco, vi chiedo perdono per la confusione, ma le mie ricerche potrebbero, anzi, sono vitali.-
-In che modo?-
Chiese Rainbow Dash guardandosi attorno.
-Beh, principalmente perché grazie ad esse posso scoprire i punti deboli del nemico. Scusatemi ma vorrei continuare a lavorare, quindi se avete domande vi prego d’esser veloci.-
Rispose l’uomo voltandosi nuovamente per continuare a scrivere, chiamando a sé una decina di libri con la magia.
-Abbiamo notato che anche in caso di attacco furtivo i nemici riescono comunque ad identificarci, se precedentemente abbiamo assassinato dei loro compagni ad esempio. Hanno forse una magia che permette d’identificare i nemici pur essendo travestiti?-
Chiese Pinkamena in maniera molto specifica.
-Ah sì, questa è stata tra le ultime parti della ricerca, non l’abbiamo ancora detto perché non ne abbiamo la certezza, ma se siete qui immagino ormai si voglia far conoscere questo dettaglio. Dovete sapere che esiste un tipo di magia attraverso il quale è possibile vedere attraverso gli occhi altrui, in passato venne usato per lo spionaggio ma visto  il regno della principessa Celestia per molto non ha avuto nemici è stata persa per anni. Ritengo però che il re Sombra ne faccia uso sui propri soldati, non solo li ha resi dei manichini ma anche i suoi occhi, in questo modo può sapere in tempo reale ogni cosa…-
Disse l’uomo unicorno in tono grave.
-Ma i suoi soldati saranno migliaia. Com’è possibile ci riesca con tutti?-
Chiese stavolta Rainbow Dash.
-E’ questo il punto, non ne abbiamo la certezza. Ho tentato anche io questa magia ma c’è presto un limite di sopportazione prima di star male fisicamente, tuttavia non ho idea di quale grado sia quella di quel mostro, che riesce a tener testa perfino alla principessa Celestia…tuttavia, ho quasi la certezza che non possa veder attraverso gli occhi di tutti, se ci fosse un gruppo di persone ne basterebbe un paio per essere al sicuro, ma anche questo dipende da quanto è paranoico nei confronti di attacchi da parte nostra.-
-E se mettessimo in atto un attacco di massa? La sua attenzione potrebbe concentrarsi maggiormente su quel punto permettendo una sua distrazione altrove?-
Domandò Pinkamena interessata.
-Potrebbe, ho tentato anche questa variabile nei miei studi ed in effetti se la maggior parte degli strumenti sono concentrati in un lavoro pesante quelli rimasti magari in un luogo sicuro passano in secondo piano e sono più difficili da notare nella nostra mente. Per dirla facilmente l’incantesimo funziona come se fossimo in una stanza piena di schermi, e naturalmente quando ci si concentra su quelli interessanti come per voi i film di azione i documentari sono quasi invisibili.-
Almeno quella spiegazione rese ad entrambe molto più semplice capire il funzionamento di tutto.
-C’è altro?-
Chiese Sunbruts sfregandosi gli occhi.
-No, per il momento. Grazie del tempo.-
Rispose Pinkamena con un inchino di rispetto, voltandosi verso la porta assieme all’altra per tornare al piano inferiore.
Avevano già capito grazie a quella breve chiacchierata il punto fondamentale per cui il loro precedente piano era fallito, ed ora che ne erano a conoscenza non avrebbero più fatto lo stesso errore, e s’assicurarono di descrivere ciò nei minimi dettagli anche alle altre ragazze…

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Capitolo 17
*** Tappe (17) ***


Il ticchettio prodotto dal rumore di alcuni passi rompeva il silenzio lungo uno dei corridoi di pietra nei sotterranei del castello della principessa Celestia, l’unica fonte di luce era data da delle torce appese alle pareti e per questo l’atmosfera poteva facilmente apparire tetra, ma non era un dettaglio rilevante per i soldati che vi vivevano.
Nella zona più protetta del castello c’era una specifica stanza in cui i comandanti e le figure più importanti dell’esercito si riunivano per organizzare gli attacchi, le difese e varie strategie, ed ogni settimana i sottoposti d’élite dovevano svolgere dei turni in cui s’accertavano nessuno potesse entrare.
I soldati dovevano però arrivare tutti ad orari diversi, anche se solo a distanza di cinque minuti, in modo che i cambi turni non bloccassero le attività.
In quel momento proprio uno dei nuovi soldati stava andando a dare il cambio ai suoi compagni, si trattava di un uomo pegaso molto alto, dalla pelle scura e molto robusto, dai capelli con due diverse sfumature d’azzurro pettinati in una cresta e rasati ai lati, il suo nome era Thunderlane. I suoi occhi gialli erano fermi e ben sicuri, e vestiva con un’armatura pesante d’argento con delle aperture sulla schiena in modo che non schiacciasse le imponenti ali, mentre nella mano destra teneva una lancia dalla punta formata da una gemma viola ed affilata.
Stava proseguendo tranquillo, senza tuttavia accorgersi che nascosta sul soffitto, ferma grazie alla presa delle sue mani e dei piedi sulla roccia, c’era Pinkamena, la ragazza era lì dal giorno precedente, in attesa che arrivasse il cambio della guardia per poter trovare il soggetto più debole tra i soldati in vista, e quando finalmente passò Thunderlane non ebbe dubbio era il soggetto più adatto.
Strinse per qualche istante tra le dita il minuscolo sassolino che s’era rigirata per tutta la notte, fino a quando questo per i continui sfregamenti non era diventato affilato alla punta, e come un cecchino con l’indice ed il pollice gli diede una forza tale da sembrar quasi un proiettile, e senza alcun problema riuscì a centrare la parte scoperta della caviglia del soldato, che preso alla sprovvista cadde a terra iniziando a rotolare per le scale.
Fu lì che lei si lasciò cadere, fingendo di trovarsi in quel luogo per caso e di aver sentito il tonfo corse subito verso di lui, precipitato ormai quasi verso la porta della stanza degli ufficiali, e s’inginocchiò per dargli soccorso.
Attirati dal rumore arrivarono anche altre persone, il primo fu Fire Streak, un uomo pegaso dall’alta acconciatura pettinata all’indietro di colore arancione scuro e bianco opaco. Era vestito con una tuta da combattimento di colore blu scuro con una lunga striscia gialla che attraversava lo stomaco arrivando al petto, e gli occhi erano nascosti sotto degli occhialini azzurri che impedivano di vedere il loro colore.
A seguire ci fu poi Blaze, una donna pegaso vestita nello stesso modo ma dai capelli arancioni pettinati in una cresta dalle punte fini, assieme a lei c’era anche Fleetfoot, una donna pegaso dall’acconciatura simile ma dai capelli quasi completamente bianchi. 
Le ali dei tre seppur piegate erano perfettamente visibili, infondo essendo l’élite degli Wonderbolts vantavano un fisico tonico e sempre pronto alla guerra, e questo includeva anche le loro massicce e robuste ali. Raibow Dash fin da bambina li aveva sempre adorati e non s’era mai voluta perdere una loro esibizione, ogni tanto provava una grande nostalgia per quei tempi, nonostante per via della situazione più volte era riuscita ad avere uno stretto contatto con loro. 
Pinkamena ogni tanto s’era posta la domanda di come sarebbero potute andare le cose senza l’arrivo di Sombra, ma non era per questo che aveva fatto tutto ciò.
-Che sta succedendo?-
Chiese Blaze guardandoli, subito la ragazza rispose per evitare potessero intuire ciò che aveva fatto.
-La caviglia sembra essersi storta, forse a causa della brusca caduta. Il cento-diciassettesimo gradino presenta un’incrinatura che può aver causato la caduta.-
Mentre parlava la ragazza era riuscita con facilità a togliere il sasso che s’era conficcato nella carne, era sottile in punta ma troppo spesso alla base per poter passare e così era rimasto incastrato. In quel modo nessuno avrebbe mai potuto accusarla.
-Ah…cavolo…posso farcela ad alzarmi però signore…-
Tentò di dire Thunderlane, ma Fleetfoot lo fermò.
-Non pensarci nemmeno, abbiamo bisogno di un soldato al meglio, anche se piccola come ferita vai in infermeria a farti sistemare.-
-Posso accompagnarlo io.-
Disse subito Pinkamena facendo per aiutarlo, ma anche lei venne fermata.
-No, non possiamo nemmeno interrompere il cambio della guardia, Pinkamena Pie, prenderai il posto di Thunderlane per questa volta.-
In nessun caso era consentito disobbedire agli ordini di un superiore, e così entrambi si videro costretti ad eseguire gli ordini, nonostante per uno dei due le cose erano andate esattamente come aveva desiderato.
Non era dispiaciuta comunque per Thunderlane, il danno più grave che avrebbe potuto avere sarebbe stato l’imbarazzo se l’avesse raccontato in giro, e se questo fosse arrivato alle orecchie anche di suo fratello minore Rumble, un ragazzino pegaso dai capelli neri e gli occhi violacei, che stravedeva per il fratello e che lo aspettava ogni giorno all’uscita per farsi raccontare il suo lavoro nei minimi dettagli.
Prendendo l’arma del pegaso Pinkamena entrò nella stanza privata dei superiori assieme ai tre.
La stanza non era molto grande ed era interamente fatta con della grigia pietra. Ai lati erano presenti tre alti scaffali su cui venivano sistemati i registri riguardanti le informazioni private dei soldati e le scoperte delle spie dell’esercito di Celestia, oppure comunicati importanti e messaggi in codice.
Nella parete dall’altra parte della stanza rispetto alla porta era poi appesa una grande mappa dell’intera Equestria, segnata però in più punti in nero, a simboleggiare le zone prese dal re nemico.
Al centro della stanza invece c’era un grande tavolo di legno, sui cui v’era sempre una mappa dello stesso tipo ma su cui erano anche segnati i punti strategici per le future missioni.
Pinkamena andò a sistemarsi alla sinistra della porta, mentre accanto a lei c’era Written Script, un umano unicorno dai capelli viola scuro e gli occhi color verde acqua, anche lui indossava la stessa armatura di Thunderlane, ma se il primo apparteneva all’élite d’attacco lui era tra quelli dello spionaggio e dei messaggi in codice.
Oltre a loro c’era poi infine Spitfire, una donna pegaso  dai severi occhi marrone chiaro ed i capelli pettinati in un’alta e vaporosa cresta che dal giallo andava all’arancione. Era la figura più di spicco nella stanza, non solo capitanava gran parte delle truppe, ma le addestrava anche scovando i migliori tra loro. Aveva infatti dato un occhio di riguardo a Rainbow Dash, assieme naturalmente a Soarin, anche se forse questo per altri motivi.
-Va tutto bene?-
Chiese Spitfire senza alzare gli occhi dalla mappa.
-Solo un piccolo incidente, nulla di importante.-
Rispose subito Blaze, tornando accanto alla donna assieme agli altri.
-Molto bene proseguiamo allora. Le zone prese dal nemico come sappiamo sono la gola galoppante, lo Yanhoover, la città Tall Tale le montagne del fumo accanto. Per la posizione dell’Impero di Cristallo i ponti con lo Yakyakistan sono ormai perduti, come allo stesso modo è stata Nuvola City. Come abbiamo sospettato il piano di Sombra è di estendere il territorio in suo possesso circondando Canterlot, la prova è stato il tentativo d’attacco a Las Pegasus e la presa su Ponyville, con naturalmente i territori pianeggianti in prossimità d’essi inclusa la Everfree Forest. Tuttavia non dobbiamo lasciarci ingannare, nonostante si possa credere che le città più a rischio ora siano quelle di grande importanza come Manehattan Sombra ha dimostrato molta attenzione anche ai piccoli villaggi, e questo risultato a portato all’ingrossamento delle sue truppe. Dalle informazioni delle nostre spie alcuni soldati nemici si sono visti aggirare in prossimità di Rainbow Falls, ma sospettiamo che il vero obbiettivo questa volta possa essere un minuscolo villaggio nascosto tra le montagne, chiamato semplicemente dai residenti Our Town apparentemente completamente inutile. Tuttavia proprio il fatto non dia così tanto nell’occhio lo potrebbe rendere una perfetta preda, e la sua vicinanza sia a Manehattan che a Rainbow Falls lo rende più pericoloso del previsto. Contiamo che nel giro di un mese possa tentare un attacco. Ogni città comunque non viene mai completamente abbandonata, sappiamo per certo ormai che Sombra lascia una manciata dei suoi soldati in modo da sapere quando noi tentiamo di salvare quelle zone, anche se i risultati fino ad ora sono stati disastrosi.-
Il riassunto di Spitfire era rapido e preciso, anche se poteva sembrare stesse offrendo importanti informazioni in realtà non diceva più di ciò che già si poteva sapere o intuire, il cuore delle informazioni veniva rivelato in zone ancor più segrete del castello, ma gli occhi di Pinkamena, solitamente gelidi, scintillarono alla scoperta di quelle informazioni…

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Capitolo 18
*** Scatti (18) ***


Due figure stavano volando in alto nel cielo, entrambe vestite con le tute dei soldati dell’esercito di Celestia, rinfoderate per evitare gravi ferite in caso d’attacco a sorpresa, i loro volti erano nascosti sotto dei grossi caschi blu scuro aventi sugli occhi dei vetri che impedivano di vedere anche solo il colore degli occhi. L’unica cosa in vista erano le ali delle due figure, evidentemente femminili visto le forme del corpo, quelle della prima erano di un debole giallo, esili e con ben poca fiducia in quel volo, mentre quelle dell’altra erano la prima robusta e ben allenata, di colore azzurro, mentre la seconda era un sostituto di metallo.
Le due figure stavano volando in prossimità di Tall Tale, la città un tempo poteva vantare giganteschi grattacieli in vetro che permettevano una fantastica vista sul mare e sulla foresta accanto alla città, in quel momento però nessuno stava ammirando il paesaggio e nessuno era intento a passeggiare per quelle strade.
I neri cristalli del re Sombra avevano distrutto molti edifici, trapassandoli da parte a parte, e così avevano anche fatto con il cemento delle città. Qualsiasi sopravvissuto era stato catturato e portato all’Impero di Cristallo per servire il suo nuovo re, e così quella città non era divenuto altro che un gigantesco cimitero, percorso solo da quegli zombie che a malapena si potevano definire soldati in pattuglia.
Era proprio però a questi soldati che le due stavano dando particolare attenzione, tramite una piccola macchina fotografica scattavano delle foto della zona, non mancando mai di includere i soldati nemici.
Più si avvicinavano però più da una delle due si potevano sentire dei singhiozzi, evidentemente a causa del terrore che provava, ma non poteva andarsene e non poteva nemmeno atterrare, o sarebbe stata la sua fine.
Forse era proprio grazie a ciò se riusciva ancora a mantenersi in volo.
L’altra al contrario era molto più sicura di sé, ed osava avvicinarsi in maniera incredibilmente pericolosa.
Fino a quel momento erano riuscite a non farsi vedere, o almeno questo sembrava visto non c’era stata alcuna reazione da parte dei soldati.
Non che comunque stessero facendo qualcosa di particolarmente importante, quindi a meno che non ce ne fosse stata l’occasione forse non avrebbero fatto nulla.
Rainbow Dash e Fluttershy erano ben attente ai loro movimenti ed a non ritrovarsi direttamente sotto tiro, ma la prima voleva osare sempre di più per avvicinarsi e far delle foto, ed aveva iniziato anche a trascinare l’altra ragazza che scuotendo il capo provava a protestare, ma  nulla poteva contro la forza di Rainbow Dash che, prendendola per un braccio, la costringeva a muoversi.
Purtroppo le ali della rosa iniziavano ad esser sempre più affaticate per quelle acrobazie ed il volo costante, e così ad un certo punto senza che l’altra se ne potesse accorgere perse molta quota fino a toccar terra per riposare.
Si trovava in mezzo a due case distrutte e nonostante i numerosi detriti rimaneva comunque un bersaglio molto facile, ma a giudicare dal modo in cui il petto si alzava ed abbassava rapidamente ne aveva veramente bisogno.
Rainbow Dash tuttavia una volta resasi conto stava volando da sola era subito scesa in picchiata raggiungendola, costringendola a ripartire.
Nessuna delle due però sembrava essersi accorta che dei soldati di Sombra, senza far il minimo rumore, s’erano avvicinati osservandole, ed allo stesso modo Fluttershy non si era accorta di un piccolo foglio di carta che le scivolò dalla tasca dei pantaloni, cadendo a terra mentre le due si allontanavano da quella zona con la stessa rapidità con la quale erano venute.

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Capitolo 19
*** Permettimi di essere egoista (19) ***


Il giorno successivo, a Manehattan, Fluttershy e Rainbow Dash si trovavano nell’edificio in cui Rarity lavorava ai vestiti per l’esercito, trovando la donna nella stanza all’ultimo piano di questo con una gran quantità di materiali sparsi per tutta la stanza.
-Qui ci sono le foto che volevi, spero vadano bene.-
Disse Rainbow Dash consegnando alla viola le fotografie scattate il giorno precedente.
-Oh sono perfette, gli scatti sono da tutte le angolazioni che mi servivano. Spero non sia stato un problema per voi.-
Rispose cortesemente la donna guardandole.
-E’ stato un gioco da ragazze, ci abbiamo solo messo un po’ perché Fluttershy si era fatta prendere da alcuni attacchi di panico.-
Rispose Rainbow Dash indicando l’altra.
-M-mi dispiace…-
Rispose Fluttershy abbassando lo sguardo lasciando che le cadesse sul viso una ciocca di capelli. Soprattutto quando s’erano avvicinate alla città Rainbow Dash aveva dovuto aspettare che la rosata fosse in grado di alzarsi in volo come un vero pegaso, facendo attenzione ad ogni dettaglio per evitare d’esser catturate, ma era riuscita a mantener la calma abbastanza a lungo da evitare sfuriate contro la compagna, riuscendo a spronarla a muoversi il prima possibile.
-Fluttershy non dirlo nemmeno per scherzo. E’ molto importante ciò che hai fatto e te ne sono estremamente grata.-
Rispose Rarity avvicinandosi ed accarezzandole la guancia con un sorriso materno.
-La cosa importante è che grazie a queste foto potremo proseguire con il nostro piano, ma avrò ancora bisogno di te per fare tutto nei minimi dettagli, te la senti?-
Chiese ancora sperando non la rifiutasse.
-Certo…-
Disse fortunatamente la rosa, felice di non dover avere un compito simile al precedente.
A poco a poco tutti i tasselli stavano andando a sistemarsi…
Quella stessa notte Rarity lavorò incessantemente sul proprio compito, usando il doppio del tempo anche solo per un unico abito. Era da quando aveva iniziato il suo mestiere da sarta che non le capitava di dover faticare in quel modo, ma non era certo un problema, tutto doveva essere perfetto.
Era talmente concentrata da trattenere il respiro, ed una volta finita la parte forse più complessa dell’abito si fermò per riposare almeno la testa.
-Non un solo punto deve essere fuori posto…-
Improvvisamente un suono la fece sobbalzare, qualcuno stava bussando alla sua porta.
-A quest’ora? Che sia Fluttershy?-
Era certa fosse tornata a casa ma magari per la stanchezza aveva deciso di fermarsi in città. Non era nelle condizioni migliori, con i capelli arruffati, il viso senza trucco e gli occhi stanchi, inoltre era vestita con l’abito da lavoro.
-Arrivo subito.-
Raggiungendo la porta l’aprì sorridente, non volendo certo accogliere un’amica con un’espressione cupa, ma la sorpresa fu grande quando invece di Fluttershy si ritrovò davanti Fancy Pants, come sempre vestito con un elegante abito ed i meravigliosi capelli perfettamente in tiro.
-F-Fancy!-
Tanto era sorpresa non riuscì nemmeno a chiedere la porta per correre a sistemarsi, ma l’uomo prevedendo forse una simile reazione fece subito un passo avanti evitando di ritrovarsi con la porta in faccia.
-Mia cara Rarity, ti prego di scusarmi, non era mia intenzione disturbarti ad un orario così tardo.-
-Cosa ci fai qui? E’ successo qualcosa?-
Chiese subito la donna cercando di sistemarsi almeno i capelli.
-No, non preoccuparti…in realtà…è stato il mio egoismo a spingermi.-
La viola si fermò guardandolo confuso, lasciandolo comunque entrare.
-Fancy, che cosa intendi?-
-Le cose più belle della vita sono una rarità, ed io volevo prendermi alcune ore per poter ancora vedere la bellezza di una di queste con i miei occhi.-
Rarity arrossì di colpo a quelle parole, mentre l’uomo abbassò di poco lo sguardo.
-In questi ultimi tempi mi sei sembrata sempre più cupa, ed il pensiero di non poter far nulla per aiutarti mi ha straziato l’animo. Mi rendo conto che siamo in un periodo molto difficile, e che dobbiamo impegnarci al massimo per superarlo e sconfiggere Sombra…tuttavia non si può vivere solamente con questo peso, è necessario avere anche un motivo per andare avanti, e quel motivo per me sei tu, Rarity.-
-Fancy…-
I loro cuori battevano così rapidamente che si sarebbero potuti sentire anche dall’altra parte della parete.
-Rarity, permettimi di essere ancora una volta più egoista, perché è così che tu mi rendi. Sei la creatura più bella, intelligente, affascinante e generosa che io abbia mai conosciuto, con la tua sola presenza illumini le stanze intere e le strade della città.-
Guardandola Fancy Pants le aveva sfiorato la guancia con una mano, accarezzandola poi con gentilezza attirandola così verso di sé, la viola lo guardava ammaliata e rapita dal suo sguardo.
-Sì…-
Disse infine lei permettendogli quell’”egoismo”.
-Rarity, ti chiedo di poter entrare a far parte della tua vita come più che un semplice conoscente, collega di lavoro o amico. Desidero essere la persona con cui costruirai il futuro, sono disposto ad attendere anni, anche tutta la vita solo per un tuo sì. Desidero guardare al di là di questa orribile guerra e vedere noi due, insieme, felici. Ora ti chiedo, Rarity, vorresti essere la gemma che darà luce alle mie giornate, e rendermi l’uomo che forse un giorno sarà degno di porti una domanda ancor più importante, ma che sono certo non avrei timore a chiedere?-
Mentre parlava la guardava con un tale ardore che quasi la donna sentì il cuore scoppiarle nel petto, provava una felicità così grande da non poterci nemmeno credere. Un uomo come Fancy Pants…una vita con lui…
Prima di rispondergli non si trattenne dall’abbracciarlo, e lui le accarezzò amorevolmente la schiena ed i capelli.
-Fancy, io desidero tutto questo, desidero che tu sia egoista e che avveri questi tuoi desideri…ma prima di poterti dire di sì c’è una cosa che devo concludere, molto importante per me e per il mio cuore. Per questo ti chiedo, mi concederai d’essere egoista e di prendere da te il tempo necessario per i miei desideri, prima di dirti di sì?-
Rimasero qualche istante in silenzio, godendosi appieno quell’abbraccio ricco di sentimento e di lacrime trattenute, prima che l’uomo parlasse.
-Ma certo Rarity…saremo egoisti insieme…-
Avevano una promessa sul futuro, una promessa che l’avrebbero potuta rendere ufficiale solo al termine della lotta che lei stava combattendo per tutti loro, ma che venne comunque sugellata con un dolce bacio al chiaro della luna…

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Capitolo 20
*** Un messaggio tra i cadaveri (20) ***


Il suono delle urla dei soldati era attenuato solamente dagli scoppi delle esplosioni causate dai poteri dei nemici. Nella sconfinata valle stava avendo luogo l’ennesimo attacco da parte del re Sombra, e la schiera di difesa di Celestia stava facendo tutto ciò che era in suo possesso per fermarli.
Non era chiaro quale fosse il motivo, ma periodicamente simili scontri avvenivano diretti proprio al castello della principessa, e si era iniziato a temere servisse a mascherare situazioni ben peggiori e nascoste ai loro occhi, anche per questo erano aumentate le missioni di spionaggio, tuttavia non si poteva certo lasciar quegli uomini agire come se nulla fosse.
Sia Rainbow Dash che Pinkamena Pie si trovavano nella zona da guerra, quest’ultima accompagnata dalla sorella maggiore Maud. Le tre non utilizzavano armi per combattere, in quanto perfettamente addestrate ad uccidere anche a mani nude.
Si trovavano in prossimità della gola galoppante, e stavano cercando di spingere i soldati di Sombra contro la parte in modo da accerchiarli, ma era più facile a dirsi che a farsi. Rainbow Dash assieme agli altri umani-pegasi s’assicurava volando che le vittime della propria fazione fossero il minor numero possibile, come si rendeva conto che uno di loro era in serio pericolo volava subito in picchiata a salvarli, e così accadde proprio in quel momento.
A terra, con il capo scoperto a causa di un brutto urto che le aveva fatto volar via il casco, c’era Candy Mane, una donna-terrestre dai capelli rosa pastello, pettinati  in una cresta, e gli occhi leggermente più scuri, che come loro si era arruolata nell’esercito in seguito alla distruzione della sua città, nello specifico Ponyville. Esattamente sopra a lei si trovava uno dei soldati di Sombra, il quale tenendo tra le proprie mani una lancia era pronta a trafiggerle la testa senza alcuna pietà, Rainbow Dash però fu abbastanza rapida da raggiungerlo colpendolo in testa con entrambe le gambe, facendolo sbilanciare quel che bastava da fargli lasciar la presa sulla propria arma, che utilizzò contro di lui colpendolo al petto, e grazie alla sua forza l’armatura non poté difenderlo.
Con un cenno del capo intimò la compagna a riprendere il caso e scappare, e fu proprio ciò che questa fece, ma nel mentre Rainbow Dash non si era resa conto che, avvicinatasi al bordo della gola, altri uomini sopra d’essa stavano spostando dei giganteschi massi per schiacciare i malcapitati sotto di loro.
Uno di questi venne spostato poco prima che la donna salvasse la sua compagna, e nel momento in cui questa si rese conto stava per esser schiacciata era ormai troppo tardi per spostarsi. Tuttavia all’ultimo secondo qualcuno arrivò in suo soccorso, salvandola.
Pinkamena e Maud con un incredibile salto s’erano portate esattamente contro la roccia, e con una serie di pugni dati con una velocità strabiliante la sgretolarono in minuscoli frammenti fino a quando questa spezzandosi in due non cadde che solo accanto a Rainbow Dash, che con un altro cenno, stavolta di gratitudine, si levò in volo attaccando i suoi assalitori.
Purtroppo in quelle battaglie non era possibile identificare un soldato di un grado più alto rispetto agli altri, forse perché erano tutti degli zombie e la loro mancanza di volontà non permetteva d’aver delle riconoscenze, e così anche se ne avessero uccisi cento gli altri avrebbero potuto continuare ad attaccare, mentre per i soldati di Celestia in caso il comandante fosse eliminato erano costretti ad una ritirata.
Certe volte tale pensiero aveva fatto venire i brividi alle reclute, perché ciò significava che solo Sombra era dietro a tutto ciò, il che lo rendeva un pericoloso genio delle tattiche militari.
Per Rainbow Dash però questo non contava, avrebbe potuto anche dover lottare contro tutti loro ma non si sarebbe mai arresa, e nemmeno avrebbe mostrato apertamente le sue paure, forse per questo era così rispettata anche tra i suoi superiori.
Raggiunti i due nemici come prima cosa la donna virò di colpo riuscendo a generare una forte raffica con le proprie ali, che costrinse i due ad appoggiare la punta della lancia al suolo per non cadere, e lei ne approfittò per portarsi al fianco di uno e colpirlo con un calcio alle costole. L’urto fu abbastanza forte da spingere il nemico oltre il bordo, e questo cadde senza freni per la ripida parete. Quando arrivò a terra non ci volle molto per capire che il suo collo si era spezzato, a giudicare dalla posizione, ma come era prevedibile il compagno non batté ciglio, certamente non si rendeva conto di ciò che era successo.
Prima che potesse attaccarla però Rainbow Dash afferrò l’arma abbandonata del caduto, e conficcò la punta nel collo dell’altro, il quale teneva la propria ben sollevata sulla testa.
Per una frazione di secondo rimase immobile, ma nonostante il colpo subito tentò comunque di colpirla, riuscendo però soltanto a graffiarle la spalla, lasciando che la lama nel collo andasse ancor più in profondità fino ad ucciderlo.
Nello stesso momento Pinkamena e Maud continuavano le loro lotte affiancate da altri due soldati, Fuzzy Slippers e Goldengrape, il primo era un uomo-terrestre molto robusto, dagli occhi azzurri ma dai capelli completamente rasati, a causa di una cura che stava facendo per una malattia che lentamente lo stava consumando. Non avrebbe nemmeno dovuto trovarsi in battaglia, ma conscio gli rimaneva relativamente poco da vivere aveva preferito spendere gli ultimi anni cercando di far qualcosa di buono, anche a costo di ridurre i tempi della sua vita. Il secondo invece era decisamente più gracile ma non meno agile, ed aveva sia gli occhi che i capelli azzurri, era arrivato nell’esercito spinto dal desiderio di proteggere la sua famiglia e rendere un servizio all’intera Equestria. Entrambi erano abili ed armati con delle lance, e spalla a spalla contro le due donne stavano sgominando un gruppo di nemici armati che tentavano di attaccarli.
Purtroppo però come avvenivano le perdite dall’altra fazione anche la loro non ne era esente, infatti improvvisamente una freccia trafisse il capo di Fuzzy Slippers, colpendolo esattamente all’occhio. La vicinanza fu tale che il vetro protettivo andò in frantumi e l’uomo cadde a terra senza vita.
Subito Goldengrape si lanciò contro l’assassino, colpendolo con la propria lancia facendogli così cadere di mano l’arma, ovvero una balestra in ferro nero, ingaggiando così un brutale scontro.
Le due donne nel frattempo si stavano occupando dei restanti nemici. La battaglia durava da circa dieci ore e l’unica possibilità che avevano era eliminarli tutti fino all’ultimo, cercando di sopravvivere in quanti più possibile.
Nel momento in cui la principessa Celestia fece sorgere il sole con la propria magia in quel campo devastato non erano rimasti altro che i cadaveri dei nemici, ma i vincitori non riuscivano comunque a gioire visto sapevano bene non era valso ad altro se non a proteggere il castello.
Mentre i soldati si ritiravano stanchi Pinkamena teneva lo sguardo ben attento ai vari cadaveri, come a voler trovare qualcosa in uno di questi, era ormai abitudine per lei camminare con lo sguardo abbassato, quindi non c’era niente di singolare in ciò.
Quella volta però le sembrò miracolosamente di notare un minuscolo foglio di carta nelle divise dei soldati, ed inginocchiandosi infilò una mano nella tasca, mostrando alla sorella vicina un biglietto sporco di sangue.
-Dobbiamo andare da Spitfire.-
Maud non chiese nulla riguardo al biglietto, aveva completa fiducia nella sorella e se aveva trovato qualcosa che riteneva importante non avrebbe perso nemmeno un secondo, così dopo aver individuato la donna prese per mano Pinkamena correndo assieme a lei fino a raggiungerla.
Il comandante vedendole arrivare così di corsa si arrestò subito, aspettandole.
-Che sta succedendo?-
-Abbiamo trovato questo biglietto comandante Spitfire.-
Disse subito la rosata consegnandogli ciò che aveva trovato, ad una prima occhiata però era molto difficile capire cosa significasse.
-E’ un messaggio in codice…ottimo lavoro soldato, lo faremo subito controllare. Andate a riposare.-
-Sì signora.-
Entrambe le ragazze seguirono l’ordine, allontanandosi verso il castello, neppure Maud però riuscì a notare un leggero cambio di espressione da parte della sorella, che camminava pochi passi dietro di lei.

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Capitolo 21
*** Inviti e tentativi (21) ***


Alla fattoria degli Apple, ormai in società con Film e Flam, raramente i dipendenti prendevano pause. Forse perché gli unici a lavorarvi erano i due fratelli, visto la gran parte del lavoro era fatta dalle macchine dei nuovi proprietari alimentate grazie alla loro magia da unicorni, e forse perché in assenza di quel poco lavoro manuale a loro non restava che fissare il vuoto ricordando non solo il duro passato oppure pensare al tetro presente di cui facevano parte.
Big McIntosh in particolare non aveva mai preso un giorno di ferie, riposando solamente la notte. Non aveva purtroppo motivi per far altro, ma non si lamentava, anche se in verità non parlava mai quindi non si sarebbe potuta notare molto la differenza.
Apple Jack anche per molto tempo aveva fatto lo stesso, ma la principale motivazione era il senso di colpa. Dopo esser stata assente proprio nel vero momento del bisogno pensava di non meritare pause, ma la settimana prima aveva spedito a Flim e Flam una lettera, dove chiedeva un giorno per andare a trovare un amico. Ovviamente non aveva potuto ricevere un no, tanto era raro il caso, ed ora non le restava altro da fare che avviarsi, non prima però d’aver salutato i suoi fratelli.
-Starò via solo per oggi, ti prego di perdonarmi Big McIntosh.-
Disse la bionda al fratello, era poco prima dell’alba e così avevano tempo per fare quattro chiacchiere. Si trovavano entrambi nella camera da letto di lei, molto spoglia con solo il suo vecchio e rovinato letto dalle coperte bianche ed un armadio, mentre il legno delle pareti e del soffitto era sbiadito in una debolissima tonalità d’azzurro. Non aveva mai sistemato il lampadario caduto dal soffitto quindi l’unica fonte di luce proveniva dalla finestra.
-Chi vai a trovare?-
La voce del fratello era molto roca e profonda, ed ogni volta che la sentiva le provocava una certa nostalgia.
-Si chiama Trouble Shoes, è quel tipo goffo di cui ti avevo parlato. Ultimamente il tetto di casa sua ha avuto molti problemi quindi prima che crolli lo aiuterò a sistemarlo.-
Quest’ultima parte non era del tutto falsa, Trouble Shoes le aveva parlato infatti del tetto che continuava a cigolare ma non le aveva mai chiesto una mano. Le serviva però una scusa credibile per allontanarsi anche se solo per un giorno, ma Big Mclntosh non era così facile da convincere, soprattutto perché la conosceva molto bene.
-Fai attenzione, qualsiasi cosa tu vada a fare…-
-Aiuterò solo un amico, non scappo mica.-
Disse lei cercando di sorridere, ma quella battuta le lasciò l’amaro in bocca per ciò che era successo quando erano piccoli, e lo stesso colpo l’aveva subito anche il fratello, che le si avvicinò mettendole una mano sulla spalla.
-Ultimamente sei strana, non so perché e non ti obbligherò a parlarmene se non vuoi. Ma sono tuo fratello maggiore e su di me puoi contare.-
L’uomo la guardava con uno sguardo talmente serio che per un momento Applejack sentì un nodo alla gola tale da farle quasi venire il magone, ma nascose tutto questo dietro un sorriso pieno d’affetto e ad un veloce abbraccio. 
-Vado a salutare anche Apple Bloom, grazie fratellone.-
-Mh…-
Con lo zaino in spalla la donna s’avvicinò alla stanza della sorellina, che ogni volta che sentiva dei passi farsi troppo vicini si rintanava dal letto ignorando chiunque, soprattutto lei.
-Apple Bloom…-
-Vai via…-
Le sue gelide parole le schiacciavano il cuore ogni volta, ma non per questo arretrò.
-Sto andando a trovare un mio amico. Tornerò questa notte, ti lascio con nostro fratello.-
-Se devi andartene ancora non inventare scuse.-
Non sapeva quanto le faceva male, ma lo meritava anche per tutti i mali che le aveva fatto patire.
-Zuccherino, non ti lascerei mai se non costretta…-
Stavolta dalla minore non arrivò nessuna risposta, segno che la conversazione era veramente finita. Lei però non aveva mentito, non aveva intenzione d’abbandonarla come aveva fatto quando era appena nata, a meno che non fosse stata costretta.
E ciò che stava facendo lo faceva anche per lei, e per il suo futuro…
-Ti voglio bene Apple Bloom…-
Così dicendo Applejack lentamente si allontanò, sperando fino all’ultimo di sentire anche solo una risposta, ma questa non arrivò nemmeno quando il suo carro partì, portandola lontano dalla fattoria.
Naturalmente prima di partire aveva avvertito Trouble Shoes con una lettera, dove gli aveva solo detto lo sarebbe andato a trovare, così in caso il fratello si fosse preoccupato e l’avesse contattato non ci sarebbero stati danni, perciò era molto serena a riguardo di quella mezza bugia.
Il viaggio proseguì senza alcun particolare intoppo, il cielo era sereno ed in lontananza non c’erano pericoli che le potevano far temere delle interruzioni d’alcun tipo.
Era ormai pomeriggio quando la ragazza iniziò ad intravedere la fitta foresta che precedeva Appleloosa e dove Trouble Shoes viveva. Non era certo una zona molto sicura però visti i frequenti avvistamenti degli indigeni bisonti, che più volte avevano minacciato di distruzione la cittadina, i motivi non li sapeva in particolare, ma a quanto pare pretendevano la distruzione degli alberi di mele piantati dai cittadini su quella terra.
Richiesta stupidissima a detta sua, visto servivano a sfamare un’intera città, ma per il momento non la preoccupava.
Arrivata all’inizio della foresta fermò il proprio carro legando i cavalli in modo non scappassero, percorrendo un piccolo sentiero tracciato da Trouble Shoes in modo da non perdersi nelle notti buie mentre tornava a casa.
Ben presto vide anche l’abitazione di quest’ultimo, era costruita prevalentemente in legna, ma alcune tavole si erano staccate ed erano state riattaccate alla ben e meglio, il tetto era di metallo ma numerosi buchi tappezzati con pezzi di legno o stoffa non lo rendevano adatto per le notti di pioggia, rare fortunatamente in quella zona desertica.
Accanto alla porta erano molte le erbacce che crescevano, ma nell’insieme il posto non era così sgradevole alla vista. Con passo sicuro la donna si avvicinò fino alla porta, bussando un paio di volte prima di sentire il brusco suono di qualcuno che cadeva, fino a quando almeno il proprietario non aprì salutandola.
Era vestito con una camicia olivastra con tre bottoni aperti sul petto e dei jeans neri, aveva provato a quanto pare a pettinarsi i capelli ma ancora gli nascondevano i grandi e dolci occhioni.
-Applejack, che piacere averti qui. Scusami per il baccano ma stavo cercando di sistemare.-
Borbottò l’uomo imbarazzato.
-Prego, accomodati.-
Con galanteria le fece largo, dandole così modo d’entrare in quel piccolo spazio. Muri e pavimento erano in legno e c’erano una gran quantità d’oggetti sparsi in ogni angolo. L’arredamento principale però era dato da un piccolo letto dalle coperte bianche, sistemato accanto alla finestra e vicino ad un comodino di legno, una libreria con vari libri e cianfrusaglie di metallo, un armadio di legno dalle ante chiuse ma alto quasi quanto lo stesso uomo, un tavolo sistemato accanto ad un’altra finestra con solo due sedie, dei fornelli rossi con un frigorifero di metallo accanto ed un lavandino. Per quanto riguardava il bagno questo invece era chiuso dietro ad una porta, con la scritta “WC” incisa sopra.
Era solo un monolocale ma a quanto pare bastava all’uomo.
-Grazie Trouble Shoes, e scusami per il poco preavviso.-
-Oh no no, non preoccuparti. Lo sai quanto sono felice di averti come mia ospite. Vuoi qualcosa da bere? Ho del sidro fatto con le tue mele.-
Rispose l’uomo sorridendo gentilmente, mentre lei si accomodava sulla sedia.
-Veramente hai fatto del sidro? Che gentile, ne prenderei un boccale grazie.-
-Arriva subito allora! L’ho fatto giusto giusto questa mattina!-
L’uomo sembrava veramente entusiasta, ma quando prese il bicchiere per la ragazza inciampò tra i lacci dei suoi scarponi, cadendo a terra di faccia.
Fortunatamente Applejack accorgendosene aveva fatto appena in tempo a prendere il boccale, evitando così si rovesciasse, ma la scena era stata così comica che a stento si trattenne dal ridere, ed anche l’altro fece lo stesso guardandola.
-Beh, se ti faccio ridere ne vale sempre la pena cadere…-
-Lascia che ti dia una mano ahah.-
Appoggiando il boccale sul tavolo s’inginocchiò prendendolo per un braccio, aiutandolo a rialzarsi, la differenza di stazza però era talmente evidente che ogni volta erano vicini si sentiva piccolissima, notò per un certo rossore sulle guance dell’altro, ma non disse nulla e si sedette al tavolo con lui.
-Come va alla fattoria Applejack?-
-Bene grazie, alla fine io e mio fratello dobbiamo solo spostare le mele.-
-Però viaggiate anche per le consegne e riparate quei macchinari, non deve essere facile.-
-Ce la caviamo, se ci sono dei problemi possiamo sempre chiamare Flim e Flam.-
Rispose la donna facendo spallucce.
-E’ vero, comunque se avrete bisogno di qualcosa conta pure su di me. Correrò subito da te a qualsiasi orario.-
Era sempre stato così gentile con lei che non poteva non sorridergli quando si offriva d’aiutarla, anche se con la sua sbadataggine avrebbe rischiato di far più danni che altro.
-Grazie, ma fai già abbastanza anche solo quando mi aiuti nei giorni in cui vengo ad Appleloosa con il carico.-
-E’ che sinceramente vorrei poter fare di più, tu sei una donna molto forte, indipendente, bella ed intelligente, e così quando riesco a divertire una come te non riesco a non esser felice anche io. Però…vorrei sempre poter fare di più.-
Ammise Trouble Shoes grattandosi la testa imbarazzato, mentre l’altra a quei complimenti era arrossita leggermente. Non voleva mostrare però quel genere d’atteggiamento femminile, soprattutto perché testarda com’era si voleva mostrare sempre forte ed indipendente, non la classica fanciulla bisognosa di qualcuno.
Però se c’era qualcosa a cui non avrebbe mai potuto rinunciare erano le risate che le faceva fare lui…
-Ci sono tante ragazze meglio di me…-
-Non per me…cioè sì ci sono tante altre persone, ma tu sei…unica.-
I due rimasero in silenzio a lungo questa volta, Applejack fissandolo con le guance rosse e le labbra leggermente aperte, mentre lui sembrava star cercando il coraggio di dirle qualcosa. Aveva però iniziato a muovere anche la sedia, ed involontariamente questa s’era impuntata all’indietro facendolo rovesciare.
-Waaah!-
Il tonfo non fu certamente da poco, e subito la donna scattò preoccupata si fosse fatto male, ma a quanto pare non c’era nulla più di un semplice bernoccolo.
-Ehehe…la mia sbadataggine…scusami, vorrei tanto non essere così…-
Ogni volta che combinava qualcosa il suo viso si rabbuiava.
-Ma che stai dicendo, a me piaci così come sei! Il tuo essere impacciato ti rende unico ed insostituibile!-
Ribatté la donna aiutandolo per l’ennesima volta, ed a quel complimento stavolta fu il turno di Trouble Shoes di diventare rosso come un pomodoro.
-G-grazie…grazie Applejack…-
-Ci conosciamo da tempo ormai, se mi avesse dato fastidio lo avresti già saputo.-
Continuò lei rassicurandolo, riuscendo finalmente a bere anche il suo sidro.
-E’ veramente buono!-
Disse sorpresa guardandolo, e l’uomo gonfiò il petto con orgoglio per il complimento.
-Mi sono impegnato molto per far sì ti piacesse.-
-Caspita non ne hai idea, potresti perfino venderlo sai?-
-Con la fortuna che ho mi cadrebbero tutti i barili il primo giorno…però potrei fartelo altre volte se vuoi.-
-Ne sarei veramente felice, ti ringrazio.-
Sorridendo Applejack  finì praticamente in un sol sorso il boccale, in qualche modo quel sapore così dolce e dissetante le ricordava l’infanzia, gli alberi rigogliosi e pieni di mele, il dolce vento di Ponyville prima della guerra, ed il periodo precedente alla sua “fuga” da casa. Quanti rimpianti e quanta nostalgia…
-Ehi, Applejack, c’è qualcosa che vorrei chiederti da un po’ di tempo…ecco, come sai ogni mese si tiene un rodeo ad Appleloosa, ed io li ho sempre adorati…-
Questa volta l’uomo parlando era rimasto ben fermo, come a voler evitare ad ogni costo che qualcosa lo interrompesse, ma si rigirava più volte i pollici tra loro. La donna però lo ascoltava con attenzione, restando in silenzio.
-Mi chiedevo…se magari ti andava di venire con me al rodeo.-
Disse infine lui tutto d’un fiato, chiudendo quasi gli occhi alla fine come se si aspettasse uno schiaffo, che però alla fine non arrivò mai.
-Oh. Intendi come amici o…-
La bionda non terminò la frase, sentendo però un forte calore sul viso.
-Ecco…magari come o…-
Rispose Trouble Shoes grattandosi la testa ancor più imbarazzato di prima, ma tutto ciò lo rendeva in qualche modo incredibilmente dolce e tenero agli occhi dell’altra, che la guardò con un sorriso intenerito.
Tuttavia però c’era un dettaglio importante in quella richiesta, ovvero il tempo.
Lei aveva un preciso obbiettivo, e non poteva essere secondo a nulla. Non sapeva però se questo si sarebbe tenuto prima o dopo il rodeo, così distante per lei in quel momento, soprattutto ora che i preparativi per il piano erano ormai ultimati…però…
-Ne sarei felice.-
Queste parole uscirono istintivamente dalle sue labbra, senza controllo e con assoluta sincerità, e Trouble Shoes la guardò con occhi pieni di gioia, limitandosi a sorridere come un bambino.
Purtroppo però nonostante fosse passato relativamente poco tempo Applejack dovette subito ripartire, con la scusa di non poter lasciare il fratello troppo tempo da solo al lavoro, e naturalmente l’uomo capì perfettamente la situazione, ignorando però che invece che far la strada inversa per tornare a casa la bionda procedette verso le colline Macintosh, una zona dalle montagne color porpora ed il terreno arido,  dove difficilmente vi cresceva qualcosa se non arbusti secchi.
Era pericoloso muoversi da quelle parti perché la tribù dei bisonti vi si era stabilita da tempo, ma doveva comunque rischiare.
Più procedeva più il sentiero si faceva stretto ed il cielo iniziava ad esser coperto dall’alta montagna che la circondava, ma mentre procedeva una freccia improvvisamente si conficcò nel terreno a poche dita di distanza dagli zoccoli del cavallo che trasportava il suo carro, e dalla paura questo si fermò.
Alzando lo sguardo la donna poté vedere, appostati tra le montagne, una serie di uomini dalla pelle scura ed il corpo notevolmente più grande rispetto a quelli degli altri che aveva precedentemente incontrato. Tutti loro avevano delle grandi spalle e dei muscoli ben definiti, e la loro pelle era stata dipinta con vari simboli di cui ignorava il significato. Alcuni indossavano delle fasce con una piuma sistemata al lato, mentre altri ne erano privi, ma tutti le stavano puntando delle frecce contro.
Alzando entrambe le mani per dimostrare non fosse una minaccia la ragazza, deglutendo, scese dal proprio carro, per tentar di parlare.
-Vengo in pace con un avvertimento!-
-Non vogliamo nulla da voi uomini-pony.-
Urlò uno del gruppo in risposta, erano così che li chiamavano i bisonti, ma non era rilevante al momento.
-Siete in pericolo, Sombra arriverà per cacciarvi!-
Potevano dire ciò che volevano, ma tutti conoscevano quel nome abbastanza bene da temerlo, e forse fu per questo che non udì alcuna risposta per almeno una decina di minuti, mentre aveva notato che qualcuno era stato mandato via, forse a chiamare il capo.
Questo apparve dopo non molto tempo, era ancor più grande e minaccioso degli altri, indossava un gigantesco copricapo con una fascia azzurra piena di piume, che arrivavano fino a terra, e dei pantaloni marroni, mentre il torace pieno di cicatrici era scoperto. Teneva con sé anche una lunga lancia affilata.
I suoi occhi neri scrutarono la bionda mentre si avvicinava.
-Io sono capo Zoccoli Tonanti, della tribù dei bisonti. Se hai qualcosa da dire, devi risponderne a me.-
E già era certa d’aver la loro completa attenzione, ma doveva far molta cautela nel non mostrarsi troppo soddisfatta.
-Sono stata mandata dai consiglieri della principessa Celestia, il mio nome è Applejack e provengo da una fattoria a Ponyville, un luogo distante da qui.-
-E cosa dovrebbe venire a fare una contadina di un’altra città da noi?-
L’urlo proveniva stavolta da una voce femminile, molto giovane a dir la verità. A parlare infatti era stata una ragazza dalla pelle tendente all’arancione, dai capelli dello stesso colore, solo leggermente più chiari, e con una fascia a rombi bianchi e viola e con due piume al lato, vestita con un abito marrone.
Il capo tribù le fece il gesto di tacere.
-Calma Piccola Anima Coraggiosa. E tu donna, spiegati.-
-Per via dell’astio che avete nei confronti degli Appleloosiani non era il caso mandare uno di loro. Ma io sono neutrale e distante dalla faida, e vengo qui solo per il vostro bene. Sombra sta macchiando un attacco proprio in questa zona. Verrà da est approfittando di un villaggio nascosto tra le montagne vicino all’impero e del mare.-
-Quando arriverà noi combatteremo. La principessa non può obbligarci ad abbandonare la nostra terra.-
Rispose fermo il capo della tribù con l’assenso di tutti.
-Non è per questo che sono qui. Il piano è di fermarlo prima che possa arrivare. Per il bene dei tuoi uomini sono qui per avvertirti, e per proporre una collaborazione per fermarlo prima che possa arrivare. Non siete sciocchi, sapete bene quanto la sua forza sia spaventosa, e voi non siete dotati di magia. Ma con l’effetto sorpresa potrete almeno evitare che arrivi fin qui.-
Pensare di convincerli dicendo che avrebbero dovuto abbandonare la loro terra era impensabile, ma per combatterla per proteggerla…era tutt’altra cosa.
-Ti ascolto.-

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Capitolo 22
*** Paure e preparativi (22) ***


Schiere di soldati erano in fila all’interno dell’immenso salone del palazzo, tutti loro indossavano le proprie divise perfettamente lustrate e fissavano con attenzione e serietà il comandante Spitfire, che assieme al resto dell’élite dei Wonderbolts si trovava su un palco rialzato in modo  da poter esser vista da tutti.
Anche loro indossavano le proprie divise, diverse naturalmente da quella degli altri per distinguerli.
-Tempo fa, durante uno degli attacchi dei nemici, un nostro soldato ha trovato un biglietto con sopra scritto un codice cifrato. I nostri uomini ci hanno lavorato sopra ed hanno scoperto di un gigantesco attacco a sorpresa che avverrà tra pochi giorni proprio contro Canterlot.-
Si riferiva indubbiamente al biglietto trovato a Pinkamena e Maud, poteva anche non averle nominate ma entrambe erano perfettamente consapevoli di ciò ed ascoltavano con altrettanta attenzione rispetto agli altri.
-Potrebbe essere la lotta più dura alla quale potrete mai partecipare. Ma non per questo dobbiamo avere paura! Noi siamo qui per sconfiggere i soldati di Sombra, e restituire ad Equestria la pace perduta!-
-Sì!-
Il coro della risposta durò per almeno un minuto, prima che tutti tacessero per lasciarla continuare.
-Grazie alle informazioni ricevute non avremo alcun timore per quell’attacco a sorpresa, e risponderemo in maniera ancor più agguerrita. Pretendo da voi il massimo per poter uscirne vittoriosi, se vinceremo gli toglieremo un gran numero di soldati, e sapete bene quanto questo sia importante. Abbiamo dovuto patire molti dolori e fatiche a causa del nemico, ma i nostri animi non si sono spezzati, per quanto la situazione poteva sembrare impossibile ed ardua, abbiamo continuato a lottare senza mai abbassare il capo alla tirannia altrui. Perché noi combattiamo per il bene, per le nostre famiglie, per gli amici, per le persone che amiamo e per tutti quelli che verranno in futuro, e che sapranno che in questi duri anni noi c’eravamo ed abbiamo fatto sì che il mondo potesse riottenere la sua felicità. Date il massimo di voi  e usciremo vittoriosi!-
-Sì!-
Ancora una volta il coro fu entusiasta, il discorso seppur breve aveva animato tutti loro cancellando qualsiasi traccia di paura nei loro cuori.
Al termine di quell’importante discorso le truppe vennero sciolte e mandate alle proprie mansioni o allenamenti, Rainbow Dash e Pinkamena mantennero le distanze, più che altro per una faccenda di precauzione. Solitamente infatti nonostante appartenessero allo stesso gruppo lavoravano separatamente, e non volevano insospettire nessuno, soprattutto per il fatto che era stata Pinkamena a trovare il biglietto e non si doveva far pensare fosse una loro macchinazione.
Per questo motivo Rainbow Dash decise d’andarsi ad allenare nella palestra accanto all’armeria, concentrandosi questa volta sull’utilizzo della lancia. Non c’era nessuno al momento che stava praticando quest’allenamento, per questo era completamente sola, ma non era un gran problema per lei. Iniziò ad esercitarsi con una serie d’affondi e di tecniche a due mani, evitando di volare perché non si poteva mai sapere cosa sarebbe successo e doveva esser pronta anche alle situazioni più difficili, ed andò avanti così per almeno un’ora fino a quando non sentì qualcuno alle proprie spalle, e voltandosi vide Soarin che teneva in mano la stessa arma.
-Ti dispiace se mi unisco a te?-
-No, assolutamente.-
Con il ragazzo si era da sempre trovata bene, e dopo aver superato l’agitazione che dipendeva dal fatto appartenesse all’élite si era facilmente avvicinata. Oltretutto lui era molto forte, vista anche la sua posizione nell’esercito, ed i loro allenamenti la spronavano sempre a far meglio.
-Immagino non sarai minimamente agitata in vista della battaglia.-
Disse lui sistemandosi davanti alla ragazza, facendo toccare per qualche secondo le loro lance prima di tentare un attacco, che però venne facilmente schivato.
-Assolutamente, non vedo l’ora.-
-Non potevo aspettarmi meno da te ahah.-
Rispose l’uomo schivando a sua volta un affondo da parte di Rainbow Dash.
-Siamo tra i più forti, li schiacceremo senza problemi. Nemmeno tu hai paura no?-
Chiese stavolta la ragazza mentre entrambi s’attaccarono simultaneamente, parandosi però così i colpi a vicenda.
-In verità…in quest’ultimo periodo sto iniziando ad avere paura…-
All’ammissione di Soarin Rainbow Dash spalancò gli occhi, distraendosi e permettendogli così di sbilanciarla e riuscire a portarsi alle sue spalle per bloccarla con la lancia.
Come poteva uno come lui provare paura?
Era incredibilmente forte ed agile, quasi non subiva alcuna ferita!
Il suo silenzio fortunatamente le risparmiò qualsiasi domanda, ma ciò che sentì non allentò la sorpresa.
-Ho paura che possa capitarti qualcosa.-
Non era certa di come avrebbe dovuto prendere quella frase, forse una qualsiasi altra ragazza ne sarebbe stata addolcita o simili, ma lei riuscì solo ad irritarsi.
-Stai dicendo che sono debole?-
Così dicendo si piegò in avanti, ribaltando l’uomo che per evitare danni abbandonò anche la sua arma, mentre Rainbow Dash gli puntò la propria alla gola. Tuttavia Soarin si limitò a sorridere quasi divertito.
-No no, anzi so bene sei la più forte.-
-E allora che intendevi?-
-Ecco, è difficile spiegarlo, ma quando non sono con te ho sempre paura di non rivederti più, ed è qualcosa che non voglio accada…-
Questa volta l’effetto che il discorso ottenne fu molto più pacato, infatti la donna sentì come una piccola fitta al petto, tutt’altro che spiacevole ma decisamente nuova.
Non era quel tipo di donna romantica che pensava al trovare l’uomo della sua vita, e non badava nemmeno alle storie d’amore passeggere, in verità probabilmente non aveva mai sentito nulla per nessuno. Però con Soarin…era leggermente diverso, anche se le era difficile definire come.
-Non accadrà, mi vedrai sempre tornare indietro…però tu devi fare lo stesso.-
Abbassando l’arma per parlare Raibow Dash distolse lo sguardo, porgendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi, lui naturalmente l’accettò ma non volle lasciarla subito, ed anzi si avvicinò abbracciandola.
-Promesso.-
Rainbow Dash rimase perfettamente immobile, presa dall’imbarazzo avrebbe potuto facilmente bloccarlo con una presa o altro, ma non fece nulla. Forse perché alla fine trovava quel contatto piacevole, o forse perché non voleva che Soarin la vedesse in volto, dopo tutto ciò che stava capitando.
Gli aveva fatto una promessa molto importante, ed a sua volta ne aveva pretesa una, capiva bene che ci fosse dell’affetto in quelle parole, ma più di tutto in quel preciso istante comprese la paura del ragazzo.
Perché da quel momento anche  lei iniziò a provarla…

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Capitolo 23
*** Magari, in un altro tempo, una vita più felice insieme (23) ***


Era ormai notte fonda quando Rainbow Dash, Pinkamena, Applejack, Rarity e Fluttershy si incontrarono nel bar dal quale tutto era iniziato.
Le donne s’erano date appuntamento allo stesso tavolo della loro prima conversazione, e prendendo ciascuna da bere s’erano sedute inizialmente senza dire nessuna parola. Non c’era l’eccitazione che avevano provato al primo attacco, né la frenesia o l’impazienza, erano tutte perfettamente calme e ben consapevoli di ciò che stavano facendo.
Quella sera il locale era quasi vuoto, non c’erano altro che una manciata di clienti intenti per lo più ad osservare una giovane donna unicorno che si era proposta di fare uno spettacolo di magia per pagare il proprietario del bere.
Aveva detto di chiamarsi Trixie, i suoi furbi occhi viola erano semi nascosti, assieme ai capelli azzurro chiaro, sotto un buffo cappello da mago viola con alcune stelle azzurre e gialle disegnate sopra, era vestita con de pantaloni marroni con delle bretelle  nere, una camicia bianca ed un gilet viola, ma il dettaglio più evidente era un lungo mantello con lo stesso motivo del cappello chiuso grazie ad una gemma azzurra incastonata sul petto.
Come prima cosa aveva estratto una serie di carte dal cilindro, usando delle bombe fumogene per far scena, poi aveva fatto una gag in cui metà del corpo svaniva sempre nel cappello ed andava avanti descrivendo quanto incredibile e talentuosa fosse, ma sicuramente anche al verde visto lo stava facendo per guadagnarsi da bere.
-Quelle bombe potrebbero essere utili, magari dopo andò a chiederle se le fabbrica.-
Naturalmente il lato razionale di Pinkamena non pensava ad altro che al lato pratico, ma in vista della loro missione era anche comprensibile.
Le cinque avevano guardato lo spettacolo tanto per sciogliersi un po’, almeno fino a quando Applejack non parlò.
-Domani è il gran giorno.-
Con quell’unica frase riportò tutti alla dura realtà, soprattutto Fluttershy che squittì stringendo il boccale, ancora desiderosa di scappare quanto più lontano possibile, ma purtroppo le altre non glielo avrebbero lasciato fare.
-Questa volta siamo pronte, il piano è ben fatto.-
Disse Pinkamena socchiudendo gli occhi.
-Sì, siamo diverse dalla prima volta. Siamo più razionali della prima volta, ed abbiamo capito che abbiamo molte più cose per cui combattere di quante avessimo pensato.-
Aggiunse Rarity quasi sorridendo, alzando poi lo sguardo su tutte ed alzando il boccale.
-Per la mia sorellina, per i miei genitori, per Fancy Pants, per i meravigliosi abiti che avrei potuto fabbricare se non ci fosse stata questa guerra, con cui avrei potuto rendere felici molte persone, e per tutti coloro che vorranno seguire lo stesso sogno in futuro.-
-Per Big McIntosh, per Apple Bloom, per Trouble Shoes, per Winona e Granny Smith, e per la fattoria degli Apple.-
-Per mia sorella Maud, per Calcarea, Marmorina ed i miei genitori.-
-Per i miei genitori, per il sogno che avevo di diventare una degli Wonderbolts che in futuro altri potranno seguire, per la gioia di volare e l’ala che mi è stata tolta…e per Soarin.-
Tutte loro avevano nominato ciò che a loro stava più caro, la ragione per cui avrebbero combattuto con qualcosa nel cuore e per la quale provavano quella sana paura che le avrebbe tenute vigili. Rimaneva solamente Fluttershy, che nonostante avrebbe potuto dir che l’unica ragione per cui era lì era la costrizione delle quattro cercò nel cuore un motivo sincero che, in caso fosse andata via, l’avrebbe fatta sentire in colpa per il resto della sua vita.
-P-per…la mia famiglia, ed i poveri animali di Equestria…-
Così dicendo tutte e cinque brindarono assieme, volendo trascorrere le ore prima del sonno assieme.
-Sapete, tutte voi, non siete così male. Magari se non ci fosse stato tutto questo, saremmo potute essere buone amiche.-
Disse Applejack sorridendo.
-Già, avrei potuto creare degli Arcoboom sonici alle nostre feste migliori.-
Commentò Rainbow Dash scherzando.
-Arcoboom sonici?-
Rarity la guardò confusa in una richiesta di spiegazione, che inaspettatamente arrivò da Fluttershy.
-Quando un pegaso supera la barriera del suono si dice che nel cielo si crei una gigantesca esplosione d’arcobaleno, ma nessuno fino ad ora ci è riuscito…-
Nonostante avesse quasi sussurrato era stato chiaro ciò che aveva detto, e Rainbow Dash storse le labbra.
-Se avessi tutte e due le mie ali ci sarei riuscita facilmente.-
-Ed eccola che ricomincia a vantarsi ahah.-
Rispose Applejack canzonandola.
-Ah sì? Allora ti lancio una scommessa, un giorno anche solo con un’ala buona farò l’Arcoboom sonico. Ed alla festa per la mia vittoria dei dolci se ne occuperà Pinkamena.-
-Perché proprio lei? E’ brava a cucinare?-
Chiese sempre Rarity allegra.
-Oh sì, a me non piacciono i dolci, ma devo ammettere che i suoi sono assolutamente il top.-
-Ho un inaspettato talento.-
Disse infatti la rosa annuendo.
-Che carina non lo sospettavo! Allora magari dovremmo chiamarti Pinkie Pie.-
Alla proposta della viola quasi tutte risero addolcite dall’idea, e incredibilmente perfino Pinkamena si ritrovò a sorridere.
-Caspita! Non ti ho vista sorridere in anni, questo vuol dire che avremo grande fortuna domani ahaha.-
Rainbow Dash scherzando bevve nel frattempo ben metà del suo boccale, era come se le quattro fossero state amiche da sempre. Chissà, magari in un altro tempo le cose sarebbero veramente potute andar così.
Rarity sarebbe potuta essere una grande stilista.
Applejack avrebbe mandato avanti la fattoria.
Rainbow Dash avrebbe fatto pare dei Wonderbolts.
Pinkamena, o Pinkie Pie, avrebbe potuto essere una ragazza più allegra, che magari si divertiva nel far dolci per i propri amici.
Fluttershy avrebbe potuto vivere magari in una bella casetta circondata dagli animali, con le sue amiche che venivano a farle visita per un thè.
Sarebbe stato veramente un bel sogno, ma purtroppo quella non era la realtà alla quale appartenevano, e tutte loro erano cresciute in modo molto diverso.
Ma anche così, erano state fin dall’inizio destinate a trovarsi…

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Capitolo 24
*** Un nuovo tentativo...(24) ***


Il grigio cielo coperto di nuvole era l’unico silente spettatore delle vicende che stavano accadendo in quella landa desolata. 
Il sole ancora non era sorto, ma già migliaia di persone si trovavano in fila lungo l’orizzonte in quel gigantesco spazio aperto ed arido. I loro volti erano delle maschere di serietà, non un sentimento traspariva da esse e con attenzione osservavano tutto attorno a loro, alla ricerca anche del più piccolo dettaglio.
Finalmente questo arrivò quando dall’altra parte della landa iniziarono ad intravedersi altre figure, altrettante di numero e decisamente minacciose, ma gli elmi sulle loro teste non davano modo di comprendere chi potesse esserci dietro, se uomini o donne, giovani o anziani.
Forse l’unico conforto di tale dettaglio era il fatto che i loro avversari almeno non avrebbero ricordato i volti di coloro a cui avevano ingiustamente tolto la vita, in quanto si trattava sempre di persone inconsce delle loro azioni.
Ancora però nulla si mosse, passò in verità vario tempo prima che le file iniziassero ad avanzare, una ad una fino a quando tutti e da entrambe le parti non partirono alla carica contro i loro nemici.
In men che non si dica poi il tempo parve accelerare, corpi trafitti, cadaveri che si accumulavano, urla strazianti e dolore in ogni dove.
Lo scontro per il quale i soldati di Celestia si erano preparati erano iniziati, eppure non era qui che stava avvenendo l’azione più importante…
Non tutti i soldati di Sombra erano impegnati nello scontro più grande forse mai avvenuto fino a quel momento, un numero minore era impegnato nel pattugliamento delle varie zone da lui conquistate o in procinto d’esserlo, e tra queste c’era in particolare un piccolo villaggio chiamato Our Town, posizionato tra le montagne ad est dell’Impero di Cristallo, eppure in qualche modo era riuscito a sopravvivere senza aver subito ingenti perdite.
Il terreno attorno alla piccola cittadina era completamente arido e quindi inutile per l’agricoltura, con solo alcuni alberi dai tronchi blu ma che non producevano frutti e cumuli di rocce attorno, per questo motivo i cittadini contavano molto sull’attività mercantile, o almeno così avevano fatto fino all’inizio della guerra. Le case erano tutte uguali, costruite con mattoni rosei e dai tetti a punta di legno, sistemate in due perfette file indiane che terminavano ed iniziavano nello stesso punto, l’unica eccezione era data da un’unica casa sistemata in lontananza rispetto alle altre, ma che dava l’idea d’appartenere ad un qualche sindaco visto era tra le due file.
Era proprio in questa landa desolata che Rainbow Dash, Pinkamena, Applejack, Rarity e Fluttershy si trovavano, sistemate però in un punto lontano ad osservare la zona, vestite con le stesse tute che avevano usato al loro primo tentativo d’attacco. Erano nascoste tra le rocce assieme ad un piccolo carro, il cui contenuto era momentaneamente coperto sotto una serie di teli.
Avevano raccolto abbastanza informazioni sul luogo da sapere quali punti fossero veramente sicuri, per raggiungere la cittadina dall’esterno bisognava per forza passare o da dei sentieri lungo le montagne oppure tra dei tunnel scavati in essi, talmente intricati però da sembrare un labirinto, ed era proprio questi da evitare al momento perché erano usati soprattutto dai soldati di Sombra.
Era semplice capire il perché questo fosse interessato a conquistare anche quel luogo, essendo troppo vicino al suo impero avrebbe costituito un pericolo se le truppe di Celestia vi si fossero sistemate, ma come lui non ne aveva ancora preso possesso questo non era stato nemmeno per la principessa, e la causa di tutto era stata una donna unicorno.
Il suo nome era Starlight Glimmer, era alta e magra con dei severi occhi viola chiaro e dei lunghi capelli viola con alcune ciocche azzurre, il suo atteggiamento nei confronti di tutti coloro che avevano provato ad avvicinarla inizialmente era stato cortese e gentile, ma ogni qualvolta che si toccava l’argomento di far allontanare i cittadini dalle proprie case o di far arrivare altri soldati lei si era rifiutata categoricamente, e grazie al suo modo di parlare aveva convinto anche le altre persone ad andar contro a quell’idea. 
Forse non era così difficile però riuscirci, i cittadini infatti erano influenzati in gran modo dalle sue idee, ed erano oltremodo bizzarri. Uomini e donne vestivano con degli abiti completamente identici, camice bianche e pantaloni marroni per gli uomini e vestiti che arrivavano alle caviglie di color grigio per le donne. I primi poi portavano tutti dei corti capelli con una frangetta sulla fronte e le seconde delle trecce che arrivavano perfettamente alle spalle.
Non la smettevano mai di sorridere e tutto ciò che facevano era vivere nella più completa monotonia ed assenza di piaceri. Qualcuno li aveva paragonati ai soldati di Sombra con l’unica differenza che loro era d’accordo nell’esser così, perché quello per loro era l’unico modo per essere felici ed evitare si creassero conflitti. 
In ogni caso, il loro leader sosteneva che Our Town non era toccata da quelle vicende, che la principessa non aveva alcun diritto di trascinarli in quella guerra, che erano perfettamente capaci di difendersi, e su questo punto forse non aveva tutti i torti, anche se in minima parte.
Infatti era capitato che dei soldati di Sombra andassero ad attaccare la città, ma la donna aveva dimostrato un incredibile potere ed aveva ucciso gli invasori con molta facilità, ma gli attacchi riguardavano massimo una decina di soldati, non certo un esercito, ed in quel caso le cose sarebbero andate molto diversamente.
Forse l’unico motivo per il quale il villaggio era ancora integro era perché Sombra intendeva catturare Starlight Glimmer viva e farle il lavaggio del cervello, con uno zombie simile tra le fila sarebbe diventato ancor più pericoloso, quindi doveva fare molta attenzione al tipo d’attacco contro il villaggio ed evitare quindi quella preziosa perdita.
Ma queste erano solo supposizioni. 
I soldati del re passavano lungo i sentieri tra le montagne ad intervalli regolari, e durante quei momenti i cittadini si nascondevano nelle case mentre Starlight Glimmer dalla finestra controllava che nessuno si avvicinasse.
Non poteva avere idea però di chi sarebbe arrivato da un momento all’altro.
Come Applejack e le altre avevano sperato, all’alba, una schiera di uomini del clan dei bisonti fece la sua comparsa in lontananza, ma non era ancora per le donne di uscire allo scoperto. Applejack infondo aveva dato loro tutte le informazioni necessarie per agire da soli, ed infatti non sembravano aver bisogno di nulla visti i loro efficaci metodi di camuffamento in quella zona.
Quando un paio di soldati passarono accanto a loro non li notarono nemmeno, se non quando delle lance trapassarono loro il cranio uccidendoli sull’attenti, la presenza di quegli uomini doveva esser bastata come prova ai bisonti delle parole della bionda.
Come già avevano potuto constatare settimane prima non passò molto tempo prima che altri soldati arrivassero in seguito a quell’attacco, ed in un numero decisamente superiore al normale. Questo rendeva ben chiaro che l’idea che Sombra potesse sapere ciò che accadeva ai soldati era vera.
Iniziò così uno scontro tra i bisonti ed i soldati, durante il quale inizialmente sembrò che i primi avessero la meglio. Erano in un numero decisamente maggiore e con la loro forza potevano spaccare un cranio con grande facilità.
Purtroppo però il loro scontro era molto vicino al villaggio di Starlight Glimmer, che come notò ciò che stava accadendo decise d’intervenire, forse credendo che quel numero di figure si stesse radunando contro di lei oppure per semplice protezione del proprio territorio, ma in ogni caso un gigantesco raggio azzurro passò tra le due fazioni, mutilando il braccio di uno dei bisonti e distruggendo le lance di alcuni dei soldati.
In questo modo per entrambi il pensiero che anche lei e gli abitanti fossero una minaccia fu immediato, ed un piccolo numero di bisonti ancora nascosto iniziò a spostarsi dal villaggio per fermare quella donna prima che uccidesse qualcuno. Allo stesso modo stavano arrivando anche altri soldati in lontananza, che si divisero tra il primo scontro e il villaggio, infondo poteva essere l’occasione perfetta per prendere possesso del luogo.
Con tutti quegli stranieri in avvicinamento anche i cittadini uscirono dalle proprie case, gli unicorni pronti ad usare la magia per difendersi mentre gli umani terrestri usando degli attrezzi comuni, stranamente però non c’erano pegasi, ma non era importante.
Solo quando il campo di battaglia si estese le cinque decisero d’agire, svelando come prima cosa il contenuto nascosto nel carro. Si trattava di copie perfette delle armature dei soldati di Sombra, fabbricate però da Rarity con l’aiuto di Fluttershy.
Indossarle non fu piacevole per nessuna di loro, soprattutto per Rainbow Dash e Pinkamena, ma faceva parte del piano quindi non potevano far altro che vestirsi in fretta evitando di lasciar scoperto anche un solo punto. Avrebbero avuto una doppia protezione con le due armature in caso di attacco, e la tuta era abbastanza leggera e sottile da non intralciarle.
Tenendo nascosto il carro come avevano fatto fino a quel momento scesero la montagna prendendola per il largo, arrivando fino al punto in cui i soldati erano arrivati per far così credere fossero delle loro file. Scelsero d’andare verso la città, procedendo però con un passo abbastanza lento da non dover arrivare e necessariamente agire, ma già potevano vedere che le cose non sarebbero continuate ancora per molto.
I soldati erano in un numero nettamente superiore ed avevano ucciso già un gran numero di cittadini, quelli rimasti erano stati bloccati e legati, mentre Starlight Glimmer era completamente circondata. Con la sua magia aveva ucciso altrettanti uomini, ma non poteva essere comunque in più posti contemporaneamente o vedere ogni cosa, almeno nelle sue attuali condizioni. Non era una combattente e quindi era già estremamente provata, oltretutto non si rese conto che uno dei nemici, appostatosi sopra ad una casa, l’aveva presa di mira con una balestra e scoccando una delle frecce di metallo le trapassò la gamba, facendola così cadere in avanti tra delle urla di dolore.
I nemici approfittarono subito di quel momento e mentre qualcuno la colpì alla testa con il manico di una lancia altri le lanciarono contro delle corde di ferro nero, legandole il collo ed il torace.
Rainbow Dash e Pinkamena riconobbero subito quel materiale, era un’invenzione recente di Sombra forse fatta in parte con i suoi stessi cristalli, ma era in grado d’assorbire la magia ed impedirne l’utilizzo.
Per Starlight Glimmer e per Our Town era la fine, e così fu anche per il clan dei Bisonti che furono costretti alla fuga quando gran parte dei loro uomini perirono durante lo scontro.
I cuori delle cinque erano stretti in una morsa di colpa e responsabilità, ma fin dall’inizio avevano detto tutte di comune accordo che pur di riuscire nell’impresa sarebbero state disposte a tutto, anche a condannare altre persone…
E così fecero, seguendo i movimenti degli altri guardarono mentre quegli innocenti venivano legati e costretti ad alzarsi, per venire così portati nella tana del lupo, l’Impero di Cristallo.
Le donne si nascosero tra quelle fila assicurandosi d’essere vicine, non avevano fatto modifiche alle armature per non esser scoperte e così non avevano modo di distinguersi. Iniziarono una lunga camminata ad un passo moderatamente sostenuto, mentre i prigionieri tentavano inutilmente di liberarsi dalle loro catene create grazie alla magia di alcuni unicorni presenti tra i nemici.
Guardando quelle povere persone tutte loro si chiesero almeno per un secondo quanto fosse giusto, se così facendo non si fossero abbassate ai livelli del re tiranno, come avrebbero potuto vivere con la responsabilità di tali scelte. Ma ormai era troppo tardi.
Quando la marcia si spostò nei tunnel delle caverne fu un miracolo riuscire a non inciampare, l’unica fonte di luce proveniva dagli occhi verdi delle armature, ma anche solo un errore le avrebbe fatte scoprire.
Rainbow Dash e Pinkamena erano le più sicure, abituate a lunghe camminate erano anche più abituate a muoversi in ambienti così bui. Applejack pure in parte non era preoccupata, si trattava solo di camminare infondo, e così pure Rarity che con il suo portamento elegante non poteva certo inciampare.
Ma Fluttershy era la più spaventata, le tremava tutto il corpo ed era sorpresa che l’armatura non producesse alcun suono per questo, sentiva che i suoi piedi erano sempre più pesanti e se fosse inciampata l’avrebbero subito uccisa, e le altre non avrebbero potuto aiutarla forse perché non dovevano farsi scoprire.
Così tanti dubbi per un cuore così fragile, che non poté trattenere le lacrime soprattutto per la colpa per le persone che stavano trasportando. Ma perfino lei fu impeccabile nei movimenti, e quando finalmente dopo ore uscirono dalla montagna si sentì in grado di tirare un sospiro di sollievo.
Purtroppo però il loro cammino non era certo terminato, anzi era solo all’inizio visto che la destinazione da raggiungere era molto lontana, ed era di vitale importanza mantenere il passo e non rallentare.
Il fatto di trovarsi infondo alla fila almeno diede loro modo di star più tranquille, ma trascorse cinque ore la fatica iniziò a sentirsi soprattutto su Rarity e Fluttershy. Costeggiando le gigantesche montagne dalle cime innevate che facevano da protezione naturale per l’impero le donne iniziarono a temere di dover affrontare anche il gigantesco territorio coperto da una perenne bufera di neve, conosciuta grazie ai racconti di quegli esploratori che avevano tentato d’avvicinarsi ma che furono scoraggiati alla vista di tale ostacolo.
Ad un tratto però la fila cambiò direzione, puntando esattamente tra le rocce, rivelando in questo modo un punto ben nascosto in cui si trovava un nero portale creato con la magia, alto giusto quanto un uomo ed oltre il quale si vedeva con chiarezza una città.
Non c’erano dubbi, era l’Impero di Cristallo.
Quindi Sombra per far spostare rapidamente i suoi uomini utilizzava quei portali?
Se fossero stati sempre in quei punti avrebbero potuto avvertire Celestia e così mandare un intero esercito, ma probabilmente non era così semplice, oltretutto di controlli ve n’erano stati molti ed era impossibile non lo avessero notato.
Ciò tolse la speranza fosse permanente nella zona, ma non importava, perché almeno fungeva da scorciatoia per il loro cammino.
Attraversandolo non provarono la minima sensazione, anche se i civili spaventati iniziarono ad urlare in cerca d’aiuto, tirando con tutte le loro forze, ma ancora una volta fu inutile.
Lo scenario di fronte al quale si trovarono era tutto tranne che piacevole…
Ancora non si trovavano all’interno dell’impero ma solo in sua prossimità, finirono quindi all’interno di un indicibile gelo che le colpì perfino nel profondo dell’animo, e nella dura neve i loro passi erano ancora più pesanti.
La prima cosa che si poteva notare anche in lontananza però era l’immenso castello del re, ricoperto da neri cristalli che ne alteravano la forma in vari punti rendendolo oltremodo minaccioso, assieme ad alcune torce accese lungo le pareti ed in particolare su un grande balcone dorato.
L’intera città era avvolta in quella che sembrava una nebbia rossa, che rendeva qualsiasi colore scolorito. Gli edifici come il castello erano avvolti nel cristallo, ma era impossibile entrarvi, questo forse però non era un problema perché non c’era nessuno lungo le strade dal pavimento opaco, una volta forse d’un azzurro chiaro.
Il gigantesco cielo sopra di loro era avvolto a sua volta in una nube nerastra che continuava a muoversi in cerchio, avendo il centro poi sulla punta del castello come se tutto partisse da lì.
Tutte e cinque poterono percepire una fortissima sensazione di tensione, che fece battere i loro cuori a gran velocità, perfino le due donne addestrate ad essere dei perfetti soldati non ne erano immuni.
Mentre procedevano assieme al resto dei soldati quell’emozione aumentava sempre di più, schiacciandole inesorabilmente in una morsa simile al puro terrore, non importava quanto avessero immaginato quel momento, trovarsi nella tana della bestia era qualcosa di…terribile.
Il castello si stava facendo sempre più vicino mentre il completo silenzio regnava tra quelle fila, e quando furono ormai in prossimità del grande portone principale poterono vedere alcune guardie davanti all’entrata, che aprirono il passaggio in modo da farli entrare assieme ai prigionieri, che gridavano pietà colti dalla paura. Solamente Starlight Glimmer taceva, forse più ferita nell’orgoglio che nel corpo.
L’interno del castello non era certo più rassicurante dell’esterno, i pavimenti erano color del sangue e decorati con fini motivi neri, simili però ai secchi rami degli alberi pronti ad afferrarti in qualsiasi momento. Erano talmente lucidi da potervici specchiare e le ragazze quasi temettero di vedere i propri occhi oltre il verde dei caschi e di venir così riconosciute, ma non ci fu altro a distinguerle che il vuoto rumore dei passi che riecheggiava in ogni dove.
I muri al contrario delle pareti esterne erano perfettamente lisce e color viola scuro, non c’erano affreschi o simili a decorarli ma solamente dei tetri candelabri d’oro con quattro candele ciascuno, tutte quante oltretutto erano accese e conferivano alla stanza una cupa atmosfera nella penombra.
A circa quattro metri dalle pareti c’erano due fila di massicce colonne, alla base delle quali si trovava per ciascuna un soldato ben armato e che reggevano il soffitto a cupola.
Sul lato sinistro e su quello destro erano presenti due corridoi, completamente identici e che portavano probabilmente ad altre aree del castello, mentre esattamente davanti a loro era presente una gigantesca arcata dalle porte aperte e che dava sulla stanza del trono, e fu proprio li che si spostarono.
La stanza non differiva di molto dalla precedente, se non fosse per una gigantesca scalinata al termine della quale era presente un trono completamente nero composto da dei cristalli appuntiti, e proprio su questo si trovava l’essere che aveva dato vita a tutti i loro incubi…il malvagio re Sombra.
Immobile come una statua scrutava i soldati ed i prigionieri in modo glaciale, i suoi occhi rossi come il sangue erano indifferenti a tale spettacolo da cui non poteva trarne altro che beneficio. La sua corporatura era imponente e lo rendeva minaccioso perfino da seduto, per non parlare del corno rosso dalla punta talmente affilata da poter sicuramente lacerare la carne. I suoi nei capelli ondeggiavano come se fossero fatti della materia del cosmo stesso, solamente Celestia aveva questo stesso dettaglio e si poteva supporre potesse dipendere dal potere all’interno del suo corpo. Questo significava erano allo stesso livello?
Non fu semplice metabolizzare le emozioni che le cinque provarono.
Rainbow Dash fu scossa da un brivido di rabbia lungo tutto il corpo, il suo respiro divenne pesante ed il suo viso mutò in una maschera di pura rabbia ed odio. Sentiva ogni fibra del suo corpo urlare per raggiungerlo e ucciderlo, distruggendo tutto ciò che aveva creato proprio come lui aveva distrutto il suo sogno.
Pinkamena perse per la prima volta la calma dopo anni interi, mostrò involontariamente i denti come un animale rabbioso ed il suo sguardo incattivito e bruciante avrebbe potuto lanciar fiamme d’odio tanto era pieno di rancore. Le tornò alla mente l’immagine delle sue sorelle e delle sofferenze patite, dei pianti di Maud e di tutto il suo dolore. Fu solo per miracolo che non si mosse nonostante il suo cuore urlasse.
Applejack strinse le labbra con disgusto a quello scenario. Un uomo così vile e meschino che sedeva su un trono osservando con superiorità ogni cosa. Non meritava niente di quell’immensa fortuna e del potere che possedeva, eppure aveva tutto. Era la prima volta che lo vedeva dal vivo e non da dei manifesti, ma gli avrebbe sputato in faccia se ne avesse avuto l’occasione.
Rarity sentì crescere nel suo petto delle fiamme di rabbia e di ribrezzo, dalla punta dei suoi piedi all’apice del suo corno trovò ogni dettaglio della figura orribile, qualcosa che non sarebbe mai dovuto esistere. Se fosse stato circondato dalle più belle gemme dell’universo probabilmente le avrebbe corrotte con la sua sola presenza.
Fluttershy provò invece la stessa sensazione provata molti anni prima. 
La più pura delle paure. 
Quei suoi dannati occhi, il ghigno malvagio da cui si intravedevano le zanne affilate, l’aura malvagia e mortale attorno a sé, ogni cosa la faceva tremare ed a stento riuscì a trattenere le lacrime. Ogni altra sensazione non poteva che esser schiacciata da tutto ciò, ed avrebbe tanto, tanto voluto riuscire a provare anche solo una briciola d’odio per potervisi aggrappare e scacciarla, ma niente.
In qualche modo oltretutto sentiva il suo sguardo puntato su di sé, proprio come la prima volta che l’aveva visto…
Dopo un periodo che sembrò interminabile l’uomo si alzò dal suo trono, mentre i soldati avevano disposto in fila indiana tutti i prigionieri, paralizzati anche loro dalla paura. In quel momento Sombra sorrise con scherno contro il loro leader, che invece lanciò sprazzi d’odio dagli occhi, ma non parlò.
Probabilmente sapeva bene cosa sarebbe accaduto da lì a poco, e che non poteva in alcun modo opporvisi.
Mantenne quindi quell’aria da donna fiera, indipendente e potente, anche quando gli occhi di Sombra si tinsero di verde ed emanarono un fumo viola, segno che stava svegliando i propri poteri, e quando un raggio dello stesso colore la colpì.
Bastò solo un secondo per cambiare radicalmente l’espressione della donna, i suoi occhi divennero completamente verdi con le pupille rosse, ma totalmente privi di una qualsiasi volontà, ed infatti il suo viso divenne completamente neutrale, come un bambolotto in attesa di ordini. Lo stesso destino toccò anche ai suoi concittadini mentre ciascuno di loro urlava in preda al terrore, fino a quando qualsiasi suono si spense ripiombando così la stanza nel silenzio.
-Portateli via.-
La voce dell’uomo era roca e minacciosa, talmente profonda da sembrare provenire dalle viscere della terra, ma al contrario di quanto le cinque s’aspettassero non vennero presi i civili appena trasformati, ma tutte le persone presenti si rivoltarono proprio contro di loro saltando addosso a ciascuna bloccandole.
-Gha!-
Rainbow Dash naturalmente tentò di liberarsi da quella presa, muovendosi con tutta la forza che aveva in corpo ma il numero delle persone che la bloccavano era troppo anche per lei, e lo stesso fu purtroppo per Pinkamena.
Applejack venne invece colpita alla schiena e costretta a cadere in avanti, venendo in seguito bloccata. Rarity venne fatta invece ribaltare tramite una presa particolare che la fece letteralmente roteare prima di farla cadere a terra. 
Per quanto riguardava Fluttershy invece bastò semplicemente un uomo per riuscirci.
Mentre il malvagio re rideva divertito dalla scena a tutte venne tolto il casco liberando così i loro volti e permettendo all’uomo di vedere quanta rabbia provavano, ad eccezione di Fluttershy naturalmente che tremava con gli occhi spalancati dal terrore.
-Credevate veramente di potermi ingannare? Sciocche. Ho ucciso centinaia di voi soldati, e voi seguirete la stessa sorte.-
-Figlio di puttana!-
L’urlo di Rainbow Dash ebbe un eco tale da raggiungere ogni angolo della sala, ma non ottenne alcuna reazione, e Sombra si limitò ad estrarre un piccolo foglio dalla tasca dell’armatura.
Lo stesso che Fluttershy aveva fatto cadere a terra il giorno in cui avevano fatto le foto alle armature. 
-Su questo biglietto è scritta la data e l’ora attuale, con il chiaro messaggio di un attacco in massa da parte. Il tutto scritto in codice. Ad una prima occhiata poteva sembrare un semplice messaggio da portare a degli alleati, ma basta un poco di logica per rendersi conto di ciò che sta dietro a questo. Sei mesi fa voi stesse avete tentato di prender possesso di un carro e delle mie armature per raggiungermi, e questo è il vostro secondo tentativo. Contavate probabilmente sul fatto che sarei stato troppo impegnato a controllare ciò che accadeva nella guerra principale per accorgermi di voi, ma voi e la vostra principessa vi sbagliavate.-
Con un malefico sorriso l’uomo si inginocchiò di fronte a Fluttershy, costretta a terra come le altre, e le prese il viso con l’indice ed il pollice stringendo con forza fino a farla piangere.
-La recita è stata ottima, indubbiamente. Usare il vostro elemento più debole ed insignificante per farmi abboccare…-
-Non toccarla! Un essere immondo come te non può permettersi di farlo!-
Questa volta fu Rarity ad urlare, ma con la stessa intensità e grinta di Rainbow Dash, avevano tutte sviluppato un affetto reciproco, e non era facile accettare che venissero ferite senza poter far nulla. 
Bastò uno sguardo per capire anche le altre pensavano lo stesso, e l’uomo sbuffando ancora quasi divertito s’alzò.
-Nelle segrete. Deciderò presto cosa farne di voi…-

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Capitolo 25
*** Tre giorni (25) ***


Tre giorni.
Tre giorni erano passati da quando Sombra le aveva catturate e rinchiuse. Le cinque si trovavano confinate nelle segrete più buie del castello. Muri, pavimento e soffitto erano costituiti da grossi macigni in pietra dalle quali non poteva passare nemmeno il più piccolo filo di luce. La stanza benché piccola era incredibilmente alta ed esattamente in un punto rasente il soffitto era presente una finestrella ad arco, bloccata tramite delle sbarre di ferro e chiusa da una veranda di legno marcio, dalle cui crepe però usciva un debole raggio di luce nel quale fluttuavano i granelli di polvere della stanza.
Lungo i muri erano presenti varie catene e tutte loro erano bloccate con quest’ultime ai polsi, spogliate delle armature fabbricate indossavano solamente le tute dei soldati di Celestia, ed erano tenute sollevate a pochi centimetri dal terreno con l’unica speranza che le braccia si staccassero da un momento all’altro dal corpo per dar così loro un po’ di sollievo.
Non era stato dato loro né cibo né acqua, e sapevano bene che presto la fine sarebbe giunta andando avanti così. I loro occhi erano pieno di dolore sia fisico che emotivo, e le gole erano talmente secche da non riuscire nemmeno a parlare, ma infondo cosa potevano dirsi a questo punto?
Qualcosa però cambiò nell’immobilità della loro tortura, nel momento esatto in cui l’unica porta della segreta si aprì, e comparve ancora una volta il re Sombra in tutta la sua malvagità.
-Signore, spero che abbiate gradito il vostro soggiorno.-
Nonostante la loro completa mancanza di forza i loro animi si riaccesero alla sua presenza, l’odio dava loro forza e le faceva aggrappare alla vita, ad eccezione però ancora una volta di Fluttershy che rimase semplicemente a penzoloni senza nemmeno alzare lo sguardo, i suoni quasi alle sue orecchie si erano fatti vuoti. Aveva pensato per tutto il tempo alla sua famiglia, a quanto avrebbe voluto essere nel letto della sua cuccetta, con sua madre che le accarezzava la schiena e suo padre che le raccontava aneddoti sul suo vecchio lavoro alla fabbrica delle nuvole, e perfino le mancavano i vaneggiamenti di suo fratello su tutte le sue abilità e su come sfruttarle. 
Tutto, ogni più piccolo dettaglio, le lacerava il cuore, perché non c’è dolore più grande del ricordare ad una persona il tempo in cui era felice nel momento in cui sta soffrendo.
-Ho pensato a lungo sul modo migliore per eliminarvi, non che siate un pericolo o simili, assolutamente, ma perché ho visto in voi la possibilità di far render conto a tutti di quanto inutile sia mettersi contro di me.-
Guardò con quel suo maledetto sorriso ciascuna di loro prima di riprendere a parlare, con il solo obbiettivo di allungare quella tortura.
-Infine ho preso la decisione più elegante a detta mia, per punire anche la vostra principessa che ha creduto che con un simile piano sarebbe riuscita ad eliminarmi, ed invece ha solo mandato al macello altri suoi soldati. Verrete giustiziate da me nella piazza principale della città, sotto lo sguardo non solo dei miei soldati, ma dell’intera Equestria. Ho intenzione tramite la mia magia di trasmettere la scena infatti nel cielo, così che tutti la vedano, e vedranno anche quanta poca umanità ha avuto Celestia nei vostri confronti. Gli animi di tutti ne saranno scossi e nascerà una diffidenza della quale io mi nutrirò. Dovreste sentirvi onorate per ciò che ho in serbo per voi e per l’attenzione che vi ho dato.-
-Mostro…-
Le parole di Applejack furono come un sussurro, ma allo stesso tempo ben chiare e condivise da tutte. Non era ancora finita però, purtroppo.
-Ho pensato anche a quale sia il modo migliore per distruggere qualcuno come voi, a quali torture fisiche avrebbero avuto più effetto. La disidratazione, la fame, il dolore corporeo, tuttavia mi sono reso conto di una cosa. Se avete accettato di venir fin qui probabilmente è perché siete persone che non hanno nulla da perdere ormai, e non c’è dolore fisico abbastanza forte da poter superare questo fatto. Ho quindi pensato a qualcosa di psicologico per ciascuna di voi, ma perfino su questo punto ho avuto parecchi dubbi, sempre per lo stesso motivo. Solo guardandovi mi rendo conto che, indirettamente o meno, probabilmente vi ho già tolto tutto.-
Così dicendo l’uomo schioccò le dita della mano destra, e sei guardie entrarono nella stanza avvicinandosi a Fluttershy, la quale iniziò a guardare le altre confusa e spaventata mentre il cuore riprendeva a pompare ed ogni suono si faceva vivo. Allo stesso modo anche le altre avevano uno sguardo colmo di preoccupazione e stupore.
-Tuttavia, mi è bastato ben poco per capire quanto teneste le une alle altre. Ed è lì che ho capito che c’era ancora qualcosa che potevate perdere, ma togliere semplicemente la vita ad una sola di voi non sarebbe stato sufficiente per ripagare il vostro errore. Esiste più di un modo per uccidere qualcuno, pur mantenendolo in vita.-
Nel mentre parlava un’orribile consapevolezza si stava formando nella mente di tutte, fino a quando Sombra non tolse ogni dubbio.
-Presto scopriremo se un essere immondo come me può permettersi o meno di toccare una creatura tanto innocente.-
Fluttershy ormai era oltre la soglia della stanza quando si rese conto di ciò che sarebbe accaduto da lì a poco, e con gli occhi sbarrati iniziò ad urlare con tutte le sue forze mentre le lacrime si formavano rigandole il viso.
-No! Ti prego no! Aiutatemi! Aiutatemi!-
Sotto gli sguardi atterriti delle sue compagne, che a loro volta iniziarono ad urlare, la porta si richiuse su quello scenario di dolore per aprirsi a breve su uno ancor più orribile…

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Capitolo 26
*** Esiste più di un modo per uccidere qualcuno... (26) ***


La stanza nella quale si trovava era quasi completamente immersa dall’oscurità. I muri erano stati dipinti con una scura tonalità di grigio, e come per la grande maggioranza del castello non avevano dipinti lungo essi, l’unica cosa che era presente per la verità erano due candelabri posti agli opposti della stanza, momentaneamente spenti, ed un gigantesco specchio circondato da una cornice dorata, posto sopra ad un largo camino in pietra la cui bocca era chiusa oltre delle piccole sbarre nere, ma anche questo era al momento spento.
Il pavimento di cristallo era color viola, con solo un grande tappeto nero al centro, e così anche il soffitto dal quale pendeva un gigantesco lampadario di cristallo rosso.
L’unica fonte di luce, se così la si poteva definire, proveniva dalla gigantesca finestra ad arco che partendo da poco meno di un metro dal pavimento arrivava quasi al soffitto, ma che era momentaneamente coperta dietro ad una tenda rossa dal cui spiraglio entrava un debole raggio di luce.
Non v’erano molti mobili, solamente un mobile scrivano in legno, chiuso, un grande armadio dello stesso materiale a due ante, una scrivania sopra la quale erano stati lasciati numerosi fogli, ed un gigantesco letto rotondo a baldacchino con delle tende violacee.
Ai piedi di quest’ultimo si trovavano vari vestiti, i primi che si potevano notare erano degli  stracci stappati di una tuta dai colori ormai sbiaditi, il resto invece in primis erano parti di armatura, poi una sottoveste nera ed infine un mantello. 
Al centro del letto invece, aggrovigliati tra le coperte, si trovavano le figure di un uomo e di una donna.
Lui di corporatura nettamente superiore rispetto all’altra aveva il corpo pieno di cicatrici e profondi segni degli scontri passati, ogni muscolo del suo corpo era teso e sudato. I suoi capelli continuavano a muoversi come se non fossero fatti di alcuna materia esistente al mondo, mentre i suoi occhi erano leggermente chiusi, concedendogli comunque la vista della femmina che si trovava sotto di lui, mentre il suo respiro affannoso le toccava la pelle.
Il corpo della donna era fragile, soprattutto le minute braccia i cui polsi erano stretti in una presa con una sola delle mani dell’uomo, mentre con l’altra lui stringeva con forza il lenzuolo fin quasi a lacerarlo.
L’intero corpo dalla bianca pelle era pieno di segni e graffi, dal collo ormai martoriato ai morbidi seni dai capezzoli rossi, e perfino i fianchi in cui i graffi erano in particolar modo profondi.
I suoi capelli scompigliati in parte le ricadevano il viso, ma era impossibile nascondere il suo viso colmo di dolore.
I grandi e dolci occhi azzurri, un tempo capaci di vedere comunque la bellezza nelle più piccole cose come i fiori ed i canti degli uccelli, e pronti a regalare un fare gentile al mondo, ora erano spenti, privi di una qualsiasi luce e pregni del più profondo dei dolori che le aveva spezzato irreparabilmente l’animo.
La pelle circostante era rossa ed irritata, e le ciglia erano ancora umide a causa dell’interminabile pianto che ancora le scuoteva il corpo producendo alcuni singhiozzi che non intendeva nascondere, mentre le labbra screpolate e semischiuse avevano per innumerevoli ore urlato parole di pietà e di paura, che però non erano state ascoltate, e che eppure di tanto in tanto tentavano di tornare sotto forma di sussurri, ma ormai anche la voce dimostrava la privazione di quella vita innocente e la sua distruzione.
Un altro giorno era trascorso in quel modo, senza la concessione della più piccola pausa, senza darle modo di vedere la luce alla fine di quel tunnel, ma ormai la sua mente s’era spezzata e s’era resa conto che anche al termine non l’avrebbe mai vista.
Sombra l’aveva distrutta, uccisa nel modo più mortale ed inumano che si potesse trovare, privandola della sua volontà, strappando dalla sua carne i brandelli di ciò che era e calpestando la sua stessa essenza senza alcun rispetto.
Dal momento in cui l’aveva violata entrando in lei l’aveva uccisa.
Quel momento sarebbe rimasto indelebile nella sua memoria, incapace di cancellarlo e di provare una paura più forte, nell’incapacità di poter reagire sotto una forza schiacciante e brutale.
L’unico modo per illudersi di dimenticare sarebbe stato morire, eppure non avrebbe cancellato quel danno orribile che solo un mostro senza il minimo briciolo di umanità poteva compiere.
Nessuna punizione sarebbe mai stata abbastanza, nulla avrebbe mai potuto ripagarla, le avrebbe lasciato solo dolore.
Nessuno meritava un simile gesto, nessuno aveva il diritto di compierlo, eppure lei ne era divenuta vittima.
A dimostrazione di quanto profonda fosse quella ferita, nemmeno nel momento in cui terminò poté dire di sentirsi sollevata, sentiva ancora quella presenza sgradita ed invasiva, quelle mani e quelle labbra che saggiavano il suo corpo, mentre l’uomo alzandosi s’era rivestito senza dire una parola, senza darle la grazia di ucciderla, abbandonandola in seguito in quella stanza ben conscio del fatto ormai era morta...
Fuori dal castello nel frattempo i preparativi erano stati ultimati, era stato costruito un gigantesco palco di cristallo, sopra il quale Applejack, Rarity, Pinkamena e Rainbow Dash si trovavano, legate al collo, ai polsi ed ai piedi con pesanti catene inchiodate al suolo, che impedivano loro di muoversi, mentre l’intera piazza era dei soldati, armati e con le loro minacciose armature, nessuna di loro mancava all’appello.
Sombra raggiunse ben presto tutto ciò, assistendo allo scenario dal balcone principale del castello, con delle tende nere alle spalle e dei fuochi bluastri lungo i bordi per creare ancor di più un tono minaccioso.
Alzando entrambe le mani canalizzò la sua intera energia, che si palesò sulla punta del corno con un alone viola e verde, che colpì poi con un raggio il cielo, e come aveva detto in tutta Equestria i cittadini poterono vedere la scena nel completo, come se ci fosse uno specchio che rifletteva ogni cosa.
-Questo, cittadini di Equestria, è un avvertimento. Un avvertimento volto a coloro che osano impunemente sfidarmi, credendo di poter riuscire nella loro sciocca impresa.-
Vennero mostrati con più chiarezza i corpi delle quattro, che tuttavia tenevano lo sguardo alto e serio, senza mostrare alcuna paura, fissando proprio lo stesso re.
-Questo è ciò che vi porterà il seguire la vostra principessa, che senza remore ha mandato queste donne al macello. E’ questo il sovrano che voi avete stupidamente scelto di seguire e che non avrà alcuna paura ad usare voi, i vostri amici e le vostre famiglie per i suoi scopi.-
In tutto il regno le persone osservavano il cielo atterrite, spaventate potesse avvenire un attacco a breve oppure di ciò che quell’essere avrebbe potuto fare a quelle povere donne, in particolar modo le persone a soffrirne maggiormente furono i loro cari.
Soarin dal castello di Canterlot aveva interrotto i suoi allenamenti, ed avvicinandosi alla finestra attirato dalla voce aveva visto Rainbow Dash legata al patibolo. Il suo corpo non aveva retto allo scenario e le ginocchia cedettero facendolo inginocchiare, mentre con gli occhi spalancati sembrava essere divenuto di pietra. Anche i genitori della donna dal punto in cui erano fuggiti sotto sua richiesta videro tutto, e mentre la donna quasi svenne il padre si sentì come soffocare, incapace però di distogliere lo sguardo pregando che la sua bambina da un momento all’altro si liberasse.
Nello stesso castello Maud, la sorella di Pinkamena, udendo la voce del malvagio re era subito corsa fuori, ma vedendo il viso della sorella si era come pietrificata. Non un muscolo si muoveva ma i suoi occhi esprimevano il dolore e lo schok che stava subendo. Se ci fosse stato un modo per udire il lamento del suo cuore l'intero mondo sarebbe stato costretto a tapparsi le orecchie per la sua intensità, ma nemmeno un sussurro uscì dalle labbra di quella donna alla quale non era rimasta che la sorella.
Trouble Shoes in quel momento stava lavorando, come Big McIntosh, e la reazione fu quasi la stessa, entrambi gli uomini si accasciarono a terra, portando le mani sul terreno tremando per il dolore, ma mentre il primo iniziò a piangere incurante di coloro che lo circondavano l’altro lanciò un urlo straziante, che poté essere udito perfino da Apple Bloom, la quale affacciandosi alla finestra vide la sorella ormai ad un passo dalla morte.
Fancy Pants era impegnato nel suo ufficio per una questione d’affari, ma come udì la voce di Sombra si spostò subito in strada, e guardando il dolce viso di Rarity ormai sciupato il suo cuore si spezzo. Portandosi le mani tra i capelli si lasciò cadere a terra urlando nel dolore. Nel frattempo dall’altra parte di Equestria, in due angoli diversi, da una parte i genitori della donna s’abbracciavano urlando e piangendo per la loro amata figlia, mentre dall’altra, in una struttura apposita per i bambini vittime della guerra, la piccola Sweetie Belle colpiva il pavimento con forza fino a farsi male alle mani, piangendo ed urlando desiderando fosse tutto un orribile incubo.
Perfino la principessa Celestia assistette a tale scena, con una morsa di dispiacere nel cuore per quelle vittime e per un moto di rabbia per ciò che quel mostro stava facendo.
Tutti quanti come aveva desiderato stavano assistendo al suo spettacolo volto solo a vederlo trionfare, ma qualcosa di inaspettato accadde.
Tutte e quattro, sorrisero.
Nella loro mente tornarono i momenti che avevano condiviso, assieme a ciò che avevano stabilito durante quel complotto.
Nessun sacrificio sarebbe stato troppo, pur di fermare quel mostro ed evitare ad altri quel dolore. 
Se fosse stato necessario, avrebbero usato ogni mezzo possibile pur di farcela.
Come prima cosa, dopo che lei e Rainbow Dash ebbero raccolto tutte le informazioni necessarie sulla capacità di Sombra di controllare i suoi soldati e di sfruttarli per vedere ogni cosa, Pinkamena aveva svolto delle ricerche sulla successiva zona d’interesse del re, che avrebbe a breve attaccato o che comunque monitorava da molto.
In seguito avevano deciso di ricalcare il primo piano, nel quale volevano rubare delle divise, ma stavolta non avrebbero rischiato e fu per questo che Rainbow Dash e Fluttershy vennero mandate in volo a scattare delle fotografie, perché Rarity potesse usarle così da fare delle perfette copie.
Ma c’era di più, e la scelta della rosa per quel compito non dipendeva solo dal fatto possedesse delle ali.
Lei non possedeva la loro grinta, la loro razionalità e freddezza, era visibilmente debole e fragile emotivamente, quindi poteva sembrare del tutto naturale le fosse caduto un foglio con delle importanti informazioni. Però, cosa ancor più importante, sarebbe sembrato ancor più intelligente e schematico usare proprio lei per far credere che avesse fatto cadere quel foglio apposta, in modo che si intuisse fosse una trappola.
In seguito per render certo Sombra che sarebbe avvenuto veramente un attacco Pinkamena aveva creato un falso biglietto, conservandolo durante tutto lo scontro contro i soldati nemici nella propria mano, e fingendo di ritrovarlo con la sorella l’aveva subito consegnato, in modo che così Sombra, se avesse sospettato che la perdita del biglietto fosse un trucco, l’arrivo di un massiccio attacco di così tanti uomini avrebbero potuto renderlo certo serviva tutto da distrazione contro qualcos’altro. Soprattutto quest’ultima parte  si fondava sul fatto che tempo prima loro avevano tentato e fallito il loro tentativo d’infiltrarsi, ed erano state comunque sempre loro a lasciare il biglietto.
Serviva però anche qualcos’altro, non potevano semplicemente infiltrarsi tra delle truppe oppure tornare con quelle andate in guerra, perché Sombra doveva credere appunto che si trattasse di un diversivo. Per questo avevano coinvolto la tribù dei bisonti, per creare due situazioni simili in diversi punti che potessero dar l’idea di un inganno.
Ogni sacrificio però non sarebbe mai stato vano all’impresa, non importava il prezzo da pagare. 
Il resto del piano si sarebbe poggiato più sulla fortuna che su altro.
Sulla speranza che l’ego di Sombra facesse sì volesse giocare al gatto con il topo, che nella sua superiorità le facesse avvicinare nel tentativo di distruggere il loro orgoglio nel momento più importante di tutta l’azione, e che allo stesso tempo credendo d’averle schiacciate abbassasse la guardia quel tanto che bastava per trovare in lui un punto scoperto.
E fu proprio per questo che Sombra non si rese conto che alle sue spalle, con molta lentezza, avvolta solamente con un lenzuolo strappato, con i capelli arruffati e gli occhi azzurri circondati da occhiaie e secchi per le lacrime, s’era silenziosamente avvicinata ed infine fermata proprio alle sue spalle, tenendo sollevato tra le sue mani uno dei pugnali nascosti per precauzione in ciascuna delle tutte in delle tasche segrete e rinfoderate, la figura dell’elemento più debole ed insignificante del loro gruppo…






Ciao! E' una delle prime volte in cui scrivo un piccolo appunto al termine di una storia. Ci tengo a ringraziare tutti voi che avete letto, questo progetto è stato mandato avanti in sette mesi e ci tenevo veramente molto(avevo intenzione di pubblicare un capitolo al giorno ma purtroppo alla fine gli ultimi sono saltati quindi li ho messi in sequenza). Sono veramente felice di ciò che ho fatto, e come ho già detto che ci sia stato qualcuno a leggere. Spero mi farete sapere cosa ne pensate, e che vi siate goduti questa storia.
Di seguito potere trovare tutte le spiegazioni sulle modifiche che ho fatto, sperando di non averne tralasciata nessuna.
Grazie ancora e a presto, spero!












SPIEGAZIONI CON POSSIBILI SPOILER SE NON SEI IN PARI ALMENO CON LA 5 STAGIONE:

La struttura della fiction è voluta, ho raccontato prima solo le parti del piano senza spiegare il loro scopo in modo che al momento della messa in atto questo venisse raccontato provando un effetto  sorpresa.
La fiction si basa sull’episodio 25 della 5 stagione, per la precisione quando Starlight Glimmer ha impedito a Rainbow Dash di fare l’arcoboom sonico paralizzandola, mandando Twilight in un mondo dove Sombra era in guerra con Celestia.
Ho supposto che Starlight Glimmer si sarebbe preoccupata solamente di tener per sé il proprio villaggio, nonostante ciò che ha fatto durante la serie contro Twilight dubito si sarebbe schierata dalla parte di Celestia durante la guerra. Nella serie prima del suo cambiamento le importava soltanto di mantenere quella finta pace nel proprio villaggio, ed un cambiamento avrebbe portato solo guai. Non la vedo poi come un pony interessato alla conquista o simili perché altrimenti visto il suo incredibile potere avrebbe potuto farlo già dagli inizi, ma ancora una volta vediamo come il suo interesse sia rivolto esclusivamente al villaggio. Ragion per cui ho pensato appunto che si sarebbe tenuta quel piccolo angolo di Equestria solo per sé, con le sue leggi e le sue sicurezze allontanando chiunque provasse a portarglielo via.
Apple Bloom tratta in questo modo Applejack in quanto la colpevolizza per quello che è successo alla nonna, e perché durante gli anni della crescita lei non c’è stata quindi non ha alcun tipo di rapporto o ricordo affettuoso nei suoi confronti. Teniamo poi da conto che è sempre una bambina e che non ha con sé nemmeno le sue due migliori amiche a farle capire se sta sbagliando o meno, vista poi anche la testardaggine difficilmente ammetterebbe qualcosa o parlerebbe per risolvere la faccenda(e per tale frase mi baso sull’episodio in cui la famiglia la lasciò a casa da sola, e lei per dimostrare alla sorella che poteva cavarsela quando questa pensava il contrario si è lanciata in un’avventura pericolosissima).
Twilight come tutti sappiamo è diventata la principessa dell’amicizia,  ma in questa realtà ha fallito l’esame della sua vita, non ottenendo né il permesso di andare nella scuola né il cutie mark e Spike nemmeno è mai nato. Siccome nell’ep 25 non era presente nei futuri alternativi ho pensato potesse aver fatto la fine di Moondancer, ossessionata anche lei dallo studio nella serie.
Pinkie Pie nella realtà alternativa  aveva i capelli lisci, e come tutti abbiamo visto è stato solo dopo l’arcoboom sonico lei è diventata l’allegra pony che conosciamo e come a prova di ciò i suoi capelli divennero cotonati, ed invece nel passato era triste e con i capelli lisci. I capelli lisci li ha solo quando è fredda e seria, e spesso scontrosa, quindi ho associato il fatto nell’ep 25 avesse quei tipi di capelli perché il carattere non è lo stesso della timeline in cui ha incontrato le sue amiche.
Ho ucciso le sorelle di Pinkie Pie perché era visibile solo Maud, e dubito che in guerra Calcarea non sarebbe andata.
Chiamo Pinkie Pie Pinkamena Diane Pie perché questo è il suo vero nome, ed in una realtà in cui lei è seria e triste sarebbe stato difficile vederla con Pinkie Pie.
Rainbow Dash tratta male Fluttershy perché già nell’episodio in cui dovevano cacciare un drago le dava del peso, e perché in guerra il suo atteggiamento potrebbe essere radicalmente cambiato diventando molto severa. Siccome non è riuscita a fare l’arcoboom sonico ho pensato che oltre a cambiare il futuro anche i caratteri fossero diversi.
Non ho citato i cutie mark di nessuna di loro sempre per il precedente motivo, in quanto ho supposto non li avessero.
I cutie mark esistono anche in questa timeline, ma io li ho lasciati al fianco della gamba quindi è naturale non si vedano e nessuno conosca quelli altrui per i vestiti.
Per quanto riguarda le ship io vedo bene: Soarin e Rainbow Dash(per qualsiasi loro apparizione assieme e perché li trovo carini) – Rarity e Fancy Pants(per qualsiasi loro apparizione assieme e perché li trovo carini)- Fluttershy e Sombra ( anche se solitamente io sono una Fluttercord perché vedo i due personaggi bene assieme, per questo devo ringraziare fanart e fanfiction, so che non ci sarà mai niente e mi va bene così, mi piace solo leggerne e immaginarmelo in questo mondo apocalittico), quindi una qualsiasi interazione tra loro è volutamente fatta in modo che ci sia almeno da parte di lui attrazione di tipo fisico.

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