Marsiglia 2016

di ElinaFD
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Marsiglia, mercoledì 7 dicembre 2016, pomeriggio ***
Capitolo 2: *** Marsiglia, giovedì 8 dicembre 2016, mattina ***
Capitolo 3: *** Marsiglia, venerdì 9 dicembre 2016, mattina ***
Capitolo 4: *** Marsiglia, sabato 10 dicembre 2016, mattina. ***
Capitolo 5: *** Marsiglia, sabato 10 dicembre 2016, sera ***



Capitolo 1
*** Marsiglia, mercoledì 7 dicembre 2016, pomeriggio ***


Benvenut* a questa mia nuova fatica!

Dunque, stavolta si tratta di una serie e non di una storia scritta in coppia. Questa serie è basata sul canon dell’anime, quindi niente bestiole strane né universi paralleli, ed è composta da prequel, sequel e piccoli spin-off (o qualcosa del genere). In parte è nella nostra mente, in parte è stata scritta. Io vorrei iniziare a condividere con voi ciò che io ho scritto, immaginando gli anni successivi all’anime.

Naturalmente seguono alcune piccole avvertenze per l’uso…

Prima di tutto abbiamo arbitrariamente ambientato gli eventi dell’anime nel 2015. So che adesso è canon che l’anno sia invece il 2016, ma all’interno della serie ci sono alcune contraddizioni su questo punto, per cui noi abbiamo fatto un po’ di ricerca e ci è sembrato che l’anno più comodo fosse il 2015. Quindi mi scuso fin d’ora se questo non combacia con il vostro canon mentale.

Inoltre ci siamo prese, nello scrivere, alcune piccole libertà. Abbiamo arbitrariamente deciso che Makkachin sia femmina, ad esempio, e abbiamo costruito per Victor e Yuri, così come per tutti gli altri, background totalmente inventati, che siamo certe verranno distrutti dal film in uscita quest’anno. Soprattutto, e qui il mea culpa è tutto personale, per ragioni tecniche, ho fatto partecipare il Kazakistan agli Europei, quando invece partecipa ai Four Continents. È stata una svista quasi involontaria e una volta fatto l’errore non potevo più correggerlo, quindi portate pazienza…

Nelle storie si cambierà spesso punto di vista tra i protagonisti e a volte verranno inserite parole o frasi in lingua straniera, per lo più in giapponese o in russo. Non temete, metterò note a piè di pagina per spiegarne il significato ogni volta, anche per le parole più semplici. Se qualcosa però dovesse risultare poco chiaro non abbiate paura di chiedere. Lo stesso vale per i dettagli legati allo sport: ho cercato di essere più fedele e realistica possibile, documentandomi a lungo, e a volte forse potrei ritenere perfettamente comprensibili sistemi di regole o definizioni che invece non lo sono affatto. Sarò felice di chiarire ogni cosa, se necessario.

Infine queste storie sono per la maggior parte di colore rosso. Siamo di fronte a maschi adulti e innamorati, qualcosa devono pur fare per passare le lunghe sere invernali…

Bene, spero possiate apprezzare i nostri sforzi, leggere con bramosia e divertirvi un po’ con noi per le gioie e i molti dolori dei nostri beneamati pattinatori. Grazie mille per l’attenzione!



 
MARSIGLIA 2016




Marsiglia, mercoledì 7 dicembre 2016, pomeriggio

 


Yuri aveva un sacco di motivi per essere incazzato. 

Erano mesi che si allenava per quelle dannate routine e da 3 settimane a quella parte continuava a cadere. Era frustrante, estenuante e, a lungo andare, faceva male. Non che non fosse caduto migliaia di volte, in passato, ma una relazione così intensa e rovinosa con la pista non la intratteneva da un po' e il suo corpo non faceva che ricordargli, a sera, che il ghiaccio era duro. Era una fortuna che i vestiti coprissero alla perfezione i lividi. 

Il problema era che da qualche tempo i piedi non erano mai dove se li aspettava, ma sempre un po' più in basso. Probabilmente la causa era da ricercare nello stesso fenomeno che l'aveva costretto a cambiare tutti i costumi a metà stagione.

Il pensiero ancora lo faceva imbestialire. I costumi sostitutivi non erano neanche lontanamente all'altezza degli originali. E poi c'era la figura di merda che aveva fatto al Trophée Bompard. (Ancora non riusciva a riferirsi ad esso come Trophée de France, non l’aveva mai sentito chiamare con nessun altro nome da quand’era nato.) Dopo aver vinto l'oro allo Skate America era arrivato in Francia con la certezza di qualificarsi ad occhi chiusi. Invece era arrivato quarto e l'umiliazione ancora bruciava. A riguardare quell'esecuzione (l'aveva fatto solo una volta; non era riuscito ad arrivare in fondo alla seconda, e neppure il suo portatile) non si era nemmeno riconosciuto. Il pensiero che ci fosse anche JJ a quel Grand Prix, e che si fosse portato a casa l’oro, non aveva fatto altro che peggiorare la faccenda.

Infine c’erano loro. Victor e quel deficiente di un porco giapponese. Non sapeva più dire chi dei due detestasse maggiormente. Ciò di cui era certo era che quei due non avevano nessuno dei problemi che invece affliggevano lui e se la passavano alla grande. Peggio, non facevano altro che scopare. Be’, forse non esattamente scopare, non in pubblico almeno, ma erano sempre appiccicati, le mani addosso, ad abbracciarsi o ad accarezzarsi o a sussurrarsi nell’orecchio e a sorridere come ragazzine idiote e lui agli allenamenti passava le giornate con la pelle d’oca. E si baciavano. In continuazione. Al solo pensiero Yuri sentiva una stretta allo stomaco. Probabilmente era anche per questo che continuava a sbagliare i salti. Come ci si poteva aspettare che riuscisse a concentrarsi con l’immagine di quei due che limonavano a bordo pista? Aveva provato a farli sentire a disagio, a urlar loro dietro insulti, a lanciar loro addosso oggetti contundenti, a farli sentire in colpa, ma non era servito a nulla. Nemmeno Yakov era riuscito a farli desistere; anzi, Yuri sospettava che Victor ci avesse preso più gusto, solo per il brivido della provocazione che lo contraddistingueva.

Insomma, aveva sedici anni, la sua vita faceva schifo, il suo intero armadio era da buttare, era accompagnato solo da dementi e la sua carriera era rischiosamente avviata al declino. Ma la cosa peggiore in assoluto erano quei brufoli orrendi che continuavano a spuntargli sulla fronte. Poteva sopportare tutto, il dolore e il fallimento, ma non il pensiero di diventare brutto.

“Ma ci vedi qualcosa, da lì sotto?” domandò Otabek, dandogli un’occhiata di traverso prima di tornare a scrutare la pista.

Yuri lo squadrò, soppesando la sua espressione e il tono della voce. No, decise, non era ironico.

“Certo che ci vedo,” mormorò scontroso, calandosi ancor maggiormente il cappuccio della felpa in testa e lasciando che i capelli biondi scendessero a coprirgli il viso in una sorta di sipario dorato.

“Quindi hai finito di allenarti per oggi?”

Yuri guardò la pista con un misto di malinconia e risentimento. Dei sei finalisti solo tre erano ancora intenti ad esercitarsi; due su tre, d’altronde, non si erano degnati di arrivare se non con quasi mezz’ora di ritardo sul programma. Yakov si era quasi fatto partire un embolo. E invece eccoli lì, i piccioncini, che provavano i loro salti e le loro routine come se niente fosse. Se lui si fosse azzardato a presentarsi con mezz’ora di ritardo Yakov non gliel’avrebbe fatta passare liscia; invece Victor era lì con la sua pelle ancora addosso e si permetteva anche di prendersi una pausa, tra una serie e l’altra, per dare un’occhiata a ciò che Yuuri stava combinando. Al momento parevano intenti a confabulare, in quella lingua misteriosa e incomprensibile che alla pista, a casa, chiamavano Rusjapenglish, e che lui sospettava essere un mistero anche per loro due, visti tutti i gesti che Victor usava per spiegarsi. Yuuri annuiva con forza, con quel modo tutto giapponese di inchinarsi quasi ad ogni Hai [1]che a Yuri dava il voltastomaco. Certo che fare il coach mentre si gareggiava a questi livelli doveva essere quasi impossibile, da perderci la testa; eppure Victor ci riusciva, loro due ci riuscivano. Per qualche motivo questo lo faceva incazzare ancor di più.

“Mh,” mugugnò in risposta. “Tu hai finito?”

“Sì, ma pensavo che Yakov non ti avrebbe lasciato sfuggire così facilmente.”

Yuri scrollò le spalle.

“Credo ci abbia rinunciato…” bofonchiò sarcastico.

Otabek si voltò ad osservarlo perplesso.

“Sarebbe a dire?”

Che non ci crede più nemmeno lui che io possa arrivare in fondo a questa gara conservando la dignità, pensò Yuri con amarezza.

“Niente, lascia stare,” biascicò sbrigativo.

“Allora andiamo a prenderci un tè da qualche parte,” propose Otabek. Non era una vera domanda, perché non sarebbe stato da lui mostrare quel genere di incertezza quando ben sapeva che gli avrebbe detto di sì. Aveva quel modo di parlare chiaro, diretto, senza giri di parole o esitazioni, che a Yuri piaceva tanto. Nessuno mai gli aveva parlato così, così come nessuno aveva avuto il coraggio di avvicinarlo tanto da diventare suo amico. Solo per questo già era speciale. “Sempre che tu non voglia aspettare la fine degli allenamenti.”

“No, no, per carità,” esclamò, esasperato all’idea. “Prima leviamo le tende da qui meglio sto.”

Otabek sorrise silenzioso. Yuri sentì il braccio caldo stringersi attorno alle sue spalle e condurlo via con sé. Infilò le mani ancor più a fondo nelle tasche e incurvò le spalle in avanti, lasciando che i capelli gli nascondessero del tutto il viso, e si abbandonò a quel contatto affettuoso. Dio solo sapeva se ne aveva bisogno, ultimamente.


 
 
“E se ne va…” Victor commentò, lanciando un’occhiata alle proprie spalle.

Yuuri aggrottò la fronte, mentre beveva, in un’espressione interrogativa.

“Il fascino maledetto dei cosacchi,” spiegò serafico Victor, sogghignando.

Yuuri allungò un po’ il collo, strizzando appena gli occhi. Victor non sapeva nemmeno se si rendesse conto di farlo, in momenti come quello, ma era così dolce che non aveva intenzione di farglielo notare: conoscendolo avrebbe potuto smettere.

“Era Otabek?” domandò sorpreso.

“Chi altri?”

Yuuri ridacchiò.

“Victor… Ha già tanti problemi così. Non prenderlo in giro…” lo ammonì, ma il tono divertito toglieva un po’ di persuasività alle sue parole.

“Povero Yurio…” sospirò teatralmente Victor passandosi una mano tra i capelli. “Che tragedia, la sua vita…”

Yuuri scosse la testa.

“Sei ingiusto. L’abbiamo passata tutti quella fase. Non è facile, quando si cambia così in fretta.”

“Ti ricordo che il ragazzino mi ha tirato addosso una scodella di borscht non più tardi di tre giorni fa.”

“…È Yurio,” commentò atono Yuuri. “Visto come sta andando aspettati di peggio al nostro ritorno in Russia.”

Victor sospirò nuovamente, chiudendo gli occhi.

“Va bene, mi fa un po’ pena, ma io non mi ricordo di aver fatto tutta questa sceneggiata.”

“Perché a te non è successo a metà stagione e mentre gareggiavi nei Senior,” rispose prontamente Yuuri, che guardava la pista praticamente vuota senza davvero vederla. “Ha un sacco di pressione addosso, dopo il Grand Prix dell’anno scorso. Dovresti sapere cosa significa.”

Victor abbassò lo sguardo. In verità era piuttosto preoccupato per Yuri, ma non c’era nulla che lui o chiunque altro potesse fare per aiutarlo: quel genere di cose richiedevano solo tempo e pazienza.

“Vitya! Che cosa pensi di fare? Ti porto una brandina e ti fai un pisolino?” Il richiamo adirato di Yakov lo riscosse dalle proprie divagazioni.

“Be’, almeno lasciami commentare la sua scelta di accompagnatori!” esclamò Victor sogghignando in direzione del compagno, mentre già si allontanava all’indietro sul ghiaccio, acquistando velocità. Fece un giro di pista per riscaldare le gambe, respirò a fondo l’aria fredda, che come sempre gli schiariva la mente, e si fermò di fronte a Yakov con una trottola. “Faccio una volta i salti dello short e tutto il free, poi però basta,” dichiarò, massaggiandosi un fianco. Ultimamente gli stava dando fastidi.

“Decidi tu? Ti vuoi anche fare da coach da solo?” ribatté Yakov sarcastico.

Victor fece spallucce, sfoggiando il sorriso radioso con cui sempre disarmava le folle, ma che presto si trasformò in uno più genuino e confidenziale.

“Sono vecchio, Yakov. Non ho più tutta quella resistenza…”

L’allenatore chiuse gli occhi e grugnì contrariato.

“Non ce l’hai mai avuta, perché non ti sei mai allenato abbastanza,” borbottò. “Ti fa male?” aggiunse poi, facendo cenno col mento al fianco.

Victor scrollò le spalle. Inutile pensarci.

“Fammi il free, ma fallo tutto di fila, non a puntate come al solito.”

“Gra–” Fu interrotto dal tonfo inconfondibile di un corpo che cadeva. Voltò la testa di scatto e infatti Yuuri era inginocchiato sul ghiaccio, intento a sbattere tra loro le mani guantate mentre teneva lo sguardo fisso su Seung-gil Lee, che con una serie di passi si stava portando dalla parte opposta della pista.

“Tutto bene?” gli urlò Victor, solo vagamente preoccupato. Yuuri era uno che sapeva cadere sul ghiaccio e non si faceva praticamente mai male. Se da una parte l’istinto irrazionale l’aveva subito incitato ad intervenire, la razionalità e il buon senso avevano spento l’allarme: Yuuri era perfettamente in grado di fare da sé, perché con tutte le sue fragilità aveva una tempra fisica d’acciaio. Forse più della sua.

Yuuri lo superò pattinando lentamente, le mani sui fianchi e gli occhi bassi, ma passandogli accanto gli fece un gesto di conferma per tranquillizzarlo.
“Victor,” lo richiamò Yakov. “Abbiamo già fatto questo discorso. O pensi a quel ragazzo o a te stesso. Adesso pensa a te. Fai il tuo programma e fallo bene e poi potrai continuare a giocare a fare il coach.”

Victor gli scoccò un’occhiata di blando rimprovero, ma si portò al centro della pista e chiuse gli occhi, concentrandosi. Non aveva bisogno della musica per sentirla; ce l’aveva dentro, nella testa, nel cuore, e da lì scorreva nelle braccia e nelle gambe. Iniziò a muoversi, con gesti fluidi quasi automatici. Il suo corpo sapeva cosa fare, conosceva quella routine più di quanto non fosse impressa nella sua mente. Ogni spostamento, ogni accento della musica, ogni respiro e cambio di filo della lama, non doveva più pensare a nulla di tutto questo per riuscire a farlo correttamente. Non era solo la correttezza che cercava, però: quella l’avrebbe potuta ottenere anche il più imbranato dei junior, con la perseveranza. No, dopo che il corpo aveva imparato la routine, quando pensare non serviva più, c’era quel momento magico in cui poteva tornare a concentrarsi totalmente sui movimenti e sentirli. Era quell’intensità che aveva riscoperto, pattinando con Yuuri, quella presenza sul ghiaccio che aveva finto più che raggiunto, negli ultimi anni, quando faceva fatica ad emozionarsi ancora per davvero mentre si esibiva. Transizione, giro, preparazione al salto e…triplo Axel. Non altissimo, poteva venire meglio, molto meglio. Lo avrebbe eseguito meglio nella seconda parte del programma, in combinazione.

Con la coda dell’occhio Victor teneva sotto controllo gli spostamenti degli altri due pattinatori in pista, assicurandosi di non trovarsi sulla loro traiettoria, per quanto in quel momento la precedenza fosse palesemente sua. In tre, poi, era difficile non riuscire ad evitarsi… Serie di passi, trottola combinata, uscita e seconda parte del programma. Il fiato reggeva, la gamba anche. Ora era il momento dei salti seri. Quadruplo Flip in combinazione con un doppio loop. Khorosho[2]! Breve transizione, quadruplo Salchow. Un tonfo, una caduta. Che Yuuri… Victor strinse i denti, rendendosi conto di aver perso la concentrazione. Il triplo Lutz successivo partì col filo sbagliato e finì per essere pure un po’ sottoruotato. Victor riuscì ad evitare la caduta solo grazie all’esperienza e a un immane sforzo. Inspirò a fondo, annullando ogni pensiero e tornando a concedere il controllo del proprio corpo al pilota automatico per qualche secondo. Doveva mantenere la concentrazione, non poteva permettersi grossi errori. Un altro respiro, preparazione al salto, atterraggio perfetto.

Victor arrivò in fondo alla trottola che chiudeva il suo programma con il cuore che sembrava sul punto di esplodergli. Portò a termine gli ultimi gesti controllando a malapena il respiro affannoso e si piegò in avanti, le mani sulle ginocchia, cercando di riprendere fiato. Lentamente si diede la spinta per raggiungere Yakov e si appoggiò alla balaustra, afferrando l’asciugamano per tergersi il sudore.

“Prima che tu me lo dica, lo so,” disse con voce rotta dall’affanno, “ho perso la concentrazione e il Lutz faceva schifo. E anche alla fine…”

“Non spreco fiato a dirti ciò che già sai,” lo interruppe burbero Yakov. “Vedi di non fare questi casini domani se non vuoi fare la figura di quello che non ha più l’età per gareggiare. E adesso levati quei pattini e vatti a fare una doccia, prima che mi venga voglia di fartelo rifare.” Victor annuì, allungandosi contro la balaustra per rilassare la schiena mentre lentamente il respiro tornava normale. “Ah, era il tuo allievo quello che è caduto, prima,” aggiunse secco Yakov.

Victor aggrottò la fronte.

“Di nuovo?”

“Mh. Non sta granché in piedi già normalmente, ma stavolta il problema non è solo suo…” commentò sibillino l’uomo.

Victor guardò il punto in cui Yuuri stava abbozzando una serie di passi. Poteva vedere perfettamente quanto fosse distratto e come i suoi occhi continuassero a saettare in direzione del coreano, che a bordo pista parlava con la sua allenatrice. Victor infilò la casacca e si diresse verso di lui, girandogli attorno per seguire i suoi movimenti da vicino.

“Sei caduto di nuovo? Che succede?” gli domandò, quando Yuuri interruppe l’esecuzione e sospirò, sgranchendosi il collo. Aveva un’aria mogia e tesa, che mise Victor in allarme.

“Continua a mettersi sulla mia scia,” borbottò Yuuri, facendo cenno con la testa in direzione di Seung-gil. “Con tutta la pista libera non mi lascia spazio. Se me lo trovo di fianco all’improvviso come faccio ad evitarlo? Non lo vedo. Lo sai, senza occhiali non riesco a calcolare la distanza.”

Victor osservò il pattinatore coreano che si dirigeva verso l’uscita. Non aveva dubbi che Yuuri stesse dicendo la verità e probabilmente era proprio ciò che aveva notato anche Yakov.

“Ti sei fatto male?”

Yuuri scosse la testa.

“Allora approfittiamo del fatto che se ne sia appena andato. Abbiamo la pista tutta per noi per altri…quattro minuti!” esclamò sorpreso, guardando il grande orologio digitale dell’arena. “Ultimo programma completo e poi andiamo a farci una doccia e un tè.”

Mentre Yuuri si portava al centro della pista, Victor si chiese distrattamente perché Seung-gil avrebbe dovuto fare una cosa stupida e pericolosa come quella di non rispettare le distanze. Voleva infortunarsi il giorno prima della finale? Scosse la testa, perplesso. Yuuri aveva preso a scivolare sul ghiaccio, iniziando la routine, e Victor si concesse di immergervisi totalmente, dimenticando il resto.


 
 
“Quindi vuoi dirmi perché ti stai tormentando così o no?”

Yuri sgranò un po’ gli occhi, colto alla sprovvista. Chinò la testa in avanti, sollevato dalla sensazione dei capelli che scendevano a coprirgli il volto. Non era mai stato tipo da lasciarsi abbattere facilmente e gli era sempre piaciuto stare al centro dell’attenzione. Non era da lui nascondersi così e lo sapeva. Eppure negli ultimi mesi gli sembrava che tutto il mondo ce l’avesse con lui e nulla andasse come avrebbe voluto. Vincere l’oro allo Skate America o chiacchierare del più e del meno con Otabek di fronte ad una tazza fumante di buon tè erano solo un sollievo temporaneo da quella costante sensazione di insoddisfazione che gli rodeva dentro.

Come poteva però spiegare tutto questo a Otabek? Era il suo primo amico, l’unico se non considerava i suoi compagni di pista a San Pietroburgo, con cui d’altronde non aveva mai legato granché. Parlavano spesso, si scrivevano ancor più frequentemente, e Otabek era informato delle difficoltà che stava affrontando. Era anche quello, però, che l’aveva prescelto e avvicinato per la sua forza e la sua freddezza, il suo autocontrollo. Avrebbe voluto continuare ad avere quegli occhi da soldato di cui gli aveva parlato allora, ma quale soldato avrebbe piagnucolato come una femminuccia o si sarebbe compatito? No, decisamente non poteva dire a Otabek ciò che davvero gli passava per la testa.

“No,” rispose secco, nascondendosi dietro la propria tazza.

Otabek si accigliò.

“È così grave?”

Yuri avrebbe voluto tirargli il tè in faccia con tutta la tazza. Gli aveva appena detto che non voleva parlarne, perché diavolo insisteva a chiedere allora?

“Non mi sto tormentando,” replicò frustrato.

“È per i salti?”

Yuri alzò gli occhi al cielo. Se persino Otabek lo esasperava la sua vita aveva appena raggiunto un nuovo picco di miseria.

“Perché mi chiedi se voglio parlarne, se tanto quando ti dico di no non mi ascolti?” sbottò.

Otabek sorbì un po’ del proprio tè, la sua espressione calma e imperturbabile, come sempre.

“Sono tutti preoccupati per te,” disse infine, seguendo il filo del proprio discorso senza tenere in alcun conto le rimostranze di Yuri.

“Tutti chi?”

“Katsuki, per esempio. E anche Victor.”

Yuri si lasciò andare ad una breve ma sguaiata risata sarcastica.

“Figuriamoci. Victor e Katsudon hanno altro per la testa, non hanno certo tempo per pensare a me…”

“E Yakov,” continuò Otabek.

“Sì, come no? Più probabilmente vorrebbe staccarmi la testa a morsi. E non provare a nominare Lilia. All’ultimo allenamento mi guardava come se fossi un enorme ragno peloso…” Sospirò, scostandosi con un gesto nervoso i capelli dalla faccia. “Non c’è nessuno a cui freghi di ciò che mi sta succedendo.”

“A me frega.”

Ecco, poi se ne usciva con frasi come quella, detta così, con quella naturalezza e quella serietà che non credergli era impossibile, e Yuri si ritrovava a corto di repliche al vetriolo.

“Andiamo a farci un giro,” propose Otabek, alzandosi in piedi. “Qui non si può davvero parlare.”

Il palazzetto del ghiaccio era situato in una zona piuttosto squallida della città di Marsiglia, come spesso capitava. La zona attorno alla pista non offriva grandi attrazioni, ma c’era un parco ad una distanza ragionevole e, sebbene l’aria di dicembre fosse pungente e gli alberi spogli, il laghetto artificiale posto al centro aveva un che di attraente e malinconico, proprio come si sentiva lui. Camminarono per un po’ fianco a fianco senza parlare, le mani sprofondate in tasca, e si fermarono solo quando arrivarono ad una sorta di piccolo pontile che si protendeva sul laghetto. Yuri si sedette sulle fredde assi di legno, le gambe a penzoloni e lo sguardo perso a scrutare il pelo dell’acqua. Era quasi dolorosamente consapevole della presenza di Otabek al suo fianco e desiderava ardentemente parlare, pur essendone terrorizzato al contempo.

“Se ti dicessi ciò che mi passa per la testa probabilmente perderei la tua stima,” ammise a bassa voce, stringendosi un ginocchio al petto.

“Mettimi alla prova.”

Yuri sospirò.

“Mi sento di merda. Faccio schifo. Non dovrei neanche essere qui. Chris…se lo meritava più di me.”

“Tu ti sei qualificato, lui no. Sei tu che te lo sei guadagnato.”

“Ma solo grazie a quell’oro in America. Attualmente lui è molto più in forma di me. Avrei dovuto…” Tentennò prima di continuare. “Mi sarei dovuto ritirare, probabilmente.”

“Non l’hai fatto.”

“No,” sibilò, esasperato dall’intera faccenda, “perché se no chi l’avrebbe sentito Yakov? E poi…la gente si aspetta delle cose, da me.”

Ci fu un lungo silenzio, durante il quale Yuri temette di aver davvero detto troppo.

“Hai ragione,” udì poi la risposta di Otabek. “Non è da te questo discorso.”

Yuri strinse i denti.

“Credo che tu sia troppo duro con te stesso,” continuò il kazako, e la contrazione della mascella si attenuò leggermente. “Non fai schifo.”

“Ah no?” commentò Yuri sarcastico. “Ma mi hai guardato oggi in allenamento?”

“Ho anche guardato i video di Parigi.” Yuri strizzò gli occhi per un attimo, sentendo una fitta al cuore al solo pensiero. “Non è colpa tua, sei tutto fuori asse.”

“Che intendi dire?”

“Che ti sei perso il baricentro negli ultimi due mesi.”

“E in che modo non sarebbe colpa mia?”

Otabek lo squadrò, la fronte corrugata.

“Sul serio? Ti sei accorto che sei alto quanto me, se non di più?”

Yuri sbatté le palpebre, sorpreso.

“Uh? No, cioè… Non ci ho fatto caso.”

Otabek sorrise, uno di quei suoi rari sorrisi a cui Yuri aveva il privilegio di assistere.

“Sei cresciuto di quanto? Dieci centimetri in due mesi?” Yuri si strinse nelle spalle. “Be’, probabilmente qualcosa meno. Ma è comunque tantissimo.”

Yuri rimase in silenzio a contemplare l’acqua calma e grigia sotto di loro. Non capiva dove volesse andare a parare con quel discorso ma gli piaceva come suonava.

“Hai solo bisogno di tempo per riadattarti al tuo corpo. Per gli Europei sarai pronto.”

Yuri deglutì. Sentiva un nodo in gola, ma non aveva intenzione di prenderne coscienza.

“E nel frattempo?” domandò con un filo di voce, che uscì più profonda e morbida di quanto avrebbe pensato.

Otabek gli passò un braccio sulle spalle.

“Combatti. Arriva in fondo. Dovresti esserci abituato, o no?”

Yuri sentì le labbra stendersi in un sorriso e la fronte distendersi. Non ricordava nemmeno più l’ultima volta che aveva rilassato i muscoli facciali.

“Sì, credo di sì…” rispose, scostandosi dalla testa il cappuccio e scrollando i capelli biondi, così da levarseli dalla faccia. L’aria fredda sulla pelle era piacevole.

“Io ne approfitterò per batterti,” aggiunse poi Otabek, con una smorfia divertita sulle labbra.

Un secondo più tardi stavano entrambi ridendo di gusto.
 


 
L’hotel era un tre stelle di poche pretese, ma aveva l’innegabile pregio di essere a pochi passi dalla struttura che avrebbe ospitato la Finale del Grand Prix. Il che significava, tra le altre cose, che una doccia calda (e un po’ di sana privacy) era a portata di mano nel giro di pochi minuti dal termine degli allenamenti. Yuuri uscì dal bagno avvolto nell’accappatoio, strofinandosi energicamente i capelli.

“Mi piace quel parco,” disse, fermandosi di fronte alla finestra della camera. “Potrei andare lì a correre un po’ domattina, prima dell’ultimo allenamento.”

Victor era seduto sul letto, le gambe accavallate allungate di fronte a sé e un identico accappatoio buttato addosso. Le mani strette intorno ad una tazza di tè caldo, osservò in silenzio la sua schiena un po’ rigida, le spalle percorse da una innaturale tensione. Trovando conferma dei propri timori, sospirò desolato.

“Vieni un po’ qui,” mormorò con dolcezza, posando la tazza sul comodino e mettendosi seduto sul bordo del letto.

Yuuri si avvicinò docile e invece di sedersi accanto a lui gli si accomodò spontaneamente sulle gambe. Per quanto la posizione fosse composta e scevra di intenti sessuali, Victor si stupiva ancora un po’, in situazioni come quella. Un anno che stavano insieme, che convivevano, e nonostante tutto la sua mente non si era del tutto abituata a quel tipo di gesti da parte di Yuuri. Non che gli desse fastidio, anzi, proprio il contrario. La stretta calda al cuore che provava ogni volta era elettrizzante.

Andò a cercare una delle mani che teneva abbandonate in grembo con la propria, stringendola; l’altra salì al suo viso e gli accarezzò la guancia e i capelli umidi prima di attirarlo gentilmente a sé per un bacio. Yuuri si lasciò guidare, e quello che seguì fu un bacio lungo, dolce, un assaggiarsi di labbra morbide in cui il sesso c’entrava poco. Quando si allontanarono, gli occhi incatenati agli occhi e un sorrisino che aleggiava agli angoli della bocca, Victor si sentiva come se Yuuri gli avesse accarezzato l’anima. Non sapeva come facesse e a tratti era frustrante, quando era lui a voler confortare il compagno, ma in quell’anno di vita condivisa Yuuri aveva operato magie.

Ad esempio, Victor non aveva più paura. Non era mai stato un timoroso, anzi, si poteva dire che era uno da colpi di testa, che si buttava facilmente nelle situazioni più assurde e cavalcava l’onda dell’ispirazione del momento con decisioni ancor più folli. Quindi a ben vedere era una testa calda… ma in passato aveva avuto paura. Due anni prima, nel bel mezzo della maledetta stagione che l’aveva spinto a prendersi una pausa, l’ansia l’aveva attanagliato per mesi. Non sapeva se voleva ritirarsi o meno, ma il buio dall’altra parte del tunnel lo terrorizzava. Non avere idea cosa avrebbe fatto una volta che non ci fosse più stato il pattinaggio lo aveva frenato. Che pattinasse o no, Victor allora si era sentito in trappola. Poi la sua vita era cambiata totalmente e anche ora che era tornato a gareggiare e che il pattinaggio gli dava ancora tanto, il pensiero del ritiro non lo spaventava affatto. Victor sapeva di essere a fine carriera. L’aveva già maturato e sperava di riuscire a mantenere la forma fisica per un altro anno, per le Olimpiadi. Poi si sarebbe ritirato e si sarebbe dedicato totalmente a fare il coach. C’erano giorni in cui gli sembrava non potesse esserci pensiero più bello.

“Probabilmente gli brucia ancora il secondo posto di due settimane fa,” mormorò. Era stato stringato, ma era certo che Yuuri avrebbe capito. Infatti lo vide sbarrare un po’ gli occhi, prima di abbassarli sulle loro mani unite.

“È molto forte quest’anno,” disse piano, corrucciando appena le belle sopracciglia scure. “L’ho superato di pochissimo.”

Victor si accigliò. I discorsi con Yuuri non sembravano mai andare nella direzione che avrebbe voluto.

“Ciò che voglio dire è che non devi lasciarti influenzare da certi comportamenti. È solo invidia. È una provocazione. Non lasciarti innervosire. Non hai ragione di essere teso.”

Yuuri sorrise, ma c’era un’amarezza nella sua espressione, per quanto lieve, che a Victor non piacque.

“Temo sia un po’ tardi per questo discorso, non credi?” mormorò ironico, ma senza ostilità, scoccandogli un’occhiata.

Victor sospirò.

“Giuro che dopo tutto questo tempo ancora non capisco. Ma,” proseguì alzando leggermente il tono di voce, nel vedere il compagno sul punto di replicare, “me ne faccio una ragione. So che sarai meraviglioso, su quel ghiaccio, domani.”

Yuuri abbassò di nuovo lo sguardo sulle loro mani. Accarezzò l’anulare di Victor con la punta delle dita, sfiorando con affetto l’anello d’oro che vi faceva bella mostra di sé. Victor lo osservò in silenzio, incerto dell’effetto delle proprie parole, ma si sentì in parte sollevato nel constatare che c’era un nuovo, timido sorriso ad illuminargli il volto.

“Senti, ci sto pensando da un po’…” buttò lì, perché in quel momento si sentiva così vicino al compagno da percepire quasi le sue emozioni sottopelle. “Vuoi sposarti prima o dopo che ci saremo ritirati?”

Yuuri si voltò di scatto, sorpreso.

“Eh?”

Victor si sciolse in una risata sommessa.

“Non iniziare a farti film strani in testa. Nessuno si vuole ritirare. Pensavo soltanto al futuro…”

Yuuri sbatté le palpebre. Victor poteva quasi vedere i pensieri girare come un vortice dietro ai suoi occhi. Dio, sei così bello, pensò, ed era sorprendente quanto quel pensiero lo emozionasse ancora, dopo tutto quel tempo.

Potseluy menya[3],” sussurrò, le palpebre un po’ più basse, lo sguardo più intenso.

La comprensione della lingua russa di Yuuri era decisamente migliorata nell'ultimo anno; Victor non si stupì quindi quando il compagno si chinò su di lui e andò a cercare nuovamente le sue labbra. Victor si protese nel bacio, lasciando che Yuuri si impossessasse della sua bocca con una passione tale da fargli contrarre con forza i muscoli del bassoventre. Una mano che si allungava a sostenere il peso del suo corpo sul letto, il busto che si inclinava sempre più verso Victor, fino a spingerlo a indietreggiare così da lasciargli lo spazio per girarsi e arrampicarsi sulle coperte a sua volta; Yuuri non smise di baciarlo nemmeno quando Victor lo afferrò per i fianchi, guidandolo con la schiena sul materasso e inchiodandolo sotto di sé. Sostenendosi sulle ginocchia, con una mano andò a sfiorargli il volto in una carezza dolce, che scendendo sulla mascella proseguì poi lungo la gola e sul suo petto. Scostò le falde dell’accappatoio, accarezzando la sua pelle liscia e spingendosi più giù ancora, fino al ventre piatto. Allentò del tutto la cintura dell’accappatoio con un gesto sbrigativo e si fermò ad osservarlo, incantato.

“Spero che tu non avessi molta fame…”

Una mano delicata e veloce si alzò a sciogliere il nodo che teneva fermo l’accappatoio di Victor e si posò sul suo fianco nudo, mentre sui tratti di Yuuri andava diffondendosi l’aria assorta che aveva imparato a riconoscere come eccitazione. Victor gli sorrise, sfiorò con la punta del proprio naso quello del compagno e poi affondò il viso nel suo collo, baciandone la pelle profumata e calda.


 
 
“Questi sono i momenti in cui quasi mi dispiace che né Chulanont né Guang Hong si siano qualificati per la finale.”

“La scelta di dove andare a mangiare?”

“Basterebbe guardare il loro profilo per sapere dove non andare,” spiegò Yuri.

Otabek si strinse nelle spalle.

“Che opzioni abbiamo?”

Yuri scorse velocemente le possibilità suggerite da Google, soppesandole con occhio critico. Italiano, francese, thailandese, hamburger…

“Cazzo, ho una fame…” borbottò tra sé. Serrò i denti, infastidito. “Ho sempre fame, cazzo!” sbraitò guardando negli occhi Otabek, quasi fosse colpa sua.

Il kazako ridacchiò sotto i baffi.

“Qual è il posto più vicino?” domandò. In effetti era la soluzione più semplice.

“L’italiano… Ma è troppo un posto da Victor. No, andiamo qui. Pollo arrosto! Ti va?” Gli brillavano gli occhi mentre mostrava l’immagine sul cellulare a Otabek, speranzoso ed eccitato come non aveva ragione di essere per uno stupido pollo.

“Perfetto,” rispose quello, imperturbabile.

Yuri si alzò in piedi e afferrò Otabek per la parte posteriore del giubbotto, costringendolo ad alzarsi in piedi.

“Be’? Che aspetti? Andiamo!”
 


 
“Prima delle Olimpiadi.”

Victor strofinò il naso contro il collo di Yuuri, stringendosi di più al suo corpo caldo e deliziosamente profumato. Di sesso. Sesso ben fatto. Molto appagante e rilassante. Ottimo sesso.

“Cosa, esattamente?” sussurrò, baciando la pelle che gli si offriva un’ultima volta prima di rotolare sulla schiena e lasciare che ogni muscolo del suo corpo si rilassasse. Yuuri a volte diventava un po’ incoerente dopo il sesso, il che non faceva che lusingare il suo ego. Ignorò la sottile stilettata di dolore proveniente dalla schiena e che si allargava al fianco destro. Ne era ben valsa la pena.

“Quando vorrei che ci sposassimo.”

Victor voltò la testa ad osservarlo incredulo. Yuuri non lo stava guardando, ma teneva lo sguardo miope tenacemente fisso sul soffitto, sebbene le guance fossero colorate da un soffuso rossore. Victor non avrebbe saputo dire se fosse stata quella frase ad imbarazzarlo o se si trattasse semplicemente dello strascico del rapporto appena consumato.

“Ok…” rispose cauto, ma perplesso. Le Olimpiadi sarebbero state tra poco più di un anno. Quando pensava di dirglielo? “Perché?”

Yuuri gli concesse finalmente uno sguardo diretto e Victor non trovò nulla nei suoi occhi che potesse farlo preoccupare.

“Ecco… Se riuscissimo a qualificarci entrambi, per le prossime Olimpiadi, vorrei andarci con te… insieme. Ufficialmente.”

Victor si sciolse in un sorriso radioso. L’idea gli piaceva eccome.

“Faremmo furore. La Corea ci adorerà. Pensa a cosa avrebbe da dire la stampa per l’occasione…” commentò, godendo già all’idea.

Yuuri sembrò agitarsi.

Chotto[4]… Messa così, non so se sono più tanto convinto che sia una buona idea…”

“Non dire sciocchezze,” lo interruppe Victor. Gli prese la mano destra e se la portò alle labbra, baciandola. “Qualcuno dovrà pur aprire le danze. Sarà divertente. È un bel modo per essere ricordati.”

Yuri scosse la testa, sorridendo.

“Non credo tu abbia bisogno di pubblicità per essere ricordato…”

Victor ridacchiò, attirando a sé il compagno e tenendolo così, stretto nel suo abbraccio, per qualche minuto.

“A proposito di cose di cui ci siamo dimenticati, invece… ma la cena?” chiese quando il suo stomaco iniziò a implorare pietà.

Nani[5]?” fece Yuuri, senza nemmeno aprire gli occhi.

“Mangiare,” ribadì Victor paziente. “Ho una fame da lupi.”

“Io ho sonno…” si lamentò Yuuri, stringendosi ancor di più a lui.

Victor lo ignorò e allungò un braccio a recuperare il telefono. Iniziò a controllare distrattamente le notifiche, ma si fermò quando vide qualcosa che gli fece brillare gli occhi di malizia.

“Ti va del pollo arrosto?”

Yuuri mugugnò la propria disperazione, da qualche parte sul suo petto.
 
[1]   Hai: Sì
[2]   Khorosho!: Bene!
[3]   Potseluy menya: Baciami
[4]   Chotto: Un momento (usato di solito per prendere tempo o evitare una risposta imbarazzante)
[5]   Nani?: Cosa?

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Capitolo 2
*** Marsiglia, giovedì 8 dicembre 2016, mattina ***


Eccoci arrivati al secondo giorno di gare! L’atmosfera comincia a scaldarsi: come reagiranno i nostri eroi?

Nello scorso capitolo mi sono dimenticata di dire una cosa importante. Questa storia (e tutte le successive) non esisterebbe se non fosse nata dal gioco goliardico con Tenar80. Diciamo che anche io arriverò a Corea 2018, ma con una mia versione piuttosto diversa dalla sua “Stagioni”, al momento in fase di pubblicazione e che consiglio. Spero apprezzerete il mio percorso a tappe verso il momento più topico della vita di un atleta.

Ringrazio inoltre Crystal_il_Cigno per i suoi immancabili commenti. Grazie di spendere sempre qualche minuto per darmi un feedback sulle mie sciocchezzuole.

Sottolineo che molte delle cose che accadranno all’interno di questa storia sono ispirate a fatti reali veramente accaduti e che io ho visto e ricordato. Alcune cose sono forzate, ma molto non poi molto. Il pattinaggio, diciamocelo, è uno sport brutale…

E detto questo vi auguro buona lettura!




Marsiglia, giovedì 8 dicembre 2016, mattina
 


Victor percepiva la tensione crescere ed era una sensazione deliziosa. Era incredibile come persone con cui si era trascorsa una serata a scherzare il giorno prima entrassero in una sorta di spazio mentale isolato dal mondo, astraendosi sempre più col passare delle ore. Non tutti, naturalmente, avevano quel tipo di reazione. Victor tendeva a rimanere più ciarliero e di buon umore fino a poco prima di scendere in pista, ma sapeva bene che lui era quasi un’eccezione.

Yuuri era entrato nel suo tipico mutismo asociale appena uscito dal bagno, quella mattina. Victor aveva fatto a malapena in tempo a baciarlo mentre era ancora mezzo addormentato e rilassato tra le lenzuola, poi tra il water e il lavandino il suo compagno doveva essersi imbattuto nella cruda realtà e quello che era uscito dal bagno era lo Yuuri da gara, non esattamente l’uomo più gioviale della Terra. Victor però non aveva interferito con i suoi processi mentali. Aveva imparato che era inutile: Yuuri aveva un mondo, in testa, che non si poteva controllare né plasmare dall’esterno e non c’era nulla che lui potesse dire che avrebbe cambiato il suo stato d’animo. Semplicemente non l’avrebbe ascoltato.

L’unica cosa che poteva fare, come suo allenatore, era stargli vicino, offrirgli il sostegno fisico e pratico necessario in prossimità della gara e ricordargli che il suo valore non dipendeva dal suo piazzamento in quella singola giornata. Come compagno, invece, poteva solo accettare la sottile freddezza che avrebbe caratterizzato tutti i loro rapporti interpersonali per le seguenti 14 ore circa, consolandosi coi ricordi della giornata appena trascorsa. Infine come avversario e atleta era suo dovere concentrarsi su se stesso e la propria performance, perché sarebbe stato irrispettoso anteporre i propri sentimenti alla competizione. Come queste tre personalità potessero coincidere era un problema ancora non del tutto risolto.

Quando Yuuri era uscito con gli auricolari nelle orecchie per andare a correre Victor era rimasto in camera, preparandosi con calma e approfittando del tempo libero per fare un po’ di stretching extra. Il fianco gli faceva davvero male, per quanto lui l’avesse ignorato e non avesse voluto allarmare chi gli stava attorno. Lo short non sarebbe stato un problema, ma se il dolore non fosse diminuito avrebbe dovuto alleggerire un po’ il programma libero, con inevitabile perdita di punteggio tecnico. D’altronde non poteva forzarlo adesso, con ancora tre mesi di gare davanti.

La sessione di allenamento di quella mattina era breve e soprattutto era l’ultima occasione di prepararsi al programma corto. Victor scivolò sul ghiaccio e come sempre gli succedeva i pesi della vita si sollevarono dalle sue spalle, lasciando spazio al corpo. C’erano un po’ di fan sugli spalti, che si erano alzate (erano praticamente tutte donne, menzione d’onore alla loro dedizione) all’alba, probabilmente, per assistere a quel momento più privato nella vita dei loro atleti preferiti. Victor spese qualche momento a salutare e a mettersi in posa, suscitando la solita reazione virulenta in Yakov, poi si mise seriamente all’opera con il riscaldamento. Di tanto in tanto gettava un’occhiata a Yuuri, che perso nei suoi pensieri seguiva la routine che aveva messo a punto per se stesso negli anni.  Era teso, ma non troppo; determinato, avrebbe detto Victor, il che era un bene.

Tuttavia, con il passare dei minuti, qualcosa cambiò. Victor sentì la tensione crescere attorno a sé e in modo automatico cercò con lo sguardo Seung-gil Lee sulla pista. Il pattinatore coreano sembrava impegnato ad eseguire la propria sequenza di riscaldamento, ma i suoi movimenti troppo spesso andavano a ridurre lo spazio di manovra di Yuuri, che ormai, accortosene, continuava ad interrompersi, allarmato. Victor imprecò a denti stretti e pattinò velocemente verso Yuuri.

“Victor, non me lo sto sognando,” iniziò subito lui, vedendolo approssimarsi. “Ti giuro che lo sta facendo ancora.”

“Sì, l’ho visto,” lo rassicurò Victor. “Che vuoi che faccia? Vado a parlarci?”

Yuuri si guardò intorno nervosamente.

“Non lo so,” rispose infine. “Non voglio fare scene.”

Gli altoparlanti annunciarono la musica di Otabek Altin e il giovane andò ad occupare la posizione di partenza, mentre gli altri pattinatori si portavano fuori dalla sua traiettoria.

“È la giusta punizione per avermi impedito di importunare Yurio ieri sera a cena,” la buttò sul ridere Victor, sperando di alleviare un po’ la tensione. L’espressione di Yuuri rimase cupa. “Se non vuoi che intervenga vai avanti. Non puoi stare a piangerti addosso in un angolo.” Era stato un po’ duro e lo sapeva, ma con Yuuri a volte era difficile trovare un canale di comunicazione per scuoterlo. Almeno questo sembrava aver funzionato, perché l’altro annuì, stringendo i denti, e si rimise a pattinare.

Victor si passò una mano tra i capelli, sospirando. Sperava soltanto che quell’idiota di Seung-gil non tirasse troppo la corda.


 
 
Il programma corto di Otabek, per quella stagione, era veramente intenso. Yuri si ritrovò a spiarlo tra un’evoluzione e l’altra, e si sorprese a sorridere di orgoglio. Otabek era davvero in forma, andava forte ed essendo suo amico era un po’ come se questo rendesse più forte anche lui. Incredibilmente, peraltro, quella mattina i suoi piedi sembravano comportarsi meglio del solito e non si sentiva più un fenicottero zoppo; di conseguenza la sua autostima era in risalita.

Fu durante uno di quei momenti di pausa non ufficiale che vide due cose che non gli piacquero per niente. La prima fu la faccia di Yuuri. Non serviva conoscerlo a fondo per notare che aveva i nervi a fior di pelle. Yuri non capiva cosa lo rendesse così psicologicamente inadeguato ad affrontare le gare, ma dacché lo conosceva non era migliorato granché. Non aveva tempra, probabilmente non l’avrebbe mai avuta, perché era troppo tenero. Non che fossero affari suoi, ben chiaro, ma con lui fuori gioco questo avrebbe significato un avversario in meno in grado di tener testa a JJ.

Quando vide la seconda cosa sgradevole capì anche perché Katsudon sembrava sul punto di avere un esaurimento nervoso. Yuuri stava eseguendo una parte del suo programma tenendosi nella metà destra della pista e stava prendendo la rincorsa per il triplo Lutz quando dal nulla comparve Seung-gil, che con una Flying Camel si piazzò proprio sulla sua traiettoria di salto. Yuuri stava pattinando all’indietro, naturalmente, e fu solo voltandosi all’ultimo momento che si accorse del pericolo. Yuri trattenne il fiato per un attimo, temendo il peggio, ma il giapponese ebbe la presenza di spirito di trasformare il Lutz in uno sgangherato volteggio singolo, che ciononostante terminò con una culata sul ghiaccio. Seung-gil a quel punto si era già allontanato, ignorando l’accaduto completamente.

“Yuri!” lo richiamò all’ordine Yakov, e lui si diede dello stupido. Durante gli allenamenti doveva concentrarsi solo su se stesso. Non c’era posto per nessun altro. Doveva escludere gli altri e lavorare su di sé.

La sua musica fu passata poco dopo. La routine non riuscì male, nel complesso, sebbene fosse lontana dai suoi tentativi migliori. Arrivato in fondo, Yuri era tristemente consapevole che avrebbe regalato al pubblico, nella migliore delle ipotesi, un programma godibile, ma che non avrebbe mai potuto competere per il podio. Non contro Victor, che provò dopo di lui, né contro JJ, che quell’anno era tornato carico e grondante autostima in modo disgustoso. Persino Seung-gil, dopo i buoni piazzamenti della stagione precedente che però non gli avevano fruttato l’accesso alla finale, pareva migliorato notevolmente. Se avesse continuato a pattinare con tanta precisione avrebbe iniziato ad insidiare i primi posti… Arrivare sesto alla finale del Grand Prix esattamente un anno dopo averlo vinto a soli 15 anni, riscrivendo la storia. Quello sì, che era un bello smacco per Yuri.

La musica successiva era quella di Katsudon. Yuri conosceva così bene quel programma, avendolo visto tante volte sulla pista di San Pietroburgo, da poter tracciare in automatico un percorso che lo portasse sempre fuori dalle traiettorie del giapponese. Provò una combinazione di salti, approfittando di una sequenza coreografica che l’avrebbe portato all’estremo opposto della pista, e stranamente gli riuscì anche bene. Che buffo, pensò, davvero si sentiva più forte di 24 ore prima, pur non essendo neanche lontanamente al picco della propria forma fisica. Udì il pubblico esclamare d’orrore e gettò un’occhiata alla pista, per accertarsi che non si fossero verificati incidenti. No, tutto tranquillo, appurò; probabilmente si era trattato di uno scontro soltanto sfiorato, o di una caduta inaspettata. Eppure…

Seung-gil stava provando una sequenza di passi che lo stava portando verso il centro della pista, proprio mentre Yuuri partiva con la sua velocissima sequenza dal lato opposto. Yuri si sentì montare dentro una rabbia sorda. Quello stronzo non poteva non sapere che avrebbero finito per scontrarsi, se nessuno dei due si fosse fermato. C’erano delle regole di convivenza sulla pista e in nessun caso un pattinatore aveva il diritto di interrompere l’allenamento di un altro atleta mentre suonava la sua musica. Che cazzo gli passava per la testa, a quello stronzo di un coreano? Ancora pochi metri e Seung-gil pattinava con nonchalance proprio verso Yuuri, acquistando anzi velocità. Cinque, tre… Yuri socchiuse gli occhi, in attesa dello scontro. Invece Katsudon lo stupì un’altra volta per prontezza e, con un rapido cambio di direzione, interruppe la propria coreografia, virando nella direzione opposta. Impossibile non notare però il moto di stizza con cui tirò un pugno alla balaustra, quando probabilmente pensava di non essere visto. Yuri non poteva biasimarlo: quell’ennesima interruzione gli aveva fatto perdere la possibilità di provare il proprio programma decentemente e anche la concentrazione. Difficilmente sarebbe stato in grado di calmare i nervi abbastanza da combinare qualcosa di buono. L’ingiustizia di quella situazione gli fece andare il sangue al cervello. Perché quell’idiota di Katsudon non faceva un bel niente? E Victor a che serviva?

“Ehi, brutto coglione! Che cazzo combini?” urlò senza pensare all’indirizzo del coreano, che non fece nemmeno finta di averlo notato.

Si udì un fischio di approvazione; voltandosi Yuri si accorse che si trattava di JJ, che ora stava ridendo di gusto, mostrandogli il pollice in alto. Ribollendo di rabbia, accelerò i passi, scivolando con maggior velocità sul ghiaccio e respirando a fondo l’aria gelida. Doveva controllarsi, o avrebbe finito per iniziare una rissa. L’ultima cosa che gli serviva era ricevere un provvedimento formale dalla Federazione. Girò due volte su di sé, poi tentò un quadruplo Salchow. Atterrò malamente e scivolò, cadendo. Come non detto, si disse tra sé, rialzandosi al volo; la sua performance rimaneva pietosa.
 


 
“Ehi, è arrivato Chris!” esclamò Victor entusiasta, controllando le notifiche del cellulare.

Si guardò intorno ansioso e sugli spalti intravide una figura conosciuta che agitava un braccio. Victor corse in modo impacciato nella sua direzione, i pattini ancora ai piedi, sbracciandosi per fargli capire che l’aveva riconosciuto e facendogli poi segno di scendere all’uscita atleti.

“Yuuri, andiamo a mangiare una cosa tutti insieme?” propose raggiante, voltandosi a cercare il compagno con lo sguardo.

Gli occhi che si ritrovò davanti erano fissi e privi di espressione.

“Io…vado in hotel,” mormorò Yuuri. Aveva un’aria plumbea che fece scendere sul cuore di Victor un’ombra di pena e presentimenti nefasti.

“Ma come,” tentò Victor, sfoderando la sua migliore aura di leggerezza, “nemmeno per salutare Chris? Dovrai pur pranzare…”

“Non ho fame,” biascicò l’altro infilando i coprilame e dirigendosi come un automa verso lo spogliatoio.

Victor esalò un sospiro sconfitto.

“Yuuri,” lo chiamò sottovoce, trattenendolo per un polso appena furono fuori dalla visuale del pubblico. “Sei arrabbiato, lo so, lo capisco. Hai ragione. Per me puoi anche chiuderti in camera fino a mezz’ora prima della gara di stasera, ma devi mangiare qualcosa.”

Yuuri strinse le labbra e una profonda ruga di irritazione gli attraversò la fronte.

“Se dovessi mettermi a mangiare ora non so se riuscirei a fermarmi,” ammise in un sussurro imbarazzato, evitando il suo sguardo. “Ho bisogno di stare da solo. Lasciami andare.”

Victor lo accontentò, ma col cuore pesante. Capiva, fino ad un certo punto, ma quella non era la reazione che voleva da Yuuri. Inoltre, molto egoisticamente (e ne era consapevole, ma non sapeva impedirselo, in quel frangente), non voleva accollarsi la crisi di Yuuri quando aveva già il proprio stress pre-gara da gestire. Quelli erano esattamente i momenti in cui essere il coach di Yuuri non si accordava per nulla con la sua carriera da pattinatore.

Si cambiò in fretta, lavandosi di dosso il sudore con la testa altrove. Yuuri si era limitato ad infilarsi le scarpe da ginnastica ai piedi e a riporre i pattini nello zaino, per poi partire di corsa verso la camera d’albergo, cuffiette nelle orecchie. Conoscendolo era capace di farsi un’altra mezz’ora di corsa per stremarsi, giusto per buttare fuori l’agitazione e collassare poi sul letto. Victor aveva imparato che era una delle cose più deleterie che potesse fare: il corpo inerte non impediva alla sua mente di macinare i pensieri e farsi risucchiare sempre più a fondo nelle sue paranoie. Ma a che pro farglielo presente?

Christophe Giacometti lo stava aspettando nell’atrio del palaghiaccio. Occhiali da sole sui capelli biondi nonostante fosse dicembre e vestiti informali, Victor sogghignò ammirando quanto l’avversario di tante gare sapesse essere affascinante anche fuori dalla pista. La sua performance sarebbe mancata, quell’anno.

“Ohi, single?” esclamò Chris, guardandosi attorno sorpreso.

Victor alzò per un attimo gli occhi al cielo e gli regalò un’espressione esasperata.

“Crisi, eh?” interpretò correttamente Chris. “Non dovresti da bravo coach stargli alle calcagna?”

Victor lo abbracciò brevemente.

“Andiamo a mangiare da qualche parte,” disse, evitando di rispondere alle sue domande. “Dimmi che sei in macchina.”

“Certo, per chi mi hai preso?” fece l’altro, avviandosi. “Andiamo sul mare.”

Victor non si rese conto di essere rimasto stranamente silenzioso durante tutto il viaggio in auto finché Chris non si mise a ridacchiare tra sé.

“Non ti vedevo così teso per una gara da…mai, credo,” lo prese in giro bonariamente.

Victor sospirò, passandosi una mano sul viso e poi tra i capelli.

“È anche colpa tua, sai? Avete insistito tutti perché tornassi a pattinare e adesso mi sto facendo venire il sangue amaro…” Sospirò ancora una volta, teatralmente, nella speranza che questo nascondesse la sua reale preoccupazione, poi aggiunse “E tu non ti sei nemmeno qualificato!”

Chris si strinse nelle spalle.

“Con le nuove leve che stanno crescendo la vedo sempre più grigia.” Sogghignò, lanciando un’occhiata al russo. “Mi sa che ho sbagliato a farti tornare a gareggiare; senza di te ora sarei in finale!”

Victor ridacchiò, scuotendo la testa.

“La verità è che siamo vecchi, Victor. Non dirmi che non lo senti anche tu.”

Victor non rispose; non serviva.

“Veramente tu hai solo ventisei anni,” ribatté invece. “Non starai mica pensando di ritirarti! Non puoi farmi questo. Dovrò pur avere un rivale…”

“No, non per ora, almeno. Quest’anno sono rimasto fuori per un soffio, ma ve la farò pagare agli Europei, vedrai. L’anno prossimo… Vedremo come va la preparazione atletica.”

Il mare brillava sotto il sole invernale. Victor era contento di essere in compagnia di qualcuno che rispettava come atleta e che stimava come persona, per di più una persona schietta e divertente come Chris; eppure anche lì al suo fianco sentiva la spina della malinconia punzecchiarlo. Forse era la consapevolezza di non essere con Yuuri in un momento di difficoltà, forse erano quei discorsi nostalgici a turbarlo un po’.

“Ho paura di non riuscire ad arrivare alle prossime Olimpiadi,” buttò lì, come se quello fosse un commento come un altro. “L’ho promesso a Yuuri, in qualche modo, che ci saremmo andati insieme. Dovrò rinunciare a qualche oro, Chris, non posso spingere troppo. La schiena non mi regge più.”

Chris, a quel discorso, stranamente sorrise.

“Tutto a favore del tuo bello, eh? Be’, preferisco che tu ti risparmi qui per averti di fronte al meglio a gennaio. Certo, deve bruciare non riuscire a riprendersi il proprio oro. La stella di Victor Nikiforov che tramonta… Chi l’avrebbe mai detto?”

Victor gli diede una gomitata.

“Non esageriamo adesso…”


 
 
“Yuri.”

Il giovane si bloccò mentre stava per addentare il proprio panino. Otabek, apparso da chissà dove, era in piedi di fianco a lui e lo fissava serio, ma la cosa in sé non era strana.

“Ti stai facendo tirare in mezzo ai giochetti di Seung-gil,” continuò il kazako.

Yuri aggrottò la fronte.

“Eh?”

Otabek non distolse gli occhi scuri dai suoi e Yuri seppe che gli stava vedendo dentro. Istintivamente si ingobbì, quasi potesse sottrarsi a quello scrutinio.

“Lo so che ti dà fastidio ciò che ha fatto con Katsuki, ma non ti riguarda.”

Yuri strinse le labbra, infastidito.

“In questo momento sembri Yakov. E non è un complimento… Io non mi faccio venire il sangue amaro per nessuno, soprattutto per quel buono a nulla di Katsudon.”

Otabek non cambiò neppure espressione. Continuò a fissarlo per qualche secondo, poi scrollò le spalle.

“Cerca di non fare nulla di avventato,” gli disse semplicemente, prima di fargli un breve cenno di saluto con la mano e allontanarsi.

Yuri soffiò fuori l’aria dal naso in un’espressione insolente. Che anche Otabek si mettesse a fargli la paternale, poi… Morse con ferocia il panino, trangugiandolo senza quasi masticarlo, mentre la sua mente richiamava alla memoria la scena a cui aveva assistito durante l’allenamento, quella mattina. Non capiva perché Yuuri gliel’avesse fatta passare liscia, ma poteva stare tranquillo che, se per colpa di quel coreano non avesse dato il meglio, allora lui in persona gli avrebbe dato una ripassata. Parola di Tigre della Russia.


 
 
Victor aprì la porta della camera quasi con timore. Ora che era arrivato si sentiva un po’ stupido, con quell’insalata da asporto in mano e l’istinto naturale di camminare in punta di piedi per non allarmare i nervi già scossi di Yuuri. Gettò uno sguardo attorno, cercando segni di vita da parte del compagno, ma ci mise un po’ ad individuarlo e quando lo fece sentì di aver perso un battito. Yuuri se ne stava seduto sul pavimento, incastrato tra il comodino e il letto, le gambe strette al petto e la testa tra le braccia. Ad un primo sguardo si poteva pensare che stesse dormendo, ma ad un occhio più attento non poteva sfuggire il tremito leggero della schiena. Stava piangendo? Difficile a dirsi e poteva aver smesso sentendo il rumore della porta che si apriva, per un irrazionale pudore… Ma cosa c’era di razionale nel comportamento di Yuuri in queste situazioni?

Victor si avvicinò un po’ di più e abbandonò il pranzo del compagno sul mobile più vicino.

Ty v poryadke?[1]” domandò, tentando il russo come lingua domestica.

Udì tirar su col naso, segno che Yuuri aveva pianto almeno fino a qualche minuto prima, e poi la sua voce arrochita rispondergli “Daijoubu[2].” Giapponese. Victor avrebbe dovuto aspettarselo.

Quando era andato a vivere con lui a San Pietroburgo, un anno prima, Victor si era illuso che Yuuri avrebbe presto appreso il russo. Fino a quel momento l’inglese era stata la loro lingua franca, per quanto ogni tanto non la padroneggiassero perfettamente, ma Victor credeva che nel giro di qualche mese lui e il compagno avrebbero potuto conversare tranquillamente nella propria lingua madre. Sbagliato. Yuuri non era esattamente un campione nelle lingue straniere, se ci si doveva basare sul livello raggiunto in una lingua semplice come l’inglese dopo cinque anni in America a studiare, figurarsi alle prese con una complicata come il russo. Sì, gli piaceva memorizzare alcune frasi da usare all’occasione ed era curioso, o forse lo trovava divertente; tuttavia da lì a conoscere e padroneggiare una lingua c’era un abisso. Alla fine di quei dodici mesi Yuuri capiva circa un terzo di ciò che gli diceva in russo e Victor poteva dire di essere quasi fluente in giapponese. Quella loro strana lingua mista basata sull’inglese, per cui tutti li prendevano in giro, era proprio figlia di quel lento studio reciproco, in cui capivano più di quanto fossero in grado di dire.

In verità Yuuri si sforzava di non parlare giapponese. C’erano solo tre casi in cui scivolava di nuovo nella propria lingua madre, a volte senza nemmeno rendersene conto: quando facevano l’amore, quando aveva sonno o era ancora nel dormiveglia, o quando era in preda ad una delle sue crisi d’ansia. Le prime due circostanze erano assai gradite a Victor, ma quel giorno si trovavano nel bel mezzo della terza. Il giapponese così perdeva gran parte del suo fascino.

“Non mi pare…” mormorò, quasi tra sé, accostandosi a lui con più convinzione.

Si sedette sul letto proprio accanto a dove si trovava Yuuri e rimase per un attimo in silenzio, ad osservarlo dall’alto. Eccola lì, la strana sensazione di disagio che sempre lo prendeva quando Yuuri piangeva.

Victor non era mai stato incline alle lacrime. Reagiva velocemente, si schermava dalle emozioni, si gettava alle spalle tutto ciò che non poteva o non voleva gestire e andava avanti. Gli era capitato di commuoversi, specialmente nell’ultimo anno e mezzo, da quando aveva fatto spazio alla vita e all’amore, e più raramente di piangere per rabbia e frustrazione. Aveva pianto di fronte a Yuuri, una volta, esattamente un anno prima, e si era sorpreso da solo, perché una reazione così violenta, da se stesso, non se l’era aspettata.

Yuuri invece piangeva con una facilità disarmante e le sue lacrime potevano significare qualsiasi cosa. Ogni emozione gli andava dritta alla testa e, c’era da metterci la mano sul fuoco, gli occhi gli si facevano lucidi. Si commuoveva con una naturalezza che Victor un po’ gli invidiava, perché lui quella sensibilità la stava riscoprendo alla tenera età di ventott’anni suonati, ma si era detto che probabilmente c’era anche uno stigma culturale nella sua educazione che aveva regalato al compagno una libertà che lui non aveva. Ad onor del vero, Yuuri non piangeva nemmeno così tanto; piuttosto si trovava spesso sul punto di. E a volte era per frustrazione, imbarazzo o malinconia, altre per gioia. Comunque fosse, rispetto a ciò a cui Victor era abituato, tutta quella lacrimazione era eccessiva e lo faceva sentire a disagio. Peggio, si sentiva inutile e stupido, perché quando Yuuri stava così male da piangere sul serio lui non sapeva mai cosa fare per farlo smettere.

“Ehi…” sussurrò, mettendogli una mano sulla schiena.

“Lo so che ti dà fastidio quando piango,” fece Yuuri alzando a malapena la testa, le parole che uscivano con difficoltà dalla sua gola, ma velate di un’aggressività mal trattenuta. “Lo so che pensi che queste mie crisi siano del tutto immotivate. Lo so, ma non posso farci niente.”

Victor si ritrasse appena, sorpreso.

“Non mi dà fastidio,” mentì, sperando non fosse troppo palese. “È solo che non lo capisco, tutto qua.”

“Non c’è niente da capire.”

“Mmm…” Victor si batté un dito sulle labbra in quel modo peculiare di cui forse non si accorgeva nemmeno più. “Invece io voglio capire.”

Yuuri alzò gli occhi, finalmente, caldi occhi castani arrossati dal pianto, e lo fissò. Ancora una volta Victor percepì in lui una forza e un’aggressività che non si accordavano alla fragilità che aveva creduto causa del suo attuale crollo.

“Ho solo pensato… L’anno scorso ha funzionato, quando ho pianto, prima del libero, mi sono sentito più leggero. Magari anche stavolta…”

“Ti senti meglio?”

Yuuri si scrutò i piedi, pensieroso. Victor sapeva che si stava analizzando, prendendo estremamente sul serio la domanda che gli aveva posto.

“Un po’,” mormorò poi. “Non ho ancora finito.”

A Victor scappò una risatina, perché quell’ammissione era la cosa più assurda che avrebbe potuto dire e per questo così terribilmente Yuuri da farlo innamorare da capo nonostante la tensione della gara in arrivo.

“È che questa volta è diverso,” continuò Yuuri. Ora che si analizzava, ora che Victor era con lui, metteva lentamente le cose in prospettiva e cercava di dar loro un senso. “Non… Non mi sento schiacciato dalla pressione. Non penso che farò schifo. È…”

Victor annuì.

“Sei arrabbiato,” disse, afferrandolo per un braccio e obbligandolo ad alzarsi e a mettersi seduto sul letto accanto a lui. Gli sarebbe venuta la gobba, se no, a starsene piegato su di lui come un avvoltoio.

“No… Non solo,” lo corresse Yuuri. “È che non capisco.”

Victor alzò un sopracciglio, sorridendo tra sé. La sensazione era familiare.

“Cosa?”

“Perché Seung-gil si comporta così. Non gli ho fatto niente. Non ha motivo di avercela con me.”

Victor questa volta rise abbastanza apertamente da sorprendere il compagno, che si voltò a fissarlo sconcertato.

“Oddio, scusa, ma… Forse non ci sei abituato, ma come fai a non capire?” Victor era sinceramente divertito dall’apparente mancanza di contatto con la realtà di Yuuri. Lo stesso Yuuri che quindici giorni prima, all’NHK Trophy, era salito sul gradino più alto del podio, relegando il coreano in seconda posizione. “Gli hai soffiato il primo posto per un pelo, soltanto due settimane fa. Sappiamo com’è Seung-gil… Anche lui ha un sacco di pressione addosso ed è un perfezionista.”

Yuuri scosse piano la testa. No, continuava a non capire.

“Vuole batterti. Sei il suo avversario diretto, al momento. Almeno nella sua testa. Probabilmente pensa che mettendoti sotto pressione ti farà venire una crisi di nervi tale da bruciarti la performance. C’è quasi riuscito…” Borbottò le ultime parole sottovoce, quasi come un ripensamento dell’ultimo momento.

“Ma ci sei tu!” obiettò Yuuri, testardo. “C’è JJ. Io non sono…”

“Yuuri,” lo bloccò Victor, vedendo già dove quelle osservazioni volevano andare a parare. “Ti rendi conto che potresti battermi con il tuo programma di gara, vero?” Gli occhi del compagno lo fissavano brillanti, incerti, timorosi. “Ho creato io le coreografie e sono il tuo coach. So perfettamente qual è il punteggio tecnico massimo a cui puoi aspirare e quali sono le tue capacità artistiche. Ho messo insieme i programmi di questa stagione pensando solo a come farti vincere l’oro, a costo di farti battere di nuovo il mio record. E tu puoi.” Sottolineò quell’ultima parola e stavolta non c’era menzogna nel suo discorso. Aveva guardato con attenzione gli allenamenti di Yuuri nelle ultime settimane. Sebbene in pubblico l’esecuzione risultasse ancora traballante in alcuni punti, l’aveva visto pattinare routine praticamente perfette quasi ogni giorno. Se solo avesse mostrato ai giudici ciò che aveva visto lui, nulla poteva togliergli la medaglia d’oro. Soprattutto non lui, in quel momento e con i suoi acciacchi fisici.

Yuuri boccheggiò, alla ricerca di qualcosa da dire, e Victor vide gli occhi riempirglisi nuovamente di lacrime. Prima che scoppiasse a piangere se lo strinse al petto, abbracciandolo con forza. Avvertì le dita afferrare il tessuto della felpa sulla sua schiena e torcerlo con una veemenza quasi disperata. Era silenzioso, ma percepiva i tremiti che gli scuotevano il corpo, il suo respiro caldo e umido contro il petto e la fronte premuta contro la sua spalla. Sospirò, arrendendosi all’impotenza, accettando di stare semplicemente lì, ad aspettare che Yuuri credesse alle parole che gli aveva detto. Perché stesse piangendo di nuovo era un ennesimo mistero, ma Victor iniziava a capire, non a livello razionale ma sottopelle. C’era troppa emozione, troppa intensità in Yuuri, che non sapeva gestire le novità, che rifuggiva il ruolo da protagonista pur desiderandolo. Non era abituato, psicologicamente, ad essere considerato un campione nemmeno dai suoi familiari, immaginarsi dai suoi stessi avversari. Avrebbe dovuto farsene una ragione, pensò Victor, affondando il naso nei suoi capelli neri e respirando piano il suo odore.

Con calma l’ondata di pianto si esaurì. Ora Yuuri respirava piano, profondamente, contro il petto di Victor, e se lui non avesse sentito i minuscoli movimenti del suo corpo che si accomodava ancor meglio nell’abbraccio avrebbe potuto pensare che si stesse addormentando. Pensandoci, l’idea non lo disgustava. Prima di gareggiare un riposino si poteva fare.

Si scostò un po’ da lui e gli rialzò il viso mettendogli due dita sotto il mento. Gli occhi che ricambiarono il suo sguardo erano intensi e brillanti, ma calmi. Così belli nella forma perfetta del suo viso completamente rilassato… Victor si chinò a rubargli un bacio a fior di labbra, poi un secondo, e un attimo dopo il bacio era diventato più profondo, più appassionato. Yuuri gli portò entrambe le mani al volto, chiudendole a coppa sulle sue guance, e Victor quasi mugolò di dolore quando si ritrasse.

“Basta baci,” sussurrò Yuuri, e la fatica di rispettare quell’indicazione traspariva chiaramente nella sua voce. “Poi mi agito di nuovo…”

“Ma fa bene,” si lamentò Victor. “È ottimo per scaricare i nervi!”

Yuuri rimase immobile per qualche secondo, interdetto.

“È per questo che abbiamo fatto sesso, ieri?” chiese a bruciapelo, incredulo.

Victor avrebbe potuto nicchiare, ma sarebbe stato scorretto.

“Non solo? Eri molto carino,” concesse. “Funziona, no?”

Yuuri lo fissò senza espressione.

“No.”

Victor rimase a bocca aperta per un attimo.

“Come no?”

“Ti sembravo calmo stamattina?”

Victor si strinse nelle spalle.

“Be’, io ero calmissimo.”

Yuuri scosse la testa.

“Sai cosa dovresti fare, ora?” disse Victor, cercando di cambiare argomento. “Mangiare qualcosa. Ti ho portato un’insalata. Fatta fare apposta per te con amore dal tuo allenatore preferito,” concluse civettuolo con una strizzatina d’occhio. “E poi un riposino…”

“Niente sesso, Victor.”

Victor si accasciò sulle coperte, gli occhi chiusi e una mano abbandonata sulla fronte.

“Come può un uomo così bello essere così crudelmente respinto?” motteggiò drammatico.

Lo sbuffo di risa di Yuuri gli gonfiò il cuore.


 

[1]   Ty v poryadke?: Stai bene?
[2]   Daijoubu: Tutto ok/Sto bene
 

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Capitolo 3
*** Marsiglia, venerdì 9 dicembre 2016, mattina ***


Marsiglia, venerdì 9 dicembre 2016, mattina.
 



Yuri si voltò nel letto con un mugugno infastidito. Non voleva alzarsi, quella mattina. A dire il vero avrebbe voluto dormire tutto il giorno fingendosi morto.

A leggere il feed delle notizie il programma corto della sera prima era stato una “gara brillante che ha tenuto tutti col fiato sospeso”. Testimonianza ne era la classifica provvisoria, “che vedeva i sei atleti racchiusi tutti nello scarto di dieci punti”. Per Yuri la situazione si traduceva più o meno così: tutti loro erano arrivati dignitosamente in fondo al programma, chi più chi meno, ma nessuno era riuscito a dare il meglio. Qualche sbavatura, qualche incertezza, qualche salto che perdeva rotazione li aveva tenuti tutti su punteggi al di sotto delle loro aspettative. Che poi fossero tutti racchiusi nello spazio di dieci punti non era così strepitoso. Erano solo sei, in teoria i più forti del momento (solo in teoria, perché la mente di Yuri persisteva nel sussurrargli che ci doveva essere stato qualche grosso errore nel processo di selezione), e dieci punti era più o meno quanto i loro risultati del corto fluttuavano da una gara all’altra. Se quel tabellone finale significava qualcosa era che chi era arrivato in finale a grandi linee si eguagliava. Ora, questo poteva anche essere una gran soddisfazione per il pubblico pagante, che voleva qualche seria sorpresa fino alla fine, ma per Yuri significava solo che lui era diventato ordinario mentre i brocchi avevano eroso un altro po’ del suo vantaggio. Cazzo, come odiava quella finale!

Victor ora se ne stava al primo posto, con quella solita faccia quasi sorpresa di essere il più forte in circolazione ma il sorriso sbruffone di chi sapeva bene il contrario, tuttavia con un punteggio di 104.87 aveva davvero poco da ridere, perché il pubblico sapeva che Nikiforov significava almeno 110. JJ e Seung-gil seguivano, poi c’era Otabek, primo degli esclusi da un ipotetico podio. Katsudon languiva in quinta posizione dopo una gara non pessima, ma ben al di sotto le sue capacità. Alla fine si era portato a casa un decoroso 97.24, ma le sbavature e i tentennamenti erano stati davvero tanti e il giapponese stesso aveva accolto il punteggio con un guizzo di pura rabbia. La frustrazione doveva essere enorme, soprattutto visto che aveva avuto tempo di montare in quei due giorni di allenamenti col coreano. Il programma corto era sempre stato un punto forte, per Yuuri, e si era un po’ abituato a spiccare nella prima giornata di gare; proprio come l’anno precedente a Barcellona quel maledetto 97 tornava a tormentarlo. Yuri sperava sinceramente che non si desse per vinto, ma che ribaltasse la situazione con un libero di un certo livello. L’aveva visto allenarsi, dopotutto, sapeva che il programma era davvero forte.

Oh, Yuri, tra parentesi, occupava un’inaspettata sesta e ultima posizione. La cosa peggiore era che non era neppure andato così male! Yuri si conosceva, sapeva di poter andare anche molto, ma molto peggio, viste le ultime settimane. No, aveva pattinato come una mezza calzetta qualsiasi, portando a casa un programma tentennante e noioso, ma fondamentalmente integro, e adesso se ne stava a quota 94.36 (lui, che un anno fa aveva spostato in su l’asticella del record mondiale a 118 punti!) a mangiarsi il fegato. Giornalisti, opinionisti e cialtroni, d’altronde, non avevano perso tempo a ricoprire intere pagine web di pungenti commenti denigratori della sua performance e la frase “Plisetsky avviato al ritiro a solo un anno dall’oro di Barcellona?” era stata realmente pronunciata. Se avesse avuto quel demente tra le mani non ne sarebbero rimaste neanche le ossa.

L’unica cosa positiva della sera precedente era stata la cena. Avendo una giornata di pausa prima del libero, erano andati tutti insieme in un ristorante locale e lì avevano assaggiato uno dei piatti forti marsigliesi: la bouillabaisse alla marsigliese, una specie di zuppa di pesce piccante, che l’aveva esaltato. Forse era semplicemente la fame, o forse erano anche i due bicchieri di vino bianco che era riuscito a scucire di nascosto ai suoi commensali, nonostante fosse ancora minorenne. Secondo lui, comunque, era il minimo che potessero fare per tenerlo buono.

Victor da solo, nell’euforia post-gara, se ne era scolato una bottiglia. Poi nei fumi dell’alcool si era messo a polemizzare sulla scelta del vino, perché per quanto buonissimo lui avrebbe voluto un rosé locale, e aveva lanciato via social qualche frecciatina in direzione di Seung-gil, che nonostante fosse stato invitato a cena era rimasto a macerarsi nella propria solitaria camera d’albergo. Yuri non si era dunque sorpreso quando quello aveva replicato (in pubblica piazza, a pieno sputtanamento mondiale) che il suo atteggiamento era molto cavalleresco, ma se Katsudon non aveva testa per gareggiare poteva anche ritirarsi. Che quella in fin dei conti era una guerra. La faccia del giapponese di fronte a quel commento, che peraltro ammetteva in modo abbastanza palese la sua volontà di provocare Yuuri in quei giorni, era stata impagabile.

Quella mattina si sentiva anche vagamente a disagio nei confronti di Victor e di Katsudon. Durante la cena si era lasciato andare a qualche commento acido sulla loro nauseante appiccicosità che aveva messo in imbarazzo Yuuri. Forse aveva esagerato un po’, forse non si dilungavano davvero così tanto in amoreggiamenti a bordo pista. Però bastava quel poco che vedeva a fargli intendere tutto il resto e questo gli dava fastidio. Lo metteva in difficoltà. Non sapeva perché e non voleva trovare una risposta, ma non voleva sapere nulla della loro relazione, nulla che non fosse il pattinaggio. E tuttavia si sentiva in colpa perché quando Katsudon era a disagio diventava più freddo e taciturno e questo inevitabilmente aveva fatto incupire anche Victor. Victor che la sera prima era stato davvero carino con lui.

Porco schifo, definire Victor carino era rivoltante, eppure gli riusciva difficile trovare un altro termine per ciò che aveva fatto. Perché poco prima dell’inizio del corto maschile, mentre si stavano scaldando, Victor l’aveva trascinato in bagno (ok, gliel’aveva chiesto, prima, ma lui l’aveva ignorato), fatto sedere sul ripiano dei lavandini e l’aveva truccato. O meglio, ci aveva provato, perché lui aveva opposto resistenza, se “Che cazzo pensi di fare?” urlato in faccia si poteva definire tale. Ma Victor aveva proseguito senza battere ciglio e dopo aver trafficato per qualche secondo con un paio di tubetti gli aveva applicato qualcosa sulla fronte con un dito.

“Sta’ fermo,” gli aveva detto, concentrato nel proprio lavoro. “Siamo fortunati, abbiamo più o meno la stessa carnagione.”

“Che stai facendo?” aveva mugugnato lui, senza più ribellarsi.

“Ti copro i brufoli,” aveva spiegato Victor atono. “Non ci fa caso nessuno, ma sembra che tu ne stia facendo una tragedia, per cui…”

“Ma così si vedrà che sono truccato!” aveva obiettato. “Si scioglierà col sudore!”

“Fidati, no?” gli aveva detto Victor, facendogli l’occhiolino. “Avrò un po’ di esperienza.” Si era avvicinato a guardare la sua fronte da vicino, mettendolo estremamente in imbarazzo, poi si era allontanato ad ammirare il risultato del proprio lavoro. “Là, perfetto. È solo un po’ di correttore e ne ho messo pochissimo. Non si vede nemmeno. Però migliora un po’ l’effetto generale. Guardati,” lo aveva incoraggiato poi, sciacquandosi le mani.

Yuri si era guardato e…Victor aveva ragione. I brufoli erano ancora lì, non se n’erano andati, ma il colorito era più uniforme e, anche osservandosi da vicino, non si notava praticamente nulla. Era una magia. Come avesse fatto rimaneva un mistero.

Yuri non sapeva perché Victor avesse fatto una cosa del genere. Aveva preso le sue cose e se n’era andato senza aggiungere altro e Yuri era rimasto lì a guardarsi nello specchio con sospetto, senza nemmeno ringraziarlo. Quel gesto insignificante e inaspettato l’aveva fatto sentire indescrivibilmente meglio. Per questo quasi si stava pentendo di aver mostrato tanta aggressività nei suoi confronti, più tardi.

Yuri si rivoltò nel letto, sospirando. Perché doveva sentire così tante emozioni contrastanti? Perché non poteva tornare a quando le cose erano facili, quando sapeva di essere il migliore e di poter vincere a occhi chiusi? Due anni prima era il campione Junior e non aveva nemmeno dovuto allenarsi tanto duramente per diventarlo. Era stato divertente. Poi un anno nei Senior, un anno di sudore, dolore e piccole umiliazioni, ma un anno in cui aveva mostrato di essere ancora al top, anche contro persone che avevano quasi il doppio della sua età. E ora di colpo questo. Otabek però aveva ragione, non era da lui piangersi addosso. Non gli si addiceva. Non lo faceva nemmeno stare meglio; tutt’al più lo faceva incazzare maggiormente. Non era Katsudon, che si chiudeva in bagno a piangere come un deficiente. Doveva reagire. Lo doveva a se stesso.

Si mise a sedere, sfregandosi con una mano i capelli arruffati. Doveva darsi un tono. Doveva fare qualcosa per svagarsi. Prese il cellulare e buttò giù velocemente un messaggio. Quando uscì dal bagno la risposta lampeggiava sullo schermo. Sarebbe andato a vedere gli allenamenti mattutini delle altre categorie, avrebbe preso un po’ in giro Mila in previsione del corto di quella sera e poi Otabek l’avrebbe portato a fare un giro. Sarebbe stata una bella giornata. Però prima doveva guardare i video del corto per accertarsi che il trucco non si vedesse.



 
 
Victor uscì dal bagno con gli occhi ancora semichiusi, cercando di capire se la testa gli pulsasse per la fame o il vino della sera prima.

“Buongiorno, dolcezza,” biascicò comunque con un sorriso smielato, passando un braccio attorno alla vita del suo fidanzato. Fidanzato che, con la grazia di un’anguilla, si sottrasse al suo abbraccio e si scostò da lui.

“Ti è passata la sbornia?” gli chiese Yuuri con un tono seccato che risvegliò subito Victor del tutto. Il compagno lo guardava con occhi duri e i lineamenti del viso rigidi di rabbia repressa.

“Che c’è?” domandò sorpreso, mostrando la sua miglior espressione innocente. In tutta sincerità non ricordava di aver fatto niente che avrebbe potuto far arrabbiare Yuuri. Almeno niente a cui Yuuri non fosse già abituato.

Per tutta risposta l’altro afferrò il cellulare che era rimasto abbandonato sul letto e glielo mise davanti al naso.

“Che diavolo ti è saltato in mente?” gli chiese, la voce tesa come una corda di violino.

Victor non capiva.

“Che ha il mio cellulare?”

Yuuri sbuffò. “Non dirmi che non ti ricordi…”

Victor prese in mano il telefono, lo sbloccò e diede un’occhiata alle notifiche. Lentamente un sospetto iniziò a far capolino nel suo cervello.

“Per caso ti stai riferendo alla mia scaramuccia online con Seung-gil?” tentò, speranzoso.

“C’è altro per cui dovrei essere così arrabbiato?” ribatté Yuuri, e l’ombra di un dubbio parve attraversargli davvero gli occhi.

“No… Cioè, non capisco nemmeno perché sei così arrabbiato per questo. È una cretinata…”

Di nuovo il compagno sbuffò, un sospiro di pura frustrazione, poi si voltò e si andò a sedere sul letto, lo sguardo perso fuori dalla finestra.

Victor lo fissò in silenzio, il malumore che gli cresceva dentro di minuto in minuto.

“Non mi sembra di aver fatto niente di male,” disse infine. “Semmai ti ho difeso.”

“Appunto!” esclamò Yuuri, tornando a guardarlo di colpo, gli occhi brucianti.

Un silenzio pesante e scomodo tornò a calare nella stanza. Alla lunga Victor scosse la testa piano, incapace di dare un senso a tutta quella conversazione.

“No,” mormorò soltanto, “non capisco. Se hai intenzione di litigare dovrai dirmi le cose in faccia, perché non ti capisco.”

Yuuri afferrò il proprio telefono e si mise a cercare qualcosa.

Che cavaliere!; Non toccate Katsuki o Nikiforov vi mozza la mano!; Ma povero Yuuri, gli serve la mamma!; Pattinatori gay ne abbiamo?”, lesse, scandendo con cura le parole. “#PrinceCharming, #PrincessInDistress, #thegayest.” Alzò gli occhi dal display su Victor, che lo aveva ascoltato con un misto di ilarità e fastidio. “Continuo?”

“No, mi sono fatto un’idea.”

Yuuri alzò gli occhi, alla ricerca delle parole per esprimere ciò che provava, probabilmente.

“Questa cosa mi fa sentire così…ridicolo.”

Victor si passò una mano dietro al collo, accarezzandosi i capelli sulla nuca.

“Non pensavo ti mettesse a disagio il fatto che la nostra relazione fosse pubblica,” biascicò. Sinceramente, che a Yuuri questa cosa pesasse lo feriva persino un po’. Non avevano parlato di sposarsi due giorni prima? Di farlo prima delle Olimpiadi? Poteva aver male interpretato e scoprire solo ora che Yuuri voleva insabbiare il tutto il più possibile?

“Non me ne frega niente se tutto il mondo sa che stiamo insieme!” sbottò il compagno.

Victor sbatté le palpebre.

“E allora…?”

“Non ho bisogno di essere difeso. Soprattutto non su internet!” Inspirò a fondo, stringendo le labbra. “Una volta mi hai detto che io non sono un debole. Che nessuno dei miei amici pensa che lo sia, e nemmeno tu.”

“È vero,” confermò di slancio Victor. “Non l’ho mai pensato.”

“Eppure è così che mi hai fatto sentire,” recriminò Yuuri. “Debole. Un incapace.”

Victor lo osservò per qualche secondo in silenzio. Ora capiva, ricordava bene il discorso a cui si riferiva Yuuri e sapeva quanto avesse significato, quell’aprirsi a lui, quella confidenza, per l’inizio della loro relazione. Però sentiva anche un senso di fastidio, di frustrazione, che iniziava a trasformarsi in rabbia.

“Quindi cosa ti aspettavi che facessi?” ribatté, la voce più dura. “Che stessi a guardare mentre ti piangevi addosso?”

Gli occhi di Yuuri si dilatarono. Colpito e affondato, pensò Victor, dispiacendosene un istante dopo, ma ormai il dado era tratto.

“Non penso che tu sia debole, né tantomeno un incapace, ma da quando Seung-gil ha iniziato a provocarti tu non sei più riuscito a mettere insieme un programma decente. Cos’avrei dovuto fare?”

“Niente!” esclamò Yuuri. “Ti avevo detto niente scenate.”

“Ma non puoi pretendere che me ne stia a guardare mentre butti via una finale!” ribatté Victor. Ora si stava davvero arrabbiando. “Non puoi aggirarti con quella faccia e chiuderti in camera a piangere e poi pretendere che chi ti sta vicino non faccia niente!” Victor vide la mascella di Yuuri serrarsi, i muscoli del suo viso distendersi in quella che era la sua più fredda espressione, quella formale e priva di emozioni, e si infuriò. Con tre passi raggiunse il compagno e gli si parò davanti. “Non ci provare neanche, non mi chiudere fuori. So perfettamente come fai: fingi di star bene, ti chiudi in te stesso, allontani tutti gli altri. Non te lo permetto.”

“Victor…”

“Se vuoi il mio parere, tutta questa storia è assurda. Seung-gil è un idiota e non dovresti nemmeno dedicargli un minuto dei tuoi pensieri. Se hai paura per la tua incolumità parlagli, digli di smetterla, ma se pensi che sia tutta scena allora ignoralo e pensa alla tua gara.”

Yuuri sembrò a corto di risposte, ma non del tutto convinto. D’altronde era più testardo di un mulo, quando ci si metteva. Victor si voltò e scrutò il grigio paesaggio urbano fuori dalla finestra della camera. Deprimente a dir poco.

“Si può sapere perché dobbiamo sempre litigare alla finale del Grand Prix?” domandò dopo un po’, la voce dolente. “È snervante.”

“Mi dispiace,” rispose la voce di uno a cui non dispiaceva per niente.

“Perché non puoi mai fare un passo indietro?” insisté Victor, voltandosi di nuovo a guardarlo.

“Senti, lasciamo perdere. Non è il momento. Domani c’è il libero, devi concentrarti su quello,” snocciolò Yuuri, la voce atona.

“E tu no?”

Non ottenne risposta. Yuuri tenne gli occhi bassi e si rinchiuse nel suo silenzio di tomba.

Victor trasse un profondo respiro, imponendosi la calma, e gli mise le mani sulle spalle, esortandolo ad alzare il viso.

“Colazione. Poi andiamo a fare un giro. C’è il mare, possiamo stare in silenzio a guardare i gabbiani e potrai odiarmi per il resto della giornata, se vorrai, ma mi rifiuto di passare le prossime 24 ore a fingere di non conoscerci. Sarebbe uno strazio. L’anno scorso mi ha insegnato almeno questo…”

Victor capiva cosa significasse sentirsi deboli meglio di quanto Yuuri potesse immaginare. Quando Yuuri lo guardava con quegli occhi grandi, brillanti, che gli occhiali non riuscivano a nascondere, Victor si sentiva in balia delle sue mille nevrosi, delle sue angosce, dei suoi silenzi, e allora si sentiva debole, perché anche se aveva ragione, alla fine era sempre lui a fare un passo indietro. Yuuri sarebbe tornato in sé, lo sapeva, perché quelle crisi erano passeggere, ma se c’era davvero qualcuno in comando, nella loro coppia, di certo non era Victor.

“È difficile,” mormorò dopo qualche secondo l’altro.

Victor annuì.

“Lo so.”

“Non sono in vena di fare la coppietta in gi–”

“Va bene così,” lo interruppe Victor. “Non ti ho chiesto niente. Soltanto di non tagliarmi fuori.”

Yuuri annuì.

“Se c’è una spiaggia…” biascicò, tentennante.

Victor piegò le labbra in un sorriso, per quanto fosse segnato dalla fatica.

“Cerchiamola.”

“Ok.”

Victor tirò un profondo respiro, lasciandosi poi cadere seduto di fianco al compagno.

“Più tardi però voglio andare al palazzetto, quando abbiamo il turno sulla pista secondaria,” fece Yuuri inaspettatamente, gli occhi bassi ma non più così distaccati. “Per scaldarci, almeno, fare un po’ di stretching. Devi tenerlo in allenamento, quel fianco, se domani non vuoi farti male.”

Victor sentì il cuore stringersi in modo quasi doloroso.

“Yuuri?” lo richiamò.

“Mh?”

Victor sorrise, dandosi mentalmente dello sciocco. Era proprio un caso senza speranza.

“Niente,” mormorò con voce dolce e prima che Yuuri potesse accorgersene gli posò un bacio all’angolo della bocca. “Scendiamo.”

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Capitolo 4
*** Marsiglia, sabato 10 dicembre 2016, mattina. ***


Ed eccoci arrivati al giorno del libero. Essendo un giorno importante e pieno di avvenimenti lo suddividerò in due parti: la giornata e la serata. Quindi per i festeggiamenti bisognerà aspettare...
Gli eventi all'interno delle mie storie sul pattinaggio prendono sempre (o quasi sempre) spunto da avvenimenti reali, soprattutto le disgrazie. Quindi qualcuno potrebbe aver riconosciuto nei comportamenti di Seung-gil una polemica avvenuta davvero qualche anno fa, così come ciò che avverrà in questo capitolo è qualcosa di accaduto veramente. Mi diverte infilare questi riferimenti e immaginare se i miei lettori siano in grado di riconoscere nomi ed eventi originali. Insomma, fatemi sapere se avete memoria di ciò che racconto... ;)
Detto questo vi auguro buona lettura. Che la classifica finale possa soddisfarvi...




Marsiglia, sabato 10 dicembre 2016, mattina.


 
La giornata di pausa gli aveva giovato. Yuri si sentiva meglio, più concentrato, più rilassato, per quanto vivesse coi nervi a fior di pelle. Gli allenamenti dei finalisti Junior erano stati divertenti, così come quelli delle altre categorie Senior. C’era una piccola promessa del pattinaggio russo, solo dodicenne, che si era mostrata superiore alle compagne di gara in modo schiacciante, dando loro, durante il programma libero del pomeriggio, uno stacco di quasi quaranta punti. L’aveva guardata in allenamento con una punta di nostalgia, pensando a quando anche lui era così, dannatamente forte e lanciato verso l’entrata trionfale nella categoria Senior. Anche Mila si era difesa bene e, finito il corto, era in seconda posizione, per quanto l’italiana le stesse col fiato sul collo. Certo, avrebbero dovuto uccidere quelle maledette giapponesi…

Marsiglia era una città strana, non esattamente esaltante ma interessante se visitata con Otabek. Sembrava conoscere sempre qualcuno in qualche club o locale del posto, da cui si faceva dare notizie e suggerimenti per il poco tempo libero che potevano ritagliarsi. Alla fine si erano divertiti e Yuri aveva dovuto firmare pochissimi autografi e posare per pochissime foto, cosa che l’aveva rallegrato in modo indicibile. Le fan erano anche simpatiche, sempre ricche di complimenti e regali, ma lui faceva proprio fatica a digerire la loro invadenza e il loro fanatismo isterico.

La cosa che probabilmente l’aveva reso più felice era stata allontanarsi dalla funesta presenza di Victor e Yuuri. Non li aveva visti né sentiti per tutto il giorno, non sapeva cosa avessero fatto e non aveva dedicato loro nemmeno un fuggevole pensiero. Si era concentrato su se stesso dimenticandosi piattole e decrepiti dongiovanni ed era stato bellissimo.

Ora, tornato sul ghiaccio e agli allenamenti per l’ultima uscita pubblica prima della gara della sera, il suo fisico rispondeva bene. Era riuscito ad atterrare il quadruplo Toe Loop, persino in combinazione, ma il Salchow non voleva proprio saperne. L’Axel era un altro elemento altalenante. Ciò che aveva capito era che per riuscire a farlo correttamente doveva cambiare l’angolo di salto, ma per farlo era obbligato a darsi una spinta molto maggiore e di conseguenza la fatica era raddoppiata. Già normalmente gli mancava il fiato, arrivato in fondo, figurarsi con quello sforzo. Poteva farlo, sapeva di poterlo fare, ma le braccia sopra la testa… No, quelle proprio non se le poteva permettere. E con un solo quadruplo presentabile non avrebbe mai potuto recuperare.

Intanto l’interminabile soap opera sul ghiaccio continuava. Seung-gil aveva ricominciato con la sua sceneggiata di sfida nei confronti di Katsudon, questa volta con un sorriso di aperto scherno sul volto, e Yuuri aveva già fallito un Axel. A Yuri questa situazione stava seriamente dando alla testa. Katsudon aveva delle serie chance di vincere, quella stagione; Yuri sapeva che, se fosse riuscito a mantenere l’autocontrollo, sarebbe stato da considerare uno dei favoriti. Forse lui non se ne accorgeva, perché aveva il grasso nel cervello che gli rallentava i processi mentali, ma lì ne erano tutti consapevoli e il nervosismo che andava diffondendosi per il comportamento del coreano stava mandando a puttane l’intera gara. Per quanto il programma corto fosse stato un po’ deludente, quel 97 non gli pregiudicava certo l’oro (bastava pensare a ciò che aveva combinato l’anno precedente, arrivando secondo per un pugno di centesimi); e vederlo ricominciare a inciampare nei propri piedi a quel modo era qualcosa che Yuri proprio non poteva sopportare. A chi sarebbe andato il terzo posto, con Victor e Otabek ai vertici? JJ? Il coreano di merda? Non era nemmeno pensabile.

Sul viso di Yuri si andò disegnando un sogghigno perfido. Seung-gil voleva giocare pesante? Avrebbe trovato pane per i suoi denti. Tanto, cos’aveva da perdere? Avrebbe rischiato.

Al successivo giro di pista prese velocità. Seguì con lo sguardo il coreano che procedeva in direzione opposta lungo il bordo, preparando con ogni probabilità un Axel. Yuri giunse in prossimità della curva e si voltò di spalle, nella sequenza che precedeva un normalissimo Lutz, limitandosi a stringere l’angolo di qualche grado di troppo, giusto quanto sapeva sarebbe stato sufficiente per ritrovarsi esattamente sulla strada dell’altro. Se fosse stato furbo, Seung-gil avrebbe cambiato direzione all’ultimo, rischiando al massimo di cadere e scivolare contro la balaustra. Avrebbe provato sulla sua pelle cosa voleva dire, subire le angherie di un avversario. Cambiò filo della lama due volte, allungò la gamba indietro, fece per darsi la spinta e si voltò per saltare. Il mondo di colpo si capovolse.


 
 
Victor non vide esattamente l’incidente nell’attimo in cui ebbe luogo. In quel momento si trovava al lato opposto della pista ed era troppo concentrato su se stesso per concedere attenzioni agli altri pattinatori. Però sentì l’urlo degli spettatori presenti e il tonfo. Si voltò di colpo, una morsa gelida a strizzargli lo stomaco, ma un secondo dopo Yuuri gli scivolò di fianco e la stretta si allentò. Non era lui, si disse per tranquillizzarsi, Yuuri stava bene, non gli era successo nulla… JJ stava continuando a provare i propri salti imperturbabile, ma avvicinandosi Victor vide che accanto alla balaustra c’erano due figure accasciate sul ghiaccio, apparentemente immobili. Li riconobbe subito: Seung-gil e Yurio.

“Cazzo!” sibilò, incapace di trattenersi dall’accelerare l’andatura e portarsi accanto ai due infortunati. Yuuri era già in ginocchio accanto a Yurio e gesticolava vistosamente in direzione di Yakov. “Vrach[1]!” urlò Victor, ansioso di fugare ogni dubbio, prima di fermarsi accanto a Yuuri e soppesare la situazione. Seung-gil era accartocciato su se stesso in posizione fetale e si teneva il fianco, ma nonostante i gemiti di dolore non sembrava visibilmente ferito. Yuri invece era sdraiato e si teneva una mano sulla fronte, da cui scendeva un rivoletto di sangue.

“Sta bene, è cosciente,” fece Yuuri, e Victor non avrebbe saputo dire se stesse cercando di tranquillizzare lui o se stesso.

“Riprendi a pattinare,” gli disse Victor, incapace al momento di staccare gli occhi da Yuri, lo sguardo che saettava su e giù alla ricerca di una posizione innaturale, di uno strappo, di un taglio…

“Ma…” iniziò a replicare Yuuri, ma Victor gli rivolse un’occhiata che non lasciava posto a ulteriori commenti.

“Continua l’allenamento,” ripeté, categorico. “Sta bene, adesso arrivano i medici. Non ha bisogno che lo consoliamo, non è un bambino.”

Yuuri esalò un sospiro contrariato e nei suoi occhi si poteva leggere chiaramente la preoccupazione per il giovane russo, ma per una volta decise di fare ciò che il suo allenatore gli aveva ordinato. Lentamente si allontanò dal gruppetto, pattinando all’indietro, e tornò a provare.

Victor riportò la propria attenzione su Yuri. C’era qualcosa che non andava nell’angolo delle spalle.

“Sono atterrato di faccia,” mugugnò piano il ragazzo, scostando la mano dalla fronte. Un grosso segno rosso si stava già gonfiando in quello che sarebbe diventato un bernoccolo di tutto rispetto e c’era un piccolo taglio, ma nulla di grave in apparenza. “Sono rimasto sfigurato?”

Che idiota, pensò Victor, in una situazione simile pensava ancora alla sua bella faccina? O era un modo per esorcizzare lo shock dell’incidente?

“No, sei un gattino spelacchiato, come sempre,” rispose asciutto Victor. “Credo che la spalla sinistra sia lussata. Non muoverti, ok? È una cosa da nulla.” Vedeva già con la coda dell’occhio i movimenti frenetici degli addetti alla sicurezza all’ingresso della pista. “Stanno venendo a prenderti,” gli annunciò, rialzandosi in piedi.

“Se quel maiale non arriva almeno terzo…” biascicò Yuri, ma Victor non sentì altro, perché i piedi avevano già ricominciato a muoversi e le gambe a spingere per acquistare velocità. Era un mondo crudele, quello del pattinaggio, pieno di creatività, arte e spensieratezza nei momenti migliori, ma che nascondeva una faccia fredda e spietata. C’erano regole scritte e leggi inespresse che tutti dovevano rispettare. Quando un pattinatore rimaneva a terra, per quanto fosse un proprio amico, finché gli allenamenti non venivano ufficialmente sospesi gli altri dovevano proseguire.

Vide la barella portare fuori Seung-gil, mentre Yuri veniva aiutato ad alzarsi in piedi da due soccorritori che, sorreggendolo, lo scortarono fino all’uscita. Notò la fatica con cui il ragazzo metteva piede fuori dalla pista e i pochi passi incerti prima che gli cedessero le gambe. Yakov fu al suo fianco in un secondo, Victor poteva sentire le sue imprecazioni a quasi trenta metri di distanza. Sarebbe andato tutto bene, si disse, la botta era stata forte e certamente quella spalla era fuori sede, ma non era nulla di davvero preoccupante. Un incidente, come spesso capitavano sul ghiaccio. Soprattutto a chi giocava a provocare e a chi tendeva ad accogliere le sfide a testa bassa… Passando di fianco a Otabek gli mise brevemente una mano sulla spalla, mostrandogli un secondo dopo il pollice alzato. Il kazako annuì, serio, e proseguì la propria routine.

Era davvero un mondo per gente coi nervi d’acciaio, si ripeté ancora una volta Victor, accodandosi a Yuuri e portandosi davanti a lui per frenarlo. Il suo allievo questo ancora non l’aveva capito, nonostante fosse nell’arena da anni. Fortunatamente il suo allenatore ora era lui.

“Andrà tutto bene, non è niente di grave,” gli comunicò a bassa voce, tenendolo per le spalle e guardandolo dritto negli occhi. “Temo che tutto il testosterone coreano abbia annebbiato la vista al nostro torello. Ora però non hai più scuse,” concluse, ammiccando in quel modo che sapeva rimproverare duramente pur mantenendo un tono ironico e leggero.

Yuuri lo fissò con espressione seria e determinata, poi annuì.  

“Lo so,” disse solo, e senza dire altro lo aggirò e ricominciò a provare.

Victor, segretamente, sorrise.


 
 
 
“Sei sicuro di farcela?”

Yakov lo guardò in cagnesco, ringhiandogli contro quella domanda con tutta l’ansia che aveva in corpo. Era preoccupato da morire e a Yuri faceva venir voglia di ridere. In verità tutta l’attenzione che era stata riversata su di lui dal team di supporto l’aveva ripagato enormemente del dolore lancinante e del fastidio delle ore seguenti. Sublussazione della spalla. Era stato fortunato, a sentire il medico. Era una grave sublussazione, ma pur sempre parziale, il che significava meno settimane di tutore e di riabilitazione. Un casino, i Nazionali andati a puttane, ma meglio di tante altre opzioni. (Muscoli lacerati, emorragie interne, legamenti e nervi lesionati… Yuri s’era fatto una cultura in quelle poche ore.)

Dopo l’incidente aveva trascorso il resto della giornata tra il pronto soccorso e l’infermeria del palaghiaccio. La spalla era tornata in sede piuttosto facilmente ma il dolore era stato da togliere il fiato. Ciononostante era stato nulla, rispetto al momento in cui il medico gli aveva detto che intendevano fasciargli il braccio e la spalla perché non li muovesse. Yuri riteneva che non avessero spesso avuto il piacere di udire tante ingiurie urlate in tante lingue diverse tutte insieme. Come se una cosa da nulla come quella potesse fermarlo dal concludere la competizione! Aveva dovuto sgolarsi un bel po’, ma alla fine era riuscito a convincere Yakov a trovare una soluzione temporanea che gli desse il tempo di esibirsi; poi avrebbe fatto il bravo, si sarebbe lasciato fasciare anche il pisello, se ci tenevano tanto, e avrebbe portato il tutore come un bravo bambino.

“E che ci vuole?” rispose strafottente, muovendo il braccio sinistro con evidente sbruffoneria e ritrovandosi a strizzare gli occhi un attimo dopo in un’involontaria espressione di dolore. Nonostante gli antidolorifici che gli giravano in corpo e gli impacchi gelati ogni ora, la spalla faceva ancora male quando la muoveva e la ferita sulla fronte tirava.

“Devi stare attento. Se ci cadi sopra è rotta e sei fuori gioco,” gli intimò l’allenatore cupo.

“Lo so, lo so,” sbuffò Yuri, allacciandosi i pattini con gesti stizziti – almeno per quel che riguardava il braccio destro, cioè quello buono.

“Te li stringo io?” propose Yakov dopo aver osservato i suoi miseri tentativi.

Yuri arrossì. 

“Se proprio lo ritieni necessario…” brontolò, lasciando cadere i lacci e voltando la testa dall’altra parte. Intuì i movimenti di Yakov più che vederli: il vecchio allenatore che si inginocchiava di fronte a lui ansimando leggermente per lo sforzo e prendeva a stringere i lacci dei pattini con presa esperta e sicura. Yuri non ricordava più quand’era l’ultima volta che qualcuno gli aveva allacciato i pattini da ghiaccio, ma doveva per forza essere una memoria che si perdeva nei primi anni della sua infanzia. Era estremamente imbarazzante, ma gli riscaldava qualcosa dentro che lo faceva stare bene.

Yakov si rimise in piedi, sbuffando per la fatica, e si fermò a scrutarlo in silenzio. Yuri ricambiò lo sguardo senza timore: se fino a quella mattina aveva avuto paura di trovarvi rabbia e delusione, ora sapeva di poter tenere la testa alta. Trascorsero qualche secondo così, poi Yakov gli mise una mano sulla spalla sana e la strinse con forza.

“Sono orgoglioso di te, Yuratchka,” sentenziò, e solo l’occhio allenato avrebbe intuito l’accenno di sorriso sulle labbra dell’uomo. “Però ricordati che se ti metti di nuovo a fare il deficiente per dimostrare di essere più incosciente degli altri, ti spacco io entrambe le braccia, altro che spalla!” continuò, la voce che si accalorava via via, trasformandosi nel consueto latrato irato.

Yuri chiuse gli occhi. Sì, sì, lo sapeva perfettamente, niente più colpi di testa per quest’anno. E ciononostante il sorriso compiaciuto non pareva intenzionato ad andarsene dalle sue labbra. Nonostante tutto, Yakov era ancora orgoglioso di lui.


 
 
 
“Mi sono comportato come uno stupido, questa settimana, vero?”

Victor si voltò a guardare Yuuri che, impegnato a fare stretching di riscaldamento di fianco a lui, non lo stava nemmeno guardando.

“Mmm…” Prese tempo, forzando la torsione del bacino fino a che sentì il consueto lieve bruciore della tensione massima. “Hai avuto settimane migliori,” ammise poi, in tono morbido e affettuosamente scherzoso.

Yuri strinse le labbra.

“Sono stato terribile. Mi dispiace…” mormorò.

Victor sorrise.

“Ehi,” lo richiamò, “non è il momento di metterti a tormentarti. Ora hai altro a cui pensare.”

Yuri si voltò, cambiando posizione.

“Victor?”

“Mh?” Allungò la gamba indietro ed espirò, chiudendo gli occhi.

“Mi dispiace, ma questa volta arriverai secondo.”

Victor non poteva vedere l’espressione sul suo volto, ma l’inflessione nella sua voce era inconfondibile. Forte e determinata, quella personalità ultimamente iniziava a farsi vedere sempre più spesso al momento giusto. Gli suscitava un calore nello stomaco a cui ancora non riusciva a dare un nome, ma che fosse orgoglio, tenerezza o eccitazione non cambiava il fatto che non si sarebbe mai stancato di vederla uscire allo scoperto.

“Uh, è una promessa? Eccitante…” sussurrò, sogghignando di anticipazione.

 

 
 
Alla fine non era arrivato ultimo. Era incredibile, ma era successo davvero. Non che lui avesse brillato, ma con un po’ di fortuna e di rischio calcolato era riuscito a stare in piedi. Aveva evitato il quadruplo Salchow fino all’ultimo, per non rischiare di giocarsi tutto il resto del programma con una brutta caduta; ovviamente non era riuscito a completarlo correttamente ed era scivolato, ma aveva protetto la spalla infortunata e si era subito rialzato. Semplicemente non aveva osato più di quanto non fosse quasi certo di saper gestire. Il punteggio finale era un penoso (ma non vergognoso) 180.64, ma era quanto bastava a superare Seung-gil. Yuri non sapeva quanto si fosse fatto male nell’impatto, ma dava per scontato che la risposta fosse meno di lui. Aveva sicuramente battuto il fianco, probabilmente contro il suo ginocchio, ma di certo non aveva nulla di rotto. Al massimo un paio di costole incrinate… Eppure al momento del libero era apparso fiacco e insicuro e aveva inanellato una serie di patetiche cadute, che lo avevano fatto scivolare in fondo alla classifica. Yuri non credeva fosse possibile godere così tanto pur risultando così scarso.

Un’altra cosa che l’aveva fatto godere era la crisi di nervi che, ancora una volta, aveva colpito JJ al momento di scendere in pista. A quel punto pareva chiaro che il canadese soffrisse di una certa ansia da prestazione, e Yuri sospettava che questa colpisse soprattutto nel mettersi a confronto con Otabek, suo vecchio compagno di allenamenti. Forse era stata proprio la performance potente e incisiva di Otabek, più in forma che mai e con un nuovo quadruplo nel mazzo, a mettergli addosso l’ansia. JJ non era andato malissimo, ma si era mangiato il pieno punteggio su tre salti che, nella corsa finale, avrebbero davvero fatto la differenza. A Yuri non interessava neanche tanto capire cosa facesse perdere concentrazione al canadese, perché la soddisfazione era vedere il proprio amico veleggiare verso il podio mentre l’altro affondava in quarta posizione.

Il podio finale aveva lasciato a bocca aperta diversi tra gli spettatori e non solo. Anche Yuri, sotto sotto, era un po’ sotto shock, semplicemente perché Victor non era sul gradino più alto e questa era una novità per tutti. Victor aveva abbassato per qualche motivo la difficoltà tecnica del proprio libero e, nonostante una buona esecuzione con qualche minima sbavatura, aveva totalizzato 210,84. Ora, per altri pattinatori un punteggio così sarebbe stato da considerare stellare (Yuri stesso in primis), ma per Victor Nikiforov era strano. Forse aveva abituato troppo bene i suoi estimatori, forse anche quello era un modo per stupire la folla…anche se un modo piuttosto negativo. Yuri conosceva il repertorio di salti di Victor e aveva notato, come i commentatori, la sparizione di uno dei quadrupli dal programma. Qualcuno aveva malignamente commentato che stesse cercando di fare un favore al suo amichetto, ma l’espressione sul suo viso alla fine del pezzo era inconfondibile: Victor aveva sì abbassato la difficoltà tecnica, ma doveva averlo fatto a ragion veduta, perché quello che aveva concluso con un sorriso tirato a nascondere l’affanno (Yuri era certo che solo i suoi compagni di allenamenti fossero in grado di scorgere quei dettagli, ma erano lì, per chi aveva occhi per vedere) era un libero quasi al limite delle sue capacità. Per un attimo, come un flash, gli era balenata in testa l’idea che la leggenda stesse davvero, in qualche modo, invecchiando e il solo pensiero l’aveva colmato d’orrore.

Restava il fatto che Victor fosse un pattinatore di livello spettacolare e che solo due anni prima avrebbe vinto comunque la finale del Grand Prix a mani basse, quindi come mai non era sul gradino più alto del podio? Yuri non sapeva come definire ciò che era successo: Victor era Victor, movimenti eleganti e fluidi, in perfetto accordo con la musica, ampia varietà di salti discretamente eseguiti, se non sempre al meglio…eppure di colpo non bastava più per vincere. Ed era colpa di Katsudon.

Il giapponese non aveva neppure avuto bisogno di eguagliare il proprio record mondiale dell’anno precedente: con un punteggio allucinante di 219,61 aveva totalizzato 316,83, un intero punto più di Victor, ed era andato a vincere la medaglia d’oro. Yuri era sconvolto e turbato da una serie di emozioni contrastanti in merito. C’era una parte di lui che si sentiva felice per il suo omonimo, poiché, per quanto non volesse ammetterlo, a furia di averci a che fare un po’ ci si era affezionato e allenandosi sulla sua stessa pista aveva visto quanta fatica, sacrifici e soprattutto quante ore di indefesso lavoro ci fossero dietro al suo successo. Una volta aveva chiesto a Victor come aveva fatto, l’anno precedente, a stargli dietro anche solo come allenatore e l’altro aveva risposto con schiettezza che, semplicemente, l’aveva lasciato fare per gran parte del tempo, accettando come inevitabili le sue sessioni, spesso serali, di pratica in solitaria. Tuttavia, se da una parte apprezzava la sua dedizione e aveva sempre stimato le sue capacità artistiche, dall’altra i suoi miglioramenti nelle componenti tecniche lo terrorizzavano. Yuuri stava perfezionando le proprie capacità troppo velocemente. Yuri voleva tenergli testa, scontrarsi con lui e batterlo nelle gare future, ma con le sue attuali abilità era impossibile. Peggio, bisognava ammetterlo: nell’attuale forma fisica Katsudon era allo stesso livello di Victor, se non superiore.

Un unico pensiero lo consolava, e cioè che lui era molto più giovane e, superata quella parentesi problematica, avrebbe avuto un sacco di tempo per migliorare i salti e impararne di nuovi, mentre il giapponese era già al culmine della sua carriera sportiva. E non era da sottovalutare l’utilità di avercelo davanti ad allenarsi tutti i giorni, perché non c’era modo migliore per imparare nuovi salti che copiare chi già li sapeva fare. Victor e Yuuri in questo erano ottimi strumenti. Sì, arrivato in fondo alla finale dei Grand Prix, Yuri tornava a San Pietroburgo con la ferma intenzione di implorare Lilia di ricominciare da capo il lavoro su di lui. Aveva buttato via il suo corpo e si era detto disposto a vendere l’anima già una volta, pur di vincere. L’avrebbe rifatto, avrebbe dato ancor di più, tutte le volte che fosse stato necessario, e nel frattempo avrebbe ampliato il proprio repertorio. Forse ci sarebbe voluto tempo, ma avrebbe raggiunto quei due alla vetta e poi li avrebbe superati.
 


 
 
Arrivare secondo al Grand Prix era stato un trauma. Victor non se l’aspettava; aveva sottovalutato la cosa, probabilmente, ma l’impatto della notizia, quando aveva visto il punteggio del libero e il totale finale, gli aveva tolto il fiato. Era stato difficile, sul momento, sorridere e salutare come se niente fosse, ed era stato ancor più difficile fare pace nel proprio cervello con la consapevolezza che la persona che l’aveva battuto altri non era che il suo protégé, nonché l’uomo che amava. L’aveva sostenuto, spinto, scosso, gli aveva ripetuto che poteva vincere fino alla nausea, ma ora che era successo per davvero e gli aveva rubato il gradino più alto del podio una parte di Victor non sapeva farsene una ragione. Lo faceva sentire strano, triste e vecchio e da un certo punto di vista sbagliato. Sì, perché se non era abituato ad essere superato dal primo ragazzetto che passava e la consapevolezza di aver fatto comunque una gara al limite delle proprie potenzialità del momento gli faceva presagire più chiaramente la via del tramonto, d’altra parte il fatto di essere invidioso del proprio compagno era una delle reazioni più meschine che potesse avere. Victor si era ripromesso di non esserlo mai, di non cadere mai nella trappola della mediocrità, che odiava chi era migliore di sé invece di puntare a superare i propri limiti; ciononostante il sentimento era lì, nascosto in fondo allo stomaco, e lo faceva sentire in colpa.

Aveva anche l’impressione che Yuuri se ne fosse accorto. Non in maniera evidente, ma più come un’intuizione. L’aveva capito dagli occhi con cui l’aveva guardato quando l’aveva raggiunto, nell’area riservata ai vincitori. C’era una luce intimorita, quasi spaventata, in quelle belle iridi castane, che l’aveva rattristato. Era il suo momento di gloria, che lo bruciasse così per paura di averlo ferito era profondamente ingiusto. Quindi aveva fatto ciò che chiunque si sarebbe aspettato da lui: gli aveva sorriso a trentadue denti e l’aveva abbracciato, strizzandolo per bene. Si era sentito istantaneamente meglio, anche.

“Victor…” l’aveva sentito mormorare.

Omedetou![2] Sono così felice per te,” gli aveva sussurrato all’orecchio. “Molto, molto eccitante…” aveva aggiunto poi, con voce più bassa e allusiva, facendo scivolare un po’ più in basso la mano sulla sua schiena.

Yuuri si era staccato da lui di botto e l’aveva fissato con occhi sgranati, il familiare, istantaneo rossore sul viso. Victor non aveva potuto fare altro che ridere.

Arigatou[3]…” aveva mormorato Yuuri, sciogliendosi in un sorriso e appoggiando la fronte alla sua.

Victor non l’aveva ancora digerita del tutto, vero, ma chi sapeva che vedere qualcun altro vincere potesse dare anche così tanta gioia? Pazienza, avrebbe imparato a perdere, qualche volta. Qualche volta… Che non si dicesse che Victor Nikiforov era morto.


 
[1]  Vrach!: Un dottore!
[2]  Omedetou!: Complimenti!
[3]  Arigatou: Grazie

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Capitolo 5
*** Marsiglia, sabato 10 dicembre 2016, sera ***


Ed eccoci arrivati all'ultima parte di questa gara: i festeggiamenti. Unisco qui il sabato sera e la domenica mattina, che in fondo è soltanto un breve epilogo alla vicenda. Ringrazio i lettori che sono arrivati fin qui: non siete moltissimi, ma spero vi sia piaciuto il mio sforzo di raccontare i retroscena di una gara di pattinaggio. In particolare, ovviamente, ringrazio Tenar80 che questa storia l'ha aiutata a nascere, in un certo senso, e Crystal che ha commentato ogni capitolo. Grazie mille per il sostegno a queste mie facezie.
Non ho finito, naturalmente. Questo era solo il primo atto. Vi porterò ancora con me dietro le quindi di altre gare. Prossima tappa: Helsinki 2017.
Per ora, spero vi possiate godere questo (lieto) fine.


 


Marsiglia, sabato 10 dicembre 2016, sera.





Chiaramente Yuri scherzava quando aveva detto che si sarebbe lasciato fasciare senza opporre resistenza. Il tutore gli sembrava più che sufficiente e non aveva avuto remore a farlo sapere allo sfortunato fisioterapista incaricato dell’opera. Insomma, Yuri quella sera non aveva tempo di starsene bendato come una mummia, magari sul letto, in camera, a rimuginare come certi coreani stronzi e pure un po’ tardi di riflessi. No, quella sera Yuri doveva andare a ballare con gli altri!

L’anno precedente Yuri aveva implorato Otabek di portarlo con sé per locali, finita la gara, ma quello gli aveva risposto picche. Quest’anno però c’era Victor su cui fare pressione, e se Otabek era un bravo ragazzo con la testa sulle spalle, Victor era il peggior adulto irresponsabile sulla faccia della Terra. E in fin dei conti ormai aveva quasi 17 anni, era alto praticamente come Yuuri e sfoggiava devastanti ferite di guerra. Se metà dei pattinatori presenti alle gare andava a ballare, stavolta se lo meritava anche lui.

“Che cos’è questo?” domandò Yuri accaldato, guardando in controluce il bicchierino di liquido lattiginoso. Doveva urlare per sovrastare la musica e per il momento la cosa era estremamente divertente. Non era mai stato in una discoteca e avere un tavolo riservato tutto per loro era uno spasso.

“Pastis,” rispose Chris, buttando giù il proprio bicchierino in un solo sorso.

“Assaggialo, sa di anice,” lo incoraggiò Victor, bevendo a sua volta.

Yuri si bagnò le labbra, diffidente. Era freddo e il sapore era particolare, ma non sgradevole. Prese coraggio e sorseggiò il resto. Il liquore gelato gli diede una sferzata rinfrescante, che lo fece sospirare di piacere.

“Com’è?” chiese Victor, parlandogli vicino all’orecchio perché lo sentisse.

“Non male…” sentenziò, leccandosi le labbra.

“Normalmente si beve come aperitivo, da queste parti,” si mise a spiegare Chris, afferrando un altro bicchierino. “Dovresti provare qualche cocktail…”

“Dov’è Yuuri?” gridò Victor afferrando al volo il polso di Mila, che gli stava passando accanto proprio in quel momento.

La ragazza si strinse nelle spalle, indicando poi la pista in un muto tentativo di risposta.

“Ordinali prima che arrivino i rompicoglioni!” comandò Yuri a Chris, che si mise a ridere, ma scivolò via dalla propria poltroncina un secondo dopo, sparendo in direzione del bar.

C’erano persone che sapevano godersi la vita, quando finalmente erano liberi di folleggiare, come ad esempio Victor e Chris, e in quel caso erano anche utili, perché entrambi parlavano fluentemente il francese, lingua per lui completamente incomprensibile; invece c’erano persone, come Otabek e Katsudon, che dovevano divertirsi rovinando il godimento agli altri, e quella sera non facevano altro che brontolare per impedire a Yuri di fare ciò che voleva. Meno male che uno era impegnato ad andare avanti e indietro dalla console del dj e l’altro era già su di giri per l’oro, per cui stava passando più tempo in pista a ballare che al tavolo. Ciononostante bisognava approfittare dei momenti di assenza di entrambi non appena si presentavano.

Chris atterrò letteralmente sul tavolino con cinque bicchieri pieni fino all’orlo di liquidi di cinque colori diversi.

“Scegli!” esclamò con un sorrisone.

“Cosa c’è dentro?”

“Quello che hai bevuto prima. Scegli!”

Yuri notò che anche Victor stava occhieggiando i cocktail, gli occhi brillanti e una piega estasiata sulle labbra sorridenti. Col cavolo che gli avrebbe lasciato la prima scelta, si ripromise. Verde, rosso, arancione, marrone… Yuri tentennò, poi allungò la mano e afferrò quello di un rosso più scuro.

Le rourou! Très bien!” commentò Chris, facendo poi cenno a Victor di scegliere.

Victor si appropriò di due bicchieri, uno marrone e uno verdognolo, mentre Chris sceglieva quello arancione. Yuri li guardò di sottecchi, prima di portare alla bocca il proprio cocktail e assaggiarlo. Mmm, pensò, fragole! Sapeva di fragola, era dolce senza essere stucchevole ed era decisamente buono, meglio del liquore da solo.

“Ti piace?” chiese Chris, osservandolo con un’espressione apparentemente divertita in volto.

Yuri annuì con forza, prendendone un altro sorso.

“Ehi, dove vai?” fece poi, vedendo che Victor si era alzato in piedi e si guardava attorno.

“Cerco Yuuri,” spiegò l’uomo, scrutando la folla degli avventori alla ricerca del compagno. Fece qualche passo attorno al tavolo, poi parve illuminarsi e si affrettò in direzione della pista, i bicchieri stretti in mano.

Mila si lasciò cadere al suo posto e buttò le gambe sul bracciolo della poltroncina, stravaccandosi.

“Dio, si muore di caldo!” si lamentò, facendosi aria con le mani.

“Ma se sei praticamente nuda!” ribatté Yuri, sarcastico.

La ragazza non rispose, ma afferrò il bicchiere rimasto, che conteneva un liquido di un verde acceso, e ne trangugiò mezzo in una volta sola.

“Buono!” esclamò, sorridendo deliziata a Chris, che le fece l’occhiolino. “Cos’è?”

Le perroquet,” disse lo svizzero. “Con la menta,” specificò poi, di fronte allo sguardo incuriosito di Yuri.

Mila chiuse gli occhi, seguendo il ritmo della musica con la testa, e quando li riaprì il suo sguardo individuò qualcosa che la entusiasmò.

“Otabek! Vieni un po’ qua!” urlò a pieni polmoni, sventolando un braccio.

Yuri trangugiò il proprio cocktail tutto d’un fiato.
 
 


 
Victor scivolò con grazia dietro alle spalle di Yuuri e gli posò un bacio sul collo sudato. Quello si voltò di scatto, sconcertato, ma riconoscendolo si rilassò, addossandosi a lui e facendo aderire i loro corpi in modo delizioso. Continuava a muovere i fianchi a ritmo di musica, creando una frizione che risvegliava in Victor istinti assolutamente indecenti. Gli circondò la vita con un braccio, porgendogli il bicchiere che conteneva il mauresque, un cocktail a base di pastis e orzata.

“Cos’è?” domandò Yuuri, buttando la testa indietro per parlargli direttamente all’orecchio, ma accettando il bicchiere con cieca fiducia.

“È fresco, assaggia,” rispose Victor laconico, bevendo poi un sorso dal proprio bicchiere.

Yuuri lo imitò, si passò la lingua sulle labbra e sorrise soddisfatto.

“Buono?”

Vkusno[1],” rispose lui, sfiorandogli velocemente la guancia con un bacio. “Tu cosa bevi?” chiese poi, occhieggiando il suo cocktail.

La feuille morte.”

“Sarebbe?”

“La foglia morta,” tradusse Victor, suscitando una risatina nel compagno. “Vuoi assaggiare?”

Yuuri allungò il collo e posò le labbra sul bordo del bicchiere. Victor lo inclinò appena, lasciando che il liquido verde gli sfiorasse la bocca per qualche secondo. Era un gesto così intimo, così privato che stentava a credere ai suoi occhi. Forse Yuuri era già abbastanza sotto spirito.

“Mmm… Preferisco il mio,” sentenziò intanto l’altro, tornando a bagnarsi le labbra col proprio cocktail.

I bicchieri presto svuotati, Victor rimase lì, a muoversi seguendo la musica, il corpo incollato alla schiena di Yuuri e una mano infilata con nonchalance sotto la sua camicia, ad accarezzarne la pelle nuda e bollente. Di fronte a loro Sara Crispino si era lanciata in una danza piuttosto sensuale in compagnia di Emil Nekola; dio solo sapeva che ci faceva il ceco a Marsiglia, visto che non si era qualificato per la finale, ma tutti sapevano quanto fosse affezionato ai gemelli Crispino e Sara, finalmente, era riuscita ad arrivare sul podio, con un ottimo terzo posto. Aveva pur il diritto di festeggiare… Non che questo giustificasse la sfacciataggine con cui la ragazza stava flirtando con Emil. Forse a quel punto non si poteva nemmeno definire flirt. Victor si chiese dove fosse Michele, perché se li avesse beccati in atteggiamenti tanto intimi il povero malcapitato non sarebbe arrivato agli Europei con tutti gli arti al loro posto.

Adesso che aveva avuto qualche ora per metabolizzare l’accaduto e aveva ingerito un quantitativo dignitoso di alcool, Victor si sentiva decisamente meglio e riusciva a godere appieno della vittoria di Yuuri. L’aveva aspettata così a lungo, aveva lottato tanto per arrivarci, solo Victor sapeva quanti sacrifici aveva fatto e continuava a fare per migliorarsi ogni giorno; non c’era nessuno, dal suo punto di vista, che meritasse quell’oro quanto lui. E poi c’era quella luce di pura estasi nel suo sguardo, durante la premiazione, che aveva fatto sciogliere il cuore a Victor come neve al sole di luglio. Sarebbe arrivato volentieri secondo per il resto della sua vita, se questo significava regalargli ogni volta quell’espressione meravigliosa. Chissà come faceva a fargli ancora quell’effetto dopo tutti quei mesi, si chiese Victor, a fargli perdere la testa solo guardandolo. Si era aspettato, nell’imbarcarsi in quella convivenza, che l’aspetto più spiccatamente ormonale sarebbe lentamente scemato, lasciando spazio a quel calore rivitalizzante che aveva imparato ad associare al loro amore. Se possibile, a distanza di un anno, l’effetto era persino aumentato.

Era stato fortunato, tutto lì. Quanti, nella loro vita, potevano dire di aver incontrato una persona con cui avessero il genere di assoluta fiducia e accettazione reciproca che c’era tra lui e Yuuri? Victor non aveva mai avuto tempo per l’amore, ma di uomini ne aveva conosciuti e mai, mai avrebbe pensato di fare esperienza di un amore come quello. Era stato fortunato, schifosamente fortunato. Ormai non riusciva a pensare ad un futuro in cui non ci fosse Yuuri al suo fianco.

Questa considerazione ricondusse i suoi pensieri al ricordo di una battuta pronunciata un anno prima, il giorno in cui si erano scambiati gli anelli che ancora sfoggiavano all’anulare destro. Aveva detto che si sarebbero sposati quando Yuuri avesse vinto la medaglia d’oro e per quanto ne avesse già collezionata una ai Nazionali, a dicembre, quella odierna era proprio il traguardo che si era prefigurato per lui, allora. Insomma, Yuuri era stato proprio bravo; glielo doveva un regalo…

Victor lo abbracciò, strofinando la guancia accaldata sui suoi capelli.

“Quindi… Che ne dici di giugno?” Parlò appoggiando le labbra al suo orecchio, perché potesse udirlo chiaramente nonostante la musica.

Un brivido sembrò attraversare Yuuri, che però si voltò tra le sue braccia e lo scrutò confuso.

“Per cosa?”

“Sposarci.”

Gli occhi di Yuuri si spalancarono in modo assolutamente ridicolo, in un’espressione scioccata di puro stampo giapponese.

“L’hai detto tu che volevi farlo prima delle Olimpiadi,” riprese Victor, il tono pragmatico che mal si accompagnava al sorrisetto compiaciuto che gli increspava le labbra. “Non abbiamo molta scelta, tra gli allenamenti e la preparazione della nuova stagione. Anzi, a ben pensarci giugno mi pare perfino tardi…”

“Ma… Io non credevo…” balbettò Yuuri in risposta, le gote che andavano scurendosi per l’emozione.

“Ci stai ripensando?” fece Victor, con una punta di delusione.

“No!” rispose lui all’istante. “È perfetto.”

Victor tirò un sospiro di sollievo. Non voleva immaginare come si sarebbe sentito se Yuuri gli avesse detto di no.

“Quindi posso dirlo agli altri?” domandò sornione, tornando a parlargli all’orecchio.

“…Puoi fare in modo che questa cosa rimanga strettamente confidenziale?”

“Ma sono i nostri amici!”

“Puoi accertarti che capiscano che la notizia è ancora assolutamente privata e vorrei che rimanesse tale?” insisté Yuuri. “Almeno finché non l’ho detto a… i miei, per esempio?” Yuuri si portò una mano a coprirsi la bocca, con l’aria di chi si era appena reso conto di qualcosa di importante. “Devo dirlo a Phichit-kun…”

Victor rise di gusto.

“Ma non avevi detto che doveva rimanere strettamente confidenziale?” domandò ironico.

Yuuri rise e con uno slancio spontaneo si strinse a lui, affondando il viso nel suo collo. A Victor parve, per l’ennesima volta quella settimana, di non essere mai stato così felice in vita sua.


 
 
 
“Si può sapere quanto hai bevuto?” gli domandò Otabek seccato, sorreggendolo mentre faceva qualche passo nel cortile interno del locale.
Yuri sospirò, cercando di ricordare.

“Un po’. Non tanto…”

Inspirò a fondo l’aria fresca. Si sentiva meglio lì fuori, dove riusciva a respirare un po’ d’ossigeno e non gli andava in ebollizione il cervello. Si lasciò cadere seduto su un muretto; Otabek rimase in piedi, di fronte a lui.

“Bevi,” gli ordinò, allungandogli una bottiglietta d’acqua. “Poca alla volta.”

Yuri obbedì. Avrebbe fatto qualsiasi cosa gli avesse intimato pur di non stare male. Se fosse tornato in hotel ubriaco Yakov gli avrebbe tirato il collo.

“Sei un incosciente…” si stava lamentando Otabek con voce dura. “Hai un braccio immobilizzato e sei pieno di antidolorifici, senza contare che sei minorenne. Non ti saresti nemmeno dovuto avvicinare agli alcolici. Lo sapevo, che lasciarti venire era una cattiva idea…”

“Oh, piantala!” lo interruppe Yuri. “Non sono un bambino!”

“Allora smetti di comportarti come se lo fossi!” replicò il kazako, serio.

Yuri sbatté le palpebre. Difficilmente Otabek alzava la voce, specie con lui. Non capiva cosa avesse fatto per farlo arrabbiare tanto. In fondo era solo un po’ sbronzo…

“Gli altri hanno bevuto molto più di me,” si lamentò con voce fastidiosamente querula.

“Loro lo reggono. O staranno male e saranno cavoli loro. Pensi che Victor mostri grande maturità nel bere sempre fino a ubriacarsi?”

Yuri si accigliò.

“Non trattarmi così. Mi fai sentire stupido.”

“Tutto questo è stupido.”

Seguì un lungo lasso di tempo in cui nessuno dei due disse niente. Yuri deglutì un altro po’ d’acqua, arrivando lentamente in fondo alla bottiglietta. Era infastidito, forse perché Otabek lo faceva sentire in colpa e non ne capiva il motivo.

“Mi dà fastidio quando ti comporti così. Sembra che tu mi faccia da balia,” biascicò piano Yuri, scontroso ma cauto, perché non si sentiva ancora così bene da alzarsi in piedi da solo.

“Non è colpa mia. Sei tu che me lo fai fare,” ribatté l’altro, serio. “Pensi che non vorrei starmene di là a divertirmi, invece che qui ad assicurarmi che tu non ti senta male?”

“Nessuno ti costringe…” sibilò Yuri, offeso. Non pensava che stare in sua compagnia gli pesasse tanto. “Anch’io sto solo cercando di divertirmi un po’!”

“Be’, la mia idea di divertimento non è esattamente tenerti i capelli mentre vomiti.”

Yuri sbuffò, esasperato. Non era messo così male e Otabek stava facendo una tragedia da una stupidaggine.

“Come ti senti adesso?” domandò il kazako un paio di minuti più tardi, il tono leggermente più calmo e conciliante.

“Bene,” rispose lui telegrafico. “Puoi andare, ora torno dentro.” Fece per alzarsi, ma un capogiro gli suggerì che fosse meglio riformulare. “…Magari aspetto un altro po’.”

“Ti vado a prendere un’altra bottiglia d’acqua.”

“Posso andarci anche da solo, eh…”

“Torno tra poco. Non sparire,” disse Otabek, ignorandolo ed incamminandosi verso l’interno della discoteca.

Yuri fissò le sue spalle e avrebbe voluto chiamarlo, dirgli di tornare indietro e ringraziarlo, perché sotto sotto sapeva di essere stato un idiota e il fatto che lui fosse al suo fianco in quel momento lo faceva sentire molto più sollevato. Invece non disse nulla, ma rimase lì, seduto, a chiedersi perché una serata divertente dovesse per forza trasformarsi in uno strazio.


 
 
 
Victor si diresse prima verso il tavolo, trovandolo quasi completamente disertato, se non per la componente femminile della compagnia, che al momento sembrava sonnecchiare. Mano nella mano, si trascinò dietro Yuuri fino al cortiletto all’aperto, individuando presto il capannello di facce conosciute. Michele ed Emil si staccarono dal gruppo in quel momento.

“Che succede?” chiese Victor curioso, incrociandoli.

“Yuri ha bevuto un po’ troppo, ma adesso pare essere tornato in possesso delle sue facoltà,” spiegò velocemente Michele. “Chi ha ordinato tutti quei cocktail?”

Victor si strinse nelle spalle, ostentando innocenza.

“Non ne sai niente, immagino…” sussurrò Yuuri quando gli altri si furono allontanati, con quella che doveva essere un’espressione di rimprovero senza riuscirci. Quando iniziava ad essere brillo il suo spirito malandrino veniva a galla e gli riusciva più difficile mascherarlo.

“Il ragazzo è grande e vaccinato,” sentenziò Victor fatalista. “Se è abbastanza vecchio da schiantarsi contro gli altri pattinatori può anche reggere due cocktail.”

Yuuri scosse la testa, ma ridacchiò sotto i baffi. Victor ne approfittò per agguantarlo di nuovo a sorpresa e strizzarlo in un abbraccio da togliere il fiato, le labbra che andavano scherzose a cercare il suo collo per baciarlo e sussurrargli sconcezze mentre lui si divincolava, continuando a ridere.

“No! Non respiro, Victor!” esclamò alla fine, quando gli riuscì di sgusciargli via, i capelli sparati in aria e gli occhiali storti sul naso ma gli occhi che scintillavano divertiti.

“Che cazzo state combinando, voi due?” gracchiò la voce infastidita di Yurio.

Si voltarono entrambi e si ritrovarono tre paia d’occhi puntati addosso, senza contare quelli degli sconosciuti. Yuuri gli diede una manata sul petto (Victor l’avvertì a malapena e sapeva che, se avesse voluto, avrebbe potuto colpirlo sul serio) e si passò le mani tra i capelli, cercando di rimetterli in ordine.

“Scusate,” fece Victor, ammiccante, unendosi alla compagnia. “A volte non riesco a trattenermi…”

“Sei imbarazzante,” brontolò Yuuri, rimettendosi a posto gli occhiali.

“Un po’ imbarazzanti siete…” confermò Chris, semiserio.

“Allora, Yurio, che combini?” domandò Victor ignorandoli.

“Niente di niente,” replicò il ragazzo, piccato. “Fino a trenta secondi fa stavo benissimo, adesso che ho visto voi due amoreggiare invece mi viene da vomitare.”

“Sei sempre così carino…” lo prese in giro Victor, arricciando le labbra.

Non era l’unico ad essersi accorto dell’aggressività che la sua intimità con Yuuri scatenava in Yurio e in tutta sincerità aveva preferito non cercare motivazioni. Le idee che gli balzavano alla mente a volte lo inquietavano. Sperava si trattasse soltanto di una fase passeggera e nel frattempo lo ignorava, buttando sul ridere le sue esternazioni di insofferenza.

“Piuttosto, ragazzi, visto che siete tutti qui, c’è una cosa che vorremmo dirvi,” annunciò, un sorrisetto misterioso sulle labbra.

“Che tono da grandi dichiarazioni…” lo prese in giro Chris, beccandosi un’occhiataccia da Yuri, ma l’attenzione di tutti si catalizzò su Victor.

“Io e Yuuri abbiamo deciso di sposarci,” disse Victor, sciogliendosi ora in un sorriso ammaliante mentre la sua mano si stringeva su quella del compagno. Un passo dietro a lui, Yuuri si fissava con determinazione le punte dei piedi, ma era arrossito fino alle orecchie.

Yuri fece un verso strozzato, che probabilmente voleva simulare un conato di vomito, ma gli altri lo fissarono perplessi.

“Non l’abbiamo già fatta l’anno scorso questa scena?” domandò Otabek. “Con l’annuncio, l’applauso e tutto il resto?”

L’espressione di Victor si fece più intensa, più seria.

“No, davvero. Ci sposiamo.”

Uno strano silenzio attonito accolse la notizia, prolungandosi per qualche secondo. Victor corrugò appena la fronte, cercando di capire perché nessuno stesse facendo loro le congratulazioni.

“È ancora tutto…strettamente confidenziale,” si affrettò a specificare Yuuri, lanciandogli un’occhiata di rimprovero.

“Sì, giusto,” si affrettò a dire lui distrattamente. “Solo… Ecco, non stupitevi se ad un certo punto vi arriverà un invito a un matrimonio verso…”

“Giugno,” completò per lui la frase Yuuri, interrogandolo con lo sguardo. Doveva essersi accorto della sua piccola défaillance. Victor si chiese se invece avesse notato la strana tensione negli altri pattinatori.

“Be’,” ruppe di nuovo il ghiaccio con un sorriso tirato Chris, “credo che in questo caso la parola giusta sia davvero Congratulazioni!”

Otabek annuì, ripetendo le congratulazioni.

“Ma siete impazziti?” sbraitò invece Yuri.

Victor chiuse per un attimo gli occhi, cercando di attingere alla propria pazienza, che con l’alcool si faceva più limitata.

“Yurio… Naturalmente…” sospirò, stringendo i denti.

“E il pattinaggio?” insisté Yuri, con voce adirata.

“Che io sappia non c’è nessuna regola che impedisca ad un pattinatore di partecipare alle gare se è sposato,” rispose serafico Victor, guardandolo però con occhi che, se avessero potuto, l’avrebbero congelato.

“Mi prendi per il culo?” replicò acido il ragazzo. Dal cipiglio che gli oscurava lo sguardo sembrava davvero furioso, ma per quale motivo a Victor proprio sfuggiva.

“Qual è il problema, esattamente?”

“Non ti rendi conto che stai giocando con la tua carriera?”

Victor storse le labbra.

“Perché voglio sposarmi? Credi che qualcuno ancora non sappia che io e Yuuri stiamo insieme?” ribatté sarcastico.

“È diverso,” insisté Yuri, testardo.

“Ma in Russia non sarà riconosciuto e nemmeno in Giappone,” intervenne Yuuri, con il tono conciliante che spesso utilizzava per tenerlo a bada. “È più…simbolico che altro.”

“Già… E forse è proprio questo il punto. Perché io posso permettermi di farlo, e se lo fanno Victor Nikiforov e l’attuale medaglia d’oro del Grand Prix, forse in futuro anche altri atleti si sentiranno liberi di farlo.”

“Guarda che non sei intoccabile!”

Yuri era sempre stato un osso duro, uno che non mollava e non dava segni di pentimento, nemmeno quando sapeva di avere torto. Era spesso, a parere di Victor, anche un’enorme testa di cazzo. Victor era certo che Yuri non potesse non capire quanto ciò che avevano intenzione di fare avrebbe cambiato la storia del pattinaggio; sarebbe probabilmente stato lui stesso il primo a goderne gli effetti benefici, se il suo sesto senso non mentiva. Eppure si stava impuntando.

“E se anche fosse?” replicò Victor. “Sto per compiere 29 anni, quanto tempo credi che mi resti da passare in pista? Poi, se proprio la Federazione russa volesse sbattermi fuori…credo che quella giapponese non si lamenterebbe di acquisire un nuovo atleta.” Scoccò un’occhiata complice e un occhiolino in direzione di Yuuri, che sorrise. Victor sapeva benissimo, in verità, che rischiavano davvero entrambi di inimicarsi le rispettive Federazioni e non era affatto convinto che quella giapponese si sarebbe dimostrata così sensibile e aperta all’argomento; si sentì però rinfrancato dalla serenità di Yuuri: se le possibili ripercussioni non preoccupavano il suo ansiosissimo fidanzato non ci poteva essere problema alcuno.

Yuri, invece, per qualche ragione sembrò diventare ancor più scuro di rabbia.

“E alla sua, di carriera, non ci pensi? Non potete aspettare cinque o sei anni?” starnazzò, sventolando la mano in direzione di Yuuri.

Il giapponese, che fino a quel momento era rimasto quasi in disparte, sentendosi tirato in causa si fece avanti.

“Veramente sono stato io a proporgli di farlo prima delle Olimpiadi,” disse, stringato, la voce chiara e determinata.

Yuri lo fissò con occhi stravolti.

“Voi due…” sibilò, tremando per la rabbia. “Ah, CAZZO!” sbottò poi, girando sui tacchi e allontanandosi tra la gente.

I presenti si guardarono tra loro per qualche secondo, prima che gli occhi di tutti i posassero su Otabek. Lui parve non capire.

“Oh,” borbottò quindi, raddrizzando il collo nel momento in cui l’intuizione lo colpì. “Sì. Vado a parlarci,” dichiarò, per poi sparire tra la folla nella stessa direzione in cui si era allontanato Yuri.

Victor esalò un respiro con forza. Masticava rabbia.

“Ho bisogno di bere qualcosa…” mugugnò, voltandosi e allontanandosi verso il bar.

Il suo udito captò un ultimo commento di Chris, “Meno male che era una bella notizia, Yuuri… Se no chissà che casino,” poi la musica a tutto volume del locale lo inghiottì di nuovo e mise tutte le altre voci a tacere.


 
 
 
“Si può sapere che problema c’è?”

Yuri si appoggiò con la schiena al muro, tenendosi il braccio immobilizzato stretto al petto con l’altro, e non rispose. Si limitò a fissarlo con aperta sfida.

Otabek sospirò.

“Ascoltami, in parte sono d’accordo con te. Capisco cosa intendi. Potrebbero sposarsi più avanti, dopo essersi ritirati dalle competizioni. Penso anch’io che sarebbe più sensato.”

“Però?”

“Però è una questione di priorità. Lo capisci o non lo capisci?”

“La nostra priorità è il pattinaggio,” sentenziò Yuri, granitico. Nessuno l’avrebbe distolto da quella certezza.

“Sì, per me e per te. Ma a questo punto per loro no, evidentemente.”

Yuri sbatté il piede contro il muro con forza.

“E allora non sono degni di stare in pista!” sbraitò. Lo faceva impazzire, il pensiero che per Victor e Yuuri il pattinaggio fosse in secondo piano, che mettessero le proprie disgustose e melense sceneggiate amorose al primo posto e ciononostante avessero la faccia tosta di arrivare al vertice della classifica in ogni singola gara. Era profondamente ingiusto. Non se lo meritavano.

Otabek lo guardò, con quei suoi occhi seri e profondi che sembravano sempre scavargli dentro.

“Hai delle reazioni decisamente esagerate quando si parla di quei due,” disse dopo qualche secondo. “Anche quella storia dei baci e tutto il resto… Ne ho parlato con Mila e mi ha detto che non si baciano praticamente mai in pubblico, che alla pista, a San Pietroburgo, nemmeno si toccano, quasi, mentre lavorano.”

Yuri lo fissò in silenzio, l’espressione che si tramutava da arrabbiata in scioccata. Per qualche secondo gli mancò l’aria. Di colpo si sentiva tradito.

“Hai sparlato di me con Mila?” Questo era un affronto che non si aspettava da Otabek ed era come se la presenza di Mila in tutta quella faccenda lo facesse infuriare ancor di più.

“Ho cercato di capire cosa sta succedendo a San Pietroburgo da stressarti tanto. Non è che ti sei preso una cotta per Victor?” domandò a bruciapelo e Yuri sentì le sue guance avvampare.

“MA CHE CAZZO TI PASSA PER LA TESTA?!” urlò, fuori di sé. “Ti pare che potrei mai…? Merda, che SCHIFO!”

Lui e Victor? Mai. Nemmeno se fosse stato l’ultimo uomo sulla faccia della Terra, nemmeno in quel caso avrebbe mai potuto prenderlo in considerazione. Il solo pensiero gli dava i brividi.

“Yuuri, allora?” insisté Otabek.

“COSA?” ululò quasi. Quest’idea era persino peggio dell’altra. “Pensi davvero che potrebbe mai piacermi un maiale?!”

“Dico solo ciò che passa per la testa di chi ti vede dall’esterno.”

Yuri assottigliò gli occhi. Si scostò dalla parete e fece un passo avanti, fissando i propri occhi in quelli scuri e allungati del kazako. Per un attimo si sorprese di non dover alzare il mento per farlo.

“Non male per uno che si proclama mio amico.”

“E allora perché scleri ogni volta che ci sono loro attorno?” Otabek, imperturbabile, non pareva intenzionato a mollare.

“Perché mi fanno schifo!” esclamò. Stava mentendo, ne era cosciente, ma non avrebbe saputo che altro rispondere.

Otabek alzò un sopracciglio, sorpreso da quella risposta.

“Davvero? È perché sono due uomini?”

Yuri deglutì. Di colpo sentiva di nuovo il formicolio dell’alcool nelle gambe e per contrastare la sensazione raddrizzò maggiormente la schiena.

“E se fosse?”

Otabek sembrò rimuginare qualche momento sulla risposta, prima di rispondere “In quel caso, credo che abbiamo un problema.”

Yuri aggrottò la fronte. C’erano diversi problemi, dal suo punto di vista, ma nessuno generato dal suo atteggiamento nei confronti della felice coppietta.

“Che genere di problema?”

Otabek lo guardò come se la risposta fosse scontata.

“Senza contare la statistica nel nostro sport, direi che in futuro al posto loro potrei finirci anch’io.”

Yuri sgranò gli occhi.

“Tu…sei gay?” Pronunciò quell’ultima parola con voce strozzata, guardandosi intorno subito dopo. Anche solo dirlo lo metteva in imbarazzo.

“Bisex, ma potrebbe succedere,” rispose invece l’altro, con estrema tranquillità. Quasi non stessero discutendo di gusti sessuali, qualcosa di così intimo da far torcere lo stomaco a Yuri.

Si ritrovò senza parole. Quello era un argomento che per lui rivestiva ancora un grosso tabù. Se da una parte si mostrava sempre a suo agio con il pensiero del sesso, almeno in pubblico, nel profondo si sentiva parecchio più insicuro, complice la mancanza di esperienza e la confusione che ancora albergava nella sua testa. Confusione che, per la cronaca, Victor e Katsudon non facevano altro che alimentare senza sosta. Non parlava mai di quel genere di cose con i suoi compagni di pista e, per quanto avesse ogni tanto teso l’orecchio, non partecipava mai alle conversazioni dei più vecchi sul tema. Il pensiero che Otabek potesse invece discutere così spontaneamente di andare a letto con uomini e donne lo metteva a disagio.

“Non… Non è per quello, comunque. Non ho problemi con…quello,” biascicò, sperando di mascherare il proprio imbarazzo almeno in parte.

Otabek affondò le mani nelle tasche e gettò un’occhiata distaccata sulla marea di gente che si muoveva all’unisono in pista.

“Mi sembrava strano,” commentò. Come spesso succedeva Yuri non riuscì a rilevare traccia di ironia o malizia nelle sue parole. Era ciò che era, una dichiarazione neutra, e lui non sapeva esattamente che significato dare a quelle parole. “Non hai intenzione di dirmelo, vero?” continuò poi, tornando a fissare lo sguardo inquisitivo su di lui.

“Ehi, voi due! Che ci fate qua?”

Se fosse stato in grado di ringhiare questo sarebbe stato un ottimo momento per sfoggiare una tale abilità. Voltò la testa di scatto e fissò Mila con quello che, era certo, doveva essere uno sguardo di puro odio.

“Devi rompere i coglioni proprio adesso? Vattene, baba[2].”

“Ooooh, Yuratchka, come sei di cattivo umore…” Mila chiaramente doveva aver perso il senso del pericolo a furia di stare con lui, perché si avvicinò ai due come se Yuri non avesse nemmeno parlato e buttò un braccio sulle spalle di Otabek. “Otabek, perché non lasci perdere il nostro Yuratchka per una sera e non vieni di là a ballare un po’ con noi? Non vorrai passare tutta la notte a fargli da babysitter…”

“Sei diventata sorda? Ho detto di ANDARTENE!” le urlò contro Yuri, inviperito.

Lei aggrottò le sopracciglia.

“Ohi, si può sapere che ti prende?” borbottò, infastidita.

Yuri era sul punto di saltarle alla gola. Otabek le salvò la vita.

“Stiamo parlando,” le disse in tono asciutto. “Non ho voglia di ballare adesso.”

Yuri si sentiva stupido, ma a quelle parole le sue labbra si piegarono in automatico in un sorrisetto tronfio, che rivolse a Mila con la sfacciataggine di un trofeo.

“Hai sentito? Levati.”

La ragazza alzò le mani, ritraendosi di un passo.

“Ok, ok,” borbottò, passando gli occhi sorpresi e lievemente infastiditi dall’uno all’altro. “Ho capito l’antifona. Mamma mia, che strazio questa serata…” si lamentò poi, allontanandosi.

Yuri osservò la sua schiena che si allontanava in silenzio. Per quanto lui avesse sempre un atteggiamento ruvido con Mila, non poteva negare a se stesso di esserle affezionato; ciononostante in quel momento non provava il minimo rimorso per averla scacciata in malo modo.

“Mila ci sta provando con te,” commentò ad alta voce, rivolgendosi a Otabek senza guardarlo in viso. “Le piaci.”

“E quindi?”

“Non fartela.” Yuri si voltò finalmente ad incrociare il suo sguardo. “Non sarebbe una buona idea.”

Otabek non parve scomporsi a quel consiglio.

“Non vado mai a letto con le pattinatrici,” replicò invece, inaspettatamente. Yuri alzò un sopracciglio, perplesso. “Finisce che le rincontro. Le ragazze tendono ad attaccarsi e adesso non ho tempo per una relazione.”

Yuri sentì lo stomaco contrarsi in maniera sgradevole, ma non lo diede a vedere.

“Ah. Bene. Meglio.”

Restarono a fissarsi per qualche secondo, immobili, e Yuri non sapeva davvero come sciogliere quell’impasse. Qualsiasi terreno su cui si avventuravano quella sera pareva diventare accidentato nel giro di pochi istanti.

“Senti, hai intenzione di scusarti con Victor e Yuuri?” domandò alla fine Otabek.

“Non ci penso nemmeno,” sbottò Yuri, abbassando lo sguardo. “Perché, secondo te dovrei?” chiese poi.

“Sono fatti tuoi. Dico solo che ci sei andato giù un po’ pesante. Credo che Victor se la sia presa.”

“Mi ha fatto incazzare, gli sta solo bene.” Yuri tentennò, poi aggiunse “E Katsudon? Se l’è presa?”

Otabek scosse la testa.

“Non credo che la nostra opinione in merito gli importasse poi tanto.”

“Quello la fa tanto lunga ma quando si impunta su una cosa non c’è modo di fargli cambiare idea,” disse Yuri. Quella era una delle poche certezze che aveva su Yuuri dopo un anno e mezzo di frequentazione più o meno volontaria. “Non mi sorprenderebbe se anche la storia del fidanzamento fosse tutta opera sua. Quello ha una doppia personalità, te lo dico io.”

Otabek incurvò leggermente le labbra, divertito da quell’ultimo commento.

“Credo che l’abbiamo vista tutti…”

“Gli manderò un messaggio, più tardi,” si risolse Yuri, la mente di colpo più calma, l’animosità un po’ evaporata. “Ti va di ballare?” domandò poi a bruciapelo, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Sapeva che era una mossa scaltra per levarsi dall’impaccio di un discorso scomodo, ma davvero non aveva la forza di infilarsi in un’altra sessione di interrogatorio: il kazako voleva risposte che Yuri non aveva voglia di trovare tanto in fretta.

Otabek lo scrutò in silenzio per un’ultima volta, poi annuì brusco. Yuri sentì un peso sollevarglisi dal petto.
 


 
 
Victor si accostò al bancone del bar.

Une vodka.”

Lisse?”

Oui.”

Yurio gli aveva davvero fatto saltare i nervi, stavolta. Voleva fare l’ostile tutti i giorni? Nessun problema, Victor sarebbe stato al gioco; ma che rovinasse così un momento tanto importante della sua vita, della vita di Yuuri… Questo lo faceva incazzare. Qual era la causa scatenante di tutta quella ostilità? Era innamorato di lui? Era geloso di Yuuri? Non voleva che smettessero di pattinare? A Victor importava poco, perché era comunque soltanto un capriccio infantile e avrebbe fatto meglio a farselo passare.

Il barista posò il bicchierino di vodka davanti a lui e Victor la buttò giù tutta d’un fiato.

Un autre, s'il vous plaît,” ordinò in fretta.

“Anche per me,” fece una voce al suo fianco.

Victor si voltò a guardare sorpreso Yuuri, che teneva gli occhi puntati sul barista.

“Che cosa hai intenzione di fare adesso?” gli chiese il compagno quando l’ordinazione fu servita.

Victor strinse le labbra, pensieroso e cupo.

“Non mi ero reso conto che ci avessi riflettuto su così tanto.”

Yuuri si strinse nelle spalle, gli occhi fissi sul liquido trasparente che teneva tra le dita.

“Non sono molto capace di non pensare,” ammise alla fine, con naturalezza. “La mia testa lo fa, che io voglia o no.”

“È un problema per te che al momento non sia riconosciuto nei nostri Paesi?”

“Non te l’avrei proposto se fosse stato un problema.”

Victor lo guardò di sottecchi.

“Sei preoccupato?”

Yuuri parve rifletterci per qualche istante.

“Stranamente no. Se non ci arrestano…”

Victor storse la bocca in un sorriso amaro.

“Finché non molestiamo i minorenni dovremmo essere in salvo.”

Yuuri gli rivolse un’occhiata pensosa e Victor allungò istintivamente la mano ad afferrare il bicchierino di vodka, portandoselo alle labbra.

“Yurio è Yurio. Continui ad arrabbiarti per nulla. Domani si comporterà come se niente fosse successo,” gli fece Yuuri, imitandolo e bevendo un piccolo sorso dal proprio bicchiere. Victor lo vide strizzare gli occhi, infastidito dalla forte gradazione alcolica, e sentì la morsa dell’ira che gli attanagliava il petto rilassarsi un po’.

“Qualcuno dovrebbe insegnargli che c’è un limite,” replicò comunque con risentimento.

“Allora diglielo. Ti ascolta, anche se fa finta di no, lo sai.” Fece un secondo tentativo con la vodka, ma non riuscì a trattenersi dal ripetere l’espressione infastidita.

Victor questa volta non seppe trattenersi e si mise a ridacchiare.

“Perché la stai bevendo? Ti fa schifo!”

Yuuri si spinse gli occhiali indietro, sul naso, lanciandogli un’occhiata strana che lo mandò in confusione.

“Hai intenzione di affogare la rabbia nell’alcool per il resto della nottata?” chiese, con un tono spiccio che a Victor pareva nascondere un certo nervosismo.

“Perché?” replicò, cauto, tastando il terreno.

“Non bere troppo.”

Victor alzò un sopracciglio, stupito.

“Da quando ti dà fastidio se sono un po’ su di giri?”

Yuuri abbassò lo sguardo sul proprio bicchiere, evitando i suoi occhi.

“Non mi dà fastidio. Preferirei che tu non cadessi addormentato come un sasso appena tocchi il letto.”

“Oh.” Victor si leccò le labbra, un tepore familiare che iniziava a spanderglisi dentro.

“Perché io non voglio dormire,” aggiunse Yuuri, e ora Victor poteva vedere l’imbarazzo farsi strada sul suo volto.

Il sorriso meravigliato sul viso di Victor si allargò progressivamente, trasformandosi in un ghigno di anticipazione. Oh, dunque era questo che gli stava dicendo tra le righe. La cultura giapponese e i suoi messaggi criptati… Lo divertiva, anche se ogni tanto creava qualche incomprensione di troppo. E c’era solo una cosa che lo divertisse più del sottile gioco di decrittazione.

“Cosa?” domandò Yuuri, palesemente a disagio di fronte al suo ostinato silenzio e alla luce di aperta sfida nello sguardo.

Victor continuò a fissarlo, il sorrisetto sulle sue labbra che si faceva provocatorio.

“No,” sentenziò Yuuri.

Per tutta risposta Victor si passò la punta della lingua sulle labbra.

“No, non riuscirai a farmelo dire,” insisté Yuuri, deglutendo.

Victor si morse le labbra.

“Victor…” gemette il compagno, quasi implorante.

“Dai…” gli fece eco lui, il calore che si spandeva ormai dal suo petto ad altre parti del suo corpo, accelerandogli i battiti.

Yuuri sospirò, esasperato. Fu un attimo: le sue mani sul colletto della camicia, le braccia forti che lo attiravano a sé, faccia a faccia, occhi negli occhi per un istante prima che quella bella bocca fosse sulla sua, a premervi un bacio affrettato. E poi quelle stesse labbra sfiorarono il suo orecchio, il respiro caldo che gli solleticava i sensi.

“Se mi riporti in hotel all’istante ti scopo fino a farti dimenticare chi sei,” gli sussurrò la sua voce calda, più bassa, quasi ansimante. A Victor esplose una bolla di calore nel basso ventre che gli mozzò il respiro. Di certo già non ricordava più cosa l’avesse fatto tanto arrabbiare.

Yuuri si staccò da lui di scatto, si voltò verso il bancone e buttò giù la vodka rimasta tutta in un sorso. Il fondo del bicchiere sbatté rumorosamente quando lo appoggiò.

Speshi[3]!” gli ordinò, lanciandogli un’ultima occhiata bruciante di imbarazzo ed eccitazione, e senza aspettare una sua reazione gli voltò le spalle, dirigendosi verso il guardaroba.

Victor rimase a guardarlo allontanarsi per qualche secondo, la bocca semiaperta e il respiro affrettato, prima di buttare giù il contenuto del proprio bicchiere e seguirlo a passo svelto.


 
 
 
Marsiglia, domenica 11 dicembre 2016, mattina.




 
Yuuri sbatté gli occhi, la mente ancora annebbiata dal sonno. Inspirò a fondo e istintivamente cercò di proteggersi dalla luce che andava invadendo la stanza voltando il viso e premendolo contro il cuscino. Al suo posto percepì qualcosa di più solido, ma liscio e piacevolmente tiepido. Di nuovo sbatté le palpebre, sollevando leggermente la testa. Il rosa pallido della pelle di Victor lo riportò alla realtà.

Si era addormentato col capo adagiato sulla sua schiena, una gamba accavallata alla sua e il braccio stretto attorno alla vita. Victor stava ancora dormendo profondamente, steso a pancia in giù sul letto devastato dalla nottata. Non c’erano cuscini in vista e Yuuri sentiva l’aria fredda della stanza sui propri piedi nudi, lasciati scoperti dalle lenzuola. Rabbrividì, stringendosi maggiormente al compagno.

Chiuse gli occhi, ma un ronzio molesto ed insistente attirò la sua attenzione, impedendogli di riprendere sonno. Riaprì le palpebre e sospirò, cercando con sguardo miope il proprio cellulare in giro per la stanza. Niente da fare, nessuna traccia. Chissà dov’erano finiti i suoi occhiali.

Era stata una notte decisamente sopra le righe. Non che lui e Victor si fossero fatti mancare granché, anche durante la stagione competitiva, ma quella appena passata… Be’, c’era davvero andato pesante. Yuuri sospettava che anche Victor se la sarebbe ricordata per un bel po’. Una consolazione, pensò con una stretta al cuore, visto che l’indomani si sarebbero dovuti separare, Victor di ritorno a San Pietroburgo e lui diretto in Giappone. Li attendevano due settimane di allenamenti in solitaria e nostalgia, maledetti nazionali che coincidevano così perfettamente…

Si tirò a sedere e non appena lo fece si accorse del peso sulla schiena e della sensazione di leggero strangolamento. Si portò una mano alla gola, trovando il nastro e tirandolo fino a far ricadere la medaglia d’oro sul proprio petto. Un’altra delle fantasie di Victor della notte precedente. Il rumore di poco prima ricominciò, assillante: il telefono vibrava in un disperato tentativo di richiamare la sua attenzione. Eppure doveva essere lì vicino, da qualche parte. Strisciò fino al bordo del letto e i suoi occhi colsero sul pavimento il bagliore dello schermo che annunciava una chiamata in entrata. Si chinò a raccogliere il telefono e lo avvicinò al viso abbastanza da riuscire a distinguere il nome sul display. Quasi trasalì. Yakov. Perché mai chiamava lui?

“Pronto?” mormorò Yuuri intimidito.

Una scarica di parole pronunciate alla velocità della luce lo investì. Yuuri capì ben poco, se non che i concetti di ritardo e serietà venivano sottolineati con una certa enfasi.

“Ehm…” temporeggiò Yuuri, soppesando l’opportunità di svegliare Victor perché si accollasse quella patata bollente.

“VENITE QUI, SUBITO!” urlò Yakov dall’altro capo, riagganciandogli in faccia.

Ok, quello non era un buon risveglio. Sospirò, passandosi le mani tra i capelli. Aveva bisogno di una doccia. E dei suoi occhiali. Li ritrovò quasi subito, sul pavimento, vicino al punto in cui doveva essere caduto il cellulare. Possibile che non se ne fosse neanche accorto? Possibile, possibilissimo. Se li infilò e scrutò la stanza, di colpo nuovamente a fuoco, senza che la confusione del risveglio lo abbandonasse.

I suoi occhi andarono automaticamente a cercare Victor e si incantò per un attimo ad osservarne la schiena nuda e muscolosa, le braccia lunghe, i capelli scompigliati e i lineamenti del suo viso perfetto addolciti dal sonno. Sentì un nodo di calore contorcersi nel suo petto. Era così bello… Al mattino a volte era ancora difficile accettare l’idea che fosse davvero suo.

Con gesti automatici e distratti tornò a dedicare qualche attenzione al proprio cellulare. Aprì e chiuse Instagram, vedendo che Chris e Mila avevano già postato qualche foto della serata di festeggiamenti. Notò 6 chiamate perse e con una certa apprensione controllò i numeri. Yurio, Yakov, Mila e ancora Yakov. 3 volte. Che stava succedendo?

Passò ai messaggi, inquieto. C’erano almeno una dozzina di chat che reclamavano la sua attenzione, per un totale di 169 messaggi da leggere. Una mostruosità. Yuuri fece scorrere i nomi velocemente e cliccò su quello di Yuri.

DOVE CAZZO SIETE FINITI, RAZZA DI RINCOGLIONITI CHE NON SIETE ALTRO?         09.47

L’ultimo messaggio troneggiava in Caps Lock e Yuuri poteva quasi immaginarselo urlato in faccia dal diretto interessato. Senza il quasi. Il pensiero gli ispirò un sorriso sinceramente divertito. Yurio era proprio un caso senza speranza. Anche la sera precedente, quando Victor aveva dato la notizia… Yuuri se l’era aspettata, quella reazione inviperita. A volte la furia di Yurio lo spiazzava ancora (a volte era proprio spaventoso, per non dire pericoloso) ma aveva imparato a dare un peso relativo a quelle sue esplosioni molto tempo prima. Di solito ciò che vi era nascosto dietro era sincero affetto o preoccupazione, emozioni difficili da esprimere senza mostrarsi vulnerabili, e Yurio non poteva accettare di sembrare debole, mai. Visto quanto era attaccato a Victor, quindi, e visto l’argomento delicato c’era solo da aspettarsi fuochi d’artificio.

Gli occhi di Yuuri scorsero verso l’alto, senza realmente leggere. Si stupì, dunque, nel trovarsi davanti un altro paio di messaggi, inviati la notte prima. Alle 4 e mezzo del mattino, per la precisione.

Se osi ritirarti, o peggio pattinare da schifo dopo esserti sposato con quel vecchio ubriacone dovrai fare i conti con me.               04.28

E anche se ti fai mollare dalla federazione. Giuro che te la faccio pagare, Katsudon.            04.29

Ah, per la prossima stagione imparo un altro quadruplo. Goditi l’oro finché puoi.                   04.32


Yuuri rilesse i messaggi, stupito. Ecco, quello era Yurio. Graffiante ed offensivo anche quando cercava una riappacificazione. Quasi tenero, a suo modo.

Alle sue spalle si levò un fruscio di lenzuola, poi il rumore di uno sbadiglio.

“Buongiorno, Yuuri…” gli giunse la voce assonnata ma carezzevole di Victor, già intrisa di ottimo umore. Sempre così felice, al risveglio. Yuuri non sapeva dove trovasse tutta quell’energia al mattino.

Ohayou[4],” rispose, ancora sovrappensiero.

Il materasso si infossò alle sue spalle e Victor lo abbracciò, stringendosi alla sua schiena e appoggiandogli il mento su una spalla.

“Che fai?” gli sussurrò all’orecchio. Aveva un tono profondo e caldo ma naturale, segno che la sua opera di seduzione era del tutto involontaria.

“Ha chiamato Yakov, prima,” lo informò Yuuri.

Victor mugugnò, strofinando le labbra contro la pelle nuda della sua spalla.

“Che ora è?” domandò, dopo avervi lasciato un bacio.

Yuuri guardò con noncuranza l’ora sul display.

“Le 10 e un quarto.” Si bloccò, mentre nella sua mente la nebbia si schiariva. Avvertì le braccia e il busto di Victor irrigidirsi contro di sé e il respiro morirgli in gola.

“LE PROVE DEL GALÁ!” esclamarono in contemporanea, scattando in piedi.

Se non li avessero uccisi quella volta…


 

[1]  Vkusno: Delizioso
[2]  Baba: Vecchia
[3]  Speshi: Sbrigati
[4]  Ohayou: Buongiorno
 

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