hitman ave maria

di devil_may_cry_wrath_92m
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** incontro ***
Capitolo 2: *** l'assassinio ***
Capitolo 3: *** il debito ***
Capitolo 4: *** il dono ***



Capitolo 1
*** incontro ***


~~Romania
Nicole si era persa. Lo doveva ammettere, si era persa e non riusciva più a trovare la strada da cui era arrivata, tutta colpa della sua passione per gli animali, aveva visto una lepre e per seguirla, stupidamente si era separata dal resto del gruppo con cui era.
“Mi verranno a cercare, non vedendomi più mi verranno a cercare” si continuava a dire ma il problema era che stava nevicando e quasi sicuramente le sue impronte erano state ricoperte e cosa ancora più grave si era allontanata troppo.
Aveva freddo, anche se indossava un cappottino imbottito tremava come una foglia a causa del gelo,  i suoi piedi gli sembravano due pezzi di ghiaccio e le sue manine erano rosse paonazze dal freddo e gli facevano male.
“Mamma, papà dove siete, non lasciatemi sola” cominciò a dire la bambina; non voleva morire, aveva solo nove anni, voleva vedere e fare ancora tante cose per questo aveva insistito per venire in Romania con i suoi genitori, erano  venuti lì per il loro lavoro, lei non capiva di che cosa si occupassero sapeva solo che li costringeva a partire e a stare lontani per molto tempo lasciandola sola nel suo appartamento di Los Angeles in compagnia solo delle varie baby sitter che i suoi genitori sceglievano. Questa volta però si era impuntata e aveva chiesto ai suoi genitori se poteva venire con loro, dopo l’iniziale rifiuto di loro alla fine  era riuscita a convincerli, soprattutto quando gli aveva promesso che non li avrebbe disturbati durante le riunioni di lavoro.
Arrivati in Romania avevano preso alloggio in un albergo e lì Nicole era rimasta affascinata e stupita da quelle persone che parlavano una lingua che lei non conosceva e soprattutto da tutta quella neve, lei era nata in California e non aveva mai avuto l’occasione di vedere la neve. Era contentissima di essere venuta con i suoi genitori e tutto stava andando bene fino a quando ebbe l’idea di andare con un gruppo di turisti che avrebbero visitato una zona fuori dall’abitato vicino ad una immensa foresta. I suoi genitori non erano venuti con lei e le avevano messo una sorta di guardia del corpo per controllare che non si facesse male o che non gliene facessero. Appena arrivata però aveva visto quella lepre  e visto che il gruppo era composto da circa una dozzina di persone era stato facile per lei allontanarsi non vista dal suo “cane da guardia”  e dal resto del gruppo, seguendo quella lepre si era inoltrata nella foresta e quando la perse di vista si accorse di essersi persa anche lei.
Aveva camminato non sapeva quanto e adesso era lì in un immenso campo innevato e alle sue spalle una foresta ancora più grande.
Si diresse verso un albero caduto e si accucciò sotto i suoi rami. Stava per mettersi a piangere quando gli venne in mente una cosa che gli diceva sempre sua madre: “Quando sei spaventata o hai paura cerca di calmarti. La paura non deve fermarti devi vincerla, devi trovare il modo di calmarti” Nicole si mise a cantare, gli piaceva cantare la rilassava, i suoi genitori le dicevano che aveva una bella voce e che con qualche lezione sarebbe diventata bravissima. “L’ave Maria di… come si chiamava quel tipo?” si disse mentre cantava l’aveva sentita un giorno alla televisione ed era rimasta come affascinata dalla voce della cantante e da quelle parole  che l’aveva imparata a memoria.
Mentre cantava teneva gli occhi chiusi e lentamente si calmò anche se tremava ancora per il freddo, all’improvviso sentì un rumore come di passi che si avvicinavano. Aprì gli occhi, uscì da sotto i rami e si trovò davanti a qualcosa di strano.
Era un bambino, non era come gli altri bambini che aveva incontrato in albergo aveva qualcosa di strano, il suo aspetto era nella normalità, indossava degli scarponi da neve, pantaloni neri, una giacca da neve grigia e dei guanti da neve neri, avrà avuto dodici anni ma a parte questo c’era qualcosa di inquietante in lui, era calvo, la sua pelle era molto chiara, quasi pallida e i suoi occhi, di un azzurro intenso, la stavano fissando con una freddezza che la facevano rabbrividire.
“Ciao, chi sei?” chiese Nicole, nessuna risposta dal bambino “Fai parte del gruppo che era con me? Ti sei perso anche tu?” niente, quel bambino continuava a fissarla con quello sguardo freddo e inespressivo “Per favore dimmi qualcosa, ho paura” “Non dovresti averne” gli disse finalmente  il bambino, la sua voce  aveva un che di sinistro sembrava come una folata di vento che usciva da un sepolcro chiuso da secoli. “Come mi hai trovato?” gli chiese Nicole “Ho sentito la tua voce. E’ raro sentire qualcuno cantare così bene” Nicole arrossì leggermente e gli chiese: “Abiti qui?” il bambino indicò con un cenno della mano dietro di sé e disse: “A quattro chilometri da qui” “Sei venuto con i tuoi genitori?” “No, sono venuto qui da solo a piedi” a quelle parole Nicole si chiese se il suo nuovo compagno la stesse prendendo in giro “Hai fatto tutta questa strada nel bel mezzo del niente  a piedi?!” con un cenno del capo il bambino disse: “Correndo” “Correndo?! Mi prendi in giro!” “No, mi sto allenando” “A fare che cosa?” a quella domanda il bambino cambiò discorso chiedendo: “Da dove vieni?” “Ero in un gruppo che…”  “No, da quale nazione vieni? Sei americana non è vero?” “Sì, sono nata a Los Angeles”  “E come mai sei qui?” “Ero con un gruppo di altre persone, ma mi sono messa a rincorrere una lepre e ora sono qui” disse Nicole con la voce rotta dal pianto “Calmati, ti riporto io indietro” “Davvero?” “Ma dovrai promettermi una cosa altrimenti ti lascerò qui a morire assiderata” lo disse con un tono che fece capire a Nicole che il suo compagno non scherzava “Qualunque cosa” “Devi giurarmi di non dire a nessuno di avermi visto”  “Lo giuro, non lo dirò a nessuno” “Vieni con me”
Nicole seguì il suo compagno nella foresta anche se faceva veramente fatica a seguirlo si muoveva con un passo che avrebbe fatto invidia a qualunque maratoneta, non camminava, correva si spostava con un’agilità fuori dal normale un paio di volte Nicole gli disse di rallentare perché non ce la faceva più.
La bambina non sapeva quanto aveva corso e per quanto tempo in quella foresta ma quando arrivò al margine di essa sentì delle voci che la stavano chiamando, le riconobbe immediatamente: erano i suoi genitori fece per correre in quella direzione ma si fermò, si voltò verso il suo amico e gli chiese: “Allora io vado, ti rivedrò?” “Non credo” “Mi puoi dire come ti chiami? Io sono Nicole” “47” “Cosa?” il bambino disse di nuovo: “47. E’ il mio nome” “Ma non è un nome” “No, ma è il mio. Continua a cantare Nicole, sono sicuro che un giorno diventerai qualcuna”
Nicole vide il suo misterioso amico correre nella direzione da cui era venuto e sparire nella foresta mentre lei ne uscì e si diresse verso le voci, come fu contenta quando riabbracciò i suoi genitori anche se il suo sguardo era ancora puntato verso la foresta dove era scomparso il misterioso 47.    

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Capitolo 2
*** l'assassinio ***


Roma, oggi, parcheggio sotterraneo ore 20:45 “Devo stare calmo. Lui non può essere già qui!” Si disse Marco Colonna mentre saliva in fretta e furia sulla sua limousine, stava ripetendoselo già da almeno venti minuti ma la verità è che sapeva che lui era già qui. Colonna aveva trentacinque anni, giovane per il mondo dell’alta finanza ma questo non lo aveva mai fermato, quello che voleva lui se lo prendeva con le buone o con le cattive che fossero cose o persone ma adesso lui aveva paura per colpa di una leggenda metropolitana. Era solo una voce, ma sembrava che ci fosse qualcuno che da tempo uccideva vari personaggi nell’ambiente della politica e della finanza, questo particolare assassino colpiva sempre in modo diverso le sue vittime. Alcuni erano stati avvelenati, altri fatti saltare con una bomba, altri ancora uccisi con un colpo alla testa sparato da un fucile da cecchino e a volte l’omicidio era stato fatto passare per un banale incidente. Sembrava impossibile ma tutti questi delitti erano stati commessi da un singolo uomo, nessuno conosceva il volto, o l’aspetto del sicario, nessuno lo aveva mai visto, l’unica cosa che si sapeva di lui era il nome con cui era conosciuto: 47. Colonna, sentendo tutto questo si era fatto due risate gabellando tutto come una leggenda metropolitana ma poi erano cominciati i problemi: uno dei suoi client trovato impiccato nella sua casa, un’ hacker che lavorava per lui fatto saltare per aria mentre tornava a casa con la sua macchina e infine il furto di una statuina di giada che si trovava nel suo attico che, stando a quanto gli aveva detto chi lo aveva progettato era il posto più sicuro sul pianeta, per Colonna quest’ultimo era stato il colpo peggiore: nel basamento della statuina c’era una cosa importantissima se non l’avesse ritrovata sarebbe stato meglio se si fosse sparato. Aveva appena pensato a questo quando un proiettile aveva incrinato il vetro blindato dell’attico; senza neanche pensarci si era diretto all’ascensore che portava direttamente ala garage e lì era salito sulla sua limousine . “Parti, maledizione, parti!” aveva urlato Colonna all’autista colpendo, al tempo stesso il vetro che separava il posto di guida dal resto del veicolo, con il palmo della mano. Tutto durò una frazione di secondo: il vetro che si abbassava, la pistola silenziata impugnata dall’autista che puntava sulla testa di colonna e i due successivi proiettili che venivano sparati da essa. Marco Colonna si accasciò sul sedile in maniera scomposta mentre un rivolo di sangue scendeva dai due fori che aveva in fronte. La limousine uscì dal parcheggio sotterraneo del palazzo e dopo tre isolati venne abbandonata dall’autista che sceso in strada si infilò in un vicolo e sparì. Al suo posto, uscì un uomo tra i trenta e i quarant’anni, alto, con la testa rasata, con indosso un completo nero, una camicia bianca e una cravatta rosso cremisi; si infilò in mezzo a un gruppo di turisti che si stavano dirigendo verso piazza di Spagna e dopo alcuni metri si staccò da loro confondendosi in mezzo ad altre persone, un tipo qualunque in mezzo ad altri tizi qualunque.

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Capitolo 3
*** il debito ***


“Obbiettivo eliminato” disse 47 alla persona in ascolto al suo auricolare. Quella persona, era l’unica che il sicario potesse considerare un’amica : Diana Burnwood, la sua consulente all’interno dell’ Agenzia, l’organizzazione per cui lavoravano, lei gli passava le informazioni sul suo obbiettivo e lui ricambiava con la perfezione nell’ucciderlo. Erano una bella squadra perché lei non gli aveva mai messo il guinzaglio al collo: completa libertà di agire, di pianificare e a volte di improvvisare e sempre con un completo successo da parte di 47. Certo, tra i due c’era uno strano legame, fatto di trascorsi oscuri e intrisi di sangue, ma che comunque mai aveva rovinato il loro operato. Anche perché nel loro mondo la parola fallimento non veniva accolta molto bene. Forse c’era un motivo per cui nell’Agenzia la parola “pensionamento anticipato” faceva lugubremente pensare che quello sarebbe stato il tuo epitaffio . “Splendido 47, I soldi sono già stati accreditati sul tuo conto. Certo che è strano” “Cosa?” “Il cliente. Non sono riuscita a trovare niente su di lui” “Forse apprezza la privacy, puoi dargli torto?” “No. Forse hai ragione tu. Ti contatterò quando avremo un’altra missione per te” Niente aveva mai rovinato la loro collaborazione, ma forse questa menzogna lo avrebbe fatto. 47 sapeva bene chi era il cliente: lui stesso. Aveva usato il suo denaro per assoldare se stesso per compiere un’ omicidio. Era quasi da ridere se non fosse che c’era una ragione precisa per cui lo aveva fatto. Marco Colonna era un tipo spregiudicato. Un ’uomo che non capiva la differenza tra una cosa e una persona; se lui vedeva qualcosa che gli piaceva se la prendeva, incurante dei danni che avrebbe arrecato ad altri. Gli esempi erano innumerevoli ma due, in particolare, erano significativi: il proprietario dell’ Alchemax, una nota azienda tessile ì, si era rifiutato di vendere il suo pacchetto azionario a Colonna che avrebbe garantito, a quest’ultimo, il controllo completo dell’azienda. Quattro giorni dopo Giovanni Delvecchio , proprietario dell’Alchemax, era stato ritrovato morto con un coltello nel cuore in un vicolo di Roma. All’inizio si pensò a un furto ma il fatto che il suo portafogli contenesse ancora il denaro e le carte di credito, e che la sua azienda era stata subito rilevata da quella di Colonnna , indirizzò la polizia verso di lui. Ovviamente grazie a degli ottimi avvocati, e a un alibi che dimostrava che lui era rimasto in ufficio tutta la notte a parlare in video conferenza con alcuni potenziali clienti in Cina, Colonna era stato scagionato. Il secondo, era quello per cui 47 aveva fatto uno strappo alla sua regola più ferrea: mai farsi coinvolgere emotivamente. Gli era accaduto una sola volta e aveva rischiato di rimetterci la vita, ma anche se non riusciva a capire il perché ci era cascato di nuovo. Il nuovo interesse di Colonna si chiamava Nicole Cassel una promessa nella musica lirica, una bravissima soprana e purtroppo, per lei, vittima di atti di stalking che la polizia imputava ad un misterioso maniaco, anche se lei aveva più volte detto che il colpevole era Marco Colonna,il quale, come sempre, aveva un’ alibi inattaccabile per tutti gli “ incidenti” che le erano capitati. La sua macchina incendiata dopo che aveva rifiutato l’invito a cena di Colonna? Lui era in compagnia dei suoi amici che avevano giurato che lui non fosse andato da nessuna parte. Stesso discorso per l’aggressione in strada di due mesi fa; la soprano non aveva visto chi fosse ma era sicura che centrasse Colonna, ma come sempre non c’erano prove. Ormai, Nicole, viveva nella paura. Aveva cominciato a saltare le prove di alcuni importanti concerti e non usciva quasi mai di casa. Quando vide la sua foto nel telegiornale della sera, mentre stava bevendo un caffè in una tavola calda, 47 la riconobbe quasi subito, come la bambina che aveva incontrato molti anni fa quando lui era solamente il piccolo progetto di suo padre, il dottor Ort-Meyer. Aveva ricordi confusi del suo passato, anzi non ricordava quasi niente se non una profonda solitudine e un’angoscia infinita, ma quel giorno di tanti anni fa, quando, mentre si allenava, aveva sentito qualcuno cantare L’ave Maria di Schubert così bene, aveva provato una sensazione nuova che non aveva mai conosciuto: pace. Deciso a scoprire chi gli aveva permesso di avere serenità, seppur per un breve momento, si era diretto verso la fonte di quella voce e aveva trovato una bambina più piccola di lui. Mentre le parlava chiedendo chi era lui, 47 era rimasto fermo chiedendo che cosa fare di lei. Ort-Meyer gli avrebbe sicuramente detto di ucciderla, l’aveva visto in faccia nessuno doveva sapere della sua esistenza, ma qualcosa nel profondo di lui lo aveva trattenuto per la prima volta nella sua vita nel compiere un gesto che lui conosceva fin troppo bene. Aveva avuto nove anni la prima volta che aveva ucciso, certo si trattava di un serpente che lo avrebbe morso se lui non lo avesse afferrato per il collo e non lo avesse schiantato contro il tronco di un albero accanto a lui, ma nonostante questo non poteva dimenticare il fatto che era stato lui a colpire per primo. Suo padre, il dottor Ort-Meyer , si era complimentato con lui e per dimostrare la fiducia che aveva nel frutto del suo lavoro, gli aveva dato una pistola. Gli disse di usarla e 47 per un attimo fu tentato di puntargliela contro. Era stanco di lui e delle sue prove per vedere se era il mostro di cui aveva bisogno, ma poi capì che ciò che veramente odiava era solo se stesso. Alzò la pistola, armò il cane del percussore e se la puntò alla testa, al diavolo Ort-Meyer e i suoi progetti, se 47 non fosse stato il suo successo lo sarebbe stato 48 o 50 o qualunque altro numero avrebbe messo come nome a quelli che sarebbero venuti dopo di lui. Ma poi ci ripensò, era troppo facile morire, sarebbe vissuto e gliela avrebbe fatta pagare, anche se non sapeva come. “Mi odi?” gli chiese Ort-Meyer “sì” replicò deciso 47 e lo scienziato gli disse che ciò era un bene e che era pronto per l’addestramento vero e proprio. Da allora 47 si era addestrato nell’uso di qualunque tipo di arma dalle pistole fino all’uso sapiente del veleno per colpire il proprio bersaglio in ogni modo possibile , ma solo all’età di dodici anni era potuto uscire dall’istituto autonomamente e soprattutto da solo. Aveva deciso di fare una lunga corsa, ed era arrivato fin nel profondo della foresta che circondava l’istituto quando sentì qualcuno che stava cantando L’ave Maria di Schubert e mosso dalla curiosità e da quella strana e nuova sensazione di pace aveva deciso di scoprire chi stesse cantando. Dopo che ebbe portato al sicuro Nicole, 47 tornò indietro e quando Ort-Meyer gli domandò come mai ci aveva messo così tanto, lui aveva fatto una cosa che non aveva mai fatto prima: aveva mentito, gli aveva detto che a causa di un branco di lupi aveva dovuto cercare un posto dove nascondersi e aspettare c he passassero. Gli costò una settimana di isolamento perché per suo padre ciò che aveva fatto era stato un’ atto di codardia. Ma 47 aveva resistito, non soltanto grazie al suo addestramento, ma anche grazie a quella musica che gli aveva dato pace e serenità e quando uscì lo giurò: avrebbe ripagato il debito che aveva con quella bambina, un giorno o l’altro e quando la riconobbe al telegiornale e sentì che la promettente soprano Nicole Cassel era quasi scomparsa dalle scene a causa di un misterioso stalker aveva capito che quel giorno era arrivato.

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Capitolo 4
*** il dono ***


Il dono: Due giorni dopo: Teatro lirico di Roma “Una stupenda performance Nicole! La critica ti ha sicuramente adorato!” Disse il manager della giovane cantante lirica dopo la rappresentazione. La notizia della morte di Colonna, aveva significato per Nicole la fine di un’ incubo e ora poteva tornare alla sua vita . Certo non poteva dire di essere felice per la morte di qualcuno, ma la consapevolezza di non doversi più nascondere era una sensazione meravigliosa . Si sentì bussare alla porta del suo camerino e il suo manager si diresse alla porta. Pensava di doversi trovare davanti un’ altro giornalista e invece era solo uno dei tanti inservienti del teatro che aveva portato un mazzo di fiori. Il manager stava per cacciarlo quando Nicole disse: “Aspetta!” si avvicinò ai fiori e vide che erano misti; una parte erano rose rosse e le altre dei fiori che non conosceva ma che gli sembrava di avere già visto “Questi fiori, chi li ha portati?” “Un fattorino è entrato e ha detto che aveva una consegna per lei” “Mi scusi, so che le chiedo molto, ma questi fiori bianchi, sa da che paese provengono?” “Non… sono un esperto, ma credo che provengano dalla Romania” A quelle parole Nicole ricordò dove aveva già visto quei fiori: in quella radura tanti anni fa, quando era bambina; Era rimasta sorpresa di vedere un fiore in mezzo a tutta quella neve ma era rimasta ancora più sorpresa di vedere un’ altra cosa o meglio un’altra persona: un ragazzo poco più grande di lei che l’aveva trovata e riportata a casa. Nicole vide il biglietto legato ai fiori e lo lesse. “ Continua a cantare Nicole” come firma c’era solo un numero, 47. Nicole, mise i fiori in un vaso e disse al suo manager: “Voglio tornare sul palco” “Va bene Nicole, ma la rappresentazione è finita” “E’ solo una cosa che voglio fare”. Pochi minuti dopo Nicole era sul palco del teatro e 47 la vedeva e la ascoltava dal televisore che aveva nella sua camera da albergo mentre lei cantava l’Ave Maria di Schubert. Avrebbe voluto essere lì ma purtroppo Diana gli aveva inviato i dati di un altro obbiettivo e lui non aveva potuto rifiutare dopotutto quello era il suo lavoro, l’unica cosa che fece di diverso dal solito fu di aspettare qualche minuto prima di rispondere al cellulare, voleva ascoltare quella musica ancora per un po’, una musica che gli avrebbe sempre dato pace.

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