The Ghost and the Soldier

di Maerifa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Primo Incontro ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Anno 1997 
Stato Argentina, Località Sconosciuta



La prima sensazione che arrivò dopo l’esplosione fu il dolore.
Era profondo al mio interno e mi sembrava che mi stesse facendo a pezzi, non riuscivo a vedere; o per lo meno percepivo qualcosa ma era tutto sfocato, nebuloso.
Acquoso.
Piangevo da quanto stavo male.
Vidi arrivare delle persone, cercarono di prendermi, ma non riuscivo a capire le loro espressioni quando si ritrassero spaventati.
Il buio mi sembrò una benedizione e liberazione dal dolore.

Avevo male, non riuscivo a capire perché.
Non mi ricordavo nemmeno da quanto stesse andando avanti, ma non era sempre stato così, o per lo meno, credo.
Non lo sapevo più.
Non riuscivo a muovermi, se lo facevo il dolore sembrava solo aumentare e anche se stavo ferma era insopportabile, soffrivo con ogni singolo senso, era orribile, anche provando a sentire quello che le persone li vicino stavano dicendo era uno sforzo incredibile, ma quelle poche parole che capii mi spaventarono. 
Moltissimo.


“… esplosione…”
...
“…-squilibrio molecolare… irreversibile”


Irreversibile? Cosa irreversibile? Cosa significa?
Vi prego… aiutatemi…



“Ehilà piccolina, come ti senti?”


C’era una persona seduta davanti al mio letto, era protesa verso di me, sembrava stesse sorreggendo qualcosa tra le mani.
Il dolore si era attenuato leggermente, e riuscii con lo sguardo a guardarmi intorno nella stanza, non era la mia.
Non riuscivo a riconoscere le pareti bianche, troppo candide, quasi mi facevano male alla vista.
Troppo luminoso; tutta la stanza, persino la coperta, non capivo.


Chi è questa persona? Dove sono? Dov’è mia mamma? Ed Elihas? Cosa sta succedendo?


Si vede che stavo andando visibilmente nel panico perché l’uomo mi si avvicinò cercando di consolarmi, ma ad un certo punto divenne di nuovo buio, il materasso sotto di me divenne freddo ed ostile.
Avevo paura e il dolore ricominciò con agonia.
Era troppo.


Quando mi risvegliai per la seconda volta di nuovo davanti alla stessa persona era ritornata la luce accecante insieme a quelle pareti troppo nivee.
A questo punto mi resi conto di una cosa, ero per terra, il letto era esattamente accanto a me e l’uomo era inginocchiato li vicino, ora riuscivo a vedere quello che aveva tra le mani: era un orsetto, bianco come tutto quello che era all’interno.


“Hey va tutto bene, mi dispiace di averti spaventata, sono Bill, tu come ti chiami?”


Mi stava sorridendo, io continuavo ad osservarlo con attenzione, provai a tirarmi su e dopo qualche tentativo ero seduta difronte a lui, non provai ad allontanarmi, ma lo osservavo con molta attenzione.


“Dove sono? Cosa volete? Dove sono i miei genitori?”


Dovevo stare molto attenta, non avevo idea di chi fossero, dovevo capire chi avevo davanti


Ma ho così tanta paura… 
voglio la mia famiglia: la mia mamma, Elihas
… 
Oorun… chi è?



“Va tutto bene tesoro, guarda questo l’ho preso per te, ti piace?”


Mi stava porgendo l’orsetto, mi stava guardando con i suoi piccoli occhietti neri e vacui.


Devi stare molto attenta Girasole, 
se qualcuno ti dona qualcosa, 
e ti dicono che non vogliono niente i cambio, 
molte volte non è vero.


Lo guardai senza dire nulla, non lo volevo quel pupazzo, mi allontanai leggermente quando provò ad avvicinarsi. Subito lui si ritrasse, abbassando lo sguardo e girandosi l’orsetto tra le sue mani.
Sospirò, come se stesse per prendersi sulle spalle il mondo,


Ti ho mai parlato del mito di Atlante Girasole?
Esiodo narra che Atlante fu costretto da Zeus a tenere sulle spalle l’intera volta celeste per punirlo di essersi alleato con il padre di tutto, 
Crono,
che guidò i titani contro gli Dei…
  

“Mi dispiace molto bambina, c’è stata una esplosione… ”


Non riuscivo a mettere a fuoco quello che mi stava dicendo, dovevo fare uno sforzo per capire,


“… non sono sopravvissuti, ma tu sei al sicuro qua, lo SHIELD ti aiuterà a guarire e…”


Sono morti… 


Non stavo sentendo più nulla, non riuscivo a capire, come…


 
Devi essere forte Girasole, 
tu sei tutto ciò che mi è più caro, 
ricorda:
Non sei mai da sola finché ci sarò io con te


Era un sogno? Non riuscivo a capire, c’è un ragazzo che mi continua a parlare
Capelli arruffati color inchiostro, occhi scuri, caldi, avvolgenti.
Ero sempre con lui in una stanza enorme con grandi finestre che si affacciavano su una distesa infinita di… 


acqua, no era un oceano.


Erano sempre spalancate ed vi entrava una leggera brezza, potevo assaporare il sale sulla lingua; quando mi giravo verso di lui mi compariva davanti un viso abbronzato, scarno ma con un sorriso che poteva illuminare una stanza.


“Ho paura… non riesco a capire”


Non sapevo a chi lo stavo dicendo, a me stessa o all’uomo che mi guardava con dolcezza, simile a quella di quel viso abbronzato dentro alla stanza sull’oceano.


Oorun…


“Hey, hey, va tutto bene, shh non ti preoccupare”


Quest’ uomo,


Ha detto che si chiama Bill.


Era gentile, dovevo provare a fare qualcosa, sapevo che mi mancavano dei pezzi,


Forse lui mi può aiutare


Mi si era avvicinato di nuovo e ritornai a guardare l’orso di pezza che mi aveva portato, non mi fidavo ancora del tutto, ma era tutto ciò che avevo ora e non potevo respingerlo, non sapevo chi sarebbe venuto dopo.

 
Brava Girasole, sei sempre stata così sveglia, sono così orgoglioso


Allungai le mani verso il peluche, Bill se ne rese conto e me lo consegnò, solo che…
Non riuscivo a prenderlo.
Non era possibile.
Ci riprovai ma continuava a passarmi tra le mani, le guardai come se non fossero mie.
Le stavo girando finché non sfarfallarono davanti ai miei occhi, urlai di dolore e mi accartocciai su me stessa in agonia.


“Ava, hey tesoro resta con me non svanire, concentrati, andiamo ”


Cercai di ascoltarlo e pian piano cominciai a riprendere fiato, con un sforzo immenso


“Eccoti, ok va tutto bene, è tutto a posto, ora concentrati sulle tue mani ok?” 


Avevo le lacrime agli occhi mentre cercavo di ascoltarlo, faceva male, ma ci provai.
Sentì un dolore incredibile, per poco non mi sentii svenire, ma passò.
Sbattei le palpebre, per togliermi le ultime lacrime che mi riempivano gli occhi, cercai di pulirmi il viso con la manica del mio vestito.
Quando mi riporse il pupazzo lo sentii tra le mie mani, la consistenza morbida del pelo, dentro sembrava farcito di sabbia.
Me lo strinsi addosso e alzai gli occhi, di nuovo pieni di lacrime.


 
No no, non devi piangere Girasole, 
quando lo fai il sole si nasconde, 
ed io come faccio poi a mantenere la mia meravigliosa abbronzatura? 
Tu ce l’hai naturale ma io ci devo lavorare regolarmente.
 Non devi ascoltarlo, 
lui sputa solo veleno, 
è invidioso di noi, 
siamo la sua eredità e non lo può accettare, 
non può credere che dovrà lasciare tutto quello che ha a noi, 
a me in particolare, il suo figlio inetto che non sarà mai abbastanza bravo, non sarà mai come... 
Sei fortunata che lo vedi poco, 
che non  sia interessato a te, 
sei così fortunata.


Ancora lui.


Bill mi sorrise, allungò la mano lentamente come se potessi scomparire.
Posso farlo, ed è orribile.
Sentii la sua mano tra i miei capelli arruffati, mi accarezzò lentamente.
Mi sfuggì un singhiozzo.
Mi prese in braccio e mi avvolse in un abbraccio, fragile, delicato.


“Shh, va tutto bene Ava, non preoccuparti, sei stata fantastica, riposati mi raccomando”


Non mi ero resa conto della stanchezza che avevo addosso.
Mi addormentai con un odore salmastro, il tocco caldo del sole che mi baciava la pelle e il sapore di lacrime dolorose sulla lingua.


Come fa a sapere il mio nome?


 
Mi svegliai con l’odore dell’oceano nel naso,
il rumore delle onde e di una risata nelle orecchie,
senti il materasso muoversi leggermente,
per poi fermarsi.
Io rimasi ferma con una eccitazione e un sorriso a malapena nascosto sulle labbra.
Sentii delle mani strisciarmi sui fianchi.
Strillai dalle risate e cominciai a dimenarmi cercando di contrattaccare,
ma l’offesa era spietata,
raggiunsi un guanciale e cominciai a prenderlo a cuscinate sulla sua testa fermandolo.

“Non vale! Aiuto, qualcuno mi aiuti, salvatemi!”
“Te lo sei meritato! Non so se te ne sei accorto ma stavo dormendo, genio!”

Gli diedi un ultimo colpo e lui si lasciò cadere sul letto, avevamo entrambi l’affanno.

“Bugiarda, ti ho visto che sorridevi”

Io gli ero accovacciata affianco,
lo guardai mentre si strofinava sulle mie lenzuola come un gigantesco gatto,
aprì un occhio e mi fece un sorriso pigro. 
Lo osservai preoccupata,
la mamma si agitava sempre per lui,
troppo magro,
il suo corpo affamato di cibo e di tocchi gentili,
i suoi muscoli nervini lo costringevano sempre al movimento,
le sue mani,
che potevano costruire meraviglie,
erano coperte da bruciature e tagli segnate dal duro lavoro a cui era costretto da suo padre e soprattutto,
dalla sua mente a cui non riusciva mai a dare un freno;
i suoi occhi luminosi erano infossati,
affogavano in mezzo ad un mare oscuro,
di chi dormiva toppo poco.
 La mamma diceva che soffriva di insonnia.
Si mosse di scatto,
passando un braccio intorno alla mia vita e cominciò a girare su se stesso ridendo.
Io urlai per la sorpresa per poi ridere anche io.
Mi mise giù e mi girò di colpo tra le sue braccia ritrovandomi ad un palmo dal viso,
aveva un sorriso enorme pieno di eccitazione,
brillava come se avesse ingoiato un sole.

“Dai sbrigati,
mettiti un costume e adiamo a fare un bagno!
Non vedo l’ora di farti provare cosa ho realizzato per farti vedere la barriera corallina”
“La mamma sa della tua invenzione che hai creato per me?”
“Beh, Cat non deve sapere sempre tutto no?
Com’è il detto?
Occhio non vede cuore non duole?”
“Sei terribile”

Rise di nuovo,
ma io ero preoccupata,
quando Oorun era così felice di solito nascondeva un dolore che poteva solo eguagliare quella fragile maschera di felicità.
Si attenuò mentre scuoteva la testa,
in quel momento non riuscivo a vedere niente se non i suo nodosi capelli inchiostrati,
sentì la sua presa sulle mie braccia a scatti:
un momento c’era e dopo non più.
Ad un certo punto non sentii nulla,
abbassai gli occhi e vidi che le sue mani stavano stringendo il vuoto.
Io ero sparita.


Anno 1997 
Stato USA, Località Washington DC, Base segreta



Spalancai gli occhi, ma li richiusi subito dopo a causa della luce accecante che avevo tutto intorno.
Avevo fatto un sogno, ma non riuscivo a ricordare.


Non è giusto! Mi sembra che sia importante, ma più ci penso e più mi fa male la testa.


Provai ad alzarmi ma mi resi conto che non ce la facevo, mi sentivo debolissima, intontita.
Girai la testa e vidi che il lettino dove ero posizionata era strano; non riuscivo a capire, provai a mettere a fuoco ma rimanevo accecata alle onde luminose che mi pulsavano in faccia.
Quando i miei occhi si adattarono a quella stupida luce, e non mi sentivo più così stravolta riprovai a sollevare un braccio solo questa volta.
Ci riuscii, ma andai a scontrarmi contro qualcosa di freddo, duro.
Era vetro.
Lo vidi oltre quelle onde che mi pulsavano attorno, 


Oh mio dio sono chiusa dentro ad una bara di vetro!


 
Sai a me Biancaneve non è mai piaciuta come favola, 
non tanto quella raccontata dai fratelli Grimm, 
era fantastica a mio parere, 
ma la versione di Disney, 
era troppo irrealistica.
andiamo: la fanciulla cadde in un sonno profondo e i nani impietositi la deposero in una bara di cristallo, 
un principe, per caso eh, passa di li e le da un bacio, 
quella si risveglia e vissero per sempre felici e contenti? 
Naa non è fattibile,
la vita non funziona così.


Nel mio panico non mi resi conto che qualcuno mi si era avvicinato, mi immobilizzai guardandolo negli occhi.
Non era Bill, con il suo sguardo gentile, no.
Nel suo, all’inizio freddo ed indifferente, vidi la fame quando mi vide sveglia.
Ne ero terrorizzata, forse lo aveva capito perché in un attimo quello sguardo oscuro sparì ritornando piatto.
Occhi azzurri, ghiacciati, con capelli chiari, un biondo fragola.


Lui chi è? Perché mi guarda in quel modo?


Non ebbi tempo di pensare ad altro, le ondate di luce sparirono e in un attimo la bara di vetro fu sollevata per ritrovarmelo davanti.
Stava parlando mentre mi sorrideva, mi si raddrizzarono i peli sulle braccia quando mi passò pesantemente le mani sul corpo per togliermi i fili di dosso.
Ci impiegò troppo tempo per i miei gusti ma alla fine mi porse una  mano per aiutarmi ad alzarmi, ma la rifiutai.


Non lo voglio vicino… non mi piace


 
Devi sempre fidarti di quello che ti dice il tuo istinto Girasole,
a me ha salvato la vita la maggior parte delle volte: 
tra i miei esperimenti e mio padre, 
se non fosse per quella sensazione che ti graffia dietro la testa non sarei qua.


“Ciao bella addormentata, fatto un bel sonnellino?”


Non gli risposi. Aggrottai la fronte e osservai i paraggi, cercando di non guardarlo.
Ero in un laboratorio, attorno al mio lettino trovai un sacco di apparecchiature che non conoscevo, era poco illuminato, il che mi sembrava una benedizione rispetto alla stanza bianca dove mi ero risvegliata la prima volta.


Dov’è il mio orsetto? 


“Non di molte parole vedo, non ti preoccupare, ci sono abituato; anzi, forse è meglio così, con il ragazzo prima di te ho fatto parecchio fatica a farlo stare zitto, ora sa quando è il suo momento di parlare, forse lo incontrerai, chi lo sa”
“Dove sono? Non è la stanza bianca di prima, dov’è Bill?”
“Ah, ma lei parla! Adorabile, no comunque è da molto che hai lasciato la base in Argentina ora sei a Washinton DC dolcezza, purtroppo non posso dirti dove con precisione, comunque finché il tuo gestore l’Agente Foster non tornerà dalla sua missione tu sarai sotto la mia responsabilità, ci divertiremo un mondo insieme io e te”


Mi sorrise di nuovo, mi allontanai leggermente quando avvicinò la mano alla mia guancia per accarezzarla


“C-chi sei?”
“Scusami errore mio io sono l’Agente Alexander Pierce, è un piacere fare la tua conoscenza Ava”


Il suo sorriso era angosciante, era un miscuglio tra lo Stregatto e un lupo famelico, solo che lui, L’agente Pierce, voleva farmi qualcosa di peggio che dare consigli spassionati


Non mi piace, non mi piace per niente… torna presto Bill…
… Oorun


Ciao a tutti,
Questo è il mio primo Crossover su questi due Fandom e come al solito sono fortunatissima visto che due personaggi su tre non ci sono, qualcuno ha idea di come inserirli? Sono Alexander Pierce e Ava Starr rispettivamente per Captain America e Ant Man. 
Chiunque mi possa aiutare avrà la mia eterna gratitudine!
Spero vi possa piacere, recensite in molti e se avete domande o incomprensioni scrivetemi pure! 
Alla prossima, 
Maerifa

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Capitolo 2
*** Primo Incontro ***


Primo Incontro

 

Anno: 1997,

un mese dopo l’esplosione.

Località: Washington DC, base SHIELD

 

Le mattinate da quando ero entrata sotto la protezione dello SHIELD erano divise in due categorie: quelle Buone e quelle Brutte.

Le prime erano quelle che preferivo anche se ormai erano sporadiche.

Mi svegliavo all’interno della mia stanza, dopo che avevo avuto un altro sogno nebuloso di cui non ricordavo quasi nulla, solo frammenti.

L’agente Pierce, o signor Pierce, o solo Signore, mi veniva a prendere sempre con un sorriso e insieme andavamo a fare colazione nel suo ufficio.

Mangiavo in braccio a lui a volte, o quando ero particolarmente fiduciosa vicino tenendolo sempre per mano, mi aiutava a causa della mia intangibilità,

 

Questa parolona l’avevano usata i dottori che mi avevano in cura, insieme ad un'altra, molto più dolorosa: invisibilità.

 

Spesso, quando voleva che interagissi nel suo monologo appoggiava una mano sul mio ginocchio; e se ero distratta cominciava a farla scorrere sulla mia gamba. Di solito però ero sempre attenta, felice che si informasse sempre sul mio sonno e sugli esami che facevo.

Quando erano, appunto, buone mattinate cercavo ci farmi abbracciare il più possibile, ed ero fortunata che lui non perdesse mai occasione.

Quelle brutte erano maggiori delle altre.

Mi svegliavo sotto il letto, a contatto con il duro pavimento, non riuscivo a toccare nulla.

Ne i miei affetti personali ne le persone.

Ma quando cominciavo a sfarfallare, era in quelle occasioni che cominciavo ad urlare e a piangere.

Era doloroso. 

I medici non riuscivano a capire come stabilizzarmi e più andava avanti e più stavo male.

Quando era particolarmente brutto il signor Pierce mi portava la colazione nella mia stanza  e mi imboccava, o per lo meno ci provava ma quando vedeva che non riuscivo a stabilizzarmi a sufficienza per poter mangiare, allora avvisava i dottori.

C’è stato un giorno particolarmente brutto…

 

Flashback

 

l’Agente Pierce non  era ancora arrivato, ma io ero già sofferente. 

Ero nel mio angolo raggomitolata e l’attimo dopo ero caduta per terra. Mi rialzai e guardandomi

Intorno capii subito che non ero nella mia stanza.

Era umido e freddo, il posto dove mi trovavo era completamente diverso dal mio, via i muri nivei, al loro posto c’erano piastrelle di un giallino malaticcio, non ne ero  molto sicura però, non vi era molta illuminazione. Sembrava di essere in un laboratorio, le apparecchiature erano simili alle mie quando facevano i test sulla mia condizione, ma sembravano più lucide, nuove. 

Mi avvicinai piano, c’erano degli uomini che si muovevano freneticamente, era come vedere dentro un nido d’api tutti si  muovevano con criterio in una confusione perfettamente organizzata, stavano parlando una lingua strana ma famigliare, 

 

Come l’ha chiamata il signor Pierce?

 

È russo tesoro, noi agenti sappiamo molte lingue, 

soprattutto quelle del cosiddetto nemico…

 

Ad un certo punto uno dei medici passò velocemente attraverso di me.

Quasi urlai. Ma non so cosa mi trattene dal farlo.

Ingoiai il nodulo di dolore che era sorto, capendo perché ero un fascio di dolore e soprattutto perché ancora nessuno mi aveva notato.

In un attimo il ronzio delle voci si acquietò, non riuscivo a capire il perché.

Lentamente e il più silenziosamente possibile andai a vedere cosa aveva attirato l’attenzione di tutte quelle api scienziate.

Al centro vi era un cilindro, assomigliava molto ad una capsula, e al suo interno, collegato da tantissimi tubi vi era…

 

Un androide?

 

Non capivo, quella cosa, sembrava un uomo, se non fosse per il suo braccio fatto interamente di metallo.

 

Non hai idea Girasole della rivoluzione che farò nell’idea nel come pensiamo alle macchine, 

quando chiedi a qualcuno cosa sia ti rispondono che sono come dei calcolatori che possono solo tenere conto dei numeri, 

ma io farò ben di più! 

Renderò l’impossibile possibile, 

costruendo la prima Intelligenza Artificiale completa che sia mai esistita!

Ci puoi credere?!

E sono vicino, 

il nostro vecchio ancora non lo sa ma io ci riuscirò, 

fidati!

 

Di nuovo lui… Oorun 

Chi sei?

 

Nel silenzio assoluto, assistetti al risveglio della macchina.

Aprii di colpo gli occhi e le api si mossero in simultanea: chi andava a scollegare i tubi e lo sistemavano in un'altra stanza, con pareti di vetro spesso facendolo sedere rapidamente su una barella per poi scappare via di corsa. 

Altri invece si misero a preparare un'altra postazione, assomigliava a una grossa stazione di ricarica a forma di sedia con sopra un elmetto anch’esso pieno di fili.

 

Un attimo dopo un uomo in divisa si avvicinò, schiena dritta, stava  leggendo un libricino color carminio con una curiosa stella rossa bordata di nero.

Entrò nella stanza e si fermò davanti al robot.

Chiudendo di scatto il quadernino cominciò a parlare, forte e chiaro.

Il tono con cui pronunciava quelle parole sconosciute era brutale, senza nessuna cura, come se non contasse nulla per lui l’androide.

 

“Тоска Brama, ржавчина Ruggine, семнадцать Diciassette, рассвет Alba, Гомо Homo, девять Nove, доброжелательный Benevolo, добро пожаловать Benvenuta, грузовая машина Vagone Merci. доброе утро солдат Buongiorno Soldato.”

 

Rimasi immobile, non capivo cosa stava dicendo ma vidi che effetto aveva sull’androide, se lo era davvero.

 

Non dovrebbero provare sentimenti, giusto?

 

Sai questa è un eccellente domanda Girasole, 

le macchine provano sentimenti?

Adesso tutti, 

me compreso, 

ti dicono no, 

non ne provano.

Ma più avanti?

È il mio obbiettivo come ingegnere e futurista far si che possa succedere.

 

Non era possibile, non sentii nemmeno la risposta che diede, troppo ipnotizzata dal suo aspetto.

Lo lasciarono solo, il dolore sordo che provavo era sparito gradualmente non rendendomi conto che ero tornata visibile, mi avvicinai ancora e lo potevo vedere bene questa volta.

Non mi ero accorta che avevo attraversato il vetro infrangibile entrando nel posto più pericoloso. 

Nella sua zona di confort.

Aveva dei tentacoli morti, simili ai serpenti di Medusa, non volevo guardarlo negli occhi, spaventata che, come la gorgone mi potesse pietrificare se incrociavo il suo sguardo. 

Ma la curiosità vinse sulla paura.

Un vuoto che mi fece rabbrividire, ecco che cosa vidi quando lo guardai negli occhi.

Il viso però, era insolitamente bello, nonostante la trascuratezza.

Linee dritte per un viso serio, guance affamate, la mascella era marmorea ma con una curiosa fossetta su mento. Lo rendeva meno inquietante, 

 

A Oorun  gli sarebbe sicuramente piaciuto…

Eh?

 

Sai mi sono sempre chiesto come mai nessuno guardi oltre al grande Capitano Steven Grant Rogers,

oddio mi scoperei anche lui sia chiaro,

Hey! 

Smettila! 

Sto dicendo un pensiero profondo sai?

Di cosa stavo parlando più… ah si che mi scoperei il caro Cap-

 hey ok la smetto vado avanti, 

voglio dire, 

dove vogliamo mettere quel gran figo del Sergente Barnes? 

Con i suoi capelli scuri, 

occhi come ghiaccio bollente che ti fanno fremere non appena ti lancia un  occhiata, 

ah solo per loro due ne sarebbe valsa la pena aver vissuto con papà nei suoi orribili anni 40.

Solo per potermi infilare nei loro- 

Ahi! 

Ok la smetto! 

Ahi!

 

Scrollai la testa, il movimento mi fece ricadere l’occhio sul braccio di metallo.

Era incredibile, mi avvicinai ancora e stavo per toccarlo quando lo vidi. 

Il braccio, si era mosso.

Aveva contratto qualcosa e di conseguenza, come una marea, ogni singolo meccanismo si era mosso seguendolo in una sinfonia di circuiti e ingranaggi interni.

Lo volevo toccare, non sembrava nemmeno reale.

Lo stavo per fare quando percepii la tensione che si stava irradiando attraverso di lui, come una bestia pronta ad attaccare.

Mi ritrassi velocemente e come un colpo di frusta, mi ritrovai di nuovo in quella stanza sull’oceano, con il ragazzo dal sorriso di cristallo.

 

 Era in piedi di lato fuori sul balcone appoggiato alla ringhiera di ferro battuto in stile liberty . Era coccolato dalla brezza salmastra e dagli ultimi fasci di luce, lo sfioravano come una madre amorevole.

Ma questa volta era diverso, sembrava come l’androide, i loro occhi. 

Erano uguali.

Pozze oscure di vuoto e di un dolore profondo e radicato.

Ed io stupidamente mi sono avvicinata toccandolo.

 

N-non dovresti e-essere qua,

 no oh dio no… ti prego, 

mi dispiace tanto Ava, 

i-io non volevo c-colpirti.

 Ma ma mi hai toccato, 

non avresti dovuto, 

dovrai sempre chiedere, luce di stelle, ma mi mi farò perdonare giuro.

Non devi mai toccare qualcuno di nascosto. 

promettimelo

 

“Mi dispiace, i-io n-non volevo spa-spaventarti… hai un bel braccio, posso toccarlo? Sei un robot?”

 

Mi ritrassi spaventata.

Lui mi studiò, in un attimo si diresse rapidamente verso di me e provò a prendermi.

Io non riuscii ad allontanarmi abbastanza in fretta che me lo ritrovai addosso.

Mi afferrò per un braccio ma la sua mano mi passò attraverso, stava continuando a borbottare parole per me incomprensibili.

Per la prima volta in assoluto sul volto vuoto del robot un’emozione: lo stupore.

Misto anche a fastidio.

Si guardò la mano come se non fosse sua, girandola, finché il suo sguardo non ricadde di nuovo su di me.

Ero terrorizzata.

Ricominciò a ripetere sottovoce quelle parole incomprensibili e prendendo coraggio gli dissi

 

“I-io non capisco quello che stai d-dicendo, mi dis-spiace.”

 

Lui sgranò gli occhi, guardandomi da cima a fondo e studiando bene quello che stava succedendo fuori si accucciò al mio livello

 

“io con-conoscere te… io no robot, io ресурс, ri-risorsa”

 

La sua voce sembrava essere uscita da una tomba, era grezza per il disuso.

Non parlava molto bene l’inglese.

Non ebbi il tempo per rispondere che entrarono in massa dentro la stanza con le armi puntate verso di noi.

Ero spaventata a morte.

I soldati cominciarono ad urlare quando il robot, no la Risorsa, si tirò su in piedi continuando a guardarmi, finché uno di loro non si avvicinò. 

A quel punto, scoppiò il putiferio.

Io mi ritrassi nascondendomi in un angolo della stanza e rimasi li raggomitolata, mettendomi le mani sulle orecchie e posando il viso sulle ginocchia per impedirmi di vedere la carneficina che stava succedendo.

Ero preoccupata per la Risorsa.

Non volevo che gli facessero del male.

Non sapevo quanto tempo era passato, finché non sentii una mano famigliare accarezzarmi i capelli.

 

“S-signor Pierce! M-mi dis-dispiace tantissimo. I-io non vol-volevo…”

“Va tutto bene Ava, non ti preoccupare, ero molto in pensiero per te tesoro. Non avevo idea di dove fossi finita, quando mi hanno chiamato avvisandomi che eri  nella stanza di contenimento del Soldato e che lui non stava collaborando nel rilasciarti, mi sono spaventato.”

 

Lo cercai con lo sguardo dopo che mi prese per mano e ci dirigemmo verso l’uscita, per essere così enorme riusciva a nascondersi piuttosto bene, perché lo intravidi quando ormai eravamo fuori dalla stanza.

Era rannicchiato in un angolo della stanza dietro la barella e stava guardando il pavimento. 

Continuava a borbottare.

 

“Ava… Ava… Ava… Энтони ... котенок” 

 

Fine Flashback

 

Da quella mattina non lo rividi più. 

Un po’ mi dispiaceva, a parte lo spavento iniziale, da quanto mi aveva riferito il signor Pierce, era stato insolitamente protettivo nei miei confronti, e i suoi gestori non avevano capito il perché.

L’agente mi chiese se lo avessi mai visto prima, ma per me era uno sconosciuto. 

Non avevo idea di come mi potesse conoscere. 

Poi mi chiese di un altro nome.

Энтони.

In russo a quanto pare significava Anthony.

Non avevo idea di chi fosse, però quella era l’occasione perfetta per parlare della mia voce. 

Di Lui.

Non ci ero riuscita.

 

Oorun…

 

Dopo quell’evento le giornate si appiattirono drasticamente.

Le mattine erano ormai uguali e i pomeriggi erano passati nello stesso modo: nei laboratori dello SHIELD.

Mi ci accompagnava sempre l’agente Pierce, la base dove mi avevano stabilito era incredibilmente luminosa.

Così diversa da quello che avevo visto quella mattina.

Le luci erano ovunque, illuminavano i corridoi come se fossero all’interno di una base spaziale. Quelle stupide pareti bianche, odiavo il bianco.

 

Ah Girasole, 

saresti una visione in bianco-

Ahi! 

ma so che lo detesti.

Mi viene da ridere a pensare se tu ti dovessi mai sposare.

Lo faresti impazzire, o la.

In realtà non importa, 

io intanto sarò presente per denigrarli,

nessuno sarà mai alla tua altezza, 

non per me.

 

 

In quegli immacolati laboratori iniziava la mia tortura. 

Cominciava con uno scienziato, sempre lo stesso, i capelli perfettamente curati, occhi infossati e scuri, corporatura di uno spaventapasseri.

 

Sei sempre così curiosa e affamata di storie Girasole, 

che ne dici se questa sera ti racconto del Meraviglioso Mago di Oz? 

Tua mamma me lo leggeva tutte le sere prima di dormire, 

la storia originale bada bene. 

Non una di quelle imitazioni da quattro soldi,

mi piacevano in particolar modo le vicende dello Spaventapasseri e la sua ricerca di un cervello.

In fondo siamo un po’ tutti come lui: 

creature alla ricerca della conoscenza per battere il nostro avversario.

 

Sempre quella voce.

 

Nei momenti più disparati arrivava, con spezzoni di libri, pareri.

Non sapevo chi era, non capivo, non era Elihas, o chiunque altro della mia memoria.

Dopo il prelievo dallo Spaventapasseri si passava al lato pratico della mia condizione.

Continuavano a ripetermi che era obbligatorio, per comprendere la mia malattia, e soprattutto quello che mi permetteva di fare.

 

“signorina Starr, la prego provi a far passare quel cubo attraverso la parete…”

 

 

“Signorina Starr, la prego faccia diventare invisibile quel pezzo di stoffa… so che le provoca dolore, stiamo cercando di toglierlo, ma se non ci fa capire come funziona, noi non possiamo aiutarla…”

 

 

Era un continuo, e non trovavo nessun miglioramento.

 

Eccomi qua, sono tornata ad aggiornare questa storia. non l'ho abbandonata, nonostanteil silenzio radio che sta ricevendo.
insisto, nella speranza che in realtà ho un pubblico molto silenzioso.
Spero l'appreziate.
Vi aspetto in molti con tutte le vostre domande critiche, costruttive mi raccomando e altro.
Alla prossima.

Maerifa

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