Just the two of us against the world

di MissAdler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Bello, che ci importa del mondo 

Verremo perdonati, te lo dico io, da un bacio sulla bocca un giorno o l'altro

 

 

Il tepore d'inizio estate lambiva con un tocco delicato le teste di quegli individui eccitati e smaniosi.

Una leggera brezza muoveva gli steli delle margherite e dei muscari, portando il loro profumo oltre il prato, mischiandolo a quello del prosecco e del succo d'albicocca.

 

- Quella è una canna?

Un colpo di tosse improvviso aveva scosso quella massa lucente di riccioli scuri, la mano era corsa dietro la schiena a nascondere l'oggetto incriminato.

- Fratello caro, vuoi essere strafatto proprio oggi? Pensavo ne avessimo parlato.”

- Non essere ridicolo, Mycroft, è solo erba! E se proprio devo dirla tutta è anche di pessima qualità. Dovrei sentirmi quantomeno rilassato e invece...

- Non ne hai bisogno.

Il maggiore si era avvicinato a Sherlock togliendogli lo spinello dalle dita, - tu, fratellino, stai provando esattamente quello che ci si aspetta che provi qualunque essere umano nella tua situazione.

Gli aveva messo le mani sulle spalle e aveva preso a fissarlo con un sorriso stranamente conciliante. - Ti dissi che i sentimenti sono uno svantaggio, che ti vincolano, ti ricattano, ti distraggono, ti rendono vulnerabile ma tu non mi hai dato ascolto - sul viso del fratello minore era comparso un sorriso amaro, - e hai fatto bene, Sherlock. Che senso aveva la tua vita prima di lui? Eri un ragazzino con un cervello straordinario e un cuore anestetizzato, un bambino terrorizzato dai sentimenti, con un trauma alle spalle, il nulla di fronte e un deserto tutto intorno. Poi è arrivato lui. E io l'avevo capito che sarebbe finita così. L'avevo capito e non ti ho incoraggiato, anzi, ho ridicolizzato i tuoi sentimenti ogni volta che ne ho avuto l'occasione. Volevo proteggerti, posso dire solo questo a mia discolpa.

Sherlock strabuzzò gli occhi e lo fissò incredulo.

- Sei cambiato davvero, Mycroft.

- Così pare, fratello caro, - lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e spense il mozzicone con la suola di una delle sue costosissime John Lobb, ancora rigide e profumate di cuoio appena lavorato - ma non dirlo in giro, ho una certa reputazione nei miei ristretti circoli.

Così dicendo girò sui tacchi e si diresse a passo ampio e sicuro verso il prato.

 

 

***

 

 

Rosie gli stava correndo incontro sul vialetto di ghiaia, Sherlock se ne stava in silenzio, tergiversando e borbottando ragionamenti incomprensibili, con la schiena appoggiata alla parete di pietra.

Il cottage suggerito da Mycroft era un edificio storico risalente ai primi dell'Ottocento, - vi hanno girato persino un film - aveva declamato con tono fiero, - ambientato in epoca Regency per giunta!

Le mura di pietra grezza erano coperte d'edera rampicante e sotto il portico, retto da colonne in marmo con capitelli finemente lavorati, sicuramente d'epoca più recente, c'erano vasi di terracotta con fiori d'ogni tipo.

- Papi! Possiamo andare adesso? Daddy si sta arrabbiando, dice che se non ti sbrighi se ne torna a casa da solo.

I boccoli biondi oscillavano sulla schiena ad ogni movimento, il vestitino in organza bianca con le balze di pizzo, il merletto verde chiaro sullo scollo e sulle maniche a palloncino, si intonava alla perfezione con i nastri e le margherite tra i capelli già spettinati.

La piccola Watson aveva da poco compiuto cinque anni ed era un vero terremoto, vivace, curiosa, ribelle. Assomigliava a Mary sotto molti aspetti. Ma ancora di più somigliava a suo padre.

Quel cielo negli occhi, quel nasino da folletto, lo stesso inconfondibile sorriso.

Sherlock glielo restituì immediatamente, la prese per mano e si lasciò condurre fino all'arco coperto di glicine, posto al limitare del prato.

L'odore dolce e umido di erba e fiori di campo lo stordiva più del THC che aveva in corpo. Il frinire delle cicale lo ipnotizzava come una nenia lontana.

Il cuore prese a martellargli nel petto, le ginocchia sul punto di cedere da un momento all'altro, procedeva a passo incerto, combattendo il senso di nausea e concentrandosi per non inciampare nei suoi stessi piedi.

Paura. Tanta. Ma non per se stesso.

Il timore di non essere abbastanza, di sbagliare, di deluderlo. Il timore di esasperarlo, di ferirlo, di rovinare tutto. Il timore, anzi, il terrore di allontanarlo, di perderlo per sempre...

- Papi, ora dovresti guardare.

E a Sherlock era bastato alzare di poco lo sguardo per vederlo.

John.

Il resto era irrilevante.

I volti, il vociare sommesso, le risatine eccitate, il quartetto d'archi che intonava le dolcissime note di una melodia composta da lui, l'umidità del crepuscolo inglese, i fischi incoraggianti di Greg e il fastidioso tinticarello di Mycroft.

Nulla sembrava sfiorarlo minimamente, se non quegli occhi d'indaco che lo stavano accarezzando con infinita dolcezza, velati di commozione e orgoglio.

Le labbra sottili distese in un sorriso abbagliante, il petto gonfio d'una fierezza che nemmeno gli anni da militare gli avevano mai conferito.

E Sherlock, in quell'istante, era una falena che avanzava inesorabilmente verso la luce, attratto dalla fiamma che aveva sciolto il ghiaccio attorno al suo cuore, che aveva dissipato le tenebre della sua anima, che aveva portato calore in ogni angolo della sua mente gelida.

Sherlock Holmes.

Il genio, lo scienziato, l'ateo, il cinico, il sociopatico. Stava per farlo sul serio.

L'uomo fatto di carne e sangue, l'uomo che da sempre era stato in grado d'amare. Di un amore potente e senza freni. Nello stesso modo in cui le sue doti mentali sfondavano ogni parametro ed eludevano ogni limite umano, così il suo amore per John non conosceva confini.

Si sistemò la spilla di diamanti sulla cravatta color crema, accelerò il passo e in attimo gli fu accanto. Rosie baciò entrambi e corse a sedersi accanto alla zia Martha.

- Sei in ritardo, Sherlock. - gli aveva sussurrato a mezza bocca, fingendosi contrariato.

Il compagno era rimasto serio, mortalmente serio, ma le guance arrossate e gli occhi lucidi tradivano l'emozione.

- Lo siamo entrambi, non credi?

- Di dodici anni, ragazzi – li aveva apostrofati Mycroft di fronte a loro, - ho a che fare con due perfetti idioti, ed ora che l'abbiamo stabilito, - aprì il tomo che teneva in mano schiarendosi la voce, - vogliamo cominciare?

 

 

 

Note dell'autrice ^^

 

La canzone è "il bacio sulla bocca" di Fossati, vi prego ascoltatela perché perfetta per loro.

 

Ho scritto questo primo capitolo in un'ora, senza rimuginarci troppo, spero di avervi comunque incuriosito.

 

Grazie per essere passat*

Se vi va, fatemi sapere che ne pensate!

 

  

 

 

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


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Una frescura umida e impalpabile accarezzava le guance degli invitati.

Gli sguardi assorti e increduli di fronte a quello scenario straordinario e perfetto, titubanti come chi ha appena perso una scommessa sicura, su cui aveva puntato una fortuna, e che ora è costretto a ricredersi, riconoscendo una sorta d'inedito miracolo.

- Sei stupendo, lo sai?

Sherlock lo era davvero, con il tre pezzi in fresco lana blu notte, il gilet avorio in contrasto con la giacca monopetto, la cravatta color crema fermata da una spilla di piccoli diamanti.

Erano vestiti allo stesso modo, lui e John, ma l'ex soldato era convinto che la sua immagine non potesse neanche lontanamente essere paragonata a quella del compagno.

Dopotutto, chi poteva eguagliare Sherlock Holmes per fascino ed eleganza?

Non riusciva a distogliere lo sguardo dalle sue labbra.

Molti invitati, tra cui Greg e la signora Hudson, avevano il sentore allarmante che l'avrebbe baciato da un momento all'altro, un po' troppo in anticipo, attirandosi il sarcasmo pungente del futuro cognato.

E invece il capitano Watson non si era mosso. Stoico e composto, si limitava a passarsi la lingua sulle labbra di tanto in tanto, corrugando la fronte e sollevando gli angoli della bocca in un sorriso appena accennato.

Certo, al più abile deduttore del mondo non era sfuggito il suo gesto ripetitivo di passarsi la mano tra i capelli, compulsivamente, sebbene il ciuffo grigio tirato all'indietro fosse perfettamente fermo al suo posto.

Mycroft parlava. Recitava articoli, commi, clausole...parlava e la sua voce tremava appena, di tanto in tanto, arrivando ovattata alle orecchie dei due uomini, persi uno negli occhi dell'altro.

Il delicato venticello estivo smuoveva i nastri in satin sulle sedie di legno finemente shabbato, e con delicatezza sospingeva le tende di chiffon, facendole danzare sul ferro battuto dei gazebo posizionati strategicamente in alcuni angoli di prato.

- Sì.

E John aveva scorto una piccola lacrima all'angolo dell'occhio di Sherlock. Piccola e trasparente, ostinata e decisa a non sporgersi oltre la palpebra.

I ricci scuri iniziavano a spettinarsi con quella brezza dispettosa, John vi passò le dita per ravviarglieli, come aveva fatto fino a quel momento con i suoi, o forse la sua era più una carezza, un modo per fargli sentire che lui era lì e vi sarebbe rimasto sempre...per sempre.

- Sì, certo che sì, - rispose quando fu il suo turno, spostando le dita sul viso di Sherlock e prendendogli il mento delicatamente, per fargli alzare lo sguardo.

Agganciò quegli occhi acquamarina e li tenne legati ai suoi per un tempo che ad entrambi parve infinito.

E in essi rivide scorrere una vita intera, fatta per lo più di vuoti, errori, negazione e rimpianti.

Una vita a cui soltanto l'uomo che aveva dinnanzi era riuscito a dare un senso.

Così come lo aveva dato a John Hamish Watson, alla sua vera natura, alle sue contraddizioni, alla sua continua ricerca di un posto nel mondo.

- Sei tu, - gli aveva quindi sussurrato, poco prima di baciarlo,- sei sempre stato tu, Sherlock, you keep me right.

Poi lo baciò piano, sfiorandogli appena le labbra, percependo l'umidità di quella lacrima sfuggita lenta e silenziosa, sulla guancia liscia e arrossata dalla brezza insistente e stuzzicante di quella perfetta sera di giugno.

Lo strinse forte, seppellendo il viso nel suo collo, piangendo anch'egli, segretamente, protetto da quei boccoli soffici che profumavano di vaniglia.

Non voleva staccarsi da lui, nonostante gli applausi, gli schiamazzi, Rosie che lo tirava per un lembo della giacca. Perché davvero quello era il suo posto, il suo baricentro, la sua ancora, il suo porto sicuro.

E mai, mai nella vita l'avrebbe lasciato, ne era certo, perché in passato aveva già sbagliato fin troppo e perché in nessun caso sarebbe sopravvissuto lontano da lui.

Si staccò solo per baciarlo di nuovo. Non più delicatamente, ma con tutta la foga che sentiva montare dentro di lui, prendendogli il viso tra le mani e accarezzandogli gli zigomi con i pollici, ripetutamente.

Sherlock lo lasciò fare, rapito da quell'impeto improvviso, così tipico del suo John da non stupirlo minimamente.

E all'improvviso non ci furono più applausi, né fischi, né risate.

Non c'era nessuno a tirare la giacca di John, non c'era Mycroft col suo tinticarello indiscreto, né la musica degli archi.

Scomparve ogni cosa e rimasero solo loro, a baciarsi come se fosse la prima volta, o forse l'ultima, a stringersi come se quel debole venticello estivo potesse in qualche modo allontanarli anche solo di un centimetro.

Erano solamente loro due, lo erano sempre stati.

Loro due al centro di quella ridicola, assurda fama, plasmata sulle avventure del geniale Sherlock Holmes e del suo fidato Dottor Watson, una vera e propria leggenda, alla base della quale altro non c'era che una semplice, straordinaria storia d'amicizia, d'amore, di appartenenza reciproca.

Loro due contro il resto del mondo.

 

 

***

 

Perciò volami addosso se questo è un valzer

  

Volami addosso qualunque cosa sia


Abbraccia la mia giacca sotto il glicine e fammi correre

 

 

 

La cena venne servita all'interno del cottage, in una sorta di ampio salone dai soffitti affrescati in stile rinascimentale, allestito come una vera e propria sala da ballo, con tanto di tavoli apparecchiati in modo impeccabile secondo le rigide disposizioni di Mycroft Holmes.

Sulle tovaglie immacolate, finemente rifinite a mano, erano disposti piatti in ceramica di Capodimonte e posate d'argento, calici in cristallo di Boemia e candelabri in vetro di Murano come centrotavola.

Petali di rose Baccara, sparsi casualmente ovunque, a richiamare i colori dei dipinti, completavano l'insieme, conferendo eleganza e romanticismo all'ambiente.

- Vuoi ballare, John?

- Cioè, stai...sul serio?

- Perché no?

- Adesso?

- Adesso.

Sherlock gli porse la mano destra e suo marito la prese dubbioso, conducendolo al centro della sala con passo incerto.

- Sher, io...lo sai che non sono il massimo in questo genere di cose.

- Non puoi essere più inquietante di mio fratello, ubriaco e in canottiera, che balla YMCA al nostro addio al celibato.

- Effettivamente...sto ancora cercando di dimenticarlo.

Sherlock fece segno ai musicisti di iniziare a suonare.

Il brusio cessò e tutti gli occhi furono puntati su di loro, mentre le note di Moon River riempivano la sala dai soffitti altissimi.

- Aspetta! ...due, tre...via!

E in un istante John se lo sentì addosso, petto contro petto, a posargli una mano sulla spalla, l'altra sul palmo sinistro con un tocco leggero e delicato.

Circondò la vita di Sherlock, sentendo il fresco lana della giacca sotto le dita, immaginando la pelle calda, liscia e bianchissima sotto gli strati di tessuto.

Si mossero e fu davvero come volare.

Volarsi addosso, letteralmente. Amarsi con gli occhi, facendo l'amore vestiti, in un salone pieno di gente, solo sfiorandosi le mani, odorandosi i respiri, perdendosi in quella musica senza più pensare ai passi e staccandosi da terra.

- Come lo sapevi?

- Della musica? - Sherlock sorrise trionfante, senza staccare gli occhi dai suoi, - sei un romantico John, benché tu faccia di tutto per nasconderlo. E ti ho sentito mille volte cantare Henry Mancini a Rosie per farla addormentare.

- Fantastico!

- L'hai detto ad alta voce.

John rise piano e appoggiò la fronte sulla sua spalla. Avevano smesso di seguire i passi e si limitavano a dondolarsi lentamente su posto.

Di nuovo erano soli, di nuovo non c'erano voci, sospiri, risate, non c'era più nemmeno il soffitto, né le pareti o il pavimento...sparì il cottage, sparì il prato con i fiori, le cicale, l'arco di glicine.

Erano solamente loro due che danzavano stretti, ad occhi chiusi, respirando piano.

E in un attimo erano nel laboratorio del Barts, ciondolando abbracciati tra i ripiani e gli strumenti chimici.

Ciondolavano tra i tavoli del ristorante di Angelo, circondati dalla luce di mille candele.

Ciondolavano nel Museo di Antichità e sul bordo di una piscina con le tende fucsia e blu.

Ciondolavano nel salottino di Buckingham Palace, nell'oscurità del bosco di Baskerville, sul tetto del Barts, ad un passo dal cornicione, dove John lo strinse talmente forte da fargli male.

Ciondolavano e ballavano la loro amicizia, gli anni sprecati, i momenti migliori, quelli dolorosi...l'acquario di Londra, l'obitorio, una stanza d'ospedale.

Danzavano tra le lapidi di Musgrave, accanto al pozzo dov'era sepolto il piccolo Victor Trevor.

Danzavano nel salotto di Baker Street, tra le loro due poltrone, il bip bip del microonde con due pollici umani cotti a 1200 watt, il profumo del tè al mirtillo, in infusione sul tavolo della cucina, le note del violino di Sherlock...

- Ti amo, Jawn...

No. Forse non era il suo violino...era un quartetto d'archi che suonava Moon River.

Erano i loro amici che applaudivano, Molly, la signora Hudson e il signor Holmes che piangevano, Greg che abbracciava goffamente un Mycroft silenziosamente commosso.

Era Rosie che saltellava lì accanto, chiedendo di poter ballare con loro.

Era un ballo che non sarebbe finito con le note della canzone, perché loro quella danza l'avrebbero danzata in eterno, ciondolando abbracciati e con gli occhi chiusi, in ogni istante della loro vita.

E quando poco dopo uscirono a prendere aria, lontano dalla folla, nell'aria fresca della notte profumata di gelsomino, immersi in un silenzio fatto di fruscii di foglie e canti di cicale, si presero di nuovo per mano, fermi sul ciglio del prato, con il glicine ad ondeggiare sopra le loro teste.

- Ti...ti andrebbe di ballare ancora?

Per tutta risposta John lo abbracciò baciandogli il collo, gli appoggiò la guancia sulla spalla e all'unisono cominciarono a dondolarsi, ciondolando mentre i cuori e i respiri si sincronizzavano e tutto il resto scompariva.

 

 

Eccolo il quadro dei due vecchi pazzi

 

Sul ciglio del prato di cicale


Con l'orchestra che suona fili d'erba e fisarmoniche


Ti dico, bello, che ci importa del mondo

 

 

 

Note dell'autrice ^^

 

La canzone è sempre "il bacio sulla bocca" di Fossati, se non l'avete già ascoltata, fatelo al più presto! ;)

 

La musica con cui ballano gli sposini è Moon River di Henry Mancini, ovviamente l'ho immaginata suonata da un quartetto d'archi e penso che sia perfetta per creare l'atmosfera che avevo in mente.

 

Grazie per essere arrivati fin qui, alla conclusione di questo meraviglioso matrimonio. Tuttavia non è che un inizio e spero che apprezzerete anche l'epilogo, seppur molto malinconico!

Se vi va, lasciatemi il vostro parere!

 

  

 

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 Ed eccoci giunti alla conclusione di questa mini long. In realtà la storia del matrimonio può considerarsi conclusa nel precedente capitolo. Questo è più che altro un epilogo strappalacrime. Vi avverto, qui c'è un bel po' di malinconia. Se non volete piangere, fermatevi qui. Molt* di voi coglieranno il riferimento ad una certa storia che, per non spoilerare, citerò nelle note finali.

Grazie per essere giunt* fin qui e buona lettura!

  

***

 

- E poi? Come è andata a finire? Sono rimasti insieme quei due?

- Certo. Uno accanto all'altro, in ogni istante. Per tutta la vita.

L'aria dolce e calda di un tramonto di fine aprile avvolgeva col suo tepore ogni fiore, ogni foglia, ogni filo d'erba.

Il cielo aranciato, spennellato di rosa, si specchiava nell'acqua chiara e immobile della fontana in mezzo al giardino.

Canto di pettirossi e cardellini tra i rami del grande tiglio vicino al recinto.

Due individui stavano seduti su sedie di vimini, sotto un mandorlo in fiore, due tazze di tè sul tavolino in mezzo a loro.

- È davvero una bella storia. Dovrebbe pubblicarla. Sono certo che farebbe successo, è il genere di romanzo che la gente apprezzerebbe.

- No...non penso sia il caso. Ci sono molto affezionato e non so se mi sento di condividerlo.

Il suo interlocutore si sistemò meglio sulla sedia, appoggiandosi allo schienale con un sospiro.

- Con me l'ha condiviso però.

- È diverso. Lei è mio amico.

- E non ha altri amici? È sposato, no? E ha una figlia. Alla sua famiglia non l'ha fatto leggere?

- Sì, beh, certo. Loro conoscono la storia quasi meglio di me. Anche al mio più caro amico piace molto.

- Oh, sì, George, quello che vive a Londra. È in pensione giusto?

- Sì, come me. E come lei, caro il mio ozioso uomo di campagna.

- Mi racconti ancora, la prego. Fu Sherlock ad insegnare a John come ballare il valzer? In occasione del suo primo matrimonio, se non sbaglio.

- Esatto, mi fa piacere che si ricordi questo dettaglio. Fu un momento bellissimo. Un po' imbarazzante, di sicuro...ma bellissimo.

- E allora, se si amavano così tanto, perché quell'idiota ha sposato Mary?

Le profonde rughe sulla sua fronte si evidenziarono ancora di più, nascoste in parte da una ciocca brizzolata. Doveva essere di quattro o cinque anni più giovane dello scrittore, che ne dimostrava all'incirca un'ottantina e che adesso taceva, fissando il pesante taccuino chiuso sulle sue ginocchia, in cerca delle parole giuste.

- Penso che avesse paura.

Gli uscì dalle labbra in un sussurro, la voce gli tremò appena.

- E di cosa? Insomma, erano i primi del Duemila, mica il medioevo! Si vergognava del fatto che fosse innamorato di un uomo?

- No! Certo che no! - prese un respiro profondo e si sporse appena verso l'anziano amico, - Ecco...lui...temeva la portata di quel sentimento. Aveva creduto d'aver perso Sherlock due anni prima e non si era ancora ripreso del tutto. In più, era convinto che non avrebbe mai potuto averlo, che non lo ricambiasse, che quell'amore a senso unico, disperato, totalizzante e profondo quanto la sua anima l'avrebbe distrutto, un giorno o l'altro. E temeva che se glielo avesse confessato l'avrebbe perso di nuovo. Non avrebbe retto. Era tutto troppo complicato...forse, se l'avesse saputo...

- Sì, certo, quante scuse. Sposare un'altra persona non è stata comunque una scelta vincente.

- No. Decisamente. Su questo ha ragione. John è un uomo che ha fatto molti errori nella vita...e ne ha pagato il prezzo.

- Comunque alla fine si sono trovati, è questo l'importante.

- Già. E la loro vita è stata incredibile, un'avventura straordinaria.

Il vecchio sorrise in modo strano e si portò indietro i capelli bianchi con la mano sinistra. L'altro scorse il sottile cerchio d'oro attorno all'anulare e abbassò gli occhi sulle sue mani, istintivamente.

Nessun anello. Solo qualche bollicina qua e là, sulle dita e sui polsi.

- Lei sa ballare? - domandò di getto allo scrittore.

- Me la cavo. E lei?

- Non ne sono sicuro.

Seguirono alcuni istanti di silenzio, rotti soltanto dal cinguettio che proveniva dagli alberi.

- Vuole provare? - domandò il più anziano.

- Cosa? Adesso?

- Perché no? Mi aspetti qui.

Afferrò il bastone, posò il quaderno sul tavolino e scomparve all'interno del cottage.

Quando tornò teneva in mano un vecchio modello di notebook, lo appoggiò sul tavolo e digitò qualcosa che l'altro non poté decifrare dalla sua posizione.

Pochi istanti più tardi, le note di Moon River li avvolsero, insieme alla voce calda di Henry Mancini.

- Avanti, mi dia la mano.

- Suvvia, è ridicolo, a malapena ci reggiamo in piedi!

- Oh, non faccia i capricci, sono sicuro che in gioventù è stato un ottimo ballerino.

Così dicendo gli cinse la vita sottile con un braccio e lo attirò a sé, appoggiandosi a lui e abbandonando quindi il bastone sullo schienale della sedia.

Quando presero a dondolare lentamente, ancora un poco distanti, con le gambe che tremavano appena, si guardarono finalmente negli occhi.

E accadde.

L'erba sotto i loro piedi era una distesa di marmo, sopra di loro un affresco d'angeli e rondini si stagliava su volte altissime. Le note di un violino, gli applausi, il suo profumo...

- John...?

Il tempo parve congelarsi, come tutto ciò che li circondava. Persino il vento smise di muovere le foglie.

- Mi...mi ricordo ora... - l'espressione dell'uomo in vestaglia si trasfigurò in un secondo, - io...mi ricordo!

Il più basso si fermò e sgranò gli occhi, tenendoli puntati in quelli sottili e chiarissimi del suo amico, mentre le lacrime presero a scivolargli sulle guance.

- John...sei tu?

- Sì...sì, amore...

- Eravamo noi...gli innamorati della tua storia...era il tuo blog...

- Sì, piccolo mio...ti amo...ti amo tanto... - e prese a baciarlo sulla fronte, sulle palpebre, sul naso, sulle labbra.

E piansero entrambi. Le dita di Sherlock corsero ad asciugare le guance grinzose di John , le spalle gli tremavano e la voce era ridotta a un filo.

- Cosa mi è successo?

- Niente...niente Sherl. Sei solo stato via per un po'.

- Alzheimer?

- Mi dispiace...

- Oh, non dispiacerti. Però è certamente ironico, non credi? E pensare che avevo un palazzo mentale una volta... - sorrise con gli occhi pieni di rammarico, - quanto tempo abbiamo?

- Non ne sono sicuro. L'ultima volta sono stati cinque minuti.

- D'accordo. - Sherlock chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, - dimmi di Rosie, della sua famiglia.

- Oh, lei sta benone, Michael è un brav'uomo e anche i loro ragazzi se la cavano alla grande. Meg si sposerà tra due mesi.

- E gli altri? Mycroft e Geoffry?

- Greg. Si chiama Greg. Dio, Sherl, quanto mi sei mancato!

Se lo fece aderire al petto, strinse la ciniglia della vestaglia tra le dita, nascose il viso nell'incavo del suo collo, ancora incredibilmente liscio, e lo senti tremare impercettibilmente.

- Non voglio andarmene, John.

- Sssshh. Non ti lascerò andare da nessuna parte. Resteremo qui insieme, solo noi due, contro il resto del mondo. Te lo promisi tanto tempo fa, ricordi?

- Adesso sì...ma che succederà quando non saprò più chi sei, né quanto ti amo, né...

- Ma lo saprò io. Io so bene chi sei, Sherlock Holmes, so chi siamo, so chi siamo stati, - si scostò quel tanto da guardarlo negli occhi, - e trascorrerò il tempo che mi resta a raccontartelo. A volte tornerai da me, come hai fatto adesso, altre non saprai nemmeno chi diavolo è, questo vecchio medico militare che ti prepara il tè e ti legge storie d'amore. Ma non importa, perché quello che conta è che io sarò accanto a te, sempre.

Il sole era ormai tramontato, lasciando il posto alle prime stelle della sera; i cardellini avevano smesso di cantare e attorno a loro iniziarono a svanire quelle pareti immaginarie.

- John...ti andrebbe di ballare ancora con me? Solo un altro po'.

- Certo che sì. Vieni qui...

E anche se la musica era finita, di nuovo si strinsero forte, ciondolando lenti e silenziosi, su quella superficie marmorea che divenne nuovamente prato, sotto un cielo di stelle, cullati dal canto di mille cicale.

- Jawn...sei l'amore della mia vita.

- E tu della mia, Sherlock. Lo sei sempre stato.

La voce gli si spezzò in gola, le lacrime tornarono a rigargli le guance.

Piansero in silenzio, aggrappandosi l'uno all'altro, goffamente, ciondolando ad occhi chiusi fino a perdere la cognizione del tempo.

E mentre l'aria si faceva più fredda e il concerto di cicale cessava, avvertì suo marito che si staccava da lui e lo guardava con un sorriso indecifrabile.

- Si è fatto tardi. Mi aiuta a controllare le arnie, vecchio mio?

Non aspettò risposta e si diresse a passo lento sotto il portico, a recuperare i guanti protettivi. Lo stesso portico dove quarant'anni prima aveva fumato una canna, con i ricci scuri mossi dal vento, pochi istanti prima di raggiungerlo su quello stesso prato, sotto un arco di glicine, tenendo Rosie per mano e alzando gli occhi su un John fiero e bellissimo.

Avevano comprato quel cottage e ci si erano stabiliti una volta in pensione, Sherlock aveva iniziato ad allevare le api da miele, John aveva aperto un nuovo blog ed era riuscito a pubblicare un paio di romanzi. Facevano lunghe passeggiate, prendevano il tè in giardino, chiacchieravano seduti in poltrona. Quelle le avevano portate con loro, quando avevano lasciato Baker Street, ed erano ancora lì, nel salotto del cottage, scolorite e rovinate, perfette e insostituibili, proprio come loro.

John seguì Sherlock con lo sguardo, mentre si dirigeva dalle sue adorate api, scorgendovi per un istante l'uomo a cui aveva prestato il cellulare, tanti anni prima, al laboratorio del Barths, senza nemmeno conoscere il suo nome. Rivide i riccioli neri ondeggiare nella brezza notturna, la pelle liscia e bianchissima spuntare dal colletto della vestaglia di seta...eccolo lì, il genio scaltro della bellezza, che il tempo non aveva sfiorato.

Aveva molto altro da raccontargli, altri casi, altre avventure, buffi aneddoti, vacanze indimenticabili, il matrimonio di Mycroft e Greg, i traguardi di Rosie, le liti, i baci, le notti trascorse a parlare, a fare l'amore nel silenzio della città addormentata.

C'era una vita intera che andava narrata, una storia che non era finita, perché entrambi erano ancora lì. Non nel modo che avrebbero desiderato, certo, ma erano insieme.

John raccolse il taccuino dal tavolo, lo strinse delicatamente tra le mani e una lacrima cadde sul titolo scritto a pennarello, sbaffandolo appena.

 

“JUST THE TWO OF US, AGAINST THE WORLD”

 

 

 

Stancami...e parlami...abbracciami...fruga dentro le mie tasche e poi...

 

Perdonami. Sorridi.

 

Guarda quanto tempo...che arriva con te...

 

 

NOTE DELL'AUTRICE

Sì, lo so, probabilmente mi state odiando e lo capisco. La mia amica Martina mi ha già esternato il suo odio in ogni modo possibile e immaginabile.

Ma se ci pensate bene, resta pur sempre un lieto fine. Cioè, a 85 anni questi due sono ancora insieme, hanno vissuto una vita piena e incredibile, sono invecchiati insieme.

Mi sono ispirata al film/libro "the notebook" di Sparks, ricollegandomi al libro "Mr. Holmes, il mistero del caso irrisolto", da cui hanno tratto il film con Ian McKellen, in cui vediamo un anziano Sherlock Holmes mostrare i primi segni di demenza senile, con i ricordi sempre più annebbiati.

Spero che la storia vi sia piaciuta e giuro che mi farò perdonare con la raccolta dei kink, su cui mi sono già rimessa al lavoro! ^^

Grazie a chi ha recensito, a chi lo farà, a chi ha messo la storia tra le seguite/preferite/ricordate, grazie anche ai lettori silenziosi.

Per gli insulti, lasciate pure un commento! XD

Peace and love!

  

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